Introduzione alla vita sul cammino spirituale di Georg
Riehle
a cura di Teofilo di Oberland
LA GENERAZIONE DELL‘UOMO PERFETTO
[Genesi 1,26]
E Dio disse: «Facciamo l'uomo a nostra
immagine,
a nostra somiglianza, e domini sui
pesci
del mare e sugli uccelli del cielo,
sul bestiame, su tutte le bestie
selvatiche e su tutti i
rettili che strisciano
sulla terra»
Rivelazioni delle Misericordie di Dio
Georg Riehle nacque a Dresda-Löbtau in Germania il 30 dicembre del 1872, e morì il
30 dicembre del 1962 nella stessa città natale. In Italia non è mai stato pubblicato
niente e ben poco si conosce di lui. Egli infatti nulla
ha scritto da sé, eccetto il suo ‘curriculum vitae’ contenuto in un assiduo
scambio epistolare. Le sue opere si basano tutte su appunti presi da discorsi,
prediche e rivelazioni da parte di amici, i quali li conservarono
dattiloscritti o registrati su nastro e solo successivamente
divulgati in lingua tedesca. Perciò fino a questo momento in Italia è rimasto
un illustre sconosciuto.
La presente opera, mai stampata sotto questa forma,
raccoglie dunque sia i documenti relativi alla sua
vita, sia le divine orazioni, prediche e rivelazioni ricevute soprattutto
durante le ‘ore di meditazione’. Non è possibile rintracciare all’interno di
tali libretti una dottrina sistematica, d’altronde non era questa la
preoccupazione del fratello Riehle. Il fine di questi insegnamenti spirituali,
al tempo in cui furono pronunciati, era quello di rendere conscio il discepolo,
scelto nella sua rilevante dignità, ignorata fino a quel momento, per fargli
comprendere chi egli è realmente.
Come asseriscono i suoi amici più intimi, Georg Riehle
possedeva un’inusuale capacità di influenza, il che gli
derivava dal fatto che il suo parlare e il suo vivere coesistevano all’unisono.
Tuttavia non tollerava che la sua persona fosse messa in primo piano. Di se stesso
affermava di essere stato un uomo professionalmente impacciato e dotato di
scarse qualità.
Ormai ottantatreenne raccontò che quando veniva
chiamato, ed era abbattuto e senza forze, riceveva conforto solo dalla visione
della croce; e diceva: “Essa brucia nel mio cuore, ed è allora che lo Spirito
mi afferra”. A tal proposito si distanzia talmente dai medium, da mettere in
guardia i figli di Dio dalla trappola tesa dalla medianità: dichiarava spesso
di aderire alla sua stessa vita e di non essere sotto l’influsso di una vita
estranea. Della ‘Parola interiore’ affermava: “Le parole che io pronuncio provengono
da me, sono le mie parole, ma nello spirito, io sono Lui”.
Ciò che di lui rimane vivente, inconfondibile ed entusiasmante allo stesso tempo, è l’immagine di un seguace
di Cristo che, annunciando la Parola e consacrandovisi egli stesso, ha richiamato
all’Amore i suoi fratelli e le sue sorelle. Il suo appello del 1955, ancora
oggi attuale, è: “Per questo Gesù, per quest’Uomo magnifico, per quest’immenso
Amore, nel nostro tempo in cui è rifiutato da così
tanti, noi possiamo essere una parete di protezione per il Suo santo Amore”,
tant’è che egli non volle affatto essere maestro di sapienza, anzi ammoniva ad
anelare a una maggiore sapienza, piuttosto, a servire il prossimo. Sapeva bene
che lo Spirito può essere compreso solo dallo Spirito, e la Vita solo da quella
che si trova sullo stesso gradino. A coloro che volevano
trascrivere le sue parole, esclamava: “Non serbate le parole, ma lo Spirito”,
giacché, quando si tratta di rivestire le verità divine con parole umane, è
spesso difficile a noi uomini esprimerne il contenuto spirituale, perché la parola
umana è troppo imperfetta per fare ciò.
"Quale eredità”, si chiede Karl Lillich
[«Das
Wort» n.6, 1995], “ha lasciato il fratello Georg
a noi uomini d’oggi? Una nuova setta? Un movimento? Un uomo con la sua visione
della Vita e la sua profondità religiosa non avrebbe potuto
essere asservito a una setta e, meno ancora, fondarne una. Indubbiamente le
rivelazioni lorberiane hanno avuto un profondo
effetto sulla sua esistenza. Ma non lo si può
considerare come membro del movimento religioso che si è formato attorno agli
scritti di Jakob Lorber e che, secondo lui, poteva ritenersi ormai una setta.
Quando era in vita, intorno a Riehle era già sorto, quale conseguenza della sua
attività, un libero movimento religioso di indole
fortemente ecumenica. In esso confluivano i cristiani di tutte le confessioni,
ma egli non volle mai organizzarlo, poiché sapeva che ciò che di meglio aveva
da offrire non avrebbe potuto essere conservato e coltivato
tramite un’associazione. È per questo che lo spirito
del fratello Georg continua a vivere oggi in relativo silenzio solo in gruppi e
in circoli ristretti. Di sicuro questi si trovano ancora in tutti i Paesi di
lingua tedesca e, perfino oltre, negli Stati Uniti.
Secondo il pensiero di Georg Riehle si può arguire che
all’Inizio Dio generò le ‘intelligenze’ (1a
Creazione): questi esseri erano stati creati in vista della conoscenza
di Dio. Nella visione pre-cosmologica, gli ‘esseri
primi’ non si possono ancora definire ‘anime’. Tale definizione sarà possibile
solo dopo la ‘caduta’, o allontanamento dalla Causa primordiale. Infatti, poiché
queste intelligenze erano dotate di
‘libero arbitrio’, cioè di autodeterminazione responsabile, un gran numero di
esse, facendo cattivo uso del Dono di Dio, si staccò dalla contemplazione ineffabile
del Bene supremo: è questa mancanza di ‘Bene’ che costituisce ‘il Male’. Tale distacco, risoltosi nel raffreddamento del
loro essere e nella trasmutazione nella materia, è appunto il
‘movimento’ che le fece esistere non più come intelligenze, ma come
anime separate dallo Spirito (2a Creazione).
Un tale sconvolgimento comportò la creazione degli ‘esseri secondi’, diversi
tra essi secondo il grado della loro infedeltà. Le Intelligenze della prima
creazione, decadute e trasformate in esseri corporei più o
meno densi, dalla Provvidenza non furono abbandonate a se stesse. La
caduta dall’Origine a uno stato intermedio (Mondo)
di lotta e insieme di recupero, ha per meta il ‘Ritorno’
alle condizioni iniziali. La reintegrazione e purificazione delle creature
razionali, dalle più lontane alle più vicine, esige il lento trascorrere di più
mondi o tempi (Eoni), susseguentisi
in maniera che la condizione finale dell’uno costituisca il punto d’inizio
dell’altro. Il mondo attuale, che ha visto il sacrificio di Cristo, si trova al
centro di un avvicendarsi
di mondi precedenti e seguenti.
Ora, il ritorno all’Unità originaria è resa possibile
unicamente ad opera del Cuore del Padre, cioè del
Figlio Unico di Dio. In sostanza, il Figlio (Capo e
Corpo) è il tramite che assicura il collegamento tra Dio Padre e il
Mondo della Creazione. Il Suo Sacrificio unico è stato offerto sulla croce non
solo per gli uomini, ma anche per le potenze celesti. Così il Logos, agendo
progressivamente e senza forzare il libero arbitrio delle creature, ma
soccorrendole sempre nella maniera più consona, a poco a poco le unisce tutte a
Sé; quando avrà assoggettato tutti a Sé, allora Egli stesso si sottometterà al
Padre, affinché Questi possa essere Tutto in tutti [Ia Corinzi 15,28].
In Giovanni 1,12-13 è scritto che a coloro che hanno
ricevuto il Verbo di Dio, Egli ha dato il potere di diventare ‘figli di Dio’. L’evangelista
non afferma soltanto che Egli ha dato loro il potere di essere salvati (cioè il potere di ritornare
all’Origine). Nel passo citato viene detto
molto di più. In realtà, la salvezza operata dalla Redenzione (la 3a Creazione), è più grande della
contemplazione primordiale, giacché lo stato ultimo è più grande del primiero [Aggeo 2,9]. Infatti, Giovanni afferma ineffabilmente,
cosa impossibile a tutte le nature ridotte alle proprie forze, che tramite la
Sua sublime Grazia, Egli ha dato il potere di diventare ‘figli di Dio’!?!
Quindi Georg ha avuto l’incarico di rivelare la Persona del
Messia invocando la Dottrina del ‘Corpo di Cristo’.
Sin dall’eternità tutto ciò che precede la Cena nuziale dell’Agnello
è preliminare e preparatorio. Solo dopo questo
avvenimento il programma di Dio per il mondo a venire comincia ad essere
rivelato. Dio non sarà in grado – per così dire – di intraprendere la Sua Opera
finale e suprema (redenzione dei popoli dell’universo) per le età future, fino
a che la Sposa non sarà sul Trono con il Suo divino Sposo e Signore. I Redenti
formano dunque un ordine di esseri unico ed esclusivo, che potremo chiamare ‘una nuova specie’. In tutti i regni dell’infinito non c’è
l’uguale. Questo è l’ordine di esseri che Dio aveva previsto quando fece
esistere l’universo, quello che Paolo chiama l’Uomo nuovo [Efesini 2,15], la nuova umanità destinata, attraverso la nuova nascita, ad essere l’aristocrazia dell’universo. Questa è
precisamente l’intenzione di Dio nel Suo Piano di redenzione: formare una stirpe
che riproduca esattamente i caratteri di Suo Figlio, e che vada a costituire il
personale governativo del Suo Regno eterno! Cristo è perciò il Prototipo divino
ad immagine del Quale la nuova stirpe viene formata.
Le rivelazioni del fratello Georg rappresentano dunque la
dottrina del Messia o dell’unico Signore, il che è la meta tanto agognata
raggiunta sulla cima del Monte santo. Per lui, ogni anima è un mondo, i cui
popoli saranno redenti dall’uomo divenuto perfetto. Infatti, l’uomo perfetto possiede
un potere redentore che gli permette di asserire: “Ciascuno di noi è un Messia
per il suo popolo, ed è nelle nostre mani che si trova il rimedio a qualunque pena”.
Pertanto i Messia che si scaglionano nei diversi piani dell’universo, sono gli
occhi attraverso i quali Iddio osserva. Grazie a loro, il nostro è ancora un
mondo ‘osservato’ da Dio, ed è questo il significato della misteriosa
affermazione secondo cui, se essi non fossero, se venisse a cessare il loro
potere redentore, che è la chiave che apre il Cielo da essi formato, i mondi s’inabisserebbero
nella catastrofe definitiva.
Più ancora che nella santità e nel suo divino amore,
l’anelito di Georg Riehle è stato quello di dar voce al richiamo racchiuso in
ogni anima: egli è perciò il cantore della nostalgia infinita e dell’urgenza
dell’Unico. Il nostro motivo conduttore è questo: “Se in tutte le cose tu lasci
completamente quello che è tuo, Dio penetra con tutto quello che è Suo”. Questo
concetto è espresso chiaramente nella sua Opera, e il contenuto di fondo rimane l’esortazione ad abbandonare il proprio
‘io’.
Si badi che nell’autentica esperienza cristiana, il cui fine
è di essere partecipi della Natura divina, l’unione non consiste
nell’assorbimento dell’uomo in Dio, ma è piuttosto l’Infinito che, in un abbraccio
pieno di Amore, trapassa nel finito. È il Divino che risorge dall’Uomo! È dunque
il soprannaturale che diventa naturale. Quindi si estingue
ciò che non è mai stato e permane ciò che non ha mai cessato di essere. Perciò,
è l’ ‘uomo’ ad
essere deiforme, non l’uomo ordinario, ma quello che Dio ha creato nella più
armoniosa delle forme, e che ha posto sulla Terra come suo ‘vicario’. Secondo
tale visione, su che cosa si fonda il vero possesso di Dio? Per il nostro
autore l’uomo non deve accontentarsi di un Dio pensato, poiché se passa il
pensiero, passa pure Dio. Egli deve possedere invece
un Dio vivente, un Dio che non passa, e questo Dio è nascosto nel fondo
dell’anima; ma tale divino non si risveglia se non attraverso un inviato
dall’Alto. Nella prima fase, quella dell’incarnazione e di spogliamento, è la
Misericordia di Dio che lavora; nella seconda fase, che è la Via che, dall’incarnazione,
conduce alla Meta, è l’uomo, ovvero l’essere divino
risvegliato che opera. Si disilludano coloro che pensano
che nell’uomo vi sia il divino e che questo possa evolvere senza una
preliminare incarnazione: costoro, sebbene a volte nominano il Nome benedetto e
si ritengono cristiani, nulla sanno delle reali operazioni di Dio nell’anima.
Per Georg Riehle la meta dell’universo è l’uomo, e l’uomo è il luogo delle rivelazioni di Dio. In lui vi è uno
slancio d’amore verso il suo Signore, difficilmente riscontrabile in altri
mistici: la sua aspirazione spirituale può essere paragonata a quella delle
‘Prediche’ di Giovanni Eckhart e del ‘Cherubino pellegrino’ di Angelus
Silesius. È necessario perciò collocare questo autore nel filone della mistica cristiana, perché
diversamente non se ne ha un sentore cristallino: il suo, infatti, è un cristianesimo
interiore. È, come dire: in ciascuno di noi vive un Gesù, ma finché in noi non
si manifestano le doglie del parto, il nostro Gesù non si manifesta.
Quindi l’importanza e il significato dell’incarnazione sta nel fatto che essa non è semplicemente un evento
accaduto 2000 anni fa, ma un avvenimento che può rinnovarsi nel momento
attuale. – “Perché Dio si è fatto Uomo?”, si chiede Riehle? Lo
ha fatto affinché Iddio potesse nascere nell’anima, e l’anima rinascere
in Dio. Dio, difatti, ha mandato il Suo unigenito Figlio nel
‘mondo sublime’ sul quale gli angeli fissano lo sguardo. E qual è questo
mondo sublime scrutato dagli angeli? Tale mondo è il fondo dell’anima, dove
risiede la Scintilla divina apparentata con Dio e più sublime degli stessi angeli.
Il nostro autore parlerà dunque di questa rinascita, e come essa
si possa realizzare in noi, così da giungere fino alla Meta ardentemente desiderata.
Però, se Georg Riehle possiede veramente tale conoscenza, da
dove l’attinse? Qualcuno dirà: “Da Jakob Lorber, il
padre suo spirituale!”, ma attraverso quali esperienze, attraverso quali conflitti
interiori, sconfitte e trionfi? Da dove gli venivano quell’esperienza e quella
cognizione della vita interiore che costituiscono l’essenza del suo
insegnamento e la cosa più alta che egli deve comunicare? Qui ci inoltriamo in
un terreno misterioso. Curiosamente si conosce poco della vita del fratello Georg
né quali esperienze lo abbiano formato e plasmato. È vero che lui stesso
racconta alcuni fatti accadutigli durante la sua vita, ma intorno al modo in cui
acquisì il suo sapere e soprattutto la sua esperienza spirituale si sa
pochissimo. Sicuramente Iddio lo introdusse nelle profondità del proprio ‘io’,
e tale esperienza lo portò alla scoperta della sua
alta Meta.
Georg Riehle conobbe gli scritti dello scrivano di Dio,
Jakob Lorber, il grande mistico austriaco ottocentesco; ma a differenza dello
scrivano egli segue una sua via diversa, quando, raggiunta la sua alta Meta, si identifica con il Cristo. Vero è che il nostro autore ha
come punto di partenza le nuove Rivelazioni date a Lorber, ma nel periodo della
sua maturità sperimenta personalmente la conduzione di nostro Signore. Nel
1933, nella raccolta ‘Meditazioni domenicali’, affermava già: «Negli anni passati mi sentivo beato quando
potevo leggere le opere della ‘Nuova Rivelazione’. Allora dicevo: “Quando
lascerò questa Terra, vorrei portare con me i miei libri”. Oggi però dico: “Oh,
quanta beatitudine provo per non aver bisogno di alcuna rivelazione esteriore, giacché
la porto in me stesso, e al posto dei libri mi porterò questa Vita che mi
palpita dentro”»[1].
In realtà ogni rivelazione esteriore tramite la Parola interiore, ci fa scorgere solo lontanamente cosa avviene nell’uomo
interiore allorché gli si apre la vita divina, ma nulla di più! A parte le
guarigioni miracolose ricevute, in diversi passi sembra
alludere a qualcosa che forse egli stesso sperimentò e che costituisce il punto
di partenza. Uno tra tutti quando parla dell’intercessore Pathiel[2],
il fanciullo davanti al quale il Creatore apre il Suo
cuore e racconta dei danni causati fin dall’eternità dal suo acerrimo nemico,
che in quest’Opera appare perfino sotto le sembianze di un drago. Nella riflessione
del nostro autore riportata nel libretto ‘Georg Riehle, cinquant’anni pioniere del
divino Amore’, nel capitolo 17 dal titolo ‘L’Atto più grande’, lui riferisce: «Allora il Padre Celeste parlò con Pathiel e gli chiese se dovesse distruggere il drago. Ma
negli occhi del fanciullo luccicò una lacrima, ed egli
rispose: “No, non bisogna distruggerlo, giacché noi vogliamo aiutarlo!”». Queste parole sembrano quelle di Luca 13,7, allorché il vignaiolo si assunse la responsabilità di curare
il fico.
Perché Pathiel consiglia al Padre
di assumere questo atteggiamento? Pur essendo un fanciullo, egli ragiona come nel Vangelo ragiona quell’uomo
nobile del fico sterile (l’uomo che ha rinunciato a
se stesso) il quale, per esperienza, sa che l’uomo quando è reso umile
dalla coscienza della propria fragilità, quando arriva alla visione degli
abissi del proprio cuore, anche di fronte alle tentazioni non si stupisce, non
si dispera, anzi con fede e umiltà attende che un giorno il Signore gli faccia
raggiungere la Sua alta Meta. In questa lotta lo sosterrà la preghiera, e se
egli persevera in essa, la ferita dal peccato viene
risanata, e poco per volta il suo cuore si dilata, e tutto ciò che all’inizio
sembrava aspro e difficile, per dono del Signore, diventa come naturale.
È per questo motivo che alla presente raccolta abbiamo dato
il titolo di ‘Rivelazioni delle Misericordie di Dio’. Infatti, sebbene è della generazione di Dio nell’anima, cioè della divina
alta Meta di cui qui si parla, l’esperienza basilare rimane la santa lotta che
l’anima deve affrontare per giungere al Suo divino Modello.
Perciò il termine ‘misericordie’ sta
proprio a dire che il protagonista principale della perfezione di Georg è Dio stesso,
piegandosi lui con docilità, perché la sua anima possa essere trasformata nell’immagine del Suo Figlio prediletto, nel quale Iddio si
identifica. Quindi in quest’opera è registrata, in un
breve compendio, la vita dell’uomo che narra le grazie che la divina Maestà si
è degnata di fargli nell’aprire la liberissima mano delle sue infinite
misericordie. Il nostro autore, rievocando dunque la sua vita, si accorge che
questa è stata guidata soavemente e fortemente da Dio, il Quale l’ha condotto
nella ‘divina Cella dell’Amore’, per le eterne Nozze
con la Sua Scintilla divina. In realtà tale Scintilla, descritta come la grande
felicità, designa la ricezione immediata delle Misericordie divine, e in Ia Timoteo
6,20 è chiamata ‘deposito’ perché è un attributo concesso unicamente all’uomo
perfetto che è il Cuore dell’universo, e comunicato da lui all’intera
Creazione.
*
Quindi, tutto ciò che ci è dato
sapere con sicurezza è che dalla ricchezza del suo cuore, Georg Riehle
diffondeva la sua esperienza; e ogni sua pagina lo mostra come uno che parlava
con autorità, ‘non come gli scribi’. Egli non comunicava, come qualcuno ha
creduto, alla maniera dei medium, ma il divino rivelante era il Cristo risorto
in lui. Il fatto che di questi scritti si siano interessate persone che nulla
sapevano della divina figliolanza, ha fatto sì che ne risultasse
una spiacevole contraddizione. Sono opere da prendersi con riverenza, perché
qui è il Signore che parla: non un Signore che enuncia dagli spazi elevati, ma
un Signore che si incarna e si autogenera
nel cuore dell’eletto, per rivelare le realtà e le magnificenze spirituali dei mondi
interiori.
Il fratello Georg non è perciò interessato a fenomeni di trance,
visioni, estasi, strani fatti psichici o abnormi stati di cognizione, giacché egli
si preoccupa quasi unicamente dell’Unione, cioè di come
Dio e l’uomo confluiscano insieme e diventino Una cosa sola.
Ciò che la ‘grazia santificante’ opera attraverso la
Scintilla divina, è la nascita del Verbo. Il Logos, Figlio unico di Dio, ha
preso un corpo di carne, affinché gli uomini, giustificati dalla grazia,
ritornino a Dio, in Lui e per mezzo di Lui. Questa Dottrina della nascita del
Cristo nell’anima che si è rinunciata è il cuore stesso della mistica del
Riehle, il fuoco che la illumina tutta. Il fratello Georg l’ha tratta
soprattutto dai testi giovannei e paolini. Le sue asserzioni più paradossali,
più audaci, si spiegano se si leggono in questa prospettiva i seguenti passi: Salmo 82; Luca 17,21; Giovanni 17,21-24; Ia
Giovanni 3,1-2; IIa
Pietro 1,4; Romani 8,17; Ia
Corinzi 12,27; Ia
Corinzi 3,16-17; Galati
2,20.
*
A questo
punto possiamo inoltrarci nel nostro viaggio spirituale sotto la guida del
fratello Georg, ma prima di iniziarlo c’è qualcosa di cui dobbiamo tener
presente. Esistono due cammini assai diversi per raggiungere la tanto agognata
Meta. Se assimiliamo il viaggio spirituale ad
un’ascesa verso un monte, i due diversi cammini si configureranno così: il
primo sarà come un sentiero tortuoso che gradualmente si avvicina alla vetta.
Si tratta di un cammino lento ma sicuro. L’altra via prende d’assalto la vetta
in modo diretto, aggredendo senza esitazione la parete rocciosa. Si tratta di
una via che va diritta al suo scopo, ed è quella intrapresa dal nostro autore.
Secondo Georg, prima di tutto bisogna trovare Dio
nell’intimo più profondo di sé, e ciò si consegue mediante il distacco e l’abbandono
di tutto ciò che non è Dio, finché non scatta in noi una ‘scintilla’ di
consapevolezza che egli chiama ‘nascita di Dio nell’anima’.
Ma questa esperienza non è quella finale, perché si
tratta semplicemente di un inizio. È da questo momento che l’eletto ascende
gradualmente ed esplora molte cose prima trascurate: tale processo va avanti finché
la ‘Scintilla’ divina non giunge ad illuminare tutta
l’anima. Ma questo è il lavoro di un’intera esistenza,
giacché il Dio nato deve plasmare l’Immagine del Figlio nella Sua età adulta.
Insomma, il fratello Riehle ci invita non solo a credere e ad amare Dio, ma ci
chiama soprattutto a conoscerLo, invitandoci a provarLo. E la conoscenza non si accontenta di una
rivelazione qualsiasi di Dio o di un riflesso della Sua Gloria, perché essa
anela a Dio stesso. Infatti, nell’alta esperienza di un’unione con Dio, l’‘Io’
e il ‘Tu’ non restano separati, poiché la Scintilla
divina non si accontenta di un simile stato di cose: essa vuole spingersi fino
all’Unità, finché spariscano l’‘Io’ e il ‘Tu’. In questo modo non si è più
soltanto come Dio, ma si diventa ‘Dio’. Ecco perché la conoscenza è quell’ardente
anelito ad essere una cosa sola con Dio.
Questo avviene nelle ‘Rivelazioni’ del nostro fratello Georg
Riehle. Colui che parla e la sua parola non sono due
‘dei’, ma un unico e identico Dio. Dio, nella persona di Colui
che parla, è chiamato ‘Padre’, perché tale termine designa uno che da’
origine. Invece Dio, nella persona in cui viene
espresso, è chiamato ‘Figlio’, perché il termine designa uno che è generato o
originato. E la Scintilla divina è il luogo d’incontro tra il Pronunciatore e il Pronunciato!
Secondo il fratello Georg, tra tutte le creature, solamente
l’uomo possiede l’impronta dell’immagine di Dio [Genesi 1,26]. È per questo che l’uomo è più prezioso di ogni altra
creatura, perché solo in lui si è compiaciuto il Signore. Tale Immagine è
deposta nel fondo del cuore dell’uomo come divina Scintilla, affinché gli fosse
possibile vivere la vera vita. Santo o peccatore, buono o malvagio, credente o
non credente, l’uomo resta immagine del Dio che, nel Suo Amore, lo ha pensato, lo ha amato e lo ha voluto vivente. È vero
però che se l’uomo non ha ancora intrapreso il suo viaggio di ritorno, tale
Immagine resta offuscata, ottenebrata dall’insipienza, e dall’ingannevole
complicità con il male. Adamo, trasgredendo il comandamento, ha rotto, infatti,
la relazione con Dio; e l’umanità adamitica, divenuta peccatrice, ha
occultamente assunto l’immagine dell’avversario. Alla comunione con il Signore
della vita, l’uomo ha preferito la comunione con il serpente. Ma anche chi è sprofondato nel male può diventare un vaso d’elezione
[Atti 9,15].
*
Gesù Cristo è venuto appunto per mutare le nostre anime e per
renderle partecipi della Natura divina [IIa Pietro
1,4], cioè per dare ad ognuna di esse un’anima
celeste, che è lo Spirito della Divinità. Occorre dunque rientrare in se stessi
e, dal profondo del cuore, iniziare il cammino di
ritorno. L’anima ha bisogno di una Scintilla divina, lo Spirito Santo, che
rimetta in ordine la casa avvolta dalle tenebre [Luca
15,8-10]; ha bisogno che il radioso Sole di giustizia risplenda nel
cuore, ed ha bisogno di un’arma spirituale con la
quale vincere la lotta. Ora da se stessa, essa non è in grado di trovare e
distinguere i propri pensieri, ma quando in lei si accende la Scintilla o
Lampada divina, questa illumina tutto ciò che è avvolto dalle tenebre. È così
che l’anima vede i suoi pensieri sepolti nel fango del peccato: il Sole spunta
ed essa scorge la propria rovina, e comincia a recuperare i suoi pensieri che erano
mescolati alle sozzure e al sudiciume. Perciò Dio nel Suo Amore non abbandona
l’uomo, e nella Sua bontà si fa piccolo e scende dalla Sua Gloria
irraggiungibile, rivestendosi di un corpo terreno. Così s’introduce nelle anime
sante a lui gradite e fedeli, le prende con sé e diventa con esse un solo
Spirito [Ia Corinzi 6,17]. Ecco come Iddio genera eternamente
il Suo Figliolo, ed è quest’esperienza che costituisce propriamente il ‘Ritorno di Cristo’ [Giov.16,7;
14,3]. Infatti, agli occhi del fratello Georg, l’uomo di Dio è più di un
semplice credente, egli è ‘un ubriaco senza vino’, un re
poveramente vestito, un tesoro in un cumulo di rovine, è uno sconfinato mare, e
possiederà cento Lune, cento Cieli e cento Soli. L’ultima verità nascerà dalla
sua sapienza, ma questa
non verrà dai libri.
Quindi, quest’immagine nascosta, ma non definitivamente perduta,
può essere rigenerata. Infatti, nello stesso momento in cui Dio esce da Se
stesso per abbracciare l’uomo, l’uomo esce dalla
chiusura del proprio ‘io’, dall’amore di sé, dalla presunzione di essere
qualcosa. Cristo, buon Pittore, attende di poter dipingere la Sua immagine nel profondo del cuore di chi si volge a Lui. È
con questi ‘altri’ occhi che il discepolo del Signore legge la sua vita, la sua
storia, e vede i fratelli e ogni uomo con uno sguardo nuovo. Egli ascolta con ‘altri’ orecchi, e impara a pensare secondo i pensieri di
Dio. Ecco perché ‘altro’ diviene il suo modo di vivere, di parlare e di agire
rispetto a quello del mondo.
Molti riducono la loro fede ad alcuni atti religiosi
esteriori, fanno discorsi spirituali senza aver gustato ciò che pronunciano; si
dicono cristiani, ma in realtà differiscono dal mondo solo in apparenza, perché
non si sono curvati sul proprio cuore per vedere i mali che tengono prigioniera
l’anima. La trasformazione inizia da questo rientrare in se stessi, nelle
profondità del proprio cuore. Per grazia, illuminati dallo Spirito,
riconosciamo la nostra miseria e le misericordie di Dio, il nostro peccato e il
perdono che ci è offerto in Cristo. Chi quindi si
considera convertito senza prima aver combattuto
contro le passioni dell’anima, s’illude e s’inganna perché non discerne le
sottigliezze del male, e non comprende che lo sviluppo, dall’infanzia alla
perfezione in Cristo, avviene progressivamente sotto la guida dello Spirito
Santo.
Occorre dunque che l’uomo lavori la terra del proprio cuore e si sforzi, perché
Dio esige da esso impegno e lavoro; ma se dall’alto non appaiono le nubi
celesti e le piogge della grazia, a nulla serve che il contadino si affatichi.
Bisogna entrare nelle invisibili profondità del cuore ed
uccidere il serpente, tramite Colui che è stato crocifisso per noi, perché, come
lo conferma Simeone, il nuovo teologo, l’uomo ha ricevuto l’ordine di diventare
Dio, e riportare Dio a Dio!
Ma come si diventa dimora del Signore? Il Trono della Divinità
sul quale il Signore si siederà e si riposerà, è il nostro cuore. Dobbiamo
dunque volgere i nostri occhi al Signore, credere in Lui e amarLo,
rigettando ogni altra cosa, affinché Egli ristabilisca la Sua immagine celeste nelle
nostre anime. Quanto più l’uomo spirituale è immerso nell’abisso di Grazie e di
Luce, tanto più si considera bisognoso e povero. Tale pensiero è radicato in
lui fino a diventare naturale, e quanto più avanza nella conoscenza di Dio,
tanto più si stima ignorante; e quanto più impara, tanto più ritiene di non
saper nulla. È per mezzo delle visite divine che giornalmente avvengono nel
cuore dell’eletto che questi riceve il dono della divinizzazione, diventando figlio
ed erede [Efesini 1,11]. A un tale uomo gli vengono aperte le porte di molte dimore [Giov.14,2], e quanto più penetra in esse, tanto
più numerose sono le stanze che visita. In questo modo egli diventa ricco, e
quanto più si arricchisce, tanto più gli si manifestano nuove meraviglie, le
quali gli sono affidate come a un Figlio, a un Erede.
Queste sono cose che la natura umana non è in grado di esprimere, che bocca e lingua
non possono descrivere.
Quando il Signore avrà visto come Lo cerchi e come riponi
continuamente in Lui ogni tua speranza, allora ti istruirà
e ti farà dono della vera preghiera e della vera carità.
Le parole mistiche, pronunciate in un’inebriante estasi
d’amore, ‘io sono Te, e Tu sei me’ devono essere riscritte
così: ‘Io sono te, e tu sei Me’, perché al contrario si cade nel panteismo[3]
come il serpente antico. Infatti, solo il Signore può pronunciare in noi tali
parole, quando noi, morti a noi stessi, ci siamo abbandonati nelle Sue mani,
così che in noi, l’incarnato, possa pronunciare l’‘Io sono’.
A proposito del mondo dell’anima, Georg Riehle sembra ispirarsi
all’opera lorberiana ‘Il Sole spirituale’. Egli
riconosce, per diretta esperienza, che la Scintilla dell’anima è il Trono dal
quale si dipartono i divini pensieri, e attraverso cui l’anima umana attualizza
il suo mondo, il mondo che gli è proprio, che
diventerà la Sua divina immagine. Nella sua essenza l’anima è un universo
sostanziale, costituito da avvenimenti materiali, da Sfere celesti mobili e immobili,
da elementi e da composti. Si tratta dei possibili mondi contemplati dall’uomo,
giacché Dio ha creato l’anima come immagine di Se stesso riguardo all’essenza,
agli attributi e alle operazioni, affinché tale scala conducesse alla
conoscenza dell’anima stessa, e quindi alla conoscenza di Dio. Il Regno dell’anima
è dunque un mondo reale che racchiude le immagini delle sostanze e degli
avvenimenti sia materiali che immateriali: è questo
che il nostro autore intende per ‘pensieri creativi’. Non ci si meravigli se i profeti-mistici ispirati ammettono che l’Anima sia
creatrice di forme e di immagini mentali che costituiscono il proprio mondo
interiore.
Se la
‘Veste’ rappresenta l’Immagine originaria dell’eletto, la ‘Perla’ simboleggia
la sua anima, cioè il suo Regno celeste [Matteo
13,45-46] disperso nel paese della dissomiglianza [Luca 19,12]. Infatti, è nelle estremità della sede del Cuore del Regno di Dio che è nascosta la
Perla che rappresenta l’uomo perfetto. Tale conquista, insieme al rinvenimento dell’immagine
primordiale, rappresenta per Georg Riehle la divina alta Meta. È così che l’anima
nella quale vive il Cristo, termina il Suo percorso. Essa, ritornata al Padre
attraverso il Figlio Unigenito, personifica ormai il suo Esemplare eterno in
Dio.
*
Non bisogna dimenticare che quando nelle riunioni il
fratello Georg predicava, toccava quegli argomenti che egli sapeva potessero
interessare gli ascoltatori, i quali erano per tutte le categorie sociali e per
tutti i gradi evolutivi, senza entrare troppo nei particolari, vista la
scarsità di tempo e la vastità degli argomenti stessi. Inoltre, di quanto egli
diceva, improvvisando, veniva preso nota non sempre da
persone all’altezza di farlo, e quanto viene riportato nell’opera stampata non
è che il riassunto dei suoi discorsi.
Quindi Georg Riehle non scrisse quasi niente di suo pugno, e
le opere fin qui pubblicate sono perciò audizioni stenografate dai sui ascoltatori. La prima cosa che trapela da alcune
rivelazioni è che l’impeto dell’Amore divino attraverso un essere umano non
avviene con linguaggio umano, ma con ispirazioni e
visioni. E dal contenuto delle rivelazioni stesse si sente che tali immagini e
vibrazioni si sovrappongono talmente che è quasi sovrumano, da parte del
mistico, tradurle in linguaggio umano. La discontinuità che a volte si osserva nel
discorso è dovuta dunque all’incalzare delle immagini
che si presentano all’anima del mistico, e che egli non fa in tempo a rivestire
tutte di linguaggio umano, così da dover afferrare e mettere per iscritto
quello che gli sembra più saliente, lasciando al lettore di completare le
eventuali mancanze.
Forse la maggiore difficoltà d’intendere le sue rivelazioni nasce dal fatto che non sempre è palese la distinzione tra
‘Divinità’ e ‘Dio’, come è ben rappresentato sul frontespizio della presente
opera, dal diagramma dell’Uno Unifico e delle molteplici teofanie[4].
Non solo, ma in queste rivelazioni, un po’ è l’umano, un po’ l’angelico e un
po’ il Divino a comunicarsi; e a volte questi tre modi di esprimere i divini concetti
si accavallano in una stessa meditazione. Per Georg, gli angeli, per quanto
elevati essi siano, devono cooperare e prestare la loro opera alla nascita di
Dio nell’anima: in questa nascita essi provano piacere, gioia, diletto, ma non sono essi che la operano. Questa non è opera
degli angeli, anzi, l’opera degli angeli è qui un
servizio. Però le cose si complicano perché vi sono uomini usati come angeli, ed angeli che si presentano come uomini.
Non bisogna dimenticare tuttavia che Riehle, pur essendo
aperto alle manifestazioni dello spirito, non è ricco dal punto di vista
letterario, e dispone di un numero di vocaboli
piuttosto limitato e uniforme. Cosicché a coloro che si dicono ‘intellettuali’
e che tengono molto alla forma, il testo di quest’opera potrà apparire, nella
sua semplicità, come una cosa misera e quasi infantile. È con questo spirito che
si devono leggere scritti del genere, per bandire da sé ogni velleità di
critica che dovesse riguardare la forma, perché altrimenti ciò impedirebbe a
chi legge, di apprezzarne la sostanza nel suo giusto valore, e di ritrarre quel
beneficio che, Colui che ispira, destina agli uomini
di buona volontà.
*
Georg dirà
che la ‘scienza dei santi’ non è la scienza delle
scuole. Essa non insegna, ma trasforma rendendo spirituale chi la possiede. E una
tale Sapienza non si apprende tanto nei libri e nelle accademie, quanto
piuttosto dal Libro della vita e ai piedi della croce. Essa confonde i filosofi
e i teologi perché è una disciplina del tutto differente, che si differenzia da
ogni altra in quanto appare caratterizzata
dall’assenza di conoscenza. Quindi, scienza, non della
memoria ma dello spirito, non di studio ma di preghiera, non di discorsi ma di
pratica, non di contesa ma di umiltà, non di speculazione ma d’amore, che rende
perfetti e guida i perfetti.
Vogliamo perciò chiudere con un’esortazione particolare,
ritenendo opportuno richiamare il lettore a un atteggiamento di profonda
venerazione per ciò che va conoscendo attraverso queste pagine, poiché, come
già accennato, non sono il frutto dell’immaginazione di un uomo, sia pure molto
devoto, e nemmeno il risultato di una speculazione teologica fondata su dati
storici e non. Quando infatti,
si parla di ispirazione, si esce dall’ambito materiale umano e si entra nella dimensione
spirituale, in cui il vero credente riconosce il divino e il Suo specifico e
misericordioso intervento.
Dunque, per apprezzare pienamente i ‘Georg-Büchelchen’
(i libretti di Georg) è necessario avere un
certo interesse per le cose dello spirito. E giacché queste sono opere che
affrontano temi importanti e non banali, vorrei avvertire il lettore non
abituato, che sentisse una certa ripetitività, di non
fermarsi alle prime impressioni, e di non scordare che chi parla in queste
pagine, anche quando dice cose assai semplici, è un essere che ha raggiunto la
Meta, un essere che sicuramente ‘sapeva’ quel che diceva quando cantava con i
suoi ascoltatori:
“La Sua alta Meta,
nessun uomo può dirtela
appieno.
Solo il cuore del
Padre
che deve battere nel
tuo cuore,
lo può!”
Chi non comprende siffatte
parole, non se ne rattristi. Finché l’uomo non è affine a tale Verità, non può
comprendere un simile discorso, perché questa è una Verità che oltrepassa il
concetto, poiché proviene direttamente da Dio. Georg Riehle parlava con un
linguaggio per anime avanzate ed ha interpretato in senso mistico le domande
del ‘Paternoster’.
Che Dio, dunque, ci aiuti
a desiderare che Egli voglia veramente nascere in noi! – Amen! Amen!
[inizio]
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[1] Per un confronto si veda ‘Il grande Vangelo di Giovanni’
Vol.1, cap.1,4 di J. Lorber
[2] Pathiel, ovvero “Il grande Tempo
dei tempi”, è un’opera poetica di 1510 versi, pubblicata da questa stessa casa
editrice.
[3] Panteismo:
tendenza filosofica che identifica Dio col mondo e con la natura.
[4] Teofania:
manifestazione sensibile della Divinità.