LA
DOTTRINA DI VITA
PER LA
NUOVA GERUSALEMME
SECONDO I PRECETTI DEL DECALOGO
PER
EMANUEL SWEDENBORG
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VERSIONE DAL LATINO
DA
LORETO SCOCIA
1835
Editore della stampa originale: TIPOGRAFIA DI MARIANO RICCI
Via San Gallo Num. 31 (FI)
Questa edizione è a cura di
“Amici della Nuova Luce” - www.legamedelcielo.it
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Che ogni Religione si riferisca alla Vita, e che la Vita della Religione sia di fare il bene |
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Che nessuno possa fare il bene, che è realmente il bene, da se stesso |
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Che per quanto un uomo fugge i mali come peccati, tanto egli faccia i beni, non da sé ma dal Signore |
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Che per quanto alcuno fugge i mali come peccati, tanto egli ami i veri (la Verità) |
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Che per quanto alcuno fugge i mali come peccati, tanto egli abbia la fede e sia spirituale |
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Che il Decalogo insegni quali mali sono peccati |
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Che gli omicidii, gli adulterii, i furti, le false testimonianze d’ogni genere, con la concupiscenza istigante ad essi, siano i mali che si debbono fuggire come peccati |
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Che per quanto alcuno fugge come peccati gli omicidii di ogni genere, tanto egli abbia amore verso il prossimo |
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Che per quanto alcuno fugge come peccati gli adulteri d’ogni genere, tanto egli ami la castità |
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Che per quanto alcuno fugge come peccati i furti d’ogni genere, tanto egli ami la sincerità |
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Che per quanto alcuno fugge come peccati le false testimonianze d’ogni genere, tanto egli ami la verità |
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Che nessuno possa fuggire i mali come peccati, sino al punto di averli in avversione, se non che per combattimenti contro di essi |
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Che l’uomo debba fuggire i mali come peccati, e combattere contro di essi come da se stesso |
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Che se qualalcuno fugge i mali per qualunque altro motivo che non sia perché sono peccati, egli non li fugga, ma solamente faccia sì che essi non appaiano agli occhi del mondo |
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CHE OGNI RELIGIONE SI RIFERISCA ALLA VITA,
E CHE LA VITA DELLA RELIGIONE SIA DI FARE IL BENE
1. Ogni uomo che ha una religione, sa e riconosce che chi vive bene è salvato, e chi vive male è condannato; infatti, egli sa e riconosce che chi vive bene, pensa bene non solo rispetto a Dio, ma anche rispetto al prossimo; non però chi vive male. La vita dell’uomo è il suo amore, e quel che l’uomo ama, non solo lo fa con piacere, ma lo pensa anche con piacere. Se pertanto si è detto che la vita della religione è di fare il bene, gli è perché fare il bene fa una cosa sola con pensare il bene. Se queste due cose non fanno una cosa sola nell’uomo, esse non appartengono alla sua vita. Ma queste posizioni saranno dimostrate in quel che segue.
2. Che tutta la religione si riferisca alla vita, e che la vita della religione si di fare il bene, ognuno che legga la Parola, lo vede; e quando la legge, lo riconosce. Nella Parola si trovano questi passi:
- «Chiunque avrà violato uno di questi minimi comandamenti, ed avrà così insegnato agli uomini, sarà chiamato minimo nel Regno dei Cieli; ma chi avrà fatto e insegnato, sarà chiamato grande nel Regno dei Cieli. Io vi dico che se la vostra giustizia non supera quella degli Scribi e dei Farisei, voi non entrerete nel Regno dei Cieli». [Matt. 5,19-20]
- «Ogni albero che non fa buon frutto, vien tagliato e gettato nel fuoco. Voi dunque li riconoscerete dai loro frutti». [Matt. 7,19-20]
- «Non chiunque mi dice Signore, Signore! entrerà nel Regno dei Cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei Cieli». [Matt. 7,21]
- «Molti mi diranno in quel giorno, Signore! Signore! Non abbiamo noi profetizzato in nome tuo, e in nome tuo fatto molti miracoli? Ma allora io dirò loro apertamente: Io non vi ho mai conosciuti: dipartitevi da me, operatori d’iniquità». [Matt. 7,22-28]
- «Chiunque ode le mie parole e le mette in pratica, io lo comparerò a un uomo prudente, che ha edificata la sua casa sopra la roccia; ma chiunque ode le mie parole e non le mette in pratica, sarà paragonato a un uomo stolto, che ha edificata la sua casa sopra la rena». [Matt. 7,24-26]
- «Gesù disse: Un seminatore uscì a seminare. Alcuni semi caddero sulla strada battuta; altri in luoghi sassosi; altri tra le spine, e altri in buona terra». «Quegli che ha ricevuto il seme in una buona terra, è colui che ode la Parola e vi pone mente, il quale poi porta frutto e produce, uno cento, un altro sessanta, e un altro trenta. Quando Gesù pronunciò queste parole, esclamò, dicendo: Chi ha orecchie per udire, oda!». [Matt. 13,3-5 e 23].
- «Il Figliuol dell’uomo deve venire nella gloria del Padre suo, e allora egli renderà a ciascuno secondo i suoi fatti». [Matt. 16,27]
- «Il Regno di Dio vi sarà tolto, e sarà dato ad una nazione che ne produrrà i frutti». [Matt. 21,43]
- «Quando il Figliuol dell’uomo verrà nella sua gloria, allora egli sederà sul trono della sua gloria, e dirà alle pecore che saranno alla sua destra: Venite, benedetti dal Padre mio, e possedete in eredità il regno preparato per voi sin dalla fondazione del mondo; perciocché ebbi fame, e voi mi deste da mangiare; ebbi sete, e mi deste da bere; fui forestiero, e voi mi accoglieste; ignudo, e voi mi rivestiste; malato e voi mi visitaste; in prigione, e voi veniste a me. Allora i giusti risponderanno: Quando ti abbiamo veduto così? Ma il Re, rispondendo, dirà loro: In verità vi dico, in quanto l’avete fatto ad uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me. E il Re parlerà similmente ai capretti, che saranno alla sua sinistra; e siccome essi non hanno fatto di tali opere, egli dirà loro: Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e i suoi angeli». [Matt. 25,31-46]
- «Fate frutti degni di penitenza. Già la scure è posta alla radice degli alberi; ogni albero, dunque, che non fa buon frutto, vien tagliato e gettato nel fuoco». [Luca 3,8-9].
- «Gesù disse: perché mi chiamate Signore, Signore, e non fate quel che io dico? Chiunque viene a me, ed ascolta le mie parole e le mette ad effetto, è simile a u n uomo che edifica una casa, e che ha posto i fondamenti sopra la roccia; ma colui che ascolta e non fa, è simile ad un uomo che fabbrica una casa sopra la terra, senza fondamento». [Luca 6,46-48]
- «Gesù disse: Mia madre e miei fratelli sono quelli che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica». [Luca 8,21]
- «Allora voi comincerete a stare di fuori e a picchiare alla porta, dicendo: Signore, aprici; ma, rispondendo, egli dirà: Non so donde voi siate; Via da me, voi tutti, operatori d’iniquità». [Luca 13,25-27].
- «Il giudizio è questo, che la Luce è venuta nel mondo, e gli uomini hanno amato le tenebre più che la luce, perciocché le loro opere erano malvagie. “Chiunque fa cose malvagie odia la luce, e non viene alla luce, affinché le sue opere non siano biasimate; ma colui che mette in pratica la verità, viene alla luce, affinché le sue opere siano manifeste, perché esse sono fatte in Dio». [Giov. 3,19-21]
- «Ed usciranno, coloro che hanno fatte cose buone, in risurrezione di vita; ma coloro che ne hanno fatte delle malvagie, in risurrezione di giudizio». [Giov. 5,28-29]
- «Noi sappiamo che Dio non esaudisce i peccatori; ma se alcuno onora Dio e fa la sua volontà, quello egli esaudisce». [Giov. 9,31]
- «Se voi sapete queste cose, voi siete beati, purché le facciate». [Giov. XIII. 17]
- «Chi ha i miei comandamenti e li osserva, quegli è che mi ama; ed io l’amerò, e mi manifesterò io stesso a lui; e verrò a lui, e farò dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole». [Giov. 14,15-24]
- «Gesù disse: Io sono la vite, e il Padre mio è il vignaiolo; egli toglie vie ogni tralcio che in me non porta frutto; ma ogni tralcio che porta frutto, egli lo rimonderà, acciocché ne porti vie più». [Giov. 15,1,2]
- «In questo è glorificato il Padre mio, che voi portiate molto frutto, e che diventiate miei discepoli». [Giov. XV. 8]
- «Voi siete miei amici, se farete tutte le cose che io vi comando. Io vi ho eletti, affinché portiate frutto, e il vostro frutto rimanga». [Giov. 15,14 e 16]
- «Il Signore disse a Giovanni: … All’angelo della Chiesa d’Efeso scrivi: Conosco le tue opere. … Ma io ho contro di te che tu hai abbandonato la primiera tua carità. … Ravvediti e fa le primiere opere; se no, torrò il tuo candeliere dal suo luogo». [Apoc. 2,1/2/4/5]
- «All’angelo della Chiesa di Smirna scrivi: … Conosco le tue opere». – [Apoc. 2,8/9]
- «All’angelo della Chiesa in Tiatira scrivi: … Conosco le tue opere e la tua carità; e le tue opere ultime più numerose che le prime» [Apoc. 2,18/19]
- «All’angelo della Chiesa in Sardi scrivi: … Conosco le tue opere, che tu hai nome d’esser vivo, e pur sei morto. … Io non ho trovato le opere tue complete dinanzi a Dio. Fa penitenza». [Apoc. 3,1/2/3]
- «All’angelo della Chiesa in Filadelfia scrivi: … Conosco le tue opere». [Apoc. 3,7-8]
- «All’angelo della Chiesa dei Laodicesi scrivi: … Conosco le tue opere. … Fa penitenza». [Apoc. 3,14/15/19]
- «Udii dal Cielo una voce che diceva: Scrivi: Beati i morti che da ora innanzi muoiono nel Signore. Sì, dice lo Spirito, affinché si riposino dalle loro fatiche; le loro opere li seguono». [Apoc. 14,13]
- «Un libro fu aperto, che è il libro della vita, e i morti furono giudicati dalle cose scritte nel libro, tutti secondo le loro opere» [Apoc. 20,12/13]
- «Ecco io vengo tosto, e la mia ricompensa con me, per dare a ciascuno secondo la sua opera». «Apoc. XXII. 12]
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Parimenti nel Vecchio Testamento:
- «Io li retribuirò secondo le loro opere, e secondo i fatti delle loro mani» [Gerem. 25,14]
- «Jehovah i cui occhi sono aperti sopra tutte le vie degli uomini, per dare ad ognuno secondo le sue vie, e secondo il frutto delle sue opere». [Gerem. 32,19]
- «Io lo visiterò secondo le sue vie, e gli retribuirò le sue opere». [Osea 4,9]
- «Jehovah ha operato con noi secondo le nostre vie, secondo le nostre opere» [Zacc. 1,6]
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In molti passi è prescritto di osservare gli statuti, i comandamenti e le leggi; per esempio:
- «Voi osserverete i miei statuti e i miei giudizi. Se l’uomo li metterà in opera, vivrà per essi». [Levit. 18,5]
- «Osserverete tutti i miei statuti e i miei giudizi in guisa da metterli in opera». – [Levit. 19,37; 20,8; 28,5]
- «Benedizioni se osserveranno i comandamenti; maledizione se non li osserveranno». [Levit. 26,4 / 46]
- «Fu ordinato ai figliuoli d’Israele di farsi delle fimbrie ai lembi dei loro vestiti, acciocché si ricordassero di tutti i precetti di Jehovah, per metterli in opera». [Num. 15,38 / 39; Deut. 22,12]; - e in mille altri passi.
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Che siano le opere quelle che formano l’uomo della Chiesa, e che egli sia salvato secondo esse, il Signore lo insegna anche nelle parabole, la gran parte delle quali involgono questo, che coloro che fanno opere buone, sono accettati, e coloro che ne fanno delle cattive, sono rigettati; per esempio, nella Parabola sui lavoratori nella Vigna – Matt. 21,33 a 44. – Sul fico che non portava frutto – Luca 13,6 e seg. – Sui Talenti e le Mine da negoziare – Matt. 25,14 a 31; Luca 19,13 a 25. – Sul Samaritano che fasciò le ferite dell’uomo percosso dai ladroni – Luca 10,30 a 37. – Sul ricco e Lazzaro – Luca 16,19 a 31. – Sulle dieci Vergini – Matt. 25,1 a 12.
3. Se ogni uomo che ha una religione sa e riconosce che chi vive bene è salvato, e chi vive male è condannato, questo proviene dalla congiunzione del Cielo con l’uomo, il quale dalla Parola sa che c’è un Dio, che c’è un Cielo ed un Inferno, e che c’è una vita dopo la morte. Da qui è derivata questa percezione comune. Perciò, nella Dottrina della fede Atanasiana sulla Trinità, - dottrina universalmente ricevuta nel mondo cristiano, si legge, alla fine, questa proposizione, che è stata del pari universalmente ricevuta: Gesù Cristo, che ha sofferto per la nostra salvazione, è asceso al Cielo, e si è seduto alla destra del Padre Onnipotente, donde deve venire per giudicare i vivi ed i morti; ed allora coloro che hanno fatto opere buone, entreranno nella vita eterna, e coloro che ne hanno fatte delle cattive, nel fuoco eterno.”
4. Pur nondimeno vi sono molto nella chiesa cristiana che insegnano che la fede sola salva, e non qualche bene della vita o qualche buona opera. Essi aggiungono anche che il male della vita o la mala opera non condanna coloro che sono stati giustificati per la fede sola, perché essi sono in Dio e nella grazia. Ma è rimarcabile che, sebbene insegnino una tale dottrina, tuttavia riconoscono – in virtù della percezione comune derivante dal Cielo – che coloro che vivono bene sono salvati, e coloro che vivono male sono condannati. Che tuttavia essi riconoscano questo, è evidente dall’Esortazione, che viene letta nei templi, tanto in Inghilterra che in Germania, Svezia e Danimarca, dinanzi al popolo che partecipa alla Santa Cena. Egli è ben noto che in questi regni dimorano coloro che insegnano quella fede. L’esortazione che viene letta in Inghilterra dinanzi al popolo che partecipa al sacramento della Cena, è questa:
5 e 6. “Ecco la via e il mezzo di partecipare degnamente alla Santa Cena: Innanzi tutto ognuno esamini le azioni e le abitudini di sua vita, secondo le regole dei comandamenti di Dio; e qualunque siano quelle in cui scopre che egli ha peccato con la volontà, con la parola o col fatto, deplori la sua natura viziosa, e se ne confessi dinanzi a Dio Onnipotente, col fermo proposito d’emendare la sua vita. E se egli scopre che le sue offese sono non solo contro Dio, ma anche contro il prossimo, allora si riconcili con esso lui, e sua pronto a fargli restituzione e soddisfazione secondo tutto il suo potere per le ingiustizie e i mali che gli avesse fatto. E sia egualmente pronto a perdonare agli altri le loro offese, come egli vuole che le sue offese siano perdonate da Dio; altrimenti la ricezione della Santa Comunione non farà che aggravare la sua condanna. Perciò se alcuno tra voi è bestemmiatore di Dio, schernitore e sprezzatore della sua Parola, o se è adultero o colpevole di malizia o d’invidia, o di qualunque altro grave delitto, faccia penitenza dei suoi peccati; senza di che non si accosti alla Santa Cena; altrimenti, dopo avervi partecipato, il diavolo entrerà in lui, come entrò in Giuda, e lo empirà d’ogni iniquità, e distruggerà e il suo corpo e la sua anima”.
7. Mi fu dato, nel mondo spirituale, di domandare ad alcuni preti d’Inghilterra, che avevano professato e predicato la dottrina della fede sola, se, quando nei templi leggevano quella Esortazione, dove la fede non è neanche menzionata, essi credevano realmente che se facevano delle male opere, e non se ne pentivano, il diavolo darebbe entrato in essi, come in Giuda. e avrebbe distrutto e il loro corpo e la loro anima. Risposero che, nello stato in cui erano, quando leggevano quell’Esortazione, non sapevano, né pensavano altrimenti se non che quelle fossero la stessa religione; ma che quando preparavano e limavano i loro sermoni o le loro prediche, pensavano diversamente. Che allora essi pensavano intorno alla fede, che essa fosse l’unico mezzo di salvezza; ed intorno al bene della vita, che fosse un accessorio molare per il bene pubblico. Ma nondimento furono convinti che anche essi avevano quella comune percezione, che chi vive bene è salvato, e chi vive male è condannato; e che essi avevano quella percezione, quando non erano sotto l’influenza del loro proprio.
8. Se ogni religione si riferisce alla vita, si è perché ognuno dopo la morte è la sua propria vita; infatti la vita rimane quale fu nel mondo, e non è mutata; perciocché una cattiva vita non può essere convertita in un a buona vita, né una buona vita in un a cattiva, perché sono opposte; e mutare qualche cosa nel suo opposto si è annientarla. Perciò, siccome queste due vite sono opposte, una buona vita è chiamata vita, e una cattiva vita è chiamata morte. Indi è che la religione si riferisce alla vita, e che la vita della religione si è di fare il bene. (Che l’uomo dopo la morte sia tale, quale fu la sua vita nel mondo, si vede nel trattato DEL CIELO E NELL’INFERNO, N. 470 a 484)
[indice]
CHE NESSUNO POSSA FARE IL BENE, CHE E’ REALMENTE IL BENE, DA SE’ STESSO
9. Sino a questo giorno c’è appena qualcuno che sappia se il bene che egli fa, venga da se stesso o da Dio, e ciò perché la Chiesa ha separato la fede dalla carità; e il bene appartiene alla carità. Un uomo dà ai poveri, soccorre i bisognosi, dota i templi e gli ospedali, promuove il benessere della Chiesa, della patria, dei concittadini. Egli attende assiduamente al culto, e allora ascolta devotamente e prega; legge la Parola ed i libri di pietà, pensa alla salvezza; e nondimeno egli non sa se fa codeste cose da se stesso o se le fa da Dio. Egli può farle da Dio, e può farle da se stesso. Se le fa da Dio, esse sono buone; ma se le fa da se stesso, esse non sono buone. Anzi vi sono simili buone opere fatte dall’uomo stesso, che sono realmente mali, come le buone opere ipocrite, che sono inganni e frodi.
10. Le buone opere da Dio, e le buone opere che l’uomo fa da se stesso possono essere paragonate all’oro. L’oro, che nel suo intimo è oro, e che è chiamato oro fine, è l’oro buono. L’oro collegato all’argento è anche oro, ma la sua bontà dipende dalla lega. L’oro collegato al rame è meno buono. L’oro poi artificiale, il similoro per il colore, non è buono, perché in esso non è la sostanza dell’oro. C’è anche la doratura, come l’argento dorato, il rame, il ferro, lo stagno, il piombo dorati, ed anche il legno dorato e la pietra dorata, materie che per il loro esteriore possono apparire come oro; ma siccome non sono d’oro, vengono stimate o secondo l’arte, o secondo il prezzo dell’oro che si può trarre dalla doratura. Queste cose differiscono in bontà dall’oro stesso, come il vestimento differisce dall’uomo. Si può coprire d’oro anche il legno putrefatto, le scorie e perfino il letame; questo è l’oro che può essere paragonato al bene farisaico.
11. L’uomo conosce dalla scienza se l’oro è buono nella sua sostanza; se c’è della mistura, se è falsificato, e se non è che doratura; ma egli non conosce dalla scienza se il bene che fa è un bene in sé. Egli sa solamente che il bene che viene da Dio è il bene, e che il bene che viene dall’uomo non è il bene. E, siccome è importante per la salvezza di sapere se il bene che si fa viene da Dio, o se non viene da Dio, perciò bisogna che sia rivelato; ma prima che sia rivelato, è necessario di dire qualche cosa intorno alle diverse specie di beni.
12. Vi è un bene civile, un bene morale e un bene spirituale. Il bene civile è quello che l’uomo fa secondo la legge civile: per questo bene, e secondo questo bene l’uomo è cittadino nel mondo naturale. Il bene morale è quello che l’uomo fa secondo la legge razionale: per questo bene, e secondo questo bene egli è uomo. Il bene spirituale è quello che l’uomo fa secondo la legge spirituale: per questo bene, e secondo questo bene l’uomo è cittadino nel mondo spirituale. Queste tre specie di beni si seguono in questo ordine: Il bene spirituale è il supremo, il bene morale è il medio, e il bene civile è l’ultimo.
13. L’uomo che è nel bene spirituale, è un uomo morale ed è altresì un uomo civile; ma l’uomo che non è nel bene spirituale, apparisce come se fosse un uomo morale e civile, ma pur tuttavia non lo è. Se l’uomo che è nel bene spirituale, è un uomo morale e civile, si è perché il bene spirituale ha in sé l’essenza del bene, e da esso procedono il bene morale ed il bene civile. L’essenza del bene non può venire da altra sorgente che da Colui che è il Bene Stesso. Dà al tuo pensiero il più vasto campo, medita attentamente ed investiga donde il bene è bene, e tu vedrai che è dal suo essere; e che quello che è il bene il quale ha in sé l’essere del bene; che per conseguenza quello che viene dal Bene Stesso, ossia da Dio, quello è il bene; donde segue che il bene che non viene da Dio, ma dall’uomo, non è realmente il bene.
14. Da quel che è stato detto nella DOTTRINA SULLA SACRA SCRITTURA, nr. 27, 28, 38, si può vedere che il Supremo, il Medio e l’Ultimo fanno uno, come il fine, la causa e l’effetto; e che, siccome fanno uno, il fine stesso è chiamato fine primo; la causa, fine medio; e l’effetto, fine ultimo. Ecco dunque perché si è detto che l’uomo, che è nel bene spirituale, è un uomo morale e civile; e che l’uomo, che non è nel bene spirituale, non è né uomo morale, né uomo civile, ma che solamente appare come se lo fosse. Egli appare così a se stesso ed ancora agli altri.
15. La ragione per cui l’uomo, che non è spirituale, può tuttavia pensare e quindi parlare razionalmente, come l’uomo spirituale, si è perché l’intelletto dell’uomo può essere elevato nella luce del Cielo, che è la verità, e vedere in virtù di quella luce; ma la volontà dell’uomo non può essere similmente elevata nel calore del Cielo, che è l’amore, né agire in virtù di quel calore. Quindi la verità e l’amore non fanno uno nell’uomo, se egli non è spirituale. Indi ancora l’uomo ha la facoltà di parlare. Questo altresì fa la differenza fra l’uomo e la bestia. Dalla capacità dell’intelletto d’essere elevato nel Cielo, quando la volontà non vi è ancora elevata, risulta che l’uomo può essere riformato e divenire spirituale; ma egli non può essere riformato e divenire spirituale, finché non sia elevata anche la volontà. Da questa capacità dell’intelletto rispetto a quella della volontà, risulta che l’uomo, qualunque egli sia, anche malvagio, può pensare e quindi parlare razionalmente, come l’uomo spirituale. Ma ciò nondimeno egli non è razionale, perché l’intelletto non dirige la volontà, ma la volontà dirige l’intelletto. L’intelletto non fa che insegnare e mostrare la via. (come è stato detto nella DOTTRINA SULLA SACRA SCRITTURA, n. 115). E finché la volontà non è nel Cielo unitamente coll’intelletto, l’uomo non è spirituale, né per conseguenza razionale; perciocché quando egli è abbandonato alla sua volontà o al suo amore, egli rigetta dal suo intelletto le conclusioni razionali rispetto a Dio, al Cielo ed alla vita eterna, ed ammette invece delle conclusioni tali che concordano con l’amore della sua volontà, e chiama quelle conclusioni razionali. Ma questi soggetti saranno trattati nell’opera sulla SAPIENZA ANGELICA.
16. Nelle pagine seguenti coloro che fanno il bene da sé stessi, saranno chiamati uomini naturali, perché in essi il morale e il civile sono naturali in quanto all’essenza; ma quelli che fanno il bene dal Signore, saranno chiamati uomini spirituali, perché il morale ed il civile in essi sono, in quanto all’essenza, spirituali.
17. Che nessuno possa da se stesso fare qualche bene che sia realmente il bene, lo insegna il Signore in Giovanni: «L’uomo non può ricevere nulla, se non gli è dato dal Cielo». [Gv. 3,27] – «Chi dimora in me ed io in lui, quegli porta molto frutto, perciocché fuori di me voi non potete fare nulla». [Gv. 15,5]. – Le parole “chi dimora in me ed io in lui, quegli porta molto frutto” significano = che ogni bene viene dal Signore: il frutto è il bene. “Fuori di me non potete fare nulla”, significa = che nessuno può fare il bene da se stesso. Coloro che credono nel Signore e fanno il bene da Lui, sono chiamati Figliuoli di luce, in Giov. 12,36; Luca 16,8. – Figliuoli delle nozze, in Marco 2,19. – Figliuoli della risurrezione, in Luce 20,36. – Figliuoli di Dio, Idem 20,36; Giov. 1,12. – Nati da Dio, Giov. 1,13. – Che vedranno Dio, Matt. 5,8. – Che il Signore farà dimora presso di loro, Giov. 14,23. – Che hanno la fede di Dio, Marco 11,22. – Che le loro opere sono fatte in Dio, Giov. 3,21. – Queste cose sono riassunte nelle parole: “A tutti coloro che hanno ricevuto Gesù, Egli ha dato facoltà di divenire figliuoli di Dio, a quelli che credono nel suo Nome, i quali non da sangue, né da volontà di carne, né da volontà d’uomo, ma sono nati da Dio”, Giov. 1,12-13. – Credere nel nome del figliuolo di Dio si è credere nella Parola e vivere conforme ad essa. La volontà di carne è il proprio della volontà dell’uomo, il quale proprio in se stesso è il male. La volontà dell’uomo è il proprio del suo intelletto, il quale in se stesso è il falso proveniente dal male. I nati dalla volontà di carne e dalla volontà d’uomo sono coloro che vogliono e fanno, pensano e parlano secondo il loro proprio. I nati da Dio sono coloro che vogliono e fanno, pensano e parlano secondo il Signore. Insomma, quel che viene dall’uomo non è il bene; ma il bene è quel che viene dal Signore.
[indice]
CHE PER QUANTO L’UOMO FUGGE I MALI COME PECCATI,
TANTO EGLI FACCIA I BENI, NON DA SE’ MA DAL SIGNORE
18. Chi è che non sappia o non possa sapere che i mali impediscono che il Signore possa entrare presso l’uomo? Infatti, il male è l’inferno, e il Signore è il Cielo; e l’inferno e il Cielo sono opposti. In quanto dunque l’uomo è nell’uno, tanto non può essere nell’altro; perciocchè l’uno agisce contro l’altro e lo distrugge.
19. Finchè l’uomo vive nel mondo egli è nel mezzo fra l’inferno e Cielo: - di sotto è l’inferno, e disopra il Cielo. Egli è tenuto nella libertà di volgersi o verso l’inferno, o verso il Cielo. Se egli si volge verso l’inferno, si rivolge dal Cielo; ma se si volge verso il Cielo, si rivolge dall’inferno. O, quel che torna il medesimo, finché l’uomo vive nel mondo, egli è nel mezzo fra il Signore e il diavolo, ed è tenuto nella libertà di volersi o verso l’uno, o verso l’altro. Se egli si volge verso il diavolo, si rivolge dal Signore; ma se si volge verso il Signore, si rivolge dal diavolo. O, quel che è ancora il medesimo, finché l’uomo vive nel mondo, egli è nel mezzo fra il male ed il bene, ed è tenuto nella libertà di volgersi o verso l’uno, o verso l’altro. Se si volge verso il male, egli si rivolge dal bene; ma se si volge verso il bene, si rivolge dal male.
20. Si è detto che l’uomo è tenuto nella libertà di volgersi da una parte o dall’altra. Ogni uomo ha questa libertà, non da sé, ma dal Signore; perciò si è detto che l’uomo è tenuto in essa. (Quanto all’equilibrio fra il Cielo e l’inferno, e come l’uomo sia tenuto in tale equilibrio, e quindi nella libertà, vedasi nell’opera DEL CIELO E DELL’INFERNO, n. 589 a 596, e n. 597 a 603). Che ogni uomo sia tenuto nella libertà, e che questa libertà non sia tolta a nessuno, si vedrà nel suo luogo.
21. Da queste condizioni è evidente che tanto l’uomo fugge i mali, tanto egli è presso il Signore e nel Signore; e per quanto è nel Signore, tanto fa il bene, non da sé ma dal Signore. Quindi risulta questa legge generale. PER QUANTO ALCUNO FUGGE I MALI, TANTO EGLI FA I BENI.
22. Due cose però sono richieste: La prima è che l’uomo deve fuggire i mali, perché sono peccati, cioè, perché sono infernali e diabolici, per conseguenza contro il Signore e contro le Leggi Divine. La seconda, che l’uomo deve fuggire i mali per la regione che sono peccati, come da se stesso; tuttavia bisogna che sappia e creda che egli fa così dal Signore. Ma di questi due requisiti si tratterà negli articoli seguenti.
23. Dalle cose dette seguono queste tre conseguenze: I. come peccati, i beni che egli vuole e fa non sono realmente bene. II. Che se l’uomo pensa cose pie e parla piamente, e non fugge i mali come peccati, la sua pietà non è vera pietà. III. Che cosa se l’uomo ha molta scienza e molta sapienza e non fugge i mali come peccati, egli realmente non è saggio.
24. (I) Che se l’uomo vuole e fa i beni, prima di fuggire i mali come peccati, i beni che egli fa non siano realmente beni. – Questo è perché prima egli non è nel Signore, come è stato detto più sopra; per esempio, se egli dona ai poveri, se soccorre gli indigenti, se dota templi ed ospedali, se fa del bene alla chiesa, alla patria ed ai concittadini, se insegna il Vangelo e converte le anime, se pratica la giustizia nei giudizì, la sincerità negli affari, la rettitudine nelle sue azioni; e con tutto ciò non riguarda affatto come peccati i mali, quali le frodi, gli adulteri, gli odì, le bestemmie ed altri mali simili; allora egli non può fare che beni tali, i quali interamente sono mali. Infatti egli li fa da se stesso, e non dal Signore; in conseguenza egli stesso è in quei beni, e non il Signore. Ora i beni, nei quali è l’uomo medesimo, sono tutti contaminati dai suoi mali, e riguardano lui stesso ed il mondo. Ma quelle medesime opere che sono state menzionate più sopra, sono interamente buone, se l’uomo fugge come peccati i mali, quali le frodi, gli adulterì, gli odì, le bestemmie, ecc.; perciocché allora egli le fa dal Signore, ed esse sono dette essere “fatte in Dio”. [Giov. 3,19/20/21]
25. (II) Che se l’uomo pensa cose pie e parla piamente, e non fugge i mali come peccati, la sua pietà non sia la vera pietà. – Questo è perché egli non è nel Signore; per esempio, se egli frequenta i templi, se ascolta devotamente le prediche, se legge la Parola e dei libri di pietà, se partecipa al sacramento della Cena, se fa ogni giorno delle preghiere, se anzi egli pensa molto a Dio e alla salute dell’anima, e tuttavia non riguarda affatto come peccati i mali, quali le frodi, gli adulterì, gli odì, le bestemmie, ed altri mali simili; allora egli non può pensare e pronunciare che delle cose pie, le quali internamente non sono pie, perché l’uomo stesso coi suoi mali è in esse. Egli per verità allora l’ignora; ma nondimeno i suoi mali sono là dentro e vi rimangono nascosti alla sua vista; perciocché egli è come una fontana, la cui acqua è impura dalla sua sorgente. Gli esercizi della sua pietà o sono solamente delle pratiche di abitudine, o sono opere meritorie, o sono ipocrisie. Esse salgono,, è vero, verso il cielo, ma come il fumo nell’aria, si rivoltano per via e cadono.
26. Mi è stato dato di vedere e di udire molti, dopo la loro morte, i quali enumeravano le loro buone opere e gli esercizi di pietà, simili a quelli che sono stati testé menzionati, n. 24, 25 e più altri ancora. Ne vidi anche fra essi alcuni che avevano delle lampade, ma senza olio. Fu indagato se avevano fuggito i mali come peccati, e fu scoperto che no; per la qual cosa fu loro detto che essi erano malvagi. Infatti più tardi furono anche veduti entrare in caverne, dove erano dei malvagi simili ad essi.
27. (III) Che se l’uomo ha molta scienza e molta sapienza, e non fugge i mali come peccati, egli realmente non sia saggio. – Questo è anche per la medesima ragione addotta più sopra, cioè perché egli è savio da se stesso, e non dal Signore: per esempio, se egli conoscesse perfettamente la dottrina della sua chiesa e tutte le cose che vi si riferiscono; se sapesse confermarla con la Parola e coi ragionamenti; se egli conoscesse le dottrine di tutte le chiese, principiando dai primi secoli, ed insieme i decreti di tutti i concilii; anzi, se egli conoscesse le verità e le vedesse anche e le comprendesse, come per esempio, se conoscesse la natura della fede, della carità, della pietà, della penitenza, della remissione dei peccati, della rigenerazione, del battesimo e della santa cena, del Signore, della redenzione e della salvezza; egli tuttavia non sarebbe realmente saggio, se non fuggisse i mali come peccati. Infatti queste cognizioni sono senza vita, perché esse sono solamente del suo intelletto, e non in pari tempo della sua volontà; e siffatte cognizioni periscono col tempo, per la ragione esposta più sopra, n. 15. Di più, dopo la morte l’uomo stesso le rigetta, perché esse non concordano con l’amore della sua volontà. Ma nondimeno codeste cognizioni sono sommamente necessarie, perché esse insegnano come l’uomo deve agire; e quando egli le mette in pratica, allora esse vivono in lui, ma non prima.
28. Tutto quel che è stato detto fin qui è insegnato nella Parola in molti passi, fra i quali saranno addotti solamente i seguenti. La Parola insegna che nessuno può essere nel bene e in pari tempo nel male; o, quel che torna il medesimo, che nessuno, in quanto all’anima, può essere nel Cielo e in pari tempo nell’inferno. Questo è insegnato nei seguenti passi:
«Nessuno può servire due padroni; perciocché o odierà l’uno ed amerà l’altero; o si atterrà all’uno e disprezzerà l’altro: Voi non potete servire a Dio ed a Mammona». – [Matt. 6,24]
«Come potete voi parlare cose buone, essendo malvagi? La bocca parla dall’abbondanza del cuore. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori cose buone; e l’uomo malvagio dal tesoro malvagio (dal suo cuore) tra fuori cose malvagie». [Matt. 12,34-35]
«Non vi è albero buono che faccia frutto cattivo; né albero cattivo che faccia buon frutto: ogni albero è conosciuto dal proprio frutto; perciò non si colgano fichi dalle spine, e non si vendemmi uva da un roveto». [Luca 6,43-44]
29. La Parola insegna che nessuno può fare il bene da se stesso, ma bensì dal Signore:
«Gesù disse: Io sono la vite, e il Padre mio è il vignaiolo. Egli toglie via ogni tralcio che in me non porta frutto; ma ogni tralcio che porta frutto, Egli lo rimonderà, affinché ne porti vie più. Dimorate in me, ed io dimorerò in voi. Siccome il tralcio non può portar frutto da se stesso, se non dimora nella vite; così neanche voi, se non dimorate in me. Io sono la vite, voi i tralci; chi dimora in me, ed io in lui, quegli porta molto frutto; perciò senza di me non possiate far nulla. Se alcuno non dimora in me, è gettato fuori come il sermento, e si cessa; e sarà raccolto e buttato nel fuoco e bruciato» [Giov. 15,1 a 6]
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30. Nei passi seguenti la Parola insegna che sino a che l’uomo non è purificato dai suoi mali, i beni che egli fa non sono beni, né la sua pietà è la pietà, e che egli non è saggio, e viceversa:
«Guai a voi Scribi e Farisei ipocriti! perché voi vi fate simili ai sepolcri imbiancati, i quali di fuori appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni immondizia. Così anche voi apparite giusti di fuori, ma dentro siete pieni d’ipocrisia e d’iniquità. Guai a voi! perché voi nettate il di fuori della coppa e del piatto, ma dentro essi sono pieni di rapina e d’intemperanza. Fariseo cieco! netta prima il di dentro della coppa e del piatto, affinché anche l’esteriore divenga netto». [Matt. 23,25 a 28]
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Inoltre in questi passi in Isaia:
- «Ascoltate la Parola di Jehovah, voi principi di Sodomia; porgete l’orecchio alla legge dell’Iddio nostro, o popolo di Gomorra: Che ho Io da fare della moltitudine dei vostri sacrifici? Non continuate più a portare un’offerta di vanità: il profumo l’ho in abominazione, la nuova luna ed il Sabato. Io non posso sopportare l’iniquità- L’anima mia odia le vostre nuove lune e le vostre solennità. Perciò, quando voi spiegate le vostre mani, Io nascondo gli occhi miei da voi; anche se moltiplicate le preghiere, Io non le ascolterò: le vostre mani sono piene di sangue. Lavatevi, purificatevi, rimovete la malizia delle opere dalle vostre d’innanzi agli occhi miei, cessate di fare il male. Allora, quando i vostri peccati fossero come lo scarlatto, diverranno bianchi come la neve; quando fossero rossi come la porpora, diverranno come la lana». [Is. 1,10 a 18]
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Insomma, risulta da questi passi che se l’uomo non fugge i mali, tutte le pratiche del suo culto non sono buone; similmente tutte le sue opere; perciò è detto: “Io non posso sopportare l’iniquità; purificatevi, rimovete la malizia delle vostre opere, cessate di fare il male”. Così pure in Geremia: «Si converta ciascuno dalla sua via malvagia, e rendete buone le vostre opere». [Gr. 35,15]
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Che tali uomini non siano saggi, è insegnati in Isaia:
- «Guai a coloro che sono saggi ai loro proprì occhi, e intelligenti davanti alle loro proprie facce». [Is. 5,21]
- «La sapienza dei saggi, e l’intelligenza degli intelligenti periranno. Guai a coloro che sono profondamente saggi, e le cui opere si compiono nelle tenebre». [Is. 29,14-15]
- «Guai a coloro che scendono in Egitto per soccorso, e si appoggiano su cavalli, e si confidano in carri, perché essi sono molti; e nei cavalieri, perché sono forti; ma non riguardano al Santo d’Israele, e non cercano Geova. Ma egli si leverà contro la casa dei malvagi, e contro il soccorso di coloro che praticano l’iniquità; perché l’Egitto è l’uomo, e non Dio, e i suoi cavalli sono carne, e non spirito». [Is. 31,1/2/3]
*
Così è descritta la propria intelligenza dell’uomo. L’Egitto denota la scienza; il cavallo significa = l’intelletto che ne proviene; il carro significa = la dottrina che procede dall’intelletto; il cavaliere significa = l’intelligenza che procede dalla dottrina, di cui è detto: “Guai a coloro che non riguardano al Santo d’Israele, e non cercano Jehovah”. La loro distruzione per i mali è intesa per le espressioni: “Egli si leverà contro la casa dei malvagi, e contro il soccorso di coloro che praticano l’iniquità”. Che tutte queste cose vengano dal proprio dell’uomo, e quindi non abbiano vita in sé, è significato per le parole: “L’Egitto è uomo e non Dio, e i suoi cavalli sono carne e non spirito”. “L’uomo e la carne” significano = il proprio dell’uomo; “Dio e lo Spirito” significano = la vita dal Signore. “I cavalli dell’Egitto” significano = la propria intelligenza che viene dall’uomo. (Vi sono nella Parola circa l’intelligenza che viene dall’uomo, e l’intelligenza che viene dal Signore molti altri simili, che sono spiegati solamente per il senso spirituale)
Che nessuno sia salvato per le buone opere, che egli fa da se stesso, perché non sono buone, è evidente dai seguenti passi:
- «Non chiunque mi dice Signore! Signore! entrerà nel Regno dei Cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio. Molti mi diranno in quel giorno: Signore! Signore! non abbiamo noi profetizzato in nome tuo, e in nome tuo cacciati demoni, e fatto in nome tuo molti miracoli? Ma allora io dirò loro apertamente: Non vi ho mai conosciuti: Ritiratevi da me, VOI CHE PRATICATE L’INIQUITA’». [Matt. 7,21 / 22 / 23]
- «Allora voi, stando di fuori, comincerete a picchiare alla porta dicendo: Signore, aprici; e principierete da dire: Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza, e tu hai insegnato nelle nostre piazze. Ma egli dirà: Io vi dico: non so donde voi siate. Andate via da me voi tutti, OPERATORI D’INIQUITA’». – [Luca 13,25 / 26 / 27]
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Infatti tali persone sono simili al Fariseo, “che nel tempio, stando ritto, pregava dicendo che egli non era come gli altri uomini, capaci, ingiusti, adulteri; che egli digiunava due volte la settimana, e che pagava la decima di tutto ciò che possedeva”. [Luca 18,11 a 14]. – Sono ancora essi che sono chiamati “servi inutili”. – [Luca 17,10]
31. La verità è che nessun uomo può da se stesso fare il bene, che sia realmente il bene. Ma applicare questa verità in guisa da annullare ogni bene della carità, che fa l’uomo che fugge i mali come peccati, è una perversione enorme; perciò è diametralmente contro la Parola, la quale comanda che l’uomo faccia il bene. Ella è contro i precetti dell’amore verso Dio e dell’amore verso il prossimo, precetti da cui dipende la Legge ed i Profeti; ed è altresì screditare e sopprimere tutta la religione; infatti ognuno sa che la religione consiste nel fare il bene, e che ciascuno è giudicato secondo le sue opere. Ogni uomo è tale che può fuggire i mali come da se stesso, in virtù della potenza del Signore, se egli l’implora; e quel che egli fa poi, è bene del Signore.
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CHE PER QUANTO ALCUNO FUGGE I MALI COME PECCATI, TANTO EGLI AMI I VERI (la Verità)
32. Vi sono due universali che procedono dal Signore, il Divino Bene e il Divino Vero. Il Divino Bene appartiene al suo Divino Amore, e il Divino Vero appartiene alla sua Divina Sapienza. Questi due nel Signore sono uno, e quindi procedono da Lui come uno; ma essi non sono ricevuti come uno dagli angeli nei cieli, né dagli uomini nelle terre. Vi sono degli angeli e degli uomini che ricevono più del Divino Vero che del Divino Bene; e ve ne sono che ricevono più del Divino Bene che del Divino Vero. Da ciò viene che i Cieli sono distinti in due regni, di cui l’uno è chiamato Regno Celeste, e l’altro Regno Spirituale. I Cieli che ricevono più del Divino Bene costituiscono il Regno Celeste, e quelli che ricevono più del Divino Vero costituiscono il Regno Spirituale. (Circa questi due regni nei quali i Cieli sono distinti, vedasi l’opera DEL CIELO E DELL’INFERNO, n. 20 a 28.) Ma nondimeno gli angeli di tutti i Cieli sono nella sapienza e nell’intelligenza, in quanto il bene in essi fa uno col vero. Il bene che non fa uno col vero, per essi non è il bene: e il vero che non fa uno col bene, per essi non è il vero. Indi è evidente che il bene congiunto al vero costituisce l’amore e la sapienza negli angeli e negli uomini; e siccome l’angelo è angelo in virtù dell’amore e della sapienza in lui, e l’uomo similmente, è evidente che il bene congiunto al vero fa che l’angelo sia un angelo del Cielo, e l’uomo sia un uomo della Chiesa.
33. Poiché il bene e il vero sono uno nel Signore e procedono da Lui come uno, ne segue che il bene ama il vero e il vero ama il bene, ed essi vogliono essere uno. Parimenti i loro opposti; essendo che il male ama il falso, e il falso il male, essi vogliono essere uno. Nelle pagine seguenti la congiunzione del bene e del vero sarà chiamato connubio celeste, e la congiunzione del male e del falso, connubio infernale.
34. La conseguenza di ciò che precede si è, che per quanto alcuno fugge i mali come peccati, tanto egli ama i veri, perché tanto egli è nel bene, come è stato dimostrato nell’articolo precedente. E viceversa, per quanto alcuno non fugge i mali come peccati, tanto egli non ama i veri, perché tanto non è nel bene.
35. L’uomo che non fugge i mali come peccati, può bensì amare i veri; tuttavia egli li ama, non perché sono veri, ma perché servono alla sua reputazione, da cui egli trae onore o lucro; perciò, se non servono, egli non li ama.
36.Il bene appartiene alla volontà; il vero all’intelletto. Dall’amore del bene nella volontà procede l’amore del vero nell’intelletto; dall’amore del vero procede la percezione del vero; dalla percezione del vero, il pensiero del vero; e da tutto ciò viene la riconoscenza del vero, che è la fede nel suo senso genuino. (Che sia questo l’ordine di progressione dall’amore del bene alla fede, sarà dimostrato nel trattato SUL DIVINO AMORE E SULLA DIVINA SAPIENZA.)
37. Siccome il bene non è bene se non è congiunto al vero – come è stato detto – ne segue che il bene non esige prima; eppure esso vuole continuamente esistere; perciò, affine di esistere, esso desidera e si procura dei veri, dai quali trae la sua nutrizione e la sua formazione. Egli è per questa ragione che tanto alcuno è nel bene, tanto egli ama i veri. In conclusione, tanto alcuno fugge i mali come peccati, tanto ama i veri, perciò tanto è nel bene.
38. Per quanto alcuno è nel bene, e dal bene ama i veri, tanto egli ama il Signore, poiché il Signore è il Bene Stesso ed il Vero Stesso. Il Signore perciò è presso l’uomo nel bene e nel vero. Se il vero è amato in virtù del bene, allora il Signore è amato; altrimenti no. Questo insegna il Signore in Giovanni: «Chi ha i miei precetti e li osserva, egli è che mi ama; ma chi non mi ama, non osserva le mie parole». [Gv. 14,21 / 24]. – Ed altrove: «Se voi osservate i miei comandamenti, voi dimorerete nel mio amore». [Gv. 15,10]. – I precetti, le parole e i comandamenti del Signore sono i veri.
39. Che il bene ami il vero, può essere illustrato per comparazioni con un sacerdote, un militare, un negoziante, un artefice: - Con un SACERDOTE: Se egli è nel bene del sacerdozio – che consiste nel provvedere alla salute delle anime, nell’insegnare la via che conduce al Cielo, e nel dirigere coloro che egli istruisce – secondo che è in quel bene, in forza dell’amore e del suo desiderio, egli si procura i veri che insegna, e per i quali dirige. Un sacerdote, invece, che non sia nel bene del sacerdozio, ma dall’amore di se stesso e del mondo sia nel piacere della sua funzione, piacere che è il suo solo bene; anch’egli, in forza di questo amore e del suo desiderio, si procura dei veri in abbondanza, secondo il piacere che lo inspira e che costituisce il suo bene. – Con un MILITARE: Se egli è nell’amore del servizio militare, e che senta il bene nel proteggere lo Stato, o nel rendersi celebre, allora in forza di quel bene e secondo quel bene egli si acquista la scienza della sua professione; e se egli è promosso in grado, si acquista l’intelligenza del suo grado. Queste cose sono come veri, di cui si nutre e si forma il piacere del suo amore, che è il suo bene. –
Con un NEGOZIANTE: Se egli si è dedicato al commercio per amore del commercio, egli attinge con voluttà tutte le cose che, come mezzi, entrano in quell’amore e lo compongono; queste cose ancora sono come veri, mentre il commercio è il suo bene. – Con un ARTEFICE: Se egli si applica con zelo al suo lavoro, e che l’ami come il bene di sua vita, egli acquista degli strumenti, e si perfeziona nelle cose che appartengono alla scienza della sua arte; per questi mezzi egli fa l’opera sua per essere il suo bene. Da queste comparazioni egli è evidente che i veri sono mezzi per i quali il bene dell’amore esiste e diviene una realtà, e che in conseguenza il bene ama i veri affine di esistere. Quindi nella Parola per fare la verità è inteso fare sì che il bene esista. Questo è inteso per fare la verità in Giov. 3,21; - per fare quel che dice il Signore, in Luca VI. 46; - per fare i suoi precetti, in Giov. 14,15; - per fare le sue parole, in Matt. 7,24; - per fare la Parola di Dio, in Luca 8,21; - per fare gli statuti e i giudizi, nel Levit. 18,5. – Questo ancora è inteso per fare il bene e far frutto, perciò il bene o il frutto è quel che esiste.
40. Che il bene ami il vero e voglia essere congiunto con esso, può essere illustrato per una comparazione col cibo e l’acqua, o col pane ed il vino. Vi deve essere l’uno come l’altro. Il cibo o il pane solo non basta per la nutrizione nel corpo, senza dell’acqua o del vino; perciò l’uno appetisce e desidera l’altro. Per il cibo o il pane, nella Parola, è inteso anche, nel senso spirituale, il bene; e per l’acqua e il vino è inteso il vero.
41. Da quel che è stato detto ora è evidente che colui che fugge i mali come peccati, ama i veri e li desidera; e quanto più fugge quelli, tanto più ama e desidera questi, perché tanto più egli è nel bene. Quindi egli viene nel matrimonio celeste, che è il connubio del bene e del vero, in cui è il Cielo, e in cui sarà la Chiesa.
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CHE PER QUANTO ALCUNO FUGGE I MALI COME PECCATI,
TANTO EGLI ABBIA LA FEDE E SIA SPIRITUALE
42. La fede e la vita sono distinte fra loro come pensare e fare; e siccome pensare appartiene all’intelletto, e fare appartiene alla volontà, ne segue che la fede e la vita sono fra loro distinte come l’intelletto e la volontà. Chi conosce la distinzione di queste, conosce anche la distinzione di quelle; e chi conosce la congiunzione delle une, conosce altresì la congiunzione delle altre. Egli è perciò necessario di premettere qualche nozione intorno all’intelletto e alla volontà.
43. L’uomo ha due facoltà di cui l’una è chiamata VOLONTA’, e l’altra INTELLETTO. Esse sono fra loro distinte, ma create per essere uno; e quando sono uno, esse sono chiamate la MENTE. Queste due facoltà costituiscono dunque la Mente umana, e tutta la vita dell’uomo è là. Siccome tutte le cose nell’universo, che esistono secondo l’Ordine divino, si riferiscono alla volontà e all’intelletto; perciò il bene nell’uomo appartiene alla sua volontà, e il vero in lui appartiene al suo intelletto. Queste due facoltà, infatti, ne sono i ricettacoli e i soggetti: la volontà è il ricettacolo e il soggetto di tutte le cose del bene; e l’intelletto è il ricettacolo e il soggetto di tutte le cose del vero. I beni e i veri nell’uomo non sono altrove; per conseguenza neppure l’amore e la fede sono altrove, giacché l’amore appartiene al bene, e il bene all’amore; e la fede appartiene al vero, e il vero alla fede. Nulla è più importante quanto di sapere come la volontà e l’intelletto fanno una sola mente. Queste facoltà fanno una sola mente, nella stessa guisa che il bene e il vero fanno uno; conciossiaché vi sia un tale connubio fra la volontà e l’intelletto, quale fra il bene e il vero. La natura di questo connubio è stata, sino a un certo punto, spiegata nell’articolo precedente. Vuolsi qui aggiungere che, siccome il bene è l’essere stesso della cosa, e il vero quindi ne è l’esistere, così la volontà nell’uomo è l’essere stesso di sua via, e l’intelletto quindi ne è l’esistere; essendoché il bene che appartiene alla volontà si forma nell’intelletto, e in un certo modo si rende visibile.
44. Più sopra, n. 27 / 28, è stato dimostrato che l’uomo può conoscere, pensare e intendere molte cose, e tuttavia non essere saggio; e siccome è proprio della fede di conoscere e di pensare, e più ancora d’intendere che una cosa è così, l’uomo può in conseguenza credere di avere la fede, mentre non l’ha. La ragione per cui non l’ha, si è perché egli è nel male della vita; e il male della vita e il vero della fede non possono mai stare insieme. Il male della vita distrugge il vero della fede, perché il male della vita è proprio della volontà, e il vero della fede è proprio dell’intelletto; e la volontà conduce l’intelletto e fa sì che agisca come uno con essa. Perciò se ha qualche cosa nell’intelletto che non concorda con la volontà, allora, quando l’uomo è abbandonato a se stesso, e pensa dal suo male e dall’amore di esso male, o egli caccia via il vero che è nell’intelletto, o per via di falsificazione lo costringe ad essere unito. Egli è altrimenti in coloro che sono nel bene della vita; quando questi sono abbandonati a sé stessi, essi pensano dal bene, ed amano il vero che è nell’intelletto, perché concorda con la volontà. Così la congiunzione della fede e della vita si effettua come la congiunzione del vero e del bene; e queste due congiunzioni sono simili alla congiunzione dell’intelletto e della volontà.
45. Ora da queste premesse segue che tanto l’uomo fugge i mali come peccati, tanto egli ha la fede, perché tanto egli è nel bene, come è stato dimostrato più sopra. Questo è confermato ancora per il suo contrario, poiché chi non fugge i mali come peccati, non ha la fede, perché egli è nel male, e il male odia internamente il vero. Può bensì esternamente trattarlo da amico e sopportarlo, anzi amare che sia nell’intelletto; ma quando l’esteriore è spogliato – ciò che avviene dopo la morte – allora il malvagio primieramente rigetta il vero suo amico nel mondo, poi nega che sia il vero, e finalmente lo ha in avversione.
46. La fede dell’uomo malvagio è una fede intellettuale, in cui non è nulla del bene dalla volontà; per conseguenza è una fede morta, simile alla respirazione polmonare senza la sua animazione dal cuore (e l’intelletto anche corrisponde al polmone, e la volontà al cuore). Essa è ancora come una bella meretrice, ornata di porpora e d’oro, e la quale internamente è infetta di una malattia maligna (la meretrice corrisponde anche alla falsificazione del vero, e quindi, nella Parola, essa significa tale falsificazione). Essa è ancora come un albero lussureggiante di foglie, e non portante frutto, che il giardiniere recide (l’albero altresì significa l’uomo; le sue foglie e i suoi fiori significano i veri della fede, e il suo frutto significa il bene dell’amore). Ma egli è altrimenti della fede in un intelletto, in cui è il bene dalla volontà. Questa fede è viva; ed essa è come la respirazione polmonare, che riceve l’animazione dal cuore; essa è come una bella moglie che la castità rende cara al suo marito, e come un albero che porta frutto.
47. Vi sono molte cose che pare che appartengano solamente alla fede; per esempio che vi è un Dio; che il Signore, che è questo Dio, è il Redentore ed il Salvatore; che vi è un Cielo ed un inferno; che vi è una vita dopo la morte, e molte altre verità, di cui non è detto che si debbano fare, ma che si debbono credere. Queste verità della fede sono parimenti morte nell’uomo che è nel male, ma vive nell’uomo che è nel bene. La ragione si è perché l’uomo che è nel bene, non solo agisce bene dalla volontà, ma altresì pensa bene dall’intelletto, non solamente dinanzi al mondo, ma anche dinanzi a se stesso, quando è solo. Egli è altrimenti di colui che è nel male.
48. Si è detto che quelle verità pare che appartengano solamente alla fede; ma il pensiero dell’intelletto deriva il suo esistere dall’amore della volontà, che è l’essere del pensiero nell’intelletto, come si è detto più sopra, n. 43. Infatti quel che alcuno vuole dall’amore, egli vuol farlo, vuol pensarlo, vuol comprenderlo e vuol parlarne; o, ciò che torna il medesimo, quel che alcuno ama dalla volontà, egli ama farlo, ama pensarlo, ama comprenderlo, ama parlarne. Aggiungasi che, quando l’uomo fugge il male come peccato, allora egli è nel Signore – come è stato dimostrato più sopra – e il Signore opera ogni cosa in lui. Perciò a colui che domandò quel che dovesse fare per operare le opere di Dio, il Signore disse: «Questa è l’opera di Dio, … che voi crediate in colui che Egli ha mandato». – [Giov. 6,28 / 29]. – Credere nel Signore non è solamente pensare che Egli è, ma è anche osservare le sue parole, come Egli medesimo insegna altrove.
49. Che coloro che sono nei mali non abbiano la fede, comunque credano d’averla, è stato dimostrato con esempi di uomini simili nel mondo spirituale. Essi furono condotti in una società celeste, dove lo spirituale della fede degli angeli entrò negli interiori della loro fede. Dal quale esperimento essi percepirono che avevano solamente il naturale o l’esterno della fede, e non lo spirituale o l’interno di essa. Lande essi stessi confessarono che non avevano la fede, e che si erano persuasi nel mondo che credere o avere la fede consistesse nel pensare che una cosa è così, per una ragione qualunque. Ma fu percepita altrimenti la fede di coloro che non erano stati nel male.
50. Da queste considerazioni si può vedere che cosa è la fede spirituale, e che cosa è la fede che non è spirituale. Si può vedere che la fede spirituale è in coloro che non commettono peccati; perciocché coloro che non commettono peccati, fanno il bene, non da sé stessi, ma dal Signore, - come si può vedere più sopra, n. 18 a 31 – e per la fede divengono spirituali. La fede in essi è la verità. Il Signore lo insegna in Giovanni: «Questo è il giudizio, che la luce è venuta nel mondo, e gli uomini hanno amato le tenebre più che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque fa cose malvagie odia la luce, e non viene alla luce per timore che non siano biasimate le opere sue. Ma colui che pratica la verità, viene alla luce, affinché le sue opere siano manifeste, perciocché sono fatte in Dio».– [Gv. 3,19-21]
51. Le cose fin qui dette sono confermate dai seguenti passi nella Parola: “L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; ma l’uomo malvagio dal malvagio tesoro del suo cuore trae fuori il male; perocchè la bocca parla dall’abbondanza del cuore» [Luca 6,45; Matt. 12,35]. – Per il cuore, nella Parola, è intesa la volontà dell’uomo; e siccome l’uomo pensa e parla dalla sua volontà, perciò è detto che la bocca parla dall’abbondanza del cuore. «Non ciò che entra nella bocca contamina l’uomo, ma quel che esce dalla bocca, quello lo contamina. Le cose che escono dalla bocca procedono dal cuore, ed esse contaminano l’uomo» [Matt. 15,11/18]. – Qui parimenti per il cuore è intesa la volontà. Gesù disse della donna che gli unse i piedi con dell’unguento: «I suoi peccati le sono rimessi, perciocché essa ha molto amato». E poi disse alla donne medesima: «La tua fede ti ha salvato». [Luca 7,46 / 50]. – Dai quali passi è evidente che la fede salva, quando i peccati sono rimessi, cioè quando non sono più. Che coloro che non sono nel proprio della loro volontà, né quindi nel proprio del loro intelletto, vale a dire, che non sono nel male e quindi nel falso, siano chiamati figliuoli di Dio e nati da Dio, e che essi siano quelli che credono nel Signore, il Signore medesimo lo insegna in Giovanni, 1,12-13 (vedasi più sopra n. 17 f. la spiegazione di questo passo).
52. Dal fin qui detto risulta questa conclusione, che nell’uomo non c’è un grano di vero più di quel che c’è di bene; così non un grano di fede più di quel che c’è di vita. C’è nell’intelletto il pensiero che una cosa è così, ma non c’è il riconoscimento che è la fede, eccetto che non vi sia il consentimento nella volontà. Così la fede e la vita procedono con un passo uguale. Da queste considerazioni ora è evidente che per quanto alcuno fugge i mali come peccati, tanto egli ha la fede ed è spirituale.
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CHE IL DECALOGO INSEGNI QUALI MALI SONO PECCATI
53. Qual è la nazione in tutto l’orbe terraqueo, che non sappia che è male il rubare, il commettere adulterio, l’uccidere e il dire falsa testimonianza? Se le nazioni ignorassero ciò, e se esse non cercassero con delle leggi di prevenire siffatti mali, la sarebbe finita per esse; perciocché qualunque società, repubblica o regno senza quelle leggi andrebbe in distruzione. Chi dunque può pensare che la nazione Israelita fosse fra tutte le altre nazioni tanto stupida da ignorare che quelle azioni fossero mali. Lande si può essere meravigliati che quelle leggi, universalmente conosciute sulla terra, siano state promulgate da Jehovah stesso dall’alto del monte Sinai con un apparato tanto miracoloso. Ma ascolta: Esse furono promulgate con tal miracoloso apparato, affinché si sapesse che non erano solamente leggi civili e morali, ma ancora leggi spirituali; e che il trasgredirle era non solamente agire male verso il concittadino e la società, ma era altresì peccare contro Dio. Perciò quelle leggi, per la promulgazione fattane da Jehovah dall’alto del monte Sinai, divennero leggi della religione; perocchè è evidente che tutto quel che Jehovah Dio comanda, lo comanda affinché sia un precetto di religione, e affinché sia osservato per amore di Lui e per la salvezza dell’uomo.
54. Siccome quelle Leggi furono le primizie della Parola, e quindi le primizie della Chiesa, che doveva essere instaurata dal Signore presso la nazione Israelita; e siccome esse erano in un breve sommario, il complesso di tutte le cose della religione, per le quali ha luogo la congiunzione del Signore con l’uomo, e dell’uomo col Signore; perciò esse erano così sante,che non c’era nulla di più santo.
55. Che fossero santissime, emerge ad evidenza dai seguenti fatti: Che Jehovah stesso, vale a dire il Signore, discese sul monte Sinai in fuoco, con degli angeli, e di là la promulgò a viva vice; e che il popolo erasi preparato durante tre giorni per vedere ed udire. – Che intorno al monte erano stati posti dei termini, per timore che qualcuno non si accostasse e non morisse. – Che né i sacerdoti, né gli anziani si avvicinavano, ma il solo Mosè. – Che quelle leggi furono scolpite dal dito di Dio sopra due tavole di pietra. – Che il volto di Mosè raggiava, quando egli portò giù dal monte quelle tavole la seconda volta. – Che poi le tavole furono riposte nell’Arca, e questa collocata nella parte più interna del tabernacolo, e sopra essa era il propiziatorio dei cherubini d’oro. – Che quello era il luogo più santo nella loro Chiesa, e fu chiamato “il Santo dei Santi”. – Che fuori del velo che copriva quel luogo santissimo, erano stati collocati degli oggetti che rappresentavano le cose sante del Cielo e della Chiesa, cioè il candeliere d’oro con sette lampade; l’altare d’oro dei profumi; la tavola coperta d’oro, dove erano i pani delle facce con intorno le cortine di lino, di porpora e di scarlatto. La santità dell’intero tabernacolo proveniva unicamente dalla Legge, che era nell’Arca. – A cagione della santità del tabernacolo proveniente dalla Legge nell’Arca, tutto il popolo Israelita, giusta il comandamento, accampava intorno di esso in ordine, secondo le tribù, e marciava in ordine dietro di esso, e allora una nuvola posava sopra di esso durante il giorno, e una colonna di fuoco durante la notte. – A cagione della santità di quella Legge e della presenza del Signore in essa, il Signore parlava con Mosè sul propiziatorio, fra i cherubini, e l’Arca era chiamata “Jehovah-là.” - Inoltre non era permesso ad Aronne di passare nella parte interna oltre il velo se non con sacrifizi e profumi. – Poiché quella Legge era la stessa santità della Chiesa, perciò l’Arca fu introdotta da Davide in Sion, e poi fu deposta nel mezzo del tempio di Gerusalemme, e ne costituiva il Santuario. – A cagione della presenza del Signore in quella Legge e intorno di essa, furono ancora operati dei miracoli per mezzo dell’Arca, in cui quella Legge era contenuta; come allorché le acque del Giordano furono divise, e come allorchè le mura di Gerico caddero, mentre l’Arca era portata in giro intorno di esse; come allorché Dagon, il dio dei Filistei, cadde dinanzi ad essa, e poi fu trovato giacente sulla soglia del tempio, con la testa staccata dal corpo; e come allorché, per cagione di essa, molte migliaia di Besemiti furono colpiti; per non parlare di altri prodigi. Tutte queste cose provenivano dalla sola presenza del Signore nelle sue Dieci Parole, che sono i precetti del Decalogo.
56. Tanta potenza e tanta santità erano in quella Legge, anche perché essa era il complesso di tutte le cose della religione: Infatti essa consisteva in due tavole, di cui l’una contiene tutte le cose che sono dalla parte di Dio, e l’altra, in complesso, tutte le cose che sono dalla parte dell’uomo. Perciò i precetti di quella Legge sono chiamai le Dieci Parole. Sono chiamate così, perché il numero dieci significa tutto. Ma come quella Legge sia il complesso di tutte le cose della religione, si vedrà nel seguente articolo.
57. Siccome per mezzo di quella Legge si effettua la congiunzione del Signore coll’uomo, e dell’uomo col Signore, perciò essere è chiamata PATTO e TESTIMONIANZA; - patto, perché congiunge, e testimonianza, perché attesta; essendo che il patto significhi la congiunzione, e la testimonianza l’attestazione di essa. Ecco perché vi erano due tavole, l’una per il Signore, e l’altra per l’uomo. La congiunzione viene effettuata dal Signore, ma solamente quando l’uomo osserva le cose che sono scritte nella sua tavola; perocchè il Signore è continuamente presente, ed opera, e vuole entrare; ma l’uomo, in virtù della libertà che egli ha dal Signore, deve aprire; infatti il Signore dice: «Ecco io sto alla porta e picchio; se alcuno ode la mia voce e apre la porta, Io entrerò da lui, e cenerò con lui, ed egli meco». – [Apoc. 3,20]
58. Nell’altra tavola, che è per l’uomo, non è detto che egli debba fare questo o quel bene; ma è detto che egli non deve fare questo o quel male; per esempio: Tu non ucciderai; non commetterai adulterio; non ruberai; non renderai falsa testimonianza; non concupirai. La ragione è questa, che l’uomo non può da se stesso fare alcun bene; ma quando egli non fa i mali, allora fa il bene, non da se stesso, ma dal Signore. Che l’uomo possa fuggire i mali come da se stesso in virtù della potenza del Signore, se l’implora, si vedrà in quel che segue.
59. I fatti riferiti più sopra, n. 55, concernenti la promulgazione, la santità e la potenza di questa Legge si trovano nella Parola, nei seguenti luoghi.
- Che Jehovah discese sul monte Sinai nel fuoco, e che allora il monte fumava e tremava, e che vi erano tuoni, folgori, una densa nuvola e un suono di tromba. – [Esod. 19,16-18; Deut. 4,11; 5,19-23]
- Che il popolo, prima della discesa di Jehovah, si era per tre giorni preparato e santificato. – [Esod. 19,10/11/15]
- Che intorno al mondo furono posti dei termini, affinché nessuno accedesse e si avvicinasse alle falde di esso, per timore che non morisse; nemmeno i sacerdoti, eccettuato il solo Mosè. – [Esod. 19,12/13/20-23; 24,1-2].
- Che la Legge fu promulgata dall’alto del monte Sinai. – [Esodo 20,2-17: Deut. 5,6-21]
- Che quella Legge fu scolpita sopra due tavole di pietra col dito di Dio. – [Esodo 31,18; 32,15-16; Deut. 9,10].
- Che la faccia di Mosè raggiava, quando egli portò giù dal monte quelle tavole la seconda volta. – [Esodo 34,16 / 40,20; Deut. 10,5; I. Re 8,9].
- Che sull’Arca era il propiziatorio, e sopra questo erano posti dei cherubini d’oro. – [Esodo 25,17 a 21].
- Che l’Arca, col propiziatorio e i cherubini, costituiva l’intimo del Tabernacolo; e che il candeliere d’oro, l’altare di oro del profumo e la tavola coperta d’oro, sopra cui erano i pani delle facce, formavano l’eterno del Tabernacolo; e che le dieci cortine di bisso, di porpora e di scarlatto ne formavano l’esteriore. – [Esodo 25,1 alla fine; 26,1 alla fine; 40,17 a 28].
- Che il luogo dove era l’Arca fu chiamato “il Santo dei Santi”. – [Esodo 26,33].
- Che tutto il popolo Israelita accampava intorno al Tabernacolo, in ordine secondo le tribù, e viaggiava in ordine dietro di esso. – [Num. 2,1 alla fine].
- Che allora vi era sul Tabernacolo una nuvola durante il giorno, e una colonna di fuoco durante la notte. – [Esodo 40,38; Num. 9,15-16 alla fine; 14,14; Deut. 1,33]
- Che il Signore parlava con Mosè al di sopra dell’Arca, d’infra i cherubini. – [Esodo 25,22; Num. 7,89]
- Che l’Arca, a cagione della Legge riposa in essa, era chiamata “Jehovah-là”; imperocché quando l’Arca partiva, Mosè diceva: “Levati su, Jehovah!” E quando si posava: “Ritorna, Jehohah!” – [Num. 10,35-36; II. Sam. 6,2; Sal. 132,7-8]
- Che a cagione della santità di quella Legge non era permesso ad Aronne d’entrare al di dentro del velo, se non con sacrifici e profumi. – [Levit. 16,2-14 e seg].
- Che l’Arca fu introdotta in Sion da Davide con sacrifici e con giubilo. – [II. Sam, 6,1-19. – Che allora Uzzia morì per averla toccata. – Ibid. ves. 6,7]
- Che l’Arca fu collocata nel mezzo del tempio di Gerusalemme, di cui essa costituiva il Santuario, - [I. Re 6,19 e seg.; 7,3-9].
- Che per la presenza e la potenza del Signore nella Legge che era nell’Arca, le acque del Giordano furono divise, e finché l’Arca rimase nel mezzo del fiume, il popolo lo passò nell’asciutto. – [Giosuè 3,1-17; 4,5-20]
- Che le mura di Gerico caddero, mentre l’Arca era portata in giro intorno ad esse. – [Giosuè 6,1-20]
- Che Daton, il dio dei Filistei, cadde in terra davanti all’Arca, e fu poi trovato giacente sulla soglia del tempio colla testa staccata dal corpo. – [I. Sam. 6,19]
60. Che le tavole di pietra, sulle quali la Legge era scolpita, furono chiamate “Tavole del Patto;” e che l’Arca, a cagione di quelle tavole, fu chiamata “l’Arca del Patto”, e la legge stessa, “il Patto”.- Num. 10,33; Deut. 4,13/23; 5,2-3; 9,9; Giosuè 3,14; I. Re 8,21; Apoc. 11,19, e in molti altri luoghi. – La ragione per cui la Legge fu chiamata “il Patto”, si è perché patto significa congiunzione; perciò è detto, trattandosi del Signore, che “egli sarà per Patto del popolo.” – [Isaia 42,6; 49,8]; - ed è chiamato “l’angelo del Patto.” – [Malach. 3,1]; - e il suo sangue è detto “sangue del Patto”. – [Matt. 26,28; Zacc. 9,11; Esodo 24,4-10] – Per la medesima ragione la Parola è chiamata “l’Antico Patto” e “il Nuovo Patto”. - I patti si fanno anche per cagione d’amore, di amicizia, di consociazione, per conseguenza di congiunzione.
61. Che i precetti di quella Legge siano chiamati “le Dieci Parole”, si veda nell’Esodo 34,28; Deut. 4,13 / 10,4. Sono chiamati così perché il numero dieci significa tutto, e le parole significano le verità; vi erano infatti più di dieci parole. Poiché il numero dieci significa tutto, perciò il Tabernacolo aveva dieci cortine – [Esodo 26,1]. – Perciò ancora il Signore disse che un uomo, in sul punto di andare a prendere possesso di un regno, chiamò a sé dieci servitori, e dette loro dieci mine da negoziare, - [Luca 19,13]. – E perciò ancora il Signore assomigliò il Regno dei Cieli a dieci vergini – [Matt. 25,1]. Per la medesima ragione è detto nella descrizione del dragone, che egli ha dieci corna, e sulle corna dieci diademi, - [Apoc. 12,3]; - simile alla bestia che saliva dal mare, - [Apoc. 13,3/7; e non che alla bestia in Daniele, - [Dn. 7,7/20/24]. - La medesima significazione ha la parola dieci nel Levitico 26,26; in Zacc. 8,23; ed altrove. Da qui l’origine delle decime, per le quali è significato una parte di tutte le cose.
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CHE GLI OMICIDII, GLI ALDUTERI, I FURTI, LE FALSE TESTIMONIANZE D’OGNI GENERE, CON LA CONCUPISCENZA ISTIGANTE AD ESSI, SIANO I MALI CHE SI DEBBONO FUGGIRE COME PECCATI.
62. E’ noto che la Legge del Sinai fu scritti sopra due tavole, e che la prima tavola contiene le cose che si riferiscono a Dio, e la seconda quelle che si riferiscono all’uomo. Che la prima tavola contenga tutte le cose che si riferiscono a Dio, e la seconda tutte quelle che si riferiscono all’uomo, nella lettera non apparisce; ciò nondimeno, tutte queste cose sono in quelle tavole, e perciò esse sono chiamate le Dieci Parole, per le quali sono significati tutti i veri in complesso, cine si può vedere più sopra, n. 61. Ma come vi sono tutte, non è possibile esporre in poche parole; lo si può tuttavia comprendere dalle spiegazioni date nella DOTTRINA SULLA SACRA SCRITTURA, N. 67. Egli è perciò che si è detto “gli omicidii, i furti e le false testimonianze d’ogni genere”.
63. E’ prevalsa una persuasione religiosa che nessuno possa compiere la Legge. – E la legge è di non uccidere, non commettere adulterio, di non rubare e di non attestare il falso. – E’ ammesso che ogni uomo civile e morale può adempiere questi precetti della Legge, mediante una vita civile e morale; ma che egli possa adempierli da un principio di vita spirituale, codesta persuasione religiosa lo nega. Donde segue che egli deve astenersi dal fare quelle male azioni solamente per evitare le pene e i danni nel mondo, e non per evitare le pene e i danni dopo che è trapassato da questo mondo. Ne risulta che l’uomo, in cui una tal persuasione è prevalsa, pensa che quelle male azioni sono lecite dinanzi a Dio, ma illecite dinanzi al mondo. In ragione di questo pensiero, proveniente dalla sua persuasione religiosa, egli è nella concupiscenza per tutti quei mali, e solamente si astiene dal commetterli per rispetto al mondo. Perciò un tal uomo dopo la morte, sebbene non abbia commesso né omicidii, né adulterii, né furti, né false testimonianze, pur tuttavia è nella concupiscenza di commetterli; ed egli li commette anche, quando l’esterno che ebbe nel mondo, gli è stato tolto; stanteché tutta la concupiscenza rimane nell’uomo dopo la morte. Quindi tali uomini fanno uno con l’inferno, e non possono altrimenti che avere la sorte di coloro che sono nell’inferno. Ma un ‘altra sorte è riservata a coloro che non vogliono né uccidere, né commettere adulterio, né rubare, né rendere falsa testimonianza, per la ragione che fare tali cose è contro Dio. Essi, dopo alcuni combattimenti contro quei mali, non li vogliono più, così non concupiscono di farli, dicendo nel loro cuore che sono peccati in sé stessi internali e diabolici. Essi, dopo la loro morte, quando l’esterno che ebbero per il mondo è rimosso, fanno uno col Cielo; e poiché sono nel Signore, essi vengono anche nel Cielo.
64. E’ una massima comune in ogni religione che l’uomo deve esaminare se stesso, fare penitenza, ed astenersi dai peccati; e che se egli non lo fa, è nello stato di dannazione. Che questa massima sia comune ad ogni religione, si può vedere più sopra, n. 4 a 8. Egli è inoltre una pratica comune in tutto il mondo cristiano d’insegnare il Decalogo, e d’iniziare per mezzo di esso i fanciulli nella religione cristiana; infatti esso è nelle mani di tutti i fanciulli. Gli stessi parenti e maestri dicono loro che fare i mali proibiti nel Decalogo si è peccare contro Dio; ed anche quando parlano così aia fanciulli, essi medesimi non intendono altrimenti. Chi può non meravigliarsi che poi quei medesimi genitori e maestri, ed anche gli stessi fanciulli, quando sono divenuti adulti, pensino che essi non sono sotto quella legge, e che non possono fare le cose prescritte in quella legge? La sola causa che possa indurli a pensare così, si è che essi amano i mali proibiti, e quindi i falsi che sono favorevoli a quei mali. Sono dunque costoro che non considerano i precetti del Decalogo come precetti di religione. Che queste medesime persone vivano senza religione, si potrà vedere nella DOTTRINA SULLA FEDE.
65. Presso tutte le nazioni della terra che hanno una religione, vi sono dei precetti simili a quelli del Decalogo; e tutti coloro che vivono conforme a quei precetti per un principio religioso, sono conforme a quei precetti per un principio religioso, sono salvati; ma tutti coloro che vivono conforme ad essi, non per un principio religioso, sono condannati. Coloro che vivono conforme ad essi per un principio religioso, una volta istruiti dagli angeli, dopo la morte, ricevono i veri e riconoscono il Signore. La ragione di ciò si è che essi fuggono i mali come peccati, e quindi sono nel bene; e il bene ama il vero, e dal desiderio dell’amore lo riceve, come è stato dimostrato più sopra, n. 32 a41. Questo è significato per le parole del Signore ai Giudei: «Il Regno di Dio vi sarà tolto, e sarà dato a una nazione che ne produrrà i frutti». – [Matt. 21,43]
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Ed ancora per queste parole:
«Quando sarà venuto il Padrone della vigna, egli farà perire i malvagi, e allogherà la vigna ad altri coloni, che gliene renderanno i frutti alla loro stagione». – [Matt. 21,40-41].
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E inoltre, per queste:
«Io vi dico che molti verranno dall’Oriente e dall’Occidente, e dal Settentrione e dal Mezzodì, e sederanno a tavola nel Regno di Dio; ma i figliuoli del Regno saranno gettati nelle tenebre di fuori». – [Matt. 8,11-12; Luca XIII. 29]
66. Leggesi in Marco che un uomo ricco venne a Gesù, e gli domandò che cosa dovesse fare per ereditare la vita eterna. Gesù gli disse: “Tu sai i comandamenti: Non commettere adulterio; non uccidere; non rubare; non dire falsa testimonianza; non defraudare; onora tuo padre e tua madre”. Colui rispose: “Ho osservato tutte queste cose sin dalla mia giovinezza”. Gesù lo riguardò e l’amò. Tuttavia gli disse: “Una cosa ti manca. Va’ vendi tutto quel che hai, e dallo ai poveri, e tu avrai un tesoro nei Cieli; poi vieni, prendi su la croce e seguimi”. – [Mc. 10,17-22]. – E’ detto che Gesù l’amasse; e ciò perché egli rispose di avere osservato i comandamenti sin dalla sua giovinezza. Ma siccome gli rimanevano tre cose da fare, le quali erano che egli non aveva staccato il suo cuore dalle ricchezze; non aveva lottato contro le concupiscenze; e non aveva ancora riconosciuto il Signore come Dio; perciò il Signore gli disse: (1.°) che doveva prendere la croce, - e che significa che doveva lottare contro le concupiscenze; e (3°) che doveva seguirlo, - il che significa che doveva riconoscere il Signore come Dio. (In questa occasione, come in tutte le altre, il Signore parlò per corrispondenza. Vedasi la DOTTRINA SULLA SACRA SCRITTURA, N. 17). Infatti nessuno può fuggire i mali come peccati, se non riconosce il Signore e non si rivolge a Lui, e se non lotta contro i mali e non rimuove così le concupiscenze. Ma sopra questo soggetto si dirà di più nell’articolo sui combattimenti contro i mali.
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CHE PER QUANTO ALCUNO FUGGE COME PECCATI GLI OMICIDII DI OGNI GENERE,
TANTO EGLI ABBIA AMORE VERSO IL PROSSIMO
67. Per gli omicidii d’ogni genere sono intese anche le inimicizie, gli odii, le vendette d’ogni genere, che spirano la morte; conciossiachè l’omicidio sia nascosto in quelle affezioni, come il fuoco nel legno sotto la cenere. Il fuoco infernale non è altro. Da qui quelle espressioni: essere acceso d’odio, e ardere di vendetta. Sono questi gli omicidii nel senso naturale. Ma nel senso spirituale per gli omicidii sono intesi tutti i mezzi di uccidere e perdere le anime degli uomini, i quali mezzi sono varii e molteplici. Nel senso supremo poi per gli omicidii è inteso avere in odio il Signore. Questi tre generi d’omicidii fanno uno e sono coerenti; perciocché chi vuole uccidere il corpo d’un uomo nel mondo, vuole uccidere la sua anima dopo la morte; ed egli vuole anche la distruzione del Sginore, avvegnaché egli sia adirato contro di Lui e desideri farne perdere il nome.
68. Questi generi d’omicidii sono internamente nascosti nell’uomo dalla nascita; ma egli impara sin dall’infanzia a velarli con la civiltà e con la moralità, che egli ha bisogno di usare con gli uomini nel mondo; e per quanto ama l’onore o il lucro, egli vigila a che essi non appariscano. Questa civiltà e questa moralità formano l’esterno dell’uomo, mentre quegli omicidii costituiscono il suo interno: tale è l’uomo in se stesso. Ora, siccome quando muore egli depone l’esterno col corpo, e ritiene l’interno, è evidente qual diavolo egli sarebbe se non fosse riformato.
69. I sopra menzionati generi di omicidii, essendo nascosti internamente nell’uomo, come è stato detto, dalla sua nascita, ed in un con essi i furti d’ogni genere, e le false testimonianze d’ogni genere, con le concupiscenze per siffatti mali – delle quali concupiscenze si parlerà in seguito – egli è evidente che se il Signore non avesse provveduto ai mezzi di riformazione, l’uomo non avrebbe potuto evitare la sua eterna perdizione. I mezzi di riformazione, che il Signore ha provveduto, sono questi: Che l’uomo nasca in una completa ignoranza; che durante la sua infanzia egli sia tenuto in uno stato d’innocenza esterna; poco dopo in uno stato di carità esterna, e quindi in uno stato di amicizia esterna. Ma a grado a grado che viene nell’esercizio del pensiero in virtù del suo intelletto, egli sia tenuto in una certa libertà di agire secondo la ragione. Questo è lo stato descritto più sopra, n. 19, e che è necessario qui riassumere, per cagione di quel che seguirà poi.
“Finché l’uomo vive nel mondo, egli è nel mezzo fra l’inferno e il Cielo: - di sotto è l’inferno, e di sopra il Cielo. Egli è tenuto nella libertà di volgersi o verso l’inferno o verso il Cielo. Se egli si volge verso l’inferno, si rivolge dal Cielo; ma se si volge verso il Cielo, si rivolge dall’inferno. O, quel che torna il medesimo, finché l’uomo vive nel mondo, egli è nel mezzo fra il Signore e il diavolo, ed è tenuto nella libertà di volgersi o verso l’uno o verso l’altro. Se egli si volge verso il diavolo, si rivolge dal Signore; ma se si volge verso il Signore, si rivolge dal diavolo. O, quel che è ancora il medesimo, finché l’uomo vive nel mondo, egli è nel mezzo fra il male e il bene, ed è tenuto nella libertà di volgersi o verso l’uno o verso l’altro. Se si volge verso il male, egli si rivolge dal bene; ma se si volge verso il bene, si rivolge dal male”. Questo è stato detto più sopra, n. 19. Si vedano anche i numeri susseguenti, 20, 21 e 22.
70. Ora, poiché il male e il bene sono due opposti, precisamente come l’inferno e il Cielo, o come il diavolo e il Signore, ne segue che se l’uomo fugge il male come peccato, egli viene nel bene opposto al male. Il bene opposto al male che è inteso per l’omicidio, è il bene dell’amore verso il prossimo.
71. Siccome questo bene e quel male sono opposti, ne risulta che l’uno è rimosso per l’altro. Due opposti non possono essere insieme, come non possono essere insieme il Cielo e l’inferno. Se essi fossero insieme, ne risulterebbe quello stato tiepido, di cui è scritto nell’Apocalisse: «Conosco che tu non sei né freddo, né caldo. Oh fossi tu pur freddo, o caldo! Ma poiché tu sei tiepido, e non sei né freddo né caldo, io ti vomiterò fuori dalla mia bocca». – [Ap. 3,15-16].
72. Quando l’uomo non è più nel male dell’omicidio, ma nel bene dell’amore verso il prossimo, allora tutto quel che egli fa, è il bene di quell’amore, per conseguenza è una buona opera. Un sacerdote che è in quel bene, tutte le volte che insegna e dirige, fa una buona opera, perché egli agisce dall’amore di salvare le anime. Un magistrato che è in quel bene, tutte le volte che dispone e giudica, fa una buona opera, perché egli agisce dall’amore di essere utile alla patria, alla società, ai suoi concittadini. Similmente un negoziante, se egli è in quel bene, ogni operazione del suo commercio è una buona opera; havvi in essa l’amore del prossimo, e il prossimo è la patria, è la società, sono i suoi concittadini, ed anche i suoi domestici, al cui benessere ei provvede come al suo proprio. Parimenti un operaio che è in quel bene; animato da esso, egli lavora fedelmente per gli altri come per se stesso, temendo il danno del prossimo come il suo proprio. Se le loro azioni sono delle buone opere, si è perché tanto alcuno fugge il male, tanto egli fa il bene, secondo la legge generale dichiarata più sopra, n. 21; e chi fugge il male come peccato, quegli fa il bene, non da sé ma dal Signore, n. 18 a 31. – Il contrario ha luogo in chi non considera come peccati i diversi generi di omicidii, cioè le inimicizie, gli odii, le vendette, e cose simili. Sia egli sacerdote, magistrato, negoziante o operaio, qualunque cosa faccia non è una buona opera, perché ogni sua opera partecipa del male che è interiormente in lui; perciocché è l’interno che la produce; l’esterno può essere buono, ma per gli altri, non per lui.
73. Il Signore, nella Parola, insegna il bene dell’amore in molti luoghi. Egli l’insegna per la riconciliazione col prossimo in Matt.:
«Se tu presenti la tua offerta sopra l’altare, e quivi ti ricordi che il tuo fratello ha qualche cosa contro di te; lascia quivi la tua offerta dinanzi all’altare, e va e riconciliati prima col tuo fratello; e allora vieni, e presenta la tua offerta. Accordati col tuo avversario, mentre sei per via con lui, che talora l’avversario non ti dia in mano del giudice, e il giudice ti dia in mano del sergente e sii cacciato in prigione. Ti dico in verità: non uscirai di là finché tu non abbia pagato l’ultimo quattrino». – «Mt. 5,23-26]
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Egli è evidente che riconciliarsi col fratello si è fuggire le inimicizie, gli odi, le vendette; questo si è fuggire i mali come peccati. Il Signore insegna ancora in Matteo:
«Tutte le cose che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele altresì voi a loro: questa è la Legge ed i Profeti».– [Mt. 7,12]
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Così è insegnato che non si deve fare il male; e questo medesimo insegnamento è ripetuto molte volte altrove. Il Signore inoltre insegna che uccidere si è anche adirarsi temerariamente contro un fratello o contro il prossimo, ed averlo per nemico. – [Matt. 5,21-22]
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CHE PER QUANTO ALCUNO FUGGE COME PECCATI GLI ADULTERI D’OGNI GENERE,
TANTO EGLI AMI LA CASTITA’
74. Per commettere adulterio, nel sesto precetto del Decalogo, è inteso, nel senso naturale, non solo commettere fornicazioni, ma anche fare degli atti osceni, dire delle parole lascive, e pensare delle cose turpi. Ma nel senso spirituale per commettere adulterio è inteso adulterare i beni della Parola e falsificarne i veri. E nel senso supremo, per commettere adulterio è inteso negare il Divino del Signore e profanare la Parola. Sono questi gli adulterii di ogni genere. L’uomo naturale in virtù del lume razionale può comprendere che commettere adulterio significa anche fare degli atti osceni, dire delle parole lascive, e pensare delle cose turpi; ma egli non sa che commettere adulterio significhi anche adulterare i beni della Parola e falsificarne i veri; e sa ancora meno che ciò significhi negare il divino del Signore e profanare la Parola. Quindi egli neppure sa che l’adulterio sia un sì gran male che può essere chiamato totalmente diabolico; perciocché colui che è nell’adulterio naturale, è altresì nell’adulterio spirituale, e viceversa. Che sia così, sarà dimostrato in un’opera speciale SUL MATRIMONIO. Ma sono nel medesimo tempo negli adulterii d’ogni genere coloro i quali, nella fede e nella vita, non considerano gli adulteri come peccati.
75. Se tanto alcuno fugge l’adulterio, tanto egli ami il matrimonio; o, quel che torna il medesimo, se tanto alcuno fugge la lascivia dell’adulterio, tanto egli ami la castità del matrimonio, questo è perché la lascivia dell’adulterio e la castità del matrimonio sono due opposti; perciò tanto un uomo non è nell’uno, altrettanto egli è nell’altro. E’ interamente come è stato detto più sopra, n. 70.
76. Nessuno può sapere qual è la castità del matrimonio, all’infuori di chi fugge la lascivia dell’adulterio come peccato. L’uomo può conoscere quello [stato o quell’affezione] in cui egli è, ma egli non può conoscere [quello stato o quell’affezione] in cui non è. Se di quello [stato di affezione] in cui non è, egli conosce qualche cosa per descrizione o per riflessione, egli tuttavia non la conosce altrimenti che nell’oscuro, e vi è congiunto il dubbio. Egli non la vede nella luce e senza il dubbio, se non quando vi è egli medesimo. Questo pertanto, è sapere; ma quello è sapere e non è sapere. La verità è che la lascivia dell’adulterio e la castità del matrimonio sono fra loro assolutamente l’inferno ed il Cielo; e che la lascivia dell’adulterio fa l’inferno nell’uomo, e la castità del matrimonio fa il cielo in lui. Ma la castità del matrimonio non esiste se non in colui che fugge la lascivia dell’adulterio come peccato. (vedasi in seguito il n. 111).
77. Da queste considerazioni si può senza ambiguità concludere e vedere se un uomo è cristiano o se non lo è; anzi, se egli ha qualche religione o se non ne ha punto. Colui che nella fede e nella vita non considera gli adulteri come peccati, non è cristiano, né ha religione. Ma, viceversa, chi fugge gli adulteri come peccati, e specialmente chi per questa ragione li ha in avversione, e maggiormente ancora chi per la medesima ragione li aborre, quegli ha religione; e se è nella chiesa cristiana, desso è un cristiano. Ma sopra questo soggetto molto più si dirà nel tratto sul MATRIMONIO. Intanto vedasi quel che n’è stato detto nell’opera DEL CIELO E DELL’INFERNO, n. 366 a 386.
“Voi avete udito che fu detto agli antichi: Non commettere adulterio. Ma io vi dico che chiunque riguarda una donna per desiderarla, ha già commesso ad ulteriore con lei nel suo cuore.” – [5,27-28].
79. Che nel senso spirituale per commettere adulterio sia adulterare il bene della Parola, è falsificarne il vero, è evidente da questi passi:
- «Babilonia a tute le nazioni ha fatto bere del vino della sua fornicazione». – [Apoc. 14,8]
- «L’angelo disse: Io ti mostrerò il giudizio della gran meretrice, che siede sopra molte acque, con la quale hanno fornicato i re della terra». – [Apoc. 17-1-2]
- «Tutte le nazioni hanno bevuto del vino del furore della sua fornicazione, e i re della terra hanno fornicato con lei». – [Apoc. 18,3]
- «Dio ha giudicato la gran meretrice, che ha corrotto la terra con la sua fornicazione». – [Apoc. 19,2]
La fornicazione si dice di Babilonia, perché per Babilonia sono intesi coloro che si arrogano il divino potere del Signore, e profanano la Parola, adulterandola e falsificandola; perciò Babilonia è chiamata anche: “la madre delle fornicazioni e delle abominazioni della terra” – [Apoc. 17,5]. – La medesima cosa è significata per la fornicazione nei Profeti; per esempio in Geremia:
«Ho veduto nei profeti di Gerusalemme una ostinazione orrenda nel commettere adulterio, e nel procedere con mendacio». – [Gr. 23,14]
«Due donne, figliuole d’una medesima madre, fornicarono in Egitto; esse fornicarono nella loro adolescenza. L’una ha fornicato sotto di me; ed essa ha onorato i suoi amanti, gli Assiri suoi vicini; essa ha messo le sue fornicazioni sopra di essi; tuttavia non ha lasciato le sue fornicazioni in Egitto. L’altra ha corrotto il suo amore più che la prima, e le sue fornicazioni più che le fornicazioni di sua sorella. Essa ha aggiunto alle sue fornicazioni che essa ha amato i Caldei; ad essa sono venuti i figliuoli di Babele, al letto dei suoi amori, e l’hanno contaminata con la loro fornicazione». – [Ezechiele 13,2-17]
*
Queste parole si riferiscono alla chiesa israelita e alla chiesa giudaica, che sono qui chiamate figliuole d’una medesima madre. Per le loro fornicazioni sono intese le adulterazioni e le falsificazioni della Parola; e siccome nella Parola per l’Egitto è significata la scienza; per l’Assiria il ragionamento; per la Caldea la profanazione del vero, e per Babele la profanazione del bene; perciò è detto che esse hanno fornicato con gli abitanti di queste contrade. La medesima cosa è detta in Ezechiele di Gerusalemme, per la quale è significata la chiesa quanto alla dottrina:
- «Gerusalemme! tu ti sei confidata nella tua bellezza, ed hai puttaneggiato per cagion della tua fama, a tale che hai sparso le tue fornicazioni sopra ogni passante. Tu hai fornicato coi figlioli di Egitto, tuoi vicini, molto carnuti, ed hai moltiplicato la tua fornicazione. Hai fornicato coi figliuoli di Assur, quando tu non eri ancor sazia di quelli coi quali avevi puttaneggiato. Tu hai m moltiplicato le tue fornicazioni persino nella terra della mercanzia, la Caldea. Donna adultera, che invece di tuo marito ricevi gli stranieri. Tutti danno una ricompensa alla loro prostituta; tu, invece, hai dato delle ricompense a tutti i tuoi amanti, affinché venissero a te d’ogni intorno per le tue fornicazioni. Perciò, o meretrice, ascolta la parola di Jehovah». – [Ezechiele 13,15/26/28-29/32-33/35]
*
Che per Gerusalemme sia significata la chiesa, si vede nella DOTTRINA SUL SIGNORE, N. 62, 63. Il medesimo significato hanno le fornicazioni menzionate in Isaia, 33,17-18 / 57,3; in Geremia, 3,2/6/8-9; 5,1/7; 13,27; 29,23; in Michea, 1,7; in Nahum, 3,3-4; in Osea 4,10; nel Levit. 20,5; nei Num. 14,33; 15,39 e in altri luoghi. Anche per questa ragione la nazione giudaica fu chiamata dal Signore “Generazione adultera.” – [Matt. 12,39; 16,4; Marco 8,38]
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CHE PER QUANTO ALCUNO FUGGE COME PECCATI I FURTI D’OGNI GENERE,
TANTO EGLI AMI LA SINCERITA’
80. Per rubare nel senso naturale è inteso, non solamente rubare e commettere latrocini, ma anche frodare e, sotto un pretesto qualunque, togliere altrui i suoi beni. Ma per rubare, nel senso spirituale, è inteso privare un altro dei veri della sua fede, e dei beni della sua carità. E nel senso supremo per rubare è inteso togliere al Signore le cose che gli appartengono, ed attribuirsele, e così arrogarsi la giustizia e il merito. Sono questi i furti d’ogni genere; ed essi altresì fanno uno, come gli adulteri d’ogni genere, e come gli omicidi d’ogni genere, di cui si è parlato più sopra. Essi fanno uno, perché una specie è nell’altra.
81. Il male del furto entra nell’uomo più profondamente che qualunque altro male, perché esso è congiunto all’astuzia ed alla furberia; e l’astuzia e la furberia s’insinuano sin nella mente spirituale dell’uomo, dove è il suo pensiero coll’intelletto. Che l’uomo abbia una mente spirituale e una mente naturale, si vedrà qui appresso.
82. Se per quanto alcuno fugge il furto come peccato, tanto egli ami la sincerità, si è perché il furto è anche una frode, e la frode e la sincerità sono due opposti; perciò, tanto alcuno non è nella frode, tanto egli è nella sincerità.
83. Per la sincerità è intesa anche l’integrità, la giustizia, la fedeltà e la rettitudine. L’uomo non può essere da se stesso in queste virtù, a tale da amarle in forza di esse e per esse; ma colui che fugge le frodi, le astuzie e le furberie come peccati, quegli è in esse, non da se stesso, ma dal Signore, come è stato dimostrato più sopra, n. 18 a 31. Così è in esse il sacerdozio, così il magistrato, così il giudice, così il negoziante, così l’operaio, così ognuno nel suo ufficio e nella sua opera.
84. La Parola insegna questo in molti passi, fra i quali eccone alcuni:
- «Colui che cammina nella giustizia e pronuncia cose diritte; che insegna il guadagno delle oppressioni; che scuote le sue mani perché non prendano presenti; che tura le sue orecchie perché non odano il sangue, e chiude i suoi occhi perché non vedano il male; esso abiterà nei luoghi eccelsi». – [Isaia 33,15-16].
- «Jehovah, chi dimorerà nel tuo tabernacolo? Chi abiterà nel monte della tua santità? Colui che cammina nell’integrità e fa ciò che è giusto; colui che non mormora con la sua lingua, che non fa del male al suo compagno». – [Salmi 15,1-3 e seg].
- «I miei occhi saranno sopra i fedeli della terra, acciocché essi dimorino con me. Colui che cammina per la via dell’integrità, quegli mi servirà. Non abiterà dentro della mia casa chi pratica la frode; chi proferisce la menzogna non starà dinanzi ai miei occhi. In sul mattino io distruggerò tutti gli empi della terra, onde sterminare dalla città tutti gli operatori d’iniquità». – [Salmi 101,6-8].
Che se alcuno non è sincero, giusto, fedele e retto internamente, egli sia insincero, ingiusto, infedele e non retto, lo insegna il Signore con queste parole:
- «Se la vostra giustizia non supera quella degli Scribi e dei Farisei, voi non entrerete nel Regno dei Cieli» – [Matt. 5,20]
Per la giustizia che supera quella degli Scribi e dei Farisei, è intesa una giustizia interiore, nella quale è l’uomo che dimora nel Signore. Che l’uomo possa dimorare nel Signore, lo insegna Egli medesimo in Giovanni:
«Io ho dato ad essi la gloria che tu mi hai data, affinché siano uno, come noi siamo uno; io in essi, e tu in me; affinché essi siano perfetti in uno, ed affinché l’amore del quale tu mi ha amato, sia in essi, ed io in essi». – [17,22-23/26]
Dirò che è evidente che gli uomini sono perfetti, quando il Signore è in essi. Di essi sono quelli che sono chiamati “puri di cuore che vedranno Dio;” e “perfetti come il Padre nei Cieli.” – [Matt. 5,8 / 48]
85. E’ stato detto più sopra, n. 81, che il male del furto entra nell’uomo più profondamente che qualunque altro male, perché esso è congiunto all’astuzia e alla furberia; e l’astuzia e la furberia s’insinuano sino nella mente spirituale dell’uomo, in cui è il pensiero con l’intelletto. Ora dunque si dirà qualche cosa sulla MENTE dell’uomo. Che l’intelletto e la volontà insieme costituiscono la mente dell’uomo, si vede più sopra, n. 43.
86. L’uomo ha una mente naturale ed una mente spirituale: la mente naturale è detta sotto, e la mente spirituale di sopra. La mente naturale è la mente del suo mondo, e la mente spirituale è la mente del suo cielo. La mente naturale può essere chiamata menta animale, e la mente spirituale, mente umana. L’uomo, infatti, è distinto dall’animale, perché egli ha una mente spirituale, mercè la quale può essere nel Cielo, mentre è nel mondo. Si è anche per questa mente che l’uomo vive dopo la morte.
Con l’intelletto l’uomo può essere nella mente spirituale e quindi nel Cielo, ma con la volontà egli non può essere nella mente spirituale, e quindi nel Cielo, eccetto che non fugga i mali come peccati. E se non vi è anche con la volontà, egli tuttavia non è nel Cielo, essendoché la volontà trae l’intelletto giù, e fa sì che esso divenga ugualmente animale e naturale con essa.
L’uomo può essere paragonato ad un giardino; l’intelletto alla luce, e la volontà al calore. Nella stagione invernale il giardino è nella luce, e non in pari tempo nel calore; ma nella stazione estiva esso è nella luce e nel calore insieme. L’uomo pertanto che è solamente nella luce dell’intelletto, è come un giardino nella stagione invernale; ma colui che è nella luce dell’intelletto e nel medesimo tempo nel calore della volontà, è come un giardino nell’estate. Ed anche l’intelletto è savio dalla Luce spirituale, e la volontà ama dal calore spirituale; perciocché la luce spirituale è la Divina Sapienza, e il calore spirituale è il Divino Amore.
Finché l’uomo non fugge i mali come peccati, le concupiscenze dei mali ostruiscono gl’interiori della mente naturale da parte della volontà. Esse formano là come un denso velo, e come una nuvola oscura al di sotto della mente spirituale, e impediscono che essa sia aperta. Ma tosto che l’uomo fugge i mali come peccati, il Signore influisce dal Cielo, e toglie via il velo, dissipa la nuvola, ed apre la mente spirituale, e così introduce l’uomo nel Cielo.
Finché, come si è detto, le concupiscenze dei mali ostruiscono gli interiori della mente naturale, l’uomo è nell’inferno; ma tosto che quelle concupiscenze sono state dissipate dal Signore, l’uomo è nel Cielo. Inoltre, finché le concupiscenze dei mali ostruiscono gli interiori della mente naturale, l’uomo è un uomo naturale; ma tosto che quelle concupiscenze sono state dissipate dal Signore, egli è un uomo spirituale. Ed ancora, finché le concupiscenze dei mali ostruiscono gli interiori della mente naturale, l’uomo è un uomo animale. Differisce solamente in questo, che gli può pensare e parlare, anche sulle cose che non vede coi suoi occhi, il che egli deriva dalla facoltà di elevare l’intelletto nella luce del Cielo; ma tosto che quelle concupiscenze sono state dissipate dal Signore, egli è come un giardino nell’estate.
La congiunzione della volontà e dell’intelletto nell’uomo è significata, nella Parola, per il cuore e l’anima, e per il cuore e lo spirito; come, ad esempio, in quei passi, dove è detto che si deve amare Dio con tutto il cuore e con tutta l’anima. – [Matt. 22,37]; - e che Dio darebbe un cuore nuovo ed uno spirito nuovo, - [Ezechiele 11,19 / 36,26-27]. – Per il cuore è significata la volontà e il suo amore; e per l’anima e lo spirito, l’intelletto e la sua sapienza.
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CHE PER QUANTO ALCUNO FUGGE COME PECCATI LE FALSE TESTIMONIANZE D’OGNI GENERE,
TANTO EGLI AMI LA VERITA’
87. Nel senso naturale per rendere falsa testimonianza è inteso, non solamente essere testimonio falso, ma anche mentire e diffamare. Nel senso spirituale per render falsa testimonianza è inteso dire e persuadere che il falso è vero, e che il male è bene, e viceversa. E nel senso supremo per rendere falsa testimonianza è inteso bestemmiare il Signore e la Parola. Queste sono le false testimonianze nel triplice senso. Che esse facciano uno nell’uomo che attesta falsamente e diffama, si può vedere da quel che è stato detto nella DOTTRINA SULLA SACRA SCRITTURA, n. 5, 6, 7 e seg. E n. 57, in proposito del triplice senso di tutto quel che è contenuto nella Parola.
88. Siccome la menzogna e la verità sono due opposti, ne segue che tanto alcuno fugge la menzogna come peccato, tanto egli ama la verità.
89. Tanto alcuno ama la verità, tanto egli la vuole conoscere, ed è affetto di cuore, quando la trova; nessun altro proviene alla sapienza. E per quanto ama di fare la verità, tanto egli sente l’amenità della luce, in cui è la verità. Similmente è delle altre virtù, di cui si è parlato fin qui; come della sincerità e della giustizia in chi fugge i furti d’ogni genere; della castità e della purità in chi fugge gli adulteri d’ogni genere; dell’amore e della carità in chi fugge gli omicidì d’ogni genere, e così di seguito. Ma colui che è negli opposti, non conosce nulla di queste virtù, sebbene tutto quel che c’è di reale sia in esse.
90. E’ la verità che è significata per il seme nel campo, intorno al quale il Signore così parlò:
- «Un seminatore uscì a seminare; e mentre egli spargeva il seme, una parte ne cadde lungo la via, ed essa fu calpestata, e gli uccelli del cielo la mangiarono. E un’altra cadde sopra luoghi sassosi, e come fu nata, si seccò. Perché non aveva radice. Un’altra cadde fra le spine, e le spine crescendo insieme, la soffocarono. Ma un’altra cadde in buona terra; ed essendo nata, portò molto frutto» – [Luca 8,5-8; Matt. 13,3-8]; Marco 4,3-8].
Il seminatore qui è il Signore, e il seme è la sua Parola, così la verità. Il seme caduto lungo la via significa in coloro che della verità non si curano. Il seme in luoghi sassosi, significa in coloro che si curano della verità, ma non per amore di essa, così non interiormente. Il seme fra le spine significa in coloro che sono nelle concupiscenze del male. Ma il seme in buona terra significa in coloro che dal Signore amano le verità contenute nella Parola, e in virtù di Lui le mettono in pratica, e così portano frutto. Che siano significate queste cose, emerge dalla spiegazione datane dal Signore. – Matt. XIII. 19 a 23, 37; Marco IV. 14 a 20; Luca VIII. 11 a 15. – Da queste spiegazioni è evidente che la verità della Parola non può gettare radice in coloro che non si curano della verità, né in coloro che amano la verità esteriormente e non interiormente, e neppure in coloro che sono nelle concupiscenze del male; ma sebbene in quelli, nei quali le concupiscenze del male sono state dissipate dal Signore. In questi il seme, cioè la verità, getta radice nella loro mente spirituale (vedasi in proposito più sopra, n. 86, alla fine).
91. E’ un’opinione comune oggidì che per essere salvato basti il credere questa o quella cosa che insegna la chiesa, e che la salvezza non consista nell’osservare i precetti del Decalogo, che sono di non uccidere, di non commettere adulterio, di non rubare, di non rendere falsa testimonianza, tanto nel senso stretto che nel senso largo. Imperocché si dice che Dio non riguarda alle opere, ma alla fede; mentre, infatti, per quanto alcuno è in codesti mali, tanto non ha la fede, come si può vedere più sopra n. 42 a 52. Consulta la tua ragione, e considera se un omicida, un adultero, un ladro o un falso testimonio possa avere la fede, finché è nella concupiscenza di questi mali; ed inoltre se la concupiscenza di questi mali possa essere dissipata altrimenti che per non volerli commettere, perché sono peccati, cioè, perché sono infernali e diabolici. Perciò chi pensa che per essere salvato basti il credere questa o quella cosa che insegna la chiesa e si abbandona a quei mali, non può essere che uno stolto, secondo le parole del Signore in Matteo, VII. 26. Una tale chiesa è descritta in Geremia:
“Fermati alla porta della casa di Jehovah, e quivi proclama questa parola: Così ha detto Jehovah Sebaot, il Dio d’Israele: Ammendate le vostre vie e le vostre opere; non confidate in su parole fallaci, dicendo: il tempio di Jehovah, il tempio di Jehovah, il tempio di Jehovah, sono questi. Rubando, uccidendo, commettendo adulterio, e giurando falsamente, verreste voi poi ancora e vi presentereste nel mio cospetto in questa casa, che è intitolata dal mio Nome, e direste: Noi siamo stati liberati; mentre fate di codeste abominazioni? O che è divenuta questa casa una spelonca di ladroni?m Ecco, Io ho veduto, dice Jehova.” – VII. 2 a 4, 9 a 11.
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CHE NESSUNO POSSA FUGGIRE I MALI COME PECCATI, SINO AL PUNTO DI AVERLI IN AVVERSIONE,
SE NON CHE PER COMBATTIMENTI CONTRO DI ESSI
92. Dalla Parola e dalla dottrina derivata dalla Parola ognuno sa che il proprio dell’uomo è male dalla nascita, e che quindi è che per una concupiscenza innata egli ama i mali, e vi è portato in guisa che vuole vendicarsi, vuole defraudare, vuol diffamare, vuol commettere adulterio. E se egli non pensa che codesti mali sono peccati, e per questo motivo non resiste ad essi, egli li commette tutte le volte che se ne presenta l’occasione, e quando la sua reputazione non ne soffra per riguardo al suo onore e al suo interesse. Aggiungasi che, se un uomo non ha religione, commette quei mali per diletto.
93. Siccome questo proprio dell’uomo costituisce la prima radice di sua vita, è evidente quale albero l’uomo sarebbe, se quella radice non fosse estirpata, e una nuova radice piantata in sua vece. Egli sarebbe un albero putrefatto, di cui è detto che deve essere reciso e gettato nel fuoco. – [Matt. 3,10 / 7,19]. - Questa radice non è rimossa, e una nuova non è piantata in luogo di essa, se l’uomo non considera i mali, che costituiscono quella radice, come dannosi all’anima sua, e non voglia per questa ragione allontanarli. Ma siccome essi appartengono al suo proprio, e quindi gli piacciono, egli non può allontanarli che suo malgrado, e con lotta, così con combattimento.
94. Chiunque crede che l’inferno e il Cielo esistono, e che il Cielo è una felicità eterna, e l’inferno una eterna miseria; e che inoltre crede che coloro che fanno del male vanno nell’inferno, e quelli che fanno del bene, nel Cielo; quegli combatte. E colui che combatte, agisce da un principio interiore, e contro la stessa concupiscenza, che costituisce la radice del male; imperocché chi combatte contro qualche cosa, non la vuole; e concupire si è volere. Quindi è evidente che la radice del male non è rimossa se non che per via di combattimento.
95. Tanto adunque alcuno combatte, e così allontana il male, tanto il bene succede in luogo di esso, e tanto dal bene egli guarda il male in faccia, e allora vede che esso è infernale e orribile; e poiché è tale, non solo lo fugge, ma lo prende anche in avversione, e finalmente lo abomina.
96. L’uomo che combatte contro i mali, non può altrimenti che combattere come da se stesso; imperocché chi non combatte come da se stesso, non combatte affatto. Egli se ne sta come un automa, non vedendo nulla e non facendo nulla; e dal male [in cui è] egli pensa continuamente a favore del male, e non contro di esso. Tuttavia però bisogna che sia ben conosciuto che il Signore solo combatte nell’uomo contro i mali, e solamente apparisce all’uomo come se egli combattesse da se stesso; e il Signore vuole che apparisca così all’uomo, perché, senza quell’apparenza, non esisterebbe combattimento, né per conseguenza riformazione.
97. Questo combattimento non è grave, se non a coloro che hanno lasciato ogni freno alle loro concupiscenze, e vi si sono abbandonati di proposito deliberato; ed ancora a coloro che hanno ostinatamente rigettato le cose sante della Parola e della chiesa; ma agli altri non è grave. Resistano essi di proposito ai mali solamente una volta per settimana, o due volte al mese, ed essi percepiranno un cambiamento.
98. La chiesa cristiana è chiamata chiesa militante, ed essa non può essere chiamata militante [o sia combattente], se non che contro il diavolo, così contro i mali che provengono dall’inferno; e il diavolo è l’inferno. La tentazione che subisce l’uomo della chiesa, è quel combattimento.
99. In molti passi della Parola trattasi dei combattimenti contro i mali. Tali combattimenti, che sono tentazioni, sono significati per queste parole del Signore:
«In verità, in verità, vi dico che, se il granello di frumento, caduto in terra, non muore,j rimane solo; ma se muore, porta molto frutto». – [Giov. 12,24]. – «Chiunque vuole venire dietro a me, rinunzii a se stesso, e tolga la sua croce e mi segua. Chiunque vorrà salvare l’anima sua, la perderà; ma chiunque perderà l’anima sua per amore di me e del Vangelo, esso la salverà». – [Marco 8,34-35].
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Per la croce è intesa la tentazione, come parimenti in Matt. 10,38 / 16,24; Marco 10,21; Luca 14,27. – Per l’anima è intesa la vita del proprio dell’uomo, come ancora in Matt. 10,39 / 16,25; Luca 9,24, e specialmente in Giov. 12,25. – La cui anima è anche la vita della carne, “…che a nulla giova” – [Giov. 6,63]. – Intorno ai combattimenti contro i mali e alle vittorie sopra di essi il Signore così parla a tutte le chiese, nell’Apocalisse:
- Alla Chiesa di Efeso egli dice: «A chi vince io darò a mangiare dell’albero della vita, che è in mezzo del paradiso di Dio» – [Apoc. 2,7].
- Alla Chiesa di Smirna dice: «Chi vince non avrà alcun danno dalla morte seconda». – [Apoc. 2,11]
- Alla Chiesa in Pergamo dice: «A chi vince io darò a mangiare della manna nascosta; e gli darò un sassolino bianco, e sul sassolino un nuovo nome scritto, che nessuno conosce, eccetto colui che lo riceve» – [Apoc. 2,17]
- Alla Chiesa di Tiatira dice: «Chi vince e guarda sino alla fine le mie opere, io gli darò potestà sopra le nazioni; e gli darò la stella del mattino» – [Apoc. 2,26-28]
- Alla Chiesa in Sardi dice: «Chi vince sarà vestito di veste bianca; ed io non cancellerò il suo nome dal libro della vita». – [Apoc. 3,5]
- Alla Chiesa in Filadelfia dice: «Chi vince, io lo farò una colonna nel tempio del mio Dio, e scriverò sopra esso il nome di Dio, e il nome della città di Dio, della Nuova Gerusalemme, la quale discende dal Cielo, da Dio, e il mio nuovo nome». – [Apoc. 3,12]
- Alla Chiesa in Laodicea dice: «A chi vince io darò di sedere meco nel mio trono». – [Apoc. 3,21]
100. Di questi combattimenti, che sono tentazioni, è stato specialmente trattato nell’opera DELLA NUOVA GERUSALEMME E DELLA SUA DOTTRINA CELESTE, pubblicata in Londra nel 1758, dal n. 187 a 201. – Donde vengono le tentazioni e quali sono, n. 196, 197. – Come e quando esse hanno luogo, n. 198. – Che bene producono, n. 199. – Che il Signore combatte per l’uomo, n. 200. – Dei combattimenti o tentazioni del Signore, n. 201.
[indice]
CHE L’UOMO DEBBA FUGGIRE I MALI COME PECCATI,
E COMBATTERE CONTRO DI ESSI COME DA SE STESSO
101. Egli è dell’ordine divino che l’uomo agisca in virtù della libertà secondo la ragione; perché agire in virtù della libertà secondo la ragione, si è agire da se stesso. Per verità queste due facoltà, LA LIBERTA’ E LA RAGIONE, non sono proprie dell’uomo, ma sono del Signore in lui; e in quanto è uomo, esse non gli sono tolte, perché senza di esse egli non potrebbe essere riformato. Infatti, senza la libertà e la ragione egli non può fare penitenza, non può combattere contro i mali, e quindi portare frutti degni di penitenza. Ora poiché l’uomo ha la libertà e la ragione dal Signore, ed egli agisce in virtù di esse, ne segue che egli non agisce da se stesso, ma come da se stesso. (che l’uomo abbia la libertà dal Signore, si vede più sopra, n. 19, 20 e nell’opera DEL CIELO E DELL’INFERNO, n. 589 a 596 e 597 a 603. Che cosa sia la libertà, si vede nella DOTTRINA DELLA NUOVA GERUSALEMME, n. 141 a 149.)
102. Il Signore ama l’uomo, e vuole abitare in lui; tuttavia egli non può amarlo ed abitare in lui, se non è ricevuto e reciprocamente amato. Così, e non altrimenti, vi è congiunzione. Il Signore per questa causa ha dato all’uomo la libertà e la ragione; la libertà di pensare e volere come da se stesso, e la ragione secondo la quale [egli deve pensare e volere]. Non si può amare alcuno ed essergli congiunto, se in lui non c’è reciproco; né si può entrare da qualcuno e rimanere presso di lui, se non c’è ricevimento. Siccome la capacità di ricevere e di reciprocare sono nell’uomo dal Signore, perciò il Signore dice:
«Dimorate in me, ed io in voi». – [Giov. 14,4]. – «Chi dimora in me, ed io in lui, quegli porta molto frutto». – [Giov. 15,5]. – «In quel giorno voi conoscerete che voi siete in me, ed io in voi». – [Giov. 14,20]
*
Che il Signore sia nei veri e nei beni che l’uomo riceve e che sono in lui, lo insegna anche il Signore:
«Se voi dimorate in me, e le mie parole dimorano in voi …Se voi osservate i miei comandamenti, voi dimorerete nel mio amore». – [Giov. 15,7/10]. – «Chi ha i miei comandamenti e li osserva, esso è che mi ama, ed io l’amerò … e farò dimora presso di lui». –[Giov. 14,21-23]
*
Così il Signore abita in quel che è suo presso l’uomo, e l’uomo abita in quelle cose che vengono dal Signore, e così dimora nel Signore.
103. Ora, poiché vi è nell’uomo dal Signore questo potere di reciprocare, e questo alterno e quindi mutuo [amore], perciò il Signore dice che l’uomo deve fare penitenza; e nessuno può fare penitenza se non che come da se stesso.
«Gesù disse: Se non fate penitenza, perirete tutti». – [Luca 13,3-5]. – «Gesù disse: Il Regno di Dio è vicino; fate penitenza, e credete nel Vangelo». – [Marco 1,14-15]. – «Gesù disse: Sono venuto per chiamare i peccatori a penitenza». – [Luca 5,32]. – «Gesù disse alle chiese: “Ravvedetevi”». – [Apoc. 2,5/16/21-22; 3,3]. – E si legge ancora: «E non si pentirono delle loro opere». – [Apoc. 16,11].
104. Poiché evvi nell’uomo dal Signore questo potere di reciprocare, e questo alterno e quindi mutuo amore, perciò il Signore dice che l’uomo deve osservare i comandamenti e portare frutti:
- «Perché mi chiamate Signore, Signore! E non fate le opere che io vi dico?» – [Luca 6,46/49]
- «Se sapete queste cose, voi siete beasti, purché le facciate». – [Giov. 13,17].
- «Voi siete miei amici, se fate quel che io vi comando». – [Giov. 15,14].
- «Colui che avrà operato ed insegnato, quegli sarà chiamato grande nel Regno dei Cieli» – [Matt. 5,19].
- «Chiunque ode le mie parole e le mette in pratica, io lo paragonerò ad un uomo prudente». – [Matt. 7,24]
- «Fate frutti degni di penitenza» – [Matt. 3,8].
- «Fate l’albero buono, e il suo frutto sarà buono». – [Matt. 12,33]
- «Il regno sarà dato ad una nazione che farà i frutti di esso». – [Matt. 21,43]
- «Ogni albero che non fa frutto, viene tagliato e gettato nel fuoco». – [Matt. 7,19] – e molti altri passi altrove.
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Da questi passi è evidente che l’uomo deve agire da se stesso, ma per la potenza del Signore, che egli deve implorare; e questo è agire come da se stesso.
105. Poiché vi è nell’uomo dal Signore questo potere di reciprocare, e questo alterno e quindi muto amore, perciò l’uomo renderà conto delle sue opere, e sarà ricompensato secondo esse; perciò il Signore dice:
- «Il figliuolo dell’uomo verrà, ed egli renderà a ciascuno secondo i suoi fatti». – [Matt. 16,27]
- «Quelli che hanno fatto opere buone, usciranno in resurrezione di vita, e coloro che ne hanno fatte delle malvagie, in resurrezione di giudizio». – [Giov. 5,28].
- «Le loro opere li seguono». – [Apoc. 14,13].
- «Tutti furono giudicati secondo le loro opere». – [Apoc. 20,13].
- «Ecco io vengo, e la mia ricompensa è con me, per rendere a ciascuno secondo le sue opere» – «Apoc. 22,12].
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Se nell’uomo non fosse alcun potere di reciprocare, non vi sarebbe nessuna imputazione.
106. Poiché l’uomo ha il potere di ricevere e di reciprocare, perciò la chiesa insegna che l’uomo deve esaminarsi e confessare i suoi peccati dinanzi a Dio, desistere da essi e menare una nuova vita. Che ogni chiesa nel mondo cristiano insegni questo, si vede più sopra n. 3 a 8.
107. Se dalla parte dell’uomo non vi fosse ricezione, e quindi pensiero come da se stesso, non si potrebbe dire nulla intorno alla fede; perciocché la fede neppure viene dall’uomo. L’uomo sarebbe in tal caso come una paglia al vento, e starebbe come inanimato, con la bocca aperta e le mani pendenti, aspettando l’influsso, non pensando e non facendo nulla rispetto alle cose che concernono la sua salvezza. E’ bensì vero che egli non fa nulla in queste cose [da se stesso]; tuttavia però egli reagisce come da se stesso. Ma questi soggetti saranno messi in luce più chiara, nei trattai SULLA SAPIENZA ANGELICA.
[indice]
CHE SE QUALCUNO FUGGE I MALI PER QUALUNQUE ALTRO MOTIVO
CHE NON SIA PERCHE’ SONO PECCATI, EGLI NON LI FUGGA, MA SOLAMENTE FACCIA SI’
CHE ESSI NON APPAIANO AGLI OCCHI DEL MONDO
108. Vi sono degli uomini morali, che osservano i precetti della seconda tavola del Decalogo: essi non defraudano, non bestemmiano, non si vendicano, non commettono adulterio; e fra essi vi sono di quelli che si confermano nel credere che il furto, la bestemmia, la vendetta e l’adulterio sono mali, perché sono nocivi al bene pubblico, e per conseguenza contrari alle leggi dell’umanità. Costoro esercitano anche la carità, la sincerità, la giustizia, la carità. Ma se essi fanno questi beni, e fuggono quei mali, solamente perché sono mali, e non nel medesimo tempo perché sono peccati, essi sono nullameno uomini meramente naturali; e appo l’uomo meramente naturale la radice del male rimane insita e non è rimossa.
109. L’uomo morale-naturale può apparire dinanzi agli uomini nel mondo del tutto simile all’uomo morale-spirituale, ma non dinanzi agli angeli nel Cielo. Dinanzi agli angeli nel Cielo egli apparisce, se è nei beni, come una statua di legno; e se è nei veri, come una statua di marmo, nelle quali non è vita. Altrimenti è dell’uomo morale-spirituale. Infatti l’uomo morale-naturale è un uomo morale esterno, e l’uomo morale-spirituale è un uomo morale interno; e l’esterno senza l’interno non vive, o veramente vive sì, ma non della vita che si chiama vita.
110. Le concupiscenze del male, che costituiscono gli interiori dell’uomo dalla nascita, non sono rimosse che dal Signore solo, perché il Signore influisce dallo spirituale nel naturale; l’uomo invece da se stesso influisce dal naturale nello spirituale; e questo influsso è contro l’ordine, e non opera nelle concupiscenze, né le rimuove, ma le rinchiude più e più strettamente, secondo che egli medesimo si conferma [nel male]. E siccome il male ereditario rimane così nascosto e rinchiuso, esso, dopo la morte, quando l’uomo diviene uno spirito, rompe l’involucro, di cui era stato compero nel mondo, e viene fuori con impeto, come una marcia da un’ulcera guarita solo esteriormente.
111. Vi sono molte e varie cause che fanno che l’uomo sia morale nella forma esterna; ma se egli non diviene morale anche nella forma interna, egli non è morale realmente. Per esempio, se alcuno si astiene dagli adulterii e dalle fornicazioni per timore della legge civile e delle pene che essa commina; per timore di perdere la reputazione, e quindi l’onore; per timore delle malattie che ne possono derivare; per timore delle liti in famiglia con sua moglie e quindi della perdita della pace domestica; per timore della vendetta da parte del marito o dei di lui parenti; per povertà o per avarizia; per debilità proveniente da malattia o da abuso, o dall’età, o da impotenza; anzi se egli se ne astiene a causa di qualche legge naturale o morale, e non in pari tempo a causa della legge spirituale, egli non è meno adultero e fornicatore internamente; perciocché egli crede tuttavia che quei mali non siano peccati, e quindi non li considera nel suo spirito come azioni illecite davanti a Dio; e così in ispirito egli le commette, sebbene non le commetta corporalmente dinanzi al mondo. Perciò dopo la morte,. Quando diviene uno spirito, egli para apertamente in favore di esse. Da queste considerazioni è evidente che un empio può fuggire i mali come nocivi, ma solamente un cristiano può fuggirli come peccati.
112. Similmente è dei furti e delle frodi d’ogni genere, degli omicidì e delle vendette d’ogni genere, delle false testimonianze e delle menzogne d’ogni genere. Nessuno può da se stesso mondarsene e purificarsene; perciocché vi sono in ciascuno di questi mali un’infinità di concupiscenze, che l’uomo non vede se non come una sola; ma il Signore vede i minimi particolare in ogni serie. In una parola, l’uomo non può rigenerarsi da se stesso, cioè, formare in lui un nuovo cuore ed un nuovo spirito; ma il Signore solo lo può, Egli che è lo stesso Riformatore e lo stesso Rigeneratore. Se dunque l’uomo vuole farsi nuovo in virtù della sua prudenza e della sua intelli8genza, egli somiglia a chi mette del belletto sopra un volto deforme, e unge con del sapone una parte infetta internamente di putredine.
113. Per ciò il Signore dice in Matteo: «Fariseo cieco, netta prima l’interno della coppa e del piatto, affinché anche il loro esterno divenga netto». – [Mt. 23,26]. – E in Isaia: «Lavatevi, purificatevi, rimovete la malizia delle vostre opere dinanzi agli occhi miei, cessate di fare il male; e allora, quando i vostri peccati fossero come lo scarlatto, diverranno bianchi come la neve; quando fossero rossi come la porpora, diverranno come la lana». – [Is. 1,16-18]
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114. A quel che è stato detto più sopra vuolsi aggiungere questo: I) Che la carità cristiana consiste per ciascuno nell’adempiere fedelmente ai doveri del suo ufficio; perciocché così, se egli fugge i mali come peccati, fa ogni giorno il bene, ed è egli stesso il suo uso speciale nel corpo comune. Così anche si provvede al bene comune ed a quello di ogni singolo individuo in particolare. – II) Che tutte le altre opere non sono propriamente opere della carità, ma sono della carità o segni, o benefizi, o debiti.
FINE
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DEL MEDESIMO AUTORE
sono pubblicate le seguenti Opere, tradotte dal latino:
- La Sapienza Angelica sul Divino Amore e sulla Divina Sapienza.
- La Sapienza Angelica sulla Divina Provvidenza
- Sul Commercio dell’Anima e del Corpo.
- La Vera Religione Cristiana. – Opera teologica somma, in 2 grossi ed eleganti volumi, in caratteri elzeviriani; il 1. Vol. di pag. 567, e il 2. volume di pag. 445.
- Dalla Nuova Gerusalemme e della sua Dottrina Celeste.
- Esposizione sommaria della Dottrina della Nuova Chiesa.
- La Dottrina di Vita, secondo i precetti del Decalogo.
- Il Decalogo spiegato quanto al suo senso esterno, ed al suo senso interno.
- Del Cielo e delle sue meraviglie, e dell’inferno, secondo quel che è stato udito e veduto.
- Le Terre nel Cielo stellato, i loro abitanti, i loro spiriti, Angeli. Ex auditis et visis. – Un bellissimo volume in-8°, di pagine XVIII-112, contenente notizie e rivelazioni altamente istruttive e degne del più grande interesse.
OPERE COLLATERALI
di diversi Autori
Breve cenno sulla Vita e le Opere di Emanuele Swedenborg, con documenti. – Un volume in-8°. Di pag. XII-184. .- E’ la risposta più completa che si possa fare alle domande. Chi era Swedenborg? Qual fu la sua missione? Si legge con crescente interesse.
La Religione del Buon Senso. – Un elegante volume in-8°. di pag. 207. – Contiene un’esposizione popolare delle sublimi verità della Vera Religione Cristiana, piena di brio, di chiarezza e di buon senso.
La Nuova Epoca. – Periodico,libro, religioso-filosofico-morale. Nove volumi in-8°. (1871-1882). Vi sono esposte colla massima chiarezza, e con una vasta erudizione storica e filosofica le dottrine sublimi contenute nelle profonde opere di E. Swedenborg. Si raccomanda perciò la lettura di quei volumi come un’eccellente introduzione allo studio di queste opere.