(Rivelazione)

 

Libia  Bertelli  Martinengo

(1950 circa)

 

 

 

GIOVANNI L’ANNUNZIATORE

 


 

giovanni battista.jpg

 

A Maria e Libia,

le mie creature fedeli,

dò, dono, dedico.

Prefazione a cura della Associazione Pitagorica

Commentino a cura degli “Amici della Nuova Luce”

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Il testo originale reso disponibile in pdf da: Associazione Pitagorica

 

© 2011 Libia Bertelli Martinengo

Edizione del 1953 riveduta da Antonino Izzo

 

 

Nota del revisore:

In calce a questa rivelazione, nell’ultimo capitolo ‘epilogo’ (cap. 48), risulterebbe che Pietro, come trasmesso secondo la concezione cattolica, è stato a Roma, nonostante altre fonti storiche rivelate ad altri mistici, spiegano chiaramente che Pietro non andò mai a Roma e morì a Bagdad. Inoltre, sempre nello stesso capitolo al capoverso 25, viene citata la liberta Atte, amante di Nerone, della quale storicamente si concorda che essa fu iniziata al cristianesimo da Paolo e non da Pietro. Peraltro, anche l’episodio del dodicenne Gesù nel tempio al cap. 5 non concorda con altre rivelazioni avute precedentemente da altri mistici. Per queste discordanze è da ritenere che in questo ultimo capitolo la veggente sia stata probabilmente influenzata spiritualmente, o, in parte, dalla sua cultura religiosa cattolica.

 

Personaggi

 

Gesù di Nazareth

Giovanni l’annunziatore

Afra                             ancella di Salomè

Alasco                        mago, collega di Simon mago

Abigael                       mago, collega di Simon mago, ma si è riscattato

Areta                          figlio ed erede di Gamaliel il re del deserto

Aristobulo                  padre di Erodiade

Atte                             amante di Nerone

Baal-Zebuch             il demonio

Barabba                     il ribelle

Baruch                       uno dei maghi, collega di Simon mago

Cabila                         una strega, collega dei maghi

Cuza                          procuratore di Erode

Daida                         anziana schiava nubiana di Erodiade

Davo                          schiavo della casa di Cuza

Domizio Nero            detto Nerone successore di Tiberio

Elia                             l’incarnazione di Giovanni il Battista

Elisabetta                   madre di Giovanni e cugina di Maria

Erode I il grande       padre di Erode Antipa e di Filippo, detto anche Filopatore

Erode Antipa             il legittimo erede al trono della Giudea

Erodiade                    moglie di Filippo, amante di Erode madre di Salomè

Euristo                        discepolo di Gamaliel

Eutimia                       schiava prediletta di Tullia, moglie di Pilato

Filippo                        fratello di Erode Antipa

Gamaliel                    re del deserto, padre di Zuleima

Giovanna                   moglie d Cuza, guarita da Gesù

Giuda                         pseudo discepolo di Gamaliel, il futuro apostolo

Giuseppe                   padre putativo di Gesù

Giuseppe d’Arimatea    seguace di Gesù

Hanna                        sommo sacerdote, sadduceo indicato spesso come ‘pontefice’

Herbioz                      schiavo trace di Ponzio Pilato

Jezabel                      Erodiade reincarnata, personaggio biblico

Tullia Paolina            moglie di Pilato

Macrone                    prefetto di Tiberio, soffocò lo stesso a Capri

Maria                          madre di Gesù

Paride                        citaredo di Salomè

Pilato                          Ponzio, prefetto di Roma in Palestina, amico di Seneca

Poppea                      amante di Nerone

Ruaghi                       la schiava di Barabba

Satana                       il demonio

Salomè                      figlia di Erodiade e di Filippo

Satan-Nael                il demonio

Seiano                       il prefetto del pretorio (primo ministro) sotto Tiberio

Seneca                      maestro di Nerone, diresse la politica imperiale

Simon mago              il mago che fu la rovina del regno di Erode

Simon Pietro              detto Chefa, apostolo del Signore

Sofronia                     nutrice di Giovanna

Tiberio                        imperatore di Roma

Tigellino                     prefetto del Pretorio sotto Nerone

Tito                             imperatore romano, distrusse Gerusalemme

Trace                         schiavo fedele di Pilato

Tropheo                     il carceriere di Erode

Vergulo                      un còmito di Erode

Zaccaria                    sommo sacerdote e Padre di Giovanni

Zebedeo                    discepolo di Gamaliel

Zimbla                        moglie di Barabba

Zobeida                     l’assira ancella di Erodiade

Zuleima                      moglie legittima di Erode e figlia di Gamaliel

 

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Capitolo 1

« Io sono la voce di uno che grida nel deserto:

 preparate le vie del Signore»

                        1.                   Era un meriggio assolato, le montagne della Galilea sostavano sotto il Sole come una mandria di corpulente e tristi mucche assonnate. Ai margini della montagna, il deserto pietroso e salino (ch’era stato un fondo di mare) si stendeva sotto il Sole, appunto, come un immobile mare. Qua e là sinistramente luccicava la calce di un mucchio di irriconoscibili ossami. Lontano, a perdita d’occhio, un luccichio azzurro che, a tratti, brillava e spariva: il Giordano semi secco. Calura, Sole, silenzio e solitudine quasi corporea, tanto la sua sensazione prendeva alla gola ed era presente in ogni riposta piega del panorama spietato.

                        2.                   Ma pure, in quella che pareva assoluta sospensione di vita, due esseri vivevano e pensavano, due esseri sopra i quali nulla poteva il deserto, né la calura, né il silenzio oppressivo, essere la solitudine piena. E questi due esseri, almeno apparentemente, si ignoravano tra di loro. L’uno, un vecchio, vestito come un beduino, con una sorta di candido barracano[1] che lo avvolgeva interamente, era seduto sopra un masso, immoto sotto il Sole, con il profilo da sparviero, addolcito solo dallo sguardo di due inverosimili occhi azzurri rivolti verso il Giordano lucente; l’altro, un fanciullo sì e no settenne, nudo come un verme, ad eccezione di uno straccio intorno alle reni, color del bronzo fuso, magro come una cavalletta affamata che, dissimulandosi dietro un cumulo di ossami, cercava di avvicinarsi, non visto, al beduino immoto; ma un largo tratto di sabbia bianca e bruciante lo separava e, se voleva accostarsi, non poteva farlo che palesemente.

                        3.                   Il fanciullo esitò lungamente poi, decidendosi, si alzò in piedi e attraversò lentamente – con una strana dignità – il tratto assolato dirigendosi verso il beduino che non aveva mutato il suo atteggiamento, pur avendo subito notato il minuscolo abitante del deserto.

                        4.                   A tre passi di distanza il fanciullo si fermò e, portate le mani al petto, fece un rispettoso salaam; rialzandosi, fissò sul beduino lo sguardo ardito di due occhioni neri morati, pieni di una fiamma segreta e inespressa, dicendo: «Padre, che cosa aspetti nel deserto?».

                        5.                   Il beduino voltò il capo appena appena e, balenando nell’occhio dolce e severo un accenno di sorriso, rispose: «E tu, lucertola?».

                        6.                   «Non so, Padre, amo il deserto e le sue voci, e spesso ho il cuore gonfio di pena, ma pure ad alta voce il deserto mi chiama... mi chiama... e corro a lui dalla mia casa; non ho paura della iena. Così ti ho visto più lune, ti ho amato come il destro, ho voluto sentir la tua voce per sapere se anche a te parla nella notte il grande Spirito solitario».

                        7.                   Il beduino ascoltò con attenzione lo sconclusionato discorso del bimbo e, quando tacque, non rispose subito, compiacendosi di fissare in quei begli occhioni morati, il suo azzurro sguardo di aquila. Poi, lentamente, disse: «Sì, lucertola, anche a me si manifesta il grande Spirito solitario, ed io pure amo il deserto. Forse il deserto da molte lune mi ha parlato di te, perchè sapevo che ti avrei incontrato, ma non mi aveva detto che eri una lucertola così piccola! Sei dunque tanto infelice tra gli umani che, cosi infante, cerchi la compagnia delle iene e degli scheletri? Non hai una madre che stia in pena per te, una sorella che ti canti a sera le dolci leggende degli elohim?».

                        8.                   «Non sono infelice tra gli uomini, ma mi annoiano, essi non sanno tacere né parlare, e ridono se parlo loro del grande Spirito solitario! Ho madre e padre. Mio padre serve nel Tempio: è il sacerdote Zaccaria».

                        9.                   Il beduino accennò con il ciglio un sì: «Lo conosco! Degno e venerabile uomo la cui fama è giunta lontano... Ma allora, se tuo padre è il sacerdote Zaccaria, tu sei Giovanni, piccola lucertola?».

                     10.                   «Sì, sono Giovanni».

                     11.                   «Vedi, bimbo, il grande Spirito solitario non ha ingannato me, né te; ci ha chiamati nel deserto perchè ci dovevamo incontrare. Più tardi dovrò dirti qualcosa, Giovanni, ma ora è presto; torna da tuo padre e digli: “Gamaliel, il beduino ti saluta con il saluto della pace, e ti rimanda dal deserto Giovanni del deserto”. Ti ricorderai, bimbo?».

                     12.                   «Sì, padre, rispose serio il fanciullo: ma ti vedrò ancora?».

                     13.                   Il beduino mise sulla nuda spalla del bimbo una mano stranamente bianca e morbida e, chinando il volto in modo sparviero verso l’arruffio bruno dei riccioli infantili, rispose: «Tra quattordici lune torna al deserto, avrò allora da dirti qualcosa, ma fino a quel momento rimani con tua madre e dalle gioia; rimani con tuo padre e servi con lui nel Tempio all’Elohim Jehova. Servi con fedeltà assoluta rituale, non domandare nulla neppure a te stesso. A suo tempo capirai da te senza bisogno di domandare, sii libero come il deserto, capisci?».

                     14.                   «Sì, padre!».

                     15.                   «Soprattutto sii libero, perchè l’uomo ha in sè il suo padrone, esso si chiama ‘abitudine’».

                     16.                   Il vecchio e il fanciullo tacquero guardandosi negli occhi con uno sguardo grave come un giuramento. Poi, senza una parola, senza un saluto, si voltarono le spalle allontanandosi in opposte direzioni, mentre tra loro il deserto si frammetteva con la sua luce e il suo silenzio, come un fluido eterico.

* * *

                     17.                   Nella silenziosa maestà del Tempio del Signore, il vecchio Zaccaria attendeva alle funzioni del suo stato; assorto in una dolce meditazione tale da metterte una luce umida nel suo sguardo, spento dalla vecchiaia, più che meditare, ricordò quanto otto anni prima gli era capitato in quel medesimo Tempio. Riudì nel ricordo, la voce pacata e staccata dell’annunziatore invisibile e la forma dell’incredibile annunzio e, nella lotta del dubbio, la conferma della controprova data come una punizione. Rivisse i mesi dell’attesa trepidante; rivisse la bella nazarena gravida anch’essa di un parto divino, la quale aveva affrontato il rischio e il peso del lungo viaggio per trovare nella gravidanza misteriosa della cugina la conferma della propria, e risentì l’afflato[2] del soffio divino che, alla nascita prodigiosa dell’Atteso, a lui era uscito dalle labbra dischiuse in un profetico inno.

                     18.                   Da allora erano passati anni, le immagini si erano scolorite, gli avvenimenti erano stati dimenticati, ma vivo era rimasto l’avvenimento di cui il piccolo Giovanni era la prova vivente.

                     19.                   Il piccolo strano Giovanni! L’amore e il tormento della vecchia Elisabetta, la causa della sua perenne ansietà per le solitarie scorribande nel deserto con le allucinate notti piene di visioni, con il fuoco profetico bruciante come una fiamma nei grandi occhi morati del figlio, sbocciato dal grembo sterile, come un fiore prodigioso nella pietraia del deserto.

                     20.                   Il vecchio sacerdote trasalì improvvisamente. Qualcosa lo aveva toccato traendolo dalla sua astrazione e, subito, vide che questo qualcosa era la manina bronzea del figliolo che l’aveva raggiunto nel Tempio camminando silenziosamente sui piedi nudi.

                     21.                   «Tu?» – farfugliò Zaccaria. – «Che ci fai qui? Esci, non devi entrare nel Tempio seminudo! Non sai che qui c’è lo Spirito di Dio?».

                     22.                   «Sì, padre, ma in che cosa può Egli offendersi? Sono pulito, ho fatto il bagno e porto a Lui il corpo che mi ha dato. Non ripeti spesso tu, padre, che nudi usciamo dalla mano di Dio, e nudi torniamo a Lui?».

                     23.                   «Sì, ...sì, ...ma vedi, ...il rispetto al luogo santo, ...ai fedeli!».

                     24.                   «Allora, non a Dio?». – Zaccaria preferì interrompere e, preso per mano il figlio, uscì dal Tempio. – «È durata poco stavolta la tua scorribanda nel deserto», riprese a dire non appena furono nel pronao[3].

                     25.                   Il bimbo levò il suo visetto grave nel rispondere: «Sì, e per ora non vi torno più».

                     26.                   «Dio sia lodato!» – esclamò Zaccaria. – «…e a che si deve questa bella decisione?»

                     27.                   Un lungo silenzio da parte del piccolo, poi, con quel tono assente ch’era in lui una caratteristica, per la quale il discorso somigliava a un soliloquio, Giovanni riprese: «Alla fine l’ho incontrato, sai? E mi ha detto di salutarti con il saluto della pace».

                     28.                   «Chi hai incontrato?».

                     29.                   «Gamaliel!».

                     30.                   «Chi?».

                     31.                   «Gamaliel!».

                     32.                   «E chi è costui?».

                     33.                   «Il vecchio del deserto di cui mi aveva parlato lo Spirito solitario; anche a lui aveva parlato e mi aspettava».

                     34.                   «Mah! Parli di un uomo o di una visione? ».

                     35.                   «Di un uomo!».

                     36.                   «Di un uomo? Bene, e che ti ha detto?».

                     37.                   «Mi ha detto di salutarti con il saluto della pace, perchè sei un vecchio e venerabile uomo, e aggiunse di ritornare al fianco di mia madre per darle gioia, e al tuo fianco per servire nel Tempio all’Elohim Jehova, ...e che tra quattordici lune lo rivedrò nel deserto».

                     38.                   «Uomo o spirito che sia, sia comunque benedetto colui che ti ridà ai tuoi genitori. Così, così, dunque ti ha detto questo Gam... Gamaliel?».

                     39.                   «Sì, padre, e voglio dar gioia a mia madre e servire con te all’Elohim Jehova».

                     40.                   «Oh, Giovanni, che cosa buona oggi mi porti! Dunque, andiamo a casa, e domani entrerai tra gli accoliti di Jehova».

                     41.                   «Dell’Elohim Jehova, padre?».

                     42.                   «Ma no, …piccolo, Jehova è il Signore; il Santo non è proprio un Elohim! Gli elohim Lo servono».

                     43.                   «Ma, che ti prende?» – gridò Zaccaria affrettandosi a sostenere il figlio che, rigido, livido nel volto, con gli occhi sbarrati, cadeva all’indietro. – «Giovanni! Giovanni! Signore dei padri! Che succede, Giovanni?». Ma Giovanni, muto e immobile, rigido, gelido, non dava segno di intendere o di rispondere. D’un tratto un grande sussulto lo scosse, un rantolo rauco uscì dalla bocca contratta, e il corpicino si erse terribile, quasi duplicato in altezza, mentre dalle labbra infantili usciva, con un grido, una voce stentorea...: «Ed ecco che io… ‘sono la voce che grida nel deserto. Preparate le vie del Signore! Fate che le vie storte diventino dritte e le aspre addolcite; siano abbassate le montagne e colmate le valli, perchè sta per venire il giorno del Signore!».

                     44.                   «Onnipotente Iddio», – gridò Zaccaria – «…ecco che lo spirito è sopra di lui!».

                     45.                   «Chi sei, spirito? E in nome di chi parli?».

                     46.                   “Io sono Elia e vivo in questo corpo, e condurrò le genti a penitenza per mezzo di questo corpo e sarò come un’alba, e dopo di me verrà il Sole e io sarò come il lampo, e dopo di me verrà il tuono, perchè i tempi si sono adempiuti e le promesse furono compiute. Tu non dovrai ostacolarmi fino a che il Tempio non sarà distrutto e riedificato”.

                     47.                   «Elia! Elia, abbi pietà del corpicino che squassi, lasciami ancora mio figlio», pregò Zaccaria cercando con le sue deboli vecchie braccia di trattenere l’invasato!

                     48.                   Intanto un gruppo di fedeli e di popolo si era riunito intorno al pietoso spettacolo, e le parole dello spirito risuonavano sbigottendo i presenti.

                     49.                   « ... ecco che il Re di giustizia viene, piegherà il ginocchio innanzi a Lui ogni creata carne».

                     50.                   «Dunque il Messia verrà?» – interruppe la voce corale del popolo. «Verrà a salvare Israele?».

                     51.                   «Egli è già venuto e salverà tutte le genti che onoreranno il Suo nome».

                     52.                   «Dicci dunque chi è? Sei forse tu stesso?».

                     53.                   «No, non sono io. Io vi battezzerò nell’acqua, ma Lui vi battezzerà nel fuoco e Spirito Santo. Vi svelerà il segreto del Tempio. Vi salverà!».

                     54.                   Il delirio dell’invasato era giunto al suo culmine; due uomini robusti non potevano frenarne l’impeto impetuoso.

                     55.                   Eretto nella persona, appena sfiorante la terra con i piedini, con la tempestosa chioma piena di raggi, la bocca arsa dal grande grido, gli occhi che vedevano l’Invisibile, Giovanni era la vivente immagine di Elia sul carro di fuoco. La mano minacciante si stese.

                     56.                   «Guai a te generazione perversa e indolente, se non ti piegherai a penitenza!».

                     57.                   Ma la possessione cessò di colpo. Crollò tra le braccia degli astanti e, solo un po’ pallido, agitato appena da un tremito leggero, riaprì gli occhioni ritornati umani in faccia al padre. Ma non chiese cosa fosse accaduto, ...lo sapeva, ...disse solo: «Portami via, padre, portami via».

                     58.                   «Sì, amor mio, sì» – rispose il vecchio sacerdote sollevando sulle braccia il corpicino esausto, – «sì, a casa, a casa».

                     59.                   E tra la folla che rispettosa si aprì, Zaccaria si allontanò con il suo fardello.

 

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Capitolo 2

«Rachele piange

 e non vuol essere consolata,

perchè i suoi figli non sono più»

                        1.                   L’indomani Zaccaria non poté iniziare ai servizi del Tempio il suo figliolo, perchè sfinito per l’eccesso medianico. Egli fu affidato alle tenere cure materne. Zaccaria non era inquieto, nè stupito per l’avvenuto, anzi se l’aspettava da tempo.

                        2.                   Discendente per parte di padre da una lunga progenie di profeti, profeta lui stesso, il piccolo Giovanni era come predestinato all’invasamento divino. Già nella prima infanzia si era mostrato strano e schivo, diverso dagli altri bimbi, ma non aveva mai avuto crisi vere e proprie. La prima perciò era stata di una violenza inconsueta, seppure contenuta, e nel vecchio sacerdote di Jehova c’era una titubanza di paura sugli effetti di una seconda crisi che fortunatamente non venne.

* * *

                        3.                   Dopo pochi giorni, Giovanni, completamente ristabilito, entrò tra gli accoliti del Tempio e vide spostato il limite dell’iniziazione virile anticipata – per eccezione a lui fatta – il ‘Mignam’[4] a otto anni non compiuti, anzichè a dodici come richiedeva la Legge.

                        4.                   Entrando nel Tempio, Giovanni sembrò normalizzarsi completamente e tra gli accoliti si distinse in breve per il rispetto al rituale e lo zelo alla Legge. A parte quello, divenne dolce e mite, affabile con la vecchia madre, quasi affettuoso con gli altri fanciulli e sembrò del tutto abbandonato dall’ansia di conoscere, dalla sete di conoscenza; mai fece una domanda sulla ‘Torà[5], mai un perchè sui riti, mai una frase sulle manifeste incongruenze del cerimoniale. Zaccaria non sapeva se rallegrarsi o meno. Alla sua mente consapevole il figlio sfuggiva oggi più che mai, ed egli se lo sentiva estraneo e staccato, non potendo, a par della  moglie, rallegrarsi della sua presenza puramente fisica. Elisabetta, invece, era una madre felice! Inaspettatamente, allorquando si era rassegnata ad essere infeconda, aveva portato con amore e tremore immenso la sua creatura nel seno, quasi nutrendosi essa stessa della vita dolce e terribile che in lei veniva formandosi in un essere umano.

                        5.                   Durante la visita della cugina Maria, aveva vissuto in una specie di estasi. La profezia era fiorita sulle sue labbra come un medianico saluto del nascituro all’Eletta. Ma con il parto, questo celeste ardore s’era spento e, in Elisabetta, la madre carnale, la madre spasmodicamente innamorata del suo nato, aveva avuto il sopravvento. Giovanni era il miracolo di Dio, ma era soprattutto suo figlio, l’essere sbocciato da lei, nato da lei, nutrito da lei e lei, lo amava come la parte più viva dell’essere suo. Lo amava come la leonessa ama il leoncino, tanto che, nell’amore del figlio, s’era spento il sentimento religioso. Per Elisabetta, Dio era il rivale, il nemico, colui che la privava del suo Giovanni, che glielo allontanava spingendolo nel deserto, e più lo vedeva crescere in virtù, più si ribellava e si aggrappava alla fragile persona del bimbo ribelle all’amore, sfuggente alle carezze. Riaverlo ora tutto suo, buono e quieto, senza più accesi quegli occhioni morati alla fiammella della divinazione, per Elisabetta era felicità insperata e completa, e la povera vecchietta osava perfino abbandonarsi al sogno e rallegrarsi di vederlo bello, prestante più d’ogni altro figlio di donna, il portato del suo seno. Ecco – pensava – egli crescendo sarebbe divenuto sacerdote come suo padre e ne avrebbe avuto il posto, avrebbe sposato una bruna figlia d’Israele, avrebbe avuto figli e avrebbe chiuso in pace i suoi occhi.

                        6.                   Un sospiro le gonfiò il seno, un sospiro di piacere, tanto il sogno era vivido. Riscossasi, Elisabetta guardò Giovanni che ora entrava in casa con il padre dopo il servizio al Tempio. … Un gelo improvviso le strinse il cuore, nell’accolito adolescente che, entrando, rivide, …un piccolo segno troppo dolorosamente a lei noto, quel ‘lampo’. Il lampo bruciante negli occhi nerissimi, il lampo annunciatore che le visioni tornavano. – «Giovanni!», gridò dolorosamente...

                        7.                   «Madre!», – rispose il figlio abbracciandola.

                        8.                   Elisabetta lo strinse a sè, rovesciò la bella testa riccioluta per guardare negli occhi la terribile luce, poi scoppiò in singhiozzi! Il figlio le si strinse affettuoso ma silenzioso, e ad Elisabetta erano ben noti i silenzi di Giovanni. A cena, mentre Zaccaria spezzava il pane, Giovanni uscì all’improvviso con una domanda strana: «Quando sorge la Luna nuova, padre?».

                        9.                   «Fra due giorni, piccolo, perché?».

                     10.                   «È la quattordicesima da allora!».

                     11.                   Intorno al tavolo, …fu pesante il silenzio. Lo ruppe Zaccaria: «Già, la quattordicesima; e tu, ...che farai, Giovanni?».

                     12.                   «Andrò là».

                     13.                   «Nel deserto?».

                     14.                   Il figlio chinò il capo assentendo.

                     15.                   «Dunque, non l’hai dimenticato?».

                     16.                   «Perché dovrei dimenticarlo?».

                     17.                   «E credi di rivederlo, …quel Gamaliel?».

                     18.                   «Sì».

                     19.                   «Ma pensa, piccino mio, se è mai possibile... che un maestro così saggio... si ricordi di un bimbo come te!».

                     20.                   «Appunto perché è saggio si ricorda di un bimbo come me. Perchè allora m’avrebbe dato l’appuntamento? Non l’avevo chiesto io...».

                     21.                   «Ma che t’importa di quel vecchio?» – gridò astiosa Elisabetta. – «Non hai qui tuo padre e tua madre? Non è qui la tua casa? Perché correre nei pericoli del deserto per rivedere un vecchio pazzo?».

                     22.                   «Madre, …non è un vecchio pazzo. Mio padre ha testé affermato che è un saggio maestro, ed io cerco il maestro come mi ha detto lo Spirito solitario».

                     23.                   Elisabetta aprì la bocca per rispondere, ma un breve gesto di Zaccaria la fece tacere.

                     24.                   «Giovanni!» – disse il padre con gravità più severa e dolce allo stesso tempo. – «Ascoltami attentamente e non distrarti. Tu lo sai che ti ho sempre preso sul serio e che ho avuto prova avendo visto bene come lo spirito possa impadronirsi di te. Io pure ho sentito il fuoco profetico scorrermi nelle vene (e tua madre discende da una lunga progenie di profeti fino ad Aronne) perciò ti ho potuto seguire fin qui e non contrariarti; ma se si ha il dovere di non ostacolare lo spirito di profezia, si ha anche il dovere di accertarsi quale ne sia l’origine. Nelle tue ore di visione, hai chiesto un segno al Signore?».

                     25.                   «No!» – rispose candido il fanciullo. – «Perché avrei dovuto farlo?».

                     26.                   «Ma tu ignori, bimbo mio, come noi possiamo essere insidiati da uno spirito ingannatore e come esso si travesta e si trasmuti per trarre in inganno e in menzogna gl’incauti che a lui troppo docilmente si abbandonano!» .

                     27.                   «No, padre, non ignoro ciò, ma non ignoro neppure come tra l’ingannatore e l’ingannato si accenni lo stabilirsi di un rapporto di volontà. L’ingannato vuol essere ingannato!

                     28.                   La menzogna vuole averla chi la desidera, chi di essa si lusinga, chi in essa trova il suo pascolo; ma chi non si lusinga, chi non vuol essere lusingato, …non sarà lusingato, e lo Spirito solitario non mi ha mai lusingato, perciò io ho creduto in Lui senza segni, nè avrei stimato degno di noi chiedergli un segno. Allo Spirito solitario si crede o non si crede, si accetta o non si accetta, ma non si patteggia con lui».

                     29.                   «Non si patteggia con lui?!» – gridò Zaccaria. – «Tuttavia lo stesso Signore Iddio strinse patto di pace tra Lui e Israele!».

                     30.                   Giovanni sorrise e tacque.

                     31.                   Zaccaria sospirò... «E che altro ti ha detto lo Spirito solitario?» – riprese rivolgendosi al figlio.

                     32.                   «Mi ha detto che io annunzierò alle genti la grande penitenza e che verrà chi metterà la spada nei legami della carne e del sangue, affinché gli uomini spezzino i vincoli della carne e, …stringano quelli dello spirito, e che non vi saranno più ebrei né gentili, greci o barbari, ma un solo ovile e un solo Pastore ».

                     33.                   «E ti ha detto che ne sarà di te, figlio mio?».

                     34.                   «Sì, che tornerò presto donde son venuto!». Queste ultime parole, però, furono espresse tanto piano, che Elisabetta non le udì, e Zaccaria seppe riceverle nel cuore senza che esso si spezzasse, per pietà della madre in lacrime.

                     35.                   «...nel deserto! Perchè ti manda nel deserto?».

                     36.                   «Perché ivi troverò il maestro che mi inizierà al mistero della conoscenza e mi rivelerà i segreti della vita».

                     37.                   «E questi segreti non può rivelarteli lo Spirito solitario qui in casa tua?».

                     38.                   «No! Mi ha detto che non deve rivelarmeli, ma che io devo saperli».

                     39.                   «Nel deserto?».

                     40.                   «Sì!».

                     41.                   Nel silenzio si sentì risuonare solo il pianto della madre.

                     42.                   «Oh!» – proruppe l’assai infelice. – «Oh, dalle montagne, dalla roccia, dovrebbero nascere i profeti e i salvatori! Non dalle viscere di una donna! Ecco ch’io non ho più figlio; lo so, lo sento. Ti perdo, ti perdo! E io, …ti ho partorito con tanto spasimo! Perchè incingermi di te, perchè? Per perderti?».

                     43.                   «Madre!» – echeggiò severa la voce argentina di Giovanni. – «Rientra in te. Questo linguaggio non conviene alla donna cui prescelse lo spirito di vita. A che ti valse servir nel Tempio per tutta la tua vita, se piegar non sai il capo ai decreti dell’Altissimo?».

                     44.                   «Oh, Giovanni! No, non così, bimbo mio, piccolo mio! Non così!» gridò la dolente tendendo verso il figlio le braccia. «Non così, ...tu sei mio figlio!».

                     45.                   «Per volontà dell’Altissimo, ma non contro la Sua volontà!».

                     46.                   E ciò detto, Giovanni, ridivenuto umano, andò a inginocchiarsî ai piedi della madre e disse: «Benedicimi, madre! Ti ho molto amato. Sei buona, madre mia, e l’Altissimo che mi ti ha dato e mi ti toglie, ti consolerà. Noi dobbiamo separarci, ma sulla Terra tutto è separazione, madre!».

                     47.                   «Giovanni, Giovanni mio!» – e altro dire non poté, soffocata dal pianto.

                     48.                   Giovanni però si era già alzato ed era uscito dalla stanza. I due vecchi erano rimasti soli, l’una con lo strazio infinito, l’altro con la mente greve dell’ora profetica e il cuore spezzato da una doppia tristezza. Un abbraccio di naufraghi avvicinò le teste canute e mescolò l’amarezza delle lacrime!

 

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Capitolo 3

«Chi è costei

che sale dal deserto,

bella come la Luna,

 appoggiata al suo diletto?»

                        1.                   Quel giorno il disco giallo del Sole, affacciandosi all’orlo del deserto pietroso, poteva credere di aver sbagliato strada, tanta era l’animazione, il movimento che vedeva dominarvi. Carri dietro carri, legionari romani e soldati idumei alla rinfusa con mercanti, portatori d’acqua, schiavi, sacerdoti d’Israele e altra gente; pellegrini e mendicanti, profusione di barracani e sciammà[6], splendore di elmi, scintillio di armi e di gioielli, arruffio di animali da soma e veicoli d’ogni sorta e specie. Un intero popolo pareva trasmigrare con tutte le sue cose. Qualcosa, infatti, trasmigrava con tutto il peso di una lunga serie di delitti, ...una razza di Re. Erode Antipa, dopo anni di lotte e di intrighi, con l’appoggio dei romani, sbalzato dal trono (ove la follia senile del vecchio Erode l’aveva posto a dispetto degli stessi romani) il fratello minore Filippo, rientrava nella sede regale della tetrarchia e si dirigeva, assetato d’imperio, a marce forzate, verso Gerusalemme. Nel deserto, come nell’estuario di un mare, si mescolavano, si confondevano e, ...si ignoravano i partigiani del re vinto con i gregari del vincitore; …s’ignoravano, a meno che odi o vendette personali non cercassero tra le dune calcificate, l’occasione propizia per lo sfogo, preparando per le notti piene di fremiti, lauti pasti per le iene.

                        2.                   In riva al Giordano, il fiume umano che scendeva da Gerusalemme e quello che vi saliva, sostava nel mezzogiorno di fuoco: sotto le tende, rapidamente erette, andò calmandosi grado a grado l’agitazione febbrile, stremata dalla calma opprimente.

                        3.                   In una tenda, la più sontuosa di fregi, sopra un letto di pelli preziose, una donna dal florido seno e dal profilo di cammeo[7], giaceva senza riposare. La veste di bisso discinta svelava la tenera meraviglia rosea di carni amorosamente plasmate per il sogno di voluttà. Alla base del collo, una collana di piccoli rubini della Calcide[8] formava un ornamento sinistro, simile al taglio di una scimitarra. Sulla fronte regale un’ombra, un’ansia tormentosa pesava immobile nella riga dritta delle sopracciglia avvicinate, e le rosse labbra, chiuse sui denti perlacei, sembravano aver perduto l’uso del sorriso.

                        4.                   La bellissima era Erodiate, consorte del vinto Filippo. Donna d’animo regale, non priva di istintiva nobiltà, essa aveva visto la sua giovinezza e la sua anima, violentate dalla ragion di stato e dal capriccio reale. Promessa giovanissima in sposa ad Erode Antipa, l’aveva amato con l’impeto e la tenacia del primo risveglio verginale. Strappata poscia a lui e data in moglie al di lui fratello, aveva subito la sua sorte con amaro silenzio, conscia di tutti gli oneri della corona. Forse avrebbe amato Filippo (dal quale ebbe subito una bimba) se egli fosse stato uomo d’azione e di volontà virile. Ma rivelatosi vizioso, depravato, dedito a tutte le bassezze, superbo e crudele, astuto e miserabile, ella non poté in breve che sentirne una repulsione profonda e riaccendere, in tortura di spasmodica nostalgia, il ricordo di Erode, bello, ardito, perseguitato, infelice. Dal fondo del gineceo[9], senza speranza per sè, senza egoismo, aveva seguito la lotta tra i due fratelli facendo voti per Antipa, pregando il cielo di dare la corona a colui cui era stata strappata unitamente alla sposa. Ora, nella fuga, seguiva l’ignavo consorte portando seco la piccola Salomè – unico pegno del connubio maledetto – dopo aver appreso che Erode avanzava, verso Gerusalemme, trionfante, con a fianco la legittima sposa – Zuleima – la figlia del re dei beduini del deserto, che tanto aveva fatto per accelerare l’ora del trionfo.

                        5.                   Il pensiero di Zuleima straziava il geloso cuore di Erodiade.

                        6.                   La esasperava la presenza della rivale felice al fianco dell’uomo amato, e preferì non vederla. Seguiva ora Filippo verso l’incertezza dell’esilio, non ben gradita compagna, seppure universalmente ammirata.

                        7.                   Erodiade, tormentata dall’insonnia, si levò di botto e batté le mani. Subito una schiava nubiana apparve e le s’inchinò reverente.

                        8.                   «Daida!» – disse Erodiade. – «Avvicinati a me». La nubiana si accostò, era anziana aveva un volto intelligente e dolce.

                        9.                   «Amata regina» – disse, – «soffri?».

                     10.                   «Sì, Daida! Solo tu mi capisci in silenzio, …solo tu sai il male che mi rode qui. Ma un rimedio per questo male non lo conosci?».

                     11.                   «Amata regina! Solo la morte è il rimedio al tuo male, ma ad essa non hai diritto di pensare. Che ne sarebbe di Salomè senza di te?».

                     12.                   «Lo so, Daida. Salomè, ...tu non pensi che a lei. Tu l’ami, …quasi più di me. Ma io soffro, soffro! Daida, dimmi: …è bella? È bella come dicono?».

                     13.                   «Perché ti strazi con le tue mani, o regina? Abbi pietà di te stessa; che vuoi fare contro il karma? Tu sai come il karma, solo il karma ti ha tolto il tuo amore. Ho pregato con te, per la sua vittoria; ho pianto con te, ho amato per amor tuo i nemici del re, …perchè erano gli amici di lui. Oggi non posso reggere a vederti smaniare di gelosia, vederti inferiore a te stessa. Amata! Amata regina! Sai bene che Zuleima salvò il tuo amore allorchè era perseguitato!

                     14.                   Tu stessa me l’hai narrato. Oggi lei trionfa per lui, esulta per lui, forse l’ama e non ne è riamata che per riconoscenza, poiché così vuole il karma, poichè così è fissato lassù».

                     15.                   «Basta, Daida, basta!» – gridò Erodiade. – «Non ne posso più. Io impazzisco se non lo vedo, se... – Che accade?».

                     16.                   Uno strepitio risuonò nel campo, un calpestio di cavalli, un tintinnio di armi, un clamore di guerrieri sopravvenienti. Erodiade balzò in piedi: nella piccola mano scintillò un pugnale, mentre allontanava la nubiana che si era parata a farle scudo con il corpo.

                     17.                   Terribile, mosse un passo verso la soglia della tenda proprio allorchè essa veniva oltrepassata da un guerriero ansante, armato di tutto punto. Il pugnale cadde dalla mano della donna...

                     18.                   «Erode!».

                     19.                   «Erodiade!».

                     20.                   Una risata spaventosa squassò il petto della regina...

                     21.                   «Erode! ... Oh, Daida! Così si vince il karma!». E si gettò tra le braccia dell’amato come in un gorgo di perdizione e di cielo!

                     22.                   Pochi minuti dopo Erode, Erodiade, Daida e la piccola Salomè in braccio a quest’ultima, chiusi in un cerchio lucente di armati, lasciavano il campo del vinto e, con tutta la velocità dei cavalli berberi, si lanciarono attraverso il deserto verso Gerusalemme. Dopo due ore di pazza corsa, rallentarono per lasciar passare una lunga carovana di carri e di mercanzie diretta alla capitale. In coda un beduino, avvolto in un baraccano bianco come la neve, camminava lentamente con a fianco un fanciullo bruno, coperto solo da una corta tunica.

                     23.                   La coppia passò vicinissima al cavallo di Erode che nitrì inquieto e sfiorò la veste di Daida, la quale cullava, contro il suo cuore, Salomè addormentata. La bimba aprì gli occhi fulgenti, mentre il fanciullo bruno levava i suoi a guardarla. Fu un attimo breve, poi Salomè nascose il visino nelle vesti della nubiana e scoppiò in pianto, mentre la coppia strana si allontanava nel deserto in direzione opposta a Gerusalemme!

 

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Capitolo 4

« Ignoro l’anima  del criminale,

ma vidi quella di un uomo onesto:

 ne ebbi paura »

                        1.                   A Gerusalemme l’eco delle feste andava gradualmente spegnendosi.

                        2.                   Il tetrarca Erode si era comportato da buon politico, e non solo non si era incrudelito contro i fautori del fratello Filippo, ma aveva accettato per buone le loro scusanti, e aveva dimostrato di gradire le manifestazioni di sottomissione e le dichiarazioni di fedeltà. Aveva insediato Hanna, il sadduceo, nel Tempio come sommo sacerdote, nonostante la sua nota connivenza con Filippo, donandolo scaltramente a Ponzio, cui premeva non aver nel Tempio d’Israele degli zeloti e tanto meno dei farisei, per poter governare l’inquieta provincia palestinese con un minimo di perdite umane.

                        3.                   Ponzio, prefetto della Palestina, amico personale di Seneca, si ostinava d’essere uomo di studi, e teneva al titolo di philantropos (amico degli uomini), in realtà era rotto a tutti i vizi dell’epoca, meno che a quelli richiedenti del rischio, e non ci teneva affatto di tornare a Roma sotto forma di ‘effigie funebre’. Conosceva gli ebrei per lunga pratica e ne diffidava, pur non dimostrandolo.

                        4.                   Erode Filofatore, altrimenti detto ‘Erode il grande’, l’aveva tenuto lungamente in eccitazione per le sue inquietudini, per le sue frenetiche smanie d’impero e per il suo astioso ingelosire d’ogni onore riservato ad altri.

                        5.                   Pure Filippo aveva costituito per Ponzio una vera miniera di fastidi e preoccupazioni, abbietto quanto un uomo può esserlo, aggiunse ai suoi vizi esteriori, quello interiore del bigottismo; capace d’ogni delitto, era un docile trastullo nelle mani dei farisei e degli zeloti, perciò Ponzio aveva, con vero entusiasmo, sostenuto segretamente il legittimo principe Erode, e ora si rallegrava di vederlo tetrarca, nel nome di Roma, sopra l’inquieta, reazionaria Giudea.

                        6.                   In una stanza segreta della reggia, Ponzio ed Erode con il pontefice Hanna, erano riuniti a consiglio. Herbioz, l’inseparabile schiavo trace di Ponzio, sordo e muto – vero cane da guardia umano – montava nel corridoio un’indefettibile guardia, e i tre uomini, dai quali dipendeva in gran parte la sicurezza della pace imperiale, vagliavano i consigli dell’ora, prevedendo le inevitabili difficoltà.

                        7.                   «Ascoltami, serenissimo principe» – disse in quel momento Pilato, – «il tuo atto audace che ci ha dato in potere la moglie e la figlia di Filippo, è senz’altro da dire sommamente vantaggioso ai fini del regno. In Salomè noi abbiamo un sacro ostaggio che tronca sul nascere ogni congiura in avvenire. Filippo, per se stesso, non ha fautori. I farisei e gli zeloti, di cui è la creatura, sono saggiamente tenuti a freno dal nostro ottimo Hanna, sommo sacerdote secondo la Legge.

                        8.                   Tu sei il legittimo signore e sei il legittimo tutore di Salomè. Tutto va bene, cioè tutto andrebbe bene, se tu volessi solo riflettere sulla tua posizione riguardo a Erodiade. Che vuoi fame di questa donna?».

                        9.                   «... Sì, sì» – fece levando la mano in un gesto molle per impedire a Erode di rispondere.

                     10.                   «Sì, so cosa vuoi dire, ma prima permettimi, serenissimo signore, di farti riflettere. Lei è la legittima moglie di tuo fratello, il tetrarca usurpatore, quindi non puoi fartene una concubina, per non umiliare te stesso in lei. Sposarla non puoi, perchè legittimamente sei sposato con Zuleima la regina del deserto, l’incontrastata e adorata signora di tutti i berberi e di tutti i beduini. Essa è la tua prima sposa e non puoi rimandarla, a meno che tu non voglia tirarci addosso tutti i discendenti di Ismaele... e poi, non hai una vera ragione per farlo; ove tu lo facessi, i discendenti di Ismaele avrebbero altrettanti partigiani e fautori nel regno d’Israele quanti zeloti e farisei vi sono. Tu l’ami ed essa ti ama; ottima cosa... sì, ottima cosa per un privato cittadino, ma un re ha doveri che non sono di privato cittadino, e l’ultima cosa cui deve fissare il proprio pensiero è proprio l’amore! Inoltre» – continuò con imperturbabile serenità «non dimenticare che Roma ti ha ridato il trono e che le Leggi romane sono severe per ciò che riguarda l’ordine interno. Filippo, presso Tiberio, ha qualche appoggio...».

                     11.                   «Insomma...» – interruppe Erode, – «…che dovrei fare secondo voi?».

                     12.                   «Restituisci Erodiade a Filippo, tenendo Salomè in ostaggio» – rispose Ponzio.

                     13.                   «Rimanda al marito la moglie…» – confermò grave Hanna, – «... e consacra al Tempio Salomè».

                     14.                   Erode balzò in piedi livido in viso: «Ascoltami, prefetto» – gridò, – «e tu pure, sacerdote Hanna! Vi ho ascoltato fino adesso con sufficiente pazienza, sperando che dalla vostra saggezza venisse luce per l’atrocità del mio dubbio, ma ben comprendo che voi siete volpi, e la volpe non potrà mai consigliare il leone. Ma non capite che l’amore di Erodiade, solo l’amore di Erodiade ha fatto di me un combattente e un re? Non capite che solo per lei ho lottato, solo per lei! Solo per strapparla all’iniquo legame ho sperato e resistito fino alla vittoria! Non capite che, senza Erodiade, la corona è un peso insopportabile, e la reggia è una tomba spaventevole? Non è per chiudermi vivo in questa tomba che ho tanto sofferto. La mia spada m’avrebbe, molto tempo prima, aperto una via alla libertà, poiché prima di vivere da randagio, avrei saputo morire da stoico.

                     15.                   Oggi che la mia spada, il mio valore (e non il vostro consiglio volpino), mi hanno aperto la via della potenza e della gloria, voi non sapete consigliarmi altro fuorché essere sul trono ciò che non fui nella miseria? Vile! No! Per Abramo, io non lo sarò! Erodiade è la mia donna. Sarà la mia donna dinanzi al cielo e all’inferno! Lo sarà, che voi lo vogliate o no! Lo sarà per la mia vita di cui è il sorriso, nonostante tutte le leggi, a dispetto di tutti gli zeloti e delle stesse, poiché la nostra suprema Legge è l’amore che, dall’infanzia, ci ha uniti».

                     16.                   Hanna e Ponzio si guardarono in silenzio; compresero di non poter nulla contro la passione scatenata di Erode, e compresero pure come Erode fosse, per il momento, il più forte. Tuttavia la vecchia saggezza dei due prevedeva delle complicazioni future, e Ponzio consacrava mentalmente agli déi infernali la testa di quanti ebrei presenti e futuri vivessero in Giudea.

                     17.                   Hanna ruppe il silenzio che s’era fatto, con una domanda sillabata in un nome: «Zu-lei-ma?».

                     18.                    Erode s’infuriò ancora di più: «Ebbene, Zuleima?! Essa è stata per me una buona amica, un’alleata preziosa quanto ambiziosa, ma sapeva che non ero libero, che amavo Erodiade, che sempre l’avrei amata.

                     19.                   L’ambizione, non l’amore l’ha unita a me; a quest’ambizione io darò tal premio da essere bastevole a un’imperatrice.

                     20.                   Sposa del tetrarca di Giudea, se rinunzierà a tale titolo, la riconoscerò e l’adotterò come figlia, dando a lei in dote centomila talenti d’oro e la rimariterò con il principe che vorrà ella stessa indicarmi. Tutto può attendersi Zuleima dalla generosità di Erode...».

                     21.                   «... e tutto dalla sua pazzia...» – finì Ponzio con un sorriso.

                     22.                   Egli conosceva Zuleima e, più di Zuleima, conosceva il padre, il ‘leone del deserto’, l’infuriato sostenitore degli esseni, il più fedele alleato che poteva facilmente mutarsi nel più irriducibile avversario di Erode e di Roma.

                     23.                   «Bene!» – concluse Hanna. – «Che il Signore sia con te, tetrarca! Ed Egli operi acciò tu non abbia un giorno a rimpiangere i nostri consigli volpini!».

                     24.                   Il cessare della resistenza placò il tetrarca, il quale non volle separarsi dai suoi amici senza che essi portassero un saggio della sua generosità e, pregato Ponzio di richiamare il fedelissimo Herbioz, batté sopra un timpano e allo schiavo accorso diede un ordine.

                     25.                   Dopo pochi istanti il medesimo schiavo recava al tetrarca gli oggetti richiesti, oggetti che egli porse a Ponzio e ad Hanna come un piccolo ricordo del suo buon amore per loro: ad Hanna un cofanetto d’oro pieno di erbe dal prezioso profumo per il Tempio del Signore, al Ponzio un anello di barbarica ricchezza, e mentre per due segrete porticine Ponzio e il sommo sacerdote uscivano dalla reggia non visti, Erode raggiunse Erodiade.

 

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Capitolo 5

«Ciò che è stato, sarà,
e ciò che è già, è stato»

                        1.                   Gran concorso quell’anno a Gerusalemme per il giubileo. Nelle viuzze strette e nelle piazze che i romani avevano voluto appositamente larghe e comunicanti tra loro a mezzo di vie alberate, allo scopo di prevenire e facilmente reprimere tumulti, inattivo il concorso del popolo in pellegrinaggio, proveniente dai più svariati punti della Giudea, della Galilea, della Pontide, dell’Arabia.

                        2.                   Ogni sorta di abiti e di ornamenti si mescolava a ogni specie di cenci e di miserie.

                        3.                   Il Tempio era come uno scoglio circondato dalla nera marea, onde su onde, il popolo passava e sembrava non dovesse mai cessar di passare. I sacrifici seguivano i sacrifici, e gli accoliti erano stremati dal loro lavoro divenuto pesante. I sacrificatori avevano nausea del sangue delle vittime. I leviti e i sacerdoti erano rauchi per le interminabili preghiere rituali, ritualmente ripetute più volte al giorno.

                        4.                   Con l’aria greve, nei cortili del Tempio stagnava l’odore dolciastro e nauseante del sangue; in quei cortili era passata poco prima una famigliola, un uomo e una donna con un bel ragazzo dodicenne, svelto nella persona, grave e raccolto nello sguardo. Erano entrati nel Tempio e avevano offerto il sacrificio dei poveri: una coppia di colombi e una focaccia di grano e miele. Le mani della madre avevano tremato deponendo la focaccia, e il viso del giovinetto era divenuto pallido quando la rude mano di un levita aveva afferrato, dalla curva dolce della sua tunica, il caldo groviglio delle colombe tremanti...

                        5.                   «...e come può» – aveva detto dolcemente il giovinetto, – «rallegrarsi per la distruzione e la morte, Colui che dovrebbe essere il Dio della vita? Non ha Egli creato le colombe al pari dell’uomo? Non palpita anche in esse una scintilla di quel fuoco che dà ordine al Creato?».

                        6.                   «Che hai tu da lagnarti, moccioso?» – gridò il levita offeso. – «Già siete tutti d’una razza, voi nazareni, e nulla più vi spiace, dell’offerta al Tempio del Signore...».

                        7.                   «Non dell’offerta al Tempio del Signore» – ribatté calmo il fanciullo, – «…bensì del modo e dell’interpretazione, perchè sta scritto che il Signore non si rallegra nei sacrifici di sangue, ma gradisce l’innocente offerta fatta con cuore puro. Del resto, presto sarà unita con un rito cruento, perchè i sacrifici non valgono che come simboli!».

                        8.                   Stava per replicare duramente il levita, quando la madre trascinò via il giovinetto, sussurrando con le labbra sbiancate: «Taci, …taci! Vieni via, Gesù!». Nel cortile continuò amorosamente a rimproverarlo: «Vuoi farmi morire, figliolo? Perché cerchi cose non da te?».

                        9.                   «Non da me, madre? A me spetta occuparmi delle cose del Padre mio, e di cercare quanto compete al Suo Regno». Stava per replicare Maria, la madre di Gesù, quando un folto gruppo di pellegrini invase il cortile e separò la madre dal figlio e dal marito. Non s’inquietò essa, contenta dell’interruzione opportuna... e non vide un levita dall’occhio bieco che, avvicinatosi all’adolescente e postagli una mano sulla spalla gli disse: «Seguimi, il Consiglio dei dottori del Tempio mi ha ordinato di portarti da loro!».

                     10.                   Così dicendo il levita spinse Gesù fuor dalla folla e lo fece passare, dal cortile esterno, in una vasta sala che si apriva su di un cortile interno, dove si riunivano abitualmente a discutere della Legge, farisei e sadducei.

                     11.                   Passato l’ingorgo dei pellegrini, Maria cercò il figlio e il marito; ma non vedendo alcuno, certa di trovare all’uscita i suoi cari, non si preoccupò che di raggiungere la porta esterna, dove, infatti, trovò Giuseppe, suo marito, ma non il figlio.

                     12.                   «Dov’è Gesù» chiese, e già l’ansia era nella sua voce.

                     13.                   «Ma non era con te?» – disse Giuseppe.

                     14.                   «No!» – disse smarrita. – «Io pensavo fosse con te...».

                     15.                   «Calmati, Maria, sarà certo rimasto indietro preso nella folla. Ora lo vedremo, calmati!».

                     16.                   Ma la donna tremava come una foglia ed era livida in viso.

                     17.                   «Oh, Giuseppe, ho paura, …ho paura. Nel Tempio è venuto a parole, …con un levita. Vieni, cerchiamolo, …chiamiamolo. Gesù! Gesù! Gesù!» e il nome fu strozzato dal pianto...

                     18.                   «Ma non fare cosi, Maria, ci guardano tutti...».

                     19.                   Un capannello di persone, infatti, si formò intorno ai due pellegrini...

                     20.                   «Che succede? Che c’è?».

                     21.                   «Ha perduto un bambino. No, un ragazzo!».

                     22.                   «Dove?».

                     23.                   «Nel Tempio».

                     24.                   «Ma no! Si troverà, non piangere, donna...».

                     25.                   «Poveretta!».

                     26.                   «Chi è?».

                     27.                   «Una nazarena, ha perduto suo figlio..».

                     28.                   «Ma no, lo troverà...».

                     29.                   «Han rubato un bambino!».

                     30.                   «Han soffocato un bambino!».

                     31.                   «Buona gente, avete visto un bambino?».

                     32.                   Maria, spaventata dalla gente che il suo stesso grido aveva commosso, calò il velo sul viso a celar le lacrime e, stringendosi affannata a Giuseppe, tacque, mentre avrebbe voluto gridare il nome adorato.

                     33.                   Per tre lunghi insopportabili giorni dovettero cercare dentro e fuori dal Tempio il figlio. Tre giorni di ansie, tre notti di pianto; all’alba del terzo giorno, Giuseppe incontrò sulla soglia del tempio un vecchio sacerdote che gli era stranamente familiare, …pur non ricordandone il nome,. e fu il vecchio sacerdote che gli mosse incontro con un grido festoso.

                     34.                   « Oh! Giuseppe ben David!».

                     35.                   «Che buona ventura, Zaccaria!» – gridò il pover’uomo, riconoscendo il parente della moglie.

                     36.                   I due vecchi si abbracciarono commossi, ma sciolto dall’abbraccio, Giuseppe tornò alla sua preoccupazione.

                     37.                   «Hai per caso visto mio figlio? Un giovinetto dodicenne, biondo, occhi cerulei, pensoso?».

                     38.                   «Sì! Ma è tuo figlio? Come ho fatto a non riconoscere il piccolo Gesù?».

                     39.                   «Dov’è? Dov’è?».

                     40.                   «Ma nella sinagoga, tra i dottori della Legge. Sono tre giorni che questo prodigioso fanciullo spiega le Scritture e interpreta i sacri Testi più oscuri con tanta sapienza, quanta poteva averne lo stesso Salomone, ...e ci tiene sospesi d’ammirazione! Sarà la gloria della sinagoga, quel fanciullo!».

                     41.                   «Oh, guidami a lui, guidami a lui, ...che sua madre mi muore di dolore e di angoscia».

                     42.                   I due vecchi si voltarono per entrare nel Tempio.

                     43.                   «Eccolo là», – esclamò Zaccaria additando in un gruppo di dottori e di farisei che uscivano dalla sala, un fanciullo biondo dall’occhio grave, colmo di pensieri. Giuseppe si slanciò verso il fanciullo:

                     44.                   «Oh, Gesù, finalmente! Vieni, vieni da tua madre».

                     45.                   Il giovinetto lo guardò con i begli occhi un po’ assenti, …quasi stentasse a ricordare, ...a riconoscere. Poi sorrise e seguì il padre. Pochi minuti dopo, Maria, stringendolo al cuore, gli chiedeva piangendo:

                     46.                   «Gesù, perché farci stare in ansia? Perchè sparire così? Ecco che tuo padre ed io ti abbiamo cercato». Gesù con gesto dolcissimo asciugò gli occhi della madre e rispose:

                     47.                   «Perché mi hai cercato? Non ti avevo detto che dovevo badare alle cose del Padre mio che è nei Cieli? Povera madre, non è ancora l’ora di piangere così. Tu mi hai trovato e non ti lascio subito, ma, …devi abituarti, ...rassegnarti, lo sai che non sono venuto a portare la pace, ma la guerra; e chi porta il fuoco, che può desiderare fuorché si accenda? Ecco che io sono venuto per portare il fuoco, e desidero che arda».

                     48.                   Maria tacque affranta, non poteva discutere con il prodigioso figliolo. Lo strinse a sè, paga di riaverlo, in una smemorante dolcezza di tutto l’essere che nel figlio si saziava e si completava. Sapeva, intuiva che qualcosa sarebbe accaduto a strapparglielo, tuttavia aveva fede nella parola del figlio, …che non sarebbe stato ‘subito’.

                     49.                   Mentre i tre pellegrini tornavano a Nazareth, nella sinagoga i dottori e gli scribi, i farisei e i sadducei continuarono, o meglio, incominciarono la discussione, pieni gli orecchi dell’armonia di una voce infantile, l’occhio della mente abbagliato da singoli concetti e nuovi pensieri, colmi da interpretazioni di vecchi testi giammai osati pensare!

                     50.                   «Un angelo ha dunque parlato tra noi», – …disse un vecchio fariseo.

                     51.                   «Ma che angelo!» – tuonò un sadduceo. – «Gli angeli non esistono che come ‘forze della natura’ e non si disturberebbero per parlare agli uomini. Il fenomeno cui abbiamo assistito, null’altro prova che un’intelligenza straordinaria e, quel che conta, vivente. Il piccolo nazareno ha dimostrato di ben conoscere le Sacre Scritture, ma soprattutto ha dimostrato di avere un pensiero suo, un’interpretazione non letterale dei Sacri Testi come fate voi farisei che, a furia di applicare la lettera, uccidete lo spirito della lettera.

                     52.                   Noi sadducei abbiamo ripetuto più volte le stesse cose, ma voi non ci onorate di attenzione. Voi volete il prodigio, il miracolo, l’angelo, il meraviglioso; non importa se non è vero, importa solo non doversi chinare al pensiero umano!».

                     53.                   «Pensiero umano!...» – inorridì un fariseo. – «Ciò che ci è stato esposto testé da un fanciullo, è pensiero umano?

                     54.                   Un fanciullo dodicenne ne saprebbe più di noi tutti! E potrebbe insegnare a noi come ha fatto? Ma ciò è inammissibile, è mostruoso; per qual potenza l’avrebbe egli fatto?».

                     55.                   «Semplicemente perché quel fanciullo è un uomo e non un... fantoccio», – ribatté il sadduceo.

* * *

                     56.                   Sadducei e farisei erano irriducibili avversari in materia religiosa. Toccati dalla grande corrente ellenista, sedotti dalla quadrata bellezza del pensiero orientale, non indifferenti alle serene massime buddiste che filtravano nei grandi movimenti umani dei mercanti e dei soldati, i sadducei erano la corrente modernista della sinagoga. Al contrario i farisei, irrigiditi in una dogmatica letterale, incapace escatologicamente[10] di rispondere ai veri bisogni spirituali, chiudevano, nei versetti della Torà e nella interpretazione tradizionale della stessa, ogni anelito culturale, scontrandosi di continuo contro le correnti definite ‘profanatrici’ che, avide di manifestazioni, urtavano per ogni dove l’antemurale[11] del Tempio di Gerusalemme.

                     57.                   Il battibecco di Gesù con il levita era stato udito da un dottore sadduceo intinto di buddismo, il quale, ritrovando sulle labbra infantili lo stesso concetto su cui affaticava il pensiero, aveva introdotto Gesù in mezzo ai dottori come un sostegno della bontà della sua idea. La discussione che ne era sorta, era stata afferrata dall’adolescente Gesù e svolta in maniera da affascinare i dotti avvezzi alle sottili disquisizioni, appunto per il soffio nuovo e vivente che emanava dal fanciullo prodigioso. Da lui era sbocciata la convinzione d’amore, e la Torà si era animata nelle parole colme di saggezza e di logicità di un bimbo, ignaro di regole filosofiche, puntate alla mèta di una verità nascosta, raggiungibile mediante semplicità.

                     58.                   Perciò il sadduceo aveva ragione nella sua affermazione mirante a stabilire un meraviglioso fatto umano, anzichè un non necessario intervento divino. Ma i farisei, se in Gesù potevano accettare l’angelo, non potevano ammettere un raziocinio umano, più logico, più accettabile, più comprensibile del castello di difficoltà costruite sulla Torà e dal fanciullo, agevolmente rovesciate con poche proposizioni, stringenti e logiche, che avevano suscitato l’entusiasmo dei sadducei.Nella sinagoga ognuno parlava per conto suo esponendo le più strane teorie dottrinali. In un angolo della medesima, silente e pensieroso, un uomo avvolto in paludamenti[12] sacerdotali, ascoltava la babelica confusione dicendo fra sè:

                     59.                   «Molto bene. Finché discutono del sesso degli angeli, non avranno il tempo per occuparsi di Erodiade, e gli zeloti non potranno crearmi complicazioni con il prefetto Ponzio».

                     60.                   L’uomo che così parlava, era il pontefice Hanna!

 

Continua…

 

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* **  * * *

 

 

INDICE

 

Cap. 1

Nel deserto, l’incontro con Gamaliel – Un ricordo riaffiora: Elia nel piccolo Giovanni.

Cap. 2

Quattordici mesi di attesa, il ragazzo torna sui monti.

Cap. 3

Un re a marce forzate con un popolo fugge da un altro re battuto, verso Gerusalemme con la moglie e la figlia di questi, quali prede di guerra.

Cap. 4

Pilato, Erode e Hanna a colloquio – Il tetrarca si tiene Erodiade e compra il silenzio dei potenti amici.

Cap. 5

Gesù dodicenne nel Tempio per tre giorni tra i dottori.

Cap. 6

Erodiade per tre anni nel rapporto con la cognata Zulemia è iniziata da Daida ai misteri dei cabìri, ma non ottiene il potere che vorrebbe, per diventare regina.

Cap. 7

La buona Daida, nutrice di Erodiade, è dispensata dai suoi insegnamenti, ma compare Zobeida, altra schiava asservita alla dea Astarte, che infiamma l’odio dell’amante di Erode contro Zulemia.

Cap. 8

Un occasione si arroventa – Zulemia indossa la collana di Erodiade – Dal mago Simone – Il patto – Daida percepisce l’odio.

Cap. 9

La possessione diabolica – Ritorno a palazzo – Daida è morta – Nel deserto, Giovanni è con Gamaliel – Elia a colloquio.

Cap. 10

Nel tempio degli esseni un antico rito – Gamaliel e Giovanni rinnovano la fede e la sottomissione a Dio.

Cap. 11

Uno strano colloquio: due potenti e una cittadina da rinnovare – Tullia fa da garante.

Cap. 12

Giovanni profetizza nell’antro degli esseni e Gamaliel guida i suoi sulle profezie con la figlia Zuleima presente – Progetto per restituirla a Erode in cambio di Erodiade – Il piccolo Gesù benedice il giorno.

Cap. 13

Passano cinque anni – Tullia e la storia della schiava Eutimia – Nel deserto Giovanni adulto comincia a esortare – È da credere cosa? – Brutte notizie: Zulemia è pugnalata – Sospetti e dubbi di Pilato.

Cap. 14

Il funerale è pronto – Tullia incontra il re Gamaliel – Arriva Giovanni-Elia che vieta la vendetta, elegge Areta a successore, esorta i presenti e porta via Gamaliel.

Cap. 15

Il lungo viaggio nel deserto verso la comunità iniziatica – Gamaliel in un nuovo mondo interiore – L’iscariota è rifiutato da Giovanni che lascia la guida dei suoi al re essenico per il Giordano, ad attendere Gesù.

Cap. 16

Festa solenne nella nuova Tiberidade, ma senza Erode né Tullia – Nelle rovine di Genezareth Simon mago fa il punto dei loro intrighi – Gesù è pronto per la missione salvifica.

Cap. 17

A Nazareth, Gesù desiderato da molte donne, era cresciuto amato da Maria e da Giuseppe, poi trapassato – Nel deserto, Giovanni grida alle folle, mentre Erode vorrebbe preghiere, ma riceve la giusta mercede di verità.

Cap. 18

Nella comunità essenica sotto la cura di Gamaliel, ricchi insegnamenti guidano gli aderenti, compreso Giuda, anima inquieta che non riesce a trovare Iddio.

Cap. 19

Un sabba infernale ­– Satana dichiara la sua impotenza su Dio e sul principe bianco (Gesù) – Abigael non si piega e perde la sua vita insieme alla strega offerta in sacrificio – Erodiade torna dall’esilio.

Cap. 20

Giovanni battezza al Giordano, poi si reca alla reggia di Erode per ammonire gli amanti – Al Giordano in migliaia si battezzano, anche Gesù, e dal cielo l’atto è benedetto per l’eternità.

Riflessione

Cap. 21

Dopo quaranta giorni nel deserto, Gesù è tentato da Satan-Nael a causa della fame – L’incontro con Barabba, l’aiuto ai carcerati.

Cap. 22

Barabba e il ricordo di Gesù bambino – Zimbla cede il figlioletto a una guardia – La seconda tentazione a Gesù.

Cap. 23

L’ultima tentazione – Giovanni medita sul battesimo a Gesù, poi riprende a predicare proprio mentre passa Salomè, sfidandolo con la sua giovane bellezza.

Cap. 24

La personalità di Tullia è resa evidente a Pilato – Premonizioni, sogni e un oracolo.

Cap. 25

Un desiderio lubrico è ordito dalla vergine Salomè tramite un citareo nano – Simon mago a corte profetizza sulla pseudo regina e sull’intraprendente terribile figlia.

Cap. 26

Eutimia è alle strette da Ponzio, ma non tradisce la sua padrona – Tullia manifesta la fede in un aldilà e Pilato la confina nella reggia – Salomè in trepidante attesa ottiene buone notizie dal nano Paride.

Cap. 27

La stretta di vite sugli zeloti, mentre gli esseni si salvano –  Erodiade trama ancora con Simon mago – Il piano di Salomè è scopeto.

Cap. 28

Nella comunità essenica guidata da Gamaniel si disquisisce sul battesimo di Giovanni a Gesù – È Egli l’atteso? – Una delegazione si propone.

Cap. 29

Da Giovanni – Solo Andrea e un sadduceo comprendono e riescono a trovare Gesù – Paride rinnova la promessa dell’incontro, ma quale sarà il fine? – Salomè in cammino, ma è seguita.

Cap. 30

L’incontro – La fine di Paride - L’arresto di Giovanni.

Cap. 31

Giovanni in carcere per volere di Simon mago, medita – Salomè dichiara il suo amore.

Cap. 32

Sommosse in Galilea a difesa di Giovanni – Pilato da Erode – Giovanni dal carcere manda i suoi discepoli da Gesù.

Cap. 33

Giovanni è rapito nel più alto dei Cieli, fin dalla Divinità primordiale.

Cap. 34

L’essenzialità di Giovanni ‘il senza peccato’ a colloquio con la Divinità/Padre/Madre/Gesù – Erode vorrebbe riscattare Giovanni mentre Eroidiade lo votrrebbe morto.

Cap. 35

Giovanni a colloquio da Erode.

Cap. 36

Gesù predica e i discepoli di Giovanni vanno a chiedere se è lui il Messia.

Cap. 37

Il carceriere vuol mediare presso il procuratore – Una sorpresa: una donna è guarita – Erode ben dispone Salomè, mentre Erodiade vorrebbe morto Giovanni.

Cap. 38

Nella cella, Cuza a colloquio con Giovanni.

Cap. 39

Giovanni è richiamato da Erode – Il vecchio carceriere ha un infarto – Erode, prima propone, poi, da re, sentenzia.

Cap. 40

La segregazione è più dura, ma dalle segrete la voce di Giovanni è ascoltata – La furia di Erodiade – Salomè ottiene un colloquio con Giovanni.

Cap. 41

Nell’infima cella – Lubriche proposte, spirituali risposte – La battaglia è vinta.

Cap. 42

Salomè ferita nell’orgoglio organizza una festa ­– Erodiade trama ancora con Simon mago.

Cap. 43

Durante un intero anno, madre e figlia si comprendono – Nella buia prigione Giovanni si spiritualizza sempre più – Simon mago trama e ottiene fiducia da Salomè.

Cap. 44

Salomè sempre più vittima di forze occulte – Giovanni accetta il suo sacrificio – Tullia si invita alla festa di Erode.

Cap. 45

La cena regale – Sfoggi e premonizioni.

Cap. 46

Prosegue il convitto regale – Altri segni – L’incredibile ballo di Salomè.

Cap. 47

La richiesta sotto l’effetto di forze demoniache: la testa

Cap. 48

Epilogo

 

 

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[1] Barracano: ampia e lunga veste di lana che indossavano gli Arabi dell’Africa settentrionale.

[2] Afflato: esalazione.

[3] Pronao: la parte anteriore di un edificio sacro.

[4] Mignam: affiliazione al tempio.

[5] Torà: libro della Legge mosaica

[6] Sciammà: nome dato in Etiopia a una tela di cotone, bianca e molto soffice, e all’indumento fatto con quel tessuto indossato indifferentemente sia dagli uomini che dalle donne.

[7] Cammeo: sta a indicare levigatezza, trasparenza di forme o anche raffinatezza, eleganza e concisione di stile.

[8] Calcide: antico nome geografico di parecchie città greche.

[9] Gineceo: presso gli antichi era la parte interna della casa riservata alle sole donne.

[10] Escatologia: ogni dottrina a carattere religioso, filosofico o più raramente scientifico, che si occupa del destino finale dell’uomo e dell’universo.

[11] L’antemurale: muro di prima difesa, nelle fortezze antiche.

[12] Paludamento: veste ampia e sfarzosa.