Jakob Lorber
1851-1864
IL GRANDE VANGELO DI GIOVANNI
Volume 4
La vita e gli insegnamenti di Gesù nei tre anni della Sua predicazione
Traduzione dall’originale tedesco “JOHANNES das große Evangelium” (vol. 4)
Opera dettata dal Signore nel 1851-64 al mistico Jakob Lorber
Casa Editrice dell’originale in lingua tedesca: Lorber Verlag - Bietigheim – (D)
Copyright © by Lorber Verlag
Copyright © by Associazione Jakob Lorber
“Ringraziamo la Lorber Verlag, Friedrich Zluhan e l’Opera di Divulgazione Jakob Lorber e.V., D-74321 Bietigheim/Wuertt., per il sostegno nella pubblicazione di questo volume”.
Traduzione di Salvatore Piacentini dalla 7° edizione tedesca 1982
Revisione parziale a cura dell’Associazione Jakob Lorber
Casa editrice GESÙ La Nuova Rivelazione
Via Vittorio Veneto, 167,
24038 SANT’OMOBONO TERME (Bergamo)
www.gesu-lanuovarivelazione.com
Unità di misura austriache del 18°/19° secolo usate nel testo |
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1 Eone |
= 10120 (1 con 120 zeri) |
1 Linea |
= 2,2 mm |
1 Miglio austriaco |
= 7,586 km |
1 Miglio tedesco |
= 7,42 km |
1 Pertica |
= 3,8 m |
1 Spanna |
= 20 cm |
1 grano |
= piccola unità di misura antichissima |
La vera sapienza e l’adorazione vivente di Dio
1. Dopo esserMi alzato, e dopo che tutti quelli che erano con Me trascorsero più di tre ore sonnecchiando dolcemente, chiamai subito i tre e chiesi loro perché non avessero dedicato anch'essi quelle tre ore al sonno ristoratore.
2. Dice Mataele: «O Signore di ogni Magnificenza e Sapienza! Chi può avere bisogno di dormire dopo aver ottenuto, attraverso la Tua parola, il più possente ristoro? Noi tre ci troviamo tanto rinvigoriti come se avessimo dormito saporitamente tutta la notte. Noi tre, nel Tuo Nome, abbiamo impiegato le tre ore di tempo nel miglior modo possibile, e per concessione della Tua Grazia immensa abbiamo imparato cose di cui certo nessun mortale ha mai finora saputo niente, nemmeno in sogno. Ed è per questo che noi ora Ti rendiamo le più sentite e calorose grazie; Tu solo sei il Signore, e sei dappertutto il Tutto nel tutto; a Te solo vada dunque tutto il nostro amore e la massima venerazione!»
3. Dico Io: «Allora sta bene! Io certo sono a conoscenza di tutto quello di cui avete effettivamente discusso e che avete imparato prima del tempo a voi destinato a questo scopo! Ma poiché ormai queste cose le avete imparate, per ora tenetele per voi, ed anche più tardi vedete di non farne un uso ingiusto, dato che i figli di questa Terra non sono in grado di poterle comprendere, poiché essi non provengono da quelle sfere da dove provenite voi. Però voi apprenderete delle cose ancora più grandi quando lo Spirito Santo verrà sopra di voi. Questo Spirito sarò Io un giorno ad inviarLo sopra di voi dai Cieli, ed Esso soltanto vi sarà da guida in ogni verità! Ora Questo sarà lo Spirito dell'Amore, il Padre in Persona, il Quale vi educherà e vi ammaestrerà affinché voi tutti possiate venire là dove Io sarò.
4. Perciò in verità vi dico: “Nessuno verrà a Me se non sarà attratto a Me per mezzo del Padre!”. Voi tutti dovete venire ammaestrati dal Padre, vale a dire dall'eterno Amore in Dio, se volete venire a Me! Voi tutti dovete essere perfetti così come è perfetto il Padre che è nei Cieli. Però il molto sapere come pure la molta e più ricca esperienza non vi faranno avvicinare alla meta, ma soltanto il vivente amore per Dio nonché il vivente amore per il prossimo; ecco, qui si cela il grande mistero della rinascita del vostro spirito da Dio e in Dio.
5. E ciascuno dovrà prima passare con Me per la porta stretta della piena abnegazione di se stesso fino a diventare come sono Io. Ciascuno deve cessare di essere qualcosa per sé, per poter diventare tutto in Me.
6. Amare Dio sopra ogni cosa vuol dire: sorgere in Dio e penetrare del tutto in Lui; amare il prossimo vuole dire ugualmente: penetrare completamente nel prossimo, altrimenti non lo si può amare interamente; un mezzo amore invece non è di utilità, né a chi ama né a chi è amato.
7. Se sei su un'alta montagna e ti vuoi godere tutto il panorama da ogni parte, devi arrampicarti in ogni caso fino alla massima vetta, perché da una qualsiasi cima più bassa ti rimarrà sempre nascosta una buona parte del panorama totale. Per conseguenza anche nell'amore, tutto, comprese le cose più esteriori, deve sorgere e sgorgare dal più intimo dell'essere, affinché i frutti dell'amore possano rivelarsi in voi.
8. Il vostro cuore è un campo, l'amore operante è la viva semente, mentre i fratelli poveri rappresentano il campo concimato; chi di voi deporrà la semente in abbondanza nei solchi del campo ben concimato, costui godrà anche di un ricco raccolto. Con quanti più poveri concimerete il campo, tanto più vigore questo acquisterà, e quanto più abbondante semente vi spargerete, tanto più abbondante sarà anche il raccolto. Chi seminerà riccamente, farà un ricco raccolto, ma chi invece sarà parco nella semina, raccoglierà anche parcamente.
9. Ebbene, la sapienza suprema sta nel fatto che voi diventiate sapienti attraverso il più vivente amore. Qualsiasi sapienza però che non abbia quale fondamento l'amore, non ha nessun valore! Perciò le vostre cure siano rivolte non tanto al molto sapere, quanto piuttosto al molto amare, ed in questo modo l'amore vi darà quello che nessuna sapienza sarà in grado di darvi. È sicuramente bene che voi tre abbiate impiegato con il massimo zelo le tre ore per arricchire in vari modi la vostra conoscenza e la vostra esperienza, ma da tutto ciò, di per sé, potrà derivarne ben poco vantaggio alle vostre anime; tuttavia se in avvenire dedicherete con pari zelo il vostro tempo all'amore del prossimo, una giornata sola sarà già di immensa utilità per le vostre anime!
10. A che cosa potrebbe giovarvi al Mio cospetto se da parte vostra - considerando la Mia Potenza, la Mia Grandezza e la Mia Magnificenza in eterno inconcepibile - voleste addirittura disciogliervi per l'ammirazione, mentre dinanzi alla vostra porta piangessero inutilmente i poveri fratelli e le sorelle stretti nella morsa dolorosa della fame, della sete e del freddo? Oh, come sarebbero vane e misere anche le più rumorose esclamazioni di giubilo e di lode ad onore e gloria di Dio, qualora dovessero sopraffare il grido di dolore e i lamenti dei poveri fratelli! A che cosa possono giovare tutte le fastose cerimonie e tutti i più abbondanti sacrifici nel Tempio, quando davanti alla porta del Tempio c'è un povero fratello che muore di fame!
11. Siano perciò le vostre indagini rivolte anzitutto là dove c'è la miseria dei vostri poveri fratelli e sorelle: a questi porgete aiuto e conforto! Ed allora, in un solo fratello che voi avrete soccorso troverete molto più di quanto trovereste nel visitare tutte le stelle dell'universo e poi Mi aveste glorificato con il linguaggio dei serafini!
12. In verità, in verità Io vi dico: “Tutti gli angeli, tutti i Cieli e tutti mondi con tutta la loro sapienza non possono in eterno mai darvi quello che voi potete acquistare porgendo vero aiuto ad un misero fratello con tutte le vostre forze e con tutti i vostri mezzi! Niente esiste al Mio cospetto di più sublime e di più vicino a Me dell'amore vero e puro che si traduce nelle opere!”.
13. Mentre preghi Dio - e nello stesso tempo odi il lamento del tuo povero fratello venuto ad implorare soccorso proprio nell'ora che tu dedichi alla preghiera e tu, seccato, non gli vuoi dare retta - allora sia maledetto il vano vociare della tua bocca! Poiché la Mia vera Gloria sta solamente nell'amore, e non nel vocìo vuoto e inconsistente delle tue labbra!
14. Voi non dovete essere come Isaia ha esclamato: “Ecco, questo popolo Mi onora con le labbra, mentre il suo cuore è ben lontano da Me!”, ma quando Mi pregate, fatelo in spirito e in tutta verità! Poiché Dio è uno Spirito, e come Tale può venire adorato soltanto in spirito e in verità.
15. Dunque, la sola e vera preghiera a Me gradita non consiste nel muovere la lingua, la bocca e le labbra, ma consiste unicamente ed effettivamente nel mettere in pratica l'amore. A che cosa può servirti adornare la tomba di un profeta impiegandovi anche molte libbre d'oro (molti kg d’oro), ma se così facendo non hai ascoltato la voce del misero fratello che soffre e invoca soccorso? Credi forse che Io Mi compiacerò della tua azione? O stolto! Anzi, il Mio occhio ti guarderà con ira perché non hai ascoltato la voce di un vivente mentre stavi rendendo onore ad un morto!».
Il destino dei luoghi della Palestina.
1. Vedete, perciò anch'Io ho già preso le disposizioni opportune, affinché le località che noi stiamo visitando non esistano più già tra cento anni, e ciò allo scopo che con il tempo non venga a stabilirsi una idolatria troppo rozza rispetto ad esse!
2. La Mia Nazaret non sarà più trovata, ma ve ne sarà un'altra oltre queste montagne verso occidente; Genezaret si estinguerà, e rimarrà soltanto Tiberiade al di qua del mare; Cesarea di Filippo - dove ora ci troviamo - sarà già svanita, però ne rimarrà una sulle alture di Meron (un lago) da dove il Giordano scorre giù verso di noi, ed un'altra verso occidente nelle vicinanze del grande Lago salato (Mar Morto) e precisamente dalla parte dove si trovano, a non molta distanza, Tiro e Sidone. Il paese di Samaria, però, verrà conservato soltanto in parte, da qui verso mezzogiorno fino al grande mare, mentre la parte minore che giace più verso oriente, con la vera Sichar e il vero monte Horeb sarà cancellata, e i futuri successori la cercheranno e la troveranno non lontano dal grande mare, tuttavia vi sarà solo il nome e una montagna dirupata, ma non la verità, e la stessa sorte toccherà a Gerusalemme e a moltissime altre località della Terra promessa che sarà tramutata in un deserto in molteplici modi.
3. Prendete bene nota di tutte queste cose, perché esse accadranno di sicuro, affinché l'umanità, nel suo zelo idolatra verso questi luoghi, non lasci inascoltata la voce dei poveri fratelli e sorelle. Sarà opportuno che su tutti i fanatici scenda la confusione, e nella falsa Nazaret essi cercheranno talmente tanto la Mia capanna da divenirne stolti, poiché la vera Nazaret, poco dopo che Io sarò salito nel Mio Regno, sarà rasa al suolo.
4. Chi cercherà e scruterà le cose vane, costui anche troverà cose vane, e ne morirà; ma chi invece cercherà la vera Nazaret nel proprio cuore, la troverà in ciascun fratello povero, ed una genuina Betlemme la troverà in ogni sorella povera.
5. Verranno tempi in cui gli uomini giungeranno qui da molto lontano e cercheranno questi luoghi. Sicuramente rimarranno i nomi, ma non i luoghi. Anzi, i popoli d'Europa muoveranno guerra per il possesso di questi luoghi, e saranno dell'opinione e della fede di renderMi così un grande servizio, mentre nella loro patria avranno abbandonato moglie e figli, fratelli e sorelle, languenti e senza aiuto, nella più squallida miseria!
6. Ma quando essi un giorno, nell'aldilà, verranno da Me per ricevere la ricompensa che si aspettano per le loro fatiche e i loro sacrifici, Io allora farò sì che venga resa manifesta la loro immensa stoltezza, e mostrerò loro quanta desolazione avranno sparso fra gli uomini con la loro rozza stoltezza, da Me mai comandata, ed in primo luogo fra coloro che saranno stati anzitutto affidati alle loro cure, cioè le loro misere e deboli mogli e figli ed altri simili bisognosi di soccorso nelle loro case! E verrà fatto capire loro che non potranno entrare nella Luce della Mia Grazia se prima non avranno risarcito completamente tutto il male causato, ciò che riuscirà loro molto difficile, considerato che a tale scopo essi non disporranno che di mezzi quanto mai scarsi nella loro debole luce crepuscolare del regno degli spiriti sopra e sotto la Terra in cui si troveranno immersi.
7. Sì, Io vi dico che, a causa della immensa stoltezza degli uomini, questi luoghi saranno dati in preda ad un popolo di pagani. E per mezzo di questo popolo Io farò flagellare i falsi coloro che professeranno falsamente la Mia Dottrina, a oriente ed a occidente, nel meridione e nelle regioni del settentrione.
8. Abbiate dunque cura che la stoltezza e la cieca superstizione non prendano piede in mezzo alla Mia Dottrina della Vita e al vero riconoscimento di Dio per l'unica via dell'amore operoso. Questo amore darà a ciascuno la vera luce, e la giusta e illimitata visione di tutte le cose nel mondo della natura ed in quello dello spirito! Questo è e resta in eterno il solo efficace mezzo e la sola vera via per arrivare a Me e nel Mio Regno eterno.
9. Io solo, quale l'Amore dall'eternità, sono la Luce, la Via, la Porta e la Vita eterna! Chi vuole penetrare nel Mio Regno della Luce da qualche altra parte, costui è simile ad un ladro e ad un predone, e sarà cacciato fra le tenebre più estreme già in questa vita, e molto di più ancora un giorno nell'altra. Ecco che voi ormai sapete ciò che dovete fare, e ciò che è buono e giusto al Mio cospetto. Così operate, e così procederete per la retta via!
10. Ed ora noi andremo a trovare i nove annegati, e tu, o Marco, fa portare del vino, perché ne avremo bisogno!
Il Signore presso i nove annegati.
1. Dopo di che ci recammo là dove erano adagiati i nove, ed Io feci girare i loro corpi con la faccia all'insù; e quando si trovarono in questa posizione, dissi a Marco: «Versa a ciascuno qualche goccia di vino in bocca!». La cosa era facilmente eseguibile, dato che tutti avevano la bocca aperta, e quando così fu fatto, Io dissi a tutti i presenti: «Avvicinatevi, e chiunque fra voi sia debole di fede, esamini se i nove sono o no assolutamente morti!»
2. Ora fra i trenta farisei convertiti c'era pure un medico il quale sapeva bene giudicare se un corpo fosse o no completamente morto. Costui si avvicinò ai cadaveri dicendo: «Non sono venuto per verificare se questi annegati siano effettivamente morti, poiché io non ho il benché minimo dubbio sul fatto che essi siano davvero morti, ma sono venuto per fornirvi, quale esperto in tale genere di cose, una valida prova che la vita ha del tutto abbandonato questi nove». Allora egli cominciò a palpare i nove, ne esaminò gli occhi e il naso ippocratico[1] , segni questi certissimi della morte completa e dell'assenza assoluta di ogni spirito fisico-vitale.
3. E dopo che il medico ebbe terminato il suo esame, ed ebbe pronunciato in questo senso la sua sentenza confermata pure dalla testimonianza di tutti i presenti che l'avevano trovata giusta e valida, egli aggiunse ancora: «Non soltanto adesso, ma già ieri, dopo un'ora dall'essere stati travolti dall'acqua, essi erano altrettanto morti quanto lo sono in questo momento; inoltre, a giudicare dalla deformazione del naso e dall'odore che esalano, è già iniziato anche il processo della decomposizione. Ormai non vi è né scienza, né capacità, né forza umana che possa richiamarli in vita. Una cosa simile non la potrebbe fare che Colui il Quale richiamerà in vita tutti i morti, fuori dalle loro tombe, nel giorno del Giudizio!»
4. Dico Io allora: «Affinché, dopo questa valida testimonianza del medico, riconosciate bene la Gloria del Padre nel Figlio dell'uomo, Io invoco ad alta voce il Padre e dico: “Padre! Glorifica il Tuo Nome!”.
5. In quello stesso istante molti sentirono una Voce, come di molteplice tuono, rispondere: "Io L'ho glorificato in Te, o dilettissimo Figlio Mio, perché Tu sei Colui nel Quale Io ho il massimo compiacimento! Tutta l'umanità Ti ascolti!».
6. Molti udirono queste parole, ma molti altri invece non sentirono che un fragore di tuono, e domandarono come avesse potuto manifestarsi il fenomeno. Ma coloro che nel tuono avevano percepito delle parole, resero testimonianza di quanto avevano udito, e gli altri ne rimasero stupiti e dissero: «La cosa è strana; noi non abbiamo sentito che il rumore del tuono, ma se voi, che siete la maggioranza, avete udito le stesse parole, crediamo anche noi come se le avessimo udite con i nostri stessi orecchi. Ma pure da tutto ciò risulta allora che questo Maestro è solo il figlio, e non il Padre santo ed onnipotente che dimora nel Cielo e che nessuna creatura umana può vedere ma solamente udire in certi momenti particolarmente sacri! Dunque, allora anche Mosè deve essere stato un figlio dell'Altissimo, considerato che a suo tempo ha fatto grandi miracoli, e simile a lui devono essere stati gli altri profeti; la sola differenza è che questo Nazareno dovrebbe certo essere il più grande fra tutti i profeti, dato che egli compie miracoli più grandi e più numerosi!»
7. Dice allora Murel che aveva udito benissimo questa opinione: «No, voi vi sbagliate, e si vede che siete ben lontani dall'aver compreso come stanno le cose! Chi prima di Mosè ha annunciato, mediante lo Spirito del Signore, appunto un Mosè, chi un Elia, chi un Samuele e chi uno dei quattro grandi profeti? Essi vennero suscitati come per caso da Dio e profetizzarono; e di Chi profetizzarono per lo più? Appunto di Colui che ora ci sta dinanzi. La Voce che ora fu udita come un tuono possente era assolutamente altrettanto la Sua propria Voce, come Sua è quella che per bocca del Suo corpo parla a noi; il divario consiste soltanto nel fatto che con la voce del Suo corpo Egli parla a noi come uomo, mentre per mezzo della Voce del tuono Egli Si è fatto udire come Colui che era in eterno ed in eterno sarà, che ha creato tutto ciò che esiste e che diede sul Sinai le leggi al popolo fra lampi e tuoni. Perciò soltanto a Lui ogni cosa è possibile, anche quella per cui, per il Suo immenso Amore a noi, Suoi figli, è potuto diventare un uomo come lo siamo noi, altrimenti sarebbe perfettamente escluso che Egli potesse venire mai, in eterno, visto e completamente riconosciuto dai Suoi figli che Egli ama sopra ogni cosa!».
Le disposizioni del Signore per la resurrezione degli annegati.
1. Allora Io Mi avvicino a Murel e gli dico: «Hai parlato bene, o figlio Mio! Tu sei dunque davvero a fondo nella verità ed hai rettificato perfettamente, in modo conforme alla verità, l'opinione di coloro che non vedevano troppo bene le cose. Tu diverrai un eccellente strumento per combattere le idee degli ebrei e dei pagani, e la ricompensa che ti attenderà nel Cielo non sarà certo piccola.
2. Ma ora è tempo di accingerci all'opera che Io ho destinato per voi, affinché ciascuno possa toccare con mano che solo Io sono veramente Colui che doveva venire secondo le predizioni di tutti i profeti fino a Simeone, Anna, Zaccaria e Giovanni che fu fatto decapitare da Erode. Vedi, questi annegati saranno tutti fatti rivivere, ed essi se ne ritorneranno alle loro case. Ma quando avranno riacquistato completamente la vita e le forze sufficienti, non tratteneteli, ma lasciate che se ne vadano subito; basta solo che, quando Io avrò abbandonato questi luoghi, qualcuno di voi dichiari loro quello che è accaduto qui nei loro riguardi!»
3. E dopo esserMi espresso così Io dissi a Marco: «Ora versa di nuovo del vino nella loro bocca!»
4. E Marco eseguì, però Cirenio e Cornelio Mi domandarono perché fosse necessario versare in bocca agli annegati del vino prima di richiamarli in vita.
5. Allora Io risposi: «Agli scopi della rivivificazione di questi nove, ciò non sarebbe affatto necessario, però, dato che, dopo aver riacquistato la vita, essi si allontaneranno subito da qui, è necessario che il loro corpo venga rinvigorito, e tale risultato lo si otterrà appunto versando nelle loro bocche del vino prima ancora che vengano fatti rivivere. Il vino viene assorbito dai nervi del palato e della lingua, e in questa maniera l'azione viene comunicata anche agli altri nervi vitali; quando poi questi nove rivivranno, le loro anime, ritornate nei rispettivi corpi, avranno a loro disposizione degli strumenti già rinvigoriti che essi potranno adoperare immediatamente per qualsiasi genere di attività. Infatti, se questo rinvigorimento preliminare venisse a mancare, i rianimati dovrebbero fermarsi per qualche tempo qui per far riprendere alle loro membra le forze necessarie. In pari tempo questo atto anticipato di irrobustimento susciterà nei nove una sensazione molto gradevole al palato, ciò che è anche necessario per la ragione che, dopo che la vita è rientrata in loro, l'odore dell'acqua torbida ingerita causerebbe in loro degli effetti molto nocivi, e liberarli completamente da questi ultimi richiederebbe un tempo ben lungo. Ecco dunque che ora sapete anche questo; avete da chiedere ancora qualcosa a questo proposito?»
6. Risponde Cornelio: «Questo proprio no, o Signore e Maestro, solo che adesso è sorto in me il pensiero di come Tu, che sei l'Onnipotente a Cui soltanto sono soggette tutte le cose, voglia servirTi ogni tanto di mezzi del tutto naturali per il raggiungimento di un qualche scopo!»
7. Dico Io: «E perché non dovrei fare così? Non è anche il mezzo naturale un'opera della Mia Volontà? Prendiamo ad esempio il vino della cantina di Marco: non sono stato appunto Io a riempire in maniera del tutto prodigiosa i suoi otri e gli altri recipienti? Dunque, se Io Mi servo di un mezzo naturale, questo non è un prodigio da meno che se avessi fatto ricorso unicamente alla Mia Volontà rinunciando ad impiegare il mezzo naturale. Comprendete ora anche questo?»
8. Rispondono Cornelio e Cirenio: «Sì, anche questo ci è ormai chiaro, e noi ci rallegriamo già ora della resurrezione dei nove annegati! Avrà luogo presto?»
9. Dico Io: «Ancora un po' di pazienza, e cioè fino a quando sia stato versato loro in bocca del vino per la terza volta; dopo di che si troveranno rinvigoriti a sufficienza, e pronti quindi ad essere fatti rivivere»
10. Con ciò tutti i curiosi rimangono soddisfatti, e Marco dietro un Mio cenno versa per la terza volta del vino in bocca ai nove.
11. Dopo di che, rivoltoMi ai molti che erano presenti, dico: «Ormai anche quest'opera è compiuta! E adesso allontaniamoci da qui e andiamo a prendere posto alle mense dove già ci attende una colazione ben preparata, perché, se rimanessimo qui tutti intorno, ciò non farebbe che suscitare confusione nei rianimati, i quali potrebbero sospettare che qualcosa di straordinario debba essere accaduto nei loro riguardi. Ma se invece non si vedranno vicino nessuno, penseranno di essersi addormentati su questa collina in seguito allo stordimento e alla stanchezza causata dall'uragano di ieri, e di essersi destati ora, cioè nel mattino di questo giorno immediatamente seguente il Sabato di ieri! Dopo di che, non curandosi affatto di noi, si alzeranno tranquilli dal loro giaciglio e faranno ritorno alle loro case dove, naturalmente, verranno accolti e ristorati dai familiari con la massima gioia di questo mondo».
I dubbi di Cornelio.
1. A queste Mie parole tutti fanno come Io avevo comandato, però la maggior parte non lo fa proprio volentieri, poiché essi avrebbero preferito assistere da vicino al miracolo; tuttavia nessuno si azzardò a farMelo osservare. Noi allora ce ne andiamo alle mense, vi prendiamo posto e facciamo onore ai pesci che anche questa volta sono eccezionalmente ben preparati e di eccellente sapore, e li mangiamo con animo lieto.
2. Particolarmente lieta si mostra la Mia Giara la quale esce con questa esclamazione: «Davvero, io non so proprio come mai oggi sia così di buon umore! Mi accorgo però di una cosa, e cioè che questa mia grande letizia non è condivisa nella stessa misura da tutti gli altri! Io non sono che una fanciulla, e per conseguenza dovrei essere tormentata dalla curiosità più di ogni altro. Gli uomini gettano continuamente delle occhiate da quella parte per vedere se i nove siano già risuscitati. Io non ho ancora affatto rivolto i miei occhi da quella parte, eppure li ho visti andarsene l'uno dopo l'altro, mentre gli uomini, i signori e i regnanti stanno guardando ancora, e tra di loro si chiedono se i nove abbiano davvero riacquistata la vita. Oh, ciò è già accaduto circa mezz'ora fa! I nove cominciarono a muoversi subito dopo che noi arrivammo alle mense, essi si alzarono uno dopo l'altro da terra, si sfregarono gli occhi come per scacciare il sonno e poi si allontanarono. Io potei vedere tutta la manovra facilmente attraverso gli alberi che ci nascondono un po’ quel posto, perché io sono piccola e posso vedere bene guardando al di sotto dei rami, voi invece siete grandi, e gli alberi vi hanno nascosto il prodigio della potenza della Volontà divina. Ora però è troppo tardi; se voi anche andaste lì, non trovereste più nulla all'infuori tutt'al più dei posti dove erano stesi i corpi dei nove. Anche quelli che il Signore ha restituito alla vita ieri, subito dopo l'uragano, se ne sono andati ai loro paesi assieme ai nove»
3. Dice Cornelio: «Ma sai che tu hai dei buoni occhi e che niente ti sfugge? Ad ogni modo se tutto è già finito, tutto anche va bene, e noi non ci teniamo ad altro se non alla sicura riuscita di quanto il Signore comanda e vuole, perché anche un solo insuccesso susciterebbe più di un dubbio in quelli che credono difficilmente. Ma hai tu proprio visto i nove alzarsi e andarsene?»
4. Risponde Giara, un po’ risentita: «Oh, spero bene che non penserai di trovarti di fronte ad una mentitrice! Da quando vivo ed ho la facoltà della ragione, non è mai apparsa una menzogna sulle mie labbra, e proprio ora, a fianco del mio Dio e Signore e verissimo Maestro, dovrei venire fuori con una menzogna per saziare la vostra curiosità! Oh, allora devo dire che tu, o nobile signore, non conosci affatto chi è Giara. Vedi, nell'intelletto, per quanto limpido sia, può sempre dimorare la menzogna, perché fuori dal tuo intelletto puoi aver chiarito a qualcuno qualcosa a seconda di quanto a te appaia evidente; però può essere che quello che a te appare evidente, poggi invece su delle fondamenta completamente false, ed allora con la tua spiegazione hai assolutamente mentito, avendo, facendo così, ingannato te stesso nonché il tuo prossimo. Il vero e puro amore, invece, non inganna mai, né può mai mentire, dato che esso stima il prossimo quale un figlio anch’egli di Dio - più di se stesso, e Dio poi sopra ogni cosa! Ma io, che mi sento colma dell'amore per Dio, e per conseguenza anche per il prossimo, come potrei, ciononostante, darti una notizia non vera? Oh, mio nobile Cornelio! L'avermi ritenuta capace di questo non è stata proprio una grande gentilezza da parte tua!»
5. Dice Cornelio: «Ma, o soavissima fanciulla! Io non intendevo parlarti assolutamente in questo senso! Io ti ho interpellato così perché questa è una maniera di domandare assolutamente comune, ma non ho pensato neanche lontanamente che tu avessi voluto dirmi qualcosa di non vero! Chiedilo al Signore stesso, il Quale certo conosce quello che si svolge nel mio animo, e apprendi da Lui se ho forse voluto tacciare te di menzogna, o soavissima fanciulla dal cuore fedele! I nove sono stati ridestati per Volontà del Signore, ed essi sono anche già partiti secondo il Volere del Signore, in modo che la faccenda è ora conclusa. Quella domanda un po' insulsa io te l'ho fatta unicamente per abitudine, e non poggiava su nessun altro pensiero; ma tu ora mi serberai rancore?»
6. Risponde Giara: «Oh, in quanto a questo, niente affatto! Tuttavia in avvenire bisogna che tu ponderi meglio le tue domande; ma adesso parlate di qualcos'altro, perché mi sembra che di discorsi inutili ne abbiamo fatti abbastanza!»
7. Dicono Cornelio e Cirenio: «Sì, certo, hai ragione; è davvero un peccato sprecare anche un minuto in chiacchiere fra di noi quando abbiamo in nostra compagnia il Signore. Lasciamo dunque ora soltanto al Signore il destinare e l'ordinare quello che sarà da fare!»
8. Dico Io: «Benissimo, allora lasciate stare queste cose; ora dedichiamoci alla pesca e così potremo incrementare considerevolmente le provviste di Marco! Dopo mezzogiorno ci si presenterà bene qualcosa da fare».
9. E Marco, che aveva udito quanto Io avevo detto, ordinò immediatamente ai suoi figli di mettere in buon assetto le barche necessarie, poiché i pesci, dentro il grande vivaio chiuso situato alla riva, avevano sofferto molto a causa della tempesta del giorno prima.
La contesa fra persiani e farisei a causa di questo miracolo.
Giuda Iscariota si dedica alla pesca dell'oro.
1. Mentre però alle nostre mense il discorso verteva su questo e su quello, una disputa era sorta fra i trenta farisei ed i persiani ancora presenti. I persiani consideravano la vivificazione dei nove annegati come un vero e proprio miracolo, mentre i trenta giovani farisei sembravano portati a dubitare un po’che fosse realmente un miracolo! Specialmente poi Risa, che prima aveva influito su Ebram a Mio favore, era quello che maggiormente si schierava contro la tesi del miracolo.
2. Allora Ebram disse: «O Risa, amico mio, quando una persona è morta totalmente nel corpo come lo erano quei nove, tu la puoi posizionare come vuoi - e il giorno seguente le puoi versare in bocca altrettanto vino della medesima qualità - e vedrai che non ci sarà affatto il modo di farla ritornare in vita. Questa invece è opera della potenza della Volontà divina, mentre la posizione del corpo e il vino fatto ingerire non hanno in questo caso altro significato che, per quanto riguarda il come è adagiato il corpo, quello di liberare lo stomaco e i polmoni dall'acqua, mentre per quanto riguarda il vino versato in bocca, quello di rinvigorire con un'azione anticipata i nervi ancora rilassati e di togliere al palato un sapore nauseante. Ma rispetto al successivo richiamo alla vita del corpo morto, né la maniera di posizionare il corpo, né il vino vanno considerati come fattori necessari. Il Signore dispose questo trattamento preliminare solamente perché Egli aveva l'intenzione di richiamare in vita quei nove grazie alla Sua Volontà, ed affinché le loro anime potessero disporre immediatamente di un corpo abitabile e adoperabile! Non ti è chiara ora questa cosa?»
3. Osserva Risa: «Sì, sì, comprendo quanto hai detto, ed è anche possibile che tu abbia ragione; tuttavia secondo me, per convincersi con i fatti, resterebbe da vedere se le manovre di posizionare il corpo in un determinato modo e versargli del vino tre volte in bocca, non costituiscano di per sé un mezzo per ridonare la vita del corpo ad uno che non sia completamente morto per annegamento. Una volta accertato che le due prove non danno alcun risultato, allora soltanto questa resurrezione va considerata come un puro ed assoluto prodigio! Questa almeno è la mia opinione!»
4. Dice Ebram: «Ebbene, se tu proprio insisti in questa tua opinione e se il Signore lo vuole, può darsi che nell'occasione della pesca che si sta per intraprendere, si venga a scoprire ancora un qualche cadavere, ed allora su questo potrai fare tu stesso gli identici tentativi per richiamarlo in vita mettendolo in posizione opportuna e versandogli del vino in bocca; ma per conto mio sono sicuro che i tuoi tentativi avranno esito assolutamente negativo!»
5. Dicono a loro volta i persiani: «Anche noi siamo dello stesso parere! Infatti, quello che è possibile soltanto alla forza della Volontà divina, questo non è possibile a nessun uomo, il quale in se stesso non è che una creatura, a meno che non sia la Volontà di Dio ad agire tramite la volontà umana. Questa è all'incirca la nostra opinione, e con ciò crediamo di non trovarci assolutamente su una via sbagliata. Ma ecco che ora tutti si dirigono verso la riva; bisogna dunque che anche noi saliamo sui nostri battelli, poiché in questa occasione non mancherà certo di verificarsi nuovamente l'uno o l'altro fatto meraviglioso del quale è necessario che pure noi siamo testimoni».
6. Dopo di che tutti i partecipanti prendono posto nelle varie barche, ormai pronte a prendere il mare che questa mattina è straordinariamente tranquillo e quindi favorevole alla pesca. Questa volta i Miei discepoli, ad eccezione di Giuda Iscariota, danno una mano ai figli del vecchio Marco e li aiutano a gettare e a stendere le grandi reti.
7. Giuda Iscariota invece vuole concedersi un diletto personale, e si avvia tutto solo verso la città interamente distrutta per vedere che aspetto abbiano lì le cose, perché prima egli aveva udito dire che i ricchi greci avevano avuto l'intenzione di lastricarvi alcune vie con oro e argento. Ora egli aveva attribuito a questa asserzione il significato che quei ricchi avessero effettivamente già dato abbondante inizio a tale operazione; egli perciò cercò di sgattaiolare per le vie della città incendiata allo scopo di sgraffignare dell'oro, dell'argento o altre cose preziose che si trovassero lì all'aperto.
8. Ma la sua sordida intenzione questa volta non portò alcun risultato per le sue tasche, ma lo portò per la sua schiena, perché quando fu riconosciuto come uno straniero che si aggirava per le vie a caccia di oro e di argento, fu ben presto fermato dalle guardie che lo picchiarono di santa ragione. Dopo di che egli prese subito il largo e abbandonò le rovine ancora fumanti, nonostante il temporale del giorno prima, dell'antica città che nei tempi antichi aveva avuto il nome di Vilipia, mentre più tardi sotto i greci era stata chiamata Philippi, e solo sotto gli imperatori di Roma aveva ricevuto in aggiunta il nome di Caesarea.
9. Ma quando il nostro pescatore d’oro fu ritornato alla casa di Marco di passo rapido, non vi trovò naturalmente più nessuno, ad eccezione della moglie e delle figlie dell'albergatore con le quali non c'era gran che da conversare, perché erano tutte occupate nei preparativi per il pranzo e per conseguenza mancava loro il tempo di badare a lui. Oltre a ciò loro credevano già fermamente in Me, e quindi non erano affatto disposte a rispondere alle domande sempre un po' indiscrete di Giuda Iscariota, senza contare che questo discepolo non si trovava affatto nelle loro buone grazie, dato che in quei pochi giorni si era dimostrato varie volte noioso e insopportabile.
10. E non avendo trovato buona accoglienza presso le donne di Marco, egli sia allontanò e si diresse verso la riva per vedere dove fossimo noi, ma rimase deluso perché noi, allo scopo di rendere più abbondante la pesca, ci eravamo portati molto al largo alla ricerca di una frotta di pesci che soltanto due volte all'anno compiono il loro viaggio migratorio dal lago di Meron fino al Giordano. Questi pesci sono costituiti in grandissima parte da eccellenti trote dorate.
11. Allora il discepolo vagante, non sapendo cosa fare per ammazzare la noia, se ne andò nelle tende di Ouran per vedere se anche là tutti fossero partiti e se, in quell’occasione, non si fosse presentata l'opportunità di trovare per caso qualche oggettino superfluo d'oro o d'argento, dimenticato eventualmente da qualcuno! Ma anche là si accorse di aver fatto i conti senza l'oste, poiché Ouran aveva lasciato tre uomini di guardia in ciascuna tenda, e questi, in assenza del loro signore, non parlavano volentieri. Egli perciò, tutto arrabbiato, lasciò anche le tende e si scelse un albero molto ombroso sotto al quale si coricò e si addormentò piacevolmente!
12. Ma alla lunga non gli andò bene neanche con il sonno, perché le mosche non gli davano pace; insomma per la durata di tre ore, Iscariota fu come un tormentato, e poco mancò che non cadesse in preda della disperazione. Ma finalmente riuscì a scorgere i nostri battelli; perciò si sentì un po’ alleggerire il cuore e tra se stesso deplorò molto di aver abbandonato la Mia compagnia.
Il servitore infedele di Elena.
1. Nel frattempo noi avevamo fatto una pesca davvero abbondante di pesci della miglior specie, e proprio in alto mare avevamo trovato pure i cadaveri galleggianti di due donne completamente nude che erano cadute in mano ai pirati, i quali le avevano derubate e spogliate di quanto avevano addosso e poi gettate in mare ancora vive. Si trattava di due giovinette dai 19 ai 21 anni molto ben formate, appartenenti ad una ragguardevole famiglia di Cafarnao, le quali, volendo portarsi a Gadarena, si erano affidate alla via dell'acqua. La loro barca e il rispettivo equipaggio erano in perfetto ordine, ma arrivate bene al largo si imbatterono in una nave di pirati greci i quali si impadronirono del loro battello. I quattro marinai vennero uccisi e poi gettati in mare, mentre verso le due giovinette i pirati si comportarono, secondo loro, un po' più umanamente: esse vennero cioè del tutto denudate, poi violentate e infine gettate in mare. Quei malfattori però, già il giorno stesso prima del levar del Sole, erano stati raggiunti dal braccio della giustizia e consegnati ai tribunali, così che quei demoni non sarebbero ormai più sfuggiti alla severissima punizione meritata.
2. Le due giovinette le avevamo trovate legate assieme per i capelli; i loro corpi galleggiavano completamente morti sull'acqua. E ciò si adattava perfettamente alla prova della posizione e del vino, allo scopo di ottenere la supposta vivificazione di un annegato secondo il parere di Risa. E proprio per questo motivo i due cadaveri vennero avvolti in coperte e deposti in una delle barche.
3. Ora c’era molto lavoro da fare, e Marco a mala pena riusciva a raffigurarsi come e dove avrebbe potuto conservare tutto quel pesce; Io però ordinai a Raffaele di aiutare Marco, e in pochi istanti tutto si trovò in perfetto ordine. Risa, dal canto suo, prese in consegna i due cadaveri per fare un tentativo di rianimazione, e perciò li collocò nella stessa posizione come il giorno prima Io avevo ordinato che venissero collocati i cadaveri dei nove.
4. Tommaso però, avendo scorto Giuda Iscariota, gli rivolse subito un saluto egli domandò un po' ironicamente come avesse concluso la sua pesca! Giuda borbottò qualcosa tra i denti, ma non si azzardò a discutere con Tommaso, perché sospettava appunto che Tommaso, il quale prima lo aveva ammonito di non andare a Cesarea in cerca di denaro, fosse già al corrente della sorte che gli era toccata! Perciò dunque Giuda Iscariota tacque. Io però feci cenno a Tommaso di evitare ulteriori questioni con quel cercatore d'oro, dato che la cosa avrebbe portato poco frutto.
5. Ora avvenne che uno dei servitori di Ouran, pensando di far ricadere la colpa su Giuda, si era appropriato di trenta denari d'argento che aveva tolto dalla borsa di Elena dove lei teneva custodito il suo tesoro. Costui venne in fretta alla nostra mensa ed esclamò: «Un furto, un furto! Ecco, mentre la nobile comitiva assisteva alla meravigliosa pesca sul mare e mentre nessuno era qui all'infuori dei militi romani i quali sono accampati intorno al monte e là si dedicano ai loro esercizi, ebbene, io dovetti uscire dalla grande tenda per una necessità urgente e, nello stesso momento, un discepolo del grande profeta, che voi a ragione chiamate il vostro Maestro, si insinuò dentro la tenda e, prima che io fossi ritornato, rubò trenta denari d'argento dal tesoro della principessa!
6. Infatti quando rientrai nella tenda, io lo trovai lì con un aspetto molto imbarazzato, e sembrava che scrutasse accuratamente con gli occhi il terreno come se stesse cercando qualcosa di perduto; dato però che il suo contegno mi sembrava sospetto, io mi avvicinai molto bruscamente ed egli, spaventato, abbandonò immediatamente la tenda. All’inizio non pensai niente di male trattandosi di un discepolo del grande profeta, ma quando cominciò ad andare avanti e indietro all’esterno della tenda, allora rimasi colpito dal fatto che la borsa contenente il tesoro della nobilissima principessa non era più nelle condizioni in cui l'avevo lasciata; e considerato che la borsa in questione era affidata a me, io dunque ero a conoscenza di quanto essa conteneva e perciò la presi e ne controllai il prezioso contenuto: ebbene, nella borsa mancavano trenta denari! Non è perciò possibile che queste trenta preziose monete d'argento siano state prese da nessun altro se non da quel discepolo a cui ho accennato prima! Quindi io sono venuto per denunciare con la massima sottomissione il fatto in tempo debito, affinché alla fine non si giunga forse a sospettare di me che sono innocente»
7. Dice Elena: «O servo! Perché ti giustifichi prima che qualcuno abbia sollevato dei dubbi sul tuo conto?»
8. Risponde il guardiano: «O graziosissima principessa! Io non mi sono scusato, ma volevo semplicemente denunciare il furto perpetrato in maniera certa dal discepolo del grande profeta!»
9. Dice Elena: «Qual è stata la penultima volta in cui tu, senza che io l'abbia saputo e voluto, hai controllato il contenuto della mia borsa?»
10. Dice il guardiano: «Oh, subito dopo che l'illustrissima e nobilissima principessa lasciò la tenda sotto la mia sorveglianza. Allora c'erano nella borsa esattamente seicento denari, ora però ce ne sono cinquecentosettanta, e quindi mancano trenta denari che nessun altro può aver rubato se non quel discepolo da me indicato prima! Dato che io, quale guardiano del tesoro principesco, sono responsabile di tutto, è ben necessario che sappia che cosa e quanto devo custodire, ed io, da fedele servitore che sono, non posso venire rimproverato se prendo anzitempo visione di che cosa e di quanto ho il compito di sorvegliare. Io dunque, avendo constatato l'ammanco a cui ho accennato prima, sono venuto a denunciare il fatto come era mio dovere»
11. Dice Elena: «Sta bene, sta bene, noi investigheremo più tardi e più meticolosamente la cosa, e troveremo chi è il malfattore, che poi non sfuggirà alla punizione che si è meritata. Ma forse è anche possibile che tu ti sia sbagliato nel contare la prima oppure la seconda volta, e allora non sarebbe bello accusare un discepolo del divino Maestro per il solo fatto che forse, per combattere la noia, è entrato per qualche istante nella tenda, cosa questa che egli aveva perfino diritto di fare, dato che da parte nostra non era stato dato nessun ordine per impedire a chiunque di entrare nella tenda! Ritorna dunque adesso al tuo posto; io stessa verrò ben presto ed esaminerò rigorosamente ogni cosa!»
12. A questa decisione il guardiano si allontanò e, non appena fu ritornato alla tenda, la sua prima preoccupazione fu quella di rimettere i trenta denari nella borsa il più in fretta possibile, affinché la principessa finisse con l'aver avuto ragione asserendo che egli aveva potuto sbagliare nel contare. E dopo aver compiuto questa operazione, egli rimase molto imbarazzato al pensiero di cosa avrebbe potuto dire quando fosse cominciato l'interrogatorio. Tuttavia la cosa migliore gli sembrò quella di ritornare dalla principessa, di chiederle perdono e di dichiarare che egli realmente si era sbagliato nel contare e che con la sua accusa aveva fatto un torto grave al discepolo. Detto fatto, dopo pochi minuti egli ritornò, spiegò la cosa alla principessa come abbiamo detto e contemporaneamente la pregò, poiché non esisteva più un crimine, che non si procedesse con la perquisizione promessa!
13. Tuttavia egli appariva quanto mai imbarazzato, perché sapeva che il re Ouran non era solito punire niente con tanta severità quanto la menzogna e il furto. Elena però ebbe compassione del vecchio briccone che del resto, fino ad allora, non si era mai dimostrato infedele, e gli disse: «Alzati e va’ dove vuoi per conto tuo! Non è stato affatto bello da parte tua esserti voluto vendicare in maniera così abbietta di un discepolo del Signore in Sua assenza; lui non ti ha mai fatto niente di male, sei tu che, da quando siamo qui, non lo puoi soffrire! Ecco, questo è stato molto malvagio, e ti sei reso degno del più severo castigo, perché ormai so bene tutto ciò che hai fatto e come hai agito»
14. Allora il servitore cominciò a tremare, e Giuda Iscariota che, da una certa distanza aveva seguito con la massima attenzione la scena ed aveva udito lo scambio di parole, si avvicinò al servitore e gli disse: «È ben vero che hai agito molto male nei miei confronti, e per di più senza alcun motivo; tuttavia io ti perdono. Io entrai bensì nella tenda, ma erano trascorsi appena un paio di istanti che io mi trovavo lì, quando tu sbucasti fuori da un nascondiglio e mi venisti incontro tutto furioso, ed allora io me ne andai; ma di mettere le mani sui tesori che possono esserci stati nella tenda, non c'è nemmeno da parlare! Ed anche se tu non mi avessi affrontato con tanta furia, i tesori da te custoditi non avrebbero comunque avuto nulla da temere da parte mia. Ma ormai, comunque stia la faccenda, io ti ho perdonato; vedi adesso tu di sbrigartela il meglio possibile con i tuoi padroni».
La pace esteriore e il lavorio interiore della compagnia.
1. Detto questo, Giuda Iscariota si ritirò, ed Io allora dissi ad Elena, Ouran e Mataele: «Non occorre che facciate niente, dato che abbiamo questioni ben più importanti da trattare! Tenete con voi il servitore e non punitelo, perché egli non avrebbe giocato questo brutto tiro se non vi fosse stato incitato da uno spirito. Ma egli vi fu incitato, affinché anch'egli facesse per voi una predizione la quale troverà adempimento. Ma ora basta di tutto ciò, perché dobbiamo occuparci di cose molto più importanti!»
2. E Cirenio mi domandò tutto stupito: «Oh, Signore! E in che cosa consisteranno? A me sembra quasi che non vi possa essere ormai nulla di ancora più importante di quanto noi abbiamo già visto e udito qui! Oh, parla Signore! Il mio cuore è davvero tutto un fremito per la brama di conoscere quali sono le Tue nuove intenzioni e le Tue nuove disposizioni per potermi adeguare anch'io ad esse!»
3. Io allora gli dico: «Un po' di pazienza ancora, poiché ad ogni cosa va concesso il suo tempo affinché si maturi. Dunque, anzitutto quello che occorre è un po' di riposo. Statevene perciò tranquilli con Me per un breve tempo!»
4. A queste Mie parole tutti si concessero un po' di riposo, mentre la questione fra Giuda Iscariota e il guardiano dei tesori di Ouran fu dimenticata; essa, ad ogni modo, non aveva causato eccessivi affanni né a Ouran, né a Mataele. Questi due ultimi dovevano discutere di importanti affari di stato con Cornelio e Fausto, poiché il tempo cominciava a stringere molto per Ouran, stimolato com'era dal pensiero e dalla brama di ritornarsene, con il suo grande tesoro di verità, al popolo di cui egli era il re, per renderlo felice il più possibile, poiché egli aspirava ad essere il re di un popolo intelligente e saggio e non di semplici larve umane e di macchine che si aggirano senza una volontà come gli animali.
5. Risa frattanto stava osservando i suoi due cadaveri, e stava pensando se, mediante le manipolazioni preliminari a cui egli aveva già assistito e poi, alla fine, per la Potenza del Mio Nome, sarebbe stato possibile richiamarli in vita! Altri invece, che erano intorno a Me, pensavano in che cosa avrebbe consistito la questione molto importante che Io avevo detto che si sarebbe dovuta sbrigare dopo la breve pausa di riposo. In breve, quantunque tutti sembrassero esteriormente tranquilli, tuttavia interiormente, nelle anime loro, ferveva un'intensa attività e nessuno era capace di rendersi conto come la cosa sarebbe cominciata e come sarebbe finita! Filopoldo, Murel e Kisjonah confabulavano tra di loro facendo le congetture più disparate riguardo a quello che eventualmente sarebbe ancora accaduto, mentre anche Cirenio, Ebal e Giara dal canto loro rovistavano nel loro cervello per cercare di che cosa ancora si sarebbe potuto trattare, ma tutto invano, perché a loro sembrava che tutto fosse ormai già esaurito.
6. Schabbi e Jurah però, i due oratori dei persiani, dissero ai loro compagni che pure facevano forti pressioni su di loro perché dessero un parere: «Lasciate stare questa cosa, perché ciò vorrebbe dire tentare la Potenza di Dio nei nostri cuori! Cosa sappiamo noi riguardo a come siamo costituiti interiormente? Ma se già di noi stessi non conosciamo niente, come potremmo mai conoscere come è costituito in Sé Dio e che cosa Egli farà? Una cosa però noi sappiamo, e cioè che tutto quanto Egli farà, sarà supremamente saggio e perfettamente confacente al nostro meglio. Accada dunque ciò che deve accadere, e che ciò sia più o meno grandioso di quanto è già stato, questo non deve darci nessun tipo di pensiero! Noi siamo e restiamo dei mercanti, e possiamo trarre sicuramente profitto da tutto ciò che mira al nostro bene! Noi infine consideriamo ugualmente grandioso, prezioso e importante tutto quello che proviene da Lui, l'unico Signore dell'eternità e dell'infinità di tutte le Sue innumerevoli azioni e opere.
7. Ora, siccome non possiamo ancora riconoscere di gran lunga noi stessi, così non possiamo nemmeno conoscere quello che ancora ci può servire oltre a tutto quello che abbiamo già ricevuto. Egli invece lo sa, e per conseguenza può benissimo qualificare molto grande e immensamente importante quello che ancora dovrà venire! Perché non è possibile che il Signore di ogni Ordine dall'eternità conti cominciando da 13 o da 14, ma conti cominciando sempre e soltanto dall'1. E per conseguenza anche Egli certo sa, in maniera chiara e purissima, quello che nel susseguirsi delle cose è utile al perfezionamento della nostra vita interiore; noi dunque possiamo attendere con tutta tranquillità qualunque cosa che Egli vorrà intraprendere già oggi!».
8. Questa savia esortazione ridonò la pace non solo agli animi dei persiani, ma pure a quelli degli altri che sedevano alla Mia mensa, i quali si tranquillizzarono e rimasero in ansiosa attesa e gioia di quanto Io poi avrei fatto pubblicamente.
Le spie di Erode.
1. In quel momento però si vide il vecchio Marco uscire di casa dove aveva già dato le disposizioni per il pranzo; egli Mi venne vicino e disse a bassa voce: «Signore! Perdonami se Ti disturbo un momento con una richiesta!»
2. Gli dico Io: «Amico, va e dì agli spioni di Erode, che si sono appostati dietro alla tua casa, quanto segue: “Il Figlio dell'uomo opera e parla del tutto apertamente dinanzi agli occhi ed agli orecchi del mondo intero, e non vuole avere niente a che fare in segreto con nessuno”; chi dunque vuole parlare o trattare qualcosa con Me, bisogna che venga dinanzi a Me e che, come Me, parli ed agisca del tutto apertamente! Presso di Me non esiste niente che debba venire sussurrato all'orecchio o discusso e trattato di nascosto; questa è una consuetudine, da condannare, dei figli del mondo quando si propongono di architettare il male, e perciò non osano esporre subito e apertamente le loro parole alla luce del giorno per paura che il prossimo si accorga delle loro intenzioni perverse. Ma Io agisco invece apertamente, parlo a voce alta e non ho affatto timore degli uomini, perché le Mie intenzioni verso di loro sono buone! Va dunque e ripeti a quella ignobile razza di traditori quello che ho detto ora».
3. Marco allora si inchinò profondamente dinanzi a Me, e se ne andò per adempiere con la massima puntualità l'incarico ricevuto. E dopo che egli, molto seriamente, ebbe scagliato tutto ciò in faccia a quella accozzaglia di abbietti spioni sguinzagliati da Erode sulle Mie tracce in tutte le direzioni, uno di loro così si espresse: «O amico, sembra che tu non sia al corrente di come noi deteniamo, perché ce li ha conferiti Erode, pieni poteri di vita e di morte e che grazie a ciò noi abbiamo il diritto di punire all'istante ogni prepotente ribelle!»
4. Disse allora Marco: «Anche un cittadino di Roma come sono io?»
5. E l’oratore impudente rispose: «Anche se lo uccidessimo, non verremmo chiamati a risponderne di fronte ad Erode!»
6. Ribatte Marco: «Ma tanto più sicuramente dinanzi a Dio e al Governatore di Roma, Cirenio, il quale per mia grande fortuna si trova già da vari giorni qui presso di me, assieme a vari personaggi altolocati di Roma! Guai a voi se toccate anche con un solo dito la mia casa con intenzioni ostili!»
7. Esclama allora l'impudente: «Che vai dicendo del Governatore supremo di Roma? Egli si troverebbe qui? Ma se sono due giorni appena che proprio lui ha conferito ad Erode il pubblico diritto di vita e di morte per mezzo del prefetto di Gerusalemme!»
8. Dice Marco: «E va bene! Vedremo subito chi ha concesso un simile diritto ad Erode!»
9. Allora Marco mandò uno dei suoi figli da Cirenio con l'incarico di riferire a quest'ultimo la cosa! Cirenio, avendo ascoltato il fatto con mal celata ira, ordinò immediatamente a Giulio di andare con cento militi là dove si trovavano gli spioni che erano circa una trentina, e di farli prigionieri e di uccidere senza pietà chiunque non si fosse subito arreso!
10. E a quel punto intervenni Io: «Uccidere no, ma siano invece dichiarati prigionieri!». E così anche fu fatto all'istante.
11. Quando gli spioni videro i romani precipitarsi furiosamente contro di loro, tentarono di darsi alla fuga, ma non ce la fecero. I soldati romani intimarono loro ad alta voce di fermarsi, minacciando di uccidere, senza misericordia né pietà, chiunque avesse accennato a far resistenza! Questa intimazione, fatta in tono che non ammetteva replica, ottenne il suo effetto: quegli sfacciati spioni si arresero, vennero allora legati solidamente con funi e catene e così, preceduti da Marco e da Giulio, furono condotti, con le facce disperate, al cospetto di Cirenio.
12. E quando si trovarono dinanzi a Cirenio, a Cornelio e a Fausto, Cirenio li interpellò con l'usuale serietà imperiosa propria dei romani: «Dove sono i vostri documenti e il decreto che vi impone di perseguitare il Profeta di Galilea ovunque Egli vada?»
13. Dice il capo degli spioni, il cui nome era Zinca: «O Signore! Legato come sono mani e piedi, io non posso tirarlo fuori dalla mia sacca segreta! Fammi sciogliere dai legami, e allora avrai i documenti dai quali potrai rilevare che anche noi abbiamo dietro alle spalle un signore che ci comanda e al quale dobbiamo obbedire, dato che egli ha acquistato a caro prezzo da voi romani il diritto di essere, al posto vostro, padrone della nostra vita, e che - senza essere chiamato a risponderne di fronte a voi - può farci uccidere a piacimento, quando gliene venga la voglia!
14. Per conto nostro possono andare in giro per la Galilea anche diecimila profeti, purché ci lascino in pace, non saremo sicuramente noi a far loro qualcosa di male. Ma quando un qualche possente detentore di poteri ci chiama, ci assolda a buone condizioni e, nel caso di un rifiuto di servirlo, può farci perfino mandare immediatamente all'altro mondo mediante i suoi molti carnefici, allora l'affare assume tutto un altro aspetto! Allora dobbiamo, per la vita e per la morte, farci i persecutori di chiunque, per quanto anche si tratti di un perfetto galantuomo! Oppure, presso di voi vengono forse meno i vostri guerrieri quando si tratta di dare esecuzione ai vostri ordini per la vita e per la morte? Ma se dunque al cospetto di Dio, ammesso che ve ne esista uno, qualcuno deve essere responsabile, tale può esserlo soltanto chi è signore, ma non il suo schiavo o fedele servitore! Fammi togliere i ceppi, ed io ti esibirò subito le nostre lettere d'autorizzazione redatte di propria mano da Erode in tre lingue, e soltanto dopo averle lette potrai pronunciare contro di noi una valida sentenza!»
15. Allora Cirenio dà ordine di slegare Zinca, e quest’ultimo, messa la mano nella sua tasca nascosta, ne estrae un rotolo di pergamena e lo consegna a Cirenio dicendo: «Prendi e leggi; poi giudica secondo diritto, al cospetto di tutto il mondo, se le insidie da parte nostra nei confronti del profeta di Galilea sono o no conformi alla legge!»
16. Cirenio legge quella procura che di sotto portava la firma di Erode; ora essa, redatta in forma concisa, suonava testualmente così: «In virtù del potere conferito da Roma a me, Erode, principe tetrarca su tutta la Giudea, dietro il versamento di mille libbre d'argento e cento libbre d'oro (5,6 quintali d’argento e 56 kg d’oro), ordino e comando, appoggiandomi all'ausilio di Roma acquisito a caro prezzo, di procedere all'arresto del profeta di Galilea ritenuto quanto mai pericoloso per me e per le mie istituzioni, e di portarlo poi dinanzi a me vivo o morto; nel primo caso mi riservo di esaminarlo io stesso e di convincermi da quale spirito egli sia guidato. Gli sgherri al mio servizio e da me inviati hanno, in virtù del presente documento redatto di mia propria mano, il pieno ed illimitato diritto di andare alla ricerca dell’uomo in questione per ogni regione, contrada, via e sentiero, di seguirlo, di arrestarlo e, nel caso di ribellione, di ucciderlo assieme ai suoi proseliti, e in quest’ultimo caso di trasportarlo alla mia presenza anche morto. Chiunque si sarà impadronito di lui, riceverà un premio di trecento denari d'argento, nella mia residenza a Gerusalemme»
17. Dice poi Zinca: «Ebbene, che ne dici? Siamo noi trenta si o no dalla parte della ragione?»
18. Cirenio indugia qualche tempo a riflettere e poi dice: «A quanto ne so io, con il concorso della mia volontà un potere di simile portata non è mai stato conferito ad Erode da parte di Roma. Certo mi ricordo benissimo che gli venne concessa la facoltà, soltanto in caso di bisogno, di esercitare anche il diritto di vita e di morte nella propria giurisdizione, fuori della propria giurisdizione però unicamente quando vi fosse il pericolo di una qualche congiura contro di noi romani e se la località in rivolta fosse troppo lontana per rendere possibile l'intervento di una guarnigione romana, nonché di un tribunale competente. In questo unico caso Erode veniva autorizzato ad esercitare rigidamente il diritto di vita e di morte, qualora egli si fosse trovato presente con la sua scorta d'onore e di protezione!
19. Così suona la delega di poteri rilasciata da Roma ad Erode, delega che io ho esaminata e controfirmata di mia mano, perché tutte le disposizioni prese dal governo imperiale di Roma concernenti l'Asia devono passare per le mie mani oppure per quelle di un mio delegato al quale però incombe l'obbligo di riferirmi, il più sollecitamente possibile, qualsiasi cosa possa essere accaduta. Questa delega io la dichiaro frattanto nulla e vana, e ciò finché io non abbia avuto da Roma una spiegazione circa il come, il quando e il perché siano stati conferiti ad Erode dei poteri così ampi senza che io ne fossi messo al corrente, poteri che a noi romani fedelissimi non possono fare a meno di incutere timore e suscitare preoccupazioni giustificate!
20. Questa delega non vi sarà restituita prima che non sia ritornata da Roma; voi frattanto però rimanete miei prigionieri, poiché se anche in voi, interiormente, come pure dal punto di vista della legge del mondo non siete dei delinquenti, tuttavia siete degli strumenti con i quali quel delinquente va perpetrando un abominio dopo l'altro; ora Roma non ha mai autorizzato nessuno a perpetrare crimini, e certo una simile autorizzazione non l'avrà concessa nemmeno ad Erode.
21. Ma io so bene come gli erodiani abusino delle concessioni ottenute, sotto un manto di apparente patriottismo; l'assassinio dei fanciulli innocenti commesso dal vecchio Erode mi fornisce sempre la prova evidente di come questi greci, che sono astutissime volpi, sappiano trarre abusivamente dei vantaggi dalle concessioni fatte loro da Roma, allo scopo di allontanare dai romani l'animo delle masse ebraiche.
22. Oh, io saprò ben far rientrare l'azione di Erode entro i limiti; questa sarà indubbiamente una delle mie preoccupazioni più serie! Al vecchio Erode io diedi già a suo tempo un saggio del mio senso di giustizia all'autentica maniera romano-antica, quantunque allora non contassi che poco più di trent'anni. Ormai però io sono quasi vecchio, ho acquisito maggiore esperienza e maggiore serietà, e perciò tanto più attribuisco grande importanza al fatto che la giustizia sia rigidamente amministrata! Attualmente per me ha assolutamente valore il detto: Pereat mundus, fiat jus! (Il mondo vada pure in rovina, ma giustizia sia fatta!)
23. Io adesso invierò subito due messaggeri; l'uno a Roma e l'altro a Gerusalemme da Erode, affinché gli richieda tutte le deleghe relative ai poteri concessi da parte di Roma; guai a lui, ai suoi servitori ed ai servi dei suoi servitori se il senso di queste deleghe non concorderà con questa autorizzazione data a voi!».
La difesa di Zinca e il suo rapporto sulla fine di Giovanni il Battista.
1. Dice Zinca: «O Signore! Questa non sarà forse cosa che riguarda un po’anche noi? Il nostro signore e dominatore è stato finora Erode; egli veramente ha commesso a danno della povera umanità più di una cosa che non esito a chiamare ingiusta e abominevole. Io ho sempre riconosciuto che era così, ma che cos’altro potevamo fare noi se non dare triste esecuzione ai suoi ordini? Cosa può fare uno dei tuoi carnefici se gli imponi di tagliare la testa ad un criminale autentico o soltanto apparente che sia? Egli può avere in sé cento volte l'assoluta convinzione che il condannato è sul serio innocente, ma tuttavia deve mettere la scure bene affilata sul suo collo!
2. Non sapevamo forse che Giovanni, da poco tempo decapitato, era assolutamente innocente? Oh, noi lo conoscevamo bene, anzi lo amavamo, quell'uomo strano, savio e devoto a Dio, perché egli, trovandosi in prigione, ci annunciava le più belle dottrine, ci esortava in tutti i modi alla pazienza e alla costanza, ci ammoniva dal peccare contro Dio e il prossimo, e ci avvertiva che attualmente nella Galilea è sorto un Profeta di tutti i profeti e un vero Sacerdote di tutti i sacerdoti al Quale egli non era degno nemmeno di sciogliere i lacci delle scarpe! Egli ci annunciò che soltanto Costui ci avrebbe redenti da ogni male, e ci avrebbe indicato la Via alla Luce, alla Verità e alla Vita eterna! A dirla breve, egli ammaestrava noi, suoi guardiani, come se fossimo stati suoi discepoli e i suoi migliori amici!
3. Quando Erode ci
domandava cosa facesse il prigioniero e come si comportasse, noi tutti non
potevamo che dargli le migliori informazioni su di lui. La cosa piacque tanto
ad Erode che egli stesso volle vedere Giovanni per sentire la sua dottrina. C'è
davvero mancato poco che Erode gli ridonasse la piena libertà, se Giovanni, del
resto tanto savio, non avesse commesso troppo presto la grande stoltezza di
qualificare di fronte al dominatore, per sua natura libidinoso, come
supremamente peccaminosa la relazione con la bella Erodiade/Salomè! E
tuttavia, Giovanni era quasi riuscito a distogliere Erode da Erodiade/Salomè[2].
4. Sfortunatamente,
in quel periodo, Erode festeggiava il suo compleanno con grande sfarzo, ed Erodiade/
Salomè, che conosceva bene tutte le debolezze di Erode, si adornò in modo del
tutto insolito in quel giorno, aumentando così il suo fascino, già
sovrabbondante, a un livello quasi incredibile. Così acconciata, venne con la
madre strega a fargli gli auguri, e poiché nella sua casa c'erano suonatori
d’arpe, pifferai e violinisti, Erodiade/Salomè si mise a danzare davanti
ad Erode diventato completamente libidinoso. Questo piacque così tanto al
maschio depravato, che il pazzo fece un infelice giuramento di concederle tutto
ciò che lei avesse desiderato! A questo punto per il nostro buon Giovanni fu
praticamente finita, perché lui (Giovanni) aveva ostacolato direttamente la
deplorevole avidità della madre, condannando il suo rapporto incestuoso con
Erode; questa fece un cenno alla giovane figlia affinché chiedesse la testa di
Giovanni su un piatto d'argento, cosa che la giovane – pur con una segreta
ripugnanza – anche fece.
5. Ebbene, a che cosa
giovò il nostro amore per Giovanni? A che cosa giovò la coscienza e la
convinzione della sua perfetta innocenza? A che cosa giovò il nostro compianto?
A cosa giovarono le nostre non celate maledizioni all'indirizzo della vecchia e
della giovane Erodiade/Salomè? Ebbene, io stesso dovetti recarmi alla
prigione in compagnia di uno sgherro ed annunciare al buon Giovanni quale era
la volontà orrenda del dominatore, e dovetti legarlo e, sul ceppo maledetto,
fargli mozzare il venerando capo dal busto con un colpo di affilatissima spada!
Piansi come un bambino per la malvagità incredibile delle due donne e per la
misera sorte toccata a quello che era diventato un mio amico carissimo! Ma a
cosa poteva giovare tutto ciò contro la volontà tenebrosa, cieca e caparbia di
quell’unico e potente tiranno?
6. Ed ecco che ora noi siamo stati mandati per arrestare e consegnare ad Erode il profeta che dovrebbe aggirarsi e operare nella Galilea, e che probabilmente è proprio quello stesso del quale Giovanni ebbe ad annunciarci cose così grandi. Ma che colpa può venirne attribuita a noi servitori e schiavi, vincolati con un giuramento a quel feroce despota? Oppure, possiamo forse abbandonare il suo servizio quando vogliamo? E non è da parte sua comminata la prigione e la morte contro chi, spezzando il giuramento, voglia sottrarsi agli obblighi che si è assunti? Ma se noi ora siamo e ci comportiamo come siamo, costretti a essere e a comportarci, dimmi tu, o signore, quale giudice onesto potrebbe condannarci?
7. Fa tu scendere dal Cielo sulla Terra tutti gli angeli, anzi Dio in Persona, e fa tu pronunciare contro di noi una sentenza di condanna: ebbene, essa sarà precisamente altrettanto giusta quanto lo fu la decapitazione di Giovanni. Se un Dio di Giustizia esiste, Egli deve evidentemente essere più saggio di tutti gli uomini! Ma se Egli è in questo modo più savio e per di più onnipotente, io davvero non comprendo proprio affatto per quale ragione permetta che a questo mondo sorgano simili mostri sotto umana forma, e che permetta oltre a ciò che essi divengano potenti!
8. E questo è il solo motivo per il quale io e i miei ventinove aiutanti non crediamo più in un Dio. L'ultima scintilla di fede fu spenta in noi dall'ignominiosa uccisione di Giovanni, perché io, trovandomi al posto di Dio, avrei fatto ridurre in polvere anche mille Erodi con centomila fulmini, piuttosto che lasciare decapitare un Giovanni! Può bensì essere vero che a un Dio sia possibile risarcire mille volte a Giovanni, nell'aldilà, il danno sofferto, qualora egli abbia sopportato con pazienza e rassegnazione le crudeltà commesse qui contro di lui, ma secondo il mio modo di vedere, io non vorrei dare al buon Signore Dio, con la convinzione con la quale ora vivo, nemmeno una mezza vita, per mille delle vite fra le più beate delle quali però nessuno finora è riuscito ad apprendere qualcosa di convincente e di certo!
9. Chi detiene il potere, può dettare legge e fare secondo il suo piacimento; noi invece, deboli e privi d'autorità, dobbiamo poi servirlo per la vita e per la morte come tante bestie da soma! Se egli ammazza, la cosa non ha importanza, perché egli possiede il diritto che gli deriva dalla propria forza, ma se noi ammazziamo, allora la cosa cambia, e noi, giudicati quali assassini, a nostra volta veniamo assassinati! E adesso io domando a te e a tutti i signori e sapienti del tuo consiglio, qual è il Dio che può tollerare e considerare giuste simili cose? Io ti prego, o signore, di dare una chiara risposta a questa mia domanda!».
La risposta amichevole di Cirenio a Zinca.
1. A tali obiezioni di Zinca, Cirenio rimane meravigliato e a mezza voce Mi dice: «Quest'uomo non è davvero uno sciocco, e pare che abbia del coraggio! Sarà bene venirgli in aiuto! Che ne dici Tu, o Signore? Bisognerà tentare di guadagnare a noi quest'uomo e forse anche il suo seguito?»
2. Rispondo Io apertamente: «Con un solo colpo non cade nessun albero che sia anche solo un po’ robusto! Usando però una certa pazienza, un uomo può ottenere molto. D'altro canto, volendo condurre qualcuno verso la luce, conviene non fargli guardare subito il Sole quando è al colmo dello splendore, poiché, se gli si concede d'un tratto troppa luce, lo si accecherebbe per un lungo periodo di tempo, mentre se lo si abitua gradatamente alla luce, lo si renderà capace di guardare e distinguere con grande chiarezza anche trovandosi in pienissima luce, e non ci sarà più il pericolo che venga colpito da cecità.
3. Ora quest'uomo Mi ha reso un buon servizio perché, nella sua qualità di testimone oculare e uditivo di ogni cosa, ha narrato fedelmente, in presenza dei Miei discepoli, come sia stato, per opera di Erode, imprigionato e messo a morte Giovanni, il Mio precursore, il quale ha predicato e battezzato nei pressi del Giordano. E adesso, non per Me ma per i Miei discepoli, sarà opportuno che egli esponga ancora i veri e propri motivi per i quali Erode fece arrestare e imprigionare Giovanni. Interrogalo tu a questo riguardo!»
4. Allora Cirenio, rivolto a Zinca, così parlò: «O amico, con la mia sentenza non intendevo dire che i servitori e gli esecutori degli ordini di un tiranno fossero da condannare anche quando questi non condividessero neppure alla lontana i sentimenti del tiranno stesso, ma soltanto qualora avessero lo stesso sentire, e si prestassero, per così dire, ad assecondare volonterosamente i perversi propositi del loro ambizioso e crudele padrone. Ma le persone come te, le quali fin troppo bene riconoscono l'inumano agire del loro inumano signore e nel loro cuore lo aborriscono profondamente, queste persone io saprò sempre trattarle secondo la massima equità e giustizia!
5. Ma perché Dio permetta che non di rado il vizio trionfi su questa Terra, mentre la virtù spesso soffre e viene oppressa fino alla morte del corpo, di tale fatto esiste pure una spiegazione quanto mai splendida. Questa però, in rapporto al tuo attuale stato di comprensione, è ancora troppo profonda perché tu la possa comprendere con il tuo intelletto, tanto meno poi i tuoi compagni, la cui capacità di comprensione sembra essere ancora molto più esteriore della tua; ma forse tra breve verrà il tempo nel quale potrai vedere, in tutta chiarezza e perfino con tutto il tuo animo, perché ci devono essere anche gli Erodi!»
6. Dice Zinca: «O signore! Tu ora mi hai fatto la grazia di chiamarmi amico tuo! Oh, fa che questa parola dal grandissimo significato non sia un vano suono, come purtroppo avviene con eccessiva frequenza tra gli uomini! Ma se tu l'hai pronunciata in tutto il suo intero significato, continua ad onorarmi della tua amicizia e della tua grazia, e concedi che anche i miei ventinove compagni vengano liberati dalle loro pesanti catene! Né io, né loro ti sfuggiremo, te lo garantisce, in primo luogo, il forte contingente di militi, e in secondo luogo, anzi principalmente, la tua amichevole parola. Puoi credermi: io parlo adesso francamente e del tutto apertamente! Noi tutti siamo con la massima ripugnanza quello che siamo! Se tu potessi liberarci da questo giogo, compiresti l'opera più umana e più giusta che ci sia!»
7. Risponde Cirenio: «Non dubitare, perché questa sarà senz'altro la mia preoccupazione! Guardatevi qui intorno, e i vostri occhi non incontreranno che dei salvati dalla rovina. Fra di loro ce ne saranno pochi che, secondo la nostra rigida giustizia romana, non abbiano meritato il taglio della testa o addirittura la croce; e vedi invece come essi ora, da veri uomini, si trovino dinanzi a noi come oro purissimo, e nessuno si augura di dover abbandonare la nostra compagnia! Io credo e spero fermamente che voi pure verrete a trovarvi tra non molto nelle identiche condizioni! A Dio, infatti, tutte le cose sono molto facilmente possibili, ciò di cui io stesso ho la più vivente convinzione.
8. Ma ora permetti che io ti rivolga ancora una domanda della massima importanza, e questa consiste in ciò: tu hai reso a noi tutti un servizio non indifferente esponendoci, con assoluta sincerità, in quali circostanze e in quale modo il degno veggente di Dio sia stato messo a morte da Erode. Ebbene, tu fosti certamente presente anche quando egli venne arrestato e condotto in prigione, ebbene, non potresti ora narrarci ancora in aggiunta come fu veramente che Erode si trovò indotto ad imprigionare Giovanni, che senza alcun dubbio non gli aveva fatto niente di male? Perché un qualche motivo deve pur averlo spinto!».
Arresto di
Giovanni il Battista. Il rapporto di Erode con Erodiade/Salomè.
1. Risponde Zinca: «Se mi fosse lecito parlare liberamente e senza sottintesi, io, che in prima persona dovetti mettere le mani sull'innocentissimo fra gli innocenti, potrei certo esporti in tutta fedeltà i veri motivi del suo arresto. Ma se dovesse eventualmente esserci qualcuno a cui potrebbero dare fastidio queste mie rivelazioni, io preferirei senza dubbio che mi fosse concesso conservare il silenzio riguardo a questa storia che non posso richiamare alla mia mente senza il più sentito rammarico, e in pari tempo senza la più amara e veemente ira!»
2. Osserva Cirenio: «Parla pure liberamente e senza alcun riguardo, perché fra di noi non troverai certo nessuno a cui queste tue rivelazioni daranno fastidio!»
3. Dice Zinca: «Ebbene sia, e tu dunque ascoltami! Prima ti dissi che io ormai non credo più in nessun Dio, perché tutto quello che di Lui viene insegnato nel Tempio è menzogna, la più nera ed esecranda! Un simile Dio non può esistere in eterno in nessun luogo! Il nostro sventurato amico Giovanni insegnava in maniera seria al popolo a riconoscere un vero Dio, e la sua dottrina si presentava necessaria ed era sommamente buona per chiunque non appartenesse al Tempio e non fosse egli stesso un fariseo. Ma proprio per questo la sua dottrina riguardo al vero Dio risultava un abominio ancora più terribile per il Tempio! Ed ora tu, da uomo ragionevolissimo che sei, potrai già pienamente presentire da che parte avesse cominciato a spirare il vento di tempesta.
4. La gente del Tempio si sarebbe molto tempo prima sbarazzata volentieri del povero Giovanni, se non avesse avuto timore del popolo, il quale in grandissima parte è ormai già al corrente degli inganni inqualificabili ed abominevolissimi del Tempio. Essi dunque escogitarono un piano, secondo il quale intendevano rendere evidente agli occhi di Erode come Giovanni accarezzasse segretamente il progetto di incitare il popolo ad una tremenda ribellione contro di lui, l'oppressore, mediante ogni tipo di falsità e di insinuazioni astutamente presentate.
5. Tutto questo lavorìo fece in modo che Erode un bel giorno si decise ad andare con noi da Giovanni, in una regione molto deserta del Giordano, per convincersi personalmente se il contegno di Giovanni fosse realmente tale da far giudicare pericolosa la sua azione. Ma arrivato al luogo dove Giovanni si trovava, egli stesso, malgrado ogni critica più severa ed ogni più esatta indagine, non riuscì a trovare neanche la minima traccia di tutto quello che i templari, mentendo spudoratamente, avevano tentato di fargli credere. Egli stesso perciò finì con l’infuriarsi per una simile infame manovra del Tempio e dei suoi accoliti.
6. Quando quei figuri del Tempio cominciarono più tardi ad insistere perché volesse troncare la nociva attività di Giovanni, egli rispose loro, me presente, con voce minacciosa: "Dietro consiglio e per volontà dei miserabili cani voraci come siete voi, non m'indurrò mai a giudicare un uomo contro la mia convinzione!"
7. A tali energiche parole quella gentaglia tenebrosa si ritirò e tacque. Ma non si dettero pace per molto, né abbandonarono i loro perversi propositi, anche se esteriormente facevano buon viso a cattivo gioco, come se le faccende di Giovanni non li toccassero minimamente. In segreto, però, prezzolarono dei sicari che avrebbero dovuto togliere la vita all'uomo di Dio!
8. Erode, venuto a conoscenza della cosa, provò molto dolore per i pericoli che minacciavano l'onesto ed innocuo veggente; egli allora ci chiamò a sé e ci raccontò quanto aveva appreso, e infine disse: "Ascoltatemi! È necessario che io salvi quell'uomo! Andate là dove egli si trova e, per salvare le apparenze, portate con voi delle armi e delle funi, prendetelo e legatelo senza fargli alcun male, e ditegli quali sono le mie segrete intenzioni a suo riguardo; vedrete che egli vi seguirà. Io lo farò custodire qui, in una comoda prigione, però egli potrà comunicare liberamente con tutti i suoi discepoli!"
9. Così fu anche fatto, e Giovanni, per quanto ciò era possibile date le condizioni, si mostrò soddisfatto. Ma quella nera progenie di vipere nel Tempio non tardò affatto ad apprendere che Erode teneva Giovanni solo apparentemente prigioniero, e che gli lasciava ampia libertà di intrattenersi con i suoi discepoli! Allora essi cominciarono nuovamente a tenere consiglio per vedere come avrebbero potuto alla fine, nonostante tutto, portare Erode al punto di mettere egli stesso le mani addosso a Giovanni!»
10. E qui Zinca
interruppe il suo racconto. Però Cirenio insistette, e addirittura lo pregò
perché proseguisse. E allora Zinca così continuò la narrazione: «I foschi
servitori del Tempio vennero ben presto a sapere che Erode - il quale è, si può
dire, per metà ebreo e per metà sempre ancora un pagano - vedeva molto di buon
occhio la giovane Erodiade/Salomè, ma poiché era ufficialmente ebreo,
non si azzardava ad avere con lei relazioni più intime per timore di venire
accusato di adulterio. Egli, dal canto suo, a questo non avrebbe badato più di
tanto, ma a motivo delle lingue lunghe del Tempio, era costretto a
salvaguardare esteriormente la sua reputazione.
11. Tutte queste circostanze erano note alla losca genia del Tempio, la quale si affrettò ad inviare ad Erode un emissario dotato di raffinata astuzia e sottile dialettica con l'incarico di fargli comprendere che, essendo noto che sua moglie era sterile, egli avrebbe potuto benissimo tenere presso di sé una concubina deponendo una lieve offerta nella cassetta delle elemosine, ed in questo caso egli poteva stare perfettamente sicuro che da parte del Tempio non sarebbe stata elevata alcuna obiezione.
12. Erode questo non
se lo fece dire due volte; egli offrì all’emissario che gli portò la notizia
alcune libbre d'oro (poco più di 1 kg d’oro) e l'affare fu concluso.
Egli mandò immediatamente un messo da Erodiade/Salomè, e questa fece
naturalmente poche obiezioni per corrispondere alla richiesta del tetrarca
Erode, tanto più che, in aggiunta, essa era incitata anche da sua madre, perché
la vecchia Erodiade era una donna che pareva essere stata fatta apposta per
andare in sposa a Satana. In lei non c'era niente di buono, ma in compenso, in
lei dimoravano le peggiori perversità. Fu la vecchia stessa a condurre la prima
volta ad Erode la propria figlia magnificamente abbigliata e adornata, ed a
raccomandarla alla sua grazia. Erode accolse affettuosamente Erodiade/Salomè,
l'accarezzò ma non peccò ancora con lei. Egli le fece dei ricchi doni e le
concesse il totale e libero accesso fino a lui.
13. E quando essa fu di ritorno a casa da sua madre, questa le domandò che cosa le avesse detto Erode e che cosa avesse fatto. La figlia disse la verità, si espresse in termini di lode per i sentimenti di Erode, certo molto amichevoli, ma tuttavia discreti e quanto mai contenuti, e narrò dei ricchi regali ricevuti da lui e come egli le avesse concesso di andare liberamente da lui in qualsiasi momento; l’unica condizione era che lei avrebbe dovuto restargli completamente fedele nel suo cuore.
14. Ma la vecchia
strega, alla quale io ero stato incaricato di ricondurre a casa Erodiade/Salomè,
incominciò a riflettere tra sé, ed a me parve di leggere, come in un libro
aperto e chiaramente scritto, quanto segue: “Oh, oh, qualcosa qui sotto ci deve
essere! Se Erode non si è lasciato conquistare la prima volta dalle grandi
attrattive di mia figlia, alla seconda le cose non cambieranno, e allora avrò
perduto il diritto di reclamare da Erode il risarcimento dell'onore!”. Impartì
quindi alla figlia un “buon insegnamento” su come avrebbe dovuto fare la
prossima volta per indurre Erode a unirsi con lei.
15. Stizzito e stomacato, io lasciai ben presto la dimora della strega, ritornai da Erode e gli riferii tutto quello che avevo osservato. Che Erode non rimanesse proprio granché soddisfatto del mio racconto, è cosa che ciascuno può facilmente immaginarsi. Per questo lui andò da Giovanni e gli comunicò l’intera faccenda».
L’attentato alla vita di Giovanni il Battista da parte dei templari.
1. (Zinca:) «Giovanni
però così gli disse: “Evita assolutamente ogni rapporto con Erodiade/Salomè
e con sua madre, poiché la vecchia è un serpente e la giovane una vipera! Oltre
a ciò tu conosci la Volontà dell'onnipotente Dio di Abramo, di Isacco e di
Giacobbe, e non ignori il Suo Ordine secondo il quale nel principio della
Creazione Egli diede a ciascun uomo una sola donna. La sterilità o la non
sterilità di una donna, qualora essa sia congiunta in matrimonio con un uomo,
non può fornirti alcun argomento per giustificare l'accoglimento presso di te
di una concubina, poiché se tu perseveri nella pazienza, è una cosa quanto mai
facile per Dio suscitare nel grembo di tua moglie un frutto vivente anche alla
tua tarda età! Leggi la storia dei patriarchi, e là troverai che la pazienza e
la rassegnazione portarono a loro, mentre erano già molto vecchi, ricca messe
di benedizioni.
2. Dunque, non aver
niente a che fare con Erodiade/Salomè, e non accettare dal Tempio alcuna
lettera di ripudio, perché Dio non ha mai prescritto assolutamente una lettera
di ripudio, e questa cosa Mosè l'ha fatta di sua umana iniziativa a causa della
multiforme durezza di cuore degli uomini; ma facendo così non ha agito troppo
bene, e Dio, il Signore, non Si è mai compiaciuto di un tale ordinamento; di
questo tu puoi essere assolutamente certo. Rimani perciò fedele solo a tua
moglie, e vieta a Erodiade/Salomè di venire da te. Dà a Zinca - “e cioè
a me” - il necessario potere, ed egli saprà ben disporre le cose in modo che
quella vipera non venga più a casa tua; se tu seguirai questo consiglio, ti
manterrai nell'amicizia di Jehova; in caso contrario, ti farai Suo nemico e
sarai tratto in perdizione!”.
3. Erode si prese a
cuore la raccomandazione e decise di tenersi lontano da Erodiade/Salomè.
Ma il vecchio serpente e la giovane vipera impiegarono ogni mezzo possibile pur
di abbagliare Erode. Esse sapevano quando usciva e dove andava, e Erodiade/Salomè
faceva in modo di incontrarlo sempre abbigliata e acconciata nella maniera più
seducente possibile. Egli non osava fare niente con lei, ma nel suo cuore
andava sempre più accentuandosi l'impuro ardore, così che infine egli stesso
cominciò a cercare l'occasione di incontrarsi il più spesso possibile con la
bella Erodiade/Salomè.
4. E quando andò
avvicinandosi il suo compleanno, Erodiade/Salomè escogitò ogni mezzo per
essere invitata alla grande festa che egli era solito offrire. Nel frattempo
però anche i compari del Tempio si erano informati presso Erodiade su come
stessero le cose con Erode. E lei non aveva potuto dire loro altro che,
nonostante tutti i suoi artifici e i suoi maneggi, era rimasta sempre allo
stesso punto, non potendo affatto rendersi conto del perché dell'insuccesso,
poiché le era fin troppo evidente il grande diletto di Erode ogni qualvolta la
vedeva e come egli di nascosto cercasse sempre più la sua vicinanza!
5. E quando i templari ebbero appreso questo, essi dichiararono esplicitamente alle due donne: “Di questo fatto a nessun altro va attribuita la colpa se non a quel profeta dell'acqua e del battesimo presso il quale Erode è andato a garantirsi la salvezza! Fu lui stesso a portarlo via prigioniero dal Giordano per proteggerlo contro di noi; tuttavia, alla fin fine ciò non gli gioverà a niente: bisogna che il profeta dell'acqua sia, e anche lo sarà, tolto di mezzo! Tanto per voi che per noi egli rappresenta una pericolosissima pietra dello scandalo! Se tale eliminazione non potesse riuscire prima, sarà necessario che si compia il giorno della festa di Erode! Cercate di annientare il profeta ad ogni costo, e poi vedrete che potrete girare e rigirare Erode a vostro piacimento”.
6. Queste dichiarazioni furono più che sufficienti per rendere chiara la situazione alle due donne, e per far loro comprendere le ragioni per le quali ogni tentativo era fallito fino ad allora. Le due tennero perciò consiglio per vedere come avrebbero potuto sbarazzarsi di Giovanni, e la giovane mi mise al corrente dei suoi piani segreti promettendomi molto oro ed argento qualora mi fossi assunto l'incarico di togliere la vita a Giovanni in modo che non desse troppo nell'occhio. Io, com'è naturale, non mi lasciai affatto indurre ad un simile atto, tuttavia feci in modo, gradatamente, che potesse sembrare che io fossi disposto ad entrare nell'ordine delle loro idee; ma questa cosa la feci unicamente allo scopo di poter conoscere, con tanta maggiore sicurezza, tutte le trame diaboliche che contro il povero Giovanni erano state architettate dalle due donne in unione con i loschi eroi del Tempio.
7. Erode, al quale
riferii tutta la storia, si grattò energicamente il capo e mi disse: “Se le
cose stanno così, cosa di cui mi sono accorto già da vari giorni, che cosa si
può fare? Meglio di tutto sarebbe limitare maggiormente i contatti di Giovanni
con l'esterno, permettendo solo ai più conosciuti tra i suoi discepoli di
visitarlo e vietando l'ingresso a ogni estraneo. Infatti, potrebbe accadere con
estrema facilità che qualche sicario prezzolato dalle due donne oppure dal
Tempio piantasse un pugnale nel cuore al nostro Giovanni; allora la malvagità
del Tempio avrebbe raggiunto il suo scopo! Perché, puoi crederlo, anche le
donne sono manovrate e incitate dal Tempio. Ma per salvare Giovanni io
concederò alle due donne, e particolarmente a Erodiade/Salomè, di
arrivare di nuovo fino a me; dunque, va ora e annuncia a Erodiade/Salomè
che lei d'ora innanzi può venire a visitarmi”.
8. Io, che ero il
servitore, dovetti obbedire, quantunque vedessi fin troppo bene che, con un
simile aiuto, magro sarebbe stato il vantaggio che Giovanni avrebbe potuto
ricavarne. Da allora in poi Erodiade/Salomè venne quasi giornalmente a
casa di Erode, e seppe guadagnarsi come nessun'altra la sua crescente simpatia.
La cosa non mancò di venire ben presto agli orecchi della fosca banda del
Tempio, la quale si mise a suggestionare le donne promettendo molto oro purché
riuscisse loro, in una o nell'altra occasione, di indurre Erode a togliere di
mezzo Giovanni che aveva distolto dal Tempio così tanto popolo! La vecchia
allora giurò per il Tempio che avrebbe condotto a buon fine l'affare e che non
si sarebbe data pace finché il profeta dell'acqua non ci avesse rimesso la
vita. La giovane poi dal canto suo si attivò sempre con successo per impedire
ad Erode di visitare Giovanni e consigliarsi nuovamente con lui. Io, suo
servitore, non osai neppure ricordargli le parole che gli aveva detto Giovanni,
sapendo fin troppo bene che furia egli diventava quando il suo animo era
sconvolto da una qualche passione.
9. Così questa
malvagia situazione si trascinò finché giunse il compleanno di Erode; solo che
due giorni prima del compleanno doveva essere accaduto qualcosa di grave tra
lui e Erodiade/Salomè, altrimenti, nei due giorni che ho detto, lei non
avrebbe mancato di venire come invece si verificò. Ma appunto questi due giorni
furono quelli che concorsero maggiormente ad esasperare la passione per la
bella Erodiade/Salomè nel cuore di Erode, così che si delineò, con tanta
maggiore sicurezza, il trionfo di lei, che lei effettivamente poté celebrare il
giorno del compleanno di Erode».
L'ordine di Erode di arrestare Gesù.
1. (Zinca:) «Che lei
lo abbia celebrato e in quale modo, per me e per migliaia d'altri è cosa già
nota; sennonché a voi tutti non sarà noto come fra i suoi discepoli si fosse
diffusa la leggenda che Giovanni fosse risuscitato di nuovo, e che si fosse
ritrovato in Galilea riprendendo il suo compito là dove appunto egli aveva
iniziato in origine. Di questa leggenda venne a conoscenza pure Erode con la sua
Erodiade/Salomè, la quale, dal giorno della morte di Giovanni, aveva
cominciato stranamente a deperire assieme a quel vecchio drago di sua madre. La
notizia riempì di grande spavento e di angoscia i cuori di Erode e di Erodiade/Salomè,
ed Erode perciò inviò me, come provato amico dell'assassinato, per ricondurlo a
lui affinché potesse risarcirlo del gravissimo torto che gli aveva fatto. Anche
Erodiade/Salomè ormai deplorava ciascun momento in cui aveva ceduto alle
pressioni della perversa madre, e avrebbe voluto riconciliarsi con Giovanni da
lei così gravemente offeso!
2. Io però ero ben
convinto che Giovanni non fosse affatto risuscitato; invece dalla bocca stessa
di Giovanni io avevo appreso che nella Galilea era sorto un Profeta
grandissimo, al Quale, egli disse, non era degno nemmeno di sciogliere i lacci
delle scarpe. Queste cose io le riferii ad Erode, ed egli disse: “Allora va
comunque e conducimi qui colui del quale Giovanni parlava con tanta
venerazione! Perché, forse anche lui è in grado di aiutarci!”. Ma poi io gli
raccontai pure quanto avevo udito parlare del grande Profeta, come Egli cioè, a
comprova della sua dottrina, andasse facendo delle cose quanto mai prodigiose.
Io gli dissi che il profeta di Galilea risuscitava i morti, che spostava le montagne,
che comandava alle tempeste e che faceva molte altre cose simili e inaudite, ed
aggiunsi ancora che di fronte alla potenza di un tale profeta io non avrei
potuto ottenere che poco o nulla, dato che egli con un solo pensiero era capace
di annientare migliaia di persone! Tuttavia Erode e Erodiade/Salomè non
desistettero dalla loro richiesta, ed Erode si limitò a dire: “Trecento buoni
denari d'argento a colui che lo conduce qui da me!”. Ed aggiunse che, qualora
ciò non fosse stato possibile da vivo, lo avrebbe voluto vedere almeno morto!
3. Allora io, facendomi coraggio, gli replicai: “A meno che egli non voglia venire spontaneamente, noi andremo invano in cerca di lui, perché prima che l’abbiamo ucciso, non vivremmo già più da molto tempo. Infatti egli legge i più riposti pensieri degli uomini e conosce le loro intenzioni, perciò ci ucciderà non appena noi saremo riusciti a scorgerlo! Ma se le cose stanno in questi termini, non so davvero perché noi dovremmo andare a dargli la caccia!”. Ed Erode allora disse: “Così io voglio! E la mia volontà è buona. Se il profeta è buono, allora non potrà fare a meno di riconoscere per buona la mia volontà, e verrà da me! Che di lui, io non farò quello che nel mio accecamento ho fatto di Giovanni. Di ciò ne danno prova le lacrime da me sparse sul buon Giovanni; andate dunque e adempite la mia volontà”.
4. Subito dopo queste parole noi ce ne andammo, e adesso ci troviamo qui a tale scopo, senza però aver concluso nulla finora, quantunque siano ormai già nove settimane che percorriamo la Galilea sempre con gli stessi propositi. Nel frattempo, già varie volte ho mandato dei messi a Erode per esporgli l'infruttuosità delle nostre ricerche, ma tutto ciò non è servito a nulla! Egli sa da qualche altra fonte che, o è Giovanni risuscitato, o è il grande profeta che si trova in Galilea, e che sta operando grandi prodigi, e l'ordine è che noi dobbiamo fare il possibile per impadronirci di lui! Egli intende punire con tutto il rigore ogni negligenza da parte nostra!
5. E così è accaduto che nel corso delle nostre scorrerie siamo venuti anche qui, avendo appreso che nelle vicinanze di Cesarea di Filippo dovevano essere stati compiuti dei miracoli grandiosi! Noi in verità trovammo solo la città interamente distrutta dal fuoco, un paesaggio devastato dal terribile uragano di ieri e infine qui voi, romani severissimi!
6. Oh, provvedete a noi e liberateci da quel pazzo del quale non ci si può fidare quando è invaso dal furore, e la nostra gratitudine per voi sarà grande, di questo potete esserne pienamente certi. Quello che vi ho appena narrato è assoluta verità; voi ora sapete in maniera esattissima come stanno le cose. E adesso fate secondo diritto e giustizia! Una volta che voi, romani, siete definitivamente i nostri signori, allora di Erode non ci importa più niente del tutto! Noi però saremo pronti a servirvi con fedeltà mille volte maggiore di quanto abbiamo servito quel vecchio pazzo despota! Perché qui da voi le cose hanno un certo aspetto umano, mentre Erode non è più uomo quando è in preda ai suoi accessi di rabbia!».
L'enigmatica lettera romana di conferimento di pieno potere ad Erode.
1. Dice Cirenio: «Come voi desiderate, così sarà fatto, perché con la tua descrizione di Erode mi hai pienamente soddisfatto, ed io ormai so quale contegno devo assumere nei suoi confronti. Ma adesso dimmi ancora una cosa, e cioè se, riguardo a quel suo documento che gli conferisce pieni poteri, è proprio così come mi hai descritto prima! Sei certo di non avervi visto il mio nome apposto come firma? Oppure hai forse avuto o trovato qualche occasione di vedere quel documento? Sii franco e dimmi esattamente quanto ti è noto!»
2. Osserva Zinca: «Oh, niente di più facile, perché io, siccome so scrivere bene e conosco le tre lingue, avrò copiato forse già cinquanta volte lo stesso documento che Erode, dopo aver riscontrato che era conforme all'originale, faceva sempre vidimare in copia dal prefetto dietro versamento di dieci denari d'argento. Il tuo nome io non lo vidi mai, ma vidi invece quello dell'imperatore attualmente regnante. Riguardo a questa faccenda io non potrei dirti di più»
3. Osserva Cirenio: «Qui evidentemente si tratta di un conferimento di pieni poteri del tutto nuovo e dal contenuto assolutamente differente da quello del documento che porta la mia stessa firma! Potresti forse dirmi pressappoco quando Erode è venuto in possesso di un tale documento sospetto che dovrebbe aver ricevuto da Roma?»
4. Risponde Zinca: «Oh, questo è assai facile! Il documento in questione egli lo ricevette già l'anno scorso, ciò che mi risulta con tanta maggiore sicurezza in quanto sono stato io stesso a scrivere l'istanza con la quale veniva chiesto. Ora nell'istanza c'era bensì un punto in cui veniva chiesto all'imperatore se egli, in qualità di unico ed assoluto signore e dominatore, avesse la compiacenza, evitando tutte le sottoposte gerarchie, di conferirgli ad personam[3] una procura di pieni poteri che gli garantisse la necessaria copertura nel modo e nella maniera che era indicata nell’annotazione all'istanza stessa. Ma adesso eccoci veramente alla questione principale, dietro alla quale, secondo il mio modesto avviso, si nasconde la grande birbonata!
5. Che Erode abbia indirizzato a Roma una simile istanza, di ciò sono garante io come testimone tanto più degno di fede dato che, come ho detto, l'istanza l'ho scritta di mia mano. Ma, come facilmente si può immaginare da sé, l’istanza straordinaria non prese la via di Roma senza un buon accompagnamento di molto oro ed argento; inoltre, coloro che la dovevano portare furono cinque fra i primi farisei, i quali proprio in quel periodo dovevano intraprendere il viaggio per delle loro faccende assolutamente private. Costoro, qualche giorno prima della partenza, si presentarono da Erode e gli chiesero se avesse forse qualcosa da sbrigare a Roma.
6. Ad Erode essi apparirono come mandati dal cielo, perché egli già da quattro settimane si spremeva le meningi per studiare come e da chi avrebbe potuto fare inoltrare, nella maniera più sicura e segreta, quella straordinaria missiva a Roma. Tale combinazione gli era tanto più gradita, in quanto egli si trovava in eccellenti rapporti con i cinque accortissimi farisei che egli reputava anche i più onesti della loro razza. E quando chiese ai cinque di che cosa egli fosse debitore per l'incombenza che affidava loro, considerato che da Gerusalemme la spedizione non sarebbe costata meno di duecento libbre (112 kg d’oro e argento), essi non pretesero niente, perché quello che facevano per Erode, il quale in più occasioni aveva reso loro in amicizia già molti ed importanti servizi, lo facevano anch'essi per pura amicizia!
7. Di questa soluzione Erode fu più che perfettamente contento e consegnò ai cinque l'istanza assieme al carico talmente pesante di provviste per il viaggio che trenta cammelli bastarono appena a portarselo sulla schiena. In questa forma l’istanza straordinaria, almeno a quanto se ne disse a parole, prese la via di Roma, ma, secondo la verità più certa, partirono per qualche altra destinazione, ciò che nessuno di noi può di certo sapere!
8. Il viaggio da qui a Roma dura, se il tempo è favorevole, tre intere settimane, altrimenti anche un mese, e una volta arrivati a Roma, bisogna pur fermarsi per dei giorni e spesso per delle settimane, e ci vuole in generale il suo tempo prima che qualcuno venga ammesso alla presenza dell'imperatore. Ad una simile istanza l'imperatore, nel più favorevole dei casi, non dà corso prima di mezzo anno, per la ragione che egli ha mille altri affari di governo più importanti da sbrigare; poi bisogna tenere conto del viaggio di ritorno che esige altrettanto tempo quanto quello di andata. A quanto ne so io, in base alle esperienze che si sono potute fare finora, si può stabilire con certezza che niente e nessuno è partito per Roma e né è ritornato prima di nove mesi.
9. I cinque messaggeri invece, esattamente secondo l'annotazione da me fatta nell'istanza che avevo scritto, hanno consegnato ad Erode tale delega di pieni poteri, scritta su finissima pergamena e provvista e munita di tutti i noti contrassegni imperiali, entro il tempo di sei settimane, non mancando di fargli le loro congratulazioni con tutte le dovute cerimonie. Io però da parte mia fui subito dell'opinione che, nell'occasione di cui ho parlato, i cinque messaggeri erano stati a Roma quanto c'ero stato io, e per la correttezza di tale opinione sarei pronto ancora oggi a garantire con la mia testa.
10. Secondo me quei figuri hanno preso in buona custodia il pesante e prezioso carico assieme ai trenta robusti cammelli, hanno imitato la firma e gli altri contrassegni dell'imperatore, e in questo modo hanno portato ad Erode una segreta delega imperiale, di cui l'imperatore stesso ne sa altrettanto poco quanto ne sai tu, o nobile signore e comandante! Ad ogni modo, questa comunque è solo una mia semplice opinione; può anche essere che essa provenga veramente dall'imperatore! Forse le navi hanno avuto buon vento tanto all'andata che al ritorno, in modo che la durata del viaggio potesse anche essere giustificata, e può darsi che appena arrivati a Roma, per combinazione, abbiano trovato l'imperatore ben disposto e senza affari urgenti da sbrigare! In questo caso egli li avrà ammessi subito alla sua presenza ed avrà rimesso nelle loro mani la delega richiesta; dopo di che, se hanno potuto imbarcarsi prontamente su una qualche nave in partenza per l'Asia, un vento eccezionalmente buono può averli messi in grado di raggiungere la costa della Giudea entro il periodo di tempo prima accennato! Io certo non pretendo affatto di erigermi a giudice in una simile questione! Tutto ciò è solo una mia supposizione e una indagine del mio intelletto».
Il falso conferimento di pieno potere ad Erode.
1. Dice Cirenio: «O amico, questa è ben più di una semplice supposizione; questa è la perfettissima verità! Infatti, anche se l'imperatore avesse impartito ad Erode la delega di pieni poteri richiesta già il giorno stesso dell'arrivo dei messaggeri, non è affatto possibile che la stessa sia stata di ritorno a Gerusalemme in sei settimane, dato che una spedizione in partenza da Roma, anche con il migliore dei venti, impiega già circa quaranta giorni per arrivare soltanto fino a Sidone. In alto mare, dove certamente la via sarebbe la più breve in assoluto, non ci va nessuna nave; ma se questa si limita a costeggiare il grande Mediterraneo oppure l'Adriatico navigando lungo la costa greca, per arrivare fino a qui non impiega meno di quaranta giorni, e quindi non vi è per nessuno la possibilità materiale di compiere un viaggio di andata e ritorno impiegando questo stesso tempo.
2. Oltre a ciò ogni forestiero, che venga a Roma per consegnare una supplica all'imperatore, deve prima dimorare nella metropoli per settanta giorni; prima di questo tempo nessun inviato straniero e nessun privato vengono ammessi alla presenza dell'imperatore, a meno che non si tratti di un condottiero o di un qualche altissimo dignitario. A Roma, infatti, vige la disposizione secondo cui ogni straniero, venuto allo scopo di ottenere una grazia dall'imperatore, debba prima elargire un'offerta alla città spendendo il più possibile e offrendo dei doni alle molte istituzioni cittadine; cosa questa che, per così dire, ogni straniero proveniente da lontani paesi può benissimo fare, se consideriamo che, senza essere molto ricco, egli non può venire a Roma, né può avere grazie particolari da chiedere. Infatti, per la comune classe dei meno abbienti esistono delle leggi sanzionate e sono posti dei giudici giusti; se qualcuno deve fare un reclamo, egli sa dove rivolgersi. Se egli va dove sa che deve andare, allora gli viene concesso anche ogni possibile aiuto entro l'ambito della legge, poiché, presso di noi romani, non ci sono né dubbi, né scappatoie, essendo tuttora in vigore la vecchia massima: “Justitia fundamentum regnorum!” (La giustizia è il fondamento dei regni!), nonché l'altra: “Pereat mundus, fiat jus” (Vada pure in rovina il mondo, ma giustizia sia fatta). Ebbene, per noi romani queste non sono semplicemente delle frasi vuote, ma sono dei principi che finora sono stati sempre scrupolosamente osservati.
3. Non deve quindi apparire affatto ingiusto il fatto che chi viene a Roma sia tenuto a devolvere un'offerta alla grande metropoli prima di venire reputato degno di una grazia imperiale. Ma da tutto ciò risulta ancora una volta assai chiaro che i cinque inviati del Tempio non hanno potuto vedere l'imperatore prima di settanta giorni, e che per conseguenza non sono potuti andare a Roma e ritornare in sei settimane. Ma se non hanno avuto la possibilità di fare questo, bisogna arrivare automaticamente alla conclusione certa che i cinque si sono trattenuti le offerte d'onore destinate all'imperatore e che hanno portato e consegnato all'ambizioso tetrarca una delega imitata e perciò del tutto falsa! Erode certo si immagina adesso di avere acquistato diritti maggiori di quelli accordatigli originariamente assieme al tetrarcato da parte di Roma. Ma non passerà molto che egli dovrà rassegnarsi a qualche delusione!
4. Oh, certo, ora comprendo bene perché da Roma non mi sia pervenuta a tal proposito e in nessun modo la benché minima notizia! Infatti, è necessario che io, quale detentore illimitato dei poteri di Roma su tutta l'Asia e sulla parte confinante dell'Africa, venga a conoscenza di qualsiasi decreto o disposizione emanati da Roma e concernenti l'Asia, altrimenti un'ordinanza di Roma a me sconosciuta, qualora cominciasse in qualche modo a trovare applicazione pratica, io dovrei considerarla come un atto arbitrario provinciale, dunque come un’insurrezione contro Roma e la sua potenza, e dovrei procedere immediatamente alla repressione con tutti i mezzi che sono a mia disposizione. Per conseguenza ora vi sarà certo chiaro che la delega in possesso di Erode deve essere, per forza di cose, falsa! Ma se la delega è falsa, vi renderete di certo conto del fatto che, in primo luogo, è mio dovere rivelare ad Erode l'inganno e, in secondo luogo, che è mio compito ritirare la falsa delega e mandarla all'imperatore affinché egli stesso decida in merito alla punizione da infliggere a quei pessimi criminali che hanno profanato la sua persona!».
La politica di Stato dei templari.
1. Dice allora Zinca: «O nobilissimo signore ed amico! Tutte queste cose noi le comprendiamo benissimo, però accanto a queste noi vediamo ancora qualcosa che tu sembri non vedere!»
2. Osserva Cirenio: «E quale poi sarebbe questa cosa?»
3. Risponde Zinca: «Questa benedetta politica di Stato, ecco, è proprio tale politica che dà la spiegazione del fatto che, quasi in ogni tempo e in tutti i paesi della Terra, la casta sacerdotale goda di un certo privilegio grazie al quale essa può fare molte cose che, se fatte dal resto dell'umanità, verrebbero considerate un crimine. Ai sacerdoti il coraggio non manca per imporsi dinanzi al prossimo come autentiche divinità e per riempirsi la bocca, a loro piacimento, della presunta parola di Dio di fronte a tutti gli uomini; nessuno si rivolta contro di loro, e lo stesso imperatore è costretto ad assistere con occhio amichevole ad ogni spudorato gioco a causa dell'antica e consueta superstizione popolare, mediante la quale il popolo viene mantenuto in quella certa condizione di umiltà e di obbedienza, e tenuto in questo modo esso non si ribella contro il detentore del potere quando da questi riceve leggi per lo più gravose da osservare, ed imposizioni di tributi ancora più gravosi da versare.
4. Ma se ai sacerdoti viene concesso, a loro piacimento, di fare e disporre al posto di Dio, non darà poi eventualmente eccessiva ombra all'imperatore se, data la necessità, questi addormentatori del popolo, qualche volta di nascosto oppure anche apertamente, si insinuano nella pelle del monarca, parlano in suo nome e perfino decretano leggi, qualora tale cosa essi la riconoscano come qualcosa di utile e di salutare tanto per il reggente, quanto per il suo Stato e, naturalmente, anche per se stessi, ciò che deve apparire tanto più scusabile in quelle province le quali, come il paese degli ebrei, si trovano molto lontane dal luogo di residenza del reggente.
5. Se anche oggi essi vengono chiamati a rispondere a causa della falsa delega dall'imperatore, essi non negheranno affatto di aver agito così anche senza alcuna autorizzazione, ma d'altro canto sapranno bene come fare per spiegare all'imperatore il perché hanno agito così, e sempre e soltanto a vantaggio del monarca e del suo Stato! Ed essi cercheranno di dimostrare all'imperatore per filo e per segno, con tutta evidenza, come una simile disposizione sia stata necessaria, e quali buone conseguenze ne siano derivate allo Stato ed al monarca! L'imperatore poi dovrà finire col lodarli e anche col ricompensarli.
6. Prova a chiamarli oggi a rispondere, e vedrai che dopo l'interrogatorio potrai tanto poco trovare argomento d'imputazione a carico loro quanto lo potrebbe l'imperatore stesso, ed infine dovrai per di più confermare ad Erode quella certa delega quando essi ti dimostreranno che un atto di questa specie s’imponeva per fissare dei limiti precisi all'ambizione di Erode, senza i quali egli, con l'aiuto delle sue immense ricchezze e dei suoi tesori, avrebbe potuto con tutta facilità riunire intorno a sé delle forze poderose, con l’appoggio delle quali egli avrebbe poi cominciato a parlare a voi, romani, in forma quanto mai categorica! Ma essi diranno che, essendo venuti a conoscenza di questo, illuminati dall'Alto, sono ricorsi immediatamente al giusto mezzo di far venire Erode, pro forma, in possesso di un privilegio come se fosse derivato dal potere e dalla volontà imperiale, privilegio che altrimenti fra breve egli si sarebbe conquistato con la forza. Ebbene, se ora quegli eroi del Tempio vengono fuori con queste spiegazioni, cos'altro potrai fare se non lodarli e ricompensarli?»
7. Dice Cirenio: «La cosa non mi persuade ancora completamente, perché, se Erode avesse ideato un tale piano sedizioso e avesse voluto anche metterlo in esecuzione, perché non sarebbe stato possibile farmene avere notizia segretamente? Certo io stesso avrei pure potuto far ricorso a mezzi efficaci. Da Gerusalemme fino a Sidone o a Tiro la strada non è poi tanto lunga; e del resto come potranno i templari giustificare la scomparsa dei rilevanti tesori sottratti all'imperatore e dei trenta cammelli? A me pare che la cosa dovrà riuscire anche a loro piuttosto difficile!»
8. Risponde Zinca: «O nobile signore ed amico! Tu certo appari in generale dotato di molta e genuina sapienza di Stato e di acutezza di vedute, ma pur tuttavia sembri altrettanto inesperto in questo campo quanto qualcuno che non abbia ancora mai tenuto in mano lo scettro neppure di casa sua. Per fornirtene la prova, essi possono addurre un duplice motivo per il quale si sarebbero trattenuti dal fare come tu dici: in primo luogo il pericolo che sarebbe insorto se si avesse indugiato e in secondo luogo la convenienza di evitare qualsiasi chiasso pernicioso riguardo ad una tale questione! Infatti, se tu fossi stato avvertito della cosa troppo presto, tu avresti immediatamente fatto cingere d'assedio tutta Gerusalemme ed avresti fatto sorvegliare rigorosamente la città; queste misure avrebbero suscitato una grande eccitazione fra il popolino ed avrebbero alimentato il rancore e l'odio contro di voi. Erode allora avrebbe potuto benissimo trarre profitto da queste condizioni d'animo ai vostri danni, e con questo si sarebbe potuto andare incontro a mali incalcolabili!
9. Perciò, ben prevedendo e calcolando tutte queste possibilità, il Tempio, dalla pienezza della sua divina sapienza, ha preso una disposizione tale da correre ai ripari senza alcun rumore, in caso di queste funeste eventualità. Essi, ad ogni modo, non avrebbero mancato di avvertire pienamente, sia te che l'imperatore, di quanto era accaduto, con l'aggiunta per di più di un consiglio riguardo a quello che ulteriormente sarebbe stato da farsi. In quanto ai tesori destinati all'imperatore, essi avrebbero comunque potuto farli pervenire nelle tue mani soltanto quando avessero reputato consigliabile di portare a tua conoscenza tutto quanto era accaduto.
10. Dunque, qualora tu, o nobile signore ed amico, ricevessi - come certo avverrebbe - una simile risposta a qualcuna delle tue domande, dimmi se, riguardo alla vera prudenza di governo suggerita dalle circostanze, potresti fare altrimenti che rendere ogni lode a quei templari e ricompensarli col dieci per cento, secondo la legge, così come va ricompensato ogni buon ed onesto amministratore?»
11. Dice Cirenio: «Ma se io personalmente sono convinto della più che certa e colossale perfidia della gente del Tempio, posso io in aggiunta dare a loro ricompensa e lode? Non c'è proprio nessun mezzo e nessuna via per mettere con le spalle al muro questi fratelli di Satana?»
12. Dice Zinca: «Chi meglio conosca e chi più detesti quei loschi figuri, tra Zinca e te, questa è una domanda assai importante; se io potessi con un soffio annientarli tutti, assieme al loro Tempio e alle loro sinagoghe, credimi: io non ci penserei su nemmeno due istanti, e la Terra sarebbe immediatamente liberata dalla loro presenza. Ma le cose invece stanno ora in modo tale che perfino un Dio non può darti altro consiglio se non quello di fare momentaneamente buon viso a cattivo gioco.
13. Il tempo che deve venire porterà poi anche nuovo consiglio. Secondo il mio computo e secondo quello di Giovanni, da qui a quarant'anni essi saranno completamente maturi per venire abbattuti, ed allora voi dovrete conquistare di nuovo tutta la Giudea e tutta Gerusalemme, e dovrete distruggere dalle fondamenta i loro covi. Prima di questo tempo però, all'infuori di ciò che io ti ho già consigliato, poco o nulla si potrà fare contro di loro, neanche a mano armata. Tu da qui a qualche tempo puoi farli interrogare riguardo ai termini in cui stanno le note questioni; quando poi, come è evidente, otterrai subito le rispettive spiegazioni, allora agisci come ti ho detto, altrimenti potresti avviare la cosa ad una pessima soluzione».
La Dottrina del Profeta di Galilea.
1. Dice Cirenio: «Io riconosco la tua grande scaltrezza e l'acutezza del tuo ragionamento, e vedo che Erode ha trovato in te un avvocato il cui simile si cercherebbe probabilmente invano in tutta la Galilea! Ormai tu non sei più certo erodiano, ma romano, e non hai più bisogno di patrocinare la causa di Erode, ma la nostra soltanto, e ciò a vostro vantaggio; per conseguenza tu puoi già venire maggiormente a conoscenza di tutto quello che si trova ora concentrato qui in questo punto in vicinanza del mare, nonché delle vere ragioni di tutto ciò. E prima di tutto, dimmi cosa faresti adesso se si presentasse qui, venendo da una qualche parte, il grande Profeta di Galilea?»
2. Risponde Zinca: «Io? Oh, io non farei affatto niente e lo lascerei andare perla sua strada! Certo che vorrei intrattenermi con lui, almeno per constatare se Giovanni aveva ragione quando sosteneva che egli non era degno nemmeno di sciogliergli i lacci delle scarpe! Giovanni era un profeta dotato di altissima sapienza, ed aveva in sé più luce che non tutti gli antichi profeti presi insieme. Ebbene, se Giovanni rende già una simile testimonianza di Gesù di Nazaret, quanto grande sapienza e potenza ci deve essere in quest'ultimo!
3. Sai tu, o nobile amico, se io avessi voluto proprio sul serio arrestare Gesù, sia pure in apparenza soltanto, avrei potuto farlo già da lungo tempo, perché, a dire il vero, il più delle volte sapevo benissimo dove si tratteneva Gesù. Tuttavia l'intenzione seria di arrestarlo io non l'avevo, e poi, per dirla sinceramente, io provavo una certa particolare soggezione al solo pensiero di trovarmi di fronte a quell'uomo, poiché, dopo tutto quello che ho sentito dire di lui - e ciò da parte di testimoni degnissimi di fede e perfino di samaritani -, bisognerebbe arguire che in lui dimori la Pienezza di una qualche perfettissima Divinità, oppure che egli sia forse un mago della specie più raffinata! Ad ogni modo non vorrei proprio avere particolari questioni da sbrigare con lui, perché senza dubbio ne uscirei piuttosto malconcio. Sì, davvero! Sarei lieto di incontrarmi con lui, però soltanto per vederlo e parlargli nella forma più amichevole, ma non penserei mai neanche alla lontana di presentarmi dinanzi a lui in questa veste da sgherro»
4. Intervengo allora Io stesso, e dico a Zinca: «Caro amico, Io sono pure Qualcuno che conosce Gesù di Nazaret così bene quanto Me stesso; di Lui però ti posso dire solo che Egli non è affatto nemico di nessuno, ma è un Benefattore di chiunque va a Lui e cerchi aiuto presso di Lui. Egli è certo un nemico del peccato, ma non del peccatore che si pente del suo peccato e che in umiltà fa ritorno al bene. Da parte Sua nessuno è stato ancora né giudicato, né condannato, e ciò neanche se i suoi peccati siano stati più numerosi dei granelli di sabbia del mare e dei fili d'erba sulla Terra.
5. La Sua Dottrina poi, esposta nelle sue linee più concise, consiste in questo: l'uomo è chiamato a riconoscere Dio e ad amarLo sopra ogni cosa, nonché ad amare il suo prossimo come se stesso, è indifferente che il prossimo sia di condizione nobile o umile, povero o ricco, maschio o femmina, giovane o vecchio! Chi persevera e così opera ed evita il peccato, costui ben presto avvertirà in se stesso che una simile Dottrina proviene veramente da Dio, e che non è uscita da bocca d'uomo, ma dalla bocca di Dio, perché non vi è uomo che possa sapere cosa gli convenga fare per arrivare alla vita eterna ed in che cosa questa consista. Tale cosa non la sa che Dio, ed infine pure colui che l’ha appresa dalla bocca di Dio.
6. Egli inoltre insegna che tutti gli uomini che vogliono pervenire alla vita eterna devono venire ammaestrati da Dio; coloro invece che apprendono soltanto dagli altri uomini cosa devono fare, sono ancora ben lontani dal Regno di Dio. Essi odono certo delle parole che sgorgano da labbra mortali, ma com’è mortale la bocca che ha proferito le parole, mortale è pure la parola in colui che l'ha appresa; egli non vi fa attenzione più di tanto e non la rende vivente attraverso le opere. La Parola, invece, che esce dalla bocca di Dio non è morta, ma è vivente, sprona il cuore e la volontà dell'uomo all'azione e in tal modo rende vivente tutto l'uomo.
7. Una volta che l'uomo si sia reso vivente tramite la Parola di Dio, allora egli resta poi vivente e libero per l'eternità, e non sentirà né assaporerà mai più la morte in nessun modo, anche se nel corpo potesse morire mille volte.
8. Ecco, o amico Mio, questo è in poche parole il germe della Dottrina del grande Profeta da Nazaret. Dicci ora francamente se essa ti piace e qual è la tua opinione sul conto del grande Profeta».
Il parere di Zinca sulla Dottrina di Gesù.
1. Zinca allora riflette qualche tempo e poi risponde: «O caro amico! Contro una simile Dottrina, quantunque sia un po’ azzardata, non può venire fatta assolutamente nessuna obiezione; anzi, se si può ammettere il presupposto che davvero esiste un Dio disposto a curarsi in qualche modo dei mortali, sia pure limitatamente, essa è evidentemente di natura divina. È vero che anche degli altri grandi sapienti hanno enunciato che il puro amore è il germe fondamentale di ogni vita e che l'umanità dovrebbe coltivare l'amore più che ogni altra cosa; poiché unicamente fuori dall'amore può fiorire per l'uomo ogni salvezza; ma non hanno spiegato quale sia l'essenza pura dell'amore. Infatti, l'amore presenta, a secondo del punto di vista, dei lati buoni e dei lati cattivi, e così si finisce col non sapere quale dei lati dell'amore sia veramente da coltivarsi ai fini della salvezza!
2. Qui invece viene espresso, in maniera chiara come il Sole, quale specie d'amore l'uomo deve curare per farne il principio della propria vita! Per conseguenza una simile Dottrina non può trarre certo origine da nessuna creatura umana, ma soltanto da Dio, e dimostra fra l’altro che pure deve esserci un Dio! Ebbene, o mio nobile e ancora sconosciuto amico, per quanto tu possa essere un pagano, io ti sono grato proprio di tutto cuore: tu adesso hai reso tanto a me, quanto a questi miei amici i quali non sono davvero degli sciocchi, un grande servizio, dato che noi tutti eravamo in un certo modo più o meno degli atei; ora invece, almeno così a me sembra, noi abbiamo nuovamente trovato Dio che avevamo perduto, cosa della quale io gioisco assai e che mi è molto gradita.
3. Giovanni si era senza dubbio dato molto da fare per convincermi dell'esistenza di un Dio eterno, tuttavia la cosa stentava a riuscirgli. Io ribattei in ogni occasione e confutai le sue asserzioni con energia, così che egli non poté far dileguare tutti i dubbi che avevano messo radice in me e che in me sono rimasti fino a questo momento. Ma ormai ogni mio dubitare è stato spazzato via d'un tratto!
4. E tuttavia è strano ma pure è così: se qualcuno, trovandosi in un labirinto di viali, non trova la porta, non può nemmeno giungere al palazzo che il re ha fatto edificare a sua perpetua dimora sull'ampio spiazzo al centro del suo immenso giardino; ora tu mi hai mostrata ed aperta la vera porta, e quindi adesso è facile penetrare in tempo brevissimo nel palazzo del re grande ed eterno.
5. Ma ora dimmi un po', per favore, dove hai avuto la grande fortuna di incontrarti con quell'uomo prodigioso? Certamente egli non è un mago, ma è una persona dotata di forze divine superiori, perché di questo rende testimonianza la sua Dottrina veramente divina! Dimmi dunque dove hai avuto occasione di parlargli! Desidererei io stesso recarmi da lui per ascoltare dalla sua bocca delle viventi parole di salvezza di questo genere»
6. Gli dico Io: «Tu resta intanto qui; della cosa dovremo discutere più diffusamente ancora, ed in seguito a ciò poi non ci vorrà molto finché tu Lo abbia trovato da te stesso. Oltre a ciò è già passato un'ora dal mezzogiorno: il nostro buon albergatore Marco ha ormai preparato il pranzo e fra poco questo verrà servito; dopo il pranzo avremo ancora tempo più che sufficiente per parlare assieme riguardo ai più svariati argomenti. Tu intanto rimani qui alla nostra mensa, ed i tuoi ventinove compagni che prendano posto alla mensa qui vicino»
7. Ed ecco presentarsi Marco con le vivande. E quando queste furono deposte sulle mense, a Zinca diede molto nell'occhio il fatto che tante e così spaziose mense fossero state completamente provviste in un solo attimo di vivande e di coppe di vino, come per effetto di una bacchetta magica e con il contributo di poche persone!
8. Egli perciò domandò ad Ebal che gli era seduto vicino: «O amico! Dimmi per favore come mai tante tavole così grandi hanno potuto così d'un tratto venire guarnite con simile abbondanza, pur avendovi lavorato solo pochissima gente? In verità, la cosa mi meraviglia assai! Quasi, quasi sarei portato a sostenere che questo non succede qui in maniera del tutto naturale. Che il vecchio albergatore possa forse in segreto contare sul contributo di spiriti od angeli che lo aiutano in simili faccende?»
9. Risponde Ebal: «Forse tu non hai fatto continuamente attenzione, dato che eri molto infervorato nel tuo discorso, e non hai potuto constatare esattamente in quanto tempo veramente siano state con molta facilità provviste di cibi e di bevande le numerose mense. Io stesso non vi ho fatto proprio attenzione; tuttavia non è probabile che la cosa sia proceduta sul serio in maniera non naturale!»
10. Dice Zinca: «Amico mio, credimi! Io posso essere infervorato quanto si vuole in un discorso, ma intorno a me non accade niente che riesca a sfuggire alla mia attenzione, ed io sono assolutamente sicuro che ancora pochi momenti fa non c'era nemmeno una briciola di pane su nessuno dei tavoli, mentre adesso i tavoli sembrano piegarsi sotto il peso delle vivande! Con il tuo permesso, dunque, credo che per un uomo che ha il cuore e il cervello a posto una simile domanda sia più che giustificata, tanto più poi trattandosi di uno che è estraneo all'ambiente! Ora non importa che ci sia qualcuno che mi possa dare una giusta spiegazione oppure no; ad ogni modo io non posso che restare della mia opinione: qui le cose non vanno affatto per le vie naturali! Guarda un po’ i miei ventinove compagni, che tra di loro vanno discutendo della stessa questione; voialtri sì che potete rimanere indifferenti, perché forse già parecchie volte avete avuto l’occasione di mangiare qui, essendo già a conoscenza di come si svolgono qui le cose! Del resto ciò non fa nulla, ed io più tardi verrò a capo anche di questo mistero!».
Lo stupore di Zinca per il miracolo delle mense.
1. Allora Zinca, che era grande di statura, si alza e guarda intorno per esaminare tutte le mense le quali sono letteralmente coperte da piatti e vassoi colmi di pesci preparati in maniera eccellente, da pagnotte di pane e da numerosi boccali e bicchieri del miglior vino; ed osserva inoltre che tutti gli ospiti si sono accinti di buona lena a far onore al pranzo, senza tuttavia che alle molte mense sia possibile notare una qualche diminuzione nella quantità delle vivande offerte. In poche parole, quanto più Zinca s'infervora a considerare la cosa e tanto più sconcertato rimane, cosicché alla fine si sente come colto da vertigine. Soltanto un appetito alquanto pronunciato e l'odore invitante delle vivande lo inducono a rimettersi a sedere e a cominciare a mangiare egli pure.
2. Ebal gli pone davanti il pesce migliore e più grande e della specie più nobile che poteva venire fornito dal lago di Tiberiade, nome questo con il quale veniva chiamata la grande insenatura che segnava in quella direzione il confine della regione abbastanza vasta di Cesarea di Filippo. Zinca allora si dà da fare con zelo sempre crescente con quel pesce che egli gusta immensamente, né si dimentica del pane saporitissimo e dolce e della coppa colma che ha dinanzi, che però non accenna in maniera visibile a vuotarsi per quanto abbia di frequente fatto già conoscenza delle sue labbra, come del resto anche il pesce non sembra voler finire pur avendolo gustato spesso.
3. Ma come succede a lui, non altrimenti succede anche ai suoi compagni. Essi avrebbero tutta la buona volontà di essere lieti e sereni, e di dare sfogo con parole alla loro allegria, sennonché il senso di meraviglia per quei fenomeni straordinari che si sono verificati durante il pranzo, non ne lascia loro il tempo, perché si trattava veramente di fenomeni dei quali in vita loro non avevano mai avuto la benché minima idea. Frattanto si sono tutti saziati a dovere; eppure la squisitezza del pesce, del pane e del vino invita sempre ad approfittarne ancora, e questo è pure un fenomeno che essi non riescono a spiegarsi!
4. E Zinca, non potendone più, insiste con Cirenio perché gli chiarisca il fatto egli dica cosa deve pensarne.
5. Ma Cirenio gli risponde: «Quando il pranzo sarà finito, allora sarà anche giunto il tempo di parlare di varie cose; per ora accontentati di mangiare e di bere a tuo piacimento»
6. Osserva allora Zinca: «O amico, e mio alto signore e comandante! In tutto il tempo della mia vita non sono stato mai un ghiottone, ma se dovessi restare qui a lungo con te ed in simili circostanze, non potrei davvero fare a meno di diventarlo anch'io. Io non comprendo più assolutamente come faccio a mangiare e a bere! Sono sazio e la mia sete è estinta, e tuttavia sento di poter mangiare e bere ancora benissimo! E il vino è migliore e di maggior gradazione di qualsiasi altro che io abbia mai bevuto in vita mia, eppure non sento nemmeno il principio di un’ebbrezza!
7. Dunque, io non posso che confermare l'opinione da me esposta prima: cioè qui le cose non si svolgono affatto in maniera naturale! Ma c’è forse in questa grande compagnia qualche famoso mago che vuole dar prova della sua incomprensibile forza prodigiosa? Oppure ci troviamo forse addirittura vicini a quel grande profeta che ho cercato finora con i miei ventinove compagni? Se questo fosse il caso, allora, o nobile amico e comandante, dovrei umilissimamente pregarti di lasciarci andare via da qui per indirizzarci a quel qualsiasi luogo che a te piacesse di designare, oppure dovresti farci nuovamente legare, poiché, se il profeta ci capitasse proprio a tiro, noi, in virtù del rigido giuramento prestato ad Erode, saremmo costretti a mettere le mani su di lui! Ciò non ci servirebbe di sicuro a niente, eppure a motivo del giuramento dovremmo comportarci così, anche a rischio di correre incontro alla nostra rovina!»
8. Esclama Cirenio: «Come, come! Dove, o in quale legge sta scritto mai che un pessimo giuramento condannabile ed estorto con la forza debba venire mantenuto? Ma il tuo giuramento decade da sé già solo per il fatto che tu sei ora prigioniero assieme ai tuoi compagni! D'ora innanzi non vi è più dubbio che voi dobbiate fare quello che vi verrà ordinato da me oppure dai miei ufficiali in sottordine, ma mai più in eterno dovete fare ciò che vi è stato comandato dal vostro scimunito Erode! Del vostro pessimo giuramento voi siete esonerati per tutti i tempi futuri!
9. Se il grande Profeta anche comparisse da una qualche parte in mezzo a noi, nessuno di voi dovrebbe azzardarsi a toccarLo nemmeno con un dito; se qualcuno, a causa dello sciocco giuramento fatto, osasse davvero questo, dovrà sperimentare su di sé tutta la pesantezza della nostra severità romana!
10. O Zinca, amico mio, in base alle tue precedenti espressioni veramente assennate, io ti avevo giudicato persona molto saggia, ma quest’ultima manifestazione del tuo intelletto è tale da farmi ricredere parecchio sul tuo conto! È stato forse quanto dicesti prima semplicemente una contraffazione da parte tua?»
11. Risponde Zinca: «Oh, no, no affatto, o nobile signore e comandante! Io e tutti i miei compagni pensiamo e vogliamo tuttora precisamente così come pensavamo, volevamo e parlavamo prima, però tu stesso devi senz'altro ammettere che, in presenza di fenomeni come quelli che si sono verificati qui e ancora ora si verificano, chiunque sia un po’ desto d'intelletto non possa fare a meno di cominciare a stupirsi e di restare alquanto imbarazzato e confuso in tutto il suo pensare, volere, parlare ed agire!
12. Se io avessi assistito qualche volta a qualcosa di simile, allora certo mi sarei anch'io mantenuto tranquillo come tutti voi. Ma poco fa il mio saggio vicino disse che il pranzo sarebbe stato servito, ed ecco che dopo uno o due istanti tutte le mense già si piegano sotto il peso dei cibi e delle bevande che vi erano state poste sopra. Non escludo che vi possano essere dei congegni artificiali con l'aiuto dei quali si può compiere un lavoro di questa specie con rapidità un po' maggiore del solito, ma qui si è trattato di una cosa quasi istantanea, e per ottenere questo effetto a me sembra che non possa bastare nessun meccanismo! In conclusione mi si potrà obiettare quello che si vuole, ma io resto della mia opinione e dico che qui si è trattato di una magia assolutamente straordinaria oppure di un vero miracolo!
13. Per te, o nobile amico e signore, è facile essere tranquillo, perché certamente conosci come tutto questo succede, ma per noi invece è tutt'altra cosa! Osserva un po' qui il pesce che ancora mi tiene occupato! È da vario tempo che ne mangio di buona lena, eppure più della metà è qui ancora in attesa di venire mangiata! Io sono perfettamente sazio, e tuttavia sento di poter mangiare ancora! Ecco qui il mio boccale del vino dal quale io devo avere bevuto più di una buona misura, e ciò malgrado, guarda qui: gli mancano a mala pena tre dita per essere colmo fino all'orlo! Dunque, a mio avviso, un uomo che ha la capacità di pensare non può restare del tutto indifferente di fronte a simili fatti come se si trattasse di una questione comunissima! Io certo sono qui tuo prigioniero, né posso esigere da te una spiegazione di questo insolito e meraviglioso fenomeno; però mi sarà ben lecito chiedere? Io vi avevo chiesto la spiegazione, e voi vi siete limitati ad una raccomandazione, cioè a quella di aspettare!
14. Eh, con l'aspettare andrebbe anche bene se in me, invece di un'anima smaniosa di sapere, ci fosse una pietra immota e morta nella sua pigrizia. Ma la mia anima non è una pietra, ma è uno spirito assetato continuamente di luce. Non esiste bevanda ristoratrice e rinfrescante che possa estinguere la sua sete, ma un tale effetto lo può ottenere la parola chiarificatrice fuori dalla bocca di uno spirito già dissetato. Voi sì che siete colmi di questa eterea bevanda e siete dissetati a sazietà, ma a me che ardo di sete voi non volete concedere dalla vostra sovrabbondanza nemmeno una goccia che cada nella mia bocca arsa! Vedete, questo è appunto quello che più di tutto mi addolora e che più di altro rende confusi i miei sensi. Se dunque, date le circostanze, un po' di squilibrio si manifesta in me, può, o nobile amico, farti ciò meraviglia?
15. Ma ormai non ne parliamo più! Io comincio a sentire dentro di me un'autentica rabbia, e perciò è meglio lasciare che tutte queste cose meravigliose siano quello che possono o che vogliono essere! L'uomo non deve sapere tutto, né occorre che sappia tutto! Per guadagnarsi un tozzo di pane quotidiano non c'è bisogno che l'uomo impari grandi cose e che faccia esperienze o che sappia. Chi a questa meta tende, è un pazzo! Dunque, mangiamo e beviamo finché ce n'è! Se non mi è lecito sapere qualcosa, preferisco non voler saperne io stesso! Perché ciò che da se stessi si vuole, è più facile a sopportarsi, soltanto la volontà degli estranei è, per un'anima onesta, di difficile digestione. D'ora in poi voi tutti potete essere perfettamente tranquilli che da parte mia nessuno verrà molestato mai più con una qualche domanda».
16. E dette queste parole, Zinca ammutolì, continuò a mangiare tranquillamente il suo pesce servendosi del pane e del vino, ed anche i suoi compagni fecero altrettanto, badando appena a quello che succedeva o che si diceva intorno a loro.
L'essenza della sete di sapere. Il canto gradito a Dio.
1. Cirenio allora in segreto Mi domandò che cosa si sarebbe dovuto fare con quell'uomo.
2. Ed Io gli dissi: «Oh, con lui e con gli altri si potrà fare ancora molto! Anche loro diverranno degli eccellenti strumenti per noi; ma quello che a loro occorre adesso è un po’ di quiete, ed è per questo che Io li ho fatti giungere nel loro attuale stato di indifferenza.
3. Puoi crederlo! Un'anima, una volta giunta ad avere sete di conoscenze superiori, non ritorna così facilmente all'inattività assoluta! Ad una simile anima succede poi come ad un giovane il quale sia perdutamente innamorato della ragazza da lui scelta. Lei però, che è una ragazza qualunque e non un'onesta vergine, prende l'amore del suo spasimante molto meno sul serio, e tra di sé pensa: “Se proprio non è lui, ce ne sono ancora tanti altri!”.
4. Ora questa cosa dopo qualche tempo viene all'orecchio dell'innamorato, il quale se ne rattrista enormemente. Pieno di rabbia e di disgusto egli si ripropone di non pensare più alla ragazza infedele. Ma quanti più proponimenti di questo tipo va facendo, tanto più pensa a lei, mentre in segreto non si augura altro che tutte le male voci sul conto della fanciulla per bocca di estranei siano un'assoluta menzogna.
5. Ma un bel giorno finalmente vede che lei se la intende con un altro! Allora egli si sente ribollire d'ira, e giura e spergiura di volere bandire ad ogni costo l'infedele dal suo pensiero. Per questo motivo allora cominciano a sorgere in lui, per suo tormento, pensieri talmente tumultuosi ed esasperanti, che accanto a questi non può trovare più alcun posto altro pensiero sano, e giorno e notte egli non ha più pace, né tregua; spesso sospira e piange amaramente maledicendo l'infedele.
6. Ma adesso si chiede: “Perché accade tutto questo, dal momento che egli si è fermamente proposto di non pensare mai più all'indegna?”.
7. Ed ora ammettiamo un'altra versione: mentre egli tormenta il suo cuore, vada lui un vero amico e gli dice: “O amico! Tu alla tua promessa fai veramente un po’ di torto. Vedi, con la sua apparente leggerezza lei ha voluto soltanto mettere alla prova il tuo amore; lei sapeva infatti e non poteva fare a meno di sapere di essere una poverissima fanciulla, mentre tu possiedi grandi ricchezze, ed era quindi giustificato il dubbio in lei se tu intendessi sul serio prenderla per tua legittima moglie! Lei riteneva che l'amore da te giuratole, fosse più che per la metà piuttosto uno scherzo, e perciò si trovò indotta, prima di concederti definitivamente la sua mano, a metterti un po’ alla prova per vedere se tu l'amassi davvero tanto quanto si doveva giudicare dalle tue parole. Infatti, la triste esperienza ha insegnato, anche troppo spesso, alle fanciulle povere come lei, che i giovani ricchi come te sono soliti frequentarle semplicemente per divertirsi senza avere alcuna seria intenzione a loro riguardo. La tua ragazza invece si è convinta che tale serietà di propositi vi è realmente in te, e quindi ti ama più di quanto potresti immaginare, e dal tempo in cui lei ti promise amore, nel suo cuore non ti è mai stata infedele. Ed ora tu, cieco e geloso che sei, sai come stanno le cose rispetto a lei! Dunque, fa ora quello che tu credi sia giusto fare!”.
8. Pensi tu, o Mio Cirenio, che l'innamorato così profondamente offeso continuerà allora a non volerne più sapere della povera ma bellissima ragazza come si era proposto prima? Oh, niente affatto! Le parole del suo amico saranno invece suonate dolcissime ai suoi orecchi, ed egli potrà a mala pena frenare la sua impazienza in attesa dell'istante che dovrà unirlo per sempre all'amata.
9. Non altrimenti accadrà anche al nostro Zinca. Egli adesso mangia e beve come se il meraviglioso che percepisce intorno a lui, non lo riguardasse affatto; però nel suo intimo egli attualmente è occupato molto più di quanto non lo fosse prima a tale riguardo. Dunque, non c'è bisogno di affannarsi a causa di ciò.
10. Io conosco tutte le creature umane e so tutto quello che si svolge nei loro cuori. Oltre a ciò, anche la guida dei sentimenti nel cuore dipende soltanto da Me e, qualora sia necessario, so ben Io come e cosa devo fare. Dunque, rallegriamoci adesso e mangiamo e beviamo quanto ci viene offerto, poiché oggi è opportuno che ci ristoriamo in misura un po' maggiore del solito, dato che la cena questa sera si protrarrà più tardi del solito».
11. La serenità e la letizia ripresero allora il sopravvento in tutti, e molti si diedero a lodare ad alta voce Dio; alcuni cominciarono ad intonare qualche canto, ma non c'era in tutta la compagnia un vero cantore all'infuori di Ermes, ed egli fu perciò pregato da molte parti di far sentire qualcosa. Egli però non pareva troppo disposto ad accondiscendere, dato che temeva la critica dei romani dall'orecchio molto raffinato, e tardava a cedere alle insistenze che gli venivano fatte.
12. Infine egli così parlò: «O amici miei e signori! A Dio, il Signore, io canto una canzone nel mio cuore, e questa il Dio d'Israele certo Si compiace di udirla; ma se la stessa canzone io la cantassi ad alta voce dinanzi ai vostri orecchi, potrebbe darsi che non incontrasse il vostro gradimento a causa forse di qualche suono non molto puro. Ma questo colmerebbe poi il mio animo di vergogna e di rabbia, ciò che non sarebbe bene né per me, né per voi; perciò la canzone del cuore preferisco cantarla non ad alta voce, ma del tutto silenziosamente nel mio petto. Colui al Quale essa è dedicata, senza dubbio la intende molto bene»
13. Dico Io allora: «O Ermes, tu hai ragione! Continua pure a cantare nel tuo cuore, perché questa specie di canto suona all'orecchio di Dio molto più gradito di ogni rumoroso vocio senza alcun senso, mediante il quale non viene solleticato che l'orecchio materiale mentre il cuore rimane freddo e insensibile.
14. E quando avviene che si canti per il mondo esteriore, ciò si faccia soltanto allorquando l'onda esuberante d'amore nel cuore minacci di traboccare a tal punto che è necessario concederle sfogo per le vie del canto esteriore, e ciò per impedire che il cuore rimanga, in certo qual modo, soffocato dall’eccessivo ardore dell'amore per Dio. In questo caso certo anche il canto esteriore è gradito a Dio; tuttavia è opportuno che ad esprimere il sentimento sia una voce pura la quale elevi maggiormente l'animo.
15. Infatti, una voce non pura e dal suono sgradevole è come una torbida acqua di palude versata sulle fiamme ardenti! Ora le conseguenze di un tale fenomeno ciascuno di voi può immaginarselo facilmente!»
16. E quando ebbi esposta questa Mia spiegazione riguardo al canto, intervenne la dolce Giara e Mi disse: «Ma, o Signore! Considerata l'occasione - noi ci troviamo qui tutti riuniti in tanta letizia -, che ne dici se fosse Raffaele a cantarci qualcosa?»
17. Ed Io le rispondo quasi scherzando: «Ebbene pregalo. Forse per farti piacere egli acconsentirà! In ogni caso Io non dirò né avrò naturalmente niente in contrario!»
18. Allora Giara non se lo fa dire due volte e, attaccatasi subito a Raffaele, comincia insistentemente a pregarlo di cantare qualcosa!
19. Raffaele però dice: «Tu non hai assolutamente ancora alcuna idea di come canti un essere come me; questo devo dirtelo anticipatamente: “Tu non potrai sopportare a lungo la mia voce, dato che essa, essendo formata da elementi troppo puri, produce, come deve produrre, una commozione d'animo troppo intensa. La tua carne non può reggere affatto al suono della mia voce; se io mi metto a cantare per un quarto d'ora, tu muori consunta dalla dolcezza del suono che si rivela nella mia voce e che non è paragonabile a nessun'altra cosa su questa Terra!”. Dunque, se tu, o diletta, vuoi proprio udirmi cantare, io canterò, ma quale effetto il mio canto avrà sulla tua carne, questo potrei dirtelo difficilmente con precisione ora!»
20. Osserva Giara: «Ebbene, facci sentire almeno una nota sola; questa non potrà certo togliermi la vita!»
21. Risponde Raffaele: «E sta bene, io ti canterò una sola ed unica nota, e la udranno tutti coloro che si trovano qui, nonché quelli che dimorano ad una certa distanza da qui, affinché si arrovellino il cervello per indagare su quale specie di suono avranno mai inteso! Però io stesso ho bisogno di qualche istante per prepararmi! E tu dal canto tuo tieniti pure pronta, poiché anche la sola nota che ti ho promesso avrà su di te un effetto che nemmeno sospetti!».
Il canto di Raffaele.
1. Anche il nostro Zinca percepisce naturalmente queste parole, e perciò domanda ad Ebal che sta accanto a lui: «Quel bel giovinetto è davvero un cantante così eccellente? L'hai già udito qualche volta?»
2. Risponde Ebal: «Questo almeno lo dice lui; io l'ho udito parlare già varie volte, però non l'ho ancora udito cantare, e quindi sono io stesso molto curioso di sentire quella sua nota!»
3. Chiede Zinca: «Da dove proviene, e chi è quella fanciulla?»
4. Risponde Ebal: «Il giovane dimora presso di me a Genezaret, e la fanciulla è mia figlia; lei arriva appena ai quindici anni, ma ha già nel capo e nel cuore tutta la Scrittura, ed altrettanto vale per il giovinetto, il quale per il momento disimpegna le funzioni di maestro in casa mia. Io dunque lo conosco molto bene, ma che egli sia un cantante tanto straordinario, di questo io fino a questo momento non ne ho saputo niente; perciò, come ho già detto, sono davvero io stesso molto curioso di sentirlo»
5. Ed Ebal aveva appena finito di parlare, che Raffaele avvertì: «Ed ora tendete l'orecchio e fate molto bene attenzione!»
6. A questo invito tutti percepirono immediatamente come a grande distanza un suono, da principio certo molto debole, ma di una purezza indicibile, così che tutti, senza eccezione, si trovarono come trasportati in uno stato d'estasi, e Zinca, in preda ad un grande entusiasmo, esclamò: «Oh, così non canta alcun uomo su questa Terra! Soltanto un Dio, o per lo meno un Suo angelo può cantare in tale modo!»
7. Il suono però andò gradualmente aumentando di forza ed acquistando in espressione e potenza; quando poi ebbe raggiunto la massima intensità così come se uscisse da mille trombe, si rivelò come un accordo di quarta o sesta in re bemolle minore giungente dall'ottava bassa a quella nel rigo con ripetizione dell'ottava, e poi andò man mano diminuendo e svanì in un debolissimo la bemolle (nel rigo) di una limpidezza e purezza mai udite.
8. L'impressione che questo suono fece su tutti i presenti fu tale che nel loro stato di rapimento perdettero quasi la nozione del mondo esteriore rimanendo come svenuti. E l'angelo, ad un Mio cenno, dovette rianimarli tutti.
9. Tutti allora si destarono come da un beatissimo sogno, e Zinca, nella sua entusiastica foga, si precipitò verso Raffaele, lo abbracciò con quanta forza aveva ed esclamò: «O giovane amico! Tu non sei un mortale! Tu sei o un Dio o un angelo! Con questa voce tu devi poter risuscitare i morti e donare vita alle pietre! Oh, no, no! Un'armonia di questo genere non l'ha mai sentita nessun mortale su questa Terra! Oh, celestiale creatura! Chi mai ti ha insegnato a trarre dalla tua gola simili suoni?
10. Oh, io sono come disfatto; tutte le mie fibre vitali vibrano ancora per l'effetto della purezza e della bellezza indicibili di questa singola nota! Veramente non mi è neppure sembrato che il suono meravigliosamente puro fosse uscito dalla tua gola, ma ho avuto l’impressione che tutti i Cieli si fossero aperti, ed un'armonia si fosse riversata fuori dalla bocca di Dio su questa Terra morta!
11. O Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, Tu dunque non sei una vana parola articolata da labbra umane! Tu solo sei la Verità e l'eterna purissima Armonia! Oh, questo suono, questo suono! Sì, esso mi ha ridonato tutto ciò che io avevo perduto, mi ha ridonato il mio Dio, il mio santo Creatore e Padre. Esso è stato per il mio animo il Vangelo più puro dai Cieli! Ciò che probabilmente non avrebbero potuto ottenere mille e mille parole, l'ha ottenuto un solo suono dai Cieli, esso ha completato in me l’uomo! Il mio cuore, prima duro come una pietra, si è sciolto come cera al Sole e si è fatto così sensibile come la goccia di rugiada che pende dal filo d'erba!
12. O Giovanni, tu, a cui io con il cuore spezzato dovetti essere l'annunciatore di morte! Se durante gli ultimi istanti della tua esistenza terrena tu avessi potuto udire questo semplice suono, in verità, la morte del corpo sarebbe dovuta apparirti come la soglia dei Cieli di Dio, raggiante di luce! Ma nell’oscura prigione in cui tu, consacrato da Dio, eri rinchiuso, non era possibile udire nessun altro suono se non quello del dolore, della miseria e dell’afflizione!
13. O uomini, uomini! Quanta tristezza deve regnare nei vostri cuori e quanta tenebra nelle vostre anime, voi che non avete udito quello che ho udito io, e che non potete percepire quello che ora io percepisco e che percepirò finché avrò vita! O grande e santo Padre nel Cielo, che non lasciasti mai inesaudite le suppliche pienamente ardenti di vita neanche di un peccatore! Quando io un giorno dovrò prendere congedo da questa valle di lacrime e di morte, oh, concedi che qualche istante prima il mio udito sia deliziato ancora una volta da una simile armonia, ed allora io abbandonerò beato questa Terra e la mia anima loderà in eterno il Tuo santissimo Nome!».
La comunicazione con Dio mediante la parola interiore nel cuore.
1. Dopo questa bella perorazione di Zinca, che commosse profondamente tutti i presenti, Giara esclamò: «O Raffaele, Raffaele! Come mi appari ora un essere del tutto differente da quello che mi apparivi prima! Tu mi hai completamente spezzato il cuore! Ah, davvero, avrei preferito che non mi avessi mai fatto sentire il tuo canto!»
2. Osserva Raffaele: «E perché allora mi ci hai costretto? Come ricordi, io non volevo davvero; ma poiché il suono non lo posso più ritirare, la cosa non ti deve comunque preoccupare in nessun modo. Basta che tu tenga presente come tutto deve essere intonato in purezza e perfezione nei Cieli di Dio, e così in avvenire avrai - con tanta maggiore fermezza e serietà - cura di sistemare la tua vita in modo che questa si faccia perfettamente simile a questo unico suono in tutte le sue disposizioni, manifestazioni ed azioni; colui però la cui vita non si sarà fatta simile a questo suono, non entrerà nel Regno dell'eterno e purissimo Amore.
3. Perché il suono che hai udito è un suono dell'Amore e un suono della suprema Sapienza in Dio! Basta che tu faccia bene attenzione a questo, e che tu agisca in modo da diventare perfettamente simile al suono che hai udito, e così in ogni amore e sapienza tu sarai giusta al cospetto di Dio che ti ha eletta a vera sposa del Cielo e che perciò ti ha dato me per guida!
4. Però quello che qui avviene, avviene dinanzi a Dio ed ai Suoi Cieli, e non per il vostro mondo. Il mondo non comprenderebbe mai una cosa simile; quindi esso non verrà a sapere che poco o nulla affatto di tutto ciò, e quindi anche di questo suono non saprà niente. Guarda ad esempio come tutta la gente delle altre mense stia emettendo i più disparati giudizi e stia disputando quasi violentemente; noi però li lasceremo giudicare e disputare tra di loro, perché essi comunque non riusciranno a ricavarne niente! Queste cose l'intelletto del mondo non le comprenderà mai.
5. È già da vari giorni che il Signore Si trova qui, ma domani sarà l'ultimo! Quello che accadrà poi, nessuno lo sa all'infuori del Signore soltanto. Dunque, colma il tuo cuore di amore e di umiltà e tieni nascosto tutto quello che hai udito e visto qui di particolare e di straordinario, poiché il voler informare gli uomini del mondo riguardo a simili cose non servirebbe a nulla affatto. Tutto ciò è opportuno che te lo imprima bene in mente, e poi, operandovi conformemente, tu diventerai uno strumento utile nella mano del Signore sia in Cielo che sulla Terra. Hai compreso tutto ciò nella maniera giusta?»
6. Risponde Giara: «O carissimo Raffaele! Certo che ho preso buona nota di tutto ed ho compreso tutto, però quello che ora hai detto non è del tutto piacevole, specialmente la partenza del Signore da qui che tu mi hai annunciato già per domani! Tu sai quanto e come al di sopra di ogni cosa io Lo ami! Cosa sarà di me quando non potrò più vederLo, né udirLo, né mi sarà più possibile parlarGli?»
7. Dice Raffaele: «Oh, vedrai che ti troverai benissimo, perché anche se non Lo vedrai, tu Lo potrai sempre udire e potrai parlarGli. Se nel tuo cuore Lo interpellerai, anch’Egli nel tuo cuore ti risponderà.
8. Vedi, che cosa possiamo fare noi? Io adesso mi trovo qui, come puoi vedere, ma se fra un istante la Sua Volontà fosse un'altra, allora io dovrei recarmi rapidissimamente da qui fino a forse un mondo fra i più lontani e rimanere là finché fosse necessario secondo l'ordine del Signore. Puoi credermi se ti dico che noi siamo spesso molto lontani dalla presenza personale del Signore, mai però dalla Sua presenza spirituale, poiché a questo riguardo noi siamo continuamente in Dio, come pure anche Dio è in noi e compie le Sue opere incommensurabili.
9. Chi ama veramente Dio, il Signore, costui è continuamente con Dio e in Dio, e se vuole sapere e udire qualcosa da Dio, basta che Lo interroghi nel proprio cuore, ed allora otterrà immediatamente una piena risposta mediante i pensieri del cuore, così che ciascuno in tal modo può venire istruito e ammaestrato sempre e in ogni cosa da Dio stesso. Da ciò puoi constatare che non occorre vedere sempre il Signore per essere felici con Lui, ma che basta semplicemente udire e percepire la Sua Voce, ed allora si possiede anche tutto quanto è necessario per essere veramente beati in Dio.
10. Vedi! Neppure io potrò sempre esserti vicino visibilmente; però basterà che tu mi chiami nel tuo cuore, ed io sarò sempre presso di te e ti risponderò per mezzo dei pensieri del tuo cuore in maniera certo molto lieve, ma tuttavia percettibile e quanto mai chiara. Quando tu li avrai percepiti, pensa allora che sono stato io ad ispirarli nel tuo cuore, come pure tu riconoscerai che essi non sono sorti dal tuo terreno, ma quando li avrai riconosciuti, allora rendi le tue azioni conforme ad essi!
11. Infatti, soltanto conoscere ciò che è giusto, buono e gradito a Dio, non basta, davvero non basta proprio; né basterebbe neanche provare il massimo ed esclusivo compiacimento nella Dottrina dai Cieli se non si decidesse con assoluta serietà ad operare anche in ogni campo ed in ogni occasione in conformità a tutto quello che prescrive la santa Dottrina proveniente dai Cieli.
12. Perciò una buona norma sia questa: “Ascoltare bene e riconoscere bene la Dottrina e poi operare bene a seconda di essa! Senza l'azione conforme alla Dottrina stessa, intesa nel suo senso più assoluto, non si fa niente, e non serve a niente”».
L’educazione del cuore umano.
1. Raffaele continua: «Ti ricordi, o mia diletta Giara quando ultimamente il Signore Si trattenne a Genezaret? Egli stesso ti istruì sul modo di coltivare il tuo orticello; Egli ti fece conoscere ogni tipo di piante utili e ti mostrò come esse si devono coltivare e utilizzare. Egli preparò per te questo piccolo orticello, vi seminò piante utili in grandissima varietà e di ciascuna di queste ti disse in modo particolare che forma avrebbe avuto, come sarebbe cresciuta, quando e come sarebbe fiorita, che specie di frutti avrebbe prodotto, a che cosa questi ultimi avrebbero potuto servire, come si sarebbe potuto mangiarli e in che modo bisogna procedere per conservare un eventuale ricco raccolto affinché non si guasti. A dirla breve, il Signore in Persona ti diede sotto ogni aspetto le necessarie istruzioni su come avresti dovuto curare il tuo orticello.
2. Ebbene, tu ne rimanesti immensamente contenta! Ma adesso si domanda: “Con la tua sola gioia si sarebbe già provvisto a tutto? L’orticello ti avrebbe portato i frutti della benedizione senza un effettivo e diligente lavoro di coltivazione?”. In seguito al tuo solo grande compiacimento ed alla tua gioia per tali insegnamenti ricevuti dalla bocca del Signore, certo nel tuo orticello non sarebbe cresciuto niente all'infuori di qualche erbaccia. Ma poiché secondo gli insegnamenti ricevuti lo coltivasti con ogni diligenza, è avvenuto che il tuo orticello ben presto fiorì come un piccolo paradiso terrestre, e tu hai ormai la prospettiva certa di un raccolto molto abbondante!
3. Ma anche il cuore umano è un orticello, anche se in proporzioni più piccole; qualora, seguendo la Dottrina dalla bocca del Signore, lo si coltivi con tutta diligenza e non si eviti alcuna fatica per mettere in pratica nelle opere tutto quello che si è appreso, si finirà anche - da lì a non molto - col possedere nel proprio cuore tanta abbondanza di ogni benedizione e di ogni grazia dai Cieli, che sarà possibile vivere, sia riguardo all'anima che allo spirito, già del tutto con i propri mezzi, senza il continuo bisogno del nostro consiglio e del nostro aiuto!
4. Infatti, lo scopo che il Signore Si è prefisso rispetto all'uomo, è precisamente quello di farlo diventare un cittadino del tutto indipendente dei Cieli secondo il Suo Ordine eternamente immutabile; ma chi ha raggiunto questa meta, costui ha raggiunto tutto. Ed ora, o mia dilettissima Giara, dimmi se hai proprio ben compreso quello che ti ho detto, e se hai ora un po’ più di chiarezza riguardo al suono purissimo che hai inteso da me»
5. Risponde Giara: «Oh, sì, ora ho certamente compreso, e tutto mi è chiaro come il Sole in pieno mezzogiorno; le tue parole hanno dato al mio cuore una consolazione immensa, ed io voglio che da parte mia esse siano trasformate in opere affinché in me divengano verità di vita apportatrici di letizia e di ogni beatitudine. L'istruirmi e vedere messi pienamente in pratica nelle opere gli insegnamenti non sarà per te, spero, il compito più grave della tua vita! Ma faranno anche tutti gli altri come tu mi hai consigliato con tanta fedeltà e verità?»
6. Dice Raffaele: «Pensa anzitutto soltanto per te; agli altri sarà il Signore a pensarci!».
Zinca interroga Ebal sul conto di Raffaele e indaga riguardo al Signore.
1. Naturalmente anche Zinca, che era presente, aveva udito non soltanto in parte, ma interamente queste ammonizioni e questi insegnamenti, e perciò egli domandò ad Ebal con il quale aveva confidenza più che con altri: «O amico mio! Quello strano giovinetto che poco fa ci ha fatto udire un suono dai Cieli e che ora ha dato a tua figlia degli insegnamenti di carattere tanto particolare e mistico, quali, sia detto apertamente, a mio modo di vedere non se ne sono avuti mai di simili, ebbene, quel giovinetto non sembra appartenere proprio in tutto e per tutto come noi a questa Terra. Dimmi un po’: dietro di lui non si cela forse colui al quale il mio Giovanni dichiarava di non essere degno di sciogliere i lacci delle scarpe? Però mi sembra troppo giovane per esserlo, dato che colui del quale Giovanni parlava dovrebbe essere sulla trentina!»
2. Risponde Ebal: «Amico mio carissimo! Il giovinetto non lo è proprio; lui è uno fra i Suoi principali discepoli! Infatti, ormai devo ampiamente confessarti che a quel Profeta da Nazaret sono proprie una tale Potenza e Sapienza che, per così dire, perfino gli angeli dei Cieli scendono sulla Terra per ascoltarne la Dottrina, per ammirarne le opere e per glorificare in Lui l'Onnipotenza di Dio!
3. E come prova per quanto ora ti dico ti serva appunto quel giovinetto del quale non sai cosa pensare! Egli è certo un po' troppo celestiale per un uomo di questa Terra, e d'altro canto forse ha un aspetto un po’troppo terreno ancora per un angelo dei Cieli! Egli abita in casa mia quasi già da un mese, ed è l'educatore di mia figlia; puoi credermi fermamente che costui sulla Terra non ha né padre, né madre e che egli possiede in ogni campo una forza che ha addirittura del favoloso. Altri chiarimenti in relazione alla sua genealogia io non ti posso dare. Del resto, volendo, puoi tu stesso fartela dire direttamente da lui, ed è certo che non ti resterà debitore di alcuna risposta a qualsiasi domanda vorrai rivolgergli; la superbia infatti è un sentimento di cui non vi è la benché minima traccia nel suo essere!»
4. Dice Zinca: «Ora ne so abbastanza, e so anche cosa devo pensare del giovinetto in questi momenti straordinari. Però ad ogni modo bramerei sapere se quel grande profeta da Nazaret non si trova forse anche lui qui con noi! Perché senza di lui non riesco davvero in eterno a comprendere cosa venga a fare qui un eventuale angelo! Se egli si trova qui, dimmelo, affinché possa anch'io rendergli il dovuto onore! Perché dal giudicare dalle tue parole, deve trattarsi assolutamente di un essere puramente divino! A me basta che tu faccia un minimissimo cenno per indicarmi se si trova qui e quale egli sia fra i presenti!»
5. Risponde Ebal: «O amico carissimo, abbi ancora un po' di pazienza, e vedrai che finirai col conoscerLo tu pure! Per tua maggiore tranquillità, dato che non sei più uno sgherro, io tuttavia posso già da ora dirti che Egli si trova davvero fra noi, e precisamente qui; altrimenti tutti i personaggi romani non si sarebbero trattenuti in questo luogo!»
6. Dice Zinca: «Anche questo mi basta, ed altro non mi occorre! Adesso saprò io trovarLo».
7. Con ciò il nostro Zinca riacquistò la quiete; cominciò però a fare scrupolosamente attenzione a tutto quanto succedeva intorno a lui, non perdendo di vista particolarmente Cirenio, Cornelio e l'angelo, nella supposizione che mediante questi egli sarebbe venuto a conoscenza del Mio Essere più facilmente che non in un’altra maniera. Ma egli si sbagliava un po’ nel suo calcolo, dato che Io avevo immediatamente suggerito a costoro nel loro cuore di che cosa avrebbero dovuto occuparsi e dove avrebbero dovuto attirare l'attenzione di Zinca. Oltre a ciò anche l'adunata si sciolse e le mense vennero sgomberate, e noi ci recammo alla riva parlando di cose del tutto indifferenti. È certo però Zinca assieme ai suoi compagni continuarono insistentemente a tenerci d'occhio.
Gesù resuscita le due annegate. Zinca riconosce il Signore.
1. Frattanto, nel girare di qua e di là lungo la riva, noi eravamo arrivati al posto dove il nostro Risa era intento a curare le due annegate in attesa che la vita ritornasse in loro.
2. E Cirenio gli domandò: «Ebbene, o Risa, amico mio, cominciano le due a dare qualche lieve segno di vita?»
3. E Risa risponde: «O nobile signore! Qui non c'è proprio più niente da fare! Queste due, semmai, diventano piuttosto sempre più morte che viventi; a loro riguardo ogni ulteriore fatica o trattamento sarebbero perfettamente vani! Non c'è che l'Onnipotenza di Dio che possa ridonare a loro la vita! Qui non giova più affatto cambiare di posizione i corpi o versare vino nelle loro bocche!»
4. Allora intervengo Io e dico: «Questa sarà certo una tua semplice opinione!»
5. E Risa osserva: «O Signore! Guarda un po' qui queste macchie azzurrognole e vedi come il processo di decomposizione si è già accentuato parecchio, e Tu stesso finirai col condividere il mio parere che soltanto il giorno del Giudizio, preconizzato da Daniele, queste due riacquisteranno la vita attraverso l'Onnipotenza di Dio!»
6. In quel momento anche Zinca volle farsi avanti, intendendosene benissimo di corpi morti, per constatare se le due annegate fossero davvero completamente morte; e dopo aver fatto tutte le prove che la sua pratica gli suggeriva, anch'egli concluse: «L'amico qui ha giudicato bene asserendo che queste due, perfettamente morte come sono, dovranno aspettare fino al giorno del Giudizio, ammesso sempre, naturalmente, che un giorno simile venga veramente per questa Terra, ciò che io stento parecchio a credere! Io non ignoro in quante cose sia solito trasformarsi un complesso di carne e di ossa di questo tipo, cioè in tignole, vermi, mosche scarafaggi, in ogni tipo di erbe e di altri vegetali; quanti cadaveri poi non vengono sbranati e divorati dalle bestie feroci, e quanti altri non vengono consumati dal fuoco? Che tutti questi elementi sparsi debbano ritrovarsi il giorno del Giudizio come se niente fosse e riunirsi in un corpo come sono questi qui, io sono pronto a rinunciare ad essere uomo per tutta l'eternità! Io, Zinca da Gerusalemme, che conosco molte cose, affermo che il giorno del Giudizio perfino l'Onnipotenza di Dio esiterà alquanto a rianimare questi due ammassi di carne femminili! Essa certo donerà alle rispettive anime un nuovo corpo spirituale, ma in questi corpi materiali qui non ci sarà più anima a soffrire di mal di testa»
7. Allora dico Io a Zinca: «O amico! Tu conosci certo più di una cosa, e non dirado l'azzecchi anche giusta con il tuo modo di giudicare, tuttavia in questo caso, a stretto rigore, hai colpito un po' di traverso. Tu hai certo ragione quando dici che nessuna anima dimorerà mai più nell'aldilà in un simile corpo di carne, eppure devi sapere che invece questi due corpi dovranno per un certo tempo ancora ridiventare delle dimore idonee per le loro rispettive anime. Se Io voglio, queste due dovranno ridestarsi, ed una di esse diverrà anzi tua moglie molto feconda, e tu anche l'amerai oltre ogni dire; l'altra però sarà la moglie di Risa, egli pure ancora celibe, ma lui da lei non avrà figli!»
8. E dette queste parole Io chiamai le due, ed esse all'istante si rizzarono e si guardarono intorno tutte meravigliate, non comprendendo dove si trovavano e che cosa fosse successo loro!
9. Risa e Zinca però a quella vista caddero ai Miei piedi, e Zinca esclamò: «Tu sei Colui che Giovanni ha annunciato! Ma non un profeta sei Tu, bensì Jehova stesso!»
10. Ora, a questa scena di resurrezione erano presenti anche i persiani, e Schabbi, che noi conosciamo bene, così disse a Zinca: «Questa volta, come sento intimamente, tu hai giudicato rettamente! Così è, o amico, Questi è veramente Jehova! E il giovinetto, che prima ci ha fatto intendere e sentire un suono celeste, è un arcangelo, e precisamente quello stesso che già una volta su questa Terra fece da guida al giovane Tobia[4]. In questo modo stanno le cose. Questi è il grande Messia profetizzato da tutti i profeti e veggenti, e con Lui ha inizio su questa Terra un nuovo Regno dello Spirito!
11. Egli è Colui del Quale molti si scandalizzeranno e contro di Lui si scaglieranno, con l'intenzione di fare di Lui quello che ha fatto Erode a Giovanni; però tutti coloro che si metteranno in una simile impresa, si schiacceranno contro la Sua Potenza e saranno resi stolti e ciechi come una notte tenebrosissima per effetto della Sua Sapienza, perché Uno simile a Lui non l'ha mai portato la Terra nella sua carne!
12. Quello che ti dico a nome dei miei venti compagni, te lo dico senza nessun timore, poiché d'ora innanzi io non temerò neppure un mondo intero, visto che ho conosciuto Costui, l’Unico che deve essere temuto da tutti coloro che vorranno sollevarsi e che si solleveranno contro di Lui! Oh, Egli farà ben sentire la Sua presenza a tutti gli empi, e guai, guai quando questo avverrà! Egli non scenderà in campo contro nessuno armato di spada, ma sarà la potenza della Sua Parola a giudicare e a trarre in perdizione i malvagi!
13. Ma quale forza sia insita nella Sua Parola te lo dimostrano le due resuscitate che ti stanno davanti perfettamente nude! Queste due fanciulle erano certamente morte; nessuno avrebbe potuto averne il benché minimo dubbio! Ma Egli si limitò a dire: “Alzatevi!”. E le due si alzarono, ed ora vivono come fossero rinate, sane e nel pieno fiore della loro gioventù, ed hanno riacquistato piena conoscenza e coscienza; sarebbe solo da augurarsi che queste due creature avessero di che coprirsi! Ma io so cosa farò: con noi persiani ci sono alcune donne che portano con sé tre cambi di vesti per ciascuna; ora due vesti potranno cedercele, e così sarà tutto a posto con queste due».
Storia della vita delle due fanciulle.
1. Allora Schabbi si rivolse a Me e Mi chiese se gli sarebbe stato concesso di fare secondo il suo proponimento.
2. Ed Io gli risposi: «Oh, senza alcun dubbio, perché facendo il bene, nessuno ha mai peccato contro di Me! Va dunque, e provvedi di vesti le due»
3. E Schabbi andò e in pochi istanti fu di ritorno con due finissime vesti di seta di un bianco abbagliante e con due paia di spilloni preziosi che fissavano il nodo di ornamento di nastri di seta; alle due resuscitate vennero offerti per ciascuna due pettini a forma di diadema e delle liste d'oro con fermagli dello stesso metallo ornati di pietre preziose per cingere la fronte. Da principio loro si rifiutarono di accettare questi oggetti reputati troppo preziosi.
4. Ma Io Mi intromisi e dissi: «Lo voglio Io, accettate quanto vi viene offerto, perché a delle spose si addice l'essere bene adorne!»
5. Allora ambedue accettarono quegli ornamenti, e quando furono così completamente abbigliate da sembrare due figlie di re, esse si dimostrarono immensamente liete e grate.
6. E poiché stavano addirittura raggianti di bellezza dinanzi a noi, Zinca esclamò: «Oh, questo è un altro incomprensibile prodigio! Quando poco fa io esaminai queste due che erano morte, esse mi apparvero come due donne già di una quarantina d'anni, e le loro forme avvizzite non tradivano affatto alcuna traccia di una qualche grazia; ed ora ci troviamo di fronte a due bellezze quali i miei occhi non ne hanno mai visto ancora! Certo, nessuna delle due giovani può avere raggiunto i vent'anni! Senza dubbio, questo è pure un prodigio grande fra i molti! Che figura farebbe qui la giovane Salomè? Ah, se ad Erode accadesse di fare la conoscenza di una di queste due, e lei glielo domandasse, egli, per amor suo, farebbe decapitare addirittura tutti gli ebrei! Se io, misero peccatore, sarò davvero trovato degno della grazia di ottenere in moglie una di queste angeliche creature, Gerusalemme non mi vedrà mai più in eterno! Infatti, questa sarebbe un'esca troppo attraente per Erode e per gli altri molti “santi” della città di Dio!»
7. Dice allora Cirenio: «Se queste due meravigliose fanciulle non hanno più dei legittimi genitori, o qualora anche questi abbiano perduto ogni diritto su di loro per effetto del subentrato caso di morte, io le accolgo come mie figlie, e come tali riceveranno una dote corrispondente!»
8. Dice la più anziana delle due che aveva nome Gamiela: «Noi due, a stretto rigore, siamo orfane, e coloro che noi chiamavamo padre e madre, a quanto ci consta, non sono legati neanche alla lontana da parentela con noi; noi giungemmo da bimbette di due e io tre anni in casa di un mercante, che era in realtà un greco e solo più tardi aderì parzialmente al Giudaismo. A quanto ci assicurò una vecchia serva, noi fummo portate da Sidone a Cafarnao da un mercante di schiavi, ed in quest'ultimo luogo il mercante greco, di cui ho detto prima e che noi chiamavamo padre, ci comperò versando il corrispettivo di cinque maiali, tre vitelli e otto pecore.
9. Sembrerebbe che il venditore, all'atto del contratto, abbia rilasciato al mercante uno scritto nel quale sono indicati i nostri nomi e quelli dei nostri veri genitori! Ed a quanto abbiamo udito sussurrare, i nostri veri genitori dovrebbero essere dei romani di assai alto lignaggio! Però quanto di vero ci possa essere in tutto ciò, noi davvero non lo sappiamo; però il viaggio, durante il quale è accaduta la disgrazia, l'abbiamo intrapreso in segreto appunto allo scopo di apprendere, da un parente dei nostri supposti genitori che abita altrove, la piena verità sul fatto se noi siamo vere figlie dei nostri genitori o se loro ci hanno solo comperate.
10. Ma noi cademmo nelle mani di quei malvagi pirati, fummo derubate di tutto quanto avevamo con noi, poi completamente spogliate, legate l'una con l'altra per i capelli malgrado tutte le nostre invocazioni di pietà ed infine gettate vive in mare. Quello che dopo è accaduto di noi, non lo sappiamo, come non sappiamo in quale modo ci troviamo qui in questo luogo per noi del tutto sconosciuto e chi ci abbia ridonata la vita, perché è evidente che noi dovevamo essere morte quando, come non vi è dubbio, siamo state rigettate dal mare su qualche punto della spiaggia e là trovate! Ma dove siamo adesso? E chi siete voi, oh buona e generosa gente?».
Cirenio riconosce le sue proprie figlie.
Risa e Zinca diventano generi di Cirenio.
1. Dice Cirenio: «Soltanto un po' di pazienza ancora, o figlie mie carissime! Tuti chiami Gamiela, ma come si chiama questa tua sorella più giovane?»
2. Risponde quest'ultima: «Il mio nome è Ida; almeno così mi sono sempre sentita chiamare»
3. Allora Cirenio mi si gettò al collo esclamando: «O Signore! Come devo, come posso mai ringraziarTi? Oh, Dio e Padre mio! Tu così mi hai ridonato le mie due legittime figliole che diciassette anni fa mi sono state tolte da mani audacissime! Come ciò sia stato possibile, data la rigorosa sorveglianza che c'era in casa mia, questo è rimasto sempre un enigma per me!
4. Io mandai immediatamente da tutte le parti degli informatori con il preciso incarico di fare le più accurate ricerche per ritrovare le due fanciullette smarrite, ed anzi uno dei miei ufficiali molto coraggioso mi disse, in quella occasione: “Anche se Plutone in persona te le avesse rubate, io te le riporterò! Ma se le ha inghiottite il mare o rapite qualche fiera, allora certo ogni fatica sarà vana”. Egli andò e prolungò le sue ricerche per quasi tre anni, ma fu tutto invano.
5. Io inviai dei messi anche da Te, o Signore, a Nazaret; essi si informarono sul Tuo conto, però ritornarono con l’infausta notizia che da Te non c'era ormai più niente da sperare. Dissero che Tu eri sì un giovane molto tranquillo, fra i tredici e i quattordici anni, ma per il resto completamente tonto, e quanto al profetizzare non se ne parlava neanche.
6. Anche i Tuoi genitori terreni diedero in quell’occasione una testimonianza ben misera sul Tuo conto dicendo che con il Tuo dodicesimo anno era completamente svanita in Te ogni traccia di una qualche sapienza, e che per quanto riguardava la Tua intelligenza e il Tuo ingegno, eri perfino inferiore a qualsiasi altro comunissimo giovinetto. A quanto mi venne riferito, i Tuoi genitori allora avrebbero tentato di insistere presso di Te per causa mia affinché Tu facessi una predizione ai miei inviati ancora per quella volta soltanto! Ma Tu Ti comportasTi passivamente e finisTi con il dire all'incirca che Tu non eri venuto al mondo per la predizione, ma per lavorare come ciascun altro uomo!
7. Quando poi Ti venne chiesto se Ti ricordassi di quanto avevi fatto dal tempo della Tua nascita fino al dodicesimo anno di età, Ti limitasti a rispondere: “Ciò che una volta era, ora non è più!”. E quando Te ne venne chiesto il motivo, Tu non desti più alcuna risposta, abbandonasTi la stanza ed uscisTi fuori all'aperto, mentre i miei inviati fecero ritorno senza aver concluso nulla!
8. Così quella volta tutte le mie ricerche furono inutili. Sette anni interi io mi afflissi per le mie carissime figliole, ma ecco che ora le ritrovo! Tu quella volta hai voluto trattenerle lontano da me per potermele restituire adesso in maniera doppiamente prodigiosa! Oh, Signore! Ma come potrò mai ringraziarTi come si conviene?»
9. Ed Io gli dico: «Questo tu l'hai già fatto accogliendo tutti coloro che abbiamo catturato qui con le nostre reti, e ti sei preso cura provvedendo alla loro destinazione futura in modo che fosse migliore di quella che essi hanno avuta finora. Insomma tu, o Cirenio, primo fra i Miei amici, hai già fatto talmente tanto per Me, che Io già su questa Terra non posso lasciarti senza ricompensa. Un giorno, però, una ricompensa ben maggiore ti attenderà nel Mio Regno dei Cieli.
10. Ma poiché ora le tue figlie ti sono restituite in perfetta salute, è opportuno che tu faccia attenzione a chi Io le ho destinate in spose! I due da Me designati non sono, è vero, di discendenza reale, tuttavia in certo qual modo sono Miei figli, e questo credo potrà bastarti!»
11. Risponde Cirenio: «La Tua Volontà è per me un grandissimo comandamento, ed io nei confronti dei miei due generi saprò bene escogitare opportuni mezzi e vie per metterli in grado di giovare il più possibile alla misera umanità, tanto spiritualmente che materialmente.
12. Ma adesso, o carissime figlie, venite qui da me e lasciate che vi stringa al mio cuore! Ora sono un padre tra i più felici di questo mondo! E come sarà felice di riavervi vostra madre, considerato che non aveva mai potuto consolarsi della vostra perdita! Se potesse vedervi, la sua contentezza sarebbe ancora maggiore; però lei, donna soave e amabilissima, è purtroppo cieca. Era già cieca, si può dire, quando divenne mia moglie; dopo qualche tempo acquistò bensì la luce degli occhi, ma poi la perse di nuovo! D'altro canto lei è dotata di un tatto così squisito che io potrei senz'altro scommettere che vi riconoscerà immediatamente! Oh, come sono beato! Oh, voi povere, venite qui da me: io voglio beneficarvi con tutte le mie forze!
13. Quando io penso che vi abbiamo trovate galleggianti sul mare legate per i capelli! Se allora io avessi potuto immaginare, anche alla lontana, che voi eravate le mie figlie, quale terribile dolore non mi avrebbe causato in quel momento la vostra vista! Ma solo adesso che vi è stata ridonata la vita, il Signore me ne ha dato notizia, affinché mi fosse riservata la massima felicità! E questo infatti è avvenuto; perciò sia Tua, o Signore, ogni mia lode e tutto il mio amore!».
La modestia di Zinca.
1. Allora Zinca si fa innanzi e dice: «O nobile signore e comandante! Ora chele circostanze si presentano definitivamente in un modo di cui io non potevo avere neppure il minimo presentimento, la cosa assume certo un aspetto del tutto differente. Queste non sono più delle figlie di un mercante di Cafarnao, ma sono invece delle discendenti della famiglia imperiale di Roma, e su di un simile albero non crescono frutta di cui uno di noi possa essere reputato degno! Infatti, a tali figlie non possono addirsi che dei figli i quali a loro volta siano di sangue reale. Io non sono che un popolano ebreo, pur discendendo da Giuda; ma che cosa è mai ciò al paragone di te che sei un fratello del defunto grande imperatore Augusto e che per conseguenza puoi vantare la discendenza dal più antico patriziato? Oltre a ciò tu sei immensamente ricco, mentre io non ho altro che il mio soldo parcamente misurato per un lavoro enorme.
2. Per quanto felice mi avrebbe reso Gamiela - qualora io l'avessi ottenuta in moglie come un prodigio dai Cieli e considerato che, essendo tua figlia, o nobile signore, lei sta tanto al di sopra della mia nullità -, io non devo, né posso prenderla in moglie! Tu, o nobile signore, nella tua pura disposizione d'animo di oggi me la concederesti anche, ma domani potresti deplorare notevolmente il passo fatto, e come potrei oppormi se tu me la riprendessi? Ma quale non sarebbe allora la mia tristezza e il mio dolore! Se io debbo prenderla in moglie con la piena assicurazione che lei resterà con me, io l’accetto con gioia, e sono certo di divenire il più felice tra gli uomini; però chiederla in moglie, ciò non farò mai! Io infatti conosco le mie condizioni e così pure le tue.
3. Procurami qualche piccola proprietà su un territorio romano, ed io la lavorerò diligentemente con le mie braccia per guadagnarmi il sostentamento per me e per i miei collaboratori. Soltanto io ti prego di non mandarmi a Gerusalemme, né di farmi restare, in generale, nella Giudea! Io non voglio più avere a che fare né col Tempio, né con Erode!»
4. Dice Cirenio: «Oh, lascia andare queste preoccupazioni! Io non posso più toglierti la mia Gamiela, dato che il Signore evidentemente l'ha donata, in certo qual modo, a te prima che a me, e la Sua parola e la Sua decisione sono per me cose sante, santissime! Quello però che il Signore mostra, anche solo sul vago, di desiderare, noi dobbiamo farlo se vogliamo somigliare ai Suoi santi angeli! Certo, io sono qualcosa in questo mondo finché Egli sulla Terra mi concede vita, ma poi, nell'immenso aldilà, noi siamo tutti uguali, e tutti i tesori che possediamo qui rimangono attaccati alla crosta morta della Terra e servono da nutrimento al tempo che tutto consuma.
5. Non ti sia dunque di impedimento la mia alta carica, perché io la assolvo unicamente per il bene dell'umanità nella misura consentita alle mie forze. E dovresti forse esserne escluso proprio tu, le cui sorti mi sono state poste particolarmente a cuore dal Signore dell'infinità, della vita e della morte? No, mille volte no! Tu sei e resti mio figlio!»
6. E Zinca, intese tali parole, esclama: «In verità, così non può parlare che un animo completamente devoto a Dio, il Signore. Ciò che vuole il Signore, lo voglio certamente anch'io, perché Colui che ha risuscitato le due fanciulle è il Signore in Persona, e di questo io sono ormai profondamente convinto! Ed anche se migliaia di persone venissero qui a testimoniare il contrario, Zinca non vacillerà mai più nella sua fede. A Lui solo vada d'ora in poi tutto il mio amore e la mia sincera adorazione; a Lui solo sia resa gloria e ogni onore da eternità in eternità!»
7. E dicendo queste parole Zinca si prostra ai Miei piedi implorando: «O Signore! Perdona tutti i miei peccati affinché io possa, purificato, rivolgere a Te le mie preghiere!»
8. Ed Io allora gli dico: «Alzati, o fratello Mio! È già da molto tempo che Io li ho cancellati, perché già da molto Io conoscevo il tuo cuore, e concessi infine che esso venisse a Me. Tu fosti bensì inviato a farMi prigioniero, ed infatti Io anche Mi lasciai prendere, però lo feci per il tuo cuore e per la tua salvezza! Ora alzati, e sii d’animo completamente lieto nel Mio Nome e diventa per Me uno strumento utile e buono, ed una valida arma!».
9. Zinca allora si alza e comincia a meditare profondamente riguardo alla grandiosità e al significato di tali meravigliosi avvenimenti. Quando poi egli si sarà posto del tutto accanto a Me, noi lo udremo ragionare di nuovo. Infatti, dopo Mataele egli è senz'altro lo spirito più grande che si trova nella nostra compagnia.
È meglio operare che parlare.
1. E dopo che avemmo ricondotto in questo modo un po' di pace nell'animo di Zinca, Risa, quale secondo genero di Cirenio, si fece avanti egli pure, e cominciò a scusarsi nella stessa maniera.
2. Ma Raffaele gli batté sulla spalla e gli disse: «O amico! È sufficiente che tu rimanga nella verità del tuo cuore, perché tu sei ancora molto lontano dall’essere come Zinca! Tu sei certo onesto e buono, tuttavia non devi parlare diversamente da quanto hai nel cuore; comprendi?»
3. Risponde Risa: «Sì, o amico mio dai Cieli, io comprendo quello che mi hai detto, e se un giorno mi verrà il desiderio di parlare, lo farò secondo quanto mi sento nel cuore, e dalle mie labbra non dovrà uscire una cosa non vera. In effetti io sono ancora giovane ed ho certo meno esperienza di molti altri, ma soprattutto ho poca esperienza con le donne e finora non mi è mai successo di innamorarmi di qualche giovane. Tuttavia mi sento straordinariamente attratto nel mio cuore, e sento che sarei estremamente felice se Ida, la celestialmente bella, diventasse la mia consorte; ma sento pure come io, in tutta questa mia immensa felicità, finirei col fare una figura terribilmente sciocca; questa è la vera ragione per la quale vorrei rinunciare a tanta felicità!
4. Per ora il mio amore per Ida è ancora molto lontano dal diventare una vera passione, e quindi ora sarebbe per me piuttosto facile rinunciare alla felicità che mi sarebbe lecito attendere, ma se accadesse che più tardi l’amore si destasse in me con maggiore potenza e che poi tale felicità non potesse venirmi concessa, allora ciò causerebbe al mio cuore una sofferenza immensa dalla quale potrebbe poi liberarsi molto difficilmente. Ed è appunto per questa ragione che io vorrei che, da parte del Signore e di Cirenio, mi venisse tolta ogni speranza in una simile felicità!
5. Vedi, o Raffaele, amico mio dai Cieli, tale è ora il mio sentimento, e conformemente a questo sentimento ho parlato. Se tu puoi essermi di qualche aiuto a questo riguardo, vedi di agire in tal senso prima che sia troppo tardi! Perché un aiuto, se vuole essere efficace, deve anche venire a tempo opportuno, altrimenti non giova a nulla!»
6. Dice Raffaele: «O amico, nel tuo caso attuale non avrai bisogno che di poco o di nessun aiuto da parte mia; resti dunque la cosa così come il Signore ha deliberato. Tu, personalmente, puoi bensì rinunciare a tutto, poiché contro la libera volontà dell'uomo il Signore non stabilisce mai nulla all'infuori della misura e della forma del corpo, ma l'uomo non può aspettarsi una qualche particolare benedizione se fa poca attenzione a quello che il Signore, sia pure con un minimo cenno, gli ha consigliato. Comprendi questo?»
7. Risponde Risa: «Sì, comprendo anche questo, e perciò mi limito a dire: “Sia fatta sempre la Volontà del Signore!”. Chi fa secondo la Volontà del Signore, non può mai cadere in errore, perché Dio, il Signore, deve sapere meglio di ogni altro quello che a noi uomini può essere di maggior vantaggio. Perciò d'ora innanzi io accetterò sempre di gratissimo cuore tutto ciò che il Signore mi ordinerà, e vi conformerò il mio agire. Quello che l'uomo può fare con facilità seguendo l'impulso che già sente nel cuore, lo faccia sempre e non si lasci mai distogliere dal farlo; infatti, c'è già molto da lottare in altri campi, dove appunto la debole volontà dell'uomo difficilmente riesce a trionfare. Se egli dunque si dimostra debole di volontà pure nelle cose facili ed immensamente piacevoli, è allora certo che potrà fare ben magri progressi là dove necessita la vera virtù. Ho parlato rettamente, o no?»
8. Dice Raffaele: «Senza dubbio hai parlato bene, però ti sia detta una cosa ancora, e cioè che è meglio operare molto e bene che non parlare molto e bene. Quando il tuo prossimo ti vedrà agire molto e bene, allora anche molti ti imiteranno, ma quando infine ti udranno parlare molto e bene, vorranno imitarti pure in questo. Ma considerato che a moltissimi, agli scopi di un parlare veramente buono, manca la vera sapienza, ebbene, costoro devono evidentemente finire col ridurre i loro discorsi ad un cumulo di assurdità mediante le quali non possono che diventare nocivi a numerosi animi deboli ed anche a se stessi, dato che con ciò coltivano l'orgoglio e la vanità nei loro cuori. L'inutile smania oratoria ha col tempo, come conseguenza, il fatto di diffondere ogni specie di falsa dottrina, e la misera umanità resta accecata ed immersa nelle tenebre, in modo che è poi molto difficile riportarla alla luce. Invece, attraverso molte buone azioni, l'umanità diventa di cuore nobile e aperto; ebbene, un cuore nobile e aperto è già di per sé il migliore semenzaio della vera sapienza ed esso può anche parlare giustamente e bene qualora se ne presenti la necessità.
9. Queste cose io te le ho dette appunto per il fatto che in te si nasconde una brama troppo grande di parlare, mentre tu non possiedi ancora di gran lunga tutto ciò che si richiede per parlare in maniera completamente buona: perciò parla poco, e invece ascolta molto ed opera in altrettanta misura, e così sarai tu pure un discepolo del Signore, secondo la Sua Volontà, cioè con il Suo pieno compiacimento.
10. Coloro che un giorno dovranno parlare e predicare, saranno appositamente scelti dal Signore a tale scopo; coloro invece che Egli non eleggerà allo scopo speciale del parlare e dell'insegnare, quelli sono destinati da Lui solo ad operare secondo la Sua Parola e la Sua Dottrina, e conseguentemente sono tenuti a fare solamente quanto essi hanno ricevuto inequivocabilmente come compito da parte del Signore. Così facendo potranno essere sicuri che Dio ne avrà compiacimento, e che a loro non verrà a mancare una qualche grazia particolare. Queste cose esponile anche ai tuoi compagni, perché anche tra di loro ce ne sono alcuni i quali si immaginano ancora di poter parlare in modo ordinato, buono e corretto, mentre essi sono tutti destinati dal Signore non a parlare, ma soltanto ad operare.
11. Ma è appunto per questo che il Signore ti concede della felicità terrena, affinché tu possa operare un giorno tanto più del bene; se il Signore invece ti avesse eletto ad oratore e maestro, Egli ora ti direbbe: “Vieni e seguiMi là dove Io vado, e impara a conoscere ogni Sapienza del Regno di Dio!”. Infatti, vedi, per parlare ed insegnare ci vuole di più che non per il semplice operare, e tuttavia l'operare è la cosa principale, mentre il parlare e l'insegnare costituiscono soltanto la via che conduce all'operare.
12. Vedi in quanta considerazione è tenuto Cirenio presso il Signore; ma non certo a causa della sua eloquenza, ma a causa del suo molteplice operare in maniera molto nobile e buona! Chi però è ricco di buone e nobili opere, può, qualora sia necessario, anche parlare bene e rettamente, poiché un cuore nobile e aperto non è mai privo della Luce dai Cieli. Ma chi ha questa Luce nella misura delle molte opere nobili e buone, a costui riuscirà sempre chiaro dove, quanto e come dovrà parlare. Comprendi bene adesso, o mio amico Risa, anche queste altre cose che ti ho detto?»
13. Risponde Risa: «E come non dovrei comprenderle, dal momento che hai evidentemente parlato fuori della verità più pura? Ora questa è sempre ben comprensibile a ciascuno. Dal canto mio mi atterrò sempre rigidamente a queste tue parole, ma quanto ora ho appreso da te, mi affretterò a comunicarlo pure a tutti i miei compagni. Una sola cosa ancora vorrei sentire da te, e cioè se anche Zinca è destinato unicamente all'operare, oppure se accanto a questo compito egli avrà anche quella dell'insegnare»
14. Dice Raffaele: «O Risa, amico mio! Tra le tue esperienze e quelle di Zinca esiste un divario ben grande. Egli è un'anima grande che proviene dall'Alto, ed ha accumulato molte e grandi esperienze, nonostante sia soltanto di dieci anni più anziano di te; e quindi è destinato dal Signore tanto per l'azione quanto per l'insegnamento. Ma quando anche tu avrai accumulato molte esperienze, allora anche tu otterrai l’incarico di parlare bene e di insegnare. Frattanto vedi di accumulare esperienza, e sii ricco di azioni nobili e buone».
Osservazioni su se stessi da parte di Ebram e di Risa.
1. Risa si imprime queste cose profondamente nel cuore e ritorna dai suoi compagni, i quali cominciano a felicitarsi con lui per la fortuna toccatagli; egli però apre la sua bocca e annuncia loro, parola per parola, quello che ha appreso da Raffaele.
2. E quando egli ha finito, Ebram gli dice: «Queste sono parole magnifiche, come se sgorgassero dalla bocca stessa di Dio; tuttavia qualcosa si potrebbe osservare a proposito, se non proprio riguardo alle parole in se stesse, almeno riguardo a chi le ha proferite. Quanto noi abbiamo udito è certo una successione bene ordinata di espressioni notevolissime e improntate a verità; però l'oratore ha fatto anche lui precedere il discorso all'azione! Ad ogni modo io trovo giusto il procedimento, perché ad ogni buona azione deve evidentemente precedere un buon insegnamento, altrimenti non è possibile che chi deve operare abbia una qualche direttiva per la sua funzione futura.
3. In fondo Raffaele ha davvero ragione, poiché l'uomo arriva presto a comprendere quello che è buono e giusto, e gli bastano delle leggi semplicissime per suggerirglielo! Egli non deve fare altro che volere rettamente, e le buone opere non resteranno poi a mezza strada; d'altra parte il solo “sapere” mi sembra un movente insufficiente per decidere se operare il bene, specialmente là dove si tratta di gente molto materialista che, illusa da qualche guadagno mondano e vano, si lascia indurre con troppa facilità ad operare il male. Si tratta dunque di estendere l'insegnamento preliminare fino al punto in cui, attraverso questo, vengano fornite al discepolo delle prove chiare, evidenti ed inoppugnabili che servano da movente all’operare il bene, e in modo che l'agire contrario debba apparire al discepolo quasi altrettanto impossibile quanto l'attraversare il mare senza una imbarcazione!
4. Una volta che si sia portato il discepolo fino a questo punto, allora anche operare il bene si presenta come cosa facilissima; però senza i moventi aggiuntivi, e resi evidenti con solide argomentazioni, ci si limiterà sempre e soltanto ad un problema del quale si scorge bensì la bontà, ma, poiché l'operarvi conformemente va certamente congiunto a più di una difficoltà e a più di una rinuncia, ci si adagia piuttosto comodamente nella pigrizia e nel proprio misero egoismo, e si lascia che l’operare molto e bene rimanga una bella teoria. A causa di ciò, si continua a seguire gli impulsi e ad assecondare le proprie brame animali, e ci si trova dopo trent'anni ad essere ancora quello stesso uomo-animale che si era all'età della culla. Dunque, secondo il mio modesto parere, la dottrina del bene operare non può andare disgiunta dalle prove di cui ho appena detto! Ma per fornire queste ci vuole ben altro che il semplice dire: “Bisogna che tu faccia questo e quello, perché è buono, e che tralasci dal fare questo o quello, perché è maligno e cattivo!"»
5. Dice Risa: «Tu hai perfettamente ragione e, in fondo, non ti esprimi differentemente da quanto ha detto e spiegato in maniera chiara anche Raffaele, e cioè che deve parlare e insegnare soltanto colui che è stato chiamato in spirito dal Signore ad espletare tale compito. Un simile maestro spirituale saprà ben esporre ai propri discepoli la dottrina e fornire loro le prove occorrenti per indurli così all'azione, così come le parole dell'angelo hanno indotto immancabilmente all'azione anche me. Ma se noi due volessimo adesso assumere le funzioni di maestro, noi certo finiremmo col mettere assieme una montagna di stoltezze, e se poi si presentasse un oratore raffinato e dalla logica sottile, e cominciasse a muoverci delle forti obiezioni, allora noi rischieremmo di trovarci in grave imbarazzo e di dover fare la fine dei pifferi di montagna! Ma se noi ci limitiamo al bene operare, neanche un tale oratore potrà opporci assolutamente nulla, ammesso pure che ci esponga le più acute argomentazioni di questo mondo. Dunque, per molti l'agire è migliore dell'insegnare. La cosa forse non ti è ancora chiara?»
6. Risponde Ebram: «Oh, certamente, del resto mi era già chiara anche prima, ad ogni modo tutto è bene così. Tuttavia, come osservo in me stesso, l'uomo è un essere quanto mai strano. Pensa un po’ al tempo in cui noi leggevamo e studiavamo abbastanza spesso la Scrittura. Come ci apparivano incomprensibilmente sublimi tutti i meravigliosi racconti delle varie vicende e gli insegnamenti sparsi qua e là, e come ci incutevano il massimo e più profondo rispetto! Nella nostra cieca foga veneratrice noi infine non ci azzardavamo neppure più ad esprimere il Nome di Dio quando leggevamo del Suo Spirito che si era in qualche modo manifestato qua e là, e se si trattava della storia di una qualche apparizione angelica, un brivido ci correva per le ossa e lungo la schiena! Mosè ci appariva tanto grande che ci sembrava che quasi tutte le montagne dovessero inchinarsi al suo nome!
7. Ebbene, noi ora qui ci troviamo alla presenza di quello stesso Dio il Quale un giorno tuonò le Sue Leggi dal monte Sinai, e di quello stesso angelo che fu di guida a Tobia, che va e che viene tra noi come un comunissimo uomo, e ci insegna con dolcissime parole a conoscere più da vicino la Volontà del Signore. Oltre a ciò noi qui assistiamo ad un susseguirsi di prodigi della specie più inaudita, e tuttavia ogni cosa comincia a sembrarci già tanto abituale come se già dalla fanciullezza fossimo vissuti fra i prodigi! Dimmi un po’, se lo sai: come si può spiegare questo fenomeno?
8. Volendo restare nelle dovute proporzioni, noi dovremmo essere veramente fuori di noi per lo sbalordimento e per la venerazione; ma invece di questo, ecco che siamo relativamente come insensibili ed ottusi come la spada arrugginita di un vecchio guerriero! Qual è dunque la ragione di tutto ciò, e a che cosa ne va attribuita la colpa? Più ci penso, e più mi viene la voglia di staccarmi la testa dal mio busto per la rabbia contro di me!»
9. Osserva Risa: «Non ti inquietare per questo motivo, o amico mio! Sarà certo il Signore a volere che sia così, poiché, se per le ragioni ben comprensibili da te esposte, noi ci trovassimo sempre in uno stato di massima tensione ed eccitazione d'animo, moltissimo di quello che succede qui e di cui si parla ci sfuggirebbe. Il Signore invece sa bene come fare affinché i nostri animi si mantengano entro certi limiti di tranquillità, perciò anche noi possiamo osservare ed ascoltare con assoluta tranquillità tutto ciò che viene detto e fatto qui dinanzi a noi, per quanto ciò sia di carattere incomprensibilmente sublime, e possiamo tanto maggiormente farne tesoro imprimendocelo tanto più profondamente nelle nostre anime. Quando tutto ciò sarà passato, allora anche nei nostri animi comincerà certamente a svilupparsi calore, e l'attività vi potrà assumere proporzioni colossali! E questo certo non mancherà di verificarsi, ma per il momento è senza dubbio molto meglio che rimanga così! Sei forse di altro parere in proposito?»
10. Risponde Ebram: «Oh, per nulla affatto, la tua opinione anche a questo riguardo è perfettamente giusta, ed è certissimo che sarà così. Però io reputo che non sia proprio sbagliato se si tiene presente che, in una simile straordinaria e santissima occasione di cui finora non abbiamo avuto l'uguale, noi ci sentiamo con tanta facilità così poco lieti, mentre la lettura degli avvenimenti straordinari del tempo passato ci aveva tanto profondamente commossi e talvolta addirittura estasiati. Se questa scarsa acutezza spirituale dipendesse soltanto da noi, io dovrei qualificarla come un volgarissimo peccato estremamente grave; però se, secondo il tuo parere, è il Signore che influisce in tal senso sugli animi di tutti noi mediante il Suo Volere onnipotente, allora certo dobbiamo esserGliene grati, e con tanta maggiore serietà e coscienza dobbiamo considerare e ponderare attentamente tutto ciò che Egli dice e fa per vedere come meglio possiamo fare per mettere completamente in pratica la Sua Parola. Ad ogni modo per me resta ancora un enigma come Zinca potesse e possa essere un uomo di spirito tanto acuto, pur essendo semplicemente un capo dei servitori di Erode; dove può mai egli avere attinto la sua straordinaria sapienza e fatto le sue molte esperienze?»
11. Dice Risa: «Non potrei immaginarmelo nemmeno io! Però un gran signore come Erode avrà senza alcun dubbio esaminato e scrutato a fondo il suo servitore, prima di chiamarlo ad assumere le funzioni di capo della sua gente! Oltre a ciò Zinca, secondo quanto mi confessò egli stesso, era amico particolare del profeta Giovanni, e certo avrà imparato molte cose da lui, ciò che è pure di non poco significato per la vita. Dunque, tutto sommato, non ci si deve meravigliare se egli è più sapiente di uno di noi. Forse noi avremo occasione di sentirlo pronunciarsi riguardo a qualche argomento, ed io sono molto ansioso di ascoltare cosa dirà. Ma ecco che invece è il Signore, a quanto pare, in procinto di parlare; conviene quindi tacere, perché comunque con i nostri discorsi nessuno può aumentare troppo in sapienza!».
Un episodio della giovinezza di Gesù.
1. Mentre i due parlavano così, Io avevo fornito alle due risuscitate la possibilità di riconoscerMi e loro effettivamente Mi riconobbero ben presto come Colui che qualche mese prima aveva risuscitato pure due morti a Cafarnao; ora loro conoscevano anche Maria e gli altri della famiglia di Giuseppe. Poi Gamiela raccontò che sia lei che sua sorella si ricordavano ancora benissimo di come il vecchio Giuseppe assieme ai suoi sei figli avesse costruito a Cafarnao una stalla completamente nuova destinata alle pecore per il loro padre adottivo, e che ricordavano pure di aver visto al lavoro Me stesso quale il più giovane tra i figli di Giuseppe; però, a quei tempi, non avrebbero potuto avere neanche il minimo presentimento che in Me fosse celato lo Spirito dell'Altissimo!
2. Allora Ida aggiunse: «Eppure, eppure, cara sorella mia, non ti rammenti quando, compiuta l'ultima giornata di lavoro e del tutto finita la costruzione, il nostro padre adottivo si disponeva a regolare i conti col vecchio Giuseppe? E nostro padre, come si fa fra mercanti, voleva trattenersi a titolo di detrazione alcuni denari, ma allora questo Santo si avvicinò a lui e gli disse: “Non fare così, perché ciò non ti porterebbe benedizione! Tu sei certo un pagano, però credi nel Dio degli ebrei; ora vedi, questo possente Dio dimora nel Mio cuore, e se Io Lo prego, Egli Mi concede anche secondo la Mia preghiera! Egli dimora pure nel tuo cuore come in quello di ciascuno, purché sia giusto al Suo cospetto, ed esaudisce volentieri le sue preghiere. Se tu dimostrassi durezza di cuore verso Giuseppe, il quale ha espletato un grande lavoro presso di te, allora Io pregherei il Mio Dio e Padre di ricompensarti secondo i tuoi meriti, e davvero una ben dura ricompensa ti verrebbe riservata tra breve! Pensa che non è bene offendere coloro con i quali Dio è Una cosa sola!”. Il nostro padre adottivo però non prestò grande attenzione a queste parole, ed insistette nel voler detrarre del denaro da quello che spettava a Giuseppe. E vedi, allora il vecchio carpentiere gli disse: “Io sono un galantuomo, e da galantuomo ti dico che i pochi denari che vorresti detrarmi rappresentano proprio tutto il guadagno che avrei tratto da tale gravoso lavoro, e con questo avrei potuto pagare l’affitto di casa mia. Ma poiché il denaro a te, che sei ricco, sta tanto a cuore, tienilo; ad ogni modo tu te lo tieni senza averne il diritto, e ciò non fa bene a nessuno!”.
3. Io però rimasi addolorata e arrabbiata, e piansi per la cieca durezza di cuore del nostro padre adottivo, andai nella mia stanza e vi presi tutti i miei risparmi; Gamiela mi imitò, e così di nascosto deponemmo nella cassetta degli attrezzi del vecchio Giuseppe all'incirca cento denari. Nessuno all'infuori di Te, o Signore, si accorse della cosa! E Tu poi dicesti: “A voi, fanciulle Mie, sarà riservato un giorno un grande premio per tutto il bene che oggi ci avete fatto”. E mentre così parlavi, Tu apparisti come trasfigurato. Dopo di che voi vi alzaste e lasciaste la nostra casa. In quel momento era già tarda sera, e fino a Nazaret c’erano ancora varie ore di cammino per voi; perciò io mi rivolsi a Te dicendo: “Non vorreste forse fermarvi qui questa notte anziché azzardarvi per questa via lunga e malsicura? Oltre a ciò la notte è oscura a causa delle nubi temporalesche che ingombrano il cielo ed è probabile che stia preparandosi un temporale”. Allora Tu mi dicesti una cosa che mi è rimasta sempre impressa nel cuore: “Chi ha fatto il giorno, è Signore del giorno, e chi ha fatto la notte, è Signore della notte; per conseguenza il Signore del giorno e della notte non ha ragione di temere né l'uno, né l'altra. L'uragano però sta pure tra le mani possenti di quello stesso Signore che il mondo non conosce; né l'uragano, né la notte saranno in grado di arrecarci alcun danno. Ed ora, angioletti Miei, addio!”. Detto questo, voi lasciaste la nostra casa e - il Cielo saprà come - non appena ne aveste varcata la soglia, di voi non si poté scoprire più nessuna traccia.
4. Oh, molte volte io ho pensato a Te, o Signore, ma fino a questo momento non sono riuscita ad incontrarTi in nessun luogo. Però le parole che Tu rivolgesti allora al nostro padre adottivo trovarono terribile adempimento in quella notte stessa. Uno spaventoso uragano si scatenò e il fulmine colpì per tre volte la nuova stalla delle pecore dove già il giorno che era stata ultimata vi avevano trovato ricovero millesettecento di quei bei animali. Nel breve giro di un paio d'ore tutto fu preda delle fiamme e malgrado tutti gli sforzi fatti nulla poté venire salvato! Il nostro padre adottivo si pentì di aver così gravemente peccato contro l'onesto carpentiere, e disse: “Questa punizione è venuta su di me certo dall'Alto, dato che l’ho meritata. D'ora innanzi nessun onesto lavoratore in casa mia si vedrà mai più detratto nemmeno di uno statere (piccola moneta antica) dalla sua ricompensa faticosamente guadagnata!”. Ed egli anche mantenne la sua parola. Però la stalla non la fece riedificare nello stesso posto; in un altro luogo fece recintare solidamente cento iugeri di terreno e vi costruì solamente una capanna per dieci pastori e guardiani di pecore. E il vecchio carpentiere da Nazaret noi non lo vedemmo più; che sia forse morto, da lì a poco, considerato che già quella volta appariva molto debole?
5. Dopo circa mezzo anno noi venimmo a Nazaret nell'occasione del grande mercato che vi si teneva, e là ci informammo ansiosamente del vecchio carpentiere e dei suoi figli, ma ci fu risposto che erano stati chiamati in un luogo lontano dove avevano l’incarico di costruire parecchie case, e perciò dovemmo far ritorno a Cafarnao senza aver ottenuto il nostro scopo. In seguito noi non sentimmo più parlare della famiglia del carpentiere; soltanto il nostro padre adottivo sentì qualche voce, circa tre anni dopo, secondo cui Giuseppe se ne era andato per via di un grande lavoro a Nazaret alta, che dovrebbe trovarsi fra le montagne verso la Samaria. Tuttavia non vedemmo più nessuno dei suoi! Eppure io avevo sempre tanto desiderato di fare una più stretta conoscenza col giovane carpentiere che, a quanto mi consta, si chiama Gesù!
6. Ma ecco: ciò che non ci fu concesso allora, Tu, o Signore, ce lo hai meravigliosamente tenuto in serbo fino ad oggi. Soltanto ora ci è stata fatta luce riguardo alle misteriose parole da Te proferite in quella stessa memorabile sera nella quale voi lasciaste la nostra casa mentre era notte oscurissima! Ora sappiamo benissimo Chi è il Signore del giorno e della notte e dell'uragano! Ma ora anche Ti esprimiamo ancora una volta, col cuore e con la bocca, la nostra gratitudine per tutte le immense grazie e i benefici di cui Tu, o dolcissimo Signore Gesù, ci hai colmate senza nessun nostro merito!»
7. Ed Io dico loro: «Oh, proprio senza nessun merito voi non siete davvero; pensate, se non altro, soltanto a quello che avete fatto per il vecchio Giuseppe! Quanto gli furono utili i vostri cento denari, quando la mattina seguente li trovò nella sua cassetta degli attrezzi! Egli da principio pensò che fosse stato il vostro padre adottivo a metterceli dentro di nascosto; ma Io gli feci notare il suo errore. Egli ebbe allora parole di grande lode per il vostro cuore, ed Io gli promisi che un giorno Io stesso avrei ricompensato moltiplicandolo quel vostro atto di bontà, e perciò ora, con tutto amore e in tutta letizia, vi ho ridonato la vita e i vostri veri genitori. Adesso avvicinatevi a vostro padre terreno e siate motivo di gioia per lui, perché la sua gioia è in pari tempo anche la Mia!».
8. A queste Mie parole le due ragazze si avvicinarono a Cirenio e lo abbracciarono, ed egli pianse di gioia come un fanciullo.
La promessa solenne di Cirenio di operare per la Dottrina del Signore.
1. Passò un po’ di tempo prima che Cirenio potesse riprendersi dall'intensa commozione e dalla gioia immensa, condivise con uguale calore dalle due figlie, da Zinca e anche da Risa che si era avvicinato nel frattempo. Cirenio si avvicinò quindi nuovamente a Me, Mi abbracciò ed esclamò fra i singhiozzi: «O Tu, eterno e purissimo Amore! Chi mai potrà non amarTi sopra ogni cosa? O Signore e Padre, quanto sei buono e santo Tu! Fa, o Signore, che io muoia in questo mio amore!
2. Signore e Padre! Da quando io ho avuto la Grazia immensa, mai misurabile, di conoscerTi, cioè fin dalla Tua nascita terrena, Ti ho sempre amato, e Tu fosti sempre il cardine di tutti i miei pensieri, ma io non fui sempre padrone con la stessa forza del mio proprio mondo in me e del mondo al di fuori di me. Ora però io credo di aver raggiunto, grazie alla Tua Grazia e grazie al Tuo Amore, la forza necessaria per trascorrere i giorni di vita che ancora mi rimangono, osservando in tutto e per tutto, alla maniera umana, la Tua santissima Volontà.
3. Una cosa è certa: io governo soltanto dei popoli che sono per la maggior parte pagani, e purtroppo a volte devo perfino proteggere le loro dottrine idolatre; questo è un guaio davvero grande! Ma con un solo colpo d'accetta non è mai caduto un albero; perciò io mi impegnerò al massimo e non lascerò niente di intentato affinché la conoscenza dell'unico vero Dio vivente si diffonda per quanto sarà possibile fra i migliori pagani, per lo meno nel territorio che sta sotto la mia giurisdizione!
4. Non ci si può nascondere che le maggiori difficoltà le avremo con i sacerdoti, poiché questa casta vive già da secoli dei vantaggi che gli derivano dal costante ottenebramento dell'intelletto e della coscienza del popolo. Gli anziani non mancheranno di invocare tuoni e fulmini dal cielo ed i giovani avranno degli scatti d'ira, ma alla fine si vedranno costretti ad abbandonare le loro vecchie abitudini e ad accettare il lavoro sul nostro nuovo campo. Purtroppo, la cosa più triste per l'uomo onesto su questa Terra è che egli può trovare, immediatamente e senza alcuna fatica, la menzogna, mentre la verità egli può raggiungerla soltanto a patto di ricerche faticosissime, le quali sono congiunte non di rado a molti e gravi pericoli.
5. Gli antichi egizi avevano organizzato le loro scuole in maniera molto classica: chi intendeva acquisire l'una o l'altra conoscenza semplicemente agli scopi della vita esteriore, non aveva che da sborsare una tassa, e gli venivano resi noti i diversi vantaggi che gliene sarebbero potuti derivare. Ma per colui che arrivava invece per cercare e trovare la Verità, che è condizione per la vita interiore dell'uomo, le sue malaugurate ricerche venivano ostacolate in modo tale da ridurle ad un tormento quasi inaudito. E se poi riusciva a penetrare la grande Verità della vita, era costretto a votarsi al sacerdozio, e gli veniva interdetto, sotto il più grave dei giuramenti, di comunicare ad un profano qualsiasi anche una sola sillaba di quanto egli aveva trovato!
6. Per tale motivo il raggiungimento della santa Verità è stata sempre una cosa molto difficile, mentre il dominio della menzogna poté estendersi gratuitamente su tutto il mondo. Considerato però che l'antica menzogna ha sempre tenuto alto il suo scettro fra l'umanità, così anche gli uomini si sono abituati alla menzogna; essa è divenuta per loro una seconda natura, e ciò tanto più facilmente, in quanto molti, anche se non tutti, vi si sono trovati e vi si trovano tuttora a loro agio. Riassumendo, dunque, secondo il mio modo di vedere gli ostacoli maggiori si incontreranno non per l'abbandono della menzogna, ma per l'abbandono dei vantaggi derivanti dalla menzogna, ed è a causa di tali vantaggi che si cozzerà contro le più grandi difficoltà.
7. Bisogna però avere pazienza e tutto si potrà ancora accomodare! Si prometta e si dia alla casta sacerdotale altri vantaggi; e poiché già comunque non crede a niente, le si dimostri a quattr'occhi e amichevolmente la Verità, e si induca questa casta, o per lo meno la parte migliore di essa, ad impegnarsi a diffondere la Verità, ed io sono dell'opinione che in questo modo le difficoltà, altrimenti grandissime, potranno convertirsi in una leggera fatica. Se poi un giorno si riuscirà a dominare interamente la menzogna sulla Terra, ebbene, questa è una questione ben differente! Ci saranno sì persone buone e di onesto sentire, le cui anime sono colme di Verità, che faranno certamente ogni sforzo possibile allo scopo di condurre ad una luce migliore per lo meno i loro vicini; insomma, questi “luminari” diffonderanno sempre intorno a sé un bel chiarore, ma succederà purtroppo che ad una certa distanza comincerà già a farsi più scuro, ed infine molto più lontano ancora, tanto nel tempo che nello spazio, la notte piena terrà lo scettro, come appunto succede attualmente!
8. Questo è pressappoco il mio modo di vedere; Tu, o Signore, potresti forse fare in modo che avvenisse diversamente; Tu però sai anche perché su questa Terra debba essere così! Sia fatta quindi sempre soltanto la Tua santa Volontà!».
Le due leggi divine: Il “dovere assoluto” e il “dovere libero”.
1. Dico Io: «Mio caro amico Cirenio! Le tue opinioni Mi piacciono moltissimo, e il Padre santo in Cielo prova sempre una vera gioia quando i Suoi figli discutono saggiamente con Lui; tuttavia vi sono certe cose che devono essere così come sono, e che questo e quello deve accadere, così come appunto accade, per il raggiungimento di uno scopo determinato, senza di che lo scopo stesso non potrebbe mai venire raggiunto!
2. Ed è perciò che da parte di Dio è stata stabilita una duplice legge, di cui una è puramente meccanica e si chiama il “dovere assoluto”. Da questa legge derivano tutte le forme e le loro articolazioni, secondo le quali sono rese manifeste le attitudini della forma; di questa legge meccanica non può venire modificato assolutamente nulla in eterno. L'altra si chiama il "dovere libero", e soltanto nei riguardi di questa vale la dottrina della vita!
3. Secondo la legge della vita tu puoi sradicare, demolire oppure addirittura annientare perfino tutti i cardini dell’intero complesso, senza che ciò importi granché, e non fa nessuna differenza; quello che è destinato a diventare libero deve essere anche libero fin dal suo primo sviluppo! Se esso si deforma completamente nel suo libero essere interiore, non può comunque sottrarsi al potere che la legge del dovere assoluto ha su di lui. Ma nella forma continua a celarsi il germe che sempre di nuovo inizia a germogliare nell'ordine giusto, che afferra nuovamente ed attrae nell’ordine giusto quanto vi è di guasto nella libera sfera vitale.
4. E così ad esempio tu vedi, su questa Terra, popoli sommersi in ogni perversione per quanto riguarda l'anima; ma la loro figura rimane, e se tu li guardi, devi riconoscere che si tratta di esseri umani. Le loro anime sono certamente sfigurate da ogni genere di menzogna, falsità e di perfidia; al momento opportuno però Io faccio penetrare qualche maggiore calore nel germe vitale: allora esso inizia a crescere ed elimina il vecchio disordine dell'anima, come la radice dell'erba fa con la goccia d’acqua già imputridita, da cui poi deriva uno stelo sano, pieno di forza vitale e puro in tutte le sue parti, atto a fiorire ed a produrre semi fecondi.
5. Per questa ragione voi non dovete mai e poi mai giudicare troppo duramente un popolo corrotto, poiché, finché rimane la forma, rimane anche il germe puro nell'uomo; ma se questo germe sussiste, allora anche un demonio può diventare un angelo!
6. Le cause della corruzione degli uomini e delle loro anime sono di solito i falsi maestri, l'avidità di dominio e di possesso di alcuni potenti, oppure una temporanea possessione da parte di spiriti maligni che si insinuano nella carne e nello spirito nerveo degli uomini. Ma non è nemmeno il caso di parlare di una perversione totale del germe vitale più intimo.
7. Guarda un po' come Mataele e i suoi quattro compagni erano stati ridotti male dagli spiriti maligni! Ma Io li liberai e ridestai in loro il germe vitale; ed ecco quanto perfetti ci stanno invece dinanzi!
8. Certamente vi è differenza fra uomo e uomo: alcune anime provengono dall'Alto e sono più forti, cosicché gli spiriti maligni di questa Terra non possono arrecare loro che poco o nessun danno. Per conseguenza tali anime possono resistere anche a prove più gravi durante la loro incarnazione, senza risentirne danni di qualche importanza; infatti, quando in queste anime lo spirito, vale a dire il nascosto germe primordiale di vita, si ridesta ed avvolge quindi l'anima e vi penetra dappertutto con le sue eterne radici vitali, allora il poco di guasto che vi è in una simile anima guarisce subito completamente, e tutto l'uomo si presenta perfetto, come puoi constatare nel caso di Mataele, di Filopoldo e di qualcun altro ancora.
9. Più di una fra le anime d'uomo era stata, prima dell'incarnazione, perfino un angelo del Cielo, ed in tali anime ben difficilmente può avvenire che si corrompa qualcosa. Giovanni Battista e parecchi profeti, come ad esempio Mosè, Elia, Isaia ed altri ancora, ti possono qui servire da esempio, e come questi ve ne sono ancora oggi parecchi su questa Terra che sono venuti dai Cieli per percorrere con Me l'angustissimo sentiero della carne. Uomini simili sono atti ad affrontare nella loro incarnazione prove molto forti, e le sostengono sempre con la maggiore abnegazione».
La differenza tra le anime sulla Terra.
1. (Il Signore:) «Oltre a questo, vi sono altre differenze anche tra le anime che provengono dall'alto, in quanto alcune provengono dai mondi solari perfetti, e queste sono più forti di quelle che vengono qui da piccoli pianeti simili a questa Terra, per poter raggiungere su questa Terra la figliolanza di Dio.
2. Quanto più imperfetto è un pianeta, tanto più deboli sono le anime che provengono da esso. È vero che essi devono sostenere una piccola prova della vita, ma possono ricevere un danno maggiore all’anima. Comunque, loro hanno un potente germe di vita originaria in sé; se esso viene destato nel modo giusto, le anime sono di nuovo e presto nel pieno ordine della vita.
3. Infine, nella maggioranza dei casi, ci sono anime che derivano da questa Terra fin dai primordi. Esse sono chiamate, nel senso più vero, alla figliolanza di Dio; sono le più deboli e sono quelle che vanno più velocemente incontro alla completa rovina; eppure, una simile cosa non accade facilmente, perché su cento di esse si trovano di certo una o due forti dall’alto, che proteggono le anime deboli e impediscono loro di rovinarsi completamente. Se tra loro ci sono delle pecorelle smarrite, al momento opportuno vengono però sicuramente ritrovate.
4. Ogni anima – per quanto debole, impotente, sciupata e corrotta – ha in sé il germe originario di vita che non potrà mai guastarsi. Quando in un periodo di tempo adeguato, l'anima è stata portata al punto che in essa può essere destato il suo germe primordiale di vita più intimo, allora essa può dirsi anche beata e forte nell'amore e nella sapienza in tutte le cose, e quindi è altrettanto una figlia dell'Altissimo quanto uno spirito angelico incarnato, oppure, quanto un'anima proveniente da un Sole-centrale o da un Sole-planetario di grado inferiore, o da uno qualsiasi degli altri corpi terrestri oscuri e per sé privi di luce, roteanti altrove, lontano dalla Terra, dei quali nell'immenso spazio della Creazione ve ne sono più che non i granelli di sabbia del mare e i fili d'erba della Terra.
5. Chiunque di voi, ad esempio, che sia un uomo già abbastanza perfetto, può imporre le sue mani a un peccatore per quanto ottenebrato, superstizioso e caduto al livello animalesco, oppure può strofinarlo delicatamente dalla radice del naso, passando per le tempie giù fino alla bocca dello stomaco, e con ciò indurrà l'individuo a un sonno estatico. Durante un simile sonno, l'anima, per quanto deformata, verrà liberata dagli spiriti che tormentano il suo corpo, e allora il germe originario della vita si manifesterà subito e agirà per breve tempo nell'anima.
6. Interrogate poi un tale individuo immerso nel sonno estatico, e voi riceverete risposte di cui la vostra sapienza dovrà meravigliarsi moltissimo!
7. Ma quando, dopo breve tempo, una tale persona viene destata nuovamente alla vita terrena, per sua propria decisione alla quale bisogna attenersi, il germe primordiale di vita fa anch'esso nuovamente ritorno alla sua antica quiete; l'anima rientra a sua volta nei vecchi lacci della carne e non si ricorda più niente di quanto le è successo durante il sonno estatico nel suo corpo; essa non sa più nulla di tutta la sapienza che ha enunciato mediante la bocca della carne, e in sé è di nuovo altrettanto sciocca e superstiziosa quanto lo era prima.
8. Questo vi serva da esempio, di come veramente nessuna anima possa essere tanto corrotta da non ammettere più la possibilità di una guarigione.
9. È certo che per più di un'anima sarà necessario un tempo abbastanza lungo, sia qui e più ancora nell'aldilà, prima che essa possa arrivare alla consistenza sana e indipendente che si richiede per risvegliare pienamente in sé il germe primordiale della vita e farsi compenetrare da esso in tutte le proprie parti. Ma ritenere impossibile e irraggiungibile un simile atto della vita in un'anima – per quanto questa possa sembrare interamente corrotta in tutta la sua essenza – sarebbe un peccato altrettanto grave contro l'Amore e la Sapienza di Dio, supporre che una simile anima, ritenuta maledetta, sia in se stessa un rifiuto dell'inferno, e che la sua posizione di fronte al mondo giudicante debba essere quella di un enorme groviglio di peccati, fitto e alto come una montagna».
Le malattie dell’anima e la loro cura.
1. (Il Signore:) «Per tale ragione voi non dovete mai giudicare gli uomini, affinché non vi accada di dovervi erigere con ciò a giudici di voi stessi.
2. Non sarebbe forse la più inumana delle stoltezze giudicare un uomo ammalato nel corpo, e condannarlo senza coscienza ad una pena, perché la malattia e la miseria lo hanno colpito? Ma quanto maggiore e quanto più inumana è la stoltezza quando voi giudicate e condannate un uomo ammalato nell'anima perché la sua anima si è indebolita e ammalata per i motivi citati prima!
3. Tali uomini, secondo le vostre leggi e i vostri ordinamenti, li chiamate delinquenti, e li sottoponete inesorabilmente a punizioni durissime; ma con ciò che cosa fate? Voi punite un'anima perché si è ammalata davvero senza sua colpa. Domandate ora a voi stessi qual è la figura che possono fare i vostri giudizi al cospetto di Dio!
4. Domanda a te stesso, o Mio Cirenio, che pur sei conosciuto per un grande filantropo, che cosa avresti fatto dei cinque delinquenti principali, nella tua qualità di supremo giudice di Roma con potere di vita e di morte, se non ci fossi stato Io? Vedi, tu ti saresti fatto narrare la storia delle loro orribili azioni scellerate ed infine li avresti condannati tutti cinque alla morte sulla croce! Ti sarebbe mai venuto in mente che dietro a questi cinque avrebbero potuto celarsi spiriti di questo genere? Certo che no! A questo non avresti mai pensato!
5. Tu invece, assolutamente furioso per i loro misfatti, li avresti condannati a morte col massimo sangue freddo, e avresti inoltre tranquillizzato la tua coscienza col pensiero di avere reso un buon servizio a Dio e all'umanità! Pensa invece a quale danno avresti causato all'umanità togliendo alla Terra simili spiriti, i quali ormai, perfettamente guariti nell'anima e nel corpo, risplendono dinanzi agli uomini come soli di primavera, e riscalderanno e ravviveranno per il Buono e per il Vero molte migliaia di migliaia di cuori umani! Certamente, d’ora in poi, tu procederai diversamente, però fino ad oggi saresti stato inesorabile!
6. Ma vedi, così è di tutti i giudizi del mondo su questa cara Terra. Per le malattie e per i difetti del corpo vi sono dei medici che preparano ogni genere di medicine, soltanto per le malattie delle misere anime non vi sono altri medici e medicine all'infuori di un libro pesantissimo, pieno di leggi, spesso difficilissime da osservare, e dietro alle leggi c’è la spada giudicante!
7. Non sarebbe invece più nobile, più saggio e umano fornire un maggior numero di medici e medicine per le anime ammalate anziché per i loro corpi, i quali dopo breve tempo andranno in pasto ai vermi?
8. Che una malattia molto avanzata dell'anima sia più difficile da guarire dimolte malattie del corpo, Io lo so certamente meglio di tutti; nessuno però può dirsi assolutamente incurabile, mentre per ogni corpo vi è alla fine un'ultima malattia, la cui guarigione non si ottiene con nessuna erba su questa Terra! E tuttavia voi, uomini, continuate a fare tante cose contrarie al buon senso!
9. Per il corpo marcio e del tutto mortale voi erigete ospedali su ospedali, farmacie e bagni, preparate unguenti, impiastri e tisane salutari, ma per l'anima immortale non avete finora eretto nemmeno uno stabilimento di cura!
10. Naturalmente tu dici ora in cuor tuo: “Come sarebbe stata possibile tale cosa senza di Te, o Signore? Dove avremmo potuto attingerla o da chi apprenderla?”. Ed Io ti rispondo: “Questo è vero senza alcun dubbio. Questa scienza richiede certamente ben più profonde indagini nella complessa natura umana che non il conoscere semplicemente, in base alle vecchie esperienze, quale succo d'erbe guarisca meglio uno stomaco ingombro”. Ebbene, l'anima umana immortale merita di certo che si abbia qualche riguardo maggiore per la sua struttura complicatissima che non per quella di uno stomaco stracolmo a causa dell’ingordigia!
11. Certo è che in tutti i tempi sono stati mandati a questo mondo dei veri medici delle anime colmi dello Spirito di Dio, cioè i profeti, ed essi hanno predicato e insegnato la vera Via che porta alla salvezza dell'anima. Parecchi si convertirono in seguito a ciò e guarirono anche immancabilmente, ma i cosiddetti grandi e potenti della Terra, considerandosi senz'altro già perfettamente sani nell'anima, disdegnarono i suggerimenti dei medici delle anime da Me inviati sulla Terra, perseguitarono infine questi ultimi e proibirono loro di esercitare l'opera di guarigione delle anime ammalate, e così a causa dei grandi e dei potenti della Terra è sempre avvenuto che la Dottrina di Grazia per il risanamento delle anime ammalate non poté mai mettere nell'umanità quelle radici mediante le quali questa Dottrina sarebbe poi potuta assurgere a robustissimo albero della salute.
12. E per quanto qua e là sia stata sparsa una semente perfettamente sana e forte, i figli di questa Terra, egoisti e ambiziosi, hanno saputo ripulire l'albero così bene e così a lungo, togliergli via quei rami e quelle fronde che sembravano loro superflue e raschiargli via la corteccia che gli era necessaria, finché tutto l'albero dovette per conseguenza appassire, e così per la cura delle anime ammalate non si è finora eretto né posto in opera nessun altro ospedale all'infuori di quello rappresentato da leggi sempre più aspre e severe, arresti, prigioni inquisitrici, spaventose carceri punitive, la spada più acuminata e spietata ed i più svariati strumenti di martirio e di morte. Questo però è sicuramente anche un prodotto derivante da anime certo assai ammalate, ma forti, le quali devono perciò venire aiutate prima di qualsiasi altra cosa se si vuole poi pervenire su questa Terra ad un qualche risultato felice nella cura delle anime piccole, deboli e subordinate».
Degli istituti per la cura delle anime e dei dottori per le anime.
1. (Il Signore:) «Sono appunto dovuto scendere Io stesso su questa Terra per fondare uno stabilimento di cura per tutte le anime ammalate, duraturo ed efficace per tutti i tempi, poiché gli uomini, di per se stessi, non sarebbero mai stati in grado di farlo.
2. Per altro, malgrado tutto ciò, l'istituzione di un simile luogo di cura permanente per anime ammalate incontrerà sempre gravi difficoltà, perché certi uomini cominceranno a ritenersi danneggiati nei loro presunti diritti mondani.
3. L'amore per se stessi e per il mondo, che è un soffio dell'inferno nel petto dell’uomo, si opporrà sempre a tali misure, e non vorrà essere guarito dalla sua grave malattia, e non farà a meno dei rimedi mondani, quali sono le dure leggi difficili da rispettare, i relativi giudizi e le punizioni.
4. Ma tuttavia dopo di Me vi saranno sempre e dappertutto parecchi per i quali questo istituto di cura delle anime, da Me ora fondato, rimarrà a vantaggio di molti che ne vorranno usufruire. È vero che tali autentici istituti di cura delle anime dovranno sopportare qualcosa, e spesso molto, per amore del Mio Nome vero e vivente, da parte di anime certo potenti nel mondo, però in se stesse ammalatissime, ma Io stesso saprò proteggerli!
5. Se tuttavia delle anime di persone mondane, che si sono ammalate troppo gravemente di propria volontà, avessero l’intenzione, in un vero e proprio attacco di pazzo furore, di annientare totalmente l'uno o l'altro di questi istituti per la cura delle anime, allora Io saprò colpirle con un giudizio straordinario ed opportuno, e disporre il loro trattamento in istituti di cura dell'aldilà, dove vi sarà molto pianto e stridore di denti finché la guarigione, che procede soltanto con molta lentezza, potrà dirsi compiuta.
6. Già in questo mondo una medicina per il corpo, se molto efficace, ha un sapore molto amaro, ma ben più amare saranno le medicine per la cura delle anime nell'aldilà, perché esse devono essere molto forti per riuscire a guarire là un'anima pericolosissimamente ammalata, dal momento che qui per tale anima non vi era più nessuna possibilità di guarigione. Certo, un giorno anche loro verranno guarite, ma la cura sarà lunga e terribilmente amara! Per conseguenza beato colui che avrà saputo sanare la sua anima già in questo stabilimento di cura terreno.
7. Per tutte le ragioni esposte qui sopra, voi giudici - a cui è affidato molto potere - dovete essere dei veri medici delle anime per tutti i tempi futuri, e dovete dunque emettere per ogni anima ammalata una sentenza certo giusta, ma atta ad ottenere la sua guarigione e non un deperimento ancora maggiore!
8. In verità, di quanto voi, con un giudizio emanante dalla vostra propria anima ammalata, avrete reso ancora maggiormente inferma un'anima già di per sé gravemente ammalata, di tanto diverrete voi stessi più miseri ed infermi nella vostra anima, e la vostra guarigione nell'aldilà sarà molto più amara che non quella dell'anima resa ancora più misera dal vostro cattivo giudizio. Infatti, una tale anima è e rimane, malgrado i vostri giudizi cattivi e insensati, semplicemente ammalata, e anche nell'aldilà potrà ristabilirsi in salute con una semplice cura. Un'anima insensata di giudice invece - dopo ogni cattivo e mal ponderato giudizio - si attirerà sempre il doppio del male da cui era afflitta l’anima che essa aveva aspramente giudicata, e per naturale conseguenza raddoppierà anche il proprio male animico fondamentale. Ora, basterà certo riflettere soltanto un po’ per poter comprendere, da sé e facilmente, che il processo di guarigione di una simile anima di giudice tanto gravemente inferma sarà, nell'aldilà, quanto mai amaro e molto, ma molto lungo!
9. Se tu, quale medico inetto ed ammalato tu stesso, vieni chiamato al capezzale di una persona gravemente ammalata, e tu ci vai a scopo di lucro e le prescrivi nella tua inettitudine una medicina che non le giova, ma che addirittura sotto certi aspetti aggrava ancora di più il suo stato, che utile avrai tratto? Infatti, come si usa presso di voi, se non le hai giovato, tu non ricevi nemmeno il tuo compenso, ma, oltre a ciò, ti sei infettato dello stesso male pericoloso del tuo paziente; riassumendo dunque, tu avrai perso in primo luogo il tuo onorario, e in secondo luogo dovrai combattere in te stesso, invece di una semplice, una doppia malattia!
10. Ma se al tuo posto viene invece un medico saggio, non guarirà egli forse il tuo paziente di prima con una medicina adatta e semplice, mentre a te, ormai affetto da due mali, dovrà certo prescrivere una doppia medicina per cercare, se è ancora possibile, di aiutarti? Però questa doppia medicina causerà sicuramente nella tua carne sofferente una rivoluzione per lo meno duplice in confronto a quella semplice nel paziente da te curato prima e affetto da una sola malattia».
La vera giustizia.
1. (Il Signore:) «Io credo che tutto ciò dovrebbe esservi ora ben chiaro, e perciò continuo a parlare dicendovi che non è detto però che, come conseguenza di quanto ora espostovi, voi dobbiate distruggere tutte le prigioni e i luoghi di reclusione, e spezzare tutti i ceppi e le spade, che sono un male necessario contro il grande male delle anime gravemente ammalate. Oh, no, non è affatto così che la cosa deve venire intesa, perché le anime affette da mali molto contagiosi devono anzi essere tenute accuratamente isolate dalle sane, e vanno sorvegliate finché non siano radicalmente guarite.
2. Ma non la vostra ira, né il desiderio di vendetta presiedano a questo compito di tenerle in custodia fra solide mura, ma il vostro grande amore del prossimo e la cura zelante e fervida per poter giungere alla loro possibile completa guarigione, poiché, se il vero spirito d'amore vi indicherà che, in uno o nell'altro caso di grave infermità, è necessaria una medicina amara, non trattenetevi dal somministrarla, perché altrimenti la vostra misericordia sarebbe molto intempestiva e immatura. Però la medicina amara che voi dovete porgere all'ammalato grave, la dovete somministrare guidati soltanto dal vero amore; allora questo certo gli procurerà anche l'agognata guarigione, mentre a voi ne deriverà molta benedizione.
3. La medicina che Io da principio, la sera, prescrissi ai cinque, non era sicuramente né dolce né saporita. Però il Mio grande Amore riconobbe che essa era inevitabilmente necessaria alla loro perfetta guarigione, e così quell'amaro rimedio fu anche un supremo atto del Mio Amore per loro. Grazie ad esso, tanto più facilmente la mattina dopo seguì la loro guarigione da tutti i mali che li affliggevano, ed ora dicano essi stessi se fra di loro c'è qualcuno che possa serbarMi rancore per la medicina amara somministratagli!
4. Ma se qualcuno invece, guidato unicamente dalla collera e dalla sete di vendetta, tormenta e martirizza il presunto delinquente nel modo più spietato, allora egli stesso diventa un delinquente di gran lunga maggiore e dovrà un giorno assaggiare medicine tanto più amare!
5. Con quella misura con cui voi misurate qui, verrà anche misurata un giorno la ricompensa a voi; chi misura con vero amore, nella stessa maniera verrà anche misurato, ma chi misura con sentimento d'ira e di vendetta, costui dovrà trangugiare a sua volta per la sua guarigione esattamente la stessa medicina in quantità raddoppiata, e non uscirà dall'amarissimo luogo di cura nell'aldilà nemmeno un secondo prima che ogni dura fibra nella sua anima non sia diventata bianca e morbida come la lana!
6. Io dunque vi ho dimostrato ora in generale quali sono la vera natura e costituzione dell'uomo, ed ora non potete più dire: “Noi non l'abbiamo saputo!”, ma siccome invece ora lo sapete e lo conoscete bene, agite anche conformemente, ed insegnatelo pure a coloro che vi sono sottoposti e che, da ammalati come lo sono stati finora, non sanno quello che fanno; è così che, quali veri e sani cooperatori, potrete esplicare la vostra attività nella migliore misura, a vantaggio del Mio Regno su questa Terra, ed il Mio compiacimento vi accompagnerà in tutte le vostre vie. Ma se opererete in qualche luogo nuovamente secondo il vostro antico costume, pensate allora che la vostra anima è di nuovo assalita dal male e pregate affinché Io la risani e voi non dobbiate sopportare una duplice sofferenza!
7. O voi che giudicate e che con le vostre sentenze rendete le povere anime ancora più inferme di quanto lo fossero prima, ponderate seriamente su ciò che voi siete e su ciò che dovete essere in base alla verità, e così pure su quello che dovete fare per seguire l'Ordine divino! Voi, giudici e supremi detentori del potere sulla debolezza dei popoli - i quali a loro volta rappresentano veramente tutta la vostra potenza, la vostra forza e la vostra dignità -, voi dovete essere dei veri padri per i vostri popoli, e come tali dovete prendervi molto a cuore la piena salute dei numerosi figli affidativi e curare il benessere delle loro anime con tutto l’amore e con vera sollecitudine paterna. Non occorre che voi siate medici del corpo, ma tanto più siate invece veri medici dell'anima!
8. Se voi, come spesso succede, vi accorgete che i vostri figli non osservano i vostri precetti paterni e che talvolta peccano anche molto gravemente contro gli stessi, ve la sentireste di far martoriare ed infine forse crocifiggere l'uno o l'altro fanciullo, perché servisse in certo modo da esempio atto ad incutere un salutare timore? Una cosa simile può essere accaduta una volta per opera di un padre tiranno all'estremo, tuttavia nella storia del mondo non si troveranno citati molti esempi di questo genere! Voi però, da genitori migliori, certamente ammonirete i vostri figli almeno con un aspetto severo quando commettono qualche mancanza e, nei casi più gravi, li punirete anche ricorrendo a salutari bastonate. Se poi i figli rinsaviranno, non ne avrete, senza alcun dubbio, una grande gioia? Certo sarà un grande piacere per voi quello di vedere dinanzi a voi le anime dei vostri figli vivaci e sani.
9. Tale sia dunque il vostro procedere, o voi giudici potenti, anche verso tutti gli uomini, e la vostra beatitudine non avrà mai fine! Mettetevi al posto di coloro che, volenti o nolenti, devono obbedirvi nonché accettare ed osservare le vostre leggi; non vi sarebbe gradito se essi, al vostro posto e quali vostri giudici, fossero misericordiosi con voi e cercassero di risparmiarvi per quanto è possibile? Quello che voi ragionevolmente potreste desiderare che essi vi facessero qualora vi trovaste al loro cospetto con le vostre anime malate, fatelo anche voi a loro, quando essi vi stanno dinanzi con le loro anime ammalate!».
La legge eterna fondamentale dell’amore per il prossimo.
1. (Il Signore:) «Vedi, la spiegazione pratica di tutte le leggi di Mosè e di tutte le predizioni dei profeti è questa: “Amate Dio quale il vostro eterno Padre sopra ogni cosa, ed i vostri poveri fratelli e sorelle, ammalati in varie maniere, come voi stessi, in qualsiasi circostanza; così, da veri figli dell'eterno Padre in Cielo, e sani nell'anima, voi sarete altrettanto perfetti quanto è perfetto Egli stesso, e questo è il fine al quale siete appunto chiamati!”. Infatti, chi non diverrà così perfetto come lo è il Padre in Cielo, non giungerà a Lui, né potrà cibarsi alla Sua mensa per l’eternità.
2. Ecco dunque, o Mio Cirenio, tu hai ora tutto quello che finora hai considerato come un male quasi invincibile del mondo. È ovvio che la menzogna, radicatasi nel mondo fra gli uomini, è difficile da combattere, perché essa è una grave malattia fondamentale dell'anima; però la menzogna si può vincere facilmente per mezzo della Verità, la quale procede dall'amore come la luce procede dalla fiamma. Ma se per illuminare una stanza oscura ti è necessaria soltanto della luce, potrà qualcuno reputarti saggio se tu vorrai addirittura appiccare il fuoco alla stanza, ottenendo con ciò il risultato di distruggerla? Per tali ragioni la Mia Parola e la Mia Dottrina non devono venire diffuse con la spada.
3. Se tu vuoi guarire qualcuno che sia tormentato da una ferita, non potrai mica fargli, accanto a quella che deve guarire, un'altra ferita dieci volte peggiore ancora? Infatti, se tu volessi agire così, sarebbe meglio che gli lasciassi la sua vecchia ferita senza curarla.
4. In verità, chi vorrà diffondere la Mia Parola e la Mia Dottrina con la spada in pugno, non avrà da Me alcuna benedizione per il suo zelo, ma sarà egli stesso gettato tra le più fitte tenebre. Se tu illumini di notte una stanza con lampade ad olio puro, tutti coloro che si trovano là potranno godere di una luce benefica, ma se tu invece appicchi l'incendio all’intera stanza tutti cominceranno a maledirti e ti eviteranno come un pazzo furioso.
5. Chi vuole predicare per la salvezza delle anime, lo faccia con parole ben chiare ma anche dolci, e non urli come un forsennato con la bocca schiumante di rabbia e di furore, poiché l'uomo con le bave del furore alla bocca non può migliorare nessuno con le sue urla selvagge, ed ottiene il solo risultato di farsi schernire e deridere dai suoi uditori, oppure, se le sue urla varcano certi limiti, di farsi cacciare infine addirittura a pugni e a bastonate dalla comunità.
6. E così pure nessuno si accinga a indirizzare al fratello una parola di riconciliazione qualora si senta pungere in petto dalla spina dell'ira, poiché alla fine nel suo zelo iracondo non controlla più le sue stesse parole, e con ciò non soltanto non induce suo fratello alla riconciliazione, ma invece lo irrita maggiormente e si allontana ancora di più dal buon fine che si era proposto!
7. Quando voi propagate la Mia Dottrina sia la vostra faccia serena e amichevole, poiché con la Mia Dottrina voi portate agli uomini la più amichevole e la più rallegrante ambasciata dai Cieli, e per conseguenza è doveroso che voi anche l’annunciate a loro con tutta amorevolezza e con gioia serena.
8. Ebbene, che cosa ti direbbe qualcuno dal quale tu fossi andato per invitarlo ad un allegro banchetto, dicendogli queste parole: “Ascolta tu, peccatore indegno, maledetto da Dio! Io ti devo certo odiare a causa dei tuoi peccati e in nome della Giustizia di Dio, tuttavia io sono venuto e ti impongo, forte di tutto il potere che sta a mia disposizione, di venire con me ad un banchetto di gioia, e vedi di venirci, perché altrimenti io ti maledirei e ti dannerei per sempre; ma se tu vieni almeno per questo giorno di allegria puoi essere sicuro della mia grazia e della mia benevolenza!”.
9. Dimmi un po': che viso farebbe costui di fronte ad un simile invito? E sarebbe davvero quello un banchetto di gioia per lui? Io sono dell'opinione che ognuno, per quanto sciocco sia, non potrà davvero ringraziarti per tanta cortesia! Se egli si sente troppo debole, certo vi andrà per sfuggire alle cattive conseguenze minacciate, ma se invece dispone di forza sufficiente, egli piglierà per il collo il rozzo invitante e lo getterà fuori da casa sua e, come si comprende facilmente da sé, non accetterà un invito simile.
10. Ed è appunto per questo motivo che nel propagare la Mia Dottrina – la quale anch'essa è un invito ad un banchetto di gioia nei Cieli - è necessario anzitutto fare attenzione affinché tutti coloro che si saranno assunti il compito di diffonderla fra gli uomini della Terra, procedano con tutta amorevolezza e serenità come si addice a dei veri messaggeri dai Cieli ed annuncino in questo modo il Vangelo! Infatti, non si può annunciare una cosa quanto mai rallegrante e buona con una faccia sconvolta dal più tremendo furore. E se qualcuno volesse proprio agire in tale modo, non potrebbe essere che un pazzo e un buffone e, come tale, completamente inadatto alla diffusione della Mia Parola. Hai dunque compreso bene e fedelmente quello che ora ti ho detto, e pure tutti voi?»
11. Risponde Cirenio, tutto afflitto e compenetrato dalla verità di questo Mio ammonimento: «O Signore, Tu solo vero, io certo ho ben compreso tutto e, per quanto mi riguarda, mi vi confermerò in tutto e per tutto scrupolosamente, però è naturale che per tutti gli altri non posso garantire, tuttavia penso che Ti avranno compreso tutti molto bene come Ti ho compreso io. Ma contemporaneamente mi accorgo ora in quale modo e quanto spesso io abbia peccato grossolanamente contro l'umanità, malgrado la mia migliore scienza, coscienza e volontà possibili! Chi potrà mai risarcire coloro contro i quali ho peccato del danno causato dai miei errori?»
12. Dico Io: «Non ti preoccupare più di questo, ma preoccupati soltanto del futuro! Ora però avremo ben presto qualcosa di nuovo!».
Il sonno estatico e il suo utilizzo.
1. Cornelio allora si avvicina a Me e Mi chiede: «Signore! Poco fa, nel corso delle Tue parole e dei Tuoi insegnamenti più che divini, hai accennato al fatto come un uomo spiritualmente perfetto potrebbe imporre le mani ad un altro uomo, e come quest'ultimo dovrebbe poco dopo passare in uno stato di sonno estatico, durante il quale sarebbe in grado di proferire delle parole sagge per quanto cieco e perfettamente stolto egli potesse essere nello stato della sua vita naturale. Però, se io potessi assistere una volta al procedimento che bisogna seguire durante una simile operazione, allora saprei come regolarmi nel caso si rendesse necessario tentare su qualcuno un processo curativo di questo genere. Ma se si è ignari del modo in cui procedere, non si può intraprendere niente, malgrado tutta la miglior buona volontà, e per conseguenza non si può nemmeno portare qualcosa a compimento. Vorresti confidarmi qualcosa di più particolare a questo proposito?»
2. Dico Io: «Oh, sì, molto volentieri, perché quest'atto per ristabilire la perduta salute del corpo e anche dell'anima è assolutamente necessario. Anzitutto basta talvolta la semplice imposizione delle mani per lenire perfino i più acuti dolori fisici e, oltre a ciò, nella maggior parte dei casi ne deriva la conseguenza che la persona alla quale tu hai imposto le mani, con ferma fede e con la ferma volontà di portarle aiuto, diviene veggente e può poi prescriversi essa stessa una medicina confacente, la quale, se somministrata secondo la sua prescrizione, dovrà apportarle anche la piena guarigione. Naturalmente, se avviene che in qualche punto si proceda contrariamente alle sue prescrizioni, sarà difficile che si possa ottenere una perfetta guarigione, ma se il trattamento ha luogo indisturbato secondo le indicazioni avute, allora la guarigione seguirà immancabilmente.
3. Quando però, in seguito di un simile trattamento curativo, una persona qualsiasi è passata allo stato di sonno profetico, essa non deve venire disturbata e indebolita con ogni tipo di domande inutili, ma le si deve invece domandare puramente ciò che risulta necessario nel suo caso.
4. E chi impone le mani a qualcuno, lo faccia nel Mio Nome, altrimenti il suo trattamento sarà inutile e del tutto inefficace.
5. A tale scopo si richiede una fede incrollabile ed una volontà altrettanto incrollabile e ferma.
6. L'impulso a procedere ad un simile atto deve partire dalla profondità interiore del cuore, ed avere la radice nel vero amore del prossimo; allora questa potenza d'amore affluisce alle mani dell'operatore, penetra poi attraverso le sue dita e, come una tenue rugiada ristoratrice, fluisce nei nervi del paziente e guarisce il dolore a volte pungente e a volte bruciante.
7. Bisogna però fare bene attenzione al fatto che si richiede uno sforzo maggiore per provocare il sonno estatico in un uomo che non in una donna, certamente in qualche caso anche una donna potrebbe produrre il sonno estatico in un uomo, ma una simile operazione potrebbe riuscire alla donna soltanto con l'aiuto di un angelo invisibile che stesse al suo fianco, e cioè dopo che lei - con la preghiera e con la purezza di cuore - lo ha reso disponibile all’assistenza.
8. Tali pie donne potrebbero arrecare grande sollievo alle partorienti, le quali ben di rado si possono sgravare senza difficoltà e senza grandi dolori; questo sarebbe migliore delle comuni levatrici, le quali vanno a Betlemme ad apprendere l'arte di assistere le partorienti, arte che si compendia nell'impiego più sciocco di una quantità di rimedi superstiziosi di ogni genere, i quali riescono sempre più di danno che di vantaggio.
9. Quali e quante cerimonie stupidissime e ridicole vengono spesso compiute, particolarmente quando nascono i primogeniti! Se una bambina viene al mondo per prima, si deve intonare ogni tipo di sciocche canzoni lamentevoli, e per tre giorni di seguito c'è un continuo blaterare e piagnucolare compassionevole. Se invece il primo a nascere è un bambino, allora si scannano vitelli ed agnelli e si cuociono pani; inoltre tutti i cantori del luogo e tutti i suonatori di strumenti a fiato e a corda devono riunirsi in quel luogo e fare per tutta una giornata uno strepito assordante, e tutto ciò per mitigare le doglie della partoriente! Non sarebbe dunque migliore che, invece di queste sciocchezze, si prestasse alle partorienti l’aiuto che Io ho descritto prima?»
10. Dice Cornelio: «Eccome! Ma una donna può arrivare ad un tale grado di devozione?»
11. Rispondo Io: «Molto facilmente! A questo scopo, in primo luogo, si richiede una buona educazione, e poi un’istruzione seria e completa quando una giovinetta sia giunta a piena maturità. Ma per quanto matura lei sia, questa istruzione non deve venire impartita alla giovinetta prima che lei non abbia dato prove sufficienti della vera devozione del suo cuore.
12. Però anche gli uomini possono assistere una partoriente e possono recarle sollievo mediante l'imposizione delle mani».
Purezza esteriore ed interiore. Guarigione a distanza.
1. Chiede Stahar, che si trova vicino a noi e che fa grande attenzione a tutto: «Ma in questo modo l'uomo non si renderebbe impuro per tutta la giornata secondo le prescrizioni di Mosè?»
2. Dico Io: «D’ora in poi non potranno più renderti impuro che i pensieri cattivi ed impuri, e le voglie e i desideri impuri, e la calunnia, la menzogna e la diffamazione, la denigrazione e la maldicenza. Queste sono cose che rendono impuro l'uomo, ma ogni altra cosa non insozza affatto l'uomo o tutt'al più ne insozza esteriormente la pelle, e in tal caso egli ha acqua a sufficienza per ripulirsi da un’impurità esteriore.
3. Il motivo per il quale Mosè ha prescritto queste norme agli ebrei, va ricercato principalmente nella loro grande inclinazione alla sporcizia in tutte le loro cose esteriori. Le persone che già nel loro esteriore si riducono a veri maiali, lo diventano poi anche tanto più facilmente nel loro cuore, ed è perciò che Mosè ha comandato agli ebrei specialmente le purificazioni esteriori.
4. Ma la vera purificazione degli uomini avviene soltanto mediante una vera penitenza, con il pentimento per il peccato commesso contro il prossimo, con il serio proponimento di non peccare più e con il conseguente miglioramento completo della propria vita.
5. Se ciò non avviene, voi potete far sprizzare il sangue anche da centomila caproni, potete maledirli quanto volete e gettarli nel Giordano al posto dei vostri peccati, ma i vostri cuori e le vostre anime rimarranno dopo tutto ciò, al cospetto di Dio, altrettanto impuri e immondi quanto lo erano prima. Con l'acqua si lava il corpo, e con una volontà ferma, buona e in tutto devota a Dio si lava il cuore e l'anima; e come l'acqua fresca e pura rinforza le membra del corpo, così una volontà ferma e devota a Dio rinvigorisce sia il cuore che l’anima.
6. Tali anime rinvigorite possono poi imporre ad un ammalato le mani nel Mio Nome anche spiritualmente, pur trovandosi a grandissima distanza da lui, ed egli migliorerà.
7. Chi invece si sente ancora troppo debole ed imperfetto nella fusione del proprio cuore con la propria anima, costui ricorra ai colpetti già menzionati nel Mio discorso principale, e così procurerà all'ammalato nel corpo un grande lenimento delle sue sofferenze. Egli provocherà in lui anche il sonno estatico, e colui che è sottoposto al trattamento durante questo sonno rivelerà quello che gli potrà giovare. Ma quanto egli prescriverà dovrà essere accuratamente fatto, e dopo qualche tempo il paziente migliorerà; certo però non così rapidamente come avverrebbe se un uomo spiritualmente perfetto gli imponesse le mani colme di benedizione, perché in quest’ultimo caso la guarigione può e deve avvenire immediatamente.
8. Ognuno può così facilmente convincersi che nel sonno estatico anche l'anima più sciocca, perfino quella di un fanciullo, può proferire parole sagge, perché durante quel tempo essa si congiunge al proprio germe di vita più profondamente spirituale. Quando poi, cessato il sonno estatico, l'intimissimo germe vitale è ritornato al suo stato di riposo, allora l'anima si risveglia nuovamente nella propria carne, e di tutto quanto è successo e di quanto fu da essa enunciato non sa più nulla. E ciò appunto dimostra che un'anima non può mai essere tanto guasta e corrotta da rendere la guarigione assolutamente impossibile».
Il Signore rende noto un esempio pratico di induzione al sonno estatico.
1. (Il Signore:) «Affinché però voi possiate constatare ciò anche praticamente, Io ora disporrò le cose in modo che una persona di questo genere, oltremodo sciocca e quanto mai maligna, si trovi indotta a venire qui da Cesarea di Filippo. Essa verrà sottoposta da uno di voi al trattamento suddetto, e vedrete ed udrete quale e quanta meravigliosa sapienza vi rivelerà quest'uomo, che è tenebroso e maligno, durante il sonno estatico; ma quando poi si sarà risvegliato, vi troverete dinanzi perfettamente allo stesso individuo tenebroso e maligno di prima. Avremo poi da fare una non lieve fatica per instillargli qualche concetto un po' più chiaro di Dio e degli uomini»
2. Dice Cirenio: «Signore! Io mi rallegro oltremodo già in anticipo di ciò, perché penso che vi saranno moltissime esperienze da fare e molto da imparare! Quest'uomo si trova forse già in cammino per raggiungerci?»
3. Rispondo Io: «Sì, egli ti sta cercando e ti domanderà goffamente soccorso, perché in occasione dell'incendio scoppiato a Cesarea egli ha perso la sua capanna, nonché due pecore, una capra ed un asino. Avendo però appreso che tu ti trovi qui e che vieni in aiuto ai danneggiati, quest'uomo assai malvagio e del resto sciocco si è messo in cammino verso questo luogo appunto allo scopo di venire risarcito da te del danno subìto. Veramente, per quanto egli sia un poveraccio, il danno da lui subìto non è tanto grave quanto egli vuole fare credere, perché le due pecore le ha rubate ad un altro due giorni prima che l'incendio scoppiasse, mentre l'asino e la capra li fece diventare di sua proprietà nella stessa maniera già un anno fa.
4. Dunque, già da quanto ti ho detto finora ti rendi conto che il nuovo ospite che sta per arrivare è un briccone abbastanza matricolato, ma nello stesso tempo anche stoltissimo, e questo in tali individui avviene a causa della loro avidità cieca e animalesca. Egli avrebbe potuto salvare molto facilmente la sua capanna insieme a tutti i suoi averi, ma, mentre infuriava l'incendio, egli stava strisciando quatto quatto dappertutto nell'intento di appropriarsi di qualcosa per vie illegali, però non è riuscito a trovare nulla. Quando, tutto indispettito, volle rincasare, trovò la sua capanna completamente in preda alle fiamme e i suoi quattro animali già bruciati fino alle ossa.
5. Fino ad oggi egli ha fatto grandi lamenti sulla sua capanna, ma quando un'ora fa venne a sapere che tu ti trovi qui, per le ragioni sopra esposte si è deciso, dopo non troppo lunga riflessione, a venire a dare un'occhiata per vedere se tu ti trovi realmente qui e se tu effettivamente risarcisci i danni.
6. Affinché dunque tu possa sapere già fin d'ora con che genere di persona noi avremo ben presto a che fare e come dovrai comportarti per lo meno all’inizio, te l’ho descritto un po' a grandi linee e in anticipo; tutto il resto, che è più interessante, l'apprenderai poi da lui stesso»
7. Domanda Cirenio: «Devo proprio assegnargli qualche risarcimento?»
8. Dico Io: «Per il momento no; prima bisognerà che tu lo interroghi in modo puramente romano, e solo dopo l’ipnosi, se egli acquisterà un aspetto un po’ più umano, si potrà procedere corrispondentemente. Zinca però sarà incaricato di operare su di lui, perché egli possiede, più degli altri, la forza necessaria per questo. Prima di cominciare Io gli imporrò le Mie Mani, affinché gliene derivi tanta maggior forza, e l'operazione possa avere tanta migliore riuscita».
9. Zinca, il quale per non perdere nemmeno una sillaba di quanto Io dicevo, stava sempre accanto a Me, si fece innanzi e disse: «Signore, ma come potrò io fare questo, essendo quasi del tutto ignaro del modo di procedere?»
10. Gli dico Io: «Ponigli la mano destra sulla fronte e la sinistra sulla bocca dello stomaco, ed egli passerà ben presto allo stato di sonno come detto prima, e inizierà anche poco dopo a parlare, però con voce più debole che nello stato naturale. Quando vorrai ridestarlo, basterà che tu gli imponga le mani semplicemente nell'ordine inverso, tenendole ferme per alcuni momenti, ma non appena egli si sarà risvegliato, ritirerai le tue mani e l'operazione sarà finita»
11. Zinca è ora pienamente d'accordo su tutto, ed è anche colmo della più ferma fede che in tale modo tutto gli riuscirà perfettamente. Egli stesso dunque attende ansiosamente il suo uomo, tuttavia egli Mi domanda ancora se dovrà iniziare l'operazione immediatamente al suo arrivo, oppure se dovrà attendere qualche cenno.
12. Ed Io gli dico: «Ti avvertirò Io quando la cosa sarà pronta. È necessario che prima voi impariate a conoscere la sua stupidità e la sua rozzezza, cioè il grado avanzato di malattia in cui si trova la sua anima. Quando lo avrete riconosciuto a sufficienza, allora soltanto sarà giunto il momento di osservare la sua anima nello stato sano, al fine di convincervi che voi uomini non dovete giudicare né dannare completamente nessuno, per quanto possa sembrare abbietto e scellerato, perché in ciascuna anima dimora sempre ancora in sé un germe vitale sano. Ma ora preparatevi e fate attenzione: egli sarà ben presto qui!».
Il cittadino Zorel, rovinato dall'incendio, chiede il risarcimento dei danni.
1. Io ho appena finito di parlare, quando arriva il nostro uomo, di nome Zorel, molto malandato nell'aspetto, avvolto in cenci semibruciati e facendo un grande chiasso.
2. Io faccio cenno a Giulio che gli vada incontro e gli chieda che cosa voglia e cosa vada cercando lì nelle ore pomeridiane. Giulio gli si avvicina con aspetto serissimo e fa come Io gli ho suggerito.
3. Zorel gli si presenta e dice con voce ferma: «Io sono un cittadino di Cesarea completamente rovinato dall'incendio, ed ho appreso solo quest'oggi che il grande Cirenio si trova qui e che ha abbondanti mezzi a disposizione per venire in soccorso ai danneggiati. Io mi sono dunque fatto coraggio e sono venuto per assicurarmi innanzitutto se è vero che Cirenio si trova qui, e poi se egli faccia veramente qualcosa a vantaggio dei danneggiati! Se egli fa qualcosa secondo il nobile costume romano, certamente nemmeno io avrò fatto la mia strada invano, ma se per una ragione qualsiasi egli non concede nulla, beh, allora egli certo non farà eccezione per me, ed io non avrò niente. Perciò dimmi tu, o nobile romano, se Cirenio si trova qui e se egli, come ho sentito, faccia della beneficenza, affinché io mi rechi da lui e lo preghi di soccorrermi!»
4. Dice Giulio: «Sì, egli si trova qui e fa molte beneficenze, ma soltanto a coloro che gli sono noti quali persone di reputazione assolutamente irreprensibile! Se questo, come non dubito, è anche il tuo caso, tu non te ne andrai da qui a mani vuote! Egli siede ora a quella lunga tavola, ombreggiata da alti cipressi e da cedri, e da udienza a chiunque; va dunque da lui e presentati! Vedi però di concentrarti con tutta serietà, perché egli ha la vista acuta come un'aquila e talvolta indovina il carattere di un uomo già al primo sguardo; quando ha riconosciuto una cosa, questa vale per lui come verità assoluta, e guai a colui che lo contraddice a tale riguardo! Per di più non è mai tanto scrupoloso come quando fa delle elargizioni!»
5. Zorel, a questo preambolo, si mette a pensare ed a riflettere lungamente su che cosa debba fare in tali circostanze! Dopo un certo tempo egli decide tuttavia di recarsi da Cirenio, e lo fa zoppicando, e questo è in realtà una sua stupida finzione. Arrivato da Cirenio, egli si inchina tre volte, abbassando la testa fino a terra, e, dopo aver finito il terzo inchino, dice con voce tremante e stridula: «Alto signore ed illustrissimo governatore! Io, Zorel, già cittadino dell'incendiata Cesarea di Filippo, prego la vostra romana signoria illustrissima di voler soccorrere me, povero fauno di un uomo rovinato, con un po’ del più volgare denaro e con qualche capo di vestiario, in quanto io tengo addosso soltanto questi stracci.
6. Io ero il legittimo proprietario di una piccola capanna con annessi due jugeri (11.509 mq) di magro campo. Avevo anche una moglie che gli dèi, due anni fa, hanno voluto accogliere certamente nell'Elisio. Figli non ne ebbi; rimase presso di me una serva con la quale convivo tuttora, ma neanche da lei ho avuto figli. La mia sostanza mobile consisteva in due pecore, una capra ed un asino, alcuni miseri arnesi rurali e un po' di vestiario. Ma tutto ciò cadde preda delle fiamme, mentre io ero occupato a combattere il fuoco in altre case.
7. E adesso io sono, al pari di tanti altri, completamente ridotto all’elemosina; perfino la mia serva, che era l'unico sostegno della mia vita, mi ha abbandonato perché non potevo darle più nulla, ma me la pagherà! Perché se mai avrò la straordinaria fortuna di venire in possesso di qualcos'altro, saprò ben mostrare la porta a colei che mi ha piantato così.
8. In generale, per tutto il resto della mia vita mi propongo di fuggire e disprezzare tutto quanto ha nome di donna, poiché non vi è donna che valga qualcosa. Di me si ha veramente l'opinione che io sia uno stupido animale e che io non sappia affatto trattare con le donne; si dice pure che mia moglie sia morta di crepacuore! Ma se questo fosse stato realmente il caso, io non avrei fatto un anno di cordoglio per lei, e la mia serva stava pure volentieri presso di me finché non mi è capitata quest'ultima disgrazia, quantunque io non potessi darle granché di salario!
9. Parlando in generale, bisogna dire che è proprio una vergogna che l'uomo debba nascere da una donna, e per conto mio sarebbe la cosa più onorevole se chi mi ha partorito fosse stata un'orsa!
10. Per quanto gli dèi abbiano saputo organizzare tutto saggiamente, tuttavia con le donne hanno commesso un errore tale che non torna sicuramente a loro onore. Però a Giove gli sta proprio bene se Giunone gliene combina una delle sue ad ogni momento! Insomma, sembra che l'intera accolita degli dèi non sia ancora giunta al grado di serietà voluto, altrimenti non sarebbe possibile che di quando in quando si facessero tra loro degli scherzi sciocchissimi che stanno al disotto della dignità umana!
11. Del resto io sono credente, ed onoro gli dèi per quegli ordinamenti saggi che hanno dato al mondo, ma laddove cominciano a puzzare addirittura di stupidità, non posso certo essere loro amico. Sarebbe stato possibile che la nostra città avesse preso fuoco, se Apollo non avesse nuovamente fatto qualche suo stupido tiro? Come anche asseriscono nel modo più assoluto i nostri saggi sacerdoti, egli dovrebbe essersi incapricciato di qualche leggiadra ninfa terrena; forse egli le ha fatto addirittura una sconcia visita, lasciando abbandonato a sé il carro celeste con i focosi destrieri, e nel frattempo Giunone o Diana gli hanno fatto qualche brutta burla; ma intanto noi, poveri fauni, dobbiamo farne le spese!
12. Che di quando in quando un uomo venga sopraffatto dalla debolezza, di solito per mancanza di sufficiente esperienza, è comprensibile; che colpa ha la debole canna quando viene scossa di qua e di là dai venti? Ma quando cedri maestosi, simbolo dei nostri amati dèi, si lasciano anch'essi piegare e curvare, al pari di una canna, dai miseri venti della Terra in tutte le direzioni, a volte anche nella direzione più sconcia, questa cosa non è comprensibile, e chiunque, per poco lucido che abbia il cervello, non potrà necessariamente reputarla che molto sciocca!
13. Qui non c'è dio che tenga! Se egli agisce saggiamente, come si addice a un dio, è certo degno di ogni adorazione; ma quando talvolta agisce come un debole mortale qualunque e noi poveracci, senza nostra colpa, dobbiamo pagare lo scotto per i brutti tiri che gli dèi compiono con tutta leggerezza, allora non si può dire altro che questa è una sciocchezza anche per un dio, e per conseguenza io non posso rendergli né lode né onore.
14. Ora tu, o illustrissimo signore e propriamente forse un po’ semidio, dovrai pur convenire che la colpa della mia disgrazia fu puramente degli dèi, e specialmente di Apollo innamorato; perciò io ti supplico di risarcirmi il danno subìto».
Il concetto di proprietà di Zorel.
1. Chiede Cirenio: «Quanto desideri dunque che io ti dia?»
2. Dice Zorel: «Non troppo poco, ma anche non troppo; basta che io possa ricostruire quello che ho perso, ed io sarò più che soddisfatto!»
3. Dice Cirenio: «Conosci anche le leggi di Roma che sono state date ai popoli a tutela della proprietà da essi acquisite?»
4. Risponde Zorel: «Oh, sì, non tutte veramente come un giudice dotto nel diritto, ma alcune tuttavia le conosco, ed a quelle che mi sono note non ho ancora mai recato offesa. Ma un peccato commesso contro delle leggi sconosciute non ha di per sé alcun significato!
5. Del resto io sono un greco, e noi greci non abbiamo mai interpretato troppo seriamente ed esattamente le leggi che riguardano una rigida divisione fra mio e tuo, poiché noi siamo più propensi alla proprietà comune che non a quella individuale. Infatti la proprietà comune genera amorevolezza, fratellanza, onestà vera e duratura, ed assenza di ogni ambizione fra gli uomini, ciò che certamente è una cosa molto buona. Invece la proprietà privata è sempre causa di avidità, invidia, avarizia, povertà, furto, rapina, assassinio e della più smodata ambizione, dalla quale infine escono come da un vaso di Pandora tutte le miserie che affliggono l'umanità di questa Terra.
6. Se non esistessero leggi esageratamente severe a tutela della proprietà individuale, allora anche i furti e le frodi di ogni genere si verificherebbero in proporzioni molto minori. Io dico e sostengo che le leggi a protezione della proprietà individuale rappresentano il campo ben concimato sul quale prosperano e maturano tutti i vizi possibili ed immaginabili, mentre con la proprietà comune non possono mai trovare alimento l'invidia, l’avidità, l'astio, la diffamazione, la frode, il furto, la rapina, l'assassinio e neppure le guerre ed altre calamità di questo genere!
7. Ora, siccome io ho sempre riconosciuto e riconosco tuttora che le leggi a protezione della proprietà individuale sono un vero abominio devastante per la convivenza amichevole e fraterna, non mi sono mai fatto particolari problemi di coscienza, almeno per quanto riguarda le cose di poco conto, quando ho potuto procurarmele in modo illegale; se qualcuno talvolta si è preso in prestito da me qualcosa nello stesso modo illegale, io certamente non ho mai proceduto contro di lui.
8. La mia capanna e il mio campo mi appartengono legalmente; per quanto poi riguarda quello che vi si trovava dentro di mia proprietà mobile, per i motivi anzidetti, io non ho mai osservato la cosa tanto alla lettera, perché io sono uno spartano. A chi conosce Sparta e le sue antiche savissime leggi, riuscirà chiaro per quale motivo io non mi sia mai fatto degli speciali scrupoli per un piccolo cosiddetto furto. Ambedue le pecore, la capra e l'asino, pur non essendo veramente acquistati, non potevano nemmeno dirsi proprio rubati al loro proprietario, perché io li ho trovati nel bosco che pascolavano liberamente come allo stato selvaggio, non proprio tutti in una volta sola, ma a poco a poco. Il possessore di quei grandi pascoli è anche proprietario di parecchie migliaia di simili animali. La piccola perdita dunque non lo ha certo danneggiato granché, mentre a me la cosa venne quanto mai a proposito!
9. Con ciò non ho sicuramente violato in maniera troppo violenta le leggi romane a tutela della proprietà, tanto più in quanto i sopracitati animali io li ho trovati vaganti isolatamente nel bosco lungo e largo parecchie ore di cammino, e perciò erano comunque da considerarsi perduti per il loro proprietario legittimo. Del resto, la spigolatura è permessa perfino presso gli ebrei, i quali pretendono di aver ricevuto a tale riguardo una legge dal Dio supremo; perché dunque questa cosa dovrebbe venire considerata un delitto presso i romani?
10. Soltanto con la spada in mano ai potenti della Terra, dunque con la forza selvaggia dell'orso e del leone, è possibile difendere una simile legge insensata a protezione della proprietà individuale, ma mai con la ragione, e siano pure tutti i diecimila dèi favorevoli a questa legge, io vi sono e vi sarò contrario finché vivrò con la facoltà di poter pensare così lucidamente come penso ora e come ho pensato sempre.
11. Tu, o illustre signore, hai bensì il potere che la spada ti conferisce, e puoi punire me, povero fauno, secondo il tuo piacere, ma con tutte le armi di Roma non riuscirai mai a curvare le linee diritte dei miei principi fondamentali della vita. Se tu hai però altre valide ragioni a giustificazione del possesso strettamente legale, io le ascolterò volentieri, e sono pronto a conformarvi la mia futura condotta di vita».
Zorel deve sentire la verità.
1. Cirenio, oltremodo meravigliato, Mi dice a voce alquanto bassa: «Signore! Tu prima mi avevi avvertito che quest'uomo era grossolanamente stupido e maligno, ma ora invece egli parla e ragiona come uno fra i primi avvocati pagani! A dire il vero, il Giudaismo ha fatto poca presa su di lui; però nelle nostre leggi e in quelle dell'antica Grecia egli è altrettanto versato quanto uno di noi, ed assolutamente non gli si può obiettare gran cosa! Io mi attendevo da lui qualche sortita volgarissima e sciocca, ma invano; egli anzi diventa sempre più lucido nelle sue idee, e difende il suo furto in maniera tale che non resta proprio quasi nulla da ribattergli! A che risultato si potrà arrivare con lui in tali condizioni?»
2. Dico Io: «Non farci caso, egli stesso contraddirà fra poco, nel modo più evidente, tutto ciò che, secondo le sue sciocche idee, trova ora perfettamente giusto e ragionevole. Tu continua pure ad esaminarlo, perché a Me sta molto a cuore che impariate a distinguere in maniera proprio ben chiara la differenza che corre fra le ragioni concepite dal cosiddetto senso comune umano e quelle concepite dall'intelligenza»
3. Dice Cirenio: «E sia pure; sono però curiosissimo di vedere come andrà a finire la cosa!»
4. Domanda allora Zorel: «Illustre governatore di Roma! Che cosa posso e devo aspettarmi? Condividi le mie vedute, oppure devo uniformarmi io alle tue, che però non hai ancora esposte?»
5. Dice Cirenio: «Prima di dichiararti se accondiscendo o meno al tuo desiderio, avremo ancora qualche parola da scambiare. Tu mi sembri un tipo particolare dotato di ingegno naturale e di lingua sciolta, e la tua onorabilità mi pare alquanto discutibile! Che tu abbia trovato i quattro animali precisamente come tu dici, cioè vaganti nel grande bosco, oppure forse in un altro luogo qualunque, ma comunque perduti per il loro legittimo padrone, e che tu abbia o meno rinvenuto in modo così semplice anche i tuoi utensili domestici e gli arnesi rurali, ebbene, lasciamo per il momento da parte questa faccenda. Ma io devo dirti ora qualcos'altro, e precisamente che qui adesso in mia compagnia, come pure in altri luoghi, ci sono delle persone tanto chiaroveggenti, le quali hanno già dimostrato mille volte questa loro chiaroveggenza, ed io presto alle loro schiettissime asserzioni una fede tale da non poter venire scossa nemmeno da centomila prove contrarie.
6. Ebbene, una di queste persone mi rivelò, quando tu potevi appena appena avere lasciato la città, che tu saresti venuto qui e quello che mi avresti domandato. Io dunque sapevo - già prima di vederti - della disgrazia che ti è successa, però io ho saputo anche che tu avresti facilmente potuto evitarla se fossi rimasto a casa tua. Ma i tuoi concetti illegali sul diritto di possesso ti spinsero nelle strade della città che bruciava, allo scopo di fare tuo qualcosa in qualche modo per vie illegali; nel frattempo il fuoco si appiccò alla tua capanna di paglia e distrusse rapidamente le tue proprietà illegittime. Che, in questa occasione, la tua serva ti abbia piantato è cosa comprensibile, dato che lei ti conosce per un uomo di cui non ci si può assolutamente fidare in circostanze simili!
7. Infatti, mentre tu ti mostri assai contrario alla proprietà individuale legale quando si tratta di altri, pretendi invece che questa in casa tua rimanga del tutto indisturbata e pienamente al sicuro. Ora però il fuoco ha distrutto illegalmente la tua proprietà, ma tu non puoi chiamarlo rigidamente a risponderne, perché questo non potrebbe di certo né darti soddisfazione né risponderti; perciò te la saresti presa invece con la tua serva nel modo più crudele, e lei avrebbe dovuto risarcirti del danno subito a costo della vita, tra ogni genere di maltrattamenti, perché tu avresti fermamente sostenuto che il fuoco ti ha distrutto ogni cosa solo a causa della sua negligenza.
8. Vedi, gli uomini di cui ho detto prima affermavano anticipatamente anche altre cose sul tuo conto, ed io presto la massima fede a questi uomini, molto più ancora che a tutti gli dèi di Roma e di Atene! Ma nelle nostre leggi vi è un detto che suona: Audiatur et altera pars! (Che venga ascoltata anche la controparte!) e per conseguenza ti è lecito di produrre una controprova. Esponi dunque a tua giustificazione ciò che sai e che puoi; da parte mia ascolterò tutto con la più grande pazienza».
Zorel prega di poter andarsene liberamente.
1. Dice Zorel dopo qualche momento di riflessione: «Eccelso governatore! Se tu già anticipatamente asserisci di volere e di dovere prestare più fede ad uno dei tuoi indovini, già messi più volte alla prova, che non a centomila altri testimoni, io vorrei pur sapere a che cosa servirebbe da parte mia una replica che sarebbe da considerarsi folle in ogni caso; infatti, contro la tua fede immutabile, qualunque siano le ragioni sulle quali si fonda, è assolutamente impossibile produrre una qualche controprova. Inoltre tu hai nelle tue mani il potere; chi mai potrebbe litigare con te?
2. A che mi giova se anche ti dichiaro nel modo più deciso che le cose non stanno tuttavia in questi termini? Tu mi presenterai allora il tuo indovino il quale mi dirà ancora una volta in faccia quello che mi hai già detto tu, ed io mi troverò a non sapere cosa replicare. A farla breve, con la tua fede a prova di centomila testimoni che la mettono in discussione, non c’è altro da fare che lasciartela con le buone, poiché tu presterai sempre maggiore fede all'indovino che non a tutte le centomila prove contrarie che io potrei produrti! Con tali premesse, o eccelso governatore, io penso di non aver più altro da fare che chiederti perdono di essermi avvicinato a te!
3. In quanto al resto io rimango fermo al mio principio: la proprietà individuale, tutelata da leggi severamente sanzionate, è per l’umanità mille volte peggiore della libera proprietà comune. Le mie ragioni contro questo autentico vaso di Pandora le ho già esposte, e non c'è quindi più bisogno di ripeterle. Questo soltanto ritengo ancora di aggiungere: per il futuro rinuncerò a mettere in pratica i miei principi riguardo al fatale “così deve essere” della brutale forza esteriore!
4. Certo è che io non scorgo, nelle leggi che tutelano la proprietà, alcuna salvezza per la povera umanità, anzi, secondo me rappresentano veramente quello che vi è di più contrario alla ragione; ma che cosa può fare un singolo uomo avvolto nei più miseri cenci contro centomila volte centinaia di migliaia? Non è escluso che col sistema del possesso legale sia possibile ovviare a certi piccoli malanni risultanti da quello della proprietà comune, perché non c'è male il quale non porti con sé qualcosa di bene, ma la possibilità di ovviare a piccoli malanni non è affatto proporzionata con gli abomini che devono derivare dal sistema di un possesso individuale minato nelle fondamenta.
5. E con ciò io ho finito. Da come stanno le cose qui non ho assolutamente niente di buono da attendermi, e così sarà meglio che con la tua gentile concessione io me ne vada. Naturalmente, però, sempre col tuo consenso! Infatti, secondo le affermazioni - gli dèi sanno con quanta apparenza di verità contro di me - di cui i tuoi indovini ti avranno riempito gli orecchi, io sono al tuo cospetto un delinquente, e i delinquenti devono certamente essere puniti prima di essere messi nuovamente in libertà. La legge deve prima essere saziata col sangue di un povero fauno, e solo dopo egli può essere lasciato di nuovo libero.
6. Ma se secondo le tue idee io ti appaio come un delinquente degno di punizione, allora puniscimi subito e fammi riavere poi la libertà, oppure la morte! Per me ormai è lo stesso, perché ti sto dinanzi perfettamente inerme; voi romani però avete dettato e ancora dettate rigidamente legge, e nessuno può proteggere la propria ragione e le proprie necessità dalla vendetta delle vostre leggi! Dimmi, o eccelso governatore, posso andarmene come sono venuto, oppure devo attendere qui la punizione che mi verrà inflitta?».
Le condizioni preliminari per l’ipnosi.
1. Risponde Cirenio in tono serio, ma nello stesso tempo umano e dolce: «Non ti è concesso andartene, ma neppure devi fermarti qui per attendere una punizione, bensì solo per la tua salvezza! Noi romani non abbiamo mai trovato piacere nella punizione dei peccatori, ma soltanto nel loro vero e completo ravvedimento. Se questo può venire ottenuto senza far ricorso alla sferza, ci è sempre cosa molto più gradita! Alla verga ricorriamo solo quando tutti gli altri mezzi si dimostrano inutili. E così pure nessuno viene chiamato a rispondere con la massima severità di un peccato commesso la prima volta contro la vigente legge salutare. Ciò avviene soltanto qualora il medesimo peccato venga commesso ripetute volte, sia per troppa leggerezza, sia - ciò che è ancora più deplorevole e dannoso - intenzionalmente. Chiunque, intenzionalmente, commetta ripetutamente un peccato, deve venire anche adeguatamente punito.
2. Tu però, secondo i tuoi vecchi principi spartani, hai peccato soltanto per necessità, e ti trovi ora per la prima volta dinanzi ad un giudice! Solamente per questo motivo dunque non verrai né maledetto né giudicato, ma tu devi ora riconoscere quello che vi è in te di maligno e di sciocco, e devi rinunciarvi! La tua anima molto ammalata verrà guarita e tu devi imparare a comprendere la benedizione delle savie leggi, e solo dopo devi cominciare con ferma volontà ad agire conformemente ad esse; soltanto allora potrai andartene da qui perfettamente liberato anche in te stesso, e avrai grande gioia nella coscienza di essere diventato un uomo veramente puro e libero.
3. Ma affinché si possa ottenere una tale guarigione, la persona che si trova in nostra compagnia, fisicamente pura e spiritualmente forte, imporrà le sue mani salutari sul tuo capo e sul tuo petto, e sarà appunto questa soavissima operazione che risveglierà e rianimerà in te stesso quei concetti rimasti finora assopiti, e soltanto da essi potrai riconoscere la bontà delle leggi di Roma ispirate all'ordine e severamente sanzionate, e ne avrai poi tu stesso compiacimento! Sei d'accordo con me?»
4. Dice Zorel alquanto più rasserenato in volto: «Illustre signore ed elevatissimo governatore, io già fin d’ora mi dichiaro d'accordo con tutto ciò che non vuole dire percosse, decapitazioni o addirittura crocifissione! Che però un simile trattamento possa essere tale da indurmi ad accettare princìpi migliori e più ragionevoli, non posso garantirlo completamente, perché un albero vecchio non si può tanto facilmente piegare! D'altro canto non voglio proprio disperare del tutto del fatto che ci sia questa possibilità! Ma dove si trova l'uomo che mi imporrà le sue mani piene di forza?»
5. Cirenio si volge di fianco verso di Me, e Mi domanda se è giunto il momento buono.
6. Ed Io gli rispondo: «Ancora un po' di pazienza; lascia adesso all'anima ancora qualche tempo per la digestione! Quest'uomo si trova ora in un tumulto di pensieri e non sarebbe bene indurlo così nel sonno estatico; inoltre, anche Zinca non deve venirgli indicato come il prescelto finché non sarà esattamente giunto il momento opportuno! Mi riservo Io di avvisarvi»
7. Dopo queste Mie parole e questa Mia decisione, tutti si mantengono per un certo tempo silenziosi, e il nostro Zinca attende con ansiosa gioia un Mio cenno per cominciare l'operazione su Zorel. Frattanto ogni genere di pensieri si affollano nella mente di quest’ultimo, occupato com'è ad indovinare che cosa si vorrà fare con lui: qualcosa di buono forse o - cosa che gli sembra più probabile - qualcosa di cattivo. Ma poi, dopo aver scrutato una per una le nostre facce, dice fra sé e sé: «No, da questa gente non traspare nessuna insidia e ci si può fidare di loro! Essi potranno fare soltanto del bene, ma mai del male!»
8. Tale processo di preparazione era ora necessario, e doveva svolgersi in lui stesso prima dell'imminente trattamento. Infatti, senza di esso l'imposizione delle mani da parte del nostro Zinca sarebbe stata una vana fatica, perché nei casi di operazioni simili, il soggetto stesso deve innanzitutto passare attraverso un certo stadio di fede e di fiducia; altrimenti non sarebbe possibile indurlo facilmente nel salutare sonno estatico anche se si riversasse su di lui la forza sostanziale animica nel grado più alto che è umanamente possibile.
9. La cosa è certamente del tutto diversa quando invece chi opera è un uomo perfettamente rinato dallo spirito e nello spirito! Quest’ultimo, come Io stesso, non deve fare altro che eccitare la propria volontà e l'atto della guarigione è compiuto! Ma nel caso in cui chi vuole sottoporre un ammalato ad un simile trattamento non sia ancora perfettamente rinato, è necessario che il soggetto si desti e si animi prima del trattamento, altrimenti, come già osservato prima, questa sarebbe tutta fatica sprecata.
10. Però ora il nostro Zorel è ormai maturo, ed Io faccio subito a Zinca il segnale convenuto affinché gli imponga le mani.
Zorel riconosce se stesso.
1. Io faccio dunque un cenno a Zinca, ed egli si avvicina subito a Zorel e gli dice: «Fratello, il Signore, che è onnipotente e pieno di Misericordia, di Bontà, di Amore e di Sapienza, vuole che ti guarisca con la semplice imposizione delle mie mani piene di forza vitale. Non temere nulla, ma abbi invece fiducia, e diventerai poi un altro uomo; ed allora niente ti verrà rifiutato di quanto potrà servire alla tua vera salute corporale e spirituale! Se tu lo vuoi e se hai fiducia in me, tuo vero amico e fratello, lascia che io imponga le mie mani su di te!»
2. Dice Zorel: «Amico, con questo linguaggio sincero, anche se tu mi mandassi nel Tartaro, io vi andrei! Quindi, imponi senz'altro le tue mani di vero fratello su di me come e dove meglio ti è gradito, ed io non ti opporrò resistenza!»
3. Dice Zinca: «Ebbene, così sia, siediti allora su questa panca ed io ti farò compenetrare dalla Potenza di Dio!»
4. Chiede Zorel: «Di quale Dio? Intendi forse parlare di Giove, di Apollo, di Marte, di Mercurio oppure di Vulcano, di Plutone o di Nettuno? Ti prego soltanto di lasciare da parte Plutone, poiché io non mi sentirei davvero di venire compenetrato dalla sua forza tempestosa!»
5. Risponde Zinca: «Lascia stare gli dèi, che non esistono in nessun altro luogo se non nella fantasia dell'umanità da tanto tempo cieca! Non esiste che un vero Dio soltanto, e Costui è il grande Dio a voi sconosciuto, al Quale voi pagani avete bensì edificato templi dappertutto, ma che non avete finora mai riconosciuto. Ora però è giunto il tempo in cui a voi pure sarà dato di conoscere quest'unico, vero Dio! Ed ecco che appunto la Grazia e la Forza di questo Dio si riverseranno ora su di te appena io ti imporrò le mie mani!»
6. Dice Zorel: «Ebbene, se è così, allora esegui pure tutto senza indugiare e nella migliore maniera a te nota!»
7. A questo punto Zinca impone a Zorel le mani nel modo prima descritto, e Zorel cade subito nel sonno estatico.
8. Trascorre così in silenzio un buon quarto d'ora, e poi Zorel, che dorme profondamente e tiene gli occhi strettamente chiusi, comincia a parlare: «O Dio, o Dio, quanto sono miserabile e perfido, e quanto onesto e retto potrei essere se lo volessi; ma qui sta appunto la maledizione dei peccati della menzogna e dell'orgoglio, i quali sono veramente i peccati fondamentali che si riproducono e si moltiplicano sempre di nuovo da se stessi come l'erba della terra e come la sabbia del mare!
9. O Dio! Io ho così tanti peccati e tante macchie sulla mia anima che non riesco nemmeno a scorgere la mia pelle a causa di tali peccati, anzi, nel furore dei miei innumerevoli peccati, io mi trovo come immerso in un fumo e in una nebbia densissimi!
10. O Dio, o Dio, chi mai potrà liberarmi dai miei peccati? Io sono un ladro matricolato, io sono un mentitore, e quando ho una volta mentito, continuo sempre di nuovo a mentire per rafforzare la vecchia menzogna con la nuova e per farla apparire sotto un qualche aspetto di verità. Oh, l'orribile bestia bugiarda che sono! Tutto quello che possiedo, l'ho fatto mio soltanto con la menzogna, con l'inganno e col furto, sia clandestinamente sia apertamente!
11. Certo, nella mia immensa cecità io non ho mai ritenuto che tutto ciò fosse peccato, eppure ebbi spesso l'occasione di farmi convincere dalla verità, ma non l’ho mai voluto! Io mettevo sempre dinanzi Sparta e Licurgo e disprezzavo continuamente le savie e giuste leggi di Roma! Oh, che volgare ed abominevole briccone sono io!
12. Ebbene sì, l'unica consolazione che ancora mi rimane è quella che finora non ho assassinato nessuno; ma non c'è mancato molto! Se la mia serva non avesse preso il volo prima che io fossi rincasato, lei sarebbe stata la misera vittima del mio furore diabolico!
13. Oh, io sono un mostro spaventoso! Sono peggiore di un orso, peggiore di un leone, peggiore di una tigre, peggiore di una iena, molto peggiore di un lupo e molto ma molto peggiore di una scrofa selvatica! Infatti, io sono anche astuto come la volpe, ed è questo che mi da l'impronta di un vero demonio mascherato!
14. Oh, io sono davvero molto ammalato nella mia anima! E tu, fratello Zinca, difficilmente potrai guarirmi; forse non lo potrai affatto!
15. Ora però si fa un po' più chiaro in me, e il fumo densissimo e la fitta nebbia da cui sono circondato iniziano a svanire! Ecco, essi si diradano sempre di più, e mi pare di respirare con maggiore facilità; ma appunto in questo maggior chiarore io posso scorgere ora la forma veramente mostruosa della mia persona ricoperta di lebbra, piena di bubboni e di tumori schifosi! Ahimè! La mia figura è un vero orrore! Dov'è il medico che possa guarirmi? Certo, il mio pessimo corpo è sano, ma il pessimo corpo non avrebbe nessuna importanza, purché la mia anima fosse sana!
16. O Dio! Se qualcuno potesse vedere la mia anima, inorridirebbe, tanto spaventosa è la sua bruttezza! Quanto più chiaro si fa intorno a me, tanto più ributtante appare la mia anima. Fratello Zinca, non vi è dunque alcun rimedio con cui dare alla mia anima un aspetto un po’ migliore?».
L’anima di Zorel si purifica.
1. A questo punto Zorel comincia a sospirare nel suo sonno, ed alcuni ritengono che egli stia per svegliarsi.
2. Io però dico a tutti loro: «Oh, niente affatto! Questo non era che il primo stadio del suo sonno; egli dormirà ancora per un'ora buona, e ben presto ricomincerà a parlare in un altro stadio di vita più elevato della sua anima. Questo primo stadio consisteva nello svincolarsi dell'anima dalle proprie passioni carnali e mondano-sensuali che egli dovette percepire e constatare come malattie sulla forma corporea della sua anima, le quali a loro volta dovettero suscitare in lui un profondo orrore. Per simili malattie dell'anima non vi è però altro rimedio che, in primo luogo, il riconoscerle, poi aborrirle dal più profondo dell'anima, ed infine volere fortemente liberarsene del tutto al più presto possibile. Una volta che la volontà si è affermata, allora la guarigione procede con facilità.
3. Fate dunque attenzione ora: egli comincerà subito a parlare nuovamente. Se egli ti chiede di nuovo qualcosa, amico Zinca, rispondigli semplicemente col pensiero, ed egli ti udrà e ti comprenderà molto bene!»
4. Io ho appena finito di dare queste istruzioni a Zinca, che già Zorel ricomincia a parlare, e dice: «Ecco, io ho pianto sulla mia grande miseria! Dalle mie lacrime si è formata una piscina come quella di Siloe in Gerusalemme, ed io sto bagnandomi ora in questa piscina, ed ecco, la sua acqua guarisce le numerose ferite, le ulcerazioni e i bubboni sul corpo della mia anima! Oh, sì! Questo è un vero bagno salutare! Io certo scorgo tuttora le cicatrici, ma i bubboni, le ferite e le ulcerazioni sono spariti dal corpo della mia anima così tanto meschina. Ma come è stato possibile che dalle mie lacrime si sia formata visibilmente un’intera piscina?
5. Dei dintorni splendidi la circondano; questa è la regione della consolazione e di una soave speranza. Io sento anche in me come se io potessi sperare in una completa guarigione. Ah, quanto è ameno questo luogo; io vorrei rimanervi per sempre! L'acqua nella mia piscina adesso è molto chiara, mentre prima era tanto torbida, e quanto più chiara diviene, tanto più ha un effetto salutare su di me!
6. Ah, ora però io sento pure che qualcosa come una forte volontà comincia a muoversi in me, e dietro a questa forte volontà percepisco qualcosa come un impulso a parlare, e le parole sono: “Io voglio, io devo,- devo, perché voglio!”. Chi mai può impedire in me quello che voglio? Io sono libero nella mia volontà; non è che io possa volere solo ciò che devo, ma io voglio quello che io stesso voglio! Il vero e il buono, ecco quello che voglio, perché io stesso voglio volerlo e nessuno mi ci può costringere!
7. Io riconosco ora la Verità; essa è una Luce divina dai Cieli! Tutti i nostri dèi non sono che fantasmi, non sono nulla, nulla affatto. Chi crede in loro può dirsi peggiore di un vero pazzo, poiché un vero pazzo non crede mai in queste vuotissime divinità. No, di dèi non ne vedo in nessun luogo, ma invece percepisco la Luce divina e la Parola divina. Dio stesso però non posso vederLo, perché Egli è troppo santo per me.
8. Ma ora io vedo che l'acqua della mia piscina è diventata un lago tutto intorno a me! Tuttavia questo non è profondo, l'acqua mi arriva soltanto fino ai lombi, ed è chiara, meravigliosamente chiara, ma finora non vi scorgo nemmeno un pesciolino! Oh, ma certo, pesciolini non ne entreranno mai qui, poiché i pesciolini provengono dall'alito di Dio, e questo sì che è un alito onnipotente! Ora io non sono che un'anima umana molto debole, dal cui alito non può sorgere alcun pesciolino di Dio.
9. Oh, per arrivare a ciò si richiede molto; bisogna essere assai onnipotenti se si vuol produrre col proprio alito dei pesciolini! Questa cosa un uomo non la può mai fare, perché è troppo debole! Per l'uomo, a dire il vero, essa non dovrebbe essere del tutto impossibile, ma a tale scopo occorrerebbe che egli fosse pieno della Volontà e dello Spirito divini! Questa non può dirsi certo una cosa impossibile per un vero uomo, ma io non sono un vero uomo, ed è appunto per tale ragione che la cosa per me è assolutamente impossibile!
10. Com'è limpida l'acqua, e anche il fondo è pulito e tutto ricoperto di erba bellissima; è davvero meravigliosa quest'erba: un’erba così bella e rigogliosa sott'acqua! Ed ecco, l'erba cresce a vista d'occhio, e comincia a scacciare la bella acqua! Oh, sì, la speranza diventa più potente delle conoscenze e del timore che le accompagna!
11. Ah, ecco, ora scorgo un uomo sulla riva che è piuttosto lontano; egli mi fa un cenno! Io vorrei volentieri andare da lui, ma non so quanto profondo sia il lago negli altri punti! Se qua o là fosse troppo profondo, io rischierei certo di andare a fondo, e sarei perduto!
12. Ma una voce che viene dall'acqua risuona e dice: “Io ho dappertutto la stessa profondità! Tu puoi attraversarmi senza nessun timore; va pure da Colui il Quale ti chiama e che ti guiderà e ti insegnerà la retta via!”. Questo poi è proprio strano; qui parlano perfino l'acqua e l'erba! No, davvero non mi è mai successo una cosa simile!
13. Ora vado a raggiungere l'amico che si trova sulla riva. Egli deve essere un amico, altrimenti non mi avrebbe fatto il cenno! Zinca, non sei tu quello, ma è un altro! Ora scorgo anche te dietro di lui, ma tu sei ben lontano dall'avere il suo aspetto amichevole! Chi mai può essere? Io mi vergogno tanto di comparire dinanzi a lui, perché sono completamente nudo. È vero che il mio corpo si presenta ora benissimo; infatti io non vi scorgo più quasi nessuna traccia di malattie! Oh, se avessi almeno una camicia! Ma così mi trovo perfettamente nudo, proprio come uno che stia facendo un bagno, eppure bisogna che vada; il suo cenno mi attrae potentemente! Ora mi incammino, e vedi un po', la cosa va molto bene!».
L’anima purificata viene rivestita.
1. Qui Zorel interrompe il suo discorso, e Zinca domanda: «Come può vedere tutto ciò, e come può camminare attraverso l'acqua, mentre se ne sta qui immobile come fosse morto?»
2. Dico Io: «La sua anima attualmente vede solo le sue condizioni che la guidano verso il meglio; da queste si forma un proprio mondo nella mente dell’anima, e ciò che tu chiami qui un movimento del pensiero, appare nel regno delle anime come un movimento da un luogo all'altro.
3. La piscina che si formò dalle sue lacrime, le cui acque guarirono la sua anima, rappresenta il suo pentimento per i peccati commessi, e il bagno che egli vi fa dentro indica una vera penitenza che trae origine dal pentimento. L'acqua limpida raffigura il vero riconoscimento dei propri peccati e delle proprie mancanze, e l'accrescimento della piscina fino a diventare un lago esprime la volontà più forte di pervenire da solo alla purificazione e alla guarigione. L'erba rigogliosa sott'acqua denota la speranza di raggiungere la piena salute e la superiore e libera Grazia di Dio. Questa Grazia è rappresentata visibilmente dalla sponda alquanto lontana, ed Io stesso lo sono nello Spirito e nella Volontà. Il movimento verso di Me, attraverso l'acqua del vero pentimento e della vera penitenza, significa in sé il progredire dell'anima verso il vero miglioramento.
4. Ma tutto ciò non è per la sua anima che un'apparizione di rispondenza, dalla quale l'anima scorge com’è costituita e apprende ed opera in se stessa ciò che serve per il suo miglioramento. Certamente in questo stato tutto ciò è finora soltanto una manifestazione della volontà, senza esplicazione di un'attività reale esteriore; quest'ultima dovrà seguire solo quando egli, allo stato di veglia, si troverà in pieno collegamento col suo corpo.
5. Ben presto egli Mi avrà raggiunto, e ricomincerà subito a parlare. Fate dunque bene attenzione; tutto quello che egli dirà ora, trova rispondenza nello stato interiore della sua anima. Appariranno ancora molte cose confuse prima che egli arrivi al terzo stadio, cioè all'unione temporanea col suo germe vitale puro.
6. In questo terzo stadio potrete persuadervi con quanta coerenza e con quale sapienza egli parlerà! Ora parla soltanto la sua anima, purificata per questo breve tempo, ma nel terzo stadio sarà il suo spirito che parlerà da se stesso! Voi allora non potrete più scoprire nessuna lacuna nel suo discorso, ed egli vi dirà parole tali che vi sentirete tutti riscaldare il cuore!
7. Ma ecco che egli ha ormai già raggiunto la sponda e dice: "Ah, è pur stato faticoso questo viaggio! Eccomi finalmente presso di te, o nobile amico! Non hai forse una camicia con te? Vedi, la mia nudità suscita in me una profonda vergogna!"
8. A questo punto Io, dal Mio Spirito e dalla Mia Volontà per lui ora visibili, dico: "Esci dall'acqua, e sarai vestito in base alle tue opere!"
9. Dice l'anima di Zorel: "Amico, non parlare delle mie opere, perché esse sono tutte malvagie e perverse. Se la mia veste deve somigliare alle mie opere, non potrà essere che terribilmente lacera e nera"
10. Gli dico Io: "In questo caso c'è qui dell'acqua a sufficienza per lavarla e farla diventare bianca!"
11. Dice Zorel: "O amico, questo sarebbe come voler fare diventare bianca la faccia ad un moro lavandola! Non sarà davvero una cosa facile! Ma ad ogni modo avere una veste è sempre meglio che non averne affatto. Io voglio per conseguenza uscire dall'acqua!"
12. Ai Miei piedi giace una toga con molte pieghe, ma molto sudicia, quantunque il suo vero colore sia grigio biancastro, caratteristica questa della veste dei pagani nel regno degli spiriti. Egli prende la veste, ma la sua sporcizia suscita nausea in lui - ciò è buon segno. Tuttavia egli la prende, si affretta ad entrare con essa nell'acqua, comincia a scuotervela dentro, a torcerla, a sciacquarla e infine la stende.
13. Ora egli ha compiuto il suo lavoro, e la veste è pulita. Siccome però è ancora umida, non si sente ancora il coraggio di indossarla. Ma Io gli spiego che egli deve mettersela addosso; egli non ha temuto l'acqua fino a quel momento: per quale motivo dunque dovrebbe provare adesso una specie di ribrezzo a causa della veste ancora un po’ umida? Ed ora egli risponde, ascoltate anzi, perché questa risposta egli la darà a voce alta.
14. Dice Zorel: "Ma è forse giusto il fatto che prima tutto il lago non mi ha fatto niente di male ed ora dovrebbe farmi impressione una camicia umida? Mettiamola sul corpo e che sia finita! Ah, quanto bene mi fa!"».
Il corpo etereo dell'anima con i suoi sensi.
1. Ed ora Zinca muove col pensiero una domanda, e dice: «Ha dunque anche l'anima un corpo?»
2. Zinca fece questa domanda perché egli stesso non aveva la minima idea di quale fosse l'aspetto di un'anima e come fosse composta. Infatti, secondo il concetto abituale giudaico l'anima era un'inconsistenza nebulosa, e gli ebrei dicevano: «L'anima è puramente uno spirito che ha un'intelligenza e una volontà, ma generalmente non ha né forma, né meno ancora un corpo qualsiasi».
3. Zinca rimase per conseguenza meravigliato quando Zorel, alla domanda fattagli col pensiero, diede la seguente risposta: «Certamente, anche l'anima ha un corpo, per quanto soltanto etereo; ma per l'anima il suo corpo è altrettanto perfettamente corpo quanto per la carne la carne è perfettamente corpo. Non manca niente al corpo dell'anima di tutto quello che è proprio al corpo di carne. Queste cose certo non le scorgi con gli occhi della tua carne, ma pure a me è dato adesso di vedere, di udire, di sentire, di fiutare e di gustare tutto ciò, poiché anche l'anima possiede gli stessi sensi, come li possiede il corpo, quali mezzi di comunicazione fra esso e la propria anima.
4. I sensi del corpo sono come redini nelle mani dell'anima, che servono per dominare il suo corpo nel mondo esteriore. Se il corpo non avesse questi sensi, esso sarebbe del tutto inadoperabile e costituirebbe un peso insopportabile per l’anima.
5. Figurati un uomo che fosse perfettamente cieco e sordo, che non sentisse nulla, né il dolore né il benessere che deriva dalla salute e che fosse privo anche dell'odorato e del gusto; giudica tu stesso se un simile corpo potrebbe essere di qualche utilità all'anima! Ora, ammessa l'intangibile pienezza e chiarezza di coscienza di se stessa dell’anima, non sarebbe questa una cosa tale da indurla alla più completa disperazione?
6. Ma così pure nemmeno i più acuti sensi del corpo potrebbero essere di qualche giovamento all'anima, se questa non possedesse nel proprio corpo etereo esattamente gli stessi sensi! Dato, però, che l'anima possiede gli stessi sensi del corpo, essa percepisce anche facilmente e distintamente con i propri sensi finissimi quello che i sensi del corpo hanno prima percepito ed accolto in sé dal mondo esteriore. Dunque ora tu sai come anche l'anima abbia una forma di corpo.
7. Veramente tu lo sai perché te l'ho detto io nella misura in cui io vedo, sento e percepisco ora corporalmente, ma quando invece sarò risvegliato, tu saprai ancora tutto ciò, mentre io non ne saprò più nulla, perché io ora vedo, sento e percepisco soltanto con i sensi sottili della mia anima, e non contemporaneamente anche con i sensi del corpo.
8. Se io percepissi tutto questo anche con i sensi del corpo, questi inciderebbero certi determinati segni sui nervi del mio cervello e corrispondentemente sui nervi vitali del mio cuore di carne, ed io, anima, potrei poi ritrovarli e riconoscerli perfettamente nel mio corpo di carne. Ma siccome ora io mi trovo libera e quasi sciolta da ogni legame col mio corpo, e non posso reagire e influire sui miei sensi corporali, così, dopo aver fatto ritorno nel mio corpo, non mi ricorderò assolutamente nulla di tutto ciò che ora vedo, odo, sento e dico, e di tutto quanto mi succede ora.
9. Certamente anche l'anima ha di per sé una facoltà di memoria, e per conseguenza può ricordarsi della cosa anche più insignificante che possa esserle accaduta, ma essa può farlo soltanto nel suo stato libero. Quando invece si trova dentro il proprio corpo che la ottenebra completamente, essa viene resa sorda allo spirituale, ed è accessibile solo alle impressioni grossolane e grevi. Essa giunge a percepire il proprio “io” solo nella misura in cui le rimane la coscienza di esistere veramente, per non parlare poi delle impressioni spirituali più nobili e profonde latenti in essa.
10. Tu pure hai un'anima, come io stesso sono ora un'anima perfettamente libera, ma tu pure sapevi poco o niente di te stesso. La ragione di ciò sta nella carne tenebrosissima dalla quale l'anima è avviluppata per un certo tempo. Solo ora dopo che io ho suscitato, per mezzo della voce dalla mia bocca corporale ancora vivente, alcune impressioni nei nervi del tuo occipite e dopo che tu, quale anima, puoi leggere in te stesso attraverso queste impressioni i medesimi segni originari - tu pure sai, quale anima e non quale corpo di carne, che tu hai un'anima e che nel tuo pensiero e nella tua volontà sei tu stesso anima, la quale anima nel suo essere corporeo-etereo ha la stessa forma del tuo corpo.
11. Del resto non meravigliarti affatto se ti dico che, quando mi sarò ridestato alla vita terrena, non mi ricorderò più niente di tutto ciò che ti ho narrato adesso; la ragione di questo te l'ho già spiegata!».
L'anima di Zorel sulla via dell'abnegazione.
1. (Zorel:) «Ora l'amico mi dice: “Vieni Zorel, lascia questo luogo, Io ti condurrò in un'altra regione!”.
2. Adesso io sto procedendo innanzi, insieme al mio buon amico, molto lontano dal lago; ora passiamo per uno splendido viale, e gli alberi si inchinano dinanzi a colui che io seguo. Egli deve essere qualcuno di grande nel Regno di tutti gli spiriti! Oh, alcuni degli alberi sembra debbano quasi spezzarsi, tanto profondi sono i loro segni di riverenza!
3. Io scorgo che anche tu Zinca vieni con noi; la tua figura appare molto nebulosa e pare che tu non ti accorga come gli alberi si inchinino dinanzi al mio amico! Davvero, questa è una cosa stranissima per il mondo, ma tuttavia è vera!
4. È strano, strano! Ora gli alberi cominciano perfino a parlare! Nel loro sussurrare chiaro e ben percettibile io li odo esclamare: “Salute al Santo dei santi, salute al grande Re dei re da eternità in eternità!”.
5. Non lo trovi anche tu estremamente strano? Eppure, c'è quasi da arrabbiarsi: tu sembri non accorgertene affatto o hai l'aria di considerare questa un'apparizione comunissima, come si trattasse di un'insignificante pioggerella sulla Terra!
6. Ma ora il mio amico, dinanzi al quale gli alberi si inchinano e acclamano il suo onore, mi dice che quello che ti somiglia e che ci segue non sei tu stesso, ma soltanto una specie d'ombra od immagine della tua anima, e che essa si produce nella nostra atmosfera. La cosa si spiegherebbe così: dalla tua anima si dipartono, come da una luce, certi raggi vitali; non appena raggiungono la nostra atmosfera, essi assumono una forma quasi nello stesso modo dei raggi che si dipartono da un uomo durante il giorno e che, cadendo sulla superficie di uno specchio, assumono subito la forma di quello stesso uomo, partendo dal quale raggiunsero la superficie dello specchio.
7. Io vorrei proprio vedere i tuoi piedi per persuadermi che tu non cammini con noi, ma che ci segui librandoti nell'aria. Ed è proprio così: tu non muovi né gambe né braccia, e tuttavia ci segui ad una distanza di sette buoni passi! Sì, sì, ora comprendo per quale motivo tu non vedi chinarsi gli alberi e non odi il loro sussurro meraviglioso!
8. Ma adesso il viale va restringendosi sempre più e gli alberi diventano più bassi, però, d'altro canto, si trovano più vicini gli uni agli altri; ciononostante gli inchini e il bisbiglio non cessano. Anche la via diventa sempre più faticosa. Ecco che ormai il viale si è fatto tanto stretto, e la strada tanto ricoperta di spine e di sterpi da non renderci possibile il passaggio che con grande fatica! Non è possibile vederne ancora la fine, quantunque il mio amico dica che saremo ben presto arrivati al termine e che avremo così raggiunto la meta. Ma gli alberelli dello sterpaio formano ormai un fitto groviglio, il suolo è molto pietroso e fra le pietre tutto è pieno di spine e di cardi; adesso poi veramente non è quasi più nemmeno possibile continuare il cammino!
9. Io chiedo all'amico perché mai ci siamo cacciati per questa strada inevitabilmente pessima. L'amico però risponde: “Guardati un po' attorno, a destra e a sinistra, e tu scoprirai da ambedue le parti un mare che ha una profondità senza fine! Questa è l'unica e sola lingua di terra, certo molto angusta e spinosa verso la fine, ma solida e sicura, la quale divide i due mari sconfinati. Essa congiunge tutto il mondo terreno con l'immensa regione paradisiaca dei beati dell'aldilà. Chi vuole arrivare a questa, deve rassegnarsi a percorrere questa via che è l'unica che vi conduce!”.
10. Ecco, o Zinca, questa è la strana risposta che mi ha dato ora l'amico e la guida della mia nullità! Io però gli faccio un'altra domanda, e gli dico: “Nel mondo vi sono pure moltissime cattive strade, ma là gli uomini si danno da fare, prendono zappe, picconi e badili e mettono la strada in ordine. Perché non si può fare anche qui qualcosa di simile?”.
11. Ma l'amico risponde: “Perché appunto l'enorme sterpaio protegge questa lingua di terra dall'infuriare dei mari, spesso violentissimo! Se quest'unica e salda lingua di terra non fosse così fittamente e solidamente protetta con questo sterpaio, i marosi l'avrebbero spazzata via completamente da ambedue i lati già da tempo. Ma poiché questo groviglio di spine è cresciuto tanto fitto particolarmente verso le due sponde, le forti ondate si rompono contro di esso, e depongono la loro schiuma negli interstizi fra la fitta ramificazione, la quale si solidifica a poco a poco fino ad acquistare la consistenza della pietra, e fortifica così sempre di più quest'importantissima lingua di terra. Ora, il nome di questa lingua di terra è umiltà e salda verità fondamentale. Ma ambedue, tanto l'umiltà quanto la verità, in ogni tempo sono state per l'uomo piene di spine!”.
12. Vedi, Zinca, così ha parlato l'amico; però adesso in me si fa un chiarore strano, e comincio a sentire come qualcosa che si muove nel mio cuore: ciò che si muove è una luce e la luce ha nel cuore la forma come di un embrione nel corpo materno. Essa è purissima, io la vedo. Ma ecco che diviene sempre più grande e sempre più potente! Ah, che perfezione di splendore e di purezza! Questa è certo propriamente la fiamma vitale da Dio nel vero cuore dell'uomo! Sì, certamente, è questa! Come cresce senza interruzione e quanto bene mi fa!
13. Noi continuiamo a procedere ancora per lo stretto sentiero, ma ormai lo sterpaio e le spine non mi confondono più e non sento nemmeno più nessun dolore se anche qualche spina mi punge e mi solletica! Ora lo sterpaio comincia a diradarsi, gli alberi diventano più grandi, e va formandosi nuovamente uno splendido viale. Ecco che lo sterpaio svanisce del tutto, la lingua di terra si allarga, e le sponde dei mari si allontanano sempre più da noi. Già scorgo benissimo in grande lontananza un'altra regione quanto mai bella, con dei magnifici monti, e oltre le montagne irradia come un incomparabile splendore d'aurora! Noi non abbiamo però finito ancora di percorrere il viale che va diventando sempre più grande e più largo, che gli alberi, ora molto alti e grossi, continuano ancora a chinare le loro maestose corone al passaggio del mio amico che mi guida, e il loro mormorio somiglia ad una dolcissima e pura armonia di arpe dall'accordo perfetto!
14. O Zinca! Qui, la magnificenza è già qualcosa di indescrivibile! Tu pure continui a librarti sempre dietro a noi, e ti mantieni sempre muto come prima; però tu non ne hai colpa, perché non sei tu che io vedo, ma soltanto la tua fugace immagine. Ah, se potessi anche tu vedere tutto questo e se tu potessi di là, nella vita terrena, conservarne anche il ricordo in modo vivo, che uomo memorabile saresti allora! Io potrei anche esserlo, se di tutto quello che vedo e sento mi rimanesse qualcosa nella memoria, ma non mi resterà nessun ricordo! Ora però l'amico dice che col tempo mi verrà restituito il ricordo vivo di tutte queste cose; prima però sarà necessario che anch'io percorra nella carne questa via piena di spine che mi si presenterà dinanzi».
Zorel in Paradiso.
1. (Zorel:) «Ah, ma la mia intima luce vitale diventa ora di una potenza immensa; essa penetra tutto il mio intimo. Oh, quanto fa bene questa luce a tutto il mio essere! Ed io la scorgo ormai nella figura di un bambino di quattro anni dall'aspetto straordinariamente amichevole! E deve essere anche molto saggio, perché ha l’aspetto di un piccolo Dio purissimamente pensato, ma non un Dio creato dalla fantasia degli egizi, dei greci o dei romani, ma un’immagine meravigliosa del vero Dio degli ebrei! È proprio un'immagine della vera Divinità!
2. Oh, ora sì che riconosco che esiste un vero Dio soltanto, ma solo coloro che sono di cuore perfettamente puro vedranno il Suo santo Volto! Sarà ben difficile che io giunga a vederLo, perché il mio cuore era già estremamente impuro! Invece tu sì, amico Zinca, perché nel tuo cuore io non scorgo quasi nulla d'impuro, all'infuori del punto del tuo corpo e del filo mediante i quali tu devi necessariamente rimanere attaccato al mondo ancora per un certo tempo!
3. Ma soltanto adesso io scorgo, anche se ad una distanza ancora piuttosto grande, l’ampio sbocco del viale. Ormai non si vede più da nessuna parte una traccia qualsiasi di mare; dappertutto non vi sono che meravigliose regioni floridissime e giardini che si susseguono, dappertutto case e palazzi splendidissimi! Ah, che magnificenza indescrivibile!
4. Il mio amico dice che questo è ancora ben lontano dall'essere il Cielo, ma che è invece il Paradiso. Nessun mortale è finora pervenuto al Cielo, perché fino ad ora non è stato costruito alcun ponte per potervi giungere. Tutti i buoni che dal principio della Creazione sono vissuti sulla Terra, soggiornano qui con Adamo, Noè, Abramo, Isacco e Giacobbe. Quelle alte montagne tracciano il confine di questa regione quanto mai meravigliosa. Chi potesse arrivare su quelle montagne, certamente vedrebbe il Cielo con le immense schiere degli angeli di Dio, ma tuttavia nessuno potrebbe ancora entrarvi finché sopra il grande abisso, che non ha fondo, non sarà costruito un solido ponte per l'eternità!
5. Ora noi procediamo come il vento; il mio uomo luminoso in me ha già raggiunto la grandezza di un fanciullo di otto anni, ed ho l'impressione che i suoi pensieri s'incrocino come fulmini in tutto il mio essere. Sì, io percepisco la loro incomprensibile grandezza e profondità, ma non sono ancora in grado di afferrarne le forme. Dentro ci deve essere qualcosa di straordinariamente meraviglioso! Ogni lampo di pensieri che scatta suscita in me una delizia indescrivibile! L’intera Terra non conosce una simile gioia, e non la può nemmeno sentire! Infatti, tutta la Terra non è che un giudizio, certo della Grazia di Dio, ma pur sempre un giudizio, dove nel migliore dei casi le gioie sono sempre scarsamente ripartite.
6. Ora ci avviciniamo già molto alle alte montagne e le magnificenze aumentano sempre più! Quale indescrivibile varietà di meraviglie su meraviglie! Per narrarle tutte non basterebbero mille anni umani!
7. Ed ecco, presso i monti abita della gente bellissima in quantità innumerevole! Ma non sembrano accorgersi di me e del mio caro amico, perché essi ci passano lietamente dinanzi con andatura affrettata, ma non fanno cenno di accorgersi di noi, mentre è evidente che tutti gli alberi si inchinano e salutano il mio amico. Che strano popolo di spiriti è questo!
8. Ma vedi, frattanto abbiamo raggiunto la vetta di un alto monte! O Dio, o Dio, eccoci ormai qui; io poi, come un vero pesce fuor d'acqua, scorgo sempre più chiaramente a grandissima distanza un vasto orizzonte risplendente più del Sole. Qui sembra che abbia inizio il Cielo di Dio, il quale poi dovrebbe continuare ad innalzarsi all'infinito!
9. Ma fra qui e là sta spalancato un abisso più largo dello spazio esistente fra la Terra e il Sole! E sopra questo abisso dovrebbe venire ora costruito un ponte! A Dio certo questa cosa può benissimo essere possibile!
10. Ma adesso il mio uomo luminoso interno è già grande quanto me stesso e, cosa curiosa, sento che il sonno mi coglie, e l'amico mi invita a riposare sull'erba verde e profumata! Voglio proprio fare così!».
Il rapporto tra corpo, anima e spirito.
1. (Dico Io:) «Vedete, ora soltanto egli passerà al terzo stadio, prestate dunque bene attenzione a quello che egli dirà!»
2. Chiede Cirenio: «Signore, se Zorel ora si addormenta sul prato per noi invisibile, che cosa si otterrà con questo? Deve accadere così oppure egli non potrebbe passare nel terzo stadio senza un preciso periodo di sonno?»
3. Dico Io: «Se la sua anima fosse pura, la cosa funzionerebbe anche senza ricorrere ad un certo stato intermedio di sonno, ma finché la sua anima mantiene ancora certi legami col corpo, deve prima subentrare una specie di assopimento, durante il quale l'anima, senza accorgersene, passa ad un altro stadio. Quello che l'anima di Zorel ha visto e quello che essa ha detto fino ad ora nel secondo stadio, è stato, fatta eccezione per il proprio io, soltanto un'adeguata apparizione; solo nel terzo stadio essa perverrà al vero stato di veggenza, e quello che allora essa dirà corrisponderà anche alla piena realtà»
4. Domanda Cirenio: «Ma che cosa è veramente il sonno e come e da che cosa deriva?»
5. Gli dico Io: «Devi proprio sapere anche questo? Ebbene, così sia, dato che lo vuoi proprio assolutamente sapere, bisogna che te lo spieghi subito; ascolta dunque!
6. Quando tu porti sul tuo corpo una veste e, secondo il costume greco, dei calzoni alle gambe, allora in seguito ai movimenti del tuo corpo anche la veste ed i calzoni hanno vita; essi devono cioè seguire la tua volontà, così come le membra del tuo corpo devono seguire la volontà della tua anima. Ma quando, durante l'estate, vai a bagnarti, allora tu deponi le vesti perché non puoi adoperarle nel bagno. Veste e calzoni dunque, mentre tu ti bagni, si trovano in stato di forzato riposo e, di per sé, non sentono alcun impulso né alcun movimento. Non appena tu esci dal bagno e li indossi di nuovo, tanto la veste quanto i calzoni risentiranno nuovamente un impulso ed avranno come prima un moto, cioè vivranno, per così dire, con te. Ma per quale ragione ti sei levato le vesti prima di bagnarti? Vedi, perché esse ti erano di peso e cominciavano ad opprimerti! Ma col bagno ti sei rinvigorito, e le vesti, che ti erano diventate di peso, dopo il bagno ti sembreranno leggere come una piuma.
7. Quando la tua anima, dopo le fatiche della giornata, si sente stanca e debole, avverte il bisogno della quiete che la ristori e rinvigorisca. Allora l'anima stanca si spoglia subito della sua veste articolata di carne e si tuffa in un bagno fortificante di acqua spirituale, e vi si bagna, si purifica e si rinforza; non appena si è rinvigorita, essa rientra nella sua veste di carne e muove di nuovo le sue membra grevi con una grande facilità.
8. Ora, però, dal racconto di Zorel tu hai certamente appreso, o meglio ancora percepito in modo ben vivo, che nella sua anima, e precisamente nel suo cuore, ha cominciato a germogliare ancora un più intimo uomo di luce, con il quale l'essere animico sta quasi nello stesso rapporto come il corpo materiale sta con la propria anima. Ebbene, quest'uomo di luce non aveva ancora trovato, fino a quel momento, un qualsiasi ristoro nella sua anima, la quale costituisce la sua veste articolata; esso giaceva così nel cuore dell'anima come l'ovulo giace nella donna senza animazione e senza eccitamento e stimoli suscitatori da parte virile. Mediante questo speciale trattamento assai appropriato, il vero germe primordiale di vita è stato per il momento ravvivato, eccitato e destato dalla Mia Parola e da quella di Zinca, e quando tale procedimento fu compiuto in lui, questo germe cominciò a crescere, e crebbe finché ebbe riempito tutta la sua anima, cioè la sua veste, con il suo essere spirituale puro.
9. L'anima però, benché già purificata quanto era possibile per il momento, ha ancora in sé certe parti materiali le quali sono troppo grevi per lo spirito puro, perché esso prima non si è mai esercitato a portare un tale giogo. Quest'uomo spirito, risvegliato per così dire soltanto artificialmente mediante un procedimento spirituale e costretto ad un rapido sviluppo, è ancora troppo debole per sopportare il peso dell'anima e desidera quiete e ristoro. Questo sonno apparente dell'anima sulle zolle erbose del monte non è dunque altro che lo svestirsi dello spirito delle parti più materiali della propria anima; esso trattiene soltanto quello che nell'anima è affine a lui, mentre il rimanente deve riposare nel frattempo così come il corpo riposa immobile quando l'anima si ristora, oppure come le tue vesti riposano mentre concedi al tuo corpo di prendersi nuovo vigore nel bagno.
10. Però, durante questo stato di riposo della sfera esteriore più grossolana, concesso per un rinvigorimento della sfera umana interiore più nobile, sussiste sempre un legame fra le due. Se qualcuno venisse mentre tu ti ristori nel bagno, e prendesse le vesti da te deposte e cominciasse a distruggerle, il tuo naturale e necessario amore per le tue vesti ti indurrebbe ad opporgli ben presto il tuo veto sdegnoso e potente. Un legame ancora più intenso sussiste fra il corpo e l'anima, e chi volesse prendere e distruggere le vesti di carne prima del tempo, costui verrebbe poi trattato da essa in modo del tutto speciale.
11. Ma il legame più intenso di tutti è quello fra l'anima e lo spirito, perché l'anima - particolarmente se è assolutamente pura - è essa stessa un elemento primordiale puramente spirituale, e lo spirito reagirebbe in modo terribile se si volesse strappargli del tutto il suo corpo e la sua veste. Egli si accenderebbe immediatamente del più ardente fuoco, e distruggerebbe tutto ciò che volesse avvicinarglisi.
12. L'anima però deve deporre interamente tutto quello che è materiale prima che lo spirito possa attrarre quanto in essa vi è di affine a lui, e possa così costituire un io perfetto con essa. Quello che vi è di materiale nell'anima è visibile per lo spirito in quello di cui è vestita l'anima. Tu hai udito come Zorel parlasse di una camicia sudicia che egli stesso aveva lavato nel lago, poi stesa ed infine indossata come una veste ancora umida. Ebbene, questa veste è appunto la parte esteriore ancora materiale dell'anima, la quale deve venire deposta e indotta al riposo prima che l'intimo uomo-spirito divino possa riversarsi pienamente nell'anima divenutagli ormai molto affine, e possa diventare un’unica cosa con essa.
13. Questo momento della transizione richiede sempre un po’ di tempo, perché tutto quello che appartiene all'ambito vero e proprio della libera vita deve formare col nuovo e più nobile essere un'unione perfetta (matrimonio spirituale) prima che il nuovo essere, ossia il nuovo uomo celeste, possa manifestarsi fuori da se stesso come essere che, nello stato di indipendenza, sente, pensa, vede, ode, fiuta e gusta tutto direttamente. Durante un tale sonno avviene questa necessaria trasmigrazione spirituale; non appena è avvenuta, il nuovo uomo è compiuto, e per la sussistenza spirituale non ha più bisogno, in eterno, di nessuna trasformazione ulteriore.
14. Ma arrivato a questo stadio, l'uomo ha raggiunto anche la massima perfezione, e nella propria essenzialità non è più suscettibile di una perfezione maggiore; ammissibile è soltanto un'ascensione continua, eterna, nella conoscenza e nel perfezionamento costante nel più puro amore e nella sapienza dei Cieli e nella loro potenza che ordina, regge e guida tutto l'Universo, e tramite questo c’è pure il conseguimento di una beatitudine sempre maggiore, dovuta al sempre crescente amore, sapienza e potenza.
15. Il nostro Zorel si manifesta ora quale un uomo-spirito così compiuto, e continuerà ancora, per mezzo della sua bocca di carne, a parlare della perfezione della propria umanità essenziale supremamente compiuta. Fate dunque attenzione, perché egli comincerà subito a parlare».
Sguardo di Zorel dentro la Creazione.
1. Dopo che ebbi dato questa spiegazione a Cirenio, Zorel, che era rimasto steso tutto quel tempo completamente immobile come fosse morto, cominciò a muoversi, ed apparve nell'aspetto talmente trasfigurato da infondere grande venerazione perfino nei soldati romani lì presenti, uno dei quali esclamò: «Quest'uomo ha l'aspetto di un dio addormentato!»
2. E Cirenio a sua volta confermò: «In verità! Questa è una figura umana di una nobiltà incomparabile!»
3. Infine Zorel aprì la bocca per dire: «L’essere perfezionato sta dunque davanti a Dio, che solo ora riconosce, ama e venera!». Qui vi fu una pausa.
4. Poi Zorel continuò a parlare e disse: «Tutto il mio essere è ora luce, ed io non scorgo più ombra né in me né fuori di me, poiché tutto è luce anche intorno a me. Però, in questa luce totale io vedo ancora una Luce supremamente santa che splende come un Sole potentissimo, ed in questo Sole è il Signore!
5. Dapprima io ritenevo che il mio Amico e Guida non fosse che un'anima umana come noi, ma bisogna considerare che nel mio stato precedente vi era ancora molta illusione in me. Ora soltanto riconosco la Guida! Egli adesso non è più presso di me, ma io Lo vedo in quel Sole, Lui che è santo, santissimo! Infinite schiere dei più perfetti spiriti di luce si librano tutt'intorno a questo Sole, in tutte le direzioni, in cerchi più stretti, più ampi e amplissimi. Che maestosità infinita è mai questa! O uomini! Vedere Dio ed amarLo sopra ogni cosa è la delizia somma, la suprema beatitudine!
6. Ma io ora non vedo soltanto tutti i Cieli; il mio sguardo penetra nelle profondità della Creazione dell'unico, immenso e onnipotente Dio. Io scruto da parte a parte questa nostra magra Terra, e vedo tutte le sue isole e i suoi continenti. Vedo in fondo ai mari e tutto quello che esiste e vive lì; tutte le numerose creature del mare, dalla specie più piccola alla più grande. Quale infinita varietà tra di esse!
7. Io vedo pure in quale modo l'erba viene costruita per opera di svariatissime specie di piccoli spiriti che sono molto vispi e zelanti. Vedo come la Volontà dell'Onnipotente li costringe ad essere operosi, e vedo le attribuzioni e il lavoro assegnato esattissimamente a ciascuno degli innumerevoli piccoli spiriti. Come le api lavorano intorno alle loro celle di cera, così lavorano i piccoli spiriti alla formazione degli alberi, degli arbusti, delle erbe e delle piante. Essi però fanno tutto ciò quando sono afferrati e compenetrati dalla Volontà di Colui il Quale è stato fino a qui il mio Amico e la mia Guida sull'angusto e spinoso sentiero della mia propria prova della vita, e che ora risiede in quel Sole irraggiungibile, cioè nella Sua santissima Luce primordiale, dalla quale Egli irradia la Sua Volontà in tutti gli spazi infiniti.
8. Sì, Egli soltanto è il Signore e nessuno è uguale a Lui! Alla Sua Volontà devono inchinarsi grandi e piccoli, non vi è nulla nell'immenso infinito che possa opporGli resistenza: la Sua Potenza è sovrana sopra ogni cosa e la Sua Sapienza non sarà mai perscrutabile. Tutto ciò che esiste proviene da Lui, e negli spazi più sconfinati delle Sue Creazioni non c’è nulla che non sia proceduto da Lui.
9. Io vedo le forze irradiare da Lui come al mattino si dipartono i raggi del Sollevante in tutte le direzioni con velocità maggiore di quella del lampo, e dovunque un raggio raggiunge ed afferra qualcosa, là comincia il moto e la vita, e ben presto sorgono nuove forme e nuove figure. Ma la forma dell'uomo è la pietra terminale di tutte le forme, e la sua figura è una vera figura del Cielo, poiché il Cielo intero - i cui confini soltanto Dio conosce - è pure esso un uomo, ed ogni comunità di angeli è ugualmente un uomo perfettissimo.
10. Questo è un grande Mistero di Dio, ed è impossibile che colui che non è giunto al punto in cui io mi trovo ora, conosca e comprenda tale cosa, perché soltanto lo spirito purissimo proveniente da Dio e che si trova nell'uomo può concepire, comprendere e vedere ciò che è dello spirito e ciò che si trova in lui e fuori di lui, e come esso esista e come sorga, e perché e a quale scopo! Non c’è nulla nell'infinito che non sia stato fatto per l'uomo, tutto mira all'uomo e tutto concorre, a seconda del tempo e delle circostanze, al soddisfacimento dei suoi bisogni».
L’essenza dell'uomo e la sua destinazione.
1. (Zorel:) «Dio stesso è il supremo, perfettissimo ed eterno Uomo primordiale di per Sé; vale a dire l'uomo è in se stesso un fuoco il cui sentimento è l’amore, è una luce il cui sentimento è intelligenza e sapienza, ed un calore il cui sentimento costituisce la vita stessa nella sfera più completa della coscienza di se stesso. Quando il fuoco diventa più intenso, anche la luce diventa più intensa e più potente il calore che tutto crea e che irradia infine lontano; e il raggio è luce esso stesso, ha già in sé il calore, e quest'ultimo crea tanto in lontananza quanto in sé. La cosa creata accoglie in sé sempre maggiore luce e calore, splende e riscalda poi sempre a maggiori distanze, e dove essa giunge crea a sua volta, e così tutto si propaga eternamente dal Fuoco, dalla Luce e dal Calore primordiali e continua sempre e sempre di più a riempire lo spazio infinito della Creazione.
2. Tutto dunque trae la sua origine dall'unica Essenza primordiale di Dio e si forma e si sviluppa fino a diventare simile all'Essenza primordiale del primo Uomo, ed in tale somiglianza sussiste poi completamente ed illimitatamente libero sotto forma di uomo proveniente da Dio, come un dio a sé nei necessari rapporti di amicizia con il Dio primordiale, essendo egli ormai quella stessa Cosa che è il Dio primordiale stesso.
3. Dove voi scorgete luce, fuoco e calore, là vi è anche l'uomo: o già compiuto, oppure nel suo inizio. Miliardi di atomi di luce, di fuoco e di calore si raccolgono in crisalidi e producono forme. Le singole forme si afferrano a loro volta, si raccolgono di nuovo in una forma più grande, più corrispondente cioè all'uomo, ed in queste si sviluppano fino a diventare un essere. Questo essere ora produce già più fuoco, più luce e più calore, ma con ciò si accentua nell'essere un bisogno superiore ed una tendenza ad una forma più elevata e più perfetta. Ben presto le numerose forme - benché in se stesse già più perfette - lacerano i loro involucri, si afferrano e, con la sostanza della loro volontà, si raccolgono e si trasformano nuovamente in forme più elevate e più perfette. Questo procedimento si ripete fino al compimento dell'uomo, e l'uomo stesso infine si trasforma ed evolve fino a raggiungere lo stato nel quale io mi trovo ora, che è perfettamente simile al Fuoco, alla Luce e al Calore primordiali; tutto questo riunito costituisce Dio - il Quale io ora contemplo intensamente nella Sua Luce primordiale - in Sé il Fuoco e il Calore assoluti, ciò che è unicamente Dio da eternità in eternità.
4. L'uomo è quindi innanzitutto un uomo da Dio, e poi soltanto un uomo da sé. Finché egli è soltanto da Dio, è simile ad un embrione nel corpo materno, ma quando egli, nell'Ordine di Dio, diventa da se stesso un uomo, solo allora egli è un uomo perfetto, poiché così soltanto egli può giungere alla vera somiglianza con Dio. Raggiunta questa somiglianza, egli resta come un dio per l'eternità, ed è egli stesso un creatore di altri mondi, di altri esseri e di altri uomini. È infatti strano che io veda ora come tutti i miei pensieri, i miei sentimenti e la mia volontà costituiscano l'involucro di quello che io ho pensato e sentito! Vedete, così procede e si sussegue sempre l'azione creativa!
5. Il sentimento quale calore, e per conseguenza amore, sente il bisogno di qualcosa di essenziale, ma quanto più potente diventa il sentimento e quante più fiamme e calore si producono in sé, tanto più si potenzia anche la luce della fiamma.
6. Nella luce il bisogno dell'amore si esprime in forme, ma le forme sorgono e svaniscono come le immagini che l'uomo, dalla fantasia ardente, vede ad occhi chiusi; esse variano continuamente, divengono sempre più grandi ed assumono gradualmente forme sempre più durature e più distinte. Ma negli uomini perfetti, come ora è il mio caso - certamente soltanto per breve tempo - il pensiero viene mantenuto nella sua forma, perché esso, afferrato dalla volontà, viene subito mantenuto nella forma sorta attraverso un involucro che si è formato rapidamente, e la forma non può più essere modificata. Siccome però l'involucro è in origine di una tenuità assolutamente eterea, e per conseguenza trasparente, allora da parte del creatore del pensiero ora racchiuso vengono fatti penetrare sempre più luce e calore. Così si accrescono anche la luce e il calore propri del pensiero imprigionato, elementi spirituali dai quali esso è originariamente derivato, ed il pensiero così imprigionato comincia ben presto a svilupparsi sempre più e - secondo la luce della sapienza e della conoscenza più perfetta nelle quali la costruzione, per quanto artistica e complicata, appare più chiara del giorno più sereno in tutte le sue indispensabili parti, collegamenti ed articolazioni - viene necessariamente ed opportunamente sistemato in modo organico. Una volta che il pensiero ha ricevuto la sistemazione organica, allora in esso una propria vita comincia già ad essere conscia di se stessa e ad orientarsi.
7. Ora è facile comprendere come un uomo perfetto sia in grado di poter pensare e di collegare assieme, in pochi istanti, una innumerevole quantità dei più svariati pensieri e idee del tutto organicamente sistemate. Se egli vuole racchiuderli con la sua volontà, essi continueranno a sussistere e a svilupparsi e diventeranno infine, arrivati alla loro massima autoperfezione limitata, simili al creatore stesso, e genereranno e procreeranno il loro simile e susciteranno così fuori da sé una moltiplicazione infinita del loro simile nella maniera identica a quella in cui essi stessi sono stati chiamati all'esistenza. A tale riguardo il mondo materiale può fornire esempi evidenti.
8. L'autoprocreazione, per quanto concerne il corpo, voi la potete riscontrare nelle piante, negli animali e nell'uomo, ed anche nei corpi mondiali i quali pure si moltiplicano. Alla loro riproduzione però sono posti dei limiti, e perciò una singola semente di una determinata specie è destinata a riprodursi solo in un numero stabilito di semi della stessa specie, numero che non può venire superato. Altrettanto avviene negli animali, e precisamente quanto più grande è l'animale tanto più limitata ne è la riproduzione! La stessa cosa vale anche per l'uomo, ed in proporzione ancora molto maggiore per i corpi mondiali. Ma nel Regno spirituale degli uomini perfetti invece, come pure presso Dio, il sentire e il pensare non hanno limiti, ma procedono eternamente. Dunque, se si considera che nel modo ora indicato ogni pensiero e ogni idea possono venire avvolti dalla volontà dello spirito che li crea, e poi addirittura resi indipendenti, si può anche ben comprendere come l'eterna moltiplicazione degli esseri non possa mai avere fine.
9. Tu, Zinca, ti chiedi ora nel tuo animo: “Ma la quantità tanto infinitamente grande e molteplice degli esseri creati, qualora l'azione creatrice dovesse veramente aumentare sempre in eterno in tale misura e in tale proporzione sempre più enorme, dove troverà lo spazio necessario?”. O amico, basta che tu rifletta soltanto sul fatto che lo spazio fisico è anch’esso infinito e che, se tu eternamente ad ogni istante volessi creare dieci volte centomila soli, questi, nella loro rapidissima corsa attraverso lo spazio infinito, si perderebbero tuttavia eternamente così come se nessun sole fosse mai stato creato! Nessuno - all'infuori di Dio - può concepire l'infinità dello spazio eterno; perfino gli angeli più grandi e più perfetti non concepiscono le eterne profondità dello spazio, anzi rabbrividiscono dinanzi alle troppo infinite profondità dello spazio eterno!
10. O amico, io vedo ora con gli occhi del mio animo il complesso della Creazione materiale! Questa Terra, la sua Luna, il grande Sole e tutte le innumerevoli stelle che tu scorgi - delle quali alcune, pur apparendo ai tuoi occhi come punti debolmente scintillanti, sono invece esse stesse altrettanti sistemi di soli e di mondi di smisurata grandezza che comprendono in sé trilioni di soli e molti più ancora pianeti -, tutto ciò in rapporto all'attuale totalità della Creazione è appena appena quello che rappresenta un minutissimo e quasi impercettibile granello di pulviscolo solare di fronte a tutto questo spazio stellato che tu vedi! E tuttavia posso dirti che fra le molte stelle che il tuo occhio scorge, ce ne sono alcune il cui diametro è di molte migliaia di volte maggiore di quanta è la distanza fra una delle stelle più lontane che ti sono appena appena visibili e il punto diametralmente opposto il quale ha anch’esso la stessa distanza che esiste fra te e quella della stella che ti è appena percettibile; distanza questa, per percorrere la quale anche se avessi la rapidità del fulmine dovresti impiegare miliardi di volte miliardi di anni!
11. Dunque, come vedi, già singoli corpi sono di una grandezza favolosa; eppure al tuo occhio appaiono appena appena come punti luminosi a causa della loro enorme lontananza da qui! E tuttavia tutto ciò in confronto alla totalità della Creazione è - come detto - un minutissimo granello di pulviscolo che i raggi del Sole possono sostenere con molta facilità! Io te lo dico: “Tu puoi creare un miliardo di soli con tutti i loro pianeti e lune e comete, e puoi distribuirli tutti dentro la sfera di questo complesso solare, ed essi ti saranno tanto poco d'imbarazzo quanto poco può essere d'imbarazzo al mare se una nuova goccia d'acqua vi cade dentro. E miliardi di tali complessi solari sarebbero - entro i limiti di tutti gli ambiti della Creazione attualmente esistente - tanto poco di rilievo quanto poco lo sono dei miliardi di gocce di pioggia nel mare”.
12. Osserva un po’ la nostra Terra! Per quante migliaia di ruscelli, fiumi e torrenti sbocchino nel mare, il suo livello non s'innalza nemmeno di una linea. Ora tu puoi immaginarti quante creazioni su creazioni vuoi, ad ogni istante, ed esse si perderanno sempre nello spazio infinito così come si perdono le miriadi e miriadi di gocce d'acqua che ad ogni istante cadono nel mare. Non lasciarti però sopraffare da nessun senso di timorosa angoscia all'idea dell'eccessiva azione creativa, poiché nell'infinito vi è eternamente spazio e posto a sufficienza per l'infinito, e Dio è abbastanza potente per mantenere tutto e condurre tutto, per l'eternità, verso un'ultima meta suprema».
Sguardo di Zorel nei processi di sviluppo della Natura.
1. (Zorel:) «Io ti dico di più ancora, o Zinca! Tutto quello che dalla tua infanzia in poi su questa Terra tu possa mai aver pensato, detto e fatto, e tutto ciò che tu possa mai aver pensato, detto e fatto anche durante la tua esistenza animica anteriore al momento della tua incarnazione su questa Terra, ebbene tutto ciò è segnato nel libro della Vita. Di questo libro tu porti un esemplare nel capo della tua anima, mentre il grandioso esemplare sta sempre perfettamente aperto dinanzi a Dio. Quando tu sarai giunto allo stato di perfezione nel quale io ora mi trovo dinanzi a Dio, ritroverai allora del tutto fedelmente tutti i tuoi pensieri, le tue parole e le tue opere. Quello che sarà stato buono, sarà naturalmente fonte di grande gioia per te, mentre di quanto non sarà stato nel buon ordine, non avrai certamente alcun compiacimento, però, quale uomo perfetto, nemmeno afflizione, perché da ciò riconoscerai la Misericordia immensa e le sapienti Vie di Dio, e questo ti rafforzerà nel puro amore per Lui e in ogni pazienza verso tutti quei poveri fratelli ancora imperfetti che Dio, il Signore, vorrà affidare alla tua guida, sia in questo o anche in un altro mondo.
2. Da questi tuoi pensieri registrati sorgeranno un giorno pure nuove creazioni. Di solito da tali pensieri, parole ed opere traggono origine, quando il tempo è maturo, anzitutto dei corpi mondiali più o meno grandi. Essi vengono esposti al fuoco dei soli finché siano giunti ad un certo grado di maturazione; una volta raggiuntolo, vengono lanciati fuori con tutta violenza nello spazio della Creazione e vengono lasciati là gradatamente e sempre più alla cura del proprio progressivo ed indipendente sviluppo. In un tale mondo neo-formato i molti milioni di singoli pensieri e idee - come i chicchi di semente posti nel terreno - si sviluppano sempre di più in virtù del fuoco e della luce che costituiscono in esse il germe vitale come le sementi affidate al terreno- e servono poi al nuovo mondo quale fondamento al successivo sorgere di ogni genere di esseri, cioè minerali, piante e animali, dalle cui anime vengono poi formate col tempo le anime degli uomini.
3. Di nuovi mondi di questa specie tu ne vedi ogni tanto qualcuno percorrere gli spazi celesti per lo più sotto forma di nebulosa, oppure anche di stella cometa. La loro origine è da ricercarsi nei pensieri, nelle idee e nelle opere registrate nel libro di Dio.
4. Tu vedi da ciò che perfino il più lieve pensiero che un uomo abbia mai concepito, sia su questo sia su di un altro mondo, non va né può mai andare perduto; e gli spiriti, dai cui pensieri, parole, idee e opere è stato formato un simile nuovo mondo per la Volontà di Dio, riconoscono ben presto nel loro stato di perfezione che un tale mondo è opera dei loro pensieri, idee, parole ed opere e cominciano poi molto volentieri e con un senso di grande beatitudine a governare, guidare, sviluppare, infondere piena vita e a dare l'opportuna organizzazione interna al corpo mondiale stesso, nonché infine a tutte le cose ed esseri che saranno destinati ad esistere su di esso.
5. Tu osservi questa Terra, e non scorgi altro che della materia apparentemente morta. Io pure scorgo bensì le forme in apparenza morte della materia, ma io vedo dentro di essa molte più cose che tu, con i tuoi occhi, non puoi affatto vedere. Io vedo le cose e gli esseri spirituali che sono confinati in essa, percepisco il loro diligente lavorio e vedo come essi contribuiscono sempre più allo sviluppo interiore e come tendono sempre maggiormente a dare una struttura migliore e più precisa alle loro appropriate forme. Ed io vedo altri innumerevoli spiriti grandi e piccoli, che sono incessantemente attivi come la sabbia di una clessidra romana. Qui non esiste riposo, e dalla loro incessante attività trae origine il sorgere e l’appropriata manifestazione di ogni e qualsiasi vita naturale.
6. Io te lo dico: “Già in ogni goccia di rugiada, per quanto limpida brilli tremolante in cima ad un filo d'erba, io vedo agitarsi in tutte le direzioni, come in un mare, miriadi di esseri! L'acqua della goccia non è che un primo e generale involucro di un Pensiero di Dio; da questo involucro i piccoli spiriti lì racchiusi si costituiscono poi il loro involucro particolare, e poi sussistono in una qualche forma più precisa, la quale differisce già di molto da quella generale esteriore. In seguito a ciò, però, la goccia quale perla acquea svanisce, e le forme neo-plasmatesi in essa, quali piccolissime crisalidi già portatrici di vita, strisciano sulle piante e sulle altre cose sulle quali la goccia d'acqua si era formata. Allora queste crisalidi, afferrandosi a vicenda, si tramutano subito in un'altra forma, e centomila esseri diventano un essere solo. La nuova forma acquista una nuova epidermide; in essa, per influsso della luce e del calore, le molte piccole forme si tramutano e servono a costituire un organismo adatto alla nuova forma più grande. Per il nuovo essere così plasmato comincia allora una nuova attività, quale preparazione all'ulteriore passaggio in un'altra forma sempre più sviluppata, nella quale poi ricomincia l'attività che a sua volta tende alla costituzione di una nuova forma superiore ancora più perfetta. Così dunque l'evidente attività di ogni essere, già costituito in una qualsiasi forma determinata, non è altro che un'opportuna preparazione per ascendere ad una forma più nobile e più perfetta la quale tende ad ottenere il consolidamento sempre maggiore della vita animica, e finalmente poi - nella forma umana - di quella spirituale pura.
7. Ciò che io ho detto non è fantasia, ma è purissima ed eterna verità. Io potrei dirti molte altre cose ancora riguardo all'Ordine proveniente da Dio, come io ora le scorgo e le riconosco nel modo più evidente e chiaro! Ma io riconosco pure che il tempo di questo mio stato di perfezione volge ormai al suo termine, e perciò io devo rivolgerti solo ancora la preghiera che, quando allo stato normale sarò ridiventato quanto mai stolto e alle volte irascibile, tu voglia essere paziente con me e voglia condurmi e guidarmi sulla retta via nel vero Ordine di Dio che tu ormai conosci. Al mio risveglio nel mondo tu ti sorprenderai molto constatando che io sarò ricaduto nella mia stoltezza e nella mia tenebra e che di quanto mi è accaduto ora non saprò più nemmeno una sillaba, anche se tutte queste cose torneranno comunque a mio vantaggio.
8. Ancora per qualche tempo il mio spirito che ora si è maturato per influsso di una costrizione, stanco di questa condizione eccezionale e insolita, rimarrà sonnolento e muto. Però, in virtù del riposo che per il momento ancora gli necessita, egli sarà ben presto rinvigorito e si ridesterà e sentirà l'urgenza del vero perfezionamento della vita di cui ebbe a pregustare ora la beatissima dolcezza e contribuirà quindi moltissimo ad un perfezionamento completo e più sollecito dell'anima, affinché questa si maturi in esso al più presto in ogni verità e in ogni giusta facoltà, per potersi unificare pienamente con lo spirito che la compenetra.
9. Io mi addormenterò adesso nuovamente ancora per mezz'ora, dopo di che tu dovrai ridestarmi imponendomi le tue mani in senso inverso. Ma non appena io mi sarò ridestato, non lasciarmi andare via da qui finché io non abbia pienamente riconosciuto l'Uomo degli uomini il Quale siede a quella mensa, Uomo che è tutt'Uno con Colui che ancora vedo nel Sole del mondo immenso ed eterno degli spiriti.
10. Ed ora accetta il mio ringraziamento per avermi imposto le tue mani"».
Non giudicate!
1. Dopo queste parole, il nostro Zorel si riaddormentò tranquillamente, e Zinca esclamò: «Chi mai avrebbe potuto neanche immaginare tutte le cose sorprendenti che quest'uomo ci ha rivelato ora! Se tutto ciò corrisponde a verità, possiamo dire di essere venuti a conoscenza di cose delle quali difficilmente qualcuno tra i profeti ha potuto mai sognare. In verità, io mi sento schiacciato dalla sapienza profondissima di quest'uomo! Certo è, che nessun angelo potrebbe averne una maggiore!»
2. Dice a sua volta Cirenio: «Oh, sì, bisogna assolutamente aiutare quest'uomo, perché cose così sublimi e prodigiose come le abbiamo apprese adesso riguardo ai Tuoi ordinamenti divini, non sono state qui ancora mai rivelate! Le rivelazioni fatte da Mataele furono grandi e mi hanno fatto riflettere molto, ma quello che Zorel ci ha svelato ora è sbalorditivo! È appena possibile credere e pensare, che profondità tanto intime di sapienza possano essere rivestite da parole umane e presentate in maniera così chiara e intelligibile! Insomma, io sono proprio fuori di me a causa di questo Zorel! Se egli, nello stato in cui si troverà dopo essersi risvegliato nella carne, fosse ancora in grado di avere un linguaggio simile, io davvero lo farei sedere su un trono, affinché predicasse agli uomini la verità sublime, e perché tutti, potessero poi, tanto più sicuramente, raggiungere il vero e perfetto fine della propria esistenza e della propria vita!»
3. Dico Io: «Benissimo, amico Cirenio! Per il momento non è tanto importante quello che egli ha predetto nel terzo stadio – anche se in generale è vero – quanto piuttosto il fatto che voi in avvenire non dovete più condannare nessun uomo solo perché ha un'anima ammalata. Voi tutti, infatti, ora avete udito e percepito che perfino in un'anima così ammalata riposa un germoglio di vita pienamente sano. Se una tale anima, con l’aiuto fraterno, viene resa sana, voi avrete ottenuto un guadagno che nessun mondo vi potrà dare in eterno. Quale bene può fare poi un tale uomo così completo? Chi ne misurerebbe la portata? Voi uomini non lo sapete, ma Io so quanto vale la pena fare una tale fatica delle fatiche!
4. Perciò vi dico: “Siate sempre misericordiosi anche verso i grandi peccatori e delinquenti contro le vostre leggi e quelle divine! Solo a un'anima ammalata è possibile commettere un peccato, mai invece a una sana, poiché il peccato è sempre e solo la conseguenza di un’anima ammalata!”
5. Chi di voi uomini può giudicare e punire un'anima per la violazione di un Mio Comandamento, mentre voi tutti state sotto la stessa Legge? Una Legge data da Me consiste proprio in questo: non dovete giudicare nessuno! Se voi giudicate i vostri vicini che hanno peccato contro la Mia Legge, allora anche voi peccate contro la Legge in ugual misura! Come potete, essendo voi stessi peccatori, giudicare e condannare un altro peccatore? Non sapete che, condannando il vostro fratello ammalato nell'anima a una dura espiazione, avete pronunciato anche per voi una doppia sentenza di condanna, che verrà eseguita su di voi nell’aldilà, se non anche già qui, secondo le circostanze?
6. Se uno di voi è un peccatore, rinunci a fare il giudice, poiché, se giudica, egli giudica se stesso per la sua doppia rovina, dalla quale si libererà più difficilmente di colui che egli ha giudicato e condannato. Dunque, può mai un cieco guidare un altro cieco o metterlo sulla strada giusta? Oppure, può un sordo raccontare qualcosa a un altro sordo sull’effetto delle armonie della musica nel modo purissimo in cui veniva eseguita da Davide? O può forse un paralitico dire a un altro suo pari: “Vieni qui, tu, misero, io ti condurrò all’albergo!”? Non scivoleranno ben presto tutti e due, e non cadranno entrambi in un fosso?
7. Perciò, tenete a mente questo, prima di tutto: “Non giudicate nessuno, e fate in modo che ciò stia a cuore anche a tutti coloro che un giorno saranno vostri discepoli!”. Infatti, seguendo il Mio insegnamento, voi otterrete dagli uomini degli angeli, ma se non lo seguirete, voi otterrete dei diavoli e dei giudici contro voi stessi.
8. È vero che nessuno è del tutto perfetto a questo mondo, ma colui che è più perfetto nell'intelligenza e nel cuore sia il medico e la guida dei suoi fratelli e sorelle ammalati, e colui che è forte lui stesso, costui porti su di sé il debole, altrimenti soccomberà insieme al debole, ed entrambi non avanzeranno più da quel luogo!
9. Ma affinché voi tutti possiate comprendere questo in modo radicalmente giusto e vero, vi ho dato proprio ora un esempio tangibile in Zorel, dal quale potrete ben riconoscere come e quanto sia sbagliato giudicare un delinquente secondo il vostro modo. È vero che questo modo di giudicare resterà un attributo del mondo, e al drago della tirannide potrà mai essere difficilmente calpestata la dura testa di diamante – proprio per questo infatti la Terra è proprio un mondo di prova per la formazione dei Miei figli! – ma tra di voi le cose non devono rimanere così, poiché i Cieli spargono tra di voi dei frutti abbondantemente dotati di semi.
10. Se ora godrete i frutti del Mio zelo, non dimenticate di spargere il più abbondantemente possibile i semi che cadono nel cuore dei vostri fratelli e sorelle, affinché essi vi crescano e possano portare nuova frutta abbondante e sana! Come i semi deposti nel cuore possano produrre nuovi frutti meravigliosi, Zorel ve lo ha dimostrato in modo chiaro e preciso fin quasi nei più minuziosi dettagli. Agite dunque così, e allora già qui creerete quasi da voi stessi la vita, e proprio grazie a ciò, vi acquisterete da soli la vita eterna in tutta quella perfezione che ormai conoscete! Dopo l'esempio di quest’atto di imposizione delle mani, quello che vi ho detto vi serva di sprone all'imitazione e all'azione il più possibile esatte.
11. Ma ora è giunto il tempo in cui tu, Zinca, devi imporre nuovamente le mani a Zorel, però in senso inverso, affinché si ridesti; e tu Marco, dopo che si sarà destato, gli darai del vino un po' annacquato, affinché il suo corpo riacquisti il vigore iniziale. Quando egli ritornerà in sé e comincerà di nuovo a parlare nella sua maniera, non scandalizzatevi e non rammentategli nemmeno, per il momento, ciò che ha detto durante la sua estasi, poiché, se faceste ciò, potreste causargli dei danni al suo corpo! E non deridetelo neppure se egli dovesse proferire una qualche sciocchezza. Con molta precauzione potete far volgere a poco a poco la sua attenzione su di Me; badate però di non essere precipitosi a questo riguardo, perché altrimenti potrebbero derivargliene dei danni sotto molti aspetti e per lungo tempo. E ora, o Zinca, accingiti all'opera, poiché Marco è già pronto col vino e con l'acqua».
Fede materialista di Zorel.
1. Zinca allora impose le mani a Zorel in senso inverso, e costui aprì subito dopo gli occhi e si risvegliò. Quando Zorel si fu completamente destato, feci cenno al vecchio oste Marco di offrirgli il vino annacquato, perché la sete lo tormentava molto. Marco obbedì subito; Zorel, assetatissimo, vuotò un bel bicchiere tutto d'un fiato, e pregò che gliene venisse dato un altro colmo, perché aveva ancora sete. Marco mi chiese se poteva farlo, ed Io acconsentii, con la sola osservazione che la seconda volta si dovesse dargli più acqua che vino. Marco fece così e l'altro ne fu soddisfatto. Dopo che Zorel si fu ristorato in tal modo, egli volse lo sguardo intorno fissando attentamente le persone che lo circondavano e che egli poteva distinguere ancora benissimo, quantunque il Sole fosse già prossimo al tramonto.
2. Dopo una pausa egli disse, mantenendo il suo sguardo costantemente fisso su di Me: «Zinca! Quell'uomo là mi sembra di conoscerlo molto bene; io dovrei averlo già visto in qualche luogo! Chi può mai essere, e quale sarà il suo nome? Quanto più l'osservo, tanto più vivo mi si presenta il ricordo che io devo averlo visto altre volte! Zinca, io provo ora una grande simpatia per te; confidami dunque chi mai sia quell'uomo!»
3. Dice Zinca. «Quell'Uomo è il figlio di un carpentiere di Nazaret che è situata vicino a Cafarnao, ma non del borgo omonimo che si trova dietro il monte e che è abitato per la maggior parte dai sudici greci. La Sua professione è quella di Guaritore, ed è oltremodo abile nella Sua arte, poiché chi Egli soccorre viene veramente aiutato. Il Suo Nome corrisponde al Suo carattere, e perciò si chiama “Gesù”, vale a dire “un Guaritore di anime” e contemporaneamente anche delle membra malate del corpo. Egli ha nella Sua Volontà e nelle Sue mani un potere ancora molto maggiore del mio, ed è in pari tempo di una Bontà e di una Sapienza angelica. Ecco che ora sai tutto quello che hai chiesto; se tu hai forse qualche altra richiesta, falla pure subito, perché è possibile che questi alti personaggi vogliano cominciare a fare qualcosa, ed allora ci resterebbe solo poco tempo per discutere più dettagliatamente l'una o l'altra questione»
4. Zorel, a mezza voce, dice a Zinca: «Io ti ringrazio per quanto mi hai comunicato, anche se continuo tuttora ad ignorare la condizione nella quale io veramente mi trovo, perché non so assolutamente spiegarmi come è possibile che mi sembri di conoscere così tanto quest'uomo! Io ho l'impressione come se avessi fatto un lungo viaggio con lui, non so bene quando! Io ho viaggiato, anzi ho molto viaggiato, tanto per mare che per terra, ed ho avuto compagnia, ma non riesco davvero a ricordarmi in quale luogo io abbia mai visto una persona simile e le abbia parlato; e nonostante ciò, come detto, ho l'impressione come se io avessi avuto molto a che fare con lui durante un viaggio! Spiegami com’è possibile questa cosa!»
5. Risponde Zinca: «Nel modo più naturale del mondo. Tu hai certamente avuto una volta un sogno molto vivido, il quale ti è ora ritornato alla memoria in forma molto vaga, e questo sarà certamente il motivo della tua attuale sensazione!»
6. Dice Zorel: «Può darsi che tu abbia ragione; io sogno spesso di cose delle quali mi ricordo soltanto dopo alcuni giorni, e cioè quando una cosa esteriore simile mi richiama in un certo qual modo alla memoria l'oggetto sognato; altrimenti ogni ricordo va perduto e non ricordo più alcun sogno, per quanto vivido sia stato! Però la cosa sarà certo così come tu dici, perché in realtà quel Nazareno non l'ho proprio mai visto.
7. Ma ora, mio carissimo amico, vorrei dirti un'altra cosa ancora! Vedi, io sono venuto qui per ricevere dall'illustre governatore il sussidio che sai! Secondo te, ho forse qualche possibilità con lui? Se non vi fosse da sperare nulla, potresti intercedere in mio favore presso di lui, affinché mi venisse concesso di ritornarmene liberamente al mio paese? Infatti, a che scopo dovrei fermarmi qui? A tutto questo sapiente ciarpame teosofico ed anche filosofico io non ci tengo affatto! La mia teosofia e la mia filosofia si riassumono brevemente così: io credo a ciò che vedo, alla natura dunque che si rinnova sempre e poi sempre dall'eternità, ed ancora credo che il mangiare e il bere siano assolutamente le due cose più necessarie alla vita, ma ad altro io non credo tanto facilmente!
8. Certo, a volte ci sono cose strane a questo mondo, come ad esempio ogni tipo di magia ed altre arti e scienze, ma fra queste e me vi è lo stesso rapporto che esiste fra me e il fuoco: finché esso non mi brucia, io non soffio! Io non sento alcun bisogno di sapere e di comprendere più di quanto comprendo e so adesso, e perciò sarebbe anche molto sciocco da parte mia voler restare qui più a lungo per caricarmi forse di un bagaglio di sapienza non facilmente comprensibile e poter poi sfoggiarlo davanti a qualche imbecille.
9. Tu vedi in me un uomo naturale, il quale ha orrore di tutte le cosiddette istituzioni e leggi pretenziosamente sapienti degli uomini, perché queste feriscono spesso in modo troppo duro il sentimento di libertà innato in lui, istituzioni e leggi che hanno il solo scopo di rendere molto ricchi, potenti e ragguardevoli solo alcuni, a spese naturalmente di milioni di altri uomini costretti non di rado a languire nella più profonda miseria. Anche se io sapessi di più di quanto so adesso, non potrei che scrutare ancora più a fondo a tante altre ingiustizie, ciò che sicuramente non contribuirebbe a farmi più felice; così invece, nella mia ignoranza, mi risparmio molte afflizioni, non avendo la possibilità di risalire con la mente alle origini di tutte le malvagità umane.
10. Là dove i perversi sedicenti eroi di sapienza non hanno potuto inventare da soli leggi a sufficienza per poter opprimere l'umanità, hanno saputo scovare fuori dei collaboratori ricchi di pensiero e di inventiva, i quali, incedendo con facce estatiche e sembianze di asceti, si sono presentati alla gente con l'una o l'altra legge, con la menzogna di essere inviati da parte degli dèi, ed hanno iniziato con queste leggi a tormentare di nuovo la povera e debole umanità, minacciandola nella maniera più ridicola con le pene eterne più spaventose e, d'altro canto, promettendo le maggiori ricompense, ovviamente, promesse valide soltanto dopo la morte del corpo, quando cioè premiare è facile, perché i morti non hanno più bisogno di nulla.
11. Ma per quanto riguarda le punizioni, gli uomini non le rimandarono a dopo la morte, precedettero anzi nell'azione i vuoti dèi di loro invenzione, e preferirono punire i trasgressori delle leggi degli dèi addirittura già qui, affinché nell'altra vita nessuno ci rimettesse qualcosa del minacciato castigo. Essi fecero in modo che la gente pia si aspettasse di ricevere il premio solo dopo la morte; non è mai il caso che qualche piccolo anticipo senza interessi venga concesso già in questa vita, a meno che non ci si faccia in qualche modo addirittura ammazzare a vantaggio di qualche pezzo grosso. Tutto ciò che esiste e sussiste nelle comunità sociali umane è tanto chiaramente disposto nell'interesse dei singoli altolocati, che ognuno, il quale pensi lucidamente, può senz'altro di primo acchito rendersi conto della natura del terreno sul quale è edificato l'elemento legale-divino e quello sociale-umano!
12. Amico! Quando uno solo vuole godersi da liberissimo signore tutte le magnificenze della Terra, è certo che allora tutta la restante umanità, debole di volontà e di forza, deve piangere assieme al terreno che la porta. Per gli oppressori dell'umanità, per i più spietati tiranni, sarebbe sicuramente bene che fosse riservato un giorno il premio adeguato, ma dov’è colui che potrebbe assegnarlo? Insomma, non se ne fa niente. Tutto non è che un teatro di marionette.
13. Chi può rendersi soggetto gli altri, cioè il suo prossimo, costui ha cento volte ragione! Infatti un uomo sciocco non ha maggior valore di uno stupido cane! Il più forte e più astuto lo ammazzi, si impossessi di tutti i suoi beni e cerchi poi in tutti i modi di difendersi da attacchi stranieri. Se ciò gli riesce, egli diverrà ben presto un signore grande e libero; in caso contrario peggio per lui, perché si è sobbarcato di cose, la cui cattiva riuscita lui, da uomo saggio come pretendeva di essere, avrebbe dovuto prevedere per tempo. Per essere brevi, per gli imbecilli non vi è niente di meglio che sparire; quando costoro non esistono più, allora tutte le leggi, tutte le persecuzioni e tutte le punizioni inumane hanno cessato per loro di esistere in eterno. È molto meglio non esistere se si deve essere infelici, ed un'ora di vera miseria non può venire compensata nemmeno da diecimila anni della più grande beatitudine!
14. Ecco, Zinca, carissimo amico mio, questa sarebbe più o meno la mia innocua professione di fede, alla quale credo che difficilmente si troverà qualcosa da poter opporre a questo mondo. Questa è una verità che non si vuole ora intendere in nessun luogo; ognuno culla la propria esistenza in un mare di fantasie mendaci e si illude così di essere felicissimo! Tutti i gusti sono gusti! Chi vuole, razzoli pure sui campi della menzogna, e cerchi pure nella propria fantasia più fantasiosa un conforto quando la miseria comincia a stritolargli il capo col suo tallone di ferro.
15. Storditevi, voi tutti miserabili, col veleno soporifero della menzogna e dormite per tutta la vostra vita sotto il dolce incubo della pazzia; buon pro faccia a tutti se così vi sentite felici. Ma a me invece viene fatto un torto, perché sotto le ali d'aquila della verità io non posso che sentirmi immensamente infelice quando dalle sue luminose altezze sono costretto a contemplare, a sentire e a misurare perfino il precipizio sempre ugualmente profondo e mortale che attende me e gli altri miei pari! Chi mai potrebbe trattenermi nella caduta, se si spezzasse il legame allentato col quale la mia stoltezza mi ha assicurato alle ali potenti dell'aquila?
16. O uomini! Lasciatemi dunque divorare in pace la mia preda, io non vi faccio niente di male; datemi, di quello che a voi eccede, solamente quel tanto che basti a farmi recuperare quello che il destino perverso mi ha rapito, e voi non troverete in me un mendicante ingrato. Ma qualora secondo la solita usanza non vogliate darmi proprio nulla, lasciatemi allora partire almeno in sicurezza, affinché, da povero fauno che sono, possa - naturalmente per vie illegali - raccogliere quel tanto di legname che mi occorre per mettere assieme una miserabilissima capanna, almeno come quella che si costruisce il castoro! Una cosa o l'altra me la concederete di certo, e ritengo che non vorrete rendermi ancora più misero di quanto già lo sia! Però, se è vostra intenzione riservarmi una tale sorte, allora uccidetemi subito! Infatti, più miserabile di quanto già sono, non ho affatto intenzione di esserlo, né lo diverrò! E se voi non mi ucciderete, so io cosa mi resta da fare! Mi ucciderò da solo!»
17. Dice allora Zinca: «Sia lontano da te un tale pensiero! Del resto, in considerazione delle tue speciali buone conoscenze ed esperienze, non ti troverai neppure nella necessità di compiere un'azione tanto insana, dato che, mentre dormivi, Cirenio ha già provvisto per te nel migliore dei modi, però ciò non avrà effetto prima che tu non abbia potuto discernere che quello che ora tu riconosci per verità sia invece la più grossolana falsità. Non darti quindi più alcun pensiero; accogli una migliore dottrina, e soltanto allora sarai veramente e completamente felice!».
Critica della morale e dell’educazione da parte di Zorel.
1. Dice Zorel: «Le tue parole suonano molto amorevoli, buone e dolci, ed io sono persuaso che tu parli appunto così come lo senti nel cuore, e che la cosa sarà anche vera, ma la grande questione sta qui: quale dottrina dovrò dunque abbracciare, alla cui luce mi sia possibile riconoscere per fondamentalmente falso quello che io attualmente trovo indiscutibilmente vero? Due ed ancora una volta due fanno insieme quattro; questa è una verità matematica, contro la quale non si trova in tutti i Cieli niente da potere opporre, ed è impossibile che vi sia un'altra dottrina qualsiasi capace di smentire questa verità. Io dovrei essere un pazzo superstizioso per poter ammettere che due e due fanno sette; in tal caso sarebbe certo possibile che avvenisse in me un cambiamento di fede, ma secondo il mio attuale discernimento ciò è assolutamente impossibile.
2. Che vi debba essere una qualche forza primordiale, intelligente ed eterna, dalla quale traggono origine almeno i germi primitivi, o se non altro il loro primo ordinamento, ciò non può venire negato dalla ragione, per quanto pura essa sia, perché, dove esiste il due, deve esservi prima esistito anche l'uno. Ma quanto è ridicolo e sciocco, da parte dell'umanità cieca e stupida, volersi rappresentare sotto una forma - anzi sotto forma umana per non dire talvolta anche bestiale - una forza primordiale la quale deve necessariamente essere ripartita e diffusa in modo uguale in tutto l'universo, visto che la sua azione fondamentale deve esplicarsi in tutto l'universo pure in modo perfettamente uguale!
3. Gli ebrei, se si fossero attenuti alla loro dottrina originaria, avrebbero effettivamente ancora il concetto più ragionevole di una Forza prima universale che essi chiamano Jehova, poiché per loro dovrebbe valere il comandamento: “Tu non ti devi raffigurare Dio sotto alcuna forma, né meno ancora farti di Lui una scultura o una immagine!”. Ma essi non l'hanno osservato, ed attualmente le loro sinagoghe e i loro templi sono pieni di immagini e di ornamenti, mentre essi credono alle cose più sciocche, ed i sacerdoti puniscono quei loro seguaci che non credono a quanto essi insegnano. Essi si fanno chiamare servi di Dio, e reclamano di conseguenza onori immensi per sé; ma d'altra parte essi tormentano la povera umanità in qualunque modo loro riescono ad escogitare. Devo forse, sotto tali auspici, diventare anch'io ebreo? No davvero! Sia in eterno lontana da me una tale idea!
4. Si dice, è vero, che essi abbiano ricevuto delle leggi dettate a loro da Dio stesso, mediante il loro primo maestro, Mosè, sul Sinai. Bisogna ben dire che queste leggi sarebbero in se stesse veramente eccellenti, se esse servissero a ciascuno di norma assoluta nella vita; ma a che giova proibire, nel più severo dei modi, al povero il furto e l'inganno, se chi siede in alto e domina, spoglia, deruba e inganna egli stesso in ogni occasione e in ogni modo possibile tutta l'umanità che gli è sottomessa e schiava, senza farsi il minimissimo scrupolo per questo suo agire contrario alla legge divina? Dimmi tu un po’ in che luce possono apparire una tale legge e coloro che sono chiamati a tutelarla di fronte a chi pensi rettamente!
5. Se un povero fauno, costretto dalla necessità, si appropria, là dove ha trovato del superfluo, di qualcosa per soddisfare i suoi più urgenti bisogni, allora egli viene chiamato a rispondere col più inesorabile rigore e viene immediatamente punito a più non posso, mentre invece colui che dovrebbe tutelare la legge ma che ogni giorno e in ogni occasione depreda, assassina, ruba e inganna, ebbene, costui è al di sopra della legge, non la osserva affatto e nel suo intimo non crede a niente salvo che ai propri vantaggi temporali e alle proprie immense esigenze. Dunque, può chiamarsi un ordinamento divino questo che si trova in contraddizione tanto stridente con le necessità anche più meschine della povera umanità? Quale ragione umana, per quanto mediocremente limpida sia, potrà mai approvare una cosa simile?
6. Quello che a me certo può essere gradito che mi venga fatto, devo anche pensare che pure al mio prossimo non sia sgradito se io gli faccio ciò che lui con la massima modestia ritiene buono e gradito. Quando mi dibatto fra le strettoie della disperazione e della miseria; quando sono privo di tutto e senza un soldo per provvedermi anche di ciò che mi è proprio strettamente necessario; quando vado, cerco e supplico, ma alle mie preghiere nessuno si muove e nessuno mi da niente, e quando infine mi approprio di quanto non posso proprio fare a meno, ebbene, può forse una legge condannarmi in tali casi? Non ho forse il diritto di prendere possesso di quello che costituisce lo strettissimo necessario, dal momento che i potenti del tempo passato non hanno certo commesso alcun peccato quando si sono impossessati di interi paesi?
7. Oh, sì, se io rubassi per evitare il lavoro e continuassi sempre a rubare per lo stesso motivo, allora nessuna mente umana potrebbe ritenersi offesa se volessero chiamarmi a renderne conto; ma se io - soltanto nel momento del bisogno - mi impadronisco, in certo qual modo illegalmente, di una cosa che mi è assolutamente necessaria, non vi è Dio che possa o debba dichiararmi responsabile; tanto meno poi un mortale debole ed egoista, il quale, sotto molti aspetti, commette in un solo giorno più ingiustizie di quante ne commetta io in un anno intero. Io non intendo con ciò recare oltraggio alla presunta Legge divina che tutela la proprietà, ma col suo rigore senza eccezioni essa non contribuisce certo a rendere l'umanità né migliore né più umana, caso mai più dura e più spietata!
8. Lo stesso vale per la legge emanata a protezione dell'educazione pura e del buon costume, la quale è stata gettata lì grezza e ruvida senza alcun riguardo alla natura, al tempo e alla capacità degli uomini. Si consideri in quali condizioni può trovarsi un essere umano, non importa se maschio o femmina: talvolta non ha nessuna educazione, altre volte ha un'educazione che sarebbe meglio non l’avesse affatto. Spesso egli assume cibi e bevande che eccitano molto il suo sangue, e trova spesso una facile occasione per soddisfare il suo prepotente stimolo naturale, ed egli anche lo soddisfa, ma poi la faccenda viene alla luce, ed egli, quale peccatore, si attira una punizione senza misericordia avendo contravvenuto ad una Legge divina!
9. O pazzi, voi con tutte le vostre leggi divine. Perché non avete fatto una legge divina preliminare, secondo la quale si fosse dovuto provvedere ad una vera e buona educazione, dopo di che si sarebbe eventualmente resa evidente la necessità di una qualche altra legge supplementare! Ci sono forse parole per descrivere l'imbecillità di quel giardiniere, il quale, volendo piantare un viale di alberi coperto ad arco, si mette a piegare gli alberi con la forza soltanto quando questi, dopo una lunga serie di anni, sono diventati grandi, duri e rigidi; ma perché quell'idiota non ha cominciato a piegare gli alberi in un tempo in cui l'operazione gli sarebbe riuscita facilissima e senza alcun pericolo? Abbia cura dunque un Dio, od anche un uomo per bocca del quale parli la Divinità, di far impartire una educazione savia, buona e adatta alla natura morale dell’uomo, e poi soltanto stabilisca delle leggi savie nel caso in cui l'uomo, educato in tal modo, ne avesse eventualmente ancora bisogno.
10. O Zinca, amico mio! Tu sei ebreo, è vero, e perciò conoscerai la tua dottrina meglio di me; ma per quanto di essa mi è casualmente noto, non posso far altro che ripetere quello che ti ho già detto; da ciò rileverai che, in seguito ai provvedimenti da parte dell'illustre Cirenio, io non posso affatto rinunciare ai miei convincimenti fondati sulla ragione pura e su principi matematici. A queste condizioni io devo respingere ogni e qualsiasi provvedimento in mio favore, per quanto splendido; preferisco ritornare un accattone e passare così il misero resto dei miei giorni su questa Terra. Quello che poi la natura vorrà fare in seguito di me, sarà, per un morto restituito al vecchio nulla, perfettamente indifferente. Ed ora, parla tu, o Zinca, e dimmi se, secondo il tuo modo di vedere, ho torto o ragione!»
11. Dice Zinca: «Amico e fratello mio Zorel! In fondo in fondo non posso darti completamente torto; tuttavia non posso fare a meno di farti osservare che a questo mondo vi sono delle cose speciali della cui possibilità tu non puoi ancora farti il minimo concetto. Quando ti si chiariranno le idee, allora soltanto riconoscerai da te stesso quanto di buono e di vero vi sia nelle tue attuali massime fondamentali!»
12. Dice Zorel: «Sia pure, andrà bene così; ma se tu sai qualcosa di meglio, opponimi qualche tuo argomento, ed io sono pronto a ribatterlo!»
13. Dice Zinca: «Questo a te ed a me gioverebbe ben poco; rivolgiti però a quell'Uomo, di cui dicesti che ti sembrava di conoscerLo bene. Egli saprà illuminarti, e poi comincerai subito a rilevare chiaramente la verità ovvero l'opposto delle tue asserzioni!»
14. Dice Zorel: «Sta bene, farò così; io non ho nessun timore di lui, egli però troverà in me un osso duro da rosicchiare».
Erronei concetti materialisti.
1. Con tali parole Zorel, avvolto nei suoi miseri stracci, lascia Zinca e si avvicina a Me dicendo: «Illustre signore e maestro dell'arte medica; questa veste che copre il mio povero corpo si compone di cenci della più misera specie, ma essi coprono almeno le vergogne di un uomo, al quale veramente rincresce di trovarsi ad essere purtroppo anche egli uomo fra tutti questi molti che vogliono o che dovrebbero essere uomini! Per quanto riguarda la forma, eccezion fatta delle vesti, l'abbiamo certamente tutti uguale, ma fra essere ed essere pare invece che ci sia un'enorme differenza.
2. Io sono uno che sa distinguere bene come due più due non faccia sette, bensì quattro! A quanto mi ha detto Zinca, tu saresti l'uomo che potrebbe accendere in me una piccola luce più chiara di quanto non sia la mia che almeno mi ha conferito fra i miei compagni di fede l'impronta dell'umanità; però io non ci ho mai tenuto un granché alle mie idee, e meno ancora ci terrò in seguito se tu vorrai illuminarmi altrimenti.
3. Zinca mi disse che Tu solo saresti in grado di farlo. Tu hai ormai inteso quali sono i miei principi, che non sono proprio del tutto campati in aria; essi sono stati finora disgraziatamente per me una verità fin troppo palpabile; ma se in compenso mi puoi dare qualcosa di meglio, fallo pure, ed io allora getterò all'istante ben volentieri e di tutto cuore a mare tutto il mio ciarpame di verità. Veramente io non so con quale titolo onorifico ossequiarti; ma io penso che tu pure debba essere un uomo della verità, ed a tali persone è del tutto indifferente il titolo che si dà loro. Io ti chiamo illustre maestro, e come tale ti onoro, anche se ti conosco solo per aver sentito parlare di te, ma se tu potrai anche soddisfarmi direttamente e praticamente, allora io ti adorerò!
4. Dimmi dunque, se te la senti, riguardo alle mie massime di verità, fino a qual punto io sia in errore oppure sia dalla parte della ragione! Siamo noi, al momento presente, più o meno uomini di quanto lo fossero stati coloro che hanno abitato questa Terra quali primi esseri ragionevoli? E dato che gli uomini hanno ormai inventato una legge a tutela della proprietà, legge che essi dicono essere stata data da Dio, è lecito ora a me, povero fauno, ridotto già spesso a non aver un boccone da mettere in bocca per tre giorni e a non trovarne qualcuno nemmeno pregando, è lecito a me di prendere dal superfluo del mio simile quel tanto che basti appena a salvarmi dal morire di fame, considerato che ogni verme della terra ha pure il diritto di saziarsi di un bene estraneo senza dover acquistarlo, perché alla fin fine è anch'esso un abitante di questa Terra, e deve purtroppo esserlo, avendo così disposto un giorno la possente Natura? Oppure un uomo deve avere realmente minor diritto di saziarsi delle frutta terrestri, che si confanno alla sua natura, di quanto abbiano gli uccelli dell'aria, dei quali ciascuno è un ladro patentato, e ciò per il motivo appunto che esso non ha potuto mai comperarsi qualche buon pezzo di terra? Io ti prego dunque di voler dare una giusta spiegazione su questo argomento!»
5. Gli dico Io: «Amico, finché tu equipari i tuoi diritti umani a quelli degli animali, hai perfettamente ragione con i tuoi diritti fondamentali naturali, ed Io non posso contrapporti nulla; in questo caso qualsiasi legge a tutela della proprietà e qualsiasi altra legge morale sarebbero in generale la più assurda delle ridicolaggini. Quanto dovrebbe essere stolto colui che volesse prescrivere agli uccelli dell'aria, agli animali sulla terra ed ai pesci nell'acqua delle leggi a tutela della proprietà ed altri precetti morali! Infatti, ognuno, per poco ragionevole che sia, a non parlare di un Dio, deve ben sapere che tali esseri hanno nella loro natura il loro unico legislatore! Il tuo modo di vedere è quindi pienamente legittimo se l'uomo non è che un qualunque animale, e se esso non può attendersi niente di più di un qualunque animale, così come ti si presenta per il momento nel suo stato naturale.
6. Ma se l'uomo esiste o, com’è ben possibile, dovesse esistere su questa Terra per un qualche scopo più nobile, la qual cosa certo non ha finora potuto venirti in mente come lo dimostra, con tutta evidenza, la tua sapienza in lotta puramente per gli infimi bisogni, ebbene, in questo caso, Io ti dico che i tuoi principi matematici verrebbero a trovarsi su una base molto debole e vacillante!
7. Che però ciascun uomo sia stato posto su questa Terra ad uno scopo più nobile, lo dovresti già riconoscere dal fatto che egli, quand'è appena nato, sta molto al disotto di qualsiasi animale, e solo dopo alcuni anni di efficaci cure inizia a diventare un uomo; egli deve scegliersi un qualche campo di attività e con ogni tipo di oneste fatiche e di lotte leali deve guadagnarsi il pane! E perciò gli sono state date anche delle leggi, affinché egli le considerasse come prime guide ad una meta più alta, e le osservasse di suo proprio libero volere a favore dell’ulteriore autoformazione e autodeterminazione; è solo grazie ad esse che egli può infine giungere alla sua alta destinazione, mai però quale uomo-animale, per quanto mordacemente ragionevole, ma quale perfetto uomo-uomo.
8. Finché tu ti curi solamente di ciò che è della carne, non farai molta strada come uomo; ah, ma ben altrimenti sarà quando arriverai a scoprire che in te dimora ancora un altro uomo il quale ha tutt'altri bisogni da quelli del tuo corpo, e che è pure destinato a qualcos’altro; allora certamente non ti sarà più difficile riconoscere quanto tu abbia finora scavato nella sabbia inconsistente con le tue massime!
9. Vedi, Io conosco la tua volontà, buona sotto più di un aspetto, e la tua sete del vero e della causa di tutti i mali in cui attualmente l'umanità sulla Terra è sommersa fin sopra gli orecchi. I tuoi pensieri, poiché il rubare ti procurò sempre una gioia particolare, ti hanno fatto trovare nella legge a tutela della proprietà e dell'onesto possesso il tuo vaso di Pandora, e poiché nei tuoi anni giovanili fosti un grande ed appassionato amico delle donne, così ti ha sempre dato fastidio quella legge morale che per te, come per tutti gli altri, ha stabilito come peccato d'abuso dell'atto carnale.
10. Oh, sì, come uomo-animale tu hai perfettamente ragione anche qui con le tue massime, anche riguardo alla circostanza che, prima delle altre leggi, avrebbe dovuto esserci una legge preliminare tendente a far dare un'educazione a tutti i fanciulli, per cui i principi dell'ordine sociale fossero stati loro inculcati in modo tale da rendere, nell'età virile, assolutamente impossibile la trasgressione di qualsiasi legge, la qual cosa perciò avrebbe resa del tutto superflua una legislazione successiva.
11. Ma, vedi, il Creatore dei mondi e di tutti gli esseri ha già dato quest’ordine agli animali: ad ogni animale viene impartita già nel corpo materno, secondo quest'ordine, l'educazione preliminare da te voluta in tutta la sua natura; e non ha bisogno in seguito di nessun’altra legge, perché con l'educazione preliminare nel corpo materno esso porta con sé già tutto ciò che gli occorre per tutta la vita! Colui però che ha creato gli spiriti angelici, i Cieli, i mondi e gli uomini, sapeva certo benissimo cosa ci voleva per fare dell'uomo un essere libero - per poi educarlo - e non per farne un animale giudicato.
12. Se tu esamini con ancora maggiore attenzione le tue massime fondamentali della vita, matematicamente giuste, troverai ben presto che anche la lingua è un grande male per gli uomini, poiché, attraverso di essa, essi possono istruirsi in ogni cosa malvagia, e nemmeno la bugia avrebbe mai fatto capolino fra gli uomini se essi non avessero saputo esprimersi né con segni né con parole; certamente anche il pensare è pericoloso, perché mediante il pensiero gli uomini possono essere indotti ad ogni genere di malvagità e di insidia! Concludendo, essi non dovrebbero poter né vedere, né udire, né gustare, né fiutare chiaramente, perché tutti questi sensi, se perfettamente costituiti, possono sempre suscitare facilmente negli uomini la bramosia di qualcosa di eventualmente illecito e peccaminoso! Ma considera ora un po’ il tuo uomo in base ai tuoi principi matematici, e domanda a te stesso se, ad eccezione della forma, fra lui e un polipo in fondo al mare esiste veramente una qualche differenza.
13. E poi, cosa farai di un simile uomo riguardo all'alto scopo per cui ogni uomo è stato creato? Quale cultura gli potrai dare? Quando mai perverrà un essere di questo genere alla conoscenza di se stesso e alla conoscenza del vero Dio, e della causa prima di tutte le cose, nonché di ogni luce e di ogni beatitudine? Esamina bene la costituzione di un uomo sano, considerala ed investigala accuratamente col tuo intelletto critico, e non potrai non convenire che un essere tanto sapientemente e tanto artisticamente organizzato deve infine pure avere un'altra destinazione che non sia quella soltanto di riempirsi giornalmente il ventre, per poter poi espellere da sé escrementi in abbondanza!».
Della legittima tutela della proprietà.
1. (Il Signore:) «Tu adduci qui ovviamente a pretesto la tua povertà e quella dimolti altri e, contrariamente alla Legge divina a tutela della proprietà, chiedi per te quel tanto di diritto che ti autorizzi ad impossessarti in casi urgenti, sotto lo stimolo della fame e della sete, di quel tanto che basti a saziarti, senza peccare contro la menzionata legge. Io posso dirti a questo riguardo, da fonte assolutamente degna di fede, che Jehova, quando diede la Legge al popolo ebreo per mezzo di Mosè, aveva ben presente questo bisogno, e prescrisse agli uomini con vero valore di legge la massima: “Non impedire all'asino che lavora sul tuo campo di prendersi là la sua pastura, e non porre la museruola al bove che tira l'aratro. E quando tu porti i covoni legati nei tuoi granai, lascia giacere sul campo le spighe cadute affinché i poverelli possano raccoglierle per soddisfare la loro fame. Ognuno sia dunque sempre pronto ad aiutare il prossimo, e chi ti dice: ‘Ho fame’, non lasciarlo partire fino a che non sia saziato”. Ecco, anche questa è una Legge di Jehova ed Io ritengo che con questa sia stato pensato a sufficienza anche ai poveri.
2. Che però non ogni uomo nato su questa Terra possa essere o diventare un proprietario di terre, la cosa risulta lampante già dalla natura delle cose. I primi e pochi uomini poterono certamente ripartire con facilità fra di loro il possesso dei terreni, poiché allora tutta la Terra era ancora senza padroni. Oggi però, particolarmente nelle sue regioni fertili, essa è abitata da una quantità quasi innumerevole di uomini, e non si può di certo contestare il possesso del terreno toccato in sorte a quelle famiglie che l'hanno già da lungo tempo coltivato col sudore della fronte e che lo hanno bonificato e reso fertile mettendo spesso in pericolo la loro vita. Anzi per il bene comune conviene che esse siano protette con la maggior efficacia possibile, affinché a coloro che con la propria diligenza hanno benedetto il suolo non venga strappata la loro parte, poiché essi non devono coltivarlo ogni anno soltanto ed interamente per se stessi, ma per cento altri ancora che non possono essere proprietari di latifondi e di terreni.
3. Vedi, chi possiede un terreno esteso, deve avere anche molta servitù, e tutta questa gente vive come lo stesso proprietario dei medesimi terreni. Sarebbe forse bene per i servitori se a ciascuno di questi si desse un qualche terreno ugualmente grande? Come potrebbe coltivarlo un solo uomo? E se anche potesse farlo per un certo tempo, cosa succederebbe poi se egli si ammalasse o se le forze gli venissero a mancare? Non è dunque di gran lunga migliore e più saggio che pochi soltanto detengano un possesso stabile ed abbiano granai e provviste, piuttosto che tutti - perfino anche i bambini appena nati - siano proprietari di terreni, il quale sistema avrebbe infine per conseguenza che nessuno si troverebbe sottomano qualche provvista precisamente nel momento del maggior bisogno?
4. Io domando inoltre al tuo intelletto matematico: “Se nell'insieme delle società umane non esistesse una legge a tutela della proprietà, Io vorrei vedere che faccia faresti se venissero altri, dei quali ti risultasse che non hanno mai avuto una voglia particolare di lavorare e che volessero toglierti le tue piccole provviste per saziarsi? Non penseresti forse che una legge a tutela del possesso sarebbe in questo caso molto opportuna e non ti augureresti che simili sfacciati malfattori venissero puniti da un qualche tribunale e fossero infine costretti a servire e a lavorare, e non desidereresti poi che le tue provviste ti venissero restituite?”. Vedi, anche la ragione pura dell'uomo richiede tutto ciò.
5. Ma se tu ritieni che i tuoi principi matematici siano in ogni caso assolutamente i migliori di questo mondo, allora parti e va’ verso oriente, a circa 1000 lunghezze di campo da qui, dove c'è un'estesa regione montuosa con vasti terreni del tutto ancora senza padrone. Là tu puoi stabilirti, subito e senza impedimenti, su un terreno lungo e largo molte ore di cammino e nessuno te ne contesterà il possesso. Tu puoi prendere con te perfino un paio di donne e anche alcuni servitori, e in quelle contrade montane, certo un po’ lontane, puoi fondare addirittura uno Stato, e in 1000 anni nessuno verrà a disturbarti nelle tue proprietà; dovrai soltanto sbarazzarti prima di qualche orso, lupo e iena, perché altrimenti potrebbero darti un po' di molestia di notte. In questo modo ti sarebbe almeno possibile imparare a conoscere, in generale e in particolare, le notevoli difficoltà contro le quali i proprietari di questi terreni dovettero combattere prima di poter rendere coltivabile il suolo come lo è ora. Qualora tu stesso ne avessi fatto la prova, allora ti persuaderesti di quanto ingiusto sarebbe togliere ora ai primitivi proprietari le loro terre per ripartirle fra dei mascalzoni pigri e scansafatiche.
6. Questa è la situazione: siccome tu stesso non sei uno speciale amico del lavoro, e meno ancora della preghiera, allora anche l'antica legge a tutela del possesso ti ha sempre dato noia, e perciò ti conferisti da te stesso il diritto di appropriarti di qualsiasi cosa ti fosse stato possibile prendere inosservato e impunito. Soltanto il campo di due jugeri (11.509 mq) te lo sei acquistato assieme alla capanna, ma anche questo non con denaro guadagnato lavorando, ma con denaro trafugato in maniera quanto mai astuta ad un ricco mercante a Sparta. Ora, è vero che una volta il furto era permesso a Sparta quando veniva impiegata l'astuzia; nel nostro tempo però sussistono già da molti anni anche a Sparta le stesse leggi a tutela della proprietà come qui, e per conseguenza quel mercante tu lo derubasti in maniera assolutamente illegale alleggerendolo di un paio di libbre d'oro (1,12 kg d’oro), e con queste sei fuggito qui e ti sei comperato il campo in questione insieme alla capanna, mentre tutto il resto che era in tuo possesso lo hai accumulato rubacchiando qua e là a Cesarea di Filippo o nei dintorni!
7. Ma guai però a colui che ti avesse rubato qualcosa; a quel tale avresti inculcato il rispetto di quella legge a tutela della proprietà che a te tanto ripugna, in una maniera che uno sbirro romano non avrebbe certo sdegnato! Oppure, ti sarebbe forse gradito che il frutto maturo del tuo campo venisse raccolto da qualcun altro che giustificasse tale azione con la sua assoluta povertà? Vedi, ciò che non starebbe bene a te, non starà bene nemmeno ad un altro se tu, secondo le tue massime fondamentali della vita e dell'educazione matematicamente vere e giuste, volessi derubarlo del suo raccolto. Se però la cosa praticamente non può stare che nei termini come Io te li ho esposti ora, insisti forse ancora nel considerare i tuoi principi fondamentali della vita come gli unici veri ed incontestabilmente giusti?».
8. A questo punto Zorel non può celare il suo grande imbarazzo, perché si vede completamente soggiogato e vinto.
L’origine e la parentela di Zorel.
1. Zinca allora, che si trovava dietro a lui, battendogli sulla spalla gli dice: «Ebbene, amico Zorel, accetterai ora i provvedimenti di Cirenio o no? Mi sembra infatti che le tue massime della vita, per quanto buone siano apparse da principio anche a me stesso, siano tutte andate in fumo!»
2. Risponde Zorel dopo una pausa: «Sì certo, il salvatore ha ragione; egli soltanto ha ragione. Io ora vedo chiaramente la mia insensatezza, e nei miei riguardi tutto corrisponde punto per punto così come egli lo ha esposto. Ma come mai ha potuto venire a conoscenza di tutte queste cose? Oh, sì, tutto ciò è vero, purtroppo vero! Ma cosa fare adesso, da dove ricominciare?»
3. Dice Zinca: «Non c’è altro da fare che pregare di ricevere qualche altro buon ammaestramento, poi ascoltare e agire a seconda; tutto il resto lascialo a coloro che ti vogliono bene e che ti possono aiutare, e che certo lo faranno se tu ti comporterai così come ti ho consigliato ora»
4. Allora Zorel si getta ai Miei piedi e Mi prega che lo illumini; Io però gli dico di rivolgersi all'apostolo Giovanni. Zorel Mi domanda, ormai in tono rispettosissimo, per quale motivo Io non voglia dargli qualche altro ammaestramento.
5. Ma Io gli rispondo. «Quando un padrone ha intorno a sé molti servitori perle sue cose, fa forse male se assegna anche a questi dei lavori a seconda delle loro capacità? Non è assolutamente necessario che metta egli stesso mano a tutto perché il lavoro venga compiuto, ma basta che vi sia lo spirito del padrone, e il lavoro verrà tuttavia portato a buon fine anche mediante le abili mani dei servitori. Va’ dunque pure a colui al quale Io ti ho indirizzato, e vedrai che in lui troverai l'uomo che fa per te. È quello lì che sta all'angolo della tavola, e che indossa un mantello azzurro chiaro»
6. A queste Mie parole Zorel si alza, si reca sollecito da Giovanni e gli dice: «O fedele servitore di quel sapientissimo signore, poiché tu pure hai udito chi io sia e quale sia la mia indole, insegnami tu come debbo fare per giungere ad un completo miglioramento che mi renda degno di venire accolto nel numero di coloro che possono di pieno diritto chiamarsi “uomini”. Ormai io non chiedo più nessun provvedimento per poter diventare un uomo dabbene, ma soltanto per amore del vero vorrei apprendere da te la piena verità!»
7. Dice Giovanni. «E questa ti sarà anche data nel nome di quel Signore che si trova laggiù, ma prima devi darmi l'assicurazione che in avvenire modificherai completamente la tua condotta di vita e che risarcirai qualsiasi danno che tu possa mai avere arrecato a qualcuno contro la sua volontà; anche al mercante di Sparta, il quale vive tuttora, devono venire restituite le sue due libbre d'oro (1,12 kg d’oro). Oltre a ciò devi anche volgere del tutto le spalle al tuo paganesimo e diventare un nuovo israelita, poiché tale era tuo nonno e precisamente della tribù di Levi. Quarant’anni fa egli andò dai greci di Sparta per annunciare loro l'unico vero Dio e per farne degli israeliti nello spirito, ma alla fine si lasciò invece smuovere e convincere egli stesso e divenne, con tutta la sua famiglia, un pagano sciocco e tenebroso, e tu stesso diventasti tale, perché fu a Sparta che tu venisti al mondo. I tuoi due fratelli che attualmente si trovano ad Atene divennero per merito della loro bella eloquenza addirittura dei sacerdoti pagani, e dedicano tuttora il loro vuoto ministero ad un Apollo e ad una Minerva, mentre la tua unica sorella è la moglie di un trafficante il quale fa un brutto commercio di idoli d'Efeso scolpiti e dipinti, e in aggiunta trae anche discreti utili da affari con meretrici e ragazze allegre di ogni specie, vendendo e comprando, ma per lo più facendo da ruffiano. Questo dunque è tuo cognato che un tempo era pure israelita, e che oggi invece è appunto quello che ora ti ho detto»
8. Zorel, profondamente colpito e sorpreso che Giovanni sapesse quello che egli stesso per motivi plausibilissimi non avrebbe mai voluto raccontare a nessuno, non poté fare a meno di sentire tali cose dalla bocca di un uomo di cui non poteva pensare altro se non che questi doveva essere stato in Grecia e che fosse a conoscenza di tutto quanto era accaduto ed ancora accadeva là.
9. Per conseguenza Zorel chiese con una certa premura a Giovanni. «Ma a che scopo raccontare ora tutte queste cose qui in presenza di tutti? Non basta forse che le sappiamo tu ed io? Perché dunque devono saperle anche tutti quelli che ci stanno intorno?»
10. Dice Giovanni. «Sta pur tranquillo, amico mio! Se io facessi ciò per nuocerti nell'anima e nel corpo, sarei un perverso, e dinanzi a Dio sarei ancora peggiore del tuo stolto cognato di Atene; ma per la tua salvezza io devo ora smascherarti completamente al cospetto degli uomini, affinché tu non compaia dinanzi a nessuno per quello che non sei! Se tu vuoi diventare perfetto devi metterti a nudo, e non deve esserci più niente di occulto nella tua anima; soltanto quando sarà bandita da te ogni cosa contraria all'ordine potrai accingerti a lavorare al tuo perfezionamento. Tu certamente potresti liberarti anche in te stesso silenziosamente dai tuoi molti peccati, e così migliorarti in maniera che gli uomini ti stimerebbero ed onorerebbero, perché di te essi non conoscerebbero che il buono e non il cattivo, e molti seguirebbero il tuo buon esempio! Col tempo, però, da un qualche testimone degno di fede essi potrebbero venire a conoscenza di quale grossolano e grande peccatore tu sia stato, così in segreto! Con quali occhi sospettosi ti guarderebbero, dopo avere scoperto ciò, tutti coloro che prima ti avrebbero onorato come un uomo puro e che avrebbero seguito il tuo esempio? Tutte le tue virtù apparirebbero come una pelle d'agnello sotto la quale si comincerebbe ad intravedere un lupo rapace, e poi, nonostante tutte le tue virtù in sé e per se stesse immacolate, ognuno eviterebbe la tua compagnia in se stessa molto istruttiva.
11. Tu vedi dunque che per essere perfetti non bisogna evitare soltanto il male nella sua realtà, ma anche l'apparenza del male; senza questo sarà difficile giovare efficacemente al prossimo, ciò che infine è e deve essere la meta principale di ciascuno, perché altrimenti non è possibile immaginare una società veramente felice su questa Terra!
12. Infatti, cosa servirebbe ad una società umana se anche ogni suo membro fosse in se stesso del tutto perfetto, ma si tenesse sempre appartato dal suo vicino? Allora uno comincerebbe a diffidare dell'altro e in una mosca venuta a ronzare intorno al capo di un vicino per quanto innocuo, sembrerebbe di scorgervi dei draghi alati o degli elefanti! Ma se invece tutti imparano adesso a conoscerti come eri prima, e non resta loro nascosto quello che hai fatto e come sei vissuto finora, e se d'ora in poi ti migliori, diventando agli occhi e agli orecchi di tutti un'altra persona, pienamente conscia dei tuoi precedenti errori che però tu ora dimostri di aborrire veramente e profondamente, allora ognuno ti circonderà della propria fiducia e benevolenza più sincera, e ti amerà come un vero fratello puro ama l'altro fratello puro. È necessario dunque che tutto venga reso noto sul tuo conto prima che tu possa passare efficacemente ad una dottrina migliore.
13. A dire il vero, molte sono le cose già rivelate finora sul tuo conto, ma non è ancora tutto, e visto che la confessione ti riesce piuttosto difficile, te ne alleggerirò in parte il peso appunto raccontando io al posto tuo, del tutto letteralmente e conformemente alla verità, quello che mi è noto della tua vita in maniera chiara come la luce del Sole»
14. Chiede Zorel: «Ma come puoi sapere tutto ciò; chi te lo ha rivelato? Prima d'ora non ti ho mai visto né mai ti ho parlato!».
Il passato da mercante di schiavi di Zorel.
1. Risponde Giovanni: «Non preoccupartene per ora; quando sarai perfetto, tutto ti sarà chiaro, ma ora ritorniamo al nostro argomento.
2. Il lato peggiore del tuo essere consiste nel fatto che negli ultimi tempi hai fatto, di nascosto, il mercante di schiavi, o meglio di fanciulle dai dodici ai quattordici anni provenienti dall'Asia Minore e che vendevi in Egitto, e spesso tali oneste fanciulle sono cadute in mani molto perverse, mentre poche soltanto in mani buone. Che esse venissero subito brutalmente violentate da colui che le comperava, puoi ben immaginartelo. Se ciò si fosse limitato al naturale congiungimento carnale, la cosa non avrebbe assunto il carattere di una colpa tanto grave; ma in quale nefando modo alcune fra queste sono state maltrattate ad Alessandria, al Cairo, a Tebe ed a Menfi! E come vengono maltrattate tuttora! Se tu vedessi quanto spesso una di queste povere fanciulle, prima di sottostare all'atto brutale, viene orribilmente percossa e flagellata a sangue con verghe e fruste dal suo infernale padrone per eccitare maggiormente la propria sensualità, allora - malgrado il tuo poco sentimento umano - malediresti te stesso, che per un vile infame guadagno hai fatto cadere delle creature umane in una miseria tanto orribile!
3. Quante migliaia di imprecazioni e di maledizioni terribili non sono cadute sul tuo capo, e quante volte sono state versate centomila lacrime e quanti gemiti estorti fra gli strazi di un maltrattamento così diabolico! Quante di queste delicate fanciulle non sono morte in seguito alle intollerabili sofferenze e nella più atroce disperazione? Ebbene tu, dannando te stesso, hai tutte costoro sulla coscienza! Infatti, vedi, tu esercitavi il tuo occulto e triste commercio su vasta scala, soprattutto tre anni fa circa, e il numero di coloro che rendesti infelici è diventato grande, ed arriva ormai ad ottomila! Come e quando potrai riparare a tante sciagure? Che male ti avevano mai fatto quelle fanciulle perché tu le rendessi tanto infelici? Parla ora e giustificati!».
Zorel cerca di scagionarsi.
1. A tali parole Zorel, completamente sconcertato, si confonde, e solo dopo un'attesa abbastanza lunga dice: «Amico! Se io avessi saputo allora quello che so e riconosco adesso, puoi bene immaginarti che io avrei fatto qualunque altro mestiere piuttosto che il mercante di schiavi! Io sono cittadino di Roma e, per quanto ne so, nessuna legge ha mai vietato il commercio degli schiavi, e inoltre da tempo immemorabile come pure attualmente è una cosa ancora permessa; ebbene, come avrebbe potuto essere proibito a me quello che a cento altri era concesso fare legalmente? Gli ebrei, infatti, possono comperare dei fanciulli, particolarmente se non hanno figli; perché dunque non dovrebbe essere concesso altrettanto anche ad altri popoli colti, fra i quali vanno annoverati come degni di essere ricordati gli egiziani? E questo vale pure per i persiani. Le fanciulle dunque non venivano vendute ad un popolo selvaggio e rozzo, ma ad uno che, sotto ogni aspetto, deve venire considerato fra i più civili di tutta la Terra finora conosciuta, dal quale era del tutto lecito aspettarsi che la tragica sorte familiare, in cui si trovavano prima tali fanciulle, non sarebbe stata peggiore, ma anzi sarebbe evidentemente migliorata.
2. Basta che tu vada dalle parti dell'Asia Minore e tu troverai una tale massa di gente, e particolarmente di fanciulli, che tu, da quell'uomo molto savio che sei, non potrai fare a meno di chiederti come possa sostentarsi e nutrirsi tutta questa gente, a meno che non comincino a divorarsi l'un l'altro! Io posso assicurarti che, ad ogni mio arrivo nelle regioni dell'Asia Minore, io venivo per così dire letteralmente assalito dagli abitanti con offerte di fanciulli; per qualche pagnotta io ottenevo fanciulline ed anche ragazzi in quantità, ed i figli mi correvano incontro giulivi e non volevano più a nessun costo separarsi da me. Quando io ne comperavo cento, ricevevo in aggiunta ancora dalle quaranta alle cinquanta fanciulle; gli esseni ne acquistavano molti da me, i ragazzi quasi tutti, qualunque fosse la loro età, ma spesso comperavano anche fanciulle; gli egizi acquistavano soltanto le ragazze più grandicelle: una parte per farle lavorare e una parte probabilmente anche per i loro capricci. Che fra questi possa esserci stato qualche caprone lussurioso che è solito torturare una schiava per libidine, è cosa che non voglio proprio mettere in dubbio, ma di tali soggetti non ve ne saranno stati di certo molti.
3. A quanto ne so io, in Persia non ne sono andate molte, ed anche queste furono acquistate, per la maggior parte, da mercanti e da artisti persiani che, come mi è stato detto, le impiegano in ogni tipo di lavori buoni e utili. Oltre a ciò, già da lungo tempo in Persia esiste una legge molto savia, secondo la quale ogni schiavo, o schiava che sia, dopo dieci anni di buona condotta ottiene la piena libertà e può fare infine ciò che vuole. Possono restare dove sono e dedicarsi a qualche lavoro indipendente, oppure anche rimpatriare. Dunque quelli venduti in Persia hanno davvero poco da lagnarsi; certo non voglio proprio escludere che ad alcuni in Egitto la sorte non sia stata tanto propizia, ma andate a vedere come se la passano nella loro patria e ne troverete moltissimi la cui sorte, nel loro stato di libertà, non è affatto migliore di quella degli infelici in Egitto! Infatti, in primo luogo essi non hanno quasi nulla da mangiare, e molti devono cibarsi di radici crude che raccolgono nei boschi; ve ne sono molti altri che per mancanza di vesti devono andare in giro, estate e inverno, completamente nudi e campano chiedendo l'elemosina, rubando e facendo gli indovini. Qualcuno si procura qualche cencio mendicandolo o rubandolo, ma la maggior parte non riesce a fare nemmeno questo, e per conseguenza vanno in giro del tutto nudi, sempre trascinando con sé uno stuolo di bambini.
4. È dunque da questi nomadi che io e il mio compagno abbiamo sempre acquistato il più grande numero di fanciulli superflui, provvedendo in tal modo per loro. Gli abitanti stabili del Ponto li chiamano “Zagani”, ciò che equivale ad “esiliati”; di gente simile ce n'è un vero formicaio; grandissime orde vivono raminghe e non hanno né terra né tetto; le loro abituali dimore sono le caverne, le tane e gli incavi degli alberi. Ora io ti domando: “A questi genitori non si rende già un grande beneficio togliendo loro i figli gratuitamente e avendone in qualche modo cura?”. Non solo, ma il beneficio è tanto maggiore qualora li si acquisti - per moneta sonante o per vestiario o in cambio di buoni viveri - dai genitori nudi e affamatissimi!
5. Ora, secondo il modo in cui io almeno ho finora considerato le cose, se si fa un confronto fra lo stato iniziale di questa gente, schiava assoluta della più grande povertà, e lo stato successivo di alcuni fra di loro i quali, grazie a me, sono certo diventati schiavi ma vengono provvisti di ogni cosa da parte di altra gente, ebbene, sarà facile rilevare che la sciagura da me causata secondo la tua descrizione a queste creature non è poi tanto enorme come tu te la immagini. Ma neppure questo avrei fatto loro se prima avessi pensato così come la penso adesso.
6. Del resto io devo farti osservare, così soltanto in confidenza e quantunque mi sorprenda molto la tua pia e devota sapienza, che per un Dio di somma Bontà, sempre che Egli Si interessi in qualche modo ai destini degli uomini, è un po’ strano lasciare vagare così sulla Terra come animali selvaggi un numero tanto grande di esseri che hanno incontestabilmente una figura umana! Un Dio onnipotente potrebbe di certo fare in modo che tale specie di uomini trovasse almeno un qualche ricovero migliore su questa benedetta Terra!
7. È chiaro che ad un uomo che pensa deve pur apparire singolare vedere centinaia di migliaia di persone, del resto di bellissimo aspetto, girovagare affamate, nude e assolutamente sprovviste di tutto, mentre malgrado la sua migliore buona volontà egli non può prestare loro alcun aiuto. O amico mio, sarebbe dunque proprio da meravigliarsi se, alla vista di gente simile, qualcuno iniziasse a dubitare dell'esistenza di un Dio supremamente sapiente e buono? E sarebbe inoltre proprio da meravigliarsi se al cospetto di tanta miseria la mia precedente asserzione contro una legge troppo aspra a tutela della proprietà non dovrebbe avere infine anch’essa qualche fondamento?
8. Eccoti, o amico, la mia giustificazione e le mie obiezioni contro il più grave dei rimproveri che mi hai fatto; ed ora fa tu ciò che vuoi, però non dimenticare mai che ti sta dinanzi un Zorel molto pratico delle cose del mondo e con l'arco sempre teso, e che, nonostante i cenci che attualmente lo ricoprono, non ha troppo timore di nessuna sapienza. Ma adesso porta tu in campo delle ragioni migliori per comprovare che tutte le cose a questo mondo devono essere appunto così come sono secondo la divina Sapienza, ed io di buon grado te ne sarò riconoscentissimo! Infatti, anche tu al pari di me devi ammettere che, secondo il mio criterio umano, sulla Terra esiste troppa miseria inutile accanto all’agiatezza spesso smisurata dei singoli! Perché uno solo deve possedere tutto mentre centomila vicino a lui niente del tutto? Insomma, spiegami il perché della miseria di tutti quegli Zagani dell'Asia Minore! Chi sono essi, da dove vengono, e perché devono languire eternamente?».
Gli stupri di fanciulle da parte di Zorel.
1. Dice Giovanni. «Se tu misuri la vera Sapienza proveniente da Dio con la misura di un intelletto umano un po' sveglio, allora hai ragione a non aver affatto timore di alcuna sapienza! Ma, considerando che la vera Sapienza proveniente da Dio non va mai valutata con la corta misura dell'intelletto, ma - come ogni cosa proveniente da Dio - con la misura dell'infinito e dell'eternità, allora tu dovresti trovarti piuttosto a disagio col tuo intelletto! Ma lasciamo da parte questo, e ritorniamo al punto dal quale siamo partiti.
2. Tu, da persona che ha cognizione di causa, mi descrivesti la brutta sorte e la miseria estrema degli Zagani nell'Asia Minore, e sostenesti come per i loro figli dovrebbe essere un vero beneficio - e che anzi talvolta è effettivamente così - di essere acquistati dai mercanti di schiavi per poter essere rivenduti chissà dove. Ebbene, passiamoci sopra, perché tu adduci a pretesto una specie di buona volontà da parte tua, ed io voglio riconoscertene una decima parte! Ma io scorgo ancora qualche altra cosa in fondo alla stanzetta della tua coscienza, e questo strano “qualcosa” consuma quasi interamente anche quella decima parte che prima ti ho riconosciuta, tanto che alla fine non potrà venirti ascritto nient’altro che della pura malvagità! Io dubito che il tuo intelletto potrà addurre qualche tuo diritto a opporti a questa descrizione della tua personalità.
3. Rispondimi dunque: “In quale modo - intendo riferirmi soltanto alla tua persona - puoi giustificare la violenza su fanciulle che tu hai spesso perpetrato? Hai forse in serbo anche a questo riguardo qualche ‘ragionevole motivo’, però stavolta non contro la Legge mosaica di Dio, ma contro quella dello Stato romano, legge quest’ultima che punisce con grande rigore la violenza su giovinette non ancora mature? Ti sei mai commosso di fronte allo straziante grido di angoscia e di dolore di una fanciulla esposta alle brame della tua grande sensualità? E per colpa tua non sono morte nel modo più miserevole cinque fanciulle, del resto molto ben fatte, che tu prima avevi turpemente violentato? E di fronte a tale fatto, il tuo compagno ti fece presente il danno pecuniario che vi era derivato; infatti voi avreste potuto vendere molto facilmente al Cairo, per 500 libbre d'argento (2,8 quintali d’argento), le cinque fanciulle dai dieci ai dodici anni, già molto belle e ben formate! A te rincrebbe parecchio una perdita così rilevante, e maledicesti perciò anche ripetutamente la tua forte libidine; però non l'hai mai maledetta per il fatto di essere diventato il cieco assassino di cinque carissime giovinette!”.
4. Ed ora considera tutto questo nel suo complesso, e dimmi sotto quale aspetto tu ritieni di poter figurare quale uomo fra gli uomini, e se la capacità del tuo intelletto potrà trovare anche qui un qualche motivo plausibile a tua giustificazione. Non puoi certo sperare di scusarti se pensi di assumere l'aria dell'uomo naturale allo stato rozzo e selvaggio appena capace di distinguere il cattivo dal buono, perché già prima mi hai messo in bella evidenza quale vita misera e deplorevole conducano gli Zagani e come una simile trascuratezza a danno di tutto un popolo non possa affatto tornare a particolare onore di Dio, il Signore, e del Suo Amore e Sapienza. Anzi tu mi sfidasti perfino a dimostrarti la ragione fondata nella Sapienza divina per la quale un Dio lascia languire così miseramente tutto un popolo numeroso. Per conseguenza vi è in te un sentimento di giustizia abbastanza rispettabile ed una perfetta cognizione del bene e del male. Come hai dunque potuto agire tanto inumanamente con quelle fanciulle? È vero comunque che tu stesso hai poi tentato di curarle secondo ciò che ti veniva suggerito dalle tue errate idee di medicina, ma così facendo le rovinasti ancora di più che non con la tua libidine. Ed ora parla e giustificati davanti a Dio ed agli uomini!».
Lo sdegno di Cirenio per i crimini di Zorel.
1. A questo punto il nostro Zorel si sente interamente battuto e non sa più a che cosa appigliarsi per salvare il proprio onore. Egli comincia a meditare intensamente per vedere cosa potrebbe tirare ancora fuori dal suo intelletto a propria giustificazione, ma trova tutte le vie sbarrate ed invano cerca una benché minima apertura da cui sbucare fuori.
2. Giovanni lo esorta a parlare ed a fare uso del suo arco teso; Zorel però non sembra volere ancora aprire bocca.
3. E Cirenio, un po' stupito dalla perfidia di Zorel, Mi chiede: «Signore, ma che cosa si dovrà fare adesso? Quest'uomo in circostanze simili deve venire assicurato alla giustizia! Le nostre leggi riguardo al commercio degli schiavi consentono certo la vendita a chiunque di schiavi assieme ai loro figli se ne hanno, ma figli di uomini liberi, particolarmente se femmine, non devono assolutamente, pena punizioni gravissime, venire condotti al mercato in nessun luogo se non hanno compiuto il quattordicesimo anno di età. Questo è un crimine!
4. Inoltre, chiunque voglia esercitare il commercio degli schiavi deve avere un'apposita concessione in piena regola, e per poterla ottenere deve depositare allo Stato una cauzione rilevante e pagare, oltre a ciò, una grossa imposta annuale. Ora, di tutto ciò non si vede nessuna traccia nel caso di questo individuo e del suo socio. Loro dunque hanno esercitato un commercio clandestino, ciò che costituisce un'altra grave infrazione alle leggi esistenti, per la quale, viste le circostanze fortemente aggravanti, è comminata la pena di dieci anni di carcere duro.
5. Bisogna aggiungere poi la quintuplice violazione consumata con tanta efferatezza, alla quale è seguita la morte perché la lesione è stata troppo grave; questo è di nuovo un altro misfatto per il quale, considerando le particolari aggravanti, è comminata la pena di almeno quindici anni di carcere duro se non proprio la morte!
6. Infine sono venute a galla ancora ogni genere di ruberie, frodi e menzogne che non si contano più!
7. Signore! Tu conosci i miei doveri di Stato e il giuramento che ho dovuto prestare per il loro adempimento su tutto ciò che mi è di più sacro e di più caro al mondo! Cosa devo dunque fare? Nel caso di Mataele e dei suoi quattro compagni, la loro totale possessione è stata una protezione sicura di fronte ai miei duri doveri di giudice supremo di Stato, ma qui non c’è proprio niente che protegga quest'uomo dal mio dovere di giudice. Egli è un malfattore consumato! Non mi troverò io costretto a esercitare rigidamente il mio compito?»
8. Dico Io: «Intendiamoci bene! Siccome qui per fortuna sono Io il Signore, e tu alla fin fine sei vincolato soltanto a Me dal tuo giuramento, ed Io te ne posso sciogliere come e quando voglio, così fino a nuovo ordine sono Io soltanto che devo stabilire quello che ci sarà successivamente da fare per la salvezza di un'anima ammalata. Oltre a ciò tu hai prestato il tuo giuramento a degli dèi che non esistono affatto in nessun luogo; considerato dunque che i patrocinanti a cui andava il tuo giuramento non hanno assolutamente troppa consistenza, è chiaro che anche il tuo giuramento non può averne di più. I tuoi dèi e il tuo giuramento non hanno per conseguenza nessun significato in sé: il tuo giuramento ha valore solamente in quanto Io lo considero un segno di fedeltà, ma quando Io lo considero nullo, cessa d'avere anche per Me il benché minimo valore, e tu ne sei, almeno per il momento, del tutto prosciolto.
9. Io ti dico che con l'esame di quest'uomo non siamo ancora giunti alla fine; altre cose verranno alla luce che ti agiteranno ancora di più.
10. Questo è un uomo assolutamente singolare, che tu dovresti già ora conoscere sempre meglio, in quanto nel suo sonno estatico egli si è già rivelato in gran parte, anche se in forma più generale, specialmente nel suo primo stadio di pentimento. La presente rivelazione pubblica procede certamente in modo più particolareggiato, perché così deve essere, ma essa non deve esserti di scandalo, poiché Io permetto appunto che così avvenga per mostrarvi per intero com'è un'anima totalmente ammalata, ed infine per indicarvi anche la medicina in virtù della quale è ancora possibile che quest'anima venga guarita. Io ti ho già fatto prima l’osservazione di come sarebbe da inetto e da sciocco punire con le verghe e la prigione un uomo ammalato nel corpo per il fatto che si è ammalato, ma quanto più sciocco ancora non è punire un uomo corporalmente e moralmente con le frustate più micidiali a causa della sua anima del tutto ammalata! Dimmi, Cirenio amico Mio, hai dunque già dimenticato completamente nel tuo zelo questa Mia Dottrina?»
11. Risponde Cirenio: «Questo no, o Signore e supremo Maestro dall'eternità, ma sai che per antica abitudine, quando in qualche luogo mi trovo davanti ad un birbante di questa fatta, mi bolle talvolta un po' il sangue; però vedi già come io mi lasci ricondurre alla ragione e come riconosca subito la mia vecchia stoltezza. Ormai pregusto già l'ulteriore esame di cui il nostro Giovanni sembra intendersi molto bene! Certamente a questo scopo si richiede anche la sua sapienza e la sua perspicacia interiore, naturalmente guidate dal Tuo Spirito. Ma la cosa più bella è che in fondo Zorel non si accorge ancora affatto che vi sia in ciò qualcosa di prodigioso, eppure dovrebbe saltargli agli occhi che il savio Giovanni gli spiffera dinanzi e così per bene tutti i suoi più grossi peccati mortali commessi in ogni luogo, come se egli fosse stato ovunque testimone oculare ed auricolare»
12. Gli dico Io: «Ora ascolta bene di nuovo, perché Giovanni riprenderà subito il suo interrogatorio».
13. Cirenio ridiventa allora tutt'orecchi; Io però ordino frattanto a tutte le donne e a tutte le ragazze là presenti di ritirarsi nelle tende per qualche tempo, poiché all'ulteriore interrogatorio non devono assistere che uomini maturi. Tutta l'assemblea femminile obbedisce assieme a Giara e alle due figlie di Cirenio risuscitate, cioè Gamiela e Ida.
Le scuse di Zorel.
1. La curiosità delle donne era veramente grande, ma la Mia Parola ebbe tuttavia più potere, e si ritirarono tutte nei padiglioni di Ouran dove dovevano trattenersi finché non fossero state richiamate.
2. Allontanate così le donne, Giovani chiese a Zorel: «Ebbene, come funziona il tuo arco teso? A me sembra che tu abbia fatto scoccare in aria tutte le tue molte ed acute frecce senza colpire nulla. E dire che prima volevi entrare in lotta addirittura con l'infinita Sapienza di Dio! Dunque ti ripeto ora l'invito di parlare, se ti è ancora possibile dire qualcosa!»
3. Risponde finalmente Zorel: «E cosa mi resta ancora da dire? Comunque tu conosci già - il come, lo sapranno gli dèi - tutto quello che io ho fatto dalla culla fino ad oggi. A che scopo dovrei dunque raccontarti adesso qualcos'altro ancora? Io potrei bensì continuare a parlare, ma a che pro giustificarmi di più? Come io ero - e come in gran parte sono tuttora - così anche ho agito, perché io non potevo agire diversamente da come era formato il mio animo! Che colpa hanno il leone e la tigre se sono animali selvaggi e feroci? Ciò sta già nella loro natura, e in fondo non sono certo da considerarsi esseri colpevoli per il fatto che essi sono così come sono! Se essi sono maligni e feroci, la colpa l'ha soltanto Colui che li ha creati e costituiti così!
4. Ma perché ci sono migliaia di uomini più docili dell'agnello e perché non lo sono pure io? Mi sono forse creato da me stesso e mi sono formato così? Ma se io volessi essere del tutto perverso, potrei adesso confutare ancora tutto ciò che mi è stato messo contro dalla tua sapienza, poiché sentenze di sapienza espresse dai singoli non hanno mai presso di noi, dinanzi al forum (tribunale) del mondo, valore di prova, finché esse non risultino assolutamente confermate dalle affermazioni di altri testimoni. Però io riconosco la tua sapienza e credo pure di riconoscere in te la persona che ora non intende nuocermi, ma soltanto aiutarmi, e per conseguenza confesso che quello che tu affermasti sul mio conto corrisponde al vero. Io non nego minimamente la verità di tutto ciò, ma spero bene che mi venga ancora permesso di giustificarmi eventualmente in qualche modo!
5. Tu hai in ogni caso il pieno diritto di esporre ad alta voce tutto ciò che io ho commesso, ed a cui la mia natura mi ha trascinato! Infatti, voi più di uccidermi non potete fare, ed io mi sento di poter fissare ancora con coraggio la morte nei suoi occhi tenebrosi e incavati, non temendola affatto! Da ciò puoi già capire che io non sono affatto una lepre appena nata; se della mia miserabilissima vita dovessero forse esserti note ancora delle altre diavolerie, spiattellale pur fuori liberamente, perché già da un pezzo più nulla mi da fastidio a questo mondo.
6. Del resto, riguardo alle cinque fanciulle, mi hai dipinto un po’ troppo a tinte fosche incolpandomi di aver provato rincrescimento soltanto perché a causa della loro morte mi era sfuggito un guadagno considerevole, morte che non fu dovuta alla leggera violenza fatta a loro, ma ad un ritorno di una maligna eruzione cutanea, io potrei citarti perfino alcuni testimoni degni di fede i quali hanno udito come io abbia supplicato Giove con tutto il fervore di conservarmi in vita le cinque fanciulle ed abbia fatto voto agli dèi di tenerle per sempre presso di me come figlie qualora fossero rimaste in vita e avessero recuperato la salute. Quando però nel corso di 30 giorni, nonostante tutte le cure, mi morirono tutte cinque, io ne fui disperato, e giurai nuovamente di non avvicinarmi più a nessuna fanciulla e di abbandonare completamente il commercio degli schiavi! Questo giuramento io lo mantenni anche fino ad oggi; è appunto per questo motivo che io mi sono trasferito qui ed ho acquistato il podere, con la cui perdita, dovuta all'incendio, posso dire di avere perso tutto quello che ero riuscito a mettere assieme. Ed ora dì un po’ tu se forse anche questa volta ho detto una bugia».
Zorel come matricida e pirata.
1. Dice Giovanni: «Eh, sì, questo lo facesti più tardi, ma prima i tuoi sentimenti erano come ho detto io. Che tu abbia usato alle fanciulle soltanto una leggera violenza, questo non è che un'altra grossolana menzogna da parte tua, perché una soltanto l'hai trattata un po’ meno bestialmente, e questa fu appunto l'ultima, quando cioè il tuo corpo non era più in grado di soddisfare la tua libidine e perpetrare l’ultimo e abominevole atto, ma le prime quattro tu non le hai risparmiate affatto, anzi ne hai abusato orrendamente: puoi forse negarlo? Ecco, tu taci e tremi. Le fanciulle furono colpite poi da una pericolosissima eruzione cutanea la quale certamente affrettò la loro morte, ma anche a questo riguardo la tua libidine fu la vera e sola colpevole! Però questo capitolo è ormai finito ed ora passiamo ad un altro.
2. Sai tu cosa grava ancora sulla tua coscienza? Certo, si tratta ancora di qualcosa in cui la tua volontà nuovamente non c'entra; il fatto però esiste ed esistono pure le sue conseguenze; quindi l'uomo non deve mai agire nell'ira, poiché alle azioni fatte nell'ira seguono sempre tristi conseguenze, così come il giorno segue la notte. Riesci forse a ricordarti quando tua madre Agla - che era una persona molto ragionevole - ti esortò una volta serissimamente a smettere le tue bricconate e a staccarti dalle scellerate compagnie? Ti ricordi come ti comportasti verso di lei?»
3. Dice Zorel: «O numi! Un barlume di qualcosa di simile ce l'ho nella memoria, ma, come in un sogno, davvero non potrei dire nulla di preciso a questo riguardo. Parla dunque tu, poiché hai cominciato il discorso. Quello che so però è che non ho mai fatto qualcosa di male con malvagia premeditazione. Ora, per il fatto che io non riesco a controllarmi negli impeti d'ira, non posso venire chiamato a rispondere, come non lo può venire la tigre per il fatto di essere un animale feroce e assetato di sangue! Parla pure!»
4. Dice Giovanni: «A questo ritorneremo più tardi; quella volta però tu afferrasti una pentola che si trovava su una panca, e la lanciasti con tanta violenza sul capo di tua madre da farla cadere al suolo completamente stordita! E tu, invece di correre in aiuto della tua buona madre, dopo aver messo le mani sulle libbre d'oro che tu ben conoscevi, te ne fuggisti su una nave di corsari verso questo paese, e per alcuni anni ti dedicasti poi con gli altri al bel mestiere del pirata; fu in questa occasione che tu divenisti poi anche un mercante di schiavi. Tua madre morì poco dopo, in parte in seguito alla grave lesione al capo, e in parte per il dolore causatole dalla tua incorreggibilità. E così, oltre a molti altri peccati, tu hai sulla coscienza anche quello di essere stato un matricida, e sul tuo capo, come corona alle tue molte scelleratezze, sta l'orrenda maledizione di tuo padre come pure dei tuoi altri fratelli e sorelle! Ora tu sei moralmente del tutto denudato; vedi dunque, da entusiasta della ragione pura che sei, se hai qualcos’altro da aggiungere»
5. Risponde Zorel: «E che cos’altro mi resta da dire? Quello che è stato è stato, e non si può ormai più fare in modo che non sia successo. Ora mi rendo conto di molte cose che, nelle mie passate azioni, erano erronee e peccaminose, ma cosa mi giova adesso sapere questo? È precisamente la stessa cosa come se tu potessi convertire una tigre in un uomo giudizioso, il quale, gettando uno sguardo al passato, si accorgesse degli errori cruenti commessi; a che gli servirebbe tutto ciò? Se egli potesse fare in modo che l'accaduto non fosse accaduto, allora egli farebbe certamente tutto il possibile ed immaginabile per ottenere questo risultato; ma che colpa poteva avere, nel suo stato di tigre, di essere appunto una tigre e non un agnello? In un caso simile anche il pentimento per una azione malvagia e la miglior buona volontà di rimediarvi sono cose altrettanto inutili quanto sarebbe inutile la fatica di voler fare di un giorno passato un giorno presente. Certo io posso diventare d'ora innanzi tutto un altro uomo e molto migliore, ma nelle circostanze in cui ho agito da perverso, non posso ora spacciarmi per migliore di quello che ero allora. Devo forse mettermi a spargere lacrime amare per aver commesso tante azioni malvagie? Non sarebbe questa una cosa altrettanto ridicola come se una tigre, diventata uomo, volesse versare le più amare lacrime di pentimento per essere stata prima una tigre?».
Zorel giustifica il suo comportamento imputandolo al suo carattere particolare.
1. (Zorel:) «Fin dalla nascita ho avuto un temperamento violento e irascibile; anziché domarlo con un’educazione mite e ragionevole e cercare di sviluppare per quanto possibile l'intelletto, fui corretto con ogni punizione possibile ed immaginabile. I miei genitori erano sempre i miei più grandi tormentatori! Se avessero usato un po' di criterio accoppiato a buona volontà, avrebbero potuto fare di me un angelo uguale agli angeli degli ebrei, ma a causa dei molti castighi diventai invece una tigre; ebbene, di chi è la colpa se io sono diventato quello che sono ora? In primo luogo, prima del concepimento e della nascita non potevo certo scegliermi da me stesso dei genitori più saggi, e, in secondo luogo, quando nacqui io non potevo certo essere già un Platone od un Frigio e neanche alla lontana un Socrate; non potevo dunque darmi da me stesso un'educazione. Che cosa sarebbe dovuto succedere allora per fare in modo che io diventassi un uomo migliore e non una tigre?
2. Io ti ritengo troppo savio per non trovare da solo una risposta ragionevole a questa domanda. Presso di voi ebrei si trovano sempre qua e là degli uomini posseduti da spiriti maligni; infatti ne ho visto uno proprio solo alcune settimane fa presso i gadareni, ma questo non sarebbe ancora niente; a quanto si dice, ce n’è uno che sarebbe addirittura posseduto dal demonio in persona come ve lo raffigurate voi ebrei, e commetterebbe mostruosità orribili durante le notti tenebrose! Ma anche il demonio diurno menzionato prima e che ho visto presso i gadareni era senz'altro meritevole della sua fama, poiché intere schiere di uomini non riuscivano a domarlo, e faceva cose tali che tutti ne inorridivano, e la loro pelle si accapponava per lo spavento. È probabile che si possa guarire anche questo posseduto, però, dimmi, quale bue di un giudice potrebbe essere tanto cieco e imbecille da voler fare presente ad un simile guarito tutte le inaudite atrocità da lui commesse nel suo stato di possessione ed esortarlo a versare lacrime di pentimento ed a migliorarsi? Che colpa poteva avere quel tale quando nella sua possessione commetteva simili orrori?
3. Dimmi ancora, o amico pieno di sapienza! Da una grande altezza cade un pesante blocco di pietra, e dove precipita uccide venti persone che per caso si trovano là radunate. Perché doveva succedere così? A chi bisogna dare la colpa di questa disgrazia? Io però ammetto il caso, possibile e immaginabile, che capitasse là un mago possente, il quale, similmente a quanto è avvenuto con Deucalione e Pirra, convertisse il pezzo di roccia in un uomo dotato di avvedutezza e di intelligenza, e poi, non appena l'uomo neo-formato si trovasse lì bello e sano, venisse un giudice sapiente e misericordioso, il quale gli dicesse: “Guarda, o scellerato! Ecco la tua opera malvagia! Perché da blocco di pietra sei caduto con tanta violenza su queste venti persone? Giustificati, altrimenti attenditi, per la tua azione malvagia, il più terribile dei castighi!”. Ora, che cosa mai risponderebbe il nuovo uomo al giudice idiota? Nient’altro che questo: “È stata colpa mia se da blocco di pietra pesante e del tutto incosciente che io ero, in primo luogo è intervenuta una forza estranea che mi ha staccato dalle altre pietre che costituivano un’altura e se, in secondo luogo, ero così terribilmente pesante? Ed ho forse detto io a questi uomini, ormai schiacciati, di radunarsi qui e di attendere finché io fossi precipitato dall'alto in modo da ucciderli tutti?”.
4. Spero che tu ora potrai senz'altro notare quanto sarebbe assolutamente irragionevole l'imputazione a carico di questo nuovo uomo da parte di un giudice supersapiente, e spero pure che nello stesso tempo comprenderai che io, in procinto di diventare solo ora un uomo nuovo da tronco grezzo che ero prima, sono altrettanto poco responsabile delle mie malvagie azioni quanto il nuovo uomo sorto dal pezzo di roccia che ti ho appena citato. Se dunque non vuoi essere un giudice stolto, allora giudicami secondo la giustizia della ragione pura e non secondo il tuo capriccio di presunta sapienza. Sii uomo come ora lo sono anch'io».
La meraviglia di Cirenio per l’acutezza di Zorel.
1. Di fronte alle convincenti parole di Zorel, Giovanni a comincia a pensarci su, e trova che esse non sono prive di un certo fondamento; perciò si rivolge in segreto a Me nel proprio cuore e Mi chiede come egli debba continuare a comportarsi con quell'uomo, visto che evidentemente iniziava a non essere più in grado di tenergli testa!
2. Io però dico a Giovanni: «Adesso lasciagli un po’ di tempo, e poi, come è accaduto fino ad ora, ti metterò Io nel cuore e sulla lingua quello che dovrai ancora dirgli». Giovanni allora ubbidisce al Mio consiglio.
3. E Cirenio, il quale aveva ascoltato le giustificazioni di Zorel con grande attenzione, Mi disse: «Signore! Io devo confessare apertamente che quest'uomo è un essere quanto mai singolare! Ora sembra che egli dia molto da pensare perfino al savio discepolo Giovanni! Insomma, da parte mia, convengo che ora la mia sapienza sarebbe già completamente esaurita e quale giudice dovrei assolverlo da ogni colpa!
4. Eppure non riesco a comprendere come quest’uomo che si è sempre comportato da briccone matricolato, abbia potuto acquisire tanta chiarezza ed acutezza d'intelletto! È comprensibile che uomini come il capo Stahar, oppure come Zinca abbiano potuto fare sfoggio di una dialettica non comune usandola a proprio vantaggio prima di aver fatto una conoscenza più stretta con Te, perché costoro sono tutti persone colte e ricche di profonde conoscenze in molti campi. Ma quest'uomo è certo stato fin da principio un mascalzone di primissima classe, eppure manifesta una perspicacia e una intelligenza enormi! Davvero una cosa simile non mi è mai capitata in tutta la mia vita! Dimmi Tu, o Signore, come mai quest'uomo è potuto arrivare a tanto?»
5. Rispondo Io: «A dire il vero, tanto vuoto egli non è mai stato, poiché è noto che i migliori avvocati di Roma sono appunto sempre i greci. Essi conoscono l'inesorabile rigore delle leggi romane, e perciò le studiano a fondo con tutta precisione per avere sempre pronta qualche solida obiezione nel caso in cui un giudice li chiamasse a rispondere di una o dell'altra mancanza. E tali uomini appunto, che si sono proposti di ingannare lo Stato a più non posso, hanno preso ormai una dimestichezza davvero insolita col diritto di Stato e dell'umanità e così pure hanno studiato alla perfezione i numerosi scritti dei filosofi. E ad una simile classe di bricconi di primissimo ordine appartiene appunto anche questo Zorel.
6. Prima del suo sonno estatico egli non avrebbe però certamente parlato contale determinata acutezza, ma di quel lucido stato d'estasi gli è rimasta, per influsso del suo spirito, una certa reminiscenza nella sua anima, ed è perciò che ora ha fatto quest'ultima critica con tanta acutezza. Quest'acutezza dovrebbe certamente di nuovo svanire se egli, d'ora in poi, venisse restituito alla sua antica sfera vitale, ma con il trattamento a cui viene sottoposto, la sua critica diverrà invece sempre più acuta; Io permetto che avvenga questo appositamente per i Miei discepoli, affinché abbiano in tale occasione la possibilità di assaggiare un po’ l'acutezza d'intelletto degli uomini del mondo al suo massimo grado, e ciò sarà molto salutare per loro. Infatti, quantunque i Miei discepoli siano molto umili e abbiano un cuore già molto perspicace, tuttavia ogni tanto li assale qualche lieve pensiero di presunzione, di fronte al quale un uomo di questo genere viene ad essere un’adattissima pietra d’inciampo.
7. Giovanni in cuor suo Mi ha già reso noto che la sua sapienza non basta più, e gli altri discepoli pensano e ripensano tuttora a cosa ciò possa significare; Io però lascio che meditino ancora un po’, affinché possano orientarsi meglio e più profondamente da soli. Quando questo sarà avvenuto, Io ovviamente li aiuterò di nuovo. Ma egli metterà a loro ancora più di una pulce negli orecchi, e in tal modo tutti avranno inizialmente un bel da fare a levarsele e poi potranno fare nuovamente un passo avanti. Ora Io scioglierò di nuovo la lingua a Giovanni ed egli ricomincerà a parlare; fa dunque bene attenzione».
Giovanni esorta Zorel ad una migliore condotta di vita.
1. Dopo ancora una breve pausa Giovanni disse a Zorel: «Io veramente non posso negare che tu col tuo intelletto hai ora menzionato certe cose che non sono proprio del tutto senza fondamento, ma alla tua vita esse si applicano male o non si applicano affatto, perché la tua anima era in se stessa sempre sviluppata e colta quel tanto che bastava per discernere il vero dal falso. Ora, quell'anima la quale, come la tua, è capace di fare tale distinzione con tanta acutezza ed è capace anche di discernere il bene dal male, ebbene, se sapendo ciò e nonostante queste capacità essa fa il male, allora pecca contro la propria capacità di riconoscimento e contro la propria coscienza. Chi però pecca in questo modo, costui può purificarsi dalla vecchia immondizia dei suoi peccati e riuscire gradito a Dio soltanto attraverso un sincero pentimento ed una vera penitenza.
2. Se tu ora senti il dovere di diventare un uomo migliore e vuoi anche diventarlo, ebbene, se davvero vuoi ciò, allora devi anche riconoscere che la colpa di tutte le tue malvagie azioni era in te stesso, ma se era così, allora sta anche in te adesso comprendere che non è giusto rigettare la colpa da sé e affibbiarla ad altri, ma che è tuo dovere riconoscerla in te e per te come cosa assolutamente tua propria, e di sentirne un vero pentimento, poiché sotto molti aspetti tu hai saputo benissimo distinguere il vero e il buono, ma nelle azioni ti sei tuttavia deciso per l'opposto.
3. Oh, sì, se tu non avessi riconosciuto in te neanche la più pallida idea di qualcosa di puramente vero e quindi buono, ma ti fossi invece trovato in uno stato di superstizione tenebrosissima che affondava la propria radice nella tua sfera vitale, allora certo non ti si potrebbe imputare la colpa delle tue azioni per quanto maligne in sé e per se stesse avessero potuto venire riconosciute dinanzi al tribunale del più puro intelletto. Allora sì che saresti altrettanto privo di peccato quanto, secondo l'esempio da te citato, la tigre e il masso di pietra diventati uomini, e nessuno avrebbe il diritto di dirti: “Ravvediti, pentiti delle tue scelleratezze e fa adeguata penitenza affinché tu possa essere più gradito al vero Dio”.
4. A tale scopo bisognerebbe prima istruirti per bene in ogni verità, indicarti la giusta via e guidarti per un po’ di tempo, ma se tu, dopo essere stato ammaestrato completamente in ogni verità, ricadessi nuovamente nella tua antica menzogna e riprendessi ad agire malvagiamente come prima, allora certo peccheresti, poiché in tal modo le tue azioni sarebbero contrarie alla tua propria ferma convinzione ed indurresti la tua coscienza in uno stato di tumultuosa inquietudine. I paragoni che tu mi hai esposti hanno dunque valore soltanto per chi, come gli animali, non ha mai avuto sentore di una verità qualsiasi; tu però non sei un profano nella genuina verità, anzi la riconosci quasi altrettanto bene quanto me, l'hai anche riconosciuta già da molto tempo, e la tua coscienza ti ha sempre rinfacciato ciascuna delle tue malvagie azioni, ma tu te ne sei curato poco ed hai cercato di soffocare la voce della coscienza con ogni tipo di falsi ragionamenti. Tu ti pentivi sempre dopo aver commesso del male contro la tua capacità di riconoscimento e coscienza, ma alla penitenza e ad un vero ravvedimento non ci sei mai arrivato.
5. Ed è perciò che Dio il Signore ha permesso che tu cadessi ora in grande miseria. Tu sei ormai privo di tutto; anche il tuo vecchio socio nella tratta degli schiavi ti ha piantato, e si trova attualmente in Europa dove sta godendosi i suoi notevoli guadagni. Tu ti trovi qui nudo e cerchi aiuto. Questo ti verrà anche dato, però è necessario che tu te ne renda dapprima degno incominciando spontaneamente a mettere fattivamente in pratica soltanto quello che è il vero e il buono da te riconosciuti; allora sì che troverai veramente aiuto tanto nel tempo che nell'eternità.
6. Ma se tu nell'azione persisti in quello che, altrettanto bene quanto me, riconosci come falso e perverso, allora rimarrai misero per tutta la vita. Se consideri che dopo la morte del corpo c'è una vera vita, allora come staranno un giorno le cose nell'aldilà a tuo riguardo? Ebbene, il chiarimento migliore te lo potrà dare il tuo stesso puro intelletto se rifletti che questa vita temporanea rappresenta il seme, mentre quella eterna d'oltretomba rappresenta il frutto.
7. Se tu nel terreno di questo tuo giardino della vita pianti un seme nobile e buono, allora potrai anche raccogliere frutti nobili e squisiti, ma se tu spargi invece semi di cardi e pruni sul terreno del tuo giardino della vita, allora un giorno raccoglierai quello che si sarà prodotto dai semi che avrai piantato! Questo ti sarà certamente noto: sul cespuglio di cardi non crescono fichi, mentre sul pruneto non cresce l'uva.
8. Ecco, come vedi, Io ora non ti ho giudicato, ma ti ho soltanto indicato quello che devi fare per l'avvenire e le mie parole non sono state aspre verso di te, e il tono del mio discorso è stato mite. Prenditi a cuore quanto ti ho detto e io, da amico, ti garantisco con la mia vita che mai in eterno avrai da pentirtene!».
Volontà di conoscere la verità e volontà di godere.
1. Dice Zorel: «Ah, così sì che ho piacere si parli con me; questo infatti è un parlare veramente umano, e io farò ogni sforzo per fare quello che tu mi dirai come uomo, ma non quello che mi dirai come giudice. Caro amico! Ora io mi conosco esattamente; il mio nucleo vitale interiore non sembra essere proprio della peggior specie, però il mio esteriore è generalmente cattivo! Se fosse possibile spogliarsi totalmente di questa carne insieme a tutte le sue cattive appendici animiche e rivestire il nucleo vitale interiore con una massa carnale migliore, allora io sarei un uomo veramente raro; ma con questa mia attuale costituzione corporale non c’è niente da fare! Ora ovviamente non sono più quel notevole scellerato che ero prima, ma della mia carne non c’è mai da fidarsi. Tuttavia è pur sempre strano che in tutte le mie azioni, per quanto malvagie sembrassero, non partecipavo mai con la mia volontà. Io vi sono sempre stato trascinato proprio come per caso, e di quello che veramente volevo, ebbene, succedeva precisamente il contrario. Come si può spiegare questo?»
2. Dice Giovanni: «Ecco, la volontà dell'uomo è duplice: una volontà è quella in cui la conoscenza della verità possiede una corda – atta a tirare o a guidare – che è sempre un po’ debole; mentre l'altra volontà è quella in cui il mondo dei sensi, con le sue esigenze che profumano di piacere, possiede lui pure una corda di trazione, e questa corda è diventata forte e possente attraverso svariate consuetudini. Quando il mondo ti fa scorgere un boccone piacevole insieme alla possibilità di appropriarsene facilmente, allora la corda forte nel groviglio delle numerose volontà del cuore comincia subito a tirare fortemente. E se anche nello stesso tempo si muove la corda meno forte, di trazione e di guida della volontà, cioè la corda della conoscenza della verità, ciò giova poco o nulla; infatti, da tempo immemorabile il forte ha sempre trionfato sul debole.
3. Se la volontà deve essere efficace, allora deve farsi avanti con decisa serietà e non deve aver paura di nulla, anzi, essa deve poter ridere in faccia, con la più stoica[5] indifferenza, a tutti i vantaggi del mondo, e perseguire il luminoso cammino della verità perfino a costo della vita corporale. In questo modo la volontà di conoscenza della verità, altrimenti debole, diventa forte e possente, e sottomette completamente la volontà, puramente mondana, di provare sensazioni e piacere. Quest'ultima volontà infine trapassa lei stessa interamente nella luce della volontà di conoscenza, e così l'uomo diventa alla fine “uno” in sé, e questo è di importanza assolutamente imprescindibile per l’ulteriore completamento dell’essere umano immortale.
4. Infatti, se tu non puoi diventare unificato nel pensare e in te stesso, come puoi dire allora: “Io ho conosciuto la verità in tutta la sua profondità e pienezza!”, mentre invece in te stesso sei ancora completamente diviso e dunque tu stesso non sei nient’altro che una evidente menzogna? La menzogna però, rispetto alla verità, non è nient’altro che ciò che è la notte più fitta rispetto al giorno più luminoso. Una tale notte non vede alcuna luce, e l’uomo in sé, quale menzogna, non può riconoscere la luminosa verità. E perciò in tutti gli uomini mondani, estremamente dissociati in se stessi, la corda della volontà di conoscenza – che è una corda di trazione e di guida – è talmente debole che già con un leggerissimo tiro in direzione opposta, da parte della mondana volontà di godere, viene messa fuori combattimento.
5. Quando, in certi uomini, la volontà di godere ha totalmente vinto e soppresso per sempre la volontà di conoscenza della verità, così che anche in questo modo ne risulti, nella tenebra dell'uomo interiore, una specie di unità, allora l'uomo è diventato morto nello spirito, ed è così un dannato in se stesso e non può più pervenire in eterno ad alcuna luce se non attraverso il fuoco della sua rozza materia, acceso dalla pressione del desiderio. Ma la materia dell'anima è molto più dura e tenace di quella del corpo, e ci vuole un fuoco molto possente per consumarla e annientarla del tutto.
6. Ma poiché un'anima non acconsentirà a sopportare, per amore della verità e della luce, una tale purificazione dolorosissima, ma, al contrario, per antica avidità di piaceri e tenebrosa sete di potere cercherà di sottrarsi alla purificazione, come un proteo alla cattura, così un uomo che in sé, in questo mondo, è diventato completamente “uno” nella sua notte di vita, è anche come se fosse perduto per l'eternità.
7. Soltanto quell'uomo che, attraverso la propria energica, luminosissima volontà di conoscenza della verità, ha totalmente vinto in sé la volontà mondana di avidità e di piaceri, e così è diventato in sé “uno” nella luce e in ogni verità, ebbene, solo quell’uomo è con ciò tutto luce e verità, e dunque anche la vita stessa. Ma per ottenere questo, come io ti ho già fatto notare prima, è necessaria un'abnegazione veramente stoica; non però quella, di per sé superba, del vostro Diogene che si reputa maggiore e superiore ad un re Alessandro risplendente d'oro, ma l’abnegazione umile di un Enoch, di un Abramo, Isacco e Giacobbe. Se tu ci riesci, allora te ne verrà aiuto per il tempo e per l'eternità; se invece non ci riesci, e non lo puoi fare a partire dalla tua propria forza di riconoscere la verità, allora è finita per te e non ti si può aiutare né da una parte né dall’altra. Io però sono dell'opinione che tu sarai in grado di fare su di te una cosa simile; infatti non ti mancano discernimento e conoscenza. Che cosa ne dice il tuo sentimento interiore?».
L’Essenza di Dio e la Sua Incarnazione.
1. Risponde Zorel: «Il mio sentimento interiore mi dice: “Zorel può tutto, se egli da vero Zorel lo vuole”, ed egli ora lo vuole, e così otterrà anche certamente aiuto! Se potessi restare almeno alcune settimane presso di te, la cosa procederebbe evidentemente più facile e più rapida!»
2. Dice Giovanni: «Qualora tu abbia fatto un proponimento veramente serio di diventare un uomo migliore, allora tu rimarrai fra persone che sono forti quanto noi nell'immediatissima vicinanza della grande e vivificante Luce da Dio!»
3. Domanda Zorel: «Ma che cosa è e chi veramente è il vostro Dio che voi ebrei chiamate il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe?»
4. Dice Giovanni: «Questa tua domanda troverà chiarissima risposta, come è capitato a noi, dopo che tu ti sarai unificato nella tua luce; se noi però volessimo provare adesso a spiegarti questo più chiaramente, non saresti in grado di comprenderci nemmeno se la spiegazione durasse quanto la tua vita. Quello invece che tu puoi già sapere in anticipo è “quale concetto un vero uomo debba formarsi di Dio”; ascolta dunque.
5. Il solo vero e unico Dio è in Se stesso e da Se stesso uno Spirito purissimo ed eterno, dotato del più alto grado di coscienza di Se stesso, della più profonda e illuminata Sapienza, e di quella potente Volontà alla quale niente è impossibile.
6. Dio è in Sé la Parola, e la Parola stessa è Dio; questa Parola eterna Si è ora fatta carne ed è venuta ai Suoi nel mondo, e questi non riconoscono la Luce che con ciò è venuta al mondo. Perciò questa Luce verrà tolta ai figli e data ai pagani (ai superstiziosi). Infatti, i pagani cercano ora la Verità, mentre i figli della Luce invece la fuggono come i grandi malfattori fuggono il giudizio. Ed è perciò che essa verrà tolta ai figli e data ai pagani, e ciò succede appunto ora.
7. I discendenti degli antichissimi figli della Luce dimorano sì in Gerusalemme, ma essi bandiscono la Verità da Dio, e si attaccano sempre più alla notte, alla menzogna ed alle sue opere scellerate. Ma i pagani peregrinano per il mondo e cercano la verità, e una volta trovata, provano una grande gioia e lodano e glorificano veramente oltre ogni dire l’Elargitore della Luce nel loro cuore e con le opere.
8. Ecco, guarda qui intorno a te e scorgerai una considerevole assemblea di popolo. La maggior parte è costituita da pagani che hanno cercato la Luce del Cielo e l'hanno anche trovata ed ora ne gioiscono, ma Gerusalemme invece, la città del Signore, non ha mandato che sicari e sgherri affinché sopprimessero la Luce! Però coloro che erano stati mandati erano più saggi di coloro che li avevano mandati; essi vennero dalla loro tenebra alla Luce, ne ebbero una grande letizia e rimasero in questa Luce. Essi si sono impadroniti veramente della Luce, ma non per il carcere di Gerusalemme, ma per sé, per i loro cuori, e sono ormai nostri fratelli nella Luce da Dio, e si rallegrano enormemente della Luce sublime e di Colui dal Quale essa proviene.
9. Tu venisti qui, quale pagano, non con l'intenzione di trovare una luce per le tenebre della tua vita, ma con la brama dell'oro e dell'argento. Ma chi esce dal carcere alla luce del Sole, non riesce facilmente ad impedire che questo lo illumini. La stessa cosa succede ora a te, e anche se tu non hai cercato proprio la Luce, tuttavia essa ora ti illumina, poiché tu venisti al Sole, ben inteso non alla luce del Sole naturale - il quale, prossimo al tramonto, adesso lambisce l'orizzonte -, ma alla Luce del Sole Spirituale che illumina l'infinito di ogni Sapienza, affinché gli esseri che sono capaci di pensare possano trarre pensiero e volontà da questa Luce, tanto su questa Terra come anche sugli innumerevoli altri mondi di cui, da Dio, è riempito lo spazio sconfinato.
10. Lasciati dunque penetrare completamente da questa Luce della quale cominci ora un po’ ad accorgerti, affinché essa rischiari il tuo intimo, e già una minimissima scintilla di questa Luce ti farà più felice di quanto lo saresti anche venendo in possesso di tutti i tesori della Terra. Cerca ora tu stesso il vero Regno della Verità; tutto il resto ti verrà dato liberamente in aggiunta, e niente verrà mai più a mancarti».
Cirenio si prende cura di Zorel.
1. Dice Zorel: «Amico mio! Tu hai ragione, ciò di cui l'uomo gioisce nelle tenebre, non prospera; che io sia però vissuto finora in una fitta notte spirituale, lo vedo ormai da me stesso, perché le tue parole, nonostante il loro suono pieno di mistero, hanno suscitato in me una luce vera e grande, ed io provo già ora una grande gioia. Ma se la tua parola ha qualche potere anche presso Cirenio, allora pregalo affinché mi venga dato almeno un mantello un po’ più decente, poiché mi vergogno di presentarmi dinanzi a voi con questi cenci. Cirenio potrà certo disporre di qualche vecchia veste usata dai suoi servitori!»
2. Cirenio allora chiama uno dei suoi servitori e gli dice: «Va’ dove si trova il nostro bagaglio e portami una buona camicia, una toga e un mantello alla greca!»
3. Il servo esegue ed è presto di ritorno con le vesti richieste.
4. Poi Cirenio chiama vicino a sé Zorel e gli dice: «Ecco, prendi queste vesti, va in qualche luogo dietro la casa e cambiati!»
5. Zorel, riconoscentissimo, prende le vesti, si ritira dietro la casa di Marco e si cambia acquistando così un aspetto molto rispettabile.
6. In pochi istanti egli è già di ritorno, e dice rivolto a Cirenio: «Illustre signore, per quello che hai fatto verso di me, che tu riceva la ricompensa non più dai nostri vuoti dèi, ma dal Dio puro, vero e vivente in eterno! Tu ora hai vestito un povero uomo nudo, e questa è una nobile azione di cui non sono certamente degno! Ma nello stesso modo in cui un Dio vero, onnipotente e supremamente saggio esiste - del Quale noi tutti siamo i figli o per lo meno ne siamo le opere e ci colma di benefici di cui non siamo degni e per i quali noi non possiamo fare altro che ringraziarLo, così anch'io me ne sto ora qui dinanzi a te, o illustre signore e governatore, e non posso che ringraziarti dal più profondo del cuore, ma non potrei fare altro. Se però tu mi vuoi accogliere tra i tuoi più infimi servitori, io ti offro il mio terreno in dono»
7. Dice Cirenio: «Quel terreno non è tuo, ma è di colui che ti ha dato il denaro perché tu lo comperasti; perciò noi lo venderemo e poi consegneremo il ricavato al proprietario o ai suoi figli, e soltanto dopo aver fatto questo potrai essere mio servitore»
8. Dice Zorel: «Illustre signore e governatore, fa pure come vuoi, e tutto non sarà per me che una grazia da parte tua; io ti chiedo soltanto di non abbandonarmi e di concedermi di entrare al tuo servizio! Come io ho deposto per sempre i miei vecchi cenci, così deporrò anche il vecchio uomo malvagio in me, e diverrò tutta un'altra persona! Puoi credere a quello che ti dico! Nella stessa misura in cui sono stato perverso finora, voglio essere altrettanto buono per il futuro, per poter espiare in qualche modo tutto il male da me commesso con quello che mi resterà ancora da vivere.
9. Se io avessi potuto incontrare qualcuno che, come questo Giovanni, mi avesse illuminato così abbondantemente riguardo a ciò che è bene e male, io non sarei mai sprofondato così tanto in ogni vizio possibile, ma così come ero, io dovetti invece considerare sempre me stesso come il più intelligente degli uomini. Ora, fin dove abbia potuto condurmi la mia grande intelligenza, tu già lo sai, e non è opportuno che io rinnovi lo spettacolo della mia grande infamia dinanzi a voi. Perciò sii d'ora in poi indulgente e misericordioso verso di me, perché in futuro io non ti darò mai più un’occasione di essere scontento di me. Io conosco diverse arti, e sono molto esperto nello scrivere e nel fare i conti, e così pure non mi è estranea la storia dei diversi popoli fino ai tempi nostri; conosco bene tutto Erodoto, nonché le cronache degli ebrei, dei persiani e degli antichi babilonesi. Io penso dunque che tu potrai utilizzarmi in qualche modo!»
10. Risponde Cirenio: «Di ciò parleremo più tardi, però nel frattempo ritorna dal tuo amico Giovanni e fatti indicare la retta via. Quando la conoscerai, sarà poi facile provvedere a tutto il resto!».
Del mistero della vita spirituale interiore.
1. A queste parole di Cirenio, Zorel si inchinò profondamente dinanzi a noi tutti, e poi ritornò immediatamente da Giovanni che lo accolse con tutta amorevolezza e gli chiese come gli era andata!
2. Dice Zorel: «La cosa è andata benissimo, come puoi facilmente scorgere dal mio abbigliamento, perché quando si ha indosso un'eccellente camicia, e sulle spalle una toga ed un mantello alla greca di merino azzurro, non si può che trovarsi del tutto a proprio agio, per quanto concerne il corpo! Per quanto riguarda il benessere spirituale, però, ti posso dire che certamente bisogna ancora fare i conti con un potentissimo malessere. Volesse Dio che io cominciassi ad apparire anche nello spirito così vestito a nuovo come adesso lo sono nel corpo, allora sicuramente mi andrebbe meglio, ma per arrivare a questo ci vorrà ancora del tempo.
3. Ed ora, amico mio, mi permetterai che io ti faccia una domanda, e precisamente questa: “Voi siete degli uomini al pari di me, ed avete carne e sangue e gli stessi sensi come uno di noi; tu mi hai però dato certe prove della tua potenza di spirito che superano di molto tutto quanto io ho sperimentato finora; ora mi domando: ‘Come sei arrivato a tal punto? Chi ha insegnato a te ed ai tuoi colleghi una simile arte? Come foste indirizzati su questa via?’"»
4. Risponde Giovanni: «Anche se te lo spiegassi, ti gioverebbe poco; se tu però farai quello che ora ti dirò, allora troverai questa dottrina in te stesso, e il tuo spirito, ridestato e rafforzato dallo Spirito di Dio, ti guiderà in ogni verità e sapienza. Se tu vuoi imparare un’arte qualsiasi, devi andare da un artista che te la insegni; poi mediante un diligente esercizio ti approprierai dei procedimenti di quell'arte così da uguagliare perfettamente il maestro, e sarai tu stesso un artista come il tuo maestro.
5. E così pure avviene nel caso tu voglia imparare a pensare; ebbene, per fare questo devi andare da un filosofo che ti faccia notare le cause, e a tua volta inizierai a pensare e a fare le tue deduzioni, e dirai: “Essendo l'acqua un corpo liquido, essa può venire facilmente messa in movimento, e a causa del suo peso deve scorrere verso il basso, poiché, secondo l'esperienza generale fatta finora, ogni cosa pesante - in seguito ad un potere attrattivo insito nelle profondità della Terra - si rivolge sempre verso queste profondità alle quali deve anche incessantemente tendere secondo l'immutabile Volontà del Creatore, la quale è una legge costrittiva assoluta nel complesso della Natura.
6. Quando l'acqua ha raggiunto nel mare il letto più profondo possibile, essa, per quanto riguarda il suo ulteriore scorrere, perviene certo ad uno stato di quiete, ma in sé rimane tuttavia sempre un corpo liquido, e se un turbine si scatena sulla sua vasta superficie, allora su questa superficie vasta dell'acqua, altrimenti tranquilla, si manifesta un movimento ondulatorio, e questo fluttuare dell'acqua è in sé e per sé nuovamente solo una tendenza del corpo liquido alla quiete. Ma appunto perché nessun altro corpo come l'acqua ha una tendenza tanto accentuata alla quiete, essa può anche nel modo più facile e più rapido venire turbata nel suo equilibrio e nella sua quiete.
7. Da ciò si può infine dedurre che quanto più un corpo qualunque è liquido, tanto maggiore aspirazione al riposo nasconde in sé, e quanta maggiore aspirazione al riposo manifesta nel suo essere corporale, tanto più facilmente esso può venire turbato nella sua quiete. Ma quanto più facilmente in un corpo elementare può venire provocato lo stato di irrequietezza, tanto più liquido esso deve essere”. Da questo esempio tu vedi come si cominci ad imparare a pensare in una scuola di filosofi, e come si inizi il procedimento deduttivo e induttivo fra causa ed effetto, e viceversa.
8. Ma tutto questo nostro pensare si muove dentro una cerchia limitata, da cui esso non trova da nessuna parte un'uscita in un campo più vasto, e non può nemmeno trovarla. Dunque tutto questo pensare giova poco o nulla all'uomo per quanto riguarda il suo essere, la sua volontà e il suo pensiero interiore. Ma come tu puoi appropriarti di un'arte solo presso un artista, e come tu puoi appropriarti di un modo di pensare razionale e ordinato soltanto presso un filosofo, così il modo di pensare interiore-spirituale non potrai apprenderlo che da uno spirito, e precisamente dallo Spirito di Dio che è in te e che tutto penetra, vale a dire: “Soltanto uno spirito può ridestare un altro spirito, poiché uno spirito vede e riconosce l'altro spirito come un occhio vede l'altro e riconosce che è un occhio e come esso è costituito”.
9. Lo spirito è la facoltà visiva interiorissima dell'anima, la cui luce penetra tutto, perché è la luce più interiore e per conseguenza anche la più pura. Da ciò puoi ora scorgere come si procede nello studio delle diverse cose, e come per ogni cosa che si vuole imparare sia necessario avere sempre il maestro più adatto, altrimenti si rimane eternamente un rabberciatore. È però della massima importanza, quando si ha il maestro più adatto, che si faccia tutto diligentemente ed esattamente così come il maestro ordina o consiglia di fare.
10. Quando lo spirito si desterà in te, tu percepirai la sua voce come lucidi pensieri nel tuo cuore. Quella è la voce che tu devi ascoltare e secondo la quale devi regolarti nella tua intera sfera vitale; così facendo procurerai al tuo proprio spirito una cerchia d'azione sempre più vasta; così lo spirito crescerà in te fino alla grandezza dell’uomo, e compenetrerà tutta la tua anima e con essa tutto il tuo essere materiale.
11. Una volta che sarai giunto fino a questo punto, allora sarai divenuto capace, quanto uno di noi, non soltanto di vedere e di riconoscere quello che tutti gli uomini comuni possono vedere e percepire con i loro sensi, ma anche le cose che agli uomini comuni sono inaccessibili, come tu l'hai già constatato in me; infatti, senza averti mai visto né conosciuto, ho tuttavia potuto esporre con la massima precisione qualsiasi cosa, per quanto tu la tenevi gelosamente nascosta, di tutto quello che tu abbia mai fatto su questa Terra.
12. Con ciò io ti ho dato soltanto un piccolo saggio riguardo a tale argomento, affinché tu possa vedere e riconoscere come stiano le cose riguardo allo spirito. Ma tutto ciò non può ancora giovarti che poco o niente affatto, poiché tu devi ora apprendere quello che dovresti fare per risvegliare il tuo spirito. Però l'indicarti questo procedimento è ben lontano dall'essere il mio compito, ma tale compito è di Qualcun altro che si trova pure fra di noi e il cui intero Essere è compenetrato nel modo più assoluto dallo Spirito di Dio. Solo Lui potrà indicarti la via della Verità e, quale Spirito sovrano, Egli stesso dirà al tuo spirito tramite la tua carne: “Ridestati nell'amore per Dio e, attraverso questo, nell'amore per i tuoi fratelli nel nome di Colui che eternamente era, che è e che sarà in eterno!”. Ed ora dimmi come trovi tutto quello che io ti ho detto finora».
La decisione di Zorel di migliorarsi.
1. Risponde Zorel: «Io trovo i tuoi insegnamenti oltremodo ricchi di spirito, veri e buoni, e certamente tutto deve essere proprio così, perché altrimenti non avresti potuto rivelare prima le mie azioni più occulte come se tu le avessi lette fuori da un libro. È dunque sicuro che, come uomo, si può in ogni caso aspirare ad una perfezione quasi incredibile, ed a me intanto basta questa convinzione ottenuta ora; io però non ambisco minimamente ad una perfezione che sia come quella che ho riscontrato in te solo per il gusto di poter ricordare, in un’altra occasione simile, ad un povero peccatore i peccati da lui commessi, ma io desidererei di pervenire ad un simile grado di perfezione per amore della perfezione umana in se stessa e per procurare così a me stesso un vero e vivo conforto e, infine, per potermi rallegrare di me stesso nel mio intimo! Io non voglio essere né un maestro né un giudice per quanto mite, ma vorrei soltanto servire nel mio stato di uomo perfetto, affinché in avvenire nessuno potesse venire in qualche modo danneggiato dalla mia stoltezza.
2. Questo è l'unico motivo per cui vorrei giungere al tuo grado di perfezione! Si richieda da me ciò che si vuole ed io di certo lo farò, perché, se io voglio una cosa, nessun sacrificio mi è troppo grave! Io lo compirò perfino a costo della mia vita corporale! Infatti, quale valore può avere una vita se essa è composta soltanto di imperfezioni? Con l'imperfezione non si può arrivare a niente di perfetto, ed in verità per qualcosa di imperfetto non sento più assolutamente nessuna attrattiva.
3. Tu però mi dicesti che un altro uomo mi avrebbe istruito riguardo a ciò che dovrei fare, e che quest'uomo è pieno dello Spirito di Dio; tu lo conosci: mostramelo dunque, affinché io mi rivolga a lui e lo preghi di indicarmi i mezzi con i quali ridestare il mio spirito!»
4. Dice Giovanni: «Egli è Quello stesso che prima ti indirizzò a me. Va da Lui, ed Egli ti ridesterà»
5. Dice Zorel: «Un intimo presentimento mi diceva, già quando mi sono svegliato, che questo figlio del carpentiere di Nazaret, che mi era stato indicato prima, doveva essere qualcosa di più di un semplice uomo! Ecco che quello di cui io non avevo finora che un oscuro presentimento appare finalmente come verità. Ma pure è singolarissimo che mi debba sembrare di aver conosciuto tanto bene proprio quell’uomo! E poi, come ha potuto egli arrivare a tale perfezione? Puoi dirmi qualcosa in proposito?»
6. Dice Giovanni: «A questo riguardo posso dirti solo che ti si può ben perdonare una domanda simile, perché altrimenti sarebbe come se tu chiedessi in quale modo Dio sia pervenuto alla Sua infinita Sapienza e Potenza. Dio stesso ha eletto Costui a Sua dimora corporale! Questa è la Grazia somma alla quale per mezzo di questo Eletto partecipano tutti i popoli; l'umano che tu scorgi in Lui è per così dire “il Figlio di Dio”, ma in Lui dimora la Pienezza dello Spirito di Dio!
7. Però se è così, allora non ha più scopo la domanda come mai Egli sia pervenuto ad una simile Perfezione infinita. Ciò che Egli è ora ed in eterno sarà, Egli lo era già nel ventre materno. Certo Egli ha sempre fatto da uomo quello che fanno gli altri uomini, non il peccato però che l'uomo più o meno commette sempre, ma questo non ha contribuito per niente alla Sua Perfezione spirituale, perché Egli era già perfetto dall'eternità. Ed Egli ha fatto e fa tutto al solo scopo che tutti gli uomini abbiano in Lui, quale Causa prima e primo Maestro di ogni esistenza e di ogni vita, un Modello perfettissimo ed un esempio da imitare.
8. Ora anche a questo riguardo tu sai con Chi hai a che fare. Perciò va da Lui, affinché Egli ti indichi la vera Via che conduce al tuo spirito che è in te quale il puro amore per Dio, e affinché, mediante il tuo spirito ovvero il tuo amore, tu possa giungere a Lui che dimora fra di noi, e che è la vera Salvezza di ogni uomo che sia mai vissuto, che vive ed in avvenire vivrà su questa Terra.
9. Ma se tu vai da Lui, va’ nell'amore del tuo cuore e non nell'aridità del tuo intelletto. Infatti, solamente con l'amore potrai propiziarteLo ed anche comprenderLo nella Sua Divinità; con l'intelletto invece non verrai in eterno a capo di nulla! Soltanto il puro amore è atto a progredire eternamente, mentre all'intelletto sono posti dei limiti che esso non riuscirà mai superare. Invece l'amore dell'uomo per Dio è, come già detto, capace di un accrescimento che non ha fine, e quanto più potente diverrà in te l'amore, tanta più luce si farà anche in tutto il tuo essere! Infatti il puro amore per Dio è un fuoco vivo ed una luce intensissima: chi procede in questa luce non vedrà mai in eterno la morte, come Egli stesso ha detto. Ed ora tu sai già molte cose; ridestati nel tuo cuore e va pure da Lui!»
10. A questa rivelazione Zorel, compenetrato da un profondo senso di venerazione e di rispetto, a mala pena sa cosa fare e pensare, perché le ultime parole di Giovanni non gli lasciano ormai più il minimo dubbio sul fatto che in Me risiede la Divinità in tutta la Sua Pienezza, e questo senso di rispettoso timore che si accresce sempre più in lui, lo sbigottisce e lo scoraggia sempre di più. Infine egli, dopo qualche tempo di profonda meditazione, dice: «Amico mio! Quanto più penso e ripenso alle tue parole, tanto più difficile mi sembra avvicinarmi a Lui e pregarLo, indegno come sono del tutto della Sua Grazia, affinché Egli stesso mi mostri la luminosa via che conduce alla Vita! Ora mi è per così dire quasi impossibile comparire dinanzi a Lui, perché io sento spirare da Lui verso di me come un alito di Santità vera e propria che mi ripete costantemente: “O indegnissimo, non ti avvicinare! Fa prima penitenza per un anno, e soltanto dopo vieni e vedi se ti è lecito toccare il lembo della Mia veste!”. Dimmi, come spieghi questo senso d'ansia invincibile e di angoscia da cui mi sento pervaso in tutto il mio essere?»
11. Dice Giovanni: «È bene che sia così; al vero amore per Dio, il Signore, deve sempre precedere l'umiltà del cuore. Quando ciò non è il caso, l'amore non può mai e poi mai manifestarsi nel suo fulgore di verità e di vita. Persevera pure ancora un po' di tempo in tale giusta contrizione del tuo cuore dinanzi a Lui! Però quando Egli ti chiamerà, non indugiare oltre, ed affrettati al Suo cospetto».
12. Dopo queste parole Zorel si sente un po’ più tranquillo, ma tuttavia fra di sé pensa e considera quanto dolce e beato sarebbe ora poter presentarsi senza peccato dinanzi al Santissimo.
La via alla vita eterna.
1. Io però dico a Zorel con sua somma sorpresa e stupore: «Chi confessa pentito i propri peccati, e fa penitenza nella vera e viva umiltà del proprio cuore, costui Mi è più caro di 99 giusti che non hanno ancora mai avuto bisogno di penitenza. Avvicinati dunque, o amico contrito, perché in te c'è ora il vero senso di umiltà che Mi è più gradito dei sentimenti dei giusti che lo sono fin da principio, i quali esclamano nei loro cuori: “Osanna, o Dio nell'alto dei Cieli, perché noi non abbiamo mai profanato con consapevolezza il Tuo santissimo Nome con un peccato!”. Così esclamano essi, e ne hanno anche il diritto, ma a causa di ciò guardano il peccatore con occhio di giudice e fuggono la sua vicinanza come la peste!
2. Essi assomigliano a quei medici i quali, abbondando loro stessi di salute, evitano di andare dove un ammalato invoca il loro aiuto per timore di contrarre la malattia! Non è forse migliore e più degno di stima un medico che non teme alcuna malattia e che accorre al letto di qualunque ammalato lo chiami? E anche se talvolta il male si attacca anche a lui, non per ciò si arrabbia ma cura l'ammalato e se stesso. E così è bene!
3. Ora dunque avvicinati pure a Me, ed Io ti mostrerò quello che il Mio discepolo non poteva mostrarti, vale a dire la sola vera Via della Vita e dell'Amore, e della vera Sapienza in questo Amore!»
4. A tali Mie parole Zorel si fece coraggio, ed a passo lentissimo Mi venne vicino.
5. E quando Mi fu vicino Io gli dissi: «Amico, la Via che conduce alla vita dello spirito è angusta e piena di spine. Con altre parole ciò vuol dire: “Tutto quello che in questa vita ti può accadere di irritante, di amaro e di spiacevole da parte degli uomini, combattilo con tutta dolcezza e pazienza, ed a chi ti fa del male, non ricambiare il male ma fagli invece l'opposto, e così radunerai carboni ardenti sul suo capo”. A chi ti percuote, non rendergli le percosse; accetta piuttosto da lui ancora una percossa, affinché vi siano e rimangano pace e armonia fra voi, poiché soltanto nella pace prospera il cuore e si sviluppa lo spirito nell'anima.
6. A chiunque ti chieda un servizio o un'elemosina non negargliela, a meno che il favore richiesto non sia in contraddizione con i Comandamenti di Dio e con le leggi dello Stato, ciò che tu sarai bene in grado di valutare.
7. Se qualcuno ti chiede la tua veste, dagli anche il mantello in aggiunta, affinché egli riconosca che tu sei un discepolo della scuola di Dio. Se lo riconosce, egli ti restituirà il mantello, ma se lo prende, allora pensa che la sua conoscenza è ancora oltremodo debole; a te però non dispiaccia il dono del mantello, ma il fatto che un fratello non abbia ancora riconosciuto la vicinanza del Regno di Dio.
8. Se qualcuno ti prega di accompagnarlo per un'ora di cammino, va con lui due ore, affinché tale tua premura gli renda testimonianza da quale scuola debba provenire colui che ha raggiunto un simile grado di abnegazione. In questo modo perfino i sordi e i ciechi percepiranno i giusti segni che annunziano che il Regno di Dio è vicino.
9. Dalle vostre opere e dalle vostre azioni si riconoscerà che voi tutti siete Miei discepoli. Infatti, è più facile predicare bene che operare bene. Ma che giova la vuota parola se essa non acquista vita mediante le opere? A che ti servirebbero i più bei pensieri e le più belle idee se ti mancasse la facoltà di metterle in pratica? E così ugualmente non giovano a nulla le parole più belle e più vere se in primo luogo non c'è nemmeno in te stesso la volontà di metterle in opera. Soltanto l'azione ha un valore effettivo, ma i pensieri, le idee e le parole non hanno alcun valore quando non vengano messe in pratica in qualche modo. Perciò chiunque predica bene, deve anche operare bene egli stesso, altrimenti la sua predica non ha maggior valore di una noce vuota!».
Della povertà e dell’amore del prossimo.
1. (Il Signore:) «Vi sono nel mondo moltissimi pericoli per l'anima. Da un lato hai la povertà: i concetti del ‘mio’ e del ‘tuo’ si indeboliscono tanto più quanto maggiormente l'uomo viene oppresso da essa. Fate dunque in modo che la povertà non divenga mai troppo grande fra gli uomini se volete camminare di passo sicuro sulla vostra via!
2. Ma chi è già povero, costui preghi i fratelli più agiati che gli diano ciò che gli è necessario; se egli si imbatte in cuori duri, si rivolga allora a Me e gli verrà dato aiuto! La povertà e il bisogno non scusano né il furto né la rapina, e tanto meno ancora l'assassinio di un derubato! Chi è povero sa ora a Chi rivolgersi.
3. La povertà è veramente un grande tormento per gli uomini, ma essa porta in sé il nobile germe dell'umiltà e della vera modestia, e rimarrà perciò sempre fra gli uomini; tuttavia è opportuno che essi non lascino diventare potenti i ricchi, altrimenti essi potrebbero venire molto danneggiati tanto qui, quanto un giorno nell'aldilà.
4. Se avete fra voi dei poverelli, Io dico ora a voi tutti che non è necessario dare loro un aiuto tale da far sì che diventino ricchi essi pure, ma non dovete permettere che soffrano l'indigenza! Coloro che vedete e che conoscete, aiutateli secondo coscienza ed equità! Certo, ne resteranno ancora moltissimi altri su questa vasta Terra i quali sono poverissimi e soffrono una miseria indicibile. Voi però non li conoscete, e nemmeno udite le loro grida di dolore, perciò questi Io non li raccomando neppure alla vostra pietà, ma vi raccomando solo quelli che voi conoscete e che eventualmente dovessero venire a voi.
5. Chi di voi sarà un amico dei poveri di tutto cuore, anch'Io gli sarò amico e vero fratello nel tempo e nell'eternità, ed egli non avrà bisogno di apprendere l'intima sapienza da un altro sapiente, ma sarò Io ad elargirgliela in tutta pienezza nel suo cuore. Chi amerà come se stesso il suo fratello povero che gli è vicino e non scaccerà da sé una povera sorella, qualunque sia la sua provenienza e la sua età, a costui verrò sempre Io stesso e Mi rivelerò a lui con tutta fedeltà. Io stesso lo dirò al suo spirito - che è l'amore -, e questo spirito riempirà tutta la sua anima e la sua bocca delle Mie parole. Quello che allora egli dirà o scriverà, sarà detto e scritto da Me per tutti i tempi dei tempi.
6. Ma l'anima di chi è duro di cuore sarà lasciata in balia di spiriti maligni, e questi la guasteranno e la renderanno simile all'anima di un animale, e come tale essa anche si manifesterà nell'aldilà.
7. Donate volentieri e abbondantemente, poiché come voi date qui, in uguale misura vi verrà anche restituito un giorno! Chi è duro di cuore, il suo cuore non verrà penetrato dalla Mia Luce di Grazia, ed in esso dimoreranno le tenebre e la morte con tutti i loro orrori!
8. Ma un cuore mite e tenero verrà ben presto facilmente penetrato dalla Mia Luce di Grazia che è un'essenza quanto mai delicata e dolcissima, ed Io stesso entrerò poi in tale cuore con tutta la pienezza del Mio Amore e della Mia Sapienza.
9. Questo voi lo potete ben credere! Infatti, queste parole, che ora vi dico, sono Vita, Luce, Verità e Azione compiuta, di cui ognuno che voglia conformarvisi potrà sperimentare la realtà».
Della brama della carne.
1. (Il Signore:) «Con ciò abbiamo ora esaurito questo argomento della povertà e abbiamo anche visto le conseguenze avverse che potrebbero derivare qualora essa prendesse il sopravvento; abbiamo però anche rilevato quali ne siano i rimedi, e quali vantaggi potrebbe trarre l'umanità dal mettere in pratica questi insegnamenti che ho dato a voi tutti a vantaggio di ognuno. Così dunque noi avremmo illustrato a sufficienza questo tormento e dispiacere, e possiamo passare ora ad un altro campo che in effetti ha pochissima somiglianza col primo, ma che comunque sta in relazione strettissima con esso. E questo secondo campo si chiama “brama carnale”.
2. In questo consiste in effetti, più o meno per tutta l'umanità, il male principale. Dalla brama carnale scaturiscono quasi tutte le malattie del corpo, e sicuramente poi, senza eccezione, tutti i mali dell'anima.
3. Di tutti i peccati è proprio questo quello a cui l’uomo rinuncia con maggior fatica. Gli altri peccati, infatti, hanno esclusivamente delle motivazioni esterne, questo invece ha la motivazione in se stesso e nella carne peccaminosa. Perciò dovete distogliere gli occhi dai seducenti pericoli della carne, fino a quando non siete diventati padroni della vostra carne!
4. Preservate i fanciulli dalla prima caduta e conservate la loro pudicizia; quando saranno adulti non avranno gravi difficoltà nel domare la loro carne, e non cadranno tanto facilmente, ma basta anche una sola negligenza perché il maligno spirito della carne ne prenda possesso! Ora nessun demonio è tanto difficile da scacciare dall'uomo quanto appunto quello della carne; sono necessari molto digiuno e molta preghiera perché l'uomo ne venga liberato!
5. Guardatevi perciò dallo scandalizzare i piccoli, oppure di eccitarli e accenderli carnalmente esagerando nella pulizia[6] o con un abbigliamento seducente! Guai a colui che in tal modo pecca verso la natura dei piccoli! In verità, gli andrebbe meglio se non fosse mai nato!
6. Io stesso punirò il profanatore della sacra natura innocente della giovinezza con tutta la potenza della Mia Collera! Infatti, quando la carne è divenuta fragile, allora l'anima non ha più alcuna solida base, e non può più procedere bene sulla via del perfezionamento.
7. Voi non potete immaginare quanto lavoro deve fare un'anima debole per risanare una carne corrotta e per renderla di nuovo perfettamente senza macchia! Quali angosce deve spesso soffrire l'anima, quando vede la corruzione e la debolezza della sua carne, che è la sua dimora terrena! Ma chi ne ha colpa? La colpa è dovuta alla cattiva sorveglianza dei fanciulli ed ai molti scandali di ogni genere di cui essi sono resi spettatori!
8. Particolarmente nella città la corruzione dei costumi è sempre maggiore che nelle campagne; perciò, quali Miei discepoli, fate notare questo un giorno agli uomini, e mostrate loro le moltissime cattive conseguenze che derivano da rapporti carnali eccessivamente anticipati; molti allora si convertiranno, le anime cresceranno sane e forti e il risveglio dello spirito in esse sarà più facile di quanto purtroppo lo sia attualmente in numerosissimi casi!
9. Osservate quanti ciechi, sordi, storpi e paralitici vi sono; guardate quanti fanciulli e adulti sono infermi e affetti da ogni tipo di malattie corporali! Sono tutte conseguenze dei precoci usi e rapporti carnali.
10. L'uomo non deve unirsi carnalmente ad una ragazza prima del suo ventiquattresimo anno di età; voi sapete benissimo come e cosa sia anzitutto da intendersi con ciò; e la giovane deve avere almeno compiuto il suo diciassettesimo anno, se non proprio il diciottesimo. Se ha un’età inferiore, si tratta di un caso di precocità e quindi non deve conoscere uomo! Infatti, di tali giovinette precocemente mature se ne trova qualcuna ogni tanto, ma se lei si unisce troppo presto ad un uomo libidinoso, allora si corrompe già nella carne e diventa un'anima debole e facilmente accessibile alle passioni.
11. È già difficile guarire la carne corrotta di un uomo, ma molto più difficile ancora quella di una ragazza che si è corrotta prima del tempo. Infatti, in primo luogo non potrà mettere al mondo figli perfettamente sani, ed in secondo luogo aumenterà in lei di giorno in giorno il desiderio del congiungimento carnale, e finirà col diventare addirittura una prostituta, ciò che costituisce la più bassa vergogna del genere umano, non tanto per la donna stessa, quanto piuttosto per coloro a causa dei quali lei si è ridotta in tale condizione, dato che non hanno rispettato la sua giovane età.
12. Guai però a colui che approfitta della povertà di una giovane per toglierle la verginità! In verità anche per lui sarebbe meglio non essere mai nato! E chi si congiunge carnalmente con una prostituta anziché tentare di distoglierla con mezzi adatti dalla via rovinosa e di aiutarla ad incamminarsi per il retto sentiero, costui dovrà un giorno sottostare al Mio cospetto ad un molteplice rigoroso giudizio, poiché chi percuote un sano non pecca tanto gravemente come chi percuote uno storpio.
13. Chi si è unito carnalmente ad una vergine perfettamente matura e sana, costui ha effettivamente peccato; siccome però il male causato con tale atto non ha conseguenze particolarmente dannose, specialmente se entrambi sono perfettamente sani, allora in questo caso c'è un giudizio più lieve. Chi invece commette un simile atto solo per pura e ormai vecchia libidine, per quanto matura sia la vergine, e lo fa come se lo facesse con una prostituta, cioè senza generare un frutto vivente in grembo alla vergine, costui verrà sottoposto ad un duplice giudizio. Se egli poi compie questo atto con una prostituta, allora il giudizio sarà dieci volte maggiore!
14. Infatti, una prostituta è una vergine del tutto rovinata e spezzata nella sua carne e nella sua anima. Chi, con cuore onesto e a Me fedele, la aiuta a tirarsi fuori dalla sua miserabilissima condizione, costui un giorno sarà grande nel Mio Regno. Chi usa carnalmente una prostituta pagandola con vile denaro e la rende ancora peggiore di quanto era prima, costui sarà pagato un giorno con la stessa paga con cui è pagato ogni malvagio assassino nel fango che è preparato a tutti i diavoli e ai loro servitori.
15. Guai al paese, guai alla città dove è esercitata la prostituzione, e guai alla Terra quando questo grande male crescerà eccessivamente sul suo suolo! In tali Paesi e città Io metterò a dominare dei tiranni, e questi imporranno agli uomini dei pesi esorbitanti affinché ogni carne venga affamata e distolta dall'azione più infame che l'uomo possa mai commettere contro il suo povero simile!
16. Ma una prostituta dovrà perdere ogni onore e ogni stima perfino presso coloro che l'avranno usata per vile denaro, ed in seguito la sua carne dovrà anche essere affetta da ogni tipo di malattie contagiose inguaribili o per lo meno difficilmente guaribili. Ma se qualcuna si correggerà veramente, allora dovrà essere ritenuta di nuovo in Grazia presso di Me!
17. Chi poi nel furore della sua libidine ricorre ad altri mezzi di soddisfacimento che non siano gli organi da Me stabiliti nel grembo della donna, costui difficilmente vedrà il Mio Volto. Mosè ha bensì sancito per questo misfatto la pena della lapidazione, che Io non abolisco del tutto, perché essa è una punizione severa per simili misfatti e per simili malfattori già diventati completamente preda del demonio. Però Io vi do ora il paterno consiglio di allontanare tali peccatori dalla comunità, esiliandoli anzitutto in qualche luogo dove debbano rimanere abbandonati ad una grande miseria e di accettarli nuovamente soltanto quando si riavvicineranno quasi nudi ai confini della patria, di accoglierli poi in un istituto di cura per le anime e di non rimetterli in libertà prima che non si siano migliorati completamente. Soltanto dopo aver dato ripetute prove del loro completo ravvedimento, durante un periodo abbastanza lungo di tempo, essi possono fare ritorno nella comunità, ma se si dovesse ancora scorgere in loro qualche minimissima traccia di tentazione sensuale, rimangano allora piuttosto sotto vigilanza per tutto il corso della loro vita, ciò che è cosa molto migliore e salutare del lasciare che gli uomini incorrotti di una comunità vengano appestati per causa loro.
18. Tu pure, Zorel, non eri del tutto puro a tale riguardo, poiché già da ragazzo eri affetto da ogni genere di disonestà e fosti di scandaloso esempio ai tuoi coetanei. Tuttavia ciò non può esserti ascritto a peccato, poiché tu non fruisti di una di quelle educazioni grazie alla quale saresti potuto pervenire a qualche pura verità capace di dimostrarti quello che è perfettamente giusto secondo l’Ordine di Dio. Tu hai cominciato ad avere sentore di qualcosa di meglio soltanto quando, presso un avvocato, imparasti a conoscere i diritti civili dei cittadini di Roma. Da quell'epoca in poi tu cessasti veramente di essere un uomo-animale, ma al posto di questo tu divenisti uno che primeggiava nello sfruttare le leggi a proprio tornaconto ed ingannasti il tuo prossimo, dove e quando mai ti fu possibile. Tutte queste però sono cose passate, ed ora, secondo il tuo presente riconoscimento, stai dinanzi a Me come un uomo migliore!
19. Ma malgrado tutto ciò Io osservo tuttavia che in te vi è ancora molta brama carnale; questo fatto Io te lo faccio notare particolarmente, e ti consiglio di stare molto in guardia, poiché quando ti troverai in condizioni di vita un po’ migliori, la tua carne, che è molto lontana dall’essere guarita ed è ancora molto debole, inizierà ad eccitarsi nella sua fragilità ed è possibile che ti costi poi una grande fatica calmarla e, infine, sanarla perfettamente dal suo vecchio male. Guardati quindi da ogni eccesso, poiché è nell'intemperanza e nella smodatezza che si nasconde il seme della brama carnale! Sii moderato in ogni cosa e non lasciarti mai trascinare dagli eccessi del mangiare e del bere, altrimenti ti riuscirà difficile domare la tua carne!
20. E così ora abbiamo passato brevemente in rassegna anche il campo della carne entro i limiti a te necessari. Adesso passeremo a considerare un altro campo che può venire anch’esso designato come molto importante per te!».
Del donare gradito a Dio.
1. (Il Signore:) «Questo consiste nel chiaro concetto del “mio” e del “tuo”. Mosè dice: “Non rubare!” ed inoltre: “Tu non devi desiderare nulla di tutto ciò che è del tuo prossimo, all'infuori di quanto corrisponde a perfetta giustizia!”.
2. Tu puoi bensì comprare onestamente qualcosa dal tuo prossimo e possederla giustamente ed onoratamente dinanzi a tutti gli uomini, ma il togliere a qualcuno qualcosa di soppiatto contro il suo volere, è peccato contro l'Ordine dato da Dio agli uomini mediante Mosè, perché una tale azione sta in apertissima opposizione ad ogni principio di amore del prossimo. Infatti, quello che un altro fa di sgradevole perché non giusto nei tuoi confronti, non farlo neppure tu al tuo prossimo!
3. Il furto trae le sue origini principalmente dall'egoismo, poiché da questo deriva la pigrizia, l'inclinazione al vivere bene e all'ozio. Da tutto ciò scaturisce una certa mancanza di coraggio la quale si circonda di un timore misto ad orgoglio, in seguito a ciò l'uomo non si adatta più a chiedere per avere perché lo trova increscioso, ma preferisce piuttosto ricorrere al rubare di nascosto. Nel furto si cela perciò una moltitudine di vizi, fra i quali l'egoismo troppo sviluppato è la causa manifesta di tutti gli altri. Il vivo amore del prossimo è il migliore mezzo per combattere in ogni tempo questa infermità dell'anima.
4. Tu ora, com'è facilmente spiegabile, pensi nel tuo cervello: “Sarebbe facile praticare l'amore del prossimo se si avessero sempre i mezzi necessari a ciò, ma fra cento persone ve ne sono di solito appena dieci che si trovano in condizioni tali da poter mettere in pratica questa sublime virtù, mentre i novanta rimanenti sono per lo più quelli a favore dei quali questa virtù dovrebbe venire esercitata da parte dei dieci facoltosi”. Se dunque al vizio di rubare si può rimediare soltanto con l'esercizio dell'amore del prossimo, allora ai novanta poveri sarà ben difficile potersene premunire, perché a loro mancano i mezzi per poter mettere efficacemente in pratica tale virtù!
5. Secondo il tuo intelletto, il tuo pensiero è certamente logico, e con l'intelletto del mondo nessuno ti può obiettare qualcosa, ma nell'intendimento del cuore tu leggi un linguaggio diverso, e questo così si esprime: “Non soltanto col dono vengono praticate le opere dell'amore del prossimo, ma soprattutto con ogni genere di buone azioni e di servizi onesti e leali”; in questi casi non deve naturalmente fare difetto la buona volontà.
6. La buona volontà è l'anima e la vita di un'opera buona, e senza di essa anche l'opera in sé e per se stessa migliore non avrebbe affatto valore dinanzi al tribunale di Dio. Se, non disponendo assolutamente di mezzi, tu hai la viva buona volontà di aiutare in un modo o nell'altro il tuo prossimo quando ti accorgi che ha questo o quel bisogno, e ti addolori in cuor tuo se ciò non ti riesce, allora la tua buona volontà ha presso Dio ben maggior valore dell'opera stessa di un altro che è stato indotto a compierla attraverso chissà quali mezzi.
7. E se un ricco ha portato soccorso ad una comunità del tutto impoverita, affinché quest'ultima, non appena riacquistata una certa floridezza, gli dia le decime promessegli e gli si dimostri in certo qual modo sottomessa, allora tutta la sua opera buona non ha dinanzi a Dio assolutamente alcun valore, poiché egli si è già procacciato da sé la sua ricompensa. Quello che egli ha fatto, l'avrebbe fatto per avidità di lucro anche qualsiasi altro avaro che pratica l’usura.
8. Da questo ti rendi conto del fatto che dinanzi a Dio ed a vantaggio della propria vita interiore, chiunque, o ricco o povero, può esercitare l'amore del prossimo. Tutto dipende soltanto da una buona volontà veramente viva, in virtù della quale ciascuno fa volentieri e con tutta abnegazione quanto sta nelle sue forze.
9. Certamente anche la sola buona volontà non avrebbe nessun valore nel caso in cui - essendo tu in possesso di un certo patrimonio e non facendoti appunto difetto nemmeno la buona volontà - volessi comunque fare certe riserve ed avere certi riguardi sia alla tua stessa persona sia ai tuoi figli o congiunti oppure anche a qualche altra persona o cosa, e tu dessi a chi ti sta dinanzi, sofferente e bisognoso, soltanto poca cosa o addirittura nulla del tutto, perché - non si può mai sapere - il supplicante potrebbe essere un ozioso briccone indegno del soccorso richiesto, e con ciò non faresti altro che favorire un vagabondo nella sua pigrizia, privando invece del soccorso una persona più degna. Ma se poi anche si presentasse il più degno, lo stesso scrupolo risorgerebbe, poiché non si può mai stabilire con tutta sicurezza, neanche riguardo a questo secondo, se egli sia veramente una persona del tutto degna!
10. Così, amico Mio, colui che nel ben operare, pur possedendo la migliore buona volontà, pondera come ho detto prima se debba o meno fare qualcosa in misura abbondante, la sua buona volontà è ben lontana dall'essere e dall'avere la vera vita, e per tale motivo tanto la sua buona volontà quanto le sue buone opere non hanno un particolare valore dinanzi a Dio. Dove c'è il patrimonio, devono essere pronte la buona volontà e le buone opere, altrimenti l'una toglie alle altre il valore e la forza vitale innanzi a Dio.
11. Però quello che tu fai o che tu doni, fallo e donalo di cuore molto lieto, perché donare e agire di cuore lieto hanno un doppio valore dinanzi a Dio, e chi fa e dona in tale modo è anche doppiamente più vicino alla perfezione spirituale!
12. Infatti, il cuore di chi dona con gioia è simile ad un frutto che matura presto e facilmente, avendo in sé quella pienezza di vero calore che è di somma necessità per la maturazione di un frutto, poiché nel calore regna il corrispondente elemento della vita, cioè l'amore.
13. E così la gioia e l'amorevolezza del donatore, e in generale di chi opera il bene, costituiscono appunto quella pienezza - che non si raccomanda mai abbastanza - del vero calore vitale spirituale interno, in virtù del quale l'anima diventa con rapidità più che doppiamente matura al pieno accoglimento dello spirito in tutto il suo essere, e tale deve anche diventare perché questo calore è appunto un trapasso dell'eterno spirito nella sua anima, la quale, grazie a questo trapasso, viene resa sempre più somigliante a lui.
14. Invece un donatore e benefattore - per quanto del resto zelante - è tanto più lontano dalla meta del vero perfezionamento spirituale interiore della vita, quanto più brusco e scortese egli è nel dare e nell'operare, perché il procedere scortese e brusco nell’elargire ha ancora qualcosa di terreno e di materiale in sé, ed è per conseguenza molto più lontano dal puro elemento celestiale che non il procedere lieto e affabile.
15. Così pure non conviene che tu accompagni i tuoi doni e le tue opere buone con ammonizioni severe e spesso amare, poiché queste generano di frequente una grande afflizione nel fratello povero, e nel suo cuore inizia a sorgere un grande desiderio di non aver mai più bisogno di accettare un soccorso dal benefattore che lo ammonisce sempre con uno sguardo severo! D'altro canto tali inopportune ammonizioni suscitano non di rado un certo orgoglio nel benefattore, mentre il beneficiato si sente un po’ troppo avvilito da quest’ultimo; soltanto allora egli ha la percezione della propria miseria di fronte all'agiatezza del benefattore, ed è questo il caso in cui il ricevere riesce molto più penoso del donare.
16. Chi ha dei beni e una buona volontà, costui dona facilmente; ma il bisognoso che riceve si intimorisce già dinanzi al più affabile degli elargitori quando, costretto dalla miseria, si vede nella necessità di dover essere di peso al benefattore, per quanto amorevole egli possa essere. Però, quanto più rattristato egli deve sentirsi nel cuore se l’elargitore gli viene incontro con uno sguardo severo e se, prima ancora di dargli un aiuto, lo gratifica di parecchi saggi insegnamenti che poi finiscono col diventare in avvenire per il beneficato dei dolorosi impedimenti a comparire, in caso di necessità, ancora una volta dinanzi alla porta di quel dispensatore di ammonizioni, perché egli deve aspettarsi, ad una sua seconda visita, un altro sermone ancora più saggio, più lungo e quindi anche più penetrante, il quale secondo il suo criterio non può significare altro che “non venirmi mai più fra i piedi”, mentre il benefattore non aveva forse nemmeno lontanamente pensato di dare un tale senso alle sue parole.
17. Appunto perciò un donatore lieto e amorevole gode di una così grande preferenza rispetto al burbero dispensatore di sermoni, perché costui consola il cuore del beneficiato, lo innalza e lo dispone ad un sentimento di gratitudine. Inoltre egli ne riempie l'anima di una dolcissima e salutare fiducia verso Dio e verso gli uomini, e il suo giogo, altrimenti tanto pesante, si muta per lui in un leggero fardello che egli poi sopporta con maggior pazienza e rassegnazione di prima.
18. Un lieto e amorevole donatore è, per un fratello povero e indigente, precisamente quello che per il marinaio in pericolo su di un mare in tempesta è un porto che promette sicurezza e gioia. Invece un benefattore burbero e scontento è simile, nel momento del bisogno, soltanto ad un'insenatura di mare meno esposta agli uragani, che protegge bensì il navigante da un totale naufragio, ma che lo mantiene nello stesso tempo sempre in una specie di angosciosa tensione per il timore che, come succede ogni tanto, una marea sizigia, sinistra e fatale, possa visitare l'insenatura dopo l'uragano e arrecargli poi un danno maggiore che non prima l'uragano stesso in alto mare!
19. Ed ora tu sai anche perfettamente, secondo la misura della Volontà divina, come deve essere costituita la vera e spirituale perfezione di un amore del prossimo di facile e pronta messa in pratica; fa così, e allora raggiungerai facilmente e al più presto l'unica vera meta della vita».
Umiltà e superbia.
1. (Il Signore:) «Ed ora passeremo ancora ad un altro campo della vita, di straordinaria importanza, sul quale si può poi giungere perfettamente alla completa rinascita dello spirito nella propria anima, ciò che appunto costituisce il trionfo più legittimo e la meta finale suprema della vita. Questo campo è la più evidente antitesi dell'orgoglio e della superbia, e si chiama umiltà.
2. In ciascuna anima dimora ugualmente un sentimento di elevatezza e di ambizione, il quale alla minima occasione si infiamma fin troppo facilmente, esplodendo in una passione d'ira che distrugge tutto, e che non si lascia mitigare e tanto meno estinguere del tutto finché non abbia consumato le vittime che l'hanno offeso. In seguito a quest'orrenda passione, però, si produce nell'anima un tale scompiglio e l'anima stessa diviene tanto materiale da risultare molto, ma molto meno idonea per il perfezionamento spirituale interiore, di quanto lo sia la sabbia del grande deserto d'Africa a spegnere la sete!
3. Per la passione della miserabile superbia, l'anima stessa si riduce infine ad una sabbia rovente sulla quale non può prosperare nemmeno la più meschina pianta di muschio, per non parlare poi di una qualche altra pianta più ricca di succhi e più benedetta; ebbene, questo è lo stato dell'anima di un superbo! Il suo fuoco selvaggio inaridisce, brucia e distrugge fino alla radice tutto ciò che vi è di nobile, di buono e di vero nella vita, e mille volte migliaia di anni trascorreranno prima che il deserto dell'Africa si tramuti in una campagna dilettevole, fertile e benedetta! Molte volte ancora il mare dovrà riversarvi sopra tutti i suoi flutti!
4. Considera un po’ un re superbo, il quale sia stato offeso dai suoi vicini per un futile motivo qualsiasi. In seguito a questo la sua anima si accende di una fiamma che diventa sempre più furiosa; dai suoi occhi sprizza già il fuoco terribile dell'ira, e la soluzione irrevocabile è questa: “La più tremenda vendetta sia fatta contro il perfido offensore!”. La ben nota e tristissima conseguenza di tutto ciò è una guerra devastatrice, nella quale centinaia di migliaia di uomini devono farsi dilaniare nella maniera più orribile per il loro re superbo e prepotente. Con grande compiacenza allora il re, ardente d'ira, contempla dal suo padiglione lo spettacolo della carneficina e della strage furibonda, e premia superbamente con oro e con gemme ogni furioso guerriero che ha potuto causare alla parte avversaria un qualche danno più grande e più rilevante!
5. Ma quando anche un tale re sia già riuscito a depredare con la sua forza preponderante quasi completamente il suo offensore, ciò è ancora ben lontano dal bastargli! Egli vuole ancora vederlo martoriare in sua presenza nel più crudele dei modi! Né preghiere né suppliche valgono a farlo desistere! E quando infine l'offensore è spirato dinanzi agli occhi del superbo re fra i più orribili tormenti, il suo corpo viene poi, oltre a ciò, gettato in pasto ai corvi fra le più tremende maledizioni, e mai il pentimento ha accesso nel cuore di diamante di un simile re, anzi vi rimane invece l'ira ovvero il rovente deserto d'Africa che continua ad essere apportatore di morte spaventosa a chiunque mai osasse fare a meno di rendere onore supremo perfino al luogo dove il superbo sovrano ha posato il piede.
6. Anche un tale re ha certamente ancora un'anima; ma quale ne è l'aspetto? Io te lo dico: “Peggiore di quanto l'abbia il luogo più rovente del grande deserto di sabbia africano”. Credi forse che un'anima simile possa essere mai convertita in un frutteto dei Cieli di Dio? Ascolta: mille volte produrrà il deserto d'Africa i più deliziosi datteri e fichi ed uve prima che una tale anima produca una goccia, anche minimissima, dell’amore celeste!
7. Guardatevi perciò innanzitutto dalla superbia, poiché nulla al mondo distrugge l'anima più della superbia e dell'orgoglio continuamente sbuffante d'ira. Una perpetua sete di vendetta è la sua accompagnatrice costante, precisamente così come la sete di pioggia inestinguibile è la compagna perenne del grande e cocente deserto sabbioso dell'Africa, ed ogni animale che vi pone il piede viene colpito dallo stesso flagello, come succede alla servitù del superbo che finisce col diventare essa stessa quanto mai superba ed anche assetata di vendetta! Infatti colui che è al servizio di un superbo deve diventare infine superbo egli stesso; altrimenti come potrebbe servirlo?».
Educazione all’umiltà.
1. (Il Signore:) «Come può dunque un uomo preservarsi da questa pessima fra le passioni, dato che in ciascuna anima si trova innato il germe, il quale spesso già nei fanciulli raggiunge un grado considerevole di sviluppo? Ciò non è possibile che mediante l'umiltà!
2. E infatti lo scopo per cui la povertà su questa Terra è così preponderantemente grande rispetto all'agiatezza degli uomini è appunto quello di tenere la superbia continuamente e fortemente a freno! Prova a porre una corona regale sul capo di uno fra i più miseri mendicanti, e ben presto ti persuaderai come la sua umiltà e pazienza che aveva prima saranno svanite con una velocità maggiore di quella del fulmine! Per questo motivo è cosa molto opportuna che vi siano pochissimi re e moltissimi umili mendicanti.
3. Ciascuna anima possiede un sentimento di elevatezza che è innato in lei, perché proveniente da Dio di cui essa è l'idea e la volontà, la cui esistenza si può constatare facilmente nel pudore dei fanciulli.
4. Il sentimento di vergogna e di pudore nei fanciulli è una sensazione dell'anima quando questa comincia ad essere conscia di se stessa, ed è un mezzo attraverso cui viene reso tacitamente manifesto il malcontento che essa prova nel vedersi - quale entità spirituale - rivestita di carne ingombrante e pesante, dalla quale non può liberarsi senza dolore. Quanto più delicato e sensibile è il corpo di una qualsiasi anima, tanto più forte sarà in lei il sentimento del pudore. Ora, se un vero educatore dei fanciulli sa guidare questo sentimento indistruttibile verso la vera umiltà, egli, traendolo da questo sentimento, procura al fanciullo uno spirito custode, e lo pone sul sentiero seguendo il quale egli può facilmente pervenire ad un sollecito perfezionamento spirituale. Ma basta una minima deviazione da questa direttiva per far sì che tale sentimento innato inclini presto verso la superbia e l'orgoglio.
5. Già il far deviare il sentimento del pudore verso la cosiddetta ambizione infantile è cosa molto errata, poiché in tal modo il fanciullo inizia subito a considerarsi superiore ad un altro. Egli si offende e si addolora facilmente, ed a ogni lieve contrarietà comincia a piangere amaramente; con questo pianto egli fa vedere, in modo molto chiaro e preciso, di essere stato ferito da qualcuno nel suo sentimento di elevatezza.
6. Se allora dei genitori deboli e di vedute cortissime cercano di calmare il fanciullo offeso chiamando a renderne conto e punendo l'offensore, sia pure soltanto in apparenza, essi hanno già posto nel fanciullo il primo germe per il soddisfacimento della sete di vendetta. E se i genitori continuano nella stessa maniera a darle tutte vinte al loro figlio, allora finiscono non di rado con l'allevare un demonio per se stessi e per molti altri, mentre quando i genitori inculcano saviamente per tempo nel fanciullo l'idea del maggior valore degli altri uomini e degli altri fanciulli in suo confronto, indirizzando così il sentimento del pudore in lui ad una vera umiltà, allora dei loro figli essi ne fanno tanti angeli che più tardi serviranno agli altri da veri modelli della vita e li ristoreranno con la loro dolcezza e pazienza, risplendendo come bellissime stelle nella notte della vita terrena!
7. Siccome però i fanciulli soltanto di rado ricevono una simile educazione grazie alla quale il loro spirito può venire destato nella loro anima, allora accade che l'uomo, una volta adulto e una volta che ha raggiunto il puro riconoscimento, deve badare anzitutto ad applicarsi con tutte le sue forze all'esercizio della vera e giusta umiltà. Se prima non ha estinto in sé fino all'ultimo barlume di un sentimento di superbia, egli non potrà mai raggiungere, né qui né nell'aldilà, la perfezione completa della vita celeste spirituale-pura.
8. Chi vuole sperimentare su se stesso se abbia o no raggiunto il grado della perfetta umiltà, allora domandi al suo cuore se è ancora suscettibile di venire offeso per un motivo qualsiasi e se sente di poter perdonare facilmente e di tutto cuore al suo più acerbo offensore e persecutore, e se riesce a fare del bene a coloro che gli hanno fatto del male, e se ogni tanto egli non prova la brama di onori o glorie mondane, e se non gli rincresce di sentirsi perfino il minimo fra i minimi per poter servire ognuno in ogni cosa! Ebbene, colui che è capace di tutto ciò senza tristezza né malinconia, costui è già su questa Terra un abitante dei supremi Cieli di Dio, e rimarrà tale nell'eternità! Infatti, mediante una tale vera umiltà non soltanto l'anima diviene perfettamente una sola cosa col proprio spirito, ma anche il corpo in grandissima parte riesce a fare lo stesso!
9. Perciò un uomo simile non sentirà né assaporerà mai la morte del corpo, perché l'intera parte corporea eterea, quale parte naturale propriamente vivente, sarà diventata immortale già su questa Terra con l'anima e con il suo spirito.
10. Con la morte fisica viene staccato dall'anima soltanto il simulacro insensibile e inanimato, e ciò non può causare ad un’anima del genere alcuna angoscia e alcun ulteriore dolore, perché tutto ciò che del corpo ha sensibilità e vita emotiva si è totalmente unificato con l'anima già da molto tempo. Un tale uomo, giunto ad un simile grado di perfezione, può anche altrettanto poco avvertire il distacco dal suo corpo ombroso - comunque di per sé sempre insensibile e quindi morto - quanto, ai tempi della vita naturale del proprio corpo, ne risentiva del taglio dei capelli e delle unghie quando esse erano diventate troppo lunghe, oppure della caduta di una scaglia che si staccava ogni tanto dall'epidermide esterna del corpo e che era già insensibile di per se stessa. Infatti ciò che non ha mai avuto una sensibilità nel corpo, non può nemmeno averne quando l'anima si separa dal corpo, perché tutto il sensibile e il vivente del corpo si è già prima unificato interamente con l'anima e forma ormai con questa un solo essere che non verrà mai più diviso da lei.
11. Tu ora hai visto ciò che è la vera umiltà, e tutti gli effetti che essa ha già qui, e così per l'avvenire ti applicherai all'esercizio di tale virtù. Chi farà fedelmente come Io ti ho detto, potrà convincersi da se stesso che queste parole facilmente comprensibili, anche se dette senza sfoggio di eloquenza, non provengono da un uomo, ma da Dio! E chi vive ed opera a seconda di esse, costui procede sul retto sentiero che porta al vero ed intimo perfezionamento spirituale della vita. Ora però dimmi pure se hai compreso tutto ciò pienamente e chiaramente!».
I buoni proponimenti di Zorel.
1. Dice Zorel, atteggiandosi con umiltà e pieno di ammirazione per la sublime verità e purezza di questa Mia pratica e un po’ estesa Dottrina della vita: «O Signore ed eterno Maestro di ogni esistenza e di ogni vita! Io, per la mia persona, anche senza farvi precedere l'esercizio pratico nella vita, ho riconosciuto da questa Tua Dottrina che quanto è uscito ora dalla Tua bocca non fu detto da uomo, ma soltanto da Dio, il Quale ha creato il cielo, questa Terra e l'uomo, dunque con tanta maggiore intensità io applicherò anche praticamente nella mia vita tutti gli insegnamenti che Tu, o Amore dell'Amore, mi hai ora in grazia elargiti.
2. Certo, io ho compreso ogni cosa, poiché, per quanto strano possa parere questo, pure ebbi l'impressione come se io avessi udito già un’altra volta in qualche luogo parole simili e anche come se le avessi messe in pratica! Ma tutto ciò non può essere accaduto che in sogno, perché non mi risulta davvero che nella vita reale io sia stato mai partecipe di una grazia simile. È comunque strano che ogni parola dalla Tua santa bocca mi sia apparsa tanto conosciuta ed abbia suscitato in me un senso tanto straordinario di amorevolezza! E per questa ragione anche tutto mi è riuscito tanto comprensibile! Comunque stiano le cose, è certo che tali parole e tali ammaestramenti, i quali toccano così profondamente, veramente e fedelmente tutto quello che nell'uomo può chiamarsi vita, non sono mai stati pronunciati prima d’ora dalla bocca di un mortale!
3. Chi, dopo aver udito queste parole, non dovesse trovare ancora la vera via che conduce al proprio perfezionamento spirituale interiore della vita e non provasse in sé un impulso potente a conformarvi esattamente tutte le proprie opere, costui o non potrebbe davvero essere un uomo, oppure dovrebbe essere cresciuto addirittura insieme al mondo stolto e morto, e la sua anima dovrebbe essersi indurita come il diamante. Altrimenti non sarebbe assolutamente possibile immaginarsi come un uomo che avesse udito e compreso questa Dottrina, non dovesse anche adattarvi tutta la propria vita, dato che egli dovrebbe pure vedere dinanzi a sé, così chiara e limpida come il Sole in pieno mezzogiorno, la meta finale raggiungibile con essa. Io però con queste parole non intendo vantarmi come se avessi già ottenuto qualcosa, tuttavia la visione della purissima verità di questa Dottrina, perfettamente lucida e chiaramente penetrante nella coscienza della vita, è pure già qualcosa che - almeno per me - ha un valore vitale considerevolissimo.
4. Ora, chi come nel mio caso abbia avuto una volta la chiara visione di questa santa cosa, costui, di fronte a tale percezione e riconoscimento vivissimi, farà come ho fatto io e non sarà più certo così pazzo da precipitare nelle pozzanghere e nelle cloache del mondo per pescarvi della fetida melma che infine lo soffocherebbe quando invece può ascendere le luminose vette dell’Horeb e del Libano, e là raccogliere le erbe salutari atte a curare e a risanare perfettamente l'anima ammalata, per la vita eterna. Con le parole “erbe salutari sulle luminose vette dell’Horeb e del Libano” io intendo però dire le opere che si possono trovare soltanto sulla radiosissima vetta del riconoscimento della verità della Tua Dottrina, o Signore, vale a dire con l'operare conformemente alla Parola udita dalla Tua bocca. Per "Horeb" e "Libano" poi io intendo indicare il Vero e il Buono divini; questa ne è - secondo il mio intelletto - l'interpretazione.
5. Grande, santo e sublime sopra ogni cosa sei Tu, o Signore, che stai qui ora dinanzi a me! Però il massimo della Grandezza, della Sublimità e della Santità lo raggiungi negli uomini che il Tuo Amore e la Tua Sapienza hanno trasformato in Tuoi figli!
6. Ecco, o Signore! Certo, anche per Te deve essere una gioia immensa quando una creatura - che prima di umano aveva soltanto la forma - inizia a udire e a comprendere la Tua Parola paterna, e alla fine forma da se stessa, liberamente, l'immutabile proponimento di procedere e di agire secondo questa Parola, allo scopo di raggiungere quella perfezione santificata che Tu, quale Dio, Creatore, Padre e Maestro, le hai posto a beatissima meta.
7. Quanto deve poi essere grande la Tua gioia paterna quando un uomo ha raggiunto la perfezione nel Tuo santo Ordine! Ma quanto grande anche deve essere il giubilo di un figlio, il quale, dalla sua nullità di essere creato, nella sua interiore perfezione e nella pienezza della sua vera umiltà è finalmente pervenuto al riconoscimento di Te stesso quale vero ed unico Padre! Io vorrei davvero conoscere lo spirito angelico del Cielo che, con fantasia viva e ardente come il Sole, fosse in grado di descrivermi una tale gioia, e così pure il mortale che ora, nel suo attuale impoverimento spirituale, fosse capace di concepire le profondità di una simile fantasia, almeno per quel tanto che è necessario per dire di averle concepite. Io ne ho bensì come un vago presentimento, anzi ho appunto di nuovo l'impressione come se io avessi già provato altre volte qualcosa di simile come in sogno. Ma tutto questo può anche essere nient’altro se non la conseguenza beata di ciò che la Tua Dottrina, o Signore, ha suscitato nel mio cuore e nella mia volontà!
8. È la gioia del seminatore che ha la lieta consapevolezza del fatto che il suo campo è stato una buona volta purificato da ogni zizzania e che nei solchi è stata sparsa una semente purissima la quale fa certamente ridestare in lui la migliore speranza di una messe abbondantissima!
9. Il mio campo ora è buono, come Tu, o Signore, hai certamente visto, altrimenti non vi avresti sparso la più pura semente con tanta profusione! E forse è appunto questa coscienza che produce in me questo sentimento indescrivibile di letizia, poiché io sono certo del successo, avendo la sicurezza assoluta della possibilità di arrivare in me al pieno compimento della Tua santa Parola! Ma una volta che la causa esiste, allora anche il grande e santo effetto non può rimanere a mezza strada! Io però non voglio le cose a metà, ma le voglio complete e intere, e perciò nel mio agire non dovrà esservi mai nessuna cosa a metà, ma completa ed intera come la Tua Parola!
10. Quando ero ancora un briccone, sono riuscito comunque a fare qualcosa di completo, quantunque allora io non potessi attendermi nemmeno con qualche piccola certezza un risultato neppur mediocremente favorevole; bastava un malaugurato accidente qualunque per mandare a rotoli tutte le mie più belle e più promettenti speranze! E comunque non per questo qualcuno può accusarmi di tiepidezza, né provare che io abbia mai fatto niente a metà. Ora se io, già quale briccone, ho saputo essere qualcosa di completo, spesso anche senza la minima probabilità di un successo nemmeno mediocre, quanto più saprò evitare ora ogni mezza misura su questa via per la quale mi sono messo! Anzi, io distoglierò del tutto i miei pensieri, le mie parole e le mie azioni da quello che richiede il mondo, il quale ormai mi ha abbindolato abbastanza a lungo.
11. Mai più dovrà trovare posto in me neppure il germe di un pensiero mondano, né alcuna traccia di una azione mondana, vale a dire certo mai più nella misura che dipende da questa mia nuova volontà. Ma per quello su cui io non posso influire, come sarebbero ad esempio le ordinarie necessità del mio corpo, io non posso naturalmente garantire, poiché queste cose stanno unicamente nelle mani onnipotenti della Tua Volontà, o Signore. I miei pensieri, però, le mie idee, le mie parole e le mie azioni dovranno un giorno testimoniare che anche un greco può mantenere la sua parola ed essere coerente con i proponimenti una volta che li ha fatti.
12. Può darsi che io, in questa mia beata esaltazione d'animo, abbia detto qualcosa di intempestivo! Ma ciò non conta, Zorel non dimenticherà quello che ha detto ora, e se egli non lo dimentica, vi conformerà anche rigorosamente le proprie azioni, dovesse pur costargli questa vita terrena! Dal momento che io ora so chiaramente e sento vivamente che, dopo che è cessata questa vita nella carne, vi è e vi deve essere con sicurezza ed in tutta verità un'altra vita incomparabilmente più perfetta, ebbene, questa vita nel corpo non ha per me maggior valore di un guscio vuoto! Quante volte non ho io dovuto mettere a repentaglio la mia vita per un meschino guadagno materiale! Perché dunque non dovrei farlo adesso che sono più certo del guadagno di quanto non sia certo del fatto che io stia pensando, sentendo e parlando ora?
13. Oh, io non parlo ora da ebbro o da pazzo, ma parlo con la mente più sana di questo mondo, e parlo a testimonianza del fatto che io ho afferrato e compreso nella sua pienezza la verità della Parola divina! La prova però che io l'ho compresa nella sua pienezza è data dal fatto che intendo rischiare anche la mia vita terrena per amore di questa santissima Verità! Ed io non dico questo dinanzi a voi per rivestire le mie parole di una certa apparenza oratoria, ma veramente così come sento ora nel cuore.
14. Certo vi sono degli uomini i quali, in momenti straordinari di entusiasmo e di commozione, parlano come se volessero già il giorno successivo tramutare la Terra in un Eden; passato però quel momento, certo essi meditano su tutto ciò che hanno visto e udito, ma la decisione di far seguire le opere diventa di giorno in giorno più tiepida, e le antiche e stolte abitudini ricompaiono ben presto al posto dei nuovi buoni proponimenti. Questo però, a dire il vero, non è ancora mai stato il caso mio, perché, una volta riconosciuto qualcosa come verità, io ho sempre agito conformemente finché non abbia potuto ottenere la piena convinzione dell'esistenza di qualcosa di migliore.
15. Le mie azioni di un tempo non stavano in alcun contrasto col mio modo di considerare la vita, un modo che non era affatto biasimevole neppure davanti al forum (tribunale) della ragione mondana più pura, ispirata in gran parte a concetti filantropici. Ma come avrei potuto immaginare nemmeno da lontano che io sarei venuto un giorno, ancora in questo mondo, a contatto personale con l'eterno Maestro di ogni esistenza e di ogni vita, di fronte alla cui purissima Sapienza e verissima concezione e norme della vita le mie opinioni basate sul raziocinio si sarebbero sciolte come cera al Sole? Eppure è accaduta la cosa più incredibile, e cioè Dio, in tutta la pienezza della Sua eterna perfezione di Potenza e di Sapienza, sta dinanzi a noi tutti e ci insegna non soltanto qual è la destinazione temporale, ma anche quella eterna dell'uomo e della sua vita, e lo fa con parole così evidenti e chiare che perfino un cieco e sordo deve comprenderle in assoluto! E sotto tali auspici non si può certo fare a meno di prendere una decisione per la vita, dalla quale nemmeno un mondo andato in pezzi potrebbe in eterno distogliermi!
16. Oh, sì, uomini che non sono altro che dei vigliacchi, si orienteranno dicerto più verso il mondo che non verso la santissima Verità uscita dalla Bocca dell'unico vero Dio, poiché il mondo ha anche i suoi vantaggi nella dimensione temporale ed oro ed argento e gemme! Per tale immondizia i deboli lasciano ben presto da parte Dio, perché Egli non fa piovere loro giù dalle nuvole né oro né argento. Io invece ho imparato ora a conoscere l’oro più puro dei veri Cieli di Dio, e disprezzo perciò già adesso dal profondo della mia vita quest'allettante fango della Terra! Tu però, o Signore onnipotente dell'eternità, puniscimi se una soltanto delle parole proferite ora dalla mia bocca è falsa!
17. E tu, o illustre Cirenio, se ho implorato da te un soccorso, l'ho fatto soltanto nella mia stoltezza e povertà di spirito; ora però io ritiro la mia richiesta disdicevole, poiché, dal momento che ho trovato dei tesori celesti in tanta quantità, non ho più certamente bisogno di quelli terreni; neppure il mio campo e la mia capanna bruciata mi servono più, avendo io riconosciuto e visto la dimora di Dio nel mio cuore. Vendete ogni cosa e rimborsate coloro ai quali siete ancora debitori su questa Terra! Dal canto mio lavorerò e servirò gli uomini in tutto ciò che è giusto dinanzi a Dio perché io posso ben lavorare; durante il tempo della mia vita mi sono acquistato cognizioni e capacità diverse per cui sono un uomo che può essere utile in parecchie cose. Spero soltanto che dappertutto mi si concederà quel tanto di tempo che mi è necessario per poter corrispondere con le opere a quanto mi sono ormai dedicato per tutta la vita che ancora mi rimane e per sempre!»
18. Dico Io: «Ebbene, Io ti ho chiamato in spirito perché conoscevo bene la tua anima, altrimenti non saresti venuto qui, e siccome ora sei tanto cambiato, così per te è già provvisto anche per l'avvenire. Tu pure sarai un Mio buon strumento presso i greci delle coste dell'Asia Minore ed anche d'Europa. Là ve ne sono molti che anelano alla Luce, ma non possono averne da nessuna parte. Per il momento verrai accolto in casa di Cornelio, che è un fratello di Cirenio, e là sarai provvisto di tutto il necessario. Ma quando sarà giunto il momento opportuno per recarti fuori ad annunciare ai popoli il Mio Nome, te lo farò sapere a tempo debito. Ed ora tu hai tutto quello di cui hai bisogno, il di più te lo insegnerà lo Spirito di Verità. Quando dovrai parlare, non ti sarà necessario riflettere su ciò che dovrai dire, ma quando sarà giunta l'ora, ti verranno poste le parole nel cuore e nella bocca, ed i popoli ti ascolteranno e glorificheranno Colui che ti avrà elargito tale Sapienza e Potenza».
Zorel viene affidato a Cornelio.
1. (Il Signore:) «Ora però si è fatta sera, e il nostro albergatore Marco ha preparato la cena. Considerato dunque il buon acquisto che abbiamo fatto in te quest'oggi, vedremo di gustare la cena nel miglior modo possibile di questa Terra; nel Mio Regno nell'aldilà poi la cosa andrà un giorno già meglio! Dopo la cena però non ci occuperemo del sonno, ma di questioni ben differenti, e domani prima del levare del Sole ci separeremo per qualche tempo, perché Io devo visitare ancora molti luoghi. Tu, Raffaele, recati ora dalle donne e falle ritornare qui, poiché la discussione che poco o nulla le riguardava è terminata, e l'ora della cena è giunta»
2. Raffaele esegue e riconduce tutte le donne, e la nostra Giara viene a Me di corsa e dice: «O Signore! O amore mio! Mi è sembrata un'eternità prima che fossimo richiamate, ma ora Ti siano rese grazie infinite perché mi è concesso di rimanere nuovamente vicino a Te! Però davvero noi donne non avremmo potuto udire proprio nulla di tutto ciò che Tu, o Signore, hai trattato con Zorel?»
3. Dico Io: «No, perché per voi donne la cosa sarebbe stata troppo prematura; comunque tu non hai perduto niente e a tempo debito tutto ciò ti verrà rivelato. Ma ecco che ora viene servita la cena; a tavola potrai rallegrarti a piacimento con Josoe e con Raffaele; quest’ultimo lo farò conoscere più da vicino a Zorel solo dopo aver finito il pasto: lui non ha ancora nessuna idea di chi sia Raffaele.
4. Dopo la cena resteremo svegli fino al mattino e durante quest'ultima notte, che Io passerò corporalmente fra voi, vi sarà fatto vedere e ascoltare cose meravigliose in tale quantità, come non è mai successo prima, perché questa notte imparerete a conoscere pienamente Chi è Colui che ora ti ha parlato così. È opportuno però che questa cosa non sia detta a nessuno prima del tempo! Tu, Mio caro Zorel, rimarrai d'ora innanzi con Cornelio, perché sarà lui e non Cirenio ad aver cura di te»
5. Osserva Cirenio: «Signore! Io non invidio certo a mio fratello nessuna cosa che sia buona, tuttavia anch'io avrei tenuto molto volentieri Zorel presso di me!»
6. Dico Io: «Il tuo desiderio è causa di grande gioia per il Mio cuore, e vale quanto l'azione stessa; tu però hai già comunque preso a tuo carico un gran numero di coloro che sono stati qui convertiti; in Zinca e nei suoi compagni tu possiedi un tesoro. Oltre a ciò ti sono affidati Stahar, Muraele e Floran, Ebram e Risa, Suetal, Ribar e Baele, nonché Erme con la moglie e le loro figlie, ed ora hai anche le tue due figlie, Gamiela e Ida, insieme a coloro che Io ho destinato come tuoi generi, infine c'è Josoe, il ragazzo prodigioso; va da sé poi che a tutti coloro che ho nominato c’è da aggiungere anche il loro seguito, e con ciò puoi essere perfettamente contento! Tuo fratello Cornelio si incarica ora di Zorel, il quale in primo luogo presterà buoni servizi in casa sua, e più tardi anche agli stranieri per i quali Io l'ho destato. Tu del resto andrai spesso da tuo fratello ed egli verrà da te, ed in simili occasioni potrai anche intrattenerti col nostro Zorel sulle diverse questioni. Sei dunque ancora spiacente che Io non ti abbia affidato Zorel?»
7. Dice Cirenio: «O Signore! Come mai puoi domandarmi questo? Tu sai già che la Tua Volontà, la sola Santa, è la mia beatitudine suprema, qualunque essa sia! E poi non trascorre mai un mese intero senza che io vada in visita da mio fratello o che lui venga da me, sia per affari, sia per il vecchio amore che ci lega, ed allora si presenterà ben l'occasione di scambiare qualche parola con quell'uomo.
8. Ma poco fa Tu hai detto alla cara Giara che nel corso di questa notte ci farai assistere ad un gran numero di cose meravigliose, affinché tutti noi veniamo perfettamente istruiti nella Tua Essenzialità; ebbene, in che cosa dovrebbe consistere il momento culminante di questa meraviglia?»
9. Gli rispondo Io: «Caro amico! Tu lo vedrai e lo udrai insieme a tutti gli altri a tempo debito! Ora guarda come il vecchio Marco è già tutto affaccendato a portare in tavola le vivande, oltre al vino, sale e pane, e guarda innanzitutto le tue figlie che hanno bisogno di un buon ristoro; per conseguenza non si intraprenderà, non si parlerà né si discuterà di niente finché la cena non sarà finita».
Umiltà esagerata e giusta umiltà.
1. Marco a questo punto dà il segnale di prendere posto a tavola sulle lunghe panche da lui fatte portare, e Cornelio invita Zorel a sedersi alla sua destra.
2. Zorel però si rifiuta dicendo: «O nobile signore e padrone! Non chiedermi una simile cosa! Infatti, vedi, il mio posto è là, vicino alla capanna di legno, all'ultima tavola fatta di rozzi assi alla quale siedono gli ultimi ed infimi vostri servitori, e non qui dove è disposta la mensa principale, ed alla tua destra poi! Questa sì che sarebbe una bella pratica di quell'umiltà che il Signore di ogni Vita mi ha tanto raccomandato sopra ogni cosa!»
3. Dico Io: «Zorel, amico Mio, in questo caso basta la tua volontà! Perciò puoi accondiscendere al desiderio di Cornelio. La vera umiltà non sta in nessun caso nelle apparenze di un atto esteriore, ma sta nel cuore, conformemente alla piena verità! Va a Gerusalemme, e guarda con quali facce e con che vesti piene di umiltà i farisei e tutti gli scribi si fanno vedere in pubblico, eppure i loro cuori sono colmi del più sozzo orgoglio, e provano un odio infernale verso chiunque non voglia adattarsi alla loro musica! Invece un re, con corona e scettro, quando non ponga questi simboli al di sopra del valore di un uomo, può essere nell'anima tanto umile quanto l'infimo mendicante sulla pubblica via. Se tu consideri un po' bene tutto ciò, non ti sarà intollerabile prendere posto al nostro tavolo alla destra di Cornelio»
4. Dice Zorel: «Ah, quand'è così, sta bene!». Egli dunque va e si siede come Cornelio aveva desiderato.
5. E Cornelio gli dice: «Ecco, così va bene, mio caro amico, io ne gioisco di tutto cuore! Noi per il futuro vogliamo vivere ed operare insieme nel Nome di Colui che ci ha illuminati! Per quanto riguarda la vera umiltà, la mia opinione è la seguente: “Si deve essere pieni di vera umiltà e di amore del prossimo nel proprio cuore, ma esteriormente non se ne deve vantarsi, perché piegandomi esteriormente in modo troppo servile e profondo dinanzi agli altri uomini, io li rendo orgogliosi e mi privo dell'occasione di servirli in tutto ciò che potrebbe essere utile.
6. Io non devo mai rinunciare completamente ad una certa stima che soltanto come uomo posso attendermi dal mio prossimo, poiché senza di essa non potrei fare niente di nuovo e di proficuo!”. Dunque noi due cerchiamo di essere certamente quanto più umili è possibile nei nostri cuori, ma non possiamo né dobbiamo fare a meno della nostra necessaria rispettabilità esteriore.
7. Ci si presenterà spesso l'occasione di vedere come della povera gente, per procurarsi il sostentamento, debba accudire a lavori infimi ed umilissimi. Ma dobbiamo anche noi forse per coronare la nostra umiltà andare a pulire i pantani e le cloache? Io credo che di una tale esteriorità non vi sia bisogno; è sufficiente invece che nel nostro cuore noi non consideriamo quegli uomini che si occupano di questo tipo di lavori da meno di noi che abbiamo avuto dal Signore l'incarico di accudire a mansioni del tutto differenti.
8. Noi stessi dobbiamo anzitutto tenere in alta stima il nostro compito, certamente non per riguardo alle nostre persone, ma soltanto per riguardo al compito stesso al cospetto del popolo. Ma se vi è la necessità di fare la pulizia dei pantani e delle cloache, non occorre che la facciamo noi stessi, ma basta che incarichiamo di tali lavori coloro che sono stati destinati dal Signore e dalla natura. Noi non potremmo nemmeno resistervi, non essendovi stati abituati fin dalla gioventù. E di certo neppure il Signore esigerà una simile cosa da noi; quello però che Egli ci chiede, quale Padre di tutti gli uomini, è che noi non disprezziamo nessuno nel nostro cuore, nemmeno il più grande peccatore, ma che facciamo invece ogni sforzo possibile ed immaginabile per salvare la sua anima! E così io credo che noi agiremo rettamente dinanzi a Dio e a tutti gli uomini!»
9. Dico Io: «Sì, così va bene! La vera umiltà e il vero amore del prossimo dimorano davvero nei vostri cuori, e non nell'apparenza esteriore come nei farisei!
10. Chi senza necessità si mescola alla crusca e alle vinacce, alla fine deve rassegnarsi a farsi divorare dai porci!
11. E così ugualmente la vera umiltà non esige che voi gettiate le perle della Mia Dottrina addirittura ai porci! Infatti, vi sono degli uomini che sono peggiori di questi animali, ed a costoro non si addice la Mia Dottrina; voi potete impiegare tale tipo di gente molto più efficacemente nel vuotare le cloache che non nell’annunciare loro la Mia Parola e il Mio Nome!
12. Non abbiate però riguardo alla veste oppure alla dignità esteriore, ma guardate invece se il contegno dell'uomo corrisponde al suo cuore e al suo sentimento. Se questo è nobile, dolce e paziente, allora annunciategli il Vangelo e dite: “La pace sia con voi nel Nome del Signore, e con tutti gli uomini di buona volontà”. Se l'uomo, anticipatamente così benedetto, è veramente di buona volontà e di cuore retto, allora la pace colma di benedizione rimarrà in lui, e il Vangelo annunciatogli comincerà quanto prima a produrre i più bei frutti celesti. E così credo e ritengo Io stesso, secondo il vostro modo di vedere umano, che voi tutti avrete ormai abbastanza chiaro ciò che riguarda la vera umiltà.
13. Ma ora, poiché già ci attende un pasto abbondantissimo, mangiamo e beviamo tutti di lieto cuore e con animo sereno, perché quando Io, come un vero Sposo delle vostre anime, siedo fra voi, potete ben godere con Me di questo ristoro in piena letizia e serenità di cuore! Quando però tra breve Io non sarò più fra voi come oggi, allora potrete certo sedere a mensa di nuovo con minore letizia e serenità».
Cornelio e Zorel parlano di miracoli.
1. A tale invito tutti fanno allegramente onore ai cibi e alle bevande; particolarmente Raffaele si era servito di parecchi pesci ben grossi, che egli mangiò con una rapidità prodigiosa, la qual cosa diede moltissimo nell'occhio tanto a Zorel quanto a Zinca, ma soprattutto a Zorel poiché non sapeva ancora chi fosse quel giovinetto. Egli perciò domandò a Cirenio come facesse il giovane a mangiare con tanta voracità i pesci più grossi, pur non avendo affatto, neanche alla lontana, l'aspetto di un ingordo!
2. Al che Cirenio gli rispose: «Quel giovinetto è un essere meraviglioso; egli è contemporaneamente sia un uomo che uno spirito, ed è dotato di una forza e di una potenza tali che tu non le potresti neanche sognare. Mio fratello Cornelio che ti sta accanto, te lo può confermare»
3. Allora Zorel domanda a Cornelio cosa veramente si possa pensare di quel giovinetto.
4. E Cornelio gli dice: «Vedi, mio caro Zorel, la cosa sta effettivamente così come mio fratello ti ha già detto; maggiori dettagli riguardo alla sua personalità prodigiosa non te li posso dare, per il semplice motivo che, detto francamente, non la comprendo proprio neanch’io. Egli potrebbe forse essere quello stesso angelo il quale, secondo il mito degli ebrei, ha un tempo servito da guida ad un giovinetto di nome Tobia! Io allora non ero certo presente per poterti rendere adesso una testimonianza sicura a questo riguardo, ma credo che la cosa sia stata realmente così; d'altro canto, perché non la si dovrebbe credere vera?
5. Anche qui succedono di nuovo cose tanto prodigiose alle quali i nostri posteri non presteranno fede e che tuttavia dinanzi ai nostri occhi e orecchi sono vere perché noi le vediamo e udiamo! Anzi di fatti divini e miracolosi attualmente ne accadono tanti che alla fine si deve pur credere a tutto quello che di meraviglioso viene raccontato nelle sacre Scritture e nei libri degli ebrei! Infatti, oggi un miracolo può oscurare perfettamente l'altro, perché non può essere accaduto altrettanto anche in quei tempi antichi? E così dunque il nostro forte mangiatore di oggi può benissimo aver servito, alcune centinaia di anni fa, da guida a qualche pio giovane di nome Tobia! Io, per conto mio, credo fermissimamente a tutto ciò, e penso che nemmeno tu possa avere niente da obbiettare»
6. Dice Zorel: «Io meno di altri, perché tutto ciò che è prodigioso è in sé qualcosa di particolare e non ha alcuna somiglianza con i fenomeni che si riscontrano nel campo del naturale; il prodigioso calpesta le leggi conosciute del mondo naturale ed è in sé la realizzazione della fantasia di un poeta dotato di ogni sapienza. Infatti, tutto quello che un uomo ricco di fantasia può immaginare, viene realizzato nel campo del prodigioso!
7. È certo che ad un Dio deve essere tutto possibile, e l'esistenza di un mondo e del cielo stellato ne rendono continuamente testimonianza. Senza alcun dubbio la creazione originale di un mondo dovrebbe essere per noi terribilmente prodigiosa! Ma una volta che esiste un mondo creato e provvisto di certe leggi necessarie alla sua conservazione ed è popolato da esseri che sottostanno alle identiche leggi di conservazione, allora esso non può più certo apparire tanto meraviglioso agli occhi di coloro che lo abitano!
8. Se però, come succede appunto ora in seguito ad un caso straordinario, il Creatore stesso scende presso la popolazione di un mondo formato in modo quanto mai prodigioso, è ben naturale che essa debba cominciare di nuovo a stupirsi molto quando l'antico Onnipotente si mette a compiere dinanzi ai suoi occhi opere, le quali possono essere compiute soltanto da Lui e da nessun altro, in tutto l'infinito, senza la Sua Volontà!
9. Io però con questo non intendo assolutamente contestare il fatto che qualcuno, una volta raggiunta la perfezione spirituale, possa essere anche in grado di fare dei miracoli; forse, quale spirito già del tutto perfetto e puro, potrà perfino egli stesso creare un piccolo mondo, però certo mai in eterno senza la cooperazione della Volontà divina! Un tale spirito potrà sicuramente anche parlare e insegnare con sublime sapienza, ma mai in eterno senza il divino Spirito nel proprio petto.
10. Io credo di ricordarmi così vagamente, dalla storia giudaica, che una volta un asino abbia parlato con molta saggezza ad un certo profeta Balaam. Anzi in tempi assai remoti pare che perfino gli animali selvaggi e rapaci abbiano insegnato agli uomini induriti e ottenebrati! Per dirla come te, noi non eravamo presenti, ma comunque ci può essere qualcosa di vero in questo. Quegli animali saranno stati certo dominati transitoriamente dallo Spirito di Dio, al Quale avranno dovuto servire da strumenti! Ed in termini non molto differenti e migliori staranno le cose riguardo alla sapienza degli uomini e spiriti più saggi; l’unica grande differenza tra la sapienza degli uomini e quella degli spiriti sarà solo nella durata e nella sua capacità di accrescimento!
11. Questo è pressappoco il mio modo di vedere; ma con ciò io non intendo affatto aver annunciato una verità lapalissiana, perché già un'altra volta mi è capitato di finire male con i miei principi razionali, e non vorrei più, a nessun costo, rifare un capitombolo simile; solamente, discutendone con ragionevolezza, si può sempre, anche senza un qualche preciso fondamento, esporre un'opinione in opposizione ad un'altra, per giungere infine a rilevare se e quanto di vero possa eventualmente esserci nella cosa!»
12. Dice Cornelio: «Amico! Tu parli perfettamente e nella tua modesta opinione vi sarà certamente anche qualcosa di positivo; ora però io ho ancora un’altra opinione che ti riguarda, e questa consiste nel fatto che sarebbe meglio che tu ti accingessi a mangiare il tuo pesce anziché fare tanta attenzione a come il celeste giovinetto fa sparire così presto un pesce dopo l'altro, dimostrando di avere sempre, nonostante ciò, un appetito tale da far comprendere con estrema facilità che egli sarebbe capace di mandare giù senza alcuno sforzo ancora una decina di simili pesci! Mangia dunque anche tu adesso e dimostra che tu pure puoi finire almeno un pesce, aggiungendovi una coppa di vino buono, anzi squisito!».
13. Dopo tali parole il nostro Zorel comincia a mangiare e a bere saporitamente e in pace, senza curarsi più di tanto di ciò che succede intorno a noi.
Le differenti opinioni sulla Personalità del Signore [Gesù].
1. Alle diverse tavole però il vino iniziava a sciogliere le lingue, e l'allegria e la vivacità andavano aumentando sempre più. Sorsero perfino diverse opinioni su di Me, e si potrebbe veramente dire che in occasione di quella cena si manifestò un primo scisma della Chiesa. Alcuni sostenevano che Io fossi del tutto direttamente il supremo Essere divino! Altri invece dicevano che Io ero sì l'Essere divino, ma non direttamente, bensì indirettamente. Altri ancora dicevano che ero propriamente soltanto un figlio di Davide quanto alla discendenza e che ero destinato a diventare Messia del Regno Davidico, e perciò dotato della forza prodigiosa di Davide e della sapienza di Salomone! Altri poi dicevano che Io ero uno dei primi angeli dei Cieli, peregrinante ora “pro forma” nella carne sulla Terra, e che avevo ancora con Me un aiutante dai Cieli.
2. Una parte degli ospiti, compreso qualcuno perfino fra i Miei apostoli, Mi dichiarò Figlio dell'Altissimo; sostenevano cioè che Io avessi bensì gli stessi attributi del Padre Mio, però che Io fossi comunque una Personalità del tutto differente, cosicché forse anche il tanto spesso discusso Spirito di Dio avrebbe potuto costituire infine addirittura una terza Personalità, la Quale in certi casi avrebbe avuto da dire qualche parola per Suo proprio ed esclusivo conto!
3. Tuttavia soltanto pochissimi si dichiararono d'accordo con questa opinione. Alcuni chiesero a Pietro cosa ne pensasse.
4. Ma Pietro disse: «Egli, il Signore stesso, quando noi camminavamo verso questo luogo, ci chiese che cosa la gente pensava di Lui, in merito a chi Egli fosse ed infine ciò che noi stessi pensavamo di Lui. Anche in tale occasione fu asserito questo e quest’altro, e quando alla fine fui interrogato io, allora dissi francamente come sentivo nel cuore: “Tu sei il Figlio dell'Altissimo!”. Ed Egli rimase perfettamente soddisfatto di tale mia testimonianza, e mi chiamò perfino una “roccia della fede” sulla quale Egli avrebbe edificato la Sua Chiesa la quale non sarebbe più stata vinta dalle porte dell'inferno. Con ciò, dunque, l'opinione da me espressa allora fu da Lui stesso approvata e confermata, e così credo di non far male se mi attengo ad essa, fermo come una roccia!»
5. Giovanni invece era contrarissimo a tale opinione di Pietro, e disse: «In Lui dimora corporalmente la Pienezza della Divinità. Come Figlio - che però non è e non può essere un'altra Personalità - io riconosco soltanto il Suo Corpo in quanto esso costituisce il mezzo per un determinato scopo, ma nel complesso Egli è tuttavia identico alla Divinità dimorante in tutta la Sua Pienezza in Lui!
6. Infatti, è forse il mio corpo una personalità differente dalla mia anima? Non costituiscono entrambi un uomo, quantunque al principio della mia esistenza l'anima abbia dovuto formare questo corpo, e a ragione si potrebbe dire che l'anima si è rivestita di un secondo uomo materiale, e con ciò ha messo attorno a sé una seconda personalità? Si può ben sostenere che il corpo sia un figlio, ovvero un prodotto dell'anima, ma non perciò si può sostenere che esso costituisca una seconda personalità con l'anima, o addirittura senza di essa! E meno ancora si può dire tale cosa dello spirito che è nell'anima, poiché cosa sarebbe mai un'anima senza il divino spirito in essa! Certamente essa diventa un uomo perfetto soltanto per mezzo suo, quando cioè lo spirito l'ha interamente compenetrata! Allora certamente spirito, anima e corpo sono una sola e stessa personalità!
7. Oltre a ciò sta scritto: “Dio creò l'uomo perfettamente a Sua Immagine”. Se dunque l'uomo, quale perfetta immagine di Dio, è con il suo spirito, con la sua anima e col suo corpo una persona sola e non tre, così anche Dio, quale perfettissimo Spirito primordiale, circondato da un'Anima altrettanto perfetta, ed ora anche visibile dinanzi ai nostri occhi con un Corpo, sarà Egli pure solo un Dio “unico” e mai in eterno un Dio "trino", per non parlare di un Dio addirittura in tre Persone separate! Questa è la mia opinione alla quale io mi terrò fermamente in eterno senza voler essere per questo una roccia della fede!»
8. Tutti coloro che siedono alla Mia tavola dicono: «Giovanni ha parlato rettamente!»
9. Però Pietro cerca di rettificare la sua parola, e dice: «Sì, così intendevo dire io pure; soltanto io non ho l'eloquenza sufficiente per esporre con tanta scioltezza la mia comprensione interiore, quantunque credo che questa cosa sarà sempre alquanto difficile da comprendere!»
10. Dice Giovanni: «Può essere difficile e non difficile: secondo la tua maniera su questa Terra certo nessuno la comprenderà mai, secondo la mia invece, almeno così credo, la si comprende molto facilmente. Il Signore soltanto però sia ora giusto arbitro fra noi»
11. Dico Io: «La fede può molto, ma l'amore può tutto. Tu, Simon Giuda, sei davvero una roccia nella fede, ma Giovanni è puro diamante nell'amore, ed è per questo motivo che egli vede anche più profondamente di tutti voi. Perciò egli è il Mio vero e proprio biografo. Io gli darò da scrivere molte cose che saranno per voi tutti ancora degli enigmi! Infatti in un tale amore vi è posto per moltissime cose; nella fede invece c’è posto soltanto per qualcosa di definito e limitato, e ciò secondo il detto: “Fino a qui e non più oltre!”. Attenetevi dunque soltanto al giudizio del Mio prediletto, poiché egli Mi descriverà e tramanderà perfettamente al mondo».
12. Queste parole misero Pietro in un certo imbarazzo e risvegliarono in lui un lieve senso di gelosia, molto segreto e duraturo, verso Giovanni. Per questo motivo anche, dopo la Mia Risurrezione, Pietro indugiò quando lo invitai a seguirMi ed a pascolare le Mie pecorelle, mentre Giovanni Mi seguì spontaneamente anche senza il Mio appello. Com'è noto, Io rimproverai poi a Pietro questo suo procedere, mentre a Giovanni promisi un'immortalità completa; da qui ebbe origine nel popolo la leggenda secondo cui questo discepolo non sarebbe mai morto neppure corporalmente.
13. Pietro chiese però a Giovanni come facesse ad avere sempre una cognizione ed una intuizione delle cose molto più profonda di lui.
14. Ma Giovanni gli rispose: «Vedi, io non dimoro nel tuo animo e tu non dimori nel mio, ed io non possiedo una misura per poter stabilire la ragione per la quale la mia opinione è la più fondata e la più giusta. Ma poiché il Signore stesso ci ha ora dichiarato ad alta voce la differenza tra fede e amore, accetta questo quale risposta alla tua domanda! Infatti, soltanto il Signore può investigare le reni e il cuore, dunque Egli saprà bene per filo e per segno quale differenza sussista fra i nostri animi!».
15. Pietro fu per il momento soddisfatto della risposta, e non fece più altre domande. Ora, essendo finita la cena, noi ci alzammo e ci recammo tutti sul monte.
La pietra luminosa delle sorgenti del Nilo.
1. Giunti tutti a poco a poco sul monte a noi già noto e preso qui posto, il vecchio Marco Mi si avvicinò con sua moglie ed i figli supplicandoMi ardentemente di restare presso di lui ancora il giorno successivo, perché gli sarebbe stato troppo doloroso se Io lo avessi lasciato già prima dello spuntare del Sole.
2. Ed Io gli risposi: «Non dartene pensiero! Io posso andare e rimanere, il tempo non Mi costringe, perché Io sono il Signore anche del tempo e di tutti i tempi! Il tempo non si accumula mai né davanti di Me, né alle Mie spalle. Certo vi sono ancora molti luoghi che Io devo visitare e che visiterò, ma un giorno ed un'ora non hanno presso di Me alcun significato dove e quando trovo un sincero e vivo amore!»
3. Dice Marco con le lacrime agli occhi: «O Signore e Padre nostro, Ti siano resi eterni ringraziamenti per questa Tua somma Grazia! La Tua Volontà, la sola Santa, sia fatta! Ma Signore, la notte è molto oscura perché nubi molto fitte hanno ricoperto il cielo; non dovrei forse fare portare su delle fiaccole?»
4. Gli dico Io: «Non ti affannare, sapremo bene procurarci della luce!»
5. Allora Io chiamo Raffaele, e gli dico: «Nel centro dell'Africa, là dove si elevano le alte montagne del Komrahai e dove scaturisce da una roccia la prima sorgente del Nilo, tu troverai sotto i detriti e alla profondità di dieci altezze d'uomo una pietra grande come una testa d'uomo; portaMela qui, poiché essa ci rischiarerà a sufficienza questa notte. Quando sarai di ritorno, la collocherai su qualche tronco d'albero spoglio di fronde affinché la luce si espanda a distanza ed illumini i dintorni! Ma se ora ti ho parlato come si parla ad un uomo, l'ho fatto appunto a causa degli uomini, perché essi sappiano quello che deve accadere e riconoscano la Mia Potenza nell'esecuzione della Mia Volontà da parte tua»
6. Raffaele scomparve all’istante, ma riapparì immediatamente come una volante meteora luminosa, portando con sé la pietra risplendente al pari del Sole.
7. E prima ancora che Raffaele posasse la pietra sul tronco d'albero spoglio che gli era stato indicato, parecchi chiesero di esaminarla più da vicino.
8. Ma allorché Raffaele l’ebbe portata più vicino, nessuno poté guardarla a causa del suo grande splendore, poiché la luce che emanava da essa era tanto intensa da uguagliare quasi quella del Sole per la Terra in un brevissimo giorno d'inverno, naturalmente sempre per il senso visivo dell'occhio materiale umano, e quindi a Raffaele non rimase altro da fare che collocare subito la pietra luminosa al posto destinatole. Da quel posto la luce intensissima della pietra si espandeva tutto intorno in maniera tale da poter distinguere minuziosamente ogni cosa, anche la più lontana.
9. Che tanto Zinca con il suo seguito e del tutto particolarmente Zorel osassero appena tirare il fiato per la grande meraviglia, è cosa facilmente comprensibile. Zorel faceva sforzi immensi per trarre dalla sua ragione e dal suo intelletto una qualsiasi spiegazione, ma tutto era inutile, perché in questo caso - secondo i suoi concetti ancora molto legati agli stereotipo-matematici - nei fenomeni del trasporto rapidissimo della pietra e del suo intensissimo splendore, venivano ad opporglisi logicamente delle impossibilità alle quali la sua esperienza e la sua scienza non potevano estorcere alcuna vittoria. È da notare che egli era stato diverse volte con le sue schiave in Egitto, ed una volta anzi si era spinto ad un paio di giornate di viaggio oltre le cascate. Per conseguenza la distanza delle regioni dell'alto Egitto non gli era del tutto sconosciuta, poiché per giungere con dei buoni cammelli fino alle cascate aveva impiegato all’incirca dalle cinque alle sei settimane di viaggio.
10. Secondo il suo calcolo, un uragano avrebbe dovuto impiegare tre giornate per compiere quel percorso mentre una freccia una mezza giornata. Quale velocità doveva dunque avere avuto nel suo movimento il giovinetto, per percorrere in pochi istanti una distanza certo per lo meno tre volte più lunga? Era il giovinetto forse uno spirito? Ed allora come mai poteva portare una cosa materiale, e come mai la materia, anche al suo più alto grado di durezza, poteva venire protetta dalla distruzione se si considera la formidabile pressione dell'aria? Questo non aveva riscontro nelle leggi naturali. A ciò bisognava aggiungere l'intensissima luce simile a quella del Sole ma del tutto priva di calore; anche questo non andava! Nessuna esperienza aveva mai fino allora condotto alla scoperta di qualcosa di simile ad eccezione del legno fradicio, la cui luce però è un semplice chiarore tanto languido che anche di notte, perfino nella sua massima intensità, può appena appena paragonarsi al chiarore delle lucciole!
11. In questa maniera il nostro Zorel continuò a rimuginare per qualche tempo, e poi disse a Cornelio ed a Zinca: «Questo sì che si può chiamare un vero miracolo, perché una cosa simile non si è mai verificata sulla Terra! Che specie di pietra può essere questa? Dai più remoti tempi fino ad oggi non se ne è mai scoperta una simile! E quale immenso valore dovrebbe essa rappresentare per un imperatore o per un re, ammesso sempre che col tempo non perda la sua luminosità? Lungo l'estesissima costa africana, anche molto al di là delle colonne d'Ercole, fino alle regioni dove le propaggini dell'alto Atlante vengono lambite dall'oceano Atlantico, si osservano bensì nell'estate avanzata qua e là delle pietre bianchissime che a certe ore della notte emanano una luce molto forte, ma il loro chiarore non dura a lungo e, portandole in un luogo asciutto, perdono ben presto la loro luminosità, e perciò non hanno più alcun valore. Ma riguardo a questa pietra qui, la cosa sembra essere invece del tutto speciale! Essa certo non perderà mai più il suo splendore, e per conseguenza dovrebbe avere un valore inestimabile!»
12. Dice Cornelio: «Non soltanto a causa del suo splendore, quanto piuttosto considerando il mezzo con cui questa pietra è stata portata qui! Ma ora lasciamo stare questo argomento; già domani in pieno giorno potremo esaminarla più facilmente di oggi e farcene un giudizio, perché di giorno i nostri occhi, per effetto della luce solare, saranno meno sensibili che non appunto ora, cioè in questa notte fitta nella quale le nuvole sembrano promettere una pioggia benefica ed abbondante in tutta la regione. Ora però stiamo tranquilli, perché il Signore darà inizio a quello che Egli ci ha promesso laggiù a mensa!»
13. Zorel si dichiara d'accordo su ciò e si accinge quindi a prestare tutta l'attenzione possibile.
14. Ma a questo punto Ouran si avvicina a Me, e dice: «Signore, che cosa succederà domani di questa pietra? Conserverà per sempre la sua luce?»
15. Gli dico Io: «Con questa domanda tu hai in un certo qual modo esternato il desiderio di possederla tu per ornare la tua corona. Ma questa cosa non va, perché per la conquista di questa pietra potrebbero scoppiare guerre accanite e devastatrici; perciò domani il Mio angelo la riporterà là da dove egli l’ha tolta, e ogni pretesto per una contesa è con ciò evitato per sempre»
16. Ouran accetta completamente questa decisione e ritorna al suo posto.
17. Tuttavia Cirenio a sua volta chiede: «Signore! Eppure, volendone far dono all'imperatore, questa pietra luminosa produrrebbe certo un effetto grandissimo»
18. Ed Io rispondo: «Senza alcun dubbio, ma alla fine, a causa del suo enorme valore, anche lì la sua luce non farebbe che fomentare la guerra, e questa sarebbe una grave sciagura; alcuni granelli tu li potrai certo ottenere, ma non la pietra intera»
19. Dice Cirenio: «Ma come e in quale modo dunque deriva a questa pietra la sua proprietà luminosa? Qual è il suo nome?»
20. Dico Io: «Queste pietre non appartengono veramente alla Terra, ma sono prodotti naturali del grande corpo solare. Ora, nel grande corpo solare hanno luogo ogni tanto delle formidabili eruzioni di una violenza assolutamente inconcepibile per voi, che trascinano spesso tali pietre e le proiettano con forza immensa negli spazi della Creazione. E qui tu ne hai un esemplare!
21. Il loro splendore deriva puramente dalla loro superficie tanto perfettamente levigata che tu non potresti fartene un'idea; su questa superficie si raccoglie costantemente in grande quantità il fuoco del lampo, il quale appunto fa in modo che gli spiriti, costretti nella materia oltremodo dura, vengano mantenuti in un’incessante attività. Oltre a ciò questa pietra è trasparente in sommo grado, e quindi qualunque attività degli spiriti, per quanto internamente si svolga, si manifesta fattivamente con tutta facilità nel fenomeno esteriore della luminosità, la quale viene naturalmente aumentata in alto grado all'esterno dall'attività degli spiriti dell'aria che scivolano e scorrono con grande rapidità sulla superficie sommamente liscia della sfera.
22. Queste pietre però sul Sole non si riscontrano con questo aspetto allo stato naturale, ma vengono invece preparate e ridotte così artificialmente per mano degli abitanti del Sole. In quanto alla forma, per la maggior parte vengono trovate già così rotonde in vicinanza delle grandi acque, e traggono sempre origine da eruzioni. In tali occasioni vengono lanciati fuori, a grandi distanze nell'etere che riempie lo spazio, degli elementi minerali fusi al più alto grado, i quali assumono sempre, nello spazio libero, la forma rotonda di una goccia a causa della legge centripeta insita in ogni materia, che cerca e tende sempre a raggiungere il proprio centro.
23. La ricaduta di queste gocce, che possono essere di dimensioni molto differenti e che solidificandosi diventano globi, dura spesso giorni, settimane o mesi, e per quelle più grandi non di rado anche molti anni, a seconda che esse siano state lanciate più o meno lontano dal Sole. Ora, qualcuno di questi globi cade sui monti e sulle rocce dello stesso Sole e va in frantumi; molti invece cadono nelle grandi acque, rimangono intatti e vengono poi ripescati con facilità dagli abitanti del Sole, dato che tali abitanti possono restare immersi agevolmente spesso anche per delle ore intere sott'acqua e lavorare sul fondo del mare come sulla terra asciutta, e ciò tanto più facilmente perché essi, accanto a questa loro proprietà quasi anfibia, possiedono degli strumenti ingegnosissimi per l’immersione.
24. Quando una grande abitazione sul Sole è provvista a sufficienza di queste sfere, allora esse, malgrado abbiano già per loro natura una superficie estremamente liscia, vengono maggiormente pulite e levigate con ogni possibile arte e con tutta diligenza, e ciò fino al punto in cui incominciano a rilucere con la levigatura. Una volta che la levigatura ha raggiunto questo grado, esse vengono poste come globi luminosi su colonne appositamente erette nei lunghi corridoi sotterranei a forma di catacombe, i quali sono molto frequenti sul Sole e sono percorsi sempre da forti correnti d'aria, e così esse illuminano più che a sufficienza questi corridoi sotterranei, servendo nello stesso tempo da particolare ornamento, il quale, specialmente sul mondo solare, è tenuto in gran conto. Sul Sole una comunissima abitazione è non di rado assai più fregiata e adorna - particolarmente nel suo interno - che il Tempio di Salomone a Gerusalemme. E così si può anche immaginare che gli abitanti del Sole, specialmente quelli della zona mediana, mettono ogni cura possibile nell'ornamento dei loro corridoi sotterranei.
25. Tuttavia noi non ci siamo radunati qui per intrattenerci sulle cose del grande mondo solare, ma per il rafforzamento della vostra fede e della vostra volontà. E per raggiungere questo scopo ci vuole ben altro che una descrizione, per quanto precisa ed esauriente, di quel mondo»
26. Domanda allora Cirenio: «Signore! Ma se questa sfera luminosa è tanto più compatta e dura del diamante, come si potranno staccare dalla sua superficie i singoli granelli che tanto mi starebbe a cuore conservare per ricordarmi di questa serata?»
27. Dico Io: «Tu pensi talvolta ancora molto materialmente! Là da dove proviene questa sfera luminosa, ve ne sono ancora altre in quantità, ed esse si trovano sia in Africa che sul Sole stesso; comunque per il mio angelo ogni luogo è ugualmente distante. Certo da questa sfera luminosa nessun mortale potrà mai staccare qualche granello senza distruggerla, e anche se volesse e potesse farlo, succederebbe che, distruggendola, i pezzetti ricavati perderebbero presto la proprietà luminosa, mentre le piccole palline prelevate in Africa o sul Sole conserveranno anche in seguito la loro luminosità. Ma ora mettiamo sul serio fine a questo argomento!».
Anima e corpo.
1. (Il Signore:) «Passiamo dunque subito a qualcos'altro. Zorel e tu, Zinca, avvicinatevi ora un po’ di più a Me, e diteMi: “Che cosa desiderereste ancora vedere e sapere innanzitutto?”»
2. Ambedue i chiamati allora si avvicinano, e Zinca dice: «Signore! Per uomini della nostra specie ancora molto imperfetti, questa è una domanda cui è assai difficile rispondere! Infatti, noi vorremmo vedere e apprendere ancora molte cose, perché ci resta ancora molto da vedere e da sapere, nonostante le diverse cose da noi già viste e apprese. Ma che cosa sia per noi il più necessario fra tutto questo infinito, è una domanda del tutto diversa, alla quale noi non siamo in grado di rispondere appunto perché siamo ancora ben lontani dal conoscere ciò che effettivamente ci sarebbe anzitutto necessario. Tu però, o Signore, sai con precisione quello che ci necessita veramente prima di ogni altra cosa! Perciò fa Tu, senza una nostra richiesta, secondo come Te lo dettano il Tuo infinito Amore e la Tua infinita Sapienza, ed allora ognuno di noi certo vedrà, udrà e sentirà quello che è più confacente per lui»
3. Dico Io: «Ebbene sia! Allora vedrò Io cosa ci sarà da fare adesso. Io ritengo che una nozione giusta e fedele della sopravvivenza dell'anima dopo la morte del corpo dovrebbe pur essere per tutti voi una questione della massima importanza e necessità! Per conseguenza noi passeremo ad esaminarla un po' più da vicino.
4. Più volte vi ho già descritto in che cosa consista veramente la morte del corpo, in quali diverse maniere essa possa verificarsi e quali siano e debbano esserne le conseguenze riguardo all'anima e allo spirito. Ma se Io volessi spiegarvi ciò con lunghe frasi teoriche, non ne verremmo a capo nemmeno in un anno intero. Io dunque vi mostrerò la cosa in modo che possiate riconoscerla a fondo e senz'altro comprenderla.
5. Tuttavia, prima di passare al vero argomento, devo fare precedere una spiegazione sul legame che intercorre fra l'anima e il corpo.
6. E dunque ascoltateMi: l'anima, quale un miscuglio e una composizione di elementi che si afferrano l'un l'altro, è in tutto e per tutto di natura eterico-sostanziale. Ma poiché anche il corpo, nella sua costituzione, in fondo racchiude in sé l’eterico-sostanziale, esso è dunque affine all'essenza sostanziale dell'anima. E questa affinità è propriamente ciò che unisce l'anima col corpo, fino a quando, nel tempo, il corpo non sia troppo mutato in qualcosa di puramente materiale. Quando ciò avviene, allora il corpo ha un'affinità troppo scarsa con l’essenza costitutiva animica, anzi spesso non ne ha più affatto. E anche quando esiste ancora una certa affinità, è solo mediante il processo di putrefazione che la parte affine può essere separata dal corpo e ricondotta, nell'aldilà, all’anima per così dire nuda.
7. Se l'anima stessa ha infine assimilato troppo dell'elemento materiale dal proprio corpo, allora la morte del corpo raggiunge anche l'anima, ed essa deve allora partecipare al processo di decomposizione assieme al corpo e può ridestarsi soltanto dopo un periodo di parecchi anni terrestri, naturalmente imperfetta in sommo grado. In questo caso le riesce assai difficile innalzarsi ad una luce superiore, perché tutto le appare come una cosa oscura e terrena in cui c'è poca vita e molte tenebre.
8. Di un risveglio dello spirito in essa non è nemmeno lontanamente il caso di parlarne, finché il tempo, il bisogno e ogni tipo di umiliazioni non abbiano separato ed espulso dall'anima l'elemento mondano-tenebroso e grossolano-sostanziale, oppure, per così dire, corporeo-sostanziale. Ma tale procedimento si compie nell'aldilà molto più difficilmente che su questa Terra, perché l'anima deve rimanere nell'altra vita per lungo tempo isolata a sé, in modo che - nel suo stato di eccessiva nudità e nel suo essere, ancora in un certo qual modo priva di pelle e di veste - non venga inghiottita o distrutta e consunta come una goccia d'acqua sul ferro rovente da un eventuale altro essere in pieno vigore e colmo del fuoco vitale superiore. Infatti, per ogni anima ancora molto imperfetta in rapporto ad uno spirito già perfetto, vale quello che Io dissi un giorno a Mosè quando egli chiese di poterMi vedere: “Tu non puoi vedere Dio e vivere!”.
9. Quanto più altamente potenziata una vita giunge ad essere in se stessa, tanto più vigorosa, possente e poderosa si trova ad essere in sé. E ogni vita che si trova ancora ad un livello molto basso, non potrà rimanere stabile di fronte ad una vita potenziata, se non a certe distanze. Che cos'è un moscerino in confronto ad un elefante? E che cos’è una mosca in confronto ad un leone? Cos'è una tenerissima pianticella di muschio al paragone di un cedro del Libano vecchio di parecchi secoli? E che cos’è questa Terra di fronte al Sole immenso, e cosa una goccia d'acqua rispetto ad un fuoco potente? Se uno di voi monta sopra ad un elefante, non gli causerà certo niente di male, ma se invece monta su una formica, allora per la vita naturale della formica è del tutto finita.
10. Ora quello che già nella natura esteriore è così evidente da potersi toccare con mano, tanto più si riscontra, sviluppato e ben definito, nel regno degli spiriti. In ogni vita già esistente a sé, c'è il bisogno insaziabile di raccogliere in sé vita sempre in quantità maggiore; però il principio dell'unificazione è, in ultima analisi, l'amore. Se questo principio non fosse prima di ogni altra cosa insito nella vita, allora non esisterebbe nello spazio infinito né un sole qualsiasi né una terra, e nemmeno nessuna creatura su di essa e dentro di essa.
11. Ma siccome nella vita stessa esiste invece il principio dell'unificazione vitale ed ogni vita libera tende incessantemente a riunirsi ad altre vite simili ed affini ad essa, così da molte vite ed intelligenze singole sorgono, infine, una vita sola ed una intelligenza potenziata che arriva ad abbracciare perciò un campo molto più vasto, e avviene che da diversi esseri inferiori provvisti di scarsa ragione ne risulta un essere dotato di molta ragione e di molto intelletto».
La continuazione della educazione delle povere anime nell'aldilà
1. (Il Signore:) «Se dunque, secondo questo principio immutabile e più che necessario per l'essere e per la vita, una cosiddetta anima povera e nuda si incontrasse nell'aldilà immediatamente con uno spirito, come ad esempio il nostro Raffaele, essa verrebbe subito assorbita da lui nello stesso modo come il mare ingoia una singola goccia d'acqua. Perciò è stato disposto da Me, in tutto l'infinito, che una vita piccola, debole e ancora molto nuda e sciocca venga sempre messa nella situazione di trovarsi come isolata a sé e che ad essa si possano avvicinare soltanto quelle potenze vitali che non siano, sotto nessun aspetto, molto più forti della vita esistente singolarmente a sé nel suo isolamento e nella sua nudità.
2. Potenze vitali di questo genere non si possono assorbire reciprocamente perché le singole individualità sono, per quanto riguarda la forza e la consistenza, quasi uguali. Ciononostante esse formano delle unioni fra loro, e tengono anche consiglio dal quale però non può mai risultare qualcosa di molto proficuo, perché la sapienza di ciascuno di tali singoli esseri è quasi perfettamente uguale a quella dell'altro. Immaginatevi una adunanza alla quale prendessero parte soltanto uomini sciocchissimi i quali volessero deliberare qualcosa di molto saggio per realizzarlo poi con forze riunite; cosa mai potrebbe risultare di buono dalle loro deliberazioni e dai loro consigli? Nient’altro che sciocchezze!
3. Noi abbiamo tuttora, su questa Terra e in particolare sulle sue isole, dei popoli che abitano indisturbati le loro isole fino dai tempi di Adamo; essi sono discendenti di Caino, e si trovano oggi ancora allo stesso grado di cultura di 2000 anni fa. Ebbene, perché non hanno fatto il minimo progresso nella loro cultura, anzi piuttosto un regresso, malgrado tutte le loro adunanze? Perché il più sapiente di loro è più ottuso e più cieco di quanto lo sia in questo paese il più ignorante guardiano di porci. Se dunque già il sapiente non sa nulla, cosa possono sapere poi gli altri che si rivolgono a lui per un consiglio?
4. Qui naturalmente si domanderà e si dirà: “Ma per quale motivo Dio non ha mandato a questi popoli nessun profeta colmo del Suo Spirito?”. Ed eccoci arrivati appunto alla questione principale!
5. In questi popoli dimorano anime ancora troppo immature e nude; una rivelazione superiore le ingoierebbe e le costringerebbe in un giudizio, come in una corazza, dal quale non sarebbe mai più possibile liberarle; la più sublime e pura verità verrebbe trasformata da essi nella più grossolana superstizione, ed in questa si stabilizzerebbero in modo tale che alla fine neppure Io stesso potrei più redimerli con nessun mezzo.
6. Perciò è necessario che essi rimangano così come sono ancora per un migliaio d'anni. Solo dopo questo tempo riceveranno la visita di persone deste soltanto nell’intelletto, dalle quali però essi non avranno ancora neppure lontanamente dei veri insegnamenti, ma soltanto qualche esempio un po' atto a risvegliarli. Per conseguenza ogni tanto bisognerà, intensificandole nel tempo, procurare loro delle sorprese di tal genere per il loro risveglio. Quando questo procedimento avrà avuto luogo in questo modo per un paio di secoli, tali popoli nudi verranno vestiti un po' più nel corpo e nell'anima, e solo così risulteranno gradatamente maturi per una rivelazione superiore.
7. Ed appunto in un modo simile, anzi con maggiore fatica, procede nell'aldilà l'educazione e il perfezionamento vitale di un'anima naturale del tutto nuda; essa deve venire lasciata isolata a sé nella massima assenza di luce finché, spinta dalla propria miseria, non si scuota dal suo letargo ancora più che semi-materiale e cominci così a concepire nel suo cuore dei pensieri più determinati di qualsiasi genere.
8. E come i pensieri vanno assumendo un'impronta sempre più marcata e dei contorni sempre più precisi, in una tale anima inizia leggermente ad albeggiare, ed essa viene ad ottenere una base su cui poter posarsi un po’ e anche muoversi progressivamente entro limiti ristretti. Questo muoversi di qua e di là corrisponde al passaggio da un pensiero all'altro e da una sensazione all'altra. Ciò costituisce un atto del cercare, e al cercare deve seguire anche il trovare, poiché altrimenti, se chi cerca restasse troppo a lungo senza trovare nulla, dovrebbe infine indebolirsi in seguito alle sue vane fatiche e quindi ricadere nell'antico letargo.
9. Ma dopo che l'anima, la quale comincia a cercare ansiosamente, trova anche una cosa qualsiasi, ciò le dà nuovo e maggiore impulso ad ulteriori e più zelanti ricerche e investigazioni, e se poi giunge a trovare tracce dell'esistenza del suo simile, allora gli dà la caccia come un segugio e non si ferma prima di aver trovato una minima cosa che testimoni almeno la vicina esistenza di un proprio simile.
10. Grazie a questo cercare sempre più potenziato essa diventa anche più matura, e cerca di saziarsi di tutto quanto può trovare, come per caso, per incrementare l'involucro del proprio corpo animico-sostanziale; qua e là essa trova qualcosa, per quanto ancora molto scarso, per riempirsi lo stomaco e spegnere la sua sete spesso ardente, poiché una volta che in un'anima la bramosia si accentua in seguito al fuoco vitale interiore costantemente crescente, c'è sempre pronto anche un di più per il quale nell'anima si desta qualche bisogno».
Il modo di guidare le anime sia nell’aldiquà che nell'aldilà
1. (Il Signore:) «In questo caso, da parte di uno spirito il quale per così dire guida e dirige un'anima simile da una certa distanza, devono venire usate le maggiori precauzioni affinché sul sentiero delle ricerche essa trovi solamente quello che può farla progredire nel suo perfezionamento della vita.
2. Solo con l'andare del tempo le deve essere consentito di trovare un'altra anima simile a lei, e che sia oppressa da necessità quasi uguali, con la quale essa entra poi subito in rapporto, naturalmente sempre nel limite di questa sua condizione, così come può accadere in questo mondo a due uomini perseguitati dallo stesso destino; essi infatti si interrogano reciprocamente, si compiangono l'un l'altro, e piano piano cominciano a consultarsi e a consigliarsi su cosa bisognerebbe fare per rendere la loro sorte più sopportabile.
3. Per quanto riguarda invece il modo di guidare le anime nell’aldilà, è opportuno ben considerare il fatto che la seconda anima deve avere una somiglianza soltanto “apparente” con la prima che è appena uscita dal perfetto isolamento, poiché altrimenti si verificherebbe il caso del cieco che guida un altro cieco; se fossero appunto simili, è fin troppo chiaro che entrambe cadrebbero nella medesima fossa, ed allora si troverebbero in una condizione peggiore di prima, quando cioè si trovavano nel periodo d'isolamento.
4. L’uomo-spirito in sé perfetto, che si è imbattuto come per caso nella giovane anima alla ricerca, deve badare bene a non lasciare trasparire niente della sua perfezione, ma da principio deve invece essere in tutto e per tutto quello stesso che è la giovane anima. Se questa ride, rida allora con essa; e se piange, pianga egli pure! Soltanto nel caso in cui l'anima si irritasse a causa del proprio destino e desse in escandescenze ed imprecasse, allora lo spirito non faccia certo altrettanto, ma si comporti da principio come se fosse egli stesso un po' disgustato della sua sorte “apparentemente” simile; faccia però sempre la parte dell'indifferente, per il quale ormai è lo stesso che le cose vadano in un modo o nell'altro, e se proprio le cose non possono diventare migliori, allora che continuino pure ad andare come vogliono! In tal modo la giovane anima diventa più malleabile, e si accontenterà dell'eventuale piccolo vantaggio che nuovamente le sarà stato permesso di trovare.
5. Quando un'anima simile ha poi trovato un posticino nell'aldilà, che vi venga lasciata finché essa stessa non senta in sé il bisogno di migliorare la sua sorte, poiché le anime di questa specie assomigliano qui a quegli uomini che si dimostrano perfettamente soddisfatti anche di una piccolissima proprietà, purché essa renda quel tanto che basti loro per vivere sia pure miseramente. Ogni altra cosa più nobile, più perfetta e in generale migliore non interessa loro perché non ne hanno alcuna brama, e quindi anche non se ne curano affatto. Cosa importa loro del complicato e grandioso compito di un imperatore o di un qualche comandante di eserciti? Basta soltanto che abbiano qualcosa da mangiare e siano lasciati in una beata quiete, allora essi sono felicissimi e non desiderano più nulla di meglio per l’eternità.
6. Appunto non altrimenti stanno le cose in un secondo stadio riguardo ad un'anima che, come già detto, è uscita dal suo isolamento e alla quale, grazie alle proprie fatiche, è stato provvisto in un modo da farle considerare tollerabile la sua condizione, e che non si cura più affatto di altro, anzi ne prova timore e avversione, perché essa aborre tutto quanto potrebbe causarle una qualche fatica.
7. Noi abbiamo dunque fatto in modo che un'anima nell'aldilà trovi ad esempio servizio presso gente discretamente buona che le procura ciò che le è strettamente necessario, oppure facendole ottenere come sua proprietà, anzi trovare come un bene abbandonato, una casetta con un frutteto abbastanza fornito, un paio di capre da latte ed eventualmente anche un servitore ed una serva; giunte le cose a questo punto, lo spirito-guida non ha per il momento altro da fare che lasciare una simile anima per un certo tempo del tutto indisturbata nella sua proprietà.
8. È bene anche che lo spirito si allontani da essa, e faccia come se egli stesso andasse in cerca di qualcosa di meglio; poi ritorni e racconti di averlo trovato ma che è molto più difficile ottenerlo, perché per guadagnarselo ci vogliono molta fatica e molto lavoro! L'anima allora domanderà sicuramente in che cosa consista la fatica e il lavoro. E la guida glielo spieghi. Se l'anima si dimostra ben disposta, allora la conduca al nuovo lavoro; diversamente la lasci pure dove si trova, provveda però a fare in modo che il frutteto dia un rendimento sempre più magro ed alla fine non sia nemmeno più sufficiente alla minima necessità!
9. L'anima inizierà allora ad usare ogni diligenza per portare il giardino ad un rendimento più abbondante, ma la guida non dovrà permettere che essa raggiunga il suo intento, e farà invece in modo che si persuada infine dell'inutilità di tutte le sue fatiche e che esprima il desiderio di abbandonare l'intera proprietà per assumere invece un servizio che le garantisca un sostentamento passabile, senza che si debba impiegare maggior fatica e lavoro.
10. Qualora un'anima abbia espresso un desiderio simile in modo abbastanza vivo, la si guidi ulteriormente e la si collochi in un servizio congiunto a molto lavoro. Dopo ciò la guida l'abbandoni di nuovo con qualche pretesto, come se anche lei avesse ottenuto in qualche altro luogo un servizio certo molto gravoso, ma d'altra parte abbastanza vantaggioso. All'anima viene dunque ora assegnato il lavoro al quale dovrà accudire nel modo più esatto. Si veda di inculcarle e di metterle a cuore che ogni negligenza sarebbe punita con una corrispondente detrazione dalla ricompensa pattuita, mentre una spontanea prestazione superiore al pattuito verrebbe invece remunerata generosamente.
11. Ora, o l'anima adempierà puntualmente il lavoro pattuito e farà anche dipiù, oppure essa lo troverà troppo arduo e faticoso, diverrà pigra e ricadrà perciò in una miseria ancora maggiore. Nel primo caso essa venga promossa ad una condizione più libera, in cui le sia offerta l’occasione di pensare e di sentire di più. Nel secondo caso, invece, la guida l'abbandoni ad una miseria molto grande, le faccia far ritorno alla magra proprietà che aveva prima, e le faccia trovare là ben poco e che sia anche ben lontano dall'esserle sufficiente.
12. Dopo qualche tempo, quando sia subentrato uno stato di squallore e di grande miseria, si ripresenti la guida - ora però sotto un aspetto molto migliore di prima e già quale padrona e proprietaria essa stessa di molti beni - e domandi all'anima come sia potuto venirle in mente di trascurare in tal modo il servizio precedentemente procuratole che era pieno di buone prospettive per l'avvenire. Al che l'anima risponderà scusandosi e adducendo a pretesto la fatica spossante e troppo grande per le sue forze; a questo punto però le si dimostri come la fatica e lo sforzo siano ancora maggiori su quel suo piccolo e magrissimo podere, pur non essendovi alcuna probabilità di arrivare mai ad un risultato corrispondente neppure alle minime necessità.
13. In questo modo si induce un'anima di questo genere a rinsavire; essa accetterà poi nuovamente un servizio e farà certo meglio di prima. Se essa fa bene, allora la si aiuti dopo breve tempo a progredire un po’, ma si deve continuare ancora a lasciarla al suo sentimento di non essere ancora morta corporalmente. Infatti, le anime materiali per lungo tempo non si accorgono di essere trapassate, e devono anzitutto venirne informate nel modo più adeguato. Il venirne a conoscenza diventa per loro sopportabile soltanto quando esse - quali anime del tutto nude - siano progredite fino al punto da avere raggiunto una consistenza per così dire corporale-animica, già ricoperta da una buona veste. In un simile stato più solido esse sono poi anche accessibili a qualche piccola rivelazione, perché il germe dello spirito in loro inizia già a dare segni di vita.
14. Una volta che un'anima è progredita così da intendere e da essere convinta che essa si trova nel regno degli spiriti, e che solo da questo punto in poi la sua sorte eterna dipende esclusivamente da se stessa, allora le venga indicata l'unica vera via dell'amore per Me e per il prossimo, che essa deve percorrere di sua volontà perfettamente libera e per propria autodeterminazione altrettanto perfettamente libera!
15. Dopo averla informata di tutto questo, nonché di quanto, in ogni caso e con tutta certezza, essa ha davanti a sé di raggiungibile, allora la guida l'abbandoni di nuovo e ritorni solamente quando l'anima lo richiede con la massima serietà nel proprio cuore. Se questa invocazione non avviene, allora è segno che essa segue senz’altro la retta via; se invece essa ha deviato e si è incamminata per un cattivo sentiero, la guida la faccia ricadere in uno stato di miseria corrispondente all'entità della deviazione. Se l'anima si accorge poi del suo errore ed invoca a sé la guida, vada da lei e le dimostri l'assoluta inutilità delle sue fatiche e dei suoi sforzi.
16. Qualora dopo ciò essa nutra il desiderio di emendarsi nuovamente, la riconduca un'altra volta ad un servizio, e se vi compie il proprio dovere, la faccia nuovamente promuovere, non però così presto come la prima volta, perché altrimenti ricadrebbe facilmente nel suo vecchio letargo materiale dal quale sarebbe molto più difficile liberarla che non la prima volta; e questo per la ragione che ad ogni ricaduta essa si indurisce sempre di più come un albero durante lo sviluppo, che di anno in anno diventa più difficile da piegarsi rispetto ai primi periodi di crescita».
Il progresso dell’anima sulla Terra e nell’aldilà
1. (Il Signore:) «Si intende naturalmente da sé che qui non si tratta di singoli casi particolari, ma di una norma fondamentale da osservarsi nella guida di un'anima tanto in questo mondo quanto specialissimamente nell'altro mondo, allo scopo di sollevarla dalla materialità che le limita la vita.
2. Si presenta inoltre una quantità innumerevole di varianti, di cui ciascuna va trattata in modo un po' differente; ma nonostante tutto ciò deve pur esservi una norma generale alla quale devono infine ispirarsi tutte le altre, come avviene col suolo terrestre che deve venire fecondato dalla pioggia affinché il seme sparso possa iniziare a germogliare. In quale modo poi le differenti qualità di semi che riposano nel terreno in attesa di venire vivificate, riescano ad assimilare dalla goccia di pioggia l'elemento loro confacente, questa è una cosa che è rimessa all'intelligenza particolare degli spiriti che dimorano nei germi e che sanno curare molto bene le faccende di casa loro.
3. Io vi dico questo perché comprendiate quanto difficile e faticoso proceda nell'aldilà il cammino sulla via del perfezionamento della vita interiore, e quanto facile e libero sia invece qui, dove l'anima è ancora rivestita dal corpo materiale nel quale essa può deporre direttamente ogni materialità che è presente in lei, come e quando mai lo voglia. Ma nell'altro mondo non è tanto facile che la cosa sia possibile, appunto perché l'anima non ha più il suo corpo materiale, e con i suoi piedi non cammina più come prima, come scivolando, su un terreno materiale, ma sopra un terreno spirituale tratto dai propri pensieri e dalle proprie idee, il quale però non è affatto idoneo ad accogliere quanto di materiale viene eliminato dall'anima e a seppellirlo in sé per l'eternità.
4. Infatti, riguardo a quanto cade fuori dall'anima sul proprio terreno, vale quasi il paragone con chi prendesse una pietra e la volesse lanciare via del tutto da questa Terra, nello spazio infinito. Certo, chi possedesse una forza tale da poter lanciare una pietra in alto o da gettarla oltre questa Terra con una velocità 30.000 volte superiore a quella di una freccia, costui senza alcun dubbio allontanerebbe così tanto la pietra dalla Terra che mai più essa potrebbe ricadervi; ma qualunque altra velocità inferiore non otterrebbe mai un simile risultato. Essa spingerebbe certo la pietra ad una distanza più o meno grande dalla Terra, però considerando che la forza di eiezione trasmessa alla pietra diverrebbe poi minore e necessariamente più debole in seguito all'incessante forza di attrazione della Terra che ha un ben esteso raggio d'azione, la pietra farebbe di nuovo ritorno e ricadrebbe a precipizio sul suolo terrestre.
5. Ed ecco, appunto così stanno le cose nell'aldilà riguardo ai residui materiali peccaminosi che restano ancora aderenti all'anima; se anche l'anima li allontana da sé e li getta via sul terreno del proprio mondo, questa fatica le giova poco, anzi talvolta nulla affatto, poiché il suolo sul quale l'anima sta e si muove nel mondo degli spiriti è appunto cosa altrettanto assolutamente sua propria quanto lo è, considerato terrenamente, la forza di attrazione di questa Terra, la quale forza, per quanto anche lontana possa arrivare, è e rimane comunque una parte della Terra, di cui nemmeno un atomo può venire staccato.
6. Dunque, se l'anima nell'aldilà vuole allontanare da sé tutto l'elemento grossolano e materiale, si rende necessario l'intervento in lei di una forza superiore, e questa è la forza che risiede nella Mia Parola e nel Mio Nome! Infatti, è riportata la Parola di Dio come è uscita dalla Bocca di Dio: “Dinanzi al Tuo Nome si piegheranno tutte le ginocchia nel Cielo, sulla Terra e sotto la Terra”, con questo sono da intendersi tutte le creature umane degli innumerevoli altri mondi nello spazio infinito della Creazione, perché nel Cielo abitano i figli di Dio già perfetti per l'eternità, e su questa Terra abitano - da notarsi bene - soltanto coloro che sono chiamati a diventare figli di Dio. Dal momento però che tale alto privilegio è concesso soltanto a questa Terra, è chiaro che, in quanto a dignità, essa dinanzi a Dio è al di sopra di tutti gli altri corpi mondiali; ne segue che quest’ultimi stanno moralmente al di sotto della Terra, dunque è ad essi, rispettivamente ai loro abitanti, che vanno riferite le parole “che abitano sotto la Terra”.
7. Così soltanto mediante la Mia Parola e il Mio Nome l'anima può venire interamente purificata. Ma questo nell'aldilà non avviene tanto facilmente come forse lo si potrebbe immaginare; a tale scopo si richiede una grande preparazione: l'anima deve essere prima esercitata a dovere in ogni possibile attività indipendente e deve avere acquisito in sé una forza ben considerevole prima di poter accogliere la Mia Parola, ed infine perfino il Mio Nome.
8. Una volta che l'anima sia giunta a questo punto, allora le riuscirà facile allontanare anche l'ultimo atomo materiale da tutto il suo ambito e in modo tale che non vi possa mai più ricadere in eterno. Il come e il perché vi verrà subito dimostrato!».
Lo sviluppo della vita animica.
1. Dice allora Cirenio, il quale aveva ascoltato tutto con la più intensa attenzione: «Signore! Io non posso proprio dire di non aver compreso, anzi mi è discretamente tutto chiaro; soltanto ho l'impressione come se un giorno o l'altro su questa Terra tutto questo potesse sembrarmi nuovamente oscuro! E ciò mi renderebbe allora infelice, poiché tutto quanto noi abbiamo appreso ora dalla Tua santa Bocca è certo un po' troppo al di sopra perfino del più sveglio intelletto umano! Per conseguenza un piccolo chiarimento supplementare su qualche punto forse non sarebbe da considerare superfluo!»
2. Gli dico Io: «Amico, voi romani avete un bellissimo proverbio che suona pressappoco come segue: “Longum iter per praecepta, brevis et efficax per exempla” (La via attraverso gli insegnamenti è lunga, ma quella degli esempi è breve ed efficace). Vedi, questo proverbio lo si può applicare molto bene anche qui. Aspetta gli esempi che seguiranno più tardi e che Io vi mostrerò in modo meraviglioso! Questi ti illumineranno là dove attualmente ci vedi ancora poco chiaro; però la parte assolutamente pura della cosa potrai apprenderla solo quando il puro Spirito della Verità eterna sarà sceso su di voi e vi guiderà in ogni verità dei Cieli e di tutti i mondi.
3. Non ti sei accorto che già nella Natura stessa vige una legge sola e regolare per lo sviluppo di tutte le piante e degli animali?
4. Vedi, tutte le piante crescono e si moltiplicano dall'interno all'esterno; esse attraggono a sé, fuori dagli umori della Terra, le sostanze a loro confacenti, ed infine, dopo che queste si sono purificate attraverso molte migliaia di canali e canaletti, le assimilano in se stesse, ovvero nella loro vita.
5. Gli animali, alla fin fine, attingono il loro alimento alla medesima fonte, soltanto che questo, sia nell'organismo delle piante che nella carne già molto più raffinata delle categorie inferiori di animali, è già prima molto più purificato che non nell’humus originale della Terra.
6. L'uomo, infine, si nutre degli elementi più raffinati e puri tanto del regno vegetale quanto di quello animale. Fieno, erba e paglia non lo nutrono più. Delle piante egli adopera principalmente il grano, e degli alberi i frutti più nobili e più dolci; degli animali egli prende per lo più soltanto quello che è generalmente riconosciuto come purissimo, e gli ripugna la carne di animali del tutto immondi.
7. Ma quante deviazioni, quante aberrazioni e vie traverse non si riscontrano nello sviluppo del regno vegetale ed animale già solo di questa Terra, e tuttavia ogni cosa perviene alla sua meta! Allo sguardo attento di un osservatore di tutti i fenomeni del mondo naturale non può sfuggire come una cosa sia continuamente necessaria all'altra e che l'una sussista per l'incremento e per l'ulteriore vivificazione dell'altra.
8. E così pure nel nostro caso la vita dell'anima deve essere filtrata dai diversi elementi della Natura. Dapprima essa è nell'etere; là si raccoglie con l'assimilarsi dell'uguale all'uguale, al simile e all'affine; con ciò diventa più pesante e si condensa anzitutto in se stessa nel suo proprio centro, diventa sempre più massiccia e allora diventa una sostanza vitale già più pesante e percettibile.
9. Quale aria essa si raccoglie nuovamente come prima nell'etere; nubi e nebbia ne sono il risultato, le quali si accumulano a loro volta, diventano gocce d'acqua e si riversano sulla Terra sotto forma di pioggia, di grandine, di neve o di rugiada ed, in certe regioni, sotto forma di nebbie permanenti e di precipitazioni umide dell'atmosfera.
10. L'acqua - quale elemento vitale di classe veramente ancora molto inferiore, però già superiore a quella dell'etere e dell'aria - è chiamata ora a servire, in davvero sotto molteplici aspetti, gli istituti di condensazione della vita di rango nuovamente superiore. Essa deve prima concorrere al rammollimento della vita più indurita o del tutto impietrita nella rozza materia e deve renderla atta a progredire e a venire accolta in sé, cioè nell'elemento acqueo; questo è un primo servizio.
11. Poi l'acqua deve cedere i suoi spiriti vitali o, per così dire, le sue particelle sostanziali-animiche alle piante, dopo che tali particelle si sono gradatamente sempre più sviluppate nelle piante in forme intelligenti già definite, esse vengono riaccolte dall'acqua e dall'aria nebbiosa, e l'acqua deve allora procurare loro altra sostanza per forme vitali nuove e più libere. In tal modo l'acqua serve sempre ancora nella sua sfera, quantunque da essa si separino in ogni istante miriadi su miriadi di minutissime particelle intelligenti di vita animica che diventano libere e sempre più indipendenti.
12. Ma la vita vegetale deve a sua volta assumere e sbrigare diversi servizi già più complicati. I servizi resi dall'acqua sono ancora molto semplici, mentre quelli delle piante, per favorire ulteriormente la vita, sono già molto più complessi se si considera anche soltanto una pianta fra le più semplici.
13. Ancora ben più svariate e più importanti sono le prestazioni per favorire la vita animica perfino negli animali più semplici delle classi inferiori, i quali sono i più vicini al regno vegetale. E così il servire diventa sempre più complicato quanto più alto è il grado della rispettiva forma vitale.
14. Una volta che la vita animica è passata interamente nella forma umana, allora il servire è la sua prima destinazione. Ora, svariati sono i servizi naturali che vengono assegnati ad ogni forma umana quale un “dovere assoluto”, ma accanto a questi vi sono poi anche innumerevoli servizi liberi, ed un numero ancora maggiore di servizi morali liberissimi che l'uomo viene chiamato a prestare. Quando egli ha disimpegnato in ogni tempo e in ogni campo le sue mansioni di fedele servitore, egli con ciò ha anche elevato se stesso alla perfezione suprema della vita. Ma questo succede ad alcuni uomini che già fin dalla nascita sono stati posti su un gradino superiore; riguardo ad altri invece, che come si usa dire stanno ancora quasi al livello degli animali, ciò non può verificarsi a questo mondo, e il loro sviluppo ed educazione avvengono solo nell'aldilà, sempre però seguendo la norma fondamentale del servire».
Lo scopo del servire.
1. (Il Signore:) «Mediante il servire, l'umiltà viene esercitata e promossa nel modo migliore; quanto più modesto appare spesso un servizio, tanto più idoneo esso è per il vero perfezionamento della vita. Però l'umiltà non è altro che un sempre maggiore e più intenso condensarsi della vita in se stessa, mentre l'orgoglio è un allentarsi costante, un disperdersi illimitato da tutte le parti, ed infine uno smarrirsi quasi totale della vita, la qual cosa noi chiameremo la seconda morte ovvero la morte spirituale.
2. Nell'orgoglio ha fine ogni servire, e per conseguenza anche ogni ulteriore sviluppo e perfezionamento della vita. Se il dominare orgoglioso sugli altri fosse stato posto a condizione dello sviluppo della vita, certo da parte Mia sarebbe stato stabilito un ordinamento in base al quale ciascuno avrebbe un qualche diritto illimitato a signoreggiare; però dato che una cosa tale sta invece in opposizione al Mio Ordine eterno, ogni uomo, ed anche angelo, deve adattarsi a servire per trovare infine proprio in questo servire, eternamente capace di estensione, la più grande delizia e la maggiore beatitudine.
3. Senza il servire non c’è effettivamente nessuna vita, né una sua stabile durata, nessuna felicità, né beatitudine, né amore, nessuna sapienza e nessuna gioia della vita, né in questo mondo né nell'altro; e chi si immagina un Cielo pieno di indolenza, di pigrizia e di oziosi godimenti, costui si sbaglia di grosso.
4. Infatti, agli spiriti beatissimi dei supremi Cieli è conferita una forza ed una potenza quasi uguali alla Mia, appunto per poter prestare a Me e a tutti gli uomini già qui, su questo mondo di prova della vita, servizi tanto più massicci. Altrimenti a che cosa servirebbe loro possedere una forza e una potenza addirittura creatrici? Occorre forse forza e sapienza per stare in ozio? Ma se la loro attività e le loro prestazioni sono già per questa Terra di un’importanza per voi indescrivibile, come non deve esserne appunto grande l'importanza per l'intero mondo degli spiriti e conseguentemente per tutto l'infinito?
5. E neppure Io sono venuto a voi per educarvi alla poltroneria e all'ozio, o per addestrarvi soltanto nell'agricoltura, nell'allevamento del bestiame o in altre cose simili, ma per fare di voi degli abili lavoratori per la grande vigna dei Cieli. La Dottrina che Io vi do tende, come prima cosa, a perfezionare con tutta verità voi stessi nella sfera della vostra vita interiore, e secondariamente poi ad offrire a voi, quali esseri perfezionati nella vita, la possibilità di essere già qui e specialmente un giorno nell'aldilà, nel Mio Regno, dei lavoratori capacissimi e robustissimi!
6. Se il Mio scopo finale non fosse questo, ed Io vi dicessi invece: “Basta che siate attivi qui; nell'aldilà poi, nel Mio Regno, voi potrete un giorno riposare completamente per tutte l'eternità facendo la vita dei nullafacenti e contemplando a bocca aperta tutte le meraviglie di Dio”, ebbene, se vi dicessi questo dovrei essere Io stesso più insensato del più insensato fra voi! Oh, sì, voi potrete certo ammirare in eterno la Magnificenza di Dio, mai però senza un'attività, poiché appunto nella vostra attività starà il moltiplicare le meraviglie dei Cieli e il renderle ancora più sublimi e divine!
7. Anzi, Io voglio che d'ora in poi siano i Miei figli a dare completa esecuzione a tutti i Miei pensieri e alle Mie idee, dapprima già qui a vantaggio dell'anima, del cuore e dello spirito dei vostri fratelli e sorelle, e poi nell'aldilà in tutte le grandi realtà dalla loro più interiore sfera di origine spirituale fino al loro massimo sviluppo materiale esteriore, e da qui nuovamente di ritorno ad una vita spirituale potenziata, perfetta, pura e indipendente. Ed a tale scopo, amici, sarà necessaria un'infinità di tempo, di pazienza e una grande attività, nonché una sapienza ed una forza altrettanto grandi e onnicomprensive!».
Sguardo nei misteri della Creazione.
1. (Il Signore:) «Non crediate però che un mondo come è questa piccola Terra possa venire creato dall'oggi al domani, e possa venire popolato da un giorno all'altro! A tale scopo occorre un numero per voi inconcepibile di miriadi di anni terrestri. Che periodo per voi incalcolabile di tempo ci vuole già solo perché un mondo divenga maturo per la germinazione di un uomo! Quante specie di piante e di animali devono aver concimato il suolo terrestre mediante la loro fermentazione e putrefazione, prima che su di esso e nel putridume del suo mondo vegetale e animale si sia formato quell’“humus” dal quale una prima anima robusta poté formarsi il proprio corpo ed organizzarlo a seconda dell’Ordine divino, in modo che le riuscisse utile e fosse atto all'ulteriore procreazione del proprio simile. E ciò affinché le anime mature e libere però ancora non incarnate - non dovessero più trovarsi nella necessità di attendere dei secoli per costruirsi un corpo dai vapori, ma potessero produrlo, per via molto più breve, dentro ad un corpo materno già perfettamente costituito e provvisto di tutto l'occorrente!
2. Vedete! Per raggiungere uno scopo simile ci vuole molto tempo e molta sapienza, una grande pazienza ed una forza illimitata. Ora, siccome né voi, né meno ancora Io cesseremo mai di pensare e di concepire idee, così anche l'azione creativa continuerà in eterno, poiché pensare a vuoto non lo posso Io né lo potete voi. Una volta che il pensiero viene sentito o percepito come un “qualcosa”, esso deve anche sussistere sotto una forma. Ma quando sussiste quale forma, allora esso è già anche spiritualmente circoscritto, e ci sta dinanzi come un oggetto idoneo ad accogliere la luce; altrimenti noi non potremmo percepirlo come un “qualcosa” che ha una forma. Finché Io concepirò pensieri e idee fuori da Me, e voi altrettanto fuori da Me, non sarà possibile che l'azione creativa abbia un termine. L'Infinità non soffrirà mai in eterno nessuna mancanza di spazio e a noi non darà mai fastidio la noia dell'inattività.
3. Dove però c'è molto da fare, vi sono pure anche molti compiti, ognuno corrispondente al grado di capacità di coloro ai quali viene assegnato. Chi avrà acquisito molte capacità nel Mio Ordine, costui verrà anche posto a capo di molte cose; chi invece avrà acquisito soltanto pochissime capacità, costui verrà anche preposto a pochissime cose. Ma chi su questa Terra non avrà acquisito niente del tutto, costui nell'aldilà dovrà certamente languire e brancolare fra le tenebre finché, mediante i propri sforzi e le proprie fatiche sempre liberi e spontanei, non si sarà reso idoneo ad assumere un servizio qualunque sia pure di infimo grado. Se egli adempierà bene questo minimo lavoro, allora gliene verrà poi assegnato uno più importante, ma se compirà malamente anche quello, allora egli subito perderà pure ciò che avrebbe potuto ottenere molto facilmente con le sue capacità sia pure assai piccole.
4. A chi ha, a costui verrà dato ancora di più, affinché ne sovrabbondi; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che già aveva prima, e di nuovo notte, tenebre, miseria e tribolazioni di ogni specie saranno la sua sorte, finché egli non si adatterà a ridiventare attivo anzitutto in se stesso, per poter poi riacquistare una qualche capacità ad un ulteriore servizio.
5. Per conseguenza siate voi tutti già qui diligenti e pieni di attività, e non lasciatevi abbagliare dai tesori di questo mondo, i quali trapasseranno come l'attuale forma materiale di tutta questa intera Creazione visibile agli occhi della carne, ma accumulate invece tanti più tesori spirituali i quali dureranno per l'eternità. Siate amministratori saggi e prudenti nella casa del vostro cuore; quanti più tesori spirituali raccoglierete mediante ogni genere di buone opere, tanto meglio vi troverete nell'altra vita. Ma chi qui lesinerà e speculerà in questo campo, costui un giorno dovrà ascrivere soltanto a se stesso se nell'aldilà troverà le dispense del proprio cuore quasi del tutto vuote.
6. Su questa Terra è facile raccogliere, perché tutto quello che qui qualcuno fa di buon volere e per amore di Dio e del prossimo, viene accettato come oro schietto e purissimo; nell'aldilà invece egli dovrà procacciarsi e pagare tutto solamente con l'oro purissimo della più intima e propria attività, svolta da sé ed in se stesso! E questo, amici Miei, riesce un po' difficile in quel Regno dove non vi sono miniere d'oro e d'argento esteriori.
7. Qui voi potete convertire il più volgare fango della strada in oro, ed ottenere con esso il Cielo, qualora il vostro cuore sia presente in tutta verità durante il vostro tentativo di ottenere il Cielo; nell'aldilà invece voi potrete appena produrre in voi stessi il prezioso dal preziosissimo, e tuttavia questo sarà ancora più difficile che convertire in oro i ciottoli più comuni qui in questa Terra. Chi mediante le opere nobili e buone si è già qui procurato dell'oro in grande quantità, a costui l’oro non mancherà nell'aldilà, poiché un granellino di questo metallo spiritualmente nobile si trasformerà nell'altra vita in una pepita grande come un mondo, e questo vuole dire già una bella provvista».
La giusta attività dell'amore del prossimo.
1. (Il Signore:) «Però Io vedo ora sorgere in qualcuno di voi un pensiero maligno che vi è stato ispirato segretamente da Satana! E il pensiero è questo: vi è costato fatica e moltissimo lavoro procacciarvi il vostro oro per voi e per i vostri discendenti, ed ora dovreste sperperarlo dandolo a coloro che hanno sciupato la loro vita poltrendo nell'ozio! Che vengano da voi a lavorare ed a guadagnarsi il pane, che voi misurerete loro secondo i loro meriti, sempre soltanto scarsamente! Chi non può o non vuole lavorare, che finisca come un cane sulla pubblica via!
2. Oh, Io vi dico che questo pensiero che vi è stato ispirato è malvagio! Come può lavorare un cieco? Eppure egli è un vostro fratello il quale ha lo stesso diritto di vivere come l'avete voi, voi che vedete ed udite, ed avete le membra sane. Come possono lavorare i poveri vecchi e i figli deboli di genitori in miseria, ai quali manca la forza necessaria? Come mai possono lavorare gli zoppi e gli storpi per la vostra ricompensa, che voi vorreste misurare loro il più scarsamente possibile?
3. Come possono lavorare tutti quelli che vanno di giorno in giorno cercando lavoro senza poterlo trovare in nessun luogo? Infatti, colui al quale si rivolgono li manda altrove dicendo che per il momento lavoro per loro non ne ha. E tuttavia il vostro perverso pensiero li manda a cercare un lavoro che essi in qualche altro luogo non potranno trovare come non l'hanno trovato da voi! Un simile uomo si riduce infine all’elemosina, e voi poi l'ingiuriate e lo chiamate un ozioso perdigiorno. Un altro diventa un ladro, e voi lo catturate come una bestia feroce e lo maltrattate gettandolo in un carcere. Un terzo diventa addirittura un assassino o per lo meno un temuto brigante, e se vi cade nelle mani, egli viene condannato, gettato in un carcere e poco tempo dopo fatto morire fra i tormenti.
4. Ecco! Queste sono per lo più le conseguenze dei cattivi pensieri che il principe delle tenebre vi ha sempre ispirati di nascosto. Ma da ora innanzi non deve più essere così. Simili pensieri appartengono all'inferno e nelle vostre anime non devono insinuarsi mai più.
5. Nessuno esige, per il fatto che siete Miei discepoli, che voi distribuiate tutte le vostre sostanze ai poveri. Però voi dovete essere saggi amministratori dei beni affidativi, affinché non lasciate languire coloro che, poveri senza loro colpa, vengono a bussare alla vostra porta!
6. Vedete qui l'amico Ebal di Genezaret; da quando egli fa l'albergatore, ha ospitato migliaia di poveri di ogni genere, di questi e di altri paesi del tutto estranei per voi, e non lo ha mai fatto controvoglia oppure con una specie di angosciosa incertezza a causa della propria famiglia! E nonostante ciò il suo patrimonio non è per nulla diminuito! Al contrario, egli possiede ora così tanti e così grandi tesori terreni, da poter acquistare un regno con essi! Ma a tutti questi tesori egli attribuisce un valore solamente per il fatto che essi gli permettono di prestare un aiuto molto efficace ad un numero ancora maggiore di poveri. Egli non si preoccupa della sua casa e dei suoi figli se non in quanto occorre perché crescano tutti forti e vigorosi nella conoscenza dell'unico e solo vero Dio, ma in compenso sono Io che penso a tutto il resto che concerne la sua casa, ed Io vi garantisco che essa non mancherà mai di nulla!
7. Ma ai timorosi Io lascio certo le preoccupazioni della loro casa, e non colmo mai in abbondanza i loro granai né di frumento e grano, né di vino le loro cantine; gli alberi dei loro giardini non si piegheranno troppo sotto il peso della Mia Benedizione e i loro vivai non pulluleranno di una grande quantità di pesce pregiato, né le loro greggi saranno le più grasse di tutto il paese! Infatti, come fanno loro così faccio anch'Io, e perciò non ci si deve attendere da alcuna parte un guadagno troppo grande! Chi edifica con poca fiducia su di Me, costui mieterà anche secondo la sua fiducia e la sua fede che è sempre un frutto dell'amore per Me e per il prossimo.
8. Siate perciò misericordiosi sempre ed in ogni circostanza, e allora troverete sempre ugualmente presso di Me Misericordia; e come vi comporterete con i vostri poveri fratelli e sorelle, così Mi comporterò Io pure verso di voi. Io dico e consiglio a voi tutti: “Siate sempre servizievoli fra di voi, fate a gara nell'operare il bene, amatevi veramente l'un l'altro così come Io vi amo; in questo modo dimostrerete a tutto il mondo che voi siete veramente Miei discepoli e che, nel vostro spirito, siete completamente Miei veri figli”.
9. Infatti, tale è la destinazione di tutti i Miei figli: essi già su questa Terra devono esercitarsi nel grandioso compito che un giorno li attenderà nei Miei Cieli, perché là sarà in tutto e per tutto soltanto l'Amore che dovrà fare tutto, ed ogni sapienza che non ha la sua origine nella luce di fiamma dell'amore non troverà mai più in eterno accoglienza nei Miei Cieli, ed appunto perciò non potrà più compiere nessuna cosa!».
Dell’aiuto che il denaro può offrire.
1. (Il Signore:) «Chi di voi possiede molto denaro, non lo presti sempre a coloro che possono restituire, entro il tempo pattuito, il capitale nonché gli elevati interessi da usurai, ma lo dia anche ai poveri che non sono in grado di restituire né il capitale né gli interessi; allora egli sarà creditore del suo denaro verso di Me, ed Io gli restituirò il capitale e gli interessi già qui dieci volte e cento volte nell'aldilà. Ma chi invece dà il proprio denaro esclusivamente a coloro che entro il termine stipulato possono rendergli il capitale e gli interessi, o in certi casi devono renderglieli sotto la costrizione del tribunale, costui con ciò non ha servito Me, ma soltanto il mondo e se stesso.
2. Voi obietterete di certo: “Se si presta del denaro a qualcuno che si trova in ristrettezze, sia pure con gli interessi, ebbene, anche questa può essere considerata una buona azione, perché colui che ha ricevuto a prestito il denaro si è tolto dai guai, è diventato ricco e può dunque anche restituire molto facilmente sia capitale che gli interessi! Non va dimenticato che il creditore ha pur dovuto rischiare di perdere il suo denaro nel caso in cui la speculazione fosse andata a male. Siccome però il denaro è di certo servito a colui che lo ha preso a prestito, non c'è Dio che con tutta la Sapienza possibile possa trovare da ridire se il beneficiato rimborserà al creditore il capitale assieme all'interesse pattuito! Infatti anche il creditore è in primo luogo un uomo egli stesso, verso il quale un altro ha i medesimi obblighi che egli ha verso di lui, ed in secondo luogo il denaro prestato può anche costituire l'intera sostanza del creditore, della quale egli deve vivere come appunto vive il contadino della propria terra! Se dunque il creditore non si fa restituire il denaro prestato assieme agli interessi, come potrà vivere? D'altra parte, come può sorgere in colui che ha ottenuto il prestito il desiderio di tenersi il denaro ricevuto, dato che è stato proprio grazie a quel denaro che egli ha realizzato un grosso guadagno, e dato che egli ha la possibilità e anche l’obbligo di sapere che questo denaro rappresenta l'unico bene di fortuna del creditore compiacente?”.
3. Però a queste obiezioni Io rispondo: “Ognuno che possegga del denaro, quando viene un amico che ne ha bisogno e glielo chieda in prestito, non glielo deve rifiutare”. Chi glielo presta richiedendo gli interessi legali, ha già compiuto verso l'amico un'opera buona che troverà anche nei Cieli il suo apprezzamento. È però altrettanto un dovere quello di restituire coscienziosamente non soltanto la somma ricevuta assieme agli interessi stipulati, ma ancora di più qualora chi ha preso a prestito abbia guadagnato molto; in questo caso egli deve dividere il guadagno col creditore per libero impulso del cuore, visto che, in effetti, egli ha realizzato il guadagno soltanto col denaro dell'amico. Ma il creditore dal canto suo non deve mai fare a lui una richiesta simile; questa faccenda voi potete trattarla in tutta amicizia!
4. Se invece a colui che ha del denaro disponibile, si presenta qualcuno che sia privo di ogni mezzo, e dal quale però non c’è da aspettarsi che possa o sappia impiegare in modo proficuo e utile una somma rilevante datagli in prestito, allora in tali condizioni nessuno deve ritenersi obbligato da Me a prestare ad un povero di questo genere il denaro richiesto, perché così il prestatore sprecherebbe in modo avventato il proprio denaro senza veramente arrecare con ciò qualche vantaggio a nessuno, mentre offrirebbe al richiedente povero soltanto un'occasione data la sua natura - di sentirsi spinto a commettere ogni tipo di stravaganze, di leggerezze e di dissipatezze. Per conseguenza una tale azione non potrebbe chiamarsi particolarmente buona, anzi al contrario, se non precisamente cattiva per lo meno sempre molto stolta, e tale cosa non potrebbe risultare gradita né al Mio Amore né meno ancora alla Mia Sapienza.
5. Ma la cosa è del tutto diversa se viene un pover'uomo del quale vi è noto che sa adoperare bene il denaro, e che è caduto in miseria soltanto in seguito a circostanze avverse; se egli vi chiede del denaro in prestito, voi non dovete negarglielo, anche se non c'è la prospettiva di prendere interessi e perfino se non c'è una sicurezza assoluta che vi venga restituito il capitale prestato. Qualora la persona abbia impiegato a dovere il denaro, egli che è vostro fratello saprà bene quello che poi gli resta da fare! Infatti egli ha verso di voi gli stessi obblighi che voi avete verso di lui.
6. Se però dovesse trovarsi nella condizione di non potervi più restituire il denaro prestatogli, voi non dovete serbagli rancore o tentare di recuperare il vostro prestito dai suoi discendenti, perché questa sarebbe un'azione dura e del tutto contraria al Mio Ordine! Ma se la sua discendenza, in modo particolare i figli oppure i nipoti, arrivassero a possedere un patrimonio, essi agirebbero molto bene e in modo a Me gradito pagando quel debito che il loro povero padre oppure il nonno aveva contratto presso un benefattore. Se ciò avviene, allora quest’ultimo saprà anche bene cosa fare e come impiegare il denaro avuto in restituzione per amor Mio e del prossimo!
7. Dunque, quando Io dico che voi dovete prestare il vostro denaro anche a coloro che non ve lo possono restituire, intendo precisamente dire solo che riguardo al vostro denaro o a qualsiasi altra vostra proprietà dovete procedere appunto nel modo da Me indicatovi ora. Ciò che vorreste fare di meno o di più, sarebbe cosa stolta oppure molto dannosa, e quindi un peccato grossolano contro il vero amore del prossimo!».
Del giusto e del falso servire.
1. (Continua il Signore:) «Servire è dunque la grande parola d'ordine in tutte le sfere dell'infinito, tanto nell'immenso regno della Natura quanto nello sconfinato regno degli spiriti.
2. Anche i malvagi abitanti dell'inferno se ne intendono del servire, però con questo enorme divario rispetto agli abitanti dei Cieli: nell'inferno alla fin fine ognuno vuole essere servito, e quando uno serve l'altro, tutto si riduce ad una pura servitù apparente, quindi sempre ad un servizio apparente supremamente egoistico ed interessato, mediante il quale uno vuole ingannare l'altro allo scopo di poterlo attirare, alla prima occasione favorevole, ancor più sicuramente fra i propri artigli e di ricavare dei vantaggi per sé dalla sua caduta.
3. Un'anima infernale sa tirare bene l'acqua al proprio mulino, e il suo procedere a questo riguardo è simile a quello di una certa specie di avvoltoi sulla riva del mare con le tartarughe: quando un avvoltoio servizievole scorge una tartaruga in una palude, la afferra e la pone sul terreno asciutto e ricco d'erbe; la tartaruga allora cerca ben presto, tutta affaccendata, quelle erbe che le sono maggiormente confacenti. L'avvoltoio la sta intanto a guardare, e tenta solo qualche piccolo assaggio per constatare che durezza possa avere il suo guscio. Ma poiché il suo becco aguzzo non può trarre dal guscio alcun pezzo di carne, allora lascia la poveretta a pascolare tranquillamente finché, fatta più coraggiosa e ardita, essa allunga del tutto la sua testa fuori dal guscio, cercando avidamente delle erbe.
4. Ma quando l'avvoltoio si accorge della fiducia manifestata dalla tartaruga nei suoi confronti, le afferra con gli artigli la testa molle e carnosa, solleva poi la misera a grande altezza nell'aria e la porta là dove sotto di sé scorge un suolo pietroso. Allora esso abbandona la tartaruga che ha sollevato tanto in alto e inizia la caduta mortale. Precipitando con la velocità di una freccia sulla dura pietra, essa vi si infrange, e l'avvoltoio, che con facile volo ha accompagnato altrettanto rapidamente la sua vittima nella caduta, è anche subito lì pronto, e comincia a prendersi il compenso per il servizio reso prima alla tartaruga, riempiendo con la sua carne il proprio stomaco sempre affamato. Con ciò avete un quadro naturale e fedele dello zelo infernale nel servire.
5. Anche qui dunque si tratta di un servire, che però è estremamente egoistico, e quindi qualunque servizio gli uomini si rendano vicendevolmente più o meno per il proprio vantaggio è anche sempre su per giù affine ai servizi infernali, ed è impossibile che come tale abbia un valore dinanzi a Me e a tutti i Miei Cieli. Soltanto un servizio assolutamente disinteressato può chiamarsi un servizio vero e perciò anche puro e celeste, e soltanto questo ha al cospetto Mio e di tutti i Miei Cieli un valore reale ed assoluto.
6. Quando dunque voi vi servite reciprocamente, servitevi allora con amore e con vero spirito di fratellanza, così come si fa nei Cieli. Se qualcuno vi chiede un servizio, rendeteglielo con tutta letizia e amore, e non parlate di ricompensa prima di averlo compiuto, poiché così fanno anche i pagani, i quali non conoscono il vero Padre nei Cieli, ed hanno tratto le loro usanze più dagli animali che non da un qualche Dio. La prova di ciò si può riscontrare ancora oggi dagli egiziani, i quali - dato che nell’antichità il loro primo maestro che li obbligò ad un po’ di riflessione fu su un toro - tributano a questo animale degli onori divini.
7. Se però qualcuno ti ha reso un buon servizio, allora tu non devi nemmeno domandare: “Amico, quanto ti devo?”, ma devi ricompensare il tuo amico per il suo buon servizio con tutto l'amore e la gioia del tuo cuore, e nel modo migliore che le tue forze ti consentono. Allora colui che ti ha reso il servizio, visto il tuo atto, ti abbraccerà e dirà: “Nobile amico! Ecco, ciò che ti ho fatto è veramente poco, eppure tu me ne ricompensi tanto generosamente! Vedi, la decima parte di quanto mi hai dato è più che sufficiente, ed anche questa io posso accettarla unicamente quale prova dell'amore del tuo cuore fraterno a me così caro!”.
8. Quando colui che ha reso il servizio avrà parlato in tale maniera con profondità e verità di sentimento a colui che glielo ha chiesto, ebbene, non diverranno essi veramente fratelli per il Cielo? È più che certo, ed è appunto così che il vero Regno di Dio scenderà fra voi e vi governerà con celestiale scettro di Luce e di ogni Grazia».
La dottrina di Mosè e la Dottrina del Signore.
1. (Il Signore:) «Oh, non basta affatto sapere e credere soltanto quello che secondo l’Ordine di Dio e di tutti i Cieli è buono, giusto e vero, ma bisogna invece operare conformemente a quest'Ordine con tutto amore e letizia del cuore; solo allora il Regno di Dio e la Sua Giustizia scenderanno veramente fra di voi e faranno di voi dei veri figli di Dio!
2. Cosa gioverebbe a qualcuno l'acutezza d’ingegno e di discernimento per quanto grande, se egli non vi conformasse le opere, ma restasse invece ligio alle antiche abitudini e costumi del mondo? Non somiglierebbe costui ad uno stolto che - pur avendo ricevuto in dono un palazzo da abitare con la propria famiglia in assoluta pace e comodità e pur rallegrandosi molto della disposizione quanto mai signorile e comoda, constatando la bontà e l’estrema rispondenza allo scopo dello splendido palazzo graziosissimo - si ostinasse a restare con i suoi nella sua vecchia capanna umida, stretta, sporca, scomodissima a cui però è abituato fin dalla gioventù e nonostante questo si lamentasse in continuazione delle grandi carenze della sua abitazione?
3. A Me pare che se questo tale non è un pazzo, allora a questo mondo pazzi non ve ne sono assolutamente! Ma un pazzo ben più grande è colui che, possedendo la Mia Dottrina e riconoscendoLa come eternamente vera, vuole tuttavia restare sempre il vecchio bue da giogo in tutto il suo operare!
4. Io dico a voi tutti: “Mite è il Mio giogo, e lievissimo il carico posto sulle vostre spalle!”. Chi lo porterà farà poca fatica, ma chi non lo porterà, costui dovrà imputare solamente a se stesso se le sue condizioni si faranno tristi, amare e dolorose. Dimostratevi reciprocamente un vero amore, ed allora riposerete su molli e sofficissimi guanciali. Se però preferite invece avere delle pietre sotto il vostro capo, allora voi potete pure averle, ma giunto il mattino della vita, nessuno si lagni che gli fa male il capo che è stato ferito dalle pietre.
5. Se tu hai un servitore fedele ed uno infedele, non dimostri una stoltezza fenomenale volendo licenziare il servitore fedele solo perché questi è in casa tua da un tempo assai più breve in confronto all'altro, vecchio ed autentico mascalzone, il quale in ogni occasione ti ha ingannato in tutti i sensi? È per questo che dovete bandire da voi ogni genere di servizio antico, poiché non si adatta alla pura Dottrina dei Cieli; ora questa Dottrina non è soltanto un lembo di stoffa nuova con cui rattoppare un vecchio mantello molto lacero, ma è invece di per sé già una veste nuovissima, pronta ed eccellente, la quale deve sostituire completamente il mantello sdrucito!
6. Io però, quando parlo di veste lacera, non Mi riferisco né a Mosè né ai profeti, perché questi sono oro purissimo dai Cieli, ma sono i vostri principi umani che Io intendo indicare con questa veste vecchia e logora. Non se ne fa più niente di questi principi e di quelli del Tempio, poiché anche se si volesse applicare una toppa sia pure nuovissima su un largo strappo, non ve lo si potrebbe tuttavia cucire, perché la stoffa della vecchia veste, già troppo logora, non terrebbe più il punto.
7. È vero che Mosè ha dato al popolo ebreo, per i tempi di allora, uno statuto per tutto il governo di una casa e per ogni genere di necessità e di bisogni dell'umanità, ma questo statuto in primo luogo venne del tutto deformato; e già quando non era ancora deformato non si adattava a questa Mia Dottrina, poiché quando si ara il terreno non si può subito mietere, ma bisogna prima seminare il grano e una volta che è divenuto maturo, allora si assumono dei mietitori, e l'aratro dunque diventa superfluo. Mosè ha arato, i profeti hanno seminato, ed ora è giunto il tempo della mietitura e della raccolta, lavoro a cui non è più adatto Mosè con l'aratro in mano. Noi ora procederemo bensì alla raccolta e porteremo nei nuovi granai tutto ciò che vi è di maturo, però, dopo la raccolta, l'aratro di Mosè vi verrà nuovamente dato in mano per la nuova semina di un grano purissimo dai Cieli, e verranno nominati pure dei sorveglianti per vigilare attentamente affinché nessun nemico venga a seminare la zizzania fra la purissima semente!».
La zizzania fra il grano.
1. (Il Signore:) «Certo la Terra verrà nuovamente lavorata, certo una semente purissima verrà sparsa nei nuovi solchi, e dei sorveglianti custodiranno il campo. Ma nonostante ciò Io scorgo già una grande quantità di zizzania in mezzo al nuovo grano! Ma come ci arriva la zizzania in mezzo al grano?
2. Ecco, fu una mancanza dei sorveglianti! Essi si addormentarono quando venne la notte, poiché avevano pensato: “Chi oserà fare qualcosa, dal momento che il campo è recintato?”.
3. Però, mentre essi dormivano, il nemico entrò di soppiatto nel campo e lo cosparse rapidamente della sua maligna semente.
4. E non appena al mattino i guardiani si accorsero che fra il grano era spuntata pure una quantità di zizzania, corsero naturalmente dal loro padrone e gli dissero: “Signore! Noi abbiamo seminato del grano purissimo tale quale tu ce lo hai dato e nel terreno del tutto puro, ma ciononostante il nemico è venuto in qualche modo di nascosto e, a nostra insaputa, ha sparso molta zizzania fra il grano! Ed ora essa pullula in ogni luogo! Dobbiamo sradicarla o lasciarla crescere?”
5. Quale risposta darà loro il padrone? Io vi dico che egli risponderà così: “Siccome voi non siete rimasti svegli durante la notte, che è una prova della vita per ciascun uomo, è chiaro che al principe delle tenebre è stato facile seminare la sua zizzania fra il Mio grano! Lasciate ormai crescere l'uno e l'altra fino al tempo della nuova mietitura, ed allora noi diremo ai mietitori: ‘Raccogliete dapprima il grano e portatelo nei Miei granai, e dopo raccogliete anche la zizzania, fatene dei fasci, accendete quindi un fuoco e bruciateli tutti, affinché il seme della zizzania non ritorni nella Terra e la contamini!”
6. Ora voi chiedete ansiosamente nei vostri cuori e dite: “Che cosa è ciò, e come si deve comprendere?”.
7. Ed Io vi dico che la cosa è molto facile da comprendere. Il campo è il cuore degli uomini di questa Terra, il grano purissimo è la Mia Dottrina, l'aratore e il seminatore sono ora Io stesso e voi con Me. I guardiani chiamati a vigilare siete pure voi, nonché coloro che nominerete a tale scopo. Il padrone sono Io, ed i Miei granai sono i Cieli. Ma Satana è il nemico, e la sua zizzania è il mondo perverso con tutte le sue malvagie e letali passioni. I nuovi mietitori sono quei messaggeri che Io a tempo opportuno susciterò e invierò nuovamente dai Cieli, per raccogliere il grano e per bruciare tutta l’erba cattiva, affinché da quel momento in poi questa non contamini più così facilmente il campo e il grano. Ora, comprendete bene questa parabola?
8. “Sì”, dite voi, “ora la comprendiamo bene! Ma tu, o Signore, con la Tua Onnipotenza e Onniscienza potresti però impedire facilmente per il futuro - se anche talvolta durante la notte di prova della vita il sonno ci cogliesse un po’ che il nemico venisse a spargere la sua cattiva semente fra il grano purissimo!”
9. Ed Io a ciò rispondo: “La Mia Onnipotenza però non può né deve avere niente a che fare quando si tratta dello sviluppo di una vita libera nei Miei figli. In questo caso non posso fare Io stesso a nessuno di voi più di quanto possa fare l'uno di voi all'altro. Io vi do il campo, l'aratro, il grano e faccio venire i mietitori; ma in quanto a lavorare, bisogna poi che lavoriate voi stessi. Ma se voi lavorate giustamente e se dovesse mancarvi la forza necessaria in qualche cosa, allora già sapete che potete ottenerla da Me in ogni tempo se voi Me lo chiedete pregando nel vostro cuore, e poi potete riaccingervi ad un efficace lavoro con forze rinnovate; ma lavorare per voi non lo posso né lo devo fare in eterno. Infatti, anche se Io volessi farlo, voi non ne avreste alcun vantaggio per la libertà e l'indipendenza della vostra vita, perché in questo modo sareste puramente delle macchine, e mai in eterno degli uomini liberi, viventi, pensanti ed agenti di propria iniziativa”.
10. Da tutto ciò deve ora risultarvi perfettamente chiaro che il reciproco servire secondo la Mia attuale Dottrina è condizione fondamentale di ogni vita. Comprendete bene tutte queste cose?»
11. Dice Cirenio: «Signore, Tu solo vero dall'eternità, nessuno è pari a Te! Le Tue parole sono Luce, sono Verità e Vita! Solo ora io comincio a vivere, e mi sembra come se ora soltanto io fossi stato destato da un profondo sonno con un’energica scossa. Così come Tu, o Signore, hai parlato ora, non può parlare che Dio soltanto, ma non un uomo, perché nessun uomo può conoscere quello che è in lui, cosa lo anima e come egli debba coltivare proficuamente la vita! Noi, o Signore, siamo ormai ben provvisti e protetti per l'eternità direttamente da Te, ma coloro che verranno dopo di noi, malgrado ogni loro zelo nel servire, avranno probabilmente molto da lottare contro tutte le specie di zizzania che si insinueranno in mezzo allo splendido grano dei Tuoi campi! Comunque, per quanto sarà nelle mie forze, non dovrà riuscire tanto facile all'inferno spargere il maligno seme della sua erba sul campo che Tu ci hai ora mostrato!
12. Ma adesso io vorrei pure apprendere ancora dalla Tua bocca come fanno l'inferno e il suo principe ad influire sugli uomini! Come possono portare la loro zizzania sui campi celesti?».
I pensieri e la loro realizzazione.
1. Rispondo Io: «Nulla di più facile! Io vi ho già mostrato come ciascuno debba procedere sulla via della Legge se vuole pervenire alla libertà e all'indipendenza del proprio essere e della propria vita. Se però è in vigore una legge che viene data all'uomo come dall'esterno, allora deve pur esserci nell'uomo anche uno stimolo a trasgredire questa legge, anche se solo momentaneamente, con maggiore facilità e piacere che non ad osservarla in modo rigorosissimo. Così dunque, prima di ogni Creazione materiale, Io ho chiamato all'esistenza degli spiriti, cosa che Io vi ho già dimostrato in modo che voi avete dovuto comprenderla; infatti voi stessi osservate tuttora esattamente lo stesso ordine quando create qualcosa.
2. Anzitutto voi concepite ogni genere di pensieri, e poi da questi costruite delle idee e forme, ma quando dai pensieri e dalle idee avete sviluppato una determinata forma, allora questa forma, perché rimanga, viene circoscritta in un involucro mediante la volontà. Da questo momento in poi essa rimane assolutamente indistruttibile in uno stato spirituale, e voi potete rappresentarvela alla mente ad ogni istante, basta che lo vogliate. Quanto più a lungo però contemplate un’idea così costituita e già formalmente esistente in voi, tanto più vi sentite portati a simpatizzare con questa idea spiritualmente circoscritta; detto in una sola parola, in voi si desta amore per questa forma spirituale. Ma questo amore aumenta e infiamma il vostro cuore, e per l'influsso del calore vitale e della luce che irradia dalla fiamma d'amore, l'idea, che ora assume già una forma continuamente più concreta e precisa, si sviluppa sempre più in se stessa, si perfeziona e si abbellisce, e dal suo perfezionarsi sempre maggiore si cominciano a rivelare utilità di ogni genere, così che in voi va maturandosi la decisione di tradurre nella realtà esteriore l'idea sempre più sviluppata.
3. Da principio voi tracciate sulla pergamena dei disegni, e ciò finché il disegno abbia acquistato la piena somiglianza con l’immagine spirituale in voi già sviluppata. Quando poi avete rilevato la perfetta armonia esistente fra il disegno e l’immagine spirituale in voi, allora vi consultate con degli esperti sul modo in cui questa potrebbe venire tradotta nella realtà materiale. E gli esperti cominciano a riflettere, si familiarizzano ben presto con l'idea loro esposta, e finiscono col dire: “Per realizzare tale cosa ci occorre questo e quello, il lavoro durerà un paio d'anni e verrà a costare tanto e tanto”. Voi stipulate poi un contratto, si dà mano all'opera, ed in circa due anni la vostra idea vi sta dinanzi compiuta, ed essa è oggetto di ammirazione e di utilità per voi e per altre migliaia di persone.
4. Ecco, in tal modo voi create le vostre case, i vostri utensili, città, castelli, navi e migliaia di altre cose ancora. Ma non altrimenti faccio Io quando creo i Cieli, i mondi e tutto ciò che questi comprendono e portano. Certamente, per la creazione di un mondo si richiede più tempo di quanto ne richiediate voi per edificare una capanna o una casa, o per costruire altri oggetti, perché dinanzi a voi il materiale è già pronto, mentre Io devo invece creare prima la materia traendola dall'immutabilissima Fermezza della Mia Volontà.
5. È vero che Io potrei formare una materia anche istantaneamente, anzi potrei chiamare in vita in un momento un'intera legione di mondi. Ma difficilmente un simile mondo avrebbe una consistenza durevole, appunto perché prima esso è stato troppo poco nutrito da Me per raggiungere la sua piena maturità. Quando invece una grande concezione mondiale è stata una volta maturata e nutrita a dovere in Me grazie al Mio Amore e alla Mia Sapienza, allora essa acquisterà anche di più in intensità, e diverrà con ciò sempre più consistente e duratura.
6. Non succede appunto la stessa cosa anche a voi, nonostante abbiate a che fare con la materia già pronta? Una casetta che vi siete fabbricati in una sola giornata sotto la spinta della necessità, è certo che non sfiderà né le centinaia, né meno ancora le migliaia di anni! Ma quando invece si tratta di fabbricati di cui avete fatto maturare, pienamente e per più lungo tempo, l'idea formata in voi, e dove, solo in seguito al riflettere su tale idea, vi siete fatti un concetto sempre più in chiaro di tutto quanto si richiede per tradurre una simile forma ideale in opera possibilmente duratura e perfettissima, allora anche voi potrete mettere assieme qualcosa di duraturo come lo sono le piramidi, le quali quasi da 2000 anni sfidano tutti gli uragani e potranno ancora resistervi per più di quattro volte questo periodo di tempo, salvo qualche piccolo deterioramento esteriore dovuto alle intemperie!
7. Se gli antichi faraoni non avessero riflettuto abbastanza, prima di costruire tali monumenti destinati alla conservazione delle loro arti segrete e delle loro scienze, così da renderli inattaccabili all'azione delle decine di secoli, allora essi non starebbero più là dove sono a testimonianza dell'antichissima arte architettonica. Però, considerando che l'idea, una volta concepita e sviluppata a piena norma, quei costruttori l'hanno nutrita per lunghi anni, e l'hanno così portata a maturazione, è certo ben comprensibile perché la loro idea tradotta in realtà materiale riempia ancora oggi il viandante di meraviglia.
8. Certo, più tardi gli uomini impararono a pensare molto rapidamente e poterono sviluppare velocemente un'idea dalla totalità dei loro pensieri, idea talvolta perfino complicata ma che per lo più veniva attuata. Essendo stato però lo sviluppo dell'idea facile e rapido, essa poteva anche venire attuata facilmente e rapidamente, però anche l'opera stessa risultava perciò una cosa leggera e facile, ed era di scarsa durata a causa della insufficiente maturazione all'idea. In breve, tutto il facile rimane fragile, tutto il difficile rimane duraturo!».
Lo sviluppo della materia.
1. (Il Signore:) «Quando, nei primi inizi, Io costituii fuori da Me gli spiriti quali Mie idee giunte a maturazione, e li ebbi colmati della Mia Forza in modo che essi cominciarono a pensare e a volere da sé, dovette necessariamente venire prescritto loro anche un ordine secondo il quale essi avrebbero dovuto pensare, volere ed infine agire. Ma insieme a quest'ordine indicato e prescritto, era opportuno suscitare in questi primi esseri lo stimolo all'inosservanza dell'ordine dato, altrimenti essi non sarebbero mai stati in grado di fare un uso qualsiasi della loro volontà. E fu proprio un tale stimolo che provocò in loro una vera attività vitale, in seguito alla quale essi cominciarono a dedurre, a scegliere, a volere fermamente e ad agire.
2. Ma conoscendo questo, è dunque facilissimo comprendere come già nei primi spiriti creati dovette iniziare ad emergere una certa zizzania, poiché lo stimolo fece uscire dall'ordine moltissimi fra i primi spiriti, e questi, nel loro contrastare l'ordine in maniera sempre più violenta, alla fine dovettero indurirsi, offrendo in tal modo il fondamento alla creazione materiale dei mondi.
3. Dapprima si formarono dei soli-centrali-primordiali, da questi ebbero poi origine tutti gli innumerevoli soli e corpi mondiali, e infine con questi ultimi sorse ogni e qualsiasi altra cosa che voi possiate scoprire e trovare su di essi, intorno ad essi e in essi.
4. Tutto ciò che ora è e si chiama materia, era una volta elemento spirituale, il quale, uscito spontaneamente dal buon Ordine prescritto da Dio, pose le sue fondamenta negli stimoli contrari a quest'Ordine e negli stessi si indurì, ciò che poi formò e costituì la materia. La materia stessa perciò non è altro che dello “spirituale giudicato”, induritosi da se stesso e in se stesso o, per parlare ancora più chiaramente, essa è un involucro o un rivestimento quanto mai grossolano e pesante dello spirituale.
5. Però lo spirituale - malgrado l'involucro così duro e grezzo - non può mai diventare esso stesso materia assoluta, ma continua a vivere ed a sussistere nella materia, di qualunque specie questa possa essere. Se la materia è molto compatta, allora la vita spirituale in essa è anche molto impacciata, cioè non è in grado di espandersi e di manifestarsi ulteriormente in nessun modo, se non le viene dato qualche aiuto da fuori.
6. Nella dura pietra, ad esempio, la vita può manifestarsi solamente quando essa, in un lungo avvicendarsi di piogge, nevi, rugiade, grandine, fulmini ed altri elementi ancora, si rammollisce e diventa sempre più friabile. Ed è per l'azione di queste forze che un po’ di vita sfugge quale etere nell'aria, e una parte di questa vita si plasma un involucro nuovo e più leggero sotto forma, inizialmente, di tenere pianticelle di muffa e di muschio poi, ma con l'andar del tempo, insoddisfatta di questo involucro, la vita già più libera si raccoglie e si concentra e se ne procura subito un altro in cui essa può muoversi con più libertà e indipendenza.
7. Finché il nuovo involucro è ancora tenue e molle, lo spirituale che vi è prigioniero si trova a suo agio e non chiede nulla di meglio. Ma l'involucro, inizialmente molto tenue, in seguito all'attività interiore degli spiriti - i quali fanno sempre più sforzi per liberarsi da tutto ciò che è materiale e opprimente - diventa di nuovo più duro e più grossolano; a causa di ciò la vita spirituale tende ad innalzarsi e forma così lo stelo dell'erba e successivamente il fusto dell'albero e tenta, per mezzo di anelli e sinuosità che vanno sempre più restringendosi, di proteggersi dal sempre maggior indurimento incalzante dal basso verso l'alto. Ma alla fine, siccome da tutta questa attività non c'è da attendersi alcuna salvezza dal totale irrigidimento, gli elementi spirituali restringono quanto è mai possibile la parte inferiore del fusto, e cercano rifugio nei piccoli ramoscelli, nei filamenti, nelle foglie, nei peluzzi ed infine nei fiori. Ma poiché anche tutto questo in breve tempo si indurisce sempre più, e la maggior parte degli spiriti si accorge che tutte le loro fatiche sono vane, allora essi cominciano a rinchiudersi - come l'insetto nella crisalide - entro piccoli involucri, che essi circondano molto solidamente di una materia loro corrispondente e migliore.
8. Così hanno poi origine ogni genere di semi e frutti. Ma quella parte di vita più egoista, che in una pianta è diventata più libera, non ci guadagna molto. Infatti, ciò che si rinchiuse nell’involucro resistente di un seme, deve percorrere la stessa via tante volte, quante volte il seme è messo nella terra umida e satura di vita. L'altra parte di vita, quella più paziente, che aveva accettato di rimanere nella materia inferiore come sentinella e come sostegno della parte di vita molto infervorata, paurosa e impaziente, marcisce presto, e presto trapassa in una sfera vitale ancora più elevata e più libera. È vero che si circonda pur sempre di un involucro, ma solitamente già con una forma animale ad essa corrispondente. E allora ciò che è stato mangiato come frutto dagli animali e perfino dagli uomini, viene così impiegato: la parte più grossolana per la costruzione e il nutrimento della carne, e una parte più nobile per lo spirito che fortifica i nervi e vivifica, e la parte interamente nobile diventa sostanza dell’anima».
L’amore di se stessi come causa della materia.
1. (Il Signore:) «Se voi dunque considerate un po' più attentamente questo procedimento, non deve esservi difficile riconoscere, nella giusta profondità del vero, in quale modo la zizzania spunti sul puro campo della vita!
2. Tutto ciò che si chiama mondo e materia, è un principio invertitore che sempre e necessariamente contrasta col vero Ordine spirituale fissato da Dio, poiché in origine esso dovette venire posto nell'idea animata - collocata fuori da Lui come essere indipendente e ben costituito - con la funzione di stimolo contrario atto a destare la libera volontà nell'idea animata stessa, ed è per questo che tale principio invertitore deve venire considerato come la vera zizzania sul campo della vita, la sola vera e spiritualmente pura.
3. Ma anche se la zizzania è originariamente una necessità che permette la constatazione[7] di una vita spirituale completamente libera, tuttavia questa zizzania deve pure essere infine riconosciuta come tale dall'uomo creato libero, e deve venire spontaneamente espulsa da lui, perché non gli è possibile poter continuare a sussistere insieme ad essa. Essa è dunque un mezzo certamente necessario allo scopo, ma non può mai diventare una cosa sola con lo scopo stesso.
4. La rete è anche un mezzo necessario per pigliare i pesci, ma chi sarà colui che la getterà nell'acqua per estrarla poi nuovamente ma non con l'intenzione di togliere i pesci, ma per la rete in se stessa, per metterla al fuoco, arrostirla e gustarla come una vivanda? La rete è dunque necessaria soltanto per la pesca, ma una volta che con essa si sono pescati e tirati fuori i pesci dall'acqua, e questi sono stati disposti nella dispensa, allora si mette la rete da parte e si utilizza il prodotto della pesca.
5. Per conseguenza è chiaro che lo stimolo alla trasgressione della legge deve esserci, perché esso è un ridestatore delle facoltà di riconoscimento ed un suscitatore della libera volontà. Esso riempie l'anima di diletto e di gioia finché questa, pur riconoscendo bene lo stimolo, non gli si rende soggetta, ma anzi lo combatte sempre con quella stessa libera volontà che venne in lei destata e ravvivata appunto dallo stimolo; allora l'anima libera se ne serve quale un mezzo, ma non vede in essa uno scopo raggiunto o da raggiungersi.
6. Così l'otre non è mai la stessa cosa del vino, ma soltanto un recipiente per la conservazione del vino. Ora, chi sarà tanto stolto da addentare l'otre e da gustarlo, perché è allettato dal gradevole odore, mentre deve pur sapere che basta aprire l'otre nel punto a ciò destinato per spillare il vino vero e proprio?
7. La zizzania, ovvero lo stimolo alla trasgressione della legge, è per conseguenza qualcosa di subordinato, e non deve mai e poi mai diventare una cosa principale; chiunque vuole fare della cosa più subordinata una principale, è simile ad un pazzo che vuole saziarsi con le pentole in cui cuociono buone vivande, gettando però via le vivande stesse!
8. Ma in che cosa consiste la zizzania dalla cui decomposizione la vita deve trarre il proprio concime? Quale nome ha dunque lo stimolo insito nella forma animata e che si oppone alla legge? Il suo nome è “amore di se stessi, egoismo, orgoglio ed infine avidità di dominio”. Certo, per effetto dell'amore di se stessa, la forma animata si concentra in sé, però lo fa con l'avidità di voler accogliere certo tutto in sé per racchiuderlo e conservarlo per sempre in se stessa, in modo che all'infuori di se stessa nessun altro possa usufruirne, e ciò per il timore di non dover un giorno soffrirne essa stessa la mancanza! Ora, nel caso di un essere che voglia rinchiudere in se stesso tutto quello che esso accoglie continuamente in sé traendolo dall’Ordine divino che nutre e mantiene ogni cosa, ebbene, in tale essere deve manifestarsi un ispessimento sempre crescente, una certa temporanea solidità e prepotenza, e con ciò un particolare compiacimento di se stesso, e questo costituisce il vero significato della parola “egoismo”, il quale tenta con tutta forza e potenza di innalzare il proprio io come qualcosa che si impone sensibilmente sopra ogni altro io, e con tutti i mezzi che gli stanno a disposizione, anche se questi dovessero essere fin da principio della peggiore specie.
9. Quando l'egoismo è giunto là dove voleva arrivare, allora si solleva al disopra di tutto ciò che gli è simile e, per così dire inebriato, guarda con disprezzo dall'alto in basso ogni cosa; e questo disprezzo si può paragonare alla nausea che uno stomaco sovraccarico prova per le vivande che gli stanno dinanzi, e costituisce poi quello che si chiama orgoglio! Qui c'è già molta materia ed un campo intero pieno di pessima zizzania.
10. L'orgoglio però è in se stesso uno stato del massimo malcontento, poiché si accorge sempre che non tutto sta ai suoi servizi come egli vorrebbe! Esso allora passa in rassegna tutti i mezzi e tutte le forze di cui può disporre, e trova che potrebbe assoggettarsi ogni cosa se, con diplomazia, volesse fare la parte del prodigo e del generoso. A questo punto viene a proposito il detto: pensato, vagliato e fatto! Infatti, essendovi sempre un numero maggiore di affamati che non di sazi, l'orgoglio divenuto generoso ha facilissimo gioco. Ben presto si radunano intorno ad esso tutte le inferiori forze fameliche le quali si lasciano comandare con tutta severità, perché ora ricevono anch'esse qualche boccone della ricchezza dell'orgoglio. Queste gli obbediscono dunque già da schiave, aumentano con ciò la sua forza, e l'orgoglio si dà ormai ogni briga per assoggettarsi e sfruttare molte cose o preferibilmente tutte le cose! E questa insaziabile brama è poi quello che nel senso più vero della parola si chiama la rovinosissima “avidità del potere”, in cui non si può più trovare l'amore!
11. Ma è in una tale avidità di dominio che trova poi la sua espressione la più compatta materia; con essa, tutto un pianeta, diventato completo granito, può dirsi provvisto nel migliore dei modi di ogni possibile elemento malvagio. Che però la sete di dominio e con essa l’assolutismo assoluto siano simili alla materia più compatta, lo dimostrano i castelli e le fortezze oltremodo solide dietro ai quali si trincerano i dominatori! Le mura devono avere uno spessore di parecchie tese (molti metri) e devono essere guarnite di robusti combattenti, affinché nessuno possa essere mai in grado di far breccia nella materia rozzissima e di venire a turbare il dominatore nella sua quiete stracarica di orgoglio! Guai al debole che osasse smuovere anche una sola pietra da quelle mura del dominatore; egli verrebbe schiacciato ed annientato all’istante.
12. Ma qui Io non intendo parlare di quei sovrani e reggenti che l'Ordine divino ha stabilito sulla Terra al fine di mitigare l'ambizione e la brama di dominio dei singoli e di fungere da sostegni e da conservatori dell'umiltà e della modestia, dell'amore e della sapienza! Infatti, questi reggenti dei popoli, stabiliti da Dio, devono essere ciò che sono, e non possono comportarsi altrimenti se non così come vengono incitati e guidati dalla Volontà di Dio onnipotente ai fini del miglioramento dei popoli. Qui si tratta invece soltanto della generale e genuina avidità di potere di ogni singolo uomo e spirito, e della dimostrazione di che cosa essa sia in sé e per se stessa. Certamente, vi sono stati dei reggenti che ebbero fama di spietati tiranni; quest’ultimi si innalzarono fra il popolo e si ribellarono contro i sovrani stabiliti da Dio come un giorno fece Assalonne contro il proprio padre Davide, ma simili reggenti non sono stabiliti da Dio, ma da se stessi, e per conseguenza sono cattivi, vera zizzania e forme corrispondenti alla più densa materia.
13. Ma tu, o Mio Cirenio, e il tuo imperatore, non andate annoverati fra costoro, ma per Mia Volontà siete quello che siete, quantunque siate ancora pagani! Però voi, anche come pagani, Mi siete tuttavia più cari di molti regnanti, i quali, chiamati ad essere da guida ai figli di Dio, non furono invece altro che i loro assassini nel corpo e più ancora nello spirito, ed è perciò che ad essi vennero tolti per sempre gli antichi troni e le corone e gli scettri, e vennero dati a voi, pagani più saggi. Io Mi sono indotto a fare quest'aggiunta, affinché tu, o Mio Cirenio, non pensassi forse che ai Miei occhi tu e tuo nipote sedeste da usurpatori sul trono del potere. Ed ora continuiamo nella nostra osservazione della zizzania sul buon campo!».
L’origine dei sistemi solari.
1. (Il Signore:) «Vedete, nella stessa maniera come ora gli uomini, a causa dell'amore di se stessi, a causa dell'egoismo, a causa della superbia e a causa della sete di dominio che ne risulta, vanno saturandosi di ogni materia in modo tale che ci vorranno molte migliaia di migliaia di anni prima che essi possano liberarsene completamente, così vi furono un giorno anche degli spiriti creati fin dai primordi, i quali pure, a causa dello stimolo posto in loro, divennero troppo saturi di amore di se stessi, troppo egoisti, superbi ed infine saturi di sete di dominio, e la conseguenza fu che essi si trasformarono nella più pura materia.
2. Essi si divisero costituendosi in grandi raggruppamenti e si stabilirono a distanze per voi inconcepibilmente grandi. Ogni raggruppamento non volle più sentire né vedere né sapere niente di un altro raggruppamento, e ciò per potersi dedicare con pienissima intensità unicamente all'amore di se stessi. In seguito a questo sempre più crescente chiudersi nell'amore di se stessi e nell’egoismo, nella superbia che con ciò sempre più si ridestò e nella sete di dominio assoluta, queste essenze vitali in numero sterminato si restrinsero infine secondo la legge della gravità che si era manifestata da sé come conseguenza dell'amore di se stessi e dell'egoismo, formando assieme un ammasso di eccezionale grandezza, - e così fu pronto il Sole-centrale-primordiale materiale di un Globo-involucro.
3. Ora, però, nello spazio infinito vi è pure un'innumerevole quantità di tali sistemi o globi-involucro, in ciascuno dei quali un Sole-centrale-primordiale, come sopra menzionato, serve da punto-centrale comune ad innumerevoli ammassi mondiali, e questi soli-centrali-primordiali sono appunto i raggruppamenti di spiriti primordiali ristretti insieme, da cui, con lo scorrere del tempo, sono derivati tutti gli altri ammassi-galattici, ammassi-stellari, soli-centrali-secondari, soli-planetari, pianeti, lune e comete.
4. Ma come è accaduto tutto ciò? Vedete, nel Sole-centrale-primordiale la pressione divenne troppo forte per molti fra i grandi spiriti! Essi si accesero nell’ira fino ad un’incandescenza estrema e si svincolarono dalla pressione primordiale, fuggendosene a distanze grandissime dal loro primo ammasso di raggruppamenti. Per un certo tempo essi sciamarono liberissimi, innocui per sé in tutta indipendenza in giro nello spazio sconfinato, e si mostrarono disposti a passare spontaneamente nell’Ordine spirituale puro; ma poiché essi non poterono liberarsi dall’elemento dell’amore di se stessi, allora iniziarono infine di nuovo a restringersi insieme in un solido ammasso, e da ciò ebbero origine i soli-centrali di secondo rango, in uno come nell’altro degli innumerevoli Globi-involucro.
5. In questi soli-centrali di secondo rango, gli spiriti principali, con l’andar del tempo, si infiammarono d’ira a causa della pressione sempre crescente, si accesero e in innumerevoli masse si staccarono dall’ammasso comune di secondo rango. Poi si resero nuovamente molto disponibili ad un passaggio [allo stato] puramente spirituale; ma siccome col tempo essi cominciarono a trovare di nuovo un grande compiacimento in sé e non vollero ripudiare del tutto l’amore di se stessi, allora accrebbero di nuovo in peso materiale e di nuovo si restrinsero insieme come prima in grandi ammassi, e questi costituirono i soli-centrali di terzo rango.
6. Ma ben presto insorsero le stesse difficoltà come dopo la formazione dei precedenti soli-centrali. Gli spiriti superiori, dato che erano i meno numerosi, si sentirono man mano sempre più potentemente oppressi dagli spiriti subordinati sempre ancora in numero sterminato, e ben presto si infiammarono nuovamente e, con grande violenza, si separarono dall’ammasso comune in numero di molte migliaia di volte migliaia (milioni), e questa volta con il fermo proponimento di trapassare finalmente nell’elemento completamente e puramente spirituale. Per dei tempi inconcepibilmente lunghi essi si librarono nell’immenso spazio della Creazione quali masse di vapore etereo molto distanti l’una dall’altra.
7. Questa libertà piacque loro, poiché avevano il brutto ricordo della pressione poderosa a cui avevano dovuto sottostare prima. Ma in questo stato di libertà inattiva essi iniziarono col tempo a sentire fame, e andarono perciò in cerca di nutrimento nello spazio, cioè di qualcosa con cui potersi saziare che si trovasse in qualche luogo all’infuori di loro. Essi lo trovarono, e dovevano anche trovarlo, poiché la bramosia è simile a quella pietra magnetica nordica che attira a sé con forza irresistibile tutto ciò che è ferro, come pure tutti i minerali che contengono ferro.
8. Ma quale ne fu la conseguenza inevitabile? La loro natura cominciò gradatamente a condensarsi parecchio; questo portò ben presto ad un nuovo ridestarsi dell’amore di se stessi e del suo seguito [egoismo, superbia e sete di dominio], e il risultato fu inevitabilmente quello di provocare il restringimento in un ammasso comune; per raggiungere questo è ovvio che ci volle un numero incalcolabile di anni terrestri.
9. Sennonché, che cos’è un periodo di tempo per quanto lungo al cospetto del Dio eterno? Un veggente dei tempi remoti disse: “Mille anni sono al cospetto di Dio come un giorno solo!”. Io vi dico: “Mille volte mille anni sono sul serio appena un istante al cospetto di Dio! Per un ozioso è una cosa certa che le ore diventano giorni e i giorni diventano anni a causa della grande noia. Ma per il diligente e molteplicemente attivo le ore trascorrono come istanti, e le settimane come giorni. Dio però fin dall’eternità è ricolmo di un infinito zelo d’attività ed è incessantemente attivo in tutto all’infinito, per cui ne deriva la beatissima conseguenza che periodi di tempo inconcepibilmente lunghi per voi devono sembrare a Lui dei singoli istanti, – e la formazione completa di un sole dura dinanzi ai Suoi occhi solo un tempo brevissimo”.
10. Dal restringimento menzionato per ultimo sorsero e sorgono ancora i soli-planetari, uno dei quali è quello che illumina questa Terra. Questa specie di soli sono, nella loro natura, veramente molto più delicati e molli dei soli-centrali, ma nonostante ciò hanno un’enorme massa di materia pesante quale conseguenza dell’amore di se stessi da parte dei loro eoni (10120) di eoni di spiriti, dal cui amore di se stessi si sono ammassati [riunendosi] insieme proprio in un tale Sole. In questo ammasso luminoso, la pressione esercitata sugli spiriti migliori e più nobili da parte degli spiriti comuni divenuti del tutto materiali, finisce con il passare di epoche su epoche col diventare nuovamente troppo pesante e insopportabile; le conseguenze sono, come nei soli di classe superiore, azioni violente, eruzioni su eruzioni, e così gli spiriti più nobili si rendono liberi.
11. Giunti a questo punto, si ridesta in loro la volontà ormai già serissima di far ritorno all’iniziale stato spirituale puro, seguendo il vero Ordine di Dio. Molti combattono con successo lo stimolo posto in loro e diventano pari agli angeli creati fin dai primordi senza percorrere per il momento la via della carne. A coloro però che sono disposti a percorrerla subito sul Sole stesso oppure addirittura su questa Terra, viene lasciata piena libertà, ciò che, qui lo ricordo nuovamente, è anche il caso sui soli-centrali prima descritti, non però così spesso come in modo speciale succede su questo Sole-planetario che dispensa la luce a questa Terra, luce che trae origine principalmente dalla grande attività degli spiriti solari.
12. Invece alcuni raggruppamenti di spiriti che si erano liberati dall’ammasso solare, essi pure con i migliori proponimenti, nuovamente non poterono staccarsi del tutto dall’amore di se stessi e di nuovo iniziarono a cedere alle seduzioni dello stimolo primordiale posto in loro; da una cosa sola che erano, presto si divisero in due e continuarono a scindersi senza rendersene conto!
13. Ben presto essi si resero già materialmente visibili in forma di comete vaporose munite di una lunga coda. Che cosa significa ora questa coda? Essa è un indice della fame che provano gli spiriti già sulla via della materializzazione e dell’intensa avidità di una sazietà materiale; questa avidità trae dall’etere la sostanza materiale confacente ad essa, e in questo stato la cometa, quale un compendio di spiriti già molto materiali, va errando per molte migliaia di anni nell’immenso spazio dell’etere in cerca di preda come un lupo rapace.
14. Con questo continuo assorbire e divorare essa diventa contemporaneamente sempre più compatta e pesante. Con l’andare del tempo essa viene nuovamente attratta dal Sole dal quale si era separata, e ciò fino al momento in cui è costretta ad iniziare a girare regolarmente intorno ad esso. Quando la cometa è giunta al punto da dover tollerare un tale ordinamento, essa diventa un pianeta distinto a sé, come lo sono questa Terra, la stella del mattino e della sera [Venere], oppure Marte, Giove, Saturno e qualche altro a voi sconosciuto.
15. Ed ecco formato il pianeta che ha però sempre una fame mostruosa; ora, visto che esso si trova più vicino al Sole di quanto lo fosse prima quale cometa, riceve anche dal Sole un nutrimento sufficiente, che nello stesso tempo è un’esca per attirare di nuovo sempre maggiormente vicino a sé il pianeta desideroso di fuggirsene, per poi, dopo lunghi tempi, riseppellirlo completamente in sé. Nondimeno, questo ‘lodevole’ desiderio degli spiriti creati fin dai primordi nel Sole – considerate le dimensioni spesso molto grandi dei pianeti, come è il caso anche di questa Terra – non può mai adempiersi nel modo da essi voluto, perché, quantunque gli spiriti che si trovano confinati nei pianeti siano ancora molto materiali, conoscono tuttavia bene la materia del Sole e non provano nessun particolare bisogno né nessuna voglia di riunirsi mai più completamente al Sole. Essi accolgono volentieri gli spiriti e spiritelli che affluiscono dal Sole quale buon ristoro delle forze e come nutrimento, ma di un completo raggruppamento con il Sole non ne vogliono affatto sapere.
16. Ogni tanto succede che gli spiriti che una volta sono sfuggiti, vengano adescati e attirati nel loro materiale compendio dell’ammasso fino ad essere vicinissimi al Sole, ma allora l’attività enorme degli spiriti liberi che circondano la dura massa del Sole – attività alla quale è principalmente dovuta la luminosità della superficie esterna dell’atmosfera solare – ottiene l’effetto di provocare quasi istantaneamente e simultaneamente in tutti quegli spiriti ristretti insieme nel rigido ammasso la massima attività possibile, di separarli l’uno dall’altro e di indurli poi, come si suol dire, a prendere il largo ciascuno per conto proprio.
17. La conseguenza di una tale attività ridestatasi negli spiriti rimasti lungo tempo ammassati insieme in un pianeta, ovvero in una cometa per lo meno già più matura, è in primo luogo la repentina e totale dissoluzione dell’ammasso, nonché la redenzione di molti milioni di milioni di spiriti, i quali, resi per la maggior parte accorti ed esperti della buona lezione, rientrano subito nel giusto ordine della vita, ridivenendo così spiriti angelici creati fin dai primordi ed utili custodi dei loro fratelli di vita meno liberi, come pure di quelli che languiscono nei duri ammassi, e contribuiscono molto ad una loro più sollecita redenzione».
Il significato e l’origine della Terra.
1. (Il Signore:) «Una parte di tali spiriti che si sono sciolti, vuole però percorrere ancora la via della carne su qualche pianeta. Alcuni si incarnano sul Sole, e specialmente su qualche zona che loro meglio si adatta, mentre pochissimi sono invece quelli che a tale scopo vengono su questa Terra, poiché qui la vita della carne appare loro troppo onerosa, dovendo rinunciare sulla Terra perfino ad ogni ricordo di una preesistenza e cominciare un’esistenza del tutto nuova fin dall'inizio, ciò che non avviene appunto sugli altri pianeti e corpi mondiali.
2. Infatti, agli spiriti incarnati su altri pianeti e corpi mondiali resta sempre, come in un sogno, un ricordo delle loro condizioni anteriori, e la conseguenza di questo fatto è che gli uomini viventi su questi pianeti e corpi celesti sono già, fondamentalmente, molto più saggi e assennati che su questa Terra. D'altro canto, però, questi spiriti incarnati su altri mondi non sono idonei ad alcun progresso nella sfera più elevata della vita libera. Essi assomigliano piuttosto, come già menzionato una volta, agli animali di questa Terra, i quali hanno già per natura quella certa costituzione istintiva necessaria alla loro esistenza, in cui essi rivelano sempre una grande abilità e perfezione, tanto che in più di un caso l'uomo - malgrado tutta la sua intelligenza - non sarebbe in grado di imitarli; provate invece ad istruire un animale, e vedrete se riuscirete ad ottenere qualche notevole risultato!
3. È vero che ve ne sono alcuni accessibili ad un ammaestramento che consente loro di venire poi impiegati in caso di bisogno per lavori semplicissimi e molto grossolani, come ad esempio il bue per tirare il carro, mentre il cavallo, l'asino e il cammello per portare pesi, oppure il cane per rintracciare o per cacciare, ma voi non riuscirete ad insegnare loro quasi nulla al di sopra di queste cose, e in quanto al parlare, poi, ogni fatica sarà inutilmente sprecata. La ragione semplicissima di ciò sta essa pure nel fatto che un ricordo confuso della loro preesistenza tiene continuamente come avvinte e occupate le loro anime, ed esse vivono conseguentemente in una specie di stordimento.
4. Soltanto in tutti gli uomini di questa Terra si riscontra il fatto, che non si verifica in nessun altro mondo, che essi vengono privati di ogni e qualsiasi ricordo, e per conseguenza iniziano fin dalle fondamenta un ordine di vita ed una formazione del tutto nuovi, e sono così costituiti che ciascun uomo può per questa via svilupparsi fino alla perfettissima somiglianza con Dio.
5. Per tale motivo su questa Terra può venire incarnata soltanto un'anima che sia o originaria da un Sole - nel quale sono ancora riuniti tutti gli elementi primordiali, purché essa sia già stata incarnata lì e racchiuda quindi in sé tutti quegli specifici di intelligenza animica che sono necessari alla perfezione di una suprema vita spirituale - oppure che sia originaria direttamente da questa Terra e che sia prima passata attraverso tutti i tre cosiddetti regni della Natura, a cominciare dalla più massiccia materia pietrosa attraverso tutte le classi di minerali e, da questi, attraverso l'intero regno vegetale ed infine attraverso tutto il regno animale nell'acqua, sulla terra e nell'aria.
6. Non si deve però intendere con ciò il corpo materiale, ma l'elemento animico spirituale contenuto nell'involucro corporale, poiché, anche se questo involucro in ultima analisi è veramente anch'esso una sostanza animico-spirituale, esso è in sé ancora troppo grezzo, pigro e massiccio, ed è un'espressione ancora troppo pesante dell'amore di se stessi, dell'egoismo, dell'orgoglio e del godimento più indolente e pigro, inerente alla più bramosa, avara e micidiale brama di dominio. Tale materia, nella sua sostanza più pura, viene accolta per l’avvolgimento e per il rivestimento dell'anima, ma ciò solo mediante un trapasso parziale e solo attraverso un processo molteplice di putrefazione; però a vantaggio della sostanza animica propriamente detta è difficilissimo che possa mai venire impiegato qualcosa di questi elementi.
7. Ma per tale motivo esiste su questa Terra anche un numero molto maggiore di specie di minerali, piante e animali che non su tutti gli altri pianeti e soli, naturalmente considerato ciascuno singolarmente a sé; presi tutti assieme darebbero certo un numero più grande di specie, ma in tutto l’intero spazio della Creazione non c'è alcun corpo celeste che da solo abbia nemmeno la centomillesima parte di tutte quelle molte specie che esistono qui su questa Terra in ciascuno dei suoi tre regni naturali. Ed appunto perciò è destinata soltanto questa Terra, nel senso più assolutamente vero della parola, a portare i figli di Dio.
8. Ma come e perché tale cosa? Ecco, questa Terra si trova in condizioni del tutto particolari: essa, in qualità di pianeta, appartiene ora certamente a questo Sole, ma a stretto rigore di termini non ha avuto la sua origine da questo Sole, e ciò contrariamente a tutti gli altri pianeti - ad eccezione di quello fra Marte e Giove, il quale per certe ragioni malvagie è stato distrutto già 6.000 anni fa, o meglio si distrusse da sé e per opera dei suoi abitanti -, ma essa ha avuto la sua primordiale origine dal Sole-centrale-primordiale ed è, sotto un certo aspetto, più vecchia rispetto a questo Sole di un periodo di tempo per voi infinito. Tuttavia essa ha cominciato a diventare corporea dopo che questo Sole [planetario], quale ammasso-mondiale sviluppato, già da molto tempo aveva iniziato la sua prima rivoluzione intorno al suo Sole-centrale, ed [essa] ha poi però attratto a sé tuttavia principalmente da questo Sole [planetario] quello che veramente costituisce il suo vero e proprio [elemento] materiale-corporeo».
L’origine della Luna.
1. (Il Signore:) «Molte migliaia di migliaia di anni terrestri fa, il corpo della Terra era ancora considerevolmente più pesante, e i suoi spiriti sottostavano ad una forte pressione. Allora gli spiriti più perversi si accesero d'ira e si staccarono da essa trascinando con sé un'enorme massa materiale fra le più grossolane, e andarono vagando per molte migliaia d'anni di seguito in un'orbita molto irregolare intorno a questa Terra.
2. Siccome però tutte le parti, ad eccezione di alcuni ammassi, erano del tutto molli e a metà liquide, e tutta la massa si trovava in una continua rotazione, così essa finì con l'assumere la forma di una grande sfera, il cui movimento di rotazione sul proprio asse era, in rapporto al suo piccolo diametro, troppo lento per poter mantenere ad un livello uniforme l'elemento fluido sulla sua superficie, del resto non del tutto insignificante, perché il movimento di rivoluzione della massa intorno a questa Terra era molto rapido, e conseguentemente tutta la parte liquida doveva accumularsi sempre dal lato opposto alla Terra in seguito all'antica legge della forza centrifuga.
3. Con ciò, però, il centro di gravità propriamente detto di questo ammasso rotondo veniva spostato sempre di più verso quella parte dove andava raccogliendosi successivamente tutta la massa liquida, e così, con l'andare dei tempi, quando cioè l'ammasso divenuto più compatto non lasciò più trasudare l'acqua attraverso di sé tanto rapidamente e le onde che si accumularono si infransero con troppa violenza contro i fianchi delle montagne che erano diventate alte, provocando così troppa resistenza, allora il movimento di rotazione dell'ammasso stesso sul proprio asse, troppo lento, dovette infine cessare completamente, e tutto l’ammasso cominciò a mostrare alla Terra, dalla quale era stato espulso, sempre la stessa faccia.
4. E ciò fu anche bene, affinché in tal modo i suoi spiriti quanto mai ostinati potessero provare quanto sia piacevole trovarsi avvinti in una materia aridissima e quasi del tutto priva di nutrimento, ma nello stesso tempo questa parte della Luna (poiché l’ammasso materiale in questione è appunto la nostra Luna) serve, da quando questa Terra è abitata da uomini, anche a trasferirvi quelle anime umane che qui amarono sopra ogni cosa e ad ogni costo tutto ciò che è del mondo, affinché tali anime, avvolte in una tenue, aeriforme veste materiale, possano da lì ammirare veramente a sazietà la loro bella Terra da una distanza di più di 100.000 ore di cammino e per la durata di alcune migliaia di anni terrestri, e possano compiangere se stesse per non esserne più gli avidi ed avari abitanti. Che esse però, nonostante tutta la loro bramosia, non possano più discendere nuovamente su questo mondo, a ciò è stato provvisto nel migliore dei modi. Comunque sia, qualche eone (10120) di anni terrestri ricondurrà gradatamente alla ragione anche le anime più tenaci e ostinate!
5. Dunque voi avete ora visto come ha avuto origine tutta la creazione materiale dei mondi, fino alle lune dei pianeti, le quali, quasi dappertutto dove esse esistono, sono sorte nello stesso modo, hanno la stessa natura e servono ora allo stesso scopo.
6. Però come e per la stessa ragione per cui fin dai primordi del tempo l'intera creazione materiale dei mondi, fino ai satelliti, è stata originata da spiriti caduti per propria volontà, così appunto nella stessa maniera sono sorte con l'andare dei tempi, sui duri e pesanti corpi celesti, le montagne quali prime piante minerali gigantesche di un mondo, e poi ogni specie di altre piante vegetali e di animali, e infine l'uomo stesso.
7. Gli spiriti migliori si svincolano con la violenza dalla pressione della materia sempre crescente, sciogliendo la propria materia con la forza della loro volontà. Essi potrebbero rientrare immediatamente nell'ordine degli spiriti puri, ma l'antico stimolo da parte sua esercita sempre il suo vecchio potere. Allora l'amore di se stessi si desta ben presto nuovamente; la pianta assorbe, l'animale divora, e l'anima dell'uomo, non appena è rientrata nell'antica forma divina, cerca con la massima avidità un cibo materiale ed un corrispondente pigro benessere, e deve perciò anche avvolgersi ben presto in un corpo materiale, il quale tuttavia è più tenue della vecchia materia peccaminosa. Però, nonostante il corpo più tenue, la vera anima in esso si accresce nell'amore di se stessa tanto che essa ridiverrebbe del tutto materia durissima se Io non avessi posto nel suo cuore un custode, una Scintilla cioè del Mio Spirito d'Amore».
Il male ereditario dell'amore di se stessi.
1. (Il Signore:) «Voi avete sentito parlare del male ereditario (peccato originale), per lo meno voi ebrei di certo! Ma che cosa è questo e in che cosa consiste? Fate dunque attenzione!
2. Esso è l'antico amore di se stessi, quale padre della menzogna e di tutti i mali derivanti da questa; però la menzogna è l'antica materia peccaminosa che in sé e per se stessa non è altro che una genuina peccaminosa manifestazione visibile dell'amore di se stessi, dell'egoismo, dell'orgoglio e della brama di dominio.
3. Tutto ciò ebbe veramente origine dallo stimolo necessario che Io dovetti porre negli spiriti affinché giungessero alla conoscenza della propria volontà, ma, quantunque lo stimolo fosse stato una necessità, non fu assolutamente una necessità che, quale conseguenza, si costituissero peccaminosamente i mondi materiali. Questa fu soltanto una necessaria conseguenza - a cui nel Mio Ordine dovette purtroppo essere lasciato libero corso - del fatto che molti fra gli spiriti non vollero resistere allo stimolo, nonostante essi avrebbero potuto farlo senz’altro, come ha potuto farlo un numero sei volte maggiore di spiriti primordialmente creati, uno dei quali lo abbiamo qui al nostro servizio ed ha nome Raffaele.
4. Quindi il nemico che sempre sparse, che sparge tuttora ed ancora per lungo tempo spargerà la zizzania fra il puro grano, è l'antico amore di se stessi, la cui conseguenza ormai a voi ben nota è la zizzania, e nel senso più ampio la somma di ogni genere di materia, menzogna, Satana o demonio sotto qualsiasi forma.
5. Però la Mia Parola è il grano nobile e puro, e la vostra libera volontà è il campo in cui Io, quale Seminatore di ogni vita, spargo e semino il grano purissimo del Mio Ordine eterno.
6. Non lasciatevi sopraffare dall'amore di voi stessi; pensate invece che, se lo combattete con la spada infuocata del vero amore per Me e per il vostro prossimo, voi manterrete facilmente il campo libero da ogni zizzania ed entrerete quanto prima voi stessi come frutti purissimi e preziosissimi nel Mio Regno, per contemplare là e guidare nelle eternità nuove creazioni spirituali-pure!
7. Fate però bene attenzione che il nemico, ovvero l'amore di voi stessi, non prenda posto in voi nemmeno per lo spazio di un atomo, perché questo atomo è già un seme della vera zizzania il quale, con l'andare del tempo, può accalappiare interamente per sé la vostra libera volontà, ed allora quanto è in voi di spirituale puro trapassa sempre di più nella zizzania della materia, in cui voi stessi diventate menzogna, poiché tutta la materia, tale quale essa è, non è evidentemente che la più pura menzogna!
8. Anche un minimo atomo dell'amore di se stessi che trovi ora posto in voi, Miei discepoli, si accrescerà in mille anni fino a diventare montagne intere colme di velenosa zizzania, e sulle vie e sulle strade la Mia Parola verrà chiusa in un muro coprendola con il fango più immondo, perché così la menzogna colma di odio e di orgoglio non se ne scandalizzerà! Ma se voi restate puri nel Mio Ordine, allora vedrete ben presto i lupi e gli agnelli abbeverarsi insieme allo stesso ruscello.
9. Io vi ho dato ora una spiegazione - di cui finora mai nessuno spirito ha avuto il benché minimo sentore - affinché voi possiate rilevare da essa chi sia Colui il Quale solo può impartirvi un tale insegnamento. E perché vi ho dato una simile spiegazione? Non certo solo per l'insegnamento in se stesso, ma affinché ne seguano opere conformi e vere! E perciò voi non dovete essere soltanto ascoltatori inutili e stupiti di dottrine che nessuno prima di Me ha mai predicato agli uomini così apertamente, e così pure non è nemmeno sufficiente che voi ora riconosciate chiaramente che vi sono state comunicate tali cose da Dio stesso, il Padre dell'eternità, ma voi dovete rigorosamente esplorare il vostro cuore per vedere se nel vostro amore non dimori forse ancora qualche atomo di zizzania. Se voi lo trovate, estirpatelo con tutte le sue radici per quanto minime esse siano, e siate poi operosi, con tutto zelo e con tutta sollecitudine, in base al Mio Ordine a voi non più sconosciuto; così facendo raccoglierete il vero profitto della vita per l'eternità!
10. Ma affinché voi possiate anche vedere come tutto ciò sia veramente così come Io ve l'ho spiegato ora, voglio per un breve tempo aprirvi gli occhi (dello spirito), affinché constatiate tutto per vostra propria esperienza. Prestate dunque bene attenzione a tutto quello che vedrete».
Redenzione, rinascita e rivelazione.
1. Ad una visione di questo genere - per ragioni facilmente comprensibili - nessuno era preparato, e così fu tanta e tale l'impressione di stupore e di meraviglia in tutti i presenti, da risultare incomparabile come lo era stata la Mia precedente spiegazione.
2. Molti si picchiarono il petto e gridarono ad altissima voce: «O Signore, Signore! Uccidici! Poiché noi siamo peccatori troppo grandi e troppo spregevoli al Tuo cospetto, e tutto ciò per nostra assoluta inconsapevole e consapevole colpa. Tu solo sei buono e santo, ma ogni altra cosa che porti una veste materiale è perversa e meritevole in sé di essere maledetta. O Signore! Quanto tempo dovremo trascorrere ancora nella nostra materia? Quando mai saremo redenti dall’antica maledizione?»
3. Rispondo Io: «Appunto in questo tempo in cui Io stesso benedico ogni materia, rivestendo Me stesso della vostra antica maledizione, arrecandole nello stesso tempo la benedizione. Ogni Ordine antico nei vecchi Cieli ora cessa insieme ai Cieli stessi, e sulle fondamenta della materia da Me ora benedetta, viene fatto sorgere un nuovo Ordine ed un nuovo Cielo, e a tutta la Creazione come pure a questa Terra deve venire data una nuova organizzazione.
4. Secondo l'Ordine antico, nessuno che fosse stato una volta prigioniero nella materia poteva giungere ai Cieli, ma d'ora innanzi nessuno potrà venire veramente a Me nei Cieli sublimi e più puri se non avrà percorso come Me la via della materia e della carne.
5. Chiunque d'ora innanzi verrà battezzato nel Mio Nome con l'acqua viva del Mio Amore e con lo Spirito della Mia Dottrina e verrà battezzato nel Mio Nome secondo la forza e l’azione[8], sarà mondo per l'eternità dall’antico peccato originale, e con ciò il suo corpo non sarà più un vecchio covo micidiale del peccato, ma sarà invece un tempio dello Spirito Santo.
6. Però ciascuno badi bene di non contaminarlo nuovamente con l'antica velenosa zizzania dell'amore di se stesso; infatti è sufficiente che vi guardiate soltanto da questo e voi santificherete pure la vostra carne e il vostro sangue, e quando il puro spirito in voi perverrà a regnare da solo, allora in lui e attraverso di lui non soltanto l'anima risorgerà alla vita perfetta ed eterna, ma anche la carne e il sangue del corpo, e la pelle ed i capelli.
7. Ecco qual è la differenza tra prima e adesso! Ma così come ora viene disposto, rimarrà disposto anche per l'eternità.
8. Il Sole che fino ad ora sottostava alla maledizione, sarà d'ora in poi colmo di benedizione, e così pure sarà di tutto ciò che esiste nello spazio sconfinato sotto qualsiasi forma! Infatti, come già vi dissi, Io ora faccio nuova ogni cosa, e tutti gli antichi rapporti devono venire cambiati, perché Io stesso Mi sono cambiato rivestendoMi della materia»
9. Però Io aggiungo ancora questo, e dico: “Colui che non crede e non viene battezzato dall'acqua e dallo Spirito nel Mio Nome e per il Mio Nome e per la Mia Parola, per costui i rapporti resteranno quelli antichi! Costoro non entreranno nel Mio Regno, né vedranno il Mio Volto nell'aldilà, ma rimarranno agli estremi confini del Mio Regno, dove sarà tenebra fitta, e notte, e molto pianto e stridore di denti, e la Luce di Vita purissima dei Cieli non perverrà a loro se non così come la luce di una piccolissima stella fissa perviene a questa Terra. E dei Miei veri Cieli della Vita essi ne sapranno precisamente tanto, quanto gli uomini attuali sanno quale aspetto abbiano là le stelle fisse e cosa vi è in esse! Gli uomini possono pensare, giorno e notte continuamente per 1000 volte 1000 secoli, a che cosa siano là in alto quei punti lucenti, ma anche dopo un simile lungo periodo essi ne sapranno precisamente altrettanto quanto ne sanno ora. Col tempo sorgeranno bensì degli uomini che inventeranno degli strumenti per permettere all'occhio di vedere oggetti lontani come se fossero del tutto vicini, ma riguardo alle stelle fisse essi non verranno mai a capo di nulla, perché queste sono troppo distanti dalla Terra.
10. E i pagani che non avranno creduto e che non saranno stati battezzati, si troveranno nell'altra vita, anche nella loro sfera migliore, appunto nella stessa situazione, e contempleranno a distanza grandissima i Miei Cieli e li giudicheranno così come ora gli uomini ammirano il cielo materiale stellato e ne esprimono un giudizio. Fra circa 1000 anni certo essi ne sapranno qualcosa di più di oggi, se non altro essi scopriranno che quelle stelle sono altrettanti soli; ma che cosa sia un Sole, in che modo splenda, quali ne siano le dimensioni e a quale distanza si trovi, quanti pianeti gli girino intorno, in quale modo questi siano costituiti, quale specie di abitanti vi dimorino, quali costumi, idiomi e usanze vigano ed esistano là, di tutto ciò essi non potranno mai venire a capo col loro intelletto!
11. E se anche voi, che ora sapete molto, aveste la possibilità di dirlo a loro, essi tuttavia non vi crederebbero, poiché un intelletto esclusivamente mondano, come lo si riscontra ora ben radicato in molti pagani, nulla crede di tutto ciò che non può vedere con i propri occhi né afferrare con le mani.
12. Sì, anche in quei tempi futuri Io susciterò certo qua e là, fra i veri seguaci del Mio Nome, uomini e donne di casa a cui da parte Mia saranno rivelati tutti i segreti dei Cieli e dei mondi, attraverso il loro cuore pieno d’amore; ma saranno pochi quelli che lo accetteranno come qualcosa di convincente e di vero!
13. Ma coloro a cui ciò sarà rivelato, saranno nella contemplazione, e proveranno una grande gioia, e loderanno ed esalteranno il Nome di Colui che avrà rivelato loro tali cose in modo per loro del tutto convincente e vero, cose che altrimenti nessuna mente umana potrebbe mai penetrare"
14. Sì, a quei tempi ci saranno ancora persone su questa Terra, alla cui vista sarà svelata apertamente, come una Scrittura segreta di Dio, l'intera Creazione. A nessuno, però, che prima non abbia creduto nel Mio Nome e non sia stato battezzato in esso, sarà concessa una tale Grazia!».
Il battesimo. La Trinità in Dio e nell’uomo.
1. Chiede Cirenio: «Signore! Io credo a tutto quello che Tu, o Signore, insegni; ma posso perciò considerarmi anche come già battezzato?»
2. Rispondo Io: «No, battezzato veramente non lo sei ancora, però questo non ha importanza, perché chi crede come te, amico Mio, costui può dirsi battezzato nello spirito, e cioè con tutta la benedizione del battesimo.
3. Gli ebrei praticano certo la circoncisione, che è un battesimo preliminare, e non ha di per se stesso dinanzi a Me nessun valore qualora il circonciso nel corpo non sia anche nello stesso tempo circonciso nel cuore. E per un cuore circonciso Io intendo un cuore mondo, puro e colmo di ogni amore, ciò che ha un valore ben maggiore di tutte le circoncisioni dai tempi di Mosè fino ai giorni nostri. Dopo la circoncisione fu la volta del battesimo con l'acqua, come è stato praticato da Giovanni, e viene tuttora praticato dai suoi discepoli. Anche questo battesimo non ha però in se stesso alcun significato qualora la dovuta penitenza non l'abbia già preceduto, o per lo meno non lo debba immancabilmente seguire.
4. Chi perciò, nel serio proponimento di emendarsi, si fa battezzare con l'acqua, non commette alcun errore; ma costui non deve credere che l'acqua abbia il potere di purificare il suo cuore e di rinvigorire la sua anima, poiché questo lo può fare unicamente la sua propria libera volontà. L'acqua ha soltanto il valore di un segno con cui viene reso manifesto che la volontà, quale l'acqua vivificante dello spirito, ha ormai purificato l'anima dai peccati così come l'acqua naturale purifica il capo e le altre parti del corpo dalla polvere e dalle altre impurità.
5. Chi ha effettivamente ricevuto il battesimo con l'acqua nel vero senso, costui è anche perfettamente battezzato qualora all'atto del battesimo, oppure anche prima, la volontà abbia operato il suo effetto nel cuore del battezzato. Se non si è giunti a questo effetto, allora il semplice battesimo con l'acqua non ha il benché minimo valore, e a questo atto non segue né una benedizione, né meno ancora una qualche santificazione della materia.
6. Così pure anche il battesimo, con l'acqua, dei bambini in tenera età non ha nessun valore, eccetto quello di un semplice segno esteriore per l’accoglienza in una comunità migliore e affinché al bambino venga imposto un nome, il quale però per la vita dell'anima non ha evidentemente alcun significato, ma semplicemente un valore esteriore politico. Per tale motivo si potrebbe imporre al bambino un nome anche senza la circoncisione e senza il battesimo di Giovanni, e ciò sarebbe ai Miei occhi del tutto la stessa cosa, poiché nessun nome santifica un'anima umana, ma soltanto la libera buona volontà di agire rettamente per tutto il corso della propria vita secondo il migliore riconoscimento acquisito. Ogni nome può venire santificato dalla volontà e dalle opere; il contrario invece non sarà mai possibile.
7. Quando Giovanni battezzava, gli venivano portati - anche da parte dei suoi discepoli - dei fanciulli per il battesimo, ed egli anche li battezzava quando contemporaneamente si presentavano dei padrini coscienziosi, i quali si impegnavano con promessa solenne a prendersi la massima e la più zelante cura per l'educazione spirituale dei figliocci. Ebbene, in un caso simile un bambino può anche essere battezzato con l'acqua per dargli il nome, però il battesimo non santifica né l'anima né il corpo del bambino almeno fino a quando costui perviene alla vera conoscenza di Dio e di se stesso e all'uso della sua libera volontà. Fino a quest'epoca il padrino deve con tutta coscienza aver cura che il bambino venga provvisto nel modo migliore di tutto ciò che è necessario per il raggiungimento della vera santificazione, altrimenti il padrino aggrava la propria anima di ogni responsabilità.
8. Per queste ragioni è preferibile fare in modo che il battesimo con l'acqua abbia luogo solo quando l'uomo diventa di per sé idoneo all'adempimento di tutte le condizioni per la santificazione della sua anima e del suo corpo, in virtù della conoscenza acquisita e della propria vocazione spontanea. Del resto il battesimo con l'acqua non è affatto una necessità per la santificazione dell'anima e del corpo; sono sufficienti la conoscenza e l'opera conformi alla Verità di Dio giustamente riconosciuta. Quando però si battezza con l'acqua, allora non occorre affatto adoperare precisamente l'acqua del Giordano perché Giovanni battezzava là; qualsiasi acqua fresca può invece servire a questo scopo. L'acqua di sorgente è ad ogni modo da preferirsi a quella di cisterna, perché essa è più confacente alla salute corporale di quella corrotta delle cisterne.
9. Ma il vero battesimo, l'unico che presso di Me abbia valore, è quello col fuoco dell’amore per Me e per il prossimo, e col vivo zelo della volontà, e con lo Spirito Santo dell'eterna Verità da Dio. Tre sono i capisaldi che nel Cielo rendono per ciascuno una valida testimonianza, e questi sono “l'Amore”, quale il vero Padre, la “Volontà” quale Parola vivente e attiva, ovvero il Figlio del Padre, ed infine lo “Spirito Santo” quale la retta comprensione dell'eterna e viva Verità da Dio, viva e attiva però nell'uomo e solo nell’uomo! Infatti quello che non è nell'uomo e che non avviene sotto la spinta della sua propria volontà personale, non ha valore per l’uomo, e poiché non ha né può avere nessun valore per l'uomo, non può avere valore neanche davanti a Dio.
10. Dio, infatti, nella Sua Individualità è un niente per l'uomo finché l'uomo, attraverso la Dottrina, non riconosce Dio, non fa propria in modo assoluto la Sua Volontà e, animato dall'amore e dal più vivo zelo di volontà, non conforma tutte le proprie azioni soltanto al Suo riconosciuto supremo Volere. Soltanto con ciò l'Immagine di Dio acquista vita nell'uomo, e cresce e compenetra ben presto tutto l'essere umano, e dove avviene questo, allora anche l'uomo penetra tutte le profondità dell'Essere divino, poiché l'Immagine di Dio nell'uomo è un equivalente perfettissimo dell'Uno e stesso Dio dall'eternità.
11. Quando un tale processo si è svolto nell'uomo, allora tutto è santificato inlui, e con ciò si è ottenuto il vero battesimo della rinascita dello spirito. Questo è il battesimo che fa dell'uomo un vero amico di Dio, e lo rende precisamente così perfetto com'è perfetto il Padre in Cielo! Ed Io dico a ciascuno di voi, in modo esplicito, che tutti voi dovete cercare con tutte le vostre forze di diventare appunto così perfetti com'è perfetto il Padre in Cielo! Chi non giunge a questa perfezione, costui non giunge al Figlio del Padre.
12. Ma chi è dunque il Figlio? Il Figlio è l'Amore del Padre, Egli è l'Amore dell'Amore, Egli è il Fuoco e la Luce, Egli è il Figlio dell'Amore, ovvero della Sapienza del Padre. Se quindi l'Immagine del Padre è in voi, Essa deve diventare altrettanto perfetta quanto lo è dai primordi il Padre stesso di ogni cosa, altrimenti non sarebbe l'Immagine del Padre; se quale Immagine non fosse perfetta, da dove potrebbe venire all'uomo la sapienza, ovvero come potrebbe l'uomo giungere alla vera sapienza?
13. Come però il Padre è sempre in Me, così Io pure sono nel Padre, e così voi ugualmente dovete essere in voi stessi, e così voi pure sarete in Dio, e Dio sarà in voi. Come Io e il Padre siamo Uno, ugualmente anche voi dovete essere dapprima in voi stessi una sola cosa con l'Immagine del Padre in voi. Ma se siete tali, allora siete poi diventati anche una sola cosa con Me e con l'eterno Padre in Me, poiché Io e il Padre in Me siamo perfettamente una cosa sola dall'eternità!»
14. A questo punto i discepoli esclamano: «Signore, noi non comprendiamo queste cose! La Tua Dottrina diventa difficile da capire! Noi Ti supplichiamo caldamente di volerTi spiegare in modo più chiaro anche a questo riguardo!»
15. Dico Io: «Ma anche voi non riuscite a capire ancora? Per quanto tempo dovrò Io ancora sopportarvi così? O razza tuttora pervertita! Eppure vi deve essere dato di comprendere il mistero del Regno di Dio sulla Terra!
16. Dove sono dunque i pensieri del vostro cuore? Parecchie volte vi ho già spiegato Chi è il Padre e Chi il Figlio, e vi ho anche spiegato che Padre e Figlio stanno nello stesso rapporto come l'Amore e la Sapienza, ovvero come il Calore e la Luce; Io vi ho già dimostrato come la luce senza il calore non sarebbe di nessuna utilità, ma che anche un calore senza luce non porterebbe alcuna spiga a maturazione nei campi. Io vi ho indicato come dal calore derivi sempre una luce, poiché il calore è la prima espressione di una qualche determinata attività; però la manifestazione di un’attività è la luce, la quale si accresce man mano che si accresce una qualche ordinata attività! E nonostante ciò voi non intendete cosa sia “una cosa sola” del Padre con il Figlio e “una cosa sola” tra voi e Me!»
17. Dicono i discepoli: «Signore, non avertene a male! Ora abbiamo compreso, e nel caso in cui dovessimo accorgerci di qualche lacuna, allora la potremo colmare in seguito come si conviene!»
18. Ed Io osservo: «Io so bene che sarà così, ma queste cose ve le dissi perché Io Mi accorsi che a voi interessava più domandare che sapere».
Dell'ordine mosaico dell'alimentazione.
1. Dice allora Cirenio: «Io stesso sono rimasto meravigliato che i Tuoi discepoli non avessero compreso quello che io e di certo anche tutti gli altri abbiamo pur compreso benissimo. Ma poiché Tu, o Signore, Ti trovi ben disposto a darci chiarimenti su cose che nessuno prima di Te ha mai potuto spiegare, io desidererei sentire da Te come sia da considerare la faccenda della proibizione ebraica di gustare cibi impuri, nonché di toccare certe cose classificate come immonde! Noi pagani finora abbiamo mangiato di tutto, eppure secondo i nostri principi non siamo diventati impuri; così pure anche gli antichi egiziani si cibavano di tutto quello che il tempo e l'esperienza dimostravano che si poteva mangiare, e non mi risulta che ci fosse nulla di impuro; al contrario, io so dalla storia che l'Egitto ha portato sul suo suolo degli spiriti purissimi e veramente grandi, e anche presso noi romani ve ne sono stati in tutti i tempi. Perché dunque proprio gli ebrei dovettero fare a meno di tante cose?»
2. Dico Io: «Perché la loro stirpe, mantenuta integra da Adamo fino ad oggi, proveniva dall'Alto, e da lì proviene ancora oggi in grandissima parte, ed era destinata ad accoglierMi in mezzo a loro nel mondo e in questa materia per la salvezza di tutte le creature. Tu hai ben udito come per mezzo Mio tutta la materia sia stata ora benedetta e santificata, essendoMi Io stesso rivestito di materia? Tu Me lo confermi nel tuo animo! Vedi, prima della Mia discesa su questa Terra, cosa di cui ti sei reso ben conto, la Terra giaceva più o meno sotto il peso della maledizione, però non perché Dio l'avesse maledetta, ma perché essa - quale un complesso spirituale contrattosi e irrigiditosi per effetto dell'amore di se stessa, dell'egoismo, dell'orgoglio e della brama di dominio - si era creata da sola la propria maledizione.
3. Tuttavia vi furono e vi sono ancora nella materia diversi livelli e gradazioni di durezza fra il molto duro, il più o meno duro e il quasi del tutto privo di durezza. Ma quanto più dura è una materia qualsiasi, tanto più selvaggia e immonda è anche in se stessa, poiché lo spirituale, contrattosi e irrigiditosi in essa, consiste in una parte proporzionalmente crescente della nota zizzania.
4. Gli animali che si sono accompagnati agli uomini immediatamente dal primo momento in cui la Terra cominciò a popolarsi di uomini, come ad esempio il bue, la pecora, la capra e fra gli uccelli la gallina e la colomba, sono certamente di natura più pura e di carattere più mansueto, e la loro carne, per l'uomo proveniente dall'Alto, è stata senza dubbio il nutrimento più confacente agli scopi della conservazione in uno stato di maggiore purezza dell'anima, ma perfino questi animali dovevano essere perfettamente sani, e non dovevano neppure venire macellati durante il periodo dell'amore, perché in tale epoca anche l'animale abitualmente mondo diventa immondo.
5. Più tardi però ancora altri animali, come ad esempio il cavallo, l'asino, il cammello, il maiale, il cane e il gatto si accompagnarono all'uomo, ma già da principio piuttosto ai figli di questo mondo, mentre ad eccezione del solo asino, e successivamente pure del cammello, gli animali anzidetti mantennero e mantengono tuttora rapporti molto tenui di amicizia con gli ebrei.
6. Un autentico ebreo ha ancora oggi un particolare timore del cavallo e del cane, non è amico del gatto e nemmeno si fida troppo del cammello; gli uccelli acquatici domestici gli ripugnano, e il tacchino poi e la faraona non li può soffrire per tutto l'oro del mondo, e passerà ancora molto tempo prima che egli divenga amico di questi animali. Per tutto ciò i veri ebrei hanno una ripugnanza assai grande, mentre i greci, come pure voi romani, ne avete già da lungo tempo ricavato un arrosto molto saporito e molto ben accetto.
7. Ora però le cose sono naturalmente diverse e lo saranno ancora di più quando Io sarò ritornato a Casa! A prova di ciò, dopo il Mio ritorno, nel grande giardino del fratello Cornelio Io indicherò ad uno dei Miei discepoli, il quale è ancora un rigido ebreo d'antico stampo, quali specie di cibi potranno in futuro venire mangiati senza alcuno scrupolo.
8. Ecco dunque che ti ho spiegato anche la ragione di tali prescrizioni mosaiche agli ebrei riguardo ai cibi, e voi tutti dovete ormai avere le idee chiare! Perciò è anche tempo di passare all'argomento per il quale noi ci siamo veramente e principalmente radunati su questo monte».
Una predizione sulle attuali rivelazioni.
1. (Continua il Signore:) «Io dissi che voi avreste visto oggi delle cose meravigliose del genere più raro, tuttavia, fatta eccezione per il globo luminoso che Raffaele ha portato qui dall'altipiano interno dell'Africa, non è ancora accaduto nient'altro, quantunque metà della notte sia già trascorsa. Prima ho richiamato la vostra attenzione sul fatto che vi avrei aperto gli occhi per un breve tempo, affinché voi poteste per il momento guardare semplicemente cosa succede veramente nel mondo.
2. Prima però di fare questo, Io dico e addirittura ordino a voi tutti di non dire proprio a nessuno qualcosa delle visioni, poiché ci vorrà ancora molto prima che l'umanità del mondo sia matura per queste cose, e in fondo per la salvezza delle loro anime non è affatto necessario che l'umanità del mondo venga a conoscenza di questo! Ma basterà che essa si prenda molto a cuore di amare Dio sopra ogni cosa e il prossimo come se stessi, ed allora ogni altra cosa ancora le verrà senz'altro rivelata nel limite del necessario.
3. Ma voi, che siete i primi pilastri fondamentali della Mia Dottrina, dovete segretamente conoscere più cose di tutti gli altri presi assieme, affinché dopo qualche tempo non possiate assolutamente arrivare alla tentazione di allontanarvi da questa Mia Dottrina.
4. Ma ad ogni modo tutto ciò non andrà perduto, e quando - a contare da oggi saranno trascorsi mille anni e quasi altri mille anni interi e la Mia Dottrina si troverà interamente sepolta nella più immonda materia, allora in quel tempo saprò Io suscitare di nuovo degli uomini i quali trascriveranno fedelmente parola per parola ciò che è stato trattato qui da voi e da Me, e quello che è accaduto qui, e lo presenteranno al mondo - raccogliendolo in un gran libro - così che a tale mondo saranno, sotto molti aspetti, nuovamente aperti gli occhi!»
5. Nota bene: tu, Mio servitore e scrivano, pensi dunque che Io quella volta abbia appena accennato a queste cose? Vuoi diventare debole pure nella fede come lo sei ancora nella carne? Vedi, Io ti dico che a Cirenio e a Cornelio ho fatto allora perfino il tuo nome e quello di parecchi altri, ed essi sono anche ora fra i più giubilanti testimoni di tutto quanto Io vado ora dicendoti nella penna. Ma alla fine Io indicherò anche a te il nome di qualcuno che da qui a duemila anni metterà per iscritto e farà cose ancora più grandiose di quelle che fai tu! Prendi nota di questo per il momento, e scrivi tutto con piena fede!
6. In merito a ciò, Cirenio si meravigliò molto e Cornelio Mi chiese che Io gli dessi maggiori dettagli sugli uomini ai quali sarebbe stato conferito un tale incarico.
7. Ed Io ne indicai a loro la condizione e il carattere, e perfino i nomi, ed aggiunsi: «Uno di coloro ai quali verrà fatta la maggior parte delle rivelazioni, più che ora a voi tutti, discenderà in linea maschile direttamente dal figlio maggiore di Giuseppe, e sarà quindi, in quanto al corpo, anche un discendente diretto di Davide. Egli sarà certo debole nella carne come Davide, ma in compenso tanto più forte nello spirito! Beati coloro che lo ascolteranno e conformeranno la loro vita in base alle sue parole!
8. Però anche altri grandi risvegliati saranno per la maggior parte discendenti di Davide. Infatti, cose simili possono venire date soltanto a coloro i quali derivano anche nella carne da quella stirpe da cui discendo pure Io per via della carne, poiché anch’Io discendo da parte di Maria, la Madre di questo Mio Corpo, da Davide, dato che anche Maria è una figlia purissima di Davide. Certo, in quei tempi, tali discendenti di Davide dimoreranno per la maggior parte in Europa, ma saranno comunque discendenti purissimi e genuini di quell’uomo che era secondo il cuore di Dio, e saranno idonei a fungere da portatori della maggiore potenza di Luce dai Cieli. Ad un trono terreno essi davvero non perverranno mai, ma tanti più troni li attenderanno invece nel Mio Regno; ed Io certo Mi ricorderò in ogni tempo dei Miei fratelli! Anche la maggior parte dei Miei discepoli qui presenti discende da parte maschile da Davide; essi sono perciò in quanto al corpo, in tutta serietà, fratelli Miei, eccetto uno il quale non è dall'Alto, ma proviene invece soltanto da questo mondo. Egli veramente non dovrebbe essere qui, eppure è necessario che lo sia affinché ciò che sta scritto trovi adempimento!»
9. Dice Cirenio tutto sorpreso: «Dunque soltanto alla posterità di Davide rivelerai sempre la Tua Volontà? Allora anche Mataele, Zinca e Zorel sono della stirpe del gran re? Infatti, anche a questi Tu riveli ora le stesse cose come ai discendenti di Davide!»
10. Dico Io: «Amico, quello che avviene qui non accade attraverso la via della Rivelazione segreta, ma avviene mediante parole dette a viva voce e bene percettibili ad ogni orecchio di carne! Ma tutt'altra cosa è invece percepire la Parola segreta interiore che dal Mio Cuore arriva nel cuore di colui che la percepisce in sé; ed a tale scopo vi deve già essere una certa discendenza predisposta di uomini il cui interiore è atto a sopportare l’Onnipotenza e la totale Forza della Mia Parola! Infatti, già un solo jota proveniente in via diretta da Me basterebbe a distruggere e ad uccidere chiunque non fosse preparato. Invece, una volta che la Parola è scritta, allora quegli uomini che sono di buona volontà e di buon sentimento possono leggerla, ed essa non soltanto non li ucciderà, ma li irrobustirà e li rafforzerà per la Vita eterna.
11. Però, se la gente perversa del mondo volesse leggerla per schernirla, essa, quantunque soltanto scritta, la annienterebbe e la ucciderebbe! Adesso tu sai come stanno anche queste cose, ed ora Io vi dico dunque di tenervi pronti ad assistere alle meraviglie del divenire, dell'essere e del permanere per l'eternità!»
12. Dice Cirenio: «Signore, siamo pronti ad osservare quello che la Tua Grazia immensa e del tutto particolare vorrà offrirci, ma vorrei soltanto, se possibile, avere prima da Te una risposta ad una mia domanda molto piccola!»
13. Dico Io: «Chiedi pure ed Io ti risponderò!».
La chiamata alla Parola interiore.
1. Allora Cirenio domanda: «Signore! Se a percepire in spirito la Tua santa Parola saranno in avvenire idonei soltanto coloro che avranno una predisposizione, per così dire, perfino nel corpo ed altresì particolarmente nell'anima, allora mi sembra che ciò gioverà poco ai non idonei, anche se questi saranno pervenuti all'effettiva rinascita dello spirito. Essi non verranno ritenuti degni della grazia di percepire la Tua Parola nel loro cuore, poiché essi non potrebbero sopportarla non essendovi preparati e predisposti già fin dai tempi di Davide. Io però sono dell'opinione che tutti gli uomini, siano essi dall'Alto o dal basso, se vivono conformemente al Tuo Volere, dovrebbero anche arrivare alle stesse facoltà. Lo spirito, che penetra la loro anima ed infine perfino il loro corpo, sarà pur atto a sopportare una Tua Parola!»
2. Ed Io gli rispondo: «Amico Mio! Tu Mi sei molto caro, ed Io ti stimo e apprezzo molto, ma qui con questa tua domanda hai ancora una volta giudicato a tale proposito come un cieco giudica i colori dell'arcobaleno. Sulla scorta di questi tuoi giudizi, dovrei perfino meravigliarMi che le membra del tuo corpo non si siano già da molto tempo ribellate contro il tuo capo per il fatto che anch'esse non sono state dotate di quelle facoltà di cui il tuo capo può vantarsi.
3. I tuoi piedi sono di per sé ciechi e sordi, e oltre all'aver avuto una sorte crudele, devono compiere il più duro lavoro. Le tue mani devono attuare esteriormente il tuo volere, e sono costrette a fare ora questo ed ora quel servizio, eppure non hanno occhi per vedere la bella luce del giorno, né orecchi per udire la sublime armonia del canto; a loro mancano inoltre i sensi dell'odorato e del gusto per assaporare i gradevoli aromi della vita! Converrai tu pure che a tale riguardo queste membra si trovano rispetto al capo in condizioni di inferiorità molto grande.
4. E allora il cespuglio di spine sarebbe giustificato se si lamentasse verso la vite e le dicesse: “Cosa ho fatto mai di male perché mi sia stata negata la grazia di poter anch'io una volta ornarmi dei tuoi magnifici grappoli?”.
5. Dunque, tu non sai forse ancora che da parte Mia tutto è misurato nel modo più esatto e che ogni cosa ha la sua precisa destinazione? Come appunto avviene che - tra le differenti membra del tuo corpo - un membro, con le facoltà a lui proprie, giova a tutte le altre membra, così anche gli uomini sono singolarmente dotati delle capacità più varie e possono rendersi reciprocamente utili, ed è proprio questo che condiziona e costituisce la beatitudine suprema della vita.
6. Se il tuo capo e il tuo cuore sono sereni, anche tutte le tue membra saranno liete e serene; ma se soltanto un qualsiasi piccolissimo membro del corpo è sofferente, allora svanisce anche la serenità del capo, del cuore e di tutte le membra di per se stesse perfettamente sane! Tutte sono afflitte a causa di quell’unico che soffre, e fanno ogni possibile sforzo per venire in aiuto a quell’unico membro e farlo risanare.
7. È certamente una bella missione quella di possedere la facoltà di percepire la voce del Mio Amore, di metterla per iscritto e di comunicarla agli altri uomini ai quali questa facoltà manca, nel caso in cui ne sentissero il desiderio. Ma una facoltà altrettanto bella del cuore è quella di conservare nel cuore ciò che si è sentito e conformarvi la propria vita. Se un uomo, anche se proviene dal basso, si è acquistato in tal modo la rinascita del proprio spirito, egli avrà una ricompensa certamente adeguata, e si lamenterà altrettanto poco di coloro che sono atti a percepire la Mia Parola, quanto il tuo dito mignolo possa essersi mai lamentato di non essere diventato un occhio del tuo capo! DimMi ora se sei soddisfatto di questa risposta!»
8. Dice Cirenio: «Signore! Sono più che perfettamente soddisfatto! Non Ti molesterò più con simili domande banali. Ma ora abbi la Grazia di farci vedere qualcosa, e noi non Ti disturberemo più oltre!».
Uno sguardo nel mondo degli spiriti naturali.
1. (Dico Io:) «Vedete, a tale scopo Mi sono fatto portare qui dal centro dell'Africa questo globo luminoso per svelare dinanzi a voi il mondo degli spiriti naturali, e ciò non in maniera prodigiosa, ma piuttosto seguendo una via naturale per voi finora ancora del tutto sconosciuta.
2. La luce di questa pietra ha la proprietà di influire sui nervi vitali attraverso la cavità dello stomaco, in modo che l'anima diriga là, dopo un'azione prolungata di questa luce, la sua facoltà visiva, e cominci a percepire per questa via perfino le cose più nascoste. Dunque, ora la vostra vista si trasferirà del tutto in quel punto, e voi potrete vedere meglio ad occhi chiusi che non con gli occhi della carne spalancati.
3. Anche la Luna produce un simile effetto su alcune persone, mai però in modo così accentuato e in grado tanto alto come appunto questa pietra. Chiudete dunque i vostri occhi, ed accertatevi se con la cavità dello stomaco vedete meglio che con gli occhi naturali».
4. A queste Mie parole tutti chiusero gli occhi e non trovarono espressioni sufficienti per manifestare la loro meraviglia quando ebbero constatato l'acutissimo potere visivo dell'anima attraverso la cavità dello stomaco.
5. Soltanto Mataele ed i suoi quattro compagni dissero: «Per noi questa meravigliosa facoltà visiva non è affatto nuova, perché è proprio in questo modo che noi abbiamo visto spesso le cose più straordinarie e siamo passati più di una volta attraverso luoghi che nessun mortale, nello stato di veglia naturale, avrebbe potuto attraversare senza rischiare di fare la più spaventosa delle cadute. Noi vedevamo nello stesso tempo tutta l'aria - come pure l'acqua dei mari, dei laghi, dei fiumi e dei ruscelli - sempre fittamente popolata di ogni genere di figure e di larve meravigliose che si muovevano nell'aria più o meno rapidamente in tutte le possibili direzioni dei venti, ed esse si libravano in alto e in basso, oppure si muovevano roteando ora lentamente ed ora velocemente. Alcune si posavano sul suolo, per così dire, come fiocchi di neve, e si appiattivano in un certo qual modo nei solchi con tutta rapidità; qualcuna veniva assimilata come la rugiada dalle piante, altre venivano assorbite dal terreno, ed altre ancora da minerali di ogni specie.
6. Quelle che si appiattivano nei solchi, e quelle assorbite dal regno vegetale e da quello minerale, non riapparivano più, però dove c'era un albero od una pianta che stavano marcendo, o dove c’erano resti di un animale in putrefazione, là sorgevano forme nuove di ogni genere - da principio con l’aspetto di un leggero vapore luminoso - le quali ben presto si afferravano a centinaia di migliaia, fondendosi poi in una forma già molto bene sviluppata.
7. Una volta che la forma si era completata in questo modo, non passava molto che essa cominciava a muoversi come fosse guidata da una specie di coscienza propria, facendo come fa il cane quando va in cerca di qualcosa di cui il suo buon fiuto gli ha manifestato la presenza in qualche luogo.
8. Noi vedevamo questi esseri librarsi abitualmente incontro alle greggi di pecore, di capre e alle mandrie di buoi; raggiunta una di queste, essi si fermavano tra le bestie e, in occasione di un accoppiamento, atto al quale sembrava che questi animali venissero molto stimolati da questi esseri, quest’ultimi venivano assorbiti proprio dagli animali che si accoppiavano, come la rugiada sull'erba divenuta alquanto secca, e non ricomparivano più alla vista.
9. Molte di queste forme si spingevano anche verso le acque e nuotavano per qualche tempo qua e là come scivolando leggermente sulla superficie; alcune si immergevano poi decisamente nell'acqua, altre invece si stringevano insieme in una massa nebulosa, e si immergevano nell'acqua solo dopo essersi fuse in una nuova forma che non di rado assomigliava ad un animale acquatico.
10. Ma la cosa più strana era che noi vedevamo sorgere nell'acqua sempre un'immensa varietà di figure, di larve e di forme, e queste avevano un aspetto all’incirca come di insetti volanti di ogni tipo, come pure di uccelli grandi e piccoli di ogni possibile specie. In effetti essi erano muniti di ali, di zampe e di altre estremità sviluppate benissimo, ma non se ne servivano come gli uccelli, perché tutte le estremità erano penzolanti. Queste figure si libravano nell'aria come della lanugine, e soltanto al passaggio di veri uccelli vicino a loro, si potevano osservare dei reali sintomi di vita in queste larve e forme nebulose. Esse si accompagnavano poi allo stormo, ed in breve venivano come divorate da esso.
11. Inoltre noi scorgevamo come una specie di chiaro pulviscolo piovere giù dall'alto, talvolta più fitto e talvolta meno fitto, e con particolare frequenza lo si poteva osservare sulla superficie delle acque. Esaminando più da vicino questo pulviscolo, si poteva constatare anche in esso l'esistenza di certe forme che avevano l'aspetto o di minutissime uova, oppure di animaletti acquatici straordinariamente piccoli e tale pulviscolo veniva anch'esso inghiottito ben presto dall'acqua.
12. Oh, molte cose ci sarebbero da raccontare a questo riguardo se ci fosse tempo, ma quello che prima noi vedevamo nella nostra infelice condizione, ora lo rivediamo invece ad occhi chiusi, e questa visione ridesta in noi la memoria che adesso ci ricorda ad alta voce: “Voi avete visto tutte queste cose per parecchi anni di seguito, ogni sera e ogni notte!”. Talvolta noi avevamo le stesse visioni anche durante il giorno, quando il cielo assumeva un aspetto torbido e cupo. Naturalmente allora noi non sapevamo affatto cosa pensarne, ora però fortunatamente comprendiamo la cosa, e sappiamo quali sono le cause e cosa essa sia! Ti sia resa, o Signore, ogni lode, e a Te solo vadano il nostro amore, la nostra gratitudine e la nostra adorazione!».
Giara e gli spiriti naturali.
1. Esclama Giara, che è seduta lì accanto: «Ma Signore! Cosa sono dunque questi piccoli ometti? (gnomi). Essi sono venuti qui dal bosco, ci attorniano a schiere e sono di tutti i colori! Alcuni sembrano portare una veste vaporosa, ma per la maggior parte sono del tutto nudi, e tutti hanno appena la grandezza di un bimbo di soli due anni»
2. Dico Io: «Costoro sono anime umane di questa Terra, già tangibili, che non hanno ancora percorso la via della carne. Essi finora non si sentono neppure particolarmente inclini ad un simile passo, perché temono troppo un nuovo incarceramento nella materia. Quelli vestiti hanno perfino una specie di linguaggio, che naturalmente non è gran cosa, però una certa intelligenza scimmiesca la possiedono tutti!»
3. Domanda Giara: «Quelli vestiti mi comprenderebbero se io rivolgessi loro la parola?»
4. Le dico Io: «Se proprio lo vuoi, prova a tuo rischio e pericolo!»
5. Allora Giara prende il coraggio a due mani, e chiede ad uno degli ometti che appare coperto da una veste vaporosa azzurro-chiara: «Chi siete voi dunque, e che cosa volete qui?»
6. L'omino azzurro giunge vicinissimo a Giara, la guarda a lungo, e poi dice con gli occhi sbarrati: «Chi ti ha ordinato, fetente carnaccia, di interrogare noi, esseri puri? Fatta eccezione di Uno e anche di un altro, voi tutti avete addosso un odore estremamente ributtante di materia, e questo è il più grande nemico delle nostre narici. Per l'avvenire interrogaci solo quando tu, carogna puzzolente, avrai ricevuto un ordine da parte dell'onnipotente Spirito di tutti gli spiriti; in caso diverso bada ai fatti tuoi, e cerca piuttosto di vedere come potrai liberarti alla meno peggio da quel tuo sacco tarlato di carne!»
7. Allora Io domando a Giara: «Ebbene, figlioletta Mia, che ne dici di questa risposta?»
8. Esclama Giara: «Signore! Signore! Oh, questi esseri sono proprio di una rozzezza e grossolanità orribili! Ma sono io davvero una carogna tanto puzzolente? Questa cosa mi ha tanto addolorato che non so quasi più raccapezzarmi; oh, c'è quasi da abbandonarsi alla disperazione!»
9. Dico Io: «Guarda un po', invece, figlioletta Mia; questo spiritello non ti ha fatto che del bene! Ma perché la prendi così male? Egli certamente avrebbe potuto dirtelo con parole più gentili, dato che in te c'è ancora, anche se molto nascosto, un piccolo orgogliuccio dovuto alla tua bellezza, però egli non è un oratore forbito e dispone solo di un vocabolario appena sufficiente ad esprimere più le sue sensazioni che non una qualche intelligenza.
10. Ed ora, la felicità del tuo animo dovrebbe forse venire distrutta per il semplice fatto di avere interrogato quell'omino azzurro? Ebbene, che cosa sarebbe successo invece, se tu avessi domandato qualcosa di simile ad uno di quelli dal colore rosso fiamma invece che ad uno azzurro? Quello si che ti avrebbe dato una risposta da farti davvero cadere in svenimento dalla rabbia! Ora dunque ringrazia l'omino azzurro per il beneficio che ti ha procurato, e poi si potrà parlare meglio con lui»
11. Allora Giara prende a cuore queste Mie parole, e dice subito allo spiritello che la sta sempre fissando rigidamente: «Io ti ringrazio, o caro omicino, per il beneficio che mi hai procurato con le tue schiette parole dette senza alcun riguardo; ed ora ti chiedo solo di non essere imbronciato con me per ciò! Non è vero, caro omicino, che tu non me ne serberai rancore?»
12. A questo punto l'omino scoppia in una sonora risata, e dice sempre ridendo: «Se me l'avesse detta Chi te l'ha suggerita, la cosa sarebbe certo in ordine, ma non così, poiché me l'hai detta tu, piccola ochetta bianca, perché sul tuo suolo puzzolente non è cresciuto né il pensiero né la volontà. Tuttavia, in ogni caso mi sei diventata un po’ più sopportabile di prima; soltanto l'orgogliuccio della tua bellezza è ancora ben lontano dall'essersene andato via completamente da te! Non credere di essere un chissà che cosa, poiché tutto quello che è tuo, è cattivo, mentre ciò che è buono in te, non ti appartiene, ma appartiene a quell'Altro là»
13. Dice Giara: «Ma dimmi un po', o mio caro ometto, com'è che tu sai tutte queste cose?»
14. Risponde l'omino, nuovamente ridendo: «Ciò che si vede, non c'è bisogno di saperlo. Anche tu ora vedi più di quanto puoi vedere nel tuo solito stato normale. Se io vedo più di te, è per il fatto che non ho della fetida carne appiccicata addosso, e perciò vedo anche con precisione come tu e ciascun altro di voi siete fatti. Io te lo ripeto: “Non ti gloriare affatto di tutti i tuoi pregi, poiché per lungo tempo ancora essi saranno un bene per te sconosciuto!”»
15. Dice Giara: «Ma, come mai? Spiegami un po' più precisamente la cosa!»
16. Risponde l'omino: «Se qualcuno che abbia viaggiato molto e che, a prezzo di molte fatiche e disagi, abbia acquisito ogni genere di conoscenze e di esperienze, ebbene, se costui ti comunica quello che ha visto e sperimentato, allora tu pure saprai ciò che egli stesso sa e conosce; ma tu perciò puoi fartene un merito? È chiaro che ora tu sai molto più di prima, ma il merito è solo di colui che con molto sacrificio si è procurato tali conoscenze ed esperienze, e che in secondo luogo è stato anche tanto buono da comunicarti fedelmente il tutto; ora dimmi: “Puoi considerare un tuo merito l'avere acquisito tali esperienze e conoscenze?”.
17. Vedi, tu sei un libro scritto con conoscenze ed esperienze molto utili e buone, ma sei ancora ben lontana dall'essere la saggia autrice del libro! A chi spetta in tal caso il merito delle buone cose che stanno scritte nel libro? Spettano forse al libro, oppure a colui che ha scritto tutto ciò che c’è nel libro? Vedi, tu sei certo un libro ben scritto, ma sei ben lontana dall'esserne l'autrice! Ed è per questo motivo che non devi gloriartene per niente!»
18. A questo punto l'omino prorompe di nuovo in una sonora risata, si rizza sulla persona come in atto di comando, e dice al suo esercito: «Ed ora, se siete sazi di ammirare tale compagnia, procediamo pure innanzi, poiché qui non ne posso proprio più del fetore nauseante di questo carname!».
19. Così d'un tratto se ne vanno, e scompaiono nel bosco.
L’essenza e l’opera degli spiriti naturali.
1. E Giara dice: «Chi mai sarebbe andato a cercare tanta sapienza in questi omicini aerei! Ma alla fin fine io sono tuttavia lieta che se ne siano andati, poiché col tempo avrebbero finito col riscaldarci stranamente l'ambiente, quantunque sembrassero essere di natura del tutto fredda. Di amore non pare che ce ne sia molto in loro, però sanno distinguere molto bene il vero dal falso. Che cosa ne sarà di queste creature nel caso in cui esse non vorranno assolutamente percorrere la via della carne?»
2. Ed Io rispondo: «Verrà il giorno in cui esse la percorreranno, ma ci vorrà ancora molto tempo prima che si decidano. Quelli di colore chiaro-azzurro saranno i primi, mentre gli altri si faranno ancora attendere molto.
3. Infatti le anime che in questo modo sono provenute dalla natura di questa Terra, e che ne provengono quotidianamente, si decidono molto difficilmente ad un tale passo; soltanto le numerose esperienze, la notevole conoscenza acquisita e le speranze migliori che da queste ne derivano, sono atte ad indurle a farlo, e lo fanno quando giungono a riconoscere con certezza che, seguendo la via della carne, non avranno mai nulla da perdere, bensì solo da guadagnare, poiché nel peggiore dei casi esse potranno ridiventare quello che sono ora.
4. Queste anime naturali si trattengono di preferenza sulle montagne, ma visitano anche le abitazioni della gente povera e schietta che conduce una vita molto semplice, e fanno loro del bene; soltanto non bisogna offenderle, perché in tal caso la loro vicinanza non è troppo consigliabile.
5. Esse frequentano segretamente anche le scuole degli uomini ed apprendono molte cose sugli uomini. Ai minatori esse indicano non di rado i migliori e più ricchi giacimenti di minerali, mentre sugli alti pascoli si rendono utili ai pastori e alle loro greggi, basta che non vengano offese.
6. Esistono ancora su questa Terra parecchie di tali anime naturali che hanno raggiunto quasi cinque volte l'età di Matusalemme, e che non hanno iniziato ancora il cammino sulla via della carne. A loro tutto starebbe bene: soltanto la perdita del ricordo, più che di ogni altra cosa, li trattiene, perché considerano questo fatto come una specie di morte della loro vita presente.
7. Ed ora voi sapete anche quello che riguarda questi esseri. Fate attenzione dunque a ciò che seguirà»
8. Allora anche il nostro vecchio Kisjonah da Kis apre la bocca e dice: «O Signore, quando Tu alcune settimane fa mi facesti la grazia di trattenerTi in casa mia, quante cose grandi e meravigliose non abbiamo avuto occasione di vedere e di udire! Ma di tutto quello che è successo e che si è udito e visto nel paio di giorni che io mi trovo qui, non vi è nessuno in tutta la Galilea che ne abbia mai avuto il benché minimo sentore neppure in sogno! Signore, perdona se io mi sono azzardato interromperTi con la mia stolta bocca, perché qui non si dovrebbe mai dire nemmeno una parola, ma si dovrebbe invece soltanto ascoltare e guardare, e anche se al momento non si comprende qualcosa perfettamente, con un po’ di pazienza la spiegazione viene ben presto da sé. Ed ora anch'io ho finito»
9. Dico Io: «Oh, Mio carissimo amico Kisjonah, tu parla e chiedi come e quanto desideri. Le parole dalla tua bocca risuonano dolcissime agli orecchi del Mio cuore, poiché il suono della voce dell'umiltà è per Me di gran lunga la più deliziosa delle armonie.
10. Anche tu ieri hai udito il suono sublime che il Mio angelo Raffaele ha emesso, ma per quanto soave e celestiale sia stato quel suono, tuttavia il suono purissimo della vera umiltà risuona al Mio orecchio incomparabilmente molto più sublime.
11. Tu pure sei un vero uomo secondo il Mio Cuore, ed Io voglio passare il periodo invernale in casa tua; ed allora si presenterà ancora più di un'occasione di dare a te e alla tua casa altre delucidazioni su vari argomenti. Rimani dunque sempre di lieto animo, e osserva ora tutto ben attentamente; le spiegazioni poi non resteranno certo a mezza via»
12. Dice Kisjonah: «O Signore! Io veramente non sono affatto degno di tanta grazia; certo però quest'inverno sarà per me un tempo di immensa beatitudine. Oh, io già pregusto le gioie che attendono la mia casa! Ma ora basta così, e non una sola parola esca dalle mie labbra»
13. Osserva Cirenio: «Anch'io mi riservo di essere ospite in casa tua ogni tanto, e farò tutto quanto starà in me per provvedere nel miglior modo all'intero circondario, cioè ai più poveri!»
14. Dice Kisjonah: «Illustre governatore, questo sarà molto ben fatto da parte tua, e sarà pure una grande gioia per me; ora però sarebbe meglio se non interrompessimo troppo con le nostre parole, dato che davanti ai nostri occhi passano continuamente prodigi su prodigi, e noi li osserviamo con troppo poca attenzione!».
Un groviglio di sostanza animica.
1. Dopo di ciò Mataele esclama: «Oh, oh, che cos'è quella massa mostruosa che si libra laggiù nei pressi della città? Ecco che si avvicina sempre di più verso noi. Guardate un po' come in essa tutto ondeggia confusamente e si torce come un groviglio di serpenti! E quanto strane sono mai tutte quelle figure! Io vi scorgo già chiaramente dei buoi, vacche e vitelli, pecore, gallinacei, piccioni ed ogni altro genere di uccelli, poi mosche e insetti di ogni specie e qualità. Vi sono anche degli asini, qualche cammello, gatti, cani, una coppia di leoni, pesci, vipere, serpenti, lucertole, grilli, inoltre della paglia, ogni tipo di legname, una massa di grani di cereali, vestiti, frutta, e perfino ogni tipo di utensili ed anche una quantità di altre cose svariatissime che non riconosco affatto! Cosa mai può rappresentare tutto ciò? Che siano forse delle anime anche queste, che sembrano cucite tutte come dentro un sacco enorme e trasparente, nel quale si agitano tutte in un modo confuso, come la pula sciolta in un vortice di vento?»
2. Dico Io: «Queste sono anime, o i relativi spiriti di classe inferiore, i quali si tengono ancora per qualche tempo uniti assieme come compagni di sventura, e si separeranno solamente quando saranno diventati più maturi dentro quel sacco visibile, dove si nutrono.
3. Tutto ciò che esiste al mondo sotto qualsiasi forma, è nella sua essenza una sostanza animica; ma se per un motivo qualsiasi la sostanza animica viene disgregata nella sua coesione materiale e resa in tal modo animicamente libera, allora essa, dopo la disgregazione, si costituisce di nuovo nella sua forma materiale iniziale, e continua a sussistere ancora per un certo tempo. Quando questa forma col tempo si è successivamente più sviluppata con l'intelligenza, allora essa inizia ad abbandonare man mano l'antica forma e a passare ad un'altra di capacità vitale maggiore.
4. Questo groviglio è come un recipiente in cui si raccoglie un po' di tutto; qualunque cosa che sia stata distrutta dal fuoco in occasione di un incendio, tu la trovi - come ora nel nostro caso - in un groviglio simile, quale sostanza animica dotata di una certa intelligenza. Ma che tutti questi esseri appaiano riuniti insieme in un sacco e frammisti tra di loro come in una gabbia, ciò lo si deve ascrivere alla paura.
5. Quando ad esempio in un punto qualunque della Terra sono imminenti delle grandi rivoluzioni elementari, che naturalmente hanno origine da una grande agitazione delle anime o degli spiriti naturali, allora anche tutte le anime degli animali vengono colte da un senso di grande angoscia. In tali casi tutti gli animali di ogni specie cominciano ad avvicinarsi amichevolmente l’uno all'altro e formano così un raggruppamento pacifico; il serpente non si cura del suo veleno, anche gli animali feroci non assalgono più il pacifico agnello, l'ape e la vespa rinfoderano il loro pungiglione come fa il guerriero con la spada. In breve, in simili circostanze tutto cambia e si rende mansueto, perfino il regno vegetale china mestamente il capo, e nessuna pianta risolleva la sua casta cima finché la calamità non sia cessata.
6. Ad eccezione dell'uomo, tutto ciò che durante un tale rivolgimento va distrutto terrenamente si raccoglie dopo la distruzione - mentre ancora perdura lo stato di angoscia - sotto una specie di sostanza animica, e per necessità si racchiude come in un involucro. Quando un tale floscio groviglio di anime è andato vagando di qua e di là per circa un secolo, allora anche gli elementi animici di origine diversa si sono reciprocamente e maggiormente attratti, e iniziano a poco a poco ad unirsi formando infine una o anche più anime naturali umane, molto vigorose.
7. Questo groviglio che ci sta dinanzi comprende in sé tutto ciò che è andato distrutto dall'incendio di Cesarea di Filippo. Esso avrà bisogno di più di cent'anni per il suo totale sviluppo, ma poi ben più di un centinaio di anime naturali umane già mature fenderanno il leggero involucro, e forse dopo altri cent'anni esse percorreranno la nostra via della carne
8. Nell'occasione di incendi, di eruzioni vulcaniche e anche di grandi inondazioni, si formano similmente tali grovigli; quando gli elementi animali sono meno rappresentati, allora la trasformazione dura più a lungo, mentre quando invece gli elementi animali preponderano, come nel nostro caso, allora il processo di trasformazione è di solito di più breve durata.
9. Però non è da ritenersi come necessaria conseguenza che dai grovigli in cui non si trova alcun animale debbano tuttavia svilupparsi delle anime naturali umane; da questi infatti possono scaturire delle anime naturali di animali, oppure soltanto delle anime di piante a loro volta più nobili: queste anime di piante di solito si sviluppano dai miasmi della decomposizione oppure dai cosiddetti vapori vulcanici di ogni tipo e dalle masse di fumo.
10. In poche parole, nel caso in cui i vapori provengano dalla decomposizione di sostanza grossolana-animale o di sostanza vegetale altrettanto rozza oppure da processi di fermentazione minerale, allora si sviluppano ogni specie di anime di piante e si uniscono attraverso le radici nelle parti più rozze, tramite le foglie nelle parti un po’ più nobili e, in occasione dello spuntare della fioritura, si uniscono nelle parti nobilissime per mezzo di un’anima vegetale che proviene da un germe e che sta diventando attiva, e così costituiscono la molteplicità ricca di benedizione delle sementi e dei loro germi.
11. Gli specifici animici vegetali più grossolani di tal genere rimangono nella materia loro corrispondente, come ad esempio nel fusto e nella sostanza della fibra legnosa; quelli più nobili passano nel tessuto più delicato delle foglie, mentre quelli ancora più nobili vanno a costituire il frutto stesso e ciò che precede e segue il frutto, ed infine quelli più nobili di tutti si concentrano poi in una vita germinativa già in sé intelligente. Questa vita allora è già idonea o a ridestare se stessa ad una vita uguale per ricominciare da capo l'antica attività, oppure, venendo assimilata quale cibo da animali o dall'uomo, a passare immediatamente nell'anima animale o addirittura in quella umana.
12. Ed è per questo motivo che l'uomo si ciba per lo più soltanto del frutto della pianta, affinché le anime del germe vegetale possano unirsi subito con la sua anima; invece gli specifici più grossolani del nocciuolo e del frutto si uniscono soltanto al sangue e alla carne, nonché alle cartilagini e alle ossa, e tutto questo, quale elemento ancora troppo impuro, deve talvolta purificarsi parecchie volte dopo la morte del corpo attraverso il regno vegetale, finché è divenuto uno spirito del germe pienamente maturo, per essere accolto in una nuova anima animale o addirittura umana. Dunque, ora conoscete approssimativamente anche da che cosa traggono origine questi grovigli, quale sia la loro evoluzione e quale sia la loro meta finale, e così potrete ormai procedere innanzi nelle vostre osservazioni, e vedere se un qualche altro fenomeno non vi possa offrire nuovo motivo di sorpresa!
13. Però questo che voi adesso vedete qui, è una delucidazione della scala di Giacobbe, attraverso la quale egli scorse il legame fra il Cielo e la Terra, e vide salire e scendere le forze della vita e i pensieri di Dio. Giacobbe vide questa immagine, ma né lui, né alcun altro dopo di lui, fino a questo momento, l'ha compresa. Ora dinanzi a voi Io l'ho svelata, però voi tutti, per mezzo della luce di quel globo luminoso, dovete prima venire indotti in una specie di sonno chiaroveggente per poter scorgere la scala di Giacobbe che vi è stata rivelata, ed infine anche comprenderla in virtù della Mia Parola, affinché sappiate quale relazione vi sia fra il celestiale e il materiale, e come sulla scala stessa una cosa passi continuamente nell'altra. Guardate là verso il mare, naturalmente con gli occhi dello spirito, o meglio della vostra anima, e ditemi cosa vedete!».
L'essenza dell'ossigeno.
1. Dice allora Zinca: «Signore! Io vedo sulla superficie dell'acqua come un'infinità di serpenti di fuoco guizzare di qua e di là; alcuni anche vi si immergono, però la rapidità dei loro movimenti non viene ostacolata dalla massa d’acqua. Io penetro con lo sguardo fino in fondo al mare, dove c'è una moltitudine di mostri di ogni specie, nonché un numero infinito di pesci, e tutti fanno a gara per afferrare questi serpenti di fuoco. Quando un pesce o qualche altro mostro ha ingoiato uno o più di questi serpenti di fuoco, esso diventa allora più vivace e attivo, ed una specie di vera gioia sembra irradiare da questo essere marino.
2. Ora vedo questi serpenti di fuoco girare intorno di qua e di là anche nell'aria, ma sono più piccoli e meno lucenti, mentre sopra la regione dell'acqua sono più fitti che altrove. Quegli uccelli che di notte sono soliti divertirsi sulla superficie dell'acqua, non sembrano gradirli troppo, mentre i pesci guizzano loro incontro fuori dall'acqua. Quei serpenti di fuoco che nuotano sulla superficie dell'acqua splendono più di tutti e si muovono anche quanto mai rapidissimi. Come si spiega questo fenomeno, o Signore, e cosa ne dobbiamo pensare?»
3. Dico Io: «Ciò che voi ora vedete, è la sostanza nutritiva vitale propriamente detta; essa è il sale dell'aria e il sale del mare. Un giorno gli scienziati naturalisti chiameranno questo elemento “ossigeno”; certo non lo potranno vedere, però si accorgeranno della sua esistenza e stabiliranno come sarà composto, in che percentuale sarà presente oppure se sarà totalmente assente.
4. L'acqua - quale principale elemento vitale per le piante, per gli animali e per l'uomo - deve contenere in sé la maggior parte di questo ossigeno, e specialmente il grande oceano. Gli animali non potrebbero vivere affatto nell'acqua, se questa non venisse sempre saturata in misura abbondantissima di tale elemento.
5. Questo elemento è in origine la sostanza animica propriamente detta, e corrisponde ai pensieri prima che vengano raggruppati in un’idea. Ma quando voi vedrete questa sostanza vitale animica accalcarsi in una sufficiente quantità in qualche punto in un modo qualsiasi, allora non tarderà molto a rendersi visibile una qualche forma, sia animata - vale a dire molle e agile - sia del tutto rigida come la pietra oppure come un pezzo di legno morto. Guardate specialmente lì, verso la riva, e voi scoprirete qua e là un luccichio particolare formato come da un complesso di punti luminosi; questo fenomeno deriva dall'accalcarsi della sostanza vitale, cioè l’ossigeno, in un punto.
6. Ora voi potete osservare come questi nostri serpenti di fuoco si stringano assieme qua e là a centinaia e a migliaia come in un ammasso; un simile ammasso, così formatosi come accidentalmente, emana poi per breve tempo una luce vivissima. Questo maggiore splendore denota il momento del reciproco afferrarsi di una moltitudine di questi serpenti di fuoco vitale, ma con un simile afferrarsi risulta poi già bella e pronta un'idea, sotto una qualche forma.
7. Una volta che la forma si trova in ordine, allora subentra uno stato di quiete, e il luccicare particolare cessa, ma nel frattempo è già sorta una creatura la quale si mostra sotto forma di cristallo, oppure sotto quella di semente o di uovo, oppure perfino sotto forma di animaluccio acquatico già formato, o per lo meno di una pianticina di muschio acquatico. Ed è per questo motivo che voi spesso vedrete, con gli occhi del corpo, che le parti più piane e meno profonde situate vicino ai lidi sono sempre abbondantemente ricoperte di ogni genere di piante acquatiche e, dove queste macchie di vegetazione appaiono molto fitte, là non mancheranno nemmeno gli animali acquatici grandi e piccoli di tutte le specie.
8. Ma ora voi vi domanderete: “Ma chi è che plasma in una qualche forma, sia essa rigida oppure dinamica e vitale, questi spiriti vitali dei quali l'uno è simile all'altro?”. A questa domanda vi risponderà meglio di ogni altro il Mio Raffaele. Ebbene, Raffaele vieni qui, parla e fornisci una spiegazione con esempi pratici!».
Raffaele mostra la creazione degli esseri organici.
1. Allora Raffaele avanza e dice: «Dio è in Sé eterno ed infinito. Egli solo riempie lo spazio senza confini. Egli, quale il supremo, purissimo ed immenso Pensiero e quale l'Idea perfettissima dall'eternità in Sé e di per Se stesso, non può, come Tale dall'eternità, che concepire in eterno, incessantemente, pensieri in tutta la Sua Infinità, la quale è colma dei pensieri provenienti da Lui. Noi (angeli primordiali) però - quali Sue Idee vitali maturatesi già da tempi inconcepibili per voi uomini ed ora indipendenti e pieni di luce, di sapienza, di conoscenza e potenza di volontà - abbiamo ai nostri ordini ancora una moltitudine innumerevole di spiriti, i quali in un certo modo costituiscono le nostre braccia e le nostre mani, ed essi riconoscono la nostra volontà, e la attuano immediatamente.
2. Solamente i puri Pensieri di Dio sono la sostanza dalla quale è sorto tutto ciò che l'infinito comprende in sé; soltanto noi, in origine, siamo sorti per la Volontà dell'altissimo e potentissimo Spirito di Dio, mentre tutte queste cose e questi esseri hanno avuto origine poi per mezzo nostro, poiché noi eravamo e siamo i primi ed i più eminenti vasi collettori dei Pensieri e delle Idee provenienti da Dio, e lo saremo anche d'ora innanzi per l'eternità in misura sempre più vasta e in maniera sempre più elevata e perfetta.
3. Noi riuniamo i pensieri di vita sorgenti da Dio, che a voi si presentano sotto forma di lingue di fuoco, e plasmiamo incessantemente - secondo l'Ordine divino in noi - forme ed esseri; dunque, se qualcuno vi chiedesse da dove Dio, oppure noi quali Suoi messaggeri e servitori, abbiamo preso l'elemento materiale per la formazione degli esseri, ecco che l'avete ora dinanzi a voi! Queste lunghe lingue di fuoco a forma di serpenti sono il materiale da costruzione spirituale, da cui è stato fatto tutto ciò che l'infinito nella totalità può mai abbracciare e comprendere in sé di essenzialità materiale!
4. In quale modo però procedano queste creazioni, il Signore stesso ve lo ha dimostrato poco fa quanto mai chiaramente. Ma voi potrete conoscere ed intendere tutto ciò in maniera perfetta ed in tutta la pienezza vitale solo quando voi stessi starete dinanzi a Dio, il Signore, in tutta la perfezione della vita nello spirito, e non più nella pesantezza della carne.
5. Ed affinché voi - secondo la Volontà del Signore e nel limite che vi è ora concesso - possiate vedere in quale modo noi, potenti e antichi servitori di Dio, plasmiamo da questi Suoi Pensieri, che si librano nello spazio, delle forme e degli esseri, guardate qui con gli occhi della vostra anima, e voi apprenderete delle cose che finora nessun mortale ha mai appreso su questa Terra.
6. Ecco, io, nel Nome dell'Altissimo ho ordinato ora, agli spiriti che mi sono sottoposti, di raccogliere qui un’abbondante quantità della sostanza necessaria; e come ora vedete noi abbiamo qui un cumulo di queste lunghe lingue di fuoco che emanano una viva luce, cumulo che finora non ha altra forma che quella di una palla di fuoco. Osservate un po' come queste lingue di fuoco si stringono l'una vicino all'altra, e si accalcano come se ognuna volesse sforzarsi di strisciare verso il centro. A questo sforzo a poco a poco subentra una calma sempre maggiore; tuttavia questa non è una vera calma, ma è una conseguenza dell'impedimento all'avvicinarsi di più al punto centrale, sorto appunto a causa del sospingersi sempre più crescente verso il punto centrale stesso.
7. Ma per quale motivo tutto tende a raggiungere questo punto? Vedete, se io ho qui dinanzi a me delle palle da lanciare che sono di materiali differenti ma di grandezza uguale, quella che è più pesante potrà venire lanciata più velocemente e più lontano delle altre, ovvero - data una distanza ed una forza iniziale di lancio perfettamente uguali - essa potrà raggiungere certo prima delle altre la meta stabilita. La stessa cosa succede anche con gli innumerevoli pensieri essenziali che provengono da Dio. Fra questi ve ne sono, per così dire, alcuni di pesantissimi, che sono già formalmente pari ad un'idea completa; poi ce ne sono degli altri meno pesanti, che però, per essere dei pensieri, sono pur sempre molto consistenti e compatti; poi ci sono pensieri più leggeri, cioè meno maturi e meno nutriti di luce; inoltre ci sono dei pensieri molto leggeri, che sono qualcosa di appena concepito; ed infine anche dei pensieri leggerissimi, che sono quelli che corrispondono ai primi germogli ovvero, ancora meglio, alle prime gemme di un albero. Essi certo sono già in sé qualcosa, però non hanno ancora raggiunto quello sviluppo divino che possa permettere, considerati isolatamente, di stabilire e dire di loro: “Essi assumeranno questa o quella forma”.
8. Quando uno di noi vuole, o propriamente deve, plasmare da questa sostanza vitale, che ormai voi conoscete, un essere nell'Ordine del divino Volere e secondo l'intimo impulso dello Spirito supremo, in tal caso egli chiama a sé gli spiriti che stanno al suo servizio, e questi a loro volta hanno il compito di raccogliere e di portargli una quantità di sostanza sufficiente. Ora è altrettanto facilmente comprensibile, dal punto di vista spirituale, quanto sia naturale nella materia che i pensieri pesanti o consistenti giungano sul posto prima dei leggeri, per non parlare poi dei leggerissimi; cosicché i più pesanti costituiscono evidentemente il centro, mentre i leggeri, che sono quelli che arrivano più tardi, devono accontentarsi di una posizione sempre più all'esterno; i leggerissimi formano infine la parte assolutamente esteriore del complesso.
9. Siccome però i pensieri che risiedono nel centro sono i più pesanti, cioè più ricchi di sostanza nutriente, gli altri che sono più vuoti, più poveri e ancora più affamati, si accalcano e si stringono vicino ai ricchi, per potersi in qualche modo saziare del loro superfluo. Ed è perciò che vi sta dinanzi il fenomeno delle serpeggianti lingue di fuoco più esterne che si stringono sempre maggiormente al centro, e che ora sembrano finalmente volersi calmare sempre più, quantunque la loro tendenza sia ancora quella di avvicinarsi quanto più possibile al centro, per attingervi una maggiore quantità di nutrimento vitale.
10. Ebbene, ora voi vedete qui un cumulo, che nella sua maggior parte è ancora molto affamato, e per il momento non chiede altro che di essere sufficientemente saziato. Esso è simile ad un polipo marino di forma sferica, il quale mediante le sue mille volte mille piccolissime ventose succhia incessantemente dal limo del mare il nutrimento che gli si confà, finché, in seguito a supersaturazione, iniziano finalmente a formarsi sul polipo sferico le escrescenze tentacolari, con le quali esso può poi già più destreggiarsi e può all'occorrenza cambiare di posizione e di luogo. Con i tentacoli esso assume anche una forma più particolare e più distinta, che differisce già di molto da quella primitiva sferica.
11. Voi tutti vi meravigliate bensì, nascostamente, di questa mia spiegazione che rappresenta il formarsi di una esistenza, a partire dal primo inizio di un essere e della sua forma, cosa questa che può procedere soltanto in questo modo e mai, in nessun caso, diversamente! Basta però che voi rivolgiate uno sguardo alla natura esteriore delle cose, e potrete constatare molto presto e con la più grande facilità che qui il procedimento è identico.
12. Togliete ad esempio l'ovaia ad una gallina, e osservate minuziosamente gli ovuli che vi sono attaccati, e voi scorgerete che alcuni di questi sono piccolissimi come minuscoli piselli, altri come piccoli acini d'uva, ed altri ancora come piccole mele. Nell'interno del leggero involucro non si riscontrerà altro che la sostanza giallognola del tuorlo! Quanto informe è ancora questo essere!
13. Ma tale sostanza centrale viene sempre di più nutrita, e forma intorno a sé l'albume; dopo un certo periodo di nutrizione, la parte più grossolana dell'albume viene separata dall’albume stesso, però non si allontana dall'uovo, ma gli si dispone invece intorno sotto forma di guscio molto solido, il quale servirà a proteggerlo contro lo schiacciamento al momento della deposizione. Osservate ora quanto sia già differente un uovo appena deposto da quando era nel corpo materno.
14. Ma ecco che ora la gallina si accovaccia sopra l'uovo e lo riscalda per un certo tempo. Quali trasformazioni allora avvengono nell'uovo! Nel tuorlo tutto incomincia a muoversi e a ordinarsi; i giusti pensieri (lingue di fuoco) si ritrovano e si congiungono, ed attraggono a sé gli affini a loro che sono più vicini.
Questi a loro volta si congiungono in parte con i primi e ancora più tra di loro, però anch'essi attraggono i pensieri esteriori più vicini ed affini, cioè i più leggeri. In breve tempo voi potrete già scoprire il cuore, la testa, gli occhi, le interiora, i piedi, le ali e le piumicine; quando l'essere è una volta progredito fino a questo punto, allora le parti già sistemate attraggono sempre di più a sé gli elementi omogenei della sostanza a disposizione, e si sviluppano sempre più a vista d'occhio.
15. Ma mentre la forma e l'organismo si sono già quasi pienamente sviluppati, allora anche l'originario pensiero principale che è al centro è stato sempre più rafforzato, sostentato e saziato durante questa continua attività. Esso allora, con la sovrabbondanza della sua vita, incomincia ad invadere l'organismo, ne afferra per così dire le redini, e l'essere diventa vivente in modo visibile; e solo dopo perviene ad uno stato di completa formazione.
16. Raggiunto questo stato di formazione completa, allora il pensiero vitale che propriamente costituisce l'anima e che si è diffuso ormai nell'intero organismo - si accorge ben presto che si trova ancora rinchiuso in un carcere. Esso allora inizia a reagire con maggior forza, fora la parete ed esce nel gran mondo tutto affranto e pieno di timore, perché non si sente ancora sufficientemente rinvigorito. Qui ha inizio il periodo di nutrizione dal mondo esteriore, e grazie a ciò anche quello dell'ulteriore crescita; in questo modo il processo di sviluppo si svolge finché l'essere non abbia la percezione sicura di trovarsi in uno stato di equilibrio con la natura del mondo esteriore.
17. A questo punto noi ci troviamo ormai dinanzi ad una gallina sviluppata e feconda, la quale è a sua volta idonea ad accogliere in sé le parti specifiche animiche atte a nutrirla, in parte dall'aria, in parte dall'acqua e per la maggior parte dal nutrimento organico già animato ad essa confacente; il nutrimento spirituale serve per l'ulteriore sviluppo della sua anima vitale, e quello più grossolano serve non soltanto per la conservazione del proprio organismo, ma anche per la neo-formazione dell'ovulo, dal quale, nell'ordine e secondo il processo ora indicatovi, nasce poi nuovamente un pulcino maschio oppure femmina.
18. La diversità del sesso però dipende dalla maggiore o minore densità, consistenza e forza originarie del pensiero animico fondamentale vivente. Se questo già in origine è così pienamente consistente da essere già in se stesso un'idea, allora il suo sviluppo coinciderà con la formazione di un essere maschile, mentre, se il nucleo primitivo del pensiero fondamentale di vita si trova sul secondo gradino più leggero, allora si svilupperà un essere femminile».
La procreazione nell’animale e nell'uomo.
1. Raffaele: «Durante l'atto dell'accoppiamento degli animali ha luogo semplicemente un eccitamento del pensiero vitale fondamentale animico - che già si trova nell'ovulo - verso un'attività ordinata. Senza un tale eccitamento, questo elemento vitale rimarrebbe nella sua muta quiete divoratrice, limitandosi a nutrirsi a spese dei più vicini che gli stanno intorno, e questi farebbero a loro volta altrettanto verso il primo, e tutto questo continuerebbe finché essi non si fossero consumati reciprocamente fino all'ultimo atomo. Così pure però potrebbe essere il caso anche con gli altri ovuli, che sono stati eccitati mediante l'accoppiamento, se le necessarie condizioni ulteriori per lo sviluppo venissero a mancare, o non si verificassero nella giusta misura.
2. L'atto dell'accoppiamento in tutti gli animali non è che un eccitamento dell'ovulo già esistente nel corpo della femmina, poiché i piccoli cumuli di principi animici vegetali ed animali si raccolgono continuamente in un dato numero e ordine nel posto stabilito nel corpo materno. Una volta al loro posto, essi eccitano dapprima la femmina la quale, appunto in seguito all'eccitamento, stimola subito a sua volta il maschio; esso allora si accosta alla femmina e la feconda, però non deponendo anche lui un nuovo germe nella femmina, ma soltanto ridestando all'attività il germe vitale già esistente nella femmina.
3. Ecco come avviene: il seme del maschio, che consiste di spiriti vitali più liberi e sciolti, induce i germi vitali vincolati della femmina ad una vera rivoluzione ordinata, e in tale modo li costringe all'attività; senza questa costrizione essi rimarrebbero a riposare nella loro dolce inerzia, e non si afferrerebbero tra di loro per la formazione e per l'interna organizzazione di un essere. Gli spiriti del seme maschile stuzzicano e solleticano continuamente gli spiriti vitali della femmina, senza dar loro né pace né tregua di nessun tipo, ma a questo eccitamento gli spiriti vitali della femmina si oppongono incessantemente, e talvolta - se sono molto vigorosi - riescono perfino a rendere vana l'azione degli spiriti del seme maschile. Questo atto nel linguaggio degli allevatori viene chiamato “dispersione”, ed ha luogo molto di frequente in particolare fra il bestiame bovino, anche se si verifica spesso in altri animali e perfino nell'uomo, poiché gli spiriti vitali femminili nel germe vitale materno sono troppo inclini a stare tranquilli per adattarsi di buon grado ad una qualche attività costante e sistematica. Ma una volta eccitati sufficientemente e a dovere, allora la cosa procede senz'altro regolarmente.
4. Vedete, precisamente ora abbiamo qui dinanzi a noi per il libero esame un germe vitale materno di questo genere; guardate un po' come durante il tempo necessario per la mia spiegazione esso si è già molto calmato! Se io adesso lo lasciassi così, allora nella sua tendenza al riposo si raggrinzerebbe e si contrarrebbe continuamente per il fatto che le sue parti si spingerebbero sempre più verso il centro, lo succhierebbero fino a vuotarlo e finirebbero poi col perire con esso. Questi spiriti vitali sono, per così dire, timidi e paurosi come i piccoli bambini, e una volta che, come vedete qui, si sono racchiusi in se stessi, non prendono più nessun nutrimento dall'esterno, ma succhiano invece continuamente dal loro proprio centro materno, e devono perciò anche avvizzirsi e restringersi fino a ridursi ad un minutissimo nucleo della grandezza di un punto. Ora però noi faremo venire qui degli spiriti vitali primordiali vigorosi e maschili, e faremo in modo che gli stessi siano eccitati continuamente perché si agitino e in questo modo striscino senza posa sopra questo pigro nucleo femminile, ed allora vedrete poi quale sarà l'effetto che ne risulterà.
5. Ecco, secondo la Volontà del Signore io ho fatto radunare qui, mediante i molti spiriti subordinati che stanno al mio servizio, quegli spiriti vitali del pensiero primordiale che prima guizzavano lì sull'acqua e che, come vedete, sono più grandi, hanno la forma di lunghe lingue di fuoco e splendono di viva luce. Guardate ora con tutta l'attenzione possibile come essi siano solleciti ed accaniti nel disporsi intorno al nucleo vitale femminile che si libra in libertà dinanzi a noi, ed ora ecco che gli spiriti vitali più piccoli, tutti femminili, iniziano di nuovo ad agitarsi e tentano di liberarsi dagli irrequieti spiriti vitali maschili. Ma questi non cedono in nessun modo, e l'eccitazione degli spiriti vitali femminili si propaga sempre più profondamente fino al centro principale della vita.
6. Ora perfino quest'ultimo comincia a muoversi, e siccome gli spiriti vitali che gli fanno ressa intorno, resi di nuovo affamati in seguito all’attività febbrile, sono costretti a nutrirsi della luce degli spiriti vitali maschili e diventano in tal modo a loro volta più luminosi e più colmi, così anche lo spirito del pensiero di vita principale che è al centro riceve per mezzo loro un nutrimento virile. Costretti poi da questa attività, gli assedianti dall'interno all'esterno vengono incitati ad organizzarsi sempre di più ed a costituirsi in una specie di baluardo ben sistemato. Però gli spiriti vitali più vigorosi situati verso il centro, ormai bene illuminati, riconoscono se stessi, il loro senso e il suo ordine, e si assestano secondo le loro caratteristiche e la loro affinità, così che voi potete già osservare da ciò come sorgano dei collegamenti organici e come la parte esterna trapassi in una forma che comincia ad assomigliare sempre più ad un animale.
7. Come conseguenza di questo lavorio e di questa lotta, tutte le parti vitali sentono sempre più il bisogno di nutrimento, il quale viene fornito loro sempre in maggior quantità dagli elementi vitali maschili; però gli spiriti vitali esteriori del nucleo iniziale - i quali vanno ordinandosi sempre di più - cominciano, a causa del nutrimento, a familiarizzare con gli spiriti maschili che li mettono in agitazione. Il timore e l'avversione di prima svaniscono, e questo sentire si diffonde anche fra gli spiriti interni; tutto inizia ad agitarsi e a muoversi più liberamente, e il processo di costituzione dell'essere è ora in questo brevissimo tempo così avanzato che voi, figli del Signore, potete ormai già stabilire che specie di animale comparirà qui. Ecco, vedete, ne verrà fuori una robustissima asinella, e la Volontà del Signore è che essa rimanga e non si dissolva più».
8. A tal punto Ebram e Risa osservano: «Il buon Raffaele sembra provare un piacere particolare nel creare degli asini! Due giorni fa, con nostra non poca sorpresa, ne ha formato pure uno con grande rapidità!»
9. Dice Raffaele: «Lasciate stare quello che allora dovette succedere per il vostro ammaestramento! Questa asinella ha un significato alquanto diverso; essa è il simbolo, per voi tutti necessario, della vera umiltà. Anche voi uomini, a questo mondo, combinate delle vere asinate quando siete troppo frettolosi nei vostri giudizi e decisioni nel compiere qualche azione. Anche qui si trattava di qualcosa di simile, cioè di mostrarvi rapidamente come avviene lo sviluppo di una creatura durante l'atto creativo originale, e perciò, in seguito all'azione affrettata, è venuta fuori anche qui un'asina; vi serva questo, se proprio ci tenete a tutti i costi, a vedere nella cosa qualcosa di umoristico.
10. Questa asinella sarà fecondata dall'asino creato giorni fa, e il prossimo anno entrambi verranno acquistati da un uomo di Gerusalemme, e dell'asinello che ne nascerà sarà conservata memoria in tutte le eternità!
11. Ora però basta con questo argomento; è sufficiente che voi abbiate visto in quale modo da spiriti vitali primordiali (Pensieri singoli di Dio) possa sorgere, senza madre, un essere naturale, come è già avvenuto nella Creazione iniziale. Se però lo desiderate, vi posso produrre ancora degli altri esseri con tutta rapidità!»
12. Esclamano tutti: «Potente servitore del Signore, ciò non è affatto necessario, poiché per la nostra istruzione ne abbiamo più che a sufficienza già in quest'ultimo esempio, oltre ogni dire prodigioso; un di più non potrebbe che renderci la cosa più confusa e non più chiara»
13. Dice Raffaele: «Sta bene, ed ora fate ancora un po' di attenzione a quanto sto per dirvi; dunque io vi ho mostrato come avviene la procreazione e come procede il divenire di un essere - qualunque ne sia la specie - e precisamente una prima volta in un corpo materno già esistente, ed ora qui una seconda, in via diretta e libera, come solitamente si verifica su ciascun nuovo pianeta o su una qualche isola neo-formatasi su un pianeta già vecchio, ciò che anche avviene ogni tanto.
14. Solamente voi non dovete applicare questo esempio anche alla procreazione e al divenire dell'uomo, particolarmente su questa Terra, perché, quantunque il procedimento sia molto simile, il fondamento ne differisce sommamente.
15. Anche la femmina dell'uomo ha in effetti in sé una sostanza naturale, ma quando ha luogo la procreazione nel modo a tutti conosciuto, allora viene certo fecondato ed eccitato un piccolo nucleo, però quest’ultimo, come un acino staccato da un grappolo d'uva, viene condotto al posto destinato; allora un'anima già compiuta vi accede, e cura per un certo tempo questo nucleo vitale, finché la sua sostanza sia progredita tanto da permettere all'anima, che si restringe sempre più, di penetrare nell'embrione ancora molto liquido e molle; dopo aver compiuto questa operazione, l'anima deve lavorare per circa due lune. Una volta impossessatasi per intero dell'embrione, il bambino diventa subito vivente in modo percettibile, e cresce poi rapidamente fino a raggiungere la grandezza normale.
16. Finché i nervi del bambino di carne non sono pienamente sviluppati ed attivi, l'anima continua a lavorare assiduamente e con coscienza di se stessa, e plasma e adatta il corpo a seconda dei propri bisogni; ma una volta che i nervi sono tutti completamente formati e il rispettivo spirito nerveo in continuo sviluppo è giunto a compiere un'attività del tutto regolare e sistematica, allora l'anima si ritira e si dedica sempre più al riposo, e si addormenta infine nella regione dei reni dell'embrione. Da questo momento in poi l'anima non sa più nulla di se stessa, vegeta semplicemente senza alcun ricordo di un anteriore stato naturale nudo. Solo alcune lune dopo la nascita, essa incomincia sempre più a risvegliarsi, ciò che può venire dedotto molto facilmente dal diminuire della sonnolenza. Ma perché essa pervenga ad una qualche coscienza di sé, ci vuole un tempo più lungo. Quando il bambino comincia a parlare, solo allora subentra davvero nell'anima uno stato di coscienza di se stessa, però senza alcun ricordo di una preesistenza, poiché tale ricordo non potrebbe assolutamente conciliarsi con l'ulteriore e superiore sviluppo dell'anima.
17. L'anima però, interamente avvolta nella carne, non vede né riconosce nulla per il momento, all'infuori di ciò che le viene presentato tramite i sensi del corpo, ed in sé non può riconoscere affatto qualcos'altro, poiché essa è e deve essere in sé talmente ottenebrata dalla sua massa carnosa, da ignorare per lo più del tutto che essa possa esistere per sé, anche senza la carne. Per molto tempo essa si sente una cosa sola con la sua carne, e ci vuole una grande fatica prima di indurre un'anima incarnata a cominciare a sentirsi e a considerarsi come qualcosa di esistente all'infuori della carne stessa, ciò che è assolutamente necessario, perché altrimenti essa non potrebbe ospitare in sé alcuno spirito, né naturalmente potrebbe nemmeno mai ridestarlo in sé.
18. Solo quando lo spirito inizia a risvegliarsi nell'anima, allora in questa si fa gradualmente sempre più luce: essa comincia a riconoscersi in modo più preciso, e comincia a scoprire in se stessa delle cose completamente nascoste, di cui però certo non sa ancora troppo bene cosa fare.
19. E quando lo spirito e la sua potente luce nell'anima entrano completamente in azione, solo allora tutti i ricordi si ridestano nell'anima, naturalmente tutti trasfigurati nella nuova luce; allora non vi è più né inganno né illusione, ma soltanto una limpidissima Verità celestiale, e allora l'anima stessa è una cosa sola col suo spirito divino, e tutto ciò che vi è in essa e fuori di essa diventa gioia immensa e suprema beatitudine.
20. Ebbene, comprendete ora voi tutti, almeno approssimativamente, l'immagine simbolica della misteriosa scala di Giacobbe? Ecco, fin qui ho parlato io; il seguito ve lo dirà il Signore stesso».
Motivo delle rivelazioni del Signore.
1. «Ma ormai, non c’è più niente che non ci sia chiaro!», dissero tutti i presenti dopo gli insegnamenti dell'angelo.
2. E il comandante Giulio aggiunse: «Se si va avanti di questo passo, saremo presto trasformati noi stessi in altrettanti dèi. Se fosse possibile conservare a proprio piacimento questa chiaroveggenza, con un rinvigorimento maggiore della nostra volontà potremo diventare noi stessi dèi ed operare miracoli, ma questa nostra chiaroveggenza è soltanto una conseguenza di quella luce magica emanata da quel globo luminoso, e la nostra volontà è debole quanto lo è il nostro riconoscimento, e perciò noi siamo e restiamo dei deboli uomini!
3. Se si pensa e si considera tutto ciò che è possibile già soltanto a questo angelo, mentre un uomo, dotato anche della massima forza di volontà immaginabile, non può fare nemmeno uno jota di qualcosa di simile, solo allora si vede il divario infinito che esiste fra Dio e l'uomo, e si comprende fino all'evidenza il Tutto di Dio e il nulla dell'uomo! Ma per quanto queste imperscrutabili profondità della Sapienza e della Onnipotenza divine possano rallegrare qualcuno, io invece non ne sono affatto, perché sento in me fin troppo chiaramente che io sono un perfettissimo nulla di fronte anche solo a quest'angelo Raffaele. Che cosa sono io poi in confronto a Dio? No, no, questo sì che si chiama assolutamente un nulla!
4. Ormai già si sanno e si conoscono cose sbalorditive, e si assiste a miracoli su miracoli, così da perderne quasi la vista e l'udito; ma se poi si mette alla prova la propria volontà, per verificare se ha anch'essa il potere di prendere o di dirigere al suo posto una di queste lunghe lingue di fuoco, e di farla semplicemente raggomitolare in un nucleo, oh, non c'è dubbio che nemmeno un atomo si muoverà dal suo posto grazie alla mia volontà! Dunque, io ritengo che sia meglio non sapere e non conoscere tante cose, perché così ad un poveraccio non può venire mai la tentazione di fare egli pure miracoli. Ed è appunto questa enorme conoscenza che suscita in me un senso di timore e di angoscia. Perché dunque c'è bisogno che io ora veda, oda e riconosca tali e tante meraviglie?»
5. Gli rispondo Io: «Appunto perché tu possa contemporaneamente riconoscere quanta poca cosa sia un uomo per se stesso, e come tutto il suo essere, il suo sapere e il suo conoscere, come pure le sue facoltà, dipendano unicamente e soltanto da Dio!
6. Con la tua volontà è certamente naturale che tu non potrai fare mai niente in eterno, come ugualmente anche quest'angelo non potrà mai portare in eterno, con la sua sola volontà, niente a compimento, ma se invece tu farai tua la Mia Volontà, allora anche tu potrai fare quello che può fare quest'angelo.
7. Ed è perciò un gran bene che tu veda e riconosca tante cose, ma è anche un gran bene che nello stesso tempo cominci a constatare in pratica che la tua volontà non ha che poco o nessun potere oltre il tuo proprio corpo. Tu puoi vedere, sentire e riconoscere tutto quello che vede, sente e riconosce l'angelo, ma se tu non hai fatto tua la Mia Volontà, come pure la Mia Sapienza, allora certamente tutto il tuo sapere e tutto il tuo conoscere non ti servono a nulla; se tu non desideri operare, allora ciò che sai non ti serve che per il tuo tormento. E ciò è anche un bene, perché soltanto attraverso l'umiltà l'uomo diventa veramente uomo e vero figlio di Dio!
8. Del resto tutto ciò a voi tutti non vi viene mostrato perché dobbiate fare subito altrettanto, ma soltanto affinché abbiate a riconoscere pienamente Dio in Me, per poi compiere con volontà più ferma quello che Io, quale Creatore di ogni vita, vi ho insegnato e comandato per il perfezionamento della vita.
9. Quale prima cosa voi dovete giungere in questo modo alla rinascita del vostro spirito, senza la quale la Mia Volontà in tutta la Sua Potenza d'azione non può mettere radice in voi. Qualora con la vostra volontà siate arrivati al punto di appropriarvi della Mia Volontà, così da rendere spontaneamente la vostra volontà soggetta alla Mia mediante le opere, e vi esercitate con ogni cura nel fare in modo che la Mia Volontà, da voi riconosciuta, acquisti la completa supremazia in voi, allora grazie a ciò il Mio Spirito vivrà in voi in tutta la Sua Pienezza, e compenetrerà ben presto tutto il vostro essere.
10. La Mia Volontà, esercitata da voi con ogni zelo, si tramuterà in potenza, e quello che poi essa, proprio al pari di Me, vorrà assolutamente, anche accadrà; ma come vi ho già detto, solo allora e non prima.
11. Il riconoscimento, però, deve ora rappresentare veramente le redini, per mezzo delle quali potete guidare la vostra volontà nella Mia, poiché, attraverso le Mie opere, è necessario che voi ora riconosciate che Io sono proprio Colui che, come Tale, Mi do ora continuamente a riconoscere fra di voi.
12. Ma quando voi riconoscerete pienamente questo, deve anche riuscirvi tanto più facile eseguire, e con ciò di rendervi propria, la Mia Volontà, che ha il suo fondamento nella Verità assolutamente inconfondibile ed eterna.
13. Se qualcuno vi consiglia di seguire una certa via, ma voi vi accorgete dal suo discorso che essa non è ben conosciuta neppure a lui, allora ci pensate bene prima di incamminarvi per la via che egli vi ha indicata e tracciata, e gli direte: “Oh, se è così, restiamo piuttosto dove siamo!”. Ma se voi dalle parole di qualcuno potete facilmente dedurre che quella via egli deve conoscerla per filo e per segno, dato che egli stesso dimora appunto nel luogo al quale conduce la via che con tutta esattezza vi ha descritta fino nei minimi particolari, allora direte: “Questo sì che ha l'esatta conoscenza di tale via ed è certo che egli non può né vuole ingannarci, e perciò anche noi lo seguiremo senza alcuna preoccupazione per la via che ci ha indicata”. Vedete, in questo modo, come conseguenza della buona e ferma fiducia, voi subordinerete la vostra propria volontà a quella di colui che da perfetto esperto vi ha mostrato la buona e giusta via.
15. E vedete, questo è anche qui il caso. Se Io Mi presentassi dinanzi a voi non nella Mia interezza e chiarezza, ma soltanto come qualcosa di nebuloso e di mistico, in voi dovrebbe sempre rimanere ancora qualche dubbio, e sarebbe certo anche da perdonare se in voi ne sorgesse qualcuno di nuovo. Ma dal momento che ora Io Mi rivelo a voi già quasi fino all'atomo, tanto nella parola quanto nell'azione, e vi dimostro con ogni Sapienza, Amore e Potenza che Io sono veramente Colui per il Quale Io in Persona Mi sono presentato a voi, allora anche l'effetto non può certo mancare. In primo luogo è impossibile che voi possiate nutrire ancora dei dubbi sul Mio conto, ed in secondo luogo, appunto per questo deve riuscirvi facilissimo seguire la Mia Volontà che sola può agevolare il raggiungimento della completa rinascita al vostro spirito, perché voi dovete pur rilevare, in maniera più che evidente, che seguendo la Mia Volontà non rimarrete delusi, ma dovrete anzi giungere alla realtà vera ed eterna. Io credo che ormai potrete ben comprendere perché Io compia tutte queste cose straordinarie dinanzi a voi e in questo tempo, e perché Mi mostri e Mi riveli a voi interamente!
16. Però un maestro veramente perfetto e sapiente non fa nulla senza ragione, e così ugualmente Io non faccio nulla senza motivo. Io non vi insegno puramente per voi stessi, ma affinché secondo questi insegnamenti diventiate anche voi, nel Mio Nome, maestri e guide agli altri vostri fratelli e sorelle ciechi, ed è perciò che voi anche dovete venire tanto più profondamente iniziati nei misteri del Mio Regno e del Mio Essere, e dovete altresì conoscere l'uomo in tutto il suo essere, cominciando dalle sue più lontane origini fino al supremo e quanto più alto grado di perfezione e di completa somiglianza a Dio.
17. Infatti, con la vostra pienissima e vivissima fiducia - prima che con altro potrà venire suscitata nei vostri discepoli una fiducia uguale mediante la quale anch'essi vedranno ben presto e comprenderanno quelle cose occulte che voi vedete e comprendete adesso.
18. Ebbene, avete ben afferrato le Mie parole, e comprendete anche bene per quale motivo Io vi riveli ora tutto ciò?»
19. E tutti, profondamente commossi, rispondono: «Sì, o Signore e Maestro e Dio nostro!»
20. Dico Io: «Allora va bene; ed ora ridestatevi nuovamente nel mondo naturale, affinché Io vi mostri ancora diverse altre cose, essendo necessario che voi conosciate e comprendiate più ampiamente e profondamente parecchie cose ancora».
Il Signore rivela l’interiorità di Giuda.
1. A queste Mie parole cessò in loro la facoltà della visione interiore e tutti riprendono a vedere soltanto con gli occhi del corpo. Tutti sono al colmo della meraviglia per quanto hanno potuto vedere e udire, ed un coro entusiastico di lode si innalza da ogni parte verso di Me, lodi che si prolungano per una buona mezz'ora.
2. E quando con tali espressioni di lode e di glorificazione tutti hanno fornito la prova di averMi ormai riconosciuto nella vera profondità di vita, Giuda Iscariota si avvicina egli pure a Me e dice: «Oh, Signore! Io fui per lungo tempo poco accessibile alla fede, ma adesso credo anch'io pienamente che Tu davvero sei Jehova in Persona, o almeno un Suo verissimo Figlio! C'è però una cosa ancora che io non riesco a comprendere di Te, ed ecco di cosa si tratta.
3. Come potesti Tu, che sei Jehova, dunque l'Infinito, spogliarTi di questa Tua Infinità allo scopo di costringerTi nella Tua attuale forma quanto mai limitata? Ma nonostante tutto ciò l'antico spazio infinito è rimasto ancora quello stesso che era fin dall'eternità! Ora Tu, quale Jehova, sei appunto lo spazio infinito stesso! Come può questo sussistere nella sua irremovibile essenzialità infinita, e Tu, che sei l'Infinito stesso, trovarTi qui dentro a questa ristretta forma umana?
4. Vedi, o Signore! Questa è una domanda immensamente importante; se mi concederai la necessaria luce a questo riguardo, io mi farò il più zelante fra tutti i Tuoi discepoli, ma in caso diverso un lieve dubbio continuerà sempre a turbare la mia anima!»
5. Gli dico Io: «Come è possibile che ormai tutti vedano, mentre tu solo sei rimasto cieco? Credi forse che questo involucro di carne sia capace di contenerMi? Pensi forse che il Sole si trovi con la sua luce agente racchiuso soltanto là dove esso agisce? Come potresti vederlo se con la sua luce non arrivasse più oltre della superficie della sua crosta esteriore?
6. Io non sono che l'eterno Punto-centrale di Me stesso, e fuori da questo tuttavia Io riempio eternamente, sempre immutabilmente, lo spazio infinito.
7. Io sono dappertutto l'eterno Io. Ma qui con voi Io ora Mi trovo nell'eterno Centro del Mio Essere, fuori dal quale, eternamente e continuamente in modo invariabile, tutto l'infinito viene mantenuto in tutta la sua eterna estensione infinitissima.
8. Dall'eternità Io abitavo nel Mio inaccessibile Centro e nella Mia inaccessibile Luce proveniente da Me stesso. Ma a causa degli uomini di questa Terra Mi è piaciuto uscire dal Mio inaccessibile Centro e dalla Mia inaccessibile Luce, a tal punto che ora, in quel medesimo Centro e in quella medesima Luce, che era completamente inaccessibile anche agli angeli supremi, Mi sono portato su questa Terra, ed ora sono ben accessibile a voi uomini, provenienti perfino da tutte le parti, e voi potete sopportare bene la Mia Luce.
9. Quando noi partimmo da Sichar per venire qui in Galilea, e quando, dopo il mezzogiorno, ci riposammo su un monte, Io dimostrai a molti di voi con i fatti in quale modo la Mia Volontà arrivi anche fino al Sole. Vedi di richiamarti questo alla memoria, e poi potrai anche tu convincerti che Io sono dappertutto a casa Mia, e lo posso essere attraverso l'efflusso della Mia Volontà agente dappertutto con uguale potenza!»
10. Dice Giuda Iscariota: «Certo che ho in mente che Tu quella volta, per quanto io riesco a ricordare ora, oscurasti per qualche istante il Sole. Ora questo non è sicuramente poca cosa, eppure si vuole che anche gli antichi maghi d'Egitto siano stati capaci di produrre un fenomeno simile; il come poi ciò sia avvenuto, questo è senza dubbio un'altra questione! Nella natura immensa agiscono delle forze misteriose e strane; Tu le conosci, e pure i maghi antichi le conoscevano e per conseguenza le mettevano a profitto. Naturalmente, a quanto ne sappiamo noi, nessuno certamente ha compiuto finora opere come le Tue.
11. Però anche Tu non sei del tutto privo degli insegnamenti del mondo! Si raccontano infatti varie cose riguardo all'abilità di Tuo padre Giuseppe e perfino di Tua madre Maria che fu un'allieva di Simone e di Anna; e quando un giovane dallo spirito sveglio ha simili genitori, non ci si può meravigliare se riesce a fare qualcosa! Ad ogni modo questa è una mia opinione unicamente dal punto di vista del mondo, perché io per mio conto credo senz'altro che in Te dimori lo Spirito di Jehova e che in Te esso agisca in tutta la sua Pienezza.
12. E infatti, a che può giovarmi il Jehova eternamente invisibile che risiede in qualche luogo enormemente alto al disopra di tutte le stelle entro la Sua Luce inaccessibile? Che cosa inoltre può giovarmi un Dio che non Si mostra mai alle Sue creature e che non compie alcun prodigio all'infuori di quelli sempre uguali di ogni giorno i quali del resto possono venire compiuti altrettanto bene dalla natura stessa? Tu dunque, almeno per me, sei un vero Jehova, considerato che dinanzi ai nostri occhi Ti sei dimostrato, con assoluta chiarezza ed evidenza, Maestro perfetto di tutta la Natura e di ogni creatura, con la parola e con l'azione. Chi, come Te, ha il potere di ridonare la vita ai morti, comandare agli elementi e perfino chiamare ad esistere, come traendoli fuori dall'aria, degli asini nuovi fiammanti e sani, e dei pesci, nonché colmare di pane e di vino le dispense del vecchio Marco, ricavandoli pure anch’essi dall'aria, ebbene, solo Costui è in eterno un vero Dio e, considerato ciò, non mi interessa affatto anche se mi portano via tutti gli altri dèi. Provengano dunque le Tue capacità puramente divine da dove si voglia, Tu sei e resti per me un vero Dio! Ho ragione oppure ho torto?
13. Io non sono così sciocco come ha fatto intendere il fratello Tommaso! Io so quello che so e so come parlo, ma se il fratello Tommaso è continuamente dell'opinione che io sia un asino o un altro animale qualunque, egli si sbaglia di grosso nel suo giudizio sul conto mio! Se io volessi discutere con lui, come effettivamente potrei fare, egli non sarebbe in grado di ribattere nemmeno ad una cosa su mille. Se io già da lungo tempo non avessi presentito in Te il vero Jehova, da molto tempo me ne sarei già tornato a casa mia alle mie pentole; siccome invece forse meglio di altri so con Chi ho a che fare in Te, allora rimango e lascio da parte il mio mestiere benché molto redditizio, quantunque attualmente io non possieda affatto dell'oro e del lucido argento, essendomi il Tuo oro e il Tuo argento spirituale molto più preziosi.
14. Ma che Tommaso prima, cioè quando l'angelo, secondo la Tua Volontà, chiamò all'esistenza una sana e robusta asina, abbia avuto la sfrontatezza di borbottarmi segretamente all'orecchio che il miracolo era stato fatto unicamente per causa mia, e precisamente per mostrarmi in forma vivente chi e cosa io sia, ebbene, questa cosa io non posso assolutamente fargliela passare liscia. Se Tommaso ritiene di essere più savio di quanto possa apparirgli io, che resti pure del suo parere ma che lasci in pace me! Infatti non sono io a mettergli ostacoli là dove cammina, e anche se mi chiama ladro, a lui certo non ho portato mai via niente.
15. Tu prima hai pur dato a tutti noi un insegnamento quanto mai bello e improntato a divina Sapienza riguardo alle malattie da cui può essere afflitta un’anima umana, e ci hai mostrato chiaramente come con un'anima inferma si debba avere maggior pazienza che non con un corpo umano ammalato! Perché dunque un sapiente come si ritiene Tommaso, riguardo a me che posso pure essere ancora infermo nell'anima, non s'imprime un simile insegnamento almeno nella sua testa, se nel suo cuore tali insegnamenti puramente divini non possono trovare posto? Io non pretendo affatto che egli faccia dinanzi a me onorevole ammenda per il fatto che nella sua sapienza gli è piaciuto darmi dell'asino, perché tanto umile quanto ritiene di essere lui, lo sono anch'io; però mi sono trovato indotto a dichiarare qui apertamente che è vero che io sono un uomo ammalato nell'anima, ma che non per questo provo invidia per un Tommaso, né per la perfetta salute della sua anima! Io intendo essere, malgrado tutto, anche in avvenire un suo buon amico e fratello come sempre lo fui, però una cosa soltanto desidero da lui, e cioè che per il futuro egli voglia scegliersi qualcun altro al posto mio sul quale esercitare la sua zelante attività correttrice, perché finora io sono evidentemente ancora quello che è lui, vale a dire un discepolo chiamato da Te, Mio Signore e Mio Dio!»
16. Dico Io: «Non è certo del tutto lodevole da parte del Mio Tommaso che ti faccia sempre bersaglio delle sue frecciate, ma d'altro canto a Me è noto pure che tu, una volta compiuta la formazione di quest'asina che trotterella ancora in nostra presenza, fosti il primo a uscirtene fuori con una battuta del tutto fuori luogo, e fu questo il vero motivo per il quale Tommaso volle rimproverarti un po’ usando le tue stesse parole contro di te.
17. DimMi tu per quale ragione sei venuto fuori con l'osservazione secondo cui tu dicesti e in effetti affermasti che tutti i Miei prodigi alla fine si sarebbero concretati nella produzione di asini robusti e sani! Vedi, questa tua osservazione era molto maliziosa, e perciò anche ti meritasti doverosamente la controsservazione di Tommaso. Io non biasimo il fatto che tu Mi consideri come il tuo unico Dio e Signore, ma quello che trovo da biasimare in te è che questa tua fede e questa tua opinione si limitino piuttosto alle tue parole e non si estendano anche alla vita del tuo animo.
18. Infatti, restando nei termini della piena verità, tu ritieni che Io sia piuttosto un sapiente alla maniera egiziana antica e Mi ritieni anche un mago a cui sono note tutte le misteriose forze della natura e che sa bene come fare per adoperarle in modo che il loro effetto non venga a mancare. Ecco, questo è molto da biasimare in te!
19. Tu continui a sollevare dubbi e ad esprimere apertamente opinioni che Mi mettono in cattiva luce presso qualcuno più debole riguardo a cose che centinaia d’altri colgono nella loro evidenza come una purissima verità. Quando Io ridonai la vita a vari individui completamente morti per annegamento, tu fosti pronto ad enunciare la tua versione secondo la quale qui il luogo stesso e la posizione delle stelle avevano avuto la loro parte nel buon esito, e che per Me era quindi molto facile produrre ogni tipo di miracoli, mentre in un'altra località la cosa non Mi sarebbe riuscita affatto così bene. E aggiungesti che a Nazaret, Cafarnao e Chis, a Gesaira e perfino a Genezaret Io avrei certo compiuto dei grandi prodigi, ma assolutamente non tanti quanti ne ho compiuto qui, in questo luogo. Ma se tu ritieni proprio sul serio di doverMi considerare come il tuo unico Dio e Signore, perché allora Mi rendi sospetto in presenza di stranieri?»
20. Ribatte allora, sfrontato e risoluto, Giuda Iscariota: «Eppure, osservando un po' più attentamente il mondo e la natura, tutte le apparenze sono a favore della versione secondo cui effettivamente Dio prenda sempre molto in considerazione la condizione favorevole della località nella quale vuole compiere qualcosa di straordinario! Andiamo un po' su una montagna altissima come ad esempio l'Ararat, e là non incontreremo che delle nude rocce, neve e ghiaccio. Perché non crescono anche là le uve, i fichi, le mele, le pere, le ciliegie e le prugne? Io non posso supporre altro che Jehova non abbia trovato il luogo abbastanza propizio per far sorgere anche là questi dolci prodigi! Ma da ciò si vede che Jehova stesso considera in larga misura le condizioni più o meno favorevoli di una località; in caso diverso Egli non avrebbe mancato certo di far crescere anche sull'Ararat questi dolci prodigi ricchi di nutrimento!
21. Ed io con ciò credo di non togliere niente alla Tua Divinità se affermo che, agli scopi del compimento di prodigi, Tu trovi sempre un luogo più favorevole di un certo eventuale altro luogo, come potrebbe essere ad esempio Nazaret dove Tu non hai fatto niente di straordinario in fatto di prodigi. Tu, essendo Jehova, potresti con la massima facilità convertire il grande deserto africano nella prateria più fiorente e benedetta se Tu trovassi quel territorio adatto e favorevole alla trasformazione. Ma poiché il territorio menzionato è sempre un deserto e con molta probabilità rimarrà per lungo tempo ancora quello che è attualmente, così credo che Tu non subirai nessuna perdita alla Tua Divinità se il grande deserto del Sahara rimarrà ancora per lungo tempo quello che è ora! Questa è la mia opinione, nonostante che forse il fratello Tommaso non sarà proprio perfettamente d'accordo con me!»
22. A questo punto Tommaso, ad un Mio cenno, si fa innanzi e dice: «Per quanto concerne le parole, saresti completamente in regola, purché vi fosse armonia fra il tuo animo e le tue parole e che pure il tuo riconoscimento interiore fosse perfettamente uguale a quello della tua bocca, ma purtroppo di tutto ciò non si può scoprire traccia in te! Secondo la tua professione di fede interiore, il Signore resta sempre anzitutto un Sapiente eclettico (filosofo) il quale dalle molte dottrine a Lui conosciute sa trarne una sapientissima fra tutte, e poi, in secondo luogo, tu ritieni che Lui si sia appropriato dell'arte magica con tale perfezione che, nel caso di occasioni sicure e circostanze favorevoli, niente può mancare di riuscirGli, e la tua idea fondamentale, abbastanza strettamente in parentela con Satana, si concretizza nel fatto che un mago eminente di questa fatta, il quale sa domare ed assoggettare alla propria volontà tutte le forze, per quanto misteriose, dovrebbe essere infine anche un vero Dio!
23. Ebbene, ora qui viene a risultare che il Signore Gesù da Nazaret corrisponde perfettamente a tali tue esigenze, e per conseguenza anche non ci pensi più di tanto a detronizzare del tutto l'antico Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe per collocare definitivamente sul trono della Divinità questo tuo mago! Infatti, riguardo al considerare lo Spirito di questo Santo da Nazaret per Quello stesso che un giorno tuonò ai nostri padri le Sue leggi sul monte Sinai, di ciò non vi è nel tuo cuore neanche il più lieve barlume di un qualche misero mezzo concetto.
24. E poiché in te le cose hanno sempre, invariabilmente, il medesimo aspetto, io non posso fare a meno di ammonirti in ogni occasione, quando questa si presenta favorevole alla tua smania di emergere e di mettere sempre in evidenza la tua malvagia doppia lingua traditrice, poiché chiunque pensi e senta differentemente da quanto gli esce dalla bocca, è un traditore contro il Santuario della Verità. Tu dovresti quindi accogliere questa ammonizione ed evitare per sempre che le tue parole suonino diversamente da quanto pensi e senti nel tuo cuore. Questo, infatti, è il modo di comportarsi dei lupi rapaci che vanno in giro coperti di pelle di pecora per poter attirare, con tanta maggiore facilità e a portata delle loro zanne micidiali, qualche mansueto ed innocente agnello. Comprendimi bene, poiché io ti compenetro completamente con lo sguardo e ti ammonisco solo quando vuoi esprimerti ad alta voce, perché è da qui che io vedo subito come tu sia sempre un bugiardo, visto che le tue parole sono in contrasto con i tuoi pensieri e i tuoi sentimenti. Io, sapendo di avere a che fare con un'anima inferma, non ti sono certo nemico, ma della malattia in se stessa certo che sono nemico!».
Il rimprovero di Giuda.
1. Dice Giuda Iscariota: «Ma se le cose a mio riguardo stanno in questi termini, è necessario anzi che io mi mostri quale sono, perché il Signore ha dato agli altri sempre l’occasione di spogliarsi della loro perfidia e falsità. Se dunque gli stranieri hanno ottenuto una simile concessione, perché dovrebbe venire negata proprio a me che pure appartengo alla vostra compagnia e che ho sempre diviso con voi gioie e dolori?»
2. Allora interviene Bartolomeo il quale dice: «Con gli stranieri la questione era del tutto differente! In loro c'era per lo più della falsità radicata davvero già da molto tempo. Essi, in fondo, non potevano farci niente se erano perfidi e malvagi, ma quando poterono intendere la parola chiara dell’eterna Verità, allora in loro cominciò un ribollimento, ed essi iniziarono a liberarsi dell'antica immondizia e si purificarono. Tu invece già da molto tempo ti trovi in tutta la pienezza della Luce spirituale di Verità, e della sua assoluta autenticità tu hai mille delle più convincenti prove tanto sotto forma di parole quanto sotto quella di ogni specie di opere prodigiose. Ma tutto ciò non fa assolutamente presa su di te; tu preferiresti operare tu stesso dei miracoli per guadagnarti con questo mezzo oro e argento nella maggior quantità possibile come i farisei del Tempio. A te non occorre alcun altro Dio all'infuori di uno capace di procurarti denaro in abbondanza, per poi darti su questa Terra ad una vita quanto mai piacevole, ed infine peccare mortalmente senza alcun riguardo per le Verità della vita da Dio apprese qui!
3. Ma, dato un tuo simile modo di pensare interiore, riguardo al purificarsi del tuo intimo non resta più niente da fare, perché ciò non può concorrere a migliorarti, né a noi è offerto un mezzo per poter creare in te con le parole o con i fatti un cuore nuovo senza il quale tu continuerai ad essere quello che sei ora.
4. Se l'onnipotente Parola del Signore non è capace di operare in te un cambiamento, che effetto può avere su di te la nostra misera parola umana? Dunque faresti meglio a ritornare al tuo posto di prima e a non disturbarci più d'ora in poi con le tue inutilissime chiacchiere! Ed ora, per conto mio ho finito»
5. A questa energica ramanzina Giuda Iscariota avrebbe certo voluto ribattere qualcosa, sennonché Cornelio lo prevenne e disse: «Tu vedi di aprire la tua bocca soltanto quando sarà richiesto da qualcuno, altrimenti sta zitto e non importunare il Signore nel Suo agire! Se hai assolutamente bisogno di parlare, basta che ti addentri per bene nel bosco qui vicino, là potrai sfogarti a tuo piacimento, e né gli alberi né gli arbusti ti faranno delle obiezioni che potrebbero farti arrabbiare e forse alla fine anche offenderti gravemente. Oppure vattene laggiù in riva al mare e fa i tuoi discorsi ai pesci, per i quali sarà pure tutto buono quanto dirai! Infatti, quello che tu comprendi di ciò che succede qui, equivale a niente; d'altro canto la tua stoltezza brontolona che genera in te sempre nuova avidità e nuovo egoismo ci è d'impedimento nelle nostre considerazioni più profonde delle grandi Verità della vita da Dio, il Signore di ogni cosa, a noi tanto necessarie!»
6. Dopo aver udito queste parole, Giuda Iscariota si ritirò dietro a tutti, e non fiatò più, perché egli aveva il massimo rispetto di Cornelio, non ignorando affatto il suo zelo e i suoi sentimenti a riguardo Mio e della Mia Dottrina.
7. E quando con ciò ogni ulteriore inconveniente fu scongiurato, Io dissi a tutti: «A chi già ha, a costui molto ancora verrà dato, ma chi non ha, a costui verrà tolto anche ciò che eventualmente ha!
8. Voi vi siete ora convinti da voi stessi quali cose maligne siano la brama e la avidità del mondo; preservate dunque con ogni cura i vostri cuori da simili mali, perché ad un cuore avido delle cose del mondo non è possibile comprendere qualcosa delle cose dello spirito, e non può mai più venire rischiarato e venire condotto così pienamente al punto da comprendere quello che sarebbe di giovamento alla sua salvezza.
9. Voi tutti avete ormai compreso già delle difficili cose, quantunque siate appena da pochi giorni in Mia compagnia. Quel discepolo invece Mi è vicino già da quasi mezzo anno, e con i suoi propri occhi e orecchi fu testimone di ogni prodigio e di ogni insegnamento possibile, e nonostante ciò la verità non riesce a far breccia in lui; ora la ragione di ciò va ricercata nella sua invincibile avidità di denaro derivata dalla sua grande pigrizia e indolenza.
10. Un uomo che sia veramente diligente si guadagna con facilità quel tanto al giorno che gli occorre per le proprie necessità, ed anche qualcosa di più da potergli servire nei giorni della sua vecchiaia; e anche se, data la sua tendenza a venire volentieri in aiuto ai miseri e bisognosi, non arriva a risparmiare niente, ebbene, per i giorni della sua vecchiaia si provvederà comunque a lui.
11. Ma un uomo pigro invece ama il dolce far niente, e vuol spassarsela bene a spese del suo prossimo diligente; perciò egli diventa bugiardo, imbroglione e ladro pur di poter accumulare quel tanto di tesori che gli conceda di condurre poi una vita principesca!
12. Ma per effetto di questa avida brama, egli ottenebra la propria anima in modo tale che essa non giunge a comprendere più nulla di ciò che è puramente spirituale, e anche se su di lui si riversa la più alta e la più pura luce spirituale, egli la inverte immediatamente nella propria essenzialità egoistica e grezzamente materiale, e perciò poi nuovamente non vede e non riconosce altro all'infuori di ciò che è materiale!
13. Come però lo spirituale si converta nella materia, voi lo avete visto durante la formazione di quest'asina che ora pascola dinanzi a voi, e perciò non è necessario che Io affronti ulteriormente l'argomento, perché chi di voi ha compreso queste cose, le ha comprese subito e facilmente, ma chi non le ha comprese rapidamente e facilmente, costui non le comprenderà pienamente per lungo tempo ancora, ed a questo mondo, poi, mai più.
14. Allora, voi tutti interrogate voi stessi per verificare a quale punto sia la vostra comprensione a questo riguardo. Chi ha, ha, ma chi invece non ha, ci vorrà molto ancora prima che abbia. Colui nel quale l'anima è spirituale, costui può anche comprendere facilmente lo spirituale, ma colui invece nel quale l'anima tende alla materia e la desidera, allora non è possibile che costui arrivi a comprendere tali cose che sono supremamente e puramente spirituali».
Dell’educazione dei bambini.
1. (Il Signore:) «Fra gli uomini devono certo esserci dei divari; tuttavia riguardo all'anima nessuno fu mai posto su questo mondo in condizioni di abbandono e di trascuratezza tali da dover provocare la completa materializzazione dell'anima stessa! Infatti, non un’anima umana è stata mai posta nella carne senza la libera volontà e senza una propria intelligenza.
2. La ragione principale della rovina delle anime umane è da ricercarsi anzitutto nella prima educazione la quale è comunemente falsa e ispirata ad un insensato amore; si lascia cioè che l'alberello cresca come vuole, e con un viziare quanto mai inopportuno si contribuisce, quanto più è possibile, al fatto che il tronco si sviluppi ben curvo e contorto. Ma quando il tronco si è indurito, allora a poco o nulla servono di solito tutti i tentativi per raddrizzarlo: un'anima che sia cresciuta curvata, di rado riesce a diventare un tronco perfettamente diritto!
3. Vedete perciò voi tutti di mantenere diritti i vostri figli nella loro prima giovinezza, quando si lasciano facilmente guidare, ed allora si troverà ben difficilmente in qualche luogo un'anima tanto materialista da non poter comprendere lo spirituale e da non adattarsi con facilità ad un retto operare sulle vie del vero Ordine della vita da Dio. Prendete ben nota di questa cosa, poiché è proprio per questo che Io vi ho mostrato come procede l'incarnazione di un'anima nel corpo materno!
4. Un fanciullo, fino al suo settimo anno di età, è ancora molto più animale che uomo, perché quanto vi è di umano nel fanciullo, giace ancora in un sonno profondo. Dato quindi che fino alla menzionata età un fanciullo è molto più animale che uomo, è chiaro che egli debba avere anche delle necessità prevalentemente animalesche e, accanto a queste, poche di veramente umane.
5. Per conseguenza si dia loro lo strettamente necessario; li si abitui per tempo ad ogni tipo di rinunce, non si lodi mai esageratamente i bravi, ma d'altro canto non si usi mai neppure eccessiva durezza con quelli che sono meno bravi e capaci, ma questi vengano trattati con giusto amore e pazienza.
6. Si lasci che si esercitino in ogni cosa buona e utile, e si eviti che nell'animo di un fanciullo, per quanto bravo, si annidi la vanità, l'amore di se stesso e la presunzione. Né si rendano i fanciulli, qualora siano in qualche modo fisicamente belli, più vanitosi e superbi ancora di quanto comunemente lo siano già per natura mediante il dono di belle e ricche vesti. Li si mantenga puri, senza tuttavia farne mai dei cosiddetti idoli della famiglia, e così facendo, già dalla nascita essi saranno avviati per quella via che nella loro più matura giovinezza li farà arrivare al punto dove voi tutti per mezzo Mio arrivate solo ora.
7. La vergine giungerà tutta casta e costumata allo stato di madre stimata e rispettata, e il giovinetto entrerà nell’età virile con anima matura di uomo e con spirito risvegliato in essa, e sarà una benedizione per i suoi, nonché per la Terra ed ogni sua creatura.
8. Ma se voi vi mostrate troppo arrendevoli alle brame e alle passioni animalesche dei vostri figli, così facendo voi aprirete una nuova e larga porta a tutti i vizi, attraverso la quale essi si precipiteranno a schiere e ad eserciti per rovinare questo mondo; e una volta arrivati a questo punto, voi scenderete in campo invano contro di loro con ogni tipo di armi e non otterrete nessun risultato contro la loro potenza e immensa violenza.
9. Curate dunque bene gli alberelli affinché crescano diritti verso il Cielo, e purificateli con attenzione da ogni mala escrescenza, perché quando gli alberi si sono fatti grandi e robusti ma sono cresciuti curvati e contorti malamente per effetto del soffio di venti maligni, allora non sarete più in grado di restituire loro la forma diritta neanche se impiegate i mezzi più violenti!
10. Voi avete visto prima davanti ai vostri occhi l'ammasso di lingue di fuoco nel suo stato animico-specifico libero e sciolto, quando cioè non era affatto ancora deciso che da esso avrebbe dovuto sorgere precisamente un'asina; solo dopo le disposizioni prese dall'angelo, le parti cominciarono ad afferrarsi l'una all'altra per costituirsi in un organismo, in modo che infine dovette apparire, materialmente visibile, la forma di un asino.
11. Ma ora che l'asino sussiste già perfettamente costituito, il fatto che esso si possa trasformare in un altro animale è a mala pena concepibile per le vie naturali! Certo, non vi è niente che sia impossibile a Dio, ma allora questo asino dovrebbe venire prima dissolto del tutto, e tutti gli specifici fondamentali dovrebbero costituirsi in un organismo assolutamente differente immettendo fra loro degli specifici nuovi ed eliminandone molti altri che sono una condizione particolare per la sola formazione dell'asino. Questo procedimento però richiederebbe un lavoro ed una fatica cento volte maggiore che non il creare fuori dal pensiero primordiale, nel giusto rapporto, un essere del tutto nuovo che non avesse ancora calcato il suolo di questa Terra.
12. Così anche un fanciullo lo si può facilmente plasmare come si vuole, mentre un adulto o addirittura un vecchio acconsentirà a mutare poco o niente di sé.
13. Prestate perciò la massima attenzione anzitutto alla vera e buona educazione dei vostri figli, così sarà poi un facile compito per voi predicare integralmente ai popoli nuovi questo Mio Vangelo, e la buona semente cadrà anche su un terreno buono e pulito e finirà col rendere frutti centuplicati; ma se voi lascerete che i vostri figli crescano come fanno le scimmie, essi, divenuti erba cattiva, vi riserveranno i vantaggi che le giovani scimmie riservano ai loro genitori, e cioè quello che i vecchi raccolgono, viene divorato e distrutto maliziosamente dai loro piccoli, e se i vecchi vogliono impedire un simile danneggiamento, i giovani si fanno loro incontro digrignando i denti aguzzi e li cacciano via».
La vita di Giuda Iscariota.
1. (Il Signore:) «Ma un esempio vivente a questo riguardo voi lo avete in questo discepolo (Giuda Iscariota). Egli era figlio unico di un padre molto facoltoso e di una pazza di madre innamorata del figlio fino a morirne. La conseguenza fu che ambedue i genitori allevarono il loro figlio viziandolo in ogni modo alla maniera delle scimmie, tollerando tutto da lui ed anche concedendo tutto quello di cui lui aveva voglia. Il risultato successivo fu che, quando il giovane si fu fatto grande e robusto, cacciò via di casa i vecchi e si diede al piacere frequentando prostitute fino al punto in cui la sua natura era in grado di sostenere.
2. Non passò molto tempo che il giovane si trovò ad aver dissipato il patrimonio dei vecchi al punto che questi due furono ridotti all’elemosina e poco dopo morirono di dolore e di preoccupazioni.
3. Allora il giovane, ridotto egli pure alla miseria, cominciò a pensare un po’ ai fatti suoi e finì col giungere dentro di sé alle seguenti considerazioni: “Ma perché poi sono diventato così e non altrimenti? Da solo io non sono nato, né meno ancora mi sono generato; in quanto alla mia educazione, non è possibile che abbia potuto entrarci in qualche modo io, eppure tutto il mondo mi dichiara in faccia che io sono un miserabile birbante ed uno scellerato che, con i suoi tiri malvagi e furfanteschi, ha divorato tutto il patrimonio messo assieme faticosamente dai suoi genitori, riducendoli all’elemosina e perfino facendoli entrare del tutto anzitempo nel sepolcro!
4. Ma che colpa ne ho io? Può essere benissimo che tutto ciò sia stato molto malvagio da parte mia, ma cosa c'entro io se i miei genitori non hanno saputo fare di me qualcosa di meglio? E adesso cosa faccio, ora che sono povero, senza denaro, senza tetto, senza lavoro e senza pane? Rubare sarebbe la cosa più facile di questo mondo, e così si arriverebbe più presto che non altrimenti ad una buona meta, ma mi pare che, da ladro inesperto, venire intrappolato e poi castigato a sangue non sia troppo comodo! Con la rapina c'è da aspettarsi ancora di peggio! Ma ormai so quello che dovrò fare! Imparerò qualche mestiere, fosse anche quello vecchio e stupidissimo del pentolaio che pure ha arricchito mio padre!”.
5. Detto fatto; egli se ne andò a Cafarnao a fare pratica presso un pentolaio che là esercitava pacificamente il suo mestiere, e là, applicandosi con gran diligenza, imparò l'arte in breve tempo. Il vecchio pentolaio aveva una figlia che poco dopo andò sposa al lavorante.
6. Sennonché, quanto dissipatore era stato prima il nostro Giuda, altrettanto duro e avaro si fece quando diventò padrone. Sua moglie sperimentò spesso la sua durezza. Egli produceva della buona merce e cominciò a vendere in tutti i mercati, ma a casa sua lasciava che i suoi se la sbrigassero come potevano sudando e lavorando come bestie. Se ritornava a casa con molto denaro da qualche mercato, qualche piccola cosa c'era anche per quei miseri che avevano più diligentemente sgobbato, ma se il bottino era poco, allora nella sua casa, amministrata col sistema del contagocce, erano guai gravi.
7. Per guadagnare sempre più, oltre alla sua attività di pentolaio, egli prese in appalto anche una pescheria, e un paio di anni fa circa cominciò a dedicarsi pure alla magia naturale, avendo visto spesso a Gerusalemme quali guadagni vi avesse realizzato più di un mago egiziano o persiano. Ma quantunque avesse sacrificato a questo scopo molto denaro, non concluse nulla; egli prese in questo ramo anche lezioni da alcuni esseni esterni, i quali gli avevano dato ad intendere che, qualora fosse stato necessario, essi sarebbero stati in grado di creare addirittura anche un mondo con quanto c'era dentro e sopra di esso.
8. Sennonché ben presto egli poté convincersi che l'imbrogliato era lui, e perciò voltò le spalle a quei bei maestri. E fu in quest'anno che egli ebbe sentore delle Mie grandi opere e come Io facessi cose che superavano di molto tutto quanto finora era stato mai visto su questa Terra in fatto di miracoli.
9. Ebbene, fu appunto questo il vero motivo per il quale egli si unì a Me, abbandonando tutto a casa sua: unicamente per imparare da Me l'arte di fare miracoli ripromettendosi poi abbondanti guadagni d'oro e d'argento.
10. Della Mia Dottrina a lui poco interessa; quando egli fa attenzione a quanto Io dico, lo fa veramente soltanto sperando di udire finalmente la spiegazione del come e con quali mezzi Io abbia compiuto l'uno o l'altro prodigio. Ma, dato che a questo riguardo non gli è mai possibile sentire qualcosa di utile, ne consegue che egli è sempre accigliato e brontolone.
11. Del resto egli, per questo mondo, finirà col trovarsi molto male di fronte a Me alla resa dei conti; un atto da traditore e subito dopo la disperazione più nera lo indurranno al suicidio, ed una corda e un salice segneranno la fine della sua triste esistenza su questo mondo. Infatti egli è uno che vuole tentare Dio, ciò che è e deve essere un crimine ben grave. Chi però giunge fino al punto di commettere un crimine contro Dio, non mancherà pure di commetterlo contro se stesso. Prima contro Dio, e dopo contro se stesso!
12. Ma Io vi dico che nell'aldilà coloro che si suicidano ben difficilmente vedranno mai il Mio Volto! Io potrei perfino dimostrarvi le ragioni matematicamente fondate di quanto vi dico, sennonché davvero non ne vale la pena, e basta che crediate a quello che vi ho indicato come conseguenza del suicidio. La causa ne è sempre una specie di istupidimento derivante dalla disperazione, e questa è una conseguenza di un qualche delitto contro Dio o contro i Suoi Comandamenti».
Le conseguenze della falsa educazione.
1. (Il Signore continua:) «Certo, si riconosce bensì che le leggi di Dio sono supremamente buone e giuste, ma - quando si tratta di venire ai fatti - si trovano anche degli uomini che di simili leggi non vogliono saperne affatto e che invece vivono unicamente ed esclusivamente secondo i dettami del mondo. Con questi tali non c'è da concludere nessun affare, oppure, se lo si conclude, si finisce col persuadersi di avere fatto il peggiore affare di questo mondo. Colui che entra in rapporto con loro, costui è già anticipatamente ingannato e truffato nel modo più atroce. Colui però che si associasse a simili uomini del mondo con l'intento di trarre un qualche guadagno per sé, dovrebbe essere davvero assai stolto, altrimenti avrebbe, già prima di entrare in trattative con loro, certamente scrutato più a fondo i suoi soci.
2. Un tale uomo, per lo meno stolto a metà, è però ancora di cuore un po’migliore, quantunque sempre piuttosto avido di guadagno, ma è nello stesso tempo debole di fede ed ha poca fiducia in Dio a causa appunto della sua stoltezza. Egli va sempre pensando e dicendo tra sé: “Lasciate che io sia ben ricco, e poi diventerò l'uomo migliore di questo mondo e potrò procurarmi pure tutti i mezzi mediante i quali mi sarà possibile imparare a conoscere meglio e con maggiore chiarezza il mistico Essere divino! Io poi elargirò ogni beneficio immaginabile a vantaggio del misero mondo sulla cui bocca il mio nome correrà ancora per decine di secoli. Però è opportuno lasciare che i ricchi uomini del mondo mi si rendano soggetti, poi ogni altra cosa verrà ben presto da sola!”.
3. Una simile mente poco acuta coltiva quindi simili cieche speranze, fa progetti e tentativi, si avvicina ai grandi e ai ricchi del mondo per offrire loro i suoi piani, ed essi col loro acuto intelletto mondano riescono ben presto a trovarvi qualcosa da volgere a loro profitto. Lo sciocco speculatore ci casca, e in questa occasione finisce col restare vittima del più abominevole inganno!
4. Ed eccolo ormai, nonostante tutti i suoi piani, privo di ogni speranza, completamente rovinato e del tutto ignaro di come potrà fare per togliersi dai guai. La fede in un Dio e la fiducia ferma nella Sua Potenza, Bontà ed Aiuto erano già da tempo per lui cose senza significato. Come conseguenza dell'inganno che lo ha rovinato materialmente, egli ha perduto ogni contatto col mondo; il suo intelletto è troppo ottuso e non è capace di trovare una via d'uscita nonostante tutto il suo cercare e tutti i suoi sforzi!
5. Ma che seguito può avere allora una simile situazione? Nient’altro che la disperazione e con questa la noia atroce della vita, dato che nei riguardi di questa egli non riesce a trovare una qualche soluzione, nemmeno alla lontana! In un simile stato di esaltazione febbrile, uno stolto e ottuso di questa fatta si toglie solitamente la vita e diventa un suicida. Che egli così facendo causi non di rado alla propria anima un danno sconfinato, voi potete dedurlo in maniera evidente dal fatto che quest’uomo tende ancora per lungo tempo a distruggersi sempre di più, dato che già una volta ha concepito l'odio più mortale contro l'esistenza, senza il quale non sarebbe diventato un suicida. Questa stoltezza però non è mai innata in nessuno, ed è semplicemente la conseguenza di una pessima e falsa educazione.
6. Chi ama veramente i propri figli, prima di ogni altra cosa deve fare in modo che le loro anime vengano educate così da evitare che vengano inghiottite dalla materia. Se le anime vengono allevate nel dovuto ordine, esse si faranno quanto prima capaci di accogliere in sé lo spirito e non diverranno mai stolte, né perciò potrà mai sorgere in loro la più lontana idea del suicidio.
7. Invece col vostro scimmiesco sistema educativo dei fanciulli, particolarmente nelle città, non si può arrivare ad altri risultati. Abituate dunque i vostri figli, già nei loro teneri anni, a cercare il vero Regno di Dio nel cuore, e così li avrete ornati più che regalmente, ed avrete riservato per loro, nel tempo e in eterno, la migliore e più cospicua eredità!
8. Dai fanciulli viziati per eccessivo e falso amore non si ottiene niente di grandioso per la vita! Anche se a loro non succede niente di male nel senso vero e proprio o non si incamminano proprio per vie malvagie, tuttavia col tempo va formandosi in loro un certo lato debole che a nessuno è permesso, non solo di offendere, ma addirittura di toccare. Se un simile punto debole viene in qualche modo toccato, o addirittura offeso, allora è finita con un tale viziato: egli andrà completamente fuori dai gangheri e scatterà furioso, e tenterà certo ogni via pur di vendicarsi di colui che lo ha offeso, oppure, come minimo, inveirà contro di lui delle serie e terribili minacce e lo ammonirà a guardarsi in avvenire dal rinnovare uno scherzo di quel genere altrimenti si dovrà aspettare le peggiori conseguenze!
9. Un punto debole di questa specie non è a dire il vero un male che ha le proprie radici nel libero volere e nel riconoscimento di chi ne è affetto, ma ad ogni modo costituisce una falla nell'anima, e proprio in tale punto essa rimane sempre suscettibile ad essere ferita, e ciò non soltanto qui, ma pure per lungo tempo ancora nell'aldilà.
10. Perciò, educando i vostri figli, dovete fare la massima attenzione che in loro non si formi nessuno dei cosiddetti lati deboli. Essi sono per l'anima ciò che per il corpo sono quelle ferite cicatrizzate soltanto a metà e che si possono chiamare malattie croniche; se il bel tempo perdura e l'aria è costantemente buona, non causano alcun disturbo e l'uomo che ne è affetto si sente perfettamente sano, ma non appena lo stato dell'atmosfera comincia a cambiare e si annuncia il mal tempo, allora queste cicatrici nella carne incominciano subito a farsi sentire e il dolore che causano non di rado porta l'uomo alla disperazione.
11. Ma come per ogni medico è particolarmente difficile rimediare a simili deficienze inveterate del corpo, altrettanto e ben spesso è ancora molto più difficile rimediare le vecchie falle dell'anima. Se il navigante vuole preservare la sua nave dalle falle, non deve guidarla là dove il mare è disseminato di scogli e di banchi di corallo, ma la deve guidare là dove l'acqua è sufficientemente profonda; e così pure se l'educatore vuole essere davvero un esperto navigatore sul mare della vita, non deve condurre le piccole navi della vita a lui affidate tra i bassifondi mondani disseminati di scogli insidiosi, ma deve piuttosto avventurarsi là dove il mare della vita ha maggiori profondità; così facendo egli preserverà certo le sue navicelle da falle pericolose e si renderà degno dell'onore che compete ad un vero navigatore sul mare della vita.
12. Beato chiunque vorrà prendersi a cuore anche queste parole; esse certo non resteranno senza benedizione per lui e per i suoi!
13. E adesso che abbiamo trattato con vantaggio pure tale questione secondaria sorta in seguito all'intervento del discepolo Giuda Iscariota, ritorniamo alle nostre considerazioni riguardo al divenire e all'apparente svanire delle cose, e soffermiamoci in particolare su quest'ultimo processo».
Il timore della morte.
1. (Il Signore:) «Il divenire di una cosa, di un essere o addirittura di un uomo ha senza dubbio sempre in sé qualcosa di rallegrante, mentre il trapassare visibile delle cose e, in modo particolare, il dissolversi dell'uomo suscita un’impressione di tristezza che colma sempre di dolore ciascun animo umano.
2. Ma Io ora domando: "Ma perché succede questo se nell'umanità c’è ancora qualche briciolo di fede nell'immortalità dell'anima umana?”. Vedete, la causa di questo fenomeno giace più a fondo di quanto potreste pensare. Anzitutto una simile afflizione ha le sue origini nel timore della morte, e poi anche in molte altre cose che Io però non posso né devo chiarirvi tutte in una volta per non creare in voi confusione ora in un campo ora nell'altro.
3. Quando un'anima è completamente rinata ed è passata alla vera attività, allora ogni afflizione e ogni vano timore della morte e dell'apparente svanire sono naturalmente scomparsi, ma trattandosi di anime che non hanno ancora raggiunto l'adeguato grado di perfezione della vita interiore, in queste resta sempre dell'afflizione per i loro congiunti defunti e in loro stesse anche un po' di timore della morte. A questo mondo un'anima simile può liberarsi di questo timore solo quando essa si sia fatta grande nel proprio spirito, e questo si sia fatto grande in lei.
4. Basta che voi ad esempio consideriate un po’ un fanciullo nel caso in cui, allevato male e viziato, non sia stato abituato ad essere attivo già fin dai più teneri anni, ebbene, voi vedrete che faccia terribilmente scura farà quando, passato forse il dodicesimo anno, dovrà sobbarcarsi continuativamente qualche lavoro davvero serio, anche se proporzionato alle sue forze. Egli si metterà a piangere, non nasconderà la sua tristezza e il suo malumore, e si accenderà d'ira contro coloro che avranno cominciato a incitarlo ad una attività continuata!
5. E confrontate invece questo esempio con un altro fanciullo di pari età che già dai suoi primi anni sia stato occupato in lavori di carattere sempre serio e proporzionati alle sue forze! Vi accorgerete con che gioia e con che perfetta serenità un simile fanciullo si occuperà dei suoi compiti per tutto il giorno senza stancarsi.
6. Ma come in un'anima pigra dimora sempre un grave timore di svolgere ogni attività seria e continuata, così pure, e proveniente dalla stessa fonte, c'è anche sempre nell'anima stessa il timore della morte, anzi perfino il timore di una malattia, per poco pericolosa che sia.
7. Voi avrete avuto già più volte occasione di osservare come negli uomini veramente diligenti e molto laboriosi la paura di morire non sia tanto grande quanto negli uomini che odiano il lavoro ma che nello stesso tempo amano le comodità e i piaceri della vita; ed un simile spavento non svanisce prima che tali anime non si siano dedicate ad una giusta attività.
8. Voi senza dubbio pensate che questo timore non sia che la conseguenza dell'incertezza che regna in loro e che riguarda se vi sia un aldilà e il come vi si potrà vivere. Io però vi dico che ciò non corrisponde al vero! Questo invece non è in se stesso altro che una conseguenza dell'avversione all'attività profondamente radicata nell'anima, e poiché l'anima segretamente intuisce che con la dipartita dal corpo la sua esistenza ulteriore dovrà farsi quanto mai attiva, essa ne rimane desolata e trapassa ad una specie di stato febbrile, e in tali condizioni poi sorge anche l'incertezza riguardo alla realtà della vita futura. Rifletteteci un po' su questo, e dopo noi continueremo con la spiegazione di questo argomento che ha molta importanza»
9. A queste Mie parole Mataele si alza e dice: «Qualora mi fosse permesso, vorrei aggiungere io poche parole a questo riguardo per facilitare ai presenti la comprensione di certe cose!»
10. Dico Io: «Ebbene, dì pure quello che sai e come lo comprendi, perché il tuo sapere e il tuo modo di comprendere poggiano sulle migliori fondamenta».
La separazione dell’anima dal corpo al momento della morte.
1. Allora Mataele comincia a parlare e dice: «Miei cari amici e fratelli, veramente non so bene come sia avvenuto che già nei miei giovanissimi anni io talvolta abbia potuto vedere degli spiriti e addirittura intrattenermi con loro, e fu proprio questo uno dei motivi principali che mi indusse perfino ad entrare fra le mura del Tempio. Mi si disse, infatti, che lì dentro gli spiriti, che già spesso mi avevano turbato, non avrebbero avuto più nessun potere su di me, e che dal momento del mio ingresso nel Tempio io non ne avrei più visto nessuno. Ebbene, questo fu effettivamente vero, e quando ebbi indossato le vesti benedette dal Tempio, anche le mie visioni svanirono completamente! Il come e il perché non potrei affatto indicarveli; tuttavia questo è il fatto e corrisponde assolutamente al vero.
2. Quantunque però fui liberato da quel tormento grazie alle mura e alle vesti del Tempio, gli spiriti non mancarono di vendicarsi in un'altra maniera. Il mio successivo e terribile stato di ossessione ne fu certamente una conseguenza quanto mai dolorosa. Le ulteriori vicende dovute a quel mio deplorevolissimo stato sono ormai ben note e quindi non è necessario che io vi dedichi più altre parole. Però in relazione alla mia facoltà visiva degli spiriti, avuta in gioventù, sono conservate nella mia memoria ancora molte cose, e se adesso ne riferisco qualcuna ai miei attuali amici e fratelli allo scopo di illuminarli riguardo a certe questioni, io credo di poter rendere loro un piccolo servizio almeno in questa occasione.
3. Ascoltate. Al tempo in cui io avevo sette o forse già otto anni, ci fu una terribile epidemia che colpì numerose persone, e fra queste ne morirono improvvisamente cinque che io conoscevo: la moglie di un nostro vicino, due delle sue figlie più anziane e due serve che avevano fino ad allora goduto sempre di buona salute.
4. Lo strano fu che quella curiosa epidemia mieté le sue vittime soltanto fra le donne adulte e sanissime. Quando nella casa del vicino si ammalò la moglie, mentre le due figlie e le due serve erano morte già il giorno prima, il vicino venne da noi in preda alla disperazione per il gran dolore e ci pregò insistentemente di assisterlo e, se mai fosse possibile, di strappare alla morte sua moglie, perché mio padre, il quale aveva una bella proprietà vicino a Gerusalemme, dove anche per lo più abitava, era in caso di bisogno anche medico, e perciò tanto più egli si sentì in certo modo in dovere di esaudire la preghiera dell'infelice vicino. Che io in quella occasione non potessi restarmene a casa, potrete facilmente rilevarlo dalla circostanza che non di rado io ero in grado di indicare a mio padre dei rimedi eccellenti che mi venivano suggeriti spesso, con tutta precisione e fedeltà, da questi miei spiriti.
5. Mio padre era convinto che in casa del vicino mi sarei incontrato con degli spiriti che mi avrebbero indicato un qualche mezzo per ottenere la guarigione della donna mortalmente ammalata, e così nolens volens (nolente o volente) dovetti essere della compagnia. Infatti, mio padre non si era affatto sbagliato, ed io ebbi davvero occasione di vedere numerosi spiriti di varia natura, buoni e cattivi, tutti assieme. Tuttavia riguardo all'ottenere qualche suggerimento a vantaggio della ammalata, quella volta non se ne fece nulla, perché quando per desiderio di mio padre ebbi pregato un grande spirito, vestito di un manto a pieghe di colore grigio chiaro, di indicarmi qualche rimedio, esso mi rispose: “Guarda la morente, e vedi come la sua anima già si stacca salendo fuori dalla bocca dello stomaco che è la consueta via d'uscita dell'anima quando questa si separa dal corpo”.
6. Allora io esaminai più da vicino colei che era ormai moribonda, e vidi che un vapore bianco si innalzava fuori dalla bocca dello stomaco, si dilatava sempre di più sopra questa parte del corpo e si faceva anche sempre più denso, però per molto tempo non notai niente che sembrasse una figura umana. E mentre io stavo osservando pensieroso il fenomeno, il grande spirito vestito di grigio chiaro mi disse: “Sta bene attento come fa un'anima per abbandonare per sempre la sua dimora terrena!”. Io però gli chiesi: “Perché quest'anima che si diparte dal corpo non ha una forma, mentre voi che siete solo pure anime avete una regolare forma umana?”. E lo spirito rispose: “Basta che tu aspetti solo un po’ finché l'anima si sarà completamente staccata dal corpo, e allora vedrai come essa si ricomporrà e si farà bella e piacevole a vedersi”.
7. Mentre io scorgevo quel tale vapore sempre più espandersi e condensarsi aldi sopra della bocca dello stomaco dell'ammalata, il corpo era sempre ancora vivente e ogni tanto emetteva un gemito come di una persona che stesse facendo dei brutti sogni. Dopo un quarto d'ora circa, secondo il tempo romano, quella massa vaporosa, grande quanto una fanciulla di dodici anni, si librava già pressoché due spanne (40 cm circa) al di sopra del corpo della moribonda, ed era congiunta con la bocca dello stomaco mediante una colonna vaporosa grossa quanto un dito; la colonna aveva una tinta rossastra e a volte improvvisamente si allungava, a volte si accorciava, però dopo ciascuna fase di allungamento e di contrazione si faceva più sottile e inoltre, durante la fase di allungamento, nel corpo si manifestavano sempre delle contrazioni evidentemente dolorose.
8. Trascorse circa due ore secondo il computo dei romani, questa colonna vaporosa si trovò completamente staccata dalla bocca dello stomaco e l’estremità inferiore sembrava una pianta con numerose radici esili e ramificate. Nell’istante in cui la colonna vaporosa fu liberata dalla bocca dello stomaco avvennero due fenomeni che mi colpirono: il primo fu la completa immobilità per la morte del corpo, e l'altro fu che tutta quella massa bianca vaporosa si trasformò in un istante nella moglie del vicino che io avevo conosciuto benissimo. Essa indossò immediatamente un’ampia camicia bianca e salutò gli spiriti amici che le erano intorno chiedendo nello stesso tempo con voce chiara dove si trovasse e che cosa fosse accaduto di lei; oltre a ciò essa si espresse subito in termini di meraviglia e di compiacimento per la bellezza del luogo dove si trovava.
9. In quanto a me, non mi fu dato di scorgere niente della bellezza del luogo a cui si riferivano le sue parole, e perciò io domandai al grande spirito grigio chiaro dove si trovasse quella località così bella. E lo spirito mi rispose: “Questa, fuori dal tuo corpo, non la puoi vedere, perché si tratta soltanto di un prodotto della fantasia vitale della defunta, la quale deve passare solo gradatamente ad una maggiore e più concreta realtà!”. Con queste parole ebbe fine la spiegazione, e poi lo spirito prese a parlare in un linguaggio che io non conoscevo affatto; egli però disse a quest’altra anima, ormai libera, certo qualcosa di molto piacevole, dato che subito dopo la faccia di quest’ultima rivelò una serenità e una letizia assai grandi.
10. Ad ogni modo mi sembrò strano che l'anima ormai libera non accennasse a curarsi più in nessun modo del corpo in cui era dimorata prima; essa, come potei constatare, cominciò subito ad intrattenersi molto bene e in perfetta serenità con gli altri spiriti, però in un linguaggio che io non conoscevo affatto. Dopo qualche tempo vennero condotte alla sua presenza anche le due figlie e le due serve defunte; le figlie salutarono molto amorevolmente la madre, e le serve la loro padrona di una volta, ma non come fossero ancora sussistiti verso di lei gli stessi rapporti di figlie per le prime due e di serve per le altre due, ma come vere e buone amiche e sorelle, e tutta la conversazione si svolse in un idioma a me ignoto e assolutamente incomprensibile. Nessuna però mostrò di curarsi minimamente in alcun modo dei loro corpi che certo a suo tempo erano stati oggetto di molta attenzione, e neppure parve che esse avvertissero in qualche modo la presenza di noi che eravamo ancora mortali.
11. Non meno strano poi mi sembrò il fatto che l'anima della donna, defunta in quel momento, subito dopo essersi liberata dal corpo espresse ancora benissimo in lingua ebraica la sua gioia per la bellezza del paesaggio che le si presentava dinanzi, ma quando invece si fu per così dire più raccolta e condensata, allora essa si servì di un linguaggio che, per quel poco che ne so io, non dovrebbe essere parlato attualmente da nessun mortale su tutta questa Terra la quale è pure abbastanza grande.
12. Perciò io mi rivolsi nuovamente allo spirito grigio chiaro e gli domandai diche cosa parlassero le cinque nuove arrivate nell'altro mondo e di che idioma si servissero.
13. E lo spirito grigio chiaro mi rispose: “Oh, che ragazzo curioso sei! Appunto per causa tua esse parlano questo linguaggio proprio agli spiriti, perché non vogliono essere comprese da te; esse sanno e percepiscono esattamente che tu sei qui come uno di coloro che fuori dal loro corpo possono vedere gli spiriti e possono parlare con loro come un birmano dell'Alta India. Esse sanno e percepiscono di certo che i loro corpi si trovano ancora qui, tuttavia non se ne curano affatto come appunto tu non ti curi delle vesti lacere e non più utilizzabili che getti via. Tu potresti offrire loro adesso anche tutti i regni del tuo mondo con la prospettiva di 1000 anni di vita in perfetta salute, ma esse non acconsentirebbero mai più a rientrare nei loro corpi. Quello però di cui stanno parlando ora, tu non lo comprenderesti neanche se venisse espresso nel tuo linguaggio, perché appunto in questo tempo esse vedono come il grande Messia Promesso si trovi attualmente già quale Uomo nel mondo materiale, quantunque ancora tenero bambinello. Quando ti sarai fatto uomo, tu pure Lo riconoscerai in Galilea”.
14. Questo fu tutto quello che lo spirito grigio chiaro mi comunicò in proposito con ogni gentilezza e amorevolezza. Questa fu senza dubbio un'apparizione quanto mai memorabile da me avuta allora, quando ero ancora ragazzo e che mi ricordo di avere vista in maniera tanto reale e vivente come ora vedo tutti voi; e la prova che lo spirito grigio chiaro quella volta non mi abbia dichiarato delle cose non vere, la fornisce il fatto che io ho trovato Te, o Signore, effettivamente qui in Galilea, e precisamente così come lo spirito grigio chiaro mi predisse.
15. E adesso io sarei desideroso di avere una piccola spiegazione del perché l'anima nel separarsi dal corpo appaia come una massa vaporosa che sale fuori dalla bocca dello stomaco, e perché non appaia subito come una forma umana già compiuta. O Signore e Maestro amorosissimo di ogni vita, non vorresti forse elargirci un po’ di luce a questo riguardo?».
Lo svolgimento dell'atto di separazione dell'anima dal corpo.
1. Dico Io: «Queste cose ve le spiegherò immediatamente; ascoltate dunque. Il vapore visibile che ha la misura (forma)[9] di un uomo è una conseguenza del grande senso di angoscia che predomina nell'anima al momento di staccarsi dal corpo, nel quale essa per qualche istante perde del tutto la conoscenza a causa del timore e dell'orrore prevalenti in lei.
2. Si tratta di uno sforzo straordinario dell'anima che si sta staccando, col quale essa chiama a raccolta tutte le sue energie per conservare per sé l'esistenza di cui è conscia. Tutte le sue parti sono esposte ad una azione vibratoria violentissima in modo che neanche l'occhio più acuto e abituato alla visione degli spiriti riesce a scoprire una qualche precisa forma.
3. Un esempio naturale di questo fenomeno te lo offre la semplice corda bassa di un'arpa; se tu la tocchi con una certa forza, essa vibrerà per qualche tempo da una parte e dall'altra così rapidamente che la sua materia non la vedrai se non come un filo vaporoso trasparente, e quando la corda avrà cessato di vibrare, allora, in seguito al subentrato stato di riposo, essa ti riapparirà sotto la sua forma reale.
4. Un fenomeno simile lo puoi constatare osservando una mosca mentre vola, di cui però puoi scorgere le ali per quello che veramente sono solamente quando essa ha cessato di volare e per conseguenza di ronzare, ma durante il volo le ali tu non le puoi vedere che come una nuvoletta vaporosa che circonda il corpo dell'insetto.
5. Ebbene, quando nel momento del distacco l’anima esce dal corpo distrutto, lacero e non più utilizzabile, essa ha delle vibrazioni spesso dell'ampiezza di una spanna (20 cm), e precisamente con tale velocità che tu puoi senz'altro ammettere che in una simile occasione si manifestino, in un solo istante, mille oscillazioni a destra e a sinistra, in alto e in basso, ed allora, mentre dura questo stato vibratorio dell'anima, anche all'osservatore che ha maggiore capacità di percepire questi fenomeni è perfettamente impossibile scorgere qualcosa di una forma umana dell'anima. Poi gradatamente l'anima si tranquillizza sempre più e comincia anche a rendersi visibile sotto la forma umana; quando infine essa rientra nello stato di pace perfetta, ciò che si verifica subito dopo la completa liberazione del corpo, allora la si può vedere immediatamente sotto la sua perfetta forma umana, purché, bene inteso, non si sia già prima resa troppo deforme per effetto di ogni specie di peccati. Comprendi queste cose?»
6. Dice Mataele: «O Signore, o Sapientissimo, e come potrei fare a non comprendere questo fenomeno? Tu me lo hai chiarito in maniera da potersi davvero afferrare con mano! Ma ora, o Signore - perdonerai la mia smania di conoscenza - io bramerei sapere anche di quale idioma si siano servite quella volta le cinque anime per comunicare fra di loro. Io stesso conosco varie lingue, ma ciononostante non compresi allora nemmeno una sillaba di quanto esse dicevano. Esiste ancora a questo mondo un linguaggio che in qualche modo assomigli a quello?»
7. Gli dico Io: «Certamente, i sacerdoti birmani conoscono questo linguaggio (il Sanscrito), il quale rappresenta l'idioma originale che i primi esseri umani di questa Terra parlavano. Il vostro linguaggio, quello degli egiziani antichi e tra gli altri anche quello dei greci, ebbene, tutti derivano quasi per intero da questo solo e primo linguaggio degli uomini. Credete che riuscireste a comprendere i patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe qualora si presentassero qui e si esprimessero nella lingua da loro usata quando vivevano in questo mondo? Oh, no affatto! Non vi sarebbe possibile comprendere nemmeno una delle loro parole. Se già i libri di Mosè - che pure sono quasi di 1000 anni posteriori ad Abramo - li comprendete con difficoltà, quanto meno poi comprendereste gli stessi patriarchi!? Certo, presso gli ebrei molte cose sono cambiate, e così dunque è cambiata anche la loro lingua senza il concorso di nessuna confusione babilonica. Comprendi adesso anche questo?»
8. Risponde Mataele: «O Signore, anche questo punto mi è ormai perfettamente chiaro. Io credo che lo sarà anche per gli altri, e perciò vorrei pregarTi in nome di tutti di riprendere il Tuo insegnamento!»
9. Dico Io: «Questo non rimarrà certo a mezza strada; però tu hai fatto ancora una quantità di altre esperienze riguardo all'atto del morire, e perciò conviene che tu ce ne racconti ancora qualcuna fra le più notevoli per l’ammaestramento dei tuoi fratelli. Ma ciò che del tuo racconto dovesse risultare non chiaro per te o per qualsiasi altro, Mi riservo Io di darvene poi la spiegazione.
10. Io prima vi ho mostrato il divenire fino al punto del trapasso mediante il distacco della materia: la morte del corpo costituisce sempre ancora lo spavento di ogni creatura. Le ragioni di ciò ve le ho pure succintamente indicate, tuttavia all'occasione vi verranno esposte con maggiori particolari. Ma ora tu puoi riprendere il tuo racconto»
11. Dice Mataele: «O Signore! Unicamente per corrispondere alla Tua richiesta tanto colma di grazia io racconterò ancora vari fatti del genere così come ebbero a vederli gli occhi della mia anima!».
Osservazioni del veggente Mataele riguardo all’esecuzione dei rapinatori assassini.
1. (Mataele): «Al tempo in cui io avevo raggiunto il dodicesimo anno di età, quando il mio pensare e parlare erano già quelli di una persona adulta e seria, accade a Gerusalemme che vari ladroni che erano anche degli assassini della peggiore specie vennero condannati alla crocifissione. Ce n'erano sette in tutto. Il fatto suscitò allora un grande scalpore non solo a Gerusalemme, ma anche nei luoghi circostanti e per molto tempo. Allora un certo Cornelio fungeva da comandante romano e da prefetto ad interim nello stesso tempo. Lo sdegno e la sua ira contro quei malvagi malfattori erano assai grandi, perché essi, nella loro natura più feroce di quella delle tigri, erano soliti uccidere i loro prigionieri fra i più orribili e indescrivibili tormenti, così per diletto, dimostrando tanto maggiore gioia satanica, quanto più riuscivano a prolungare le sofferenze delle loro vittime. A dirla breve, la qualifica di demoni sarebbe stata per quei tali di gran lunga troppo lusinghiera ed onorifica»
2. A questo punto Cornelio lo interrompe e dice: «Amico, non ti dimenticare niente narrando questa vicenda, perché mi interessa molto! Ad ogni modo, a maggiore chiarezza del tuo racconto fedelmente cominciato, devo aggiungere qui che io appunto ero quello stesso Cornelio! Ed ora prosegui pure, perché finora non vi è stato niente che non corrisponda al vero in quanto hai detto»
3. Continua Mataele: «Io infatti ho avuto il lieve presentimento che quel tale dovessi essere tu, perché da quel tempo i tuoi lineamenti mi sono discretamente rimasti impressi nella memoria! E questo mio racconto va certo ad acquistare maggior valore per il fatto che trova un diretto e verissimo testimone nella tua nobile persona! Vi piaccia quindi ascoltare il seguito.
4. Considerato dunque che i sette dei quali ho parlato erano dei diavoli tanto feroci, Cornelio, per dare un esempio che terrorizzasse i malintenzionati, decise di procedere verso di loro nella maniera più terribile. A tale scopo i sette furono anzitutto esposti alla morte per interi 14 giorni: durante questo tempo ogni giorno vennero a loro descritti, con i più tremendi colori, i tormenti che avrebbero dovuto attendersi, mentre d'altro canto, e sempre durante questo stesso periodo del terrore, essi vennero nutriti discretamente bene affinché la vita apparisse loro molto gradevole e affinché la fine certa e dolorosissima a cui andavano incontro si prospettasse loro tanto più amara.
5. Io andai ad osservare questi individui assieme a mio padre per circa cinque volte, ma infine mi sembrò che emanassero costantemente un vapore e un fumo denso uguali a quelli che si sviluppano da un ceppo di legno semicarbonizzato e ancora ardente, e quel vapore e quel fumo diffondevano, almeno per il mio odorato, un fetore talmente insopportabile che credo non si potrebbe paragonare a nessun'altra cosa a questo mondo! Quanto più trascorreva il tempo da quando avevano cominciato ad essere esposti e quanto più si avvicinava il giorno della loro tremenda fine, tanto più andavano facendosi densi il vapore e il fumo e tanto più penetrante il puzzo; va da sé poi che allora i sette demoni cominciarono a cambiare di colore peggio di un camaleonte.
6. Finalmente giunse l'ultimo giorno, il più spaventoso; vennero gli sgherri e i carnefici, ed i sette, in pubblico e alla presenza di varie migliaia di persone, vennero spogliati fino alla cintola, dopo di che furono flagellati a sangue. Io non potei assistere che da lontano a questa esecuzione, tuttavia osservai come, durante la flagellazione, dai corpi dei condannati uscivano fuori e volavano via numerosi pipistrelli neri come fossero stati uno sciame d'api, e così pure come dei piccoli draghi volanti si sollevavano al disopra dei flagellati, mentre il fumo e il vapore provenienti da questi ultimi erano già considerevolmente diminuiti.
7. Ma osservando con maggiore attenzione, io scoprii ben presto e con facilità che quel vapore e quel fumo si plasmavano in ogni tipo di orribili forme, le quali poi, nella forma finale dei pipistrelli di cui ho detto prima, si sollevavano in alto e volavano via, e così pure i piccoli draghi avevano origine dallo stesso fumo. Chissà quante di simili creature infernali si erano già congedate dai sette durante i 14 giorni precedenti!
8. Dopo però che i sette furono così flagellati davvero alla maniera degli Sciiti, io scorsi che le loro facce, prima del tutto demoniache, avevano acquistato un aspetto un po’ più umano e che i delinquenti si facevano anche più deboli e più timorosi; in quel momento essi mi fecero l'effetto di ubriachi che a mala pena sanno cosa succede loro. Tutta l’intera faccenda mi sembrò quanto mai strana, non potendo capacitarmi di come quei feroci di prima avessero iniziato a passare in una specie di natura di agnello!
9. Dopo la flagellazione furono portate sette croci, ed a ciascun delinquente ne venne caricata una sulle spalle perché la trascinasse con sé fino sul Golgota che già da lungo tempo è il luogo destinato dai romani per le esecuzioni capitali; sennonché nessuno dei sette, malgrado tutte le spinte, le percosse e i maltrattamenti, fu in grado di avanzare di un solo passo col suo carico di morte. Allora si mandò a prendere un grande carro tirato da due robusti buoi, vennero caricate anzitutto le croci e poi, sopra di queste, gli stessi delinquenti strettamente legati con delle funi. Così il triste corteo si avviò verso il Golgota.
10. Arrivate là, fino a dove, oltre a mio padre e a me, non era venuto proprio molto popolo a causa dell’eccessivo orrore dello spettacolo, tutto fu slegato; i delinquenti grondanti sangue vennero strappati giù dal carro, poi l'uno dopo l'altro vennero legati solidamente alle travi traversali delle croci con delle rozze corde intrecciate di spine, e le croci vennero infine rizzate e fissate nei buchi appositamente scavati a scalpello nella pietra. Solo allora i malfattori cominciarono ad urlare spaventosamente e a lamentarsi.
11. Certo deve essere stato per loro una sofferenza insopportabile! Infatti, in primo luogo essi erano già con le carni tutte lacerate in conseguenza della flagellazione; in secondo luogo erano legati con corde intrecciate di spine ed infine lo strumento del loro supplizio era fatto di legname quanto mai grezzo, poiché una simile croce è certo solida, ma del resto viene sempre costruita nel modo il più rozzo possibile. Ed è proprio per ciò che a chi vi è legato solidamente per le mani, i piedi e alla cintura deve senz'altro causare i dolori più atroci anche se il corpo, prima di essere appeso, era intatto e sano, per non parlare poi di un corpo già quasi completamente scarnificato! Io ho qui aggiunto i particolari esatti delle mie osservazioni unicamente allo scopo che voi, fratelli miei al cospetto del Signore, possiate comprendere con tanta maggiore facilità quello che seguirà, e nello stesso tempo anche per dimostrare con quanta irremovibile fedeltà il nobile Cornelio abbia adempiuto le sue mansioni di giudice.
12. Quanto più passava il tempo da quando i sette erano stati legati alle croci, tanto più orrende si facevano le loro urla e tanto più spaventose le bestemmie e le maledizioni che uscivano dalle loro bocche, finché, trascorse circa tre ore e diventati completamente rauchi e senza voce, non emisero altro che una bava sanguigna mordendosi ferocemente la lingua e le labbra. Dopo sette intere ore essi si calmarono e sembrarono tutti come colpiti contemporaneamente da apoplessia!
13. Io però devo confessare apertamente che, per quanto i sette avessero da liberi condotto una vita davvero diabolica ed in tutta Gerusalemme e in generale nella Giudea non si sarebbe potuto trovare assolutamente nessuno disposto a impietosirsi per qualcuno di loro, la cosa tuttavia finì con l'apparirmi proprio non troppo lodevole! Ma comunque stiano le cose, la legge prescrive così, e dinanzi agli occhi del mondo essi avevano meritato la loro sorte.
14. Di quello che noi ora abbiamo visto da Te e udito dalla Tua bocca, o Signore, naturalmente nessuno allora aveva neppure il benché minimo presentimento, e così corrispose a giustizia punire quei sette col massimo rigore previsto dalla legge, a terrorizzante esempio per molti che eventualmente si fossero trovati a battere la loro stessa via perversa. Sennonché, per quanto rivoltante e orrendo fosse stato lo spettacolo fino al punto che ho detto, eppure tutto ciò non è assolutamente nulla in confronto a quello che seguì subito dopo e che ora vi racconterò.
15. In quei sette io vidi come, all'altezza della bocca dello stomaco, si sviluppasse una curiosa specie di vapore e di fumo nero come il carbone, il quale andò man mano crescendo fino a diventare una massa grande il doppio di quei sette che pendevano dalle croci, ed osservai pure quel certo cordone di vapore mediante il quale la massa di fumo stava congiunta col corpo che aveva ancora delle contrazioni febbrili e convulse. Quelle masse di fosco vapore non andavano però assumendo affatto una forma umana, ma la forma spaventosa di grandissime tigri del tutto nere striate come di sangue. Quando quelle nere bestiacce furono ben presto sufficientemente formate, cominciarono subito ad agitarsi e ad infuriare terribilmente, tentando di staccarsi con tutta violenza definitivamente dai rispettivi corpi; però la cosa non voleva loro riuscire, dato che i legami vitali erano talmente tenaci da resistere a qualunque strappo, per quanto energico.
16. Lo spettacolo mi apparve allora scellerato e orrendo, e poiché era già passata una buona ora oltre il mezzogiorno, io e mio padre ritornammo a casa, e solo strada facendo raccontai a lui tutto ciò che avevo visto durante e dopo la crocifissione. Egli, in proposito, mi confessò di non aver visto niente di ciò che gli avevo raccontato, però aveva attentamente seguito il mio sguardo e dal suo fissarsi qua e là aveva intuito che io dovevo assistere a qualcosa di indubbiamente straordinario, e dall'accento sincero delle mie parole egli poté così convincersi che quanto gli raccontai era la pura verità. Egli, che era anche medico in caso di bisogno, oltre che filosofo e teosofo nello stesso tempo, trovò degno di nota e quanto mai interessante la descrizione delle cose da me viste, pur non comprendendole più di me stesso nonostante tutta la sua filosofia e teosofia. Tuttavia egli prese la decisione di ritornare al luogo dell’esecuzione verso sera per potervi fare delle ulteriori osservazioni attraverso me, e all'occasione poter dichiarare senza complimenti ai sadducei che, negando l'immortalità dell'anima umana, essi dimostravano di essere asini e buoi della specie più grande!».
Una critica del sadduceo alle punizioni romane.
1. (Mataele:) «Noi appunto avevamo come vicini un sadduceo convinto e la sua famiglia; egli era una persona assolutamente a dovere, buono, e col quale si poteva discorrere in libertà; soltanto riguardo all'immortalità dell'anima non era possibile scambiare con lui mai nemmeno una parola. Considerava delle menti molto limitate quelle che credevano nell’immortalità e sul mio conto egli era solito dire che io avevo le migliori disposizioni per diventare poeta, visto che mi erano proprie una fantasia ed una immaginazione tanto feconde. In breve mio padre tentò spesse volte di insistere con lui durante le discussioni avute sull’argomento, ma fu sempre fiato sprecato.
2. Stavolta mio padre gli domandò se era disposto ad accompagnarci sul Golgota e lui gli rispose: “Non ci andrei per tutto l'oro del mondo! Io non posso veder morire o addirittura ammazzare nemmeno una bestia, tanto meno poi un uomo, anche se avesse commesso ancora più misfatti di quei sette”. Se delle bestie feroci ci vengono vicino, allora va bene che si dia loro la caccia per impedire loro di nuocere, e così si avrà già reso all'umanità un buon servizio. Si proceda pure in questo modo nei confronti di gente simile che assolutamente non è più adatta alla pacifica convivenza nella società umana; li si uccida semplicemente, ma non li si martirizzi, perché essi sicuramente sono quelli che hanno la colpa minore per essere diventati delle bestie feroci! Natura, temperamento, costituzione ed educazione: queste sono sempre le cause che producono gli effetti di questa specie.
3. Se si vuol sostenere che si deve procedere così perché serva da terribile esempio, io non posso fare a meno di rispondere con la più rumorosa risata più che giustificata se consideriamo che noi, gente pacifica e adeguatamente educata, di simili esempi non abbiamo bisogno, e, d'altro canto, coloro per i quali l'esempio dovrebbe servire non saranno così pazzi da venire qui per godersi placidamente lo spettacolo e l'esempio terrorizzante di quei sette!
4. E tali esempi finiranno certamente con l'avere la piacevole conseguenza che gli altri briganti che ancora sono uccelli di bosco - chi sa forse un migliaio riserveranno in futuro una sorte ancora molto più infelice e crudele di quanto sia stato il caso finora a coloro che avranno la disgrazia di cadere nelle loro mani. Particolari congratulazioni saranno altresì da fare a quell'eventuale romano che come poi tanto difficile non è - avrà la ventura di essere catturato da quelli che sono ancora in libertà! In verità, anche se mi offrissero tutti i tesori del mondo, io non vorrei trovarmi nella sua pelle. Questo è l'unico vantaggio che ci si può ripromettere dall’istituire a legge marziale un simile trattamento crudele.
5. Chi non si ricorda dei tempi anteriori all'occupazione romana? Le leggi certo erano sempre rigide e serie, ma almeno ragionevoli! E non si udiva parlare mai di eccessivi orrori. Ed ora invece i savi pagani, questi orgogliosi e presuntuosi miglioratori del mondo nonché conquistatori di città e di paesi, ci hanno portato la loro benedizione sotto forma di leggi politiche e marziali fra le più aspre! E sulle strade della nostra Terra promessa, malgrado la vigilanza militare romana aumentata al decuplo, vengono commessi orrori tali che un galantuomo non può più udirli narrare senza cadere in dieci deliqui contemporaneamente. Dunque, se v'interessa, andate pure voi soli, ed ammirate a vostro piacimento il settuplice esempio della vera crudeltà romana, che presto avrà come conseguenza una settantuplice crudeltà commessa dalla parte avversa!
6. L'uomo deve esser uomo, dato che la natura eterna l'ha innalzato sopra di sé alla dignità umana! Ma se invece l'uomo, con tutta la sua strombazzata ragione, finisce col degradarsi incomparabilmente al di sotto delle bestie più feroci dei boschi, allora per l'essere umano è proprio finita, ed è davvero tempo per noi di ritirarci nei boschi per prendere lezioni di naturale umanità da quelle bestie selvagge e ferocissime! Andate dunque pure sul Golgota, in quel luogo il più maledetto fra tutti di questa Terra, che è inzuppato di sangue umano più di quanto non lo sia una bottega da macellaio del sangue dei buoi, degli agnelli e delle capre! Quello che potrete imparare là non contribuirà certo ad aumentare il decoro di nessuno!
7. Voi professate un Dio e credete all'immortalità dell'anima, e tuttavia potete con animo tranquillo stare a vedere come degli uomini pervertiti e corrotti vengono tormentati a morte per opera di gente ancora più feroce, nella forma più dolorosa e inqualificabile per un’intera giornata! Credete a me: quei sette, senza il rigore romano, non sarebbero mai diventati tanto malvagi quanto effettivamente lo furono da vivi! Ma chi li ha resi tali? Ecco, appunto coloro che si sono concessi il diletto di martoriarli tutto un giorno!
8. E voi, da ebrei santi e pieni di fede in Dio, non vi fate scrupolo di stare a vedere come questi, che sono più scellerati in assoluto, torturino a morte quegli altri scellerati! Che brava gente siete e che bravi vicini siete voi! In verità, nella stalla dove tengo i miei asini soffia un’aria di gran lunga più umana che non nella vostra casa colma della fede in Dio! Avete capito?”. E detto questo egli se ne andò per i fatti suoi, mentre noi dal canto nostro continuammo la nostra strada».
La fine dei rapinatori assassini crocifissi.
1. (Mataele:) «Dopo mezz'ora noi ci trovammo di nuovo sul Golgota, dove, all'infuori delle guardie, non trovammo quasi più nessuno. I sette però offrivano lo spettacolo più orrendo che si possa immaginare E con ciò io non intendo parlare tanto dei sette cadaveri semiscarnificati, quanto piuttosto delle loro anime che non avevano potuto ancora sciogliersi dai loro corpi, ma che facevano ogni sforzo possibile loro stesse per distruggerli e dilaniarli. Quelle tigri nere, striate d'un rosso sanguigno cupo, cozzavano contro i loro corpi e li mordevano; ma dovevano risentirne una reazione dolorosa originante dai corpi ancora viventi nei loro nervi. Infatti dopo ogni morso inferto al corpo, il loro muso contratto dal dolore appariva più feroce che mai, ed esse portavano immediatamente le loro zampe sulla parte della loro forma corrispondente a quella dei corpi appesi che avevano morso.
2. A questa malvagia manovra noi assistemmo quasi il tempo di un'ora, ed io dovetti continuamente tenere informato mio padre di quanto io vedevo svolgersi in vicinanza dei sette. Però il sergente romano, che comandava i soldati di guardia, dovette accorgersi che io dovevo vedere qualcosa di particolare, dato il muoversi continuo del mio corpo e il mio contegno che egli già da lungo tempo osservava con grande attenzione. Egli perciò ci venne vicino e domandò a noi due in lingua romana cosa vedessimo nei sette, dato che, particolarmente io, li osservavo con tanta inquieta attenzione e poi ogni tanto avevo sempre qualcosa da rapportare a mio padre. Ci intimò poi di esporgli nel suo linguaggio come stesse la faccenda, altrimenti avrebbe dovuto mandarci via!
3. Mio padre allora gli rivolse la parola in greco che egli parlava con maggior scioltezza del latino, quantunque noi due comprendessimo perfettamente anche il latino, perché a Gerusalemme bisognava conoscere già da ragazzi tre lingue se si voleva conversare con i molti forestieri che arrivavano là. Mio padre dunque gli spiegò che egli era medico, e che con me, suo figlio e contemporaneamente suo scolaro, stava compiendo delle osservazioni diagnostiche e psicologiche e m'incitava a fare molta attenzione a tutti i sintomi, spiegandomi oltre a ciò questa e quella cosa secondo le dottrine di Ippocrate.
4. Sennonché il sergente, da persona avida d'istruirsi com'era, se ne compiacque assai; tuttavia egli espresse il desiderio che mio padre volesse usare la lingua greca nelle spiegazioni, affinché anche lui potesse trarne profitto in qualche modo! Ma ecco che allora ci trovammo nei guai! Infatti l’affermazione di mio padre di stare spiegandomi qualcosa, non era che una sua trovata per tranquillizzare il sergente, dato che ero stato solamente io a riferire a mio padre le mie visioni psichiche le quali certamente erano di natura tale che, se il sergente ne avesse udito parlare, avrebbe dovuto riderci in faccia! Che contegno allora bisognava assumere? Insomma noi non sapevamo più che pesci pigliare!
5. In quel momento però io scorsi uno spirito che si calò dall'alto, dove sembrava come starsene su una nuvola, e che portava nella sua destra una gran spada sguainata. “Cosa vorrà fare qui?” mi domandai io. Ma al sergente non sfuggì come i miei occhi scrutavano con grande attenzione e subito mi domandò se io forse vedessi qualcosa di particolare. Ed io, secondo il mio costume d'allora, gli risposi seccamente, anzi in tono un po’ brusco: “Sicuro che vedo qualcosa, ma anche se te la dicessi, tu non mi crederesti affatto”.
6. Il sergente voleva allora insistere perché mi spiegassi, ma, dato che tra l'osservare e il discorrere aveva già cominciato a farsi sera e che da parte di Cornelio era venuto l'ordine di spezzare ai sette le gambe all'altezza dei piedi e, qualora qualcuno conservasse ancora traccia di vita, di finirlo mediante un colpo di mazza sul capo e uno sul petto, così il nostro sergente fu obbligato a riprendere rigidamente il suo servizio, e noi potemmo continuare indisturbati le nostre osservazioni.
7. Io allora mi misi a guardare dalla parte dove era il grande spirito che era avvolto in una veste di colore azzurro cupo, per vedere che cosa avrebbe fatto in quella occasione. Ebbene, ascoltate! Mentre i carnefici erano lì pronti in attesa che venisse loro comandato di rompere le gambe ai sette e di finire, mediante i colpi di cui ho già detto, chi avesse dato ancora segno di vita, quello spirito possente stese la sua spada e tagliò i cordoni con i quali quelle nere anime di tigre erano ancora congiunte ai loro corpi.
8. Quando tali anime spaventose si trovarono completamente sciolte dai corpi, apparvero d'un tratto di aspetto un po’ più umano e si mossero camminando sulle zampe posteriori, tuttavia erano mute e il loro contegno era quello di esseri immensamente desolati e sofferenti. Lo spirito allora le apostrofò con voce imperiosa: “Allontanatevi e andatevene al luogo del vostro perfido amore; questo vi attrarrà: come sono state le vostre opere, così anche sarà la vostra ricompensa!”. E le sette anime urlarono: “Se dobbiamo essere dannati, era da farsi prima! Perché dunque dovremmo farci martirizzare, se ora qui ci aspetta la dannazione eterna?”
9. E il grande e possente spirito così rispose: “Tutto finora è dipeso e tutto dipende ancora dal vostro amore; orientate questo verso l'Ordine di Jehova a voi già noto, ed allora diverrete voi stessi i vostri propri liberatori; ma, all'infuori di voi, in tutta intera l'infinità di Dio non vi è nessuno che possa redimervi. Vostra è la vita e vostro l'amore; se voi potete cambiare il vostro amore, allora questo trasformerà anche tutta la vostra vita e il vostro intero essere! Ed ora allontanatevi da qui!”.
10. A tali gravi parole dello spirito grande e possente, i sette fuggirono velocissimi gettando urla spaventose; io però fui abbastanza ardito da interrogare il grande spirito per sentire da lui come sarebbero più tardi finiti quei sette.
11. Allora lo spirito si levò di nuovo e disse semplicemente: “Di loro avverrà secondo la volontà supremamente loro propria. In questi qui non si è mai trattato di educazione o conoscenza insufficiente, né essi erano posseduti da alcun altro demonio se non da quello della loro propria perversa volontà. Le orride figure animalesche che tu vedesti volare via da loro, mentre rimasero esposti e durante la loro flagellazione, non erano per niente dei demoni estranei, ma esclusivamente dei prodotti e dei parti della loro stessa volontà malvagia. Dunque questo a cui tu hai assistito è stato un giusto giudizio, poiché qui si trattava di sette compiuti demoni per i quali a questo mondo non c'era più possibilità di ravvedimento né con gli insegnamenti né con le parole. Qui però, nel regno dello spirito, dove tutto si rende manifesto, la loro sorte sarà quella che essi stessi vorranno avere fuori dal loro amore; qui - sia pure soltanto in apparenza - non mancheranno a loro le occasioni di mettersi alla prova in cose ancora peggiori ma anche in cose migliori. Comprendi bene queste cose, o giovane, e spiegale a tuo padre al quale non è data la facoltà di vedere che hai tu”.
12. Dopo queste parole quanto mai significative, il grande e possente spirito scomparve, e i carnefici allora si misero all'opera. In cinque dei corpi non scorreva più sangue giù dalla carne lacerata, mentre negli ultimi due si mostrava ancora del sangue, ed a questi vennero applicati i prescritti colpi di grazia, ciò che del resto fu un lavoro ed una fatica assolutamente inutili, perché quando l'anima, buona o malvagia che sia, è completamente uscita dal corpo, è segno sicurissimo che quest'ultimo è definitivamente morto.
13. Dopo tale operazione, non proprio granché edificante, i carnefici se ne andarono alle loro case, ed i cadaveri vennero consegnati allo scorticatore ed ai suoi aiutanti per un’ulteriore distruzione. Il modo però di distruggere cadaveri di quella specie era ed è tuttora molto vario; l’unico punto fermo era ed è che non potevano venire seppelliti in nessun caso. Solitamente venivano bruciati al fuoco del legno maledetto, oppure venivano bolliti nell'acqua maledetta e poi gettati in pasto alle bestie feroci, ma le bestie che li mangiavano per lo più anche ne morivano, e per conseguenza lo scorticatore era solito far bollire simili cadaveri appunto nell'acqua maledetta, e li vendeva poi a buone condizioni in località anche lontane per distruggere i lupi, le iene, gli orsi e le volpi ricavandone molto denaro.
14. Questa è dunque, o Signore, un'altra avventura capitatami in gioventù, della quale tutto mi sarebbe chiaro se non ci fosse la questione della figura delle anime che non avevano assolutamente più nulla di umano, e di quella della numerosissima e ripugnante frotta di pipistrelli e piccoli draghi che già prima io avevo visto fuggirsene dai sette scellerati. Il grande spirito mi fornì poi certo qualche cenno di chiarimento dicendomi che questi non erano altro che dei prodotti della loro perversa volontà, ma come ciò sia avvenuto, questo è un problema del tutto differente che, all'infuori di Te, o Signore, sicuramente nessuno sarà in grado di risolvere. Queste due questioni vorresti dunque chiarircele Tu, o Signore, se ciò Ti è gradito e conforme alla Tua santa Volontà?».
La forma delle anime dei rapinatori assassini.
1. Dico Io: «Il racconto dei fatti dei quali tu stesso fosti testimone è, come date esposto, perfettamente conforme alla verità. La forma bestiale delle anime dei noti sette grandi malfattori trova la sua ragione appunto in una certa libertà permessa dall’ordine, però sicuramente soltanto in quanto in un corpo le parti degli specifici animici che vi agiscono dentro possono spostarsi ed afferrarsi di nuovo, fenomeno questo che è simile a quello che si svolgerebbe dinanzi ai vostri occhi qualora osservaste un groviglio di vermi i quali strisciano torcendosi nella massa uno sull’altro quasi in cerca di una posizione che assicuri loro un riposo sempre più comodo. Quando questa posizione, nella peculiare loro maniera buona o cattiva che sia, è stata trovata, allora anche la forma esteriore certo si presenterà sempre sotto il corrispondente aspetto buono o cattivo.
2. Ecco, qui fra varie piante ce n'è una benefica, e là una velenosa. Osservatene le forme alla luce quasi solare della nostra sfera luminosa! Vedete come la pianta benefica si presenta flessibile, piacevole a vedersi, tenera e modesta nelle sue forme, e vedete invece quanto cenciosa e quante angolosità rivela la pianta velenosa e come qua e là è anche del tutto sospettosamente liscia, e tuttavia ambedue le specie consistono dell'una e medesima sostanza primordiale, crescono nello stesso terreno ed assorbono assolutamente la stessa rugiada, la stessa aria e la stessa luce! Eppure nella pianta benefica tutto è salutare, mentre in quella velenosa tutto è veleno, senza eccezione! La ragione di ciò sta nell'inversione dell'ordine.
3. Voi prima avete visto come dalle lingue di fuoco o dai serpenti di fuoco perfettamente simili l'uno all'altro e che si agitavano tutto intorno, i quali data la loro piccola dimensione non sarebbero visibili agli occhi del corpo, sia venuto formandosi un completo e pacifico asinello. Credete voi che, ammesso un ordine differente nel processo di aggregazione delle sostanze primordiali al fine di costituire una completa forma organica, non avrebbe potuto sorgere con altrettanta facilità una tigre, un cammello, un bue, un elefante od un'altra cosa qualsiasi? Oh, senza alcun dubbio! Ed un afferrarsi ed un aggregarsi in base ad un ordine diverso avrebbe poi in sé anche una natura ed una caratteristica del tutto differenti, le quali di fronte ad un'altra natura e ad un'altra caratteristica verrebbero a trovarsi completamente nemiche, e ciò perché in ogni forma particolare organizzata diversamente predomina continuamente la tendenza - e per lo più tale predominio si afferma incontrastato - a convertire al proprio ordine tutti gli altri elementi più deboli.
4. Da questa caratteristica sorgono l'amore, il calore interno, la tendenza, la brama, la fame e la sete. Se questa brama, che è simile alla sete di potere, si fa qua e là troppo intensa e va cercando di far sue troppe cose per convertirle al proprio ordine originario, avviene che l'elemento, attratto così in sé, viene non di rado a trovarsi in una posizione di superiorità, e come tale afferra a sua volta l'ordine animico-organico già prima esistente nell'essere e lo attira nel proprio ordine che può essere buono o migliore, però anche con molta facilità cattivo, peggiore, ed infine addirittura pessimo!
5. Ma che cosa si verifica con ciò? O Mataele! Ecco che adesso entrano in scena le anime dei delinquenti da te viste sotto forma di altrettante tigri! Esse, per l'azione delle sostanze animiche afferrate con troppa avidità e non confacenti al loro ordine, sono invece state attratte da queste ultime con eccessiva potenza; e poi queste ultime hanno invertito l'ordine di quelle anime rendendolo simile al proprio pessimo ordine, e così hanno trasformato delle anime umane in vere anime di tigri. La stessa origine hanno avuto pure tutte le ripugnanti bestiacce che tu vedesti fuggire fuori dai malfattori oppressi dall'angoscia! Ed ora voi tutti diteMi se questo abbondante insegnamento lo avete ben compreso da tutti i suoi lati!»
6. Dice la maggioranza: «Sì, o Signore, l’abbiamo compreso discretamente; però ci renderemmo colpevoli di menzogna se volessimo vantarci di vederci proprio assolutamente chiaro. Dalla precedente formazione dell'asinella noi abbiamo visto come - fuori dalle sostanze primordiali spirituali - si formi una cosa od un essere; noi abbiamo effettivamente visto crescere l'erba, e come fuori dalle lingue di fuoco si sia creata, per così dire da sé, un'asina. Anzi per la Tua bontà e grazia noi sappiamo perfino che cosa sono e da dove provengono queste lingue di fuoco e come esse, per affinità, possono afferrarsi per costituire una qualche idea e forma ben definite; noi sappiamo benissimo che questi Tuoi innumerevolissimi pensieri primordiali, dei quali trabocca tutta l'infinità, quantunque nella loro apparenza esteriore siano uguali tra di loro, in se stessi sono molto diversi e sono più leggeri o più pesanti a seconda del fatto che in loro dimori un senso che comprenda in sé qualcosa di più profondo, di più serio e di più concreto, e come i più affini tra di loro siano i primi ad afferrarsi per dare inizio alla formazione di un qualche organo.
7. Come detto, tutte queste cose noi ora le comprendiamo perfettamente; eppure c’è ancora qualcosa che per noi resta sempre un grosso enigma e che Tu, o Signore, potresti certo chiarirci, qualora ciò Ti fosse gradito e accetto. Però, nessuno di noi ha certamente bisogno di indicarTi cosa ci manca ancora, perché Tu conosci tutte le lacune che ci sono in noi, lacune che, se ritenuto necessario da Te, non mancherai sicuramente di colmare con la Tua Grazia; ma se ciò non dovesse essere proprio di grande importanza per noi, ad ogni modo saremo più che perfettamente soddisfatti anche di quello che abbiamo inteso e compreso fino ad ora»
8. Dico Io: «Per poter comprendere in tutte le sue più remote profondità il Mistero del Regno di Dio, è opportuno che prima siate tutti rinati nello Spirito, cosa questa che ora è per voi impossibile. Solo quando il Figlio dell'Uomo avrà fatto ritorno là da dove Egli è venuto, allora Egli vi manderà lo Spirito di ogni Verità, il quale è santo; e soltanto questo Spirito vi desterà completamente, renderà perfetti i vostri cuori e susciterà lo Spirito di ogni Verità in voi, vale a dire nel cuore della vostra anima, ed in conseguenza di questo atto voi sarete poi rinati nello Spirito, ed allora vedrete nella luce più chiara e comprenderete quello che i Cieli abbracciano fino nelle loro remote profondità.
9. Ora, quello che vi mostro e vi spiego attualmente non è che il fondamento preliminare di ciò che in assoluta pienezza verrà edificato in voi dallo Spirito. Moltissime cose Io avrei da dirvi ancora, ma voi adesso non potreste ancora sopportarle; quando però sopra di voi verrà lo Spirito di Verità, Esso vi guiderà per le vie di ogni Sapienza! Ed ora che sapete tutto ciò, noi cominceremo di nuovo una costruzione preliminare ed ulteriore in questo luogo, invitando il nostro Mataele a raccontarci un altro piccolo episodio della sua vita, ricca di esperienza.
10. Dunque, o Mataele, mettiti di nuovo all'opera e narraci lo svolgimento di quel fatto di cui fosti testimone a Betania. Noi abbiamo a disposizione quattro ore ancora fino all'alba, e perciò abbiamo modo di sentire più di una cosa ancora e di riviverla, per così dire, con te; puoi dunque cominciare subito il tuo racconto».
Mataele narra il trapasso del padre di Lazzaro.
La strana apparizione naturale sulla via verso Betania.
1. Dice Mataele: «O Signore, posso narrare, oltre a questa storia, anche quello stranissimo fenomeno naturale che io e mio padre avemmo occasione di osservare ad oriente mentre stavamo andando a Betania intorno a mezzanotte?»
2. Ed Io gli dico: «Certamente, perché tale fenomeno si connette intimamente all'episodio in questione che si svolse a Betania diciassette anni fa. Ed ora comincia pure!»
3. Dice Mataele: «O Signore, io vedo che per Te non vi è nulla di ignoto in tutta l'infinita sfera della Creazione. Quindi per Te non sarebbe affatto necessario che raccontassi questa storia; tuttavia sarà una gioia per me narrare simili cose di portata superiore a vantaggio degli altri amici e fratelli, tanto più che sono convinto che quanto racconterò sarà creduto da tutti. Quello che io ora vi esporrò ha sicuramente nel suo complesso un’impronta quanto mai mistica e favolosa; nonostante ciò, tutto quello che udrete da me corrisponde a perfetta verità; vi sia gradito dunque fare di nuovo attenzione.
4. Ascoltate! L'autunno era già molto inoltrato, le cime delle montagne erano avvolte nella nebbia ed un vento di settentrione, tutt'altro che gradevole, trasportava nei suoi vortici le foglie secche degli alberi; soltanto ad oriente rimanevano ancora liberi alcuni punti del firmamento attraverso i quali le belle stelle sembravano guardare tutte insieme la Terra. Ora, questo spettacolo naturale indusse me e mio padre, che era un entusiasta dei fenomeni della natura, anche nelle sue manifestazioni ostili, a trattenerci all'aperto quasi fino a mezzanotte, ma mentre noi ci accingevamo a rientrare in casa per concedere il dovuto riposo al corpo, scorgemmo d'un tratto dirigersi di passo affrettato, appunto verso la nostra dimora, una persona con in mano un fanalino fatto con una vescica di pecora, e passarono solo pochi istanti che noi ci vedemmo comparire dinanzi un uomo ancora molto giovane, dall’aspetto piuttosto turbato.
5. Ed egli, riconoscendo immediatamente in mio padre un medico, esclamò intono afflitto: “O amico e dottore! Io vengo da Betania e mi chiamo Lazzaro; sono figlio del vecchio Lazzaro, che io amo sopra ogni cosa! Mio padre fu colto oggi improvvisamente da malore, e il suo stato è molto grave! Il nostro rabbi, che in caso di bisogno è anche un po' medico, non riesce ormai a raccapezzarsi assolutamente più con mio padre! Egli stesso mi consigliò di venire da te che godi fama di essere un medico straordinario, e come tale si dice che tu abbia già recato aiuto ad ammalati in casi anche gravissimi, quando cioè tutti gli altri medici si erano dichiarati impotenti a curarli! Vieni dunque e guarisci, se mai è ancora possibile, il mio povero padre sofferente”.
6. Rispose mio padre: “Ecco, quando un altro medico ha portato qualche ammalato già fino alla tomba, allora si incarica uno di noi di compiere nuovamente un prodigio! Ciò del resto sarebbe tutto bello e buono, se fosse possibile compiere simili miracoli sempre e dappertutto. Ad ogni modo io verrò con te in compagnia di questo mio unico figlio, che mi deve restare vicino, perché egli possiede la facoltà di vedere gli spiriti e, all’occorrenza, perfino di parlare con loro, e là vedremo cosa si può fare. Ma se tu avessi condotto con te qualche animale da soma, il quale avrebbe potuto portare te più rapidamente qui da noi e avrebbe anche portato rapidamente ora noi fino a casa tua, una guarigione sarebbe stata più probabile e più facile, perché se in tuo padre si sono già manifestati i tratti ippocratici della morte, allora ogni possibilità di guarigione è svanita! Infatti, contro la potenza della morte non c'è alcuna erba che cresca né sui monti né, meno ancora, in qualche giardino”.
7. Il figlio del vecchio Lazzaro fu soddisfatto di tale decisione; si rammaricò soltanto di non avere preso con sé dei cavalli da soma; dopo di che ci mettemmo frettolosamente in cammino, dato che per arrivare alla casa di Lazzaro ci voleva una buona ora, andando di passo spedito.
8. Mentre noi procedevamo molto silenziosamente, ognuno immerso nei propri pensieri, ad oriente la nebbia scomparve del tutto e cominciò a farsi sempre più chiaro, anzi, dopo circa un quarto d'ora, il chiarore andò tanto intensificandosi che pareva mancasse una mezz'ora al levare del Sole. Questo fenomeno attrasse la nostra attenzione in modo tale che noi, nonostante la fretta che avevamo, non potemmo fare a meno di fermarci per vedere come e da dove venisse un simile chiarore, che andava sempre più accentuandosi.
9. Finalmente il chiarore raggiunse l'intensità del giorno e sull'orizzonte, dalla parte di oriente, si innalzò effettivamente un sole, però con rapidità molto maggiore di quella del Sole comune, cioè quello di tutti i giorni. Però, nonostante questa apparizione luminosa si innalzasse rapidamente, non se ne vedeva la fine, cioè non appariva l’estremità inferiore orientale, ovvero il bordo orientale.
10. Questo fenomeno luminoso si accrebbe fino a diventare una colonna di luce, la quale col suo vertice raggiunse in pochi istanti lo zenit, e ben presto cominciò a diffondere tanta luce e calore che noi fummo costretti a rifugiarci sotto un fico ancora provvisto di fogliame abbastanza fitto per non venire accecati dalla luce ed essere arsi dal calore. Però di lì a poco questa colonna di luce andò sempre più assottigliandosi e la luce stessa, nonché l'intenso calore emanato, svanirono.
11. Dopo che fu trascorso in tutto neanche un quarto d'ora, dell’apparizione luminosa non rimase più traccia, ma altrettanto accadde anche della nostra facoltà visiva, perché subito dopo che fu scomparsa completamente questa luce, l'oscurità si fece così profonda e la nostra vista si trovò tanto indebolita da non renderci possibile di distinguere chiaramente nemmeno il fanale che il nostro Lazzaro portava in mano.
12. Solo dopo circa trenta istanti i nostri occhi incominciarono a riacquistare la necessaria forza visiva, ed a stento potemmo distinguere la nostra via alla debole luce del fanale. Ad ogni modo tutta l'apparizione era durata una buona mezz'ora, e mio padre mi domandò se durante il fenomeno luminoso avessi forse scorto un qualche spirito.
13. Ed io, conformemente a piena verità, gli dissi: “Nella luce, che a causa dell'enorme potenza luminosa si poteva guardare ancora meno del Sole di mezzogiorno, non c'era niente da vedere, non così però più in giù, cioè a livello del terreno. Qui io potei scorgere, ma solo indistintamente, una quantità di forme spirituali, ma tutte sembravano affaccendatissime a dirigersi verso occidente; il loro movimento si effettuava dunque nella stessa direzione dell'apparizione luminosa. Si poteva distinguere solo una forma spirituale che ci venne molto vicina; aveva un aspetto serio ed attempato e sembrava essersi rallegrata molto per l’apparizione luminosa. Quando però quest’ultima cominciò a svanire dal firmamento, allora scomparve pure rapidamente anche quella forma spirituale e precisamente ebbi l'impressione che essa se ne andasse pure verso occidente, soltanto piuttosto in direzione di Betania!”. Altro io non avevo visto e per conseguenza null'altro potei riferire a mio padre.
14. La nostra guida si meravigliò di me e della mia facoltà di veggente, però credette alle mie asserzioni, perché tra sé e sé egli pensava che la mia fantasia e la mia forza di immaginazione non potevano assolutamente avere raggiunto ancora quel grado di fecondità e di intensità poetica necessari per avere, per così dire, pronta in saccoccia una simile narrazione! E pensando così, egli aveva perfettamente ragione, perché io non sono mai stato ricco di immaginazione, e da ragazzo, nonché da giovanotto, non ebbi affatto della fantasia di alcun genere; in me c'era soltanto uno spiccato talento ad apprendere le lingue straniere.
15. Comunque fosse, tra considerazioni di questo genere che qui hanno soltanto una importanza relativa, noi giungemmo finalmente a Betania, entrammo nella dimora molto ragguardevole di Lazzaro e là trovammo l'ammalato che era proprio agli estremi, nel momento in cui non c'era più rimedio che potesse giovare.
16. Intorno al letto stavano piangendo le due figlie molto graziose del moribondo e c’erano molte zie e cugine che singhiozzavano e piangevano come solitamente avviene in simili circostanze. La nostra guida, che era il figlio del moribondo, scoppiò allora anche lui in lacrime e nella sua immensa afflizione si dimenticò di domandare a mio padre se ci fosse qualcosa da tentare ancora per salvare l'ammalato.
17. Soltanto il piccolo rabbi venne vicino a mio padre e gli chiese se ci fosse forse qualche mezzo ancora per poter far riprendere i sensi al vecchio almeno per qualche istante. Mio padre, però, non rispose subito alla domanda, ma interrogò me in segreto per sapere quali fossero le condizioni dell'ammalato e se forse l'anima cominciasse già a ritirarsi dal corpo e a sollevarsi.
18. Io esposi innocentemente a mio padre quello che vedevo, e dissi: “L'anima si libra in posizione orizzontale già tutta completa ad una mezza altezza d'uomo al di sopra del corpo ed è congiunta ancora al corpo unicamente mediante un filo luminoso sottile come un capello, che, secondo le esperienze da noi fatte, non dovrebbe ormai durare più di sessanta istanti. Quel filo si spezzerà quanto prima. È sorprendente però constatare che quell'enorme colonna di luce che noi abbiamo visto prima all'aperto con i nostri occhi naturali, si mostra di nuovo qui sopra il capo dell'anima, ha la stessa potenza luminosa ed emana pure un calore molto benefico. L'anima non stacca i suoi occhi dalla colonna di luce e sembra bearsi immensamente alla sua vista”».
Il tentativo di rianimazione da parte del rabbi fatto sul cadavere del vecchio Lazzaro.
1. (Mataele:) «E quando mio padre ebbe udito queste cose da me, si volse immediatamente verso il piccolo rabbi, che aveva cominciato a spazientirsi, e gli disse: “Amico, considerata la cosa così come io l'ho vista, ogni goccia anche del più energico balsamo vitale sarebbe assolutamente sprecata in tali condizioni, poiché la sua anima si trova già così alta fuori ed al di sopra del corpo, che esso è da ritenersi ormai completamente morto. Perciò tu puoi senz'altro intonare i tuoi salmi funebri, e con ciò, da sacerdote, far sapere a questa gente che qui non ha più efficacia alcun aiuto terreno!”.
2. A questa dichiarazione, il piccolo rabbi fece un viso un po' aspro e domandò a mio padre come mai egli fosse in grado di costatare questo. Mio padre però non brillava mai per eccessiva cortesia e rispose quindi seccamente al rabbi: “Come e da dove io veda e sappia tutto ciò, a te non interessa; tu fa quello che ti spetta di fare, perché dal canto mio so con tutta precisione quello che devo fare!”.
3. Allora io vidi in quel momento che l'anima si trovava interamente sciolta dal corpo, e vari spiriti dall'aspetto quanto mai nobile e sapiente la presero immediatamente in mezzo a loro, le offrirono una splendida veste a pieghe che appariva confezionata come di candido bisso, e uno degli spiriti prese la colonna di luce, la curvò cingendone poi i lombi all'anima ormai libera, e la colonna luminosa si trovò così trasformata in una cintura raggiante con potenza pari a quella del Sole; allo stesso modo un altro spirito possente offrì all'anima libera un copricapo raggiante come la cintura, dicendo: “Resta, o fratello, adorno per l'eternità della Luce della Sapienza da Dio ora splendente in te!”.
4. E dopo queste parole tutti gli elevati spiriti presenti, insieme all'anima divenuta libera, abbandonarono immediatamente la dimora, ciò che io comunicai senza indugio a mio padre, che disse al rabbi: “Ebbene, dato che l'anima del vecchio si è definitivamente sciolta dal suo corpo, vorrai, spero bene, andare una buona volta ad annunciare la morte del vecchio, la quale è ormai indiscutibile, a coloro che sono quasi diventati ciechi a forza di piangere?”
5. Rispose allora il piccolo rabbi: “Oh, e perché? Adesso io gli verserò sulla lingua una gocciolina vivificante, e poi vedremo ben presto se la sua anima sia veramente uscita dal corpo, naturalmente ammesso e non concesso che nel corpo umano esista effettivamente un'anima particolare! Secondo la mia opinione ben ponderata, nessuno ha un'anima dotata di una speciale vitalità spirituale che giunge oltre alla vita del sangue e dei nervi. L'uomo, una volta morto, è veramente morto del tutto come una pietra o un ceppo di legno secco, e io posso giurare, per quanto vi è per me di sacro, che poi dell'uomo non resta più niente che abbia vita. Ci sono però dei mezzi arcani ancora nella natura, con i quali si può ridestare la vita in un corpo già quasi morto; ed è appunto questo che adesso farò, e da quell'ebreo tenace che sono, ti fornirò la prova che l'anima del vecchio non è affatto uscita dal corpo, né sarebbe potuta uscirne, perché una vera e propria anima non vi è mai esistita e non vi ha mai dimorato!”
6. Detto questo, il rabbi tolse dalla tasca della sua veste una fialetta d'oro, la mostrò a mio padre e disse: “Ecco, amico mio, guarda qui! Qui dentro c'è l'anima di un uomo già morto!”
7. E mio padre osservò sorridendo: “Fa pure! Tutta la mia grande proprietà, che tu dovresti conoscere, sarà tua se il morto, dopo che gli avrai somministrato le tue gocce, si muoverà sia pure per due soli istanti, perché io conosco molto bene il tuo mezzo arcano! Io pure lo posseggo, e mi ha già reso degli eccellenti servizi quando si trattava di morti apparenti, poiché in questi casi l'anima se ne sta ancora comodamente nel corpo. Per conseguenza questo arcano può venire adoperato con molta efficacia nel caso di quei morenti nei quali i sintomi ippocratici non si sono ancora manifestati, ma quando dalla faccia di un morto traspare addirittura tutto Ippocrate, allora è segno che l'anima se ne è partita e tu puoi versare nella bocca del morto il contenuto anche di mille di queste fialette, ma tuttavia il morto non si muoverà e rimarrà insensibile come una pietra o come un pezzo di legno secco. Ed ora fa pure la prova col tuo olio di felce genuino dalla Persia e qui dinanzi a molti testimoni ti ripeto che la mia proprietà sarà inconfutabilmente tua quando questo morto, dal quale comincia già a emanare un lieve odore di decomposizione, farà il benché minimo cenno di muoversi per effetto delle tue gocce!”
8. Il piccolo rabbi rimase alquanto scosso a questa energica dichiarazione di mio padre, ma ciononostante si accostò al morto, gli aprì la bocca e gli lasciò cadere sulla lingua, già interamente dissecata, ben dieci gocce dello specifico, invece della solita dose di una, due o al massimo tre gocce. Poi gli chiuse la bocca e, osservando con grande attenzione, rimase in attesa che il morto si decidesse a fare magari un minimissimo movimento. Sennonché trascorse un'ora, poi un'altra ora intera, tanto che già si annunciava l’alba, ma il morto non accennava affatto a volersi muovere!
9. Allora mio padre domandò al piccolo rabbi se egli fosse ancora del parere che il morto avrebbe cominciato a muoversi e forse addirittura a parlare per effetto delle sue gocce di felce.
10. Disse il piccolo rabbi: “Aspettiamo ancora un’ora, finché sorga il Sole e vedrai che il morto darà segno di vita, ed anche parlerà!”
11. E mio padre, nuovamente sorridendo: “E sia pure! Non ho niente in contrario; anzi io sacrificherò volentieri quanto possiedo, perché questo galantuomo devoto a Dio, che io conosco molto bene, possa riacquistare la vita! E se tu perdi la scommessa, io non ti chiedo altro se non che tu creda nel vero Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, vivente in eterno e che tu creda nella perfetta immortalità dell'anima umana!”
12. Dice il rabbi: “Certo, o amico, così voglio fare e così farò, ma io già anticipatamente credo che con questo affare ci rimetterai del tuo! Infatti, in segreto, io appartengo alla setta dei sadducei, che usa la ragione, e non mi auguro altro che tutta la magnificenza del Tempio finisca nel più profondo del grande deserto africano! Ma se tu davvero dovessi riportare vittoria su di me, allora sarò di nuovo lieto di appartenere corpo ed anima al Tempio”.
13. Dopo di che si rifece silenzio e i presenti rimasero ansiosamente in attesa del momento in cui il corpo del vecchio Lazzaro si fosse rianimato!».
Lo spirito del vecchio Lazzaro da una testimonianza del Messia.
1. (Mataele:) «Frattanto, però, il giovane Lazzaro si avvicinò a mio padre e gli chiese se le misteriose gocce del rabbi non avrebbero davvero avuto mai più l'effetto di risuscitare suo padre.
2. Disse mio padre: “Oh, amico mio, mi rincresce immensamente di doverti confessare, come uomo e come medico, la piena verità; del resto a che cosa può servire cullare un uomo in cieche e vane speranze, quando si è convinti che queste non potranno mai essere seguite da nessuna realtà? Però, a tua consolazione io sono in grado di annunciarti qualcosa di meglio, e cioè posso darti la più vivente e vera assicurazione, ed effettivamente te la do, che tuo padre vive e che - secondo piena verità - non è neppure mai morto!”
3. Allora il giovane Lazzaro, con accento triste, osservò: “Oh, guarda là su quel letto! Egli non vive proprio per niente, anzi è assolutamente morto!”
4. E mio padre gli disse “Hai ragione, lui è senza alcun dubbio assolutamente morto; sennonché quello non è tuo padre, ma è unicamente la sua veste di carne, ormai inservibile! Mio figlio però, che ha la facoltà di vedere gli spiriti, potrà raccontarti delle altre cose ancora; va da lui e chiedigli dei particolari, e tu poi sarai lieto di avere appreso quanto egli ti avrà detto riguardo alle interessanti visioni che lui ha avuto qui!”.
5. Il figlio di Lazzaro allora si rivolse a me consultandomi nel ruolo di figlio di mio padre e mi domandò che cosa io, quale figlio del medico, potessi dirgli a sua consolazione. Allora io gli raccontai per filo e per segno tutto quello che avevo visto. Intorno a me c'erano molti orecchi in ascolto, ma pochi cuori così credenti come era quello del nostro giovane Lazzaro. Quanto più io procedevo nel racconto della mia visione, tanto più la sua faccia si rasserenava, cosa questa che venne anche prontamente osservata dalle sue due sorelle, ancora giovanissime, le quali si affrettarono a chiedergli quale fosse il motivo per cui lui si era tanto rasserenato così all’improvviso. Allora il figlio di Lazzaro le indirizzò a me senza dire una parola.
6. Le due fanciulle mi vennero vicino e mi domandarono timidamente cosa avessi detto al fratello per il fatto che lui, così d'improvviso, avesse abbandonato la grande tristezza di prima e avesse assunto un’espressione del viso tanto lieta come se non fosse mai avvenuto niente di luttuoso in tutta la casa, ed erano convinte che io lo avrei raccontato a loro!
7. In quell'occasione, però, io fui piuttosto cattivo e dissi: “Oh, a voi ragazze non nuoce affatto anche se siete un po’ afflitte! Io non vi dico niente; a tempo debito, Lazzaro, vostro fratello, vi racconterà tutto!”.
8. Le due ragazze non insistettero con me per apprendere ciò che io avevo narrato al fratello. Tuttavia sembrarono subito un po' meno addolorate; e mio padre, visto che in quel momento appunto il Sole cominciò a sfolgorare la sua porpora sopra l'orizzonte, si volse verso il rabbi e disse: “Ebbene, amico! Come va con le tue gocce d'olio di felce? Il defunto è ancora là che non si muove, sempre fermo come un ceppo; come spieghi ciò? Il Sole è già al suo sorgere e tutto tace e non si muove più nulla! Chi dunque ha vinto la scommessa, tu od io?”
9. Disse il rabbi: “Oh, amico, io mi dichiaro vinto, ed ora crederò anch'io a quello che credi tu! Tu sei un medico sapiente e di molta esperienza e certo non presti fede a qualcosa senza fondate ragioni. Anche se io non ne vedo il motivo, voglio comunque credere poiché tu di sicuro ne conosci la ragione. Io ora credo, sia pure alla cieca, per rispetto verso di te, e resto fermo a quanto mi hai detto. Tu hai vinto la scommessa significativa, ed io sono tuo prigioniero!”
10. E mio padre gli disse: “Non mio prigioniero, ma un uomo perfettamente libero nel Nome di Jehova”
11. Dopo di che il rabbi domandò a mio padre: “Oh, amico! Cosa devo fare per conquistare interamente la tua amicizia?”
12. E mio padre rispose: “La mia amicizia tu ce l'hai già! D'ora innanzi credi e attraverso la fede tu perverrai alla vera Luce!”.
13. In quel momento mi avvicinai a mio padre e gli raccontai quello che avevo visto proprio in quel momento. Un grande Spirito era cioè entrato nella stanza e mi aveva fatto cenno che i figli del vecchio Lazzaro si tenessero pronti, perché lo spirito del loro padre sarebbe venuto ancora una volta per benedirli e per fare loro una grande promessa. Io riferii a mio padre queste cose perché ne desse l'annuncio ai tre; e mio padre così fece. Il figlio Lazzaro e le due sorelle, ragazze rispettivamente di appena quattordici e sedici anni, gioirono notevolmente a tale notizia.
14. Non passò molto tempo che si vide lo spirito del vecchio Lazzaro defunto, raggiante di splendore celestiale, entrare nuovamente nella stanza, e tutti e tre i figli poterono vederlo ed anche ascoltarne la voce.
15. E lo spirito risplendente così parlò a suo figlio: “Tu hai già raggiunto la maggiore età; sii dunque un vero educatore delle tue giovani sorelle! Non permettere che nessun pensiero cattivo si insinui nel tuo cuore, poiché tu vedi che io vivo e non sono affatto morto, e il Signore ha voluto che così accadesse. Egli ha eletto la nostra casa, ed in questa casa verrà compiuto il Prodigio di tutti i prodigi!
16. Il Signore stesso, già quale Figlio di poveri genitori, dimora nella carne su questa Terra. Egli, l'Eterno, il Santissimo, ha già dato inizio alla grande Opera di Redenzione. Egli intende diventare per l'eternità un Padre per tutti gli uomini di buona volontà di questa Terra! D'ora innanzi quest’ultimi non avranno più un Padre invisibile ed eternamente inaccessibile, ma avranno un Padre accessibile e sempre visibile! Ed a questo Dio, il Quale ha creato tutto ciò che comprende l'infinità eterna, questa casa sarà familiare! Preservate dunque i vostri cuori dall'impurità, affinché questa casa sia resa degna di ospitare Colui che il Cielo e la Terra non possono racchiudere!
17. Voi vedete che io vivo; però anche voi abbiate cura di vivere come ora vivo io, per l'eternità, in Dio, mio e vostro Padre! E con ciò ricevete anche la mia benedizione paterna che ora vi impartisco non più come carne che, quale una veste vecchia e già logora, riposa su quel letto in attesa della redenzione da parte dei vermi roditori, ma come uno spirito perfetto dal Paradiso di Dio, nel regno degli spiriti puri. Osservate i Comandamenti di Dio e glorificate ed amate Lui solo sopra ogni cosa; così facendo voi già su questa Terra farete un raccolto maggiore di quanto ne goda io ora nel più bel Paradiso di Dio! Dio il Signore sarà con voi, amen!”.
18. E dette queste parole, lo spirito scomparve, mentre i tre figli furono pervasi da tale gioia quale io, Mataele, non sarei affatto capace di descrivere».
Il vile rabbino non mantiene la promessa.
1. (Mataele:) «Tutti i presenti però si stupirono per la letizia incredibilmente serena dei tre figli del vecchio Lazzaro. Nessuno, a parte me e i tre figli di Lazzaro, aveva visto qualcosa, ma comunque tutti si erano accorti che doveva essere successo qualcosa. Alcuni pensavano che i tre avessero avuto qualche visione molto consolante, un paio di farisei, che erano pure presenti, ritenevano che a causa del gran dolore i figli fossero impazziti, il piccolo rabbino infine espresse da parte sua il parere che mio padre li avesse stregati con qualche mezzo segreto.
2. Allora io mi precipitai verso di lui e ad alta voce così lo apostrofai: “Disgraziato! Non ti ricordi più dunque la promessa che hai fatto spontaneamente al mio onesto padre? Ed allora come puoi farti adesso un simile giudizio su tale straordinaria Grazia di Dio? Bada bene che Jehova non ti punisca qui sul posto! Tu infatti non sei un uomo, ma sei invece un miserabile animale!”.
3. Queste parole uscite dalla mia bocca fecero sul rabbino un’impressione tale che divenne di un pallore altrettanto ippocratico quanto il cadavere che giaceva sul letto, e cominciò a tremare in tutto il corpo.
4. E mio padre, che aveva osservato la scena, si avvicinò a lui e gli chiese che cosa gli fosse successo per essere divenuto pallido come un morto. Il piccolo rabbino, però, gli raccontò con voce tremante quali malvagie rivelazioni io gli avessi fatto!
5. E mio padre allora gli disse: “Ti sta molto bene! Perché non sei rimasto nella fede che mi avevi giurato con tanto calore? Con Dio e con i Suoi Spiriti non è permesso affatto di scherzare! Comprendi? Perciò, o tu credi, sia pure soltanto in considerazione di coloro ai quali dopo tutto non si può in eterno contestare che ne abbiano fatto la più completa esperienza, oppure tu resti quello che eri prima!
6. Ma quello che tu sei, siilo interamente: o un angelo, o un demonio! Infatti, la peggiore fra le soluzioni è quella di volersi presentare come un essere doppio, cioè un angelo e un demonio riuniti nella stessa persona! Ecco, quando i due farisei, appena giunti, ti hanno fatto girare la testa e ti hanno fatto arroventare il cuore, fosti colto da paura e, quale ex-seguace della setta dei sadducei, cominciasti a danzare secondo la loro musica, come attualmente i greci fanno ballare secondo la loro musica gli orsi che presentano dinanzi a noi, e così facendo potesti dimenticare di fronte a Chi ti rendevi spergiuro! Cosa vuoi fare adesso, o miserabile?”.
7. Il rabbi, coprendosi la faccia, se ne andò in fretta ed è probabile che si ritirasse nella sua stanza a Gerusalemme, per riflettere su tutti i suoi peccati mortali. Ciò che sia poi accaduto di lui, finora non l'ho saputo; io so solo questo: quando io e mio padre qualche volta avemmo occasione di vederlo a Gerusalemme, egli, dopo appunto tali avvenimenti, ci schivò sempre in fretta e furia già da lontano! Se egli facesse ciò per ira o per una specie di timore, non l'ho mai saputo. Egli non ritornò mai più neppure in casa di Lazzaro, quantunque avesse dimenticato là la sua fialetta magica, fatto questo che apprendemmo facilmente perché il giovane Lazzaro con le sue due sorelle venne spesso a visitarci.
8. Ecco, o Signore, questa è la relazione degli avvenimenti ai quali io e mio padre assistemmo a Betania, relazione che io ora ho esposto in tutta verità. Quella volta tutto ciò era un enigma assolutamente indecifrabile, adesso però comprendo molte cose, anche se non riesco ancora a spiegarmi l'enigma delle due apparizioni, e non riesco proprio a comprenderle, nonostante i chiarimenti ormai già numerosissimi che Tu ci hai dato. Ora, queste due apparizioni sono anzitutto la meteora di luce che era sorta nel cielo naturale, a mezzanotte, e così pure gli spiriti che accompagnavano tale specie di Sole verso occidente, e poi l'identico fenomeno - però di carattere spirituale - sul capo dell'anima che già si librava liberamente sul proprio corpo morto.
9. Inoltre, nel caso di quest'anima io non vidi la particolare nuvola vaporosa, ma vidi subito una figura umana completamente formata, che era congiunta al corpo soltanto da un tenue filo di colore violetto molto chiaro, ma questo tenue filo poi si spezzò anch'esso ben presto, e poi l'anima si trovò completamente libera e avvolta dentro ad una veste di un bianco abbagliante, come di preziosissimo bisso, in mezzo ad alcuni spiriti sapienti e potenti, come ho raccontato prima.
10. In quale rapporto stiano questi fatti e queste apparizioni fra di loro, io e certamente anche tutti gli altri brameremo apprenderlo dalla Tua Bocca! Oh, Signore, Ti sia gradito darci dei chiarimenti su queste cose!».
La storia della vita del vecchio Lazzaro.
1. Dico Io: «Ebbene, Io ve le chiarirò; voi però dovete prestare la massima attenzione, altrimenti non riuscireste mai a comprendere il complesso di tali avvenimenti! Infatti, il caso di morte da te narrato fu un caso assolutamente speciale e da lungo tempo non se n’era verificato uno simile, e ci vorrà ancora molto tempo prima che ne succeda un altro.
2. Il vecchio Lazzaro, quale un grande spirito angelico della Creazione primordiale, in seguito alla sua volontà supremamente propria, era stato ammesso all'incarnazione sulla Terra, e precisamente nelle più gravi condizioni di vita che possano venire mai assunte da un uomo terreno. Dalla sua nascita fino al suo quarantasettesimo anno di vita terrena, egli dovette sopportare cose e sottostare a prove che qui non è facile raccontare ampiamente! Quante volte dovette lottare contro pericoli mortali! Colui che fra di voi conosce la storia della vita di Giobbe, può farsi appena una vaga idea di tutte le disavventure toccate al nostro Lazzaro.
3. Un paio di volte egli venne innalzato ai massimi onori del mondo e venne in possesso di ricchezze colossali; ebbe moglie e cinque figli quanto mai belli e disciplinati, che amavano ardentemente il loro padre, buono e saggio. Nel suo diciannovesimo anno egli aveva sposato l'unica figlia di un uomo ricchissimo di Betlemme; cento cammelli non sarebbero stati capaci di trasportare tutto l'oro, l'argento, le perle bellissime e le pietre preziose da lui possedute. Sennonché questa felicità terrena ebbe breve durata. I suoi tesori andavano svanendo di anno in anno, dato che egli, uomo di cuore buono e troppo indulgente, si lasciava derubare spesso e considerevolmente; infine nella sua casa, costruita per la maggior parte con legno di cedro, una volta scoppiò un incendio e di tutti i suoi tesori egli non poté salvare altro che la propria vita e quella della moglie e dei suoi figli, e poi per tre anni dovette vivere quasi elemosinando.
4. In più, nel corso di questi tre anni, gli morirono la moglie e tutti i cinque diletti figli; egli stesso fu poi colpito dalla lebbra e per un anno intero dovette sopportare sofferenze atroci. Finalmente venne un medico egiziano, che era in possesso di un mezzo arcano e lo liberò completamente da questo male. Poi, quando ebbe trentaquattro anni ed era ancora un uomo di bella presenza, un giorno fu assalito sulla via da una banda di sgherri dalla Persia citeriore, fu trascinato brutalmente in questo paese e venduto come schiavo ad un padrone estremamente severo e tiranno.
5. Ma siccome fra i molti altri schiavi del suo signore, egli era il più fedele, ed alla sua durezza egli aveva sempre opposto solo la massima pazienza e rassegnazione, ebbene, dopo dieci anni avvenne che un giorno il suo signore lo fece chiamare e gli disse: “Io ho verificato che, nonostante tutta la mia durezza verso di te, tu mi sei stato esemplarmente fedele e non hai mai evitato né il lavoro né la fatica, spesso a mio grande vantaggio; quando io ti ho chiesto molto, tu hai fatto sempre qualcosa in più, spesso a mio beneficio. Io sono certo un padrone duro - questa è la testimonianza che di me rende tutto il mondo - ma non per questo sono cieco, né privo di intendimento e di perspicacia, ed appunto perché non sono così, ti restituisco la piena libertà! Ormai puoi ritornare consolato al tuo paese. Oltre a ciò, quale segno del mio riconoscimento per i tuoi fedeli servizi, ti dono cento cammelli, dieci fra le mie più belle schiave e novanta servi; ed affinché tu possa procurarti, ovunque andrai, quanto ti necessita e ti sia reso quindi possibile di vivere e di badare alle tue faccende, ho ordinato al mio tesoriere di consegnarti mille borse d'oro e duemila d'argento! Ecco, in questo modo io, da padrone duro, ricompenso un fedelissimo servitore, come purtroppo non ebbi ancora mai l'uguale. Vai dunque in pace con tutto ciò che hai ricevuto in dono da me, tuo duro signore!”.
6. Lazzaro allora fece al suo signore un profondo inchino e voleva ringraziarlo. Ma questo lo interruppe e gli disse con accento serio: “Oh, amico, chi si è meritata una ricompensa come te la sei meritata tu, non ha bisogno di ringraziare il donatore per avergliela data! Ritorna dunque in pace a casa tua; così sia fatto!”.
7. Allora Lazzaro, commosso fino alle lacrime, abbandonò la sala dove era stato ricevuto e quando giunse nel grande cortile, trovò che tutto era già pronto: i cammelli, le dieci schiave e i novanta servitori, e ciascuno dei robusti cammelli aveva già il suo carico d'oro e d'argento.
8. Lazzaro montò sul suo cammello e si mise sulla via del ritorno in patria. Dopo dieci giorni di felice viaggio, egli giunse nuovamente a Betlemme, vi prese alloggio ed assunse informazioni riguardo alle sue proprietà di una volta. Queste però, dato che il legittimo proprietario non aveva dato segni di vita nonostante tutti gli editti annunciati per mezzo di araldi speciali, erano state vendute quali beni demaniali in base alle leggi romane ed erano passate già tre anni prima in pieno possesso dell'aggiudicatario, poiché questi veniva considerato per sette anni in un certo qual modo come un semplice affittuario. Se prima dell'esproprio, nel settimo anno, ritornava il proprietario di cui fino allora non si avevano avuto notizie, gli spettava ancora il diritto di ricorso; solo che doveva restituire all'aggiudicatario il prezzo d'asta insieme agli interessi. Questo accadeva perché quest'ultimo veniva considerato, in simili casi, come un amministratore senza incarico preciso, ed egli, a norma di legge, aveva diritto ad un compenso. Trascorso però il settimo anno, l'aggiudicatario entrava in pieno possesso, intoccabile per l'avvenire, dei beni così acquisiti all'asta. Ebbene, proprio questo fu il caso delle proprietà che Lazzaro aveva avuto a Betlemme. L'aggiudicatario ne era ormai divenuto proprietario assoluto sotto la tutela delle leggi di Roma, e per conseguenza il nostro Lazzaro dovette andarsene senza avere concluso nulla.
9. Per un anno intero egli fu costretto a dimorare nell'uno o nell'altro albergo, finché, finalmente, venne messa in vendita una grande proprietà a Betania, appartenente ad un greco. Lazzaro la acquistò per millecinquecento borse d'argento, e poi, a quarantasette anni d'età, egli prese in moglie una delle sue schiave tra le più fedeli, che era anche lei ebrea, e con lei generò appunto il giovane Lazzaro ed in seguito le sue sorelle. Dopo dieci anni anch'egli restituì la libertà a tutti i suoi servitori che aveva condotto con sé dalla Persia, però nessuno volle abbandonare Lazzaro, ed oggi di questi ne sono in vita ancora cinquantatré. Già dopo due anni tutti avevano abbracciato la religione ebraica, rendendosi così tanto più cari a Lazzaro. Sua moglie morì solo due anni fa, dopo essere stata essa pure un modello di femminile pazienza, tolleranza ed onestà, e da allora i tre figli, rimasti soli, molto buoni e disciplinati, amministrano tutto da sé. All'infuori di Dio essi non hanno quasi nessun'altra necessità e fanno parecchio del bene ai poveri».
Spiegazione delle apparizioni spirituali avvenute durante il trapasso del vecchio Lazzaro.
1. (Il Signore:) «Siccome il vecchio Lazzaro aveva concluso così bene il suo periodo terreno e considerato che nei riguardi della sua precedente perfezione celeste non soltanto non aveva perso nulla, ma aveva perfino acquisito in aggiunta un vantaggio immenso, così avvenne che, all’avvicinarsi dell'istante in cui questo nostro angelo - il quale era stato sottoposto a prove tanto gravi ma superate tutte con fermezza - avrebbe dovuto prendere congedo da questa Terra, si radunarono delle miriadi di angeli fra i più perfetti per festeggiare tale avvenimento, ed influirono con ciò sugli spiriti naturali di questa Terra in modo tale che questi ultimi dovettero passare eccezionalmente ad uno stato di attività simile a quella degli spiriti naturali del Sole. Per effetto di questa straordinaria attività di miriadi di spiriti concentratisi in uno spazio ristretto, si manifestò poi quella luce vista da te, da tuo padre e dal giovane Lazzaro, e precisamente nel momento in cui l'anima angelica del vecchio Lazzaro e il suo spirito cominciarono a liberarsi dai vincoli della carne.
2. Gli spiriti, che tu hai poi visto accompagnare questa luce in direzione di occidente, non hanno alcun rapporto con l'apparizione stessa se non quello che essi - in conseguenza di un'attività tanto fuori dell'ordinario negli spiriti naturali che solitamente stanno al loro comando - furono eccitati e stimolati essi stessi in maniera del tutto insolita; e poi, non potendo capire il motivo di quanto succedeva, dovettero adattarsi essi pure, quasi costrettivi, a compiere un movimento ed un’attività angosciosa, spinti a ciò in parte dal bisogno istintivo di fuggire e in parte da quello di osservare più da vicino l'insolito avvenimento e di capirne il motivo.
3. Che il moto si sia manifestato, per dirla in conformità al tuo linguaggio tecnico, da levante a ponente, ciò sta a indicare un caso di morte terrena notevolissimo, il quale trova la sua rispondenza nel fatto che sulla Terra tutto si desta e inizia a levante, da dove sorge il Sole, ed invece, col tramontare del Sole a ponente, tutto finisce e ritorna nel sonno. Contemporaneamente, però, la sera terrena corrisponde in modo del tutto inverso alla sera spirituale pura, poiché al mattino terreno la maggioranza degli uomini comincia, per quanto è possibile, a curarsi delle cose del mondo, che sono una vera e profondissima sera spirituale. Solo quando è venuta la sera e sono stanchi a causa delle preoccupazioni del mondo, molti sono indotti a riflettere sulla fugacità di quanto sussiste nel tempo e a rivolgersi a Dio, ed è allora proprio questo che corrisponde per lo meno ad un albeggiare spirituale.
4. Così è dunque spiegato, con chiarezza sufficiente per la vostra comprensione, il come e il perché del notevole fenomeno luminoso notturno, tanto in se stesso nella sua manifestazione spirituale e naturale, quanto in rapporto agli altri fenomeni secondari di carattere spirituale.
5. Ed ora passiamo a considerare quanto avvenne nella stanza funebre del vecchio Lazzaro! Là tu non vedesti librarsi sul cadavere un'informe figura nebulosa, ma piuttosto una forma umana già completa! La ragione di ciò va ricercata in un grande amore per l'attività, corrispondente ad una vita interiore spirituale già perfetta, che appunto perciò è libera da ogni timore di fronte alla grande attività che l'attende nel Regno infinito dei Cieli. In queste condizioni manca la ragione che induce l’anima a vibrare angosciosamente, e, per conseguenza, la forma animica umana - già al suo primo svincolarsi dal corpo - non appare confusa e scomposta, ma ben composta e tranquilla; questo avviene naturalmente agli occhi di colui che possiede la rara facoltà di vedere simili cose.
6. Il piccolo filo estremamente sottile, che congiunge l'anima al suo corpo, denota il senso costantemente esilissimo per le cose terrene, e con ciò pure la grande facilità e l'assenza assoluta del dolore nello svincolarsi dell'anima dal corpo. Il ripetersi dell'apparizione luminosa sul capo dell'anima indica, anzitutto, la potentissima volontà dell'anima stessa, che si manifesta come una colonna di luce sul capo per effetto della sua straordinaria attività secondo l'Ordine dei Cieli; come colonna trova rispondenza nell'inflessibilità, e come luce, la quale è sempre un prodotto della giusta attività, corrisponde all'Ordine divino dei Cieli di Dio. Ora, questa luce compenetra e illumina sempre pienamente la facoltà conoscitiva dell’anima, affinché la volontà non agisca alla cieca, ma sempre vedendo con la massima chiarezza.
7. Ma considerato che il pensiero dell’uomo giusto proviene principalmente solo dal cuore, esattamente come si deve ricercare solo nel cuore la sede dell'amore e della volontà, ne consegue che la luce di volontà dell’anima libera, la quale durante la vita terrena era chiamata ad essere attiva solamente in unione all'intelletto del capo, diventa una cintura della veste di amore, di giustizia, di pazienza e di sopportazione, visibile intorno ai lombi dell'anima libera; il copricapo infine rappresenta un nuovo dono della Luce purissima dai Cieli, Luce però che viene concessa in aggiunta soltanto a coloro che già sulla Terra si sono impegnati con tutta diligenza per ottenere la vera sapienza celeste, e sono divenuti uomini colmi di amore, di sapienza e di vera giustizia celeste. Allora un simile copricapo di luce è un prodotto della volontà di sapienza di tutto il complesso degli angeli dei Cieli creati primordialmente, e testimonia che chi lo porta sul proprio capo è ormai un essere completamente perfetto, il quale, avendo raggiunto la maggiore somiglianza possibile con Dio, è iniziato in ogni sapienza e in ogni conoscenza di tutti i Cieli.
8. Un simile spirito dei Cieli, il quale abbia percorso la via della carne sulla Terra, preso singolarmente, è più ricco di conoscenze che non tutti gli altri spiriti angelici primordiali riuniti assieme, se questi non si sono ancora assoggettati all'incarnazione. E questo è dovuto al fatto che come l'anima umana è un complesso di particelle terrene d'intelligenza di tutte le specie, nello stesso modo un simile copricapo è un complesso costituito da tutte le intelligenze celesti, cosa questa che ha certamente un significato infinito!
9. Io dunque credo che questa apparizione, alquanto fuori dall'ordinario, risulterà ora chiara a voi tutti! Qualcuno ha forse delle obiezioni da fare? Se è così, che si faccia avanti e riceverà immediatamente luce sui punti oscuri! Infatti, i Cieli non sono affatto avari della loro Luce per coloro che sono di cuore giusto e di buona volontà. Chiedete dunque senza timore qualora vi rendiate conto che vi manca qualcosa!».
Delle stolte domande.
1. Dice Cirenio: «O Signore! Noi tutti non potremo mai ringraziarTi abbastanza per questi insegnamenti infinitamente grandi che Tu ci hai ora impartiti, ed io sento di comprendere ormai una quantità enorme di cose; anche dell'ultimo episodio appena narratoci dal viceré Mataele, che lo ha attinto fuori dall'abbondanza delle sue esperienze, non c'è niente che sia rimasto per me non chiaro; soltanto i due o tre grandi e possenti spiriti angelici venuti a prendere il vecchio Lazzaro mi sono ancora completamente sconosciuti per quanto riguarda la loro condizione! Potremmo forse apprendere almeno i loro santi nomi ed eventualmente se c’è stato qualcosa di più particolare nel ritorno del Lazzaro per istruire i suoi figli? La storia del resto è quanto mai interessante, quantunque, a dirla schietta, mi sarebbe piaciuto sapere ancora come e dove venne sepolto il corpo del vecchio Lazzaro e cosa sia accaduto più tardi del piccolo rabbi. Inoltre credo che non sarebbe proprio del tutto inutile anche qualche spiegazione sul famoso olio di felce. Vorresti Tu, o Signore, dirci forse qualcosa di più preciso?»
2. Dico Io: «Ma, amico Mio, queste sono tutte cose secondarie e quanto mai insignificanti, il cui verificarsi voi non potete in nessun modo ritenere come assolutamente necessario in rapporto al fatto principale, dato che esse non hanno niente a che vedere con questo e neppure stanno quasi in nessun modo in relazione! Come possono interessare i nomi vuoti degli spiriti angelici venuti incontro al vecchio Lazzaro? Loro non hanno bisogno di passaporti secondo l'usanza terrena, né di una autorità del mondo preposta alla tutela altrui! A che cosa dunque potrebbero servirti i loro nomi? Ma se proprio ci tieni a saperlo, ti dirò che si trattava degli arcangeli Zuriel e Uriel, e dietro a tutti infine anche Michael, sotto la figura di Giovanni Battista, del quale Zinca ci ha raccontato tante cose.
3. Erano presenti, però, un gran numero anche degli altri spiriti che Mataele non poteva vedere, dato che questi, essendo ancora perfettamente spiriti nella loro purezza integrale, possono venire percepiti solo dall'occhio dello spirito in sé purissimo, facoltà questa che Mataele non ha mai posseduto. E per dire poi del rimanente, che importanza può avere il modo e il luogo della sepoltura del corpo del vecchio Lazzaro, o quale sia stata la sorte del piccolo rabbi o che importanza può avere l'olio di felce? Serve forse sapere che quest'ultimo elimina il crampo ed uccide i vermi dello stomaco, purché sia genuino e che, in caso contrario, non ha assolutamente alcun effetto? Lasciamo dunque stare ciò che non può esserci che di poca o di nessuna utilità, e vediamo invece di accrescere il nostro sapere e le nostre nozioni per quanto riguarda soltanto lo spirituale!
4. Nella sfera, dunque, della visione spirituale di Mataele, domandate piuttosto ancora cose che abbiano veramente attinenza con lo spirituale, e non cose che per lo spirito possono essere altrettanto indifferenti quanto lo è la neve caduta mille anni prima di Adamo sui campi deserti della Terra! Cosa sia la materia, come sia sorta, come essa sussista e sorga tuttora, tutto ciò vi è stato già chiarito fino all'evidenza, e per conseguenza ormai noi dobbiamo curarci anzitutto soltanto di ciò che è spirituale. A che cosa possono giovare all'uomo anche tutte le conoscenze e tutte le scienze del mondo intero, se egli non ha ancora riconosciuto se stesso fino alle più profonde radici della propria vita, e ciò più particolarmente nella sfera animica e spirituale della vita e del suo essere?
5. Potrà egli mai essere veramente felice, anche trovandosi in possesso di tutti i beni di questa Terra, se ogni tanto si troverà costretto a domandarsi: “Che cosa sarà di me dopo la morte? Continuerò in qualche modo a vivere conscio di me stesso oppure per me sarà tutto finito per l'eternità?”. Quando l'angosciato interrogatore non otterrà soddisfacente risposta da nessuno che sia più esperto di lui, né ancora meno dal tenebroso ambiente della propria vita mondana nella quale non è mai penetrata una luce spirituale conforme a verità, che cosa avverrà poi? A che gli serviranno i tesori e le grandi ricchezze se rivolgerà seriamente a se stesso queste domande? A ben poco gli serviranno, se solo è un po’ consapevole di amare la vita! Infatti, cosa può giovare all'uomo se anche guadagnasse tutti i tesori della Terra, ma la sua anima subisse dei danni?
6. Via dunque tutto ciò che la ruggine e le tignole possono distruggere! Soltanto ciò che è dello spirito resta immutabile in eterno; tutto quello invece che appartiene alla materia è spesso soggetto ad innumerevoli trasformazioni finché esso avrà raggiunto lo stesso piano dello spirituale. Perciò fate domande su cose spirituali e inerenti all’anima, ma mai su cose terrene».
L'Ira di Dio.
1. Dice Cirenio, piuttosto imbarazzato: «O Signore, nessuno all'infuori di me Ti ha ora chiesto qualcosa; la cosa ha dunque tutta l'apparenza come se Tu, mio Dio Signore e Sostenitore, fossi adirato con me!»
2. Gli dico Io: «Oh, come puoi tu comprendere in maniera tanto contorta le Mie parole! Come posso essere adirato con te se ti dimostro, in tutta Serietà e in piena eterna Verità, quello che a voi tutti ed a ciascuna creatura umana è maggiormente necessario per la vita? E vedi, vedi quanto è debole ancora la tua facoltà di giudizio! Quando mai raggiungerà la giusta misura? Contro chi può mai adirarsi il purissimo Amore primordiale, fonte di ogni amore in Dio?
3. Quando leggete di un'Ira di Dio, con ciò voi dovete intendere la Serietà del Suo Volere eternamente sempre uguale e incrollabile, e questa Serietà del Volere in Dio è appunto il germe più interiore dell'Amore più puro e più possente fuori dal quale è sorta l'Infinità nonché tutte le opere che in essa esistono come sorgono i pulcini fuori dall'uovo; ora questo Amore certo non può in eterno mai adirarsi con nessuno! Oppure, qualcuno di voi pensa davvero che Dio possa tenere il broncio come una qualsiasi sciocca creatura umana?»
4. A questo punto il vecchio capo Stahar viene di nuovo vicino a Me e dice: «O Signore, perdona se mi permetto anch'io una osservazione riguardo all'Ira di Dio!
5. Se si considera l’antica storia del mondo con una salda fede in Dio, non ci si può nascondere che Dio ha fatto sentire in certi periodi la Sua Ira e la Sua Vendetta, in un modo severo e particolarmente inesorabile, a quegli uomini che erano diventati troppo irrefrenabili.
6. “L'ira è Mia, e la vendetta è Mia!”, così parla il Signore per bocca del profeta! Ma che sia proprio così lo dimostra la cacciata di Adamo dal paradiso, il diluvio ai tempi di Noè, la conferma della maledizione di Noè contro uno dei suoi figli, più tardi la distruzione di Sodoma, di Gomorra e delle dieci città vicine nel luogo dove ora noi possiamo vedere il mar Morto, più tardi ancora le piaghe d'Egitto, quelle degli israeliti nel deserto, poi le guerre micidialissime contro i filistei ordinate da Dio, la prigionia in Babilonia e finalmente la completa sottomissione del popolo di Dio da parte della potenza dei pagani!
7. Signore, chi ora voglia considerare anche un po’ soltanto un simile contegno di Jehova verso i peccatori che altri non possono essere se non appunto noi uomini, non è possibile che ricorra ad altro che non sia veramente un'ira ed una assoluta vendetta di Jehova!
8. Certamente si potrà dire: “Così Dio alleva in piena serietà i Suoi uomini e interi grandi popoli tenendo in pugno la verga punitrice”; sennonché le sferzate e i colpi non fanno mai l'impressione come se venissero dalla mano di un Padre amorosissimo, ma ovunque ne esce l’immagine di un Giudice tremendamente adirato, sebbene sotto un certo riguardo sommamente giusto, il Quale emette sentenze di vita e di morte, di pestilenza e di fuoco!”.
9. Questa è a grandi linee la mia opinione, ammesso, beninteso, che la storia di questo mondo ci narri la verità. Però, se tutti i racconti dolorosi di quello che Dio ha operato non dovessero essere che delle finzioni, allora certo può darsi che quanto viene definito come “Ira e Vendetta di Dio” sia pur sempre il nucleo del Suo eterno e purissimo Amore. Io ho adesso parlato così, poiché prima Tu stesso, o Signore, hai indossato il manto dell'Ira e della Vendetta!
10. Sarà tutto bene così come Tu, o Signore, hai detto ora; tuttavia rimane pur sempre strano che nei tempi antichi, quando l'umanità non è migliorata e non ha fatto vera penitenza, all'annunciata Ira di Dio non è mancata mai di seguire la punizione più marziale, e ciò tanto nel grande quanto nel piccolo, come pure nel generale che nel particolare senza riguardo per nessuno! Dunque, come si possano conciliare tali insegnamenti della storia con l'Amore purissimo assolutamente privo d'Ira e di Vendetta, questo in verità meriterebbe di venire chiarito un po’ più da vicino in questa occasione!».
Della prima coppia umana.
1. (Dico Io:) «O amico, tu ora hai parlato dell'Ira, della Vendetta, della Giustizia e dell'Amore di Dio, nella stessa maniera in cui un cieco da entrambi gli occhi può giudicare e parlare dell'armonico splendore dei colori dell'arcobaleno.
2. Non sei dunque ancora riuscito a comprendere come tutti i cinque libri di Mosè e così pure quelli dei profeti e gli scritti di Salomone non possano venire intesi se non per la via della interiore rispondenza spirituale?
3. Credi sul serio che Dio abbia fatto cacciare Adamo dal paradiso avvalendosi di un angelo che impugnava nella sua destra una spada fiammeggiante come arma per allontanare la gente? Io ti dico invece che, anche se il fatto può essere apparso sotto tali forme alla mente di Adamo, tuttavia ciò non fu che la semplice rispondenza di quanto si svolse effettivamente in Adamo stesso, e questo atto fu appunto anch'esso un atto previsto dal piano della sua educazione e mirante alla fondazione della prima religione e della prima chiesa fra gli uomini sulla Terra.
4. Sulla Terra però non ci fu mai in nessun luogo un paradiso materiale dove i pesci fossero arrivati, addirittura nuotando, in bocca all'uomo già belli arrostiti, ma egli, come ora, ha dovuto sempre prima pescarli e arrostirli e solo poi ha potuto mangiarli con moderazione; ma quando l'uomo fu attivo e diligente ed ebbe cura di raccogliere i frutti prodotti dalla Terra accumulando così una buona provvista, allora ciascun luogo di questo mondo da lui coltivato rappresentò sempre un vero paradiso terrestre!
5. Che cosa ne sarebbe stato dell'uomo e della sua educazione spirituale se egli, trovandosi in un vero paradiso dell'ozio o del facile divorare, non avesse avuto bisogno di preoccuparsi di nulla? Se, come già detto, i migliori frutti gli fossero, per così dire, cresciuti in bocca quando e come fosse piaciuto a lui, che se ne stava disteso mollemente sulle erbe soffici dei prati e che gli sarebbe bastato aprire la bocca per averla colma all'istante dei migliori bocconi già belli e pronti, ebbene, quando e come potrebbe l'uomo, dato un simile metodo di educazione, giungere all’autonomia della propria vita che è invece condizionata a ben altri procedimenti? Io ti dico che, se i concetti che ti sei fatto finora del paradiso fossero esatti, l'uomo tuttora non sarebbe altro che un bue ben pasciuto od un polipo intento solo a divorare in fondo al mare.
6. Che cosa dunque rappresenta l'apparizione dell'angelo con la spada fiammeggiante, e che cosa vuol dire questo linguaggio figurato? Ecco: l'uomo era nudo perché finora nessuno è venuto al mondo con una veste addosso; e quantunque, come quest'asina, non avesse avuto da trascorrere, dal punto di vista corporale, alcuna infanzia, dato che dal punto di vista del corpo egli era sorto allo stesso modo di quest'asina, e quantunque fosse alto più di dodici piedi (3,8 metri), come pure non molto di meno lo era Eva, tuttavia per quanto concerne l'esperienza originaria circa le particolarità della Terra egli era pur sempre un fanciullo, e dovette acquisire le necessarie nozioni per lo più mediante la propria esperienza.
7. Durante i tepori primaverili, i calori dell'estate e la mitezza dell'autunno, egli certo poteva reggere col corpo nudo, ma, venuto l'inverno, cominciò a sentire molto il freddo, e nel suo sentimento che Dio destava sempre più in lui per mezzo di ispirazioni spirituali e naturali, egli stesso iniziò a chiedersi: “Dove sono io dunque, che cosa succede di me? Prima mi era tutto così piacevole, ed ora provo una sensazione sgradita, e il gelo dei venti fa male alla mia pelle!”. È evidente che allora egli dovette ingegnarsi a cercare e trovare una dimora che lo riparasse dai rigori invernali, e cominciare a ricoprire il suo corpo con varie specie di foglie staccate dagli alberi. In seguito a questo lavoro, impostogli dalla necessità, il pensiero in lui si fece più attivo e ben presto anche si organizzò secondo un ordine.
8. Più tardi poi avvenne che in lui si manifestò anche la fame, poiché moltissimi alberi e arbusti avevano i loro rami spogli; egli allora se ne andò più lontano in cerca di nutrimento e trovò degli alberi ancora colmi di frutta, che egli raccolse e portò nella grotta che aveva trovata e che gli serviva da buona dimora. In tali condizioni il suo animo, già più esperto, gli parlò di nuovo: “In questo tempo la maledizione è sopra la Terra, e tu, o uomo, puoi raccogliere il tuo cibo soltanto col sudore della tua fronte!”.
9. E una volta che il primo uomo di questa Terra ebbe svernato nella grotta sulle alture presso il confine nord-est della Terra promessa, alla quale appartiene anche questa nostra Galilea, egli ebbe modo, assieme alla sua donna, di scrutare più profondamente in se stesso, ed allora trovò in sé anche il bisogno di una compagnia più grande; in sogno egli fu ammaestrato riguardo a ciò che avrebbe dovuto fare per arrivare a tale scopo, cioè a quello di crearsi una compagnia più numerosa, ed in seguito all'ammaestramento avuto egli cominciò a generare Caino, e subito dopo Abele e Set.
10. Tuttavia fu dalla donna che partì il primo incitamento all'atto della generazione, perché fu la donna ad avere per prima in sogno una visione di come tale atto sarebbe dovuto essere compiuto. Però non c'è bisogno che noi ci dilunghiamo maggiormente su questo argomento, e a te, Stahar, amico Mio, basti sapere che a questo riguardo tutto procedette in maniera assolutamente naturale e che non accadde niente che fosse contro natura. Sennonché Mosè vide che tutto questo era potuto avvenire soltanto secondo la Volontà di Jehova; egli riconobbe, per l'influsso dello Spirito di Dio, che tutto questo procedimento di guida perfettamente naturale, fondato sulla esperienza individuale, era stato diretto da Me, vale a dire dal Mio Spirito, e perciò nelle sue narrazioni, mediante immagini corrispondenti, pose sempre Dio al fianco di questa prima coppia umana, e personificò pure la Mia influenza con delle immagini il più possibile brevi ma tuttavia estremamente rispondenti, come allora erano generalmente usate e come anche dovevano essere, dato che per guidare un popolo ed in generale i popoli tali immagini e simboli erano necessari dappertutto.
11. Del resto si comprende da sé che Dio e gli angeli seppero come fare e come disporre le cose, affinché la prima coppia umana comparisse sul mondo in una delle più fertili regioni dello stesso.
12. Se dei fenomeni naturali, che più tardi fu concesso che si verificassero, costrinsero i primi uomini ad abbandonare il primo giardino che aveva fornito loro il nutrimento per cercare più lontano sulla Terra di che sostentarsi, ciò non avvenne assolutamente per una specie di Ira divina, ma solo per Amore all'uomo, affinché egli si ridestasse dalla pigrizia che aveva cominciato a dominarne i sensi, e si facesse invece attivo accumulando più vaste esperienze.
13. E quando Adamo, Eva e i loro figli si accorsero che sulla vasta Terra, quasi dappertutto, c'era qualcosa da mangiare, essi incominciarono ad intraprendere viaggi più lunghi; in queste occasioni essi fecero una discreta conoscenza dell'Asia e dell'Africa. Questo contribuì nuovamente ad arricchire il loro bagaglio di conoscenze e di esperienze. Infine, segretamente guidati dallo Spirito di Dio, essi fecero ritorno al loro Eden iniziale, vi si stabilirono permanentemente e da lì le popolazioni si distribuirono poi su tutta la superficie della Terra.
14. Ed ora dimMi nel tuo animo se da tutto ciò traspare in qualche modo uno spirito dell'Ira o della Vendetta da parte di Dio!».
Il diluvio dei peccati.
1. (Il Signore:) «Certo, la Sapienza di Dio può essere indotta a provare avversione quando vede degli uomini già progrediti ed almeno a metà maturi insorgere contro l'Ordine divino per spavalderia o anche per pura perfidia! Ma allora si muove immediatamente l'elemento equilibratore, l'Amore di Dio, che nella Sua immensa Pazienza sa sempre opporre i mezzi più opportuni agli sforzi perversi degli uomini per ricondurli sulla retta via; così alla fine il Mio Scopo finale rispetto all'umanità deve comunque venire sempre raggiunto senza che l'uomo vi venga costretto come una macchina sotto la pressione di una qualche onnipotente Vendetta di Dio.
2. Ma perfino questi mezzi non vanno considerati come una conseguenza della Potenza dell'Ira divina, ma semplicemente come l'effetto dell’agire perverso degli uomini! Vero è che il mondo e la natura hanno le loro necessarie ed immutabili leggi assolute stabilite da Dio, e precisamente nell'Ordine più perfetto; però di leggi simili ne ha anche l'uomo riguardo alla sua forma e al suo essere corporale. Se ora l'uomo vuole in qualche modo insorgere contro un tale Ordine e vuole trasformare il mondo, allora egli non trova la sua punizione per questo atto in un gesto volontario dell'Ira di Dio, ma nella reazione inevitabile all'offesa fatta all'Ordine stesso, posto inflessibilmente da Dio in tutte le cose, le quali devono essere così come sono.
3. Tu ora pensi e ti chiedi fra te e te se anche il diluvio sia pure da considerarsi come una conseguenza naturale e necessaria di un agire perverso e contrario all'Ordine. Ed Io ti rispondo: “Sì, esso va considerato appunto come tale!”. In quel tempo Io destai più di cento veggenti e messaggeri, feci ammonire i popoli a desistere dalle loro opere contrarie alla natura e all'Ordine divino e per più di cento anni feci evidenziare continuamente a loro, con tutta serietà, le conseguenze spaventose per l'anima e per il corpo che loro avrebbero dovuto necessariamente attendersi, ma la loro malvagia arroganza arrivò al punto che nella loro cecità non si limitarono a schernire i messaggeri, ma arrivarono ad ucciderne parecchi, e così Mi dichiararono formalmente la guerra. Ma non per questo Io arsi d'ira, né meditai la vendetta, ma li lasciai operare secondo la loro volontà, e dovetti permettere che facessero la triste esperienza di come all'irragionevolezza e all'ignoranza - le quali esse stesse sono colpevoli di ciò che sono - non sia assolutamente lecito fare ciò che vogliono, nella loro cecità, con la grande Natura e con l’Ordine di Dio.
4. Vedi, se tu vuoi, puoi andartene a quella rupe che sorge là, verso mezzogiorno, e che è alta quanto 500 uomini; tu puoi salirvi fino sulla vetta e poi buttarti giù dalla sua parete a capofitto. Secondo le necessarie leggi della gravità, insita in tutta la materia, questa tua azione temeraria dovrai evidentemente pagarla con la vita del tuo corpo. Ma ora chiediti se una simile conseguenza potrebbe andare attribuita alla Mia Ira e alla Mia Vendetta.
5. Là, dall'altra parte, verso oriente, tu vedi delle alte catene di montagne che sono fittamente ricoperte da boschi. Prendi con te dieci volte centomila uomini, va là e fa appiccare il fuoco a tutti quei boschi; poi tu avrai di fronte delle montagne completamente nude. Ma quali saranno le conseguenze di questo tuo atto? Ecco: i molti spiriti naturali, resi così spogli a loro volta e tagliati fuori dalla loro naturale attività, cominceranno a infuriare e ad imperversare nella libera atmosfera. Piogge di fulmini, terribili nubifragi e grandinate continue devasteranno poi per lungo tratto tutte le regioni circostanti; tutto ciò sarebbe una conseguenza del tutto naturale di una simile opera di distruzione dei boschi; e adesso dimMi se anche qui dovrebbero in qualche modo entrarci l'Ira di Dio e la Sua Vendetta!
6. C’entrano forse se dieci volte centomila uomini non hanno altra preoccupazione che quella di spianare con tutto zelo le montagne scaricandone il materiale nei laghi, o di costruire strade militari di larghezza enorme per poter fare la guerra con maggiore facilità; se delle intere catene di monti così lunghe da richiedere giorni di viaggio per percorrerle vengono smussate in modo che si riducano ad essere alte solo dalle 400 alle 500 altezze d’uomo, o se si scavano sotto ai monti gallerie profonde dalle 200 alle 300 altezze d'uomo aprendo così la via alle acque dei bacini sotterranei, e se in seguito a ciò i monti cominciano a sprofondare in questi serbatoi sotterranei che si sono svuotati, premendo sulle acque e facendole salire, in Asia, come un mare oltre alle massime vette dei monti? Ma a tutto ciò è da aggiungere ancora che in questa grande opera di distruzione delle montagne andarono distrutte varie centinaia di milioni di iugeri di terreno fittamente coperto di boschi; in questa occasione delle miriadi innumerevoli di spiriti naturali, prima intensamente occupati nello sviluppo di un'abbondante e lussureggiante vegetazione, si trovarono all’improvviso in libertà senza immediata possibilità di lavoro! Puoi domandare a te stesso quale spettacolo essi abbiano potuto inscenare nelle regioni dell'atmosfera! Che uragani si siano scatenati, quali masse enormi di acqua piovana e di grandine e quali piogge di fulmini si siano rovesciate dalle nubi sulla Terra per più di 40 giorni, e che vero mare di acqua abbia potuto innalzarsi sopra quasi tutta l'Asia, e tutto ciò per cause assolutamente ed esclusivamente naturali! DimMi ora: “Anche questo fu Ira di Dio e Sua implacabile Vendetta?”.
7. Mosè narrò questa storia, come tutto il resto, nel modo usato allora, cioè attraverso immagini, nelle quali egli, secondo il suggerimento dello Spirito divino, fece sempre emergere la Mia Provvidenza, ciò che si può decifrare unicamente per le vie della genuina e vera rispondenza.
8. Ma si deve concludere che Dio è un Dio dell'Ira e della Vendetta per il fatto che tu, e con te molti altri ancora, non avete mai compreso le Sue grandi Rivelazioni?».
Le cause delle catastrofi.
1. (Il Signore:) «Io dico a te: "Se gli uomini vivessero per soli cinquant'anni secondo il giusto Ordine di Dio, allora voi non vedreste né udreste parlare mai di una calamità, né sareste costretti a fare tali amare esperienze!".
2. Ed Io dico ancora: "Tutte le calamità, le epidemie, le varie malattie fra gli uomini e gli animali, il maltempo, le annate magre e infruttuose, le devastanti grandinate, le grandi inondazioni che distruggono ogni cosa, gli uragani, le grandi tempeste, le invasioni di cavallette e molte altre sciagure di questo genere non sono altro che le conseguenze del disordinato modo di agire degli uomini!
3. Se gli uomini, invece, trovassero compiacimento nel vivere secondo i dettami dell'Ordine stabilito, la paura di tali sventure sarebbe assai lontana da loro; gli anni scorrerebbero tranquilli, benedetto l'uno come l'altro, simili a perle infilate su un cordoncino; le parti abitabili della Terra non sarebbero mai tormentate da calori troppo grandi o da geli eccessivi; ma poiché gli uomini assennati e immensamente intelligenti, di proprio impulso e volontà, intraprendono, oltre ai loro bisogni, ogni genere di lavori erigendo enormi costruzioni sulla terra e apportandovi esagerati miglioramenti, spianando montagne per costruire strade militari, distruggendo molte centinaia di migliaia di jugeri (centinaia di migliaia di ettari) di magnifici boschi e scavando a troppa profondità entro i monti alla ricerca d'oro e d'argento, quando infine gli uomini vivono in permanente stato di litigio e di lotta fra di loro mentre sono continuamente circondati da una quantità immensa di spiriti naturali intelligenti dai quali dipendono completamente sia le condizioni meteorologiche della Terra, come pure la purezza e la salubrità dell'aria, dell'acqua e del terreno, allora come ci si può stupire se questa Terra si trova sempre più afflitta da innumerevoli mali di ogni specie e di ogni tipo?
4. La gente avida ed avara è solita munire di formidabili serrature e chiavistelli le porte che tutelano i suoi granai ma ciò non basta, ed essa mette oltre a ciò una guardia armata a custodire le ricchezze e i tesori accumulati che superano enormemente il proprio bisogno, e guai a chi osa avvicinarsi senza autorizzazione; in verità costui andrebbe incontro ad un aspro interrogatorio!
5. Io non voglio dire con questo che chi ha faticosamente accumulato qualche proprietà non debba tutelarla; Io qui intendo parlare invece dell’eccessivo accumulare, assolutamente inutile, che raggiunge proporzioni gigantesche. Non sarebbe dunque possibile erigere anche dei granai che rimanessero aperti a ciascun povero e debole, sia pure sotto la sorveglianza di un saggio distributore, affinché nessun povero possa prendersi più di quanto gli occorre per il proprio sostentamento? Ma se in questo modo l'avidità e l'avarizia scomparissero da questo mondo, allora - fate bene attenzione alle Mie parole - anche tutte le annate magre svanirebbero da questa Terra!
6. Tu ti chiedi adesso come ciò sia possibile, ed Io ti rispondo: “Nella maniera più naturale di questo mondo, vale a dire che, per quanto poco uno sia a conoscenza dei processi interiori che si svolgono nell'intera Natura, non solo deve immediatamente accorgersene, ma deve afferrare questa cosa per così dire con le mani e con i piedi!”.
7. Ecco, qui dinanzi a noi c'è ancora la pianta benefica, e là, un po' più oltre, la pianta estremamente velenosa. Ebbene, non si nutrono ambedue dell'identica acqua, esattamente della stessa aria, della stessa luce e dello stesso calore emanato dalla medesima luce? Eppure l'una è colma di elementi salutari, mentre l'altra sovrabbonda di veleno mortale!
8. Ma perché ciò? Perché la pianta benefica, grazie al suo carattere interiore bene ordinato, influisce su tutti gli spiriti vitali naturali che la circondano, facendoli armonizzare col suo proprio buon carattere, e questi poi le si stringono intorno in perfetta pace e amore, e concorrono alla sua nutrizione con azione benefica tanto dall'esterno verso l'interno, quanto viceversa. Così, nell'intera pianta, tutto acquista un potere salutare, e di giorno, alla luce del Sole, tanto le sue emanazioni, quanto gli spiriti vitali naturali che le stanno intorno per un vasto raggio, esercitano sugli esseri umani e così pure su molti animali una influenza quanto mai benefica.
9. Nell'altra pianta invece, quella velenosa, nel cui interno si celano le caratteristiche di un egoismo feroce, dell'ira e del furore, gli stessi spiriti vitali naturali vengono per conseguenza totalmente corrotti; essi pure si stringono intorno alla pianta nutrendola, ma tutto il loro carattere si fa perfettamente omogeneo a quello originario della pianta stessa. Inoltre, anche il suo ambiente esteriore - o in altri termini, la sua esalazione - è velenoso e nocivo alla salute degli uomini, e gli animali, con le loro narici sensibilissime, evitano di andarle vicino».
L’influsso del male sul bene.
1. (Il Signore:) «Ma un uomo avaro ed avido è una pianta velenosa tanto più eccezionalmente grande e di più vasta influenza; tutto l'ambiente spirituale vitale-naturale che per un vasto raggio lo circonda, le sue emanazioni e la sua sfera vitale esteriore assumono il carattere della sua vita interiore. Gli spiriti vitali naturali però, che gli sono intorno e che ne subiscono la mala influenza, invertono sempre - nel loro elemento maligno, avaro e avido - gli spiriti vitali-naturali ancora buoni che affluiscono a loro.
2. Ma poiché tali spiriti vitali-naturali sono in continuo conflitto non solo con l'uomo, ma anche con gli animali, con le piante, con l'aria e con l'acqua, avviene che essi favoriscono sempre ed anche molto ogni tipo di lotte, di attriti e di inutili movimenti nell'aria, nell'acqua, nella terra, nel fuoco e negli animali.
3. Chi vuole fare un’esperienza pratica di tali fenomeni, vada dove dimora un uomo di carattere molto buono, ed egli troverà che pure tutti gli animali che gli sono vicini sono di natura molto più mansueta del solito; questo fenomeno lo si può costatare soprattutto nei cani, i quali in breve tempo assumono del tutto le caratteristiche del loro padrone; il cane di un avaro diverrà certamente anch'esso una bestia molto avara, e quando mangia non è consigliabile andargli vicino. Se si va invece da una persona mite e generosa che tiene in casa un cane, si vedrà come anche questo sarà di carattere mansueto; esso preferirà allontanarsi dalla ciotola contenente il suo pasto, pur di non impegnarsi in una lotta a morsi con un eventuale ospite non invitato. Anche tutti gli altri animali domestici di un padrone mite e di buon cuore li troverai di natura considerevolmente più mansueta, anzi, una persona dotata di una percezione molto sottile sarà in grado di constatare un divario non lieve perfino fra gli alberi, ed in generale le piante, appartenenti all'una o all'altra specie di persone.
4. Osserviamo ancora i servitori di un avaro: anche loro diventano per lo più spilorci, invidiosi e avari e, quando serve, anche astuti, falsi e imbroglioni!
Perfino una persona di solito buona e generosa, qualora si trattenga a lungo in vicinanza di un avaro che è immerso fino al collo nell’oro e nell'argento, finirà con l'adottare dei sistemi ispirati a tirchieria e col pensarci su molto prima di compiere una buona azione.
5. Inoltre non è da trascurarsi il fatto che sulla Terra l'elemento maligno attira nella propria sfera il benigno con molta minor fatica di quanto sia il caso opposto!
6. Considerate ad esempio una persona molto collerica, che sembra voler annientare tutto quanto gli sta intorno quando viene colta da uno dei suoi accessi; se mille persone di carattere buono stessero ad osservarla, finirebbero esse stesse con l’infuriarsi, e si sentirebbero spinte tutte a scagliarsi immediatamente su quell'unico collerico per cacciare via da lui la sua ira, purché la sua pelle offrisse posto sufficiente a tutte quelle mani pronte all'azione. Perché dunque un solo ardente nella propria ira incita mille altri a reagire con altrettanta ira, e perché invece i mille mansueti non attraggono nella loro buona sfera quel solo collerico?
7. Tutto ciò accade perché - particolarmente su questa Terra, a causa dell'educazione dei figli di Dio - lo stimolo al male è, come anche deve essere, di gran lunga più potente che non lo stimolo al bene. Il perché di questa cosa Io ve l'ho spiegato già una volta nelle sue linee generali, e quindi non c'è bisogno che Io Mi ripeta.
8. Guardate qui nuovamente queste due piante, e immaginatevi di avere davanti di voi un paiolo di ferro molto grande. In questo paiolo noi metteremo a bollire mille di queste piante benefiche per farne un decotto salutare, e poi, chi essendo ammalato di petto ne berrà, comincerà ben presto a risentirne dei buoni effetti, perché gli spiriti vitali-naturali buoni avranno pure ben presto ragione dei pochi più cattivi che sono nel suo petto.
9. Ma prendiamo poi una sola di queste speciali piante velenose e gettiamola nel paiolo nella quale cuociono mille piante benefiche per preparare un decotto salutare! Vedete, quest'unica pianta velenosa invertirà nel proprio elemento mortale tutta la sostanza benefica delle mille piante buone, e guai all'ammalato che si azzardasse a bere un sorso solo del decotto così invertito! In verità, questo suo atto gli costerebbe immancabilmente la vita, e per via naturale non vi sarebbe più nessun rimedio per lui.
10. Ed ora supponiamo invece il caso opposto! Mettiamo cioè a bollire nello stesso paiolo mille simili piante velenose per farne un decotto per la morte, e infine gettiamoci dentro soltanto una di queste piante benefiche in aggiunta alle mille velenose! Oh, con quale rapidità tutti i suoi spiriti naturali benefici saranno trasformati nell'elemento micidiale delle mille piante velenose!
11. Ma da ciò nuovamente risulta più chiaro del Sole che appunto su questa Terra - per le note ragioni - il male è di gran lunga più atto ad invertire nel proprio elemento il bene che non viceversa.
12. Immaginati ora che in una regione o in un intero paese ci sia una quantità di gente malvagia di ogni specie, e domanda a te stesso, dopo quello che hai sentito, se davvero dipende da una qualche Ira di Dio il fatto che su quella regione o su quel paese si abbattano sciagure di ogni tipo! Io dico a voi tutti, e particolarmente a te, o amico Stahar, che tutto ciò dipende unicamente ed esclusivamente dagli uomini e dal loro modo di agire e di vivere, mentre l'Ira di Dio e la Sua Vendetta non c'entrano per nulla in eterno se non per il fatto che sono stato Io a stabilire un simile Ordine nella natura delle cose, il quale, naturalmente, dovrà immutabilmente rimanere tale finché la Terra sussisterà, altrimenti essa si dissolverebbe, né potrebbe più offrire dimora agli esseri umani agli scopi della loro vita di prova.
13. Si tratta quindi ora di strappare a sé quanto vi è di buono con assoluta serietà e con ogni potenza e forza se non si vuole venire travolti dal molto male.
14. Cercate dunque di perfezionare la vostra vita interiore mediante l'osservanza effettiva e fattiva della Mia Dottrina, e così tutti i veleni del mondo non saranno più in grado di arrecarvi alcun danno».
La piccola pianta benefica prodigiosa.
L'essenza della luce e delle tenebre, del bene e del male.
1. (Il Signore:) «Ma adesso ritorniamo ancora una volta al nostro paiolo dove bollono le mille piante velenose! Vedete, né dieci, né centomila piante benefiche di questa specie saranno in grado di eliminare la potenza mortale da questo decotto velenoso che riempie il paiolo; tuttavia su questa Terra, e precisamente sulle alte montagne dell'India, nonché pure sul Sinai, cresce una pianticella: basterebbe gettarne nella caldaia un pezzetto grande soltanto quanto uno stelo d'erba di media grossezza per convertire in un istante tutto il suo contenuto mortale nel decotto più salutare fra tutti!
2. “Come è mai possibile?”, chiedi tu, o savio Stahar, tutto meravigliato. Ed Io ti dico che questo pure succede per vie assolutamente naturali; ma il modo in cui avviene verrà indicato ben presto a te e a tutti gli altri nella maniera più chiara.
3. Vedi, quando in una notte senza Luna e per giunta tempestosa, regna la tenebra più fitta, tu hai l'impressione come se la medesima nera oscurità debba regnare anche in tutto l'infinito! Questa tenebra che per un certo tempo è almeno come un veleno mortale per la luce degli occhi perché toglie loro ogni potere visivo, si libera del suo veleno grazie anche ad una minimissima scintilla della luce solare, ed immediatamente si trasforma in un brillante chiarore.
4. Indovini tu già come andrà a finire la cosa? Oh, sì, tu puoi ardere dalla curiosità e puoi intuirlo, ma in quanto a saperlo, ne deve passare di tempo! E poiché non lo sai, allora ascolta!
5. Come può una scintilla della luce solare fugare tutta l'oscurità? E perché, ingenerale, senza di essa l'oscurità continua a rimanere tale? Eppure l'aria consiste certo degli stessi spiriti sia che sia notte tenebrosissima che chiarissimo giorno!
6. Una volta tramontato completamente il Sole, gli spiriti vitali-naturali entrano in uno stato di riposo ciascuno individualmente a sé, e siccome riposano in sé e non vibrano dentro i lievi involucri nei quali sono racchiusi, l'occhio della carne non si accorge della loro presenza e della loro esistenza, e la conseguenza tangibile di ciò è che per l'occhio stesso regna la notte più tenebrosa.
7. Tu certamente dici fra te e te che il vento soffia anche di notte, e che quindi gli spiriti vitali-naturali non possono trovarsi in stato di riposo! Se però pensi così, tu sbagli di grosso e dimostri di non avere nessuna idea dello speciale moto che è proprio ad uno spirito naturale. Il vento indubbiamente soffia anche di notte, ed in seguito a ciò anche gli spiriti vitali-naturali sono costretti ad un movimento; sennonché questo non è un movimento individuale del singolo spirito naturale, ma è un movimento generale verso una determinata direzione imposto da un qualche spirito superiore. Quando però, in un qualche punto, uno spirito naturale, ovvero una grande associazione di spiriti naturali i quali sono quelle lingue di fuoco che tu hai visto come tutti gli altri qui presenti, viene indotto ad uno straordinario movimento vibratorio interiore, allora in quel punto si manifestano, percettibili all'occhio, una luce e un chiarore, e questo fenomeno segna il momento dell'afferrarsi e del divenire qualcosa.
8. In un simile momento, però, anche una quantità innumerevole di spiriti vitali-naturali, che si trovano entro un vastissimo raggio, vengono eccitati e fatti vibrare, e così il chiarore si propaga tutt’intorno a grande distanza. Ma quanto più possente è la facoltà vibratorio-attiva della sfera degli spiriti vitali-naturali che funge da eccitatrice degli spiriti che si trovano nelle vicinanze, tanto più intenso si fa il chiarore tutt'intorno, e così una data quantità di spiriti, che si sono afferrati per divenire un qualcosa, viene trascinata ad una simile attività; e la prova più evidente di ciò viene fornita dalla luce del Sole con la sua influenza e con la sua energia creatrice sui corpi mondiali che gli sono sufficientemente vicini.
9. I liberi spiriti naturali-vitali, però, vengono eccitati ad un qualche atto del divenire per effetto della luce solare non soltanto sui pianeti ma anche nel libero spazio dell'etere, perché appunto qui, in seguito ad un simile avvincersi dei liberi spiriti vitali-naturali, sorgono spesso cose delle quali tutta la vostra sapienza non si è nemmeno sognata mai niente.
10. Ora, come tu hai visto che una sola scintilla di luce secondo la forza della luce solare è capace di trasformare immediatamente in un chiarore intenso uno spazio tenebroso immensamente grande, ugualmente avviene che la piccola erba benefica a cui ho accennato prima è capace di trasformare nella bevanda più salutare tutto il grande decotto mortale contenuto nel grande paiolo, e ciò per la ragione che gli spiriti vitali-naturali della minuscola erbetta benefica sono animati da un'attività estremamente intensa nell'ordine giusto e buono, e conseguentemente forzano gli spiriti più pigri e aventi una attività contraria all'ordine, contenuti nella pianta velenosa, ad un’attività ordinata conformemente a quella loro propria.
11. E così stanno le cose anche riguardo all'influsso che un uomo dalla vita veramente perfetta esercita sul prossimo che lo frequenta, e oltre a ciò pure sugli spiriti vitali-naturali ancora liberi che si trovano entro un ampio raggio intorno a lui.
12. Considerati in sé e di per sé, gli individui buoni che vivono secondo il buon ordine certo eserciteranno una buona influenza fra gli altri più o meno buoni, ed i meno buoni troveranno in loro delle erbe veramente benefiche. Se però questi individui in sé e di per sé molto buoni vengono a trovarsi fra altri di carattere del tutto perverso, maligno e depravato, essi finiscono ben presto e facilmente con partecipare alla corruzione di questi ultimi, perché l'energia interiore del loro ordine vitale non può controbilanciare quella maligna degli altri. Se però un uomo è in sé già perfetto, allora senza dubbio egli somiglia alla minuscola pianticella benefica gettata dentro il grande paiolo del decotto velenoso e somiglia pure alla scintilla di luce solare nell'ampio spazio tenebroso.
13. Se tu dunque hai compreso a dovere anche questo, non ti sarà più possibile non comprendere come, in effetti, tutti i mali che tormentano gli uomini su questa Terra non siano affatto da attribuirsi all'Ira e alla Vendetta di Dio, ma unicamente al modo in cui gli uomini vivono, e comprenderai anche come il bene dipenda talvolta da un individuo singolo in sé perfetto.
14. E poiché ora mediante questi ammaestramenti ti ho ricondotto sulla giusta via, voi tutti siete di nuovo liberi di interrogarMi riguardo a quell'eventuale cosa che potrebbe ancora risultarvi oscura per quanto concerne la storia della morte del vecchio Lazzaro! Vedo che uno di voi tiene in serbo ancora una piccola domanda; che egli dica dunque di cosa si tratta!».
Le cause del caldo e del freddo.
1. Dice Mataele: «O Signore! Credo senz'altro di essere io stesso quest’uno! Infatti, io ho davvero ancora in fondo alla mia mente una piccola cosa la quale, nonostante io ci abbia riflettuto molto, non mi riesce di capirla proprio chiaramente!»
2. Dico Io: «Sì, quel tale sei appunto tu; dicci dunque cosa non riesci a capire chiaramente!»
3. E Mataele riprende a parlare e dice: «Mentre io e mio padre, partiti da casa nostra, eravamo in cammino verso Betania in compagnia del giovane Lazzaro, noi assistemmo, come ho narrato, alla grande manifestazione luminosa, ma durante questo fenomeno noi avemmo pure una sensazione molto accentuata di calore; quando invece il fenomeno cessò completamente, allora assieme all'oscurità assoluta subentrò pure un freddo molto sensibile, tanto anzi che io cominciai a sentire i brividi per tutto il corpo. Ora confesso che col mio cervello non riesco a rendermi ragione di un simile abbassamento di temperatura; se dunque a Te, o Signore, fosse gradito, desidererei molto conoscere le cause anche di questo fenomeno!»
4. Dico Io: «Ebbene, le cause sono quanto mai evidenti! Se tu prendi in mano due pezzi di legno e li strofini energicamente l'uno contro l'altro, essi si riscalderanno e finiranno col prendere addirittura fuoco e a bruciare facendo una grande fiamma. Perché succede questo? Perché gli spiriti vitali-naturali che si trovano nel legno e nelle cellule del suo organismo vengono destati ed eccitati con eccessiva violenza dalla loro quiete muta ed ottusa, allora iniziano immediatamente, ciascuno per sé, a vibrare fortemente manifestandosi già come luce e fuoco, irritando con ciò a loro volta gli spiriti ancora più pigri che sono loro vicini, in modo che infine tutti gli spiriti vitali-naturali sono trascinati ad un’intensa attività vibratoria o, in parole ancora più chiare, prendono fuoco. Finito il loro stato di eccitazione, ovvero l'atto del bruciare, tutta la massa interessata degli spiriti vitali-naturali ben presto si calma e si raffredda; quanto più alto è il grado dell’eccitazione provocata, tanto più rapidamente poi si manifesta la spossatezza fra gli spiriti naturali, e con la spossatezza giunge la quiete e conseguentemente il freddo.
5. Un pezzo di legno, per quanto ardente, oppure un carbone acceso anche al massimo possibile, non sviluppa mai tanto calore quanto un pezzo di metallo rovente; la ragione del fenomeno va ricercata nel fatto che gli spiriti naturali nel metallo sono capaci di una eccitazione vibratoria maggiore che non quelli del legno. Ma quando tanto il carbone quanto il metallo si raffreddano ad una temperatura ugualmente bassa, il metallo perderà il suo calore più rapidamente del carbone, e quando sarà completamente raffreddato, darà al tatto una sensazione considerevolmente maggiore di freddo che non il carbone pure perfettamente raffreddato.
6. Quando in una giornata estiva l'aria si riscalda fortemente e il respiro diventa affannoso, è segno che gli spiriti vitali-naturali cominciano ad eccitarsi, ed è appunto tale accentuato stato di eccitazione che genera il calore e l'oppressione sempre crescente. Se questi aumentano ancora di più, ciò è dovuto al fatto che tali spiriti iniziano a stringersi più strettamente l'uno all'altro, ed essi ben presto si rendono visibili agli occhi del corpo sotto forma di nebbie e di nubi.
7. Come poi, in simili occasioni, le nubi si addensino sempre più a voi è già noto, come pure che la cosa finisca con violente scariche elettriche, pioggia a dirotto e non di rado anche con qualche grandinata, tutte cose queste che si verificano ad opera degli spiriti della pace che voi già conoscete.
8. Però, nell'occasione di temporali di questa specie, quanto più violento si manifesta il fenomeno delle folgori col loro accecante bagliore, tanto più fredda si fa poi l'aria; tutto ciò è una conseguenza del subentrare della calma fra gli spiriti naturali eccitati, calma che certo non è volontaria, ma viene loro imposta dai possenti spiriti della pace. Ed ecco, nello stesso modo e per le stesse ragioni accade che quando il grande fenomeno luminoso, a cui tu hai assistito, scomparve, la temperatura si abbassò e si fece addirittura rigida. Ti è adesso chiara anche questa cosa?»
9. E Mataele risponde: «Signore, io Ti ringrazio per la spiegazione che mi hai dato; ormai ci vedo chiaro anche su questo punto».
La caduta mortale del ragazzo curioso.
1. Dico Io: «Dunque, visto che è così, bisogna che adesso ci racconti il caso di quel ragazzo caduto giù da un albero e che subito dopo morì, e contemporaneamente anche l'altro caso di un adulto che si gettò volontariamente nell'acqua e annegò, commettendo così un suicidio. Vedi però di essere conciso, soffermandoti soltanto sui momenti principali»
2. Mataele allora riprende subito a parlare e dice: «Dovrò fare un po’ appello alla vostra pazienza, perché io vorrei esporre i due casi in una volta sola e quindi devo coordinare alquanto le mie idee»
3. Gli dico Io: «Fa pure così; comunque Io ti suggerirò il modo e la maniera di come narrare e perciò la cosa andrà bene anche senza una preparazione»
4. E inteso questo, Mataele esclama: «Ah, se è così, certo non avrò bisogno di prepararmi a lungo; quindi comincerò senz'altro a raccontare, per quanto sarà possibile conformemente a verità, i due avvenimenti che mi sono rimasti impressi benissimo nella memoria!»
5. Dicono allora tutti ad alta voce: «O Mataele, nobile viceré dei popoli che dimorano nel vasto Ponto fino al Mar Caspio, noi tutti ci rallegriamo già in anticipo in modo particolare del racconto che ci farai, perché nel raccontare tu sei davvero un maestro insuperabile!»
6. Risponde Mataele: «Per raccontare ci vuole anzitutto un po' di conoscenza della lingua che si usa e un grande amore per la verità; chi espone dei fatti veri ha sempre un vantaggio rispetto a chi racconta delle favole! Tuttavia, comunque sia, quello che dovrò narrarvi per desiderio del Signore consiste in una storia toccata a me, simile a molte altre accadutemi quasi dal tempo della nascita fino al mio ventesimo anno; ed io ve la esporrò con la mia bocca tale quale si è verificata quando avevo diciassette anni: io ne fui testimone mentre mi trovavo a fianco di mio padre che mi accompagnava sempre e che mediante le mie visioni aveva già ottenuto molta sapienza. Ecco dunque le due storie.
7. Era il tempo della purificazione generale degli ebrei, quando cioè, come è noto, alla riva del Giordano secondo l'usanza viene sgozzato ed offerto come riscatto per i peccati di tutti gli ebrei il capro espiatorio, il caprone, che finisce poi col venire gettato in quel benedetto fiume fra un tumultuoso vociare e fra giaculatorie, preghiere sempre uguali e maledizioni. L'aggiungere una sola parola a questo riguardo significherebbe volersi perdere in vane ed inutili chiacchiere, dato che questo genere di cerimonie è conosciuto anche fin troppo bene ad ogni israelita di qualunque condizione.
8. Meno nota però dovrebbe essere la circostanza che quella volta alla festa del sacrificio del capro espiatorio era convenuta una considerevole massa di popolo, dove greci, romani, egiziani e persiani vi erano abbondantemente rappresentati. In poche parole non mancavano i curiosi!
9. Ma che in quella occasione non mancassero anche i ragazzi curiosi di vedere qualcosa dello spettacolo, è cosa che non vi sarà difficile comprendere. Come del resto non stenterete a credere che, dato che potevano vedere poco perché stavano dietro a gente adulta più grande di loro, i ragazzi fossero spinti dalla curiosità ad arrampicarsi sugli alberi vicini. Non passò molto tempo che gli alberi ospitali finirono con l'essere troppo pochi per i molti ragazzi, fra i quali non tardarono a scoppiare i soliti litigi per il buon posto sui rami. Essi vennero certo ammoniti più di una volta a starsene quieti, però in generale questi ammonimenti, fatti con buona intenzione, giovarono ben poco o nulla affatto.
10. Io e mio padre eravamo in groppa ai nostri cammelli che un persiano ci aveva donati, perché mio padre lo aveva guarito da una grave malattia; si trattava proprio di due veri cammelli che sono molto più comodi dei dromedari per starci sopra. Noi potevamo dunque assistere a nostro agio a quanto andava svolgendosi intorno. Non lontano dal punto dove ci trovavamo noi, si innalzava un bellissimo cipresso molto alto, sui rami del quale, già per loro natura non troppo robusti, stavano litigando tre ragazzi. Ciascuno cercava di affidare il proprio peso al ramo che appariva più resistente fra tutti.
11. Siccome però quell'albero già alquanto vecchio non aveva veramente più che due soli rami ancora capaci di offrire sicuro appoggio ad un corpo umano, sia pure quello di un fanciullo, così i tre litigavano per il possesso dei due rami più robusti, e il terzo, per conseguenza, fu costretto ad accontentarsi di quello che era più un rametto che un ramo. Ad un'altezza dunque sempre di buone cinque altezze d'uomo il terzo ragazzo se ne stava accovacciato su quello che propriamente non si sarebbe potuto chiamare un ramo.
12. La cosa andò avanti tranquillamente per circa un'ora, fino a quando, in direzione verso mezzogiorno, si levò un vento abbastanza forte che incominciò a piegare la cima del nostro cipresso in maniera molto inquietante e a cacciare il fumo denso che si sollevava dall'altare dei sacrifici proprio in faccia a quei tre ragazzi, i quali avevano un bel da fare per tenere gli occhi chiusi per non dovere così spargere inutilmente un vero torrente di lacrime.
13. In una situazione così pericolosa, io stavo osservando il ragazzo accovacciato sul suo debole ramo. E quando il fumo tanto denso che, per così dire, si sarebbe potuto pesarlo sulla bilancia, lo investì in pieno in faccia, io scorsi d'improvviso due grossi pipistrelli volteggiare intorno al suo capo. Essi avevano la grandezza di due colombi adulti e andavano cacciando ancora più fumo in faccia al poveretto!
14. Io feci notare la cosa a mio padre, e lo avvertii che senza dubbio quanto prima sarebbe accaduto qualcosa di spiacevole. Io gli dissi anche tutto ciò che vedevo e come i due pipistrelli non mi apparissero affatto naturali per il fatto che ora si facevano più grandi, ora più piccoli.
15. Mio padre allora diresse il cammello, sul quale era montato, verso il cipresso ed esortò quel ragazzo a scendere immediatamente dall'albero, altrimenti gli sarebbe capitata qualche disgrazia. Se il ragazzo avesse udito o no le parole pronunciate a voce abbastanza alta da mio padre, non saprei davvero dirlo, perché io ero sempre intento ad osservare la scena che non era ancora cambiata, e vedevo come il ragazzo accovacciato su quel ramo sospetto si strofinava sempre più gli occhi per liberarli dal fumo denso che doveva averlo mezzo accecato.
16. Ma siccome mio padre si accorse che le sue parole esortatrici non avevano avuto alcun risultato, si allontanò nuovamente dall'albero sospetto, ritornò vicino a me e mi domandò se avessi ancora la visione. Io gli risposi che continuavo ad averla e che questa era la verità assoluta, e riaffermai che il ragazzo sarebbe andato inevitabilmente incontro a una disgrazia se non fosse sceso al più presto giù dall'albero! E mio padre disse: “Mah, figlio mio, che cosa possiamo fare? Qui non abbiamo a disposizione una scala! Non ci resta dunque altro che aspettare e vedere ciò che Dio, il Signore, farà venire su questo ragazzo disobbediente”.
17. Mio padre aveva a mala pena finito di pronunciare queste parole che il ramo, debole già di per sé, continuamente scosso su e giù e a destra e sinistra a causa dell'agitarsi del ragazzo, si ruppe, e il ragazzo, naturalmente, privo ormai di ogni appoggio, precipitò da buone cinque altezze d'uomo all'ingiù e andò a sbattere con violenza il capo su una pietra che si trovava proprio sotto l'albero, sfracellandosi il cranio e restando così morto sul colpo.
18. Avvenuta la sciagura, si levò un gran clamore fra il popolo, e tutti accorsero precipitosamente. Ma a che cosa avrebbe potuto giovare ora che il ragazzo era definitivamente morto? I soldati romani dispersero infine l'assembramento, e mio padre, che era conosciuto da tutti, venne subito invitato ad esaminare il ragazzo per constatare se egli fosse veramente morto, o se si sarebbe forse potuto fare, con speranza di successo, qualche tentativo per rianimarlo! E mio padre, toccato il capo schiacciato e la nuca del ragazzo, rispose: “Qui non c'è più erba od unguento che valga! Questo ragazzo non è morto una volta, ma due volte, e per questo mondo non rivivrà mai più!”».
Le apparizioni spirituali durante la disgrazia.
Il suicidio dell’esseno maledetto dal Tempio.
1. (Mataele:) «Contemporaneamente però mio padre mi chiese se io scorgessi ancora qualcosa di speciale nel ragazzo!
2. Io allora gli risposi in lingua greca e gli dissi: “Quei due grandi pipistrelli si sono raccolti sulla bocca del suo stomaco e sembra che si stiano fondendo, per così dire, assieme assumendo la forma di una scimmia dall'aspetto molto turbato e si sforzano di staccarsi dal corpo; tuttavia sembrano ancora attratti con tanta energia da quest’ultimo e che non riescono per il momento a liberarsene del tutto. Ma quanto più si affaticano, tanto più si unificano, ed ecco, appunto adesso, come essere fluido, si sono completamente separati dal corpo, e il nuovo essere ora si accascia sul corpo, ora vi saltella intorno come se cercasse qualcosa”.
3. “Non si tratterà dell'anima del ragazzo?”, domandò mio padre.
4. Ed io: “Mah, io stesso non saprei dirlo proprio affatto! Ma che sia vero che un simile fanciullo negligente non abbia proprio sul serio un'anima migliore? Adesso questa strana creatura si è accovacciata vicino al capo schiacciato ed ancora sanguinante e fa cenno come di voler leccare il sangue che cola fuori dall'ampia ferita. Tuttavia sembra che non le riesca di cavarne niente, e tutto si limita al vapore lieve e a mala pena visibile che emana dal sangue e che essa pare stia assorbendo; in questo modo il suo aspetto si sta facendo un po’ più umano. Ma ecco che ora vengono dei portatori incaricati molto probabilmente di allontanare il cadavere da qui. Sono curioso di vedere se questa specie di scimmia si muoverà essa pure contemporaneamente!”.
5. In quel momento arrivarono quattro portatori con una pertica abbastanza lunga, vi legarono su il cadavere con delle tele di lino, lo sollevarono e lo portarono via di là.
6. Ma quell'essere rimase e guardò intorno a sé come qualcuno che guardi smarrito in un immenso vuoto senza trovare una cosa su cui posare l'occhio. Noi uomini di carne sembravamo invisibili per lui. Però di lì a poco egli si accasciò sul posto dove il ragazzo era precipitato dall'albero e diede a vedere come se si disponesse ad addormentarsi. “Ma questa deve essere proprio sul serio l'anima del ragazzo!”, così pensai io.
7. Disse allora mio padre: “Per fortuna adesso sta per finire tutta la storia del sacrificio del caprone; avremo ancora la sentenza contro coloro che, per essere peccatori troppo grandi e induriti, sono esclusi da questo atto generale di purificazione; poi sarà tutto terminato! Come ogni altro anno: sempre la stessa vuota cerimonia priva di significato, di utilità e di benedizione almeno per me, e del resto credo anche per ciascun altro!”.
8. Dopo di che mio padre tacque, e ascoltò le sentenze, restando non poco irritato quando fu scagliata la maledizione anzitutto contro i poveri samaritani, e subito dopo contro tutti i pagani, gli esseni, i sadducei, quindi, così di sfuggita, contro gli incestuosi, i fratricidi, i parricidi, i matricidi, i colpevoli di bestialità e gli adulteri impenitenti, ed infine una maledizione ancora più atroce contro i traditori del Tempio e del suo santuario.
9. Dopo tutta questa cerimonia, per niente edificante, durante la quale ad ogni maledizione proferita la veste del sommo sacerdote aveva dovuto subire un poderoso strappo, tutti fecero ritorno in città. Soltanto un uomo, il cui animo era stato scosso un po’ più del necessario da quelle sentenze della maledizione che sicuramente non erano animate dalle migliori intenzioni, rimase fermo nei pressi di un piccolo stagno poco lontano da dove ci trovavamo noi e che in realtà era un bacino ancora molto profondo formato in origine dal Giordano, del quale qualche pazzo favoleggiava che in quel buco dell’ampiezza di cento altezze d'uomo si fossero un giorno inabissate le acque del diluvio di tutta la Terra, impiegando per scomparire completamente un anno e qualche giorno. Che quel bacino sia molto profondo, non si può negare, ma proprio senza fondo non sarà neppure esso.
10. A mio padre sembrò alquanto sospetto il fatto che quell'uomo col capo chino fissasse, con lo sguardo immobile e come smarrito, intensamente l'acqua scura dello stagno standosene sulla rupe a strapiombo che lo dominava! Egli perciò mi domandò se forse io vedessi intorno a quell'uomo o sopra di lui qualcosa di insolito.
11. Ed io gli risposi, come anche era perfettamente vero: “Io non posso scoprire proprio nulla; tuttavia non posso negare che tutta la sua persona non mi fa assolutamente una buona impressione! Io sono del parere che qui non si farebbe una previsione sbagliata asserendo che quello lì andrà quanto prima a constatare con il suo proprio corpo quanto sia veramente profondo lo stagno che sta guardando”.
12. Io ripeto con assoluta precisione le parole da me pronunciate quella volta, quantunque mio padre non udisse mai volentieri che io, trattandosi di situazioni anche molto serie, fossi portato a buttarla un po’ sullo scherzo, cosa per la quale io avevo uno spiccato talento. Perciò, o Signore, spero che Tu in questa occasione sia indulgente con me se ora mi servo appunto di quelle stesse parole da me usate allora!"
13. Ed Io gli dico: "Va bene così come tu parli, perché sono Io che così voglio, e sono Io stesso che ti pongo in bocca le parole! Continua dunque pure il tuo racconto; tutti ti ascoltano con la massima attenzione"
14. Allora Mataele riprese il suo racconto dicendo: "Io avevo appena pronunciato l'ultima parola che quell’uomo levò in alto le mani e disse ad alta voce: “Il sommo sacerdote mi ha maledetto perché io mi feci esseno ed abbandonai il Tempio per imparare un'altra sapienza migliore che però non ho trovato come non l'avevo trovata nel Tempio a Gerusalemme; io allora, pentito, feci ritorno al Tempio e là pregai e sacrificai, sennonché il sommo sacerdote respinse la mia offerta, mi tacciò di perfidissimo profanatore del Tempio e mi maledisse per l'eternità lacerandosi sette volte la veste! Oggi, in occasione della grande purificazione, io avevo sperato che la maledizione da lui pronunciata sarebbe stata mitigata! Ma la mia attesa fu vana! Egli non ha fatto che aggravare di più ancora la vecchia maledizione, rendendomi definitivamente maledetto al cospetto di Dio e degli uomini! Maledetto devo essere! Dunque che io sia maledetto!”. E dopo queste parole gridate con voce da disperato egli si precipitò dalla rupe giù nello stagno e vi annegò».
L'anima del suicida e quella di suo figlio nell’aldilà.
1. (Mataele:) «Non passò molto tempo che io vidi galleggiare sulla superficie dell'acqua qualcosa come uno scheletro umano di colore grigio, accompagnato da certe anatre nere dall'aspetto assai strano. Ce ne saranno state all'incirca una decina. Soltanto i piedi, ed anche questi appena giù dai malleoli, erano malamente forniti di un po' di carne; tutto il resto non era che ossa nude senza carne e senza pelle, ciò che mi sorprese moltissimo. Da principio lo scheletro galleggiante era disteso sull'acqua, con la faccia all'insù; però, dopo forse mezz'ora, esso girò su se stesso, cominciò a muovere le mani e i piedi come un provetto nuotatore e sembrò voler provare a cacciare via da sé le anatre nere, ma queste erano ostinate e non volevano assolutamente lasciare quel nuotatore dall'aspetto quanto mai sinistro.
2. Questa manovra da parte di quella enigmatica forma durò un'ora buona in tutte le direzioni sulla superficie dello stagno, e un paio di volte lo scheletro andò a fondo, ma poi ritornò di nuovo a galla. Io pensavo che quella forma mostruosa fosse qualche animale acquatico, e cercavo la conferma da mio padre, ma lui non riusciva a scorgere niente per quanto cercasse di sforzare la sua vista acutissima, e perciò io dovetti naturalmente convincermi che lo scheletro che nuotava nello stagno era qualcosa di innaturale, dunque di animico e di spirituale. Dopo un'ora esso ritornò tranquillo, mentre le anatre nere si comportavano come se stessero strappando allo scheletro qualche brandello di carne ancora appiccicato.
3. Considerato che là non c'era più niente di particolare da osservare, noi facemmo di nuovo attenzione alla nostra scimmia, che appunto allora aveva cominciato a rizzarsi e a tentare di mettersi sulle zampe posteriori e di camminare alla meno peggio. Ma a camminare non se la cavava affatto bene. Ad ogni quinto passo quell'essere ricadeva con le zampe anteriori a terra; tuttavia ogni volta si risollevava rapidamente guardando sempre tutto intorno a sé, in maniera che, dal modo in cui volgeva ansiosamente gli occhi intorno, si doveva concludere che o quell'essere avesse timore di qualcosa o che sentisse una fame prepotente che lo spingeva a cercare un cibo ad esso confacente. Continuando in tali suoi tentativi di camminare e di stare in piedi, esso giunse fino a quel tetro stagno, e là scoprì ben presto lo scheletro che aveva ripreso di nuovo a spingersi di qua e di là sempre in compagnia di quelle anatre funeree.
4. Quando la scimmia, anzi, di sicuro l'anima del nostro ragazzo a cui accadde la disgrazia, si fu accorta della presenza dello scheletro, emise un sibilo violento di dolore e stette ad osservarlo con grandissima attenzione; dopo qualche tempo, mezz'ora forse, si mise perfettamente diritta come un essere umano, ed io udii in maniera distinta come un bisbiglio dalle sue labbra, e le sue parole furono le seguenti: “Questo fu il padre sciagurato del mio pessimo corpo! Guai a lui e a me perché l'Ira e il Giudizio di Jehova ci ha raggiunti ambedue; in quanto a me, potrà forse in qualche modo venirmi dato aiuto, ma come si potrà dare aiuto a lui?”.
5. A questo punto la scimmia si interruppe mostrando una faccia molto triste, mentre nello stagno le anatre nere si rincorrevano e si spingevano intorno allo scheletro che non dava più che pochi segni di vita. La cosa andò avanti in questo modo un'altra buona mezz'ora; in questo tempo quasi tutta la gente si era ormai allontanata, ad eccezione di pochi romani e greci, i quali però erano impegnati a discutere di grossi affari e non badavano affatto alle nostre tacite osservazioni.
6. Mio padre mi domandò allora se io scorgessi qualcosa di nuovo, ed io risposi negativamente dicendo molto laconicamente: “Finora di nuovo non vedo proprio niente”.
7. E mio padre allora accennò all'opportunità di andarsene, dicendo che quanto poteva esservi di notevole noi lo avevamo già visto e che avrebbe potuto interessarci ben poco quello che Jehova avesse disposto ulteriormente riguardo alle due anime!
8. Io però gli dissi: “O padre mio! Noi abbiamo impiegato circa tre ore ad osservare queste due anime, e in fondo non ne abbiamo ricavato altro che la dolorosa e tacita scena svoltasi dinanzi ai miei occhi; dedichiamo loro perciò ancora un'ora, e chissà che alla fine non ne venga fuori qualcosa di veramente interessante!”. Mio padre si dichiarò perfettamente d'accordo con la mia proposta, e noi restammo. E infatti, dopo pochi istanti da questo scambio di idee, l'avventura cominciò all'improvviso ad assumere un altro aspetto.
9. La scimmia si rizzò improvvisamente come invasa da furore, spiccò un balzo sulla superficie dell'acqua e là cominciò a dare la caccia a quelle anatre sinistre, e guai a quelle che le cadevano tra le mani! In un istante erano ridotte in mille pezzetti; essa riuscì così a distruggerle tutte, tranne cinque che riuscirono a fuggire.
10. E quando le anatre malvagie furono così scomparse, la scimmia sollevò lo scheletro fuori dall'acqua, ed io vidi chiaramente come essa lo depose su un bellissimo prato a circa cinque passi dalla sponda dello stagno, e quando l'ebbe deposto, disse: “O padre, nella tua grande miseria, senti la mia voce? Senti le mie parole?”. Allora lo scheletro che stava eretto sul busto, con un cenno del suo capo che era davvero un teschio di morto, fece capire chiaramente che udiva e che certamente anche capiva le parole del figlio.
11. E la scimmia, che andava visibilmente acquistando forma più umana, si levò come se una grande energia si fosse trasfusa in essa, ed esclamò con voce che arrivò molto bene al mio orecchio: “O padre mio! Se c'è un Dio, questo non può essere che buono e giusto! Questo Dio non maledice nessuno. Infatti, se l'uomo è un'opera di questo Dio, questa non può essere una cosa raffazzonata, ma un capolavoro. Se vi fosse un artefice capace sul serio di maledire la propria opera, egli si collocherebbe al di sotto del peggiore raffazzonatore, poiché perfino questo non condanna la sua opera mal riuscita, ma ci trova sempre qualcosa di buono, e Dio, che è il grande Maestro di tutti gli artefici, dovrebbe forse proprio Lui maledire le Sue opere?
12. La maledizione e la condanna sono invenzioni degli uomini quali conseguenze della cecità e dell'ignoranza della natura umana. Gli errori di un essere che sta diventando uomo, sono altrettante prove di come l’uomo, che deve diventare indipendente, deve usare la sua libera volontà e l'operare dell'uomo è un esercizio del libero arbitrio tanto nella sfera del riconoscimento quanto in quella della libera volontà entro i limiti di un determinato Ordine, il quale, attraverso tutte le infinite serie delle grandi creazioni del solo sapiente Creatore, deve essere stabilito in modo che soltanto in esso sia e possa essere concepibile, nel tempo e nell'eternità, un'esistenza degli esseri.
13. La maledizione degli uomini è un cattivo prodotto del loro lato tenebroso; con ciò essi rovinano se stessi e il loro prossimo, e finiscono col far precipitare intere popolazioni nella massima miseria e desolazione e col farle cadere vittime della disperazione! Tu, o mio povero padre terreno, fosti ucciso dalla decupla maledizione del sommo sacerdote, quantunque al cospetto di Dio tu non ti sia reso degno di alcuna maledizione! Nella tua immensa disperazione ti togliesti da solo la vita temporanea del tuo corpo, ed ora sei qui misero, quale un parto tristissimo dell'orgoglio esclusivamente umano che induce a ritenere se stessi degli dèi. Io però certo ho ottenuto grazia da Dio e tanto discernimento e forza da poter allontanare da te la decupla maledizione del sacerdote che ti tormentava sotto forma di neri uccelli acquatici, ed ormai tu ne sei liberato e ti trovi all'asciutto. Ma adesso io farò tutto il possibile per aiutarti in questo tuo grande bisogno e miseria, per quanto me lo concederà la forza della mia vita”.
14. Mentre parlava così, l'uomo-scimmia di prima era andato acquistando sempre di più un aspetto veramente umano, e quando ebbe terminato il suo discorso che ho appena narrato, la figura umana si trovò perfettamente completa ed anzi bella nelle sue linee generali, ed apparve vestita di un'ampia veste grigio chiara che sembrò come fosse stata prodotta fuori dall'aria. Accanto ad essa giaceva però a terra ancora qualcosa avvolto in un panno; la scimmia di prima, ormai diventata un bellissimo ragazzo, sciolse allora l'involto, ne levò fuori una camicia lunga, però di colore grigio scuro, ed esclamò: “Ah, questa è una veste per te, lascia dunque che te la metta addosso!”.
15. L'uomo-scheletro fece un cenno d'approvazione col capo, e il ragazzo gli mise immediatamente la camicia addosso, e col panno, che era di colore un po' più chiaro, gli fasciò la fronte alla maniera di un turbante, in modo che lo scheletro venne ad acquistare un aspetto migliore. Il ragazzo poi prese coraggiosamente il vecchio sotto le braccia e tentò di metterlo in piedi; tuttavia la cosa non gli riuscì.
16. Dopo vari e vani tentativi, il ragazzo che appariva già grande quanto un giovinetto invocò con voce alta e penetrante al punto che perfino mio padre ammise di averla udita, seppure come un suono inarticolato, dicendo: “O Jehova, se Tu esisti in qualche luogo, oh, manda aiuto a me e al mio misero padre! Egli non ha peccato, ma il peccato è di coloro che, essendo uomini, si arrogano un carattere divino per trarne in tal modo tanti maggiori onori e profitti dal mondo; è questo che lo ha totalmente schiacciato come una pietra precipitata giù dalle nuvole, ed ora egli giace qui come un'anima misera condannata dal mondo; oh, ma essa deve forse per questo essere e restare maledetta in eterno anche da parte Tua? Oh, donale almeno un’epidermide per ricoprirsi le ossa! Perché la vista dell’orrenda nudità del mio povero padre mi fa sentire troppa pietà! Aiutaci, o Jehova, aiutaci!”.
17. A questa invocazione, due possenti spiriti apparvero subito e toccarono lo scheletro nella zona delle tempie. Immediatamente gli fu restituita l'epidermide, un po’ di capelli e - a quanto ci sembrò - anche gli occhi, quantunque profondamente infossati. Però nessuno dei due spiriti disse nemmeno una parola e, dopo aver compiuto tale atto, essi scomparvero immediatamente.
18. Dopo di ciò il ragazzo, che ormai appariva perfettamente rincuorato e lieto, rinnovò il suo tentativo di rimettere in piedi l'uomo-scheletro; e infatti questa volta egli riuscì nel suo intento. E quando il vecchio si trovò così rizzato sulla persona, il giovane gli domandò se fosse in grado di camminare. E poiché il vecchio rispose con voce quanto mai stridente e cavernosa in senso affermativo, il giovane lo afferrò subito sotto le ascelle, ed ambedue si mossero dirigendosi verso mezzogiorno, rendendosi ben presto invisibili anche a me».
La spiegazione del Signore sulle condizioni delle anime
del padre suicida e di suo figlio nell’aldilà.
1. (Mataele:) «Ecco questi sono i due fatti ai quali ho assistito. Cosa sia ulteriormente successo dei due nel regno degli spiriti, non lo so certo; così, nonostante le Tue spiegazioni di prima, non riesco ancora a comprendere affatto cosa significhino veramente i due pipistrelli da me visti intorno al ragazzo caduto dall'albero, che poi si fusero in una figura di scimmia, nonché come e perché l'anima del suicida mi sia alla fine apparsa come un nudo scheletro galleggiante sull'acqua quasi senza alcuna vitalità. Da dove saltarono fuori le dieci anatre nere, e perché tormentavano quello scheletro? Come mai l'anima del ragazzo, sempre ancora in forma di scimmia, poté affermarsi vittoriosa su quei dieci perfidi uccellacci? Che significato possono avere le vesti, da dove vennero e che effetto esercitarono, secondo la loro specie, sulle due anime l'una differente dall'altra?
2. Senza dubbio, a queste considerazioni ci sarebbero ancora varie altre cose riguardo alle quali molte domande si potrebbero fare, ma a me appaiono anzitutto importanti i punti che ho appena citato, i quali, essendo ancora oscuri per me, necessiterebbero di una opportunissima e benevola spiegazione. Se qualcun altro di noi desiderasse eventualmente un altro chiarimento ancora riguardo a qualche fatto secondario, gli sarà lecito esprimerlo?»
3. Dice Cirenio: «O amico! Questi tuoi racconti hanno fatto in me un’impressione ben strana! La vita umana mi appare come un fiume dalle acque placidissime e innocue che scorrono su un altopiano; sennonché al termine dell’altopiano, il fiume prima così tranquillo si precipita inesorabilmente come in un abisso di cui non si vede la fine e con spaventoso fragore si scava un letto a profondità paurose, ma non per riposarvi in esso, anzi la violenza della sua propria caduta lo spinge continuamente fuori dal suo letto di riposo con potenza irrefrenabile, ed esso deve sempre fuggire e fuggire fino ad essere inghiottito dalla tremenda potenza e dalle incommensurabili profondità del mare!
4. O Signore! Chiariscici dunque a nostra consolazione simili momenti così terribilmente seri della vita, che sotto altri aspetti è così bella! Consideriamo ad esempio quell'uomo che, secondo il racconto del fratello Mataele, si gettò nello stagno che io conosco molto bene per mettere disperatamente fine alla propria vita. Quale orribile trasformazione è avvenuta già subito dopo l'atto suicida! Un po' più tardi sembra sì che si sia verificato una specie di miglioramento, ma anche questo appare ben magro! Quante incertezze e quanta miseria! Oh, dacci Tu dunque in grazia, o Signore e Maestro, una spiegazione riguardo all'intera visione avuta dal fratello Mataele e da lui narrataci con la massima fedeltà e in tutta la sua raccapricciante crudezza!»
5. Dico Io: «Certamente, qui noi ci troviamo a dover considerare due momenti della vita orribilmente tristi, i quali davvero rivestono il carattere della più tremenda serietà. Ma che cosa vuoi fare per salvare dal dissolvimento e dalla rovina completa una vita totalmente guastata dall'influenza del mondo e delle sue diaboliche brame e per guidarla gradualmente sul buon sentiero? Non deve una simile vita venire afferrata con tutta la serietà possibile?
6. È certamente vero e non si può affatto negare che questo momento dell'energico afferrare non abbia in sé qualcosa di supremamente ripugnante per chi vi assiste. Infatti, il passaggio attraverso una strettissima porticina non è certo così piacevole a vedersi come lo è il viso di una sposa fiorente di salute; sennonché tale porticina introduce alla vita il vero e proprio uomo, anzi lo introduce nella vita vera e indistruttibile per l’eternità! E per questa ragione alla fin fine anche un simile momento quanto mai serio della vita è, per chi lo comprende, sempre ancora più consolante che non il ridente viso primaverile di una vergine sposa. Ora però noi passeremo a chiarire un po’ quanto abbiamo udito raccontare da Mataele.
7. Nel caso del ragazzo, Mataele vide svolazzare intorno a lui due grandi pipistrelli già prima che egli cadesse dall'albero e rimanesse morto sul colpo. È da notarsi anzitutto che il ragazzo era un discendente esclusivamente di questa Terra. Ora, come voi spesso già aveste occasione di sentire e di ben comprendere dalle spiegazioni da Me datevi, i figli esclusivamente di questa Terra sono composti, per quanto concerne l'anima ed anche il corpo, da elementi tratti dal complesso della creazione organica sulla Terra stessa; di ciò fornisce la prova la grandiosa varietà del nutrimento del corpo che un uomo assimila, mentre l'animale è quanto mai limitato nella scelta del proprio cibo. Ma affinché l'uomo possa fornire a tutte le particelle d'intelligenza di cui è composta la sua anima un corrispondente nutrimento animico tratto dalle sostanze nutrienti naturali da lui ingerite, egli è appunto per ciò capace di ingerire degli elementi nutrienti così svariati fuori dal regno animale, vegetale e anche minerale, poiché la forma corporea sostanziale dell'anima viene nutrita ed avviata alla maturazione mediante il nutrimento materiale ingerito, così come la forma del corpo di carne.
8. Resta poi da vedere ancora fuori da quale sfera precedente di creature, nella progressione ascendente, tragga origine l'anima di un uomo che è esclusivamente di questo mondo! Quindi, in secondo luogo, particolarmente nel caso di fanciulli, non va trascurata la circostanza che la loro anima porta sempre in sé tracce di quella classe di creature che costituiscono il gradino immediatamente precedente al gradino della forma umana assunta da detta anima. Se un fanciullo viene educato già da principio secondo le buone norme, il tipo della creatura precedente trapassa ben presto completamente nella forma umana e vi si fonde sempre di più; ma se l'educazione viene molto trascurata in un fanciullo, nella sua anima incomincia allora sempre più a predominare il tipo della creatura precedente che finisce con l'imporsi gradatamente perfino alla forma del corpo solida-materiale, in modo che, trovandosi di fronte a qualche essere umano ben rozzo, non è difficile riconoscere con la massima certezza quale sia la forma preponderante della sua anima.
9. Se Io dunque dissi prima che il ragazzo di cui si parla era, dal punto di vista dell'anima e del corpo, un discendente esclusivamente di questa Terra, considerata la sua trascuratissima educazione, non avete difficoltà a rendervi conto del perché già da principio e prima ancora che cadesse dall'albero, la sua anima si fosse resa visibile immediatamente sotto forma di due pipistrelli, quando cioè egli, in parte per effetto degli sforzi fatti per tenersi fermo sul ramo e in parte perché si sentiva soffocare dal denso fumo, cadde in uno stato come di svenimento convulsivo che contribuì bensì a tenerlo per un certo tempo afferrato al ramo, ma che gli aveva tolto contemporaneamente qualsiasi facoltà di conoscenza.
10. Infatti, finché l'anima, al momento della morte, non viene totalmente staccata dal corpo, rimane del tutto incosciente in seguito allo stato di turbamento angoscioso in cui si trova. Di essa avviene cioè come avverrebbe di qualcuno che fosse solidamente legato all'albero di un tornio con la faccia verso l’esterno, e che l'albero venisse fatto girare con velocità vertiginosa; in tali condizioni l'individuo può guardare dove vuole, ma non arriva a distinguere alcun oggetto, e tutt'al più vedrà intorno a sé un cerchio nebuloso di colore smorto il quale, nel caso di aumentata velocità del moto rotatorio e del conseguente accentuarsi dell’instabilità degli organi visivi, può trasformarsi nell'oscurità completa.
11. Ma come l'organo della vista deve trovarsi in un certo stato di quiete per poter vedere un oggetto per quello che è, così pure l'anima ha bisogno di una certa quiete interiore allo scopo di pervenire ad una precisa e chiara coscienza di se stessa; quanto più l'anima viene turbata in se stessa, tanto più svanisce anche la chiara coscienza di se stessa, e qualora essa venga a trovarsi nello stato della massima inquietudine, allora di se stessa essa non serba più quasi nessuna coscienza finché la tranquillità non sia ritornata in lei. E tale momento subentra nei moribondi in maniera tanto più notevole quanto più basso è il gradino di sviluppo della vita sul quale l’anima si trova. Però quando si tratta di un'anima che ha raggiunto la perfezione della vita, allora certo un simile momento piuttosto triste non si manifesta affatto, come appunto Mataele ha potuto benissimo constatare quando morì il vecchio Lazzaro, la cui anima non tradì il benché minimo turbamento.
12. Invece il ragazzo sull'albero era già da un quarto d'ora corporalmente quasi del tutto morto e non sapeva più niente di sé; la sua anima come il suo corpo erano immersi nell'oscurità più assoluta; ed un'anima, quand'è oppressa da un’inquietudine troppo grave, comincia ordinatamente a scomporsi nelle creature precedenti, più piccole e meno perfette del tipo pre-umano; ciò spiega il perché nel nostro caso si fossero resi anzitutto visibili due pipistrelli. Solo dopo che il corpo del ragazzo, in seguito allo schiacciamento del cranio, si trovò sciolto da ogni legame con la propria anima, allora ben presto nell'anima scomposta si fece maggior quiete, le due forme animiche precedenti si riafferrarono e subito dopo si rese visibile una scimmia quale il tipo immediatamente precedente il tipo umano. Per riprendere perfettamente la sua forma, la scimmia ebbe però bisogno di un tempo più lungo e di maggior quiete prima di riacquistare la conoscenza e la coscienza del proprio essere. Per questa ragione anch’essa rimase accovacciata più a lungo sul posto dove il suo corpo era caduto giù dall'albero, intuendo quello che era accaduto più per istinto che non sapendolo di per se stessa.
13. Però a poco a poco la coscienza e la conoscenza di sé ritornarono sempre più, ed allora la scimmia cominciò anche ad assumere un aspetto sempre più umano e provò a tenersi ritta; il suo senso di percezione animico, che aveva un vasto raggio d’azione, iniziò ad intuire la vicinanza dell'anima sventurata del suo padre terreno, abbandonò il posto dove stava accovacciata, si mosse in direzione dello stagno seguendo l'impulso della sua percezione, ed allora riconobbe perfettamente l'anima del proprio padre gravata e tormentata dalla decupla maledizione degli uomini!
14. In quel momento nell’uomo-scimmia si ridestò l'amore filiale, e con questo contemporaneamente anche l'aspirazione a Dio ed alla Sua vera Giustizia, ma in seguito a tutto ciò sorse in lui pure un sentimento d’ira giustificatissimo contro la maledizione che gli uomini, nel loro smisurato orgoglio, non esitano a scagliare contro i loro simili, miseri sì, ma in fondo molto migliori di loro! Con ciò per altro l'uomo-scimmia, ormai già molto più perfetto, riconobbe in sé anche la forza di misurarsi con i dieci demoni della maledizione, i quali sotto forma di anatre nere tormentavano oltre ogni misura l'anima di suo padre.
15. In questa coscienza di se stesso, che si era rafforzata, l'uomo-scimmia si precipita nello stagno e, spinto da amore filiale verso il misero padre, affronta valorosamente i dieci demoni; in pochi istanti questi sono annientati, e l'uomo scimmia riacquista così un aspetto quasi completamente umano.
16. Allora però il suo amore comincia a mettere nuove radici di vita anche nell'anima morta del padre. Ciò impartisce al figlio amore e forza ancora maggiori e, così armato, egli solleva il padre dal luogo del suo naufragio e della sua rovina e lo porta quindi all’asciutto, dove attraverso l'amore del figlio anche per la futura esistenza del padre si forma e si viene a trovare con amorevole fedeltà un terreno dove riposare. Ma poiché l'amore del figlio aumenta, così va pure aumentando la sua luce; in questa luce egli riconosce l'insufficienza della propria forza, e si rivolge in una giusta maniera a Dio affinché venga in aiuto di suo padre! L'aiuto non si fa attendere molto; egli ottiene delle vesti e l'energia necessarie per progredire verso una sfera vitale migliore e più perfetta, dove l'anima del padre, nutrita dall'amore sempre crescente del figlio, riacquista un po' di carne e di sangue spirituali, e in questo modo si rende atta a riconoscere Dio e ad entrare nel Suo Ordine, ciò che, trattandosi di suicidi, è una cosa sempre immensamente difficile».
Le varie specie di suicidi e la loro condizione più o meno miserevole nell'aldilà.
1. (Il Signore:) «Naturalmente, anche fra i suicidi bisogna fare delle differenze. Se ad esempio qualcuno si toglie la vita del corpo perché il suo grande orgoglio è stato eccessivamente umiliato da un altro e gli resta preclusa ogni via di vendetta, allora questa è una fra le peggiori specie di suicidi premeditati. Un simile atto suicida è per un'anima una piaga che non può mai più venire completamente sanata; ci vogliono migliaia di migliaia di anni perché una simile anima possa arrivare al punto di avere a mala pena ricoperte di epidermide le sue orride ossa apparenti del tutto prive di ogni e qualsiasi amore, per non parlare poi del riottenere della carne da parte di tutto il suo essere, perché la carne è appunto un prodotto dell'amore e a sua volta desta amore.
2. Se qualcuno vede una ragazza che, nell'ambito della sua forma carnale, trabocca per l'esuberanza, egli viene subito conquistato fino all'ultima fibra da tale figura e il suo cuore manifesterà subito la più ardente ed amorosa brama di poter far sua tale ragazza. Ma perché succede questo? Perché l'esuberanza carnale della ragazza è esclusivamente il prodotto di molto amore! Quello però che, come sostanza, ha per fondamento l'amore, può e deve anzi suscitare nel prossimo ciò che esso stesso è.
3. Ma accostiamoci adesso ad una ragazza che sia terribilmente magra, ed Io vi dico che il cuore di nessuno ne rimarrà commosso con particolare intensità; la si commisererà in segreto, ma sarà ben difficile che qualcuno si innamori di lei! E perché mai succede questo? Succede questo semplicemente perché le sue ossa sono troppo poco ricoperte di quel materiale che è esclusivamente un prodotto dell'amore!
4. Un'anima che sia stata già qui [sulla Terra] puro amore, nell'aldilà appare subito attraentissima, esuberantissima e quindi estremamente perfetta per quanto riguarda la forma; mentre un'anima avara e molto egoista appare invece molto magra; sennonché un po’ di carne e di sangue vi rimangono pur sempre attaccati considerato che un'anima simile ha ancora almeno l'amore per se stessa. Ma in un suicida questo amore non esiste affatto, e la sua anima deve quindi necessariamente apparire nell'aldilà come uno scheletro arido e completamente spoglio. Resta ancora da vedere soltanto se apparirà sotto la forma di uno scheletro umano o di un qualche animale.
5. Noi appunto abbiamo accennato ora a come ci possano essere varie specie di suicidi, ed Io ho già menzionato dettagliatamente la specie più maligna. Ebbene, un suicida di questa specie più maligna non passa nell'aldilà nella forma di uno scheletro umano, ma in quella di uno scheletro di drago, di serpente o di un qualche altro animale molto selvaggio e feroce. E perché questo? Questo voi potete immaginarvelo molto facilmente! Una simile anima non potrà mai più pervenire ad una perfezione completa della vita.
6. Accanto a questi ci sono poi i suicidi per gelosia di una giovane alla quale, senza sua colpa, è piaciuto un altro di più dell'eroe della gelosia che ad ogni incontro non aveva mai mancato di tormentarla e di colmarla dei più aspri rimproveri rinfacciandole un immaginario crimine d'infedeltà alla quale lei non aveva mai pensato. Un simile suicida arriva nell'aldilà sotto la forma di uno scheletro di lupo, di cane o di gallo, perché erano state appunto le nature vitali di questi animali a guidare l'intelletto e la volontà di un simile stolto geloso, poiché esse hanno costituito, come creature immediatamente precedenti il tipo umano, la reale essenzialità di una tale anima. Anche questa specie di suicidi perverrà un giorno con estrema difficoltà ad una qualche perfezione della vita, sia pure soltanto limitata.
7. Ci sono poi altri suicidi che hanno commesso di nascosto qualche grave delitto, per il quale, come a loro è noto, è comminata una ignominiosissima e dolorosissima pena di morte. Essi sanno che il loro delitto sta per venire scoperto! Cosa succede allora di solito? Un tale delinquente non smascherato, per effetto della paura e dei giusti rimorsi della sua coscienza, cade preda della più nera disperazione e mette fine ai suoi giorni! Un'anima di questa specie appare poi nell'aldilà sotto la forma scheletrica dei rispettivi tipi pre-umani, come ad esempio delle salamandre, delle lucertole e degli scorpioni che stanno tutte ammassate assieme e circondate come da un baluardo ardente rappresentato di solito da un gigantesco serpente di fuoco. Anche il baluardo rovente appartiene al tipo di creatura che precede le forme immediatamente pre-umane sopracitate di quell'una e stessa anima ed è una parte dell’intelligenza delle stesse.
8. Per concludere, quando un'anima, in seguito a cattiva educazione, si è spogliata di ogni amore, perfino di quello di se stessa, allora anche tutta l'anima è compenetrata dal più completo inferno, quale il più accanito nemico della vita, e così diventa in se stessa un nemico della propria vita e del proprio essere e tenta di annientarla in una qualche maniera non dolorosa. Data però una simile assoluta inimicizia contro la vita, è naturale infine che tutto quanto vi è in essa di vitale deve scomporsi, ed allora non è possibile che un'anima simile nell'aldilà appaia altrimenti se non scomposta nelle sue singole forme vitali-primitive, ed anche queste limitate soltanto ai rispettivi scheletri privi di carne, i quali recano in sé il necessario giudizio.
9. Le ossa, tanto nell'uomo che negli animali, costituiscono la parte che sottostà al maggiore giudizio e sono per conseguenza assolutamente spoglie di ogni amore, e poiché nell'osso come nella pietra non può dimorare un qualche amore per la vita, ne consegue che esso, sia pure soltanto nella sua essenza animico-sostanziale, resta infine a costituire quella parte in cui non può mai mettere radice un qualche amore. Tuttavia le ossa umane sono sempre ancora più atte a rivestirsi degli elementi della vita che non le ossa di animali, e precisamente il guscio scheletrico degli insetti e le articolazioni, le cartilagini e le lische degli anfibi.
10. Se dunque nell'aldilà un suicida appare poi sotto le forme appena descritte, voi potete ormai già farvi un'idea di quante difficoltà si oppongono e di quanto tempo ci voglia prima che una simile anima acquisti soltanto la forma scheletrica umana, e solo dopo un po’ di epidermide, ed eventualmente forse un po’ di carne per virtù propria!
11. Ma ora sorge in voi la domanda se una simile anima risenta anche qualche dolore! Ed Io vi rispondo: “A volte percepisce delle sofferenze atroci, altre volte invece nessuna”. Quando, agli scopi della sua rivivificazione sempre ancora possibile, viene in certo modo toccata dagli spiriti che appositamente le si avvicinano, essa sente un acuto dolore in tutte le sue parti; ma se poi ritorna alla sua calma, non c'è di nuovo più in essa né sensazione, né coscienza né quindi un qualche dolore.
12. Ci sono però molte altre specie ancora di suicidi, le quali però, per quanto concerne le conseguenze, non agiscono in maniera tanto maligna sull'anima quanto le due di cui si è parlato ora; ad ogni modo non c'è affatto suicidio che possa avere qualche buona conseguenza per l'anima!
13. Quello narrato da Mataele fu uno della specie meno peggiore, e perciò anche l'opera di rivivificazione e di salvezza procedette con relativa facilità e sollecitudine. Tuttavia in una simile anima resta sempre una falla che non si chiude mai completamente, e questa consiste nel fatto che essa non può pervenire quasi mai più allo stato della perfetta figliolanza di Dio. L'anima suicida difficilmente giunge mai oltre la sfera dei beati del primo Cielo, cioè di quello più esteriore e quindi anche del più inferiore, oppure anche soltanto fino al confine di questo.
14. Nel primo Cielo, quello della sapienza, giungono per lo più soltanto le anime di tutti gli altri corpi mondiali oltre a quelle che provengono da questa Terra che sono le anime di quei savi pagani i quali, secondo il loro riconoscimento, hanno certo vissuto coscienziosamente e giustamente, ma che non hanno voluto sapere niente della Mia Persona nemmeno nell'aldilà. Ma se col tempo sono disposti ad accettare e a credere almeno a qualcosa, allora possono certo venire accolti nel secondo Cielo che è superiore all'altro e che è il Cielo di mezzo; però nel terzo Cielo, il più interiore, o supremo e proprio Cielo dell'Amore e della Vita, essi non entreranno mai, perché in questo Cielo verranno ammessi soltanto coloro che saranno già assurti alla piena dignità di figli di Dio.
15. Io credo che ormai anche questi generi di morte illustrati dal fratello Mataele vi appariranno chiariti a sufficienza. Tuttavia se qualcuno reputa di non aver chiaro qualche punto, gli è senz'altro lecito fare delle domande. Non ci vorranno più di due ore ancora perché il Sole salga sopra l'orizzonte; ed allora noi tutti dovremo sbrigare questioni di tutt'altra specie. Chi dunque vuole o vorrebbe conoscere qualcosa ancora, parli!»
16. Rispondono tutti: «O Signore! Ormai abbiamo tutto chiaro, perché, data una simile maniera vivente di spiegare le cose, non c'è nessuno a cui un qualche punto possa apparire non chiaro!».
Della pietra filosofale.
1. Allora riprendo Io a parlare e dico: «Ebbene, considerato che noi abbiamo adisposizione ancora due ore, il nostro Mataele ci racconterà e ci descriverà un'altra ed ultima scena di morte che è, nella sua specie, la più notevole fra tutte. Prima però, dato che incomincia già ad albeggiare, bisognerà che Raffaele riporti al suo luogo la sfera luminosa, e che in tale occasione procuri a Cirenio i grani uguali che prima gli sono stati promessi!».
2. Raffaele sbrigò la faccenda in un istante e portò a Cirenio sette di questi grani luminosi che erano grandi quanto un grosso pisello. Queste sferette luminose della grandezza di un pisello, portate da Raffaele a Cirenio, avevano una intensità di luce così forte che nessuno le poteva guardare; perché già una sola di esse emanava una luce tanto intensa che, se fosse stata collocata in alto in mezzo ad una grande sala, l'avrebbe illuminata molto meglio che non diecimila lampade potentissime.
3. Cirenio però non sapeva come avrebbe potuto conservare quelle sette sferette luminose, e perciò chiese consiglio a Me. Io allora chiamai nuovamente Raffaele e gli dissi che fornisse a Cirenio qualcosa di adatto per conservare bene le sette sferette.
4. Raffaele venne immediatamente tenendo già in mano una scatoletta d'oro purissimo leggermente imbottita di lino minerale (asbesto), vi depose dentro le sette sferette, la chiuse con un coperchio finemente cesellato con figure simboliche. Quando le sette sferette si trovarono così ben custodite, egli porse la scatoletta a Cirenio dicendogli: «Ecco, custodiscile per te; che una qualche corona non venga mai ornata da una di queste preziosissime pietre, affinché non venga destata la bramosia di un altro principe e costui, per entrarne in possesso, non scateni una guerra che porterebbe migliaia di uomini a sbranarsi fra di loro come lupi feroci e iene ed orsi, e tutto a causa soltanto di una simile sferetta luminosa!».
5. Cirenio allora ringraziò Me e pure Raffaele; quest'ultimo però declinò immediatamente qualsiasi ringraziamento rendendolo esclusivamente a Me.
6. Ed Io aggiunsi: «È bene che anche questa faccenda sia risolta; le sferette che a te, o Cirenio, erano state promesse, sono ormai custodite a dovere. Non farne mai un uso mondano e non gloriarti mai di esserne il possessore neanche di fronte ai tuoi congiunti più prossimi. Quando vorrai avere il dono del profetizzare, poniti la scatoletta sulla bocca dello stomaco, e allora avrai delle chiare visioni; però rimanga noto solo a te il fatto che, mediante il possesso di tali pietruzze, tu vieni rafforzato nel potere di fare profezie! Che il popolo intenda sì la predizione e si regoli conformemente, ma che nessuno sappia da dove essa trae origine! E se hai mai avuto occasione di sentir dire qualcosa su una pietra filosofale, sappi che tu ne sei appunto in possesso con queste sette sferette; ma esse siano per te soltanto e assolutamente per nessun altro!»
7. Dice Cirenio: «O Signore! Ma quando un giorno io pure morirò, cosa dovrà succedere delle sette sferette?»
8. Ed Io rispondo: «Allora consegnale a Josoe, ed a lui sarà dato di conoscere cosa si dovrà fare di loro per la salvezza del mondo! Ma ora basta con questo argomento, e tu, o fratello Mataele, comincia pure il tuo racconto, perché esso ha per voi mille volte per mille volte maggior valore di centomila pietruzze luminose di questa specie. Comincia dunque e sii conciso affinché noi non veniamo disturbati dal levare del Sole che sarà oggi quanto mai notevole».
La velenosa sfera vitale esteriore della vedova.
1. Mataele si inchinò e cominciò il racconto del seguente notevolissimo caso di morte: «In una piccola località fra Betlemme e Gerusalemme viveva una strana vedova. Lei aveva avuto due mariti, il primo dei quali le era morto già dopo un anno. Dal primo matrimonio era nata una figlia sordomuta già fin da quando aveva visto la luce, ma che, in quanto al resto, era fiorente, sana e di carattere molto allegro, cosa questa che nei sordomuti si riscontra assai raramente.
2. Dopo una vedovanza di un anno, un altro aspirante alla sua mano, uomo molto robusto, si presentò e sposò la vedova che allora doveva essere bellissima. Ma le cose gli andarono solo un po’ meglio rispetto al suo predecessore; infatti dopo il matrimonio non visse che due anni e qualche mese, e poi morì, come il primo, di comune consunzione.
3. Questo fatto spaventò tutti gli altri eventuali pretendenti, così che nessuno si azzardò più a farsi avanti. Con il secondo marito che era, come già detto, persona molto robusta, lei non ebbe affatto figli, mentre la figlia sordomuta cresceva così florida che al suo quinto anno era già tanto grande e forte quanto lo è di solito una fanciulla di dodici anni, ed era oltre a ciò di fattezze così leggiadre che ogni maschio guardava quella sordomuta con grande compiacimento, spesso non disgiunto da una certa bramosia!
4. La vedova visse da allora altri venti anni, rimase sempre bella, anzi addirittura seducente, e sua figlia era un incanto per chiunque l'ammirava, perché, davvero, qualcosa di più bello e di attraente non si sarebbe potuto trovare forse in tutto il paese di Israele. La ragazza era anche molto intelligente e bene educata, e mediante il linguaggio dei segni sapeva benissimo farsi capire da chiunque, anzi sempre in una maniera tanto artistica e graziosa che era per ciascuno un vero diletto poter conversare con lei. Molte furono le proposte di matrimonio fatte alla ragazza, ma poiché secondo una legge i sordomuti vanno esclusi dal vincolo matrimoniale, disposizione per la quale in verità non mi riesce di vedere una ragione fondata, la cosa non poté avere alcun seguito.
5. La vedova apparteneva al ceto molto benestante, aveva vaste proprietà e per conseguenza anche numerosi servitori e serve; ed era una grande benefattrice dei poveri. La donna si sarebbe maritata volentieri ancora una volta, ma siccome nessuno si presentava più a chiedere la sua mano, e, d'altro canto, lei stessa non osava offrirla, in parte per timore e in parte in seguito anche alla lodevole volontà di non doversi rimproverare eventualmente la morte di un terzo marito, così rimase vedova e continuò a condurre una vita irreprensibilissima nonché ad essere la consolatrice di molti miseri.
6. Una volta si presentò a lei un medico greco che si offrì di guarirla da quella sua strana particolarità; lei però lo respinse e gli disse - come lei più tardi raccontò fedelmente a mio padre, e se la mia memoria di solito molto buona non mi inganna - le seguenti parole: “I miei genitori sono stati gente onesta e timorata di Dio, ed io da fanciulla ero conosciuta per un modello di vita modesta e ritirata. Prima del mio primo matrimonio io non avevo mai conosciuto uomo. Come poi al mio corpo, per il resto bene costituito, potesse essere propria una facoltà tanto micidiale, questo per me è un enigma; però all'infuori di ciò io sono, e ne sia resa lode soltanto a Jehova, perfettamente sana, e perciò non ho affatto bisogno di medicine; sarà così la Volontà di Dio ed io mi rassegno di buon grado! E tu, o pseudo Esculapio, vedi di andartene presto, altrimenti ti alito in faccia ed allora anche tu saresti probabilmente perduto senza speranza di salvezza, quantunque tu affermi di essere medico ed abbia la volontà di guarirmi, mentre, a quanto vedo, non sei nemmeno capace di liberarti dal tuo orribile gozzo e dalla storpiatura del tuo piede sinistro!”. Ora è chiaro che un medico deve essere prima egli stesso un uomo senza difetti e perfettamente sano se vuole aiutare un altro; l’assoluta salute del medico deve senz'altro ispirare al malato una certa fiducia affinché quest'ultimo possa credere che il medico ne sappia qualcosa. Ma se un medico si presenta con un difetto evidente ed è per di più storpio e vuole guarire chi è sano, non merita altro che di essere deriso cento volte e di venire cacciato immediatamente dalla casa dove si mostra insistente.
7. Quando il medico ebbe intesa questa sfuriata di lodi alla rovescia, si allontanò brontolando; ritornò però un anno dopo per informarsi dello stato di salute della nostra bella vedova alla quale cominciò a fare anche seriamente la corte.
8. Ma allora la vedova, perduta la pazienza e restando alla distanza di tre passi, alitò il suo fiato contro il medico e disse: “Vattene subito via e non venirmi vicino! Perché se tu arrivi a respirare il mio fiato, sei un uomo morto e non passerà un anno che tu marcirai sotto terra!”.
9. Il medico però rise delle sue parole ed aspirò con gioia e bramosia il suo alito per dimostrare alla bella vedova quanto poco egli temesse il preteso fiato velenoso e come egli fosse convinto che lei stessa non ci credesse affatto, e che usasse tale minaccia soltanto perché nessuno tentasse di avvicinarsi troppo a lei, date le voci che la gente diffondeva in giro riguardo a tale pericolo.
10. Sennonché la gente, esprimendosi così, non aveva completamente torto. Quando questa nostra vedova non era agitata da qualche passione, il suo fiato era normale e sano; ma per quanto poco lei si trovasse in uno stato di agitazione d'animo, non era più possibile restare nella sua vicinanza, perché chiunque si fosse trovato esposto a subire l'influenza del suo alito, non viveva più di un anno, ed era condannato a morire. Egli veniva colpito da un genere speciale di consunzione e avrebbe potuto far uso di qualsiasi rimedio prescrittogli anche dal più provetto e prodigioso medico, ma non gli sarebbe giovato a nulla; il male progrediva con una tenacia inesorabile, e il malato finiva col restarne immancabilmente vittima! Ed un destino simile fu in verità riservato anche al nostro medico greco; egli poco dopo cominciò a deperire, e nel giro di otto mesi fu ridotto ad un misero cadavere totalmente consunto, vicino al quale un’antica mummia egiziana di tremila anni sarebbe apparsa ancora ben fornita di carne!
11. La nostra vedova non tardò a venire a conoscenza della cosa, e da varie parti si incominciò a sussurrarle all'orecchio che lei sarebbe stata chiamata a renderne conto in giudizio. Questo pensiero scosse profondamente l'animo della vedova; anche lei finì con l'ammalarsi, e perciò mandò a chiamare mio padre, il quale, naturalmente, condusse con sé anche me come il suo veggente indispensabile allo scopo di utilizzare la mia facoltà nel caso di questa vedova dalla natura particolarissima. Noi entrammo con qualche cautela in casa della strana vedova e la trovammo a letto stanca e sfinita. La sua figlia sordomuta, ma dalla bellezza veramente celestiale, era presso di lei e l'assisteva assieme a due altre serve.
12. Qui è necessario notare bene che il suo curioso alito era nocivo soltanto ai maschi, mentre le donne e le ragazze non ne avevano mai risentito danno.
13. Mio padre, quando fu entrato nella stanza trattenendo un po’ il respiro, disse: “Ecco qui il medico che avete fatto chiamare da Gerusalemme; che cosa desidera la gentile vedova da me?”
14. Rispose allora la vedova: “E che cosa può desiderare un'ammalata da un medico se non di venire guarita? Se dunque puoi, aiutami!”
15. E mio padre: “Permetti che io ti osservi per qualche tempo, e poi certo vedrò se sarà possibile o no fare qualcosa per te!”
16. La vedova infine concluse: “Fa tu come meglio credi!”
17. Mio padre allora, rivoltosi a me, disse in lingua romana: “Fa attenzione, e vedi se qui riesci a scoprire qualcosa, perché le cause della sua malattia devono essere del tutto particolari!”.
18. Io mi misi subito a guardare con tutta la mia attenzione, ma da principio non potei scorgere nulla, ben inteso, nulla che avesse l'apparenza di spirituale o di sospetto. Però dopo circa un'ora osservai come sopra il giaciglio della vedova andava diffondendosi un fumo di colore bluastro, e domandai a mio padre se anche lui vedesse qualcosa. Egli rispose di no, però dedusse che il fenomeno visto da me doveva costituire qualcosa di straordinario! Io continuai le mie osservazioni tendendo al massimo l'attenzione, e ben presto scoprii entro a quel vapore bluastro una quantità di serpenti a sonagli e di anfisbene[10] lunghi circa quanto un dito che parevano nuotare, dentro il vapore, come i pesci nell'acqua. Le bestiacce si volgevano e torcevano formando anelli su anelli, e con le lingue che sembravano d'acciaio saettavano terribilmente qua e là; tuttavia nessuno dei serpentelli si muoveva oltre la massa del fumo bluastro che aveva dei confini, in un certo modo, ben stabiliti. Allora immediatamente riferii a mio padre quello che vedevo, e gli espressi la mia opinione: affermai che non sarebbe forse stato troppo prudente avvicinarsi eccessivamente al letto. Mio padre fu dello stesso parere e mi domandò se non potessi intuire eventualmente qualche mezzo di cura».
Il veleno dei serpenti quale mezzo curativo
1. (Mataele:) «Mentre io stavo tutto concentrato in me, udii una voce, come se qualcuno mi avesse sussurrato all'orecchio, la quale diceva: “Prendete un serpente a sonagli e una anfesibena, staccate le loro teste, fatene un buon decotto e date un simile decotto o brodo alla vedova; ditele inoltre che il tribunale, che lei teme a dismisura, non può trovare assolutamente nulla da imputarle, e così in breve lei recupererà la salute! E se in avvenire qualcuno fosse colto da consunzione e giacesse infermo per effetto del suo alito velenoso, allora veda di procurarsi un decotto di quei serpenti, con i quali anche l'antico Esculapio guariva i suoi ammalati di consunzione, ed in breve tempo riacquisterà la salute. Sappiate però che quelle specie di serpenti si incontrano molto di frequente sul pendio meridionale del monte Horeb”.
2. Questo consiglio, da me udito con tutta chiarezza, lo comunicai subito concisamente a mio padre, e costui, tutto fuori di sé dalla gioia, disse senza indugio alla vedova che stesse tranquilla e che si consolasse, perché egli certo l'avrebbe guarita! Anzitutto lei doveva bandire assolutamente dal suo animo ogni timore di venire chiamata a rispondere in giudizio per il fatto del medico greco, dato che lei non aveva la benché minima colpa della sua morte. Egli stesso conosceva molto bene le leggi di Roma e non gli risultava affatto che nel suo caso vi fosse qualcosa di cui potesse essere incriminata!
3. La dimostrazione dell'innocenza della vedova, fatta con assoluta serietà, ricondusse la quiete nell'animo di quella poveretta tanto che il vapore bluastro che si librava sopra di lei scomparve del tutto. Io raccontai subito a mio padre questo nuovo fenomeno, ed egli lo apprese con grande gioia, e dispose immediatamente che fossero mandati a prendere i serpenti di cui ho detto sul monte Horeb! Là c'erano vari abilissimi cacciatori ed incantatori di serpenti, e in un paio di giorni essi procurarono diversi esemplari delle due specie che vennero, come ben si comprende, decapitati e subito ricoperti completamente di argilla affinché, fuori da qualsiasi contatto con l'aria, non andassero subito in putrefazione; in quel luogo infatti si trovava della speciale argilla grassa di colore giallo, entro la quale un cadavere può restare anche cento anni senza decomporsi.
4. Quando i serpenti, portati a dorso di cammello, giunsero a destinazione, se ne prese quanti occorrevano per quella determinata volta, vennero liberati dall’argilla e poi messi a bollire per tre ore sul fuoco dentro una buona pentola senza che la vedova, la quale stava ancora a letto, ne sapesse nulla. Il tempo trascorso fra la spedizione al monte Horeb e la preparazione del decotto fu di quattro giorni, e intanto mio padre visitava la vedova varie volte al giorno e la consolava promettendole la piena guarigione già entro cinque giorni. Allora la vedova cominciò a riprendersi visibilmente sempre di più, ed avrebbe voluto alzarsi già il quarto giorno, però mio padre non glielo permise a causa del decotto di serpente che era in preparazione. Infatti, se si fosse accorta di come veniva preparato il decotto, molto probabilmente la piena guarigione non sarebbe avvenuta. Così invece lei non si accorse di niente, e quando mio padre le offrì il decotto da bere, lei lo mandò giù con evidente manifestazione di benessere fino all'ultima goccia, ed infine ammise che quella medicina l'aveva trovata di eccellente sapore!
5. Dopo un paio d'ore mio padre le fece prendere ancora una volta quel decotto, dopo di che la vedova cominciò a sentirsi così bene che il quarto giorno fu difficile persuaderla a restarsene a letto. Tuttavia, secondo la rigida prescrizione di mio padre dovette rassegnarsi a restare a letto almeno la metà ancora del quinto giorno da quando noi eravamo arrivati là, e poi si alzò che era fresca e perfettamente sana. Lei ricompensò molto generosamente mio padre, e nemmeno io fui dimenticato.
6. Al momento in cui noi ci accingevamo a partire, lei però, in confidenza, domandò a mio padre se avesse conosciuto il medico greco, e se anche lui avrebbe potuto in qualche modo liberarla dal suo male.
7. Mio padre le rispose: “Io ho conosciuto molto bene quel miserrimo ciarlatano, e posso dirti che non ha mai aiutato nessuno se non a scendere nella fossa!”.
8. La graziosa vedova fu molto soddisfatta di sentir parlare così mio padre, ed infine ci congedò con grande benevolenza. Mio padre avvolse con la massima cura gli altri serpenti che si trovavano nell'argilla, e legò il pacco sul dorso del suo cammello assieme ad altre cose di gran valore; poi salimmo in groppa ai nostri dromedari e facemmo ritorno tutti lieti a casa nostra.
9. Con il medicamento che aveva portato con sé, certo della specie più strana, mio padre, dopo di allora, guarì ancora un gran numero di ammalati di consunzione e così guadagnò molto denaro e ottenne molta fama. Senza dubbio, fu per questo che egli non era visto troppo di buon occhio da parte della gente del Tempio, e meno ancora dagli esseni, sennonché tanto maggiore fu il buon nome che godette presso i romani, i quali lo presero sotto la loro tutela in cento modi, innalzarono fino alle stelle la sua arte e la sua scienza e gli conferirono il titolo onorifico di Esculapio il giovane. E quando mio padre ebbe esaurita la sua provvista di serpenti, egli ne ordinò subito degli altri in grande quantità a Horeb, e continuò a curare con successo i casi di consunzione, e veramente si può dire che nessuno di questi ammalati gli morì».
I fenomeni spirituali constatati alla morte della vedova e di sua figlia.
1. (Mataele:) «Da quel tempo in cui quella vedova aveva riacquistato la salute, erano passati due buoni anni senza che noi avessimo più sentito parlare di lei. Quando ecco che una mattina di buon'ora - era un sabato - comparve a casa nostra un messo inviato dalla vedova, il quale insistette molto con mio padre affinché si disponesse ad andare con lui al più presto possibile, perché la nota vedova e pure sua figlia erano state colpite del tutto improvvisamente da un malore così grave che fra i vicini tutti in ansia per la sua sorte non c’era nessuno che si azzardasse a sperare più nella loro guarigione.
2. È inutile dire che a tale notizia noi, nonostante il sabato, ci trovammo di lì a poco in groppa ai nostri cammelli, e va da sé che mio padre prese con sé anche una buona dose di quello stranissimo medicamento, perché egli era logicamente dell'opinione che la vedova avesse avuto una ricaduta del suo vecchio male come precisamente non di rado succede, in questi casi ogni medico sa che la ricaduta in un male antico si presenta molto più ostinata che non il male stesso al suo primo manifestarsi.
3. Dopo qualche ora noi raggiungemmo la dimora che già conoscevamo. Ma già alla distanza di circa mezz'ora di cammino io vidi che tutta la grande casa era avvolta entro una fitta esalazione di colore bluastro; e quanto più noi ci avvicinavamo, tanto più chiaramente io scorgevo le note bestiacce guizzare di qua e di là entro quel vapore bluastro. Perciò quando fummo arrivati a circa sessanta passi dalla casa io dissi a mio padre: “Fermati! Se ci preme la vita, non facciamo un solo passo di più! Quel fuoco maligno bluastro che tu sai circonda con i suoi sinistri abitanti ormai tutta intera la dimora!”.
4. Mio padre rimase fortemente colpito dalle mie parole e si fermò all'istante; poi mandò il messo in casa delle due ammalate perché si informasse e gli riferisse riguardo al loro stato in quel momento. Il messo allora si affrettò ad entrare in casa e trovò le due che avevano ormai già perduta ogni conoscenza e che lottavano disperatamente con la morte inesorabile.
5. E quando mio padre ebbe appreso queste notizie dal messo, gli disse: “Amico mio! Miracoli io non ne posso fare; per conseguenza non mi resta altro che ritornare sui miei passi, anzi meglio prima che più tardi, perché la vicinanza di queste due ammalate non sembra affatto consigliabile”
6. Il messaggero tuttavia obiettò che avremmo potuto sostare almeno forse ancora un’ora, poiché non si poteva mai sapere con assoluta certezza se le due non sarebbero eventualmente ritornate di nuovo in sé.
7. Ma mio padre rispose: “Tu sicuramente non lo saprai, ma con tanta maggiore certezza lo so io. Tutto a questo mondo porta in sé, spesso entro un raggio ampio intorno a sé, certi contrassegni in base ai quali uno che sia esperto può, quasi senza temere di sbagliare, giudicare quali siano le condizioni e lo stato di quella determinata cosa; ed un caso simile si verifica anche qui! Già osservando la casa io riconosco che alle due non rimane più nemmeno un'ora di vita! Qui ogni tentativo di salvezza sarebbe perfettamente vano.
8. Voi tutti però, servitori maschi di questa casa, vedete di procurarvi dei serpenti a sonagli e delle anfisbene, staccate loro la testa, puliteli e metteteli a bollire, e poi bevete quel decotto in varie riprese, altrimenti entro un anno morirete tutti completamente consunti. Infatti le esalazioni a voi sconosciute di queste due donne sono di natura tale che ciascun uomo il quale vi si avvicini troppo, particolarmente ora [che sono in fin di vita], ne viene infettato e si riduce, al massimo in diciotto mesi, perfettamente come una mummia”.
9. Il messo allora ringraziò caldamente mio padre per tale consiglio e gli voleva offrire una generosa ricompensa; lui però non volle accettare nulla e cominciò a far voltare i dromedari ed i cammelli da soma, operazione questa sempre non troppo facile con simile genere di animali, specialmente quando sono stanchi e affamati. Questa manovra che bisognava compiere con i nostri portatori a quattro gambe faceva sempre arrabbiare mio padre; sennonché quella volta il ritardo venne molto a proposito, perché, se gli animali fossero stati più pronti ad obbedirci, noi due e particolarmente io, avremmo perduto uno spettacolo che era certo il più notevole fra tutti gli altri di questo genere!
10. La nebbia bluastra andò man mano aumentando in volume di una buona metà, ma ben presto si sollevò come una gigantesca palla al disopra della casa, ed apparve colma non soltanto delle due specie di serpenti, ma anche di una grandissima quantità di animali di ogni specie tanto di natura maligna, quanto anche di natura molto mite. Questi volteggiavano in quella grande palla come le gru quando volano alte nell'aria. Tutto quel pallone però era come attaccato a due deboli cordoni, o meglio nastri! La metà un po' più piccola del pallone appariva di tinta alquanto più chiara dell'altra più grande.
11. Allora mi sembrò molto strano che la brezza della sera, che spirava con una certa violenza, non fosse capace di scuotere, né di far oscillare in alcun modo quel pallone quanto mai molle. Mentre io stavo dunque contemplando tutto stupito il fenomeno e ne facevo la descrizione in lingua romana a mio padre, osservai alla fine lì dentro, in numero sempre maggiore, degli esemplari di animali più grandi, come topi, ratti, conigli, polli, colombi, anatre, oche, agnelli, capre, lepri, caprioli, cervi, gazzelle ed una quantità di animali di altre specie tutti perfettamente formati, i quali giravano tutti dentro quel grande pallone.
12. Mio padre ad un certo punto domandò: “Figlio mio, ma stai davvero dicendo proprio tutta la verità? Perché questa storia comincia davvero a diventare un po’ troppo curiosa!”.
13. Io però diedi a mio padre l'assicurazione che allora, come sempre, io gli raccontavo solo quello che si stava svolgendo in maniera chiarissima dinanzi ai miei occhi, né una parola di più, né una di meno. Allora mio padre non replicò più nulla e continuò a fare la massima attenzione a quanto gli andavo esponendo.
14. Io cominciai dunque ad osservare ansiosamente con sempre crescente intensità quello stranissimo spettacolo mai visto fino allora, quando ad un tratto si stracciarono i due cordoni ai quali il pallone sembrava trattenuto, e d'improvviso apparirono, librandosi nell'aria a circa due altezze d'uomo sopra la casa, due palle separate al posto di quella grande di prima. Il vento, che soffiava sempre più forte, non faceva nessuna presa su di loro; i due palloni parevano come fissati solidamente al di sopra della grande dimora.
15. E dopo la separazione non scorsi più le figure delle bestiacce sospette in nessuno dei due palloni, uno dei quali appariva un po’ più piccolo ed anche più chiaro dell'altro; oltre a ciò il minore conteneva in sé un mixtum compostum (una mescolanza composita) di animali esclusivamente domestici, mentre l'altro comprendeva pure dei lupi, orsi, ed un certo numero di volpi, certo in misura minore rispetto a molti altri animali di natura mite, i quali si muovevano tutti lì dentro comodamente di qua e di là. Notevole era pure il fatto che, malgrado la sera fosse già parecchio inoltrata, nei due palloni io potevo distinguere tutto con tanta precisione come se fossero stati illuminati dal Sole di mezzogiorno».
L’evoluzione delle figure animiche delle due donne defunte.
1. (Mataele:) «Per buoni dieci minuti la situazione rimase invariata, ma poi la cosa cominciò ad assumere tutto un altro aspetto, e la causa del cambiamento fu la comparsa di uno stormo di gazze che apparivano perfettamente naturali; dovevano essere varie centinaia! Queste si misero intorno ai due palloni e cominciarono a molestarli; allora i molti animali contenuti nei palloni si cacciarono come l'uno dentro all'altro, e ben presto al loro posto si resero visibili delle aquile molto grandi, le quali iniziarono a dare vigorosamente la caccia alle gazze che parevano assalire i palloni; guai a quella che si faceva catturare: essa, per aver beccato i palloni, ci rimetteva subito l'esistenza. Tuttavia tutto ciò non durò a lungo, e tutte le gazze finirono col venire divorate.
2. E quando io ebbi riferito con assoluta fedeltà tutte queste cose a mio padre, costui esclamò: “Ma pare proprio che si tratti delle anime delle due defunte! Osserva dunque esattamente il fenomeno, e tienimi al corrente di tutto quello che riesci a vedere, perché, in verità, una scena di morte così strana non l'ho mai udita ancora raccontare da te!”
3. Ed io gli dissi: “O padre mio! Come io vedo una cosa, così te la descrivo sul momento! Ecco: appunto adesso i palloni si stanno rimpicciolendo, e le aquile gigantesche si trasformano - per dirla chiaramente - in due mucche, però senza corna, e vedo ancora una figura perfetta d'uomo andare su e giù sulla parte alta del tetto recando in ciascuna mano un fascio di fieno; ma non vorrà forse dare da mangiare alle due mucche? Eppure! Ecco che i due animali vi tendono incontro le lingue, ed essi si sono abbassati tanto da poter arrivare facilmente ai fasci di fieno loro offerti e adesso, infatti, se li mangiano pacificamente!”.
4. Questo è il racconto che io feci a mio padre conformemente a quanto io avevo visto. Dopo che il fieno fu divorato, l'uomo scomparve dal comignolo del tetto, ma subito dopo ne comparve un altro il quale non somigliava minimamente al primo, e portava due secchi d'acqua. Egli allora diede da bere l'acqua alle due mucche, le quali vuotarono i secchi visibilmente fino all'ultima goccia.
5. Dopo questa apparizione anche il secondo uomo scomparve assieme ai suoi secchi; di lì a poco però le mucche cominciarono a girare velocemente come entro un circolo; i due palloni nebulosi di prima si resero completamente invisibili, ma io, a causa dell’estrema rapidità del moto rotatorio, non potevo più affatto distinguere le figure di quei due esseri. Ma durante questo girare vertiginoso, i due esseri si fecero sempre più chiari, ed infine acquistarono lo splendore come della Luna al tramonto.
6. Ben presto anche il moto rotatorio cessò del tutto, e al posto delle mucche di prima apparvero, librandosi nell'aria, due figure umane piuttosto magre, però del tutto nude. Siccome tenevano le schiene rivolte verso di noi, non potei distinguerne il sesso; tuttavia a giudicare dalla forma, si doveva trattare certo di due figure femminili.
7. Dopo un quarto d'ora, io vidi nuovamente un essere umano venire sul tetto, provvisto di due involti; egli ne consegnò uno a ciascuno delle due. Il portatore degli involti scomparve di nuovo immediatamente, mentre le due figure sciolsero sollecite ciascuna il proprio involto e ne trassero due vesti a pieghe di colore grigio chiaro che indossarono in un attimo; solo allora riconobbi con assoluta certezza che si trattava della strana vedova e di sua figlia sordomuta. Soltanto mi sembrarono più magre; ma per il resto erano loro, senza alcun dubbio!
8. E quando, in forma ormai perfettamente femminile, si trovarono sul comignolo del tetto dinanzi ai miei occhi, le due figure maschili ritornarono sul tetto avvolte in mantelli di colore verde chiaro facendo loro cenno di seguirli, e le due donne accolsero l’invito senza la minima obiezione.
9. La direzione presa dagli spiriti fu verso settentrione; ben presto essi si sottrassero completamente alla mia vista, ed io subito dopo udii chiaramente le seguenti parole proferite da qualcuno che rimase invisibile: “A Dio, il Signore, a Lui soltanto siano rese grazie e ogni lode ed onore per la salvezza di queste due poverette!”.
10. Io non so chi abbia pronunciato queste parole; però io le ho sentite in maniera assolutamente chiara e distinta! Dalle due figure d'uomo è escluso che siano venute, perché in quel momento esse erano già in qualche luogo molto lontano; deve quindi essere stato qualcun altro che si trovava forse dietro di me. Ma chi? Ecco, questa è una questione di tutt'altro genere!
11. Del resto, chiunque anche possa essere stato, questo c’entra ben poco con tutta la scena che si era svolta; che però le parole fossero buone e contenessero cose significative in sé, questo è pure certo! Infatti, tutto sommato, le due donne avevano vissuto in maniera estremamente lodevole e irreprensibile, si erano mostrate assai caritatevoli con i poveri e oltre a ciò molto timorate di Dio, ciò che per altro rende un po’ difficile comprendere perché la voce abbia reso grazie e onore a Dio con tanto particolare calore per la salvezza di quella vedova e di sua figlia sordomuta! Quella voce dunque deve avere saputo in proposito più di quanto il mio intelletto sia oggi ancora capace di comprendere!
12. Tu però, o Signore, ad ogni modo conosci tutto ciò che di tale storia sulla morte rimane per noi un mistero! Io quindi non formulerò più alcuna domanda particolare a questo riguardo, dato che tutto l’intero racconto è già di per sé una domanda dal principio alla fine; perciò è meglio che Tu, o Signore, ci spieghi subito ogni cosa, perché io non saprei davvero dove cominciare e dove terminare! Già la malattia di per se stessa era qualcosa di quanto mai enigmatico, per non parlare poi delle apparizioni durante l'agonia e dopo la morte! L’espandersi dell'emanazione bluastra evidentemente di carattere animico tutto intorno e sopra la casa, gli animali visti dentro, la divisione del grande pallone in due più piccoli, le gazze moleste, le aquile gigantesche, la trasformazione di queste in due mucche senza corna e così via, tutto ciò deve apparire come una favola che non verrebbe creduta da nessuno qualora venisse raccontata in un luogo differente da questo! Se dunque Tu, o Signore, sei disposto a farlo in tutta grazia, chiarisci un po’ questa storia, perché fino al momento in cui parliamo c'è fra me ed essa qualcosa di più del triplice velo di Mosè!».
Il veleno nei minerali, nelle piante, negli animali e negli uomini.
1. Chiedo allora Io: «Questa storia è ugualmente oscura a tutti?».
2. Tutti rispondono affermativamente e pregano che Io la chiarisca a loro.
3. Ed Io dico: «Eppure voi avete letto quanto fu scritto riguardo ai figli del serpente; come dunque potete vederci così poco chiaro? Vedete, su questa Terra ci sono minerali velenosi, piante velenose e così pure animali velenosi; i minerali di questa specie sono interamente velenosi, le piante lo sono in gran parte del loro complesso, e gli animali velenosi, in rapporto al loro complesso, lo sono meno di tutti. Voi però avete anche udito che le anime umane provenienti unicamente da questa Terra sono un agglomerato di principi animici derivati dal regno minerale, vegetale e animale! Questa cosa Io ve l'ho già spiegata in varie occasioni; soltanto che finora a tale riguardo Mi sono espresso piuttosto in termini generali e senza scendere nei particolari, né vi ho parlato finora di certe eccezioni speciali. Ebbene, appurato questo, il fatto narrato da Mataele è un simile caso eccezionale, ed Io adesso intendo chiarirlo a tutti.
4. Voi conoscete il giusto e vero Ordine di Dio, ma voi ne conoscete pure le deviazioni; voi queste deviazioni potete pensarle, sentirle e percepirle! Ma quello che potete fare voi, lo può fare anche Dio; Egli certamente conosce il Suo eterno Ordine meglio e in maniera più chiara di chiunque altro, però conosce in aggiunta anche tutte le più varie deviazioni e trasgressioni possibili a quest'Ordine, e per conseguenza deve essere in grado di pensarle e di sentirle nel modo più profondo.
5. Anzi, come sapete, nelle creature destinate a rendersi libere e indipendenti e dotate di libera volontà, come particolarmente negli angeli e negli uomini di questa Terra, Dio deve porre perfino lo stimolo a contravvenire all'Ordine, affinché su tale base, per i soprannominati, possa venire creata in maniera perfetta la premessa per una decisione assolutamente spontanea ad un'attività veramente libera nell’uno o nell'altro senso. Ma da tutto ciò emerge ben chiaramente che il massimo disordine possibile deve essere noto a Dio altrettanto quanto lo è l'Ordine buono, vero e vivente.
6. Ebbene, i pensieri e i sentimenti dell'ordine contrario in Dio e similmente nell'uomo, nell’ambito dei pensieri e dei sentimenti conformi all'Ordine, sono appunto corrispondenti ai minerali, alle piante e agli animali velenosi. Ma poiché sono essi pure pensieri e sentimenti di Dio, non possono svanire, ma rimangono anche nella loro trasformazione in lingue di fuoco d'intelligenza; e nella misura dell’affinità che c’è tra di loro possono afferrarsi nella sfera negativa e possono formare così una propria serie di esseri.
7. Questa è anche la fonte primordiale da cui sorse, nella sua parte maggiore, tutta la Creazione materiale e giudicata, ma poiché questa è chiamata, riguardo alle creature spirituali, a fungere non solo da veleno vitale di prova, ma anche, purché ne venga fatto un giusto uso, quale balsamo salutare di vita, così è stabilita pure una norma, nel senso che i pensieri primordiali-sostanziali eccessivamente contrari all'Ordine si separano da quelli molto meno contrari all'Ordine stesso e passano a costituire, come già accennato, una serie di esseri velenosi in tutti e tre i regni della natura materialissima, esteriore e visibile delle cose.
8. Anzitutto si trovano i veleni nella materia quanto mai grezza dei minerali, poi appaiono già un po' mitigati in certe forme, particolarmente adatte a ciò, del regno vegetale, ed infine, pure ridotti al minimo della loro influenza, si rendono pericolosi alla vita esterna migliore, dunque alla vita positiva, in certi animali di specie inferiore e, date determinate circostanze, possono, anche se non guastare del tutto, ledere tuttavia in maniera grave la vita vera, quella interiore, completamente positiva!
9. Ora, le potenze specificali-animiche di questi esseri velenosi, assieme alla loro capacità d'intelligenza, si afferrano e anche da esse si forma alla fine una figura, però sempre soltanto in una forma femminile, la quale poi, com'è naturalissimo, non esiste senza possedere anch’essa una particolare attribuzione di veleno. Queste anime prendono infine anch'esse la via della carne nell'occasione di un qualche atto generativo, mediante la nota congiunzione sessuale».
La natura velenosa di entrambe le donne defunte.
1. (Il Signore:) «Una volta che tale anima si sia trovata a dimorare in una carne, essa depone il suo veleno nella carne e nel sangue del proprio corpo, il quale però, dal punto di vista della salute naturale, non ne risente in modo particolare nella sua sfera vitale, dato che esso è già originariamente costituito in questa speciale maniera.
2. Sennonché per una creatura umana sorta nell'Ordine positivo non è mai prudente accostarsi troppo ad una simile persona, poiché anche se tale vicinanza non riesce nociva direttamente all'anima, essa è tuttavia dannosa al corpo non adatto ad accogliere l'elemento velenoso. Ed eccoci ormai arrivati anche alla nostra vedova.
3. La sua anima, sotto ogni altro aspetto buonissima e passata nella sfera dell'Ordine vero e giusto, aveva depositato il suo elemento primordiale velenoso nella milza e nel fegato del proprio corpo; ora in simili casi tale elemento si mantiene tranquillo ed innocuo finché la persona veramente velenosa non venga in qualche modo eccitata nella propria passione, ma quando lei si trova in stato di eccitazione, allora per ciascun maschio è giunto il momento di sottrarsi rapidamente alla sfera velenosa della persona stessa.
4. Infatti, il veleno accumulato nel suo corpo è di specie etereo-nervea e compenetra l'atmosfera vitale esteriore che circonda il corpo. Chi col proprio etere nerveo viene in contatto, mediante l'aspirazione od una permanenza prolungata, con una simile atmosfera densa di elementi velenosi, contatto che si stabilisce con la massima facilità, è fisicamente perduto, specialmente poi se non conosce il relativo antidoto.
5. Ebbene, se tutti i nervi non sono già eccessivamente irritati, l’antidoto sarebbe certo quel decotto di cui ha narrato Mataele; nello stesso tempo però alcuni di quei rettili andrebbero affogati dentro un grande vaso pieno d'olio d'oliva, e oltre al bere il decotto bisognerebbe ungere tutto il corpo e massaggiarlo energicamente con questo olio di serpente. Solo così si arriverebbe ad una completa guarigione, perché il veleno, che si trova nei nervi, si ritira da questi e si congiunge in parte con il suo elemento primordiale contenuto nel decotto che si trova nello stomaco oppure si congiunge con quello contenuto nell’olio, e così non può più agire sui nervi, né può più quindi essere nocivo ad essi.
6. Quando tu, Mataele, fosti invitato la prima volta da lei assieme a tuo padre, la vedova era sofferente per effetto del suo proprio veleno che era stato eccitato con troppa violenza dal medico greco, e avrebbe senz'altro potuto morire già allora come invece le accadde più tardi, perché tali persone dalla natura velenosa raramente muoiono per un altro male che non sia quello provocato dal loro stesso veleno.
7. La nebbia bluastra resasi visibile a te, nella quale si agitavano degli animali che non ti piacquero troppo, era appunto dovuta ad un diffondersi all'esterno dell'etere velenoso e, mediante la presenza degli esseri che vi dominavano, rivelava con tutta chiarezza ed evidenza di quale spirito essa fosse il prodotto!
8. Quando, in conseguenza del prudente linguaggio tenuto da tuo padre, il timore che manteneva in stato di grande agitazione l'animo della vedova si fu convenientemente calmato, allora l'etere maligno si ritirò nella milza e nel fegato resisi più quieti; l'eccesso però persistette nella bile e, nel giro di quattro giorni, alla fine venne totalmente assorbito da quel certo decotto e finalmente eliminato per le vie naturali. La vedova poi si trovò completamente guarita; la voce però che ti indicò il rimedio, era quella di uno spirito, e precisamente dello spirito tutelare della vedova.
9. Ma quando tu fosti chiamato per la seconda volta assieme a tuo padre, la vedova si era fortemente adirata a causa di sua figlia sordomuta la quale, nonostante la sua condizione, aveva cominciato ad innamorarsi proprio seriamente di un uomo alquanto scapestrato. In conseguenza di ciò tanto nella vedova quanto nella figlia, che aveva la stessa natura, il proprio veleno passò ad uno stato di violenta eccitazione; entrambe si sentirono mordere come da mille serpenti in tutti i loro nervi vitali, e da quel momento non c'era più nemmeno da pensare ad una guarigione nel senso fisico qualora si voglia eccettuare l'intervento della Mia Potenza; in questo caso, naturalmente, anche questa guarigione sarebbe stata possibile. Le anime delle due donne però, in seguito all'enorme agitazione, si dissolsero quasi interamente, bene inteso nei loro elementi primordiali, e, dovendo necessariamente occupare uno spazio maggiore, si diffusero in lungo e in largo perfino oltre la dimora dove le due giacevano moribonde.
10. Avvenuta la totale separazione dal corpo e subentrata dopo qualche tempo una certa quiete entro quel groviglio nebuloso vitale, gli elementi primordiali, in esso contenuti, cominciarono di nuovo a riconoscersi come appartenenti ad un medesimo complesso, e i due grovigli, prima confusi in uno, ben presto si separarono, comprendendo uno, il più grande, gli elementi vitali primordiali della vedova, e l'altro, il minore, quelli della figlia. Queste due entità poi, passate ad uno stato di calma maggiore, ancora si riconobbero anche sempre di più, si afferrarono nei loro elementi, e tu di lì a poco potesti vedere dentro i palloni una specie di animali di classe superiore.
11. Fattasi in seguito, tanto nei grovigli vitali quanto nelle loro figure interiori, ancora maggiormente quiete, le rispettive formazioni anteriori animiche si riconobbero di nuovo più intimamente e trapassarono nella forma di due aquile femmina; poi vedesti uno stormo di gazze che cominciarono a molestare i palloni; questi erano gli spiriti vitali esteriori, i quali dovevano pure riunirsi alle due anime. Quando questo processo fu compiuto nella maniera a te visibile e corrispondente all'importanza del fatto, allora scorgesti immediatamente due mucche. Questa sarebbe dal punto di vista animico una forma già vicina a quella umana; tuttavia vi manca ancora qualcosa di elementare-primordiale.
12. Le due anime umane, quelle cioè di coloro che erano stati i mariti della vedova, scorgono tale deficienza e la colmano in conformità al buon ordine; allora nelle figure delle due mucche si desta come una nuova vita; tutto viene sconvolto in loro, ma con ciò viene creato un nuovo ordine organico, e ben presto fuori da loro sorgono due perfette figure umane. Queste vengono poi afferrate con l’amore dalle due anime umane lì presenti, e questo amore forma immediatamente la sostanza primordiale assolutamente genuina atta a costituire un corrispondente rivestimento, e così le anime prima tanto scomposte riacquistano per sempre la perfetta forma umana nonché la necessaria conoscenza; questo viene chiaramente indicato dalla direzione che loro prendono verso occidente.
13. La voce però che tu, Mataele, intendesti per ultimo, e che si espresse in termini di lode e di ringraziamento, era nuovamente quella dello spirito tutelare che circa due anni prima ti aveva suggerito il vero rimedio per curare una simile malattia. Ora quello spirito vedeva l’immensa difficoltà che si opponeva alla trasformazione di un diretto ordine contrario in un ordine vero e celestiale, perché anche in questi casi con poco veleno si può convertire molto balsamo in altrettanto veleno, mentre con poco balsamo è quasi impossibile convertire molto veleno in altrettanto balsamo salutare! Soltanto a Dio tutte le cose sono possibili, e ciò spiega l'ultimo rendimento di grazie dello spirito tutelare al Signore.
14. Avete dunque ben compreso tutto ciò? Se qualcuno vi trova ancora qualcosa di oscuro, si faccia avanti, e gli sarà subito fatta luce».
Le preoccupazioni di Cirenio per l'ordine dell’evoluzione animica sulla Terra.
1. Dice Cirenio: «O Signore, Tu che solo sei savio e giusto, per quello che riguarda la storia che abbiamo udito, essa mi è ormai perfettamente chiara, perché - da questa disposizione ingegnosa e veramente divina che sorge da Te nel processo del divenire naturale delle cose - io vedo il Tuo Ordine eterno e vedo anche come in un simile Ordine Ti siano possibili tutte le cose; tuttavia c'è una cosa che davvero resta un po' oscura, ed io posso pensarci su quanto voglio, ma non riesco affatto a vederci chiaro.
2. Io non sono cioè capace di comprendere ancora perché mai la nostra anima umana, prima di trapassare nella forma umana pienamente intelligente, debba sussistere del tutto frazionata in mille volte mille piante, anzi perfino in minerali e in un numero molto maggiore ancora di animali. Prima dunque di diventare una perfetta anima umana, essa deve venire per così dire strappata e portata a galla per effetto dei fulmini, della pioggia e di chissà mai cos’altro ancora; poi questa storia della trasmigrazione e dell'attaccare le particelle animiche tra di loro si protrae in maniera discretamente noiosa attraverso tutto il mondo vegetale e animale, col finale che essa, quale anima che deve diventare una robusta anima umana, deve assoggettarsi all'onore di venire sgozzata in almeno venti buoi, e per di più forse anche in cento pecore, vitelli ed asini! Questa sì che è ciò che noi romani chiamiamo una doctrina dura (dottrina dura).
3. Non sarebbe possibile a Dio creare addirittura una perfetta anima umana e rivestirla poi di carne e di sangue? A che scopo un procedimento così lungo e noioso? Consideriamo qui un po’ il nostro Raffaele! Che cosa gli può mancare perché la sua sia una vita perfetta? E che cosa siamo noi, anime raccattate particella per particella, al paragone di lui? Non ha egli nel suo dito mignolo più potenza e sapienza che non noi in tutto il nostro corpo messo assieme con innumerevoli minime parti di sostanza? Io non mi augurerei affatto di vedere la fine di mille legioni dei più provetti guerrieri in lotta con lui: in un solo istante egli li ridurrebbe in polvere; questa sì che per me rappresenta una perfezione della vita! Ma se questa può venire conferita da parte Tua a lui, perché ciò non viene fatto ad un'anima umana? Oppure il suo spirito, come un’anima, ha dovuto anch'esso fare prima un numero immenso di trapassi attraverso chissà quanti innumerevoli gradi? Questa, o Signore, è la parte di me immersa ancora nelle tenebre! Procurami anche qui un po' di vera luce, e poi certo non ti annoierò più con simili sciocche domande.
4. Nel vostro Mosè è bensì detto: “E Dio, il Signore, fece l'uomo dall'argilla egli alitò nelle narici un fiato vivente. E così l'uomo fu fatto anima vivente”. Secondo queste parole, certo quanto mai oscure, qualora si voglia prenderle alla lettera, Tu, quale Dio, avresti alitato all'uomo attraverso le sue narici un'anima già perfetta, e poi tutto l'uomo sarebbe diventato anima perfetta a Tua immagine. Sennonché qui una cosa rimane oscura come l'altra. Perciò io Ti prego di donare a noi tutti una qualche luce a questo riguardo, quel tanto almeno che basti per farci vedere un po' chiara la cosa»
5. Ed Io gli rispondo: «Ma, Mio caro amico Cirenio, se la tua memoria qualche volta non ti serve proprio a dovere, Io davvero non ne ho colpa, perché quello che ora vorresti chiarito è già da tempo che Io ve l'ho spiegato, ed anche dettagliatamente. Tu te ne sei soltanto dimenticato; Io quindi ti rinfrescherò la memoria, e poi vedrai che tutto ti diventerà molto chiaro»
6. Esclama Cirenio: «Oh, Signore, è vero, Tu hai sempre assolutamente ragione; ormai tutto mi è già del tutto chiaro! Su questo monte e questa notte stessa ci è stato spiegato tutto per filo e per segno, quando noi per l'influenza della luce magica di quella certa sfera luminosa abbiamo assistito al processo di ogni divenire e addirittura all'efflusso dei Tuoi Pensieri e delle Tue Idee nella loro infinita molteplicità, e abbiamo perfino visto librarsi dinanzi a noi i nostri propri pensieri sotto forma di lingue e di linguette di fuoco. Sì, certo, tutto ciò noi l'abbiamo non soltanto udito, ma anche veramente visto con i nostri occhi».
Cirenio critica la Genesi di Mosè.
1. (Cirenio:) «Ma nonostante tutto, non riesco proprio a familiarizzarmi adeguatamente col linguaggio di Mosè. Ci saranno dentro certamente molte cose straordinariamente grandi e vere, ma all'infuori di Te chi comprende quanto egli ha scritto?
2. Particolarmente oscura poi è la sua Genesi! In un passo è detto: “Facciamo uomini a nostra immagine, che regnino sopra i pesci del mare, e sopra gli uccelli del cielo, sopra il bestiame, e sopra tutta la Terra, e sopra ogni rettile[11] che striscia sulla Terra”. E Dio creò l'uomo a Sua immagine, a immagine di Dio Egli lo creò; ed Egli li creò maschio e femmina. E Dio li benedisse e disse loro: 'Siate fecondi e moltiplicatevi, e riempite la Terra, e rendetevela soggetta, e dominate i pesci nel mare, gli uccelli sotto il cielo, e ogni bestia che striscia sulla Terra'. E Dio disse: 'Ecco, Io vi ho dato ogni sorta di erbe che si riproduce su tutta la Terra e ogni sorta di alberi fruttiferi che si riproducono per vostro nutrimento. E a tutte le bestie sulla Terra, e a tutti gli uccelli sotto il cielo, e a tutti i rettili che vivono sulla Terra, Io ho dato ogni erba verde, per mangiarla!'. E così fu. E Dio guardò tutto quello che Egli aveva fatto; ed ecco, tutto era molto buono. E dalla sera e mattina fu il sesto giorno".
3. Arrivati a questo punto, la storia della creazione sarebbe logicamente da considerare conclusa. Sennonché non è affatto così! Successivamente, dopo che Dio, il Signore, ebbe contemplato dappertutto la Sua Creazione, e l'ebbe trovata tutta molto buona, sempre secondo Mosè, Dio formò nuovamente il primo uomo dall'argilla o da una zolla di terra, e gli alitò nelle narici un fiato vitale, e così l'uomo si sarebbe trovato perfettamente pronto; tuttavia sembrerebbe che qui Dio si sia dimenticato della necessità anche per l'uomo di avere una femmina!
4. Nel testo di prima è detto bensì: “Egli li creò maschio e femmina”, dopo però Mosè lascia invece Adamo per lungo tempo solo, e racconta che solo più tardi Dio mandò un profondo sonno sopra Adamo, e da una sua costola creò o fece la prima donna! Ebbene, chi fra tutto questo può trovare un nesso comprensibile e logico, ne capisce evidentemente più di me!
5. Secondo il primo testo Dio avrebbe immediatamente detto ad Adamo ed Evadi signoreggiare sopra tutta la Terra e su tutte le creature viventi su di essa; Egli li avrebbe subito benedetti, perché così è scritto: “E Dio li benedisse”. Dunque Egli deve aver prima già benedetto la Terra e tutte le sue creature, dato che sta scritto ancora che Dio stesso trovò molto buono tutto ciò che Egli aveva creato; quello però che Dio stesso trova molto buono, non è possibile che non sia supremamente benedetto già per effetto del compiacimento altissimo di Dio!
6. Secondo il primo testo, tutta la Terra e la prima coppia umana appaiono benedetti al massimo grado, mentre in quello successivo tutta la cosa assume d'improvviso un altro aspetto. Secondo quest'ultimo, la Terra aveva soltanto un giardino abitabile che certamente deve essere stato ben grande se consideriamo che in mezzo ad essa sorgevano addirittura quattro dei maggiori fiumi dell'Asia. Qui fu formato da Dio soltanto il primo uomo con l'argilla, e poi a questi venne alitata nelle narici un'anima vivente; egli guardò e diede un nome agli alberi e alle erbe, ai pesci del mare, agli uccelli del cielo e ad ogni animale che striscia e cammina sopra la terra.
7. Degli insetti, le mosche, le api, le vespe, i calabroni, le farfalle, nonché di una quantità grande di altri abitanti minuscoli dell'aria che certo non si possono chiamare rettili, Mosè se n'è completamente dimenticato, come pure, fatta eccezione dei pesci, si è dimenticato degli innumerevoli altri abitanti del mare. Infatti, quando dice nell'aria, con l’espressione “sotto il cielo”, parla solo degli uccelli e, nel mare, solo dei pesci! Anche questo è un po’ singolare!
8. Ma lasciamo pure stare queste cose, perché infine con la parola "uccelli" si può in senso generale comprendere tutto ciò che ha dimora nell'aria, e con la denominazione generica di "pesci" tutti gli animali che vivono nelle acque. Ma che Mosè abbia inteso conferire ai suoi concetti un significato esteso tanto quanto sarebbe necessario per la loro giusta comprensione, questo non mi sentirei davvero in nessun caso capace di sostenerlo.
9. Ma anche se è così, a questo riguardo si potrebbe sempre ancora andare d'accordo. Ma se consideriamo il primo testo, vediamo scritto che il sesto giorno della Creazione, subito dopo l'esclamazione “Facciamo l'uomo a immagine di Dio”, Dio ha fatto sorgere un maschio ed una femmina, mentre, prendendo per buono il secondo testo, il maschio sarebbe stato formato dall'argilla molto tempo prima, e la femmina solo parecchio tempo dopo da una costola del maschio. Oltre a ciò qui tutta la Terra non appare di gran lunga così benedetta come la prima volta, per non parlare della benedizione di questa prima coppia umana di cui manca qualsiasi cenno ulteriore; al contrario, viene vietato a loro di mangiare del frutto di un certo albero sotto la minaccia di morte e della maledizione della Terra; e vediamo che più avanti, cioè dopo che questo comando è stato trasgredito, è detto anche che la Terra fu effettivamente maledetta e che essa non avrebbe più portato che spine e cardi, e che in aggiunta l'uomo avrebbe dovuto morire nonché procacciarsi il pane col sudore della sua fronte. A me pare che, prendendo per buono questo, non si possa scoprire nemmeno la più lieve traccia della benedizione menzionata da Mosè nel primo testo, né meno ancora del supremo compiacimento di Dio per l'opera compiuta, di cui è fatto pure cenno nel medesimo posto! Ecco dunque, o nostro divinissimo Amico, questa appare pure un po’ una doctrina dura (dottrina dura), nella quale, anche con la migliore buona volontà di questo mondo, non ci si riesce a raccapezzarsi!
10. Per dirla con tutta sincerità: che sia Tu il Signore, io lo credo fermissimamente, e credo a quanto Tu stai insegnando, ma dal Mosè abbastanza notevolmente confuso io preferisco piuttosto tenermi alquanto alla larga. Se Ti è possibile fornire qualche luce in proposito, ci terrò molto ad averla; ma se in conformità al Tuo Ordine, ciò non dovesse essere per ora facilmente fattibile, ebbene, per conto mio almeno non ci tengo che poco o nulla affatto. Io e noi tutti riceviamo una luce perfetta da Te, e quindi possiamo facilmente fare a meno della luce secondaria di Mosè. E invece, a che cosa ci può servire una dottrina che non siamo in grado di comprendere nella sua verità originaria? Meglio una sola parola istruttiva ben comprensibile che non diecimila parole il cui senso non lo capisce nessuno!».
La creazione di Adamo e di Eva.
1. (Dico Io:) «La tua osservazione rispetto a Mosè non è proprio tanto da criticare se valutata dal punto di vista dell'intelletto mondano; però, considerato invece dal punto di vista dell'intendimento spirituale, Mosè è ben altro da quello che ti appare sotto la veste del significato letterale. Del resto anche secondo la lettera il testo iniziale non è poi tanto diverso quanto tu pensi, perché il testo successivo è piuttosto un commento del testo iniziale e descrive più dettagliatamente, anche se in effetti più per la via della rispondenza spirituale, come si sia svolto il divenire dell'uomo.
2. In quale maniera però sia da intendere il divenire nel senso naturale, per quanto attualmente è per voi necessario, questo Io ve l'ho già spiegato questa notte. E Mataele, che conosce molto bene la scienza delle rispondenze, vi ha indicato ieri come vanno intesi gli scritti di Mosè; e a te, Cirenio amico Mio, Io devo fare nuovamente l'osservazione che tu hai davvero una memoria molto corta! Poco fa te l'ho già una volta rinvigorita e, se tu proprio lo vuoi fermamente, puoi muoverti in questo campo con un po' più di libertà. Ma per ritornare ai tuoi dubbi riguardo alla creazione dell'uomo secondo Mosè, Io ti esporrò ora, a titolo di rettifica, quel tanto che basterà perché tu e qualcun altro ancora possiate comprendere come stiano veramente le cose a questo riguardo.
3. Vedete, tutto quello che Mosè dice, e propriamente ha inteso dire con la suaGenesi, si riferisce in primissimo luogo soltanto alla educazione e alla formazione spirituale dei primi esseri umani in generale e, soltanto in via di rispondenza, anche a quelle della prima coppia umana.
4. Del resto Adamo, riguardo al corpo, venne creato e formato dalle parti eteree della più fine argilla terrestre grazie alla Mia Volontà e secondo l'Ordine stabilito, come Io ve l'ho ora spiegato. Quando egli, fattosi ricco di esperienza, attraverso la Mia Volontà ebbe acquisito quel grado di forza per effetto del quale avrebbe dovuto formarsi intorno a lui una sfera vitale esteriore estremamente intensa, e quando un giorno, stanco del lavoro e delle peregrinazioni, cadde in un sonno profondo, allora si presentò il momento opportuno di trasferire dentro la sfera vitale esteriore di Adamo un'anima naturale plasmata di elementi tratti da tutti i gradini naturali a voi già noti.
5. Quest'anima, trovandosi dentro la sfera vitale esteriore, cominciò subito a formarsi, secondo la Mia Volontà e il Mio Ordine, un corpo a lei corrispondente fuori da queste parti vitali adamitiche per lei molto soavi, ovvero fuori dall'abbondantissima emanazione vitale adamitica, come oggi sono ancora solite fare le anime dei defunti quando vogliono apparire per qualche istante ai vivi su questa Terra, e terminò perfettamente questa attività nel giro di tre giorni.
6. Quando poi Adamo si destò, egli, colmo di meraviglia e di gioia, scorse accanto a sé la propria immagine che, naturalmente, gli era intensamente affezionata come anche doveva essere, dato che, riguardo al corpo, essa pure aveva origine dal suo essere.
7. Egli però cominciò allora a percepire come qualcosa di opprimente nella regione del cuore, che era però una sensazione assolutamente deliziosa, e talora anche come un vuoto! Ora questo fu l’inizio dell'amore sessuale, ed egli non poteva più separarsi dall'immagine la cui leggiadria era per lui fonte di immensa letizia! Dove egli andava, la donna lo seguiva, e quando lei si muoveva, egli certo non poteva lasciarla andare sola. Egli percepiva il valore della donna e il suo amore, e perciò in un momento di chiaroveggenza esclamò: “Noi, io uomo e tu donna, sorta dalle mie costole (nella regione del cuore) secondo il progetto di Dio, siamo dunque una sola carne e un solo corpo; tu sei la parte più deliziosa della mia vita, e così sarà d'ora innanzi; e l'uomo lascerà padre e madre (la serietà virile e la sua preoccupazione) e resterà legato alla sua donna!”.
8. Ma là dov'è detto che Dio saldò la carne di Adamo nel luogo dove gli aveva tolto una delle costole, si spera che nessuno di voi sarà tanto ingenuo da ammettere che Dio abbia sul serio inferta ad Adamo una ferita per privarlo di una costola, affinché dal piccolo osso si formasse una grande donna; le costole sono uno scudo quanto mai solido, posto a protezione di organi vitali interni delicatissimi.
9. Quando Davide dice: “Dio, nostra solida roccaforte e potente scudo”, è perciò forse davvero Dio una fortezza formidabile costruita di tante pietre squadrate, oppure un enorme scudo di ferro?
10. Ma non altrimenti si deve intendere la costola dalla quale si dice che sia sorta Eva! Essa, la costola cioè, non è che un simbolo per la cosa; la cosa stessa però è l'interiore, possente vita d'amore di Adamo. E la costola, quale tutrice di questa vita, fu accolta da Mosè nella Scrittura in primo luogo perché essa protegge la vita, ed essa, essendo dunque uno scudo esteriore della vita, rappresenta figurativamente appunto uno scudo. In secondo luogo, poi, una donna buona, fedele, brava e amorosa costituisce anche una difesa ed uno scudo della vita dell'uomo, e perciò in via di rispondenza può venire considerata benissimo come una costola dell'uomo; ed in terzo luogo l'etere vitale esteriore è anch’esso una difesa quanto mai valida della vita naturale interiore dell'anima, senza la quale l'uomo non potrebbe vivere nemmeno per dieci istanti.
11. Ora Eva è sorta, quale delicato essere corporeo, dalla sovrabbondanza di questo etere vitale esteriore di Adamo, e poiché questo etere vitale emana fuori dalla regione delle costole e dalla bocca dello stomaco, e da qui gradatamente poi avvolge l'uomo in un ampio raggio da tutte le parti, allora Mosè, che aveva una grandissima padronanza del corrispondente linguaggio simbolico, poté con tutta ragione far sorgere Eva da una costola di Adamo, e fargli coprire o saldare da Dio la ferita con la carne di Eva. Infatti, appunto Eva era la carne sorta dall'etere vitale esteriore di Adamo, con la quale Dio gli colmò la carenza nel suo etere vitale esteriore, e quindi gli coprì la parte ferita con la carne di Eva immensamente gradita ad Adamo, carne che propriamente era anch'essa una carne di Adamo».
Il quadruplice senso in cui va compresa la Genesi mosaica.
1. (Il Signore:) «Vedete, così va letto Mosè, e così anche va compreso nella sua parte intellettivo-naturale. Certo qui c'è un modo di comprendere puramente spirituale, interiore, ancora più profondo, in base al quale con l'intera Genesi si deve comprendere principalmente il compito che Dio si è assunto della formazione dell'uomo, affinché costui riconosca e ami se stesso e Lui come il suo Tutto. In questa sfera Dio procede spiritualmente con Adamo, lo castiga se cade in errore e lo benedice di nuovo quando Adamo, o in generale la prima umanità di questa Terra, riconosce Dio, Lo ama e cammina per le vie del Suo Ordine.
2. Se così non successe tanto di frequente naturalmente nella materia, tuttavia successe spiritualmente, e ciò anche con esseri umani ancora perfettamente puri, incorrotti e di animo quanto mai semplice, in una maniera che a questi appariva come assolutamente naturale. Dunque Mosè lo si può leggere perfino in quattro modi, e lo si può sempre comprendere molto bene e chiaramente.
3. In primo luogo lo si può leggere nella sua espressione puramente naturale, dalla quale si rileva un necessario divenire entro determinati periodi e secondo l’Ordine di Dio eternamente immutabile. Di questo, tutti gli scienziati possono rimpinzarsi il loro intelletto e trarre delle conclusioni destinate a rimanere sempre quanto mai superficiali, mentre non potranno mai arrivare a fondare i loro ragionamenti su una base solida e sicura.
4. In secondo luogo lo si può leggere mescolando il naturale e lo spirituale. Questa sfera, ugualmente supremamente vera, è la migliore per gli uomini che aspirano al compiacimento di Dio, dato che ambedue i termini, procedendo l'uno di fianco all'altro, riescono visibili e comprensibili chiaramente tanto nel modo in cui appaiono, quanto nella esposizione dei fatti. (Nota bene: questo è il principio a cui si ispira anche il dettato dell'opera Il Governo della Famiglia di Dio).
5. In terzo luogo lo si può leggere nelle forme puramente spirituali, in cui cioè i fenomeni naturali nella loro durata temporanea e nelle loro variazioni non vengono presi in nessunissima considerazione, ma in cui invece si tratta unicamente della formazione spirituale delle creature umane che Mosè ha rappresentato in maniera eccellente ricorrendo alle corrispondenti immagini naturali. Il comprendere questo è compito di tutti i sapienti delle cose di Dio, ai quali è affidata l'educazione interiore dell'umanità.
6. E infine, in quarto luogo, lo si può leggere nella forma celestiale pura, in cui il Signore rappresenta il Tutto nel tutto e in cui tutto si riferisce a Lui. Come questo sia però da intendere, voi non lo potete comprendere prima che, per effetto della completa rinascita del vostro spirito, non siate diventati una cosa sola con Me, così come Io pure sono una cosa sola col Padre in Cielo, tuttavia con la differenza che voi tutti sarete una cosa sola con Me rimanendo personalità separate, mentre Io e il Padre, che è il Mio Amore, siamo perfettamente una cosa sola, l'Uno con l'Altro in Personalità eternamente non separate.
7. Ma ora io spero che tu, caro amico Cirenio, avrai concepito un'opinione migliore di Mosè; oppure pensi ancora che Mosè, che tu consideri alla stessa stregua di un cieco d'intelletto, non abbia compreso niente di tutto quello che egli ha scritto?»
8. Risponde Cirenio, tutto afflitto: «O Signore! Concedi che nella mia confusione io serbi assoluto silenzio! Infatti, ormai io vedo la mia follia in tutta la sua enormità! D'ora innanzi mi limiterò ad ascoltare, e non aprirò più bocca di mia iniziativa!»
9. Allora viene vicino a Me Cornelio e dice: «O Signore, prima che il Sole si sia completamente levato, permetti che dica anch'io qualcosa e che faccia una domanda, anzi, in effetti una osservazione, la quale forse non sarà senza una certa importanza!»
10. Dico Io: «Ebbene, parla! Dì pure che cosa ti opprime!»
11. Continua allora Cornelio: «Riguardo agli scritti di Mosè, le cose staranno certo esattamente così come Tu ce le hai ora spiegate in maniera chiarissima, e noi uomini potremmo certo scoprire il primo, il secondo e il terzo senso mediante osservazioni basate sulla rispondenza, perché fra tutto lo spirituale e il materiale deve esistere sicuramente una rispondenza; ma chi, all'infuori di Te, è in possesso della vera chiave che può dischiuderne la comprensione?
12. Quello che Tu ci hai ora spiegato, noi certo lo comprendiamo; sennonché, a quanto mi risulta, Mosè ha scritto cinque libri. Tutti questi hanno più o meno lo stesso stile e sono animati dallo stesso spirito; ora, chi mai può leggerli e contemporaneamente comprenderli? Dunque, non sarebbe forse possibile che ci venisse fornita a questo riguardo almeno una qualche lieve traccia in linea generale da esserci da guida nel decifrarli? Infatti, da parte mia d’ora in poi intendo dedicarmi quasi esclusivamente allo studio delle Sacre Scritture degli Ebrei, che sono riuscito a procurarmi in buona quantità dal Tempio. Ma io vorrei naturalmente anche comprendere quello che leggo!
13. Conosco alla perfezione l'idioma ebraico e comprendo anche benissimo la Scrittura nel suo testo letterale; però, a che cosa può servirmi il testo letterale e il suo senso materiale se non posso scrutarne quello spirituale? Dacci dunque, o Signore, qualche indizio in questo senso, affinché noi possiamo comprendere quanto leggiamo!».
La chiave principale per la comprensione degli scritti spirituali.
1. (Dico Io:) «Cornelio, amico Mio, indizi e regole per queste cose nella sfera esteriore non ce ne sono; ciò che unicamente ti può fornire la chiave dello spirito delle Scritture e ti può aiutare a comprenderle, è il tuo proprio spirito rinato fuori da Me e dalla Mia Dottrina. Finché tu non sia rinato nello spirito, non c'è regola che possa servirti in qualche modo, ma una volta che tu sia così rinato, allora non hai più bisogno di regole, dato che in tali condizioni il tuo spirito destato troverà, con estrema facilità e rapidità, quanto è affine a lui anche senza una norma generale.
2. Qualora però tu voglia comprendere almeno il senso naturale della Scrittura un po' meglio di quanto sia stato il caso finora, è opportuno che tu ti renda molto familiare l'idioma degli illiri, il quale nei suoi elementi radicali ha la massima affinità con quello Egiziano antico, e questo è a sua volta quasi identico alla primitiva lingua ebraica. Senza tali cognizioni linguistiche non potrai mai leggere con assoluta correttezza gli scritti di Mosè, e quindi non arriverai a comprenderne giustamente nemmeno il senso letterale. Ma quando tu non comprendi nemmeno i simboli terreni che vi sono contenuti, come te la caveresti se ti mettessi a scrutare i significati spirituali che vi si celano dentro, anche qualora tu avessi molte migliaia di indizi e di regole?
3. L'attuale linguaggio degli Ebrei è diventato pressoché del tutto diverso da quello parlato anticamente da Abramo, da Noè e perfino da Adamo. Resta però con Me nella fede e nell'amore, ed allora il retto intendimento ti verrà dato in aggiunta, per così dire, da sé, anzi già entro un tempo non troppo lontano! Del resto non ti sarà di danno anche se ti dedicherai spesso alla lettura delle Scritture, perché così la tua anima si manterrà attiva nel cercare e nel pensare. Sei contento così?»
4. Risponde Cornelio: «Certamente, Signore e Maestro! Una speranza giusta e fondata su un terreno sicuro ha maggior valore del pieno possesso di ciò che si era sperato. E quindi io ora mi rallegro di quello che possiedo per Tua concessione. Ricevi perciò il ringraziamento più fervente del mio cuore».
5. E quando così il nostro Cornelio fu soddisfatto, si avvicinò a Me il vecchio capo della sinagoga di un tempo, Stahar, il quale disse: «O Signore e Maestro, quello che tutti noi abbiamo ora appreso dalla Tua Bocca, costituisce una dottrina che noi comprendiamo ora; ma la comprenderà poi anche un’eventuale altra persona quando gliela comunicheremo? Se consideriamo che noi abbiamo udito e visto tante cose prima di essere stati in grado di afferrarle con la nostra mente, e se consideriamo che coloro ai quali noi dovremmo insegnarle a nostra volta non avranno appreso niente, né udito, né visto prima, ebbene, come potranno allora costoro comprenderne qualcosa con vantaggio?»
6. Dico Io: «Ma, o amico, dove avevi gli orecchi quando subito da principio dissi, ed anzi diedi a tutti voi un comandamento, di non riferire a nessun altro tutto quello che durante questa notte voi avreste visto ed inteso qui? Restino tali cose nascoste a tutto il mondo! Chi un giorno sarà rinato nello spirito, a costui ad ogni modo sarà tutto rivelato. Chi però persiste nel restare attaccato all’esteriorità del mondo, a costui tutto ciò dovrebbe apparire, a suo grave scandalo, come un’enorme stoltezza qualora ne sentisse dire qualcosa. Per tale motivo dunque è meglio che il mondo non ne venga a sapere niente; però, per il vostro rinvigorimento, è necessario che voi conosciate i misteri del Regno di Dio, e ciò è anche sufficiente per tutto il mondo!
7. Quello che voi dovrete insegnare nel Mio Nome, voi lo sapete già in grandissima parte; tutto il resto è una benedizione per voi che più o meno siete chiamati ad ammaestrare i popoli, affinché crediate senza alcuna possibilità di dubbio che Io solo sono il Signore e il Maestro dall'eternità. Infatti, se voi avete la fede vera, ferma e immutabile, allora vi sarà facile suscitare anche nei vostri discepoli la fede ferma e vivente, potendo anzitutto dimostrare loro la forza della vostra stessa fede. Ma affinché voi possiate fornire una simile dimostrazione in tutta la sua potenza, era necessario che prima di tutto voi Mi riconosceste come Colui che è proceduto dal Padre per indicare a tutti voi nella vostra carne la vera Via della Vita.
8. Se dunque tu, come è sperabile, hai ben compreso queste cose, saprai ora certo anche quello che dovrete predicare ai popoli quando sarete inviati da Me a tale scopo! Amate Dio, il vostro eterno Padre, sopra ogni cosa e il vostro prossimo come voi stessi, ed osservate infine i Comandamenti che Dio ha dato all'umanità per mezzo di Mosè; questa è, in breve, la Mia Dottrina che dovrete annunciare ai popoli; di più non occorre affatto.
9. Ma tutto il resto che avrete occasione di imparare qui, appartiene a voi, come ora ripetutamente ti ho spiegato. Spero quindi che tu sia perfettamente al corrente di quello che per ogni avvenire dovrai fare e osservare, e perciò puoi ritornare al tuo posto per il momento». Dopo di ciò Stahar ritornò al suo posto.
10. Però in quel momento ecco alzarsi re Ouran, il quale Mi domanda: «O Signore, Maestro e Dio nostro! Tu conosci le ragioni che mi hanno indotto ad intraprendere questo viaggio! Quello che io cercavo, l’ho anche trovato, e quanto ho trovato mi rende immensamente felice; ma ciò renderà sicuramente felice pure chiunque che come me l'avrà trovato! Tuttavia senza un insegnamento nessuno lo può trovare; s'impone dunque la domanda: “Chi è chiamato ad insegnare, e cosa si richiede per essere atti a fungere da maestri del popolo? I maestri in veste di messaggeri devono spostarsi da un luogo all'altro e passare di paese in paese, oppure sarebbe forse meglio erigere delle scuole pubbliche e prescrivere per legge l'obbligo di frequentarle, dopo averle provviste degli insegnanti scelti fra i più capaci?”. O Signore, Maestro e Dio nostro! Io ti prego di volermi in tutta Grazia dare qualche direttiva in proposito, perché io intendo fare ed anche farò tutto come Tu vuoi e desideri che venga fatto!».
I veri insegnanti del Vangelo.
1. (Dico Io:) «La serietà e la sincerità del tuo buon volere Mi piacciono assai; tuttavia la tua memoria si è fatta alquanto debole, perché a te e particolarmente a Mataele, ora tuo genero, Io a tale riguardo ho già dato istruzioni più che sufficienti! Pensaci solo un po' su e lo scoprirai! Del resto si comprende certo da sé che colui il quale vuole essere da guida al cieco, è opportuno che ci veda egli stesso se non vuole cadere nella stessa fossa assieme a colui che guida. Tu non puoi dire al fratello: "Vieni, affinché io ti levi dall'occhio la pagliuzza che hai dentro!", quando nel tuo occhio si trova eventualmente addirittura una trave.
2. Così pure un vero insegnante deve essere privo di mancanze che gli possono essere di impedimento nell'amministrazione del suo compito; perché, in simili casi, è meglio nessun maestro che uno imperfetto. Ma poiché vado educandovi a insegnanti, perciò anche vi mostro e vi spiego tante e così straordinarie cose; ciascun insegnante perfetto deve dunque venire prima egli stesso istruito da Dio così come anche voi ora venite istruiti da Dio. Il Padre nel Cielo deve educarlo, altrimenti egli non può pervenire alla Verità in tutta la profondità della sua luce; ma chi non perviene a questa, e con ciò non diventa egli stesso luce, come gli sarà poi possibile illuminare la notte del suo prossimo?
3. Ciò che deve illuminare la notte e convertirla nel giorno, deve essere in se stesso una luce come il Sole che sta ora per sorgere. Ma se il Sole fosse tenebroso e nero come il carbone, potrebbe trasformare la notte della Terra nel più splendido giorno? Io invece penso che, essendo così, renderebbe la notte ancora più nera e più tenebrosa di quanto essa lo fosse stata prima!
4. Quindi un insegnante il quale non sia stato educato da Dio a tale suo compito, è peggio che non nessun insegnante! Infatti, un simile tenebroso insegnante non è altro che un sacco colmo di pessima semente mediante la quale tutti i germi della più fosca superstizione vengono sparsi nei solchi della vita umana, per sua natura sempre e necessariamente misera dal punto di vista dello spirito.
5. Se vuoi che i tuoi popoli imparino a leggere, a scrivere e a fare i conti, puoi stipendiare degli insegnanti di questo mondo capaci di farlo, e puoi fare inculcare tali nozioni ai fanciulli nelle scuole; ma il Mio Vangelo invece può venire annunciato, con vantaggio e benedizione, agli altri uomini solo per mezzo di coloro i quali possiedono in piena misura quelle caratteristiche che prima ho chiaramente qualificato come necessarie a chi si vuole dedicare ad un tale ministero.
6. A questo scopo però non occorrono degli speciali edifici scolastici, ma occorre che un vero messaggero dal Cielo vada di comunità in comunità e dica: “La pace sia con voi; il Regno di Dio vi è ormai giunto vicino”. Se il messaggero viene accolto, che egli rimanga ed insegni; ma se invece egli non viene accolto da una comunità troppo attaccata al mondo e al demonio, allora che egli se ne vada via, ed anzi scuota prima la polvere dai suoi calzari! Infatti, una simile comunità non è nemmeno degna del fatto che un vero messaggero dai Cieli porti con sé la sua polvere sui suoi calzari.
7. Ma è opportuno che questa Mia Dottrina non venga imposta a nessuno, ma è opportuno che uno o più membri della comunità comprendano prima i vantaggi immensamente grandi della Mia Dottrina dai Cieli; se essi sono disposti ad ascoltarla, che venga esposta a loro con efficaci e concise parole, ma se non acconsentono a darvi ascolto o danno a vedere di non averne gran voglia, allora che il messaggero dai Cieli si allontani subito da loro, poiché conviene che le perle preziose non vengano mai gettate in pasto ai porci!
8. Ecco che ora tu sai come si deve procedere nella diffusione della Mia Dottrina. È necessario per altro che d'ora in poi tu non dimentichi più queste Mie direttive. Del resto, particolarmente questa missione santa, anzi santissima, affidala soltanto a Mataele e ai suoi quattro compagni, poiché questi conoscono ormai esattamente quello che dovranno fare e disporre riguardo alla diffusione della Mia Dottrina, ed essi nei loro cuori rimarranno anche sempre in comunicazione con Me, ciò che è pure una cosa estremamente necessaria alla efficace e vera diffusione di questa Mia Dottrina.
9. Infatti chi insegna ai suoi fratelli nel Mio Nome, siano essi di condizione bassa o elevata, costui non deve attingere alla sua sorgente, ma sempre e soltanto alla Mia. Egli non deve aver bisogno di pensare: “Che cosa dirò quando mi troverò in presenza di questo o di quello per annunciare la Parola del Signore?”, poiché nel momento del bisogno gli verrà posto nel cuore e sulle labbra quello che dovrà dire.
10. Ma chi è reso partecipe di tale Grazia, non deve esitare ad esprimersi apertamente e ad alta voce, per riguardo o timore di un qualche potente, pensando che questi potrebbe sentirsene offeso o adirarsi addirittura! Infatti, chi teme il mondo più di quanto tema Me, non è assolutamente degno di Me, e men che meno della Mia minima Grazia, né sarà mai adatto a fungere da messaggero dai Cieli.
11. Ad ogni modo tu avrai un lavoro più facile nel tuo regno dove sei legislatore e supremo giudice, e dove i tuoi popoli ti temono, dato che conoscono l'immutabilità delle tue decisioni e delle tue sentenze, ma quando un maestro, in veste di messaggero dai Cieli, andrà in qualche luogo soggetto a un duro principe, è naturale che avrà bisogno di un coraggio maggiore di quanto ne abbia bisogno tu che sei il temuto principe di un paese ben vasto.
12. Ma chi è o vuole essere un vero messaggero dai Cieli, non porti con sé né il bastone, né nessun’altra arma, e nemmeno una borsa da riporvi dentro qualcosa, perché Io stesso gli susciterò degli amici, e questi gli offriranno quello che a lui, come uomo di carne e di sangue, gli occorre. Ugualmente un vero messaggero dai Cieli, eccetto d'inverno o nelle fredde regioni settentrionali, non deve portare con sé più di un mantello, affinché nessuno possa rimproverargli di possedere troppo in confronto ad un altro che possiede di meno. Ma se qualcuno gli dona un secondo oppure anche un terzo mantello, che egli accetti pure, perché troverà occasioni più che a sufficienza nelle quali potrà fare un impiego eccellente di simili onesti doni.
13. E con ciò tu, o Ouran, conosci tutte le norme secondo le quali i veri maestri devono regolare la loro opera; una cosa soltanto Io aggiungo e dico: “Ciascun vero messaggero dai Cieli otterrà da Me la facoltà di guarire qualsiasi ammalato mediante l'imposizione delle sue mani; ed i veri messaggeri, giunti in una comunità, considerino quale primo loro compito quello di guarire gli ammalati che eventualmente vi si trovassero”. Un atto simile non mancherà di suscitare nella comunità la migliore impressione, ed essa si troverà così più presto e più facilmente ben disposta verso la nuova Dottrina dai Cieli che non per effetto del più bel sermone.
14. È noto che ciascuna creatura umana ascolta più volentieri la parola di un medico che non quella di un profeta, per quanto sia illuminato; quello che Io faccio, venga fatto similmente anche dal vero messaggero dai Cieli quale da Me inviato a tutti i popoli della Terra. Però, un vero messaggero dai Cieli deve, prima di imporre ad un ammalato le sue mani, riconoscere sempre bene se la malattia non sia di natura tale da aver ridotto l'infermo a trovarsi piuttosto nell'aldilà che non nell'aldiquà. Se il vero messaggero dai Cieli si accorge che l'anima dell'ammalato si trova già fuori dal corpo, che egli non imponga mai le sue mani, ma si limiti a pregare per lui e a benedirne nel Mio Nome l'anima in procinto di congedarsi da questo mondo. Per concludere, infine, dirò brevemente che ciascun vero messaggero dai Cieli riconoscerà sempre a tempo debito quello che dovrà fare. Ouran, ti è ormai chiaro tutto ciò che desideravi sapere ancora?»
15. Ed Ouran risponde: «Sì, o Signore e Maestro, nonché Dio, l'unico Vero! Ricevi perciò il ringraziamento più fervente del mio cuore! Ed i miei popoli dappertutto Ti renderanno onore e gloria per aver concesso al loro vecchio re tanta ed immeritata Grazia di cui essi stessi ne saranno resi partecipi. A Te dunque di nuovo il ringraziamento più ardente del mio cuore!».
Il maestoso mattutino.
1. Dopo queste parole di ringraziamento, veramente sentite col massimo ardore e con la massima sincerità, Ouran ritornò al suo posto, e in quello stesso momento il Sole cominciò ad avvicinarsi al suo sorgere e ad annunciare la sua apparizione in maniera tanto straordinaria e mai vista fino ad allora che nessuno quasi si azzardava a rivolgere lo sguardo all'orizzonte a causa dell'immenso splendore che vi regnava. Mille nuvolette leggere inondate di luce rosso chiara parevano come tremanti da profonda riverenza e in attesa dello splendido padre del giorno.
2. Dopo alcuni istanti il gran Sole cominciò a levarsi nella più chiara luce iridescente sopra i monti lontani. Però il suo diametro apparve questa volta dieci volte più grande del solito, e contemporaneamente molti fra i presenti osservarono numerosi stormi di uccelli che volteggiavano più o meno alti, in quel mare purissimo di luce vagamente colorato e che formavano come una cornice meravigliosa intorno all'astro del giorno.
3. Sull'ampia distesa del mare pareva riposare uno strato di lievi vapori che riflettevano l'iridescenza mirabile del Sole, ed una quantità di candidissimi gabbiani si rincorrevano allegramente sulla superficie vasta e brillante delle acque, fendendo maestosamente l’aria con le ali che sembravano ornate a profusione di diamanti e di rubini!
4. E una brezza mattutina si levò, tanto deliziosa, fresca e profumata, che strappò a Cirenio e a molti altri con lui l'esclamazione: «No, in verità! Nessun occhio mortale ha mai contemplato lo splendore di un simile mattino, né senso umano ne ha mai percepito la frescura e l'indicibile serenità!»
5. E anche Giara, la quale era stata in silenzio durante tutta la notte, intenta a guardare e ad ascoltare, scoppiò tutta rapita nel grido: «Oh! Questo è un mattino quale lo godevano gli angeli nel Cielo! Ah, quale magnificenza, che spettacolo indescrivibile! Questo è pure un mattino corrispondente a quello che questa notte è sorto nella più traboccante pienezza nei nostri cuori! Non è vero, o Signore, o Mio unico amore, che questo mattino è veramente un mattino celestiale di questo genere?»
6. Dico Io sorridendo: «Senza alcun dubbio, o figlioletta Mia dilettissima; quando nell'uomo tutto si è fatto celestiale, allora certo diventa celestiale anche tutto quello che lo circonda. I mattini divengono mattini del Cielo, i giorni divengono giorni del Cielo, le sere sono vere sere celestiali, e le notti sono allora un riposo dei Cieli, ma non più tenebrose, bensì splendenti in una gloria di luce per l'anima pura dell'uomo ricongiunta al proprio spirito. Goditi dunque a sazietà la magnificenza ristoratrice di questo fragrante mattino!»
7. La fanciulla allora, versando lacrime di gioia, si leva dal suo posto e, ritta, pare voler immergersi con tutto il corpo in quel tripudio d'aria balsamica e di luce.
8. A questo punto esce dalla casa anche l'albergatore Marco, che era stato occupato nei preparativi per la colazione e che per conseguenza non aveva potuto assistere al levar del Sole; ma poiché questo splendeva già sul firmamento nel pieno fulgore di tutti i colori dell'arcobaleno, egli Mi domandò sbalordito cosa volesse significare un mattino così strano. Infatti, egli era ormai giunto ad una tarda età, aveva percorso l'Europa, l'Africa, e l'Asia in lungo e in largo, ma non aveva mai visto in vita sua il Sole e le nuvolette mattutine in una simile luce! Desiderava dunque che Io gli spiegassi cosa volesse significare quello strano fenomeno!
9. Ed Io gli dissi: «Vedi, se l'imperatore che risiede a Roma venisse qui, i popoli a lui soggetti gli preparerebbero tutte le feste immaginabili, in parte per la gioia di vedere una volta il loro imperatore e in parte pure per invocare da lui indulgenza oppure questa o quella grazia qualora avessero la fortuna di trovarlo ben disposto e d'animo lieto. Orbene! Qui nella Mia Persona è presente pure un Imperatore ed un Reggitore Unico sopra tutti i Cieli e sopra tutti i mondi.
10. Quindi gli abitanti dei Cieli, uno dei quali è il nostro Raffaele, sanno molto bene quante Rivelazioni immense della Vita Io stia facendo a voi uomini, che in questa Mia Persona dimoro tra di voi e vi ammaestro quale Padre. E la suprema, beatissima gioia che essi provano ora, viene resa percettibile da loro ai vostri sensi mediante l'attività degli spiriti naturali di questa Terra.
11. Però non soltanto su questa Terra, ma pure su tutti i mondi dell’intera, infinita Creazione, viene celebrata in questo tempo una festa corrispondente, e precisamente per la durata di sette ore. In questo tempo nessuna creatura muore in tutto l'Universo, e neppure nessuna ne nasce. Ma quando le sette ore saranno trascorse, anche la festa avrà fine ed ogni cosa riprenderà il suo ritmo naturale.
12. Ed ecco che tu ora conosci la ragione della magnificenza di questo mattino. Adesso però va, ed abbi cura che la nostra colazione sia particolarmente buona perché anche noi intendiamo oggi celebrare una festa del tutto speciale»
13. Marco se ne va allora in fretta alle sue faccende, mentre tutti i presenti fanno coro alla gioia dei Cieli lodandoMi e glorificandoMi, e più di tutti Giara.
14. E dopo che tutti Mi ebbero lodato e glorificato al sommo grado per il tempo di un'ora buona, Marco riapparve per invitarci a colazione. Molti però avrebbero voluto fermarsi più a lungo sulla collina.
15. Ma allora Io dissi a tutti: «Laggiù, dove sono disposte le mense all'aperto, c'è lo stesso mattino come qui su questo colle; durante il breve percorso per scendere fin là voi lo godrete ugualmente e, giunti a valle, lo godrete doppiamente. Le nostre membra hanno bisogno di ristoro; perciò scendiamo solleciti verso le mense».
Del digiuno e della gioia.
1. A queste Mie parole dal senso perfettamente naturale, uno dei trenta giovani farisei dice: «Oh, ecco che finalmente anche una parola naturale esce dalla bocca di Colui nel Quale dimora lo Spirito altissimo di Jehova in ogni pienezza della Sua divina Sapienza, Amore, Forza e Potenza. Ma aggiungo che non c’è da fidarsi assolutamente, poiché chi mi assicura che anche dietro a questa parola non si tenga celato un senso spirituale più profondo; ma chi all'infuori di Lui fosse capace di tirarlo fuori, meriterebbe di venire compensato con un regno! Io certo non sarò quello che diventerà re!»
2. Dice allora uno dei suoi compagni: «Questa osservazione sarebbe stata già troppo sciocca a pensarla soltanto di sfuggita, nonché a proferirla ad alta voce! Come potrebbe Egli enunciare una qualunque cosa che non avesse un senso spirituale interiore? Per quanto comune possa sembrarci, essa è e rimane sempre una enunciazione del Supremo fra gli spiriti e non può, per conseguenza, non essere colma del senso spirituale più profondo! Noi due certo non arriveremo in tutte le eternità ad approfondire completamente lo spirito della frase concisa detta con tanta apparente indifferenza, ma io percepisco chiaramente che sotto a tale frase possono esservi celate infinite cose. Vedi perciò di risparmiarti in avvenire le osservazioni arcistolte di questo stampo!»
3. Dice il primo: «Suvvia, questa è stata ad ogni modo una sciocchezza da parte mia, ed io non ho difficoltà ad ammetterlo; però nelle mie parole non c'è stato alcun maligno sottinteso»
4. Osserva il secondo: «Non c’era nessun malinteso, oppure forse ti dispiace che sotto non ci sia stato proprio niente di male? Durante questa notte tu, assieme a me, hai udito, visto, percepito e avvertito tanta suprema Sapienza; ed ora ti viene improvvisamente in testa di permetterti in certo modo delle critiche! Vedi, proprio perché noi siamo così induriti nella nostra stoltezza come una foschissima notte d'autunno, appunto per ciò il Signore non ha neppure chiamato nessuno di noi a raccontare qualche fatto meraviglioso, come è stato invece il caso del sublime Mataele! È davvero bello il confronto che si può stabilire tra noi due e Mataele! A me pare di essere comunque assolutamente uno zero, e a te invece viene la voglia di fare addirittura il critico in mezzo a questa compagnia infinitamente sublime!»
5. Risponde il primo: «Hai perfettamente ragione, o fratello mio, di richiamarmi senza alcun riguardo alla realtà delle cose, perché, in verità, non ho meritato niente di meglio. Però io saprò anche punirmi da me stesso! Vedi, io avrei davvero molto piacere di prendere parte alla colazione, ma invece non lo farò! Fino a questa sera non voglio prendere nemmeno un boccone! Oh, saprò ben punire io stesso la mia insulsaggine!». E detto questo, il giovane fariseo si gira e ritorna sulla collina col proponimento di rinunciare alla colazione.
6. Ma il suo compagno dice a sua volta: «Ebbene, se tu ti decidi a digiunare, è per colpa mia che ti ho rivolto l'ammonizione, e quindi ti sarò compagno anche nel digiuno, affinché ti sia più facile sopportarlo; tu hai bensì errato, però ti sei anche immediatamente accorto del tuo errore, e perciò meriti perdono e giusta assistenza nell'opera che ti sei proposta e che tende a correggere te stesso. Resta dunque inteso che io condividerò il tuo digiuno!»
7. Ribatté il primo: «Tu non devi fare così, perché non è giusto che l'innocente soffra assieme al colpevole, come a questo mondo anche troppo spesso è il caso, davvero quanto mai triste!»
8. Dice il secondo: «Questo lo so anch'io molto bene! Ma, d'altra parte, dimmi: “Sono proprio tanto frequenti i casi in cui degli innocenti della mia specie vogliano condividere spontaneamente la penitenza di un colpevole?"»
9. Risponde il primo: «Eh, veramente casi simili non se ne verificano proprio così spesso, ma tanto più invece si verificano quei casi dove gli innocenti devono - senza volerlo - soffrire assieme ai colpevoli! Per esempio, ammettiamo che un qualche imperatore, che ha il dominio su un vasto impero ed è molto potente dato che dispone di eserciti poderosi, venga offeso da un altro potente, supponiamo da un re sì ricco, ma dominante su un paese più piccolo e quindi meno potente; di fronte a ciò, l'imperatore, per lavare una simile offesa, potrebbe evidentemente fare oggetto della sua vendetta unicamente la persona del re! Ma questo invece non avviene! Egli, con i suoi eserciti, invade il territorio del re nemico e lo devasta orribilmente, non risparmia né bestiame né abitanti; tutti vengono passati a fil di spada ed i villaggi, le borgate e le città vengono annientate col fuoco! Quanti innocenti dunque non devono scontare in questo caso il peccato di quell'unico colpevole? Io credo che questo esempio forse ti basterà, e che ti convincerai come anch'io possa qualche volta aver ragione».
10. Mentre questi due rimasti indietro si scambiavano così le loro idee, noi arrivammo sul posto dove erano collocate le mense, e ci disponemmo a far onore alla colazione che questa volta era molto varia e preparata in maniera eccellente. All'infuori di Me, nessuno si era accorto dell'assenza dei due giovani farisei che, certamente, non erano più tali! Per questo Io dissi subito a Marco di ritornare sulla collina e di invitarli a Nome del Signore a scendere per la colazione.
11. Marco eseguì prontamente l'incarico avuto ed annunciò ai due la Mia Volontà; allora i due si alzarono e seguirono Marco.
12. E quando furono giunti presso di noi, Io dissi loro: «Simone e Gabi! Venite qui e sedete a questa mensa, perché dopo che avremo fatto colazione vogliamo pure esaminare se nell'invito fatto da Me sulla collina, riguardo allo scendere per la colazione, non si possa proprio sul serio trovare qualche significato interiore! Anzitutto però si tratta di mangiare e di bere, poiché il corpo, a causa del suo temporaneo sussistere, ha altrettanto bisogno di nutrirsi e di ristorarsi quanto l'anima, qualora questa debba crescere in conoscenza e in forza di volontà.
13. Adesso perciò mangiate e bevete, e rimandate ad un altro momento il digiuno! Finché Io sono con voi come un vero Padre del vostro spirito e come un vero Sposo delle vostre anime, voi non dovete digiunare né nel corpo né nell'anima, ma quando col tempo Io non sarò più personalmente, come ora avviene, qui fra di voi, allora vi converrà digiunare di nuovo sotto tutti gli aspetti!
14. Un digiuno esagerato e praticato senza uno scopo è altrettanto una stoltezza, per non dire addirittura un peccato, quanto l'esagerato godimento. Chi vuole vivere entro i limiti di un vero ordine, costui sia parco e moderato in ogni cosa, poiché ogni eccesso non può non avere col tempo conseguenze nocive tanto per il corpo quanto per l'anima e per lo spirito. Mangiate dunque ora, e bevete in letizia, e siate d'animo gaio e sereno!
15. Un cuore sereno e lieto Mi è gradito molto di più che non un cuore turbato, triste, lamentevole, scontento di tutto e con ciò spoglio di gratitudine e certamente contenente in sé poco amore, perché in un cuore sereno dimora amore, buona speranza e incrollabile fiducia. Se qualcuno, che è triste per gravi ragioni, si trova in compagnia di un altro che è lieto e sereno, egli ben presto si sente portato a condividerne la letizia, la sua anima comincia a muoversi con maggior libertà e la luce dello spirito può più facilmente illuminare l'anima tranquilla, mentre un'anima triste finisce col raggrinzirsi, con l'ottenebrarsi e col diventare scontrosa.
16. Ritengo però che per serenità e letizia del cuore voi non intenderete affatto manifestazioni smodate, impure e immorali; queste cose restino anzi lontano da voi. Io invece parlo di quella serenità e di quella letizia che, ad esempio, colmano il cuore di una onesta coppia di sposi perfettamente sana, oppure di quella serenità e di quella letizia che delle creature umane devote a Dio provano dopo aver agito in maniera buona e gradita a Dio. Avete ben compreso tutto ciò?».
17. Tutti allora confermarono questo e si rallegrarono della Mia gioia. Dopo diche l'attenzione dei commensali si concentrò sulle vivande che erano state servite e in particolare sui grandi pesci pregiati che non lasciavano proprio niente a desiderare, né si mancò di rendere il dovuto onore al vino squisito.
Il discorso di Simone sulle ammonizioni egoistiche.
1. Trascorsa una mezz'oretta, una grande animazione cominciò a manifestarsi fra la nostra compagnia, e Simone non mancò di lasciar libero corso alla sua vena di umorismo che era davvero caratterizzato da molto spirito. Gabi, che era un giovane di vent’anni piuttosto serio, trovò opportuno di accennargli ripetutamente che non doveva andare troppo oltre con i suoi scherzi!
2. Simone però gli disse: «Chi fu a suo tempo a tirare per la veste Davide quando questi stava danzando sfrenatamente davanti all'arca? Sua moglie certo gli consigliò, poiché si vergognava di lui, maggior moderazione nel rendere manifesta la sua gioia, ma Davide non volle saperne! Vedi, proprio perciò nemmeno io ora mi convertirò alle tue intenzioni correttive, ma mi farò anzi sempre più allegro! Per conseguenza ti consiglio di non tirarmi più per la veste, altrimenti dovrò fare anch'io altrettanto con te!
3. Guarda un po', là siede il Signore il Quale soltanto è il correttore di tutti noi; perché mai vorremmo correggerci l'un altro noi, che siamo peccatori? Quando uno di noi, uomini, corregge il suo prossimo, oh, non lo fa il più delle volte per egoismo? Lo spilorcio è solito ammonire sempre il suo prossimo alla moderazione, alla temperanza e alla parsimonia, e sulle sue labbra fioriscono le massime della morale; ma perché si comporta così? Egli teme semplicemente che qualcuno, facendo così, possa cadere in miseria, miseria che egli, come persona benestante, si sentirebbe poi in obbligo di soccorrere, se non proprio per amore del prossimo, almeno per evitare le critiche degli altri.
4. Qualcun altro che è lento a muoversi, tenderà, usando i termini più persuasivi della scienza medica, a spiegare ai suoi accompagnatori i danni del camminare veloce. Un terzo che non è particolarmente amico dei grandi calori, non mancherà di far risaltare, nella maniera più convincente possibile, i vantaggi dell'ombra. Chi ama il vino, non si esprimerà certo verso i suoi amici in tono di eccessiva lode parlando dell'acqua; un giovane o anche un uomo già adulto che vede egli stesso di buon occhio una certa ragazza, si farà in quattro per prospettarle continuamente i pericoli del frequentare altri uomini, e viceversa avrà la massima cura di ammonire gli altri uomini a guardarsi dal frequentare spensieratamente le donne. A me pare che in ciascuna di tali ammonizioni emerga sempre una discreta dose di egoismo!
5. E non mi pento di dichiarare apertamente che quando si è trattato di ammonizioni, ed i casi non sono stati affatto rari, io finora ho costantemente osservato che uno dei moventi è stato sempre un certo egoismo da parte dell'ammonitore, ciò che nessuno di questi può negare per poco che rifletta seriamente ai casi suoi; egli sconsiglierà sempre calorosamente il suo prossimo dal fare quello che eventualmente lo tocca in maniera spiacevole più da vicino, adducendo ogni tipo di ragioni ammantate più o meno di moralità.
6. Se qualcuno è innamorato di una ragazza, egli non mancherà certo, ora intono serio ora amorevole, di metterla sempre in guardia dall'accordare confidenza ad altri uomini i quali, come talvolta accade, hanno gettato anch'essi l'occhio sopra di lei. Ma perché non va egli ad ammonire anche le molte altre ragazze contro il pericolo rappresentato dalla malizia degli altri uomini? Per la semplice ragione che, trattandosi di altre ragazze, il suo egoismo non è in gioco!
7. Ed io giurerei quasi di poter rendere esattamente manifesti i cosiddetti lati deboli degli individui analizzando i caratteri delle varie ammonizioni e degli insegnamenti che gli uomini si impartiscono reciprocamente!
8. Non per niente il nostro divino Maestro, quando eravamo sul colle, fece l'osservazione, magnifica e quanto mai giusta, a proposito di quei certi tali che intendono correggere gli altri quando nessuno ha chiesto niente a loro, i quali farebbero meglio a non intervenire con tanta premura per dire al prossimo: “Amico, vieni qui, che ti levo la scheggia che hai nell'occhio!”, mentre sarebbe più opportuno che facessero prima bene attenzione a non tenere essi stessi nascosta nel proprio occhio forse addirittura una trave! E quando se la sono tirata fuori, probabilmente con non poca fatica, soltanto allora essi hanno qualche diritto a domandare al proprio fratello se non gli dispiace di venire liberato dalla piccola scheggia che porta nell'occhio!
9. Vedi, o Gabi, amico mio, questa è anche una morale che però io non intendo affatto importi, come vorresti fare tu con le tue tiratine di manica, quantunque sarei disposto ad affermare quasi con assoluta convinzione che in questa mia morale dovrebbe esserci ben poco di non vero!
10. E con questo ho finito; mi riservo adesso di sentire che sapore ha questo pesce; dal canto tuo, o amico Gabi, puoi frattanto allentare un po’ le briglie alla tua lingua da predicatore; vedi soltanto di risparmiarmi un’eventuale ventata di sapienza salomonica, a masticare la quale nessuno di noi due ha i denti abbastanza robusti. Noi due dobbiamo essere, in generale, già lieti di avere la coscienza che siamo ancora vivi; in quanto a Salomone, però, lasciamolo tranquillamente in pace, e il suo Cantico elevato lo canti chi vuole; le nostre voci - speriamolo non raggiungeranno mai questa elevatezza sulla cara madre Terra!»
11. Gabi appare un po’ seccato a queste punzecchiature di Simone; tuttavia per rispetto verso di Me rimane zitto e tranquillo.
Simone critica il “Cantico dei cantici” di Salomone.
1. Dico Io a Simone: «Il tuo compagno è dunque grande amico di Salomone? E che cosa ne capisce poi del suo Cantico dei cantici? DimMi, fino a che punto vi ci siete già inoltrati?»
2. Dice Simone: «Signore e Maestro del Cielo e di questa Terra! Se posso esprimermi molto liberamente, con tutta franchezza, parlo volentieri; ma se devo mettermi a cercare le parole, ho chiuso, perché allora non tiro fuori niente!»
3. Dico Io: «Parla molto liberamente, poiché la tua arguzia e il tuo umorismo vengono da un buon seme!»
4. Dice allora Simone: «Ah, se è così, tireremo pur fuori qualcosa! Ma ovviamente più in su della mia intelligenza, estremamente semplice, non si arriverà; tuttavia la mia opinione non sarà irragionevole!
5. Tu, o Signore e Maestro, hai chiesto fino a che punto ci siamo già inoltrati nel Cantico dei cantici! Che Elia mi aiuti; io non mi sono ancora affatto inoltrato, perché mi sarebbe spiaciuto perdere il tempo che eventualmente vi avessi dedicato! Ma Gabi invece ha già in testa tutto il primo capitolo a memoria. Egli continua sempre a mangiucchiarlo e a masticarlo e se ne riempie sempre entrambe le guance, ma il senso di questo capitolo lo conosce altrettanto poco, quanto io conosco il fondo del mare. Il bello però è che il primo capitolo di questo Cantico lo si capisce sempre meno, quanto più spesso lo si legge! E se in più, alla fine, lo si sa addirittura anche a memoria, proprio allora lo si capisce meno che mai!»
6. Dico Io: «Ebbene, sai forse anche tu il primo capitolo a memoria?»
7. Dice Simone: «Gabi mi ha già suonato questa musica tanto spesso, che ora purtroppo la so già anch’io a memoria parola per parola, con mia massima noia! Parlare con gli Sciti è molto più divertente che sentirsi recitare il Cantico dei cantici di Salomone. Chi ci trova qualcosa, deve essere figlio di genitori molto strani. Io lo ritengo un’assurdità! Per quanto siano belli, veri e buoni i Proverbi di Salomone e anche le sue Prediche, altrettanto sciocco e del tutto insignificante è il suo Cantico dei cantici. Chi ci trova qualcosa in più che l'opera di un folle, costui ha evidentemente un cervello completamente malato!
8. Che può significare per esempio: “Egli mi baci col bacio della sua bocca, poiché il tuo amore è più delizioso del vino.”? Chi è l’“egli” e chi è il “mi” che dovrebbe essere baciato dalla bocca dello sconosciuto “egli”? Questo “egli” dunque ha anche altre bocche estranee nella sua faccia? Allora deve trattarsi di un essere molto strano e bizzarro!
9. La seconda frase di questo primo versetto sembra contenere evidentemente la ragione della richiesta espressa nella prima frase; qui però l’“egli” è in seconda persona, e non si può dare per certo che con l’espressione “il tuo amore”, che sarebbe più delizioso del vino, sia inteso proprio l’amore dell’“egli”. Se però non si sa neppure chi è l’“egli” e chi il “mi”, come si farà poi a sapere chi è colui, in seconda persona, il cui amore sarebbe più delizioso del vino?
10. Qua tra l’altro non si fa alcun particolare complimento all’amore, quando si dice che esso è più delizioso del vino, se prima il vino non viene definito come particolarmente squisito. Ci sono infatti anche dei vini molto scadenti e cattivi! Se però l’amore è solo più squisito o più delizioso del vino, indifferentemente dalla sua qualità, allora un amore simile non è proprio un gran che! Può darsi che al di là di tutte queste chiacchiere vi sia pur sempre celato qualcosa di speciale, ma io non lo scoprirò mai a questo mondo.
11. Sovrabbondando nella testimonianza della mia stupidità, voglio attaccare al primo anche il secondo versetto, che se la memoria non m’inganna suona così: “Che si odori il tuo buon unguento profumato; il tuo nome è un unguento sparso, perciò ti amano le fanciulle." Qua il secondo versetto, per la mia intelligenza, si adatta al primo esattamente come una casa intera sopra ad un occhio! Che unguento è mai questo, e di chi? Chi è che deve odorare questo unguento? Come può, il nome di qualcuno, essere un unguento sparso, e perché proprio per questo egli dovrebbe essere amato dalle fanciulle? E chi sono queste fanciulle?
12. Perciò sta’ alla larga, o grande Salomone, con tutta la tua alta sapienza! Una Tua parola, o Signore, ha per me un valore mille migliaia di volte più grande di tutta l’alta sapienza salomonica! Ora ne ho già di nuovo abbastanza di Salomone! O Signore, Ti prego, risparmiami gli altri versetti, poiché oltrepassano di gran lunga il linguaggio degli Sciti!»
13. Dico Io: «Benissimo, Mio caro Simone, non potresti ripeterMi anche quelle parole di esortazione che Io ho detto sulla montagna, a coloro che non volevano scendere dalla montagna a causa del bellissimo mattino? Parole delle quali tu asseristi che non contenevano sicuramente un significato spirituale interiore? Se le ricordi ancora, dille ancora una volta, davanti a Me!»
14. Dice Simone, con una faccia un po’ imbarazzata: «O Signore e Maestro, se la memoria non m’inganna, le Tue parole dicevano pressappoco così: “Laggiù, dove ci sono dei tavoli liberi, c’è lo stesso mattino come qui su questa montagna. Lo godete durante il breve cammino della discesa, e giù lo godrete doppiamente! I nostri corpi hanno bisogno di essere rinvigoriti, dunque scendiamo svelti ai tavoli!”. Io credo che Tu, o Signore e Maestro, abbia detto proprio così!»
15. Dico Io: «Benissimo, mio caro Simone! Hai ripetuto la frase esattamente, parola per parola. Ma che ne dici tu se Io ora ti dico che questa frase di esortazione, da Me pronunciata, significa spiritualmente proprio la stessa cosa, ora adempiuta, dei tuoi due versetti del Cantico dei cantici di Salomone che Mi hai recitato?! Puoi immaginarti che ce ne sia una qualche possibilità?»
16. Dice Simone: «Prima di comprendere questo, faccio prima a comprendere che il cospicuo mare si trasformerà già domani nelle più rigogliose campagne. Infatti quello che Tu, o Signore, hai detto sulla montagna, era chiaro e comprensibilissimo, e noi tutti capimmo fin troppo bene ciò che dovevamo fare con grandissimo piacere, e precisamente scendere, sederci con grande letizia ai tavoli in quello splendido mattino, e rinvigorire i nostri corpi con una colazione preparata in modo eccellente! Chi non avesse capito questo, poteva essere solo completamente sordo.
17. Ma chi capisce così anche i due versetti del Cantico dei cantici? In un senso naturale essi sono, come ho mostrato prima, la più pura assurdità! Ma se lo sono, chi può volervi cercare sul serio anche un senso spirituale di sublime saggezza? Ora a me sembra, a buon diritto, lo stesso come se io di un idiota muto, più animale che uomo, mi facessi l’idea che fosse un sapiente Platone! Del resto, tutto è possibile, perché dunque non questo? Qui indico solo quello che sento e percepisco ora».
18. Dico Io: «Tanto meglio; poiché quanto più impossibile tu ora trovi la cosa, tanto più meravigliosa ti risulterà poi la spiegazione. Ma ora anche questo è straordinario: che tu e i tuoi pari con gli occhi aperti ancora non vedete nulla, e con le orecchie aperte non sentite nulla! Ma lasciamo stare! Considerato però che conosci così bene il Cantico dei cantici, dimMi ancora, in aggiunta ai due versetti, anche il terzo, e certo Io allora sarò subito in grado di risolvere perfettamente, con tua soddisfazione, l’enigma per te così inestricabile!»
19. Dice Simone: «Ahimè, anche il terzo versetto? Per amor Tuo, o Signore, faccio pur volentieri tutto ciò che mi chiedi; ma altrimenti Ti posso assicurare che quasi mi si rivolta lo stomaco!
20. Proprio il terzo versetto è davvero intricato. Se la memoria non m’inganna, il famoso terzo versetto suona all’incirca così: “Attirami a te, così corriamo! Il re mi conduce nella sua stanza. Noi ci rallegriamo e gioiamo per te; pensiamo al tuo amore più che al tuo vino. I pii ti amano”.
21. Ecco qui! Chi lo può digerire, lo digerisca! Se all’inizio dicesse almeno: “Attirami a te, così io corro!”. Ma nella seconda frase è detto: “così noi corriamo!”. Chi è che vuole essere attirato? E chi sono poi i “noi” che corrono?
22. “Il re mi conduce nella sua stanza”. Quale re dunque: quello eterno, oppure un qualche re temporale e mondano? Ma del resto la frase è pur sempre una delle migliori.
23. “Noi ci rallegriamo e gioiamo per te”. Qui vorrei solo sapere chi sono i “noi”, e chi è quello per cui essi gioiscono!
24. Inoltre quei certi sconosciuti pensano all’amore di quel tale, pure sconosciuto, più che al vino; vino di cui pure non viene detto il grado di bontà!
25. Chi è, alla fine, il sommamente sconosciuto “ti”, che i pii amano? Oh, questo è il più incerto di tutti i modi di esprimersi!
26. Quale misera cosa è mai l’uomo di questa Terra! Incomincia con nulla, vive con nulla, e infine termina di nuovo con nulla. Se anche crede di capire qualcosa, durante i periodi migliori e più luminosi della sua vita, ma incappa poi sfortunatamente nel Cantico dei cantici di Salomone, ecco che questo tale è già bello e pronto per entrare in manicomio. Infatti, non appena l’uomo viene reso consapevole ad opera di un altro uomo, verbalmente o per iscritto, che la propria sapienza è completamente finita, allora è anche già la fine dell’uomo stesso. Vale a dire: egli continua sì a vivere, ma come un folle, che non è più in grado di afferrare e di comprendere nient’altro! Quando un uomo è arrivato, come me, al punto in cui non si va più avanti, egli torna di nuovo indietro e incomincia, come un animale, solo a vegetare. A che scopo un’ulteriore fatica, per nulla e mille volte nulla?
27. In verità, Signore e Maestro, Tu durante questa notte, sulla montagna, ci hai mostrato cose che finora non sono state mai mostrate su questa Terra agli uomini mortali! Io ora comprendo e conosco innumerevoli cose. Ma perché dunque non comprendo la sapienza di Salomone? Non è permesso in generale ad alcun uomo di comprenderla, oppure essa è realmente – come lo sembra molto, vista dall’esterno – una pia assurdità, che dunque non è affatto da capire? Oppure dopo tutto vi si trovano nascosti certi segreti, che sono di massima, vitale importanza?
28. Se è l’una o l’altra cosa, allora dimmelo! Infatti io credo solo a Te, qualunque cosa Tu mi dica seriamente a tal proposito. Tu certo puoi ben capire il Cantico dei cantici, purché sia poi da capire! Se però l’intero Cantico dei cantici non è che un ultimo trucco della sapienza salomonica, allora dimmi anche questo, e io getto subito l’intero Cantico dei cantici in una cloaca, affinché i suoi abitanti vi debbano studiare la sapienza di Salomone!».
Chiave di lettura per la comprensione del Cantico dei cantici.
1. Dico Io: «Amico, stai davvero diventando cattivello con la tua arguzia, ed ora potrei anche dirti quello che una volta un famoso pittore ha detto a un calzolaio! Ma per te adesso non può essere ancora che così; infatti, secondo Salomone ogni cosa ha il suo tempo su questa Terra. Ora però concentrati bene e con tanta buona volontà, così ti potrà essere chiarito un po’ meglio il Cantico dei cantici di Salomone, e come esso sia pienamente in sintonia con le Mie brevi parole di esortazione sulla montagna e abbia lo stesso significato.
2. Salomone nel suo Cantico dei cantici non ha rappresentato nient’altro che il Mio attuale Essere agli uomini, di azione in azione, di atteggiamento in atteggiamento, di effetto in effetto, ed ha fatto questo in modo profetico e sotto svariate immagini che sono piene di rispondenza spirituale. Io solo sono il suo Argomento; l’“egli” e il “tu”, il “lui” e il “te”, tutto questo sono Io. Ma chi parla con Me per bocca di Salomone è il suo spirito al singolare, mentre al plurale sono gli spiriti del popolo, che per così dire si raccolgono nello spirito del re e sovrano Salomone per un unico e medesimo scopo, e in tal modo rappresentano un’unica persona morale.
3. Dove è detto: “Egli mi baci col bacio della sua bocca”, ciò equivale a: Il Signore parli dalla sua propria vera bocca a me, Salomone, e attraverso me al popolo d’Israele, e attraverso questo a tutti gli uomini della Terra. Il Signore non dica più a me puramente parole di sapienza, bensì parole d’amore, di vita! Poiché una parola d’amore è un vero bacio dalla bocca di Dio al cuore dell’uomo; e perciò Salomone dice: “Egli (il Signore) mi baci col bacio della Sua bocca!”.
4. Allora adesso la frase successiva vi si adatta già benissimo, col dire: “poiché il tuo amore è più delizioso del vino”, ovvero: il Tuo Amore è più utile, a me e a tutti gli uomini, che la sapienza. Infatti con “vino” s’intende sempre sapienza e verità.
5. Che Salomone nella prima frase, chiedendo la Parola dell’amore, sospiri ancora pregandoMi in terza persona, ciò indica che egli con l’esclusiva sapienza è ancora lontano da Me. Con la seconda persona, nella frase successiva, dove viene espresso il motivo della preghiera della prima frase, Salomone indica invece la già maggiore vicinanza di Dio per la via dell’amore, rispetto alla via della pura sapienza. Ma il bacio, l’amore, che Salomone ha chiesto nel suo Cantico dei cantici, lo ricevete voi tutti proprio ora da Me. E così, mio caro Simone, ora il primo versetto del Cantico dei cantici potrebbe già esserti un po’ più chiaro di quanto non lo sia stato prima!»
6. Dice Simone: «O Signore, dopo quanto mi hai detto, mi è ormai chiaro anche il secondo versetto, ed ora mi arrischierei a spiegarlo!»
7. Dico Io: «Fallo, e vedremo come hai compreso, alla luce del primo versetto, il secondo versetto!»
8. Dice Simone: «Evidentemente ora esso vorrà dire: “Signore, ma se Tu mi baci col bacio della Tua bocca, se la Tua parola diventa amore, dunque un vero unguento di vita, allora questo unguento, questa Tua parola d’amore, possa essere comprensibile per tutti gli uomini”. Infatti si dice già spesso, nell’abituale linguaggio fiorito, “fiutare” anziché “capire”. Si dice spesso: “Fiuti dove va a finire?”, oppure: “Ha fiutato l’arrosto, o l'unguento [profumato]!”.
9. Ora Tu, o Signore, sei qui da noi, come Ti ha pregato Salomone nel primo versetto! Noi abbiamo il Tuo Nome, la Tua santa Parola d’Amore, che è ben più squisita della pura sapienza di Salomone! Abbiamo ora l'unguento sparso davanti a noi, il Tuo Nome, il Tuo Amore, la Tua santa Parola di Vita a tutti comprensibile, davanti a noi.
10. Ora, le fanciulle che Ti amano per questo, siamo evidentemente anche noi, considerati dal punto di vista della nostra limitata capacità di discernimento e di comprensione. Una fanciulla infatti è bensì un essere delizioso, non è del tutto priva di discernimento e di intelligenza, però non si può parlare, per lo meno in generale, di una sua grande, virile sapienza. Perciò siamo noi evidentemente le fanciulle che amano Te, o Signore, sopra ogni cosa, perché la Tua Parola d’Amore ci è comprensibile, dunque per noi essa è un unguento sparso, al cui squisito odore ci deliziamo stupendamente. Dimmi, o Signore, se ho poi compreso nel modo giusto il secondo versetto, dopo il primo!»
11. Dico Io: «In modo del tutto e perfettamente giusto e profondamente conforme a verità! Nel caso del Cantico dei cantici, all’apparenza tanto incomprensibile, esso può essere compreso molto facilmente, purché uno abbia afferrato il primo versetto nel modo giusto, per la via della rispondenza. Ma dato che tu ora hai afferrato il secondo versetto in modo così interamente e perfettamente giusto, adesso prova ancora col terzo versetto, forse anche là colpirai nel segno!»
12. Dice Simone: «O Signore, adesso mi azzarderei già subito con l’intero Cantico dei cantici! Ma il terzo versetto, dopo i primi due, sta ora svelato davanti a me, chiaro come questo splendido mattino!
13. “Attirami a Te, o Signore, così corriamo!”. Chi altri può attirare spiritualmente, se non solo e unicamente l’amore? E la conseguenza è, che coloro che sono istruiti e attirati con l’amore e attraverso l’amore, in un solo istante afferrano e comprendono - perciò corrono veramente nell’accrescimento della conoscenza - più che in molti anni attraverso l’arida e fredda sapienza. La persona al singolare, nella prima frase, è dunque solo una persona in senso morale, e nella seconda frase la persona morale appare suddivisa in una pluralità che, com’è certo evidente, attualmente siamo noi, e poi tutto Israele, e alla fine proprio tutto quanto sulla Terra intera si chiami essere umano.
14. Il Re, l’Eterno, il Santo, ora indubbiamente conduce me e noi tutti nella santissima e luminosissima stanza d’Amore e di Vita del Suo santissimo Cuore paterno! E noi ora ci rallegriamo e gioiamo oltre misura per Te, e senza dubbio abbiamo in mente il Tuo Amore paterno, mille volte più che tutta l’arida e fredda sapienza! Solo nel Tuo Amore siamo pieni di umiltà e di cuore semplice, e quindi pio; quindi siamo pii e Ti amiamo perfettamente, o Signore, proprio solo in questa nostra devozione.
15. Il mattino della Sapienza, corrispondente a quello lassù sulla montagna, è bensì splendido e bello; ma quaggiù, presso le tavole del banchetto d’amore liberissime per gli ospiti, nella grande, santa stanza del Tuo santissimo Cuore paterno, c’è ovviamente pure lo stesso mattino di vera Vita. Lassù sulla montagna, dunque già istruiti nella vera conoscenza, noi godemmo lo splendido mattino della luce di Vita. Là però non c’erano tavole apparecchiate con i cibi squisiti che nutrono e che rafforzano la vita.
16. La luce della profondissima sapienza certo ci piacque, però Tu forse vedesti già in certuni anche il germe della presunzione, spuntato nel cuore dal solco del piccolo giardino della vita, e dicesti con le più struggenti parole d’amore: “Figlioletti, laggiù nella profonda umiltà c’è lo stesso mattino! Se voi percorrete il breve cammino, scendendo dall’altezza della presunzione, che di solito è una conseguenza dell’alta, pura sapienza, fin giù nella profonda umiltà dell’amore, godete certamente lo stesso mattino di luce! E laggiù, nella profondità dell’amore, esso c’è ugualmente come qui, e lo godete doppiamente. Là infatti non solo c’è la stessa e medesima luce, ma c’è anche, nell’amore e nell’umiltà, la Sorgente della luce e della vita d’amore! Laggiù ci sono le tavole piene per rinvigorire, nutrire e conservare la vita nella sua interezza!”.
17. Là, o Signore, Tu ci hai attratti col vero bacio della Tua santa bocca, e noi allora non abbiamo più indugiato, ma Ti siamo corsi dietro e Ti amiamo, essendo ora, con ogni amore e umiltà, veramente i Tuoi pii! Signore, ho compreso ed esposto la cosa nel modo giusto, e ho indovinato il senso interiore delle Tue parole di esortazione, pronunciate sulla montagna?».
Simone spiega altri versetti del Cantico dei cantici.
1. Dico Io: «Proprio in modo eccellente! Se Io stesso sulla montagna avessi spiegato a te e a voi tutti i versetti del Cantico dei cantici, e li avessi paragonati alle Mie parole di esortazione, Mi sarei servito addirittura di quelle stesse parole. Tu perciò hai dibattuto la buona causa con Mia pienissima soddisfazione. Ma dato che ormai sei diventato un commentatore del Cantico dei cantici, forse ora potresti misurarti ancora con un paio di versetti del primo capitolo! Oppure c’è qualcun altro fra voi che sarebbe in grado di farlo?»
2. Dicono tutti: «Signore, noi non siamo capaci di farlo, anche se ci sembra di esserlo!»
3. Dice Simone: «O Signore, ora non ho più nessuna esitazione; all’improvviso capisco molto bene queste cose, e sicuramente anche in modo molto giusto!
4. Il successivo versetto dice: “Io sono nero, ma molto delizioso, o figlie di Gerusalemme, come le capanne di Kedar, come i tappeti di Salomone”. Questo dunque, tradotto ora nel nostro linguaggio naturale, non può voler dire altro che: “Io, il Signore, ora nel mondo fra voi uomini, ciechi e superbi sotto i più svariati aspetti, sono a voi per lo più sconosciuto, e profondamente disprezzato dal vostro gran mondo, e tuttavia in Me sono pieno di profondissima Umiltà e Mansuetudine, di Pazienza e Amore per voi, figlie di Gerusalemme!”.
5. Chi sono le figlie di Gerusalemme? Esse sono la superbia, l’orgoglio, la sete di potere e la brama di possesso dei discendenti di Abramo. Queste sono le adornate figlie di Gerusalemme, verso le quali però il Signore disprezzato, dunque nero davanti a loro, il primo Uomo di tutti gli uomini, è tuttavia benigno e misericordioso, e più delizioso e più amorevole delle capanne di Kedar (Kai-darz), le quali viste dall’esterno avevano un aspetto molto misero, ma all'interno erano tuttavia riccamente arredate con svariati tesori, da distribuire fra i poveri giusti e i bisognosi, e anche più delizioso dei preziosissimi tappeti[12] di Salomone, la cui parte visibile all’esterno era una stoffa grigioscura, crinosa, e la parte sottostante e interna, invece, era preziosissima seta indiana intessuta con oro finissimo.
6. Più avanti si dice: “Non mi guardate perché sono così nero (davanti a voi, figlie di Gerusalemme); poiché il sole (il vostro orgoglio mondano) mi ha bruciato (davanti alla vostra superba faccia mondana)! I figli di mia madre sono adirati con me”. Chi altri può essere Tua madre in Te, o Signore, se non la Tua eterna Sapienza, così come il padre in Te è il Tuo eterno Amore? Tua madre però equivale pure al Tuo eterno Ordine, e i suoi figli che sono adirati con Te, o Signore, riempiono lo Spazio eternamente infinito e col loro Ordine si oppongono al grande disordine dei figli d’Israele.
7. Infatti questo santo Ordine “lo si è messo a guardia delle vigne”, vale adire: “La Tua Volontà, in unione con tutte le Tue potenze celesti, ha dato agli uomini questo Ordine mediante Leggi, affinché le vigne, che sono le comunità degli uomini, rimanessero nell’Ordine dei Cieli attraverso tali Leggi.
8. “Ma la mia vigna, che io avevo, non l’ho custodita!”. Ciò equivale a: “Le Mie eterne, divine, inaccessibili Altezza e Profondità le ho lasciate senza custodia!”, e di questo ne dà qui testimonianza, si spera a ciascuno di voi, la Tua Presenza sommamente accessibile. I Tuoi Cieli sommi e inaccessibili e pienissimi di Luce Tu li hai lasciati, per apparire qui nella più profonda Umiltà, dunque nero davanti ai figli di questa Terra, e per condurre però i giusti poveri nella Tua stanza, nella vera capanna di Kedar. O Signore, dimmi: ho forse ora valutato correttamente anche gli altri due versetti da Te richiesti?»
9. Dico Io: «Molto correttamente; perciò dacci anche la spiegazione del sesto versetto in aggiunta al quinto!»
10. Dice Simone: «A Te vada eternamente il mio più pieno amore e il mio più intimo ringraziamento, perché Tu, o Signore, degni me, un giovanotto, per Tua Grazia e Tuo Amore, di scoprire qui, davanti a coloro che Ti amano, quei profondi segreti che finora, da quando sono stati scritti, mai nessuno ha scoperto! Di questa Grazia si rallegra oltre ogni misura la mia anima. Eppure in essa non c’è per questo alcuna superbia; al contrario, io divento sempre più umile, quanto più scorgo e comprendo il Tuo Tutto e il mio perfetto nulla. Ma Tu, o Signore, lo sai pure che mi do sempre un po’ da fare col buon umorismo, e il vino squisito mi ci predispone ancor più, e così al sesto versetto che hai richiesto, per quanto serio esso sia, non posso fare a meno di applicare un pizzico di umorismo!»
11. Dico Io: «Parla liberamente come ti senti nel cuore!»
12. Continua Simone: «Se Salomone, o la sua anima ricolma di ogni sapienza, avesse avuto occasione di trovarsi qui in mezzo a noi, egli sicuramente non avrebbe scritto il sesto versetto. Infatti, nel sesto versetto Salomone dice: “Dimmi tu, che la mia anima ama, dove pascoli [il gregge], dove riposi a mezzogiorno, perché io non debba vagare qua e là presso le greggi dei tuoi compagni!”. Allora infatti Salomone, e attraverso lui l’anima del suo popolo, Ti avrebbe sicuramente trovato a pascolare le Tue pecore a levante, a mezzogiorno, a ponente ed anche a settentrione; dunque sempre in attività e non solamente mentre riposi a mezzogiorno!
13. Ritengo che sia ormai passato l’eterno mezzogiorno del Tuo riposo – ossia quella durata infinitamente lunga di tempo, in cui non camminavi Tu stesso fra gli uomini, come fai adesso, ma li avevi affidati ai Tuoi compagni, che sono diventati sempre più sciocchi e superbi. E un nuovo ed eterno mattino di Vita è sorto per noi, e chi Ti ha riconosciuto non Ti cercherà mai più qua e là presso i Tuoi compagni, divenuti ora sommamente sciocchi e pigri.
14. Che ne pensi Tu, o Signore: ho almeno toccato, anche solo di sfuggita, il giusto senso?»
15. Dico Io: «Del tutto perfettamente anche qui, nonostante l’umorismo che hai mischiato qui molto appropriatamente! Ma poiché ora abbiamo visto che anche il Cantico dei cantici di Salomone può essere svelato, e tu stesso, Simone, te ne sei fatto un’opinione tutta diversa, così anche Gabi, che prima ti ha rimproverato, dovrà darci ora qualcosa di buono; e precisamente Io stesso vorrei sentire dalla sua bocca la ragione per cui era tanto entusiasta del Cantico dei cantici di Salomone, senza tuttavia averlo minimamente capito! Gabi, apri dunque la tua bocca e dicci qualcosa!».
Gabi riconosce la sua stoltezza e vanità.
1. Gabi allora si alza, fa una profonda riverenza e poi dice con voce tanto malsicura che perfino i romani, gente di solito molto seria, non possono trattenere un lieve sorriso: «O Signore e Maestro! Io non sono mai andato in cerca di gloria, perché questa non è mai stata la mia passione, né, in generale, mi interessa la gloria finché avrò vita, e poiché non cerco, né voglio gloria, io preferisco non parlare e starmene zitto! E così io avrei anche finito di parlare!»
2. Esclama allora quasi involontariamente Simone: «Oh, oh! Che cosa è mai questo? Ma se tu hai sempre parlato volentieri! Anzi, hai cercato di emergere dappertutto quale un buon oratore e non hai mai sdegnato un’eventuale parola di lode nei tuoi riguardi! Strano, strano davvero!»
3. Ribatte Gabi: «Quello che faccio, lo faccio io, e non occorre di certo che tuti affanni a questo riguardo! È facile parlare quando ci si trova esclusivamente fra esseri umani! Qui invece è presente Dio e sono presenti degli angeli, quindi nessuna voce umana deve farsi sentire con troppa spavalderia, anzi è meglio se, con tutta umiltà e modestia, non si fa affatto sentire! Io mi chiamo Gabi, il taciturno, e non Simone, lo spavaldo!»
4. Osserva sorridendo Cirenio: «Aha, hinc illae lacrimae! (Ah, perciò quelle lacrime!). Guarda un po', il giovanotto non cerca la gloria, e tuttavia appare alquanto scontento perché Simone, il suo compagno, si è acquistato il Tuo compiacimento, o Signore, con l'interpretazione del Cantico dei cantici! Davvero, questa cosa di Gabi non mi piace affatto!»
5. E perfino Giara interviene dicendo: «Neanche a me piace una cosa simile! Infatti, io provo invece una grande gioia quando vedo che l'Amore e la Grazia del Signore cominciano a manifestarsi meravigliosamente nell'anima di qualcuno! L'ipocrisia dell'anima, in qualunque forma, è però qualcosa di ripugnante. Chi viene invitato a parlare dal Signore, ma non lo vuole fare per un falso senso di vergogna, e cerca di coprirsi dichiarando che non va in cerca di gloria, costui mente a se stesso e agli altri! Ora la menzogna è una cosa quanto mai brutta!»
6. Riprende poi a parlare Simone: «Alzati dunque, giustificati con parole ragionevoli e dà la risposta che si addice alla santa domanda del Signore»
7. Allora Gabi si alza nuovamente, chiede scusa per essersi espresso prima così stoltamente dinanzi al Signore, dichiarandosi nello stesso tempo ormai quanto mai volonteroso di rispondere, purché ciò sia ancora gradito al Signore!
8. Ed Io gli dico: «Ebbene, parla pure, perché la domanda che ti rivolsi prima Io non l'ho affatto ritirata perché la ritenevo non valida; al contrario, noi tutti siamo in attesa di una qualche modesta risposta da parte tua! Parla dunque, e facci sentire quello che sai!»
9. Dice Gabi: «Dato che mi fu rivolta una domanda riguardo alla mia predilezione per il Cantico dei cantici di Salomone, malgrado il fatto che non ne abbia compreso mai niente, io dirò qui apertamente le ragioni di una simile predilezione. Io stesso devo confessare però, conformemente a verità, che una vera e propria ragione per fare ciò io non l'ho mai avuta, cioè una ragione buona, perché una ragione cattiva non è che una sabbia che non potrà mai offrire un fondamento stabile ad una casa, sia che essa venga presa in senso spirituale o materiale. Orbene, qual era dunque il vero motivo della mia mania per il Cantico dei cantici di Salomone? Nient’altro che una grande stoltezza e una vanità che erano celate in me e che ora si rivelano ai miei occhi con tutta chiarezza!
10. Io ci tenevo a farmi valere quale un sapiente e un profondo conoscitore della Scrittura non soltanto presso i miei compagni, ma anche presso tutta l'altra gente, e perciò anche fra tutti i libri della Scrittura mi ero scelto ad oggetto delle mie considerazioni predilette appunto quello del quale mi risultava che nessuno fra tutta la schiera degli scribi e dottori della legge ne comprendeva qualcosa, come non ne comprendevo io stesso. Sennonché io ero molto astuto, e per conseguenza tenevo un contegno molto prudente, serio e savio all'apparenza!
11. Spesso mi venne domandato, quando venivo sorpreso immerso nella lettura del Cantico con un’espressione mentitamente lieta, se io comprendessi davvero l'inestricabile mistica del Cantico. E la mia concisa risposta era sempre questa: “Qual è mai il pazzo che persiste nella lettura di un libro che non può assolutamente comprendere? Se non comprendessi la mistica altissima del Cantico, non sarei anch'io pazzo se insistessi nel leggerla? E se non la comprendessi, come potrebbe il mio animo restarne commosso?”. Si insistette in ogni modo presso di me, mi si scongiurò e si arrivò perfino a minacciarmi qualora non avessi acconsentito a rivelare almeno al sommo sacerdote quanto apparentemente ero riuscito a comprendere del Cantico; ma tutte queste manovre non ebbero alcun effetto! Infatti, io me ne intendevo benissimo del trovare pretesti e scuse di ogni genere, e non era quindi in nessun modo possibile indurmi a tradire qualcosa dei miei segreti, ciò che era per me tanto più facile, dato che in fatto di segreti io non ne avevo proprio affatto.
12. Soltanto Simone che era mio intimissimo amico conosceva, sempre però soltanto in parte, quali erano in realtà i miei rapporti con la sapienza di Salomone. Egli me lo rinfacciava spesso e mi dimostrava che con la questione del Cantico salomonico io davo a vedere di voler prendere in giro o me stesso oppure il mondo! Egli mi diceva spesso: “Con le tue cognizioni ed esperienze limitate in ogni campo, credi forse di arrivare a comprendere il Cantico dei cantici quando sarai riuscito, a forza di sudore, a impararlo a memoria?”. Io però tentavo sempre di portarlo a crederci a metà, dicendogli che io avevo la massima predilezione appunto per quei profondissimi misteri quanto mai oscuri ed aggrovigliati, perché io mi raffiguravo celato dietro qualcosa di immensamente grande! Simone finì col credere anche lui a questa cosa, tuttavia egli si ingannava enormemente, perché dentro di me io ero un nemico della sapienza di Salomone, a causa della quale questo re finì col farsi un servitore degli idoli.
13. Adesso non era certo mia intenzione quella di ingannare qualcuno, però non ho voluto che mi si scoprisse, senza che ce ne fosse la necessità, per quello che in passato non si era mai lasciato sfuggire l'occasione per ingannare gli uomini allo scopo, detto apertamente, di diventare un giorno un abile fariseo, ciò che sicuramente non era piccola cosa se si considera il mio modo di vedere la vita fino a tre giorni fa, quando ho smesso di vedere così le cose. Infatti, quanto più scaltro e raffinato in astuzie è un fariseo, tanta maggiore considerazione egli gode nel Tempio.
14. Io avevo in verità l'intenzione di bandire addirittura dalla mia memoria tutta questa sciocchezza, e di lasciarla cadere, così tacitamente, del tutto. Ma poiché il Tuo comandamento, o Signore, è stato quello che io dovessi esprimermi al riguardo, ecco che io mi sono infatti espresso conformemente a piena verità, e ciascuno ormai conosce in quali condizioni mi trovavo prima e in quali condizioni mi trovo adesso! A questo riguardo io ero quanto mai cocciuto e non c'era davvero da ripromettersi da me gran cosa; ora però credo di essere perfettamente nel miglior ordine, riconosco la Luce della vita che è la sola vera e non tenterò mai più di trarre in inganno nessuno.
15. E se ora in presenza del Signore mi sono comportato in maniera non troppo conveniente, io ne chiedo perdono dal più profondo del cuore anzitutto a Te, o Signore e Maestro, e così pure a tutti i Tuoi amici, grandi o piccoli che siano! Infatti, con il mio silenzio di prima non avevo certo intenzione di recare danno a nessuno, ma volevo soltanto tenere celata un po’ la mia antica vergogna. Però dinanzi ai Tuoi onniveggenti e santi occhi la cosa non poteva andare, e perciò mi sono mostrato come ero prima e come sono adesso! Con ciò dunque sarei pure giunto alla fine del mio discorso contro me stesso, e non saprei davvero più dire altro».
Le precedenti massime farisaiche di Gabi.
1. (Dico Io:) «È stato solo un gran bene per te che tu ti sia ora rivelato così completamente; ciononostante tu devi rendere fedelmente manifesta ancora una cosa, e ciò nuovamente non per Me, ma per il tuo solo bene. Ecco: quando ti facesti consacrare nel Tempio e per esso, è chiaro che non credevi allora in nessun Dio, dato che tu ti dedicasti immediatamente all'inganno cercando di far convergere ogni tuo senso e ogni tuo sforzo verso la meta che ti eri prefissata, cioè quella di diventare un raffinato fariseo armato di ogni astuzia! Ma quella volta nessuno ti fece notare che un fariseo non è altro che un successore di Aronne, dunque un sacerdote e un servitore di Dio e non un mentitore ed un imbroglione del prossimo, egoista ed ambizioso? Come hai potuto permettere che nel tuo cuore cominciasse a germogliare un sentimento così radicalmente malvagio?
2. Il giovare sempre all'umanità in base alle proprie forze, non è esso già in sé e di per sé una massima splendidissima della vita, la quale perfino dagli antichi savi pagani è stata osservata e tenuta in grandissimo onore in ogni tempo? Non ha detto Socrate: “Se tu, o uomo, nel tuo stato mortale vuoi onorare degnamente gli dèi, sii utile ai tuoi fratelli, perché questi sono, come sei tu stesso, l'opera più meravigliosa degli dèi! Se tu ami gli uomini, così facendo sacrifichi a tutti gli dèi che sono buoni, e perciò i cattivi non potranno punirti”. Ed i romani dissero: “Vivi onestamente, non fare del male a nessuno e dà a ciascuno il suo!”. Vedi, così giudicavano i romani che erano essi pure dei pagani; dunque, come mai potesti tu, che eri un ebreo, lasciare che nel tuo cuore si annidasse un sentimento così infernale?
3. Come mai poté non sorgere in te almeno un lieve pensiero che pur ci deve essere un qualche Dio, il Quale non può volere altro che il bene e che non ha creato l'uomo soltanto per il breve tempo di questa vita terrena, ma per tutta l'eternità? Ecco, questo è quello di cui tu devi ancora renderMi un conto rigorosamente vero, e di cui devi completamente liberarti! Parla dunque!»
4. Dice Gabi: «O Mio Dio, Signore e Maestro dall'eternità! Se io mai avessi avuto occasione di apprendere soltanto la centesima parte di quello che ho appreso qui nel corso di questi meravigliosissimi tre giorni, certo non avrei coltivato un sentimento così miserabile; ma tieni presente quel detto di invenzione romana, il quale suona: “Exempla trahunt (gli esempi attirano)”; ora di simili esempi e modelli io ne avevo dinanzi a me di una specie tale che, a confronto, quelli cattivi erano rose e fiori; e questi mali esempi e modelli si trovavano in condizioni eccellenti, e precisamente in condizioni tanto migliori quanto più erano abili nell'arte di spennare il popolo e di ingannarlo vergognosamente.
5. Infatti, essi dicevano: “È la natura, e non Dio il quale non è che una antica finzione poetica dovuta alla fantasia umana, che agli intelligenti ha dato fin dalla culla l'avvertimento che, se vogliono veramente vivere bene, conviene che innanzitutto volgano a loro profitto la stoltezza degli uomini. Chi non ha la necessaria attitudine o capacità di fare così, che rimanga quel pazzo che è per tutta la sua vita, e non sia meritevole d’altro che di accollarsi la funzione di una bestia umana da soma dotata di un po' di ragione, di nutrirsi di spine e di cardi e di dormire sulla paglia.
6. Come maestri del popolo è necessario avere cura soltanto che le volgari bestie umane da soma vengano mantenute sempre nella più grossolana superstizione! Finché questo scopo è ottenuto, la gente veramente intelligente può vivere; ma quando si vorrà mostrare agli altri la verità e condurli verso la luce, allora bisognerà che le persone veramente intelligenti prendano esse stesse la zappa, la vanga, la falce e l’aratro in mano, e che col sudore delle loro fronti si procaccino faticosamente da sé un duro pane.
7. Dunque chi si sente un vero uomo, deve tentare di fare in modo che egli venga considerato almeno come un semidio dalle comuni bestie umane da soma. Arrivato a questo punto, che egli rinchiuda la sua luce come in una tomba egiziana e che si ammanti di ogni specie di falsi splendori e di fumi stordenti; allora le bestie umane da soma cominceranno ben presto ad adorarlo, e ciò tanto più se egli vorrà procurare loro ogni tanto, sia pure apparentemente, qualche vantaggio! A dirla breve, bisogna che egli sia in grado di dimostrare alle bestie umane da soma, in maniera evidente e pur tuttavia sempre falsa, che per loro risulta inestimabilmente salutare se da parte del presunto semidio esse vengono picchiate a sangue od eventualmente addirittura a morte!
8. Si prescrivano loro dure leggi e le si sanzioni con le più terribili pene temporali ed eterne, adottando per quest’ultime il tono più minaccioso e marziale possibile, ma nello stesso tempo si prometta a colui che osserva fedelmente le leggi dei piccoli vantaggi terreni e si prometta, invece, una ben maggiore quantità di vantaggi eterni dopo la morte, ed in questo modo si viene ad acquistare la posizione di un vero uomo al cospetto delle innumerevoli bestie umane da soma! Se i suoi successori sanno come fare per mantenere la plebe nella notte della più nera superstizione, non basteranno più dei millenni per far vedere la luce alla plebe stessa, ma se non sono capaci, essi saranno costretti quanto prima a prendere miseramente il largo come truffatori dell'umanità.
9. E appunto veri uomini di questo stampo erano pure Mosè ed Aronne, i quali con la loro intelligenza vivace e con le loro molte conoscenze individuarono in breve tempo le debolezze del popolo di Israele, si imposero poi quali guide e beatificatori del popolo stesso e lo resero stupido e lo abbindolarono in una maniera tanto grandiosa ed artisticamente ideata che il popolo è rimasto ancora oggi altrettanto idiota quanto lo era circa mille anni fa ai piedi del monte Sinai, e come continuerà a rimanere ancora per molte migliaia d'anni. In fondo però questo dovrebbe essere un beneficio per il popolo, perché l'uomo è già dall'origine una bestia pigra, e perciò deve venire governato con uno scettro di ferro e deve venire spronato a compiere il bene a colpi di sferza!”.
10. O Signore! Quello che ora ho detto non è un qualche vano parto della mia fantasia, ma è la piena verità! Questa e non altra è in ciascun perfetto fariseo l'interiore visione della Rivelazione divina, la quale si presenta tanto più preziosa quanto più è incomprensibile; il Cantico dei cantici di Salomone pare fatto apposta a questo scopo, ed anche i profeti, non escluso Mosè, forniscono a questo riguardo del materiale eccellente! E questa anche fu una delle ragioni principali per cui io mi gettai a capofitto sul Cantico dei cantici.
11. Ed ecco che così io ho nuovamente finito, e credo di aver dimostrato a sufficienza che i miei sentimenti di prima non potevano essere diversi da quello che erano; infatti, com’è l'educazione così è la persona, e così pure la sua volontà e il suo operare. Che io ormai non possa che riandare con la memoria col più profondo disprezzo ad un simile genere di educazione puramente infernale, è cosa che certo si comprende da sé! E adesso, o Signore, io spero che il Tuo Amore e la Tua Sapienza vogliano usare verso di me Indulgenza e Grazia perdonandomi un tale mio modo di pensare e di agire come è stato confessato da me in tutta fedeltà e verità!»
12. Dico Io: «E come potrei Io non concederti il Mio perdono, dal momento che tu da te stesso hai per sempre messo al bando tutto questo ciarpame d'inferno? Io ho fatto in modo che tu ti decidessi a rivelare ad alta voce simili cose dinanzi a noi appunto perché con ciò il tuo cuore avrebbe potuto rendersi perfettamente libero, e tu saresti d'ora innanzi diventato un fautore dell’assoluta verità dalle radici più interiori della tua vita. Contemporaneamente però Io ho perseguito anche l'altro scopo di fare in modo che tutti i presenti apprendessero per bocca di veri testimoni come oggigiorno sia generalmente costituito il fariseismo e come per conseguenza fosse necessario che Io stesso venissi personalmente a questo mondo per evitare che tutta l'umanità si corrompesse e fosse travolta nella rovina. Ed ora vedete di appianare anche fra di voi due ogni questione; nel frattempo Simone ci esporrà chiaramente qual è la sua intimissima opinione sul conto della Mia Persona!».
Le opinioni di Simone sul Signore.
1. Dice Simone: «O Signore! Io mi sbrigherò presto e facilmente. Tu sei in Spirito il Figlio proveniente da Dio, e sei qui dinanzi a noi Dio ed Uomo contemporaneamente. Tu sei per Tuo stesso Potere l'Unico tanto nel Cielo, quanto su questa Terra; a Te non è pari nessuno in tutto l'infinito! Un angelo non si inchina mai alla volontà di un uomo, ma se Tu invece gli fai il minimissimo cenno, egli adempie la Tua Volontà in un attimo, più veloce del pensiero. Ciò che Tu vuoi, avviene inevitabilmente, ed una Parola proferita dalla Tua Bocca è già un'azione compiuta!
2. Il Tuo occhio penetra in un istante tutta la Creazione spirituale e materiale; i pensieri più reconditi degli angeli Ti sono così chiari come fossi stato Tu stesso a pensarli, e quello che noi, miseri uomini mortali, per quanto anche profondamente pensiamo dentro di noi, Tu lo vedi più chiaramente di come noi vediamo il Sole che risplende ancora con tanto fulgore sul firmamento. A Te è noto tutto ciò che le profondità dei mari tengono celato in loro, Tu conosci il numero dei granelli di sabbia contenuti nel mare, il numero delle stelle e quello che esse abbracciano e portano, Tu conosci il numero dei fili di erba sulla Terra, degli arbusti, degli alberi e degli spiriti in tutto lo sconfinato spazio della Creazione; tutto è a Te più conosciuto che non a me il numero uno. Se io ora, dunque, questa cosa non soltanto la credo in maniera vivente, ma la so pure chiarissimamente, non vi sarà certo grave difficoltà a dichiarare: “O Signore, questa è la mia intimissima opinione sul Tuo conto, in quanto ho avuto occasione e possibilità di conoscerTi durante i tre giorni; altro io non saprei davvero dire in proposito!"»
3. Dico Io: «Ma, compreso oggi, voi siete qui da Me più di soli tre giorni; come mai tu allora parli di tre giorni solamente?»
4. Risponde Simone: «O Signore, che m’importa dei tre giorni materiali? Per me contano soltanto i tre giorni della conoscenza spirituale, e questi sono anzitutto il vero riconoscimento della materia, quindi il riconoscimento dell'essenza delle anime, ed infine il riconoscimento dello spirituale puro. Questi sono i veri tre giorni della vita trascorsi da noi presso di Te!»
5. Dico Io: «Oh, questa è certamente tutta un'altra cosa, e così Io sono davvero assolutamente contento di te, perché vedo che ormai ti muovi perfettamente a tuo agio nel campo delle rispondenze; là però dove non sei ancora perfettamente a posto, è la conoscenza interiore di te stesso! E perciò avviene pure che il giudizio da te ora dato di Me non è sorto integralmente nella parte più intima del tuo essere; qui dentro sta ancora rincantucciato qualcosa che tu devi pure portare alla luce del Sole! Si tratta bensì solo di un minutissimo granello di dubbio sul Mio conto, il quale emerge in te ogni tanto; ora vedi, è opportuno che tu ti liberi anche di questo granellino, altrimenti c'è il pericolo che col tempo cominci a germinare e che nel tuo cuore si sviluppi e cresca una vegetazione fatta di dubbi tenebrosi che poi sarebbe molto difficile da distruggere ed estirpare! Scruta profondamente nel tuo cuore e vedrai che rintraccerai questa minuscola, cattiva semente del dubbio!»
6. Simone allora Mi guarda un po' sbalordito, volge in giro lo sguardo sugli altri commensali, rimane meditabondo per un po’ e poi dice: «O Signore, in verità io posso cercare quanto voglio, e tuttavia non riesco a trovare, per così dire, niente! Infatti, qualsiasi minimo dubbio sul Tuo conto io sento di poterlo ridurre in polvere in un momento, e non vedo proprio come uno ne possa sorgere ancora in me»
7. Dico Io: «Eppure, eppure; pensaci su bene, e certo lo troverai!»
8. Osserva Simone: «Davvero Tu mi induci a spaventarmi di me stesso; che io sia segretamente proprio del tutto una specie di essere mostruoso? Io posso fare e pensare come voglio, ma non vedo nemmeno lontanamente qualcosa di simile a quanto Tu, o Signore, dici di scorgere in me. A che riguardo e in quale maniera potrebbe sorgere in me ancora un dubbio, od almeno quale potrebbe essere la ragione?»
9. Dico Io: «Oh, ma Simone, amico Mio! GuardaMi bene e dì se il Mio aspetto sia davvero tanto rigido e vendicativo al punto che tu tema di rendere manifesto ad alta voce quello che per così dire ti sta sulla punta della lingua?»
10. A queste Mie parole Simone rimane formalmente atterrito e dice: «Ma, o Signore! È proprio necessario che io esponga qui pubblicamente anche questa minuzia che io ho ritenuto semplicemente sconveniente?
11. È evidente che l'uomo può pensare moltissime cose, ma in realtà egli non le pensa di sua spontanea volontà! Io sento che il pensiero è come se mi venisse suggerito da una qualche parte nel cuore, e qui rimane come aderente per un certo tempo; alla fine esso svanisce e non ne resta più quasi nemmeno il ricordo. E così anche questo mio piccolo pensiero del dubbio potrebbe essermi come volato nel cuore, ed io l'ho anche pensato e subito dopo rigettato, perché contro di lui io ho nel cervello e nel cuore mille fra le più inoppugnabili prove! Oltre a ciò io ritenni sul serio non troppo conveniente esprimere apertamente un simile pensiero! Ma se Tu però, o Signore, insisti assolutamente, ebbene, io lo esprimerò volentieri! Dunque, o cari e grandi amici del Signore, vedete di prenderlo come quello che da parte mia è stato completamente rigettato!
12. Ora questo è il pensiero che era sorto in me: siccome da quando io mi trovo qui ho visto questa amabile e floridissima fanciulla starsene continuamente al fianco del Signore, in me si insinuò veramente come da se stesso il pensiero, certamente quanto mai ridicolo, che al Signore potesse eventualmente essere non estraneo anche l'amore che attrae sessualmente noi, esseri umani, almeno finché Egli pure dimora nella carne di questa Terra! Ma se ciò fosse, quale aspetto assumerebbero le cose riguardo alla Sua Spiritualità assolutamente pura? Dio può certo amare di Amore purissimo tutte le Sue creature, ma potrebbe poi Egli amare del tutto particolarmente, adesso su questa Terra, una qualche graziosissima fanciulla anche sessualmente? L'affermare o il negare questa cosa era compito alquanto grave per la mia intelligenza, quantunque la mia anima mi dicesse che presso di Te ogni amore non può essere che puro al massimo grado, anche quello che fra di noi, creature umane, andrebbe classificato come perfettamente impuro!
13. O Signore, questo è quello di cui Tu hai voluto che io mi liberassi! Ma ora io ho davvero esaurito tutti i granelli e i minimi germogli che c'erano in me, e Tu, o Signore, fanne quello che vuoi; o forse il Tuo occhio divino onniveggente scorge ancora qualcosa in me? Se in me davvero si tenesse celato ancora qualcosa di simile o di altro genere che io non vedo, o Signore, fammi la Grazia di farmelo notare, ed io lo porterò immediatamente alla luce senza timore».
I pensieri di Simone sulla natura sessuale del Signore.
1. (Dico Io:) «Ora tu sei puro, e non c'è più nulla in te che possa indurre in errore la tua fede in Me; però adesso Io voglio mostrare a te e anche a tutti gli altri quale fittissima boscaglia di dubbi sarebbe sorta nella tua anima qualora non ti fossi liberato da questa minuta semente del dubbio. Tu semplicemente incominceresti a filosofare gradatamente riguardo a Me in questo modo:
2. “Che cosa succederebbe se Io Mi compromettessi con una fanciulla, e la conseguenza ne fosse un frutto generato in grembo alla fanciulla stessa? Se il frutto fosse un maschio sarebbe anch'esso un Dio? E se invece fosse una femmina, che cosa sarebbe mai questa? Se Io Mi inducessi ad un atto simile, la legge di Mosè ne sarebbe perciò sminuita? Questo non renderebbe il Mio Uomo-Dio inadatto alla conservazione dello Spirito divino? E sarei Io in generale nella Mia Persona sì o no capace di un simile atto? Ma come potevo Io, nel dare vita agli uomini, dotarli di una capacità a compiere un tale atto, se Io stesso ne fossi incapace?
3. Se l'atto è in sé un peccato nella carne e indebolisce l'anima e lo spirito, perché Io ho posto nella carne e nell'anima dell'uomo lo stimolo a quest'atto peccaminoso agli scopi della sua procreazione? Non avrei potuto stabilire che la procreazione si effettuasse per una via più pura? Ma se quest'atto procreativo è l'unico giusto e possibile nell’Ordine di Dio, pure Dio deve poterlo compiere altrettanto bene quanto l'uomo! Per quale ragione è quest'atto un peccato per l'uomo, mentre per Dio non sarebbe peccato; oppure può Dio, in certe circostanze, peccare anch'Egli contro il proprio Ordine? Ma come poi potrebbe essere Dio il purissimo Amore qualora Gli si potesse imputare una debolezza peccaminosa propria all'uomo?
4. È impossibile che Dio, come Tale, possa peccare contro il proprio Ordine! Qualora però Egli abbia assunto la natura umana, è la Sua carne capace o incapace di peccare? Deve combattere anch’Egli contro tutti gli stimoli della carne e, se tali stimoli sono in Lui, chi è che li fa venire su di Lui? C'è un qualche Dio superiore o più antico ancora che fortifica con ogni genere di aspre prove e fa rinascere nello Spirito questo giovane Dio solo ora in formazione? Se adesso questo giovane Dio peccasse come un uomo, potrebbe anch'Egli venire rigettato al pari di un uomo?
5. Non sarebbe possibile che gli antichi egiziani avessero ragione con la loro genealogia degli dèi principali? Urano generò, dicono essi, con Gea, Crono, (Saturno, il tempo) il quale distrugge le sue opere appena compiute. Giove, quale la volontà di Crono, viene salvato attraverso l'amore, cresce nascosto e diviene immensamente potente; la potenza di Giove costringe Urano e Crono a ritirarsi per sempre, regna incontrastata da sola e crea gli uomini sulla Terra, ed è proprio per questo che Giove, da parte del terribile ed imperscrutabile Fato, la Divinità primordiale, viene afflitto anche da molte debolezze umane! Il Fato sembra essere il grande Dio sconosciuto; ora però, stanco in certo qual modo di regnare, egli, sconosciuto ed invisibile, ha deposto una Scintilla divina in una pura vergine, e così ringiovanito si è posto in questa Scintilla un Figlio, un successore nel governo del mondo, e questi sta ora dinanzi a noi e fa le sue prime prove nell'arte divina del regnare!”.
6. Io potrei benissimo citarti ancora una grandissima quantità di simili deformazioni mostruose dalle quali è composta la fitta boscaglia dei dubbi di cui ho detto prima, suscettibile di degenerare in aspre sterpaglie e male zizzanie. Ma poiché in te ormai la semente ne è annientata, tu sei puro, e non c'è più da parlare di un rifiorire di queste male piante; e dato che tu sei qui perfettamente purificato, sei ugualmente del tutto adatto a fungere da Mio discepolo, anzi quale uno fra i primi.
7. Del resto ora ti sarai convinto del come e del perché questa giovinetta Mi sia affezionata con tanto amore. Infatti, quanto Mi ama lei, non Mi ama nessuno di voi. Il vostro amore è piuttosto un'ammirazione per la Mia Sapienza e per le Mie Opere prodigiose che voi non potete spiegarvi. Ma questa fanciulla invece Mi ama puramente per Me stesso, poiché lei conosce definitivamente Chi dimora in Me. E questo certo vale di più che non ammirarMi quale Dio, dato che a ciascuno deve essere chiaro come debbano essere possibili a Dio tutte le cose! Questo è pure buono, senza alcun dubbio, ma l'altra cosa è migliore.
8. Cosa ti sarà più gradito: se ti si amerà perché sei un uomo, oppure soltanto perché, come uomo, sei un sapiente e un perfetto intenditore di ogni arte? Il primo amore sorge dalla vita ed abbraccia a sua volta la vita; il secondo invece non ha origine che dal senso artistico ed abbraccia semplicemente l'arte e la scienza di colui che le possiede! Giudica tu ora quale amore collocheresti più in alto!»
9. Risponde Simone: «Evidentemente il primo, perché chi mi ama come uomo, costui mi amerà tanto di più quando saprà che sono un sapiente ed un artista; chi invece mi ama ritenendomi un sapiente ed un artista, costui sentirà svanire ben presto il proprio amore quando eventualmente apprenderà che io non sono né un savio, né un intenditore d'arte! Perciò il purissimo amore di questa fanciulla per Te, o Signore, è in verità un amore modello, e supera di molto quello di tutti noi!
10. È vero che una fanciulla ama un uomo per lui stesso, come è naturale, con maggiore facilità di quanto un uomo ami così un altro uomo; ma se un uomo col proprio intelletto e col proprio animo considera più profondamente il valore di una persona, di un fratello, allora egli, percependo e comprendendo il suo proprio valore, stimerà ed amerà anche il suo prossimo senza considerare le sue caratteristiche. Se in seguito arriverà a scoprire in lui delle doti nascoste degne di stima, allora certo anche il suo amore per lui aumenterà! O Signore! Ciascuna delle Tue parole e dei Tuoi insegnamenti è grande e sublime, e corrisponde per tutte le eternità di eternità al vero».
Il divenire una sola cosa con Dio da parte dell’uomo.
1. (Simone:) «Io ora vedo che Tu, o Signore, Ti riveli all'uomo completamente come Dio e non fai riserve in alcun modo, né Ti circondi di mistero come erano soliti fare gli antichi profeti, i quali Ti presentavano sempre avvolto entro un fittissimo velo, limitandosi a far vedere ai mortali a mala pena un lembo della Tua veste. Essi fondarono bensì una religione ed una chiesa; ma che religione e che chiesa erano queste? La religione era una stella appena visibile entro una qualche infinita profondità degli spazi, che elargiva un raggio di speranza quanto mai modesto alla Terra avvolta fra le tenebre più fitte, e la chiesa era un edificio costruito di dure pietre, un Tempio intorno al quale erano sistemati labirinti e cortili tenebrosi, i soli luoghi accessibili agli uomini, mentre essi non potevano mai accedere alla parte più interiore del Tempio, dove su delle tavole d'oro giacevano rivelati tutti i grandi misteri della vita!
2. Qui invece non soltanto la parte più interiore del Tempio viene dischiusa e resa perfettamente accessibile agli uomini, ma addirittura avviene che Dio stesso, l'eterno Inaccessibile, Si rivela a loro del tutto personalmente come Egli era, come è e come eternamente sarà; ma è perciò che si rende d'altra parte necessario accogliere Dio non soltanto parzialmente, ma accoglierLo del tutto in se stessi con il corpo, con l'anima e con lo spirito mediante l'esclusivo ed unico amore per Lui, ed allora un simile avvicinarsi della creatura al Creatore come anche quello del Creatore alla creatura deve infine portare necessariamente ad una piena identificazione fra l'Essere originario Creatore e l'essere sorto successivamente in seguito ad un atto creativo.
3. Dio diventa una cosa sola con noi e noi diventiamo una cosa sola con Lui senza la benché minima limitazione della nostra individualità personale e della più completa libertà di volere! Infatti, senza la perfettissima identificazione della creatura con il Creatore, non si potrà mai immaginare una perfettissima libertà di volere, poiché soltanto la Volontà del Creatore può manifestarsi nella più perfetta illimitatezza e la volontà della creatura si può manifestare solamente quando essa sia diventata completamente una cosa sola con la Volontà del Creatore.
4. Se noi vogliamo ciò che vuole il Signore, la nostra volontà è completamente libera, dato che la Volontà del Signore non conosce limitazioni in eterno; ma se noi non vogliamo così, o vogliamo così soltanto in parte, allora noi non siamo che dei miserabilissimi schiavi della nostra propria infinita cecità. Solo in Dio noi possiamo renderci del tutto liberi, mentre fuori di Dio non c'è che il giudizio e la morte!
5. O Signore, Tu vedi che io non temo di parlare, e credo anche questa volta di avere colpito nel segno! Ma Tu concedici la Tua onnipotente Benedizione affinché questo preziosissimo frammento che Tu stesso, o Padre santissimo, hai trapiantato dai Tuoi Cieli eterni su questa Terra, ahimè molto magra, possa portare mille volte il frutto nel terreno dei nostri cuori ancora stolti! O Padre santissimo, diventa una cosa sola con noi, Tue creature e Tuoi figli ancora miseri, affinché noi pure, divenuti un giorno simili a Te, possiamo diventare a nostra volta una cosa sola con Te!». E terminato di parlare, Simone, profondamente commosso, scoppiò in pianto.
6. Io allora Mi alzo e dico a Simone: «Avvicinati a Me, o Mio diletto fratello Simone, e abbraccia in Me non più il tuo Creatore, ma Tuo fratello, affinché tu sia il primo ad essere divenuto una cosa sola con Me!»
7. Dice Simone, tutto umile e afflitto: «O Santissimo! Simone, il peccatore, non sarà mai in eterno degno di tanta Grazia!». E detto questo, sparge nuovamente abbondanti lacrime. Ma allora Mi avvicino Io a lui e lo stringo ripetutamente al Mio Cuore salutandolo come fratello.
8. E dopo essersi riavuto alquanto dalla sua commozione, avendo influito anch'Io sul suo animo perché si calmasse, Simone esclamò: «O Mio Signore e Mio Dio! Che cosa ho fatto io di buono perché Tu mi concedi, così all'improvviso, tanta Grazia e tanta Misericordia? Vedi, io sono consapevole dei miei molti peccati, perché la mia carne è quanto mai debole, e le giovani donne, belle e di forme opulenti, esercitano su di me un fascino possente, tanto che ogni tanto si insinuano in me pensieri sempre impuri, dei quali molto spesso sono portato a compiacermi, quantunque non nei fatti per mancanza di occasioni favorevoli, ma tuttavia nel mio animo che in simili stadi di eccitazione si sente molto spinto ad accettare questi pensieri.
9. Si manifestano bensì poi in me dei momenti assolutamente chiari nei quali prevalgono delle considerazioni più ragionevoli ed una visione più esatta delle cose riguardo a questo punto; ma a che giova tutto ciò? Se di lì a poco capita che io getti di nuovo l'occhio su una bella fanciulla, ecco che d'un tratto svaniscono tutti i momenti chiari, tutte le precise visioni e tutte le ragionevoli considerazioni, ed io mi ritrovo ad essere l'antico caprone armato di tutto il suo istinto libidinoso. Questo impulso non viene certo tradotto da me in atti, ma questo non fare non è in me genuino, bensì è un non fare dipendente dalla mancanza di cattive occasioni. Il timore delle pene temporali e della vergogna mi trattengono certo dal cadere in tale peccato, ma altrettanto non si può dire del proprio libero volere, il quale in simili occasioni fa comprendere anche troppo di che genere di brame sia colmo, e che, data l'occasione propizia, non negherebbe di sicuro il suo assenso! Purtroppo io conosco anche troppo bene la miseria della mia carne, ma perciò anche sono un uomo peccatore, e non sarò mai degno di una Grazia così grande da parte Tua».
Dello scopo e dell'essenza della sensualità.
1. (Dico Io:) «O amico e fratello Mio, che cosa può interessare a te la carne, e cosa quello che in essa avviene? Se Io non dotassi la carne di tale proprietà, l'uomo si prenderebbe mai una moglie e susciterebbe egli mai in lei il frutto umano vivente?
2. Se nello stomaco non avessi posto la brama del nutrimento materiale, chi vorrebbe mai prendere cibo? In quale altra maniera gli elementi spirituali specifico-naturali potrebbero trasformarsi in sangue e in altri umori del corpo, trapassare da qui nell'etere nerveo e finalmente, così purificati, nella sostanza animica? Certamente essi lo potrebbero fare attraverso la Mia potenza di Volontà nell'Ordine originario, ma che fine farebbe poi la facoltà del sussistere eterno? Non altrimenti che attraverso un permanente duro giudizio; ma quale aspetto assumerebbero allora le cose riguardo all'autonomia e alla libertà spirituale della vita in tempi successivi?
3. Vedi, basta un solo punto spostato nell'Ordine da Me fissato, ed è assolutamente finita per l'eternità per quanto riguarda la vita nella sua perfetta indipendenza e libertà; non sono appunto stato Io a conferire agli occhi la facoltà visiva, agli orecchi quella dell'udito, alla lingua la capacità della parola e del gusto ed al naso quella dell'odorato?
4. Sei tu forse un peccatore perché ogni tanto senti fame e sete, oppure quando guardi, ascolti, gusti o fiuti? Tutti questi sensi ti sono evidentemente donati allo scopo di percepire le forme delle cose, di percepire il savio senso del discorso e di distinguere gli spiriti buoni e quelli cattivi e nocivi della materia rozza e non ancora fermentata!
5. Va da sé che tu puoi anche peccare con gli occhi, gli orecchi, il naso, il palato e la lingua qualora questi sensi tu non li adoperi secondo il giusto ordine, qualora cioè tu tenga sfacciatamente rivolti gli occhi soltanto là dove c’è un tornaconto per la carne, oppure tu porga volentieri, anzi con bramosia, ascolto soltanto a bestemmie, parole ingiuriose e a discorsi osceni, oppure quando, per semplice passatempo, ti dedichi a fiutare delle cose puzzolenti che inquinano la carne e la fanno ammalare, e le tolgono la capacità al lavoro. Tu pecchi altresì col palato e con la lingua se non tieni a freno l'avidità di leccornie costosissime; infatti, a quale scopo il tuo palato dovrebbe venire stuzzicato con cibi e vini prelibati e costosissimi, quando accanto a te ci sono poveri in quantità che languono di fame e di sete? Se hai fame e sete, saziati di un cibo semplice e preparato di recente, ma se tu ti dedichi alla crapula, è chiaro che commetti peccato contro ogni Ordine divino.
6. Ebbene, tutto ciò non è il tuo caso, anzi, da parte tua hai già riportato tu stesso, appunto, più di una bella vittoria sulla tua carne. Così pure sei sempre stato moderato in tutte le cose e moderato nei tuoi desideri. Ciò che di male c’era più o meno in te, consisteva nella tua mancanza di fede nella Scrittura che prima non eri capace di comprendere. Sennonché la tua mancanza di fede aveva una radice onesta, mentre quella di Gabi era di tipo genuinamente farisaico e quindi disonesta. Non per questo tu rigettasti la Scrittura; volevi soltanto luce e chiarimento, e per conseguenza studiasti anche tutti i filosofi del mondo egiziano e greco. Tuttavia in te non riusciva comunque ad aprirsi la via alla luce; tu allora rimanesti esteriormente un fariseo, però nel tuo intimo continuasti ad essere un instancabile cercatore della verità. E siccome Io sapevo bene questo, ti ho destato ora ed ho aperto a te, come pure a tutti gli altri, le porte della più luminosa Verità.
7. Ormai non è più possibile che tu ricada nell’oscura notte, e perciò ti darai da fare con molto zelo per il Mio Regno dello Spirito su questa Terra! Per mezzo tuo verrà portata molta luce ai pagani della Persia. Ed ora riprendi a mangiare e a bere, perché hai ancora fame e sete, e non hai consumato ancora nemmeno a metà il tuo pesce, né vuotata la tua coppa. Dunque, o Simone, Mio giovane amico, dedicati frattanto di buona lena a questa funzione!».
8. Simone allora, sempre commosso fino alle lacrime, si rimette a sedere e fa onore al suo pesce, al pane e al vino.
Sull’essenza degli angeli. Cuore e memoria.
1. Anche gli altri ospiti seguono l'esempio di Simone, e in modo particolare Raffaele; ed è proprio quest’ultimo fatto che induce Cornelio a fare una osservazione alquanto laconica, sussurrata piuttosto che detta, ai romani che sedevano presso di lui. Ora i romani in questione erano Fausto e Giulio, e l'osservazione di Cornelio fu la seguente: «L'uomo di carne e di sangue gusta molto questi pesci preparati in maniera eccellente, e può quindi mangiarne in quantità; ma Raffaele, che è in realtà uno spirito e che non ha carne né sangue, potrebbe davvero a questo riguardo misurarsi con Ercole e col famoso gigante filisteo Golia. È stupefacente come uno spirito possa consumare tanto cibo! Egli sta mangiando adesso il suo dodicesimo pesce, e questo per uno spirito è davvero molto prodigioso! Io ho a mala pena mangiato un pesce, e nello stesso tempo l'angelo ne ha finiti ben dodici! In verità, questa è una cosa un po’ troppo incomprensibile! Non stento a credere che egli potrebbe senz'altro mandarne giù ancora altri dodici!»
2. Osserva allora l'angelo: «Non solo una volta dodici, ma dieci volte centomila volte dodici, anche se si trattasse esclusivamente di grossissime balene come quella il cui ventre offrì a suo tempo per tre giorni interi una dimora a dire il vero un po' scomoda al profeta Giona.
3. Io non ho bisogno dei pesci per il mio nutrimento, ma ne ho bisogno per la formazione di quell'etere spirituale-naturale fuori dal quale, secondo la Volontà del Signore, io devo comporre e mantenere temporaneamente questo mio corpo visibile che, quantunque spirituale, non manca tuttavia di carne e di sangue. Guarda un po' qui: non sono queste delle vene dove scorre il sangue, e questa non è forse vera carne?
4. Il fatto che, in virtù della Potenza conferitami dal Signore, dipenda da me dissolvere nuovamente in un istante questo corpo e ricomporlo, si spiega con la mia perfezione di vita spirituale, che ho conseguito nel massimo grado finora possibile. Però io non soltanto sono in grado di dissolvere in un istante con la potenza della mia volontà questo mio corpo, bensì anche il tuo, e nello stesso spazio di tempo pure l’intera Terra.
5. Ma cessa forse il tuo corpo di essere composto di carne e di sangue per il fatto che io potrei dissolverlo in un attimo? Oppure non consiste la Terra di materia solida di ogni specie, e di acqua, di aria e di una innumerevole quantità di sostanze primordiali anche se, con la concessione del Signore, mi sarebbe possibile dissolverla nel più rapido istante immaginabile nelle sue particelle specifiche spirituali-primordiali, il cui volume, pur essendo sempre qualcosa di sostanziale, apparirebbe al tuo occhio come perfettamente inesistente?
6. Per conseguenza, o amici miei, pensate, pensate bene prima che una parola esca dalle vostre labbra, affinché, quali discepoli di Dio, non proferiate mai delle insensatezze con le quali non fate davvero onore al vostro Maestro. Voi avete bensì visto, udito e imparato più di una cosa, però dell’interiore grandezza e potenza spirituali – dico – di un solo spirito angelico, per non parlare dell'eterno Spirito di Dio, voi non avete ancora la più pallida e nebulosa idea! E ciononostante vi permettete di fare delle osservazioni pungenti su quello che ad un arcangelo necessita per il temporaneo mantenimento della sua sembianza corporea!
7. Credi forse che potresti reggere alla visione della mia persona nella realtà della sua luce primordiale, qualora io volessi mostrarmi a te in questa forma? Vedi, il fuoco che proviene dal mio essere nella sua luce originaria è abbastanza potente per annientare una quantità innumerevole di soli-centrali-primordiali, quanto più poi te e tutta questa Terra! Ma affinché in seguito alla mia presenza ciò non avvenga, io devo, secondo l'onnipotente Volontà del Signore, formarmi questo corpo apparente, e devo tenere velato il mio vero e proprio essere in modo tale da evitare che l'ordine regnante nel giudizio della materia venga turbato in qualsiasi modo. Tuttavia la materia deve prima essere elaborata dal mio fuoco vitale interiore per poter essere atta a servire da spoglia protettrice ad esso! E perciò si rende anche necessario che io prenda del cibo materiale in quantità maggiore che non uno di voi.
8. Queste cose voi veramente non le sapevate, né potevate saperle; tuttavia potevate sapere che uno di noi non viene chiamato dal Signore a rendersi visibile per fare il vorace, il buffone o il prestigiatore perché voi ve ne scandalizziate, ma viene chiamato per essere utile in molti modi e per darvi una prova palpabile della presenza degli angeli di Dio e della loro potenza! Ma se siete convinti di questo, perché allora fate osservazioni pungenti sul mio modo di mangiare?»
9. Risponde Cornelio: «Oh, caro e splendidissimo messaggero del Signore dai Cieli! Non essere adirato con me, perché tu vedi che noi, spiritualmente parlando, siamo a mala pena dei neonati nella culla, e viviamo più una vita di sogno che non in qualche modo del tutto consci della realtà della vita! E tu d'ora innanzi mangia pure a tuo piacimento, e stai certo che a nessuno di noi verrà mai più in mente, nemmeno alla lontana, di pensare la benché minima osservazione a questo proposito, nonché di esprimerla. E nello stesso tempo ti ringrazio anche del grandioso insegnamento che nel tuo giustificatissimo sdegno hai voluto impartire alla nostra ostinata stoltezza. Se ora, come è il caso attuale, sappiamo il “come”, di certo non ci faremo mai un falso criterio del “perché”. Ma se invece il come non lo conosciamo, in quale modo potrebbe esserci noto il perché? Dunque, ricevi ancora una volta i miei più fervidi ringraziamenti per questo tuo grande e importante ammaestramento!»
10. Dice Raffaele: «Ogni ringraziamento spetta soltanto al Signore, il Quale è dall'eternità il Padre vostro come pure il nostro. Fate in modo però che questo ammaestramento abbia efficacia anche trattandosi di qualsiasi altra esperienza e fenomeno della vita, e così voi pure vi troverete quanto prima schierati quali degni fratelli al fianco di noi angeli. Niente venga criticato e deriso da voi all'infuori della menzogna e dell'inganno. Infatti, è bene che il mentitore e l'imbroglione vengano legati alla gogna affinché assaggino il frutto della menzogna e dell'inganno.
11. Ma in qualsiasi altra occasione voi dovete ammaestrare dolcemente l'umanità che cammina su vie sbagliate; se essa accoglie l'insegnamento e ne fa sua regola, allora tutto è bello e buono, ma se essa non fa così, allora voi potete procedere più rigidamente. Se anche questo non dovesse giovare, rinchiudete questi caparbi in una casa di correzione e fateli digiunare; in caso di bisogno puniteli pure con verghe, perché in una vera e buona educazione le verghe non devono mancare! Anche noi angeli, quali vostri segreti educatori, ce ne serviamo quando abbiamo a che fare con creature umane eccessivamente caparbie e ostinate. Dunque anche questo insegnamento conservatelo e applicatelo dove è necessario e così voi vivrete fra uomini, altrimenti sarà come se voi viveste fra animali selvaggi di ogni specie nascosti dentro a larve umane!»
12. Dice Cirenio: «O Signore, quello che ha detto ora l'angelo, l'ha attinto da sé esclusivamente, oppure esclusivamente da Te?»
13. Ed Io gli rispondo: «Amico Mio! La tua memoria è diventata di nuovo troppo corta! Eppure non è trascorso che qualche giorno da quando vi spiegai fino alla sazietà cosa sono gli angeli e come essi pensano, vogliono ed agiscono; come dunque puoi fare ancora delle domande in proposito? Se essi non sono altro che delle forme animate dalla Mia Volontà, che cosa può esservi in loro di proprio? E che pensieri possono pensare da soli quando non rappresentano che un efflusso della Mia Volontà ed un vaso collettore per i Miei pensieri, le Mie idee e i Miei propositi?
14. Se dovessero pensare, volere ed agire autonomamente, essi dovrebbero prima nutrirsi, come voi, alla mensa dei figli e benedire nella vostra carne questa Terra! Ma da ciò risulta chiaro come il Sole che quello che l'angelo Raffaele vi ha appena detto è la Mia Parola, il Mio Sermone e la Mia Volontà che voi siete tenuti ad osservare come se Io stesso ve l'avessi enunciata direttamente.
15. Le Mie parole voi dovete comprenderle più profondamente nei vostri cuori, e così esse non vi renderanno più così facilmente infedeli alla vostra memoria, perché tutto quello che il cuore ha afferrato in maniera vivente, rimane certo impresso fortemente nella memoria, la quale non vi tradirà nel momento del bisogno. Ma se voi invece intendete fissarvi quanto Io vi dico soltanto nella memoria, voi in grandissima parte lo dimenticherete almeno cento volte in un anno, dato che nell'età avanzata la memoria non conserva più le impressioni con tanta tenacia come negli anni giovanili. Ora già la gioventù dimentica facilmente quello che ha imparato, come dunque non lo dimenticherà poi la vecchiaia? Ma quando invece una cosa è stata compresa ed afferrata dal cuore, essa è trapassata nella vita e rimane in eterno!
16. Io vi dico: “Di ciò che a questo mondo voi avete accolto unicamente nella memoria, non vi resterà affatto niente nell'aldilà; e perciò anche tutti gli aridi scienziati del mondo appaiono nell'aldilà come dei sordi, ciechi e muti, non sanno niente e non si possono ricordare di nulla”. Spesso essi giungono nell’aldilà spogli di qualsiasi concetto tanto quanto lo è un bambinello appena venuto alla luce di questo mondo! Là essi devono ricominciare ad imparare ed a sperimentare tutto dai primissimi elementi, altrimenti rimarrebbero sordi, ciechi e muti per l'eternità e non vi sarebbe in loro che una vaga, ottusa sensazione dell'esistere, senza tuttavia avere alcuna percezione di essere già esistiti loro stessi sulla Terra. Queste nozioni bisogna che vengano reinculcate loro gradatamente nella maniera più prudente e ingegnosa.
17. Là dove il cuore dell'uomo è tenebroso, là è già tenebroso tutto l'uomo, ma dove invece nel cuore vi è luce, anche tutto l'uomo ne risulta illuminato, ed egli non può ripiombare mai più nelle tenebre! Per conseguenza quanto voi apprendete, comprendetelo bene col cuore, ed allora ben presto sarà fatta luce in voi.
18. Ed ora, se avete compreso e accolto tutto ciò nel vostro cuore, vediamo di prepararci a qualcos’altro! E questo che si avvererà tra poco vi darà occasione di pensare molto, però avrete il vantaggio di imparare molto e di poterne fare uso a suo tempo nel migliore dei modi».
Il popolo dell'Abissinia e della Nubia.
1. (Il Signore:) «La maggior parte di voi conosce certamente, se non altro dalla leggenda, quel paese di antica fama che è l'Egitto.
2. Dietro alle grandi cascate del Nilo si trova una regione montagnosa molto grande e fertile, la quale porta il nome di Abi Ie Sin (cioè il figlio di hAbi). Questo hAbi era un discendente di Caino e non di Noè, perché l'altopiano africano, come pure varie altre regioni della Terra, era stato risparmiato dal gran diluvio ai tempi di Noè.
3. Il figlio di questo hAbi fu un possente cacciatore come Nimrod; egli inventò la clava e l'arco, e tutti gli animali, per quanto selvaggi e feroci, fuggivano già quando ne fiutavano a distanza la presenza, perché egli era un vero gigante. La sua voce faceva tremare i monti, con la sua clava poderosa mandava in pezzi le rupi e col suo arco lanciava a mille passi di distanza delle frecce del peso di dieci libbre (5,6 kg), e ciò a cui aveva mirato veniva immancabilmente colpito e rimaneva sua preda.
4. Ma oltre all'essersi fatto dominatore di tutti gli animali, anche tutti i suoi fratelli e le sue sorelle più deboli gli obbedivano. Egli aveva un carattere molto serio, però con gli uomini non era mai crudele, anzi nemmeno duro; quello che egli ordinava doveva comunque venire fatto.
5. Egli credeva in un qualche lontano Dio onnipotente dal quale avrebbero avuto origine tutte le cose; questo Dio aveva dei servitori, dotati di grande potenza, in quantità innumerevole, visibili ed anche invisibili; alcuni erano chiamati a dirigere il Sole, la Luna e le stelle, altri a comandare sulla Terra, altri sull'acqua, altri sul fuoco e così via. Ad una parte di questi servitori spettava il governo dell'erba, degli alberi e degli arbusti, ad un'altra quello delle acque sopra e sotto la Terra, ad una terza quello dei metalli, e così via quello degli uccelli nell'aria, degli animali nelle acque e di tutti gli animali che camminano e strisciano sulla Terra.
6. Questi servitori invisibili, e qualche volta anche visibili, dovevano essere sempre tenuti in grande onore dagli uomini mortali attraverso l'obbedienza e la rigorosa osservanza delle leggi che essi ogni tanto prescrivevano agli uomini; la disobbedienza veniva sempre punita da parte loro nella maniera più dura mediante ogni tipo di mali che essi facevano venire sui disobbedienti incuranti di loro e delle loro leggi, oppure su coloro che non si comportavano l'uno verso l'altro in modo umano e amichevole.
7. In breve, questo figlio di hAbi fu un primo reggente di quel piccolo popolo d'allora, e nello stesso tempo anche un primo sacerdote che fornì a tale popolo qualche rudimentale cognizione di Dio e degli altri esseri spirituali. Per quanto riguarda la genealogia, egli era un sesto discendente di Caino, e quindi un settimo discendente di Adamo.
8. Egli insegnò al suo popolo a conoscere, a curare e ad impiegare gli animali domestici agli scopi dell'economia familiare, fu così il vero fondatore di una colonia di pastori; insegnò loro inoltre a distinguere le varie specie di frutta e a coltivare e nobilitare le specie buone nei giardini, li istruì poi anche nella costruzione di capanne adoperando come materiali pietre, palme e argilla per fare delle abitazioni sicure.
9. Egli stesso infine cominciò a liberare tutto quel vasto paese dalle bestie selvagge e feroci. E così avvenne che già i suoi figli, come lui uomini giganteschi e possenti, raccolsero la benedizione dovuta alle incessanti fatiche del loro potente padre. Nel corso di circa due secoli questo piccolo popolo dalla pelle nera crebbe per conseguenza fino a diventare un popolo grande e possente che aveva buone tradizioni e godeva di istituzioni statali molto più assennate e migliori forse ancora di quelle dello stesso Egitto sotto la guida dei primi pastori-capi. (Varaonen)
10. Questo popolo, che viveva davvero felice, sbarrò tuttavia ogni accesso possibile alla loro regione in modo tale che perfino agli animali feroci delle zone estranee circostanti era impossibile penetrarvi per recare danno alle ricche greggi di quel territorio molto grande che aveva un’estensione cinque volte maggiore di tutta la Terra promessa. Per questa ragione anche nessun estraneo è penetrato finora nelle valli verdeggianti di quel paese, quantunque quel popolo si sia ormai diffuso ben oltre gli antichi confini. E ad ogni nuova presa di possesso questo popolo ebbe cura di barricare i nuovi confini tanto che a nessun nemico riuscirebbe facile varcarli e penetrare nell'interno del paese.
11. Soltanto dalla parte dell'Egitto, là dove cominciano ad elevarsi gli ultimi contrafforti quanto mai dirupati delle montagne del Komrahai, esiste un’unica uscita; però si tratta di un passo terribilmente stretto che si prolunga per circa quattro ore di cammino con un percorso estremamente sinuoso e per lo più sotterraneo che sbocca nella regione superiore dell'Egitto e che attraversa una grotta strettissima, ma è da notare che questa uscita venne scoperta solo ai tempi di Mosè e precisamente per opera di fuggitivi che, in quanto considerati grandi criminali politici, cercavano di sottrarsi alle temute pene. Essendo inseguiti, essi si rifugiarono in una cavità della montagna per nascondersi, ma penetrati per circa cinquecento passi entro la cavità, armati d'archi e di frecce, essi scorsero, in direzione opposta a quella da dove erano entrati, dei bagliori di luce e si diressero precipitosamente verso quella direzione. Ben presto raggiunsero l'uscita, tutti lieti di essere felicemente sfuggiti ai loro inseguitori. Arrivati in questa regione libera, quale non avevano mai visto l'uguale, essi barricarono immediatamente lo sbocco con pietre affinché venisse per sempre reso impossibile ai loro inseguitori di penetrare in quel libero, ampio e bel territorio.
12. Il numero dei fuggitivi era di settanta persone, di cui trentasei uomini e trentaquattro donne; uno di loro che non aveva moglie, essi lo innalzarono alla dignità di capo, dato anche che egli era fra tutti il più ricco di esperienza; un altro però era ancora troppo giovane per avere moglie, ed egli perciò divenne il servitore del capo.
13. In questa regione i fuggitivi si trattennero per circa un anno e mezzo, ma si scontrarono con una difficoltà, e cioè non arrivavano mai a liberare completamente il paese dagli ospiti scomodi, malgrado quasi tutto il loro tempo essi lo impiegassero dando la caccia agli animali da preda. Per questo motivo, trascorso il periodo cui ho accennato prima, essi si rimisero in cammino scendendo lungo le sponde del Nilo e dopo un paio di settimane giunsero a quelle cascate che ora, cominciando a contare dal paese d'Egitto, sono conosciute come le seconde. Sennonché qui le difficoltà per procedere oltre andarono moltiplicandosi.
14. Sulla riva destra del Nilo le cose sarebbero andate certo più facilmente, ma essi si trovarono invece sulla riva sinistra dove la regione si presenta molto frastagliata e dove oltre a ciò non vi è mancanza di animali di ogni specie non troppo amici dell'uomo. Visto che le fatiche del viaggio non accennavano a finire, volevano già quasi rifare il cammino per ritornarsene al paese di prima, ma ecco che un giorno si videro capitare alle spalle una grossa mandria di buoi e di pecore che si dirigeva pure verso settentrione. La cosa allora li indusse a sospettare che i loro inseguitori si fossero messi sulle loro tracce. Essi perciò ripresero precipitosamente la marcia e, procedendo per quanto consentivano loro le circostanze, dopo una faticosissima giornata di viaggio giunsero infine in una regione assai bella, vasta e quanto mai fertile.
15. Là c'erano datteri e fichi in grandissima abbondanza, e delle grandi mandrie di buoi e greggi di pecore che scorrazzavano e pascolavano libere tutt'intorno. Quella mandria però, che aveva costretto la nostra comitiva di mori a riprendere in fretta il cammino, si era frattanto dispersa fra le gole delle cascate e non li aveva seguiti, ciò che alla comitiva riuscì molto gradito, perché così essi ritennero di poter essere sicuri che i presunti inseguitori non li avrebbero raggiunti.
16. In questo nuovo paese la compagnia si scelse prima di tutto il miglior luogo possibile, lo fortificò e vi si stabilì definitivamente. Il luogo stesso era costituito da un bellissimo territorio piano non molto sopraelevato lungo la sponda del Nilo, ricco di alberi del dattero, di fichi e di belle palme, e all'infuori di qualche scimmia non vi era quasi traccia di animali selvaggi.
17. La comitiva là si moltiplicò, e in circa duecento anni diventò un popolo molto numeroso, il quale prese possesso di tutte le libere greggi, costruì capanne e perfino villaggi e visse comodamente in perfetta pace. Tutto il popolo però aveva conservato la fede, gli usi e i costumi introdotti dal figlio di hAbi.
18. Questo vasto paese, allora molto bello e fertile, gli abitanti dalla pelle nera lo chiamarono “NOUA BIA”, vale a dire, tradotto, “La nuova dimora”. (Nubia)
19. Con l'andar del tempo questo popolo fece anche conoscenza con gli egiziani, i quali fecero poi ogni tentativo possibile per soggiogare quella prima popolazione di mori; la cosa però non riuscì loro mai completamente. Questo fu anche il primo popolo dell'epidermide assolutamente nera nel quale gli egiziani si fossero mai imbattuti.
20. Da principio gli egiziani ritennero di avere a che fare con una tribù di grosse scimmie, sennonché quando sentirono i mori esprimersi in un linguaggio che era quasi del tutto simile al loro, si accorsero di trovarsi di fronte a dei veri uomini ed iniziarono subito dei rapporti commerciali comperando da loro buoi e pecore, ed in compenso quei mori impararono dagli egiziani varie arti e scienze da cui potevano trarre buon profitto, particolarmente la preparazione e la lavorazione dei metalli che erano loro ancora del tutto sconosciuti.
21. Questo popolo ha conservato intatta fino al giorno d'oggi la religione antica e gli usi e costumi tramandatigli dai tempi del figlio di hAbi.
22. Ma quest'anno fra questo popolo è sorto un veggente il quale ha comunicato ai suoi fratelli e sorelle neri una visione straordinaria da lui avuta per sette volte consecutive; egli descrisse alla sua gente la via per la quale essa avrebbe dovuto incamminarsi per giungere in quel luogo sulla Terra dove si trovava Colui che insegna agli uomini la Verità e il modo di conoscere il grande Dio sconosciuto!
23. Ebbene, ora questo veggente dalla “Noua Bia” arriverà ancora prima del mezzogiorno qui nei paraggi di Cesarea di Filippo in compagnia di una comitiva abbastanza numerosa; noi perciò invieremo loro incontro un messo affinché li conduca qui. Essi viaggiano a dorso di cammello, hanno con sé molti tesori e quello che consumeranno qui lo pagheranno con oro e pietre preziose.
24. Tu dunque, o Marco, abbi cura perché questi nubiani vengano ben provvisti di quanto occorrerà loro! Infatti, quando ieri sera Mi pregasti di rimanere ancora questa giornata presso di te, Io accondiscesi e dunque rimasi, altrimenti Io già prima del levar del Sole sarei andato con i Miei discepoli incontro a questa carovana che viene in cerca di Me. Io invece Mi sono fermato qui, e per conseguenza la tua casa dovrà sobbarcarsi oggi ancora un lavoro inconsueto, però tu ad ogni modo finirai con il trovarvi il tuo tornaconto».
Il Signore manda un messaggero incontro alla carovana dei nubiani.
1. Marco allora, facendo un’espressione quanto mai lieta, Mi domanda: «O Signore, Tu che conosci ogni cosa, di quante persone è composta la carovana?»
2. Ed Io rispondo: «La compongono esattamente settanta persone, delle quali, come fu a suo tempo il caso dei loro progenitori fuggitivi, trentaquattro sono femmine e trentasei maschi. Quello che non ha moglie è il veggente e l'altro è il suo servitore!
3. Vedete, così avvenne che questi mori dovettero darsi alla fuga quasi mille anni fa, e precisamente a causa di qualche modifica innovativa contraria alle leggi, le quali certamente ai tempi di Mosè non erano più interamente quelle che erano state prima del diluvio; l'antico capo di quei mori, che poi divenne un fuggitivo, aveva voluto ripristinare le vecchie usanze e i vecchi costumi, sennonché la maggioranza del popolo gli si dichiarò ostile e si diede a perseguitarlo spietatamente assieme ai suoi seguaci, così che infine non gli rimase altro che darsi alla fuga dinanzi alla forza eccessiva dei suoi moltissimi nemici ciechi e fanatici.
4. Quella fuga fu dunque un segno profetico, precursore dell'accoglimento di una luce superiore, e ai tempi di Mosè indicò, anche ai migliori discendenti di Caino, che nell'epoca attuale si sarebbe rivelata pure a loro una luce di redenzione. I mori non giungeranno interamente fino all'antico pozzo di Giacobbe, a differenza dei figli di Abramo; ad ogni modo conviene che, qualora essi abbiano sete dell'Acqua meravigliosa che vi si attinge, questa venga loro offerta da bere.
5. Ed ora si elegga un messaggero il quale conosca l'idioma parlato nell'Alto Egitto. Nel campo di Giulio c'è appunto un sergente che ha le necessarie qualifiche; chiamateMelo dunque qui affinché Io lo istruisca su come potrà riconoscere subito il condottiero della carovana e cosa dovrà dirgli!»
6. Giulio allora si alzò sollecito dalla mensa, si affrettò all'accampamento, chiamò il sergente e lo condusse immediatamente da Me.
7. E quando questo romano tutto d’un pezzo Mi fu giunto vicino, disse: «O figlio altissimo di Giove, il dio supremo, quali sono i Tuoi ordini che io sono chiamato ad eseguire? Io sono certo assolutamente indegno di ricevere un ordine da Te, perché il figlio del Supremo fra gli dèi non comanda che alle divinità inferiori, queste a loro volta ai prìncipi della Terra, questi ai loro generali e capitani, e questi ai loro schiavi quali noi abbiamo l'alto onore di essere; sennonché Tu, o Altissimo, certo vuoi fare oggi un'eccezione, e quindi Ti prego di comunicarmi quali sono oggi i Tuoi ordini!»
8. Dico Io: «Va bene, va bene, Mio caro amico! Tu sei ancora un romano tutto d'un pezzo, ma sei pure fedele e retto nella tua fede e ligio ai tuoi doveri. Tu hai dimorato a lungo in Egitto, ed hai imparato a comprendere e a parlare il linguaggio egiziano antico; perciò bisogna che tu Mi faccia ora da messaggero qui nei dintorni di Cesarea di Filippo. Tu sei un buon cavaliere, e sul tuo cavallo potrai arrivare in breve tempo al posto che ti dirò.
9. Nelle vicinanze della città incendiata ti imbatterai in una carovana di settanta mori; vedrai due persone che procederanno in testa alla carovana, montate su cammelli bardati di bianco: quello che vedrai a destra è il capo, mentre quello a sinistra è il suo servitore. Il capo ti saluterà già a distanza. Egli sarà vestito tutto di bianco, ma la sua faccia tu la troverai invece nera come il carbone, e così pure le mani e i piedi, però nel suo cuore egli appare molto più chiaro di quanto lo sia il colore della sua pelle. A costui tu dovrai dire: “Tu hai raggiunto la meta a cui sono state rivolte le tue fatiche; seguimi, ed entro pochi istanti ti troverai al cospetto di Colui che vai cercando dopo la visione da te avuta per sette volte consecutive!”.
10. Questa cosa digliela usando il linguaggio egiziano antico che tu conosci bene. Ed ora va, sella la tua cavalcatura e poi parti sollecito; là, dove si incrociano le vie maestre, tu l'incontrerai!»
11. E dopo aver udito queste Mie parole, il sergente fece un profondo inchino e disse: «Un veterano di Roma non si inchina mai se non dinanzi agli dèi; però a Te solo spetta ogni onore e adorazione! Ed ora pronti al comando»
12. Allora il guerriero già incanutito si allontanò rapidamente e in pochi momenti, completamente armato, fu in sella al suo vigoroso destriero arabo che egli spinse ad un veloce galoppo verso la direzione da Me indicata. Una nube di polvere che si notava in lontananza gli indicò che la numerosa carovana stava avvicinandosi al luogo indicato. Il nostro messaggero giunse in pochi minuti all'incrocio prestabilito e lì attese ancora per un quarto d'ora l'arrivo dell'intera carovana. Svoltando l'angolo della dimora di Marco, noi potemmo vedere tutta quella gente, perché la distanza che ci separava da loro non era nemmeno di mezz'ora di cammino.
13. Quando il condottiero della carovana si trovò presso il sergente in piena tenuta da guerra ed armato fino ai denti, questi lo fermò e per prima cosa gli domandò, secondo il costume delle milizie romane, verso dove fosse diretto e quali fossero le ragioni del viaggio intrapreso così lontano dalla sua patria.
14. Il condottiero allora si fermò, guardò fisso il romano negli occhi e disse con accento molto serio: «O romano! Chi ti ha detto di aspettarmi qui? Noi proveniamo oggi stesso dal gran mare e siamo passati per steppe e per boschi. Da Alessandria fino alla nuova riva noi abbiamo viaggiato su delle navi; soltanto gli uccelli hanno potuto vederci venire dall'Egitto fino a qui, e tu sei il primo essere umano che ci fu dato di incontrare durante l'ultima parte del nostro viaggio; come hai potuto sapere che noi saremmo arrivati qui? Chi fu a rivelarti la nostra venuta? Sei un veggente? Sennonché vedo che tu hai con te delle armi che certo si sono tinte spesso di sangue umano, e per conseguenza non puoi essere veggente, perché devi sapere che al disopra di tutti i vostri dèi esiste un primissimo e supremo Essere divino al Quale sottostanno tutte le creature umane qualunque sia il colore della loro epidermide!
15. Io ho avuto per sette volte di seguito la stessa visione, e in tale visione mi fu dato di contemplare sempre e soltanto questo paesaggio immerso in una Luce indescrivibile. Un piccolo gruppo di persone dalla pelle bianca e bruna si trovava già in questa gran Luce e splendevano esse stesse come soli! Ma in mezzo a questi uomini luminosi ce n'era Uno il Quale splendeva più di centomila soli! Era da Lui che irradiava tutta la Luce, anzi c'era in me la sensazione come se tutto l'infinito fosse colmo soltanto della Sua incommensurabilissima Luce. Ma per quanto indicibilmente chiara fosse la Sua Luce, essa non faceva affatto male come da noi quella molto più debole del Sole.
16. Alla fine della visione sempre uguale io percepì in me le seguenti e chiare parole: “Parti verso quel luogo, o moro, poiché là anche la tua notte verrà rischiarata”. Questa cosa io la annunciai a tutti i miei fratelli e sorelle neri, e noi deliberammo di intraprendere il viaggio anche se una immensa distanza separasse la Nouabia (Nubia), nostra patria, da questo paese; ormai sono trascorsi tre mesi da quando lasciammo la nostra abituale dimora.
17. Io sapevo bene dove noi saremmo dovuti andare, perché il mio spirito [protettore], che già da sette anni era sempre con me, mi aveva avvertito che il luogo da me visto nella visione si trovava in Asia, e precisamente sulla riva del gran mare. Arrivando dalla parte del mare riconobbi immediatamente la costa che io avevo visto per sette volte consecutive nelle mie visioni. E come fummo giunti al punto giusto della costa, scendemmo senza indugio a terra; una via ci si offrì subito dinanzi, e per quella proseguimmo il viaggio fin qui, dove ci venisti incontro tu. Oh, parla! Chi fu a rivelarti la nostra presenza? Parla dunque, perché la mia anima presagisce grandi cose!»
18. E il romano rispose: «Tu hai raggiunto la meta del tuo viaggio! Seguimi, ed entro pochi istanti ti troverai al cospetto di Colui che vai cercando dopo la visione da te avuta per sette volte consecutive».
19. Il capo della comitiva diede allora immediatamente a tutti l'ordine di seguire il romano, dato che questi evidentemente era un inviato di Colui che essi cercavano.
20. Il sergente mise subito al trotto la sua cavalcatura precedendo la carovana che, compatta, si avviò verso la meta finale del viaggio.
Il Signore parla col capo dei nubiani.
1. La cavalcata procedette di buona lena, e il nostro sergente ci condusse l'intera carovana mentre noi stavamo ancora lietamente seduti alle mense.
2. Quando la Mia Giara si vide venire dinanzi quelle facce nere come il carbone con le labbra color rosso sangue e con i globi degli occhi perfettamente bianchi, fu presa seriamente da spavento ed esclamò: «O Signore! Non fanno mica del male questi uomini? Il loro colore è terribilmente scuro! Io ho già avuto occasione di vedere dei mori, ma così assolutamente neri come questi non ne ho davvero visto mai nessuno, e che dentatura poderosa hanno! In verità, o Signore, se non fossi vicino a Te, credo che il mio spavento supererebbe ogni limite! Sarebbe certo un grave compito per un cuore sensibile di fanciulla amare un moro!»
3. Dico Io: «Va tutto bene, o Mia carissima figlioletta, però bisogna ad ogni modo essere ragionevoli! Chi sarà mai ad avere paura di un colore? La tua osservazione è stata, è opportuno dirlo, alquanto puerile; sennonché la cosa non ha importanza, e tu fa adesso bene attenzione, perché ora verranno discusse delle questioni molto importanti»
4. Dice Giara: «Ma io certamente non ne comprenderò molto, dato che io non me ne intendo per niente della lingua egiziana antica, e costoro non ne sapranno niente di altri idiomi!»
5. Ed Io le rispondo: «Verrà ben tradotta ogni cosa; rimani dunque tranquilla, non dire niente e, invece di parlare, ascolta!»
6. Dopo di che Giara tace ed Io faccio immediatamente venire in Mia presenza il condottiero e veggente e gli domando che cosa era stato che aveva indotto lui e i suoi compagni ad intraprendere un così lungo viaggio. Io naturalmente questa cosa la conoscevo perfettamente, però era necessario che gli rivolgessi una simile domanda per offrirgli l’occasione di esprimersi e di formulare i suoi desideri.
7. Alla Mia domanda fattagli in lingua ebraica, egli (il capo dei nubiani) così rispose nel medesimo linguaggio: «O nobilissimo fra i nobili uomini di questa Terra, il cui nome mi è ignoto, perdona me, misero e debole mezzo uomo, se io oso fare umilmente l'osservazione che in te mi si rivela appunto quella stessa persona che io quattro mesi fa ho visto dentro una luce indescrivibilmente chiara durante le sette visioni sempre uguali da me avute allora, della quale sono andato in cerca fin quasi in capo al mondo e che, profondamente commosso nel mio cuore, credo ora di avere anche realmente trovato! Non vorresti tu, o nobilissimo, rendermi noto se il mio giudizio è sì o no ben fondato?»
8. Gli dico Io: «Ti gioverebbe a poco anche se ti dicessi di sì o di no; anzi conviene che tu stesso lo riconosca! Cerca bene, e luce ti sarà fatta. Se tu sei giunto già così lontano, potrai giungere ancora più lontano, ma è bene che tu stesso lo voglia fortemente e seriamente. Ogni ammaestramento dato esteriormente non serve a nulla, qualora esso non venga contemporaneamente acquisito anche interiormente. Vedi, tu parli ora correntemente l'idioma ebraico, ma puoi ricordarti di averlo mai imparato? Chiedi anche ai tuoi compagni, i quali pure comprendono adesso questo idioma, se sanno di averlo in qualche modo studiato! Va e convinciti!»
9. Il capo allora dirige il suo cammello verso la comitiva e la interpella in lingua ebraica. Tutti dimostrano di comprenderlo e gli rispondono nello stesso linguaggio. Il capo, quasi del tutto fuori di sé per la meraviglia, non sa affatto rendersi conto di come lui e tutti i suoi compagni abbiano acquisito la conoscenza della lingua ebraica. Lui infatti non sa che è in Mio potere ottenere simili effetti.
10. Egli allora, dopo l'esperienza, sempre montato sul suo cammello, ritorna vicino a Me e dice: «O uomo nobilissimo di questa Terra! Io non so più cosa pensare nella mia pelle nera, perché questo è il primo viaggio che io abbia mai intrapreso; non ho avuto mai occasione di fare in nessun modo la conoscenza degli idiomi e della particolarità di paesi stranieri e sono del tutto privo di qualsiasi esperienza. Nella mia patria la vita si svolge in maniera molto semplice; il paese è certo buono e bello, però a noi non offre proprio niente di nuovo. È dunque possibile che il paese dove ora ci troviamo abbia la speciale qualità che il forestiero, quando vi entra, accoglie in sé anche lo spirito dell'idioma del suo popolo, e può immediatamente comunicare con gli abitanti nativi di detto paese come se fosse nativo egli stesso. Solo che se questa cosa sia o no possibile, io non sono in grado di giudicare; perciò spero che tu voglia darmi una spiegazione a tale riguardo! Nel mio paese non mi si è mai offerta l'occasione di fare tale esperienza, dato che fino ad ora non vi è mai penetrato nessuno straniero!»
11. Gli dico Io: «Scaricate prima i vostri cammelli, e conduceteli sul prato lungo il mare affinché abbiano il riposo ormai loro molto necessario e possano poi con maggiore facilità trasportarvi nuovamente al vostro paese, poiché la via del ritorno non è per nulla più breve di quella che vi ha condotto fino a noi. Fate così e poi ritornate, ed allora non ci vorrà molto a constatare quanta luce siete capaci di sopportare voi tutti presi assieme»
12. Il capo della carovana si inchina e dice: «O uomo nobilissimo fra tutti! Tu hai certo perfettamente ragione; ma sarà poi lecito a noi calcare questo sacro suolo con i nostri piedi impuri? Infatti, se penso alle visioni da me avute, devo aggiungere che questo suolo deve essere di un’incomparabile santità!»
13. Dico Io: «Se esso non è troppo sacro per i piedi dei vostri cammelli, non dovrà essere troppo sacro nemmeno per i vostri piedi umani!»
14. Dice il capo della carovana: «Oh, è vero è vero! Tu, o uomo nobilissimo fra tutti di questa Terra, sei immensamente buono e saggio!»
15. Egli allora rivolge nuovamente il suo cammello verso la comitiva ed espone a tutti qual è il Mio desiderio. Subito gli animali piegano le gambe a terra e coloro che vi sono montati ne scendono. Poi quei cammelli bene ammaestrati si rimettono in piedi e vengono portati sui prati vicino al mare, dove cominciano a pascolare a loro completo agio. Dieci dei mori vengono destinati alla custodia degli animali, mentre gli altri, assieme al capo, ritornano senza indugio da Me.
16. E quando Mi sono di nuovo vicini, per prima cosa Io domando al capo qual è il suo nome, ed egli risponde: «Il mio nome corrisponde a quello che io sono; nel nostro linguaggio esso suona: “Ou Bratou Vishar”. Da noi nessuno ha un nome diverso da quello che indica il genere della sua attività; in generale poi noi ci chiamiamo tutti egualmente “Slouvi”».
Il capo narra il suo viaggio a Menfi.
1. Io gli domando ancora: «Come hai ottenuto questa tua cultura davvero apprezzabilissima?»
2. E Oubratouvishar risponde: «Io e il mio servitore scendemmo dieci anni fa lungo il Nilo, accompagnati da altri venti fra i più vigorosi sottoservitori che avevano il compito di scortare una bella mandria di buoi, perché da noi quando uno vuole mettersi in viaggio bisogna che conduca con sé una buona mandria oppure un gregge, altrimenti corre pericolo di rimanere estenuato; i fichi e i datteri non crescono dappertutto, ma solo sui terreni buoni e grassi, mentre l'erba lungo il Nilo non manca in nessun luogo e così chi viaggia ha sempre a disposizione il latte delle mucche, il quale è il condimento di ogni cibo.
3. Così provvisti, noi tentammo, come detto, dieci anni o stagioni della pioggia fa, di fare una escursione discendendo il corso del fiume. Durante i primi due giorni noi procedemmo senza alcuna fatica, però il terzo giorno udimmo già a distanza un rumoreggiare di tuono. Allora affrettammo i nostri passi e, nel tempo che occorre per contare fino a mille pietre, arrivammo alla regione della prima cascata del Nilo. Ma là non si vedeva molta possibilità di proseguire. Uno dei nostri più arditi arrampicatori scalò allora un'alta rupe per esplorare i dintorni, e quando fu di ritorno mi riferì che c'era una strada la quale però faceva un'ampia deviazione dal fiume verso sinistra, e che molto più lontano piegava nuovamente verso il Nilo; dopo di che decisi di prendere appunto questa via. La strada sulla quale dovemmo metterci non mancava davvero di scogli e di altre scomodità. La sera di quello stesso giorno noi finalmente giungemmo, in un caldo enorme, ad un pascolo ricco di palme e di alberi del papiro nel cui mezzo c'era una sorgente abbondante che fu un vero ristoro tanto per noi che per le nostre greggi. Là noi ci riposammo tutta una giornata.
4. Il secondo giorno, ai primi albori, noi partimmo e proseguimmo il nostro viaggio. Al sorgere del Sole noi avevamo raggiunto nuovamente il Nilo e con questo pure una larga strada mai vista prima, seguendo la quale noi, in mezza giornata, arrivammo nelle vicinanze di quella città di cui i nostri antenati sapevano raccontare tante cose. Noi ci accampammo circa duemila passi lontano, ed io e il mio servitore a dorso di cammello ce ne andammo in città per ottenere il permesso di starvi accampati vicino con gli animali che per necessità avevamo portati con noi.
5. E quando fui giunto in città col mio servitore, venni circondato da una quantità di gente dalla pelle molto bruna e mi fu domandato chi fossi e da dove venissi. Dell'altra gente però indovinò subito e dissero: “Thot e Noubiez” (costui è un nubiano), ed io confermai: “Sì, sono un nubiano, e desidererei imparare molte cose buone e belle da voi che siete gente perfetta”.
6. Allora quei curiosi mandarono a chiamare un vecchio, il quale venne e mi interrogò dettagliatamente, poi egli volle ispezionare il nostro accampamento e solo qui si fece completamente riconoscere per quello che era, cioè il sommo sacerdote della città e contemporaneamente il prefetto nominato da Roma a governare la città stessa assieme al suo vasto distretto. Io gli offrii allora in dono sette delle nostre mucche più belle, due tori e venti pecore dalla lana finissima.
7. La cosa fece molto piacere al buon vecchio il quale poi mi disse: “La nostra antica e pura sapienza certo vi riuscirà di grande vantaggio, però guardatevi bene dall'adottare qualcosa dei nostri costumi del tutto corrotti, perché questi sono peggio che pessimi. Questa città era una volta il vanto del paese, cosa che oggi è ancora provato in maniera chiarissima dal suo nome che è Memavise (in greco Memphis, che significa “porta il più alto nome”); ora invece questa sublimità senza nome è ridotta ad un vasto cumulo di macerie, come ben presto e facilmente potrete convincervi.
8. Il popolo che dimora ancora qui, in parte non crede più ad un supremo Essere divino, ed in parte è immerso fino al collo nella superstizione più fosca dalla quale non è più possibile liberarlo. Noi pochi soltanto viviamo tuttora nell'antico riconoscimento del solo Vero ed eterno Dio; il popolo cieco e stolto crede invece a qualche migliaio di divinità; perfino alle bestie e ai loro cadaveri esso tributa onoranze divine, e noi siamo costretti a lasciarli fare.
9. Certo, la semente di questa mala pianta è stata sparsa già dai nostri primissimi progenitori, quando cominciarono a fare oggetto di una specie di venerazione semidivina alcuni animali particolarmente utili, per incitare il popolo ad avere la massima cura di tali animali che rappresentavano una fonte di benessere tanto per il paese quanto per i singoli. È vero che gli antichi intendevano raffigurare così tangibilmente al popolo, che si trovava su un gradino molto basso della cultura, solamente la molteplice irradiazione dell'Amore e della Sapienza divini nella natura delle cose. Sennonché, col tempo, la storia dei popoli, quanto più si inabissa nel passato, tanto più si fa venerabile e sempre più appare come avvolta entro una certa aureola divina, e questo ha per conseguenza il fatto che poi dei maestri del popolo, malvagi e senza coscienza, hanno tanto più facile gioco nel divinizzare tutte le cose e gli avvenimenti delle prime epoche della storia e nel sommergere il più profondamente possibile il popolo nel mare della superstizione più tenebrosa!
10. Perciò voi, o nubiani dal cuore fedele, state bene in guardia, e accettate per buono e vero solo quello che udrete da me, ma allontanatevi da tutto quanto potreste vedere e ascoltare dal popolo, perché, come ho detto, tutto ciò è peggio che pessimo! Voi li vedrete offrire sacrifici e compiere ogni vana cerimonia; anzi, nel caso di solennità proprio straordinarie, voi vedrete perfino me stesso in pompa magna alla testa di questa gente. Non scandalizzatevene però, poiché in questi casi non prende parte alla cerimonia altro che il mio esteriore, mentre il mio interiore è e rimane sempre presso l'unico Dio eterno, il solo Vero, il cui Amore costituisce la mia vita e la cui Luce costituisce la mia vera scienza e il mio riconoscimento.
11. Ed ora tu e il tuo servitore venite con me a piedi in città, a casa mia, dove io ti darò più dettagliatamente tutti i suggerimenti riguardo a come dovete regolarvi qui; vi mostrerò anche il vero posto dove voi con le vostre greggi potrete trattenervi da buoni amici anche un anno intero senza temere molestie da nessuna parte. Tu per altro, assieme al tuo servitore, dimorerai in casa mia affinché io ti possa istruire nelle varie cose”
12. Ed io gli dissi: “O capo eccellente di questo paese! Tu concederai però che noi in questa occasione possiamo condurre in città il dono che ti sei degnato di accettare dalle mie mani!”
13. E il capo, che era davvero persona di ottimo cuore, così mi rispose in tono molto amichevole: “Non oggi, ma soltanto da qui a tre giorni, quando cioè voi vi sarete accampati su un altro pascolo. Là però converrà che teniate i piedi calzati come usiamo noi, perché la notte, da queste parti, sbucano sempre una quantità di piccoli insetti e di vermi che poi vanno strisciando sul suolo erboso ma dal fondo sempre sabbioso, e se questi arrivano ad insinuarsi sotto le unghie dei piedi, più tardi sono causa di acuti dolori. A casa mia io vi provvederò bene di quanto vi occorre a tale riguardo, perché non c’è mancanza di servitori e di schiavi presso di me”.
14. Allora noi, cioè io e il mio servitore, seguimmo il capo dei sacerdoti fino alla grande città. Vi arrivammo dopo circa quattromila passi e ci trovammo subito in una vasta piazza limitata da tutte le parti da meravigliosi edifici, fatti di cubi di pietra perfettamente squadrati. Parecchi di questi erano veramente già molto deteriorati; molti altri invece erano ancora ben conservati. Uno dei tanti era formato esclusivamente da varie serie di colonne, e nell'interno dell'edificio, fra i colonnati che occupavano una superficie vastissima, sorgevano delle statue gigantesche di tutte le specie, ed osservammo pure come le colonne erano ricoperte da numerosi segni e iscrizioni di vario genere, segni o scritture che più tardi il capo ebbe più volte occasione di spiegarmi cosa fossero. Vicino a questa costruzione a colonnati c'era un palazzo di enormi dimensioni nel quale si vedeva regnare molta animazione.
15. Allora il capo ci disse: “Ecco! Questa è la mia dimora; entrate dunque, visitatela e vedete tutto quello che c'è dentro”».
La maledizione che è scaturita dall’eccessiva cultura e civilizzazione degli egiziani.
1. (Oubratouvishar:) «Davanti a questo palazzo sorgevano, del tutto isolate, due colonne immensamente alte (obelischi) che erano coperte da tutte le parti di ogni tipo di segni, figure ed iscrizioni; anche davanti al grande edificio a colonnati si innalzavano due colonne di questo tipo.
2. Noi entrammo con passo timido nel palazzo del capo, però dovemmo camminare parecchio prima di giungere alle sue stanze. Ah, là dentro tutto era così meravigliosamente bello che restammo davvero sbalorditi.
3. Io, in spirito, feci subito un paragone fra la miserissima capanna che nella mia patria mi serviva da dimora e la magnificenza di quel palazzo, e fra me e me così pensai: “Oh, perché noi mori siamo proprio tanto poveri nel nostro conoscere e sapere? Perché non possiamo anche noi portare a compimento simili opere? Perché ancora non ci è possibile produrre e lavorare i metalli? Ancora oggi noi per tagliare non possediamo altro che gli attrezzi acquistati dagli egiziani in cambio dei nostri prodotti naturali allo stato grezzo. Come sono meschina cosa i nostri telai e come è primitivo il nostro sistema di filare! Tra di noi non c'è ingegno, né talento, né nessuno zelo per qualcosa di più perfetto! Noi ci troviamo a mala pena su un gradino un po’ superiore a quello delle nostre scimmie!”.
4. E come io mi trovavo immerso in simili considerazioni, una grande afflizione sorse nel mio cuore, in modo che non potei frenare le lacrime ed esclamai: “Oh, perché noi mori non siamo addirittura degli animali privi di pensiero e di sentimento? Quali splendide cose non sono capaci di creare i veri uomini, questi veri dèi terrestri, laddove noi neri, mezzo-animali e mezzo-uomini, non siamo capaci assolutamente di nulla! Eppure ci tocca in sorte di dover percepire con forza la magnificenza di tutto quello che i veri uomini hanno creato”"
5. Allora il capo mi disse: "Oh, non affiggerti affatto a causa di questo! Vedi, noi siamo diventati già dei vecchi e canuti, per i quali simili magnificenze non possono essere più fonte di alcuna gioia, dato che siamo dei sopravvissuti a questa gloria; voi invece siete dei figli colmi di forza e di uno zelo che andrà man mano sempre più accentuandosi. Noi per questo mondo abbiamo già finito di vivere, le nostre corone giacciono ormai appassite nella tomba dell'oblio, i nostri palazzi sono traballanti e il nostro attuale sapere e il nostro riconoscimento sono peggiori del peggio. Ormai qui ci sono pochi fabbri e pochi tessitori, e per tutti i nostri bisogni in fatto di strumenti ed attrezzi dobbiamo ricorrere a Roma o alla Grecia!
6. Oh, una volta, duemila anni fa, certo questo paese era abitato più da dèi che da uomini, i quali eressero monumenti tali che anche i futuri abitanti di questa Terra si stupiranno notevolmente già solo a contemplarne i resti. Ma quello invece che facciamo noi, somiglia piuttosto ad un'opera di distruzione tanto riguardo alla materia quanto riguardo all'anima. Voi però siete ancora un popolo incorrotto e colmo dell'originario vigore giovanile, potete pensare e volere e, per conseguenza, nelle vostre opere potete anche ben presto farvi ancora più grandi di quanto lo siano mai stati i popoli di questa regione.
7. Ma se voi da uomini su questa Terra volete vivere veramente felici, rimanete nella vostra antica semplicità; in primo luogo questa vi costa ben poca fatica e lavoro, e in secondo luogo le vostre necessità naturali sono ridotte al minimo e, poiché sono tali, voi potete soddisfarle con tutta facilità. L'allevare il bestiame sui vostri grassi pascoli montani esige da voi ben poche cure; d'altro canto l'agricoltura non si può considerare una gran cosa dato che non vi dedicate su vasta scala ad essa, ed anche le vostre vesti sono semplici e facili a confezionare. Il tempo dunque che vi occorre per provvedere alle vostre necessità naturali è relativamente poco, e così tanto maggiore tempo resta a vostra disposizione per dedicarvi più intensamente alla contemplazione di ciò che è dello spirito! E vedi, questa cosa ha molto più valore che non l'edificare simili palazzi col sudore e col sangue di centomila volte centomila vite umane, con il solo risultato che l'inarrestabile azione dissolvente del tempo li continui a corrodere fino a saziarsene per delle migliaia di anni.
8. E che cosa è infine un simile ammasso di pietre, per quanto artisticamente disposto, al paragone anche di un semplice filo d'erba costruito dal grande Spirito di Dio? Io te lo dico: “Un nulla assoluto!”. Ogni filo d'erba, ogni albero è un edificio di Dio, essi crescono fuori dalla cara terra senza alcuna nostra fatica o lavoro, ed in breve il nostro palato si può ristorare con il suo dolce frutto. Ma quali fatiche e che spaventoso lavoro consta agli uomini la realizzazione di un palazzo di questo tipo! E che vantaggio hanno essi quando, dopo molti anni di sanguinose fatiche, riescono a vedere finita l'opera? Null'altro che un miserabile alimento al loro orgoglio, l'invidia suscitata nei popoli stranieri e, con il tempo, guerra ed ogni tipo di persecuzione!
9. In verità, o mio caro e nero amico, questa è una ben misera fortuna per un popolo che fu così stolto da ricoprire di simili palazzi morti le sue più belle e fertili campagne, sulle quali invece sarebbero sorti molte centinaia di migliaia degli alberi più fruttiferi i quali avrebbero potuto lasciare cadere i loro nobili prodotti in grembo a della gente felice dimorante in semplici capanne. Vedi, sulla superficie occupata da questa città potrebbero trovare, con la massima facilità, sostentamento più che sufficiente ben diecimila persone con tutte le loro greggi per quanto numerose, mentre nelle presenti condizioni è pur vero che si trovano ancora circa centomila uomini che dimorano dentro queste mura barcollanti, ma che vita conduce la maggior parte di loro?
10. Un tempo, come insegna la storia, questo paese era un vero granaio, il quale in epoche di carestia provvedeva di pane anche i popoli stranieri; ora invece dobbiamo spesso noi provvederci di grano in paesi molto lontani e da gente straniera! Le nostre greggi si trovano nelle condizioni più miserevoli; ci sono migliaia di persone che a causa del gruzzoletto di argento ed oro che si ritrovano non lavorano affatto, oziano giorno dopo giorno e si divertono con donne di malaffare non di rado in maniera da far arrossire perfino le bestie; tutto ciò è causa delle più svariate malattie, cosa questa che voi non conoscete affatto. Durante il giorno, quando l'azione del Sole si fa sentire, voi troverete questa grande città quasi perfettamente spopolata; solo quando è venuta la notte col suo relativo refrigerio, simili abitanti abbandonano, come gli animali da preda, le loro dimore artificiali di pietra, e si divertono a seconda dello stimolo delle loro brame! Dunque vedi, o semplice figlio della pura natura, queste sono le benedizioni di cui godono gli uomini in virtù della loro grande cultura fondata sul simbolo della pietra».
La benedizione della cultura originaria dell’uomo semplice.
1. (Oubratouvishar:) «Il capo continua il suo discorso e dice: “Rimanete perciò nella vostra grande purezza naturale originaria e non coltivate mai alcuna aspirazione ad un simile genere miserando di cultura cittadina; non edificatevi alcuna città e restate fedeli alle vostre semplici capanne, e così potrete essere per tutti i tempi dei tempi il popolo più felice della Terra, e ciò particolarmente se rimarrete nel giusto riconoscimento del solo vero ed eterno Dio e se onorerete ed amerete Lui solo. Anche se voi non potete vederLo, Egli certo vede voi, e vi terrà sempre provvisti della forza necessaria per tenere lontano qualunque elemento nemico dell'uomo. Secondo le leggi naturali originarie, l'uomo è signore di ogni cosa che esiste, che respira e che vive sulla Terra, sia al di sotto che al di sopra di essa.
2. Voi siete ancora così come l'uomo deve essere! Dinanzi a voi fugge il leone famelico, mentre la tigre, la pantera, la iena, il lupo, l'orso, i serpenti e le vipere schivano la vostra presenza; soltanto gli animali domestici seguono docilmente ciascun vostro passo! Dotato di simili qualità, l'uomo si trova ancora su quell'elevato gradino originario di esistenza sul quale il Creatore lo pose quando nel mondo comparvero le prime creature. Se voi vi stendete su un prato infestato da serpenti e da vipere velenose, queste abbandonano il terreno reso sacro dall'uomo che egli, quale signore della natura, viene ad occupare per stabilirvi la sua dimora. La formica maligna, la maledizione di tanti boschi e steppe, emigra non appena l'uomo, nella sua forza originaria, entra in una regione per erigervi il suo campo; il leone, la pantera, la feroce tigre si tengono alla larga dalle greggi che il vero uomo sorveglia, e il coccodrillo - il drago del Nilo - non si trova mai in quelle regioni che sono abitate da uomini. L'ibis, la cicogna e l'Icz ne ma on (icneumone, che significa “non ha veleno”) stanno spontaneamente ai servizi dell'uomo, e purificano il paese da ogni animale ripugnante che striscia, e le aquile dalla vista acutissima cercano e divorano ogni carogna affinché l'aria non ne venga appestata.
3. Oh, quale splendida vita è quella di un vero uomo in qualunque luogo dimori, e quanto miserabile è invece la vita degli uomini nelle città colmi di orgoglio e del più lurido egoismo; in loro è svanita qualsiasi forza vitale originaria. Nel gran regno della natura che li circonda essi sono come dei corpi estranei, degli esseri che sono assolutamente fuori da ogni contatto con Dio e per conseguenza anche con tutte le altre creature. Essi sono costretti a edificarsi solidi baluardi e castelli per preservarsi e difendersi il più possibile contro la natura che si manifesta ostile verso di loro!
4. Se io mando oggi cento persone a pernottare su quel prato che ho in mente di destinare per voi, non uno di loro si troverà più in vita il mattino seguente, perché essi non sono più uomini, ma sono semplici larve umane, ed i loro corpi infiacchiti e rattrappiti sono dei veri covi di tutti i possibili spiriti impuri e maligni naturali e innaturali. La loro cerchia vitale esteriore non è più costituita dal loro “io” divino, ma è costituita da quanto vi è in loro di animalesco e rozzo, e perciò in loro non risiede più alcuna forza né, meno ancora, fuori di loro; la natura esteriore non percepisce più in loro il punto culminante e la meta suprema a cui ogni creatura nel suo cammino ascensionale tende; percepisce invece l'avvilimento assoluto e la completa distruzione di quel gradino sul quale ogni creatura è chiamata a raggiungere le soglie del massimo progresso. Ed è perciò che ogni creatura si dimostra quanto mai ostile verso simile gente, e cerca in tutti i modi di annientarla poiché non ha più nulla da sperare da essa.
5. Dunque, o nobile amico mio dalla epidermide nera, tu e il tuo popolo siate contenti di essere neri e di trovarvi a dimorare ancora nelle capanne primaverili innocentissime della vera vita; perché appunto in seguito a ciò voi siete ancora quello che il vero uomo deve essere secondo l’Ordine dell'altissimo Spirito di Dio. Restate perciò sempre ciò che siete attualmente, anche nei vostri futuri discendenti, e così non avrete mai motivo per recriminare contro la miseria e i dolori della vita umana”».
L’accampamento dei nubiani in Egitto.
1. (Oubratouvishar:) «Il capo continua il suo discorso e dice: “Ed ora usciremo fuori per andarcene al luogo che intendo assegnarvi come vostra dimora. Nello stesso tempo destinerò un certo numero di uomini di guardia al vostro accampamento per tutto il tempo che vi fermerete qui, allo scopo di tenere lontano da voi questo popolo corrotto, perché esso non si farebbe alcun scrupolo di corrompere completamente voi pure tanto nel fisico che nel morale. Io non ti chiedo affatto se tu mi abbia perfettamente compreso, poiché so che mi hai compreso bene e che in seguito mi comprenderai ancora meglio!”.
2. Detto questo, il capo diede un segnale battendo un colpo su un disco metallico dalla forte risonanza, e all'improvviso, come per magia, comparvero una quantità di uomini dalla pelle di un bruno-scuro ai quali il capo, in una lingua a noi sconosciuta, comandò qualcosa che non comprendemmo. Ma quando il capo, che era davvero un'eccellente persona, si accorse del mio stupore e del mio imbarazzo, mi confortò immediatamente spiegandomi nel mio linguaggio quello che aveva detto agli uomini armati. Si trattava semplicemente di proteggerci, il più rigidamente possibile, dall’invadenza della popolazione corrotta della città, che egli non considerava più come formata da uomini.
3. Uno dei comandanti della guardia, che era vestito quasi come quell'amico che ci ha indicato la strada fino a qui, fece al capo dei sacerdoti l'osservazione che il posto designato, pur offrendo un pascolo quanto mai buono e abbondante, era un vero covo di serpenti e di vipere dove né uomini, né bestiame avrebbero potuto prosperare.
4. Il capo però gli rispose: “Certo non ci può prosperare della gente corrotta assieme alle sue greggi, ma questi qui sono uomini rimasti ancora nella loro purezza originaria, i quali sono tuttora signori di tutta la natura e di tutte le sue creature di qualunque specie possano essere; a costoro i numerosi serpenti e le vipere non solo non faranno niente di male, ma lasceranno assieme a tutta la loro progenie immediatamente libero il bellissimo posto. E voi pure, quali loro guardiani, non dovrete temere il benché minimo inconveniente da parte di quelle immonde bestiacce; di questo potete starne assolutamente sicuri. Ora però portatemi ventidue paia di scarpe di cuoio che noi daremo a questa gente incorrotta, affinché non si rovinino inutilmente i piedi camminando sul nostro suolo fatto di sabbia pungente!”.
5. Le scarpe ordinate furono subito portate; a me e al mio servitore furono subito fatte calzare le migliori e le più comode, mentre le altre venti paia, dietro comando del capo, furono portate fuori ai nostri compagni da quattro delle guardie, e quando anche i nostri compagni si trovarono calzati come noi due, allora furono invitati dalle guardie stesse a seguirli fino al nuovo campo che era stato loro assegnato. Frattanto il capo, io col mio servitore e gli altri militi di guardia, attraversando molte vie della città, ci recammo in aperta campagna dove c'era lo splendido e vastissimo prato ricco di bellissima erba e di molte palme da dattero, nonché di alberi di fichi, di aranci e di svariati altri frutti; però io mi accorsi che quel prato doveva essere assai poco frequentato da esseri umani, dato che già da lontano giunse al nostro orecchio il caratteristico rumore sinistro di innumerevoli serpenti a sonagli.
6. Poco dopo arrivarono là pure i miei compagni con le loro numerose greggi e con i loro cammelli. Giunti ai limiti della prateria, essi non indugiarono ad aspettare che quelle male bestiacce si ritirassero dinanzi a noi o dinanzi al nostro bestiame, ma presero possesso, all’istante e senza alcun timore, della prateria, attraversarono in tutte le direzioni l'estesissimo pascolo, e tutta l'immonda frotta fuggì verso il Nilo in maniera che in quel punto l'acqua del fiume apparve per una buona mezz'ora letteralmente coperta da quelle bestiacce, ed anche quattro coccodrilli presero velocemente la fuga dinanzi ai miei compagni e alle loro greggi.
7. Il capo allora spiegò il fenomeno anche ai membri della guardia che ci era stata assegnata, e disse loro che ormai essi avrebbero potuto percorrere assieme a noi tutto il pascolo in lungo e in largo senza alcun timore, perché egli era perfettamente convinto che già per quella notte non si sarebbe potuto trovare più sull'intera prateria nemmeno un solo serpente o vipera che fosse. E così anche fu; già dopo un'ora, in quella sera, qualsiasi bestiaccia era scomparsa dal pascolo.
8. E invece vedemmo come all'altra riva del Nilo un intero gregge egiziano di pecore fuggiva disperatamente dinanzi all'invasione di quegli emigranti, e i rispettivi pastori scappavano essi pure assieme alle pecore. I pastori, gettando grida lamentose, si rifugiarono su un ponte sul fiume, ma invece il bestiame ebbe alquanto a soffrire, poiché parecchi agnelli furono raggiunti e divorati dai grossi animali. Alla riva opposta c'erano delle frotte numerosissime di conigli ai quali pure l’inaspettata visita riuscì molto scomoda, perché una quantità dei loro piccoli fu fatta preda dai serpenti.
9. Agli uomini di guardia avevano nel frattempo dato immensamente nell'occhio i bellissimi datteri, i fichi, gli aranci di quel posto fino allora irraggiungibile per loro, e così pure, non ultimi fra gli altri frutti, le bellissime Roscize (carrube) che là solitamente vengono impiegate come foraggio per i cammelli.
10. E il comandante della guardia disse allora al capo: “Siano resi onore e gloria ad Iside ed Osiride! Finalmente potremo anche qui fare qualche raccolto, ciò che a memoria d'uomo non è mai successo!”
11. Però il capo così lo ammonì: “La raccolta è riservata a costoro soltanto per un intero anno, dato che essi hanno purificato questi pascoli; ed a voi sarà lecito prendere solamente quello che essi vi permetteranno di raccogliere, ma arbitrariamente non dovrete spiccare nemmeno una foglia da un albero! Oltre a ciò guardatevi bene dall'invocare, in presenza di questa gente assolutamente incorrotta, le vostre divinità locali che non significano nulla, poiché tra voi non ce n'è uno al quale io non abbia insegnato chi e che cosa è il vero Dio. Restiamo dunque intesi: niente più Iside, niente Osiride e niente più Apis, perché tutto ciò è e resterà in eterno un bel niente”
12. Dopo di che il capo, rivolgendosi a me, disse: “Come tu stesso vedi, con l'aiuto dell'Altissimo voi siete provvisti nel migliore dei modi. Io ora vi lascerò, ma domani al primo albeggiare ritornerò da te, e allora tu riceverai da me gli opportuni ammaestramenti qui nel gran Tempio sempre aperto dell'Altissimo! E poi quello che avrai appreso da me lo comunicherai anche ai tuoi compagni! Ed ora vivete bene voi tutti sotto la protezione dell'Altissimo!”.
13. E detto questo egli fece ritorno in città. Già da lungo tempo egli doveva godere grande considerazione presso il popolo, perché chiunque lo incontrava, si inchinava fino a terra dinanzi a lui; egli però si comportava come se non notasse tali dimostrazioni d'onore, ma invece procedeva sollecito e diritto per la sua via come immerso in meditazioni profonde.
14. Quando il Sole fu già tramontato, dalla città vennero ben presto i curiosi in massa, però nessuno si azzardò ad avvicinarsi a meno di venti passi dalla malfamata campagna dei serpenti. Molti, gridando, ci ammonirono ad allontanarci da quella località, altrimenti ne avremmo avuto inevitabilmente il massimo danno. I guardiani però tennero lontano i curiosi e dichiararono loro che ormai non c'era più alcun pericolo, dato che, per effetto del nostro misterioso potere, tutta la progenie velenosa che era solita avere là la sua dimora se n'era già fuggita da tempo oltre il Nilo.
15. Allora i curiosi si allontanarono ben presto e noi ci occupammo delle nostre greggi, le quali per quella sera ci offrirono talmente tanto latte eccellente e nutrientissimo che non ci fu possibile consumarlo tutto; allora noi domandammo agli uomini di guardia se a loro piaceva il latte. Essi, visibilmente contenti, risposero di sì, e noi ne offrimmo loro in abbondanza, ed essi ne bevvero a sazietà ma non riuscirono neppure loro a consumarlo tutto, per la qual cosa il latte, avanzato in gran quantità, venne travasato da noi nei recipienti che avevamo portato per farne del formaggio.
16. Un anno intero noi conducemmo là una vita piacevole, ed avemmo l’occasione di apprendere molto dal buon capo dei sacerdoti, particolarmente riguardo al vero riconoscimento del supremo Essere divino! Trascorso l'anno, venimmo congedati con la massima cordialità e noi facemmo ritorno in patria con animo lieto.
17. Poco dopo io ebbi le mie visioni; allestii prontamente una carovana con l'intenzione di recarmi anzitutto a Menfi per annunciare a quel capo la visione che avevo avuto; egli però già sapeva di Te, o Nobilissimo, e fu lui a indirizzarmi qui, mi indicò la lunga via da percorrere fino ad Alessandria e mi affidò ad uno fra i traghettatori più esperti il quale mi trasportò su queste rive. Egli pose al mio fianco un interprete che però io non condussi fino a qui.
18. Ed ora Tu, o Nobilissimo fra gli uomini, sai come sono venuto in possesso della mia poca sapienza; ma adesso dimmi a Tua volta con precisione se io sono già arrivato alla vera meta o se devo proseguire ancora oltre! Infatti, non posso trattenermi molto a lungo da queste parti, dato che per ritornare al mio paese la via è parecchio lunga».
Il moro richiede certezza sul luogo di permanenza del Signore.
1. (Dico Io:) «Io già ti dissi che a poco o nulla ti gioverebbe anche se ti dicessi: “Sono Io!”, oppure “Non sono Io!”. Sei tu stesso che ad ogni modo devi trovare quello che stai cercando; e tu puoi arrivare molto facilmente al tuo scopo, considerato che non ti manca l’ingegno necessario. Basta che tu pensi a quanto può essere possibile all'uomo e a quanto non può esserlo! Non c'è stato niente che abbia colpito la tua attenzione, oppure non hai percepito ancora niente di particolare in te o in qualcun altro?»
2. Risponde il moro: «Come ho già osservato prima, all'infuori del fatto che entrando in questo paese ci siamo impadroniti anche del vostro linguaggio, non ho trovato niente che abbia colpito in modo particolare la mia attenzione! Lo dico apertamente e francamente: appena arrivato qui, certo sul primo momento molte cose mi sono apparse per così dire meravigliose; sennonché, quanto più mi abituo all'ambiente, tanto più naturale trovo tutto in voi.
3. La questione del linguaggio dunque resta l’unica cosa che in qualche modo si avvicina al prodigioso, ma questa, come ho detto prima, potrebbe benissimo essere la conseguenza, per quanto inspiegabile, di una proprietà del tutto speciale di questo paese. Infatti, una esperienza simile io l'ho fatta attraversando il gran paese d'Egitto. Noi ci incontrammo con romani e con greci; questi si esprimevano nel loro linguaggio e noi li comprendevamo benissimo riuscendo anche a nostra volta a farci comprendere molto bene per quel tanto che ci occorreva. Col parlare, sicuramente la cosa non procedeva così sciolta come qui, ma tutto ciò può avere benissimo la sua ragione nella disposizione naturale del paese, o nell'aria od in qualche esalazione!
4. Non bisogna dimenticare però che noi, da uomini naturalmente quanto mai semplici come siamo, siamo anche molto più sensibili di altri ad ogni specie di apparizioni e di impressioni particolari. Ad esempio noi possiamo vedere le anime dei defunti, e qualche volta anche certe anime che, secondo la loro propria ammissione, non sono mai vissute in un corpo. Queste anime naturali le si può facilmente distinguere dalle altre dal fatto che esse possono improvvisamente cambiare forma, sciogliersi in una quantità di altri piccoli esseri e poi riassumere la forma umana, fenomeno questo che non abbiamo mai constatato quando si è trattato delle anime di fratelli o di sorelle defunte!
5. Noi interpellammo in proposito il savio sommo sacerdote di Menfi per sapere se anche i suoi occhi percepivano simili cose. Però egli così rispose: “Tutto questo non è che una facoltà propria agli uomini di natura semplicissima e schietta, i quali non conoscono nemmeno di nome alcuna artificiosità della vita. Un fenomeno simile non si verificò mai né in me, né in nessuno degli egiziani. Si sono avuti certo ogni tanto dei casi di tale specie, ma nella maniera più imprecisa ed inspiegabile possibile, mentre in voi queste visioni sono tutte ben distinte, naturali e per conseguenza si possono spiegare meglio”.
6. Ma così, dico io, si potrebbe avere anche una certa spiegazione di come noi riusciamo ad apprendere facilmente il linguaggio di un popolo assolutamente straniero e arriviamo pure a parlarlo. Se dunque Tu, o Nobilissimo fra gli uomini, consideri ora questa cosa, con la Tua eminente Sapienza non tarderai a vedere in quale modo, durante la nostra permanenza finora breve in questo luogo, la nostra attenzione non abbia potuto ancora essere colpita da nessun fatto che fosse sorprendente al punto da dedurre che noi qui, già incontestabilmente, ci troviamo nel luogo da me osservato nelle mie visioni.
7. Certo ci sono molte cose che concordano: la riva di un piccolo mare interno con una casuccia da pescatori ai piedi di una collina, una quantità di persone altolocate e di riguardo, ed infine Tu stesso che hai davvero molta somiglianza con quell'uomo splendente in maniera straordinaria, le Cui sembianze io contemplai con immenso rapimento durante la visione da me avuta per sette volte consecutive. Sennonché quell'uomo della Luce, con la Forza della Sua Parola otteneva ogni cosa: Egli diceva ed era fatto! Il Cielo e la Terra Gli erano soggetti, e schiere innumerevoli stavano in attesa dei Suoi cenni!
8. Ora, o Nobilissimo fra gli uomini, questo non è il caso qui dove mi trovo ora! Come mi è successo due anni fa di trovare nel capo dei sacerdoti di Menfi una persona immensamente buona e saggia, così mi è capitato ora con voi; di quanto però io mi attendevo, non ho trovato finora nulla, e perciò appunto domando a Te se mi trovo veramente al posto giusto oppure no. Se mi dirai di sì, io Ti crederò e rimarrò; ma se mi dirai di no, o non mi darai di nuovo alcuna risposta, allora noi riprenderemo il cammino verso la nostra patria e riscatteremo le nostre greggi lasciate a Menfi grazie al consiglio di quel savio capo il quale ci anticipò una somma in oro e argento - utilizzando quanto ci resterà di questa somma e ritirando il nostro bestiame dei cui prodotti il capo stesso nel frattempo usufruisce.
9. Tu, o Nobilissimo fra gli uomini, vedi bene che io, e con me tutti noi, anche se non abbiamo la nostra carne ornata di bianca epidermide, non nascondiamo in noi niente di falso, né di insidioso. Noi tutti andiamo in cerca della piena Verità alla quale sola attribuiamo ogni importanza, e nutriamo anche la vivente speranza di poterla trovare qui o in qualche altro luogo! Se quindi noi ci troviamo al vero posto, spero che voi ce lo confermiate, e allora, volonterosi, faremo tutto quello che voi potreste richiedere da noi!»
10. Dico Io a Raffaele: «Va e fornisci loro un segno, affinché conoscano a che punto si trovano!»
11. Immediatamente Raffaele si presentò davanti al moro Oubratouvishar e gli disse: «O amico, quale cosa dimenticasti in patria, a causa della quale tu a Menfi volevi ritornare sui tuoi passi per andare a prenderla? Tu volevi con ciò fare un dono particolare a quel capo in riconoscimento delle cure che egli aveva avuto per te, e perciò anche questa cosa tu l'avevi avvolta in un panno fresco; ma invece, a causa della fretta con cui siete partiti, te la dimenticasti a casa e precisamente in un angolo della tua capanna dove ancora si trova; se tu lo desideri, io posso fartela avere qui in un istante! Parla dunque! Se vuoi, così sarà fatto!»
12. Risponde il moro: «Non lo fare perché così io mi convinca di trovarmi nel luogo da me cercato, poiché già dal fatto che tu dimostri di sapere quello che ho dimenticato a casa mia io riconosco che mi trovo proprio al posto giusto, dato che una cosa simile non la può scrutare che un divino occhio onniveggente! Però ad ogni modo mi renderesti un eccellente servizio perché, ritornando in patria, vorrei procurare al buon capo dei sacerdoti di Menfi una gioia che credo sarà certo grande, dato che egli si diletta immensamente di simili rari prodotti naturali. Tutta la cosa presa assieme non può avere di per sé un altro valore se non, al massimo, uno immaginario, ma non un valore reale. Ciò non toglie per altro che sia meravigliosamente bella!»
13. In questo stesso momento Raffaele porge al moro il bel prodotto naturale avvolto nel panno e gli domanda se sia proprio quello.
14. E il moro quasi sviene per lo sbalordimento ed esclama ad alta voce: «Sì, è questo! Ma come hai fatto a portarmi qui questo gioiello, pur non essendoti allontanato nemmeno un istante da me? Sei tu forse un giovane ardito egiziano ai servizi del capo dei sacerdoti, e me l'hai sottratto a casa mia in qualche maniera astutissima che non riesco a comprendere? Oppure ci hai forse seguiti di nascosto assieme a qualche compagno della tua specie fino nelle vicinanze della mia capanna quando un anno fa facemmo ritorno al nostro paese provenienti da Menfi? Hai preso nota dell'ubicazione della mia dimora?
15. Oh, ma che domande insensate sto facendo? Questo gioiello io l'ho avuto in mano pochi momenti prima della nostra partenza e, nell'attesa che venisse bardato il mio cammello e che fossero radunate le mie greggi, lo deposi in un angolo della mia capanna e lo coprii con una scorza di zucca! Però nel sorvegliare la radunata delle greggi e la bardatura del cammello mi dimenticai completamente di questo bellissimo prodotto della natura; dunque non è possibile che tu me l'abbia sottratto! Tu invece sei andato evidentemente a prenderlo in maniera meravigliosa, ma come, come è stato possibile una cosa di questo genere a te, che pure sei visibilmente un uomo di carne e di sangue? Infatti il tuo spostamento qui, poi là e di nuovo qui è stato solo un momento impercettibile! Questa cosa è possibile soltanto a un Dio; dunque o sei un Dio tu stesso, oppure un Suo vero servitore!»
16. Risponde Raffaele: «La tua prima versione non è giusta, ma lo è la seconda. Ma ecco, nel prendere il tuo bel prodotto naturale io ho tuttavia dimenticato qualcosa, e questa è la buccia di zucca con la quale ricopristi il tuo gioiello nella capanna. Bisogna dunque che io ti faccia avere anche questa! Vedi, essa è già qui! Deponivi ora dentro il tuo gioiello, e mostra poi di che cosa si tratta, perché qui fra i presenti ce ne sono molti che vorrebbero ammirare il tesoro da te trovato!».
I nubiani riconoscono il Signore.
1. Parla il Signore: «Ecco che i mori sono come colti da vertigine passando di meraviglia in meraviglia. Essi sono della gente pura secondo natura e, ancora come dei veri signori della natura, mediante la fermezza della loro piena fede e della loro volontà possono ottenere più di una cosa che ad una persona già profondamente infiacchita dal comune vivere mondano deve apparire come un immenso prodigio, e perciò sarebbe stato davvero difficile scuotere questi animi ancora allo stato di purezza naturale originaria mediante un prodigio di altro genere. Meno di tutto poi avrebbe potuto avere influenza qui la guarigione da qualche infermità, perché anzitutto questi genuini uomini naturali non conoscono affatto che cosa sia una infermità; i loro vecchi arrivano sempre ad una tardissima età, e la morte del corpo per loro è sempre stata come un tranquillo addormentarsi privo di qualsiasi dolore.
2. Essi non hanno mai saputo cosa sia la mortalità infantile, perché i loro figli, generati perfettamente secondo l'ordine naturale, sono stati sempre partoriti in stato di assoluta maturità e di perfetta salute, ed essendo stati nutriti oltre a ciò secondo le norme naturali, nessun germe di una qualche malattia ha mai potuto svilupparsi in loro. Ne consegue che, anche se avessi voluto guarire qualche ammalato in loro presenza, sarebbe stato necessario spiegare loro prima cos’è veramente una malattia e come ed in seguito a cosa si manifesta nel corpo umano! Ma così si sarebbe evidentemente recato a loro più danno che vantaggio, poiché prendere conoscenza dei peccati e delle loro conseguenze corrisponde già quasi all'averli commessi!
3. Qualcuno forse penserà che una resurrezione dalla morte non avrebbe neppure essa mancato di ottenere il suo effetto. Sennonché Io vi dico che neppure questo genere di prodigio avrebbe valore per questa gente. Infatti la morte del corpo essi la considerano come un grande beneficio da parte di Dio agli uomini ed un simile atto essi lo guarderebbero addirittura come un crimine contro l’Ordine del supremo Spirito di Dio finché non fossero radicalmente informati meglio sul Mio conto. Il provocare un violento uragano, agli occhi del loro animo estremamente sensibile, apparirebbe come un fatto del tutto naturale, perché essi stessi sono sempre capaci di esercitare una poderosa influenza sugli spiriti naturali dell'aria, dell'acqua, della terra e del fuoco. La rapidità di un movimento invece, che supera incomparabilmente quella delle frecce lanciate da loro, rappresenta per simile gente un vero miracolo che può venire compiuto soltanto da Dio oppure dai massimi spiriti che sono al Suo servizio, ma mai dagli esseri umani ragionevoli, deboli e mortali di questa Terra».
4. E quando i nostri mori ebbero esaurita la loro immensa meraviglia, il capo della carovana disse ai suoi compagni: «Fratelli miei! Io e voi tutti abbiamo assistito ora ad un fatto che non può essere compiuto da nessuno se non da Dio, perché noi non possiamo, nemmeno col nostro pensiero, andare nella nostra patria e far ritorno qui con quella rapidità che ha dimostrato di avere questo servitore di Dio nel portarmi qui il mio gioiello. Noi dunque ci troviamo al vero posto a cui tendevamo di arrivare, e perciò dobbiamo muoverci qui dove siamo soltanto col massimo rispetto e con la continua venerazione interiore di Colui che, dall’aspetto divinissimo e nobilissimo oltre ogni immaginazione, siede là, a metà della grande mensa.
5. Quello che Egli vorrà dirci nella Sua inesprimibile Grazia e Benevolenza, in noi dovrà essere d'ora in poi il comandamento più sacro al quale noi, anche nei nostri discendenti, ci atterremo come se fossero le chiare rupi della nostra patria fino alla fine di tutti i tempi che questa Terra dovrà ancora attraversare. Voi sapete quello che il saggio capo dei sacerdoti ci ha annunciato sulla Maestà eterna di questo nobilissimo Uomo-Dio! Così effettivamente è, e noi ne siamo ormai perfettamente convinti! Ma poiché è così e non altrimenti, noi sappiamo pure cosa ci resta da fare e cosa da osservare.
6. Lungo e faticoso è stato il viaggio fin qui; tuttavia, anche se fosse stato mille volte più lungo e mille volte più faticoso, tutto ormai scomparirebbe di fronte all'immensità di questa Grazia incomprensibilmente suprema e da noi tutti immeritata dall’eternità! Infatti là, sotto spoglie umane, siede quello Spirito eterno ed onnipotente, il Quale unicamente con la Sua Volontà e fuori dalla Sua Volontà ha fatto il Cielo, la Terra e tutto ciò che esiste, come il savio capo dei sacerdoti di Menfi ebbe a spiegarci fino a sazietà.
7. Noi ora ci troviamo al cospetto del Dio vero ed eterno il Quale ci ha fatto e ci ha donato la vita! Ciascun istante della nostra vita sta unicamente nella Sua mano; se Egli lo volesse, noi non esisteremmo più. Egli solo è il Tutto nel tutto, e senza di Lui tutto ciò che è non è niente. Questo fu il significato delle mie visioni conformemente anche agli ammaestramenti da noi ricevuti dal capo dei sacerdoti a Menfi, ed è questo che noi dobbiamo accettare per vero e crederlo in eterno. Ma ora sembra che l'eterno Signore e Maestro voglia indirizzare di nuovo la Sua Parola a noi! Perciò è bene che qui la nostra attenzione sia tale quale dovrebbe essere se noi ci trovassimo alla pericolosissima caccia del leone come ci venne descritta dal capo di Menfi!».
Dell’eccessiva umiltà.
1. Quando il moro ebbe terminato tale degnissimo discorso ai suoi compagni, Io chiamai il capo della comitiva e gli domandai se egli ed i suoi compagni avevano forse fame e sete e, in tal caso, cosa avrebbero desiderato mangiare e bere. Infatti, un simile viaggio per mare provoca nell'organismo un maggiore consumo, ed essi certo dovevano sentire il bisogno di ristorarsi con cibo e bevande; non avrebbero dunque avuto che da manifestare i loro desideri e tutto si sarebbe ben presto accomodato!
2. Dice allora Oubratouvishar: «Oh, quanta grazia! Tu, che sei il Tutto nel tutto, rivolgi ad un miserabile verme della terra l'invito a rendere manifeste le sue necessità dinanzi a Te, lo Spirito supremo ed eterno! Ma il verme, che si torce nella polvere della propria assoluta nullità, per l'immensa venerazione che la Tua Divinità gli ispira non si azzarda a proferire parola dinanzi a Te, temendo, come può accadere facilmente, di dispiacere a Te, o Santissimo dall'eternità, con qualche parola fuori luogo, e di venire poi guardato da Te con occhio irato. Noi però come vettovaglie abbiamo portato dall'Egitto alcuni sacchi pieni di fichi e di datteri secchi, nonché un po’ di pane biscottato che dovrebbe certo bastarci, data la nostra breve permanenza qui e il nostro parco modo di vivere. Ma perciò io, con cuore riconoscente e quanto mai contrito, Ti porgo i miei ringraziamenti che certo non valgono nulla o proprio niente, per la Grazia immensa che era Tua intenzione concederci!»
3. Dico Io: «Ma, amico Mio! Se tu vorrai continuare a muoverti al Mio cospetto in una simile atmosfera di straordinaria soggezione che è inutile più che per tre quarti, alla fine a Me stesso sarà quasi impossibile fornirti una qualche luce che tu possa portare con te nella tua patria! Del resto non rendi affatto un grande onore a Me, il Creatore, se tu, che sei evidentemente opera Mia, ti valuti proprio un nulla e ti poni molto al di sotto della dignità di un verme che si rotola nella polvere di ogni nullità! Infatti, con questa infima considerazione di te stesso davanti a Me, tuo Creatore, tu abbassi, molto curiosamente, pure Colui che ti ha creato e plasmato con la Sua sublime Sapienza e Amore!
4. Vedi, se qualcuno ti fa vedere un'opera d'arte fatta da lui, e tu per tuo diletto gliela comperi perché ti è piaciuta molto, credi proprio che renderai onore al savio artefice se ti metti a lodare tutte le sue altre opere e a lodare anche immensamente l'artefice stesso, mentre non trovi sufficienti parole di lode per l'opera d'arte che egli ti ha venduto e che non è per nulla inferiore alle altre, e ciò per il solo motivo che essa è ormai tua proprietà?
5. Vedi, dunque, questo genere di umiliazione dinanzi a Me non è affatto saggia, ma è folle e stolta! Se tu ti stimi troppo cattivo e di nessun valore, con tale stima, come è facilmente comprensibile, vieni a dirMi in faccia che con tutta la Mia Creazione Io non sono altro che un misero rabberciatore.
6. Ah, certo, se tu invece riconosci doverosamente anche in te il Mio Valore, e non reputi te stesso troppo infinitamente piccolo, miserabile e cattivo per poter intrattenerti con Me riguardo all'una o all'altra cosa, così facendo onori Me in te stesso e riconosci la Mia divina Eccellenza anche sul tuo proprio terreno, ed in tali condizioni puoi allora trarre dalla Mia presenza quel vero e vivente vantaggio a causa del quale tu ti sei avventurato fin qui. Comunque, l'espressione della tua grande umiltà al Mio cospetto non è peccato da parte tua, perché essa è fondata sulla educazione onesta e pia da te ricevuta già fin dalla fanciullezza.
7. Ma ormai anche a questo riguardo col tuo modo di vedere sei stato posto su un piano giusto, perché su quello sul quale ti sei trovato finora, noi due non avremmo potuto intenderci, dato che così tu avresti continuamente avuto uno sconfinato timore pio di Me, e questo non avrebbe fatto che costringerti ad abbandonare al più presto possibile questo luogo per il tuo sentimento eccessivamente pio, e poi a Menfi e infine nella tua patria avresti ragionato e chiacchierato molto riguardo alla Mia straordinaria Santità che non saresti riuscito a sopportare. Ma questo sarebbe stato infine anche tutto il vantaggio che avresti potuto trarre dalla tua venuta qui per te, per il tuo popolo e per i suoi discendenti; e credi forse che avresti finito con l'esserne soddisfatto?
8. No, certamente, perché poi, in un qualche momento più chiaro della tua vita, non avresti potuto fare a meno di considerare le cose nella loro verità dicendo: “Ebbene, che cosa mai è questo? Secondo il consiglio maturato in me stesso, io mi sono avventurato in un viaggio lungo e faticoso e, giunto molto penosamente al luogo di destinazione, mi sono trovato nella condizione di dover disperare quasi continuamente per il sentimento di sconfinato rispetto e di venerazione che il luogo stesso mi ispirava. No davvero, questa è stata una delizia ed una beatitudine davvero terribile che non mi auguro sicuramente si ripeta finché vivrò!”. Ecco, questo finirebbe con l'essere il risultato del tuo viaggio!
9. È quindi opportuno concedere un po' il dovuto posto anche alla ragione e riflettere su che cosa sia opportuno e buono in ciascuna circostanza della vita, ed allora potrai reggere bene e onestamente dappertutto e trarre sempre un vantaggio vivente per la vita. Bandisci dunque da te ogni esagerato rispetto a Mio riguardo! AmaMi, quale Tuo Creatore, Padre, Maestro e Signore, con tutte le forze della tua vita, ed ama pure i tuoi fratelli come te stesso; se fai così, fai più che abbastanza! E quando parli con Me, chiamaMi semplicemente Signore e Maestro, ciò che effettivamente Io sono; tutto il resto qui non c'entra per niente».
Oubratouvishar descrive la sua patria, Nubia.
1. (Il Signore:) «Io ti ho domandato prima se avete fame e sete, e ciò per la buona ragione che Io vedo chiaramente che voi siete molto affamati e assetati. Ora sono già quattro ore piene da quando si è fatto giorno, e voi da ieri a mezzodì non avete mangiato, né bevuto niente, perché latte non potevate averne portato con voi sulla nave, e l'acqua era già marcia e quindi imbevibile. Per conseguenza le Mie cure a vostro riguardo sono rivolte anzitutto a fare in modo che il vostro corpo ottenga il necessario ristoro, perché senza di questo non potreste riacquistare quello stato di calma necessario per poi assimilare con tanta maggiore solidità il cibo spirituale; infatti voler predicare il Vangelo a qualcuno in cui la fame e la sete si rivelano da tutti i pori prima di averlo saziato, sarebbe il coronamento della stoltezza egoistica dell’uomo! Conviene quindi che anche a voi venga in primo luogo provveduto per quanto concerne il corpo, e soltanto dopo ci occuperemo anche del Vangelo!
2. Tuttavia bisognerà che, contrariamente alle vostre abitudini, voi vi accontentiate di quanto vi offrirà la Mia mensa; i vostri datteri ed i vostri fichi invece, già presi dal tarlo, lasciate che li mangino i vostri cammelli. Prendete dunque posto a quelle mense che sono là vuote, e sarete immediatamente provvisti di cibi e bevande a sufficienza. Tu però, o Oubratouvishar, siediti qui, perché tu pure sei un vero re per il tuo popolo. Ora questa è appunto una mensa per i re, ai quali spetta discutere fra loro come vanno guidati i loro popoli, e quale sia la via da seguire per farne degli uomini».
3. Tutti accolgono allora il Mio invito, e il nostro Marco, con l'aiuto di collaboratori invisibili, è ben presto pronto con una colazione composta del miglior pesce in quantità sufficiente. I mori hanno appena preso posto alle mense, che già vengono serviti i pesci, nonché il pane, il sale e il vino, a cui gli ospiti vengono invitati a fare onore. Questi allora si danno da fare col pesce ancora fumante, col pane e col vino, e trovano tutto molto buono e saporitissimo.
4. E il capo della comitiva che aveva già acquistato più animo disse: «O Signore della mia vita, il mio palato non ha ancora mai gustato delle cose tanto squisite! Di pesci ne abbiamo e ne mangiamo talvolta anche noi nel nostro paese, ma per noi costituiscono piuttosto un cibo di penitenza. Chi si comporta in qualche modo sconveniente contro l'ordine stabilito, riceve per punizione da mangiare del pesce, ma se noi sapessimo prepararlo come questo qui, in verità, cesserebbe allora di essere un cibo di penitenza!
5. Ma che specie d'acqua è poi questa che ci è stata offerta da bere? Essa ha un sapore deliziosissimo; anche senza avere sete si potrebbe berne in qualsiasi momento, e così pure si potrebbe mangiare continuamente di questo pane dolce come il miele. A Menfi, da parte di quel capo dei sacerdoti, mi venne pure offerto ogni tanto qualche pezzo di pane, ma non lo trovai di gran lunga così dolce come questo. Quello però che suscita in me la maggiore ammirazione, è quest'acqua; dov'è mai la sorgente che la fornisce? Si può forse comperarne qui da voi? Io vorrei volentieri portarne una certa quantità nella mia patria per poter fare assaggiare a quei miei fratelli dell'acqua proveniente da questa regione celestiale della Terra.
6. Anche la Terra qui appare molto più bella che da noi; qui c'è una straordinaria varietà: dappertutto le erbe, gli arbusti e gli alberi dimostrano un rigoglio eccezionale della vegetazione; da noi invece solo certi pascoli sono così riccamente dotati, mentre il resto è tutto deserto e vuoto. Qui le montagne sono in gran parte coperte fino alla vetta da bellissimi alberi, e sono belle a vedersi; da noi invece non sono che roccia nuda sulla quale cresce qua e là soltanto un po’ di muschio dal colore grigio-rossastro. Esse rivelano tracce evidentissime della distruzione compiuta dalle intemperie; hanno per lo più una tinta come di abbruciacchiato, rossastra e grigio scura, e sono in grandissima parte così erte che solamente in qualche punto rendono possibile l’ascesa a qualche buon arrampicatore, sempre però con pericolo per la propria vita. E quando si è arrivati su qualche altura, non vi si può reggere a causa dell'intenso calore; durante il pomeriggio poi in nessun caso, perché allora le vette dei monti si fanno veramente tanto roventi che, deponendo sulla pietra ad esempio dei pesci, questi addirittura in pochi istanti si arrostiscono ed altrettanto si dica della carne d'agnello o di capra; durante il pomeriggio neppure le aquile si posano sulle cime dei monti, e gli stambecchi scendono da tali cime per portarsi sulle praterie lungo il Nilo.
7. Oh, noi abitiamo un paese molto aspro e torrido, dove alle volte riesce in verità quanto mai difficile essere e conservarsi uomini! Molto lontano dal Nilo, particolarmente nell'estate avanzata, sarebbe proprio impossibile dimorarvi stabilmente, perché non è escluso che ci siano delle giornate in cui le pietre e la sabbia, per dire così, si fondono, specialmente quando nel pomeriggio comincia a spirare il vento da mezzogiorno! In quelle occasioni si vedono veramente delle fiamme turbinare sugli ampi deserti di sabbia, ed allora tanto agli uomini che agli animali non resta altro che gettarsi nel benefico Nilo il quale da noi - e ciò è meraviglioso - ha una corrente freddissima.
8. Nel periodo dei tre ultimi mesi dell'anno poi, prima che venga il mese delle piogge, la situazione si fa più che mai terribile, perché allora si scatenano le tempeste di fuoco, l'atmosfera si fa orribilmente soffocante; le nubi salgono da dietro ai monti come enormi colonne di fiamme, si estendono poi coprendo tutto il cielo, e fulmini innumerevoli scoppiano con tremendo fragore entro il manto grigio cupo del cielo, spargendo il terrore fra gli uomini e gli animali. Essi arrecano bensì poco danno perché si esauriscono per lo più negli alti strati dell'atmosfera, ad ogni modo però non è, né sarà mai, uno scherzo dover sentire continuamente giorno e notte, spesso per quaranta giorni consecutivi, simili scoppi, ruggiti e sibili, con il timore per di più di venire inceneriti da un momento all'altro da qualche fulmine che si scarica troppo vicino al terreno! Questo si è già verificato ogni tanto, specialmente nel caso di persone che in un simile periodo non hanno la precauzione di ungersi accuratamente il corpo di grasso.
9. Quando è passata la stagione del fuoco, allora comincia a piovere, ed allora si ha la pioggia per un periodo dalle quattro fino alle sei settimane o fasi lunari di seguito. L'acqua cade sottile e fitta, e sulle vette dei monti più alti qualche volta nevica anche; verso la fine del periodo delle piogge fa spesso molto freddo, così che siamo spesso costretti a riscaldarci vicino al fuoco. Neanche questo è certo qualcosa di particolarmente benefico, ma ad ogni modo è sempre meglio di quanto ci tocca subire nella tarda estate.
10. Così è sistemata la nostra vita, così pure la nostra dimora e la nostra attività! Molti sono i disagi che dobbiamo sopportare, ed in compenso ci sono concessi ben pochi momenti gradevoli. Oh, questo paese qui è un cielo al paragone del nostro! Come deve essere delizioso vivere in questo vero paradiso della Terra, e come deserto e triste è invece il paese dove dimoriamo noi! Ma Tu, o Signore, hai voluto che così fosse, e che noi non avessimo altro destino dentro alla nostra nera pelle; come Tu hai disposto sarà certamente bene, e nessuno di noi ha mai protestato o mormorato contro tale Tuo Ordinamento divino.
11. La nostra pelle nera come il carbone ci è un peso notevole sotto vari aspetti! Infatti, in primo luogo, secondo le molte esperienze da noi fatte, essa attira il calore molto di più di un qualche altro colore più chiaro, ed in secondo luogo rende le nostre persone terribilmente brutte rispetto alle vostre dalla tinta chiara; com'è bella, ad esempio, la figura celestiale di questa giovinetta qui presente, e come sono brutte invece le nostre ragazze! Noi vediamo e percepiamo tutto ciò, e tuttavia non possiamo farci di un altro colore! Che bella capigliatura avete voi, e che brutti capelli lanosi e arruffati abbiamo invece noi, come ornamento del nostro capo. Tuttavia noi non ci lamentiamo e siamo contenti di quello che a Te, o Signore e Maestro, è piaciuto elargirci.
12. Ma ora bisognerà che vi mostri il mio bel prodotto naturale e Tu, o Signore, vorrai in grazia stabilire quale valore all'incirca esso possa avere!».
Il tesoro di Oubratouvishar.
1. Allora il nostro Oubratouvishar srotolò il panno e ne trasse fuori il gioiello che egli pose dinanzi a Me dicendo: «Eccolo qui, tale e quale io lo trovai fra le ghiaie di un pendio montuoso, e che non potei fare a meno di raccogliere e di conservare. Certo, mani d'uomo non devono averlo mai lavorato! E perciò dovrebbe trattarsi di un prodotto naturale puro, di un cosiddetto scherzo della natura. Che cosa è veramente e che valore può avere? Infatti non vorrei sicuramente correre il rischio di offrire a qualcuno in dono una cosa che sia priva di valore»
2. Ed Io gli rispondo: «Questa è una pietra preziosa di altissimo valore, e precisamente un grossissimo diamante già sfaccettato. Però la mano dell'uomo lo ha già lavorato e lo ha sfaccettato e levigato in questo modo. Al tempo in cui i persiani mossero guerra all'Egitto penetrando in tale occasione fino ai deserti della Nubia, questa pietra venne persa da un condottiero di eserciti durante un combattimento contro un numeroso branco di leoni e di pantere affamate; dal punto di vista terreno tu fai dunque un dono di immenso valore al capo dei sacerdoti di Menfi, e ciò a causa della sua straordinaria rarità.
3. Vedi, questa pietra è stata levigata e lavorata per centosettant'anni consecutivi, e fu impiegata come ornamento della corona di vari re della Persia, finché un bel giorno uno di questi re volle onorare uno dei suoi maggiori capitani offrendogliela in dono; e fu appunto questo capitano a smarrirla nelle condizioni che ho già detto, e precisamente sui confini deserti del vostro paese dove allora pullulavano i leoni e le pantere. Fui Io allora a provocare quel raduno di animali feroci a vostra tutela, altrimenti i persiani, animati a quel tempo da un forte impulso guerriero, sarebbero certo giunti fino a voi ed avrebbero lasciato dei vuoti tremendi tra le vostre greggi.
4. Ma come tu fosti destinato a trovare, già dal punto di vista terreno, un tesoro di considerevole valore che da qualche secolo riposava sotto la ghiaia, così ugualmente sei destinato ora a trovare il massimo ed inestimabile tesoro dello spirito, e, fuori da questo, un tesoro di valore incalcolabile per le vostre anime. Tu cercasti, ed hai anche onestissimamente trovato quanto stavi cercando! Il colore scuro della tua pelle non deve esserti di peso, anzi esso rimarrà ai Miei occhi uno dei colori degni del maggiore riguardo.
5. Questo Vangelo che ora vi predicherò, verrà conservato soltanto presso di voi in tutta la sua integrità e purezza; tu sarai il precursore dei Miei apostoli presso i tuoi neri fratelli e sorelle, fra non molto però Io vi manderò un aiutante; costui vi condurrà in una felicissima regione del vostro continente, vi insegnerà l'agricoltura ed altre arti utili che sono una grandissima necessità per questa vita terrena.
6. In quel paese per voi ora assolutamente sconosciuto voi sarete un popolo del tutto contento e felice, e conserverete la purezza della Mia Parola e della Mia Dottrina, ma guai a coloro che nei tempi futuri volessero tentare di pervenire fino a voi per scacciarvi o per sottomettervi; contro coloro Io stesso impugnerò la spada rovente dell'ira e li percuoterò fino all'ultimo uomo! E così voi mori, entro un territorio molto vasto ed isolato, rimarrete un popolo sempre libero fino alla fine dei tempi.
7. Ma se accadesse invece un giorno che la discordia si insinuasse tra di voi, cosa questa che deve pure restare possibile a causa della vostra libertà, allora i potenti fra di voi vi si imporranno come re, vi tormenteranno con dure leggi e poi la vostra libertà che vale oro avrà fine per lungo tempo e forse anche per sempre. I vostri figli in tali condizioni dovranno languire in grande miseria e aneleranno ardentemente alla liberazione, ma allora questa si farà attendere molto a lungo! Vedete dunque di stabilire i vostri ordinamenti in modo che non sorgano tra voi dei re, a meno che non siano come te! Infatti, tu non sei un oppressore, ma sei un vero beatificatore del tuo popolo; ora questo sta perfettamente nel Mio Ordine, e così dunque resti anche per l'avvenire».
I mori partiti più tardi.
1. (Il Signore:) «Il Mio Nome è Gesù da Nazaret quale uomo di questa Terra, e Jehova dall'eternità; d'ora innanzi però il Nome di Gesù rimarrà in eterno. In questo Nome voi sarete in grado di fare tutto e di compiere tutto, non solo nel tempo, ma pure nell'eternità!
2. AmateMi come il vostro Dio Signore e Maestro sopra ogni cosa, ed amatevi fra di voi come ognuno ama se stesso; così voi rimarrete nel Mio Amore, nella Mia Forza e nella Mia Potenza, e la Mia Luce non si scosterà mai più da voi.
3. Ma se voi vi farete più deboli nell'amore per Me e per i vostri fratelli e sorelle più poveri, allora anche la Luce nei vostri cuori comincerà a cedere il posto alle tenebre, e la Mia Forza e la Mia Potenza in voi si affievoliranno molto e si estingueranno! E anche se in tali condizioni voi invocherete il Mio Nome con l'intenzione di operare per la forza di questo Nome, da Esso non vi verrà più forza, né alcuna potenza, perché ogni forza, ogni potenza ed ogni riuscita dell'operare nel Mio Nome viene conservata unicamente mediante l'amore per Me e, fuori da questo, mediante l'amore per il prossimo!
4. Il Mio Nome di per sé solo non ha alcun effetto, invece ogni effetto dipende soltanto dall'amore nel Nome, mediante il Nome e per il Nome stesso, nonché dal conseguente amore per il prossimo! Ora, se a qualcuno si presentasse un povero che invocasse da lui un qualche soccorso, ma ne ottenesse la seguente risposta: “Va, e guadagnati quanto ti occorre!”, in verità quel qualcuno non avrebbe il Mio Amore, e nel Mio Nome non gli verrebbe conferita né forza né nessuna potenza!
5. Ed ora va, comunica ai tuoi compagni quanto hai appreso e poi ritorna, ed Io stesso allora ti annuncerò un altro Vangelo! Così sia!».
6. Oubratouvishar si inchinò profondamente dinanzi a Me, e poi si recò al tavolo dove sedevano i suoi compagni allo scopo di comunicare loro quanto aveva appreso da Me. Ma quale non fu la sua meraviglia trovando là a sedere un numero maggiore di compagni di quanti ne avesse condotti con sé quella volta. Naturalmente egli li riconobbe subito per suoi vicini e parenti prossimi e, come facilmente si comprenderà, la sua prima domanda riguardò come e quando essi avessero seguito la sua comitiva.
7. Loro gli risposero: «Vedere e udire di persona è certo migliore che non farsi raccontare delle cose prodigiose dalla bocca sia pure del più accreditato testimone oculare e auricolare. Noi ci trovavamo sempre ad una mezza giornata di viaggio dietro di voi!
8. Non ci saremmo avventurati in questa impresa, se subito dopo la vostra partenza non fosse venuto da noi, come disceso dalle alte zone dell'aria, un bianco giovinetto dall'aspetto abbagliante, il quale ci esortò formalmente ad intraprendere il viaggio. Noi radunammo allora un gregge di mucche e tori nonché un gregge più piccolo di pecore e con queste venimmo fino a Menfi, dove quel buon capo già da lontano ci venne incontro con la sua gente e ci raccontò che appunto anche lui aveva ricevuto notizie di noi da parte di un simile giovinetto, e che per questa ragione anche si era mosso per venirci incontro.
9. Egli ci informò su di voi, prese inoltre in buona custodia le nostre greggi e, in cambio dei prodotti che queste avrebbero fornito, ci provvide di oro e di argento, suddiviso in sacchetti di vario peso e valore agli scopi dello scambio, ormai generalmente in uso, per ogni tipo di viveri e di altre cose. Noi lo ringraziammo, ed egli ci assegnò delle guide fino ad Alessandria, che durante il viaggio ci procurarono quanto ci era necessario e, arrivati ad Alessandria, provvidero al nostro imbarco su una nave sicura che ci trasportò fino a queste rive oltre una grande acqua che sembrava non volere finire mai.
10. Una volta sbarcati, trovammo del tutto intatte le orme impresse dai vostri passi sulla sabbia, e seguendo questa traccia vi siamo venuti dietro; infine venimmo a trovarci così vicini a voi, da poter distinguere benissimo la nuvola di polvere sollevata dai vostri cammelli, e vi perdemmo di vista solo quando voi spariste dietro a dei boschi e ad una montagna.
11. Ma fu appunto allora che ci venne incontro il giovinetto, ed egli ci ha trasportato qui, dove ora ci troviamo, in un modo a noi sconosciuto, di cui non potremmo dirti altro se non che noi stessi ne siamo meravigliati oltre ogni misura! Dunque, di come noi siamo arrivati da lì fino a qui noi non ne sappiamo nemmeno quanto se ne può sapere di un bruttissimo sogno.
12. Ma quel Nobilissimo che è là ti ha ora incaricato di comunicarci qualcosa; di che cosa di tratta? Parla, perché Lui, secondo le visioni che hai avuto e che ci hai ripetutamente esposte, assomiglia esattamente, nella figura esteriore, a Colui a motivo del Quale tu e noi tutti veramente siamo venuti fin qui. Parla dunque, parla!».
Della essenza di Iside e di Osiride.
1. Dice il capo della comitiva: «O fratelli miei e sorelle, noi crediamo perché con tutti i nostri sensi siamo ora testimoni di ciò che è e si trova qui dinanzi a noi! Ogni sapienza umana, ogni intelletto e la stessa più chiara e limpida ragione non possono comprendere assolutamente che sia possibile anche il solo pensare a quello che è qui e qui dimora.
2. Oh, voi non intuite nemmeno, e non potete neanche farvi la minima idea di ciò che si trova qui. Dopo le visioni da me avute, io mi ero immaginato che qui mi avrebbe atteso qualcosa che è grande in modo quasi smisurato, sennonché nemmeno il mio più grande e ardito pensiero ha osato, né ha potuto mai innalzarsi fino all'incommensurabilissimo e all'infinitissimo; eppure così è e così avviene adesso in maniera inconfondibile dinanzi ai nostri occhi stupefatti!
3. Voi sapete di che cosa io e il capo dei sacerdoti di Menfi abbiamo, unicamente e soltanto, trattato per un anno intero in vostra presenza, quantunque il capo avesse osservato varie volte che sarebbe bastato che io solo venissi iniziato nella sua sapienza; io però allora dissi: “Vedi, o signore, questi sono fratelli e sorelle mie! Nessuno di loro è in alcun modo da meno di me, e perciò tu, o signore, puoi fare a meno di nascondere, per amore mio, una qualsiasi cosa dinanzi a loro”, ed in seguito a ciò egli si espresse sempre ad alta voce.
4. E quando egli, dopo che fu trascorso circa mezzo anno, ci condusse a KAR NAG di KORAK per svelarci l'Iside anticamente famosa, più della metà di voi era presente e, come me, avete visto e udito tutto.
5. Noi là vedemmo due strane immagini: l'una, quella di I-SIS (Iside) (il principio nutriente della vita primordiale) nascosta dietro ad un fitto velo, ed accanto a questa quella di OSIRIS (OU SIR IEZ) (Osiride) (il pascolo del puro uomo spirituale).
6. La prima immagine raffigurava una donna dalle proporzioni colossali con numerose mammelle sul petto; in altri tempi pare che al posto della donna dalle molte mammelle, lì fosse stata raffigurata una mucca.
7. La seconda immagine, quella di OU SIR IEZ rappresentava uno strano essere; in mezzo ad un ampio pascolo fertile stava un uomo circondato da molte greggi che parevano occupatissime a pascolare; lo strano uomo stava in mezzo ad ogni specie di frutta, e il suo atteggiamento era quello di una persona intenta a mangiare.
8. Come voi stessi avete appreso per bocca del saggio capo dei sacerdoti, mediante queste due immagini gli egiziani avevano voluto rappresentare per prima cosa, velata, l'Essenza primordiale dell'Essere divino che crea, nutre e conserva ogni cosa ed essere creato, e poi, mediante la seconda immagine, non avvolta in alcun velo, ogni essere creato di tutta la Creazione che vive e necessita di un nutrimento.
9. Allora il capo cominciò a spiegare a noi tutti con parole di profonda sapienza l'Essere di un Dio unico, eterno, che crea dai primordi dei tempi, e noi riconoscemmo che deve esistere un Essere primordiale dotato di Potenza e di Sapienza infinite, fuori dal Quale è sorto ogni altro essere esistente in tutta l'eterna infinità, che da Lui viene sempre e continuamente nutrito e conservato.
10. Questo Essere divino primordiale non è in qualche modo visibile o comprensibile a nessuno, in quanto Egli colma tutto l'infinito, ed è, in maniera quanto mai celata, sempre presente dappertutto tanto nello spazio quanto nel tempo, motivo per cui anche l'immagine di Iside era permanentemente velata, e nessuno poteva, né a nessuno era lecito, sollevare il possente velo di Iside tranne che, in certe epoche particolarmente sante, al sommo sacerdote, però neanche a questo era lecito, dinanzi al popolo, sollevare più del lembo inferiore del velo.
11. Quella volta nel vostro animo sorse al massimo grado la venerazione per questa Divinità primordiale, e non meno anche nel mio animo. Durante il viaggio da KAR NAG (non nudo, dunque vestito e velato) a KO RAK (umile come un gambero) noi non ragionammo d'altro che della Divinità primordiale, e il capo ci dimostrò come in ogni albero, le cui parti interiori sono pure celate agli occhi di ciascuno, esiste l'immagine velata di I-SIS (Iside), e il nostro stupore e la nostra venerazione si accrescevano ad ogni passo dei cammelli che ci portavano.
12. In ciascun prodotto della natura noi allora cominciammo a scoprire l'enigmatica immagine di I-SIS velata, e il capo dei sacerdoti gioiva molto di noi, suoi discepoli dalla pelle nera, e noi da quel momento di KAR NAG in poi vedemmo tutta la Natura con occhi assolutamente differenti da prima.
13. Quali e quante idee grandi e sublimi vennero poi scambiate fra di noi, e da quale immensa venerazione era pervaso il nostro animo quando, durante le nostre ore libere, rivolgevamo i nostri pensieri e le nostre parole all'Unico ed eterno Essere divino! Quante volte ci siamo intrattenuti col savio e buon capo dei sacerdoti di Menfi e abbiamo ragionato del sentimento di infinita beatitudine che dovrebbe sorgere nell'uomo, qualora fosse in qualche modo possibile udire almeno una volta sola nel proprio animo una Parola del supremo Essere divino per quanto lieve, ma tuttavia chiara!».
Il gran Tempio di JA BU SIM BIL costruito sulla roccia.
1. (Continua Oubratouvishar:) «Noi chiedemmo anzi al capo se qualcosa di simile fosse mai accaduto su questa Terra ad una qualche persona assolutamente giusta e onesta.
2. Allora il capo si strinse nelle spalle e disse: “In via diretta no di certo, ma invia indiretta si hanno dalle Scritture e dalle tradizioni orali dei veri esempi di uomini molto giusti e pii che sono stati fatti trapassare ad un certo stato d'estasi, nel quale essi videro e percepirono lo Spirito di Dio quale una Luce che riempie tutti gli spazi dell'Infinità, avendo in sé la percezione di essere essi stessi una parte di questa Luce. Tutti coloro però ai quali fu concessa una simile grazia, dichiararono poi che essi in questa Luce si trovavano intimamente pervasi da una sensazione di delizia indescrivibile, e ciò che essi profetizzavano in quei momenti veniva sempre immancabilmente attuato. Ma nessun mortale ha mai visto sotto un'altra figura il vero Dio primordiale!
3. L'uomo, quale una forma limitata, bramerebbe certo accostarsi al Dio primordiale, e il suo cuore aspira a contemplare almeno una volta il suo Creatore in una forma umana accessibile e a dialogare con Lui, l'eterno Spirito originario, come con un essere umano; sennonché questa non è altro che una stolta aspirazione del debole animo umano, che sotto certi punti di vista è molto perdonabile, ma che non potrebbe mai venire realizzata in eterno. Infatti, il finito non può in eterno mai farsi infinito, né viceversa l'infinito mai farsi finito!”.
4. Questo fu il discorso che ci tenne il savio capo, e noi anche lo comprendemmo quel tanto che ci era possibile, date le nostre limitate capacità d'intendimento.
5. Ma nonostante ciò, l'idea della conoscenza più precisa della Personalità divina, per quanto grande, si imponeva quasi senza volerlo in ciascuno di noi, perché non potevamo trovarci a nostro agio così abbandonati nell’Infinità di Dio. Il nostro cuore bramava sempre un Dio personale da poter vedere ed amare, malgrado il nostro intelletto fosse sempre in conflitto con il povero cuore che si sentiva estremamente troppo piccolo per abbracciare con tutto l'amore l'Infinità divina, quantunque il capo ci avesse consigliato di rivolgere il nostro amore alla Divinità primordiale!
6. Il capo ci rivelò poi che a questo mondo c'era un popolo chiamato “popolo d'Israele”, il quale aveva la nozione più esatta del supremo Dio. Uno dei primi fra i suoi sapienti, nativo dell'Egitto, di nome Moi ie sez (Mosè) (“l'accolto da Me”, nome datogli da una principessa che lo aveva salvato dalla corrente del Nilo), pare sia stato per cinquant'anni in comunicazione con lo Spirito di Dio, e che appunto questo Spirito gli abbia vietato severissimamente di raffigurarLo sotto qualsiasi forma o immagine! Anche questo sapiente, seguendo l'impulso del proprio cuore, bramò di vederLo almeno una volta personalmente, ma la risposta che ricevette fu la seguente: “Tu non puoi vedere Dio e nello stesso tempo vivere!”.
7. Ma siccome, nonostante questo, la brama di vedere Dio andava aumentando nel cuore del sapiente, lo Spirito di Dio gli disse di nascondersi in una spelonca e di uscirne quando fosse stato chiamato. Così fece il sapiente, e quando fu chiamato egli uscì, e ad una certa distanza vide la schiena di Dio raggiante più di mille soli. Ma si dice che allora la sua faccia fosse diventata talmente raggiante che per sette anni interi nessuno poté guardarla senza correre il pericolo di diventare cieco, ragione per cui il savio, durante questo tempo, dovette tenere coperta la sua faccia con un fitto velo! Questo, come voi sapete, ce lo raccontò il saggio capo dei sacerdoti.
8. Fino a che punto tutto ciò sia realmente stato così, oppure diversamente, noi non sapremmo esprimere a questo riguardo un più esatto giudizio; una cosa però la sappiamo, e cioè che dalle labbra del capo dei sacerdoti non è mai uscita una parola non vera. Come egli l’ha appreso, precisamente così egli l'ha esposto anche a noi.
9. Vi ricordate, quando gli domandammo dove in tutto il paese d'Egitto la Divinità originaria eterna e vera venisse adorata e onorata al massimo secondo la maggior verità possibile, come allora egli ci rispose: “Non molto lontano da qui, e precisamente nel gran Tempio di JA BU, SIM, BIL (che significa “Io ero, sono e sarò”) scavato nella roccia! Attraverso una porta grande e altissima la via conduce nell'interno della vasta sala scavata nella montagna. Essa è ornata di colonne, tutte scolpite nella roccia; fra colonna e colonna c’è una figura di gigante armato, alta almeno quanto dodici uomini, che sembra reggere il tetto del Tempio.
10. L'interno è suddiviso in tre sale mediante un’arcata, e in ciascuna, da ogni lato, ci sono sette di tali giganti, dunque complessivamente quattordici giganti in ciascuna delle tre sale; questi sono i simboli dei sette Spiriti che provengono da Dio; però tutto l'ambiente comprende dunque, nelle sue tre suddivisioni, sei volte sette di tali giganti, e ciò significa che Dio già al principio di tutta la Creazione aveva stabilito sei periodi, e che in ciascuno di questi periodi - infinitamente lunghi e compenetrantisi l'uno con l'altro - gli stessi sette Spiriti hanno portato tutto e operato ovunque. Ciascuno dei sei lati della lunga sala del Tempio tripartita è ornato con ogni specie di segni e figure, in cui uno che sia iniziato nell'antica sapienza può decifrare tutto ciò che lo Spirito di Dio ha rivelato ai principali fra i primissimi sapienti di questo Paese.
11. In fondo alle tre sale si trova di nuovo l'immagine velata di I-SIS (Iside) e quella senza velo di OU-SIR-IEZ (Osiride), e su di un altare davanti a I-SIS stanno incise nella dura pietra le parole: JA BU SIM BIL. All'ingresso, ai due lati della porta del Tempio, si trovano, da ciascun lato, due giganti in posizione seduta e che rappresentano le quattro forze elementari principali di Dio nella natura; il fatto che le quattro figure appaiano sedute significa l'ordine e la quiete in cui le forze sono state poste da Dio per servire ogni creatura secondo la Volontà di Dio.
12. Un’iscrizione posta sull'alto della porta del Tempio ammonisce il visitatore del luogo sacro a porre il piede nei sacri ambienti sempre con l'animo e lo spirito raccolti. Chi entra nella prima sala, troverà i due primi pilastri ornati di figure e segni particolarissimi; si dice che questi si riferiscano ad una specie di guerra dei mondi chiamata “le guerre di Dio!”.
13. Sennonché io stesso sono troppo poco esperto nell'antica sapienza per potervi spiegare queste cose più ampiamente; fra sette giorni vi condurrò proprio là, dove voi stessi potrete prendere visione di tutto; certo il dente aguzzo del tempo ha devastato parecchio in questo santuario antichissimo! Però moltissime cose sono ancora molto ben conservate, e voi qui potrete apprendere davvero molto”. (E qui termina il discorso del capo dei sacerdoti).
14. Ebbene, vi ricordate quali sentimenti cominciarono allora a germinare in noi dopo aver appreso queste cose? Potevamo a mala pena frenare la nostra impazienza in attesa del giorno in cui il capo ci avrebbe guidato al santuario del quale ho parlato. E quando finalmente venne quel giorno e noi, montati sui nostri cammelli, ci dirigemmo verso quel luogo, quale fervore si manifestò nei nostri cuori già al momento in cui cominciammo ad avvicinarci solamente al piccolo tempio che si incontra prima dell'altro, e che pare non sia che un luogo di sepoltura di alcuni antichissimi sapienti! Ma quando giungemmo sulla soglia del gran Tempio nella roccia, il nostro cuore cominciò a battere più forte; che impressione indescrivibile fece su di noi la vista dei quattro elementi personificati! L'ammirazione ci tolse quasi la parola quando, muniti di fiaccole accese, entrammo negli ambienti interni del Tempio! Ma perché fu tanto potente la commozione suscitata in noi da quello spettacolo? Il motivo di tale commozione fu che noi ci reputavamo più vicini al supremo vero Essere divino proprio in quel luogo che non in un qualsiasi altro posto vicino a Menfi.
15. E quando poi, fra molte lacrime e sospiri, abbandonammo il Tempio meraviglioso e il buon capo ci ebbe spiegato varie cose riguardo ai fatti delle epoche primordiali della Terra, quanto ne restammo commossi ed edificati! Ebbene, fu tanto grande la nostra impressione che infine noi cominciammo a considerare già tutta la Terra come un immenso tempio di Dio. Noi non ci accorgemmo affatto durante quelle due giornate se facesse caldo o freddo, perché i nostri animi erano esclusivamente occupati dal pensiero di tutto ciò che avrebbe potuto condurci più vicino allo Spirito primordiale di Dio! Però, a questo riguardo noi evidentemente restammo con le nostre illusioni. Le nostre conoscenze ne furono certo molto arricchite, ma Iside rimase nonostante tutto invisibile, e nessun mortale poté finora sollevare in qualche modo questo misterioso velo che ricopre la Divinità eterna».
Oubratouvishar mostra ai suoi il Dio fatto Persona in Gesù.
1. (Oubratouvishar:) «Solo quando fummo giunti alle nostre dimore nel nostro torrido paese, allora io ebbi le visioni che sapete! Io ve le raccontai, fedelmente, tali e quali mi furono concesse certo per la Grazia del supremo Spirito, e voi ne gioiste immensamente, al punto che cominciaste addirittura a saltare come tanti capretti al pascolo. Ma come in voi si manifestava questo senso di letizia, nello stesso tempo si destava anche un sentimento di nobile invidia, dato che in voi sorgeva sempre più ardente il desiderio di avere anche voi simili visioni. E quando io, dopo le indicazioni interiori misteriose avute per sette volte, mi misi in viaggio verso questo paese con i miei circa venti compagni, voi non poteste resistere senza di me neppure per mezza giornata; vi metteste perciò anche voi in viaggio, ed ormai mi avete raggiunto qui in modo straordinario.
2. Ed ora noi siamo anche giunti al luogo santissimo che mi fu indicato nelle mie visioni, e qui c'è infinite volte di più che non a Menfi, a KAR NAG di KORAK, e nel Tempio massimo del mondo, JA BU SIM BIL, e così pure infinitamente di più della misteriosissima immagine di I-Sis (Iside)! Infatti guardate là a quella grande mensa! Là nel mezzo, in una veste di color rosso e con sopra un mantello azzurro, con la ricca capigliatura biondo-dorata fluttuante sulle Sue spalle, siede Uno che - non soltanto nella Sua Essenzialità spirituale-divina suprema, ma anche corporalmente - è il supremo Essere divino, o l'immagine supremamente vivente di Iside cui nessun velo più ricopre le sembianze!
3. Quando il capo di Menfi ci raccomandò vivamente l'amore per l’infinito Essere divino, noi percepimmo che il piccolo cuore umano è assolutamente incapace di un simile amore, e noi cominciammo a riflettere ed esprimemmo anche il nostro parere che noi potremmo benissimo amare sopra ogni cosa una qualche persona che fosse portatrice della Pienezza dello Spirito di Dio, ma che invece una Divinità troppo infinita, cioè l'infinità colma dello Spirito di Dio, non può nemmeno venire amata poiché non la si può né abbracciare né comprendere col pensiero, a meno che l'amore per un simile infinitissimo Essere divino non lo si faccia consistere nel sentimento di prodigioso annientamento dell'uomo troppo meschino e nullo di fronte alla universalità infinitissima della Divinità primordiale.
4. Di quanta consolazione non fu per noi l'asserzione del capo dei sacerdoti secondo cui a Moisez (Mosè) venne infine concesso di vedere la schiena della Divinità primordiale-eterna, quantunque per effetto della luce indicibilmente intensa la sua faccia rimanesse per sette anni talmente splendente che nessuno avrebbe potuto guardarla senza correre il rischio di restare cieco, e che per questa ragione anche quel sapiente per tutto quel tempo dovesse tenere la sua faccia coperta con un triplice velo. Oh, certo, questo racconto del capo di Menfi ci procurò un sollievo immenso, perché allora noi cominciammo a raffigurarci la possibilità di un Dio personalmente reale; e solo allora iniziò a destarsi in noi il sentimento di amore per l’altissimo Dio, e sicuramente in seguito a questo nostro amore io ho poi avuto le mie sette visioni che furono come un invito a portarci qui, senza le quali di sicuro noi qui non saremmo mai venuti.
5. Ora abbiamo dinanzi a noi personalmente il supremo Dio, e il Suo Comandamento per la nostra perfezione consiste unicamente nel fatto che noi dobbiamo amarLo sopra ogni cosa e che ci amiamo l'un altro così come ciascuno necessariamente ama se stesso!
6. Cosa ne dite voi tutti, o cari fratelli e sorelle mie? Quali sentimenti suscita tutto ciò in voi, e quali pensieri tengono ora occupati i vostri cuori? Oh, parlate, e adorate il santissimo, eterno originario Spirito, il Dio che finora quasi nessun mortale è stato capace di concepire! Parlate, parlate! Quali pensieri, quali sentimenti si agitano ora in voi?».
I giusti dubbi dei mori sulla Divinità del Signore.
1. Quelli tra i mori capaci ancora di proferire parola dicono, colmi del massimo sbalordimento: «È mai possibile pensare che quest'uomo dal fare semplice e schietto sia il portatore del supremo Essere divino? Quali valide prove hai tu in proposito? Infatti, sai bene che si deve andare molto cauti per non cadere imprudentemente in qualche idolatria tenebrosa e superstiziosissima che finirebbe con l'essere peggiore di mille immagini di Iside per quanto coperte da veli! Basta che tu rifletta sui pericoli a cui si andrebbe incontro e alle vie errate per le quali rischieremmo di smarrirci qualora la cosa risultasse infine non vera! Pensa ai concetti infinitamente colossali che ci siamo formati dell'Essere divino primordiale a Menfi, e particolarmente durante la nostra visita al gran Tempio nella montagna, in seguito a quanto apprendemmo per bocca di quel savio capo dei sacerdoti; e tutto ciò dovrebbe trovarsi misteriosamente raccolto in quest'uomo? Certo, non è da escludere che a Dio tutto sia possibile, ma nel nostro caso, a quanto si può giudicare, non traspare la benché minima probabilità che le cose siano come tu dici! Quali prove autentiche hai a conferma della tua asserzione?
2. Oh, se le cose stessero così come tu ce le hai annunciate con un tono di voce che rivelava sempre la massima sincerità, allora noi avremmo trovato senza alcun dubbio il Massimo fra i massimi, e la nostra vita avrebbe raggiunto la sua meta suprema trovando se stessa nella sua Causa Prima, e allora non ci resterebbe altro da indagare e da cercare! Infatti, chi ha trovato se stesso e Dio, la Ragione prima di ogni essere, costui ha trovato tutto ed ha pienamente raggiunto la santissima e beatissima meta indicataci dal capo dei sacerdoti di Menfi!
3. Ma che noi abbiamo trovato qui tutto questo, deve venire dimostrato in maniera assolutissimamente chiara e precisa; altrimenti tu e noi con te potremmo venire indotti, come già abbiamo osservato prima, nei più gravi errori per eccessiva credulità, dalla quale il capo di Menfi ci ha raccomandato di guardarci più che da ogni altra cosa!
4. Guarda un po' il firmamento immenso con le sue innumerevoli stelle le quali, secondo notizie del tutto misteriose avute dal capo dei sacerdoti, dovrebbero essere altrettanti mondi di smisurata grandezza, e che appaiono così piccole soltanto a causa dell’enorme distanza che le separa da noi! Considera questa nostra grandissima Terra e tutto ciò che si trova, vive e si muove su di essa; considera il mare, il Nilo possente, la sabbia, l'erba e gli innumerevoli arbusti ed alberi, nonché tutti gli animali nelle acque, sulla terra e nell'aria! Considera le nubi del cielo e la loro potenza, la Luna e il Sole! Puoi davvero pensare, sia pure lontanamente, e immaginarti ragionevolmente che quest'uomo, certo dotato di grande sapienza, possa sorvegliare, mantenere e guidare tutta l'infinità, dal minutissimo fino all'incommensurabile, rimanendosene qui su un tratto di terra largo a mala pena quanto il palmo di una mano? Oh, sì, come persona esperta delle forze segrete e interiori della natura quali abbiamo avuto occasione di vederne al Cairo e ad Alessandria, egli può compiere perfino dei prodigi di fronte a noi; ma che cosa è tutto ciò a paragone dell'infinità eterna e degli esseri e delle cose innumerevoli che vi sono contenuti e che ci sono eternamente sconosciuti?
5. Ricordati delle gravi parole usate dal capo dei sacerdoti con le quali ci ammonì in tutta fedeltà a guardarci da simili giocolieri e maghi venali, come egli li chiamava. Un uomo che unisse alla sua arte magica anche un’ulteriore sapienza in campo morale potrebbe, come ci disse il capo, innalzarsi con la massima facilità a dominatore dell'umanità terrena e fare infine di sé addirittura un Dio. Ebbene, finora ci sembra che quest’uomo abbia più che abbondantemente una propensione a questo; per conseguenza qui si rende necessaria una cautela del tutto particolare e bisogna richiedere delle prove che siano, sotto ogni aspetto, atte a chiarire opportunamente le grandi cose che ci vengono prospettate. Infatti, quanto più grande, sacra ed importante è o sembra diventare una questione, tanto maggiore cura è bene avere per tenere lontana da essa ogni leggerezza di giudizio!
6. Se si tratta di togliere via una piccola pietra che risulta di impedimento su un sentiero, non c'è sicuramente bisogno di tenere uno speciale consiglio per decidere come si farà per togliere dal sentiero una simile pietra! Il primo che passa la raccoglie, e la getta in qualche altro luogo dove non è di impedimento a nessuno. Ma ben altrimenti si presenta la cosa quando un grosso frammento di roccia, precipitato giù dalla montagna, ostruisce un viottolo stretto, separando così uomini da uomini, vicini da altri vicini, genitori dai loro figli, e fratelli dai fratelli e sorelle dalle sorelle! Oh, certo, allora tutta la comunità terrà consiglio per provvedere al da farsi, perché la via deve venire di nuovo resa transitabile. Ora qui appunto si tratta del momento assolutamente più importante della nostra vita, a causa del quale tutti noi deliberammo di intraprendere il lungo e faticosissimo viaggio!
7. Se noi, conformemente alle tue visioni, siamo arrivati al posto giusto, allora noi abbiamo guadagnato tutto, ciò che le prove più sicure certamente ce lo dimostreranno; ma se noi non dovessimo trovarci di gran lunga ancora al posto giusto, non avendo così concluso nulla finora, dovremmo o rifare il nostro cammino, oppure continuare la nostra peregrinazione non appena avremo pagato l'onesto albergatore per il consumo delle vivande. Ed ora parla tu con tutta franchezza e dicci se hai delle prove a conferma di quando asseristi dinanzi a noi sul conto di quell'Uomo, e quali sono queste prove!».
Oubratouvishar si sforza di convincere i suoi compaesani della Divinità di Gesù.
1. Dice Oubratouvishar: «Credete che io sia più credulo di voi? Oh, voi siete davvero in grave errore se pensate così! Non avete dunque visto quale specie di prova - che ha neutralizzato i miei dubbi - mi ha fornito, con un solo lievissimo cenno di quel Signore, il bellissimo giovinetto che avete visto e che evidentemente è uno spirito dai Cieli?»
2. Rispondono i venti: «Noi abbiamo assistito certo ad ogni tipo di fatti ed abbiamo anche udito qua e là qualche parola, tuttavia non abbiamo potuto farci un'idea dell'insieme, né meno ancora ricostituire un nesso fra una cosa e l'altra, perché questa mensa dista troppo dalla mensa principale»
3. E i nuovi venuti aggiungono: «Noi siamo arrivati davvero in maniera un po'straordinaria a questa seconda mensa, rimasta prima vuota, proprio nel momento stesso in cui tu ti inchinasti profondamente davanti a quel Signore e poi venisti qui da noi, e per conseguenza non è possibile che noi abbiamo udito od osservato qualcosa di quanto hai trattato con quel soavissimo giovinetto! Parla dunque e dicci ciò che sai o che hai visto; così non sarà difficile che possiamo farci un’idea della situazione in cui ci troviamo!»
4. Dice il capo della comitiva: «Ebbene, vi esporrò ancora una volta come stanno le cose. Voi tutti conoscete l'oggetto che ho di recente trovato in un fossato colmo di ghiaia. Quando decidemmo di partire, io volevo prenderlo con me per farne un regalo, certo molto gradito, al capo dei sacerdoti di Menfi; sennonché nella fretta di partire io me ne dimenticai completamente, e della cosa mi ricordai solo più tardi; così l'oggetto rimase in un angolo della mia capanna, ben avvolto dentro a un panno e coperto da una scorza di zucca. E quando io richiesi delle prove di quello per cui voi stessi chiedete ora delle prove da me, quel bel giovinetto richiamò alla mia memoria ciò che io avevo dimenticato a casa mia, e mi descrisse esattamente dove e quando avevo trovato la bella pietra, dove la tenevo nascosta nella mia capanna e a chi avrei voluto farne dono!
5. O cari amici e fratelli miei! Questa cosa è evidente che doveva apparirmi alquanto strana, ed infatti io ne rimasi enormemente stupefatto! Come poteva sapere quel giovinetto di ciò che stava nascosto, con tutta segretezza, così lontano nell’angolo più riposto della mia capanna?
6. O amici e fratelli miei! Per conoscere questo ci vuole più che tutta la sapienza degli uomini presi assieme. Per me questa sarebbe stata una prova senz’altro sufficiente, perché io sono ben in grado di comprendere quello che è possibile sapere ad un uomo anche dotato della massima sapienza e nel più favorevole dei casi. Ma il giovinetto, ad un cenno di quel Signore là alla grande mensa, non si accontentò di questo, ma mi domandò se forse non desideravo che egli andasse a prendere nella Nubia il noto oggetto che tenevo nascosto nella mia capanna per portarlo qui. Una tale proposta non poteva certo mancare di suscitare in me uno stupore ancora più grande, ed io anche l'accettai.
7. Adesso voi penserete di sicuro che il giovinetto mi abbia fatto aspettare qualche momento! Oh, niente affatto! Nello stesso istante egli mi consegnò prima di tutto la pietra e subito dopo anche la scorza di zucca con la quale avevo coperto il bel prodotto naturale nascosto nell'angolo più riposto della mia capanna, e mi venne infine data una spiegazione chiara e plausibilissima sulla provenienza della pietra quanto mai bella.
8. Ma affinché non sussista in voi alcun dubbio sul mio conto, o che non mi tacciate perfino di eccessiva credulità, ecco qui la pietra e la scorza di zucca; esaminatele bene voi tutti e dite se non sono proprio quelle che tenevo a casa mia! E qui c'è il mio servitore il quale pure sa dove e come le avevo nascoste! Cosa ne dite voi? Una cosa simile può farla forse anche un mago della specie più famosa, di quelli che si trovano al Cahiro? (Kahi roug, che significa “il corno del Kahi”, uno dei tori più grandi di quella regione, il quale era sacro). Ecco, io ho ora finito, e adesso tocca di nuovo a voi»
9. Allora tutti esclamarono: «Se è così, come ormai nessuno di noi dubita più, fortunati tutti noi allora, poiché vuol dire che qui anche la cosa più incredibile diventa luminosissima e vivificante verità! Fortunati noi, il nostro paese e tutti coloro che là attendono ansiosamente il nostro ritorno, perché così anche sotto la loro nera pelle si farà chiaro com'è chiara la luce del Sole!
10. Ma ora dicci un po' come puoi conciliare il fatto che quest’uomo è contemporaneamente il supremo Essere divino del Quale è colma tutta l'infinità, che nutre tutto e che dappertutto governa e regge con la Sua Onnipotenza? Dove ravvisi in lui una simile Sapienza eternamente senza limiti e una tale onnipossente Forza di Volontà? Come è possibile che quando sta qui è, come noi, un semplice uomo limitato, mentre quando invece e là, in tutta l’infinità, agisce col massimo Discernimento, con la massima Sapienza e con suprema illimitatissima Potenza? Come può operare qui in tutti gli innumerevoli punti della Terra e contemporaneamente operare là in tutti quelli vicini e lontani della Creazione senza fine, vedendo e conoscendo, percependo e calcolando sempre ugualmente tutto con una Forza ed una Potenza che non diminuiscono mai in eterno? Riesci tu a comprendere questa possibilità incomprensibile fra tutte?»
11. Risponde il capo della comitiva: «Questa cosa certo io non la comprendo ancora, però né io, né voi nemmeno comprendiamo come quel giovinetto abbia fatto a portarmi qui in un rapidissimo istante la pietra da me dimenticata nella mia capanna! Ma adesso pazientiamo in tutta umiltà e vero amore verso questo Unico, e senza dubbio ci verrà fatta poi ancora maggiore luce!».
12. A questo consiglio si adeguano per il momento tutti e, molto pensierosi, rimangono in attesa di quanto potrà seguire.
I vantaggi e gli svantaggi spirituali dei mori.
1. Ma osserva allora Cirenio: «O Signore! Non mi sarebbe davvero mai venuto in mente di andare a cercare presso questi mori tanta saggezza e tanto lucidissimo intelletto; bastano le loro molte conoscenze e meravigliose esperienze a suscitare in me un giustificato stupore! Per quanto riguarda poi il prefetto di Menfi, che si chiama Justus Platonicus (Giusto Platonico), egli mi era già noto quale una persona molto savia, ma che egli fosse iniziato in tutti gli antichissimi misteri degli egiziani, questo davvero non lo sapevo affatto.
2. Quello che so è che egli è un convinto seguace di Platone già da molto tempo. Proveniente da un casato molto ragguardevole di Roma e ricco come un Creso, già nella sua giovinezza si è molto familiarizzato con i filosofi greci ed egiziani, e ha fatto dell'Egitto la meta principale di tutti i suoi studi. Ha trascorso circa dieci anni nel paese della sapienza antica, e lì si è fatto iniziare in tutti i rami dello scibile. Provvisto di una referenza di mio fratello, Augusto Cesare, tutti i misteri dal primo all'ultimo dovettero venirgli rivelati, ed è così che egli è arrivato alla sua attuale sapienza. In considerazione poi della sua profondissima conoscenza della storia, dei fatti e delle condizioni di quel paese, Augusto lo ha nominato governatore, piuttosto civile che militare, a Menfi nell'Alto Egitto. In quella città c'è bensì una piccola guarnigione che sta sotto il comando del nostro Giusto Platonico; ma non per questo egli è un comandante militare.
3. Che egli fosse un grande scienziato, certo lo sapevo, ma che fosse ormai diventato un vero sapiente e addirittura un sacerdote, questo, naturalmente, non mi risultava affatto. In seguito però bisognerà che mi occupi un po' più di lui, perché, con le cure e le attenzioni da lui prodigate a questi mori, egli si è acquistato grande merito presso di me. Certo, per lui sarebbe una gioia immensa potersi trovare qui. Quale sarebbe pressappoco il Tuo giudizio sul conto di Giusto Platonico, e in quali condizioni egli, quale un pagano come me, viene a trovarsi rispetto al Regno di Dio sulla Terra?»
4. Ed Io gli rispondo: «Oh, ma quali domande superflue stai facendo? Giusto è un uomo secondo il Mio Cuore; egli ama Dio sopra ogni cosa e il prossimo suo più che se stesso, e chi opera così, costui è già nel Mio Regno, non importa che sia giudeo o pagano. Io ti dico che con lui Io mi intenderei prima che non con voi; ad ogni modo Mi siete cari voi pure. Per quanto riguarda conservare intatta la Mia Parola però nessuno è così atto come questi mori, perché, una volta acquisito e compreso qualcosa, essi la mantengono intatta e pura come un diamante ben lavorato. Ciascuno può garantire per loro che questa Mia Dottrina rimarrà, anche da qui a duemila anni, nello stesso stato di purezza in cui essi la ricevono da Me.
5. Questa stirpe di mori possiede la particolarità di conservare, completamente nella sua purezza originaria, una dottrina od un costume per mille anni ed oltre, precisamente così come loro l’hanno ricevuta fin dall’inizio; essi non ne toglieranno mai via niente, né appunto per questo ci aggiungeranno mai niente; tuttavia ciò non vuol dire affatto che, quali uomini, essi si trovino in una situazione di privilegio rispetto a voi, uomini dalla pelle bianca. Anzi, come discendenti di Caino, si trovano su un gradino inferiore, e soltanto con molte difficoltà possono giungere alla dignità di figli di Dio, perché sono uomini planetari provenienti esclusivamente da questa Terra, dunque creature puramente terrestri dotate di ragione, intelletto e coscienza, ma dalla volontà meno libera di voi, uomini dalla pelle bianca.
6. D'altro canto però questa volontà meno libera è in loro molto più possente di quella assolutamente libera in voi! Ciò che questi mori vogliono, essi lo attuano anche a costo di smuovere le montagne! Nel corso della giornata odierna essi vi forniranno qualche prova della potenza del loro volere, e voi non potrete fare a meno di restarne assai meravigliati! Del resto, che essi siano più immutabili di voi, discendenti di Set, in tutto il loro pensare ed agire, ne rende prova e testimonianza già la loro figura.
7. Vedete, si capisce che il capo della carovana è il più anziano di tutti, mentre il suo servitore è di buoni ventotto anni più giovane di lui; eppure, guardateli bene e dite se dall'aspetto non sembra che abbiano quasi la stessa età! Si assomigliano così tanto tra di loro che sembrano due gemelli! Con molta difficoltà riuscirete dunque a rendervi conto dell'età di questa gente; ma altrettanto si può dire altresì della loro forza e vigoria naturali. Un vecchio di settant'anni può senz'altro fare a gara con un ragazzo di diciassette anni se si tratta di correre e saltare.
8. Voi bianchi vi ammalate spesso e la vostra pelle è soggetta ad ogni genere di malattie; questi qui invece, ammesso che rimangano fedeli al loro nutrimento naturale, non conoscono affatto i mali fisici, e la maggior parte di loro muore di vecchiaia. Però, come già la loro natura esteriore è più invariabile della vostra, così anche il carattere interiore dell'anima è in loro molto differente e molto più solido che non in voi. Appunto perciò essi, rispetto a voi, faranno però progressi molto minori nello sviluppo dello spirito, dato che manca a loro quasi completamente la flessibilità della volontà necessaria a questo. La loro volontà è certo anche suscettibile di piegarsi in una cosa o nell'altra, ma ciò richiede sempre moltissima serietà, grande fatica e lavoro.
9. La superiorità dell’anima e dello spirito in essa contenuto, non consiste però in una certa fermezza piuttosto animale della volontà, ma nella capacità più sciolta di acquisizione della conoscenza da parte dell'anima, mediante la quale essa afferra e comprende rapidamente la luce della Verità, e consiste inoltre nella facile arrendevolezza della volontà, grazie alla quale l'anima si rende subito conto del vero e del buono, li afferra rapidamente con la volontà e li traduce nell'azione, senza la quale da nessun tipo di conoscenza può derivare un vantaggio all'anima!».
La varietà dei climi e delle razze sulla Terra.
1. (Il Signore:) «Vedete, dopo di qui questa gente se ne andrà pure in paesi abitati da popoli molto svegli di spirito e colti, vedrà come vanno lavorati i campi e le vigne e passerà attraverso grandi città adorne di palazzi bellissimi, ma se voi potreste vederla da qui a mille ed anche duemila anni, la trovereste a dimorare sempre precisamente nello stesso genere di capanne in cui dimora oggi, e sarà incapace di costruirsi una vera casa in legno, né meno ancora una in pietra.
2. Noi non vogliamo però negare, in un certo modo in via assoluta, che questa gente non abbia tali capacità; essa potrà imparare benissimo l'arte del costruire, però le mancherà lo spirito di intraprendenza facilmente flessibile, che è necessario all'uomo per l'esecuzione di una qualsiasi opera!
3. Perciò anche il loro viaggio fino qui è stato, dal loro punto di vista, una delle imprese più colossali che la loro storia ricordi; per voi invece non sarebbe che uno scherzo! È bensì vero che da qui fino alla loro patria c'è un bel pezzo di strada, e che il calore che regna nei paesi da attraversare rende molto difficile il viaggio, ma, data la costituzione fisico-naturale di questa gente, il calore può raggiungere un’intensità considerevole prima di provocare una sensazione proprio penosa. Il loro sangue è molto più pigro e contiene ferro soltanto in minimissima quantità, e perciò esso è più denso e irritabile del sangue dei bianchi, ed ha bisogno di una quantità molto maggiore di calore per mantenere il dovuto grado di fluidità.
4. Trasportati in regioni settentrionali, come ad esempio nei paesi di Ouran, questa gente si troverebbe molto male durante un rigido inverno. Già al primo inverno la loro pelle si screpolerebbe, dato che il loro sangue, essendo troppo denso, nelle parti più esterne del corpo non potrebbe circolare bene e ciò causerebbe delle screpolature all'epidermide, le quali, per la forte tensione dei vasi sanguigni, si aprirebbero provocando così emorragie e dolori non lievi. Invece un calore tale da rendere per così dire rovente una roccia nera non ha affatto su di loro un'azione eccessivamente dannosa; ma se invece un autentico scita del settentrione venisse trasferito nella NOUABIA (Nubia) mentre è estate avanzata, in pochi giorni deperirebbe e ne morrebbe.
5. Tu certo ora pensi e dici nel tuo animo: “Vi è proprio bisogno che sulla Terra ci siano tante gradazioni di temperatura? Non potrebbe fare dappertutto ugualmente tanto caldo o tanto freddo?”. Io allora rispondo che se tu, riguardo alla necessaria configurazione sferica della Terra, avessi delle cognizioni più profonde di quanto tu ne hai ora - quantunque in proposito tu sia già stato istruito da Me quando Io ero ancora un tenero bimbetto -, ebbene, questa domanda non sarebbe certo sorta nella tua mente!
6. Le varie gradazioni della temperatura sono un’inevitabile conseguenza della forma sferica della Terra, e la forma sferica è a sua volta una necessità perché, con qualsiasi altra forma, sarebbe impossibile che la luce del Sole venisse distribuita con tanta opportunità come appunto con la forma sferica, a meno che non si facesse illuminare un mondo da tre soli, uno cioè al di sopra di ciascun polo ed uno di fronte alla zona mediana. Ma in questo caso, in primo luogo, chi potrebbe reggere al calore generato sul suolo terrestre? Che cosa ne sarebbe della notte tanto necessaria al ristoro di ogni creatura? E cosa accadrebbe, infine, rispetto al moto della Terra qualora esso dovesse dipendere dalla forza di attrazione ugualmente potente di tre soli perfettamente uguali?
7. A te ed a parecchi fra voi Io ho già avuto occasione di spiegare quanto grande sia e debba essere il Sole, e invece quanto sia piccola la Terra; è perciò necessario che essa giri intorno al Sole a una determinata distanza e velocità, altrimenti essa finirebbe col cadere sul Sole, oppure, se la velocità fosse eccessiva, finirebbe con l'allontanarsene infinitamente. Nel primo caso, nell'ardore della luce dell'atmosfera solare più esterna, la Terra si dissolverebbe quasi in un istante ritornando allo stato d'etere originario, ovvero allo stato di spiriti naturali primordiali tenuti prigionieri nella loro materia; nel secondo caso invece, per mancanza di calore, essa si ridurrebbe a un durissimo blocco di ghiaccio! Ebbene, in nessuno dei due casi sarebbe possibile immaginare una vita corporale sul suolo terrestre.
8. Ma da tutto ciò puoi dedurre che, secondo il Mio Ordine, una necessità si collega con l'altra, e che su questa Terra non è ammissibile un’identica temperatura da un polo all'altro. D'altro canto però è pure necessario che tutta la Terra sia popolata il più possibile dappertutto, affinché le anime, sorte dalle forme vitali delle creature che precedono l'uomo, divenute più libere, possano entrare in un corpo corrispondente alla loro natura. E che cosa altro rimane allora se non destinare degli uomini che sono in grado di sopportare un clima così caldo alle regioni torride della Terra e destinare a quelle fredde degli uomini che possano appunto reggere, grazie ad una particolare costituzione naturale, un clima molto rigido e coltivare la terra per quanto è consentito dalle condizioni ambientali?
9. Ora, se questa cosa ti è almeno un po’ chiara, comprenderai certo perché nei paesi torridi dell'Africa centrale non possa prosperare che la stirpe di uomini dalla pelle nera appena descritti nelle loro caratteristiche, e così pure come questi esseri debbano essere costituiti nel loro animo in maniera del tutto particolare! DimMi dunque se tutto ciò ti è chiaro»
10. Dice Cirenio: «O Signore, io mi trovo perfettamente a posto anche a questo riguardo, e Ti ringrazio per questo insegnamento molto salutare, perché io posso dedurne chiaramente che ogni Tua disposizione che riguarda il mondo è supremamente saggia e corrispondente al suo scopo, e che è bene che tutto sia esattamente così come è, e mai altrimenti! A Te solo, o Dio e Signore, vada dunque ogni onore, ogni amore e ogni gloria, poiché tutta la Terra e tutti i Cieli sono colmi del Tuo Amore e della Tua Sapienza.
11. Ma adesso, o Signore, come intendi procedere ulteriormente con questi mori? Infatti, a quanto mi sembra guardando le loro espressioni pensierose, essi non sono ancora perfettamente d'accordo.
12. Il loro capo ha esposto le cose in maniera veramente persuasiva; il racconto del trasporto prodigioso del grosso diamante, come pare, da principio li colpì molto, ma ora essi sembrano voler rivolgere ogni genere di domande sulla credibilità del capo, e uno di loro, dopo averci dato un paio di occhiate, gli ha appunto adesso domandato proprio seriamente se non ha forse portato in segreto la pietra con sé assieme alla scorza di zucca per simulare un prodigio di fronte a loro. Che cosa mai arrivano a pensare questi mori! Non resterà altro che metterli sulla buona via mediante un prodigio ancora più grande! Come vedo, l'eccellente capo della comitiva ha il suo bel da fare per arrivare a convincerli!»
13. Dico Io: «Un po’ di pazienza ancora finché il fermento nei loro animi si sia debitamente sviluppato; solo allora noi andremo in aiuto al capo della comitiva! Infatti, presso questa stirpe umana tutto procede ad un passo più lento che non presso di noi! Oltre a ciò, oggi per la prima volta, essi si sono saziati e dissetati con cibi e bevande del tutto insoliti per loro, e ciò contribuisce momentaneamente a renderli un po’ più lenti d'intelletto di quanto lo fossero stati mai prima. Però è bene che sia così, altrimenti non sarebbe stato facile convincerli di qualcosa che cozzasse ancora troppo fortemente contro le idee riguardo alla Divinità da loro assimilate a Menfi.
14. Essi non riescono a conciliare l'Infinità di Dio con la Mia Personalità! Ma quando il fermento nei loro animi avrà raggiunto il debito grado, allora anche il nostro compito rispetto a loro sarà reso facilissimo. Nel frattempo però il capo li sta lavorando riguardo ai sospetti mossi contro di lui per la genuinità del miracolo! Ciò che anche è giusto, perché chiunque muova un infondato sospetto contro la reale prodigiosità di un'opera, conviene sia punito a dovere, anche con la sferza, se occorre. Ebbene, quanto più questi mori vengono ora corretti ed umiliati con le parole, tanto più facilmente e con maggiore fermezza essi poi saranno guadagnati per sempre alla nostra causa».
Della comprensione più lenta e più rapida della Dottrina di verità.
1. (Il Signore:) «Già un'antica esperienza insegna che le persone che comprendono una cosa facilmente, qualora non siano state del tutto convenientemente preparate, ben presto e ben facilmente si separano da quanto hanno afferrato e compreso con facilità, mentre altre che riescono a comprendere un insegnamento, per così dire, soltanto a forza di colpi e di prove aspre, non l'abbandonano più così facilmente.
2. Oh, certo, ci sono alcuni che hanno talento e doti eccellenti, e possiedono anche ogni altra capacità. Essi comprendono tutto presto e facilmente, ma, giunto il necessario momento della loro prova, pensano ai vantaggi del mondo, temono di dover sacrificare troppo e tentano poi, quanto più è possibile, di dimenticare e di liberarsi di quelle cose spirituali che, anche se per loro sono inconfutabilmente vere, non rendono alcun interesse a questo mondo! Simili persone assomigliano a quelle efemeridi (insetti alati) quasi perfettamente trasparenti, che tutto il santo giorno scherzano piene di vita nella luce, esse stesse quasi completamente compenetrate dalla luce; ma poi, quando giunge la notte che mette alla prova la vita, anche la loro luce e il loro ardore hanno fine, e con ciò pure la loro vita!
3. Perciò quegli individui che da principio sono un po' più lenti a comprendere una qualche verità superiore, sono più adatti al Regno di Dio di altri che comprendono facilmente la stessa verità; infatti, i primi trattengono poi quanto hanno compreso con fedeltà e con calore di vita, mentre i secondi, cioè coloro che comprendono con facilità, scherzano con la luce dai Cieli precisamente così come le efemeridi scherzano con la luce del Sole, ma alla fin fine essi non traggono dalla luce dei Cieli maggior vantaggio di quando ne traggano le efemeridi dalla luce del Sole.
4. Ci sono, è vero, anche degli individui i quali afferrano facilmente una verità e che, giunta la notte, continuano a brillare come chiare stelle procurando a se stessi e ad altri ancora grande vantaggio; ma di questi tali ce ne sono pochi e sono anzi rarissimi.
5. Questi mori appartengono tutti alla classe di coloro che hanno difficoltà a comprendere, però una volta che sono riusciti a comprendere qualcosa, lo fanno proprio, ed essi continueranno a rilucere nei loro futuri successori come le stelle di Orione e come il lontano Sirjezc (Sirio).
6. Riguardo alla profonda ed esatta comprensione della Mia Dottrina succede come con l'ottenimento di un patrimonio; chi è venuto in possesso di un considerevole patrimonio con molta facilità, costui se ne sbarazzerà ben presto e facilmente, perché non è stato mai abituato alle privazioni, e per quanto concerne i risparmi, non ha mai tentato di farne; e venuto in possesso di un patrimonio, sia in seguito ad una eredità, sia in una qualche altra facile maniera, non attribuisce grande importanza al patrimonio stesso; egli pensa ed anche sente che una cospicua sostanza la si può ottenere con la massima facilità. Ma chi invece una simile sostanza se l'è guadagnata con la diligenza delle proprie mani, conosce bene la grave fatica e il lavoro, e sa quanto sudore gli è costato ciascun denaro da lui risparmiato; perciò egli ha cura del suo patrimonio faticosamente accumulato, e certo non lo dissipa alla leggera in pazzie e bagordi.
7. Ora non altrimenti stanno le cose riguardo ai tesori spirituali; chi li ottiene con facilità, non ci bada più di tanto, poiché pensa ed anche sente in sé che o non li può mai più perdere, oppure che, pur perdendone una parte od anche tutto, gli sarà estremamente facile riacquistare quanto ha perduto. Sennonché la storia non finisce affatto così, poiché chi perde qualcosa che è dello spirito, non riacquista una seconda volta quanto ha perduto con la stessa facilità della prima volta.
8. Al posto dello spirituale perduto subentra immediatamente il materiale, e questo è un giudizio che non cede con tanta facilità il passo come da principio, perché, come tutto ciò che è spirituale si rende continuamente più spirituale e più libero, nella stessa maniera anche tutto ciò che è materiale si rende incessantemente più materiale, mondano e più colmo del giudizio e della morte; ma una volta che uno si sia inabissato nel giudizio e che abbia posto in ceppi la propria volontà e il proprio riconoscimento, difficilmente o mai più vorrà restituire la libertà a se stesso.
9. Chi è giunto in possesso della Mia Parola, deve conservarla bene e rimanervi immutabilmente fedele non imprimendosela semplicemente nella memoria, ma principalmente mediante l'attività e le opere secondo la Parola, perché ogni sapere e credere sono come se non ci fossero senza le opere, né possono avere alcun valore per la vita!
10. Supponiamo che a qualcuno, intenzionato ad intraprendere un viaggio verso un qualche luogo che egli conosce soltanto di nome mentre ignora del tutto la via che vi conduce, gli venga fatta da una persona pratica della via una descrizione esatta, e dunque ora, pur conoscendo anch'egli la via giusta non volesse incamminarvisi, anzi le voltasse le spalle e cominciasse a prendere una direzione del tutto opposta, ebbene, potrà mai costui arrivare al luogo che si è prefisso? Io però vi dico che egli arriverà in un luogo o nell'altro, ma mai a quello della sua vera destinazione, poiché là dove si vuole arrivare, là bisogna rivolgere i propri passi.
11. Questi mori, in fatto di geografia, sono certo gli uomini più ignoranti di questo mondo; senza l'aiuto del prefetto Giusto Platonico, non avrebbero in eterno mai trovato la via fino a qui con le loro sole cognizioni, ma una volta che Giusto descrisse loro con precisione la strada che avrebbero dovuto percorrere, essi vi si incamminarono esattamente secondo la descrizione avuta, e la loro attuale presenza qui rende sufficiente testimonianza del fatto che essi si sono attenuti con la massima scrupolosità alle istruzioni del prefetto. Ora per arrivare a un tale risultato ci voleva una volontà ferma ed incrollabile quale appunto in alto grado è propria a questi mori. Ma chi vuole fermamente qualcosa, certamente attuerà anche quello che avrà fermamente voluto.
12. Chi dunque ha la Mia Parola e la Mia Dottrina, e con ferma volontà vi opera conformemente, costui deve raggiungere la meta, e niente gli può essere di impedimento; ma chi invece fa qualcosa secondo la Mia Parola, però nello stesso tempo fa anche quello che il mondo pazzo richiede, costui assomiglia a qualcuno che si sia avviato verso un determinato luogo, ma, giunto a metà cammino, si gira e ritorna al punto di partenza ripetendo continuamente il suo inutile mezzo viaggio.
13. Ed egli assomiglia anche ad un servitore che voglia servire contemporaneamente due signori nemici tra di loro; ebbene, gli sarà forse possibile soddisfare col suo lavoro entrambi i signori divisi da inimicizia? Potrà egli, sia pure apparentemente, amarli tutti e due? Ma che faccia faranno poi i due signori quando verranno a sapere che il “doppio” servitore mostra di essere ugualmente affezionato all'uno e all'altro? Non diranno tanto l'uno che l'altro al servitore: “O astuto servitore, come puoi amare il mio peggiore nemico quanto ami me? Servi me solo, oppure vattene per i fatti tuoi!”. Infatti, nessuno può, secondo verità, servire due padroni, ma può invece solo tollerare l'uno e disprezzare l'altro. Ora vedi, un simile servitore astuto verrà poi licenziato da entrambi i signori contemporaneamente, e difficilmente potrà trovare servizio presso un terzo, e di lui avverrà come di colui che, volendo stare seduto su due sedie, si trovò a dover stare seduto per terra.
14. Ma che questi mori non intendono servire due, bensì l'unico e solo Signore, come anche Lo serviranno, tu lo puoi dedurre con facilità dal fatto che la loro guida incontra difficoltà tanto gravi a persuadere i suoi compagni, i quali portano ancora impresse troppo profondamente nel cuore le parole del capo dei sacerdoti di Menfi, parole che non possono venire cancellate così facilmente!
15. L'unica cosa però che, tratta dalla storia di Mosè, è stata loro menzionata dal capo dei sacerdoti di Menfi riguardo ad una Personalità divina, proprio questa è un punto di appoggio ed un ponte attraverso il quale essi possono venire condotti a Me. Ed appunto su questo ponte la loro guida sta destreggiandosi e sta cercando di far cambiare parere ai più ostinati. Se adesso non mando l’angelo in suo aiuto, egli non se la sbrigherà nemmeno in un anno; ma Io gli manderò l'angelo, e allora la cosa si accomoderà di certo!»
16. Dice Cirenio: «O Signore, io sarei ben lieto di essere vicino a loro per poter udire con maggiore chiarezza come si appianerà la questione!»
17. Ed Io gli rispondo: «Non sarà necessario che tu ti avvicini, perché il vento che spira verso di noi ci permetterà di udire ogni parola».
Raffaele convince i mori sulla Divinità del Signore.
1. Allora Io chiamo subito l'angelo e gli dico ad alta voce, affinché possano sentire tutti i commensali: «Raffaele! Ormai Oubratouvishar ha fatto ritornare i suoi compagni al punto giusto, e tu ora, con un colpo solo, puoi mettere fine alla disputa. Essi sono perfettamente disposti ad accettare il suo modo di vedere a Mio riguardo, purché egli sia in grado di provare loro che la pietra è stata realmente trasportata da te in un solo istante dalla Nouabia (Nubia). Va dunque là e procura a ciascuno che lo richieda quanto desidera che venga portato qui dalle rispettive capanne, e così tutto il litigio risulterà completamente appianato.
2. Infatti è bene che questa gente, dotata di ferma volontà ma di difficile intendimento, venga convertita mediante un prodigio, dato che la sola parola ha per loro troppa poca forza di persuasione. Del resto a questi uomini un prodigio non nuoce neppure tanto quanto potrebbe invece nuocere eventualmente a voi e particolarmente poi a più di un israelita, poiché questi uomini, come gente naturale, possono essi stessi compiere cose che a voi devono apparire assolutamente come miracoli non piccoli, e ciò unicamente mediante la loro incrollabile fede e la loro inflessibile volontà. Questi miracoli però sono considerati da loro come cose quasi del tutto naturali, e di questo noi avremo occasione di convincerci più tardi. Quindi un grande prodigio non vale per loro che come un mezzo prodigio, e a loro riguardo si può fare uso dei prodigi senza paura di conseguenze nocive o che se ne scandalizzino. Ed ora va! Quello che hai da dire e da fare, tu l'hai già in te».
3. A questo ordine che era stato udito da tutti, l'angelo si avvicinò immediatamente alla mensa dove i mori stavano disputando a voce piuttosto alta e più vivacemente del normale, a causa del vino bevuto. E giunto là, disse con voce forte e penetrante: «Perché incolpate questo vostro massimo amico e benefattore al quale dovete tutto il bene che avete, quasi che egli volesse ingannarvi ed imporvi una falsa fede? Perché rendete sospetto il prodigio che io, su comando del Signore, ho compiuto per sua convinzione, come se io fossi forse un briccone prezzolato da lui per aiutarlo ad ingannarvi? Quali prove chiedete che possano liberarvi dal vostro dubbio cocciuto e ricondurvi alla ragione? Devo portare qui qualche oggetto che sta nascosto nelle vostre capanne? Chiedete, ed io lo farò senza indugio!».
4. A tale energica esortazione tutti ammutolirono e, intimoriti, al principio non seppero cosa dire.
5. Il loro capo però esclamò: «Questo è l'aiuto di Dio! Esso mi giustificherà difronte alle vostre obiezioni colme di sospetti e di natura già maligna a mio riguardo! Domandate e convincetevi, perché la vostra grande stoltezza non può essere combattuta diversamente!»
6. Allora uno dei mori, che più degli altri era tormentato dal dubbio, si alzò e disse: «Nella mia capanna tengo nascosto un tesoro del quale, ad eccezione di mia moglie che si trova qui, nessuno sa niente! Fammelo avere qui, ed io poi ti presterò piena fede!»
7. Dice l'angelo: «Quanto tempo devo impiegare per portare qui il tesoro che hai sepolto nella sabbia a due piedi (63 cm) di profondità, avvolto in un panno e poi in un pezzo di stuoia, nell'angolo della tua capanna che dà verso levante e nel punto dove al di fuori cresce una grande palma; posso dirti ancora che si tratta di una pepita d'oro purissimo che pesa trenta libbre (16,8 kg)! Stabilisci tu il tempo entro il quale essa deve essere trasportata qui»
8. A queste parole il dubbioso fa un’espressione sbalordita e dice: «Ma per l'amor del cielo, o bellissimo giovinetto, come puoi essere a conoscenza di tutti questi particolari con tanta esattezza? Già così tu hai annientato ogni mio dubbio, perché ora mi è più che evidente tutto quello che il nostro capo e guida asserì del famoso giovinetto! Ma con tutto ciò la storia va facendosi sempre più terribilmente meravigliosa! Se - come ormai non è possibile dubitarlo - in quell'Uomo dimora la Pienezza assoluta dello Spirito primordiale eterno di Dio, come potremo noi sussistere al Suo cospetto? I nostri dubbi non possono non averLo profondamente offeso! Oh, noi siamo perduti, perduti!»
9. Esclama l'angelo: «Proprio per niente, anzi al contrario, tutti salvati! Ma ora stabilisci tu in quanto tempo vuoi che ti porti qui il tuo tesoro!»
10. Risponde il dubbioso: «O carissimo! Ciò non sarebbe veramente più necessario per guarire la mia incredulità, ma se tuttavia vuoi farmelo avere qui, prenditi pure il tempo che ritieni necessario; se esso rappresenta qui per qualcuno un valore forse particolare, lo scambierò molto volentieri con qualche altro oggetto più utile, dato che comunque a me non serve in nessun modo! È una cosa senza dubbio molto bella, ed ha dei punti che alla luce del Sole sono di una lucentezza meravigliosa; inoltre se la si osserva attentamente, vi si possono scorgere sulla superficie delle numerose figure di varia specie, qualcuna di queste appare scura ed opaca ma molte altre risplendono fortemente quando sono esposte al Sole! Ed è in questo che per me è consistito finora il valore di quel pezzo di minerale abbastanza grande e molto compatto. Se tu dunque, o bellissimo e carissimo giovinetto, vuoi portarmelo qui, malgrado tutta la tua forza prodigiosa, non occorre che ti affretti troppo»
11. Dice l'angelo: «Stammi ad osservare! In questo istante io vado a prendere il tuo tesoro; conta i momenti, e vedi quanti me ne occorreranno per andare e ritornare!»
12. Il dubbioso ed i suoi compagni tengono attentamente d'occhio l'angelo per accertarsi di quando se ne andrà e di quando sarà di ritorno!
13. Sennonché l'angelo non si allontana affatto, bensì chiede all'assillato dal dubbio di prima: «Ebbene, ti sei accorto della mia assenza?»
14. Risponde il dubbioso: «No, perché finora sei rimasto sempre fermo al tuo posto!»
15. Osserva l'angelo: «Eppure non è affatto così! Guarda un po' a terra; ai tuoi piedi si trova già il tesoro perfettamente intatto che avevi sotterrato a casa tua»
16. Il dubbioso allora getta un'occhiata sotto la mensa e constata che effettivamente ai suoi piedi giace, nel suo involucro originale, il tesoro per lui molto ben riconoscibile. L'impressione di spavento che egli ne riporta è così grande che le sue labbra, di solito rosse d'un carminio intenso, si fanno pallide, ed egli comincia a tremare davvero.
17. Anche gli altri rimangono assolutamente sbalorditi e smarriti a questa apparizione e gridano: «O potenza della Volontà divina! Che cosa è mai questo e come si spiega? Tu, o bellissimo, non hai abbandonato il tuo posto nemmeno per un minimissimo istante! Come è stato dunque possibile ciò?»
18. Risponde l'angelo: «Presso Dio tutte le cose sono possibili, e voi da questo potete trarre la convinzione che Dio, il Signore, pure essendo qui presente come Uomo come un qualsiasi altro uomo, tuttavia Egli guida, regge e mantiene l'infinito intero con la Potenza assolutamente infinita della Sua Volontà, e così pure non può esservi in eterno in nessun luogo niente di talmente nascosto dinanzi ai Suoi occhi onniveggenti che Egli non giunga a conoscere esattamente nei suoi più minuti particolari.
19. Che l'eterno Spirito di Dio, ora su questa Terra, abbia assunto un corpo dicarne e si sia personalmente fatto Uomo, a ciò Egli è stato indotto dal Suo immenso Amore innanzitutto per voi, uomini di questa Terra, e con ciò pure per gli uomini di tutti gli innumerevoli altri mondi, allo scopo di farsi, per tutte le eternità dei tempi e in tutto Amore, un Dio e un Padre tangibile, visibile e accessibile! Infatti Egli, quale Dio, è il più possente e puro Amore; perciò nessun uomo e nessun angelo può avvicinarsi a Lui se non esclusivamente nell'amore e per le vie dell'amore.
20. Se voi volete venire a Lui, dovete prima di tutto amarLo sopra ogni cosa e dovete anche amarvi tra di voi come veri fratelli e sorelle dal cuore fedele; senza un tale amore, è assolutamente inconcepibile un vero avvicinamento a Lui. E adesso tu, o leprotto impaurito, tira su il tuo tesoro, deponilo sulla mensa e guarda bene se è proprio il tuo!».
Il moro e Oubratouvishar affidano i loro tesori a Cirenio.
1. Allora il moro, rimessosi un po’ dalla prima impressione di spavento, si chinò a prendere l'involto che era davvero abbastanza voluminoso, lo depose sulla tavola, srotolò il pezzo di stuoia e il panno, e di lì a poco alla vista di tutti si presentò la pepita d'oro. Molti allora si avvicinarono per esaminare il cospicuo tesoro, non escluso il nostro Giuda Iscariota il quale non poté frenare la sua curiosità. Egli rimase in grande ammirazione dinanzi a quel tesoro, deplorando molto nel suo cuore di non esserne lui il possessore!
2. Quando tutti furono sazi di osservare e di ammirare il tesoro, il moro chiese all'angelo a chi sarebbe stato più opportuno che egli offrisse in dono la pepita, dato che questa gli sarebbe stato d'impaccio se avesse dovuto portarla con sé per tutto il lungo tempo del viaggio di ritorno fino a casa sua!
3. E l'angelo, indicandogli Cirenio, gli rispose: «Vedi là, alla destra del Signore siede il governatore generale di Roma il quale detiene il comando sull'Asia e su di una gran parte dell'Africa; la sua giurisdizione si estende a tutto l'Egitto, quindi anche il prefetto di Menfi gli è sottoposto; a lui offri questo tesoro, ed anche tu, o Oubratouvishar, faresti meglio ad offrire la tua pietra a questo governatore generale anziché al prefetto di Menfi, il quale, essendo anche capo dei sacerdoti, a simili tesori ci tiene assai poco o addirittura niente affatto. Comunque, è un semplice consiglio che ti do, e tu puoi fare a tuo piacimento»
4. Dice il capo della carovana: «Il tuo saggio consiglio è per me già un comandamento che io adempirò anche a prezzo della mia vita, perché tu non puoi consigliare che nel modo migliore e più savio!»
5. Detto questo, i due si alzano: il dubbioso di prima con la sua pepita d'oro e il capo della carovana col suo grosso diamante e si recano da Cirenio.
6. E giunti vicino a Cirenio, il capo dice: «Io non sapevo prima chi tu fossi, né mi sono preoccupato di informarmi di altri se non unicamente del Signore, considerato che il mio pensiero era questo: “Qui solo Uno può essere il Signore e dominatore, mentre tutti gli altri sono Suoi servitori. Sennonché solo ora quel meraviglioso giovinetto dalla pelle candida e abbagliante mi ha raccontato che anche tu, dal punto di vista di questo mondo, sei un gran signore e dominatore, e per conseguenza, secondo il savio consiglio di quello splendido e prodigioso giovinetto, io e questo mio compagno abbiamo preso liberamente la decisione di offrirti i nostri tesori portati qui in maniera tanto miracolosa, affinché tu ne disponga secondo il tuo discernimento. In cambio però desidereremmo che tu ci facessi dare alcuni fra i più necessari utensili domestici, affinché, giunti alle nostre case, possiamo anche noi disporre per la produzione del pane che abbiamo trovato così buono e saporito.
7. I nostri strumenti da taglio sono pessimi e si smussano facilmente, perché essi sono stati fabbricati molto faticosamente col legno o con ossa di animali. A Menfi invece abbiamo visto ogni tipo di strumenti da taglio che nemmeno la pietra è capace così facilmente di smussare; e degli strumenti di questa specie potrebbero certo renderci servizi migliori di questo nostro metallo dalla lucentezza gialla che è troppo tenero e perciò inutilizzabile! Degnati dunque di prendere in consegna questi due pezzi!"»
8. Dice Cirenio: «Sta bene, o amici miei, io accetto da voi questi due pezzi quanto mai preziosi, ma non li accetto per me, ma li accetto per questo popolo impoverito della Galilea che verso Roma si trova già considerevolmente in arretrato col pagamento delle imposte; con questi due pezzi Roma avrà in ogni caso compenso sufficiente e anticipato per dieci anni consecutivi per le imposte di questo paese, e il paese potrà nel frattempo riprendersi.
9. Quando voi ritornerete in patria, sarà mia cura che vi venga fornita una adeguata quantità di arnesi e utensili di varia specie fra i più necessari e utilizzabili, e qualora foste disposti a mettervi liberamente sotto la protezione romana, verreste provvisti di anno in anno di nuovi utensili e arnesi di ricambio. Altrimenti converrà che voi stessi ve li procuriate a Menfi in cambio, naturalmente, di metalli di questa specie»
10. Risponde il capo dei mori: «Per deliberare una cosa simile bisognerebbe prima tenere un consiglio generale del popolo, ciò che da noi è sempre una cosa un po' difficile, perché il nostro paese ha una grande estensione, e la gente vi dimora sparsa in moltissimi luoghi che spesso sono quasi inaccessibili, e anche perciò non è facile radunare il consiglio del popolo. La cosa migliore dunque sarà che noi facciamo provvista ogni tanto a Menfi delle cose più necessarie.
11. Le vostre leggi romane saranno certo molto buone, tuttavia non sarebbero confacenti al nostro paese e al nostro popolo. Già il capo dei sacerdoti di Menfi ci fece una proposta simile che però non abbiamo potuto accettare come ora questa tua. Se anche voi poteste penetrare fino al nostro paese, l'impresa vi gioverebbe a poco! Infatti voi là vi trovereste a dover vagare per un deserto e morireste di stenti a centinaia senza incontrare creature umane, ma al loro posto trovereste leoni, pantere e tigri a centinaia contro le quali avreste un duro compito nel difendervi, né potreste resistere agli attacchi dei serpenti e delle vipere che pullulano là»
12. Dice Cirenio: «Ma come ve la sbrigate voi con tante bestie feroci? Non vi fanno mai sul serio alcun male?»
13. Risponde il capo: «Non hai sentito già prima, per bocca del giovinetto e per quella santissima del Signore stesso, come siamo fatti noi? Come puoi dunque, dopo ciò, interrogare pure me? Certamente è così come ha asserito il Signore in Persona di noi, ma il come e il perché non li conosciamo neppure noi stessi. Io ti prego perciò di non farmi simili domande, poiché le relative risposte non possono giovarti a nulla!».
14. Detto questo, i due si inchinarono profondamente dinanzi a noi e ritornarono subito dai loro compagni per raccontare a loro quello che avevano combinato con Me.
L’origine del Tempio di JA BU SIM BIL, della Sfinge e delle colonne di
Memnone raffigurate dai geroglifici di tutte e due le prime perle.
1. Però i compagni dissero: «Come potete avere combinato qualcosa col Signore, se non avete scambiato nemmeno una parola con Lui?»
2. E il capo rispose: «Là dove Egli si trova, tutto procede da Lui, e quindi abbiamo sempre a che fare soltanto con Lui pur parlando e trattando con i Suoi discepoli!». A questa risposta tutti si dichiararono soddisfatti e non mossero più osservazioni.
3. E diversi altri fra i mori dissero all'angelo: «Ascolta, o giovinetto dai miracoli! Anche noi cinque possediamo, nascosti nelle nostre capanne, dei tesori particolarmente strani; non vorresti farceli avere qui anche a noi?»
4. E l'angelo rispose: «Basta che li leviate da sotto la mensa dove si trovano ai vostri piedi, e vedremo subito di che cosa si tratta!»
5. Allora cinque dei mori che sedevano a quella mensa fanno secondo le parole dell'angelo, e con meraviglia grandissima scorgono ai loro piedi gli involucri abbastanza voluminosi che vengono immediatamente riconosciuti come i loro stessi, li alzano da terra deponendoli poi sulla mensa ed ecco apparire ancora quattro pepite d'oro belle grosse che avranno pesato assieme oltre cento libbre (oltre 56 kg); aperto però il quinto involucro, tutti constatano che dentro non ci sono altro che sette pezzi rotondi di ghiaia piuttosto grandi, ai quali Marco, che si trovava vicino all'angelo, è incline a non attribuire alcun valore.
6. Ma l'angelo gli dice: «Aspetta soltanto un po’, e ben presto ti accorgerai che appunto questi sette ciottoli, dal punto di vista terreno, hanno un immenso, incalcolabile valore. Porta qui adesso un buon martello, e noi vedremo che cosa c'è sotto la crosta»
7. Marco allora, egli stesso molto incuriosito, si affretta verso il suo ripostiglio degli arnesi e ritorna ben presto con un martello di ferro che consegna all'angelo. Costui prende in mano uno di quei ciottoli e vi batte sopra con grande cautela alcuni colpi, di conseguenza la crosta silicea di color bianchiccio che lo ricopriva si spezza, e alla vista di tutta la compagnia stupefatta si offre una perla grossa quanto una testa di un uomo.
8. Sulla superficie di questa perla meravigliosa erano incisi dei geroglifici ed altri segni ancora; da una parte c'era pure un buon disegno del Tempio di Ja Bu Sim Bil che lo raffigurava in un periodo della sua costruzione, e precisamente in quello nel quale dopo centosettanta anni di sudato lavoro ed a costo di non insignificanti sacrifici erano state ultimate le quattro sculture gigantesche all'ingresso del Tempio, nel quale si lavorava ancora zelantemente intorno all'incorniciatura delle costruzioni e si incideva sulle superfici piane della pietra, a suon di scalpello, delle iscrizioni a caratteri enormi, e in cui si cominciava pure a scavare la porta nel mezzo, fra i due gruppi di due giganti ciascuno. Chi avesse potuto decifrare quei segni e quelle iscrizioni che erano perfettamente visibili, costui avrebbe avuto la rivelazione delle origini del Tempio e delle ragioni per le quali gli egiziani di quel tempo lo avevano costruito proprio nelle immediate vicinanze del fiume Nilo.
9. Questa perla dunque aveva un valore inestimabile non solo perché era un colosso nella sua specie, ma anche per il suo significato storico; oltre a ciò la sua età risaliva ad un periodo della Terra a partire dal quale trascorsero ancora moltissimi millenni prima che un primo uomo nella carne ne calpestasse il suolo.
10. Al tempo in cui simili crostacei giganteschi abitavano i mari della Terra, il grande Oceano bagnava con le sue onde la maggior parte delle pianure dell'Africa, e gli antichissimi egiziani trovarono la conchiglia perlifera durante gli scavi da essi fatti per le fondamenta della prima piramide; una volta che ebbero aperta tale conchiglia, vi trovarono dentro le sette perle in questione, delle quali una, come abbiamo visto, è stata liberata ora dall'angelo dalla crosta in cui stava celata.
11. Naturalmente, l'angelo venne tempestato di domande in proposito, ed egli cominciò a spiegare la cosa nel modo che ora è stato sommariamente riferito.
12. E quando Raffaele ebbe terminato di esporre la storia della prima perla, certo in maniera solo superficiale, disse: «Quello che vi occorre per il momento sapere, io ve l'ho detto adesso nella maniera più chiara possibile; ma ora passiamo a vedere cosa si potrà imparare dalla seconda perla, che però sarà un po' più piccola della prima»
13. L'angelo allora prese in mano la seconda perla e la liberò nello stesso modo dell'altra dalla sua crosta. Anche questa era coperta di segni e di iscrizioni. Su una delle parti più lisce era inciso molto bene il piccolo tempio di JA BU SIM BIL, ed accanto a questo una testa simile a quella della grande Sfinge. Le domande allora piovvero nuovamente all'indirizzo dell'angelo, il quale venne nuovamente pregato di voler spiegare che cosa volessero significare tutti quei segni e tutte quelle iscrizioni.
14. E l'angelo disse: «Amici miei, senza avere lo spirito completamente destato nella propria anima, certo nessuno degli uomini oggi viventi sarebbe capace di decifrare tutto ciò che è scritto e disegnato su questa perla!
15. Quantunque anche questa perla sia ugualmente antica come la prima che è anche più grande, tuttavia essa è stata così coperta di segni e di caratteri solo circa cento anni più tardi, e precisamente nell'epoca in cui fu compiuta la costruzione del piccolo tempio nella roccia, pur non essendo perfettamente ultimato ancora il lavoro nell'interno. Perciò il piccolo tempio è qui rappresentato come interamente compiuto.
16. La testa qui raffigurata è quella del settimo dei re-pastori di allora, il quale si attribuì il nome di Shivinz (erroneamente Sphinx), cioè il vivace o l'intraprendente; egli aveva raggiunto l'età di quasi trecento anni quando ne venne riprodotto il capo in proporzioni colossali scolpendolo fuori da un enorme blocco di granito, scultura questa che si può vedere abbastanza ben conservata ancora oggi.
17. Questo Shivinz aveva introdotto grandi riforme e miglioramenti nelle scuole, come pure nell'allevamento del bestiame e nell'agricoltura, e perciò dal suo popolo veniva fatto oggetto di una venerazione quasi divina. Questi segni e iscrizioni hanno tramandato alla storia appunto tutti i miglioramenti da lui introdotti nel paese col suo spirito estremamente attivo.
18. Veramente non era stato egli stesso ad iniziare lo scalpellamento del grande Tempio nella roccia, perché a questo lavoro si erano accinti già due dei suoi predecessori molto devoti all'invisibile Spirito di Dio; egli però, per la grande stima che nutriva per loro, li fece scolpire nella pietra, in posizione seduta, in dimensioni il più possibile colossali, in una bella pianura non lontana dal grande Tempio, e li fece collocare vicino al Nilo ad eterna memoria. Poiché i due non avevano avuto un nome né, per pura modestia, avevano mai voluto averne uno, impose egli postumamente loro un nome chiamandoli: “I Senza Nome” (ME MAINE ONI, successivamente mal corretto in “Memnon”). Anche queste due statue sono ancora oggi visibili e molto ben conservate»
19. Esclama il capo dei mori: «Oh, sì, tutto ciò noi lo abbiamo visto ed altamente ammirato! Ma che età devono dunque avere queste opere straordinarie?»
20. Risponde l'angelo: «Circa tremila anni, ed i prossimi tremila anni non riusciranno neppure essi a cancellarne completamente le tracce. Ma ora aspettate un po’, perché adesso sveleremo la terza perla; sulla sua superficie, oltre ai due predecessori di Shivinz già perpetuati nelle statue, voi troverete inciso il ricordo di un grande avvenimento di tutt'altro genere che sarà per voi motivo di molte riflessioni».
Il mistero della terza perla: i sette giganti e il sarcofago.
1. Raffaele prese allora la terza perla e la liberò dalla crosta.
2. E quando ne fu del tutto spoglia, Raffaele richiamò subito l'attenzione di quanti gli erano intorno, ansiosi di conoscere il seguito della storia, sulle statue dei Memnon che apparivano nitidamente incise sulla perla, e disse: «Vedete, ecco qui appunto i due Senzanome. Però qui, più sopra, come i precedenti Senzanome, voi potete vedere sette gigantesche figure umane vestite, e tutt'intorno una quantità di altre figure umane molto piccole. Ora, che cosa ha voluto significare con ciò il saggio Shivinz, il quale ha eseguito di propria mano il disegno e l'incisione?
3. Ascoltate: intorno a quello stesso tempo, circa centosette anni prima del primo dei due suoi predecessori innominati, nelle profondità degli spazi della Creazione, un pianeta molto grande era stato distrutto e ridotto in numerosi pezzi, avendo il Signore concesso che così avvenisse; moltissimi esseri umani di statura gigantesca lo avevano abitato.
4. Al momento dell'improvviso scoppio, non previsto da nessuno, benché esso fosse più volte stato preannunciato a quell’umanità, accadde che sette uomini del menzionato pianeta, lanciati nello spazio, caddero in diverse località libere dell'alto Egitto causando con la violenta caduta dei loro corpi un forte scuotimento del terreno.
5. Questa pioggia di uomini si protrasse per dieci giorni, dal primo cioè all'ultimo caduto. Gli abitanti del paese dovettero passare allora ore di angoscia e di spavento indicibili poiché, particolarmente la notte, essi temevano che uno di tali giganti cadesse loro addosso e li schiacciasse tutti quanti assieme. Perciò stavano sempre col cuore oppresso guardando il cielo, temendo che un qualche nuovo ospite indesiderato di questa specie venisse a rendere loro una visita per niente ambita giù dalle nuvole!
6. Per interi dieci anni venne stabilita una sorveglianza permanente per controllare se qualche altro di questi colossali viaggiatori dello spazio fosse precipitato nel loro paese; dato però che dopo i dieci giorni prima indicati nessun fenomeno del genere si verificò, gli animi man mano si tranquillizzarono e la gente si azzardò perfino ad avvicinarsi a quei cadaveri di giganti completamente dissecati, i quali giacevano dispersi qua e là ad un quarto di giornata di viaggio l'uno dall'altro.
7. I sapienti fra quei primi abitanti dell'Egitto avanzarono allora l'ipotesi che si fosse trattato di giganti che dimoravano in qualche paese molto grande e lontano e che fossero stati puniti dallo Spirito di Dio per aver gravemente peccato contro di Lui; Dio perciò nella Sua giusta Ira li avrebbe fatti sollevare dai Suoi potenti spiriti molto in alto sopra la Terra e scaraventare poi giù per dimostrare agli egiziani che Egli non risparmiava nemmeno i giganti più poderosi qualora operassero contro la Sua Volontà. In breve, si finì col bruciare questi giganti morti, dopo averli fatti a pezzi, e nel giro di cinquant'anni di tali ospiti di enormi proporzioni non rimase più alcuna traccia.
8. Quello però che di queste gigantesche figure umane rimase impresso fortemente nella memoria ai primi egiziani fu l'idea del colossale, che esercitò poi grande influenza sulle loro opere, come è provato più che evidentemente dalle loro prime sculture.
9. Nel Tempio di Ja Bu Sim Bil, in ciascuna delle tre sezioni vennero raffigurati sette giganti come sostenitori in un certo modo del tetto, naturalmente scolpiti nella pietra e precisamente nella stessa foggia di vestire com'era quella dei colossali viaggiatori piombati giù dall'aria; gli egiziani, che prima andavano quasi completamente nudi, cominciarono ad adottare essi pure una simile foggia di vestire. Per questa ragione anche oggi si trovano gli antichi resti umani tutti vestiti in tale maniera, come si può constatare esaminando i disegni che adornano le loro mummie e i loro sarcofagi»
10. Allora il capo dei mori chiede cosa gli antichi egizi avessero voluto effettivamente indicare con la parola “sarcofago” e perché essi avessero dato questo nome alle bare molto massicce sia di piccole che di grandi dimensioni.
11. E Raffaele risponde: «Questa cosa ve la spiegherò subito e dettagliatamente. Voi sapete che in quel paese la sepoltura dei cadaveri va per lo più congiunta a vari inconvenienti; infatti, in un terreno troppo asciutto, un cadavere si dissolve soltanto con molta difficoltà e la putredine non riesce a distruggerlo; nei terreni più umidi in prossimità del Nilo non si voleva seppellire i morti, per la ragione molto savia che l'acqua del fiume ne sarebbe rimasta inquinata; lasciare in abbandono i cadaveri così come erano o addirittura gettarli in pasto alle bestie feroci non si poteva assolutamente, dato che specialmente gli egiziani antichi erano troppo umani ed avevano troppa stima dei corpi dei loro fratelli defunti per recare loro un simile oltraggio! Ma in queste condizioni che cos’altro si sarebbe mai potuto fare?
12. Vedete, a questo riguardo essi ebbero un’idea quanto mai geniale: presero delle pietre grandi e, lavorando di scalpello, vi incavarono delle bare in parte molto grandi, ma più tardi anche molto piccole, nelle quali potevano trovare posto comodamente uno, due e fino a tre cadaveri al massimo. Ciascuna bara era provvista di un coperchio nero proporzionalmente grande e pesante. Quando poi in una simile bara venivano deposte una o più salme dopo essere state bene imbalsamate con del MUM (MUMA, od anche MUMIE, vale a dire resina o balsamo terrestre) il coperchio veniva arroventato, e con questo si copriva la bara, per così dire, per sempre. In seguito a questa operazione i cadaveri entro la bara si disseccavano completamente e, se il calore dei coperchi era talvolta eccessivo, si carbonizzavano o addirittura si incenerivano.
13. Nelle località e comunità più grandi però erano istituite anche delle bare in comune che venivano riaperte in parte ogni sette anni; queste venivano poi riempite man mano di cadaveri e di nuovo coperte, dopodiché sul coperchio si accendeva un gran fuoco, in questo modo i cadaveri entro la grande bara di pietra venivano naturalmente ridotti in cenere. Quando una simile bara era del tutto colma di ceneri, non veniva più riaperta, ma veniva lasciata così, come un venerabile monumento a ricordo della caducità di ogni cosa terrena.
14. Col tempo si cominciò a costruirvi al di sopra delle cupole e delle piramidi, per questo ancora oggi si trova nei pressi delle piramidi una quantità di simili bare entro delle cripte talvolta molto ristrette ed a volte anche più grandi (KAI TU COMBA, ossia camera nascosta). Ebbene, queste bare che vi ho ora descritte con precisione furono chiamate sarcofagi appunto perché nel linguaggio primitivo degli egiziani SARCO significava “rovente”, e VAGA (o VASHA) significava un “coperchio pesante”.
15. Eccoti dunque chiarita la questione dei sarcofagi; e adesso passiamo a vedere quanto vorrà rivelare a tutti noi la quarta perla».
Raffaele spiega le costellazioni sulla quarta perla.
1. L'angelo la prende in mano con la massima cautela e la libera dalla crosta silicea.
2. Ma a questo punto apre la bocca il capo dei mori, e dice: «O meraviglioso giovinetto, tu che sei l'agile mano al servizio dell'Altissimo! Non essere sdegnato con me se interrompo il tuo lavoro con una domanda forse importuna! Vedi, se penso al potere prodigioso di cui disponi, sembra strano vederti con questo martello in mano! Ti è esso assolutamente necessario, oppure te ne servi solamente per apparire dinanzi a noi con maggiore naturalezza affinché ti possiamo guardare e ascoltare forse più tranquillamente e con minore timore?»
3. Risponde l'angelo: «Né una cosa, né l'altra, ma io faccio questo unicamente allo scopo di mostrarvi come dovreste procedere in casi simili, qualora vi accadesse di trovare qualche altra di tali pietre, per liberarla dal suo involucro siliceo. Infatti, specialmente nell'alto e nel medio Egitto si trovano in grande quantità di queste pietre incrostate, e precisamente sparse qua e là nei deserti; certamente di perle come queste ve ne saranno ancora poche, tuttavia anche le altre pietre più comuni sono ricoperte di ogni specie di segni, iscrizioni e figure. Gli antichi egizi erano ancora lontani dall'avere a loro disposizione dei papiri o delle pergamene per scrivere. A questo scopo essi adoperavano invece delle pietre lisce e con delle punte d’osso all’inizio e di ferro più tardi vi incidevano ogni tipo di cose per commemorare i vari avvenimenti.
4. Le incisioni eseguite proprio nei primordi della storia egiziana raffigurano certo quasi sempre delle semplicissime vicende delle greggi di quel popolo; però le incisioni eseguite più tardi, come ad esempio quelle che appaiono qui su queste perle, ricordano già grandi avvenimenti che hanno un significato notevole non soltanto per quel determinato paese e popolo, ma addirittura per tutta la Terra. Infatti, fu Volontà del Signore che il paese in questione (l'Egitto) diventasse un’eccellente scuola preparatoria per la Sua discesa su questa Terra; per questo Egli anche mandò il popolo da Lui scelto, gli ebremiti, nell'Egitto come in una scuola che durasse a lungo ininterrottamente, e Mosè, il grande profeta del Signore, compì i suoi studi al Corno del Kahi (Cairo), a Tebe (THEBAI, oppure THEBSAI cioè “la casa dei pazzi”, divenuta certamente più tardi una grande e popolosa città), a KAR NAG di KORAK, e nelle città più antiche di Menfi, DIATHIRA (Dia Daira cioè “luogo del lavoro servile”) ed Elephantine (EL EI FANTI, che significa “i discendenti dei figli di Dio”). E solo quando ebbe raggiunto l'età di cinquantasette anni, fuggiasco a causa di un VARION (Faraone) crudele, egli venne condotto dallo Spirito di Dio per la consacrazione suprema a Madan oltre il Sues; da allora in poi voi potete leggere la sua storia successiva nella Scrittura.
5. In breve, l'Egitto venne dunque destinato ad essere un istituto di istruzione preliminare, e gli abitanti di questo paese - fra i più antichi tra quelli popolati della Terra - erano già dotati dai primissimi tempi di grande sapienza e mantennero anche rapporti generali e commerciali con quasi tutti i popoli più civili della Terra; ed ora comprenderete anche come e perché tutto quello che si trova in questo paese spesso abbia un significato davvero molto profondo.
6. Ma adesso dedichiamoci alla nostra quarta perla!
7. Ecco, qui si possono vedere varie figure di cacciatori muniti di faretre, diarchi e di frecce, ed un grande gregge circondato da leoni. Ciò vuole indicare un grande combattimento degli egiziani contro i leoni che in gran numero ogni tanto affliggevano le loro grasse greggi.
8. E vedete, qui più a destra di questa scena, i pascoli già circondati da mura, e sulle mura sono visibili delle teste di toro con le corna ora rivolte in alto, ora in basso ed ora da parte, e tutto ciò significa che, prima della creazione dei poderosi recinti intorno agli estesi pascoli, le greggi erano sempre esposte senza alcuna difesa ai più gravi pericoli; agli angoli delle mura voi potete scorgere anche un cane molto grande in atteggiamento di lotta, ora in piedi, ora coricato; il nome che gli antichi egiziani avevano dato a questo animale vigilante era PAS, o anche PASTSHIER (“il guardiano del pascolo”).
9. Qui, più a destra ancora, vedete nuovamente il re-pastore Shivinz (erroneamente Sphinx), al suo fianco c'è un cane gigantesco, e dinanzi a questo vari pezzi del leone; ancora più a destra, ma più in alto ecco lo stesso cane, e sotto il cane l'immagine del Sole e della Luna. Cosa significa questo?
10. Udite! Il nostro Shivinz, come re di pastori, possedeva sul serio un cane fra i più grandi, di fronte al quale non c'era davvero leone o pantera che fosse sicuro della propria vita; questo cane ebbe per lungo tempo in custodia le greggi di Shivinz. Quando però col tempo il cane morì di vecchiaia, il re Shivinz che aveva in grande stima questo animale, deliberò di perpetuarne la memoria sul cielo meridionale; egli cioè denominò una delle costellazioni con il nome preciso di Gran Cane, l'animale che per lungo tempo aveva custodito le sue greggi. Che il re abbia collocato il suo cane fra le stelle, è provato dal fatto che sotto il ventre del cane sono visibili il Sole e la Luna, perché tutto quello che porta raffigurati il Sole e la Luna sotto di sé, si trova simboleggiato fra le stelle a ricordo di qualcosa di molto importante e memorabile.
11. Un grosso cane da guardia, specialmente qui dove quasi non esistono bestie feroci, certamente oggi non avrebbe un significato particolare; ma nell'antico Egitto, dove gli animali da preda scendevano a frotte, come in parte se ne trovano ancora oggi, un cane grosso, robusto e coraggioso era un aiuto estremamente grande. Infatti, in primo luogo un cane di questa specie era il più fedele guardiano delle greggi, e il suo mantenimento era pochissimo oneroso, dato che questa speciale razza canina si nutriva di solito di ratti di cui quel paese non solo pullulava, ma in nessun tempo ne ha avuto penuria. Anche le grandi locuste servivano da cibo a questi cani, e ne divoravano a migliaia al giorno; soltanto una volta al giorno veniva dato loro un po’ di latte, e questo faceva in modo che essi si mantenessero fedeli alle loro greggi.
12. Oltre ai cani grandi, però, gli antichi egiziani tenevano pure dei cani di una razza più piccola, e questi animali venivano chiamati MAL PAS (“cane piccolo”). Questi fungevano per così dire da sentinella; POROSHIT nell'idioma egiziano antico significa “uno che fa segnali o che dà l'allarme”. Qualora ad una dimora o ad un gregge si fosse avvicinato qualcosa di estraneo, i cani piccoli cominciavano ad abbaiare; il rumore metteva in allarme i cani grandi i quali, a loro volta, con i loro poderosi latrati che si udivano da grande distanza, incutevano rispetto agli animali selvaggi; dopo di che questi ultimi battevano anche in ritirata.
13. I cani piccoli spesso erano i custodi delle galline e del pollame in genere, funzione alla quale essi venivano appositamente addestrati; anche questa fu una trovata di Shivinz che per primo iniziò l'allevamento di questi volatili utilissimi nell’economia domestica e mostrò agli egiziani quanto squisite erano la loro carne e le loro uova. E così alla popolazione di quel grande paese, già molto cresciuta di numero, egli fece conoscere dei mezzi nuovi di alimentazione e nuove specie di greggi, diffondendo l'uso di carni e di uova che col tempo furono gustate forse anche troppo; altrimenti non ci sarebbe stato più tardi il pericolo che scoppiasse una vera guerra per il pollame la quale si trova menzionata, in forma mitica, negli scritti dello storico greco Erodoto.
14. Il nostro Shivinz, che aveva già collocato il cane grande sul firmamento, procurò anche al piccolo un posto fra le stelle sotto il nome di PORISCHION (“Procione”). Lì vicino si trova l'antica KOKLA (“chioccia”); più tardi a questa costellazione fu dato anche il nome di PELEADA o PELADZA, e - in seguito ad una falsa leggenda greca - dai greci stessi fu denominata la costellazione delle PLEIADI.
15. Qui, più in alto di tutto, potete vedere incise molto bene sulla perla anche queste cose, e da ciò potete farvi un'idea della chiarezza di mente del nostro Shivinz; così facendo però egli non intendeva tanto mantenere vivo nei suoi discepoli il ricordo dei suoi cani e delle sue galline per mezzo delle costellazioni facilmente riconoscibili, quanto piuttosto di insegnare loro il corso del tempo dal moto delle stelle.
16. Inoltre fu sempre Shivinz che a DIADAIRA (DIATHIRA) eresse il primo ZODIACO (SA DIAZC, che significa “per i lavoratori”) e ne stabilì le posizioni sul firmamento, e denominò le costellazioni in corrispondenza al regolare svolgersi dei fenomeni e degli avvenimenti naturali nel paese, come ben presto vedremo esaminando la quinta perla quando sarà spoglia del suo involucro!».
La suddivisione del tempo sulla quinta perla.
1. (Raffaele:) «Fate adesso attenzione: eccola qui la quinta perla! Come si debba procedere con queste reliquie di un antichissimo passato quando capita di trovarle, e come si debba effettivamente toglierle dall’involucro, queste cose ormai ve le ho mostrate, e perciò le altre tre io le spoglierò dall'involucro facendo uso soltanto della mia potenza di volontà. Vedete! Qui abbiamo già la quinta perla perfettamente spoglia dinanzi a noi!
2. Ecco qui uno ZODIACO di DIATHIRA disegnato sulla parte più bella e maggiore della superficie della perla; qui c'è un Tempio colossale; trecentosessantacinque colonne assolutamente massicce sostengono un arco fatto di blocchi quadrati di granito color rosso chiaro costruito a perfetta regola d'arte e di estrema solidità. L'arco, nel punto massimo del suo sviluppo, giunge a sessantasei altezze d'uomo dal suolo. Tutto l'arco ha esattamente trecentosessantacinque aperture le quali sono disposte precisamente in modo che, durante il periodo nel quale il Sole si trova in una determinata costellazione, la sua luce a mezzogiorno deve cadere esattamente sulla linea mediana di una colonna verticale eretta nel mezzo del Tempio. La luce, attraverso le altre aperture, cadeva bensì sull'altare alle diverse ore del giorno, però non veniva più a cadere nel punto mediano, ma cadeva invece uno o più gradi di fianco.
3. Quest'arco costruito in maniera quanto mai ingegnosa esiste ancora oggi, quantunque un po’ eroso dal tempo, e sussisterà ancora a lungo e servirà di norma agli astronomi del futuro.
4. Ma ora voi domanderete: “A che scopo il grande Shivinz ha fatto costruire quest'arco, certamente con la maggiore fatica di questo mondo?”. Ecco: prima non esisteva nessuna stabile suddivisione del tempo; la durata più o meno lunga del giorno veniva a mala pena notata; la Luna era sempre ancora il punto di riferimento per la suddivisione del tempo più sicuro e fidato. DIATHIRA però, quale residenza di gente condannata ai lavori forzati, aveva bisogno che il tempo venisse suddiviso con precisione tanto di giorno che di notte, e appunto a tale scopo, nonché per ragioni di ordine, il nostro Shivinz aveva fatto anche erigere quest'arco il quale richiese per il suo compimento ben dieci interi anni di lavoro e il contributo di centomila operai.
5. L'arco era naturalmente molto ampio, e ad ogni trentesima e trentunesima apertura portava dipinto il simbolo di uno dei dodici segni zodiacali; sopra questo dipinto solitamente rosso, erano disegnati con tutta esattezza in colore bianco i relativi gruppi di stelle. Voi qui sulla perla potete vedere disegnato l'interno dell'arco con tratti molto distinti e precisi, marcati poi con un colore rosso cupo, e da tutto ciò potete farvi ormai un'idea di quale spirito sveglio fosse il nostro Shivinz e quanta sconfinata stima egli deve avere goduto presso tutte le popolazioni d'Egitto! La conseguenza di ciò era infatti che gli bastava fare un cenno, e la gente, a centinaia di migliaia, cominciava a darsi da fare con la massima energia, e poi si vedeva sorgere un'opera grandiosa come se fosse stata magicamente strappata al suolo terrestre.
6. Egli nominò maestri e sacerdoti i più saggi fra il popolo e dappertutto fece erigere scuole in cui si potevano acquisire conoscenze utili in tutti i campi dell'attività umana; la scienza massima, quella di Dio, la si poteva acquisire soltanto dopo molte ed aspre prove in ambienti circondati da mistero a KAR NAG di KORAK ed infine nel Tempio di JA BU SIM BIL»
7. A questo punto dell’esposizione Marco, il vecchio albergatore, interruppe l'angelo e domandò: «O amico carissimo, dato che stai spiegando quanto è disegnato sulla tua perla, non vorresti dirci anche se quanto stai raccontando ha una qualche relazione con quella strana Sfinge la quale, mezza donna e mezza bestia, proponeva agli uomini, sempre sotto pena di morte per la mancata soluzione, il famoso enigma relativo a quale fosse l'animale che camminava al mattino con quattro gambe, al mezzogiorno con due e alla sera con tre? Inoltre, si racconta che chi non riusciva a sciogliere l'indovinello veniva ucciso dall’enigmatica Sfinge, mentre chi l'avesse sciolto, da costui la Sfinge si sarebbe lasciata uccidere! C'è o non c'è in questa storia qualcosa di effettivamente vero?».
L’enigma della sesta perla: la raffigurazione delle piramidi, degli obelischi e della Sfinge.
1. Risponde Raffaele: «Guarda qui, questa sesta perla risponderà alla tua domanda. Eccola completamente spoglia; cos’è che ti colpisce prima di tutto?»
2. Dice Marco: «Io vedo nuovamente la colossale immagine dello Shivinz ed alcune piramidi; davanti alla più grande ci sono due di quelle colonne a facce piane che terminano a punta e che vengono chiamate OUBELISKE, ed a fianco della grande piramide, nella realtà alla distanza di forse duecento passi, ciò che in base al disegno è difficile da stabilire, vedo ancora una statua colossale. Questa ha una testa di donna, mani di donna e un seno femminile fortemente sviluppato; là dove termina il seno, al posto del ventre, comincia un corpo di animale di specie non ben definibile; dietro a questa singolare statua si estende, con ampio arco, un muro che racchiude un grande pascolo. Tutto ciò sembra costituire un insieme inscindibile di cose, ma quale ne è il significato?»
3. Dice Raffaele: «Il busto colossale è proprio quello di Shivinz che il popolo fece erigere esclusivamente a proprie spese e di propria iniziativa dai migliori scultori e anche muratori, allo scopo di onorare il grande benefattore. La grande piramide con i due obelischi era un edificio scolastico di quelli denominati: “Uomo conosci te stesso!”. Nell'interno c'erano dei vasti ambienti e dei corridoi che si diramavano in tutte le direzioni, nei quali si trovavano ogni tipo di singolari dispositivi per conseguire la conoscenza di se stessi e da ciò la conoscenza del Supremo Spirito di Dio. I dispositivi erano alle volte tali da apparire molto crudeli, però solo rarissime volte fallivano lo scopo. Le altre piramidi sono per lo soltanto dei segni di quelle località sotterranee dove si trovavano in quantità i SARKOVAGE che sono stati coperti da murature come è già stato narrato prima.
4. Attualmente, però, nella vasta e lunghissima valle del Nilo ci sono ancora numerose piramidi ed ogni tipo di templi che sono stati edificati, solo molto più tardi, sotto i Faraoni dell'epoca di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, di cui non stiamo parlando qui, ma stiamo parlando solo dei monumenti costruiti da Shivinz.
5. La loro denominazione propria originaria era PIRAMIDAI, ciò che equivale a dire: “Donami sapienza”, e le due colonne a punta con il loro nome OUBELOISKA significavano “Il puro cerca il sublime, il bello e il puro”. “BELO” vorrebbe dire in effetti "bianco"; dato però che presso gli antichi egizi il colore perfettamente bianco simboleggiava il puro, il sublime e il bello, allora questa parola serviva anche a denotare i concetti di sublime, puro e bello.
6. La fama dei buoni risultati ottenuti in simili scuole si sparse ben presto dappertutto, e perciò anche gli stranieri vennero a frequentarle, anzi questi affluirono così numerosi che si rese difficile provvedere all'alloggio e al sostentamento di tutti. Allora il nostro Shivinz, durante gli ultimi anni del suo regno, escogitò un mezzo piuttosto inquietante per impedire agli stranieri di affollarsi troppo nelle scuole da lui fondate. Ma in che cosa consistette questo mezzo?
7. Ecco: su questa perla vedete disegnata la statua mezza umana e mezza animale. Essa era cava, e all'interno un uomo poteva salire nella testa su per una scala a chiocciola, e dalla bocca della statua, che verso il basso era scavata a forma di imbuto, poteva parlare con voce forte e distintissima; anzi, dato il rafforzamento della voce [conseguito con tale artificio], pareva sul serio che la colossale statua parlasse.
8. Quando dunque gli stranieri si presentavano e chiedevano di venire ammessi alla scuola, veniva fatto notare loro da un servitore della statua che essi dovevano collocarsi l'uno dopo l'altro in un determinato posto di fronte alla sublime statua che all'esterno era morta, ma che interiormente era viva. A ciascuno che avesse voluto diventare discepolo delle piramidi sarebbe stata rivolta dal sublime Shivinz una domanda enigmatica per la vita o per la morte. Se l'interrogato avesse sciolto l'indovinello, allora sarebbe stato accolto, ottenendo in tal caso a sua volta il diritto di rivolgere una contro-domanda alla statua, e, nel caso in cui questa non fosse stata in grado di dargli una risposta soddisfacente, sarebbe stato suo diritto distruggerla e in un certo qual modo ucciderla.
9. La domanda veniva comunicata ai candidati tre giorni prima perché la ponderassero; il terzo giorno però, nel quale essi avrebbero dovuto udirla formulata per la vita e per la morte dalla bocca della statua, nessuno certo si azzardava a correre un simile rischio, ed invece modestamente si ritirava, pagava la tassa stabilita per la domanda preliminare e faceva ritorno al proprio paese che spesso era molto lontano.
10. Più tardi, secondo un mito, un greco sarebbe riuscito a sciogliere l'antico indovinello; sennonché questa è, con centomila altre sue pari, assolutamente una favola ed è priva di ogni verità! Infatti il famoso indovinello è stato sciolto da Mosè; però la statua non venne distrutta a causa di ciò, dato che questa statua, anche se un po' rosa dal dente del tempo, si può ancore vedere tutt'oggi.
11. Certamente ora non si può trovare l'allestimento interno, perché è del tutto insabbiato e infangato; infatti il Nilo, di solito ogni cento e talvolta anche dopo duecento anni, innalza il suo livello in misura talmente inconsueta che, nei punti più stretti della valle, l'acqua arriva a trenta braccia e più al di sopra del livello normale. In questo modo molto viene devastato e reso inutilizzabile, perché una quantità di detriti, di sabbia e di fango viene depositata sui campi prima bellissimi.
12. Dopo i tempi di Shivinz si manifestarono due inondazioni del Nilo, così da spingere le acque parecchio oltre le punte delle piramidi. Un’inondazione di questo genere la si ebbe pure 870 anni fa, per effetto della quale il Tempio di JA BU SIM BIL rimase quasi per metà insabbiato e infangato, e da allora né il Tempio, né molti altri monumenti poterono venire puliti completamente dalla sabbia e dal fango. E così stanno ora anche le cose con la nostra enigmatica statua; internamente essa è colma di fango e di sabbia induriti che certo nessuno potrà più rimuovere [completamente]! Ecco, mio caro Marco, così stanno in verità le cose rispetto all'enigmatica Sfinge! Ora hai le idee chiare su questo?»
13. Dice Marco: «Ma nel corso, mettiamo, di mille anni, non si è trovato mai uno più audace degli altri che abbia rischiato di farsi proporre per la vita e per la morte il noto indovinello della Sfinge stessa? E se l'avesse fatto, cosa gli sarebbe accaduto quando, come è ben comprensibile, non fosse stato in grado di darne la spiegazione?»
14. Risponde Raffaele: «Nel posto dove l'interrogato doveva mettersi c'era una botola, mediante la quale egli sarebbe stato fatto sprofondare giù velocemente in un pozzo, e una volta giù, alcuni fra gli addetti alla statua lo avrebbero preso e, visto il suo coraggio e pur non avendo bene sciolto l'indovinello, sarebbe stato ammesso alla scuola, dalla quale però non avrebbe potuto allontanarsi prima di essere diventato un uomo perfetto! Ma a questo punto non arrivò mai nessuno; e all'epoca in cui l'indovinello venne sciolto, questo antichissimo allestimento era già talmente infangato e insabbiato da essere completamente inservibile, e già da tempo i primi re-pastori e il loro popolo erano stati già in un certo qual modo sconfitti da un popolo fenicio, e ai tempi di Abramo i Faraoni stessi erano già dei Fenici.
15. Ed ora che ti sei chiarito questo punto, passiamo ad esaminare la settima ed ultima perla».
Le costellazioni sulla settima perla. La decadenza della cultura egizia.
La storia delle sette perle.
1. (Raffaele:) «Vedete, eccola qui; cosa vi scorgete di speciale? Voi vedete certo qualcosa, ma non potete rendervi conto di che cosa si tratti veramente. Ebbene, su questa bellissima perla figurano tutte le costellazioni, ed essendo il solco dell'incisione stato strofinato con una tinta rosso scura, il disegno si è conservato molto bene sotto la crosta silicea fino ad oggi.
2. Del resto da questa perla non c'è molto e proprio niente di particolare da imparare; ad ogni modo si può rilevare che il nostro Shivinz se ne intendeva bene del firmamento, ed egli fu sicuramente il primo a creare in un certo modo un sistema per le costellazioni. I nomi che egli un giorno diede alle varie costellazioni sono rimasti gli stessi anche fino al nostro tempo.
3. Prima che egli assurgesse a guida del popolo, la cultura presso gli antichi egiziani era qualcosa di ben meschino tanto riguardo alla scienza dei segni e di quella della scrittura derivante dalla prima, quanto riguardo ad una giusta conoscenza di se stessi, e di più meschino ancora rispetto alla conoscenza di Dio. Ma il nostro Shivinz, a costo di molte e indicibili fatiche, giunse a creare un certo ordine in tutto e a trasformare la gente selvaggia e nomade di prima in uno dei popoli più colti e più sapienti di tutta la Terra, ciò che, col tempo, cominciò a suscitare molte invidie. Infatti gli stranieri, anche troppo presto, furono presi da un’immensa ammirazione per una simile grande cultura tanto del paese quanto del popolo; tutto quello che vedevano appariva loro assolutamente prodigioso e celestiale, e una volta arrivati là, non si decidevano più a ritornare ai loro paesi.
4. E quanti più venivano in pellegrinaggio, tanti più anche cominciarono a stabilirsi nel paese, e così avvenne che le popolazioni del luogo, originarie fin dai tempi più antichi, ed i loro reggenti furono sottomessi per la prima volta in modo assolutamente pacifico.
5. I discendenti di Shivinz divennero uomini sempre più rammolliti ed effeminati, cercando di spassarsela il più comodamente possibile e, vantandosi della gloria del loro avo, ignorarono completamente le cure del governo. La conseguenza fu ben presto che gli stranieri, che sapevano molto imporsi, non ebbero grande difficoltà a farsi addirittura eleggere ed insediare dagli abitanti originari stessi a reggenti e guide del popolo, e tutto ciò senza ricorrere per niente alla spada.
6. Questo sotto certi aspetti fu bello e buono, ma le popolazioni originarie non ebbero comunque granché da guadagnare in tale cambio. I reggenti (VARION) (Faraoni) stranieri furono anche troppo solleciti a crearsi una forza armata, e divennero tiranni ed oppressori del popolo; le scuole furono rese accessibili soltanto a pochi, e quello che ancora vi veniva insegnato era ormai una vera contraffazione di quanto vi era stato insegnato in origine; per questo dopo non molto tempo la verità purissima di prima si trasformò nella idolatria più assurda congiunta con la tenebra più fitta, rendendo così immensamente arduo, anche ai maggiori sapienti, il compito di ritrovare le tracce della civiltà originaria di quel paese.
7. Ed è perciò che a queste sette perle va attribuito un valore addirittura incalcolabile, perché esse hanno le loro origini in un’epoca nella quale l'Egitto si trovava al colmo della sua fioritura spirituale, e quindi non potranno mai venire custodite con abbastanza cura!»
8. Chiede allora uno dei mori: «In quale occasione quelle perle sono capitate nelle acque del Nilo per celarsi nelle sue sabbie?»
9. E Raffaele risponde: «Se vi ho detto già prima che il Nilo in certe epoche cresce tanto da sembrare un vero diluvio! Circa 567 anni dopo la scomparsa di Shivinz il Nilo raggiunse un'altezza strabiliante; nei passaggi stretti esso raggiunse un'altezza di oltre centosessanta braccia sul livello normale; tutte le città che giacevano più a valle vennero completamente inondate per cinque settimane, e in questa occasione anche le perle vennero spazzate via dalla violenza delle acque assieme agli edifici dove erano custodite e, come le pietre con cui questi erano costruiti, esse rimasero sepolte sotto la melma e la sabbia.
10. Durante i tremila anni circa in cui rimasero sepolte si formò intorno a loro anche la crosta nella quale voi le avete trovate, e dalla quale io le ho ora spogliate in vostra presenza, e ciò l'ho fatto in maniera del tutto naturale all’inizio, e poi nella maniera prodigiosa come è possibile a me.
11. Ecco, voi adesso sapete anche questo, e in queste sette perle avete sette libri che possono e potranno sempre essere ricchi di buoni insegnamenti per voi riguardo al paese che in parte è abitato anche da voi! Custoditele dunque con ogni cura, perché ciascuna di queste perle vale molto più di tutto un regno!
12. Per il momento che le prenda in custodia Oubratouvishar che è evidentemente il più saggio tra voi, e quando un giorno egli dovrà abbandonare questa Terra, spetterà a lui decidere chi sarà da reputarsi degno di prendere in consegna questo inestimabile tesoro. Guai però a un indegno che, forse spinto dall'avidità, tentasse di impadronirsene!
13. Io, quale messaggero ed esecutore della Volontà di Colui che siede là, credo di essere rimasto a sufficienza sulla via del prodigioso per ammaestrarvi e rafforzare la vostra fede; se ciò ancora non vi bastasse, neanche eventuali e ulteriori prodigi approderebbero a nulla. Ebbene, ci credete ora che Quello che siede là è Colui per il Quale il grande Shivinz e i suoi due predecessori hanno costruito nella roccia il grande Tempio di JA BU SIM BIL?»
14. Dicono tutti: «Oh, sì, sì, o prodigioso messaggero del Signore; dal più profondo delle nostre anime noi te ne diamo la più completa assicurazione!»
15. Dopo di ciò l'angelo li lasciò e Cirenio Mi chiese se quella raffigurazione, in realtà puramente storica dell'Egitto, rappresentasse essa pure una necessità nell’ambito del Vangelo uscito dalla Mia bocca.
16. Ed Io gli risposi: «Anzi, una necessità fra le maggiori! Passeranno infatti molti secoli e indagatori di ogni specie sorgeranno ed esploreranno minuziosamente quel Paese, e troveranno molte cose a cui è stato fatto ora cenno per bocca di Raffaele. Ciò sarà causa di grande confusione in loro, come sarebbe stato pure il caso in voi e nei vostri prossimi successori; tuttavia questa genuina rivelazione varrà a rettificare anche a questo riguardo ogni vostro erroneo concetto. In quanto ai tempi futuri, Io susciterò di nuovo degli uomini i quali ancora una volta sveleranno questi enigmi antichissimi all’umanità e agli indagatori. Ma ora ce ne andremo noi stessi e annunceremo loro il vero Vangelo dai Cieli».
17. Allora noi ci alzammo e ci avvicinammo ai mori che erano in attesa.
I costumi dei nubiani e quelli dei bianchi.
1. Il bel Sole mattutino stava appunto riacquistando il suo naturale splendore, quando noi ci alzammo dalla nostra mensa per andare a quelle dei mori. Quando Io giunsi là, tutti si alzarono in piedi e fecero dinanzi a Me il saluto più deferente secondo il loro costume, inchinandosi profondamente e tenendo le mani incrociate sul petto.
2. E il loro capo, esprimendosi molto bene nell'idioma ebraico-galileo, disse: «O Signore, ormai non c'è più nessuno fra di noi che non creda! Ciascuna Parola dalla Tua santissima bocca sarà per noi una Grazia commensurabilmente grande dovuta al Tuo verissimo senso di Amorevolezza e alla Tua Misericordia per tutti i tempi dei tempi, anzi per l'eternità.
3. Se Tu, o eterno Santissimo, reputi noi, gente dalla pelle scura, in qualche modo degni di un ulteriore ammaestramento riguardo le nostre persone e i nostri doveri e poi anche riguardo al Tuo proprio Essere, oh, rendici allora felici, sia pure con poche parole, dalla Tua bocca, e noi perciò Ti stimeremo, per tutti i tempi dei tempi e fino nei nostri futuri successori, supremamente felici di aver potuto vedere Te, il Creatore e Signore di tutto il mondo sensibile e spirituale, e di averTi potuto parlare!
4. Quel fulgore di luce che, nelle visioni avute, mi apparve come una gloria eterna di vita avvolgente il Tuo santo Essere, si rende ora visibile e si esprime nel Tuo immenso Amore, nella Tua Benevolenza e nella Tua Sapienza che non ha l'uguale in tutta l'Infinità.
5. Noi siamo ora qui quali volenterosi agnelli, quantunque dai corpi racchiusi in nera lana; ma come il colore nero accoglie in sé certamente più luce e più calore del bianco - motivo per cui anche noi portiamo delle vesti bianche per tenere lontana da noi la sovrabbondanza di luce e di calore - così io credo pure che noi, gente dalla pelle nera, accoglieremo nei nostri animi in maggiore profondità e con maggiore intensità la santa Luce del Tuo Spirito che non molti altri la cui carne è avvolta in epidermide bianca ma il cui animo respinge la Luce dello Spirito con avversione maggiore di quella che fanno le nostre bianche vesti rispetto alla luce naturale e al suo calore. Di tali esempi ne abbiamo avuti in abbondanza nella grande città di Menfi che offre dimora a moltissime “ombre mobili” della vita secondo la testimonianza che diede di loro quel capo dei sacerdoti. Questi vivono come le efemeridi, che il giorno crea e che la sera uccide nuovamente.
6. È certo vero che neppure noi abbiamo niente di cui poterci gloriare al Tuo cospetto, o Signore, ma ad ogni modo noi sappiamo di non essere altro che uomini e che siamo tutti opere dell'Unico e stesso Creatore, e che per conseguenza non possiamo illuderci che un uomo sia migliore e valga di più di un altro, quasi fosse sul serio una specie di semidio, come abbiamo avuto occasione di constatare fra i bianchi, dei quali uno presumeva di essere un signore, e gli altri dovevano inchinarsi davanti a lui fino a terra, altrimenti chi non fosse stato d'accordo veniva immediatamente punito a suon di vergate. O Signore! Dobbiamo dire che questa virtù dei bianchi non ci è piaciuta affatto, né ci sembra che tali sistemi siano ispirati a qualche briciola, sia pure piccola, di sapienza!
7. Noi non picchiamo mai i nostri figli, né alcun animale, anzi, noi invece usiamo pazienza e costanza, e facciamo esercitare continuamente i nostri piccoli in tutto ciò che noi riconosciamo come buono, vero e necessario; quando poi i nostri figli si sono fatti grandi, robusti e intelligenti, noi non li trattiamo più come degli schiavi temporanei, ma li trattiamo come fratelli e sorelle, nostri pari sotto ogni riguardo, che come noi, loro genitori, sono sorti dalla mano di Dio con tutti i diritti alla vita! E tuttavia i nostri figli ci amano immensamente, né mai un qualche figlio od una figlia ha peccato contro il padre e la madre!
8. Presso i bianchi noi abbiamo visto i fanciulli strisciare per la paura dinanzi ai loro genitori, e mugolare come i cani sotto il loro severo sguardo! Si sarebbe potuto ritenere, vedendo ciò, che in questa maniera venissero allevati degli angeli. Ma quando simili figli venivano, all'occasione, a trovarsi fuori della rigida sorveglianza dei genitori, apparivano come trasformati, e si sarebbe potuto crederli invece, senza paura di esagerare, altrettanti figli di demoni, della cui presenza quanto mai maligna nei tenebrosi abissi della Terra noi abbiamo avuto notizia per mezzo del capo dei sacerdoti di Menfi. Da parte nostra, confesso che faremmo assai volentieri a meno, per tutta l'eternità, di una simile specie di educazione!».
Educazione dell’intelletto e dell'animo.
1. (Oubratouvishar:) «Da noi una vera educazione consiste nel fatto che in primo luogo cerchiamo di nobilitare, per quanto possibile, alla nostra maniera l'animo dei nostri figli, e quando l'animo si trova in buon ordine, allora anche l'intelletto ottiene quella cultura che noi stessi possediamo; i bianchi invece cominciano addirittura a coltivare l'intelletto dei loro figli non appena questi riescono a balbettare qualche parola e così facendo pensano: “Quando il fanciullo avrà l'intelletto perfettamente sviluppato, questo si prenderà certo la briga di educarne l'animo!”.
2. O Signore! Come è stolta la maggior parte dei bianchi a questo riguardo! Ma come fanno a non comprendere che l'intelletto sviluppato prima del tempo finisce sempre per diventare l’assassino dell'animo? Infatti il solo intelletto rende il fanciullo presuntuoso e superbo, ma una volta che la presunzione, la boria e la superbia si sono annidate nell'animo, che provi qualcuno a trasformare quest'ultimo, ed egli si convincerà ben presto che un vecchio albero cresciuto storto non lo si può più raddrizzare.
3. Da noi non esistono giudici, né tribunali, né prigioni, però non ci sono nemmeno altre leggi che non siano quelle prescritte all'uomo da un animo bene educato. Perciò da noi non ci sono peccati che ci siano conosciuti, né delitti che abbiano un qualche nome, e perciò non ci sono neppure punizioni, perché, come ciascuno di noi pensa per se stesso, precisamente così forse di più ancora e meglio egli pensa per il proprio prossimo.
4. Presso la gente bianca, invece, che ha l'intelletto sviluppato, noi abbiamo invece riscontrato assolutamente il contrario; quasi tutti pensano esclusivamente a se stessi, ed al prossimo pensano solamente in quanto questo può servire in qualche modo al loro egoismo! E quando un egoista si accorge che il prossimo non può o non vuole contribuire al suo proprio vantaggio, allora ad un simile prossimo egli è pronto a preferire un qualsiasi animale!
5. Noi invece stimiamo l'uomo prima di tutto perché è un uomo; se un mio compagno non può giovarmi in qualche modo, posso essergli utile io, e così le cose si pareggiano. Io pure ho un servitore, ma io non ho mai contrattato in qualche modo con lui perché mi serva, ma quello che egli fa, lo fa di sua libera e spontanea volontà. Noi certo ci rendiamo reciprocamente servizio molto di più di quanto non facciano i bianchi in cambio di una miseranda ricompensa pattuita; da noi la volontà di qualcuno non è stata mai resa schiava della volontà di un altro tramite un mezzo esteriore, ma quello che uno fa, lo fa da uomo libero e del tutto indipendente!
6. Noi perciò non abbiamo palazzi e grandi edifici in muratura, ma abbiamo delle semplici capanne tutte uguali fra di loro. Chi non ha ancora la sua capanna, e se in una o nell'altra di quelle esistenti non c'è più spazio per accoglierlo, costui non si trova affatto costretto a costruirsene una nuova con le sue proprie forze e con i suoi mezzi, oppure ad andare a causa di ciò a mendicare presso un'altra comunità lontana, ma siamo invece noi che, volontariamente, per amore e per la stima che ci ispira la sua condizione di uomo come la nostra, gli costruiamo subito una capanna simile alle nostre, e così da noi regna sempre ugualmente pace e concordia.
7. Come purtroppo abbiamo avuto occasione di apprendere, questo nostro ordinamento è assolutamente estraneo ai bianchi, e da qualche parte ci è anzi stato dichiarato apertamente in faccia che un simile procedimento è addirittura una pazzia in contrasto con la natura umana; ma allora come si spiega poi che alla nostra volontà obbediscono tutti gli animali e perfino gli elementi, mentre i bianchi, nonostante il loro colto intelletto, non si azzardano ad avvicinarsi ad un branco di leoni? Guai anche al più ardito guerriero armato di spada; che si metta pure alla prova, e già un solo leone gli fornirà la dimostrazione di essere lui il suo signore, e non l’uomo il signore del leone!
8. Noi invece possiamo andare tranquillamente fra leoni e pantere come fra inostri cammelli, buoi, pecore e capre e non ci risulta ancora nessun caso in cui una simile fiera abbia mai assalito un uomo, né che si sia azzardata ad attaccare le nostre greggi; perché la carne di queste viene data loro in pasto non appena i capi delle nostre greggi assai ricche muoiono di vecchiaia. Ciascuna comunità destina un luogo situato ad una certa distanza dalle dimore dove giornalmente viene portato uno ed anche più animali morti, e poi non mancano di comparire gli ospiti dalla dentatura acuta che li divorano completamente, pelle ed ossa compresi. Da noi nessuno mangia carne, ad eccezione di quella dei pesci e del pollame finché l'animale è giovane e tenero; quelli vecchi vengono lasciati agli animali selvaggi.
9. Che cosa può fare un bianco, nonostante il suo acuto intelletto, se gli capita di cadere in acqua? Egli va a fondo e annega! Noi invece possiamo, quando e dove vogliamo, camminare sull'acqua precisamente come sulla terraferma. Soltanto se uno proprio lo vuole, egli può pure immergersi, però un risultato simile gli costa sempre uno sforzo assolutamente inconsueto.
10. Tutti i serpenti velenosi fuggono dalla nostra vicinanza, mentre i topi e le locuste noi le abbiamo viste per la prima volta solo in Egitto; le maligne formiche fuggono dalla nostra presenza e dal nostro pollame, e gli avvoltoi e le aquile si saziano con la carne di leoni, pantere e volpi morte.
11. E così sembra che presso di noi mori sussista tuttora quell'ordine che certamente sussisteva ed aveva dovuto sussistere secondo la Volontà del Creatore già dai primi inizi fra tutti gli uomini, qualunque possa essere stato il loro colore, perché, se la prima coppia umana fosse stata posta su questa Terra nel pessimo ordine in cui si trova l'attuale umanità bianca, io mi domando come essa avrebbe potuto difendersi dagli attacchi degli animali selvaggi e feroci di ogni specie.
12. Infatti, prima che la prima coppia umana avesse fatto la sua comparsa su questa Terra, c'era addirittura un pullulare di bestie rapaci e selvagge, come ci è stato narrato dal savio capo dei sacerdoti di Menfi. Se dunque la prima coppia umana fosse stata in tutti i suoi elementi vitali altrettanto debole come lo è l'attuale umanità bianca, quante volte non avrebbe essa potuto venire sbranata e divorata dalle bestie selvagge che, secondo la narrazione di quel savio, vivevano allora a orde sulla Terra? Essi avrebbero dovuto giungere dall’aria su questa Terra muniti di corazze di ferro poderose e avrebbero dovuto essere giganti estremamente forti, forse come quelli che hanno afflitto l'Egitto prima dell'epoca di Shivinz, qualora con le forze naturali avessero voluto sfidare simili fiere, ed anche in queste condizioni avrebbero avuto ancora un bel da fare per uscire vincitori nella lotta contro animali mostruosi e colossali!
13. Ma se i primi uomini di questa Terra, in fatto di elementi vitali interiori, erano simili a noi, allora naturalmente non hanno avuto bisogno di armi, e con la potenza del loro animo saranno stati in grado di affermarsi come dominatori di tutto il mondo animale, vegetale e degli elementi.
14. Io penso dunque che, essendo noi tutti costituiti così, le parole di Vita che Tu volessi eventualmente rivolgerci prenderebbero profonde e saldissime radici in noi, e qualora Tu, o Signore, ci prescrivessi qualche legge o qualche norma per la vita, certamente noi sapremmo attenerci con tutta serietà e rigore, perché noi sappiamo rispettare un ordine, quando sia stato riconosciuto da noi per buono e vero, cosa che forse neanche un bianco sa fare.
15. E poiché ora abbiamo la straordinaria fortuna di trovarci vicini a Te, o Signore ed eterno Creatore di ogni mondo spirituale e di ogni mondo sensibile, fortuna che perfino ai Tuoi angeli più grandi deve apparire un prodigio di tutti i prodigi, noi per mia bocca Ti preghiamo, tutti di un cuore e di un sentimento, di aggiungere, a tutto il meraviglioso a cui abbiamo potuto assistere nel breve tempo che siamo qui, ancora l'altro immenso prodigio, e speriamo che Tu voglia indirizzare direttamente a noi qualche parola!».
Lo scopo dell’Incarnazione del Signore.
I mori come testimoni della vera natura umana originaria.
1. (Dico Io:) «Non alcune soltanto, ma molte parole ancora Io vi rivolgerò ora! Io non vi darò nessuna legge nuova, e Mi limiterò unicamente a confermare quelle che già agli inizi dei tempi del vostro essere Io stesso ho inciso a caratteri indelebili nel vostro cuore.
2. Io sono venuto a questo mondo principalmente allo scopo di ricondurre, mediante l'insegnamento, l'esempio e le opere, l'umanità pervertita e completamente uscita fuori da ogni Mio Ordine originario, a quello stato iniziale nel quale si trovavano i primi uomini quando essi signoreggiavano su tutte le creature.
3. Questi uomini dall'epidermide chiara hanno dunque molto bisogno dei Miei insegnamenti e delle Mie opere, affinché possano riconoscere Chi è che li sta ammaestrando e che cosa Egli vuole! Voi invece vi trovate tuttora nello splendido stato originario; la vostra scuola della vita impiega i veri mezzi ed ha inizio precisamente dal punto dovuto. Voi cominciate a formare l'uomo anzitutto là dove di preferenza deve venire formato, ed a tale sistema converrà che pure i bianchi facciano ritorno, poiché Io sto ora appunto indicandone loro la via.
4. Occorreranno ancora molte fatiche, molto lavoro e molto tempo prima che questi bianchi arrivino al punto dove adesso vi trovate voi. Essi sono gli smarriti, i pervertiti e i perduti che devono venire restituiti all'Ordine iniziale; sono essi gli ammalati, e perciò necessitano del medico che possa guarirli!
5. Io certo avrei potuto venire anche da voi che ora siete incomparabilmente migliori dei bianchi; sennonché voi non avete ancora mai avuto bisogno della Mia venuta. Ma adesso sono stato Io ad avere bisogno della vostra presenza qui quali testimoni del Mio Ordine originario, e perciò mediante la Mia Volontà ho influito su di voi ed ho indotto infine in voi addirittura l'ansia di recarvi qui, affinché questi bianchi possano vedere quello che l'uomo è e deve essere nel suo stato primordiale incorrotto!
6. Perciò voi adesso, ad ammaestramento di questi numerosi vostri fratelli ciechi e molto fuori dall'Ordine, fornirete alcune prove della genuina potenza della natura originaria umana in voi. Fra questi vostri fratelli ciechi, ce ne sono alcuni che si trovano molto vicini alla perfezione; tuttavia non c'è fra di loro nessuno che, come uomo, a tale riguardo sia tanto progredito quanto anche il più piccolo fra di voi! Siete disposti voi a fare ciò per amore Mio?»
7. Risponde Oubratouvishar: «Signore, Tu, il cui Amore, Bontà e Misericordia già ora colmano anche quegli spazi dell'infinito nei quali le nuove Creazioni che devono sorgere nelle eternità future con reverenza profondissima glorificheranno il Tuo Nome santissimo! Oh, che cosa mai potrebbe esservi che noi non volessimo fare con la massima dedizione alla Tua santa Volontà! Tutto, tutto noi siamo disposti a fare! O Signore, Tu non hai che da comandarci!»
8. Dico Io: «Allora mostrate anzitutto il vostro potere umano-originario sull'elemento dell'acqua, e camminate sulla sua superficie come su un terreno solido e asciutto, e fate vedere anche la destrezza con la quale potete muovervi sull'elemento liquido!»
9. Allora il capo della comitiva chiamò subito a raccolta una sessantina circa dei suoi nerissimi compagni e Mi domandò se ritenevo sufficiente il numero. Ed avendo Io risposto affermativamente, i sessanta, fra uomini e donne, si accostarono alla riva del mare, salirono sulla superficie dell'acqua e cominciarono a camminarvi sopra come prima avevano fatto sulla terraferma. Infine diedero un saggio della loro agilità nello scivolare, e compirono sulla superficie liquida, allora abbastanza tranquilla, alcune evoluzioni con tanta velocità che nessuna rondine, anche forzando al massimo il volo, sarebbe stata in grado di competere con loro. In pochi istanti essi arrivarono già a tale distanza che i nostri occhi non li potevano più scorgere, ma nel giro di pochi altri istanti furono di ritorno vicino alla riva facendo sibilare l'aria intorno come portati da un uragano.
10. A Cirenio si rizzarono addirittura i capelli sul capo quando vide i sessanta arrivare come lanciati da una catapulta fino alla spiaggia; essi però, giunti a 50 passi da terra, si fermarono improvvisamente; soltanto il capo rimise il piede sulla riva e, avvicinatosi a Me senza tradire alcuna stanchezza, Mi chiese se dovevano fare ancora qualche esercizio sull'acqua.
Il dominio dei mori sull'acqua.
1. (Dico Io:) «Ancora alcune poche cose che voi sapete fare, ad esempio mostrate che cosa fate sull'acqua quando soffiano i venti torridi del deserto e come fate a pescare!»
2. Il capo allora ritorna subito dai suoi sessanta compagni e manifesta loro il Mio desiderio, e tutti si prostrano immediatamente sulle loro facce sull'acqua, restando rigidamente in questa posizione per alcuni istanti; ben presto però cominciano ad agitarsi e, tutti distesi sull'acqua, ruotano molto rapidamente su se stessi sull’asse del corpo.
3. Questa operazione ha lo scopo di mantenere continuamente bagnata la pelle in ogni suo punto per non venire bruciati e arrostiti, o addirittura ridotti in cenere dal rovente KAMB'SIM (“Dove fuggo io?”), perché il KAMB’SIM - chiamato anche KAM BESHIM (“Dove fuggo io adesso?”) - è senza alcun dubbio di gran lunga il vento più torrido dei deserti della Nubia e dell'Abissinia. Il SAMUM (“per la pece” - cioè il vento che fa fondere la pece) è molto meno caldo del KAMB’SIM; meno caldo ancora è il GIROUKOU (il vento spirante da sud-est oltre i pascoli dai tempi più remoti) il quale era stato chiamato così a Menfi, perché proveniente dalla parte dei grandi pascoli chiamati GIRI situati ad una certa distanza dalla città appunto in questa direzione; ad ogni modo, per non parlare del KAMB’SIM, ambedue questi venti sono così caldi che, quando soffiano, la gente si rifugia in grotte e caverne umide.
4. Alle manovre che ora compiono sull'acqua essi ricorrono soltanto quando spira il KAMB’SIM; e se spira a lungo e aumenta in violenza, allora cominciano ad immergersi nell'acqua come fanno in questo momento; però essi non possono restare a lungo col corpo sott'acqua, dato che la potenza della loro sfera vitale, tanto interiore che esteriore, rende il peso specifico del loro corpo inferiore a quello dell'acqua.
5. Ma ecco che adesso si mettono a sedere sull'acqua, e in questa posizione essi ci faranno vedere come prendono il pesce. Vedete! Mediante la sola forza di volontà essi attraggono a loro da grande distanza i pesci; poi ne catturano con le mani quanti ne occorrono a loro deponendoli nei grembiuli che essi portano sempre legati ai fianchi e che per l'occasione tengono sollevati per i lembi, e infine, sempre seduti, ritornano rapidamente a riva con la loro provvista. Le loro vele e i remi sono costituiti unicamente dalla loro volontà; quando sull'acqua vogliono compiere un movimento più rapido, basta che essi in tutta la loro incrollabile fermezza di fede vogliano che così si compia, e tutto avviene così come essi vogliono.
6. Vedete, essi ormai hanno terminato la pesca, e saranno ben presto di ritorno qui a riva con la loro preda, standosene sempre così seduti sulla superficie dell'acqua e veloci come frecce. Ora partono, ma ecco che sono già qui, si alzano, scendono a terra e si dirigono verso di noi con il loro bottino.
7. Marco, dì ai tuoi figli che procurino subito dell'acqua per questi numerosi pesci pregiati, altrimenti essi deperiscono»
8. Quando i mori giungono con i grembiuli colmi di pesce vivo, Marco stesso li conduce all'apposita vasca dove essi gettano i pesci catturati in numero di cento abbondanti.
9. E il capo rivolge subito le seguenti parole ai bianchi e dice: «Voi, fratelli bianchi, ritenete che quello che abbiamo compiuto ora sia strano e che non sia mai successo prima d’ora? Sennonché per noi, uomini della natura molto semplici, quello che abbiamo appena compiuto sull’acqua davanti a voi è altrettanto naturale quanto lo è per voi il vedere, il sentire, l’odorare, il gustare e il percepire.
10. L’uomo dall’anima indurita e pervertita diventa sempre molto più pesante anche riguardo al corpo e assomiglia sempre più ad una pietra che non galleggia sull’acqua perché è più pesante della stessa. Noi invece siamo uguali al legno, i cui spiriti vitali interiori sono già molto più liberi di quelli, fortemente giudicati, di una qualsiasi pietra.
11. Ed ora fate attenzione! Fate venire qui un uomo che sia tutto cuore, nel cui petto dunque non dimori alcuna superbia, né ambizione, né egoismo, che egli si abbandoni fiducioso all'acqua, ed io vi garantisco che egli non affonderà! Ma ponete vicino a lui, sull’elemento liquido, un altro uomo che sia invece ambizioso e molto egoista, e vedrete che egli affonderà come una pietra! A meno che non sia proprio molto grasso, ciò che assai difficilmente è il caso qualora si tratti di un tipo marcatamente egoista. Data questa eventualità, il grasso diffuso in ogni parte del corpo lo terrebbe per qualche tempo a galla per circa due terzi del corpo, purché, si noti bene, ci si trovasse di fronte ad uno veramente obeso, ma, data invece una condizione fisica normale a questo riguardo, egli si inabisserà nell'acqua come una pietra.
12. Per questo motivo da noi l'acqua serve anche da buona prova della purezza interiore di un uomo. Chi non è più sorretto bene dall’acqua, dà a vedere che nel suo animo si è verificato qualche guasto, e l'elemento allora non gli sarà più tanto amico, né sarà più pronto a rendergli qualsiasi servizio che gli verrà richiesto. Ma come noi ci siamo ora messi sull'acqua visibilmente con assoluta disinvoltura, ed abbiamo altresì dimostrato che gli animali delle acque dai primordi del nostro essere sono soggetti alla nostra volontà, altrettanto è stato certamente il caso con i primi uomini della Terra. Per loro, fiumi, laghi e perfino il mare non erano affatto di impedimento a percorrere tutto il loro mondo; essi non avevano bisogno di navi né di ponti; voi invece venite spesso inghiottiti dalle acque assieme alle vostre navi e ai vostri ponti, e non c'è una mosca che obbedisca alla vostra volontà! Quanto lontani siete dunque voi dall'autentico genere umano!
13. Voi siete costretti a munirvi di ogni specie di armi per mettere in fuga l'uno o l'altro nemico; noi invece non ci siamo mai ancora serviti di armi. E finora per tagliare non abbiamo avuto altri strumenti all'infuori di quelli di osso, con l'aiuto dei quali abbiamo messo assieme, in maniera certo un po' faticosa, le nostre capanne e ci siamo confezionati le nostre vesti. Ma non perciò siamo andati mai nudi, né abbiamo mai mormorato per la fatica a cui dovevamo assoggettarci. Se otterremo da voi gli strumenti che sono più necessari, noi ce ne serviremo ispirandoci a tanto maggior amore per il nostro prossimo; però come armi tali strumenti non saranno mai adoperati da noi, voi potete esserne più che sicuri!
14. Ma ora fate voi pure una prova sull'acqua e mostrate fino a che punto siete diventati agili!».
15. Questo linguaggio diede certo in segreto un po' sui nervi ai romani, però essi mandarono giù l'ironia, facendo, come si suol dire, buon viso a cattivo gioco.
Il dominio dei mori sugli animali.
1. Il capo dei mori Mi domandò poi se avrebbero dovuto mostrare ai bianchi qualcos'altro di straordinario.
2. Ed Io dissi: «Ebbene, o Miei cari e vecchi amici! Guardate laggiù, a circa cinquemila passi da qui verso mezzogiorno c'è una collina il cui versante che dà verso il mare si presenta molto ripido. Essa è, tutta intera, un vero covo di serpenti velenosissimi e di vipere, e voi dovete cacciare via tutte quelle bestie; noi, quanti qui siamo, vi accompagneremo fino a lì!»
3. Dice il capo dei mori: «O Signore onnipotente! Se si tratta soltanto di cacciarle via, basta il Tuo più lieve pensiero e la collina sarà per tutti i tempi dei tempi sgombrata da ogni immondo animale, ma se invece si tratta anche in questo caso di provare con un esempio quanta forza si trovi celata nel vero stato naturale-primordiale umano, allora noi faremo anche questa come ogni altra cosa secondo la Tua Volontà supremamente santa»
4. Dico Io: «S'intende da sé che Io richieda una simile cosa da voi unicamente come esempio; andiamo dunque!»
5. Noi allora ci alzammo tutti, e ci incamminammo di buon passo verso la collina da noi prima menzionata, dove giungemmo nel giro di mezz'ora. Una volta arrivati, vedemmo che la collina, che aveva una discreta estensione, pullulava di rettili; nello stesso tempo ai nostri orecchi giunse un sibilo assordante ed un fischiare quasi insopportabile che rendeva quasi impossibile scambiare qualche parola. Tutte quelle molte migliaia di bestiacce si precipitarono in mare e si allontanarono come frecce nuotando sulla superficie, in modo che in pochi istanti la collina si trovò completamente ripulita!
6. Allora il capo dei mori Mi venne vicino e disse: «O Signore! Le bestie, dalle più adulte fino a quelle appena uscite dall'uovo, se ne sono andate tutte; però ce ne sono altrettante ancora dentro le uova, e chi potrà andarle a scovare fuori dalle molte buche e dai nidi scavati dentro al terreno? Infatti, se non si spazza via anche queste, nel giro di sei mesi la collina brulicherà di serpenti nuovamente come prima! E chi la purificherà poi?»
7. Dico Io: «Non avete nessun mezzo per distruggere anche queste?»
8. Risponde il capo: «All'infuori dell'ICH NEI MAON (“non ha veleno”) nessuno di noi conosce altro mezzo! Non resterebbe che un forte calore in tutta la collina finché, per via naturale, venissero distrutti nidi e uova assieme. Naturalmente, il mezzo più spiccio e migliore ancora sarebbe l'azione della Tua Volontà, oppure anche di quella del Tuo servitore. Noi intanto non avremmo alcun altro mezzo, dato che non possiamo fermarci qui per tenere permanentemente lontane quelle bestie per virtù della nostra sfera vitale esteriore»
9. Dico Io: «Non datevi pensiero di ciò! Voi avete già compiuto il vostro prodigio, e di più non chiedo da voi; il rimanente resta tutto affidato alle Mie cure. Ma dato che la collina è ormai liberata dai suoi micidiali abitanti, noi vi saliremo su, e voi fornirete ancora qualche prova della vostra abilità umana»
10. Dopo di che intraprendemmo la salita della collina che terminava in uno spiazzo capace di offrire posto ad almeno mille persone. Quando ci trovammo sulla vetta, che si elevava a circa un migliaio di piedi (circa 316 metri) al di sopra del livello del mare, si vide passare in volo a grande altezza, in una fila assai lunga, un numeroso stormo di gru.
11. Ed Io domandai al capo: «Amico, anche questa specie di uccelli vi è ancora soggetta?»
12. Risponde il capo dei mori: «Si tratta veramente di una specie per noi estranea e che non abbiamo ancora mai visto; ma non dubito minimamente che anche questi uccelli intenderanno il nostro volere e vi si adegueranno!»
13. Allora il capo si rivolse ai suoi compagni e disse: «Unite la vostra volontà alla mia, affinché sia adempiuta la Volontà del Signore!»
14. E non appena ebbe terminato le sue parole, già si videro le gru abbassarsi, e in pochi istanti si posarono sulla collina in mezzo ai mori, schivando invece la vicinanza dei bianchi. Subito dopo il capo fece cenno alle gru di lasciare la collina, ed esse si sollevarono immediatamente volandosene via.
15. Poi si vide apparire, alta nell'aria, una coppia di giganteschi avvoltoi che si misero a volteggiare sui nostri capi.
16. E il capo allora, rivoltosi ai bianchi, disse: «Adesso chiamate voi giù quella coppia di uccelli che gira nell'aria!»
17. E Cirenio gli osserva: «Ma quale scopo ha questo invito a noi rivolto che appare ispirato ad un po’ di orgoglio? Perché ormai è noto anche a te che noi siamo gente che ha perso molto della originaria potenza concessa all'uomo il quale non è più capace di compiere simili atti propri alla natura primordiale umana! Adempi dunque tu la Volontà del Signore; di tutto il resto avrà ben cura Egli stesso, e secondo la Sua Dottrina anche noi nei limiti del possibile!»
18. Dice il capo: «Tu credi che io abbia rivolto l'invito a voi bianchi di attirare giù i due avvoltoi, che volano ancora al di sopra dei nostri capi, forse mosso da un certo sentimento di superiorità? Oh, se tu pensi così, ti sbagli di grosso! Io invece vi ho rivolto questo invito, fratelli bianchi, per farvi presente con tanto maggior calore il vostro grave stato di decadenza di cui voi, personalmente, siete del resto poco o per niente responsabili; ora ciò non può essere di danno a nessuno di voi in nessun caso!
19. E come potremo gloriarci noi delle nostre qualità naturali? O accade forse a voi di gloriarvi talvolta della vostra vista o del vostro udito? Infatti se mai avvenisse che noi ci insuperbissimo a causa delle nostre caratteristiche che a voi appaiono prodigiose, noi non le possederemmo più già da molto tempo; ma poiché una cosa simile è per noi qualcosa di impossibile, succede che noi continuiamo ad essere in possesso di tali caratteristiche apparentemente miracolose, delle quali voi, bianchi, avrete ben presto una nuova conferma. Scendete giù, o voi due abitanti dell'aria!»
20. E non appena il capo dei mori ebbe espresso a voce alta questo comando, i due possenti avvoltoi si scagliarono giù come frecce e si posarono con tutta delicatezza e confidenza sul braccio destro del capo come fossero ammaestrati dal migliore domatore.
21. In quel momento passò volando una gazza, e il capo comandò ad uno degli avvoltoi di rincorrerla e di portargliela senza farne del male! Come una freccia il gigantesco avvoltoio si staccò dal braccio, inseguì la gazza che volava velocemente, e in pochi istanti la portò giù come perfettamente conscio dell'incarico avuto. L'avvoltoio teneva ben salda fra gli artigli poderosi la gazza che strillava disperatamente, ma questa non era affatto ferita, e l'avvoltoio non la lasciò libera che quando il capo dei mori ebbe afferrato la gazza; dopo di che egli accarezzò i due grossi uccelli rapaci e li congedò. Questi si sollevarono rapidissimamente molto alti nell'aria e ripresero il loro ampio volo in cerca di qualche grossa preda.
22. La gazza però venne offerta dal moro in dono a Cirenio a ricordo di questo fatto che era apparso molto meraviglioso tanto al governatore generale, quanto a tutti gli altri romani ed ebrei là presenti.
23. Cirenio affidò la gazza alle buone cure delle sue due figlie che erano pure lì vicino, e poi Mi disse: «Ma, o Signore, ha veramente del favoloso tutto ciò che questi mori sono capaci di fare, a meno che la Tua onnipotente Volontà non vi abbia avuto qualche piccola parte in segreto!»
24. Dico Io: «Te l'ho detto prima che Io li avrei lasciati fare ed agire del tutto con le loro sole forze! Perché dunque adesso ne dubiti? Oh, pazienta un po’ soltanto, ed Io li inviterò a fare ancora qualcosa in seguito alla quale ti sentirai colto addirittura da vertigine!».
Il dominio dei mori su piante ed elementi.
1. Allora Io chiamai nuovamente Oubratouvishar e gli dissi: «Mostrate adesso la familiarità che vi è propria con l'aria e con le sue forze! Infatti, originariamente all'uomo era stato donato un potere anche sugli spiriti dell'aria affinché questi fossero pronti al suo servizio ogni volta che lui ne avesse avuto bisogno. Fate dunque vedere fino a quale punto voi siete ancora in possesso di tale capacità primordiale della vita!»
2. Immediatamente il capo dei mori chiamò dieci fra i suoi più abili compagnie richiese loro che tenessero le mani ben tese e che si disponessero in cerchio intorno a lui in modo che il piede destro di ciascuno venisse a coprire perfettamente il piede sinistro del vicino. La cosa fu seguita all'istante, e il nostro moro nel mezzo cominciò a girare su se stesso, si sollevò da terra e si trovò completamente sospeso nell'aria all'altezza di più di tre braccia dal suolo.
3. Così sospeso egli Mi domandò se doveva sollevarsi di più ancora, o se la prova così fornita era sufficiente.
4. Ed Io gli risposi: «Di più non occorre, ritorna perciò a terra!»
5. Il gruppo dei dieci si sciolse subito, e il capo, posati i piedi a terra, fece un profondissimo inchino dinanzi a Me e Mi domandò se doveva esibirsi ancora.
6. Ed Io gli dissi: «Come sradicate voi gli alberi, e come spostate dei grandissimi massi di pietra?»
7. Dice il capo dei mori: «O Signore, nel nostro paese mancano gli alberi molto grandi e robusti; soltanto sulle montagne più alte si incontrano simili esemplari della vegetazione. Sui pascoli in altura, immuni dal soffio del Kamb’sim, si trova qua e là qualche vecchio albero di BOHAHANIA che serve solitamente da dimora alle scimmie; qua e là crescono pure non molto numerosi i cipressi, i mirti nonché qualche palma di datteri selvaggi e qualche carrubo. Ma ciò veramente costituisce anche tutta la vegetazione arborea del nostro paese.
8. Nella pianura e nelle località riparate dai venti non prospera che la palma nobile del dattero, il fico, l'OURAZINA (arancio) e la SEMENZA (melangolo, chiamato anche arancio amaro), ed inoltre varie specie importanti di arbusti che ci forniscono il materiale col quale costruiamo le nostre capanne.
9. Per sradicare questi non occorre davvero fare uno sforzo particolarmente straordinario; d'altro canto un esperimento di questa specie con alberi più robusti non abbiamo avuto occasione di farlo ancora, quantunque noi non abbiamo alcun dubbio che anche questi, come pure qualsiasi grosso blocco di pietra, dovrebbero sottomettersi alla nostra volontà. Qui su questo monte vedo che c'è un albero robustissimo di cui naturalmente non possiamo sapere il nome, né conoscere le eventuali altre proprietà; ad ogni modo noi faremo un tentativo per vedere se esso si lascerà estrarre o no fuori dal terreno facendo agire la nostra volontà!»
10. Esclama allora il vecchio Marco: «Oh, oh, qui mi permetto di fare in anticipo i miei complimenti! Si tratta di un vecchissimo cedro che deve avere almeno i suoi cinquecento anni! Sette uomini assieme sarebbero pochi per poterlo abbracciare tutto, e quattro legnaioli molto robusti ed esperti avrebbero un bel da fare per due giornate se volessero abbatterlo, ed ecco che adesso sei uomini e sette donne si accingono a sradicarlo senza adoperare né ascia, né zappa! Davvero, se il Signore non s'intromette forse di nascosto con la Sua onnipotente Volontà, la faccenda promette stavolta di farsi davvero molto strana!»
11. Dico allora Io: «Un po’ di pazienza soltanto, o Mio vecchio guerriero, anche questa volta Io non interverrò affatto con la Mia Volontà, eppure l'albero verrà strappato in breve tempo dal terreno con tutte le sue radici!»
12. Mentre Io rettificavo così l’opinione del vecchio Marco, i mori si disposero intorno all'albero poggiando lievemente le mani sul tronco in modo che la mano destra dell'uno veniva a sovrapporsi sempre sulla sinistra del proprio vicino o vicina che fosse. In questa posizione essi rimasero per circa un quarto d'ora tranquillamente intorno all'albero; dopo di che questo cominciò, da principio molto lentamente, a girarsi, facendo udire nello stesso tempo dei violenti scricchiolii. Allora un immenso stupore si impossessò di tutti i presenti, nessuno dei quali riusciva a spiegarsi nemmeno alla lontana un simile fenomeno.
13. Ma quando l'albero, assieme ai tredici mori che lo tenevano leggerissimamente abbracciato, cominciò a girare più velocemente, si poté osservare che esso, assieme all'ammasso di terra con le radici ed ai mori stessi, si girava già completamente nell'aria; allora molti, e principalmente le donne, cominciarono a gridare tutti spaventati, perché credevano che ormai l'albero si sarebbe rovesciato trascinando con sé e schiacciando più di uno dei mori.
14. Però Io dissi a quei timorosi: «Non abbiate alcuna paura; l'albero verrà fatto posare del tutto dolcemente a terra, e nessuno assolutamente ne riporterà alcun danno»
15. A queste Mie parole tutti si calmarono; in quello stesso istante i mori che tenevano abbracciato l'albero si staccarono, saltarono giù in fretta e di corsa ritornarono verso di noi. In quel momento l'albero, ancora sollevato nell'aria, cominciò a vacillare di qua e di là, si inchinò a seconda del proprio centro di gravità naturale e dopo qualche secondo si posò delicatamente sul terreno.
16. Quando l'albero fu sradicato in questo modo dalla terra, Io indicai ai mori ancora una rupe il cui peso era sicuramente cinquemila volte cento libbre (280 tonnellate), e dissi al capo: «Sollevate quel masso di pietra e collocatelo precisamente nella buca che si è formata in seguito alla rimozione dell'albero!»
17. Immediatamente quegli stessi mori si mossero ed abbracciarono la rupe nell'identico modo usato prima con l'albero; essa si trovò a librarsi nell'aria prima ancora dell'albero. Certamente, avendo il masso di pietra una circonferenza maggiore di quella dell'albero, si rese necessario il concorso di un numero maggiore di mori. Ad ogni modo ciascuno aveva la sensazione precisa che, per superare la gravità di quel masso di pietra, in condizioni normali anche lo sforzo di mille uomini fra i più robusti non sarebbe stato sufficiente.
18. Nel giro di sette-otto minuti invece la rupe apparve già solida come un muro dentro la buca destinata ad essa, ed i mori, ad operazione finita, si affrettarono a raggiungerci; il loro capo Mi chiese poi se Io desideravo altro da loro.
19. Io però Mi comportai come se riflettessi intensamente su qualcosa, ciò che non mancò di attirare immediatamente l'attenzione del capo dei mori, il quale così osservò: «Oh, certo si tratterà nuovamente di qualcosa di grandioso, dato che prendi consiglio con Te stesso! Infatti, in generale noi siamo stati sempre del parere che a un Dio deve essere dalle eternità supremamente chiaro tutto ciò che Egli intende fare!»
20. Ed Io dissi: «Oh, senza alcun dubbio, così è infatti! Però Io ho voluto soltanto concedervi un breve riposo, perché quello che vi chiederò ancora è una cosa che vi ripugna sempre tantissimo, e dopo le due prestazioni precedenti per le quali doveste sfruttare al massimo la potenza della vostra sfera vitale esteriore, avevate bisogno di un po’ di quiete. Ma ormai vi siete riposati abbastanza, e perciò ora ci mostrerete ancora come vi procurate il fuoco e qual è il vostro potere anche su questo elemento!»
21. Immediatamente tutti i mori presenti si collocarono l'uno accanto all'altro in semicerchio davanti ad un grosso cespuglio che però era già perfettamente secco già da molto tempo, e stesero le mani e le dita in direzione convergente verso quei rami disseccati. Dopo pochi istanti dal cespuglio cominciò ad innalzarsi del fumo che ben presto si fece più denso; di lì a poco si sentì un forte crepitio e vivide fiamme si videro levarsi all'improvviso. E quando tutto il cespuglio si trovò avvolto dalle fiamme, i mori si disposero intorno al fuoco in cerchio chiuso prostrati sulle loro facce, ed in un momento il fuoco si estinse in modo tale che in tutto il cespuglio, ormai già a metà consunto, non si sarebbe potuto trovare neanche una sola scintilla che ardesse.
22. Compiuto questo lavoro, i mori ritornarono e Mi domandarono se avevano sbrigato bene la mansione che avevo loro affidato. Ed io non potei che rendere di loro la migliore testimonianza a questo riguardo! Essi avrebbero voluto allora sentire subito da Me parole di ammaestramento; però Io feci comprendere loro di pazientare ancora qualche tempo, poiché avrei dovuto innanzitutto chiarire ai bianchi quei fatti a cui essi avevano assistito poco prima. I mori si adeguarono completamente a tale decisione, e tutti insieme facemmo ritorno alle nostre mense.
Il riconoscimento di se stesso da parte dell’uomo
1. Quando Io con i Miei discepoli, i romani ed i greci ebbi preso nuovamente posto alla Mia mensa consueta, il capo dei mori Mi venne vicino e Mi pregò di concedere, a lui e ad alcuni fra i suoi compagni, di assistere alle spiegazioni che avrei dato.
2. Ed Io gli dissi: «Non c'è alcuna difficoltà, anzi, è bene che voi d'ora in poi conosciate la vostra vita del tutto perfettamente. Voi vi trovate certo ancora nel pieno possesso della forza vitale umana dei tempi remoti, ed essendo uomini, siete, con Mia gioia, tuttora perfettamente signori dell'intera natura; tutto ciò ha la sua ragione nella vostra perfettissima fiducia, nella vostra incrollabile fede e nella vostra fermissima volontà. Sennonché questa vostra forza voi la conoscete così poco quanto poco qualcuno conosce la forza che mette in movimento le membra dell'uomo, che fa circolare il sangue dentro alle vene e che fa pulsare il cuore e induce i polmoni ad espirare ed inspirare l’aria secondo quanto è necessario per vivere e secondo la loro attività interiore relativa alla maggiore o minore quantità di calore prodotto nel sangue mediante la più o meno grande attività delle membra del corpo.
3. Queste sono esperienze quotidiane alla portata di chiunque, eppure nessuno le comprende perché nessuno conosce bene se stesso; quanto meno perciò verranno comprese le vostre straordinarie caratteristiche vitali che evidentemente derivano da forze celate in maniera più profonda di quelle che semplicemente si manifestano attive nell'organismo del vostro corpo!
4. Però, se vi spiegassi anche le più profonde di tali forze, tuttavia voi Mi comprendereste prima che non se Io vi chiarissi la composizione del corpo umano e il suo nesso con l'anima. Infatti non sarebbe affatto possibile spiegare qui queste cose, perché la molteplicità per voi quasi innumerevole degli svariatissimi organi richiederebbe più dell'età di Matusalemme, cioè circa un migliaio di anni già soltanto per elencare questi organi dal primo all'ultimo, per non parlare poi del farsi un'idea delle particolarità specifiche e degli scopi di ciascun organo, dei rapporti generali e dell’azione reciproca fra i vari organi nonché delle mille altre cose concernenti ogni singolo organo.
5. Due peli, ad esempio, dell'organismo umano stanno immediatamente vicini l'uno all'altro, e voi siete certo portati a credere che uno stesso ordinamento costituisca la norma per entrambi, e che per conseguenza essi continuerebbero a crescere anche se scambiati di posto. Ebbene, questo non funziona con i peli del corpo umano, come può invece funzionare nel caso del terreno dove si può procedere al trapianto di alberi, arbusti e di piante in generale. Un pelo cresce, con l'organismo del tutto proprio a sé, soltanto in quel posto dove è originariamente spuntato, mentre in qualsiasi altro posto non potrebbe prosperare, data la particolare disposizione dell'organismo della sua radice.
6. Nell'organismo fisico umano esistono una selettività improntata a suprema esattezza ed una varietà per voi appena credibile. Per vedere chiaro nella costruzione organica del corpo umano, per conoscere quanto di speciale riguarda ogni suo atomo più piccolo e per arrivare al fondo del “Così è e non altrimenti!”, bisogna prima essere perfetti nello spirito.
7. Quando l'anima è diventata una cosa sola con lo spirito, allora essa, resa a sua volta perfetta e colma di luce, contempla dall'interno all'esterno il proprio corpo, vede attraverso di questo, riconosce poi con un solo sguardo tutta l’intera geniale costruzione e disposizione artistica del proprio organismo fisico, si ricorda del motivo e della causa che presiedettero alla formazione di ogni singola, per quanto minuta, parte di un organo del proprio corpo e ne riconosce l'organizzazione supremamente opportuna ed efficace. Ma finché un'anima non abbia raggiunto la perfezione della propria vita, essa può affaticarsi mille e poi mille anni ancora senza poter arrivare mai a conoscere a fondo l'organismo del proprio corpo.
8. Però, del tutto diverse sono le cose riguardo alle capacità spirituali-pure di un'anima; queste sì che possono venire chiarite nelle loro linee generali, ed è anche necessario che l'anima possa riconoscerle prima e con maggiore facilità. Infatti, senza questa conoscenza pratica l'anima non potrebbe mai arrivare veramente a congiungersi col proprio spirito, e d'altro canto senza una tale congiunzione con lo spirito non è immaginabile una conoscenza più intima e profonda del proprio essere.
9. Fate dunque attenzione a come Io spiegherò dinanzi a voi, nella maniera più chiara possibile, la vita originaria, vera e conforme all'ordine dei primi esseri umani».
La sfera vitale esteriore dell’anima umana e la sfera di luce esteriore del Sole
1. (Il Signore:) «La prima coppia umana, com'è naturale, non poteva venire posta da Me su questa Terra non altrimenti se non perfetta secondo il vero e giusto ordine della vita. La vita dell'animo dovette dunque fare la sua comparsa su questo mondo in uno stato già perfetto di formazione per non diventare, in breve tempo, preda delle mille volte mille altre creature ed elementi nemici!
2. La somiglianza vera e propria dell'essere col Mio Essere divino primordiale era già compiuta nella prima coppia umana e perciò poteva esercitare con efficacia assoluta la signoria sulla totalità delle creature. Ma come viene ottenuto un tale effetto? Udite!
3. L'anima, che è perfetta nell’animo, è certo personalmente presente anche nella perfetta forma umana nel corpo; però, il suo sentire, il percepire e il volere si irradiano da lei ed agiscono, come i raggi di luce dal Sole, in tutte le direzioni possibili parecchio oltre il corpo. Dunque, quanto più il costante efflusso del pensare, sentire e volere è vicino all’anima, tanto più esso è intenso ed efficace.
4. La sfera luminosa esteriore del Sole, entro la quale si trovano questa Terra, la Luna ed una quantità ancora grande di altri corpi celesti di ogni specie, costituisce in un certo qual modo la sfera vitale esteriore del Sole, mediante la quale tutto ciò che si trova nel suo ambito viene destato a una determinata vita naturale. Tutto, in questo ambito, deve più o meno adeguarsi all'ordine del Sole e, sotto questo aspetto, il Sole poi appare in funzione di legislatore e dominatore di tutti gli altri corpi mondiali in qualsiasi luogo essi si trovano entro la cerchia della sua irradiazione luminosa.
5. Certamente, del Sole non si può dire che esso pensi e voglia; tuttavia la sua luce è un grandissimo pensiero, e il calore della luce è una ben ferma volontà, ma ciò non da parte del Sole, ma si irradia da Me ed agisce mediante l'essere organico del corpo solare.
6. Quanto più vicino al Sole si trova un corpo celeste, tanto più anch’esso deve percepire in sé, agente e determinante, la forza suscitatrice di vita della sfera vitale esteriore del Sole, e deve adeguarsi a tutto ciò che la luce e il calore solare vogliono generare in esso e su di esso.
7. Ora, come il Sole agisce sui corpi mondiali suscitando opere meravigliose per mezzo della sua sola sfera vitale esteriore, così pure agisce meravigliosamente un'anima incorrotta che ha conservato la sua perfezione originaria e che è quindi colma di vita, e con ciò di amore, di fede e di forza di volontà.
8. Una simile anima è tutta luce e calore, i quali si irradiano lontano tutto intorno all'essere, e questa irradiazione forma poi continuamente la possente sfera vitale esteriore dell'anima stessa. Ma come nella sfera vitale esteriore del Sole si esprime la Mia Volontà meravigliosamente operante, né vi esiste forza capace di resisterle, così pure si esprime la volontà di un’anima perfetta ed incorrotta agendo in modo meraviglioso, poiché essa - essendo nel Mio Ordine - è anche la Mia Volontà.
9. Se Io permettessi che il Sole si logorasse del tutto, che il disordine fosse portato nel suo grandioso organismo e meccanismo creati con tanta arte e sapienza e che la sua immensa anima naturale di tutte le anime naturali, angosciata e intristita, non avesse altro di cui preoccuparsi o da fare che rimettere ordine nel proprio organismo materiale ridotto in frammenti, oppure, nel peggiore dei casi, lo abbandonassi definitivamente e lasciassi che tali grandi frammenti andassero incontro alla propria dissoluzione, come andrebbe poi con la sua sfera vitale esteriore che tutto vivifica là dove giunge? Certo, allora in tutto il sistema-planetario dominato dal Sole subentrerebbe il massimo disordine e ogni vita vegetale ed animale si spegnerebbe in breve tempo.
10. Per quanto l'umanità riuscisse a campare per qualche tempo ancora con ogni specie di riserve di provviste accumulate, per quanto ancora per un certo tempo essa potesse vincere in parte la tenebra perpetua usando lampade e fiaccole e procurarsi qualche calore col legno dei boschi ancora esistenti sulla Terra, tuttavia ciò, anche per la gente con più provviste di questa Terra, potrebbe durare nel caso più favorevole, con la più grande economia, dieci anni al massimo, dopo di che ogni vita vegetale e animale avrebbe fine sulla Terra. Nessuna pianta crescerebbe più, né produrrebbe più seme vivente, gli animali non troverebbero più alcun nutrimento e dovrebbero perire consunti dalla fame e irrigiditi dal freddo. La Terra stessa devierebbe dalla propria orbita e finirebbe poi con il cozzare contro qualche altro pianeta, oppure dopo molte migliaia di anni giungerebbe nella sfera di luce di un altro degli innumerevoli soli per ridestarsi nuovamente nella sua luce e nel suo calore e per ricominciare gradatamente e lentamente in qualche modo una vita in un ordine mutato, vita che però non potrebbe mai più uguagliare quella sua attuale felicissima e perfettamente ordinata!
11. Tutto ciò sarebbe un effetto e una conseguenza se nel Sole venisse provocato un grande o addirittura grandissimo disordine; il Sole non sarebbe più il signore e il dominatore dei molti altri corpi mondiali che orbitano intorno a lui; questi, come detto, verrebbero essi stessi gettati ben presto nel più orrendo scompiglio, manifestando in loro una natura nemica verso il corpo centrale; in primo luogo con la loro violenta caduta, ciò che il Sole non potrebbe mai impedire, o almeno moderarla, considerato che esso verso l'esterno non possederebbe più nessuna forza vitale esteriore agente da poter opporre alla forza di gravità dei pianeti che si scatenerebbe.
12. Ma che già un eventuale scompiglio locale e soltanto di breve durata, che si verifica inevitabilmente in qualche punto della sua superficie immensa, dunque semplicemente sull'epidermide esteriorissima del Sole, si ripercuota immediatamente con effetto disastroso sui pianeti, ciò è dimostrato dalle macchie solari scure di cui non di rado avrete potuto constatare la presenza al momento del sorgere e del tramontare dell'astro del giorno. Quando scorgete una simile macchia, sia pure grande quanto un punto solo, potete essere certi che anche questo piccolo disordine si esprimerà ben presto sulla Terra sotto forma di uragani o in generale di maltempo.
13. Ma perché accade questo se il Sole è situato tanto lontano dalla Terra che una freccia, lanciata da qui con la massima forza, impiegherebbe quasi interi cinquant'anni per arrivarvi? Che influenza può esercitare sulla Terra pulsante di vita un fenomeno che si manifesta a tanta distanza sul corpo solare?
14. Oh, sicuramente, quello che avviene immediatamente sul corpo solare non dovrebbe avere alcuna ripercussione sulla Terra; sennonché la macchia scura sul Sole non è tanto piccola quanto appare vista da questo pianeta; nella realtà essa è invece parecchie migliaia di volte più estesa di quanto lo sia l'intera superficie terrestre. Questo fenomeno provoca poi una notevole diminuzione di luce e di calore per gli spiriti vitali della Terra estremamente sensibili, i quali, per tale ragione, vengono a trovarsi in uno stato di angoscia e sono trascinati ad una attività eccessiva, ed allora terribili tempeste, annuvolamenti, pioggia, grandine e neve, talvolta perfino nelle zone torride della Terra, sono le conseguenze di un simile minimissimo scompiglio nella sfera vitale esteriore del Sole la quale giunge molto più lontano ancora nell'ampio spazio della Creazione oltre a questo nostro pianeta. Questo scompiglio deve ripercuotersi altrettanto svantaggiosamente su tutti i corpi mondiali che si trovano entro la sfera vitale esteriore del Sole, quanto normalmente l’indisturbato ordine di luce e di calore del Sole si ripercuote in maniera vantaggiosa sui corpi mondiali appartenenti al sistema solare tramite la sua sfera vitale esteriore».
Dell'influenza che il carattere umano esercita sugli animali domestici.
1. (Il Signore:) «Immaginatevi ora un'anima umana, nel suo stato di purezza originaria, quale un vero Sole fra tutte le creature, esse pure in varia maniera animate e provviste di vita, le quali devono tutte assoggettarsi all'anima umana, dato che esse, dalla sua sfera vitale esteriore, ammesso che questa si trovi in ordine perfetto come l'anima stessa, traggono luce e calore spirituali di vita per la progressione vegetativa della propria sfera vitale animica in ulteriore ascesa verso regioni più perfette, e con ciò si fanno miti, pazienti ed obbedienti. Infatti, alle anime delle piante e degli animali è posta una meta che voi certo ignorate ancora, e che è quella del diventare esse stesse un giorno anime umane.
2. Le piante e più ancora gli animali, secondo i piani della Mia Sapienza e della Mia Avvedutezza, non sono altro che dei vasi ricettori che precedono quello della forma umana e sono opportunamente ideati con lo scopo di raccogliere e successivamente di plasmare e consolidare quella che - potete dire - è la forza vitale animica naturale universale che si trova nello spazio sconfinato della Creazione, dalla quale provengono pure le vostre anime, siano esse state originariamente estratte da questa Terra oppure da un qualsiasi altro mondo, ciò che è quasi indifferente. Ora, le anime degli animali percepiscono le irradiazioni di un'anima umana che vive nell’ordine, nonché la sfera vitale esteriore di luce e di calore, la quale, attraverso le irradiazioni, viene a formarsi intorno all'essere.
3. Entro questa perfetta sfera vitale esteriore gli animali prosperano come i pianeti entro la sfera della luce e del calore solare, e non vi è anima di animale che possa insorgere contro la volontà di un'anima umana perfetta, anzi essa si muove modestamente intorno a questa come un pianeta intorno al Sole, ed in una simile luce e nel conseguente calore spirituale si forma in maniera eccellente per un ulteriore passaggio ad un gradino superiore della vita.
4. Per avere una visione più concreta della cosa, basterà che noi consideriamo con un po' di maggiore attenzione alcuni fra gli animali domestici nei loro rapporti col loro padrone. Udite! Rechiamoci da un padrone superbo e duro di cuore, ed osserviamo in spirito come ci si presentano tutti i suoi animali domestici. I suoi cani sono di natura più feroce e selvaggia di quella dei lupi dei boschi; i suoi buoi sono paurosi e spesso essi pure pericolosamente selvaggi così da incutere spavento; le sue pecore e le sue capre fuggono la presenza di qualsiasi essere umano e difficilmente si lasciano avvicinare. L'attraversare il terreno dove grufolano i maiali, che egli alleva per ricavarne il grasso, non è un’impresa per niente consigliabile, perché si corre il rischio di venire mortalmente assaliti da quegli animali completamente rinselvatichiti; anche il pollame è quanto mai pauroso e non si lascia facilmente avvicinare. Non c'è neppure da fidarsi eccessivamente dei suoi asini, cavalli, cammelli e buoi da tiro, perché in tali condizioni ci si può aspettare che ci sia pochissimo spazio per un allevamento razionale. Soltanto a forza di continue urla selvagge e bestemmie e bastonate e spinte e pungolandoli si può indurre questi animali ad adeguarsi ai lavori da tiro a cui sono destinati, ed allora il più delle volte succede qualche disgrazia!
5. Ora si domanderà: “Perché gli animali domestici di questo nostro superbo e duro padrone sono così rozzi, selvaggi e intrattabili?”. Ecco: “L'anima del padrone costituisce per essi un sole della vita in stato di assoluto disordine!”. I suoi servitori finiscono col diventare come il loro signore, vale a dire che non divengono assolutamente dei soli della vita per le anime fattesi di gelo degli animali affidati alla loro cura e alla loro guida! Ciascuno urla, bestemmia e percuote come e quanto più può! Ma, allora, come potrebbero gli animali di un simile padrone trovarsi in quella benefica disposizione d'animo della quale fosse legittimo dire che è conforme all'ordine?
6. Ma adesso andiamo invece a far visita ad un padrone di quelli del vero stampo antico e patriarcale, buono e ricco di molte e numerose greggi, e vediamo di che natura sono i suoi animali domestici. Che differenza quasi incredibile! Né buoi, né pecore abbandonano il loro buon pastore: basta una sua semplice chiamata e tutti gli animali in gran fretta corrono vicino a lui, gli si fanno intorno e, con visibile attenzione, stanno davvero in ascolto per sentire se egli dirà qualcosa; e se effettivamente egli dice qualcosa, immediatamente essi obbediscono e si adeguano meravigliosamente alla volontà del buon pastore, alla cui luce dell'anima si sono nuovamente ristorati.
7. Il cammello comprende il più lieve cenno del suo buon guidatore, e pure il focoso cavallo lo fa quando il suo padrone gli monta in groppa. In breve, tutti gli animali domestici di un padrone mite e buono sono a loro volta miti, docili e obbedienti alla voce del loro custode e signore, e in tutti questi animali si può constatare una certa mansuetudine nella stessa maniera come si può riconoscere, al primo guardo, che alberi nobili producono nobile frutta; infatti tanto il tronco che i rami e le foglie appaiono dolcemente arrotondate, lisce e prive di punte e di spine, e i frutti hanno un gradevole sapore.
8. Ma la ragione di tutto ciò va, come detto, attribuita ad una o più anime incorrotte, fuori dalla cui pura essenzialità si diffonde esteriormente una sfera animica luminosa, la quale contiene tutto ciò che l'anima stessa comprende in fatto di elementi vitali, come l’amore, la fede, la fiducia, il riconoscimento, la volontà e la buona riuscita».
I vantaggi della giusta educazione dell'anima.
1. (Il Signore:) «Ma se l'anima dell'uomo è sepolta sotto ogni specie di preoccupazioni mondane e materiali o comincia a seppellirvisi, allora essa turba il proprio essere luminoso, tutto infine si fa oscurità e tenebra intorno a lei, quasi non esiste più nessuna provvista di possente amore, e quella piccolissima che ancora c'è, basta a mala pena per il proprio essere; poi, come conseguenza, sorge l'egoismo il quale non può dare più niente a nessuno. Ma là dove l'amore è ridotto in proporzioni così minime, come può manifestarsi una fede possente ed una volontà, dato che la fede è evidentemente la luce [proveniente] dalla fiamma dell'amore e la volontà è la forza ovunque agente della luce?
2. Ora, se simili individui scarsi d'amore cominciassero una buona volta, sia pure avvertendolo confusamente, ad accorgersi che a causa della debolezza del loro amore niente riesce a loro, e che la maggior parte dei piani da loro concepiti viene vanificata - e la colpa di questo va attribuita a loro stessi perché nessun effetto è da sperarsi laddove manca la forza necessaria -, allora si potrebbe certo ancora venire loro in aiuto, purché in loro non sorgessero l'ira e il rancore contro quella qualunque cosa che ad altri invece riesce.
3. L'ira, però, è essa pure un chiarore, quantunque della specie nociva. In questo barlume infernale, essi poi scorgono ben presto la possibilità di arrivare ad uno stato di benessere ricorrendo a mezzi fondati sull'inganno. Essi mettono anche in opera tali mezzi, ma per lo più non riescono nel loro intento appunto perché i mezzi sono ingannevoli. Sennonché la ripetuta mancata riuscita a loro non serve affatto di insegnamento, anzi si inaspriscono e si adirano di più ancora; essi diventano superbi e colmi di orgoglio, ricorrono alla violenza e la mettono in atto. Un’eventuale riuscita li rende arditi, allora divengono crudeli e cercano di spazzare via tutto quello che a loro appare di impedimento al raggiungimento della presunta felicità alla quale aspirano! In questo modo, impiegando mezzi esclusivamente cattivi, essi talvolta giungono ad un alto grado di benessere, e riconoscono per giusta e vera soltanto quella via seguendo la quale essi stessi, arrampicandosi, sono arrivati alla felicità.
4. Quando poi a questa specie di uomini nascono dei figli, è impossibile che questi vengano altrimenti allevati ed educati se non facendo emergere ai loro occhi l'opportunità di quei mezzi, ricorrendo ai quali i loro stessi genitori si sono innalzati fino alla felicità del mondo, cioè mediante l'uso di ogni specie di accortezza mondana; essi poi fanno impartire a questi figli ogni tipo di istruzione, tutto però per il mondo! E alla educazione dell'anima, che dovrebbe venir presa in considerazione prima di tutto, non pensano affatto, e neanche può capitare che ci pensino, considerato che tanto i genitori quanto i maestri ed educatori, che per avidità di lucro tengono ad ingraziarseli, non hanno più alcun concetto dell'animo di un'anima.
5. Ogni mezzo viene impegnato alla formazione di un intelletto il più possibile acuto, ed a ciò il fanciullo viene spronato mediante ogni tipo di doni e distinzioni; già nei suoi teneri anni egli viene fatto tenacemente esercitare nell'amore di se stesso e nella brama del guadagno, porta vesti finissime e adorne e, giunto a mala pena al decimo anno di età, è già tutto colmo di orgoglio. Guai ad un altro povero fanciullo od anche a qualsiasi altro misero che omettesse di tributare l'ambito onore ad un simile giovinetto guasto nell'anima, o che osasse addirittura schernirlo, perché così facendo si creerebbe in lui un perpetuo nemico.
6. Ma avendo a che fare con degli esseri di tale specie, com'è possibile pensare a quella forza vitale interiore simile alla Mia? Dove se ne va la signoria dell'uomo sopra tutta la natura e sugli elementi dai quali è in fondo costituito, come anche lo deve essere, tutto il Creato?
7. Ma se invece nell'uomo viene anzitutto e prima di ogni altra cosa educato l’animo, e solo dopo vi si aggiunge l'educazione efficace dell'intelletto, ottenibile allora con molta facilità, in questo caso l'intelletto così destato diventa come un etere luminoso vivente che circonda l'anima nella stessa maniera come l'etere luminoso circonda il Sole, etere fuori dal quale hanno origine tutte quelle meravigliose energie che voi vedete agire dappertutto in maniera vivificante su questa Terra.
8. Data una simile giusta educazione dell'anima umana, l'anima è e resta [un’entità] interiore ed attiva, mentre ciò che voi chiamate "intelletto" è l'effetto sgorgante dall'attività interiore dell'anima. La luce esteriore dell'intelletto chiarisce all'anima tutte le condizioni esteriori, per quanto critiche, e la volontà dell'anima trapassa poi in questa luce esteriore e agisce meravigliosamente ovunque si tratti di fecondare e di far prosperare. Infatti, stabilitosi così l'ordine dell'uomo conformemente al Mio Ordine, anche la sua volontà e la sua fiducia rappresentano esse pure qualcosa che scaturisce da Me o dalla Mia onnipotente Volontà, alla quale senza alcun dubbio deve adeguarsi ogni creatura. Quello che poi un essere umano così ordinato vuole, deve anche accadere entro un ampio raggio, perché la sfera vitale esteriore di un tale uomo viene veramente compenetrata dal Mio Spirito, al quale sono possibili tutte le cose!
9. E non appena un tale essere umano viene assolutamente e completamente rigenerato dal suo spirito, ovvero [rinasce] fuori dal suo spirito, allora egli è del tutto pari a Me, e nella sua piena libertà di vita può volere di per sé qualsiasi cosa che a lui piaccia conformemente al Mio Ordine con cui lui è diventato una cosa sola e, secondo il suo libero volere, così deve essere e così deve anche accadere. In un simile stato della vita, perfetto perché completamente simile al Mio, l'uomo allora non è soltanto signore delle creature e degli elementi locali di questa Terra, ma la sua signoria si estende, ugualmente come la Mia, su tutta la Creazione nello spazio senza confini, e la sua volontà può dettare leggi agli innumerevoli mondi e le sue leggi saranno anche osservate. Infatti la sua vista trasfigurata compenetra tutto come la Mia, e il suo riconoscimento chiarissimo vede dappertutto le necessità in ogni Creazione; in base a ciò egli può ordinare, creare e soccorrere come, dove e quando mai possa esservene il bisogno, dato che egli è certo in tutto una cosa sola con Me!».
Il potere di un’anima perfetta.
1. (Il Signore:) «Questo grado della suprema perfezione della vita non fu certamente possibile raggiungerlo per nessuno prima della Mia incarnazione su questo mondo. Però ora Io sono venuto sulla Terra per innalzarvi a figli Miei mediante la rinascita dello spirito dentro le vostre anime. Dunque, quando adesso parlo di un'anima perfetta, ciò vale unicamente per l'anima nella quale il Mio Spirito è certo già attivo, ma che tuttavia non è ancora completamente una cosa sola con Esso.
2. Un'anima così perfetta è quindi, per le ragioni esposte prima, non solo in grado di operare prodigi quale signora sopra ogni creatura, ma è in grado di avere anche delle visioni nelle sfere puramente spirituali attraverso l'azione dello spirito, che in alcuni momenti si desta maggiormente in lei, e può percepire la Parola dello Spirito di Dio come fu il caso di tutti i veggenti e profeti. Essi, accanto al dono della veggenza e della profezia fuori dal Mio Spirito, avevano sempre immanente in loro un certo potere sugli elementi e su tutte le creature, potere che non poteva non apparire miracoloso agli occhi di ogni essere umano naturale.
3. Mosè operò prodigi, suo fratello Aronne pure, e così Giosuè e più tardi Elia nonché, dopo di lui, un gran numero di profeti e veggenti.
4. Un profeta di nome Daniele (“il figlio del giorno o della luce”) a Babilonia, come punizione per una ammonizione che lui aveva rivolto ad un re crudele, venne fatto gettare in una fossa dove c’erano dodici leoni affamati ai quali sarebbe toccato il compito di fare da carnefici. Per lunghi anni questi leoni erano stati nutriti in questo modo, cioè con la carne di ogni specie di sciagurati delinquenti. E così avvenne che il re, fortemente adirato per le aspre parole ammonitrici rivoltegli, fece gettare senza grazia né pietà anche Daniele nella fossa della morte inevitabile, quantunque gli volesse molto bene a causa della sua grande sapienza.
5. Sennonché l'anima perfetta di Daniele era dominatrice anche dei leoni affamati; e quando venne afferrato e gettato nella fossa dagli sgherri, non soltanto i leoni non gli fecero niente di male, ma si accovacciarono intorno a lui con indizi visibili di profondo rispetto, poiché lo percepivano come il loro naturale signore e padrone. Daniele, ben sapendo in quali condizioni si trovava fra i leoni, chiese ai suoi discepoli delle tavolette per scrivere, e su queste continuò per tre giorni ad annotare la profezia, e tutto ciò avvenne in modo perfettamente incolume nella fossa della morte e in compagnia dei dodici leoni. Quando la cosa fu riferita al re, egli si afflisse molto di aver trattato Daniele in tale maniera, ordinò poi che nella fossa venisse calata una grande cesta e lo fece tirare fuori restituendogli la libertà.
6. Ugualmente in quello stesso periodo di tempo ci furono tre giovinetti i quali non volevano piegare le loro ginocchia dinanzi a Baal; per tale motivo quello stolto re si infuriò talmente che fece accendere per tre giorni interi una fornace da calce nella quale avrebbero dovuto venire gettati i tre giovani qualora avessero voluto resistere più a lungo all'ordine del re. I giovani però, che erano perfetti nelle loro anime, persistettero nella loro decisione ben fondata, e non manifestarono alcun timore davanti alla fornace rovente. I tre giorni trascorsero, ed allora i giovanetti, dietro comando del re infuriato, vennero afferrati dagli sgherri e gettati nell'ampia voragine del fuoco. Sennonché nemmeno un capello del loro capo ebbe a soffrire per l'azione del fuoco, mentre invece nessuno degli sgherri, investiti dall'intenso calore, poté sfuggire alla morte, e rimasero tutti carbonizzati!
7. Ebbene, che cosa fu a proteggere i tre giovani contro il calore possente della fornace? Fu la loro anima perfetta che si trovava nel Mio Ordine originario! Infine giunse un angelo il quale li condusse del tutto incolumi fuori da quello spaventoso calore al quale nessun altro sarebbe potuto avvicinarsi neanche a trenta passi di distanza senza pericolo di venire ridotto in cenere!
8. Questi sono tutti esempi della mirabile forza e potenza di un'anima perfetta!».
L’azione della luce solare. La disposizione dell’occhio umano. La vista dell’anima.
1. (Il Signore:) «Questi mori hanno fornito qui ancora una volta le prove più evidenti che è così, né altrimenti è né può essere, e il Sole fornisce giornalmente in ciascuna pianta e in ciascun animale la prova ancora molto più lampante di quale forza ed effetto si trovi nella sua ampia sfera vitale esterna.
2. Tutto ciò, all’uomo dell’intelletto e del mondo, educato al rovescio, deve apparire assolutamente come una diceria, ed egli non vi vede che il poema di una fantasia esaltata, il quale gli appare tutto come una pura e semplice sciocchezza. Per le sue conoscenze, queste sono tutte delle pure e semplici sciocchezze, la cui realizzazione gli sembra impossibile da realizzare, poiché a lui evidentemente non è possibile compiere qualcosa di simile, come anche per motivi molto saggi e necessari non deve essere possibile. Infatti, chi mai potrebbe compiere un lavoro manuale senza mani, o chi potrebbe camminare senza piedi?
3. Se il Sole fosse un ammasso completamente tenebroso - cosa che, malgrado la sua grandezza, esso potrebbe essere altrettanto quanto lo è una nera pietra calcarea - non sarebbe possibile che provocasse una vita naturale sui mondi. Sennonché la sua disposizione organica interna, grandiosa e certamente ancora inconcepibile per la vostra comprensione, è organizzata e costituita in modo che fuori dalle sue viscere interiori deve continuamente svilupparsi una quantità enorme di sottili tipi d’aria (gas). In questo modo l’immenso corpo solare, in primo luogo, viene obbligato a ruotare sul proprio asse, la cui rotazione porta poi in un costante attrito la grande atmosfera del Sole con l’etere (aria primordiale) che grava su di essa. In secondo luogo, attraverso l’attrito viene costantemente eccitata di nuovo l’attività degli innumerevoli spiriti naturali che riposano entro la grande atmosfera solare, attività che si comunica agli spiriti naturali che riposano nell’etere in maniera tale che questi ultimi, che sono eccitabili con estrema facilità, vengono co-eccitati [diffondendo l’eccitazione] lontano dal Sole, in linea retta, ad una distanza maggiore di duecentomila Feldweges[13] in ogni battito di ciglia[14], e in ciascun successivo istante ad una distanza altrettanto grande, e così in ogni istante (che equivale ad un secondo) si continua avanti ed avanti ancora fino ad una distanza per voi incommensurabile dal Sole.
4. Mediante questa co-eccitazione degli spiriti naturali primordiali nell’incommensurabile spazio della Creazione, la luce originaria del Sole si comunica ai corpi terrestri nel modo che Io vi ho già spiegato a sufficienza, ovvero ai pianeti che, nella loro cerchia, orbitano intorno al Sole stesso, ed essa provoca nelle atmosfere più piccole dei pianeti una simile eccitazione di quegli spiriti naturali che sono già sulla via per diventare più densi nelle atmosfere. Infatti, se voi cominciate a sfregare due pietre l’una contro l’altra, l’attrito sarà sicuramente più forte che non se cominciate a sfregare due piume l’una contro l’altra; ecco perché anche nelle valli profonde della Terra fa sempre più chiaro e più caldo che non sulle vette più alte dei monti della Terra.
5. Però qualche acuto calcolatore fra di voi adesso penserà: “Ma se questo è il motivo per cui la luce del Sole ed ogni altra luce si propagano, allora la luce deve essere uniforme dappertutto, e in questo caso non deve essere possibile vedere l’immagine del Sole come qualcosa di distinto e di molto più intensamente luminoso di tutto il resto del firmamento immerso nella luce!”
6. Sì, vi dico Io, questo sarebbe immancabilmente il caso se Io non avessi fatto l’occhio in modo tale che tutta la luce e la luce di ritorno di tutto ciò che è illuminato, faccia giungere i raggi dei contorni – cioè quelli maggiormente eccitati per una certa reazione, come linee che si intersecano con un certo angolo – attraverso una piccolissima apertura, alla retina estremamente sensibile, e da questa al nervo ottico ancora più sensibile.
7. Mediante questa disposizione, tutte le altre emanazioni luminose eccitate solo semplicemente, vengono eliminate, e solamente i raggi principali dei contorni arrivano rifratti alla retina estremamente sensibile, e da questa al nervo ottico per mezzo del quale poi, l’immagine, mediante gli appositi organi, viene impressa sulle tavolette del cervello in una maniera corrispondente all’immagine, o con segni corrispondenti, e viene raffigurata all’anima affinché questa la veda.
8. Se l’occhio non fosse costruito così, voi certo non vedreste nessun Sole isolato a sé come immagine luminosa, ma tutto sarebbe un uniforme mare di luce simile a quello che diversi uomini in stato d’estasi hanno visto spiritualmente, nel quale essi, nell’ambito della luce universale, non potevano distinguere come un essere nemmeno il loro “io”.
9. Un sapiente greco-egiziano, Platone, rende testimonianza di ciò nei suoi scritti tramandati, e con lui vari altri sapienti dei tempi antichi. Essi si addormentavano e si trovavano entro un mare di luce nel quale potevano certo pensarsi, ma non potevano vedersi, e perciò avevano anche il sentimento sempre delizioso di essere perfettamente una cosa sola con la luce primordiale che essi chiamavano la Divinità vera e propria.
10. La ragione di ciò andava ricercata nella vista dell’anima non ancora completamente sistemata, ed essa non era completamente sistemata perché la sua primitiva educazione, benché rigida, era tuttavia al rovescio; infatti, quando alla formazione dell’animo si fa precedere quella dell’intelletto, ne risulta una formazione al rovescio».
Della rinascita e della giusta educazione dell’uomo.
1. (Il Signore:) «Che frutti potrebbe portare un albero se in questo non si manifestassero tutti i fenomeni che sono chiamati a precedere la comparsa del primo frutto e che deliziano l'animo? Che figura farebbe un autunno al posto della primavera oppure una primavera al posto dell'autunno, al quale è solito seguire il freddo e rigido inverno? Il gelo invernale non guasterebbe la fioritura che tanto rallegra l'anima, e non ucciderebbe la foglia, che irradia speranza, assieme al frutto stesso che solo dal fiore ottiene la benedizione e la vitalità necessarie alla sua esistenza? Con una tale sistemazione al rovescio si accrescerebbe bensì il legno dell'albero, ma nessuno di voi arriverebbe mai a vedere maturare su di esso un frutto!
2. Ma precisamente così avviene dell'uomo e più in particolare ancora della sua anima! Tutto si riduce a rozza materia, dalla quale non si ricava altro frutto se non quello che il legno viene fatto a pezzi e gettato nel fuoco del giudizio, per trarre profitto forse dalle ceneri che rimangono per concimare e purificare qualche cattivo e magro terreno (le conoscenze materiali dell'agricoltura).
3. Chi dunque comincia a destare e ad educare i propri figli a partire dall'intelletto, è come uno che cominciasse a fabbricare una casa cominciando dal tetto o che volesse versare dell'acqua in un vaso forato in più punti: il vaso certamente resterà umido fino a quando colui che attinge si sobbarcherà una simile dura fatica; ma nel vaso non resterà mai una goccia d'acqua viva, e sarà la fine per tutti i tempi delle meravigliose manifestazioni della vita dell'anima, a meno che non si volesse assoggettarsi al lavoro indicibilmente penoso di otturare in modo minuzioso il vaso bucato, perché allora è certo che esso potrebbe ancora contenere in sé dell'acqua. Ma con quanta facilità marcisce poi un tappo non troppo buono e non solidamente fissato nel vaso! Per tale motivo, dunque, può succedere che col tempo il vaso si trovi nuovamente del tutto vuoto dell’acqua della vita!
4. Ora questa cosa si deve intendere così: un uomo educato nell'intelletto a prezzo di molta abnegazione può anche giungere tardivamente ad una efficace educazione dell'animo, ma se egli, pervenuto a un tale risultato, non usa estrema cautela e non fa la dovuta attenzione ai molti tappi con i quali ha otturato tutti i suoi molti fori (debolezze terrene) riscontrati nel suo vaso della vita, e non fa in modo che non vi si insinui di nuovo sia pure anche soltanto una debolezza, cioè che non si riapra l'uno o l'altro forellino forse male otturato, egli dovrà accorgersi quanto prima come l'acqua vitale raccolta nel vaso sarà scomparsa, e si ritroverà, senza sapere come, ad essere l'antico uomo privo di qualsiasi contenuto vitale interiore.
5. Ed è perciò che Io vi ho sempre raccomandato prima di tutto l'amore per il prossimo il quale ha la sua radice nell'amore per Dio. Infatti solo questo amore è in grado di convertire voi, esseri totalmente pervertiti, nuovamente in uomini secondo il Mio Ordine. Non lasciatevi accecare dal mondo, perché tutto quello che esso vi dà non è che morte e giudizio, che sono frutti puramente dell’intelletto! L'amore soltanto può far risorgere la vita in voi.
6. Per questa ragione Io sono venuto al mondo: per mostrarvi la vera via del ritorno al Mio Ordine e per insegnarvi a camminare per questa retta via fino al raggiungimento della non lontana rinascita dello spirito nell'anima, dopo la quale non è più immaginabile né possibile una cattiva ricaduta.
7. E questa via ora deve venire spianata per voi, perché ai deviati e pervertiti un ritorno dell'anima che si limitasse ad essere rattoppato gioverebbe a poco. L'anima deve certo ritornare nell'Ordine e convertirsi del tutto prima che si renda possibile la rinascita dello spirito nell'anima; tuttavia la condizione di miglioramento avvenuta in seguito a otturazioni e rattoppature dell'anima, riportata in questo modo sulla retta via, non è duratura, perché, data la potenza del mondo e i suoi temporanei vantaggi, un'anima semplicemente rattoppata ricade anche troppo facilmente nella corruzione a cui si era assuefatta da tempo, e ciò capita alla prima occasione un po’ più allettante del solito.
8. Ma per impedire possibilmente il verificarsi di un simile fatto, Io ho sistemato ora la nuova via in modo che il Mio Spirito, il quale Io pongo ed ho posto nel cuore di ciascuna anima come una Scintilla del Mio Amore paterno, possa venire nutrito col vostro amore per Me e con l'amore vero e fattivo verso il prossimo che da esso deriva, e possa accrescersi nella vostra anima in modo che, raggiunta la debita estensione ed intensità, si congiunga completamente con l'anima migliorata e divenga una cosa sola con lei, atto questo che si chiama ed anche si chiamerà la rinascita dello spirito.
9. Chi è arrivato a questo punto, si trova certo collocato incomparabilmente più alto di un'anima senza scintilla, per quanto anche perfetta, la quale può certo molto, ma ad ogni modo non può tutto, cosa questa che è riservata soltanto a colui che è completamente rinato.
10. Però questa Scintilla del Mio Amore viene posta in tutta la sua integrità nel cuore di un'anima umana soltanto quando l'uomo ha ascoltato la Mia Parola e l'ha accolta nel suo animo in piena fede e con perfetto amore della verità; e finché questo non accade, nessun essere umano, per quanto perfetto nell'anima, può giungere alla rinascita dello spirito. Infatti, senza la Mia Parola che Io ora vi do, la Scintilla del Mio Amore non penetra nel cuore della vostra anima, e dove questa Scintilla non c’è, essa non può nemmeno crescere e prosperare in un'anima, né per conseguenza può rinascere nella stessa.
11. Ma in seguito anche ai figlioletti, se saranno segnati e battezzati nella Mia Parola e nel Mio Nome, verrà deposta nel cuore delle loro anime la Scintilla spirituale del Mio Amore; tuttavia questa non crescerà se l'educazione che verrà loro impartita non sarà buona, ma crescerà invece se l'educazione si manterrà conforme all'Ordine ora indicato a voi tutti in maniera quanto mai chiara, secondo il quale è bene formare anzitutto l'animo e, attraverso di esso, l'intelletto. Ora l'animo viene educato mediante il vero amore, nonché mediante la mansuetudine e la pazienza.
12. Già nei loro teneri anni insegnate ai fanciulletti ad amare il Padre che è nel Cielo, e mostrate loro quanto Egli sia buono e amoroso, e come tutto quanto esiste Egli l’abbia creato in maniera sovranamente bella, buona e savia unicamente per il bene del genere umano, e quanto Egli sia affezionato particolarmente ai piccoli figlioletti che Lo amano sopra ogni cosa; fate notare loro in ogni occasione che tutto questo lo dispone, lo fa e lo fa fare così il Padre nel Cielo, ed allora voi avvierete verso di Me i cuori dei piccoli, e il Mio Amore ben presto comincerà a crescere rigoglioso in loro. Se voi guiderete ed educherete così i figlioletti, la vostra lieve fatica porterà degli splendidissimi frutti; in caso diverso non raccoglierete che spine e cardi sui quali non cresce né uva né fichi!
13. Ed ora diteMi francamente se voi comprendete bene le ragioni per le quali questi nostri fratelli mori sono in grado di compiere delle opere tali che finora sono state – e lo dovevano essere – degli enigmatici prodigi per voi!».
Della giusta comprensione e della lettura del pensiero.
1. Dice a questo punto il capo dei mori: «O Signore e Dio onnipotente e supremamente sapiente! Io ed i miei compagni Ti abbiamo certo compreso benissimo; se però i bianchi, per amore dei quali Tu hai fornito in effetti questa spiegazione, Ti abbiano essi pure compreso secondo il giusto senso e il vero spirito, questo naturalmente non potrei affermarlo con sicurezza assoluta. Come a me sembra, a più di uno dovrebbe pure essere rimasto oscuro qualche punto.
2. Ad ogni modo se qualcuno non si sente ancora a suo agio, costui certo si farà avanti se ci tiene più alla conoscenza pura che non all'amor proprio dell'intelletto ritenuto forse leso a causa di ciò! Infatti, anche fra questi bianchi potrebbe essercene qualcuno che non fa delle domande per evitare che mediante queste venga alla luce la debolezza del suo intelletto! Però io a questi tali, pure avendo la pelle nera, vorrei dare il consiglio di abbandonare il vano onore dell'intelletto e di schierarsi dalla parte della pura verità che può sgorgare fuori soltanto da un puro intendimento, altrimenti una verità incompresa non può essere per i propri discepoli molto migliore di una pura menzogna!
3. Una menzogna riconosciuta per tale non troverà certo una applicazione pratica da parte di nessuno, per cui essa non potrà né arrecare danno né meno ancora un qualche vantaggio; d'altro canto, però, una verità incompresa non può neppure essa giovare a qualcuno, dato che essa, perché incompresa, non è atta a trovare affatto applicazione, oppure se c’è applicazione, non può essere che erronea e falsa e, sotto questo aspetto, per chi la applica non può essere per nulla migliore di una evidente e perfetta menzogna.
4. Questa sarebbe pressappoco la mia opinione; forse qualcuno ne ha una di migliore, e in questo caso mi limiterò ad ascoltare quanto potrà venire ulteriormente esposto sull’argomento»
5. Dico Io: «La tua osservazione è stata assolutamente buona e conforme a verità. Io so che addirittura parecchi dei presenti non hanno compreso in maniera sufficientemente profonda la Mia spiegazione, ma essi temono di tradire con una domanda la debolezza del loro intelletto, e si accontentano piuttosto di una mezza comprensione»
6. E non appena feci questa osservazione, molti fra i presenti Mi domandarono subito se forse loro erano tra quelli che non avevano compreso abbastanza profondamente la Mia mirabile spiegazione. Io però tacqui. E anche Cirenio allora Mi chiese, molto spaventato, se egli pure non comprendeva con sufficiente chiarezza tali verità.
7. Ed Io risposi: «Non tu solo, bensì la maggior parte di voi! Soltanto due fra i Miei discepoli hanno compreso interamente questa Mia spiegazione riguardo allo stato perfetto dell'anima, mentre tutti gli altri, ad eccezione dei mori, non l'hanno compresa. Voi avete soltanto un lieve barlume riguardo a questa cosa, mentre non c'è nemmeno lontanamente in voi un qualche concetto preciso, e questo è stato notato in diversi di voi perfino dal capo di questi mori, e per conseguenza la sua osservazione è stata perfettamente giusta.
8. Infatti, un'anima allo stato di perfezione vitale primordiale, oltre alla meravigliosa potenza d'azione quale signora di tutte le creature di questa Terra, possiede la particolare proprietà di conoscere, in certi momenti di speciale eccitazione, anche i pensieri dei propri simili e di leggere perfino nei loro cuori e vedervi ciò che vi accade. Infatti la sfera vitale esteriore di un tale individuo, molto satura, percepisce immediatamente tale processo in un altro individuo nella sua sfera vitale esteriore, e perciò simili uomini, dalla vita animica perfetta, non possono affatto essere ingannati; con la loro sfera esteriore estremamente potenziata essi arrivano a conoscere spesso già a grande distanza quello che un altro essere umano, che viene loro incontro, pensa, oppure quello che vuole.
9. Se si avvicina un nemico, tali individui dalla vita animica perfetta sono in grado, riunendo le loro sfere vitali esteriori, di cacciarlo via con tutta forza altrettanto bene come, con l'unione delle loro sfere vitali esteriori, li avete visti estrarre un poderoso albero fuori dal terreno, trasportare l’enorme rupe e infine produrre addirittura il fuoco che ha immediatamente arso un cespuglio ben grosso riducendolo in cenere.
10. Nessuno di voi dunque si arrabbi se anche il capo di questi mori dice qualcosa che possa colpirvi, come fa un esperto arciere rispetto al suo bersaglio; infatti, le vostre sfere vitali esteriori gli rivelano con tutta chiarezza perfino i vostri più riposti pensieri purché ai pensieri vada congiunto sia pure soltanto un qualche accenno di volontà. Questi mori certo non conoscono i pensieri che sorgono puramente nel cervello, i quali in realtà non sono affatto dei pensieri, perché consistono unicamente in immagini impresse sulle tabelline del cervello e non hanno nessuna vita, ma conoscono invece con tutta precisione i pensieri del cuore, particolarmente quando si trovano, come è adesso il caso, in uno stato d'animo eccitato un po’ più del normale».
Il significato della sfera vitale esteriore dell'anima.
1. (Il Signore:) «A voi manca ancora molto perché vi possa essere sufficientemente chiaro ciò che la sfera vitale esteriore dell'anima è veramente e profondamente, e come questa forza possa manifestarsi con l'azione, con la percezione, l'udito e perfino con la vista! Certo, questa cosa è piuttosto difficile per la vostra capacità di comprensione, perché a questo mondo, visibile agli occhi della vostra carne, non si può formulare in nessun modo un esempio che sia propriamente adatto a tale scopo, e questo perché ogni cosa che è dello spirito può venire rappresentata sotto una qualche immagine materiale soltanto con gravi difficoltà. Considerato dunque che questa cosa estremamente importante voi la comprendete ancora un po' troppo debolmente, Io ve la chiarirò maggiormente. Però voi dovete assolutamente raccogliere tutte le vostre energie, altrimenti tale questione vitale estremamente importante non vi sarà mai abbastanza chiara!
2. Ma che questa sia veramente una cosa importantissima fra tutte, voi lo potete dedurre e riconoscere dal fatto che Mi sono accinto a spiegarvi il mistero di questa vita primordiale nell'ultimo periodo della nostra permanenza qui. Per quanto Io vi abbia già rivelato grandi cose anche qui durante questi ultimi sette giorni e prima ancora in altri luoghi, tuttavia questa rimane la più grande, e tutto il resto vi è stato mostrato come una preparazione per arrivare a questa massima cosa, perché, senza tali meravigliosi avvenimenti preliminari e tale preparazione, della grande cosa non vi sarebbe stato possibile comprendere neanche la minima parte.
3. Ma perché Io chiamo questa cosa la più importante fra tutte? Ciò è molto facile da indovinare e da vedere! Chi vuole migliorare seriamente la propria vita e innalzarla a quel grado che veramente costituisce la vita, costui deve prima conoscerla in tutte le sue parti, deve sapere come essa sussista, si esprima e come essa, in certe condizioni e con certi procedimenti, si manifesti in un modo o nell'altro. Deve inoltre sapere come, qualora sia corrotta e pervertita, la si possa migliorare di nuovo e mantenere nello stato vitale di miglioramento completo, e anche trapiantare trasferendola nel prossimo, affinché vi sia infine un solo gregge e un solo pastore.
4. Ma che per il vero uomo la piena conoscenza della vita sia la cosa più importante fra tutte, questo lo hanno visto e sostenuto in ogni tempo i maggiori sapienti di tutti i popoli; soltanto che la via per arrivarvi essi la trovarono difficilissima ed irta di ostacoli, anzi in gran parte non la trovarono affatto. Ora però Io stesso, quale dall'eternità il Signore e Maestro di ogni vita e di ogni esistenza, sono venuto a voi e vi ho meravigliosamente raccolti tutti qui, in questo luogo il più isolato di tutti dal mondo, per dimostrarvi nella maniera più evidente e chiara possibile qual è la vera essenza della vita, e così col tempo e con la vera pazienza voi certo comprenderete questa cosa; però dopo sarà vostro dovere rendere il più possibile comprensibile anche al vostro prossimo quanto avete compreso voi stessi!
5. Infatti, se in un paese soltanto uno o due vedono e comprendono queste cose e le usano unicamente per se stessi, ciò potrà essere per loro di particolare vantaggio altrettanto poco quanto poco potrebbe ripromettersene un sapiente dal vivere in un ricovero di pazzi o in una stalla di asini e di buoi! Comprenderanno questi forse il savio quando egli, fuori dalla sua interiorissima e profonda sapienza, comincerà ad esporre le dottrine più nobili con le parole più amichevoli?
6. Un saggio non può evidentemente venire riconosciuto e compreso per tale se non da altri che siano saggi a loro volta. Rispetto alla vita degli animali e dei pazzi veri e propri non c'è niente da fare, perché ciò che questi sono destinati a diventare, è già disposto dal Mio Ordine eterno, mentre dalla vita degli uomini voi potete ottenere tutto percorrendo la giusta via della verità, dell'amore, della pazienza e della sapienza!
7. E quando vi sarete fatti dei veri fratelli e amici fra gli uomini, i quali col tempo vi uguaglieranno nel riconoscimento della vita, allora vi sarà anche fra di voi vera gioia e beatitudine, e vi renderete forti in ogni cosa buona che allora vi sarà facile compiere! Infatti, cento braccia possono più di un solo braccio; cento occhi rivolti da tutte le parti vedono più di un occhio solo, e le sfere vitali esteriori di migliaia, riunite assieme, costituiscono una leva straordinariamente potente per tenere lontano ogni tipo di pericoli e di mali, da qualsiasi parte possano annunciarsi e qualsiasi anche possa essere il loro nome».
La forza dell’uomo colmo d’amore.
1. (Il Signore:) «Voi senza dubbio avete visto la potenza dell'azione in comune ottenuta mediante l'unione delle sfere vitali esteriori di alcuni fra questi nostri mori! Quante delle comuni forze fisiche umane sarebbero necessarie per sollevare un albero della specie di quel vecchio cedro assieme alla massa di terra racchiusa dalle radici? Quante forze umane naturali si sarebbe dovuto chiamare a raccolta per spostare dal suo antico posto quella grandissima e quindi pesantissima rupe oppure per farla rotolare via? Eppure questi pochi mori l'hanno sollevata in aria, o meglio trasportata in aria, dinanzi ai vostri occhi! Ma da questo incontestabile fatto voi sicuramente avete dovuto rilevare quale forza e quale potenza siano insite nella sfera vitale esteriore unificata di un'anima naturalmente perfetta!
2. Se dunque già questi mori, che non erano affatto a conoscenza della Forza e Potenza del Mio Nome, hanno compiuto cose tanto straordinarie soltanto per il potere derivante dall'unione delle sfere vitali esteriori delle loro anime naturalmente perfette, quali cose molto più grandi non dovreste poter fare voi, dato che sareste in grado di agire con le riunite sfere vitali esteriori delle vostre anime rese perfette in virtù della Mia Parola e dell'onnipossente Spirito del Mio Amore per voi?
3. In verità, in verità Io vi dico: “Non soltanto alberi e rupi di questa specie, ma anche intere montagne voi riuscireste a trasportare qualora, secondo la percezione chiara del vostro saggio cuore, fosse eventualmente reputata necessaria una cosa simile; ma quello che si rendesse eventualmente necessario, voi lo apprendereste di certo in ogni momento mediante il Mio Spirito in voi, il Quale sarebbe continuamente presente nel cuore delle vostre anime con la Mia Parola sempre vivente!”.
4. Non sarebbe dunque supremamente desiderabile questa condizione di un essere umano perfetto nel Mio Nome, e non sarebbe ancora più auspicabile una simile condizione di un’intera comunità o addirittura di tutto un popolo?
5. Ebbene, la sua possibile realizzazione vi sta dinanzi agli occhi, ed è quindi quanto mai necessario che voi, che siete ora i Miei discepoli più prossimi, riconosciate perfettamente in voi e presso di voi questa importantissima condizione, e che poi naturalmente la insegniate a conoscere nella maniera più confacente anche a tutti gli altri vostri simili. Infatti, chi dispone di un lume, non deve collocarlo sotto un moggio, dove con i suoi raggi destinati a rischiarare le tenebre non può giovare a nessuno, ma il lume lo si deponga liberamente su un tavolo da dove può elargire la sua luce a beneficio di tutti i presenti!
6. Una luce naturale la si può bensì collocare con molta facilità su un tavolo, mentre trattandosi di una luce destinata al cuore e all'anima, la questione si presenta di certo incomparabilmente più difficile; tuttavia una buona e ferma volontà può compiere anche questo, e perfino con minore fatica di quanto vi possa sembrare, qualora intervenga il Mio aiuto che in una simile situazione della vita così importante non può sicuramente mancare. Naturalmente, però, è bene che chiunque voglia offrire qualcosa al prossimo debba prima possederla egli stesso, altrimenti sarà simile ad un cieco che voglia fare da guida ad un altro cieco; quando infine arrivano vicino ad un fosso, vi cadono entrambi dentro!
7. Ecco che ormai Io vi ho esposto e spiegato, speriamo a sufficienza, l’enorme importanza di una simile condizione di vera potenza vitale propria ad un'anima umana perfetta, e vi ho mostrato pure la grande importanza della piena conoscenza di se stessi, alla quale si può pervenire nella misura più abbondante possibile mediante una giusta educazione nel caso dei bambini, e, nel caso di persone educate male senza loro colpa, mediante la vera umiltà e la pazienza e principalmente mediante il vero ed attivo amore verso Dio e, da questo, anche per il prossimo. Le capacità d'azione di questi mori dalla vitalità animica possente, che devono esservi da guida nella giusta conoscenza di voi stessi, io ve le ho spiegate, ma voi non le avete comprese in maniera sufficientemente viva e profonda. Adesso dunque spetta a voi, considerata l'importanza dell'argomento, domandare e rendere manifesto da voi stessi mediante la domanda dove e che cosa vi manchi!
8. Voi dovete prima percepire in modo vivo che cosa è che vi manca, altrimenti non vi preoccupereste di questo con la vostra liberissima volontà, perché se qualcuno ha perso qualcosa, ma non sa di averla persa, comincerà forse a cercare in qualche luogo ciò che ha perso? Si deve dunque prima sentire in maniera assolutamente viva in sé che qualcosa manca e sapere che cosa ci sia di mancante, ma nello stesso tempo bisogna anche riconoscere il grande valore di ciò che manca; altrimenti uno non si metterà mai più a cercare col dovuto zelo vivente».
Della fame dopo il nutrimento spirituale.
1. (Il Signore:) «Al comune uomo mondano non può venire certo in mente nemmeno in sogno qualcosa del vero e altissimo valore della vita, perché, quando ha provvisto a dovere per la sua pancia, quale interesse può mai avere per tutte le altre cose importanti della vita? Egli ha cibo più che in abbondanza, e anche da bere se ha sete, dispone inoltre di una bella e comoda dimora e di un soffice letto, possiede vesti finissime e molte altre cose ancora atte a rendere piacevole la vita, né gli mancano belle e floride giovani e divertimenti di altro genere! Che cosa dunque potrebbe mancare ancora ad un simile usurpatore di beni terreni?
2. I poveri diavoli sì che devono ricorrere ad ogni tipo di cognizioni e di sapienza che si sono procurati per mezzo della loro fantasia sempre affamata, per conquistarsi con ciò il favore di qualche ricco, vivere alle sue spalle ed esibirsi davanti a lui in qualche modo per ingraziarselo. Ma in tutto ciò, secondo il modo di vedere del ricco, di vero non c'è altro all'infuori della miseria del sapiente affamato e della pigrizia delle sue mani, a causa della quale quest'ultimo preferisce colmare il suo stomaco vuoto usando, senza nessuna fatica, la propria immaginazione fantasticando riguardo a qualche Dio ed a una vita eterna dell'anima umana, anziché usare le proprie mani in un lavoro più faticoso!
3. Riconoscete e giudicate voi stessi, in base a questo fedelissimo quadro della vita mondana, se ad un uomo ben provvisto di beni terreni può mancare qualcosa! Che cosa gli importa dell'interesse immenso da attribuirsi alla conoscenza di se stessi, senza la quale non è assolutamente immaginabile una vera conoscenza di Dio? È forse ammissibile che egli si metta un giorno a cercare quello di cui certo è carente al massimo grado? Neanche per idea, poiché egli non sente né la fame né la sete che, secondo lui, sono i pungoli che sospingono i poveri diavoli, che evitano il lavoro, verso la sapienza e la scienza!
4. Come potrebbe egli accorgersi di che cosa gli manca per la vera vita? Secondo l'opinione di un simile crapulone ben pasciuto, la fame e la sete costituiscono gli unici impulsi ad una qualche attività; di conseguenza chi non è condannato a soffrire né fame né sete, a costui non serve darsi da fare per cercare in qualche modo la sapienza! In poche parole, da come la pensa un uomo simile, colui al quale non manca di nulla, non ha neppure desideri, e se uno non ha perso nulla, perché dovrebbe cercare come se avesse perduto qualcosa?
5. Ma ugualmente così avviene di una dottrina che sia stata annunciata. Chi si illude di comprenderla perfettamente, non si curerà più di approfondirla ulteriormente. Chi è sazio non domanda più altro cibo, e solo quando sentirà di nuovo fame, allora certo si guarderà intorno alla ricerca di cibo. Ma che cosa farà qualora il dispensiere fosse assente? Sarà in grado di prepararsi da sé una qualche vivanda?
6. Perciò vedete voi tutti di provvedervi di cibo mentre il Dispensiere si trova con voi! Infatti, quando Egli farà ritorno là da dove è venuto, molti saranno coloro che cominceranno ad andare in cerca del cibo genuino, ma poi sarà difficile trovarne.
7. Molti di voi, che ora siete raccolti intorno a Me, sono ben provvisti dal punto di vista terreno e straordinariamente ricchi di ogni specie di tesori della Terra, ed ora aspirano con ogni zelo al possesso dei tesori spirituali, di quelli cioè che non vengono alla luce fuori dai pozzi delle miniere d’oro della Terra! Ebbene, i tesori di questa specie vi vengono concessi in misura sovrabbondante; tuttavia non dovete credere che il molto basti per vedere tutto in maniera assolutamente chiara.
8. Ciascuna delle parole che Io vi dico, voi certo la comprendete in quanto, nella vostra qualità di esseri umani, la potete comprendere; tutto quello però che con infinita pienezza si trova celato dentro a ciascuna Mia Parola, voi non lo comprendete ancora, né pensate di informarvene perché non vi accorgete di ciò che non comprendete! Ma perché non ve ne accorgete voi, mentre Oubratouvishar si è accorto che voi non avevate compreso interamente la Mia spiegazione? Perché il suo etere vitale-animico esteriore, che ha conservato al massimo grado possibile la perfezione originaria, penetra e scruta con grande facilità nel vostro etere animico esteriore ancora discretamente imperfetto nello stesso modo in cui voi, in una notte profonda, toccando con le mani il capo di qualcuno, potreste accorgervi se l'altro ha una folta capigliatura, oppure se è calvo!
9. Data l’accentuata debolezza della vostra sfera vitale esteriore, la vostra sensibilità comincia solo là dove comincia il vostro corpo; oltre a questo la vostra anima non ha ancora alcuna minima scintilla di percezione!».
La forza miracolosa dei rinati.
1. (Il Signore:) «Il sentire e il percepire di questi mori però, particolarmente nei casi di intensa eccitazione, possono estendersi a distanza anche di molte ore di cammino, e perciò essi sono in grado di giudicare con molta facilità che natura abbiano coloro che si avvicinano a loro. Essi non giungeranno bensì a riconoscere in nessuno un determinato stato più profondo e spirituale, ma il vero e proprio stato dell'anima lo riconosceranno senza alcun dubbio!
2. Quando stamani essi giunsero qui, riconobbero in certo qual modo già a distanza la Mia Anima, la Sua Sapienza e la Sua Potenza; soltanto lo Spirito che è nell'Anima essi non potevano riconoscerlo, dato che lo Spirito di Dio può venire riconosciuto unicamente da uno spirito che sia a sua volta da Dio. Per questo Io dovetti prima deporre nel loro cuore la scintilla attraverso la Mia Parola, e quando la scintilla, avendo trovato nell'anima perfetta la pienezza del vero nutrimento, fu in breve irrobustita, essi ben presto riconobbero anche Me nel Mio Spirito, ed ormai essi sanno già con maggiore forza di voi con Chi essi hanno a che fare in Me.
3. Tutto ciò è una conseguenza di un'anima perfetta. Le vostre anime, ad eccezione di quelle di due di voi, non perverranno di per sé mai ad un simile riconoscimento; però per mezzo del Mio immenso Amore per voi, esse verranno purificate in modo tale che si troveranno infine supremamente atte ad accogliere pienamente il Mio Spirito. Ma se poi voi rinascerete nello spirito non già forse per merito vostro, ma unicamente grazie al Mio Amore, alla Mia Grazia e alla Mia Misericordia, allora sarete in grado di compiere cose ancora maggiori di questi mori, non però per la potenza di perfezione delle vostre anime, ma per la forza del Mio Spirito che compenetra le vostre anime, in sé e di per sé ancora deboli; attraverso questo Spirito poi certamente anche le vostre anime diverranno per l'eternità sempre più robuste e vitali!
4. Tuttavia Io non intendo fare di voi degli operatori di miracoli, ma dei veri benefattori dell'umanità! Quando il Mio Spirito, destatosi in voi, diverrà pienamente attivo, anche nel vostro intelletto si farà piena luce, e per mezzo di esso carpirete alla natura, per vie assolutamente naturali, le sue forze, mentre i suoi spiriti, ovvero le rispettive sostanze primordiali specifiche-animiche, vi saranno resi soggetti; con ciò perverrete a grandi vantaggi terreni della vita, vantaggi però che dovranno venire impiegati da voi a beneficio dell'umanità più povera!
5. Se i grandi vantaggi, nei quali il Mio Spirito col tempo vi guiderà, verranno impiegati secondo il Mio Ordine, essi vi apporteranno mille benedizioni in ogni cosa; ma se col tempo doveste eventualmente cominciare ad impiegarli egoisticamente contro il Mio Ordine, essi diverranno per gli uomini dei covi di ogni immaginabile sventura!
6. Ciò che Io ora vi annuncio, lo annuncio pure a tutti coloro che tra mille anni e poi mille anni ancora - un po' di più, un po' di meno - saranno i vostri successori. Dopo tale epoca, di nuovo un altro strato della Terra entrerà in un periodo di fermentazione e di elaborazione con e senza umanità, perché la Terra è grande e numerosi sono in essa gli spiriti i quali, avvinti nel giudizio, attendono la redenzione.
7. Ciascun rinato può bensì operare anch'egli dei prodigi, però non come questi mori, che sono privi della conoscenza del Mio Nome e della Mia Volontà, ma con la piena conoscenza del Mio Nome, della Mia Volontà e del Mio Ordine immutabile. Infatti, se qualcuno volesse qualcos’altro, ciò non potrebbe accadere, perché il Mio Spirito in lui non gli concederebbe nessuna forza a tale scopo: in un simile caso a volere non sarebbe che l'anima di per se stessa, dato che lo spirito non può mai volere una cosa che sia contraria alla Mia Volontà!
8. Tuttavia anche con la rinascita dello spirito nell'anima, a questa non viene in nessun modo limitata la propria libera volontà, né la sua conoscenza esteriore nelle schiere delle creazioni immense che sorgeranno continuamente dal Mio Amore, dalla Mia Sapienza, dal Mio Ordine, dalla Mia Potenza e Forza».
Il rapporto fra anima e spirito.
1. (Il Signore:) «L'anima si troverà rispetto allo spirito sempre in quello stesso rapporto in cui il corpo terreno si trova rispetto all'anima. Il corpo di un'anima, per quanto anche questa sia perfetta, ha esso pure in un certo modo una propria volontà di godimento, mediante la quale l'anima può veramente venire corrotta qualora si lasci attrarre nella volontà del corpo. Un'anima bene allevata, però, non cederà mai alla volontà divoratrice del corpo e ne rimarrà sempre la dominatrice; invece avverrà molto facilmente il contrario nel caso di un'anima educata male!
2. Fra anima e spirito comunque sussiste solo un rapporto simile a quello esistente tra un'anima dotata della perfezione originaria ed il proprio corpo; il corpo, di per sé, di brame può averne quante ne vuole, e può stimolare l'anima alla condiscendenza e al soddisfacimento delle brame stesse avvalendosi dei suoi pungoli spesso molto acuti, e tuttavia l'anima perfetta risponde a tali stimoli sempre con un energico ed efficacissimo no! Ebbene, in modo perfettamente simile si comporta il Mio Spirito nell'anima nella quale si è completamente riversato!
3. Finché l'anima rimane del tutto ligia alla volontà dello spirito, tutto avviene esattamente secondo la volontà dello spirito, ciò che corrisponde pure alla Mia Volontà. Qualora però l'anima, in seguito ai suoi ricordi, vuole qualcosa che riguarda più le cose sensuali, allora in tali momenti lo spirito si ritrae, e lascia che l'anima se la sbrighi da sola nel dare esecuzione al piano suggerito dal desiderio, piano che comunemente non approda a nulla, particolarmente se la volontà esecutrice non contiene che poco, o spesso anche niente affatto, di spirituale che sia bene perseguire come scopo.
4. L'anima poi, notando ben presto la sua debolezza ed inettitudine, abbandona immediatamente tali piani illusori del proprio volere, si ricongiunge nella maniera più intima col proprio spirito e lascia che il volere di questo predomini. Naturalmente, con ciò risulta ristabilito l'ordine, e con questo ritorna anche la pienezza della potenza e della forza»
5. Chiede allora di nuovo, a voce un po' bassa, Cirenio: «O Signore, in seguito alle Tue numerose enunciazioni e ammonizioni di adesso, sono venuto a scoprire con mia grande meraviglia una voragine nella quale ho scorto una carenza fondamentale nella sfera della mia conoscenza, carenza che ora mi diventa sempre più evidente!
6. Tu hai appena detto che l'ego dell'anima, anche se il Tuo spirito in essa, mediante l'atto di rinascita spirituale, la compenetra interamente e la assimila pienamente, non trapassa comunque nello spirito in modo tale da far sì che in certi momenti non se ne possa più separare. L’anima dunque continua ancora a possedere il proprio ego, e può perfino pensare e volere totalmente per conto proprio, così come faceva prima della rinascita dello spirito nella sua entità sostanziale.
7. Ma se può prima pensare e volere di per sé, deve certo anche possedere una facoltà di discernimento libera ed esistente a sé, e deve per conseguenza poter riconoscere l'incalcolabile vantaggio di ciò che a lei affluisce da parte del proprio spirito rispetto a quello offertole dai suoi propri sensi. Però se essa, come è da ritenersi logico, è a conoscenza di questo, come è possibile che essa possa ancora pensare e volere di per sé qualcosa che non le è stata suggerito dallo spirito? Non deve dunque essere il suo desiderio più ardente e più beatificante di tutto il suo essere quello di rimanere invariabilmente per l'eternità perfettamente una cosa sola col suo spirito? Ecco, in questa facoltà permanente di pensare, volere e conoscere in modo proprio, io trovo veramente ancora un’imperfezione nell'essere spirituale dell'uomo.
8. E inoltre appare molto strano che l'anima, rinata in maniera tanto particolare nel proprio spirito - che pure dovrebbe essere molto più vigorosa della pura e originariamente perfetta anima di uno di questi mori, per i quali però non si può assolutamente parlare ancora di una rinascita spirituale, né tanto meno c'era da parlarne prima - abbia di per sé molto minor potere dell'anima di uno di questi mori, anima cioè che esiste isolata a sé e che è dotata della perfezione originaria! Se tali anime vogliono, avviene così come esse vogliono; ma se un'anima rinata nel proprio spirito - ciò che ha certo un significato maggiore dell'anima dotata solamente della perfezione originaria - vuole, così di per sé, qualcosa, questa volontà invece non ha nessun effetto perché lo spirito così non vuole!
9. Nell'anima di questi mori certamente anche nell'aldilà permarrà la capacità meravigliosa, grazie alla quale essi saranno in grado di compiere delle cose prodigiose almeno altrettanto quanto sono già in grado di farlo qui. La nostra anima, invece, rinata nello spirito, non dovrebbe, per così dire per suo personale diletto, essere capace di nulla? Davvero, o Signore, questa è per la prima volta una cosa che non riesco a comprendere proprio per niente. Infatti non trovo proprio alcun fondamento, né un qualche plausibile punto d'appoggio per un ragionamento. Fa' dunque a noi, bianchi, la grazia di elargirci una luce un po' maggiore riguardo a questo argomento, dato che così come ci viene prospettato esso costituisce per noi un cibo assolutamente indigesto!».
Cervello e anima.
1. (Dico Io:) «Già in precedenza Io ho avuto una volta l’occasione di mostrarvi come un'anima ed infine tutto l'essere umano possa, in seguito ad una falsa educazione, perdere tutte le superiori capacità umane simili alle Mie! Se tu in un bambino sviluppi in una certa misura anzitutto l'intelletto - e ciò in un periodo nel quale il cervello non è fino a due terzi ancora maturo - il suo intelletto viene molestato e costretto ad accogliere parole, figure e numeri in quantità grandissima che devono venire impressi sotto forma di immagini corrispondenti sulle tabelline del cervello che sono ancora estremamente molli, anzi piuttosto liquide e ancora in corso di regolare formazione; allora queste tabelline vengono da un lato troppo indurite, e dall'altro, come conseguenza di esagerati sforzi della memoria, si crea in loro un disordine completo. Il risultato al quale si arriva con un simile sistema è quello che più tardi, quando il fanciullo è diventato un giovinetto, e più tardi ancora uomo adulto, è continuamente tormentato dal mal di testa da cui non si potrà liberare completamente mai più per tutto il tempo della sua vita.
2. Tutto il cervello, già molto tempo prima del dovuto, viene impiastricciato con ogni tipo di segni e viene reso assolutamente insensibile all'accoglimento degli altri segni di natura estremamente sottile i quali, ascendendo fuori dall'animo, dovrebbero essere i primi ad imprimersi sulle tabelline sensibilissime del cervello. E se anche più tardi all'anima viene pure rappresentato qualcosa da parte dell'animo, ad esempio una qualche verità spirituale superiore, questa verità non trova più alcun punto dove attecchire, né l'anima la può comprendere, dato che tale verità non può venire presentata e resa visibile all'anima per un tempo più lungo che non sia un singolo istante.
3. Oltre a ciò l'anima si trova ad avere sempre dinanzi a sé una quantità di immagini del mondo, grezze e materiali, che formano davanti alla sua vista come un fitto bosco, attraverso il quale non le è possibile distinguere i segni estremamente delicati, piccoli, numerosissimi e quanto mai debolmente impressi sulle tabelline del cervello. E se anche essa riesce ad intravedere per qualche istante le lievi immagini nebulosamente segnate provenienti dal cuore, queste le appaiono come un quadro confuso che non le è possibile vedere e comprendere con sufficiente chiarezza, perché le immagini rozze della materia si interpongono fra i suoi occhi e le immagini spirituali, cosicché quest’ultime ne rimangono in parte coperte e in parte annullate.
4. Ora tu potresti però pensare e dire: “Ma perché l'anima deve guardare proprio sulle tabelline del cervello? Che essa si metta subito in comunicazione col cuore e che entri immediatamente nella sfera di luce del proprio spirito!”. Ecco, tutto sarebbe giusto se si potesse - senza creare danno alla vita - modificare, così su due piedi, l'ordine vitale stabilito una volta per sempre!
5. Non sarebbe forse, nello stesso modo, pure opportuno che ad un essere, venuto cieco al mondo perché lo era per una causa qualsiasi già nel corpo materno o perché lo è diventato più tardi, venissero creati sul mento o sulla fronte od eventualmente sul naso un paio d'occhi? Questo, lo ripeto, sarebbe certo bene, ammesso che un simile paio d'occhi nuovi, aperti in un posto fuori dall'ordinario, non richiedessero anche una disposizione del tutto differente dell'organismo corporeo!
6. Infatti, nel meccanismo del corpo umano regna un ordine matematico talmente rigido che nessuna minima cosa può venire rimossa nemmeno di un soffio, e niente può venire cambiato nel corpo umano senza un cambiamento totale dell'organismo del corpo stesso. Risulta quindi assolutamente impossibile aggiungere a qualcuno, in una qualche altra parte del corpo, uno strumento sensorio senza trasformare tutto il corpo e senza dargli un’altra forma e procedere ad una sua organizzazione interiore del tutto differente.
7. Ma come non è possibile, per le ragioni chiaramente spiegate, applicare al corpo dei sensi di altra specie al posto di quelli già esistenti nella loro giusta posizione, altrettanto e di più ancora è il caso dell'anima, la quale è un organismo molto più delicato e spirituale! Essa può vedere e udire solo mediante il cervello del corpo; le altre impressioni, le quali sono però confuse e indecifrabili, l'anima le può percepire certo anche per mezzo di altri nervi, tuttavia questi devono trovarsi in uno stato di continuo contatto con i nervi del cervello, altrimenti il palato non percepirebbe alcun sapore, né il naso alcun odore».
La giusta educazione del cervello.
1. (Il Signore:) «Finché l'anima dimora nel corpo, il cervello è e rimane l'organo visivo principale dell'anima. Se esso è giustamente formato, l'anima scorgerà bene e con precisione le immagini vitali provenienti dall'animo che si imprimono nel cervello, e conformemente a queste penserà, dedurrà, delibererà ed agirà. In simili condizioni poi l'anima, in certi momenti di rapimento provocati dall'imposizione delle mani da parte di un altro che possieda fermezza di fede e forza di volontà, può anche diventare chiaroveggente da sola attraverso la bocca dello stomaco: un esempio di questo l'avete avuto nel nostro Zorel. Ma ciò poco o nulla può giovarle agli scopi della vita reale, dato che di tutto questo nella tenebrosa dimora del suo corpo di carne non le rimane, né può rimanerle, nemmeno il più lieve ricordo.
2. E qualora, nel caso di un qualche contemplare e percepire dell'anima mentre questa vive nel suo corpo, non sia contemporaneamente in azione anche il cervello del corpo fisico, all'anima stessa non resta alcun ricordo, o tutt'al più un vago presentimento soltanto. Infatti l’anima non ha nessun potere visivo di tutto ciò che essa accoglie nel suo cervello animico, e questo per la stessa ragione per cui il corpo fisico non possiede un tale potere rispetto a ciò che si imprime, attraverso gli occhi e gli orecchi, sulle numerose tabelline del cervello, anche ammesso che il corpo potesse scrutare quanto avviene dentro di sé. Questa cosa la può vedere soltanto l'anima che dimora dentro a tutta la carne.
3. In modo corrispondente, quanto poi rimane aderente nel cervello dell'anima, questo non può essere visto dall'anima stessa con i suoi occhi, né udito con i suoi orecchi i quali, come gli occhi e gli orecchi del corpo fisico, sono rivolti unicamente all'esterno, ma queste cose non possono venire percepite che dallo spirito che dimora nell'anima. Per questa ragione un uomo può riconoscere completamente qualcosa di spirituale puro quando lo spirito si sia perfettamente destato nell'anima ed in questa si sia riversato.
4. Quello però che è interiormente nello spirito, questo lo riconosco Io, e poi, per mezzo Mio, a sua volta lo riconosce lo spirito dell'uomo il quale è perfettamente identico a Me ovvero al Mio Spirito, poiché esso è la Mia immagine nell'anima, così come il Sole depone la propria piena immagine su di uno specchio.
5. Finché dunque un'anima dimora dentro il corpo, un cervello del corpo, ordinatamente formato, le è assolutamente indispensabile per poter vedere chiaramente e veramente, mentre un cervello guasto non può servirle affatto agli scopi della visione spirituale, come neanche la visione attraverso la bocca dello stomaco le può essere di utilità, dato che, come è stato già dimostrato, essa non è atta a trattenere alcun ricordo di quanto vede. Infatti, anche se ciò resta aderente per l'eternità al suo cervello spirituale, essa per queste cose non ha né occhi, né orecchi, cosa che invece ha lo spirito che si è destato in lei.
6. Se dunque il processo di sviluppo del cervello è tale per cui esso viene formato ed educato debitamente e giustamente secondo il Mio Ordine, cioè cominciando per le vie del cuore, allora le immagini spirituali della vita vi si imprimono certo prima di quelle materiali, e dato che le prime immagini vitali costituiscono una luce, anche le immagini del mondo esteriore che si susseguono ne saranno compenetrate, e così si renderanno accessibili in tutte le loro parti con facilità e saranno così comprensibili secondo la vera sapienza. Ora la luce che così si espande non colma soltanto l'organismo umano, ma si irradia in chiarissimi raggi spirituali ben oltre al detto organismo e forma in questo modo la sfera vitale esteriore, per mezzo della quale, quando essa col tempo si sia fatta, com'è naturale, sempre più intensa e ricca di energia, l'uomo può compiere nel mondo esteriore delle opere prodigiose anche senza avere raggiunto la rinascita dello spirito, cosa questa che avete potuto già constatare in questi nostri mori.
7. Ma se nell'uomo il cervello è formato ed educato in maniera invertita, e sulle sue tabelline non sono impresse che delle vaghe ombre di immagini alla cui visione l'anima è infine costretta ad impiegare tutta la sua luce per poterle riconoscere soltanto in maniera assolutamente superficiale sulla scorta dei semplici contorni, è evidente che l'anima stessa non può mai farsi così luminosa da potersi formare una sfera vitale esteriore dal suo eccesso di luce.
8. Soltanto mediante una vera umiltà e un ardentissimo amore per Dio e per il prossimo, nonché una particolare aspirazione alle cose dello spirito possono venire illuminate le immagini materiali nel cervello e con ciò convertite in immagini spirituali, e così anche nel cervello viene ricondotto un certo ordine; però mai in quell'ordine quale si riscontra in questi mori durante questa vita terrena.
9. Sennonché tutto ciò non fa nulla, perché Io preferisco uno di voi rinato che non novantanove di simili anime perfette le quali non hanno avuto finora mai bisogno di penitenza, poiché i Miei veri figli devono farsi forti fuori dalla loro debolezza!
10. O Mio Cirenio, hai tu ora ben compreso tutte queste cose, e ti sembra che alle tue domande sia stata data una esauriente risposta?».
Cirenio chiede una dimostrazione esplicativa della teoria del cervello.
1. Dice Cirenio: «O Signore, se devo dire la verità, per poter comprendere a fondo questa Tua spiegazione bisognerebbe pur possedere qualche nozione riguardo al cervello che ha sede nel capo dell'uomo, perché altrimenti non sarebbe possibile raffigurarsi in una qualche maniera esatta le tabelline del cervello sulle quali vengono impresse le immagini animico-spirituali qualora l'educazione sia avvenuta per via regolare e conforme all'ordine, oppure quelle del mondo materiale qualora l'educazione sia iniziata secondo un sistema invertito, né, meno ancora, sarebbe possibile comprendere come le svariate immagini della vita vengono disegnate su queste tabelline.
2. Non vorresti Tu, o Signore, dato che a Te tutte le cose sono possibili, fornirci in qualche modo un esempio un po' palpabile di una tabellina tanto della parte anteriore del cervello, quanto di quella occipitale, affinché noi abbiamo poi una raffigurazione precisa di quello di cui Tu stesso ci hai consigliato di procurarci una nozione? Infatti, trattandosi di un argomento della massima importanza come questo, se anche di una singola cosa che ha attinenza con esso non si riesce a farsi un concetto completamente corretto, allora è chiaro che pure la comprensione complessiva ne viene danneggiata!
3. La nostra anima è senza dubbio ancora troppo priva di luce per giudicare correttamente le tabelline del cervello tanto riguardo alla loro forma quanto riguardo alla loro utilità, o addirittura per vederle con i propri occhi per le vie della chiaroveggenza, per procurarsi un concetto preciso della cosa. Si rende quindi necessario che a noi, gente dalla pelle bianca e dall'anima debole, venga data la possibilità di acquisire una giusta conoscenza proprio di quell'organismo del nostro corpo, dalla cui ordinata formazione dipende, per così dire, quasi esclusivamente il benessere o il malessere della vita umana. Se, come detto, ciò fosse gradito a Te, o Signore, io desidererei molto vedere una o più di simili tavolette del cervello; però, se possibile, anche con i segni corretti e poi con quelli scorretti»
4. Dico Io: «Io ben sapevo che avrei finito col portarvi al punto dove voi stessi avreste riconosciuto quanto vi è di mancante in voi, ed avreste sentito un giusto bisogno di vedere colmata tale lacuna; ora vedi, Io preferisco questa tua richiesta a quella che hai fatto prima quando te la sei quasi presa per la Mia dichiarazione con la quale affermavo che perfino l'anima di un uomo completamente rinato non potrà mai di per sé compiere nel mondo delle creature materiali quelle opere prodigiose di cui, di per sé e fuori da sé, è capace un'anima già incorrotta dalle sue origini!
5. Io ti dissi bensì che un rinato è in condizioni di compiere quello che Io stesso sono in grado di compiere certamente soltanto nel Mio Ordine eterno e mediante questo, ma sembrò che ciò non ti avesse interamente soddisfatto! Però, così pensando, tu non ponesti attenzione al fatto che simili anime originariamente perfette non sono però capaci d'altro se non di quello che di ammissibile e vantaggioso è possibile nel Mio Ordine.
6. Infatti, tutto ciò che essi operano in maniera da apparirvi un prodigio, mediante la potenza della loro sfera vitale animica esteriore, è qualcosa di altrettanto naturale quanto il fatto che qui questo terreno sia coperto di muschi ed erba, e che l'acqua di questo mare interno nel grande bacino resti ferma a causa della forza della gravità in essa immanente. Ma se tu trovi questi due fenomeni naturali che ti ho citati conformi ad ordine ed a natura, troverai pure con tutta facilità altrettanto conforme a natura e ad ordine quello che queste anime originariamente perfette devono necessariamente essere in grado di compiere, data la loro sfera vitale terrena e le particolarità del paese da loro abitato.
7. Questi mori hanno bensì una epidermide molto scura, in compenso però hanno un'anima tanto più colma di luce; inoltre essi conoscono la maggior parte degli organi più importanti del loro corpo di carne, e le tabelline del cervello sono ben note a loro, perché le loro anime, originariamente perfette, possono scrutare nei loro corpi dall'interno verso l'esterno, e se in questi vi è qualcosa di ammalato, esse vedono il punto dov'è la sede del male ed anche in che cosa questo consiste.
8. Mediante la loro sfera vitale esteriore, che in simili momenti agisce con particolare energia, essi trovano ben presto anche l'erba, usando la quale il male può venire rapidamente eliminato in un modo o nell'altro. Soltanto quando i tendini e le vene si induriscono e infiacchiscono, ed il sangue si fa più denso, allora credono che non ci sia più erba che possa servire a rimediare alla generale decrepitezza del corpo invecchiato e divenuto debole, molto stanco e pigro per cause naturalissime. In tali condizioni essi pensano che la migliore cosa sia che l'anima si prenda cura soltanto di se stessa, che si raccolga e che abbandoni il corpo fattosi brutto e non più servibile e che, libera da ogni legame terreno, si rechi verso le regioni della delizia per rimanervi in eterno là, fra il Sole, la Luna e la Terra.
9. Questa gente non ha quindi il benché minimo timore della morte, ma teme invece molto le malattie del corpo, perché con ciò le forze animiche vengono chiamate ad una attività intensissima senza che ce ne sia la necessità, e per conseguenza l'anima stessa poi, per un certo tempo, deve rimanere in uno stato di debilitazione e quindi di imperfezione!».
Le conseguenze della lussuria.
1. (Il Signore:) «Per quanto però concerne la costumatezza della carne e della vita, nonché una castità davvero verginale, certo sulla Terra non c'è popolo che sia più dedito a questa virtù che proprio questi neri e non c’è popolo a cui sia meno estraneo il vizio della prostituzione, fornicazione e lussuria che appunto di nuovo questi mori.
2. Anche questo è però una cosa del massimo significato vitale; infatti, se gli uomini bianchi avessero cura di evitare questo vizio e compissero l’atto carnale soltanto quando è necessario per suscitare un frutto nel corpo di una moglie onesta, Io vi dico che tra di voi non ci sarebbe nessuno che non fosse per lo meno un veggente! Ma invece succede che, come si usa tra voi, tanto l'uomo che la donna disperdono le forze migliori con lo spreco, spesso giornaliero, degli umori vitali più nobili e più affini all'anima, e non sono quindi mai in grado di crearsi una riserva tale da poter infine fornire all'anima una luce sempre più intensa!
3. E perciò anche tali esseri, che si fanno sempre più pigri e sempre più avidi di piacere, raramente sono capaci di un pensiero lucido; diventano paurosi, vili, molto materialisti, incostanti e capricciosi, egoisti, invidiosi e gelosi, e soltanto con grave difficoltà, o addirittura proprio per niente, riescono a comprendere qualcosa di spirituale. La loro fantasia vaga sempre tra le attrattive di una carne puzzolente, né può mai sollevarsi verso qualcosa di più alto e spirituale, e anche se fra questi tali si trova ogni tanto qualcuno che, almeno nei momenti di calma concessagli dall'ardente brama carnale, arriva a gettare qualche fuggevole sguardo verso l’Alto, ecco che ben presto altri pensieri impuri si calano come fosche nubi dal cielo e coprono i pensieri più puri e nobili, in modo che l'anima se ne dimentica completamente e precipita subito di nuovo nella palude putrida della brama carnale!
4. Negli esseri umani di questa specie, i propositi, a volte molto buoni, non servono per lo più che poco o a nulla affatto; la maggior parte di loro è simile ai maiali, i quali, con sempre rinnovato desiderio, si tuffano nelle più sudicie e abominevoli pozzanghere e vi si rigirano voluttuosamente con tutto il corpo, oppure ai cani i quali ritornano al proprio vomito e lo divorano di nuovo.
5. Ma perciò è bene che voi riteniate pienamente vero che i fornicatori, gli adulteri, le adultere ed i lussuriosi di qualsiasi specie e sesso molto difficilmente e forse mai troveranno la porta che dà accesso al Mio Regno divino!
6. Qualora tu nel tuo cuore reputassi eccessivamente pessimista ciò che Io ho detto, non hai che da tentare la conversione di un simile essere immerso nella sensualità! Prova a richiamare la sua attenzione sui Comandamenti di Dio, e digli: “La pace sia con te, il Regno di Dio ti è vicino; basta con la tua vita viziosa, ama Dio sopra ogni cosa e il prossimo tuo come te stesso! Cerca la Verità, cerca il Regno di Dio nelle profondità del tuo cuore; allontanati dal mondo e dalla sua vana materia, e vedi di destare in te la vita dello spirito! Prega, indaga ed opera nell'Ordine di Dio!”. Se dirai ciò ad un essere immerso nella sensualità, ti accorgerai di aver rivolto queste parole ad orecchi perfettamente sordi. Egli ti deriderà, ti volterà le spalle e ti risponderà: “Vattene per i fatti tuoi, pazzo e bigotto che sei! Non stuzzicarmi con le tue scempiaggini, altrimenti mi costringerai a pigliarti a schiaffi!”.
7. E adesso dimMi: “Che cosa potresti ancora fare con un simile dissoluto carnale, nel caso in cui tu non detenga nessuno dei poteri dello Stato?”. Se tu lo ammonisci una seconda volta, non puoi che attenderti un'altra risposta più rozza e rabbiosa della prima! E poi, che cosa ne sarà?
8. Tu potrai anche operare un miracolo davanti a lui, ma credi che ciò varrà ad aprirgli gli occhi e gli orecchi? Oh, per nulla affatto; egli considererà il tuo prodigio come un'opera di magia e ti dirà: “Fanne pure altri di tali divertenti prodigi!”, ma Io ti dico che devi fare un prodigio che non lo danneggi, altrimenti ti metterà le mani addosso e lotterà con te fino alla morte; e anche se poi lo ridurrai all'impotenza, egli si sfogherà lanciando contro di te le più orrende maledizioni!
9. Perciò un fornicatore non è soltanto un caprone libidinoso, ma, in uno stato di eccitazione, è anche un essere molto malvagio; egli è divorato continuamente dal suo fuoco selvaggio ed è cieco e sordo di fronte ad ogni cosa buona e vera che sia dello spirito. Ti sarà molto più facile convertire un ladrone che non un tale autentico fornicatore e adultero».
La benedizione di una procreazione secondo l’Ordine divino.
1. (Il Signore:) «Ebbene, laddove la libidine e la fornicazione, come una vera peste dell'anima, hanno fatto irruzione fra gli uomini, anche la predica del Vangelo può considerarsi finita! Infatti, come si dovrebbe e come si potrebbe parlare ad orecchi sordi ed operare prodigi davanti ad occhi che sono ciechi? Ma se non viene predicata e non può neanche mai venire predicata la Verità - l’unica che può irrobustire l'anima e renderla libera e compenetrarla della sua luce, dato che solo mediante la Verità l’anima si satura fattivamente d'amore e per conseguenza anche di luce - da quale altra parte mai potrebbe venire all'anima una luce, e da quale altra cosa mai, che non sia appunto la luce di Verità dell'anima, potrebbe poi formarsi una sfera vitale esteriore?
2. Laddove dunque la fornicazione e la prostituzione si sono fortemente annidate in un popolo, gli individui sono assolutamente privi di ogni sfera vitale esteriore; si fanno pigri, vili e insensibili, e niente è più capace di suscitare in loro un qualche senso di diletto un po’ più nobile e beatificante, e nemmeno la vista di qualcosa di bello riesce a scuoterli. La loro unica aspirazione è costituita dal muto, animalesco piacere dell’istinto carnale; a tutto il resto essi non sono accessibili che minimissimamente, se non addirittura proprio per niente!
3. Fate dunque in modo soprattutto che questo vizio non prenda piede in nessun luogo, e i mariti e le mogli dal canto loro si limitino nei rapporti carnali strettamente a quello che è proprio indispensabile alla procreazione di un essere umano.
4. Chi disturba la propria donna durante la gravidanza, costui guasta il frutto già dentro il corpo materno e gli inocula lo spirito della lussuria, perché quello spirito, che incita e costringe i coniugi a compiere l'atto carnale oltre alla misura prescritta dalla natura, trapassa poi potenziato nel frutto.
5. Durante tale atto procreativo, si deve badare bene e con tutta coscienza al fatto che, in primo luogo, l'atto stesso non si compia sotto la spinta di un volgare sentimento di libidine, ma per vero amore e per inclinazione dell'anima; in secondo luogo, poi, al fatto che la donna, una volta che abbia concepito, sia lasciata tranquilla e in pace fino a buone sette settimane dopo il parto!
6. I fanciulli, generati in tale maniera ordinata e maturatisi indisturbati nel corpo materno, da un lato verranno al mondo già più perfetti nell'anima, dato che l'anima, in un organismo perfettamente sviluppato, può certamente curare il proprio focolare spirituale prima e più facilmente che non in un organismo del tutto guasto, dove essa trova continuamente qualcosa che deve venire riparato e rattoppato. Dall'altro lato, poi, essa stessa è più pura e più limpida perché non viene molestata dagli spiriti della libidine, i quali, in seguito agli atti procreativi spesso giornalieri, che si susseguono sotto la spinta della lussuria, vengono trapiantati nella carne e anche nell'anima dell'embrione.
7. Con quanta facilità allora una simile anima, già nella più tenera fanciullezza, possa, come un Samuele, elevare il proprio animo a Dio sotto l'impulso di un vero filiale, innocentissimo amore! E quale splendida traccia fondamentale di vita originaria si imprimerà in tal modo, dalla vera profondità dell'animo, sul giovane e tenero cervello! E questo avverrà prima di ogni traccia materiale, e in modo totalmente luminoso e chiaro, per cui in seguito, da questa luce, un bambino si spiegherà nel giusto significato e rapporto le immagini che arriveranno dal mondo materiale. Infatti queste immagini vengono per così dire impiantate su un terreno pieno di luce, vero e vitale, e vengono ingrandite e come scomposte nelle loro singole parti, ed essendo illuminate da parte a parte nel modo migliore, esse vengono anche facilmente osservate da parte a parte e comprese dall’anima.
8. In tali fanciulli già per tempo comincerà a formarsi una sfera vitale esteriore, ed essi, ben presto e facilmente, acquisteranno la facoltà della veggenza, e tutto ciò che è nel Mio Ordine comincerà a ubbidire alla loro volontà; ma che cosa sono invece i fanciulli guasti già nel corpo materno? Io ve lo dico: “A mala pena qualcosa di più di ombre della vita apparentemente animate!”. Ed a che cosa va principalmente attribuita la colpa? A nient’altro che a quello che Io, fino alla sazietà, vi ho indicato come conseguenza della libidine!
9. Nel tempo futuro, in qualsiasi luogo la Mia Parola verrà predicata da voi, questo insegnamento non dovrà mancare, poiché esso coltiva il terreno della vita, e lo libera da tutti i pruni, i rovi e le spine su cui nessuno ancora ha mai raccolto uva e fichi. Ma quando il terreno è purificato, allora è facile spargere la nobile semente della vita dentro ai solchi compenetrati dalla luce dell'animo e riscaldati dal calore vitale della fiamma d'amore. Non un granellino cadrà senza germinare immediatamente e svilupparsi in breve tempo in una rigogliosa pianta portatrice di abbondanti frutti vitali! Su di un terreno selvaggio e immondo, invece, voi potete seminare quello che volete, ma non otterrete mai un raccolto benedetto!
10. Infatti, chi annuncia la Mia Parola e la sparge fra gli uomini, è simile ad un seminatore il quale una volta, dopo aver preso con sé del finissimo grano, lo spargeva su qualunque terreno gli capitasse di andare.
11. Ora successe che una parte cadde sull'arida sabbia e sulle pietre; quando poi venne la pioggia, i grani di semente cominciarono certo a mettere teneri germogli, sennonché la pioggia ben presto cessò e vennero invece dei venti e i raggi cocenti del Sole, i quali in breve tempo consumarono tutta l'umidità raccoltasi su quel duro terreno, e così morirono i teneri germogli appena spuntati, togliendo ogni speranza di qualche frutto.
12. Un'altra parte della semente cadde tra i rovi, trovò dell'umidità, germogliò bene e sbocciò; tuttavia fin troppo presto le pianticelle furono sopraffatte e soffocate dalla zizzania delle brame del mondo, e per conseguenza anche qui il frutto venne a mancare.
13. Dell'altra semente ancora cadde sulla via della volgarità umana e non arrivò nemmeno a germogliare, dato che fu in parte calpestata e in parte mangiata dagli uccelli dell'aria! Che neppure da questa semente fu possibile ottenere del frutto, è cosa che non occorre neanche menzionare.
14. Solamente una parte cadde su un buon terreno, germogliò e crebbe vigorosa, e diede infine un abbondante raccolto.
15. Questa similitudine però vi serva da insegnamento, affinché vediate che le perle non vanno gettate in pasto ai porci! Infatti, anzitutto è necessario purificare e concimare il terreno, e soltanto dopo si può spargere il seme vivente della Parola; allora è certo che il pesante lavoro della semina non sarà stato una fatica inutile! Infatti, per il lavoro della diffusione della Mia Parola vivente, la sola buona volontà non è del tutto sufficiente, perché essa deve venire guidata da una giusta e vera sapienza della vita, altrimenti un propagatore della Mia Parola, armato semplicemente di buona e ferma volontà, potrebbe venire paragonato al profeta Balaam, il cui asino era più saggio di lui!
16. Vedi, o Cirenio, amico Mio, è vero che in tutto ciò che Io ti ho detto finora non hai ancora effettivamente ottenuto una soddisfazione alla tua richiesta, e nel tuo cuore sei già in procinto di ricordarMelo, però ti dico che la soddisfazione immediata della tua richiesta non ti avrebbe giovato granché se Io non avessi fatto precedere appunto quanto ti ho detto ora».
La costituzione del cervello umano.
1. (Continua il Signore:) «Ed ora vedremo se saremo in grado di procurarci un complesso di tabelline del cervello per il vostro più preciso ammaestramento! Per mezzo di Raffaele noi potremmo certo farci portare immediatamente qui un paio di teste umane naturali, e precisamente da Roma, dato che appunto in questo istante là sono stati decapitati, addirittura sul Campidoglio, due dei peggiori malfattori! Però simili teste di scellerati ci servirebbero a poco o addirittura per niente!
2. Bisognerà dunque fare in modo che l'angelo ci procuri invece quattro selci di materiale adatto, perfettamente bianche e pure, togliendole da qualche ruscello, e con queste cercheremo di rappresentare un cervello umano nel modo migliore concesso dalle possibilità della materia. Va dunque, o Raffaele, e portaci qui quanto ci occorre!»
3. Raffaele allora scomparve per circa sette istanti, e poi improvvisamente riapparve e depose sulla mensa davanti a noi, o meglio davanti a Me, quattro pezzi di selce bianchissima. Due erano più grandi e due più piccole; le prime due corrispondevano al cervello anteriore più grande destinato a ricevere le impressioni delle immagini, le altre due al cervello posteriore più piccolo per la registrazione dei suoni.
4. E quando quelle pietre furono poste in buon ordine dinanzi a Me, Io le toccai, ed esse si fecero trasparenti come un purissimo cristallo di roccia. Dopo di ciò Io alitai su di esse, e le masse si suddivisero in milioni di piramidine a quattro facce triangolari, ciascuna delle quali era costituita da tre lati o superfici esterne e dalla superficie di appoggio.
5. Le due selci che stavano alla Mia destra raffiguravano il cervello nello stato di ordine perfetto, e quelle alla Mia sinistra invece il cervello nello stato invertito in seguito a falsa educazione e ad altre influenze negative, come si verifica comunemente fra gli uomini.
6. In quest’ultimo caso però non si trattava esclusivamente di piramidi, ma accanto a poche piramidi apparivano pressoché tutte le forme, le figure ed i tipi stereometrici, e ciò si vedeva con tanta maggiore esattezza in quanto Io, mediante un nuovo alitare, avevo ingrandito dieci volte le riproduzioni dei cervelli che avevo dinanzi a Me, in maniera che agli occhi sbalorditi dei discepoli si rivelavano ormai quattro voluminosi ammassi di materia che rappresentavano i cervelli disposti in buonissimo ordine sulla mensa, la quale, a questo scopo, per opera di Raffaele dovette venire ingrandita rapidamente in misura considerevole.
7. Io allora dissi: «Ecco, adesso voi potete osservare separatamente e in maniera ben distinta tutte e quattro le masse cerebrali.
8. Vedete, qui sulla destra, il grande cervello anteriore consiste tutto di piramidi estremamente regolari, e così pure il piccolo cervello posteriore consiste delle stesse piramidi, solo che quest'ultime sono tre volte più piccole, e tuttavia sono grandi più che a sufficienza per l’anima per ricevere tutta la gamma delle vibrazioni dell'aria.
9. Ma ora guardate i due ammassi alla Mia sinistra! Qui, come già osservato prima, si rivelano delle forme molto differenti tra di loro le quali non combaciano perfettamente in nessun punto; ora qui, ora là c'è uno spazio vuoto il quale genera ogni tipo di falsi riflessi come avrete occasione di convincervi più tardi con i fatti. Il cervello posteriore, che è del tutto simile a quello anteriore, ha esso pure le sue tabelline ridotte ad un terzo della grandezza in rapporto a quelle del rispettivo cervello anteriore. Osservate dunque un po’ queste forme».
10. Tutti allora si avvicinano per ammirare i cervelli rappresentati artisticamente dalle quattro selci in proporzioni maggiori del naturale, fino ad ora raffigurati unicamente nella loro forma di tabelline piramidali, senza alcuna suddivisione in camere interiori e senza alcun raccordo delle tabelline cerebrali fra di loro.
11. (Il Signore:) «Ecco, quando tutti si saranno fatti l’idea più chiara possibile di ciò, Io allora, mediante un ripetuto alitare, separerò in camere le tabelline cerebrali e provocherò una loro congiunzione polare in ciascuna camera, nonché la congiunzione delle camere tra di loro e quella del cervello anteriore col posteriore, affinché in questo modo le tabelline cerebrali, di qualsiasi specie possano essere, siano rese atte ad accogliere delle immagini e dei segni»
12. Cirenio stenta molto a rimettersi dal suo sbalordimento ed infine esclama: «Ah, adesso comincio a vederci un po' chiaro! I primi abitanti dell'Egitto, i quali per primi hanno edificato le loro scuole in forma di piramide, erano certamente degli uomini animici originariamente perfetti, quindi colmi della luce interiore, e potevano osservare la struttura organica del loro corpo! A questi primi abitanti d'Egitto tali forme piramidali devono essere certo state visibili e riconoscibili come le più importanti per la conoscenza umana, e ispirandosi a questo concetto essi hanno scelto questa forma anche nella costruzione dei loro grandiosi edifici scolastici. Anzi, essi avranno potuto scrutare esattamente, da cima a fondo, la disposizione di ogni singola piramide tabellare cerebrale, ed avranno poi dato anche internamente a ciascuna piramide, da loro costruita in proporzioni assai grandi, la stessa disposizione che essi avevano trovato sussistere organicamente in una piramide tabellare del [loro] cervello.
13. Ed è perciò che una piramide di questa specie ha nel suo interno tanti e così svariati corridoi e stanze, considerando le quali anche la persona più savia ed intelligente non può assolutamente raccapezzarsi, né comprendere di quale utilità possa essere stata questa o quell'altra cosa! O Signore! Questo mio giudizio è sì o no ben fondato?»
14. Ed Io rispondo: «Il tuo giudizio è perfettamente vero e buono, perché veramente era così, e per la stessa ragione gli egiziani hanno anche fatto dipingere le pareti delle piramidi, specialmente all'interno, con ogni tipo di segni, di iscrizioni, e di immagini che in via di rispondenza rappresentavano tutto quello che un essere umano nella sua carne deve passare su questa Terra e tutte le lotte che egli deve sostenere, nonché come deve fare per riconoscere se stesso e per riconoscere che il vero amore è il punto centrale di ogni vita».
Il nesso esistente fra il cervello anteriore e quello posteriore.
1. (Continua il Signore:) «Ma ora Io aliterò nuovamente su queste quattro masse cerebrali, e poi tu avrai occasione di vedere qualcosa di simile agli OUBELISKE (obelischi) (colonne a punta) che si innalzano a due a due davanti ad ogni piramide [egiziana]. Certamente queste colonne a punta furono destinate ad uno scopo diverso da quello delle colonnine che si trovano a due a due dinanzi a ciascuna superficie delle tabelline delle piramidi cerebrali; infatti le colonne a punta davanti alle piramidi indicavano semplicemente che la sapienza andava cercata dentro alle piramidi, e per questo l’accesso era consentito solo ad una persona di provata purezza.
2. Le due colonnine, invece, collocate davanti a ciascuna superficie delle tabelline cerebrali, in modo che ciascuna piramidina cerebrale viene così ad averne otto, sono le matite per mezzo delle quali, in seguito al movimento impresso a loro dagli appositi nervi del cervello che si trovano collegati in maniera supremamente geniale mediante un sistema meccanico-organico con i nervi della vista o con quelli dell'udito, le tabelline vengono ricoperte, secondo un ordine determinato, di caratteri oppure di altre immagini spirituali corrispondenti.
3. Ma ora dedicate la vostra particolare attenzione a quello che seguirà; noi adesso riempiremo queste matite di una linfa, e cominceremo a considerare anzitutto il cervello in ordine! Ecco, Io voglio che le tabelline di questo cervello vengano anzitutto accuratamente ricoperte di caratteri in modo del tutto ordinato, come se ciò provenisse da un animo, sia per quanto riguarda la vista che l'udito!
4. Allora tutti si sforzarono di fissare lo sguardo e di concentrare al massimo la loro attenzione su questi nostri cervelli artificiali, e rimasero in attesa di quello che sarebbe seguito. Certamente, in questo caso Io dovetti far sorgere le immagini dalla cruda luce materiale, perché della luce dell'anima, considerato che i Miei discepoli guardavano con gli occhi della loro carne, non se ne avrebbe potuto far nulla. Ma che cosa scorsero questi osservatori attentissimi?
5. Essi scorsero come dalle estremità di quelle matite si riversassero sulle tabelline delle piramidi cerebrali una quantità di stelline di color rossiccio ed azzurrognolo, e precisamente in un ordine tale che chi fosse stato dotato di una vista molto acuta avrebbe potuto vedere come con quelle innumerevoli stelline si formavano sulle tabelline ogni tipo di minuscole immagini meravigliosissime.
6. Certamente, per quegli istanti Io feci in modo che gli occhi degli osservatori acquistassero per qualche tempo la forza di ingrandimento di un buon microscopio, ciò che in quel caso era quanto mai necessario, dato che altrimenti gli osservatori non avrebbero visto granché delle mirabili immagini e forme della luce, né sarebbe stato sufficiente a tale scopo l'ingrandimento al decuplo delle piramidi cerebrali di prima! Ma poiché ormai essi vedevano le tabelline cerebrali ingrandite al centuplo, erano in grado di scorgere già molte cose.
7. Io allora domandai a Cirenio che cosa vedesse. Ed egli rispose: "Oh, Signore! Una meraviglia dopo l'altra! Dai piccoli obelischi posti dinanzi alle piramidi cerebrali, in continua agitazione e costituiti da moltissimi organi che si incrociano in ogni senso per tutta la loro lunghezza, sgorgano incessantemente un gran numero di stelline di color rossiccio chiaro e azzurrognolo chiaro. Le coppie, per così dire, di antenne, sono in continua attività su ciascuna delle quattro facce delle piramidi e lavorano senza interruzione con le loro punte che sprizzano scintille qua e là sulle rispettive tabelle triangolari con la massima sveltezza, e cospargono quest'ultime di stelline. Certo si sarebbe portati a credere che da tutto questo lavorìo intorno alle tabelle triangolari delle piramidi, apparentemente senza senso e come fosse casuale, non dovrebbe risultare che una quantità di sgorbi; ma invece si stanno componendo quasi automaticamente delle figure regolari di ogni specie che procurano molto diletto all’occhio.
8. Ecco, adesso io osservo anche come nelle due antenne subentra una quiete assoluta non appena una superficie triangolare è completamente ricoperta di segni. Ma davvero è a mala pena credibile che tutti questi segni e queste minuscole immagini in numero di mille volte mille abbiano potuto venire tracciate dalle due matite viventi su una simile tabella triangolare in questo breve tempo! Le forme sono certo ad ogni modo molto piccole, quantunque una tabella di questa specie noi la vediamo alta quanto un uomo di grande statura, ma queste immagini e questi segni piccolissimi sono tanto nitidi che qualcosa di più nitido e perfetto non lo si potrebbe immaginare.
9. Ma perché nel cervello posteriore, sulle rispettive tabelline del tutto simili a quelle del cervello anteriore, non è possibile vedere alcuna di quelle piccole immagini? Io non riesco a scoprire che delle lineette, dei punti ed altri segni uncinati che non saprei proprio cosa vogliano significare! Che spiegazione potrebbe venire data di questo fenomeno?"
10. Dico Io: "Questi sono altrettanti segni del suono e della parola; tuttavia essi, là dove sono, non stanno isolati a sé, ma invece si trovano sempre in uno stato di raccordo polare con la superficie di una delle tabelline triangolari del cervello anteriore, e il suono o il concetto registrato sulla tabellina del cervello posteriore mediante linee, punti ed altri segni ad uncino, viene registrato nello stesso istante pure sulla corrispondente faccia della piramide del cervello anteriore, di solito quella inferiore che forma la base della piramide, come una minuscola immagine corrispondente al suono o al concetto, e così questa viene presentata all'anima per un riconoscimento più agevole.
11. Per ottenere questo effetto, deve venire tesa una quantità di filamenti nervei da ciascuna piramide cerebrale dell'occipite a ciascuna piramide del capo anteriore, altrimenti nessuno potrebbe raffigurarsi in maniera chiara un concetto appreso, o una cosa, oppure un'azione descritta con parole.
12. I suoni inarticolati e così pure la musica non vengono registrati; perciò anche nessuno può rappresentarsi una qualche immagine o una qualche cosa in base ad un suono, o ad un'armonia o melodia. Infatti, come già detto, simili suoni non vengono registrati sulle tabelline cerebrali del cervello anteriore, ma rimangono impressi unicamente sulle corrispondenti facce delle piramidi dell'occipite sotto forma di linee, punti ed altre figure ad uncino.
13. In compenso dalle facce delle piramidi dell'occipite, segnate unicamente in corrispondenza ai suoni, si dipartono dei nervi attraverso il midollo spinale fino ai nervi della bocca dello stomaco (gangli), e da questi fino al cuore; ecco perché la musica, sempre che sia del tutto pura, esercita un’influenza principalmente soltanto sull'animo, lo domina e non di rado lo intenerisce e lo rende sensibilissimo.
14. Ma uscendo e salendo dall’animo, i suoni possono tuttavia essere disegnati come forme sulle tabelline del cervello mediante la luce dell’amore, come appunto avviene attraverso le stelline sprizzanti da due piccoli obelischi. E allora i suoni non di rado sono per l’anima dei veri segnali indicatori verso i grandi padiglioni vitali dello spirito. E per questa ragione una musica retta e totalmente pura può essere di grande aiuto all'anima per unirsi completamente col proprio spirito! Imparate dunque ed insegnate anche la musica, purché sia pura come la coltivò un giorno Davide!
15. Che una musica molto pura abbia questo potere, voi lo potete rilevare dal fatto che, se radunate in un dato luogo nemici ed amici e fate risuonare una musica pura in mezzo a loro, vedrete che ben presto invece di nemici vi troverete dinanzi unicamente degli affabili amici. Certamente, un effetto simile lo può ottenere soltanto una musica che sia del tutto pura; una musica impura e rozza ottiene invece addirittura l'effetto opposto.
16. Ecco che ora tu hai visto come perfino i suoni vengono rappresentati pervie indirette all'anima come qualcosa di visibile, quantunque non come immagini concrete ma tuttavia come forme superiori spirituali raffigurate da ogni tipo di segni, quali di simili se ne riscontrano sugli antichi monumenti egiziani. Ed Io credo che quanto è stato mostrato finora ti riuscirà discretamente chiaro, cosicché non è necessario aggiungerci altro se non che tutto questo avviene solo in un cervello ben ordinato e incorrotto, nell’ordinata preparazione che viene dall’animo e in cui le tabelline cerebrali vengono scritte dapprima con la luce, con svariate forme animiche e spirituali».
La congiunzione degli organi del senso con il cervello.
1. (Il Signore:) «Ed ora che noi abbiamo osservato e compreso preliminarmente questi punti importantissimi della costituzione del cervello, per comprendere interamente la cosa dobbiamo gettare ancora qualche rapido sguardo su come infine l'anima fa imprimere sulle medesime tabelline cerebrali anche le immagini provenienti dal mondo materiale.
2. Guardate qui; ora sulle tabelline cerebrali verranno impresse anche delle immagini provenienti dagli organi della vista. Io lo voglio; dunque così avvenga!
3. Osservate un po' le matite od obelischi collocati in maniera particolare dinanzi alle due superfici triangolari, guardate come essi hanno improvvisamente acquistato un colore cupo: sembra quasi che siano stati riempiti di un umore di tinta molto scura, ed ecco, sulle tabelline cerebrali già ci troviamo disegnati noi tutti intenti a parlare, nonché gli alberi, il paesaggio e tutto ciò che colpisce la nostra vista! Però non si tratta di immagini unilaterali e morte, ma si tratta invece di immagini multilaterali e come viventi.
4. Ogni movimento che noi facciamo, qui viene riprodotto una volta, come anche mille volte mille volte, e tuttavia le posizioni precedenti - siano esse mille oppure anche una sola - rimangono impresse nelle camere interne della piramide e sono continuamente visibili agli occhi dell'anima, dato che vengono illuminate ininterrottamente dalla luce animico-spirituale; e ciò genera l'effetto che in parte si chiama "memoria" ed in parte "ricordo", perché le immagini restano aderenti internamente alle piramidi del cervello. Tali immagini però si moltiplicano con il moltiplicarsi delle riflessioni interiori, in modo tale che l'uomo può portare in sé lo stesso oggetto un numero infinito di volte.
5. Così avviene che ciascun essere umano, particolarmente nella sua anima e in misura indicibilmente ancora più grande nel suo spirito, porta in sé tutta intera la Creazione dalla massima alla minima delle sue parti, perché egli stesso è sorto da questa Creazione.
6. Se egli ora ammira le stelle, la Luna o il Sole, tutto ciò viene nuovamente registrato nei suoi organi cerebrali nella maniera che vi ho ora indicato e l'anima lo contempla traendone un vero e serio compiacimento, e il complesso di quanto visto, in seguito al diletto provato dall'anima, viene immediatamente impresso molteplicemente per via della riflessione interiore, naturalmente in proporzioni minimissime, nelle camere interiori ed interiorissime delle piccole piramidi cerebrali; l'anima poi può sempre ritrovare tutto e contemplarlo più perfettamente.
7. Tutte le immagini provenienti dalla sfera del mondo esterno appaiono in sé solo come immagini scure; ma quelle luminose, che si trovano dietro a loro e che derivano da una sfera vitale migliore, rischiarano pure le immagini naturali, e perciò queste risultano illuminate a sufficienza in tutte le loro parti, così da permettere all'anima di vederle da cima a fondo, di scrutarle e di comprenderle.
8. Oltre a ciò, particolarmente il cervello anteriore è in collegamento continuo con i nervi dell'olfatto e del gusto, un collegamento simile sussiste anche fra il cervello dell'occipite e la totalità dei nervi del tatto. Tutti questi nervi lasciano sulle tabelline cerebrali, appositamente destinate a ciò, certe impronte, da cui l'anima riconosce immediatamente con la massima facilità quale profumo, ad esempio, abbia l'uno o l'altro fiore o balsamo che sia, oppure quale sapore e odore abbia questa o quella vivanda, o frutto oppure bevanda, dato che il meccanismo cerebrale è strutturato in modo che ciascuna tabellina che registra gli odori ed i sapori sia in strettissima congiunzione con l'una o l'altra delle tabelline che registrano le cose mediante nervi estremamente sensibili.
9. Quando in qualcuno un noto odore mette in azione i nervi dell'olfatto, allora l'impressione viene immediatamente trasmessa su una corrispondente tabellina dell’olfatto, oppure del gusto se si tratta di un sapore. Da questa tabellina l'impressione viene poi comunicata all’istante alla corrispondente tabellina che registra gli oggetti e le cose, e l'anima allora riconosce rapidamente e con facilità con che cosa stia in relazione l'odore o il sapore. Nello stesso modo, per mezzo dell’occipite, la cosa, che in qualche modo ha eccitato il senso del tatto, viene rappresentata all’anima da parte dell’intero senso del tatto nella sua forma e costituzione. Però, come detto ora, tutto ciò si verifica in maniera ben riconoscibile soltanto se si tratta di un cervello che si trova in uno stato di massimo ordine; in quello guasto, invece, noi troveremo qua e là a mala pena qualche vaga rassomiglianza con questo cervello ordinato, cosa questa di cui potremo ben presto convincerci praticamente con i fatti.
10. Se voi osservate questo secondo cervello nella sua struttura tabellare e al modo irregolare in cui sono disposte le suddivisioni in camere principali e secondarie, voi allora potrete già scorgere un miscuglio di figure stereometriche fra le quali anche dei dischi, delle sfere, degli sferoidi ed altre simili formazioni poltigliose. Gli obelischi situati davanti alle tabelline non sono per lo più assolutamente visibili, oppure, se lo sono ancora, appaiono atrofizzati e raramente sono di una grandezza e forza in qualche modo uguali!
11. Ma come può un simile cervello essere di qualche utilità all'anima? Questo cervello, come è qui rappresentato, per i motivi già spiegati è venuto fuori già guasto dal corpo materno. Ora però noi vedremo subito quale sarà il corso del suo sviluppo sotto l'influenza dell’usuale educazione mondana, e quale sarà la meta cui potrà arrivare! Fate dunque tutti bene attenzione!».
Il cervello non rovinato e quello guasto.
1. Chiede Cirenio un po' sconcertato: «O Signore! Questo cervello, qui prodotto da Te in maniera onnipotente e meravigliosa, si è davvero trovato anch'esso guasto già dentro ad un corpo materno in seguito alle ripetute e non necessarie pratiche carnali?»
2. Ed Io gli rispondo: «Oh, amico Mio, che domanda è mai questa? Non ho detto poco fa che tutto ciò non è che una rappresentazione di quello che succede nella realtà? A chi mai potrebbe venire in mente che questo cervello, qui artificialmente raffigurato unicamente a scopo d'istruzione, si sia davvero guastato dentro ad un corpo materno? Si tratta semplicemente del fatto che esso è perfettamente simile ad un cervello naturale, e perciò Io ho detto: “Questo cervello è uscito già guasto, come lo si vede qui, fuori dal corpo materno!”. Non si tratta dunque che di una dizione alquanto più precisa agli scopi di una più facile comprensione, e la cosa quindi è in sé soltanto una imitazione della realtà, ma non una realtà assoluta! Ora ti è tutto chiaro?»
3. Dice Cirenio: «O Signore! Perdona la mia grande stoltezza, perché ormai vedo che la mia domanda non è stata davvero che stolta»
4. Ed Io allora osservo: «Io ben sapevo che te ne saresti accorto, sennonché alla tua domanda, certo molto sciocca, tu fosti indotto da uno spruzzo di ricordi mondani nel tuo cervello, e da ciò puoi arguire che genere di sapienza offra ed in generale possa offrire, ad un'anima bramosa di verità, tutta la cosiddetta esperienza del mondo!
5. Tutte le domande dei sapienti del mondo sono già in sé e di per sé eminentemente sciocche; ma come possono allora risultare le risposte che altri esperti del mondo indirizzano agli interroganti? Se già la loro luce non è che notte e tenebra, quale fosco aspetto non avranno poi la loro vera notte e le loro reali tenebre?
6. Guardatevi perciò da ogni sapienza del mondo, perché Io vi dico che essa è molto più tenebrosa e maligna di ciò che la rispettabilissima sapienza mondana chiama stoltezza! Infatti, ad uno stolto del mondo è facile portare aiuto, mentre un tale in cui la sapienza del mondo abbia messo radici ben salde non lo si può guarire che con grande difficoltà, e talvolta non lo si può guarire affatto. Voi vi fate adesso scioccamente la domanda se la vera e propria sapienza del mondo non sarebbe assolutamente più possibile curarla. La cosa si rende chiaramente evidente in questo secondo cervello rovinato che sta dinanzi a voi!
7. Guardate qui alla Mia destra il cervello allo stato di ordine originario e del tutto incorrotto: quale chiarezza in tutta la sua struttura, dappertutto non c'è che luce, e guardate come ogni parte risulta costituita con assoluta purezza e precisione tanto nella sua forma esteriore quanto nel suo assetto organico interiore! Quali idee e raffigurazioni chiarissime di tutte le cose e di tutti i rapporti non deve poterne ottenere una simile anima? Quanta saggezza e forza vitale sotto ogni aspetto deve avere un uomo dotato di un tale cervello! Chi fra il grande numero dei figli del mondo potrebbe reggere al paragone con lui? Voi prima avete avuto occasione di persuadervi in questi mori del fatto che un'anima nello stato dell'ordine originario può tutto!
8. Ed ecco che ora abbiamo davanti a noi un cervello rovinato, e ben presto vedremo come, in seguito ad una educazione pessima e assolutamente contraria ad ogni ordine, esso venga guastato ancora di più; da ciò poi potrete farvi una idea più che chiara di come una simile sapienza mondana debba apparire totalmente vana e stolta di fronte alla vera sapienza fondata nell’Ordine celeste. Guardate un po’ le condizioni veramente caotiche di questo cervello! In nessun luogo c'è traccia di un nesso ispirato ad ordine; qua e là si vede qualche minuscola piramide anch'essa rattrappita, e tutto l'assieme si potrebbe chiamare un cumulo di macerie piuttosto che un cervello!
9. Questa è la forma che acquista il cervello già nel corpo materno! Cosa può esserne di un uomo così? Che progressi potrà mai fare nella vera scuola della vita con un simile cervello? Certo, forse si otterrebbe qualcosa solo se ci si volesse dedicare con ogni cura ad una giusta educazione dell'animo per dieci anni di seguito! Ma dove si trova oggigiorno l'educazione dell'animo? A questa non si pensa più, e meno che meno nelle classi più alte della popolazione! Le classi basse del popolo poi dal canto loro ormai di una educazione e formazione dell'anima della vita non ne sanno niente di più di quanto ne possano sapere gli animali dei boschi, e le loro qualità sono perfettamente simili a quelle di quegli abitanti primitivi dei boschi che si nutrono e vivono di prede e del sangue di altri animali di natura mite».
Il carattere del sapiente del mondo e la sua infelicità nell'aldilà.
1. (Il Signore:) «Ma per quanto maligna possa essere quest’ultima specie di esseri umani, è tuttavia più facile trasformarli in esseri perfetti che non un genuino sapiente del mondo. I sapienti del mondo hanno bensì sotto un certo aspetto – cioè quello che mira ad un punto solo che quasi sempre è l'egoismo - un intelletto molto acuto, e ciò si spiega col fatto che le tabelline delle piramidi cerebrali, parzialmente e in determinate file, almeno nella zona mediana del cervello si mantengono in ciascun individuo in equilibrio; e questo fa sì che molti sapienti del mondo, consigliandosi reciprocamente, arrivino talvolta a produrre qualcosa di particolare, naturalmente sempre a scopi puramente terreni; ma per quanto concerne l'interiore, il più profondo e lo spirituale, a tutto ciò essi rimangono completamente estranei. Infatti, tra i vantaggi del mondo e quelli invece permanenti in eterno, cioè quelli dello spirito e dell'anima, c'è una voragine insuperabile, per oltrepassare la quale nemmeno il più acuto intelletto del mondo potrà mai in eterno trovare un ponte.
2. E vedete, tutto ciò ha la sua ragione nello stato di radicale rovina in cui già nel corpo materno si trova il cervello umano, e poi nella successiva educazione del cuore e dell'animo, educazione quasi ancor peggiore, perché, se almeno dopo la nascita venisse curata giustamente l'educazione del cuore e dell'animo, ebbene, mediante questa giusta educazione il cervello rovinato nel corpo materno potrebbe in gran parte venire ristabilito in un ordine conveniente, e gli uomini potrebbero in seguito pervenire ad una certa chiarezza e forza vitale, e - certamente solo dopo vari anni e mediante un esercizio assiduo nella vera umiltà e nella vera bontà del cuore - ciò che è stato perduto potrebbe essere o ritrovato del tutto oppure sostituito.
3. Infatti, a chi semina su un buon terreno non potrà neanche mancare il raccolto; ma se su un terreno già magro e cattivo per sua natura non viene mai gettato del concime, né, meno ancora, sparsa una semente di piena verità della vita, come e da dove mai sarà lecito sperare un frutto o addirittura una messe abbondante della vita?
4. Oh, sì, gli uomini del mondo sanno molto bene come scavare e smuovere il suolo materiale della Terra come fanno i maiali e le talpe, e come coltivarvi ogni genere di frutta; essi fanno anche dei ricchi raccolti e colmano i loro granai e i loro depositi, e poi diventano superbi, orgogliosi e perciò anche tanto più insensibili e duri di cuore di fronte all'umanità povera alla quale l'eccessiva avidità dei ricchi e quindi anche dei potenti del mondo non ha concesso in proprietà nemmeno una spanna (20 cm) di terreno con cui potersi mantenere.
5. Di questa cosa, dunque, la gente del mondo se ne intende alla perfezione; ma il terreno dello spirito e della vita eterna essi lo lasciano, ora come sempre, abbandonato e incolto, e poco si curano che vi crescano o spine o triboli, e per conseguenza è facile comprendere come e perché l'umanità di questa Terra, anziché migliorare, diventi sempre più perfida e miserabile. Quando essa si è costruita dei sontuosi palazzi, si è sdraiata su dei soffici letti, si è provvista dei bocconi più ghiotti per tenere il ventre sempre pieno e delle vesti più sfarzose per coprirsi il corpo, essa ha già tutto quello che la sua vita materiale, eminentemente egoistica, può bramare durante il breve tempo della sua vita terrena.
6. Ma quando poi si annunciano i tremendi messaggeri della fine, le malattie e poi la morte, allora la loro anima rattrappita comincia a passare da una angoscia all’altra sempre più grande, e finisce col cadere preda della disperazione, dell'impotenza e della morte, e ciò mentre gli eredi sghignazzanti si dividono i grandi tesori e la sovrabbondanza del defunto pazzo del mondo; e che cosa ottiene costui in cambio nell'aldilà? Nient’altro che, sotto ogni riguardo, la massima povertà, una vita di stenti ed una tale miseria che è indescrivibile per questo mondo, e ciò non soltanto per un tempo breve, ma per un tempo inimmaginabilmente lungo per i vostri concetti, tempo che voi senza esagerazione potrete definire come “eterno”, ciò che del resto è del tutto naturale. Infatti, un'anima, la quale non si è mai preoccupata d’altro se non del proprio corpo, come e da dove potrebbe procurarsi i mezzi per perfezionarsi in un mondo il quale non può, ne deve consistere in altro se non in ciò che un'anima possiede in sé, e che poi, per mezzo del proprio spirituale etere di luce vitale esteriore, si trasforma in un mondo che la circonda e che costituisce la sua dimora?
7. Ebbene, è in un simile mondo che dovrebbe avere inizio il suo nuovo governo di intensissima attività d'amore nel regno spirituale supremamente suo proprio; ma si può forse ammettere che ciò sia possibile quando il suo animo, ovvero il suo cuore, è indurito e insensibile, quando inoltre si sta sempre più immergendo nella rabbia dell’autocommiserazione e quando cova ira e vendetta, dato che in lei lo spirito giace come completamente morto, sordo, muto e cieco, ed in simili condizioni non può in nessun modo contemplare le tabelline cerebrali dell'anima, né averne una chiara visione?
8. Ed anche ammessa la possibilità che un simile spirito celestiale si destasse nell'anima completamente rattrappita e si disponesse a guardare e a tastare quanto vi fosse eventualmente di esistente nel cervello dell'anima per aiutarla con ciò a crearsi una nuova sfera di azione e di dimora, esso stesso nel cervello dell'anima non troverebbe tuttavia niente con cui poter realizzare i suoi propositi d’aiuto. Infatti, è impossibile che di tutto il materiale che l'anima può accogliere in questo mondo nel suo cervello di carne interamente rovinato, qualcosa giunga nel suo proprio cervello spirituale, perché ad una tale trasmissione manca totalmente il mezzo vitale principale, vale a dire la luce proveniente dalla fiamma vitale dell'amore per Dio e del derivante amore del prossimo!».
Le conseguenze di un cervello immerso nelle tenebre dal punto di vista spirituale.
1. (Il Signore:) «Mettete, ad esempio, lo specchio anche più risplendente in una cantina perfettamente buia, e vedrete se esso sarà in grado di riflettere le immagini degli oggetti che si trovano nella cantina! Voi, che conoscete a fondo la vostra cantina, potrete convincervi andando tastoni delle specie di oggetti che vi sono contenuti, nonché, per quanto stentatamente, riconoscere tali oggetti anche senza l'aiuto di un lume; ma uno specchio voi lo collocherete invano nella cantina buia, perché senza luce esso non rimanderà mai ai vostri occhi un’immagine nitida degli oggetti che si trovano nella cantina.
2. Ugualmente così succede in un uomo dal cervello che si è formato sotto le influenze del mondo, che si è rovinato ed è spiritualmente tenebroso; dal buio cervello materiale di un tale uomo non filtra al cervello animico, e quindi già spirituale, nessun raggio di luce che rechi in sé le corrispondenti forme spirituali, e le tabelline cerebrali dell'anima, completamente rattrappite, rimangono in se stesse tenebrose e vuote, e anche se poi la luce dello spirito si insinuasse fino alle tabelline, ciò avrebbe lo stesso significato come se qualcuno collocasse un lume in una stanza perfettamente vuota e imbiancata semplicemente a calce.
3. Cosa potrà egli vedervi? Nient'altro che le pareti vuote! Quale studio potrà compiere là dentro? Certamente nessun altro all'infuori di quello della noia più disperante; ed allora egli si concentrerà e dirà a se stesso: “Vattene via tu da questa camera vuota assieme alla tua luce, perché qui non c'è proprio niente; vada la tua luce là dove c'è qualcosa da illuminare. La luce è fatta perché serva a qualcosa, perché dunque sprecarla per illuminare quattro pareti vuote che restano tali sia che ci sia o che non ci sia la luce?”.
4. Quando la luce degli occhi dello spirito scorge che nell'anima le tabelline cerebrali sono vuote, e si convince che sono effettivamente tali, allora nessuna luce di un occhio spirituale vi penetra più, e là rimangono le tenebre già da subito come pure quasi per tutta l'eternità! Ma se le cose stanno inconfutabilmente così e non altrimenti, allora, da dove può un'anima nell'aldilà trarre il materiale necessario alla costruzione di un mondo per lei abitabile? Come darà essa inizio a un tale lavoro? Voi certo pensate che Io potrò sempre venire in aiuto ad una simile anima miserissima?! Oh, sì, ma mai in eterno sotto la spinta di una specie di misericordia umana, debole e troppo intempestiva, ma soltanto secondo il Mio Ordine immutabile, il quale notoriamente ha braccia lunghissime e mani generose e colme di suprema pazienza.
5. Solo quando sarà raggiunto il culmine della massima miseria, nelle quali condizioni l'anima, per effetto della possente pressione dell'assoluta disperazione, trapasserà in uno stato come di luminosità rovente, soltanto allora dalla suprema angoscia del suo cuore, dunque dal suo animo angustiatissimo, sprizzeranno, come dal fuoco divorante di una fucina, delle scintille roventi fino al suo cervello, ed in questo imprimeranno delle immagini crepuscolari della sua miseria, del suo tormento, delle sue pene, della sua desolazione, della sua impotenza e del suo abbandono. Solo allora l'anima da se stessa giungerà di nuovo a qualche magrissima idea, e solo dopo lunghi tempi essa sarà in grado di costituirsi da sé, con tali immagini estremamente misere, un mondo abitabile assai sterile!
6. Un simile possesso però non susciterà certamente l'invidia di nessuno, e ci vorranno tempi quanto mai lunghi affinché ad una simile anima sia possibile conseguire di per sé un miglioramento delle condizioni di abitabilità del proprio mondo nell'aldilà. Allo scopo di vivificarne attivamente l'animo si renderà nuovamente necessario l'impiego di mezzi esclusivamente violenti! Solo dopo molti e molti stati miserevoli una tale anima perverrà in se stessa per lo meno ad una COPIA di concetti su di sé, tutti dall'aspetto estremamente triste, e così comincerà a mettere in ordine sul proprio terreno le vie sulle quali essa non sarà più esposta con tanta facilità al pericolo di ricadere nella massima miseria e disperazione!
7. Ebbene, questo lo si potrebbe già a buon diritto chiamare un proprio capitale ed un proprio raccolto; però quale limitatezza c’è ancora in tutto ciò, e come tutto si presenta sterile ed incerto!
8. Se qualcuno abbandona in un fitto bosco dei piccoli fanciulli, non è da escludere il caso che l'uno o l'altro riesca a sopravvivere e a crescere. Ammettiamo ora che si mantengano in vita un maschio ed una femmina per il fatto di essere stati abbandonati precisamente sotto ad un albero di fichi, i cui frutti, cadendo loro in grembo, provvedono a nutrirli fino ad una certa età nella quale essi, completamente rinselvatichiti, cominciano a cercare qualche altro nutrimento. Essi così crescono e, giunti al grado di maturità adeguato, generano dei figli, e da loro in un paio di secoli sorgerà un popolo il quale, supponiamo, rimanga senza istruzione e senza rivelazioni dall'Alto.
9. Prova tu adesso ad andare da un popolo in simili condizioni ed informati dello stato della loro cultura, e immediatamente ti convincerai di trovarti di fronte, invece che a degli esseri umani, a delle fiere molto più selvagge e feroci di tutte le tigri, iene, lupi ed orsi. Tra di loro non troverai alcuna traccia di un linguaggio, ma troverai unicamente un’imitazione di tutti i tipi di suoni naturali che servirà loro per comunicarsi reciprocamente le loro brame ed il loro rozzissimo volere. Essi divoreranno crudi i loro simili di razza estranea, la carne degli animali e i vegetali, e in casi di carestia si divoreranno pure fra di loro; tutta la loro attività sarà limitata ad una caccia continua al nutrimento.
10. Solo dopo un paio di secoli, quando essi avranno oltrepassato i confini delle loro immense foreste vergini e si saranno imbattuti in qualche popolo civilizzato, da cui verranno respinti e alcuni di loro verranno fatti prigionieri e cominceranno ad essere educati e, diciamo, dopo che questi casi si saranno verificati più volte e dopo il ritorno dei prigionieri civilizzati, ebbene, soltanto allora tutto il popolo potrà pervenire col tempo ad una forma di civiltà, che però sarà di certo lontanissima da una formazione umana puramente spirituale!
11. Ma quanto tempo ci vorrà prima che un popolo di questa specie giunga almeno alla vostra cultura mondana esteriore, e quanto poi ci vorrà fino al raggiungimento della vostra attuale cultura spirituale, sempre, bene inteso, contando solo sulle vie naturali!».
Le difficoltà del progresso nell’aldilà per un’anima mondanizzata.
1. (Il Signore:) «Naturalmente, con l'intervento della rivelazione dall'Alto lo sviluppo culturale di un simile popolo naturale procederebbe più sollecito. Ma una rivelazione può essere data con maggiore facilità ad un popolo a questo mondo che non nell'aldilà ad un'anima la quale, come già detto, non porta con sé nell'aldilà nemmeno l'ombra di qualcosa che possa apparire sia pure alla lontana come appartenente all’Ordine divino.
2. Quando un'anima così materializzata è giunta finalmente - in seguito ad innumerevoli stati di miseria di tutte le specie e di angustie sovrumane nell’aldilà - al punto di acquisire certi concetti e idee, e al punto di pervenire per mezzo dell'accentuata attività del proprio animo ad una pallida luce nel proprio cervello sostanziale con la quale essa, in conseguenza della sua immaginazione e della sua volontà estremamente misere, va formandosi un mondo chimerico (ingannevole) su cui poter a mala pena abitare miseramente, il quale mondo non può naturalmente avere di gran lunga ancora una consistenza perché è ancora troppo lontano da qualche verità e dal conseguente Ordine divino, ebbene, solo allora si rende possibile provvederla e arricchirla di più svariate e migliori idee per mezzo di emissari che la visitano sotto forma di esseri perfettamente simili a lei, i quali devono procedere con la massima cautela, facendosi notare il meno possibile.
3. E spesso cento anni terrestri sono ancora troppo poca cosa per far arrivare l'anima, che si è guastata completamente su questo mondo, ad un ordine celeste appena tollerabile.
4. Però è e resta quasi impossibile farla progredire oltre il primo cielo che è il più basso, quello cioè unicamente della sapienza, perché il suo cervello non perde mai più le prime tristi caratteristiche, dalle quali ogni tanto continua a svilupparsi una specie di ragione per vendicarsi e di sapienza per farlo. Tutto ciò lascia nel cervello, che ormai si rischiara sempre più, sempre di nuovo anche un’immagine, e crea nell'animo una condizione per cui l’anima vede molto bene che le sue condizioni sono del tutto buone, ma che questo suo stato buono non costituisce di gran lunga un risarcimento adeguato per tutto quello che essa ha dovuto sopportare fino a questo momento.
5. Essa dunque è simile ad un vecchio soldato romano il quale, in considerazione della sua età e delle sue molte ferite e cicatrici, abbia ottenuto in dono dall'imperatore un campo per potersi procurare un buonissimo sostentamento col lavoro delle proprie mani; tuttavia il veterano, soddisfatto da una parte, dall'altra borbotta sempre quando guarda le tracce che le ferite hanno lasciato sul suo corpo, e dice: “Quello che è bene, è senz’altro bene, ma pure è troppo poco per me che tante volte ho esposto la mia vita per l'imperatore, per il popolo e per la patria; i miei vicini non hanno mai dovuto combattere contro un nemico potente e perfido, il loro corpo è sano e diritto e possono lavorare i loro campi con facilità. Io pure ho bensì servitori e serve che mi aiutano a lavorare, ma nonostante ciò non posso fare a meno di sbrigare io stesso di mia mano varie faccende se voglio che una cosa vada proprio in ordine. Certo, io non sono tenuto a versare all'imperatore né imposte, né decime per tutto il tempo della mia vita, e così anche i miei figli - fino alla quinta generazione - ne saranno esonerati, in modo particolare se uno di loro si dedicherà alla carriera militare al servizio dell'imperatore e dello Stato. E non ci mancherebbe davvero altro che un veterano come me dovesse pagare in aggiunta ancora delle imposte all'imperatore! Ma anche senza imposte questa ricompensa, per quanto rispettabile, è troppo poco per me!”.
6. Ed in questo modo anche le anime del cielo più basso tengono continuamente il broncio, specialmente quando in loro sorge il ricordo del passato, cioè di tutto quello che hanno dovuto sopportare per finire, da beati, a dovere continuare a lavorare essi stessi, ed oltre a ciò a lavorare con molta diligenza per procurarsi il necessario sostentamento come quando erano uomini di carne su questa Terra, con la sola deplorevole differenza che là essi non possono acquistarsi nessuna eccessiva sovrabbondanza. Infatti, nell'aldilà una cosa simile non è ammessa, perché i capi delle comunità sanno bene come fare per impedirlo e per rendere vano ogni tentativo in questo senso. E così avviene che queste anime beate non sono mai perfettamente felici, poiché per effetto della loro natura viene sempre a mancare loro qualcosa.
7. Certo, a loro manca discretamente molto; sennonché ciò che manca, per la maggior parte di loro, è quasi completamente irraggiungibile per l'eternità, dato che a questo scopo non esistono affatto in loro gli elementi fondamentali. Essi potrebbero assomigliare anche a certi uomini i quali desiderano di poter volare per l'aria come gli uccelli, e sono spesso colmi di tristezza perché a loro, come uomini, questa prerogativa eccellente è negata, mentre ne possono godere invece, fino ad un grado altissimo della perfezione, tanti animali irragionevoli!
8. Ma a che giova agli uomini un cruccio di questo genere? Per il volo mancano a loro gli elementi fondamentali, e per conseguenza, anche se continuano a crucciarsi ed a tenere il broncio, non arrivano ad ottenere ciò che invece possiedono gli uccelli, vale a dire un bel paio di ali atte al libero volo.
9. Ecco dunque che ora Io ho mostrato a tutti voi a quali risultati deve pervenire nell'aldilà un'anima che nell'aldiquà si è mondanizzata, dato che non è affatto possibile recarle aiuto all'infuori del Mio Ordine che in ogni caso abbraccia tutto, a meno che non si potesse e volesse sopprimere tutto il suo essere e sostituirlo con un essere estraneo, da cui certo l'anima stessa non potrebbe trarre giovamento!
10. Deve venire il momento in cui ciascuna anima è chiamata a formarsi da se stessa, sia qui in questo mondo con facilità, sia più difficilmente nell'aldilà, e a questo scopo le sono stati instillati dei mezzi. Se ha trascurato di farlo qui perché si è lasciata impigliare dalle trame del mondo e allettare dai suoi tesori, converrà che lo faccia nell'aldilà; il modo e la maniera in cui ciò potrà avvenire, Io ve li ho spiegati con tutta chiarezza appunto ora, e così ho dato anche sufficiente risposta alle domande che vi stavano a cuore. E per quanto sia da aspettarsi che voi non atteggerete le vostre facce ad eccessiva letizia dopo aver udito quanto vi ho detto, Io non posso farci proprio nulla, né è possibile apportare alcun cambiamento là dove tutto è definitivamente così ordinato e stabilito, perché è stabilito che tre volte tre non possono mai fare sette, bensì sempre e soltanto nove! E così il melo deve eternamente portare mele ed il fico eternamente dei fichi».
L’influsso di una falsa educazione sul cervello.
1. (Il Signore:) «Ma per comprendere tutto ciò in maniera ancora più chiara ed evidente, noi seguiremo con la massima attenzione questo cervello qui alla Mia sinistra nel corso ulteriore del suo sviluppo.
2. Finora lo si può vedere interamente così come, già guasto dentro il corpo materno, viene partorito nel mondo. Ora però ben presto vedremo che aspetto e che colore assumerà quando il bambino, che si può immaginare come suo possessore, pressappoco nel quinto anno di età abbia risentito dei primi effetti di una educazione alla rovescia, quando cioè si incomincia a turbare e a confondere per quanto possibile la sua memoria obbligandolo a imparare a memoria ogni tipo di cose.
3. Fate adesso attenzione; Io voglio che nel cervello vengano impresse le prime idee del mondo! Guardate bene un po' qui, e scorgerete facilmente come gli obelischi situati davanti ad una o all'altra delle minuscole piramidi cerebrali, sparse disordinatamente qua e là, cominciano, in maniera goffa e con un movimento quanto mai pigro, a tracciare su una tabellina cerebrale l'immagine assai povera di una cosa, imbrattando la tabellina stessa di una sostanza di tinta molto scura.
4. La prima applicazione è da considerarsi a mala pena qualcosa di diverso da un puro imbratto privo di senso, ragion per cui l'anima di un simile bambino inizialmente non può raccapezzarsi molto nel decifrare il concetto della cosa detta davanti a lui. Infatti, ben cento volte bisogna dirla o mostrarla davanti al bambino prima che riesca finalmente a farsene un’idea incisiva, sempre però solo estremamente oscura.
5. La ragione prima di questo fenomeno va ricercata nell’immaturità delle tabelline delle poche piramidi cerebrali, in se stesse ancora in perfetto ordine. Le matite (obelischi) collocate innanzi a queste, ancora assolutamente deboli e mai esercitate, vengono obbligate, con una violenza che procede dall'esterno, a scrivere e disegnare senza un adeguato esercizio precedente sotto la guida dell'animo e senza essere ancora provviste della sostanza necessaria, e oltre a ciò su delle tabelline che non sono di gran lunga ancora debitamente preparate a ricevere una simile impressione. Perciò l'immagine svanisce sempre di nuovo, e non di rado deve venire tracciata per la centesima volta dagli obelischi sottoposti ad un vero lavoro forzato, finché essa, anche se solo in modo debole, possa venire fissata una buona volta sulla tabellina ancora immatura.
6. Ma che utile può trarre un'anima da ciò che, più che un'immagine, è un'ombra? Essa vede tutto unicamente nelle pallide linee esteriorissime del contorno. Trattandosi di un'immagine di questa specie, non esiste neanche alla lontana una possibilità di penetrare nella cosa stessa, e infatti, chi mai sarebbe capace, osservando l'ombra di un uomo, di valutare come egli è fatto interiormente?
Così, mediante un’azione prolungata e costrittiva, le tabelline cerebrali adoperabili vengono per la maggior parte impiastricciate con una tinta nera; anche la Dottrina di Dio viene cacciata a forza nel cervello come l'abc, e la formazione dell'animo consiste semplicemente nelle ore di pausa che di quando in quando interrompono il lavoro di inculcamento dei concetti materiali che concorrono a formare l'intelletto.
7. Solo quando il giovane così tormentato, dopo aver compiuto i cosiddetti studi ovvero dopo aver stipato il proprio intelletto per un determinato scopo “professionale”, giunge ad ottenere un qualche impiego, solo allora il suo cuore ottiene un po’ di maggiore libertà, e poi va in cerca di una ragazza di suo gusto per prenderla in moglie. Il breve tempo che costituisce il periodo d'innamoramento è per un simile giovane ancora il migliore perché, finché esso dura, il suo animo viene almeno un po’ destato, sia pure in maniera molto subordinata, e questo fa in modo che il suo cervello ne ottenga un po’ di luce. Ma solo con l'aiuto di questa poca luce egli comincia ad orientarsi con un po' più di senso pratico in tutto ciò che per lunghi anni ha imparato con tanta fatica, e diventa così una persona un po’ più atta per assolvere un incarico del mondo.
8. Invece, gli individui nei quali nemmeno questo amore riesce a generare nel loro animo un qualche calore, questi restano dei pedanti quanto mai egoisti e stoici, i quali in seguito non sono capaci di innalzarsi, nemmeno di quant'è grosso un capello, al di sopra delle loro tabelline cerebrali insudiciate in maniera stereotipa, e devono limitarsi a sguazzare nello stretto mare delle fosche ombre fissate nel loro cervello, il numero delle quali non può essere eccessivamente grande, ed inoltre tutto ciò che c'è, è nero e tenebroso nonché assolutamente inaccessibile alle facoltà visive dell'anima.
9. L'anima dunque di un simile stoico è, si può dire, completamente cieca, come lo è anche qualsiasi essere umano dotato sia pure di vista acutissima quando è notte profonda, quando cioè è costretto a procedere a tentoni. Così pure anche l'anima di un simile perfetto campione di egoismo non può affatto contemplare quanto si trova registrato sulle sue tabelline. Data una tale formazione alla rovescia del cervello, dove soltanto in seguito alla ripetuta imbrattatura di una tabellina cerebrale riesce infine a rimanervi appiccicata una qualche immagine in modo del tutto stereotipo e plastico, non può affatto salire con efficacia permanente fino al cervello alcuna luce in seguito ad una qualche anche minima commozione dell'animo che praticamente non si verifica. Accade quindi che l'anima è obbligata ad andare a tentoni quando vuole decifrare le immagini tenebrose e stereotipe fissate sulle tabelline del proprio cervello.
10. Ma considerato che una simile anima malconcia si procura la propria sapienza unicamente tastando le sue tabelline cerebrali provviste di scarse ed oscure impressioni, riuscirà probabilmente comprensibile anche il perché una tale anima sia in tutto il suo modo di fare così pedante e stereotipa - com’è conveniente che sia - e perché non ammetta che non ci possa essere niente all'infuori di quello che, nella maniera più rozza e materiale, essa può afferrare e palpare con le proprie mani. Un'anima di questa specie finisce poi col ritenere un’illusione ottica anche ciò che essa con i propri occhi vede nel mondo esteriore, e ritenere menzogna tutto quello che sente; soltanto quello che può tastare da tutte le parti è considerato da essa come una reale verità. Ma che aspetto possano assumere le cose rispetto alla sapienza e ad una cultura spirituale superiore di una simile anima, di ciò può farsi con facilità un’idea chiunque abbia compreso anche soltanto vagamente quanto da Me è stato adesso mostrato e chiarito a sufficienza.
11. Osservate ancora una volta a sazietà questo cervello qui alla Mia sinistra; esso raffigura appunto la tenebrosa camera di sapienza di un simile genuino e stereotipo sapiente di questo mondo, e tu, caro amico Cirenio, che hai due occhi eccellenti, parla e dicci cosa vi vedi dentro!».
Il cervello di un sapiente del mondo.
1. Dice Cirenio «O Signore! Tanto il cervello anteriore quanto il posteriore appaiono alla loro superficie di un colore grigio scuro; più verso l'interno però, nonostante la luce del Sole che vi cade sopra, tutto è nero e tenebroso, ed i punti grigio-biancastri che vi spiccano non rappresentano niente. E qui, per dirla schietta, finisce anche tutto quello che c'è da vedere. Ma una domanda ancora permettimi, o Signore: “Quale eventuale altra funzione hanno le parti di questo cervello rovinato le quali, e sono la maggioranza, non hanno forma di piramide?”»
2. Rispondo Io: «Queste non servono a nulla; esse rappresentano un vero deserto dentro al cervello, e producono nell'anima unicamente la sensazione miseranda di un vuoto infinito nel conoscere e nel sapere, e se tu volessi cominciare ad esporre ad una simile anima addirittura qualcosa riguardo a cose o a rapporti di tipo un po' più nobile e ultraterreno, la prima cosa che sentiresti sarebbe una preghiera di startene zitto, perché, se essa si dedicasse a rifletterci sopra, dovrebbe evidentemente finire al manicomio! Per conseguenza non vale la pena parlare con simili individui, poiché è impossibile che essi riescano in qualche modo a comprendere cose di questo tipo, e le ragioni vere di ciò ti stanno ora chiaramente sott'occhio. Già difficilmente essi comprenderanno completamente le cose naturali o non le comprenderanno affatto; cosa accadrà poi se si tratterà di argomenti spirituali e celesti?
3. Vedi, il bue ha esso pure una bocca, e dentro vi è una lingua lunga e molto grossa, ed esso ha anche una voce particolare. La conseguenza di ciò dovrebbe apparentemente essere che esso pure dovrebbe poter benissimo imparare a parlare; sennonché prova tu ad insegnare a parlare ad un bue, e vedrai se, pur faticando per vent'anni, ti sarà possibile portarlo al punto di pronunciare una parola o anche una sola sillaba! Ma tuttavia ti dico che sarebbe più facile far parlare un bue che non far comprendere qualcosa di soprannaturale ad un essere umano provvisto di un simile cervello! Infatti, se comincerai a parlargli di qualcosa che sia troppo al disopra del limitatissimo orizzonte delle sue conoscenze, egli tutt'al più comincerà a riderti bonariamente in faccia e ti gratificherà del titolo di pazzo! E se vorrai insistere nell'ammonirlo con simili argomenti da lui confinati nel regno del favoloso, egli si infurierà e ti mostrerà la porta!»
4. Dice Cirenio: «Ma allora come si farà ad annunciare la Tua Parola a gente di questa specie, di cui ce n'è pure una quantità assai grande a questo mondo?»
5. Dico Io: «Se presso la gente dalla quale voi andrete, troverete un cuore accessibile, ed essi vi accoglieranno nelle loro dimore, allora rimanete e cercate prima di tutto di vivificare, per quanto sarà possibile, il loro animo in cui intuirete che c’è qualche barlume di vita. Se farete così, l'animo di questi individui, che si farà sempre più attivo, comincerà a diffondere un po’ di luce nei cervelli, ed il calore di questa luce inizierà un lavoro, che poi si accentuerà sempre più, di riordinamento discreto delle tabelline cerebrali, e costoro si faranno ben presto ancora più accessibili ad un insegnamento superiore, e così di gradino in gradino potranno salire ad una luce sempre più pura.
6. Ma se in colui dal quale andrete, vi accorgerete che l'animo è completamente morto, allora andatevene immediatamente! Infatti, non vi è lecito gettare le perle in pasto ai porci! Comprendete bene adesso? Se a qualcuno di voi non è ancora perfettamente chiara l'una o l'altra cosa, ebbene, che si faccia avanti, e gli verrà data una risposta adeguata! Altrimenti bisognerà togliere via da qui questi due cervelli»
7. Ma a questo punto ecco avvicinarsi il vecchio Marco, il quale dice: «O Signore, mezzogiorno si avvicina; è tempo che io cominci a provvedere per il pranzo?»
8. Ed Io gli rispondo: «È senza dubbio molto lodevole che tu ti preoccupi di ciò e che Me lo faccia notare! Ma il ristoro per l'anima e per lo spirito che viene dalla Mia bocca, ha una precedenza incalcolabile rispetto al tuo ristoro materiale! Di conseguenza prima noi ci offriremo ancora qualche vivanda spirituale, e poi Io Mi riservo di dirti quando sarà giunto il momento di provvedere anche al ristoro del corpo. Il buono è certo buono, ma il meglio resta pur sempre il meglio».
9. Marco allora accetta soddisfatto questa decisione e si ferma egli pure assieme ai suoi figli per assistere a quanto ci sarebbe stato ancora da vedere e da udire.
La questione dell’origine del peccato.
1. E Oubratouvishar si fa innanzi a sua volta e Mi dice: «O Signore, Signore! Ma questi fratelli bianchi prima non sapevano proprio niente di quanto ora hai spiegato loro così saviamente? Da noi, e siano rese ogni lode a Te, queste cose le sanno già i nostri bambini. Infatti tutti sono in grado di contemplarsi interiormente, ed essi provano sempre grande gioia quando possono raccontarci qualcosa dei bei giardini che ogni tanto riescono a scorgere in loro stessi! Ma che cosa hanno dunque fatto questi fratelli bianchi per essersi resi incapaci di simili contemplazioni importantissime? Però, se sono privi di tali capacità quanto mai importanti, non sono più degli uomini nel vero senso della parola, ma si potrebbero paragonare a delle grandi scimmie come ce ne sono tante da noi, con la sola differenza che essi sono più perfetti per quanto riguarda l’uso del linguaggio!
2. Noi tutti ci siamo molto meravigliati quando Tu cominciasti a spiegare la costruzione di questi cervelli, che a noi è quasi più conosciuta ancora di quella delle capanne dove abitiamo. Certamente, non possiamo dire di conoscere proprio tutta la costruzione organica del nostro corpo, tuttavia il nostro cervello lo conosciamo punto per punto. In noi ci sono senza dubbio ancora moltissime tabelline vuote, perché non abbiamo niente con cui riempirle completamente, ma quelle che portano delle impressioni sono precisamente così come Tu hai mostrato e spiegato con estrema chiarezza parlando di questo cervello qui il quale è costituito perfettamente secondo il Tuo Ordine. In verità, io bramerei proprio conoscere le ragioni per le quali questi bianchi non possono affatto percepire in sé quello che a noi, gente dalla pelle nera, è chiarissimamente visibile per sempre. Che cosa hanno veramente commesso, o qual è la ragione di una simile rovina? Qualcuno o qualcosa deve pur rappresentarne la causa cattiva; ma chi, perché e in quale occasione?»
3. Dico Io: «Non metterti a scrutare quale sia la vera causa di ciò! Infatti, stanno celate nei segreti di Dio molte cose che per gli uomini su questa Terra non è necessario conoscere completamente! Basta che l'uomo sappia e riconosca ciò che anzitutto gli è necessario fare nel Mio Ordine. Se egli fa così, come del resto viene prescritto dalle leggi che gli sono date dal Cielo, allora in lui ogni cosa sarà nel migliore ordine possibile; ciascun essere umano che ami Dio sopra ogni cosa ed il prossimo suo come se stesso e che sia per conseguenza rinato nello spirito, saprà bene, e perfettamente a tempo, tutto il resto.
4. Ora però si tratta unicamente di vedere se tutti i fratelli bianchi hanno ben compreso tutte queste cose, e se l'essere umano, qualora percepisca ancora un vuoto in sé, domandi e si informi di ciò che non gli riesce ancora chiaro, ed allora gli saranno date tutte le spiegazioni possibili. Questo è dunque necessario prima di ogni altra cosa; quello invece di cui tu hai domandato, verrà reso noto a ciascuno sempre abbastanza per tempo quando sarà pervenuto alla rinascita del proprio spirito»
5. Allora Oubratouvishar è del tutto soddisfatto della Mia risposta e si intrattiene poi con i suoi nel suo idioma.
6. Ma ecco farsi nuovamente avanti Mataele, il quale dice: «O Signore, o Vita nostra e nostro Amore, dato che ci hai permesso di domandare, io Ti prego, a nome di mio suocero e a nome della mia diletta moglie e dei miei quattro compagni, che Tu voglia chiarirci un po’ un piccolo punto che è rimasto per noi ancora oscuro a questo riguardo! Si tratta in un certo modo di una questione di diritto, ed io credo che ciascun uomo, che sia pervenuto all'uso della ragione, sia in pari tempo autorizzato a porla modestamente dinanzi a Te. Già, l'uomo non è originariamente opera propria, ma è unicamente opera Tua, e questo non potranno mai in eterno metterlo in dubbio neanche tutti i Cieli presi assieme!
7. E il punto oscuro è questo: nei metodi di guida, particolarmente nell'aldilà, degli spiriti o precisamente delle anime di specie assai corrotta, la via seguita mi sembra un po’ troppo lunga e aspra, dati i mezzi che stanno a disposizione del Tuo Amore e della Tua Onnipotenza! È bensì vero che anche a questo riguardo Tu ci hai detto, mostrato e spiegato moltissime cose a giustificazione chiarissima del Tuo Ordine divino concepito e fissato una volta per sempre fin dall'eternità. Eppure, nonostante tutto ciò, mi si affaccia ancora con insistenza alla mente questa vera questione di diritto.
8. E la questione è questa: Può venire imputato come colpa ad una mela il fatto di essere stata strappata giù dal ramo in seguito ad un colpo di vento, oppure si può attribuire la colpa ad un albero schiantato per essere stato scelto come bersaglio da un fulmine devastatore, oppure si può ritenere colpevole il mare tranquillo quando la furia dell'uragano viene a sconvolgerlo ed a sollevarne le acque in ondate che sembrano montagne? Che colpa ha il serpente a sonagli se il suo morso è mortale? Ed è forse la pianta della belladonna che si è preparata da se stessa il veleno? Dappertutto un chiodo scaccia l'altro, ed infine nessuno ha colpa se viene scacciato!
9. Da un'alta parete di roccia precipita un masso grande e pesante che si è staccato, e causa una vera devastazione fra un gregge che per caso si trova a pascolare lì sotto; chi mai si potrà chiamare a rispondere ed a risarcire il danno? Se, camminando di notte, io inciampo in una pietra caduta sulla via e finisco col cadere, di chi è la colpa? Della notte, della pietra o dei miei piedi che non hanno occhi? In poche parole, si presentano in questo campo una quantità di problemi che si incrociano da tutte le parti e che in ciascuno dei quali risalta con tutta evidenza una vera reciproca lesione del diritto naturale primordiale dell'individuo; ma da dove ha principalmente origine la lesione?
10. Una cosa simile io l'ho scoperta ora nell'uomo. Questi mori si trovano tuttora nel pieno possesso delle qualità umano-primordiali; noi bianchi, invece, fino ad oggi non ne abbiamo avuto la benché minima idea! Ma perché ciò? Ci viene detto così: “È a causa della corruzione della nostra anima, e a sua volta l’anima fu costretta a corrompersi perché il cervello dell’uomo era stato corrotto già nel grembo materno, e ancor più successivamente con una educazione totalmente sbagliata!”. Ed io devo apertamente associarmi alla domanda fatta da Oubratouvishar, e per conseguenza dico: “Sì, certo, l'umanità è perfida e corrotta fino alle sue radici; ma chi è in origine che l’ha lasciata andare in rovina?”. In seguito ad una tale corruzione è chiaro che gli esseri umani non possono volere altro che ciò che è del tutto perverso, e quindi non potranno mai diventare migliori, ma sempre peggiori e più miserabili!».
Le ingiustizie apparenti nel modo di trattare le anime nell’aldiquà e nell’aldilà.
1. (Mataele:) «Ora, a questo mondo qualcuno se la passa ancora discretamente! Egli si costruisce come meglio può un suo piccolo paradiso. Certo, per ragioni di compensazione, migliaia d'altri vedono aumentate le loro sofferenze, e questo succede sicuramente perché non hanno saputo procurarsi un piccolo paradiso anch'essi come l'altro, cioè l'astuto! Costoro poi vengono distrutti nelle loro anime dall'invidia e dall'ira, mentre colui che si è creato il piccolo paradiso va in perdizione a causa dell'opulenza e del lusso! I primi sono condannati per la loro miseria, mentre il secondo, cioè il ricco, per la sua abbondanza!
2. Ma lasciamo stare le circostanze e le condizioni dell'aldiquà, dato che sono il frutto della corruzione dell'anima ormai conosciuta a fondo, e mettiamoci a considerare le spaventosissime conseguenze di un simile stato di cose nel grande aldilà nel quale tutti devono finire un giorno! Ebbene, c’è sul serio da sentirsi rizzare i capelli sul capo al pensiero delle condizioni atrocemente miserande in cui viene a trovarvisi un'anima corrotta per un motivo o per l'altro! Quale maledizione mai può essere espressa da bocca umana per colorire degnamente le parole destinate a farne la descrizione? Soltanto i più atroci tormenti del fuoco dell'ira nell'anima stessa possono condurla, per le vie di esperienze indicibilmente amare, ad uno stato un po' sopportabile, per la qual cosa però si esige, in quanto a durata di tempo, certamente qualcosa come una piccola eternità. Per conseguenza, a calcolare da oggi, quante anime, nelle miriadi di anni terrestri futuri, non dovranno essere sommerse per bene nella miseria più nera e profonda, con la prospettiva di trovarsi appena dopo altre miriadi di anni terrestri in una situazione assai poco più libera e con ciò più tollerabile di prima!
3. O Signore! Io questa visione la ricavo esattamente in base alle Tue parole, e niente vi aggiungo, come niente vi tolgo! Ora, se io considero da un lato la Tua Onnipotenza, la Tua Bontà e il Tuo Amore, e dall'altro lato quella certa corruzione principalmente involontaria di ogni misera anima, e le conseguenze più fantasticamente orribili che si protraggono per tempi quasi eterni, ed infine, terminato il ciclo delle più terribili sofferenze, la prospettiva di un ciclo che rappresenta a mala pena qualcosa di migliore di uno stato di schiavitù bene organizzata su questa nostra madre Terra, se considero tutto questo, nonostante tutte le grazie che Tu, o Signore, mi hai concesso, io devo confessarTi apertamente che io, sulla scorta della mia ragione, trovo tutto ciò molto ma molto strano, e che, quale uomo dotato di animo sensibile, vi scorgo un’ingiustizia tale che tutte le ingiustizie più ovvie perpetrate dagli uomini, e che gridano vendetta al cielo, appaiono al suo confronto come un perfetto nulla; ed io, con tutto il rispetto dovuto, non posso fare a meno di confessare che, se le cose stanno proprio così, non ci tengo affatto ad una simile esistenza, e possa questa alla fine sfociare come e dove vuole!
4. Da parte Tua, o Signore, già è stato perfettamente dimostrato come ciascun uomo, per poter sussistere al cospetto della Tua Divinità pura, debba formarsi nella sua propria essenzialità, e come Tu a tale scopo non possa offrirgli che l'occasione, ma niente altro; tutte queste cose noi le vediamo benissimo, ed ogni altra parola esplicativa sarebbe superflua. Ma mi sembra comunque un destino terribilmente duro che delle anime umane, che già da più di mille anni vengono incarnate nella stessa maniera e poi allevate ed educate nell’identico modo come purtroppo avviene oggi, debbano soffrire nell'aldilà a causa di ciò quasi per tempi eterni al solo scopo di migliorare in misura appena sensibile il proprio stato. Tu ci hai insegnato a procedere con dolcezza, mansuetudine e indulgenza nel caso di anime ammalate; ma se queste cure non hanno effetto e l'anima così inferma entra nell'immenso aldilà ancora del tutto malata, allora com'è possibile che non può o non deve venirle dimostrata più alcuna scintilla di un qualche amore o di dolcezza? Io penso che in tali condizioni la grazia e l'amore potrebbero ben subentrare ad un ordine e ad una giustizia troppo rigorosi!
5. Io sono pronto volentieri ad ammettere che una vita perfetta dell'anima, congiunta allo spirito da Dio, costituisca il supremo fra tutti i beni; tuttavia l'esperienza insegna che un bene perde molto del suo valore qualora lo si debba cercare eccessivamente a lungo e tra grandi difficoltà.
6. Supponiamo, ad esempio, che qualcuno volesse prendere moglie; egli già conosce l'eletta del suo cuore, ma quando si presenta per chiederla in sposa, gli vengono poste condizioni tali che, ad assolverle completamente tutte, ci vogliono mille anni, senza contare che le difficoltà a cui va incontro per assolverle sono di natura quasi insormontabile! Ebbene, dato un simile caso, ci si deve forse molto meravigliare se poi infine nel cuore di quest’uomo va spegnendosi ogni aspirazione al possesso della donna che è di nobile discendenza e finisce invece con lo sposare una ragazza di infima condizione, per ottenere la quale gli sono state poste delle condizioni tollerabilissime e adempibili con facilità?
7. Ecco, o Signore, in ciò consiste la mia obiezione che credo perfettamente fondata, e che forse è anche una debolezza del mio cuore! Io Ti rivolgo questa domanda, dato che Tu stesso ci hai invitati tutti a fare così nel caso in cui per noi fosse rimasto qualcosa di non compreso! Qualora dunque ciò Ti fosse gradito, vorrei chiederTi di illuminarmi un po’ con la Tua Grazia a questo riguardo!».
L'Essenza di Dio. La necessaria gravità delle prove nella vita terrena.
1. (Dico Io:) «Sì, proprio questo è il nodo aggrovigliato che Io, in seguito alla spiegazione data del cervello, ho scoperto non soltanto in te ma anche in molti di voi, ed appunto per questo motivo vi ho invitati a fare delle domande.
2. Si intende da sé che Dio, quale il supremo, purissimo Amore dall'eternità, non può, e ciò immutabilmente, essere in qualche modo spietato e duro, e che Egli si avvarrà sempre, col massimo fervore possibile, di tutti i mezzi che sono a Sua disposizione per guarire un'anima, comunque essa possa essere costituita. Tuttavia, togliere all'anima il suo proprio caratteristico “io”, questo non lo posso fare, ma devo lasciarglielo, e devo invece far pervenire l'anima a condizioni tali per cui queste, se tutto il resto non giova, possano ricondurla all'ordine mediante delle aspre lezioni!
3. Certamente questa via può farsi anche straordinariamente lunga, ma ciò avviene soltanto in casi assolutamente straordinari, ed allora la colpa non è di nessun altro se non dell'anima stessa diventata troppo cocciuta e caparbia, la quale senza dubbio si è fatta tale per lo più in seguito a ciò di cui vi ho prima narrato e che vi ho spiegato parlando della sua imperfezione.
4. Ad ogni modo ciò corrisponde evidentemente alla volontà piena ed assolutamente propria dell'anima; è l'anima a volere che sia così, ed essa fa sempre unicamente quello che le sembra meglio. Ma in un simile caso non si approderebbe a nulla reagendo con una contro-azione fondata sulla onnipotenza, quindi sulla violenza, dato che sarebbe appunto questo procedimento a causare all'anima i tormenti più inauditi! Infatti, già il più lieve influsso le procura una sofferenza indicibile; ma a quali sofferenze sarebbe poi esposta qualora l'influenza da esercitare si facesse eccessivamente violenta?
5. Dio è in Sé il Fuoco massimo fra tutti i fuochi, ed è la Luce più intensa fra tutte le luci! Ora, chi mai può sopportare un fuoco se non è egli stesso fuoco e la Luce suprema se non è egli stesso luce? Guarda un po' questo cervello che si trova ancora qui; ci vedi tu una qualche luce che abbia l'intensità, diciamo, soltanto pari a quella di una lucciola durante la notte? Cosa non ci vuole ancora perché questo cervello si faccia tutto fuoco e luce chiarissima?
6. Se Io dunque volessi cominciare ad influire qui con la forza, tu non li vedresti più questi due cumuli cerebrali alla Mia sinistra, perché in questo caso essi verrebbero immediatamente dissolti in quelle linguette di fuoco che già conosci, e si disperderebbero fino a quando la Mia Volontà non le avesse nuovamente afferrate per comporne un essere nuovo. Ma che cosa ne sarebbe poi di questo essere attualmente esistente?
7. Ebbene, affinché un qualsiasi essere, una volta chiamato all'esistenza, non possa mai venire in qualche modo distrutto nella sua sfera animica e non debba passare in un altro essere perdendo così il proprio “io” primordiale, è certo che il Mio Ordine, stabilito come eternamente immutabile ed includente tale principio, è esso pure buono. E per quanto a lungo anche un'anima debba attendere per giungere alla perfezione, essa stessa rimane comunque sempre l'“io” assolutamente suo proprio, e come tale anch’essa si riconoscerà immutabilmente in eterno, ciò che si spera debba apparire senz'altro più consolante dell’eventualità che l'anima, completamente suddivisa, trapassasse in un altro individuo nel quale ogni ricordo di un’esistenza precedente dovrebbe necessariamente svanire e dove non resterebbe più alcuna traccia di un concreto esistere precedente! Quale scopo avrebbe avuto in questo caso una vita anteriore chiamata a stabilire liberamente il proprio destino? E in tale situazione, un uomo si troverebbe forse in condizioni migliori di un verme che si torce nella polvere?
8. La vita che precede è certo benedetta per lo più di ogni tipo di tribolazioni. L'uomo, anche se è un figlio di un re, dal tempo della nascita a quello della morte deve assoggettarsi a varie prove molto aspre; spesso egli si è fatto numerosi piani ai quali vorrebbe dare esecuzione confidando in una perfetta riuscita. Ma ecco ben presto sorgere degli impedimenti imprevisti, e di tutti i bei piani non se ne fa più nulla, e al loro posto si presentano ogni genere di molestie, malattie, contrattempi. In poche parole, ad una giornata lieta ne seguono comunemente cinque delle quali nessuna può dire di essere apportatrice di una qualche gioia particolare, ed un anno di vita ha per l'uomo sicuramente trenta giornate che si possono senz'altro qualificare pessime».
L’“io” dell’uomo come padrone assoluto del suo destino.
1. (Il Signore:) «Se dunque si esamina bene la vita dell'uomo anche nelle condizioni più favorevoli dal punto di vista terreno, si constaterà molto facilmente che per lui non c'è proprio niente di regalato; dal re al mendicante, ciascuno deve affrontare la lotta contro le “mosche” dell'estate della vita che sono piene di aculei pungenti, lotta che certo non ha in sé nulla di piacevole. Durante l'infanzia l'uomo è tormentato dalla debolezza, fattosi adulto è oppresso dalle preoccupazioni, e da vecchio si trova a dover far fronte ad entrambe, né l'ultima ora di vita è stata mai trovata finora da qualcuno la più gradevole tra quelle vissute.
2. E così la vita terrena continua a trascinarsi per lo più fra spine e triboli, e colui che non vi si rassegna, alla fine sarà in grado di raccontare ben poco di gradevole e di beatificante riguardo alla vita nella carne terrena, e quanto più egoista uno è stato, tante più offese ha dovuto conseguentemente sopportare. Ma invece colui che, essendo stato pochissimo egoista, non ha fatto caso a tutte le “mosche” estive della vita e a tutte le spine e i triboli che lo hanno screditato e insultato, né alle svariate sofferenze fisiche, alla povertà, al frequente assillo della fame e della sete, al freddo, al vestiario insufficiente, alla pessima dimora e, oltre a tutto ciò, ad una quantità di altre miserie che non hanno però avuto potere di fargli perdere il controllo, ebbene, costui alla fine della propria vita potrà almeno narrare più di un’ora bella della vita, mentre perfino un re, nonostante tutto l'incenso sparso dinanzi a lui, al termine del corso della sua vita terrena non avrà che da lamentarsi di insoddisfazioni su insoddisfazioni.
3. Infatti, dove esiste un re che abbia potuto compiere felicemente tutto quello che si era proposto di fare già dalla sua ascesa al trono? Ma poiché ciò era impossibile ed egli infine ha dovuto constatare in se stesso di essersi sbagliato molto malamente nei propri calcoli, così avviene che egli è completamente infelice, ed è del resto un fatto noto fin dai tempi antichi che i re muoiono di solito in seguito ad un segreto affanno interiore.
4. Ed in questo modo l'uomo, nel corso della sua formazione ed autodecisione durante il tempo della vita terrena, viene a trovarsi nel pieno possesso della precisa coscienza di se stesso, conoscendo le condizioni nelle quali ha sostenuto questa vita di prova terrena. Se poi ciò è avvenuto dentro oppure al di fuori del Mio Ordine, in questo caso vogliamo ammettere che questo sia indifferente, perché, sotto qualunque aspetto si voglia considerare la cosa, la vita terrena gli avrà riservato poche gioie, anzi, al loro posto, tante più amarezze di ogni specie. E per questa ragione anche i grandi filosofi pagani non stimarono felice nessuno a questo mondo, e reputarono tale soltanto colui che fosse ritornato nel grembo della Terra.
5. Quale compenso potrebbe mai avere un'anima per tutte le tribolazioni sofferte, qualora dopo aver deposto il corpo perdesse la coscienza di se stessa, vale a dire il proprio “io originario” indistruttibile, e cessasse completamente di essere, oppure venisse suddiviso in mille altri “ii”? C'è fra di voi qualcuno che sarebbe contento di vedere disposto così il Mio Ordine? Certamente nessuno! Io sono infatti dell'opinione che convenga comunque sempre lasciare le cose nel loro antico ordine, e badare anzitutto che nell'“io” di nessun essere, per quanto pessime siano le condizioni in cui si trovi, venga in eterno mai arrecato danno, in alcun modo, alla sua individualità!
6. Che l'“io” di ciascuna anima possa e debba pervenire alla felicità perfetta solo quando, per propria libera decisione, è entrato nel Mio Ordine, questo ormai lo sapete benissimo; infatti è appunto con tale scopo che Io vi ho predicato continuamente già da quasi sette giorni e vi ho ricondotto alle radici originarie di tutta la Creazione del mondo spirituale e di quello sensibile. Che però, al contrario, un'anima non possa giungere ad alcuna vera beatitudine durevole finché per propria libera decisione non sia entrata nel Mio Ordine, questo pure ve l'ho già mostrato in molti modi con parole, fatti e con molti chiarissimi esempi, e ve l'ho ampiamente spiegato di nuovo; come dunque vi può essere in Me, in una qualche forma, una mancanza o durezza di cuore od una ingiustizia? Oppure puoi chiamare in Me mancanza d'amore quello che è necessario per l'esistenza dell'uomo? Certo, con un grano[15] solo in meno di Pazienza e con altrettanto in meno di Indulgenza Io sarei duro e ingiusto, ma così invece non Lo sono affatto!».
Le anime chiamate ad essere figlie di Dio si devono autoformare.
1. (Il Signore:) «Tu però, o Mataele, hai detto che, alla fin fine, la colpa ricade su di Me se con l'andar del tempo la vita degli uomini si è pervertita così malamente ed interamente da rendere infine inevitabile la loro rovina! Ora, anche a questo riguardo Io sono pronto ad obiettarti e a dirti che le anime simili a quelle di questi mori non sono finora state chiamate alla figliolanza di Dio, perché per quello che essi devono rappresentare bastava che la perfezione delle loro anime fosse mantenuta salda in un modo piuttosto stereotipato; infatti tale perfezione non si deve considerare come una particolare conseguenza del loro sviluppo autonomo quanto mai eccellente, ma è stata donata come la loro pelle nera; quando però vorranno pervenire essi pure alla figliolanza di Dio, tutto ciò non verrà più dato a loro, ma riceveranno unicamente la Dottrina.
2. Se si decideranno liberamente per questa meta ed aspireranno alla perfezione delle loro anime avvalendosi delle proprie forze, e con ciò desteranno in loro il Mio Spirito d'Amore, allora certo diventeranno tali quali siete voi ora. Ma finché la perfezione delle loro anime è per due terzi una cosa donata e solamente per un terzo una cosa acquisita con le proprie forze, con una simile perfezione animica non possono mai destare in se stessi lo spirito, e perciò rimangono anche nell'aldilà quello che sono qui, vale a dire delle anime buonissime, ma perfette e beate in modo piuttosto meccanico, per le quali dunque è sicuramente necessario che siano saldamente stabiliti i limiti della beatitudine, cosa che non sarà mai possibile immaginare diversamente.
3. Infatti, quando la condizione preliminare viene donata, anche ciò che ne deriva e anche ciò che ne segue non può sicuramente essere una libera conquista personale, poiché chi ti ha dato il capo, ti deve avere certamente dato in aggiunta anche le mani, il corpo e i piedi! O saresti forse disposto a credere che tutto ciò sia sorto dal capo per forza propria?
4. Ah, di sicuro la faccenda assume tutto un altro aspetto qualora si tratti di un'anima che si perfeziona da se stessa in conformità alla Parola di Dio che ha appreso. Ebbene, solo in tali condizioni ciò che essa possiede è sua proprietà assoluta, e con questo può edificarsi mille e più cieli, perché essa ormai possiede la sua sostanza propria e il suo materiale proprio, nonché, mediante lo spirito d'amore destato in lei, la forza perfettamente simile a quella divina di fare così e di essere tanto perfetta sotto ogni aspetto quanto è perfetto il Padre nel Cielo! Ed ora proseguiamo.
5. Trattandosi di un'anima come quella che questi mori possiedono sicuramente, nell'aldilà è facile mettere sollecitamente in ordine ogni cosa, poiché essa ha quello che ha, e quello che ha le rimane. Essa non sente per sé in eterno il bisogno di qualcosa di superiore, ed è perfettamente felice come l'ape quando si è imbattuta in un fiore ricco di dolci umori, ma oltre a questo essa non percepisce in eterno nessuna necessità. Quando l'ape possiede quello di cui è andata in cerca, ha tutto quanto bramava, e tutti i tesori dell'infinito sono un nulla per essa.
6. Ma le cose stanno in maniera del tutto differente quando si tratta di un'anima che è chiamata a perfezionarsi da se stessa. Per giungere alla realizzazione di questo, le si è evidentemente dovuto mettere completamente a disposizione i mezzi necessari allo scopo, facendo uso spontaneo dei quali essa deve necessariamente ed immancabilmente arrivare alla perfezione; sennonché, all'anima chiamata alla dignità di libera figlia di Dio, tali mezzi, che servono a raggiungere lo scopo, non vengono certo mai imposti, ma le vengono semplicemente dati come i materiali che sono necessari ad un savio architetto quando si tratta della costruzione di un edificio. Una volta che gli sono stati dati i materiali, l'architetto li utilizza secondo il criterio assolutamente suo proprio e con essi costruisce l'edificio conformemente alle proprie idee e al proprio gusto artistico, ed allora la costruzione è perfettamente opera sua e non di colui che gli ha fornito i materiali. E così, se tu hai a disposizione anche il miglior materiale per costruirti una buona dimora, ma non la costruisci tu stesso, bensì chiami un architetto perché te la costruisca, potrai forse dire in questo caso: “Vedete, questa casa assai bella e molto ben disposta è opera mia!”? Certo che no, perché la dimora resterà sempre opera soltanto di colui che l'avrà costruita secondo la sua sapienza e il suo criterio!
7. E vedi, similmente anche le anime perfette dei mori non sono opera loro; esse sono certamente molto ben costruite, ma i mori, da parte loro, vi hanno contribuito ben poco. Ma poiché è così e non altrimenti, per il momento essi non possono giungere alla figliolanza di Dio; ma se anche ad alcuni di loro venisse aperta la via per questa Meta, allora le loro anime comincerebbero subito ad assumere un aspetto meno perfetto. Ora, dato che ad un'anima chiamata alla figliolanza di Dio è bene fornire unicamente il materiale per la costruzione di se stessa ed accanto a questo l’istruzione riguardo a come deve procedere il lavoro, risulta anche spiegato in maniera sufficiente come a ciascuna anima, anche nell'aldilà, non possa venire dato di più, se si ammette che essa deve rimanere nella integrità del proprio “io”. E per quanto un'anima possa anche essere corrotta, non bisogna che su di lei influisca la Mia Onnipotenza, ma è opportuno che venga soltanto messo a sua disposizione il materiale nella misura in cui essa si trova in grado di elaborare, perché non è lecito gravarla di un carico maggiore di quanto le sue forze possono sopportare».
I motivi che ha Dio per fare in modo che una libera anima umana si autoperfezioni.
1. (Continua il Signore:) «Un'anima molto guasta, è di solito, anzi quasi sempre, molto debole, tanto che non è in grado di conservare la sua forma umana, e per conseguenza, nell'aldilà appare di solito con una figura deformata che a volte è per metà animalesca, a volte invece lo è del tutto. In tali condizioni è vero che le vengono gradatamente concesse energie sempre maggiori senza che essa ne sia a conoscenza, ma così facendo è necessario usare la massima cautela, affinché l'anima non venga minimamente danneggiata nella sua individualità. Oltre a questo, un simile supporto è sempre fonte di gravi dolori, perché una simile anima debole è anche estremamente sensibile ed eccitabile.
2. Se Io volessi concederle in una sola volta troppa forza dai Cieli, una tale munificenza celeste trascinerebbe quest'anima in una disperazione atrocemente dolorosa, e in conseguenza di ciò, essa finirebbe col racchiudersi in se stessa, peggio di un diamante, e allora non sarebbe possibile far giungere più nulla in essa, prima che non fosse completamente dissolta. Con questo atto il suo “io” ne risentirebbe certamente un colpo, e di fronte a tale colpo non sarebbe poi facile opporre qualcosa di spontaneo che partisse dall'anima stessa per ristabilire l'equilibrio. In tal modo, l'io conscio di se stesso andrebbe perduto almeno per un eone (10120) di anni terrestri, e solo da questo tempo in poi dovrebbe cominciare a raccogliersi e a riconoscersi di nuovo, ciò che per l'anima, nello stato libero e incorporeo, riesce molto più difficile che non qui, dove essa ha nel corpo uno strumento perfettamente adatto allo scopo.
3. Il tuo cuore, o Mio caro Mataele, è rimasto eccessivamente oppresso dalla straordinaria lunghezza del tempo che ho indicato; ma se ti fosse possibile comprendere cosa ci vuole per plasmare un'anima libera al punto dove è già arrivata la tua, allora la lunghezza del tempo non ti sarebbe stata certamente di scandalo! Quanto tempo credi che sia trascorso dall'inizio della formazione del tuo essere fino all'epoca attuale, in cui tu hai raggiunto il presente grado di vita, cioè da uomo-anima, ormai già molto ben arrivato alla perfezione? Se Io te ne facessi il conteggio complessivo, questo susciterebbe in te un raccapriccio, che ora non ti puoi immaginare, né saresti di gran lunga in grado di comprendere il significato del Mio calcolo; invece il nostro Raffaele questa cosa la sa benissimo e la conosce adeguatamente a fondo.
4. Per altro, ti posso dire che l'anima di nessuno dei qui presenti è più giovane di tutta la Creazione visibile; e qualora ti dovessi sentire a disagio apprendendo ora da Me, che conformemente a piena verità, le vostre anime hanno un'età che supera di molto il prodotto di eoni (10120) moltiplicati per altrettanti eoni di anni terrestri, come non dovrei poi sentirMi a disagio Io, per la ragione che sono eterno, e che per conseguenza, sotto il Mio Regno e fuori da Me, sono sorti già eoni di Creazioni prima dell'attuale, durante periodi di tempo per voi inconcepibili e tutti unicamente per amor vostro?
5. Sì, o amico Mio, creare un sole, un mondo e tutte le cose che si trovano su di esso è facile, e per farlo non occorre un tempo proprio assai lungo, né è più difficile creare delle anime “giudicate” di animali o di piante, ma comporre invece un'anima che sia in tutto perfettamente simile a Me, questa, vedi, è una cosa immensamente difficile anche per il Creatore onnipotente, dato che in questo caso l'Onnipotenza non può esserMi di alcuna utilità, ma sono utili soltanto la Sapienza, la massima Pazienza e un’estrema Indulgenza!
6. Infatti, nel produrre un'anima pienamente simile a Me, dunque una seconda divinità, la Mia Onnipotenza ha da fare e da provvedere ben poco, mentre tutto deve fare e provvedere il “Dio” che sta per sorgere da Me. Da Me egli ottiene soltanto il materiale spirituale e, a seconda del bisogno, anche il naturale. E se così non fosse, o se potesse essere diversamente, Io, che sono l'eterno Spirito originario, non Mi sarei certo addossato, per impulso del Mio Amore, l'aspro compito di assumere Io stesso un corpo di carne per essere ulteriormente di guida alle anime già progredite fino a un certo punto, non però con la Mia Onnipotenza, ma unicamente col Mio Amore, e per portare loro una nuova Dottrina e donare loro il nuovo Spirito divino fuori da Me, affinché esse, purché lo vogliano seriamente, possano ora, nel più breve tempo possibile, farsi perfettamente una cosa sola con Me.
7. Io ve lo dico: “Per il Mio lavoro preparatorio durato eternità di tempi, il raccolto comincia appena adesso, e voi sarete certamente i Miei primi figli completamente perfetti, ciò che però dipende sempre dalla vostra, e non dalla Mia Volontà”. E ora Io penso che tu, o Mataele, Mi avrai di certo giustificato, considerato che ormai, si spera, avrai compreso tutto quello che non ti era apparso chiaro prima. Va bene così?»
Della possessione. La lenta diffusione del Vangelo.
1. Dice Mataele: «Sì, o Signore, a questo riguardo tutto mi è ora perfettamente chiaro; però io, assieme ai miei quattro compagni, fui per un certo tempo peggio di un animale, anzi un demonio, eppure la Tua onnipotente Volontà mi ha guarito rapidissimamente, ma non perciò io ho perso la coscienza e il ricordo del passato. Come bisogna intendere allora questa cosa? Certo, è evidente che è stata la Tua Onnipotenza a guarirci in brevissimo tempo!»
2. Dico Io: «Ah, il caso vostro, o amico Mio, era ben differente; non le vostre anime, ma soltanto i vostri corpi risultavano guasti per il fatto che nelle loro viscere si erano annidati gli spiriti maligni in grande quantità. Questi avevano preso possesso degli organismi fisici, cosicché potevano farne uso secondo il comodo loro, e allora le vostre anime, che erano ancora troppo deboli per opporsi all'azione di quella massa di spiriti, si ritrassero e dovettero lasciare che la maligna banda continuasse a suo piacimento il suo malgoverno nei corpi.
3. Ma da ciò alle vostre anime non ne venne il benché minimo danno, perché le possessioni di questo tipo vengono concesse solamente in quei casi in cui in un corpo dimora un'anima già tanto progredita che i maligni spiriti animici dall'aldilà, ancora sommamente immaturi, che si giovano ancora una volta di una carne agli scopi del loro presunto miglioramento, non possono in nessun modo recarle danno.
4. In questi casi la più lieve manifestazione della Mia Potenza è più che sufficiente per sgombrare il corpo anche da mille volte mille di simili anime maligne, cosa di cui un esempio che seguirà in giornata ti convincerà ancora di più. E una volta che tali spiriti hanno abbandonato il corpo, questo certo sente una grande debolezza, la quale dura finché l'anima non abbia ripreso completo possesso dell'organismo corporeo; non appena è stato compiuto questo atto, il corpo torna ad essere dominato dall'anima originale e sana; ma da ciò risulta chiaro che l'aiuto della Mia Onnipotenza è andato unicamente al corpo, e non all'anima. Invece laddove l'anima è in se stessa rovinata in seguito alla sua volontà, la Mia Onnipotenza non può dare aiuto, ma l’aiuto lo possono dare soltanto l'amore, l'insegnamento e la pazienza, dato che ciascuna anima deve edificare da sola il proprio mondo e da sola perfezionarsi avvalendosi del materiale che viene posto a sua disposizione. Comprendi tu questo? Se trovi che c'è ancora qualcosa di oscuro, domanda pure, perché ora è giunto il tempo in cui deve venire pienamente chiarita ogni cosa, ed a voi occorre molta luce per poter rischiarare, nel miglior modo possibile anche a tutti gli altri, tutte le loro tenebrose camere della vita»
5. Risponde Mataele: «O Signore, Tu solo sei dall'eternità l'assoluta Sapienza e il supremo Amore. Io ormai vedo tutto in perfetta luce, e credo che ormai esista solo poca tenebra nella mia camera della vita; però, naturalmente, come sia la situazione rispetto a varie altre cose, non puoi saperlo che Tu, o Signore! Suppongo che mio suocero e mia moglie avranno ancora in loro più di un ripostiglio ancora oscuro, sennonché con la Tua Grazia ed il Tuo Aiuto riuscirò a portare, con tutta fedeltà, luce là dove essa manca»
6. Gli dico Io: «Sì, il tuo proponimento è molto buono, perché tuo suocero e tua moglie sono stati finora dei pagani veramente della specie migliore, dei quali Io posso dire: “Uno solo di questi Mi è più caro di mille dei discendenti di Israele che dimorano in Gerusalemme ed anche nelle altre dodici città di tutta la “terra promessa”! Infatti tutti costoro non vogliono sentire, né sapere niente di un Dio vicino, mentre preferiscono assolutamente un Dio situato in qualche luogo a distanza infinita, perché nella loro rozza stoltezza e nel segreto dei loro cuori stanno coltivando l'idea che un Dio che si trova a distanza infinita sia più facile da ingannare che non un Dio troppo vicino!”.
7. Oh, l'errore immensamente grossolano degli ebrei a questo mondo! Ma anche qui allora che cos’altro si può fare se non ricondurre con l'insegnamento e con corrispondenti opere gli uomini alla luce originaria di ogni essere e di ogni vita, usando tutta la pazienza possibile e, qualora fosse necessario, sacrificando perfino la vita del proprio corpo?
8. E questo è ora il compito che da Me stesso Mi sono assegnato rispetto a voi, al quale poi dovrà seguire il vostro compito rispetto a tutti i vostri simili. Certamente, a voi non è lecito cullarvi nella speranza che tutto ciò potrà trovare attuazione nel giro di pochi anni, perché Io vi dico che trascorreranno mille anni e anche di più, e più della metà della popolazione terrestre non avrà udito ancora una sillaba di questa Mia Parola.
9. Sennonché questo fatto non pregiudica granché la cosa, dato che anche nell'aldilà questo Vangelo verrà predicato agli spiriti di tutte le parti del mondo. Tali considerazioni però non diminuiscano affatto qui il vostro zelo, poiché la vera dignità di figli di Dio per il Mio intimissimo e purissimo Cielo dell'Amore non la si potrà acquistare che iniziandola qui, mentre per il primo ed anche per il secondo Cielo si può provvedere nell'aldilà».
Dell’operare miracoli al momento giusto.
1. (Il Signore:) «A te, o Mataele, tutto è ormai pienamente chiaro, o almeno ti è chiaro nella misura in cui lo può essere ad un’anima umana finché essa non sia diventata perfettamente una cosa sola col proprio spirito; abbi dunque cura che la tua luce vada ad illuminare tutti i tuoi fratelli! Vedi però di destare in te anche la tua propria fede nella Potenza del Mio Nome, perché soltanto nel Mio Nome in caso di necessità tu potrai operare dei prodigi al cospetto degli uomini per il primo risveglio della fede in Me!
2. Infatti, chi predica agli uomini la Mia Parola, ma non può operare niente attraverso la Potenza della Mia Parola, costui è ancora un servitore debole di Colui che lo ha mandato a portare ai popoli della Terra la nuova Parola di ogni vita dai Cieli.
3. Io non voglio tuttavia dire con ciò che un apostolo della Mia Dottrina, veramente conscio della sua missione, debba sempre e comunque dare spettacolo di sé dinanzi agli uomini per diffondere così la Mia Dottrina fra i popoli della Terra; no, questo sia ben lontano da voi! Infatti la verità deve parlare da sola, e laddove essa non viene compresa, si faccia seguire una più dettagliata spiegazione e si proceda così finché la verità non si sia aperta da sola la via della comprensione. Sennonché, trattandosi appunto di chiarimenti, può verificarsi il caso in cui la spiegazione da sola non sia sufficiente, particolarmente quando si ha a che fare con genti ancora molto rozze ed incolte; allora certo si rende quanto mai evidente la necessità di porre la spiegazione stessa in una luce più intensa e di rafforzarla mediante un prodigio avendo cura di contenere il prodigio entro certi limiti.
4. Ad ogni modo un prodigio operato oppure ancora da operare non deve essere mai di natura troppo abbagliante o convincente, per evitare che gli uomini possano venire sopraffatti dall'angoscia e dallo spavento, perché allora essi cadrebbero in un giudizio che li vincolerebbe, e questo sarebbe di poco o di nessun giovamento per il libero sviluppo dell'anima.
5. Un prodigio che si deve ancora compiere deve dunque avere in ogni occasione un carattere tale per cui consista in primo luogo sempre in un beneficio particolare e che si presenti sempre come una conseguenza della fede sorta in colui per il cui beneficio il prodigio è stato compiuto, e in secondo luogo il prodigio stesso non deve mai differenziarsi dallo svolgersi naturale delle cose al punto da escludere assolutamente che perfino un cosiddetto sapiente del mondo possa trovare una via naturale per spiegarselo! Trattandosi dei cosiddetti illuminati del mondo, il prodigio deve bensì essere tale da colpirli, ma non tale da imporre loro la piena fede. Infatti, costoro possiedono ad ogni modo già tanta capacità d'intendimento per comprendere benissimo, anche senza prodigi, che una verità è davvero una verità.
6. D'altro canto in questi tempi pullulanti di maghi e di indovini i prodigi possono già essere di un genere discretamente energico ed evidente, poiché là dove oggi viene operato un prodigio, la gente ha già assistito prima a cento esibizioni da parte di maghi persiani ed egiziani, e per conseguenza un prodigio operato da noi non può fare proprio una impressione speciale sui sapienti del mondo! Oltre a ciò noi siamo circondati da tutte le parti dagli esseni, i quali fanno con facilità ogni tipo di presunti prodigi al cospetto del popolo cieco per conquistarlo, col tempo, del tutto alla loro causa; per conseguenza i prodigi che facciamo noi, che colpiscono e sembrano più meravigliosi degli altri, rendono in generale almeno attonito il popolo, anche se non riescono a convincerlo pienamente, e questa è appunto la giusta misura, mentre non tornerebbe affatto a beneficio del popolo se noi facessimo un uso ancora maggiore dei prodigi.
7. Se Io guarisco tutti gli ammalati, anzi risuscito perfino i morti, questo, al cospetto del popolo, non suscita proprio un clamore eccessivo rispetto a quello suscitato dagli esseni; d'altra parte ciò contribuisce a portare al colmo la rabbia e l'ira della gente del Tempio per la quale l'ordine degli esseni è una vera spina nell'occhio: è da tempo che il Tempio formula i più ferventi auguri affinché tutti i demoni si portino gli esseni all'inferno. Infatti, da quando l'ordine in questione si è stabilito e diffuso anche nella Giudea, le cure meravigliose dei farisei hanno cessato di essere redditizie per loro, e questo è opera della resurrezione dei morti praticata in maniera astuta dagli esseni, mistero questo che noi conosciamo benissimo, ma che i farisei invece non conoscono affatto.
8. Del resto ha veramente dell'umoristico il fatto che proprio Io Mi trovi a tirare l'acqua buona al mulino degli esseni, e vedete che arriverete al punto di sentirvi dire che addirittura Io pure sono un discepolo uscito dalla scuola di quest'ordine e che ora sto lavorando a vantaggio di quest’ordine che è seriamente del parere che tra breve riuscirà a dominare moralmente il mondo intero. Noi dunque, per il momento, quest'ordine non l'abbiamo contro di noi, e ci serve anche senza che sia effettivamente intenzionato a servirci, perché esso più che altro mitiga agli occhi del popolo l'impressione suscitata dai nostri prodigi, così che alla gente rimane sempre ancora un vasto campo per i pensieri più vari e per molteplici giudizi, altrimenti non sarebbe opportuno che noi ci avventurassimo tanto lontano con i nostri prodigi!
9. Così dunque in quest'epoca Io ho concesso che gli avvenimenti si svolgessero in modo tale da permetterci di fare, con facilità e indisturbati sotto ogni riguardo, il più possibile per la salvezza vera e libera degli uomini, senza costringere particolarmente nessuno a mettersi sulla via della verità mediante il nostro operare. E così avviene che attualmente neanche i nostri prodigi, che sono più vistosi degli altri, hanno il potere di scuotere eccessivamente l'osservatore superficiale; soltanto chi ci conosce più a fondo si accorgerà certamente senza nessuna fatica che c’è un divario indicibilmente grande tra i prodigi operati da Me e quelli inscenati dai maghi e dagli esseni. Ma a costui questo riconoscimento non potrà essere di danno alla sua anima, avendo egli dovuto riconoscere la verità già prima di essere in grado di rilevare la reale differenza tra i Miei miracoli e quelli degli esseni! Egli quindi è già puro, e per il puro poi tutto è puro».
L’operare prodigi nel diffondere la Dottrina del Signore
1. (Il Signore:) «Io certo potrei ora anche per Gerusalemme operare prodigi tali per cui tutta la città ne rimarrebbe colpita in modo da incatenarla assolutamente nella fede in Me in un tempo che sicuramente non supererebbe i due istanti. Però, che genere di fede sarebbe questa? Essa sarebbe la fede dello schiavo inculcata mediante lo spavento e l'angoscia, e per gli uomini costituirebbe un giudizio dal quale non si potrebbero riprendere nemmeno in varie migliaia di anni!
2. Infatti, una fede cieca e fanatica, sia essa fondata sulla verità oppure sulla menzogna, non è di nessun valore interiore per la vita, ed è certo difficile che un popolo, caduto fra tali strettoie, lo si possa liberare in qualche modo in avvenire. Finché un popolo vive in una fede fanatica, si trova spiritualmente sottoposto a giudizio e quindi nello stato della più aspra schiavitù dell'anima, e non c’è più la possibilità di aiutarlo né qui né nell'aldilà, se non mediante una lunga e penosa istruzione con la parola e con i fatti, e mediante una spiegazione, quanto mai radicale e nello stesso tempo comprensibilissima, di tutti gli eventi prodigiosi che hanno avvinto le anime del popolo fra i lacci del giudizio.
3. Il miglior rimedio contro una fede cieca è però il trasformarsi dei sacerdoti stessi in esseri malvagi, falsi e bugiardi, i quali, a qualsiasi religione essi appartengano, sono necessariamente spuntati come funghi fuori dalla terra, e si sono poi imposti ai popoli quali rappresentanti delle divinità, da principio certo nella veste di savi e mansueti ammonitori, di maestri, consolatori e soccorritori e più tardi, una volta consolidatisi per bene nel favore del popolo, in quella ben differente di giudici, di punitori e di dominatori perfino su troni dei re!
4. Ebbene, a questo punto per lo più succede che il popolo viene a scoprire le loro arti perverse, e l'antica fanatica fede già decrepita comincia addirittura ad imputridire e a mostrare degli strappi sempre più grandi, e per quanto ci si dia da fare con ogni zelo per rammendarla e rattopparla, ciò non serve ormai più a niente, e finisce che poi ben presto ne rimangono davvero pochi che non siano disposti a scambiare immediatamente alla prossima buona occasione il vecchio mantello stretto e pieno di toppe con uno nuovo! Ma affinché un popolo arrivi a questo punto ci vogliono almeno un paio di migliaia di anni.
5. Siate dunque quanto mai prudenti nel diffondere la Mia Dottrina e non vogliate imporla a nessuno, né facendo uso della spada, né, meno ancora, mediante dei prodigi eccessivamente abbaglianti! Infatti le ferite inferte con la spada si possono guarire, mentre quelle prodotte da un miracolo troppo schiacciante non si guariscono quasi mai.
6. Conseguentemente, là dove la parola è sufficiente, non operate miracoli, poiché finora questi sono stati sempre il mezzo usato dai falsi profeti per rendere ancora più ciechi i popoli già ciechi. Con ciò per altro Io non intendo affatto dire che anche in caso di necessità dobbiate astenervi dall'operare qualche prodigio. Voi avrete occasione di venire in contatto con ogni specie di popoli pagani i cui sacerdoti conoscono molto bene l'arte di operare prodigi di svariatissimo genere e di fare ogni tipo di profezie le quali - sia in seguito ad una dizione ambigua concepita con molta sottigliezza, sia per mezzo di una messa in scena abilmente ed ampiamente escogitata - trovano sempre adempimento; tutto questo è dovuto ai suggerimenti di Satana e dei suoi angeli, e si manifesta nella perversa volontà dell'uomo.
7. Dunque, di fronte a simili profeti più che falsi, certo è sommamente opportuno opporre loro un genuino controprodigio, oppure di spiegare in maniera ben evidente alla parte migliore del popolo i miracoli fasulli dei loro sacerdoti; con ciò almeno quella parte del popolo comincia a nutrire dei forti sospetti contro di loro, e così la partita si presenta già vinta per voi.
8. Soltanto dopo questo voi pure potete operare qualche prodigio meraviglioso che tuttavia deve sempre avere il carattere di un beneficio, come ad esempio guarire da ogni tipo di malattie mediante l'imposizione delle mani nel Mio Nome, e ogni tanto saziare gli affamati e gli assetati, o qua e là stornare qualche tempesta devastatrice mediante la semplice invocazione del Mio Nome rivolta contro le nubi dell'aria gravide di minacce, le quali in simili occasioni sono di solito colme di spiriti fra i più rozzi e maligni. Così nessuna anima umana sarà stretta come fra duri ceppi per opera vostra, ma voi sarete di guida a gente libera nei propri movimenti, nella stessa maniera come un buon pastore conduce i suoi agnelli, i quali spontaneamente e di buon volere seguono ogni suo passo, dato che essi sanno di non potersi attendere che del bene da lui.
9. Ed ecco che tu, Mio caro Mataele, sai ormai anche come dovrai procedere perfettamente in modo conforme alla Mia Volontà alla diffusione della Mia Dottrina, con la parola e con i fatti, presso i popoli che d'ora innanzi saranno sottoposti al tuo governo, ed altrettanto sia detto pure per quanto riguarda i tuoi quattro compagni!».
Difficoltà nel diffondere la pura Dottrina
1. (Il Signore:) «Particolarmente nelle regioni più settentrionali del tuo regno, che un giorno certo si farà il più grande di questo mondo, tu t'imbatterai in pagani ancora immersi nelle tenebre più fitte, presso i quali sarà molto difficile diffondere la luce della verità; tu però, in base al potere che ti è conferito, vedi di non adottare nei loro confronti sistemi troppo aspri e duri. Qualora si rendesse necessario, potrai senz'altro procedere con la giusta serietà, ma non facendo uso della spada o di prodigi che danno troppo nell'occhio, perché la spada non farebbe che togliere loro, soltanto esteriormente, la superstizione antica e profondamente radicata, mentre questa, interiormente, ne verrebbe rinvigorita con tanta maggiore asprezza; d'altro canto mediante dei prodigi troppo accecanti non si arriverebbe ad altro risultato che a quello di scambiare un fanatismo con un altro. Infatti, quei popoli che fossero testimoni dei tuoi segni diventerebbero in breve tempo i più accaniti nemici dei loro vicini ancora non credenti, li perseguiterebbero col ferro e col fuoco, e quelli della vecchia fede non mancherebbero di fare la stessa cosa ai nuovi credenti; ma quale vantaggio si sarebbe ottenuto così?
2. Ma poiché la Mia Dottrina è un vero messaggio di pace dai Cieli, essa non deve seminare fra gli uomini ed i popoli della Terra la discordia, l'inimicizia e la guerra! È necessario che una cosa simile venga evitata per quanto possibile. Certo, perché ciò fosse evitato da parte Mia, basterebbe semplicemente che Io vi tenessi sottoposti alla Forza della Mia onnipotente Volontà, e così, senza dubbio, verreste resi incapaci di pensare e di agire altrimenti da come vi prescriverebbe appunto la Mia Volontà; ma che cosa ne sarebbe poi della vostra propria libertà di volere? E se Io avessi voluto che fosse così, allora non vi sarebbe mai stata per Me stesso la necessità di assumere un corpo di carne su questa Terra, perché la Mia Onnipotenza eterna avrebbe potuto dominarvi anche senza questa carne, ed avrebbe potuto costringervi a parlare e ad agire in uno o nell'altro modo nella stessa maniera in cui Essa ha saputo incitare un giorno i profeti! Ma di che vantaggio sarebbe una cosa simile per voi? Se Io avessi fatto così, senza dubbio sareste anche voi diventati degli uomini dall'anima naturale perfetta come questi mori, però difficilmente dei perfetti figli di Dio.
3. Ma affinché voi stessi poteste divenire per tutti i tempi dei tempi degli annunciatori perfettamente liberi della Mia Parola, appunto perciò Io sono venuto da voi nella carne su questa Terra, dove ho stabilito il semenzaio dei Miei figli per tutto l'infinito, allo scopo che voi, quali Miei liberi figli, apprendiate liberamente anche la Dottrina dalla Mia bocca, e affinché la possiate valutare e poi diffondere pure fra i popoli della Terra; e chi la accetterà liberamente nella sua purezza, costui sarà anche ammesso liberamente all'aspettativa della figliolanza di Dio supremamente beatificante.
4. Chi invece questa Mia Dottrina che ora vi viene data non la riceve liberamente, ma la subisce per effetto di una qualsiasi costrizione, costui non potrà aver parte all'aspettativa della vera figliolanza di Dio fino a quando, per impulso libero ed assolutamente suo proprio, sia qui oppure anche nell'aldilà, non avrà cominciato ad occuparsi nella maniera più possibile vivente di Me e della Mia pura Parola, e non l’avrà stabilita spontaneamente come norma della propria vita.
5. Io purtroppo vedo le misere condizioni in cui, nel complesso, verrà a trovarsi questa Mia Dottrina già pochi anni dopo che Io avrò fatto ritorno alla Mia dimora. Sennonché Io vedo pure come essa, nella cerchia di alcune piccole comunità, si manterrà pura come il Sole fino alla fine dei tempi di questa Terra! Ora questo è un ristoro assai grande per il Mio vero Cuore paterno. Però fate in modo che quello che avverrà in generale, turbi voi, puri, solo poco o anche proprio per niente, perché i molti porci voi non li convertirete mai in filosofi, e per tali esseri la prima pastura che capiti loro a portata di bocca è già buona più che a sufficienza. Certo Io vado chiamando: “Venite a Me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, perché Io vi voglio ristorare tutti!”, ma saranno moltissimi a non ascoltare e a non seguire questo invito alla Vita».
La spada come mezzo punitivo presso i popoli miscredenti.
1. (Il Signore:) «Verranno dei tempi in cui coloro che sono stati resi sapienti dalla Mia Parola esclameranno: “O Signore, essere uomo è ora un compito davvero difficile; sotto minaccia di castigo non è più lecito dire la verità, e tutt'al più se ne può parlare in segreto; quello però che i falsi profeti vogliono è evidentemente menzogna, e quindi è bestemmia contro Dio. O Signore, cingi ancora una volta le armi e scagliati contro i Tuoi nemici prima che essi guastino il Tuo campo della vita!”.
2. Io però indugerò ancora, e dirò a ciascuno che così Mi interpellerà ed invocherà: “Pazientate ancora un breve tempo finché la misura data sia colma! Perseverate fino alla fine, e voi sarete beati, poiché la violenza del mondo per voi puri non sarà dannosa alle vostre anime, e quali Miei giovanissimi figli che avete percorso la via della carne disseminata di tribolazioni, di miserie e di stenti, voi, nel Mio Regno, riposerete tanto più vicini al Mio cuore, ed Io vi renderò giudici del mondo e di coloro che, senza ragione ed autorità da parte Mia, vi avranno tormentato con ogni tipo di oppressione e di tribolazione”.
3. A dirla in breve, i Miei veri discepoli si riconosceranno sempre dal fatto che essi si ameranno tra di loro così come Io vi amo tutti, e dal fatto che non annunceranno mai il Mio Nome e la Mia Parola con la spada in pugno!
4. Oh, sì, qualora un popolo si trovasse interamente nella Mia Luce e fosse minacciato da altri popoli pagani ed immersi nella tenebra più ostinata, i quali non volessero affatto saperne della fede in Me ed anzi intendessero perseguitare con tutto il furore i Miei agnelli, allora sì che sarebbe giunto il momento di mettere mano alla spada per allontanare per sempre i lupi dalle pie greggi. Ma una volta tratta nel Mio Nome la spada contro i lupi, è bene che chi la impugna se ne avvalga con assoluta serietà affinché i lupi si ricordino della spada che è stata rivolta contro di loro nel Mio Nome. Infatti quando è lasciato libero corso a un giudizio nel Mio Nome, conviene che esso non si presenti sotto la veste di una mezza serietà soltanto!
5. Di fronte a dei pagani ciechi le cui anime si trovino ancora molto lontano dal Mio Ordine, ed ai quali non sia possibile comprendere la Mia Parola, ma che del resto siano particolarmente zelanti nell'osservare la propria fede, la spada sia fatta servire unicamente a tutela dei confini finché i pagani di confine non abbiano gradatamente cominciato ad adeguarsi al Mio Ordine; una volta raggiunto tale scopo, la spada ceda il posto al segno della concordia e del fraterno amore.
6. Certo, però, ben diverso dovrà essere in seguito il procedimento con genti che già dai loro inizi sono state chiamate il popolo di Dio e che, come tale, sono state ammaestrate e protette! Se queste genti persisteranno nel combattere la Mia Dottrina e nel perseguitarla con il loro zelo perfido ed egoista all'estremo, allora senza dubbio non resterà altro mezzo se non l'impiego inesorabilissimo della spada più tagliente. Ma guai a loro quando essa verrà impugnata! Non una pietra verrà lasciata sull'altra e non verranno risparmiati neanche i nascituri nel grembo materno! E chi vorrà fuggire, l'acuta freccia lo ucciderà, poiché costui, andando contro alla propria convinzione interiore, avrà voluto per puro egoismo diventare assassino della Mia Parola e di Me stesso, poiché coloro contro cui Io scenderò in campo con i Miei dovranno sostenere una lotta ben dura dalla quale mai in eterno potranno uscire vincitori!
7. Ecco dunque che ora vi è stata prescritta pure la norma su quando e su come dovrete far uso della spada nel Mio Nome. Avete ben compreso tutto ciò?»
8. Risponde Mataele: «O Signore e mio unico amore! Rispetto a quello che Tu finora Ti sei degnato di esporre e di spiegare, io non trovo più nulla di oscuro in me, e dal più profondo del mio cuore io Te ne rendo i miei ringraziamenti più fervidi, anticipando anche quelli di tutte le genti e dei popoli che mi sarà dato di conquistare alla Tua causa e al Tuo Regno attraverso il mio zelo!»
9. E Cirenio a sua volta dice: «O Signore! Altrettante grazie Ti rendo io pure, emi azzardo ora ad assumere al Tuo cospetto, o Signore, la parte di debole profeta per quanto concerne quello che Tu, appunto chiarendo come si dovrà far uso della spada, hai aggiunto nei riguardi del ben noto popolo di Dio, perché mi sembra che precisamente a Gerusalemme questo popolo sia molto bene rappresentato! Ora vedi, sopra questo popolo io vorrei già ora tracciare con la spada più affilata una croce mostruosamente grande; infatti secondo me esso è già più che maturo per la spada!»
10. Ed Io gli dico: «Non del tutto ancora; gli mancano ancora tre capolavori della perfidia più inumana. Quando, nonostante tutti gli ammaestramenti e tutte le ammonizioni, avrà compiuto anche questi, solo allora, o amico, su quella città e su tutti coloro che vi dimorano sarà fatta scendere la spada più affilata per tracciarvi la tua croce mostruosamente grande. Noi però col popolo pazienteremo ancora per quarantaquattro anni e qualcosa di più, e prima della totale rovina lo faremo ammonire ancora per sette anni per mezzo di ogni specie di messaggeri, con l'apparizione dei morti e con molti altri grandi segni sul firmamento! E qualora anche tutto ciò dovesse risultare una vana fatica, solo allora, o amico Mio, il tuo segno mostruoso verrà tracciato su di loro con la spada più affilata e nella massima misura! Io certo vorrei che ciò si potesse evitare!
11. Sennonché quello che ancora avverrà, lo sa il Padre soltanto, e all'infuori di Lui nessun altro essere in tutto l'infinito. Colui però al quale Egli vorrà rivelarlo a tempo debito, lo saprà di certo!»
12. Esclama allora Cirenio: «Ma Tu, o Signore, queste cose devi conoscerle alla perfezione, perché nel Tuo Spirito sei certo Tu il Padre stesso!».
Il “Padre” e il “Figlio” in Gesù.
1. (Dico Io:) «Hai parlato bene! Il Padre è veramente in Me in tutta Pienezza; sennonché Io, quale uomo esteriore, sono tuttavia soltanto un Suo Figlio, e nella Mia Anima conosco soltanto quello che Egli Mi rivela! Io certo sono la Fiamma del Suo Amore, e la Mia Anima è la Luce proveniente dal Fuoco d'Amore del Padre; voi però sapete senza dubbio come la luce agisce in maniera meravigliosa sempre e dappertutto!
2. Il Sole, dal quale proviene la luce, ha una mirabile sistemazione interiore ed interiorissima; questa però è conosciuta solamente alla sfera interiorissima del Sole stesso. La luce esteriore, benché sia un elemento che vivifica tutto, di tutto ciò non sa niente, e non prospetta in alcun luogo un’immagine dalla quale sia possibile rilevare la costituzione interiore ed interiorissima del Sole.
3. Certo, il Padre è in Me già dall'eternità, però il Suo Essere interiorissimo si rivela alla Mia Anima soltanto quando Egli stesso lo vuole. Io certo so tutto quello che dall'eternità era nel Padre, ma il Padre ha tuttavia nel Suo interiorissimo moltissime cose che non sono note al Figlio, e se Questo vuole saperle, Egli pure deve chiederle al Padre!
4. Ma verrà presto il tempo in cui il Padre in Me si congiungerà completamente - anche col Suo Interiorissimo - con Me, con l'unigenito Figlio dall'eternità, precisamente così come lo Spirito del Padre che è nelle vostre anime si farà prossimamente una cosa sola con le anime che sono ancora nei vostri corpi; e solo allora, mediante lo Spirito del Padre, in voi sarà rivelato tutto quello che attualmente sarebbe impossibile che vi venisse rivelato! Così pure avviene che il Padre in Me sa ancora molte cose delle quali invece il Figlio non sa! Comprendete voi bene?»
5. Esclamano allora vari discepoli: «Ahimè! Questa è nuovamente una dottrina ben aspra! Dovremmo perciò ancora una volta pregarTi di darci qualche spiegazione! Infatti se Tu e il Padre siete una cosa sola, come può il Padre in Te sapere più di Te, essendo Tu, secondo i Tuoi recenti insegnamenti, il Padre stesso?
Ah, questa cosa la comprenda chi può, ma noi davvero non la comprendiamo! La nebbia dinanzi a noi si fa sempre più fitta! Qui sotto vi può certo essere qualcosa; ma a che ci serve? Noi non lo comprendiamo! Perciò, o Signore, noi Ti preghiamo di illuminarci maggiormente in proposito, perché con quello che comprendiamo non vi sarà alcun vantaggio per noi!»
6. Dico Io: «O figli, figli Miei, quanto tempo ancora dovrò sopportarvi finché riuscirete ad afferrare il senso delle Mie parole? Io ora parlo da uomo a voi uomini, e voi non comprendete l'uomo! Come volete dunque comprendere per l'avvenire una pura Parola di Dio? Ad ogni modo, per rendervi più atti a ciò, Io vi dichiarerò la cosa in modo un po' più particolareggiato; ascoltateMi dunque con grande attenzione!
7. Raffiguratevi al posto del “Padre” il vero corpo di questo nostro Sole, nel quale sussistono tutte le premesse perché la sfera – che ha un’intensità luminosa straordinaria e che voi vedete - venga continuamente ed uniformemente prodotta. Questo involucro di luce intorno al corpo solare è all'incirca quello che è l'involucro dell'atmosfera intorno a questa Terra, la quale pure circonda tutta la Terra con uno spessore uniforme corrispondente ad alcune migliaia di altezze d'uomo, per la qual cosa essa, assieme alla Terra, se vista eventualmente dalla Luna, si presenta come un gran disco di una luminosità piuttosto accentuata.
8. Ma come viene formata l'atmosfera terrestre? In seguito ad un interiorissimo processo vitale della Terra stessa! L'interno della Terra è quindi anzitutto colmo d'aria, e soltanto ciò che è in eccesso, e che è molto considerevole, si raccoglie uniformemente intorno alla Terra. Affinché però l'interno della Terra produca continuamente l'aria, dentro ci deve essere, incessantemente attivo, un fuoco che è l'espressione dell'attività intensa degli spiriti interiori.
9. Ed ora raffiguratevi la cosa così: il fuoco interiorissimo corrisponde a ciò che Io chiamo il "Padre", e da tutti gli elementi che si dissolvono per l'azione del fuoco interiore viene prodotta l'aria, la quale a sua volta corrisponde a ciò che noi chiamiamo "anima".
10. Il fuoco però non potrebbe sussistere senza l'aria, né l'aria potrebbe venire prodotta senza il fuoco; il fuoco quindi è esso pure aria, e l'aria è a sua volta essa pure fuoco, perché la fiamma è veramente anch'essa soltanto aria i cui spiriti si trovano nello stato della massima attività, e l'aria è in sé essa pure soltanto fuoco, però col divario che in essa gli spiriti che la compongono si trovano in uno stato di quiete. Perciò dunque è facile comprendere che, in ultimissima analisi, fuoco ed aria sono la stessa cosa; però, prima che gli spiriti dell'aria non vengano eccitati fino ad un certo grado, l'aria resta tuttavia sempre e soltanto aria, e quindi tra l'aria del fuoco eccitata, quale già fuoco, e l'aria propriamente detta ancora allo stato di quiete, c'è una grande differenza.
11. Nel fuoco stesso c’è la luce e quindi, spiritualmente parlando, il sapere e il riconoscimento supremi e più puri; nell'aria, la quale è compenetrata dalla luce del fuoco, vi è poi pure un sapere ed un riconoscimento pieni, tuttavia, evidentemente, in un grado già minore; ma se l'aria più tranquilla viene essa pure eccitata così da farsi essa stessa fuoco e luce, allora certo anche in essa vi è dappertutto il sapere e il riconoscimento supremi.
12. La Terra dunque, così com'è costituita, è simile ad un uomo. Il fuoco interiorissimo è lo spirito d'amore dell'anima nella sua attività, e l'aria è simile all'anima che può essere completamente uno spirito del fuoco qualora venga perfettamente compenetrata dall'amore dello spirito, cioè dalla sua attività, nel qual caso essa diviene del tutto una cosa sola con lo spirito! E l’anima giunge a questo punto mediante la rinascita dello spirito.
13. Ebbene, voi trovate esattamente lo stesso rapporto nel Sole. Nella sua parte interiorissima esso è un violentissimo fuoco, la cui potenza luminosa supera in maniera inesprimibile quella dell'atmosfera esteriore. Fuori da questa luce si sviluppa incessantemente la purissima atmosfera solare, e sulla superficie del Sole quest’aria diventa essa stessa fuoco e luce, però in grado minore di quanto lo sia il fuoco e la sua ultrapossente luce nel grande centro solare. Ma l'atmosfera luminosa esteriore del Sole, nella sua essenza, è perciò simile al fuoco nel centro dell'immenso corpo solare. Basta che essa venga sottoposta all'identico grado di eccitazione, ed allora essa diventa del tutto uguale al fuoco interiorissimo.
14. Ora questo fuoco interiorissimo del Sole è simile al Padre in Me; ed Io sono la Luce che procede sempre ugualmente fuori dal Fuoco centrale fondamentale, e [sono] anche il Fuoco, mediante i quali è stato creato, sussiste e vive tutto ciò che esiste. Conseguentemente nel Mio Essere attuale Io sono l’aspetto esterno ed operativo dell'interiorissimo Padre in Me, e quindi tutto ciò che è del Padre è Mio, ed a sua volta tutto ciò che è Mio è del Padre, così che Io e il Padre dobbiamo essere necessariamente perfettamente una cosa sola! C'è soltanto la differenza che nel fuoco interiorissimo deve esserci sempre un sapere ed un riconoscimento più profondi che non nella luce esterna, la quale viene eccitata dal fuoco interiore sempre solamente nel grado che si rende necessario.
15. Io certo potrei portarMi immediatamente al grado di eccitazione del fuoco interiore; ma allora voi avreste finito di esistere, come finirebbero di esistere tutti i corpi mondiali che orbitano intorno a questo vostro Sole qualora la sua atmosfera luminosa esteriore si accendesse al grado di potenza della luce interiorissima, il cui immenso ardore provocherebbe in tutti gli spiriti dell'ampio spazio della Creazione una eccitazione tale che tutto questo si trasformerebbe all'istante in un mare di fuoco infinito e di immane potenza, il quale dissolverebbe in un attimo ogni materia! Ora, l'organismo interiore della materia solare è certamente costituito così da poter reggere a questo fuoco, ed il flutto delle acque possenti che continuamente si riversano su di esso, in seguito al moto circolatorio stabilito che è simile a quello del sangue nel corpo umano, fornisce sempre nuovamente lavoro al fuoco per il dissolvimento del liquido e per la formazione ulteriore dell'aria, e poi di nuovo dell'acqua fuori da questa. Perciò il fuoco non può avere un effetto distruttivo sul corpo solare vero e proprio, e se anche qua e là qualche parte ne viene dissolta, questa si ricostruisce ben presto in seguito all'affluire dell'acqua; così dunque tutto deve rimanere nel suo ordine invariabile.
16. Se voi vi darete cura di considerare un po' più da vicino questa immagine, dovrà senz'altro riuscirvi almeno discretamente chiaro che cosa veramente sia il "Padre" e cosa il "Figlio", e che cosa sia l'anima e cosa lo spirito in essa! DiteMi adesso se non vi è ancora quasi perfettamente chiara la questione!».
I fenomeni connessi al battesimo del Signore. L’eternità del Signore.
1. Dice Pietro Simon Giuda: «O Signore, quando alla mia presenza Ti facesti battezzare da Giovanni con l'acqua nel Giordano, noi vedemmo apparire sul Tuo capo durante quest’atto una fiamma a forma di colomba, ed allora si disse che quello era lo Spirito Santo di Dio! Quella volta s'intese pure, come fosse uscita dall'aria, una voce che diceva: “Ecco, questo è il Mio figlio prediletto nel Quale Io ho il Mio compiacimento; ascoltateLo!”. Ma che cosa era questo, da dove era venuta quella sacra fiamma, e da chi vennero proferite quelle parole che noi intendemmo chiaramente? Come dobbiamo comprendere una tale manifestazione?»
2. Dico Io: «Da dove mai avrebbe potuto trarre origine tutto ciò se non da Me stesso e fuori da Me stesso? O pensi forse che dietro a tutte le stelle dimori nello spazio infinito un Padre il Quale fece scendere la fiamma sul Mio capo e che poi dalla Sua Altezza infinita proferì quelle certe parole rivolte alla Terra? O cieca umanità! Se l'eterno Padre dimora in Me - il Suo Figlio altrettanto eterno - nella maniera che ora vi ho abbastanza chiaramente dimostrato, da dove può essere venuta la fiamma e da dove la voce? E adesso guarda bene, e tu vedrai di nuovo la stessa fiamma sul Mio capo! Ed ascolta bene! E tu ancora una volta udrai le stesse parole!»
3. In quel momento tutti videro librarsi sopra il Mio capo la fiamma a forma di una croce fiammeggiante, ovvero, come erroneamente interpretato, in forma pressappoco di una colomba la quale del resto, ad ali spiegate, rappresenta pure una croce, e contemporaneamente tutti udirono le parole già note.
4. Io però dissi: «Questa era la voce del Padre in Me, e la fiamma sorse fuori dalla Mia infinita sfera vitale esteriore la quale costituisce il Mio santo Spirito agente! Comprendi adesso bene, o Simon Giuda, anche questa cosa?»
5. E tutti allora risposero: «Sì, o Signore, ora ci è chiaro anche questo, quantunque ci appaia sempre immensamente meraviglioso!»
6. E Mataele poi dice: «Oh, Signore, Signore, Tu, il Sapiente sommo dall'eternità! Tu ci hai dichiarato cose dalla profondità imperscrutabile e ci hai mostrato il Tuo Ordine come esso è e come era dall'eternità. Ora io posso pensare a qualsiasi cosa, ed ecco, tutto mi è limpido, e mi sono chiari i rapporti immutabili fra Te, il Creatore, e noi, le creature! Tutte le Tue disposizioni sono improntate a tanta Sapienza che perfino l'intelletto più acuto e la ragione più chiara non possono trovare assolutamente in nessun luogo niente che sia in un qualche modo in contraddizione con se stesso.
7. Quando mi sposto col pensiero nelle profondità di tutti i tempi e dell'eternità, allora sono indotto a pensare che, in fondo, tutto quello che è stato creato, come tutti gli arcangeli primordiali, tutti i cieli, tutti i mondi - cioè i soli, i pianeti, le lune e tutte le stelle le quali, secondo la Tua spiegazione, altro non sono se non altrettanti soli e pianeti e lune che noi, mortali, certamente non possiamo percepire con i nostri occhi di carne a causa della distanza troppo grande - hanno pur dovuto avere un inizio, altrimenti, almeno per me, non sarebbe bene immaginabile la possibilità della loro esistenza! Infatti, io da un certo punto di vista razionale sono portato a ragionare così: “Un essere od una cosa qualsiasi che non abbia mai cominciato ad essere, non può veramente neppure esistere affatto! Ovvero, potrebbe sorgere dal nulla una cosa che non fosse stata mai pensata da Te stesso quale il Creatore?
8. Dunque una cosa attualmente esistente, come ad esempio un Sole-centrale-primordiale, deve essere già esistita nell'ordine graduale del Tuo pensiero prima ancora di avere cominciato a manifestarsi nella propria sfera come un concreto sole-primordiale. Esso, secondo il mio intendimento, non potrebbe esistere qualora nel Tuo pensiero non vi fosse stato prima nemmeno un atomo della sua essenzialità! Per dirla più brevemente, non potrebbe esistere se non avesse mai cominciato ad essere! Esso può bensì vantare un’età calcolabile in eoni (10120) volte eoni di secoli ed anche mille volte mille volte di più, ciò non può pregiudicare il fatto che, se esso innegabilmente esiste, deve anch’esso una volta avere cominciato ad esistere; quando poi abbia avuto inizio è una cosa riguardo alla quale non conviene affannarsi più oltre!
9. Ora certamente si potrebbe procedere ad un’inversione della tesi applicandola a Te, con la conseguenza che la Tua eternità perfettamente solida, senza un constatato inizio, sfumerebbe essa pure nel nulla assoluto! Sennonché il mio chiaro intelletto e la mia sana ragione mi dicono qualcosa di ben differente a questo riguardo. Se col mio pensiero retrocedo anche in tutte le eternità di eternità dei tempi, io non posso mai immaginarmi una fine; lo spazio rimane pur sempre infinito, e con lo spazio rimane pure infinito il tempo.
10. Ora in questo spazio, così necessariamente eterno ed infinito, deve senza dubbio essere stata presente anche quella forza primordiale-eterna la quale in eterno, continuamente ed ugualmente, condiziona l'estensione infinita dello spazio, senza la quale non sarebbe immaginabile come d'altro canto anche la forza non sarebbe immaginabile senza lo spazio. Questa forza non può essere che una, come anche lo spazio è solamente uno, ed essa deve avere in sé un qualche centro, ed in un certo modo un centro di gravità precisamente così come lo ha lo spazio stesso. Ma poiché lo spazio esiste come tale, in esso deve anche esprimersi l'essere dalla estensione e dalla libertà infinite nella piena coscienza del proprio esistere; perché come potrebbe esistere qualora nello stato supremo della sua indipendenza non percepisse di esistere?
11. Quello però che vale per lo spazio, vale egualmente per la forza in esso contenuta; anche questa deve necessariamente sentire di esistere come tale, altrimenti essa non potrebbe esistere. In poche parole, queste sono delle necessità che si integrano e si condizionano tra se stesse l'una con l'altra in maniera tale che l'una non può affatto esistere senza l’altra. Tutto ciò per altro è, già dalle prime origini ed in modo assolutamente proprio, il Tuo Essere primordiale spirituale stesso, ed in quanto Tu sei Spirito, tale prerogativa non potrà mai e poi mai venirTi negata!
12. Tu per conseguenza sei, secondo il mio intelletto, altrettanto necessariamente eterno quanto necessariamente tutto il resto, almeno nella sua consistenza formale, può essere solo transitorio! Ma ecco che appunto qui si affaccia un problema di tutt'altro genere.
13. Dato che tutta questa Creazione visibile ed anche invisibile, per quanto in tempi immaginabilmente lunghi prima del tempo attuale, deve pur avere avuto un inizio, si domanda cosa Tu, o Signore, abbia fatto durante le eternità che precedettero questo inizio dell'attuale Creazione. Dalla Tua espressione amichevole e sorridente io mi accorgo bensì di avere impostato forse un po’ scioccamente la mia domanda. Tuttavia sono certo che essa non è in via assoluta proprio priva di un contenuto; e Tu, o Signore, vorrai elargirci una modesta luce a questo riguardo! La mia anima indagatrice è ansiosa di avere perfettamente chiare tali questioni».
La grandiosità della Creazione.
1. Dico Io: «O Mataele, amico Mio caro, vedi, l'insuperabile divario esistente fra Dio infinito e l'uomo creato, sia pure del tipo più perfetto ma tuttavia sempre finito, sussiste continuamente, né può venire eliminato per tutte le eternità. Dio, nella Sua Essenza originaria, è e deve essere assolutamente eterno ed infinito in tutto, mentre l'uomo sussisterà certo nella sua essenza spirituale in modo che per l'eternità egli sia sempre più suscettibile di perfezione, ma non raggiungerà né mai potrà raggiungere Dio per quanto concerne la misura infinita della Sua Essenza originaria.
2. L'uomo può arrivare ad essere simile a Dio nella forma, ed anche nell'amoree nella sua potenza, ma non può mai in eterno farsi simile in piena e perfetta misura per quanto riguarda l'illimitatissima Sapienza in Dio e da Dio; e così le eternità lunghissime potrebbero certo comprendere, nei loro innumerevoli periodi di eternità, più di una cosa capace senza alcun dubbio di trovare posto dentro lo spazio senza confini, cosa di cui perfino ad un arcangelo dei primordi della Creazione non è venuta mai l'idea nemmeno in sogno! Infatti anche un arcangelo primordiale ha per certe cose una capacità di comprensione troppo immensamente limitata; solo quando ciascun arcangelo primordiale avrà, come Me, percorso la via della carne, allora soltanto sarà in grado anch'egli di comprenderne di più, tuttavia non è possibile che egli giunga a comprendere proprio tutto ciò che esiste nell'intera Infinità che non ha mai fine in eterno!
3. Certo, continuerete in eterno a conoscere meraviglie per voi nuove e comincerete a ritrovarvi in esse, tuttavia mai e poi mai in eterno ne raggiungerete la fine! La ragione di questo potete però anche chiarirvela facilmente, riflettendo se sarebbe mai possibile contare tanto a lungo da raggiungere la fine dei numeri! Io però in Spirito esisto, penso, voglio, agisco e opero efficacemente fin da tutta l’eternità, ininterrottamente come unico e stesso Dio, spinto sempre dallo stesso Amore e dalla stessa Sapienza. Il Mio Amore e la Mia Sapienza, contemplando l’Opera in sé completamente riuscita per tutte le future eternità, attraverso ogni periodo creativo, devono ovviamente avvertire in sé anche una beatitudine sempre più completa e più consolidata. Per questo voi, che siete più saggi, potete anche immaginare da soli che Io, come il Padre ora dice in Me e da Me, sicuramente non Mi sono tenuto, in un qualche punto dell’Infinità, nello spazio eterno, in una specie di sonno invernale fino a questo periodo creativo! Anche se un periodo creativo può abbracciare dal suo inizio primordiale fino al suo totale compimento finale spirituale anche milioni di eoni (10120) di volte eoni di cicli millenari terrestri, esso rimane tuttavia un nulla al paragone della Mia Esistenza eterna, e la sua grande estensione per voi incommensurabile, dal punto di vista dello spazio, è un nulla rispetto allo Spazio infinito!
4. Tu, o Mataele, conosci bene le costellazioni degli antichi egiziani, e anche la stella Regolo nel gran Leone ti è perfettamente nota! Come appare essa ai tuoi occhi? Ecco: un punticino scintillante; e tuttavia là dove essa si trova nello spazio, è un corpo solare così grande, che un fulmine, il quale pure in quattro istanti percorre una lunghezza di 400.000 Feldwege[16], per coprire la distanza tra il suo polo settentrionale e quello meridionale impiegherebbe più di un trilione di anni terrestri secondo il sistema di calcolo arabo antico che ti è noto! Il suo nome vero e proprio è Urka, o meglio Ouriza, (il primo, ovvero il principio della creazione di eoni volte eoni (10120 x 10120) di soli inclusi in un Globo-involucro di una estensione quasi infinita). Esso è l'anima, ossia il punto-centrale di gravità di un Globo-involucro, il quale però in sé e di per sé non costituisce che un nervo dell'immenso Uomo-cosmico. Ora un tale Uomo-cosmico di nervi simili ne ha certamente all'incirca tanti quanti sono i granelli di sabbia e i fili d'erba sulla Terra. Tuttavia, tutto l’intero immenso Uomo-cosmico non costituisce infine che un periodo della Creazione, dal suo inizio fino al termine del suo completamento spirituale.
5. Un tale Urka, e ancor più un intero Globo-involucro, sono già delle cose del tutto ragguardevolmente grandi, e indescrivibilmente ancora più grande è un simile immenso Uomo-cosmico [formato] di mondi. Ma che cosa è egli al paragone dello Spazio eterno ed infinito? Ebbene, esso equivale ad un nulla! Infatti tutto quello che è necessariamente limitato, quantunque in sé e di per sé sia infinitamente immenso per i vostri concetti, viene ad essere un nulla in rapporto allo Spazio infinito, in quanto tra l'uno e l'altro non vi è la possibilità di una relazione numerica esprimibile.
6. E ora Io ti domando, Mio caro Mataele, se, da quanto è stato detto, cominci un pochino a scorgere dove veramente, proseguendo così, andrà a finire la cosa?»
7. Risponde allora Mataele: «O Signore, sì, certo che io intuisco dove andrà a terminare la cosa! Ma io intuisco anche che, non fermandomi, finirò quasi con lo smarrirmi e col dissolvermi interamente! Infatti, la Tua eterna Potenza e Grandezza, l'infinità dello spazio e l'eternità del tempo mi inghiottono del tutto. Qualche bagliore c'è bensì nella mia mente, tuttavia se abbia giustamente compreso quello che Tu, o Signore, hai per così dire alitato con la Tua bocca, io naturalmente non lo posso precisare. Io intravedo a mala pena vagamente che il Tuo passato, pur facendo ricorso al sistema arabico dei numeri, non è costituito soltanto da decilioni o da eoni (10120) di simili periodi creativi, ma intuisco che questi periodi creativi sono assolutamente innumerevoli! Se io, a cominciare dal periodo presente, cominciassi a contare procedendo a ritroso, col mio contare non finirei mai più, ed in eterno non mi sarebbe mai possibile arrivare a quel periodo creativo del quale si potesse dire che sia stato il Tuo primo!
8. In breve, Tu non hai mai avuto inizio, e per conseguenza non è possibile che abbiano avuto mai un inizio neppure le Tue creazioni, e per quanto anche lo spazio eterno ne possa contenere, fra le tante non c'è nessuna creazione della quale si possa dire: “Ecco, questa è stata la prima! Prima di questa, nulla è stato creato!”. Infatti dietro a questa che dovrebbe essere la prima, c'è sempre ancora di nuovo un'intera e completa eternità! Ora, data la Tua Entità sempre uguale, che cosa avresti fatto durante questo tempo? Nello spazio infinito possono trovare posto anche infinite creazioni, e se anche la distanza fra l'una e l'altra è infinitamente grande, ciò non vuole dire affatto niente, perché nello spazio infinito c'è abbastanza posto per tutte le cose, siano queste pure in numero infinito, ed eternamente vi sarà posto ancora per eoni (10120) di eoni di cose, e così avanti in eterno per innumerevoli altre. Ma le cose future non contribuiranno in certo modo affatto ad aumentare di qualcosa quelle già esistenti dall'eternità, perché una quantità innumerevole, infinita, non può mai essere capace di aumentare, dato che essa è già di per sé una quantità infinita.
9. È vero che se io comincio ad enumerare questi periodi dall'unità, tale quantità aumenterà di uno, come certo potrà venire aumentata sempre di uno nei periodi, ovvero eternità, di eoni, ma se il numero che precede il periodo attuale è già comunque senza fine, non è più assolutamente immaginabile un aumento della quantità stessa! Le nuove creazioni contano, ciascuna presa a sé, certo qualcosa, ma aggiunte a quelle in numero infinito che le precedettero, esse sono come un nulla assoluto.
10. Questo è il concetto che ho potuto formarmi io e che sembra annientarmi sotto l'immensità del suo peso. Ma ora teniamo lontani questi pensieri che con la loro grandezza infinita opprimono e schiacciano del tutto la mia povera e piccola anima; quando sono certo che vivrò in eterno, purché mi resti assicurato il Tuo Amore, la Tua Grazia e la condizione in cui ora mi trovo, io d'ora innanzi non mi augurerò più di imparare a conoscere meglio neppure la Luna o il nostro Sole! E adesso anche mi convinco di quanto sia stato sciocco da parte mia chiedere a Te qualcosa che, all'uomo dalle facoltà limitate, non si addice affatto di sapere! O Signore, perdona la grave sciocchezza da me commessa!».
L’Incarnazione del Signore nell’attuale periodo della Creazione sulla nostra Terra. L’onnipresenza dello Spirito.
1. (Dico Io:) «Oh, no, amico Mio, questa non è proprio una sciocchezza, ma è una curiosità e una indiscrezione un po' troppo spinta per questa vita terrena, perché, finché l'anima non si sia completamente unificata con il Mio Spirito che è in lei, non è possibile che tu concepisca queste cose nella loro reale profondità. Ma quando un giorno sarai pervenuto alla rinascita dello spirito e, nell'aldilà, nel Regno di Dio, ti ritroverai addirittura spiritualmente quale una essenzialità perfezionata, allora tu potrai comprendere moltissime cose fino alle loro radici più profonde, però, certamente, soltanto in quanto esse hanno rapporto con questo attuale periodo della Creazione, nel cui ordine ebbero la loro consistenza tutte le creazioni precedenti e, come sussistenti in qualche modo in maniera perfetta, ce l’hanno tuttora e continueranno ad averla dal punto di vista spirituale. Tuttavia fra l’attuale periodo creativo e tutti quelli che lo precedettero, esiste un divario immenso nella stessa maniera che esiste fra questa Terra e tutti gli altri innumerevoli corpi mondiali dell'Uomo-cosmico primordiale.
2. In nessuna delle molte, innumerevoli creazioni [precedenti], le quali tutte insieme rappresentavano e costituivano un grande Uomo-cosmico primordiale, Io sono stato avvolto nella carne come Uomo, dalla forza della Mia Volontà, su una qualche Terra di quei mondi, bensì Io comunicavo con le creature umane di un mondo solo attraverso purissimi spiriti angelici creati per quella Creazione! Solo questo periodo creativo è destinato ad averMi davanti a sé nella carne e in forma ristrettissima, e ad essere istruito da Me stesso, su qualche piccolo mondo che è precisamente questa Terra, per tutte le creazioni precedenti come pure per tutte quelle che seguiranno nel corso dell’eternità senza fine, e di averMi davanti a sé nella Mia eterna, originaria, divina Entità.
3. Io ho voluto per tutti i tempi e le eternità future non soltanto plasmare per Me, mediante un comune atto creativo, dei veri figli del tutto simili a Me, bensì ho voluto allevarli con il Mio paterno Amore, affinché poi essi esercitassero con Me l'opera di governo dell'intera Infinità!
4. E per conseguire tale scopo, Io, l'eterno ed infinito Dio, ho assunto un corpo umano di carne come dimora del centro vitale principale del Mio Essere divino, per presentarMi a voi, figli Miei, come un Padre visibile e tangibile e per insegnarvi con la Mia stessa Bocca e fuori dal Mio proprio Cuore il vero Amore, la vera Sapienza e la Potenza divine, mediante cui voi poi sarete chiamati ad esercitare, ed anche eserciterete al pari di Me, il governo non soltanto su tutti gli esseri di questo attuale periodo della Creazione, ma pure su quelli di tutti i periodi creativi precedenti e di tutti quelli che ancora seguiranno in futuro!
5. E questo periodo della Creazione, rispetto a tutti gli altri, ha il vantaggio, di gran lunga non ancora riconoscibile per voi con sufficiente chiarezza, di essere l’unico, in tutta l’intera Eternità e Infinità, nel quale Io stesso Mi sia rivestito perfettamente della natura carnale umana e in cui di tutto il grande Uomo-cosmico Io Mi sia scelto questo Globo-involucro, e all'interno di questo Io Mi sia scelto la galassia dei soli-centrali [degli ammassi stellari] in cui c'è Sirio, dei cui duecento milioni di soli [planetari] che gli ruotano intorno Io abbia scelto proprio questo [vostro] Sole, eleggendo - fra i molti corpi mondiali che gravitano intorno ad esso - precisamente questo pianeta sul quale ora ci troviamo, per diventare Io stesso Uomo su di esso e per allevare da voi uomini dei veri figli Miei per tutta l'Infinità ed Eternità che furono e che saranno. E così, o Mataele, che sei un buon calcolatore, se ponderi bene queste cose, vedrai che infine né l'eternità del tempo, né l'infinità dello spazio non ti opprimeranno proprio più in maniera così tanto forte.
6. Per l'anima, per quanto sapiente, ma per sua natura finita e limitata, i concetti dell'Infinità e dell'Eternità sono certo qualcosa di incomprensibile e di necessariamente e perpetuamente opprimente; ma non così avviene riguardo allo spirito in lei, una volta che questo sia destato perfettamente. Infatti, lo spirito è libero e simile a Me in ogni cosa, e il suo moto è già di specie tale che tutti i rapporti di spazio si riducono rispetto a lui ad un nulla assoluto, e questa, o amici Miei, è già una proprietà importantissima dell'uomo spirituale!
7. Se voi vi raffigurate con la mente tutti i movimenti, per quanto rapidi possano essere, dei corpi, quali Io ve li ho spiegati in misura sufficiente in una precedente occasione, troverete ben presto che anche le massime velocità che vi sono state rese note riguardo ai soli-centrali, moltiplicate in aggiunta ancora eoni (10120) di volte per se stesse, ovvero innalzate alla eonesima potenza, sono delle misere velocità da lumaca se paragonate a quelle dello spirito. Infatti per percorrere un tratto immensamente grande dello spazio, essi devono pur sempre impiegare un certo tempo in rapporto alla distanza, mentre per lo spirito non c’è nessuna differenza fra le varie distanze, per quanto incommensurabili possano essere. Per lo spirito il “qua” oppure il “là”, anche se posto in qualche luogo a distanze addirittura incommensurabili, è perfettamente la stessa cosa, mentre per qualsiasi altro moto la diversità delle distanze nello spazio costituisce un divario assolutamente sostanziale.
8. Io devo inoltre farti notare come dallo spirito dell'uomo, benché non ancora diventato perfettamente una cosa sola con l'anima, si infiltra tuttavia in quest'ultima un sentimento particolare, il quale si manifesta come qualcosa di spirituale puro rappresentandosi tutti i fatti - che possono eventualmente essere accaduti anche in un tempo anteriore di una eternità a quello attuale - come se si svolgessero nel tempo attuale, ovvero come se lo spirito già quella volta fosse stato testimone oculare ed auricolare dei fatti stessi, e l'idea della lontananza di tali avvenimenti, svoltisi già da lunghissimo tempo, è proprio l'anima limitata ad imprimersela poi nel proprio cervello. Nell'anima dunque, al posto di questo sentimento spirituale, subentra il ricordo; sennonché questo non conferisce all'avvenimento il carattere dell’attualità, ma lo pone retrocedendo nel tempo là dove e quando esso è accaduto, mentre lo spirito retrocede fino al periodo in cui è accaduto il fatto avendo in sé la percezione perfetta e perpetua di un tempo sempre presente, e d'altro canto nella stessa maniera si raffigura nel tempo presente anche un periodo futuro, sia come cominciato oppure come già compiuto da molto tempo.
9. Un tale sentimento spirituale puro del raffigurarsi nel tempo presente dei fatti già accaduti da molto tempo o anche che devono accadere solo in futuro, gli scienziati di questo mondo lo chiamano fantasia; ma non è così, perché fantasia si può chiamare soltanto quello che l'anima umana di per sé si raffigura come qualcosa di nuovo attingendo alla sua provvista di immagini; in seguito a questo poi riesce a comporre una forma o a compiere un'opera che nella libera natura non esiste. Fuori da questo patrimonio di capacità puramente animiche sono sorti tutti gli utensili, gli attrezzi, le costruzioni in genere e le vesti degli esseri umani, nonché ogni tipo di favole e di leggende, le quali di certo solo molto di rado hanno un fondamento di piena verità, mentre per la maggior parte non sono che pure menzogne e conseguentemente un nulla assoluto.
10. Questo è dunque ciò che si può denominare fantasia, ma il sentimento invece della già menzionata raffigurazione al presente di fatti già passati o anche futuri è una proprietà della vita spirituale, e l'uomo dotato di puro pensiero può rilevare da ciò come lo spirito nell'uomo non c'entri affatto là dove si tratta di spazio, né meno ancora là dove si tratta di tempo, e che per conseguenza esso sta al disopra di entrambi e li domina.
11. Quindi per lo spirito uno spazio esiste soltanto quando esso ne vuole avere uno e se lo crea, ed altrettanto si dica rispetto al tempo. Se esso vuole che il tempo non sia, al posto di questo subentra immediatamente l'attualità eterna del passato, del presente e del futuro.
12. Infine, voi potreste scoprire in voi ancora una terza proprietà spirituale pura, qualora foste in grado di intensificare per bene la vostra attenzione! Questa proprietà consiste nel fatto che voi potete rappresentarvi una cosa, per quanto grande sia, come improvvisamente compiuta in tutte le sue parti, e che potete con uno sguardo abbracciare tutto un intero sistema solare. L'anima con la sua capacità di percezione sensoria deve esaminare lentamente e separatamente una cosa da tutte le parti, e deve toccarla, ascoltarla e per così dire scomporla per potersi formare di essa gradatamente un concetto complessivo. Lo spirito invece compenetra volando esteriormente ed interiormente in un rapidissimo, impercettibile istante tutto un Sole-centrale, e con altrettanta rapidità una quantità innumerevole di simili soli e di tutti i loro pianeti; quanto più possente è lo spirito in seguito all'ordine dell'anima, tanto più chiara e precisa si fa la visione appunto dello spirito intorno, entro ed attraverso le cose della Creazione ancora maggiori ed infinitamente più complicate.
13. Ma voi osservate e senz'altro con ragione: “Com’è possibile allo spirito una visione così istantanea e così ampia?”. Ed Io vi dico e vi rispondo: “In maniera perfettissima, e precisamente così come ad un'anima progredita, completamente nell'ordine naturale, è possibile la percezione a distanza e nell'intimo delle cose per mezzo del suo etere vitale esteriore, cosa questa che voi avete avuto sufficiente occasione di sperimentare con questi mori”.
Sennonché, per quanto concerne l'anima, che è solo sostanziale, una tale proprietà, anche ammesso che si sia manifestata nella sua massima intensità, non può venire paragonata in nessun modo con la simile proprietà dello spirito, dato che essa è necessariamente ancora limitata nello spazio, ed è atta a pensare ed a percepire all'infuori della sua forma fondamentale soltanto quando è appoggiata a certi elementi primordiali trascendentali conformi a natura, e ciò in maniera tanto più sensibile e più completa quanto più è vicina alla sua propria e vera forma vitale umana. Però, una tale percezione a distanza molto grande, anche ammesso che l'anima si trovi nello stato più perfetto possibile, naturalmente sempre solo animico, diventa una questione molto difficile, e per quanto un'anima sia in possesso di una energica sfera vitale esteriore, con la sua irradiazione non potrà raggiungere da qui la terra africana, né sarà in grado di percepire nulla di quanto avviene là!».
La sfera vitale esteriore dell'anima e quella dello spirito.
1. (Il Signore:) «Certamente, quando in certi momenti d'estasi lo spirito giunge per alcuni istanti ad irradiare con il suo etere del fuoco di vita primordiale nell'anima perfetta, allora la percezione, l'azione e la visione a distanza vengono potenziate di molto, ed in simili momenti all'anima è possibile giungere perfino a stelle molto lontane e osservarle con grande precisione. Quando però lo spirito, secondo l’ordine, si ritira nell'anima e ritorna allo stato normale, allora l'anima, con la sua sola propria sfera vitale esteriore, può giungere efficacemente soltanto fino a là dove essa, nel più favorevole dei casi, trova ancora qualcosa di elementarmente corrispondente a lei stessa. Insomma, la sua sfera vitale esteriore è simile all'irradiazione di una luce terrena visibile; quanto più lontana si trova dalla fiamma generatrice, tanto più diventa debole e pallida, finché di essa infine non rimane altro che tenebre e notte profonda.
2. Ma non così avviene della sfera vitale esteriore dello spirito; questa è invece simile all'etere il quale, distribuito ugualmente in ogni luogo, colma tutto lo spazio infinito. Se poi avviene che lo spirito, quando nell'anima emerge liberamente, si ecciti, allora nello stesso istante si eccita anche la sua sfera vitale esteriore entro un raggio infinitamente ampio, e il suo vedere, il percepire e l'agire si estendono senza la minima limitazione tanto infinitamente lontano, quanto lontano si estende l'etere che riempie completamente lo spazio fra le creazioni esistenti entro l'etere stesso. Infatti questo etere, detto fra noi, è propriamente del tutto identico all'eterno spirito vitale nell'anima. In sostanza, esso non è che un punto focale condensato dell'etere vitale universale che riempie tutta l'infinità, e non appena esso, che germina attraverso l'anima, viene in contatto con l'etere esteriore, allora il suo percepire, pensare e vedere si riuniscono immediatamente, senza ridurre la loro potenza, all'infinito etere vitale esteriore nello spazio senza confini. E ciò che l'immenso etere vitale - il quale circonda ogni luogo e compenetra tutto percepisce, vede, pensa, vuole ed opera nello spazio infinito, ebbene, anche il singolo spirito in un'anima lo percepisce, lo vede, lo pensa, lo vuole e lo opera nello stesso istante, ma allora pure l’anima lo vede, lo percepisce, lo pensa, lo vuole e lo opera finché essa è compenetrata dal proprio spirito e quando questo si trova congiunto con l'etere vitale esteriore universale, infinito ed intimissimamente affine ad esso.
3. Il divario dunque fra la sfera esteriore di un'anima di per sé, per quanto perfetta, e l'etere vitale esteriore dello spirito è, come è facilissimamente comprensibile, indicibilmente ed infinitamente grande, e voi forse comincerete ora già ad avere, così all'incirca, una vaga idea di come sia possibile ad uno spirito, percependo, vedendo, pensando, volendo e operando, trasferirsi ad una distanza tanto incommensurabilmente grande, anzi compenetrare tutta l'infinità, dato che esso, in tutta intera l'infinità eterna, è ininterrottamente e senza mai indebolirsi sempre l'uno e lo stesso spirito in ciascun punto dell'intero spazio eterno.
4. Benché dunque, per effetto della concentrazione parziale nelle anime, esistano alcune parti dello Spirito universale che sono distinte e separate, esse formano comunque sempre “una” unità perfetta con lo Spirito universale non appena giungano a compenetrare completamente l'anima in seguito alla rinascita dello spirito alle condizioni che sapete. Ma queste parti distinte e separate con ciò non perdono affatto la loro individualità perché, essendo punti focali vitali nella forma umana dell'anima, esse possiedono la stessa forma, e per conseguenza esse - quali spiriti che percepiscono e vedono immediatamente tutto, attraverso la loro anima che in effetti è il loro corpo - percepiscono e sentono con assoluta chiarezza anche tutto quello che di particolarmente individuale si trova nelle anime che le racchiudono. Ma per tale ragione anche un'anima, la quale sia colma del proprio spirito, può vedere, percepire, udire, pensare e volere tutto ciò, perché così essa è diventata completamente una cosa sola col proprio spirito.
5. Qualora però, nonostante questa spiegazione quanto mai evidente e chiara, non potesse ancora farsi in voi una qualche luce riguardo alla essenza dello spirito e alle sue proprietà, allora davvero Io stesso non saprei come fare per rendervi più chiara ancora la cosa prima che sia avvenuta la rinascita dello spirito nelle vostre anime! Parlate perciò ora apertamente del tutto, e dite se finalmente Mi avete ben compreso per quanto concerne tale importantissima questione!».
L'Onniscienza di Dio
1. Dice allora Mataele, e assieme a lui vari altri: «O Signore, eccome! Ora è stato tutto chiarito, e non sapremmo davvero cosa dovremmo o potremmo ancora chiederTi! O Signore, interrogaci ora a Tua volta, perché Tu saprai meglio di chiunque altro dove in noi c'è ancora qualche carenza!»
2. Dico Io (Gesù): «Veramente sarebbe alquanto fuori luogo se Io volessi domandarvi qualcosa come se Mi fosse necessario udirla prima da voi, considerato che Io so e vedo tutto ciò che succede in voi! Perfino i vostri più reconditi pensieri, dei quali voi stessi a malapena ne avete nozione, sono ai Miei occhi tanto chiarissimamente visibili, quanto lo è ai vostri occhi il Sole nel firmamento, e in simili condizioni dovrei interrogarvi pure riguardo a qualcosa come se Io non lo sapessi già in precedenza?! Ma questo, non sarebbe fuori posto, o quantomeno un inutile chiacchiericcio della bocca e della lingua che non ha altro scopo se non quello di sprecare il tempo?»
3. Interviene allora il moro che era lì vicino, e dice: «O Signore, questo non mi sembra proprio logico, poiché, a quanto mi consta, Tu Stesso poco fa hai domandato ai Tuoi discepoli dalla pelle bianca se avessero ben compreso questo e quello. Ora questa è pure una domanda mediante la quale ci si propone di apprendere da qualcuno qualcosa di cui prima non si aveva nessuna nozione ben chiara! Perché dunque hai interpellato i Tuoi discepoli? Non sapevi Tu già prima, se essi avevano compreso o meno le Tue grandi e sapientissime Rivelazioni?»
4. Rispondo Io: «O Mio stimabile e amico dalla pelle nera, quando si domanda, capita che non sempre ci si informa proprio di ciò che eventualmente non si conosce già prima, ma molto spesso si domanda con l'intenzione, fondata su buone ragioni, di scrutare nell'animo dell'interrogato per indurlo alla riflessione.
5. Così, ad esempio, un maestro chiede ai propri allievi cose che egli sa e deve sapere molto bene già prima anche senza la risposta dei giovinetti affidati alle sue cure; e così altrettanto anche un giudice interroga il trasgressore della legge riguardo al crimine che ha commesso, non certo per ascoltare da lui in che cosa consista ciò che ha perpetrato contro la legge; questo il giudice lo sa già molto prima! Egli vuole solo strappare all'inquisito la confessione spontanea, e punire il colpevole qualora questi voglia giocare d'astuzia negando ostinatamente il fatto addebitatogli, di cui, in seguito alle deposizioni confermate da vari testimoni, egli si è già da molto tempo convinto che è stato effettivamente commesso!
6. Dunque anch'Io, che sono un verissimo Maestro e un Giudice giustissimo tra i giusti, posso rivolgere a voi uomini, delle continue domande non già per apprendere da voi qualcosa che è eventualmente stata ignorata da Me fino a quel momento, ma per costringervi con ciò alla riflessione e all'esame di voi stessi! Quindi, considerata la cosa da questo punto di vista, è legittimo che interroghi chiunque; certo, se Io invece interrogassi qualcuno di voi quasi fosse Mia intenzione convincerMi se questo o quello dei Miei discepoli ha o no ben compreso la Mia Dottrina, allora sì che questa sarebbe da parte Mia una domanda vana e non adatta, dato che Io, quale Dio, anche senza alcuna domanda ho avuto ad ogni modo già dall'eternità il Potere di conoscere chi Mi avrebbe compreso su questa Terra nel tempo attuale e come Mi avrebbe compreso! Adesso ti è chiaro anche questo punto?»
7. Dice il moro: «Sì, o Signore, ed io Ti prego di perdonarmi per averTi dato ora noia con la mia domanda quanto mai fuori posto; in avvenire di certo non ricadrò più nel mio errore se assieme ai miei mi sarà concesso di trattenermi nella Tua santa vicinanza ancora per qualche tempo!»
8. Ed Io gli dico: «Tu puoi rimanere presso di Me finché vuoi, e puoi fare pure delle domande. Se in te c'è ancora qualcosa che non ti appare abbastanza chiaro, tu, come qualsiasi altro, hai il libero e pieno diritto di domandare! Infatti, qui in questo luogo Io ora Mi manifesto del tutto apertamente; più tardi invece verrà un'epoca nella quale per un certo tempo non ascolterò nessuna domanda da parte di nessuno. In te c'è ancora qualche lacuna; scruta dunque bene in te e poi domanda, ed anche su tali punti non mancherà di venirti fatta luce!»
9. Dice il moro: «O Signore, non occorrerà davvero che io scruti in me a lungo, perché le mie lacune le conosco già da molto tempo! Ebbene, vedi, una delle mie lacune principali è che io meno di qualsiasi altra cosa posso spiegarmi l'Onniscienza di Dio. Com’è possibile che Tu sappia proprio tutto quello che è e che avviene nell’immensità completa dell'infinito?»
10. Ed Io rispondo: «Ma se questa cosa non la comprendi ancora, è segno che non hai afferrato abbastanza profondamente le Mie Rivelazioni di poco fa riguardo all'etere esteriore dello spirito! Eppure devi aver compreso come l'eterno spazio della Creazione sia eterno ed infinito, e come esso, da tutte le parti, continuamente, eternamente e dappertutto, non sia colmo d’altro se non del Mio Spirito che è Amore assoluto, e quindi Vita, Luce, Sapienza, chiarissima coscienza del proprio Essere, e un preciso percepire, sentire, vedere e operare.
11. In Me questo è certamente del tutto l'uno ed eternamente un uguale punto focale dello Spirito, il quale però è una cosa sola col Mio proprio etere vitale esteriore infinitamente esteso che colma l’intera l'infinità, perché questo, con tutto quello che esso abbraccia, è in uno stato di perpetua ed intimissima congiunzione col punto focale principale che è in Me. Dunque, questo Mio etere vitale esteriore compenetra tutti e comprende tutto nell'infinito eterno, e vede, ode, percepisce, pensa, vuole e opera dappertutto nella stessa e perfettamente identica maniera.
12. Di una cosa simile ne è capace pure la tua anima, trattandosi di una certa distanza; poiché vicino a te sarebbe difficile che qualcuno concepisse un pensiero maligno senza che tu te ne accorgessi immediatamente. Ma come a te è possibile una simile cosa per mezzo dell’energica sfera eterea esteriore della tua anima, sfera eterea che sta sempre in intimissima unione con te e così estende la tua personalità animica ben oltre la tua personalità materiale, ugualmente succede all'etere vitale esteriore del Mio Spirito, con la sola differenza che la sfera della vita esteriore della tua anima è limitata solo ad un certo spazio, perché essa, quale sostanza, non può estendersi più oltre a causa della diversità degli elementi estranei che incontra.
13. L'etere vitale esteriore dello Spirito non può invece mai in eterno imbattersi in elementi estranei, dato che in ultima analisi Esso stesso è tutto; per conseguenza Esso, nella suprema libertà e senza incontrare assolutamente alcun impedimento, può spaziare nell'infinito e vedere, percepire, udire e comprendere tutto nel più perfetto dei modi. Ora vedi, su ciò si fonda, com'è chiarissimo e ben facile da comprendere, anche l'Onniscienza di Dio che finora ti riusciva tanto difficilmente concepibile. E ora dimMi se ti è chiaro anche questo punto!».
Il linguaggio degli animali
1. Risponde il moro con la faccia completamente rasserenata: «Oh, sì, sì, adesso vedo tutto perfettamente, e credo inoltre di comprendere ormai appieno varie cose che finora non avevo potuto mai comprendere con troppa chiarezza. Ecco che allora è evidente che noi comprendiamo benissimo il linguaggio degli animali, e chi vuole fare la fatica di modulare i pochi suoni che emettono gli animali nella maniera suggerita dalla percezione interiore e dall’intelligenza animico-naturale, per la qual cosa certo ci vuole un po’ d’esercizio, costui può addirittura parlare con gli animali come con gli uomini, e può imparare da loro più di una cosa che sul serio spesso è di significato non piccolo. Io stesso ci ho provato, però non sono mai riuscito ad acquisire le nozioni complete di un linguaggio che fosse comprensibile a tutti gli animali perché i miei organi vocali non sono perfettamente adatti a questo; tuttavia posso comprendere tutto quello che qualche animale comunica al proprio simile.
2. Così, ad esempio, mi è toccato una volta nella mia patria di sorprendere il colloquio tra due icneumoni[17] mentre io me ne stavo in riva al Nilo senza essere scorto da loro. Il maschio ben riconoscibile diceva alla femmina: “Ascolta, io comincio ad essere inquieto per i nostri figli che ad una giornata di viaggio da qui stanno dando la caccia alle uova del mochel (il coccodrillo) lungo il corso inferiore del fiume. Temo che nostro figlio maggiore, quando sarà sazio e impigrito a riposare sulla riva, venga artigliato da qualche uccello rapace che lo solleverà poi in aria per lasciarlo cadere su qualche rupe, dove si sfracellerà miseramente e finirà con l’essere divorato fino all'ultimo ossicino. Se noi due ci affrettiamo in tutta lena, possiamo ancora scongiurare questa sciagura. Verso sera scendono i leoni e le pantere ad abbeverarsi al Nilo, e allora il viaggio sarebbe pericoloso per noi; ma se abbandoniamo rapidamente questa località dove comunque non possiamo ottenere più molto, durante il lungo viaggio fino a là non avremo alcun pericolo da temere ed arriveremo a portare in salvo nostro figlio maggiore!”. A queste parole la femmina si rizzò e disse semplicemente: “Bene, allora mettiamoci in marcia con la sollecitudine che ci è abituale!”. E quando lei disse questo, entrambi si mossero subito e si avviarono a passo velocissimo seguendo il corso del fiume.
3. Dopo circa quattordici giorni ritornai allo stesso posto perché avevo intuito in me che là era venuta a stabilirsi un’intera famiglia di icneumoni; mi affrettai a passo leggero e, avvicinatomi, trovai davvero sette icneumoni che si trastullavano su un banco di sabbia rincorrendosi e scherzando tra di loro. Quella volta però avevo preso con me anche il mio servitore, essendo egli particolarmente abile nell'intendere il linguaggio di molte specie di animali.
4 E mentre noi due ci avvicinavamo pian piano in silenzio ad un cespuglio non lontano da quel punto della riva destra sul quale intendevamo stare in ascolto e mentre al nostro orecchio giungeva già distintamente il chiacchiericcio di quegli animali, sentimmo la femmina, che io ormai conoscevo, dire al suo maschio: “Sta attento! Dietro a quel cespuglio stanno in agguato due uomini; scappiamo dunque, perché di quelli non ci si può mai fidare". Il maschio invece voltò il muso dalla nostra parte, fiutò l'aria e poi disse alla femmina: “Non temere! Quei due li conosco bene; non sono cattiva gente, anzi saranno semmai gli ultimi a farci del male; essi ci comprendono, e uno dei due potrebbe perfino parlare con noi se lo volesse. Noi anzi ci intratterremo allegramente con loro, e poi ci daranno da mangiare del pane e da bere del latte!».
5. Allora la femmina ritornò tranquilla, e tutta gioiosa riprese a saltare e a ballare perché era quanto mai lieta di aver salvato il suo piccolo scampato a mala pena da una triste fine. Anche il figlio era un animale già ben formato, e mostrava una specie di concetto superiore di se stesso, ciò che si potrebbe chiamare, nella nostra sfera morale umana, una certa superbia.
6. Il mio compagno espresse allora l'opinione che noi avremmo potuto avvicinarci senza alcuna preoccupazione a quell’allegra compagnia, la quale non sarebbe affatto fuggita dalla nostra presenza. Noi facemmo così ed ecco che il maschio adulto ci mostrò perfino una specie di cortesia facendoci comprendere dove avremmo potuto trovare un posto comodo per goderci lo spettacolo; aggiunse però che bisognava che noi evitassimo di inoltrarci sul banco di sabbia, perché là erano interrate delle uova di mochel in grande quantità, ed egli appunto si accingeva a far esercitare i suoi figli nella ricerca di quelle uova maligne.
7. Noi facemmo così come ci era stato suggerito, e il mio servitore assicurò il maschio che lui e tutta la sua compagnia non solo non avrebbero avuto niente da temere da noi, ma che noi li avremmo provvisti abbondantemente di latte e di panetti di latte (formaggio) per tutto il tempo che si sarebbero trattenuti in quel luogo. Allora il maschio disse: “Questo sarà molto buono, ed io in compenso ti ripulirò il fiume da tutte le uova di mochel. Tu però aspetta ancora due giorni interi prima di attuare il tuo benefico proponimento, perché bisogna che i miei piccoli vengano costretti con la fame a distruggere le uova del mochel, e poi solo il terzo giorno verrà a proposito la ricompensa saporita!”
8. Dopo di che il servitore interrogò di nuovo il maschio per sapere com'era possibile che in quei paraggi si trovassero deposte delle uova di mochel, poiché là nessuno aveva mai visto un esemplare dell’animale in questione. E il maschio rispose: “I mochel sono molto scaltri e parecchio esperti nelle cose della natura; per loro natura ed esperienza sanno che le loro uova in questa regione alta del fiume si mantengono più sane e prosperano meglio che non nelle regioni più basse. Per conseguenza, subito dopo la stagione delle piogge risalgono di notte la corrente fino a qui, e per parecchie giornate ancora molto più in su fin nella regione delle acque dure del fiume, e interrano sotto la sabbia calda una quantità grandissima di uova. Una volta compiuto questo lavoro, precisamente nell'epoca in cui voi, uomini dal pesante corpo, come del resto anche noi, non potete avvicinarvi facilmente alle rive del fiume a causa del fango che vi resta depositato, essi di nuovo di nascosto, di notte, ridiscendono lungo la corrente verso i territori pianeggianti dove pascolano ricche greggi alle quali possono dare la caccia sempre con buon successo quando fa notte. Quando però i piccoli escono dalle uova, raggiungono immediatamente le acque del fiume e scendono nuotando comodamente verso le località dove di solito si trattengono gli adulti; là trovano anche presto il nutrimento confacente e crescono molto rapidamente. Ma siccome noi sappiamo benissimo dove si trovano le loro grosse uova, le cerchiamo e tentiamo di distruggerne il maggior numero possibile, e ci nutriamo del loro contenuto che al nostro palato è di un sapore eccellente; solo che all’inizio la ricerca non va molto bene, perché dobbiamo fare i conti con due specie di nemici che spesso ci molestano. Uno è un possente abitante dell'aria, cioè l'aquila, e il secondo è quella razza maledetta di serpenti a sonagli; tuttavia, se siamo molti di noi assieme, nessuna delle due specie può farci niente. Ma adesso fate attenzione a come i miei piccoli andranno in cerca delle uova e le distruggeranno!”
9. Dopo di che il maschio si allontanò da noi saltellando ed emise alcuni suoni che all'orecchio umano apparivano certo uniformi e inarticolati. Io non arrivai a comprenderne bene il senso, però il mio servitore che ha l'udito molto sottile, mi disse che il maschio aveva dato il segnale per la caccia alle uova! E infatti, quelle bestiole cominciarono a frugare con le zampe nella sabbia, e quando trovavano un luogo dove c'era un deposito d'uova, emisero un grido del tutto particolare e si misero a scavare con impegno nella sabbia. Una volta che le uova furono dissotterrate, il bottino venne senz'altro consumato; essi però non mangiarono che il contenuto delle piccole uova, mentre le grandi venivano forate a forza di morsi e quindi rapidamente gettate nell'acqua con le zampe anteriori. Poi la caccia riprendeva».
Esempi dell’intelligenza degli animali
1. (Il moro:) «Noi rimanemmo a guardarli pacificamente per una mezza giornata e ci divertimmo assai a quello spettacolo, perché ad ogni passo e ad ogni atto di quelle bestiole potevamo convincerci che esse evidentemente procedevano secondo un piano molto ben calcolato, e contemporaneamente non potevamo fare a meno di stupirci parecchio per la particolare abilità con la quale quegli esseri dall'intelligenza veramente più che umana sbrigavano il loro lavoro. Io pensavo che si sarebbero stancati una buona volta, ma non c'era neanche da parlarne; quanto più il lavoro durava, con tanta maggior lena veniva sempre ricominciato.
2. Dopo tre ore circa secondo il nostro computo del tempo, il maschio ci venne di nuovo vicino e disse che per ripulire quel banco di sabbia sarebbero bastati a mala pena quattro giorni; dirimpetto, poi, sulla riva sinistra c'era anche una considerevole distesa di sabbia in discesa nella quale era sepolta altrettanto una quantità di uova di mochel. Disse anche che dovevano distruggere pure quelle, altrimenti entro un anno si sarebbe visto pullulare i mochel da quelle parti, e nel giro di dieci anni questi animali si sarebbero tanto moltiplicati, che nessuno in tutta la regione pianeggiante del paese avrebbe potuto muovere un passo senza imbattersi in qualche mochel. Gli abitanti di quel paese non hanno mai potuto essere abbastanza grati agli icneumoni per l'opera di distruzione che veniva compiuta continuamente per impedire la propagazione di quei maligni animali lungo le due rive del fiume, sia nella regione alta, che in quella bassa del paese.
3. Il mio servitore domandò a quel vispo animaletto come poteva essere che, nonostante tutta la loro diligenza, i mochel continuassero ad esserci e a prolificare nel fiume. E quel maschio, allora, assumendo un tono assai grave, rispose così: “È il grande Spirito di tutta la natura a volere che i mochel non vengano mai completamente annientati in questo fiume, perché anche la loro funzione è quella di essere utili alla Terra e ai suoi abitanti; soltanto, che non devono prendere il sopravvento, e a questo scopo siamo noi qui che abbiamo l'incarico di mantenere il loro moltiplicarsi entro i dovuti limiti. Il grande Spirito ha così previsto tutto saviamente, e così deve essere, affinché una vita possa trovare nell'altra il proprio perfezionamento. I trapassi sono sempre amari, ma tanto più gradevole poi è la vita superiore!”
4. Il servitore allora gli domandò come fosse pervenuto alla conoscenza di uno Spirito supremo. Il maschio emise un suono prolungato che parve come un ridere, e quando ebbe terminato, per così dire, la sua risata, rispose al servitore: “Ma se ogni giorno vediamo il Suo Sole sul firmamento, e come da questo Sole affluiscono a noi ogni tipo di buoni spiriti! E da quale altra parte mai possono venire, se non dal grande Spirito della luce fuori dal Sole?”
5. Ed avendo il servitore chiesto ancora: “E voi onorate anche questo grande Spirito della luce?”, il maschio rispose: “Ma questa è una domanda ben strana da parte vostra, uomini adulti quali siete voi! Non sarete forse più schiocchi di noi, deboli animali? Se noi, volentieri e instancabilmente, facciamo secondo l'impulso che la Sua Volontà ha posto nella nostra vita naturale, così facendo onoriamo nel migliore dei modi il grande Spirito. Oppure riuscite a pensare ad un modo migliore per onorarvi reciprocamente, che non sia quello di fare con gioia la volontà del proprio prossimo? Ecco, tutto sta nel fare secondo la Volontà di Colui che veramente si vuole onorare”. Con ciò il maschio ci lasciò di nuovo e riprese con tutta diligenza il suo lavoro. Noi invece abbandonammo quel luogo e facemmo ritorno a casa per sbrigare le nostre faccende.
6. Da lì ad un paio di giorni provvedemmo quegli animaletti di latte e formaggio, cibo questo che essi divorarono con grande compiacimento, dopo di che si presero un’intera giornata di riposo.
7. In quell’occasione il mio servitore domandò al maschio se la carne del mochel fosse commestibile per l'uomo, ben inteso arrostita prima al fuoco. E il maschio rispose: “La carne del ventre sì, perché è digeribile; ma con tutto il resto non c'è nulla da fare, trattandosi di una carne assai dura ed assolutamente indigesta. Il cavallo del Nilo (ippopotamo) sarebbe migliore, e migliore ancora è il vitello del Nilo[18], il quale però si trova sempre piuttosto nelle vicinanze del mare, ma per lo più in acque profonde, e solo in occasione di perturbazioni sottomarine risale in superficie dove gioca con le imbarcazioni degli uomini”.
8. Dopo questa spiegazione tutti i sette animaletti si allontanarono da noi saltando e si spostarono sulla riva opposta dove però non li seguimmo, dato che avevamo imparato a conoscere a sufficienza la loro natura e il loro carattere.
9 Io ho citato qui questo esempio degli icneumoni, perché la faccenda era stata per me qualcosa di assolutamente nuova, e perché in nessuno degli animali da me conosciuti ho potuto mai riscontrare tanta accortezza.
10. Anche tra gli uccelli ci sono dei caratteri molto saggi; in primo luogo in questa categoria va classificato l'ibis, la cicogna, la gru, l'oca selvatica e la rondine. Tra i quadrupedi della Terra i più intelligenti sono certamente il cammello e più ancora il grosso elefante, poi il cavallo, l'asino, il cane, la scimmia, la capra, inoltre la volpe, l'orso e il leone, i quali hanno tutti un linguaggio ben chiaro. L'intelligenza degli altri animali domestici è più debole, e il loro linguaggio è più stupido e incomprensibile. Tra gli animali domestici a sangue freddo invece il primato spetta alla grande lucertola, perché questa viene considerata da noi formalmente come profetica, e ci annuncia spesso già diversi giorni prima tutto quello che succederà. Per questa ragione anche simili animali sono da noi oggetto di cure particolari e vengono nutrite con latte e formaggio.
11. In verità, c'è da restare assai meravigliati al pensare dove mai questi animali attingono il loro sapere. Ad ogni modo, io non racconto assolutamente favole, anche se quello che ho raccontato sugli icneumoni può apparire una favola agli occhi dei bianchi inesperti. Ma se proprio una cosa simile non potessero crederla affatto, per fornire praticamente un esempio, fate condurre qui eventualmente un asino che sia del tutto estraneo a questa cosa; il mio servitore poi gli rivolgerà delle domande ed incaricherà l'animale di fare qualcosa prestabilita, ed esso certo eseguirà anche puntualmente quanto il servitore gli richiederà».
La conversazione del nubiano con l’asino di Marco avvenuta nel linguaggio dell’animale
1. Allora il vecchio Marco dice rivolto a Me: «O Signore! Devo proprio condurre qui un asino, ma uno dei miei del tutto naturali, visto che i due creati recentemente potrebbero dar luogo a qualche pregiudizio?»
2. Ed Io gli rispondo: «Sì, anzi, fa pure così, perché da tale esperienza si potrà ricavare ancora un’importante insegnamento».
3. A queste parole Marco si allontanò rapidamente e ritornò conducendo un asinello maschio, che presentò al moro dicendogli sorridendo: «Ecco, questo qui sarebbe così, pressappoco, un sapiente di questo mondo; fa pure di lui secondo il tuo gradimento!».
4. Il moro chiamò allora il suo servitore, e questi, imitando perfettamente la voce dell'asino, rivolse ogni tipo di domande all'animale, ed ecco che quest’ultimo gli raccontò una quantità di cose in relazione alle faccende di Marco e a quelle del suo precedente padrone, persona molto rozza; gli disse inoltre, nel suo linguaggio, il relativo nome e fu prodigiosamente preciso riguardo ad una quantità di cose delle quali il servitore moro non avrebbe potuto venire facilmente a conoscenza, ciò che colpì in altissimo grado il nostro Marco. Infine, il servitore chiese all'asino che, per fargli un favore, compisse per tre volte il giro della nostra mensa e che concludesse lo spettacolo facendo udire per sette volte a voce spiegata il suo caratteristico ih-ho! E subito l'asino eseguì quanto gli era stato richiesto e poi si allontanò da solo.
5. Quindi il capo dei mori, rivolto alla compagnia, chiese se anche quella esibizione non avesse tutta l'apparenza di una favola a mala pena credibile.
6. E Cirenio, che non la finiva di fare le più grandi meraviglie, rispose: «No, caro amico, questa non è una favola, ma quasi quasi sarei davvero portato ormai a credere che il nostro famoso narratore di favole, Esopo, abbia egli pure avuto la facoltà di conversare con gli animali! O Signore! Ecco un'altra caratteristica di questi mori della quale prima noi non avevamo nemmeno il più lontano sospetto! Ah, certo, se le cose vanno avanti in questo modo, ce ne vorrà del tempo prima che si finisca di conoscere questi mori! La storia va facendosi sempre più interessante, più incredibile e inspiegabile! Nei libri della Scrittura, io ho certamente letto una volta di un asino che si dice abbia rivolto la parola al suo padrone, un profeta di nome Balaam, che lo maltrattava troppo; ma che cosa è questo, al paragone di quanto succede qui, dove questo moro discorre con un asino del tutto innocuo, e questo gli espone, in modo quanto mai classico la propria biografia, e che questa non sia stata un’invenzione del moro, c'è qui il vecchio Marco che ne rende testimonianza!
7. Certo, tutto questo è tutto bello e buono, e non ho assolutamente alcuna obiezione da fare; tuttavia, in aggiunta a tutto quello che finora ho avuto occasione di apprendere in relazione a savie dottrine, desidererei anche che questo fenomeno meraviglioso venisse reso almeno un po’ percettibile alla mia mente, come cioè sia possibile comunicare per mezzo delle parole con gli animali! Da una simile cognizione non dipenderà sicuramente la salvezza dell'uomo; ma poiché esiste questo fenomeno assolutamente particolare e meraviglioso che si manifesta in un campo che è puramente umano, vorrei pure conoscere un po’ più da vicino il modo e il mezzo con cui si attua! Come mai gli animali possono farsi comprendere dall'uomo con le parole, e viceversa? O Signore! Dacci qualche breve cenno di chiarimento anche a questo riguardo!»
8. Dico Io: «Gli uomini che possiedono tale capacità non sono comunque in una condizione di privilegio rispetto a voi che non la possedete, perché quanto più una qualche anima umana sta vicino alle anime animali, tanto più accentuata è in lei tale capacità di comunicare con gli stessi animali, naturalmente nel suo stato di piena purezza e in conformità all'ordine della vita. Ma se essa s’immedesima troppo nella carne, allora poi anche le proprietà speciali sono finite, e al suo posto subentrano le leggi tenebrose della materia, e poi tutto ciò che può danneggiare la carne danneggia anche l'anima».
La crescita della sfera vitale esteriore umana
1. (Gesù:) «Ad ogni modo, agli scopi della facoltà di potersi comprendere con gli animali, non c'è proprio bisogno di essere un moro, e i bianchi, una volta che si siano completamente purificati, possono acquisire altrettanto tale facoltà. Una volta che un'anima è diventata del tutto pura, e per conseguenza anche sana e vigorosa, allora essa, con la sovrabbondanza della propria sfera vitale esteriore, comincia in un certo modo ad oltrepassare i confini del proprio corpo, e precisamente in un raggio tanto più ampio, quanto maggiore è il grado di consistenza e di energia vitale conseguito in se stessa.
2. La cosa è da intendersi pressappoco così come se qualcuno di voi volesse semplicemente immaginarsi un carbone acceso entro una stanza del tutto oscura; il carbone nelle sue immediate vicinanze emanerà a mala pena quel tanto di luce necessario a rivelare la sua presenza, nonché il punto in cui si trova; se però dalla sua superficie si soffia via lo strato di cenere che lo ottenebra, cenere che in un certo qual modo si può paragonare alla materia dell’anima, la sfera di luce intorno ad esso si farà già tanto intensa ed ampia da riuscire a distinguere molto bene quanto si trova immediatamente vicino. Se l'azione del soffio si fa più energica, dalla sua superficie già leggermente rovente comincerà a diffondersi una luce già sufficiente a rendere visibili, certo ancora debolmente ma tuttavia ben distintamente, gli oggetti raccolti in tutta la stanza. Se poi, alla fine, il carbone viene portato al grado del calore bianco, con ciò in tutta l’intera stanza si farà completamente chiaro e si potrà senz'altro distinguere più chiaramente, anche secondo il suo colore, ciascun oggetto che vi è contenuto.
3. Non diversamente succede con l'anima pura. Il carbone acceso ricoperto di cenere è simile ad un'anima del tutto concresciuta con la propria carne: tutto il suo pallido fuoco vitale essa lo impiega solo per la formazione della materia tenebrosa che la circonda, perciò in questo caso non se ne parla proprio di una sfera vitale esteriore! Ed è impossibile che una simile anima materiale possa mai percepire in sé qualcosa di una qualche particolare proprietà superiore. Qui non si tratta certo né di un dominio sopra tutte le creature, né di una visione nei campi del regno animico della vita, né della percezione di una voce spirituale interiore, e meno ancora di una comprensione del linguaggio degli animali o addirittura delle piante, tutte cose queste, che ai tuoi antichissimi progenitori erano altrettanto conosciute quanto lo può essere la forma esteriore generalmente nota di un oggetto o di una qualunque cosa. Infatti, cosa potrebbe illuminare, in maniera vivente, la sfera esteriore spirituale dell'anima quando essa, chiamata essa stessa a splendere, non riesce ad emanare intorno a sé quel tanto di etere vitale luminoso necessario alla visione di se stessa, e alla constatazione del fatto che esiste e di come esiste?
4. Una simile anima finisce col conservare a mala pena una lieve nozione della propria esistenza; essa non conosce affatto le fondamenta sulle quali poggia, e se sente spirare intorno a sé qualcosa di spirituale, ne prova nausea e si spaventa fino a svenirne, qualora le accada di vedere qualcosa che abbia una qualche somiglianza anche lontana con l'anima di un defunto, e resta sbigottita assistendo a qualche grande prodigio! Ebbene, che cosa si può fare con un'anima di questa specie?
5. Ah, se però ad una simile anima giunge da qualche parte, per così dire, un alito spirituale, sia per effetto dell’auto persuasione sia per quello di una notizia la cui genuinità è garantita, e comincia a farsi rovente di vita come il carbone menzionato prima, allora certamente inizia per lei il periodo in cui, in primo luogo percepisce e riconosce la base che costituisce il proprio fondamento. E poi, qualora l'alito spirituale che le aleggia intorno vada accentuandosi, essa, che in sé sta diventando sempre più luce, va riconoscendo la propria individualità in maniera sempre più chiara, più pura e sempre più come separata dalla materia, e allora anche la sua luce comincerà già ad emergere oltre la propria forma limitata e ad illuminare la propria sfera vitale esteriore!
6. E poi, con quanta maggior forza e continuità le brezze della vita spirituale influiscono sull'anima quali alimentatrici del calore, tanto più lontano anche la sfera vitale-luminosa esteriore dell'anima, arroventandosi fino al calore vitale bianco, giunge con la sua luce, e poi tutto quello che viene a trovarsi entro l'ambito di questa sfera vitale-luminosa esteriore animica, risulta anch’esso compenetrato dalla luce animico-vitale, e dall'anima splendente viene preso e pienamente riconosciuto.
7. Una volta che un’anima avrà raggiunto la massima intensità possibile della sua luce, paragonabile dunque a quella del carbone acceso al calore bianco, la sua sfera luminosa esteriore, come emanata unicamente dall'anima, raggiungerà il grado massimo possibile di ampiezza e di intensità; con ciò essa assurgerà a dominatrice di ogni creatura, perché per mezzo di questa sua sfera vitale esteriore potrà allora corrispondere ed entrare in comunicazione in maniera perfettamente intelligente, vigorosa ed efficace con tutte le creature che si trovano nella giusta vicinanza».
La sfera di luce vitale esteriore di Mosè e dei patriarchi
1. (Gesù:) «Gli antichi pii patriarchi possedevano una sfera di luce vitale esteriore così intensa, che durante la notte splendevano perfino in maniera visibile agli occhi terreni. L'anima di Mosè, dopo aver comunicato con Dio sul monte Sinai, per effetto dell'ardore del suo amore per Lui, emanava anche di giorno tanta luce, che la sua faccia si faceva raggiante e splendente più del Sole a mezzogiorno, ed egli dovette ricoprirla di un triplice velo, affinché il popolo la potesse guardare. L'anima di Mosè aveva raggiunto quindi, certo più che abbondantemente, la perfezione tra gli uomini di questa Terra, perciò anche ogni creatura doveva prestargli assoluta obbedienza, ed egli si manteneva in continuo ed intelligentissimo rapporto con tutti gli esseri creati, e così trovava anche dappertutto, espressa la Mia Volontà e la indicava agli uomini ciechi, ai quali mostrava con precisione le vie che conducono chiunque, purché lo voglia fortemente, alla perfezione della sua anima. A tale scopo egli istituì anche una propria scuola dei profeti, che certo esiste ancora nel tempo presente, ma la cui esistenza è simile a quella della nuova Arca dell'Alleanza, cioè completamente falsificata, considerato che quella genuina di Mosè è stata già da lungo tempo resa priva di forza e di efficacia!
2. Se Mosè, oltre che alla perfezione della propria anima, avesse potuto giungere anche alla rinascita dello spirito - ciò di cui verrà fatto partecipe solo quando Io sarò salito al Cielo quasi come Elia, senza però il carro di fuoco - questo massimo tra tutti i profeti di questa Terra avrebbe potuto destinare nuove orbite a tutti gli astri, ed i soli immensi avrebbero allora dovuto adeguarsi alla sua volontà come già vi si erano adeguate le acque del Mar Rosso e come la rupe di durissimo granito dovette concedere libero passo ad una ricca sorgente, e precisamente laddove Mosè voleva che sgorgasse, perché egli non fece che comandare agli spiriti relegati nella pietra, e questi ben compresero il suo linguaggio e si fecero attivi conformemente alla sua riconosciuta volontà.
3. Che gli antichi savi abbiano potuto comunicare per lo più non solo con gli animali ma anche con tutte le piante e perfino con le pietre e i metalli, con l'aria, l'acqua, il fuoco e con tutti gli spiriti della Terra, di ciò è stata resa ampia testimonianza, e certo sono assolutamente degni di fede i testi di tutte le Scritture, e particolarmente il Libro dei Giudici, quello dei Profeti, il Pentateuco di Mosè e poi una quantità di altri libri e di annotazioni, nonché varie tradizioni popolari ormai senza dubbio fortemente storpiate. Mentre il parlare artificioso dell'erba, degli alberi, delle rupi e dell'acqua, inscenato dagli esseni nel parco dei loro miracoli, non è che una sciocca e vana imitazione di quanto una volta esisteva in tutta la realtà vivente!
4. Questi mori vi hanno dimostrato poco fa, in varie maniere, quale sia la forza di cui dispone un'anima incorrotta, ed Io Stesso questo fenomeno ve l'ho spiegato ora molto chiaramente da tutti i suoi lati; per conseguenza ritengo che voi adesso potreste senz'altro accettare tutto ciò come un’indiscutibile verità, tanto più se, oltre a ciò, vi dico in aggiunta che simili fatti si sono verificati, si verificano tuttora ed anche in avvenire si verificheranno presso gli uomini.
5. Del resto, ancora oggi nei vostri pastori voi avete una prova evidente di ciò, poiché è noto che quei pastori che conoscono assai bene il mestiere, guidano le loro greggi adoperando certi nomi e suoni particolari, dando così a riconoscere la propria volontà agli animali, i quali immediatamente fanno così come la loro guida vuole. E l'asino e il bue non riconoscono perfettamente anch'essi, sia pure un po' faticosamente, i cenni del loro padrone e guida? Chi è che non sa come perfino il furioso leone riconosce sempre il suo benefattore, né gli fa qualcosa di male anche se si trova nello stato massimo dell'ira? Ma ciò prova che gli animali possiedono anch'essi, a loro modo, un’intelligenza, una facoltà di giudizio e di riconoscimento a volte molto acuta. Con ogni specie di atteggiamenti, di mosse e spesso con atti di evidente opposizione, avvertono in molte occasioni l'uomo dei pericoli che lo minacciano e dai quali egli può salvarsi qualora non trascuri i segnali che gli vengono fatti.
6. E da dove, se non da qui, traggono origine gli HARUSPICES (aruspici)[19] ancora oggi in voga presso i pagani, i quali, nel canto e nel volo degli uccelli e nell'atteggiamento di altri animali, pretendono di leggere ogni tipo di cose? Costoro, altro non sono che delle ombre di quella realtà esistita un tempo e della quale stiamo parlando adesso».
La ragione delle spiegazioni del Signore
1. (Gesù:) «Io però queste cose non ve le spiego con l'intenzione di ricondurvi a quello stato originario dei primi uomini, ma per porvi, dato che casi simili sono sempre ancora possibili, su quel gradino del puro riconoscimento dal quale voi non dobbiate più valutare i fatti di tale specie attribuendo loro superstiziosamente un carattere prodigioso, ma affinché lo attribuiate in modo conforme alla verità naturale piena ed assoluta, e perché da questa possiate trarre una norma per il vostro pensare e per il vostro operare. Se, infatti, un giorno, senza questa Mia spiegazione, andaste da alcuni popoli come quello di questi mori che vi stanno ora dinanzi, allo scopo della diffusione della Mia Dottrina, e li vedeste compiere atti quali voi ne avete ormai visti a sazietà, ne rimarreste ben presto estremamente imbarazzati, tanto che finireste addirittura col farvi predicare un altro Vangelo da tali popoli che operano prodigi. Ma con ciò verreste distolti dalle Mie Vie, e difficilmente potreste pervenire alla rinascita del Mio Spirito in voi. Ecco, avverrebbe tutto questo, invece di essere voi a portare il Mio Vangelo ai popoli stranieri.
2. Se invece ora conoscete ogni cosa come essa era ed accadeva nel mondo e come è e succede tuttora, non sarà più così facile ammettere che sussista per voi il pericolo di essere sedotti, a meno che tutt'al più qualcuno di voi non si lasciasse traviare da un sentimento di egoismo ridestatosi in lui, ciò che poi naturalmente avrebbe per logica conseguenza la rovina.
3. Non occorre affatto che voi tendiate al perfezionamento delle vostre anime per entrare in possesso di quelle capacità degli antichi che vi sono state fatte conoscere adesso con tutta fedeltà, perché da ciò non c'è un’anima che possa ricavare la vera beatitudine della vita, bensì, d'ora innanzi, a ciascuno di voi spetta perfezionare e purificare il più possibile il fondamento perfettamente nuovo della sua anima, affinché, con l’effettiva e reale osservanza della Mia Parola, nel complesso della sua anima possa pervenire alla rinascita dello spirito, che a tale osservanza è appunto condizionata. Infatti, una volta che qualcuno sia pervenuto fino a questo punto, egli ha poi in sé, in una volta sola in fatto di capacità più che prodigiose, molto di più di quante ne possedessero tutti gli antichi padri con tutta la loro perfezione animica. Egli potrà penetrare in un istante con lo sguardo tutti i mondi stellari e i soli, e perfino ascoltare e comprendere il loro linguaggio, per quanto remotissimo, con più facilità di quanto gli antichi veggenti e taumaturghi riuscissero a penetrare con lo sguardo e a giudicare tutto ciò che stava loro immediatamente vicino nel loro paese.
4. Certamente essi operavano dei prodigi, ma non li comprendevano. Erano vigorosi, ma la forza come tale non era loro nota, e potevano farne un uso opportuno ed efficace soltanto quando a volte venivano destati e spronati a ciò dal Mio Spirito che li compenetrava; in altre occasioni invece essi usavano spesso la loro forza anche quando non era affatto necessario, quasi come i fanciulli che pure impiegano nei loro giochi una forza spesso esagerata che non può mai arrecare loro alcun vantaggio, eccettuato quello, tutt'al più, dell'esercizio del loro vigore naturale.
5. Invece del tutto diversamente si presenta la cosa quando si tratta della forza universale dello spirito, qualora questo sia perfettamente rinato nell'anima, perché con ciò esso si unisce pienamente alla Mia Onnipotenza eterna ed infinita, al Mio Amore e alla Mia Sapienza, alla Mia Perfezione, al Mio Riconoscimento e alla Mia Volontà! Quando però l'uomo, il quale solo così è un Mio vero figlio, sia giunto in possesso di tutto questo, come potrebbe mai nutrire in sé ancora il desiderio di compiere cose, che un giorno gli antichi, come attualmente questi mori, hanno potuto compiere soltanto parzialmente e imperfettamente?
6. Il fatto che voi ora non siate capaci di simili cose, non va attribuito alla vostra volontà, ma alle epoche attuali e ai loro costumi pervertiti. Perciò adesso sono venuto Io in Persona, per donarvi, al posto del piccolo paradiso perduto, tutto l’intero Cielo dello Spirito il più puro e possente fuori da Me Stesso; ed Io, al posto vostro, penso che dovreste essere ben contenti del cambio!
7. È certo che per la spiritualizzazione perfetta della vostra anima si richiede da voi molta fatica e attività! Sennonché, quando si tratta del raggiungimento, ben precisato e supremamente certo, del massimo e più pregiato bene della vita, allora potete anche voi ben assoggettarvi a qualche pena e a qualche fatica! Infatti, tutte le proprietà meravigliose di un’anima umana, di per sé perfetta, e tutti i tesori di questa Terra, non sono neppure una minima goccia di rugiada al paragone dell'immensità di quello che, in premio dell'osservanza esatta della Mia Parola e della Mia Volontà, vi aspetta in maniera molto più certa della morte della materia del vostro corpo che avverrà un giorno, morte che del resto vi turberà altrettanto poco quanto poco può turbarvi l'abbandonare una vecchia dimora cadente, destinata inevitabilmente a crollare, per prendere possesso per l'eternità di una dimora nuova, anzi di una dimora che né lo scorrere dei tempi né gli uragani potranno mai danneggiare.
8. In verità, in verità vi dico: “Chi per la Mia Parola e per l'agire conformemente a questa Mia Parola è rinato, non sentirà la morte del corpo e non se ne starà angosciosamente in attesa come succede agli uomini del mondo e a più di un animale, ma egli stesso abbandonerà del tutto volontariamente il proprio corpo quando Io, avendo bisogno della sua opera a più nobili scopi, lo richiamerò da questo mondo alla Mia Dimora!”. Avete ormai ben compreso tutto ciò?»
9. Rispondono tutti: «Sì, o Signore, nostro supremo Amore e nostro Tutto! Tutto, sì, noi siamo pronti a dare tutto per il Tuo Amore e per la Grazia infinitamente grande che qui ci hai elargito! Ormai non sapremo davvero che cosa domandare ulteriormente!».
FINE DEL QUARTO VOLUME
La vera sapienza e l’adorazione vivente di Dio |
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Il destino dei luoghi della Palestina |
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Il Signore presso i nove annegati |
|
Le disposizioni del Signore per la resurrezione degli annegati |
|
I dubbi di Cornelio |
|
La contesa fra persiani e farisei a causa di questo miracolo - Giuda Iscariota si dedica alla pesca dell'oro |
|
Il servitore infedele di Elena |
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La pace esteriore e il lavorio interiore della compagnia |
|
Le spie di Erode |
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La difesa di Zinca e il suo rapporto sulla fine di Giovanni il Battista |
|
La risposta amichevole di Cirenio a Zinca |
|
Arresto di Giovanni il Battista- Il rapporto di Erode con Salomè |
|
L’attentato alla vita di Giovanni il Battista da parte dei templari |
|
L'ordine di Erode di arrestare Gesù |
|
L'enigmatica lettera romana di conferimento di pieno potere ad Erode |
|
Il falso conferimento di pieno potere ad Erode |
|
La politica di Stato dei templari |
|
La Dottrina del Profeta di Galilea |
|
Il parere di Zinca sulla Dottrina di Gesù |
|
Lo stupore di Zinca per il miracolo delle mense |
|
L'essenza della sete di sapere - Il canto gradito a Dio |
|
Il canto di Raffaele |
|
La comunicazione con Dio mediante la parola interiore nel cuore |
|
L’educazione del cuore umano |
|
Zinca interroga Ebal sul conto di Raffaele e indaga riguardo al Signore |
|
Gesù resuscita le due annegate - Zinca riconosce il Signore |
|
Storia della vita delle due fanciulle |
|
Cirenio riconosce le sue proprie figlie - Risa e Zinca diventano generi di Cirenio |
|
La modestia di Zinca |
|
È meglio operare che parlare |
|
Osservazioni su se stessi da parte di Ebram e di Risa |
|
Un episodio della giovinezza di Gesù |
|
La promessa solenne di Cirenio di operare per la Dottrina del Signore |
|
Le due leggi divine: Il “dovere assoluto” e il “dovere libero” |
|
La differenza tra le anime sulla Terra |
|
Le malattie dell’anima e la loro cura |
|
Degli istituti per la cura delle anime e dei dottori per le anime |
|
La vera giustizia |
|
La legge eterna fondamentale dell’amore per il prossimo |
|
Il sonno estatico e il suo utilizzo |
|
Purezza esteriore ed interiore - Guarigione a distanza |
|
Il Signore rende noto un esempio pratico di induzione al sonno estatico |
|
Il cittadino Zorel, rovinato dall'incendio, chiede il risarcimento dei danni |
|
Il concetto di proprietà di Zorel |
|
Zorel deve sentire la verità |
|
Zorel prega di poter andarsene liberamente |
|
Le condizioni preliminari per l’ipnosi |
|
Zorel riconosce se stesso |
|
L’anima di Zorel si purifica |
|
L’anima purificata viene rivestita |
|
Il corpo etereo dell'anima con i suoi sensi |
|
L'anima di Zorel sulla via dell'abnegazione |
|
Zorel in Paradis |
|
Il rapporto tra corpo, anima e spirito |
|
Sguardo di Zorel dentro la Creazione |
|
L’essenza dell'uomo e la sua destinazione |
|
Sguardo di Zorel nei processi di sviluppo della Natura |
|
Non giudicate! |
|
Fede materialista di Zorel |
|
Critica della morale e dell’educazione da parte di Zorel |
|
Erronei concetti materialisti |
|
Della legittima tutela della proprietà |
|
L’origine e la parentela di Zorel |
|
Il passato da mercante di schiavi di Zorel |
|
Zorel cerca di scagionarsi |
|
Gli stupri di fanciulle da parte di Zorel |
|
Lo sdegno di Cirenio per i crimini di Zorel |
|
Le scuse di Zorel |
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Zorel come matricida e pirata |
|
Zorel giustifica il suo comportamento imputandolo al suo carattere particolare |
|
La meraviglia di Cirenio per l’acutezza di Zorel |
|
Giovanni esorta Zorel ad una migliore condotta di vita |
|
Volontà di conoscere la verità e volontà di godere |
|
L’Essenza di Dio e la Sua Incarnazione |
|
Cirenio si prende cura di Zorel |
|
Del mistero della vita spirituale interiore |
|
La decisione di Zorel di migliorarsi |
|
La via alla vita eterna |
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Della povertà e dell’amore del prossimo |
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Della brama della carne |
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Del donare gradito a Dio |
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Umiltà e superbia |
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Educazione all’umiltà |
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I buoni proponimenti di Zorel |
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Zorel viene affidato a Cornelio |
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Umiltà esagerata e giusta umiltà |
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Cornelio e Zorel parlano di miracoli |
|
Le differenti opinioni sulla Personalità del Signore [Gesù] |
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La pietra luminosa delle sorgenti del Nilo |
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Anima e corpo |
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La continuazione della educazione delle povere anime nell'aldilà |
|
Il modo di guidare le anime sia nell’aldiquà che nell'aldilà |
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Il progresso dell’anima sulla Terra e nell’aldilà |
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Lo sviluppo della vita animica |
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Lo scopo del servire |
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Sguardo nei misteri della Creazione |
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La giusta attività dell'amore del prossimo |
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Dell’aiuto che il denaro può offrire |
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Del giusto e del falso servire |
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La dottrina di Mosè e la Dottrina del Signore |
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La zizzania fra il grano |
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I pensieri e la loro realizzazione |
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Lo sviluppo della materia |
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L’amore di se stessi come causa della materia |
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L’origine dei sistemi solari |
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Il significato e l’origine della Terra |
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L’origine della Luna |
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Il male ereditario dell'amore di se stessi |
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Redenzione, rinascita e rivelazione |
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Il battesimo - La Trinità in Dio e nell’uomo |
|
Dell'ordine mosaico dell'alimentazione |
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Una predizione sulle attuali rivelazioni |
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La chiamata alla Parola interiore |
|
Uno sguardo nel mondo degli spiriti naturali |
|
Giara e gli spiriti naturali |
|
L’essenza e l’opera degli spiriti naturali |
|
Un groviglio di sostanza animica |
|
L'essenza dell'ossigeno |
|
Raffaele mostra la creazione degli esseri organici |
|
La procreazione nell’animale e nell'uomo |
|
Motivo delle rivelazioni del Signore |
|
Il Signore rivela l’interiorità di Giuda |
|
Il rimprovero di Giuda |
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Dell’educazione dei bambini |
|
La vita di Giuda Iscariota |
|
Le conseguenze della falsa educazione |
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Il timore della morte |
|
La separazione dell’anima dal corpo al momento della morte |
|
Lo svolgimento dell'atto di separazione dell'anima dal corpo |
|
Osservazioni del veggente Mataele riguardo all’esecuzione dei rapinatori assassini |
|
Una critica del sadduceo alle punizioni romane |
|
La fine dei rapinatori assassini crocifissi |
|
La forma delle anime dei rapinatori assassini |
|
Mataele narra il trapasso del padre di Lazzaro - La strana apparizione naturale sulla via verso Betania |
|
Il tentativo di rianimazione da parte del rabbi fatto sul cadavere del vecchio Lazzaro |
|
Lo spirito del vecchio Lazzaro da una testimonianza del Messia |
|
Il vile rabbino non mantiene la promessa |
|
La storia della vita del vecchio Lazzaro |
|
Spiegazione delle apparizioni spirituali avvenute durante il trapasso del vecchio Lazzaro |
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Delle stolte domande |
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L'Ira di Dio |
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Della prima coppia umana |
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Il diluvio dei peccati |
|
Le cause delle catastrofi |
|
L’influsso del male sul bene |
|
La piccola pianta benefica prodigiosa - L'essenza della luce e delle tenebre, del bene e del male |
|
Le cause del caldo e del freddo |
|
La caduta mortale del ragazzo curioso |
|
Le apparizioni spirituali durante la disgrazia - Il suicidio dell’esseno maledetto dal Tempio |
|
L'anima del suicida e quella di suo figlio nell’aldilà |
|
La spiegazione del Signore sulle condizioni delle anime del padre suicida e di suo figlio nell’aldilà |
|
Le varie specie di suicidi e la loro condizione più o meno miserevole nell'aldilà |
|
Della pietra filosofale |
|
La velenosa sfera vitale esteriore della vedova |
|
Il veleno dei serpenti quale mezzo curativo |
|
I fenomeni spirituali constatati alla morte della vedova e di sua figlia |
|
L’evoluzione delle figure animiche delle due donne defunte |
|
Il veleno nei minerali, nelle piante, negli animali e negli uomini |
|
La natura velenosa di entrambe le donne defunte |
|
Le preoccupazioni di Cirenio per l'ordine dell’evoluzione animica sulla Terra |
|
Cirenio critica la Genesi di Mosè |
|
La creazione di Adamo e di Eva |
|
Il quadruplice senso in cui va compresa la Genesi mosaica |
|
La chiave principale per la comprensione degli scritti spirituali |
|
I veri insegnanti del Vangelo |
|
Il maestoso mattutino |
|
Del digiuno e della gioia |
|
Il discorso di Simone sulle ammonizioni egoistiche |
|
Simone critica il “Cantico dei cantici” di Salomone |
|
Chiave di lettura per la comprensione del Cantico dei cantici |
|
Simone spiega altri versetti del Cantico dei cantici |
|
Gabi riconosce la sua stoltezza e vanità |
|
Le precedenti massime farisaiche di Gabi |
|
Le opinioni di Simone sul Signore |
|
I pensieri di Simone sulla natura sessuale del Signore |
|
Il divenire una sola cosa con Dio da parte dell’uomo |
|
Dello scopo e dell'essenza della sensualità |
|
Sull’essenza degli angeli - Cuore e memoria |
|
Il popolo dell'Abissinia e della Nubia |
|
Il Signore manda un messaggero incontro alla carovana dei nubiani |
|
Il Signore parla col capo dei nubiani |
|
Il capo narra il suo viaggio a Menfi |
|
La maledizione che è scaturita dall’eccessiva cultura e civilizzazione degli egiziani |
|
La benedizione della cultura originaria dell’uomo semplice |
|
L’accampamento dei nubiani in Egitto |
|
Il moro richiede certezza sul luogo di permanenza del Signore |
|
I nubiani riconoscono il Signore |
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Dell’eccessiva umiltà |
|
Oubratouvishar descrive la sua patria, Nubia |
|
Il tesoro di Oubratouvishar |
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I mori partiti più tardi |
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Della essenza di Iside e di Osiride |
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Il gran Tempio di Jabusimbil costruito sulla roccia |
|
Oubratouvishar mostra ai suoi il Dio fatto Persona in Gesù |
|
I giusti dubbi dei mori sulla Divinità del Signore |
|
Oubratouvishar si sforza di convincere i suoi compaesani della Divinità di Gesù |
|
I vantaggi e gli svantaggi spirituali dei mori |
|
La varietà dei climi e delle razze sulla Terra |
|
Della comprensione più lenta e più rapida della Dottrina di verità |
|
Raffaele convince i mori sulla Divinità del Signore |
|
Il moro e Oubratouvishar affidano i loro tesori a Cirenio |
|
L’origine del Tempio di Jabusimbil, della Sfinge e delle colonne di Mennone raffigurate dai geroglifici di tutte e due le prime perle |
|
Il mistero della terza perla: i sette giganti e il sarcofago |
|
Raffaele spiega le costellazioni sulla quarta perla |
|
La suddivisione del tempo sulla quinta perla |
|
L’enigma della sesta perla: la raffigurazione delle piramidi, degli obelischi e della Sfinge |
|
Le costellazioni sulla settima perla - La decadenza della cultura egizia -La storia delle sette perle |
|
I costumi dei nubiani e quelli dei bianchi |
|
Educazione dell’intelletto e dell'animo |
|
Lo scopo dell’Incarnazione del Signore - I mori come testimoni della vera natura umana originaria |
|
Il dominio dei mori sull'acqua |
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Il dominio dei mori sugli animali |
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Il dominio dei mori su piante ed elementi |
|
Il riconoscimento di se stesso da parte dell’uomo |
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La sfera vitale esteriore dell’anima umana e la sfera di luce esteriore del Sole |
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Dell'influenza che il carattere umano esercita sugli animali domestici |
|
I vantaggi della giusta educazione dell'anima |
|
Il potere di un’anima perfetta |
|
L’azione della luce solare - La disposizione dell’occhio umano - La vista dell'anima |
|
Della rinascita e della giusta educazione dell’uomo |
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Della giusta comprensione e della lettura del pensiero |
|
Il significato della sfera vitale esteriore dell'anima |
|
La forza dell’uomo colmo d’amore |
|
Della fame dopo il nutrimento spirituale |
|
La forza miracolosa dei rinati |
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Il rapporto fra anima e spirito |
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Cervello e anima |
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La giusta educazione del cervello |
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Cirenio chiede una dimostrazione esplicativa della teoria del cervello |
|
Le conseguenze della lussuria |
|
La benedizione di una procreazione secondo l’Ordine divino |
|
La costituzione del cervello umano |
|
Il nesso esistente fra il cervello anteriore e quello posteriore |
|
La congiunzione degli organi del senso con il cervello |
|
Il cervello non rovinato e quello guasto |
|
Il carattere del sapiente del mondo e la sua infelicità nell'aldilà |
|
Le conseguenze di un cervello immerso nelle tenebre dal punto di vista spirituale |
|
Le difficoltà del progresso nell’aldilà per un’anima mondanizzata |
|
L’influsso di una falsa educazione sul cervello |
|
Il cervello di un sapiente del mondo |
|
La questione dell’origine del peccato |
|
Le ingiustizie apparenti nel modo di trattare le anime nell’aldiquà e nell’aldilà |
|
L'Essenza di Dio - La necessaria gravità delle prove nella vita terrena |
|
L’“io” dell’uomo come padrone assoluto del suo destino |
|
Le anime chiamate ad essere figlie di Dio si devono autoformare |
|
I motivi che ha Dio per fare in modo che una libera anima umana si auto perfezioni |
|
Della possessione - La lenta diffusione del Vangelo |
|
Dell’operare miracoli al momento giusto |
|
L’operare prodigi nel diffondere la Dottrina del Signore |
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Difficoltà nel diffondere la pura Dottrina |
|
La spada come mezzo punitivo presso i popoli miscredenti |
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Il “Padre” e il “Figlio” in Gesù |
|
I fenomeni connessi al battesimo del Signore - L’eternità del Signore |
|
La grandiosità della Creazione |
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L’Incarnazione del Signore nell’attuale periodo della Creazione sulla nostra Terra - L’onnipresenza dello Spirito |
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La sfera vitale esteriore dell'anima e quella dello spirito |
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L'Onniscienza di Dio |
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Il linguaggio degli animali |
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Esempi dell’intelligenza degli animali |
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La conversazione del nubiano con l’asino di Marco avvenuta in linguaggio animalesco |
|
La crescita della sfera vitale esteriore umana |
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La sfera di luce vitale esteriore di Mosè e dei patriarchi |
|
La ragione delle spiegazioni del Signore |
[inizio]
[home sito] [home GVG] [home lorber]
[1] Ippocratico: inanimato, immobile. [N.d.R.]
[2] L’episodio riferito dal servitore Zinca accredita alla moglie e alla figlia del fratello di Erode Antipa lo stesso nome Erodiade, nonostante, storicamente, la figlia di Erodiade viene chiamata Salomè. Anche se nei vangeli di Marco 6,17-19 e in Matteo 14,3-12 il nome Salomè non compare. Il suo nome viene citato nelle cronache (Antichità giudaiche) di Tito Flavio Giuseppe (scrittore storico ebreo antico con cittadinanza romana), e per questo, storicamente, le fu attribuito. Un ulteriore conferma può essere dedotta tramite un esteso testo rivelato tramite una canalizzazione a Libia Martinengo nel 1950 dal titolo “Giovanni l’annunziatore” [n.d.r.]
[3] Personam: concessione alla persona, non trasferibile né per delega né per eredità. [N.d.R.]
[4] Qui, Schabbi commette un errore madornale, poiché non è vero che il giovinetto è un arcangelo. L’angelo viene chiamato ‘Raffaele’ (Raphael) che è un angelo primordiale non incarnato ma ancora un ‘discepolo’ di Gesù. (vedi GVG 3/52,4) né era lo stesso che una volta aveva fatto da guida al giovane ‘Tobia’, figlio di Tobi, supposizione questa di alcuni discepoli come lo avevano impropriamente affermato precedentemente. (vedi GVG 3/77,4)
[5] Stoica: si riferisce alla dottrina filosofica degli stoici, del loro maestro Diogene, in cui tutto – dalla più tremenda tortura al più grande piacere sensuale – deve essere affrontato con la massima indifferenza, nell’impaziente attesa della morte, e dunque di ‘non esistere più’. Lo stoicismo, infatti, nega la continuità della vita dopo la morte del corpo. (GVG5°/173; 8°/184) [N.d.R.]
[6] Nella pulizia: non lavare in maniera esagerata i punti erotici del corpo, poiché questo comporterebbe un prolungato ‘sfregamento’ e conseguente eccitamento, ad esempio degli organi genitali, accendendo così l’istinto sessuale nel bambino. [N.d.R.]
[7] la zizzania permette all’anima di constatare che la propria vita è realmente libera cosicché possa scegliere tra due alternative opposte. [N.d.R.]
[8] la forza dello Spirito e l’atto del battezzare. [N.d.R.]
[9] ma alquanto scomposta, quantunque sempre della forma e della grandezza approssimative di un essere umano. [Nota di Jakob Lorber]
[10] Anfisbene: o anfesibena, è un mitico serpente dotato di due teste, una ad ogni estremità del corpo, e di occhi che brillano come lampade, quindi che avanzano sia dalla testa che dalla coda. [N.d.R.]
[11] Rettile: creatura strisciante. [N.d.R.]
[12] i tappeti venivano usati anche come pareti delle tende. [N.d.R.]
[13] 10 Feldwege = 1 miglio tedesco, che corrisponde a 7,42 Km.
calcolo: 200.000:10 = 20.000 x 7,42 = 148.400
[14] Augenblick: battito di ciglia, corrispondente a circa 4 decimi di un secondo. Quindi, in un secondo la luce risulterebbe di: 148.400 : 4 x 10 = 371.000 Km/sec.
[15] Un grano è una vecchia, piccola unità di peso.
[16] 1 Feldweg è all’incirca 1/4 d’ora [di cammino] e qualcosa di più. 10 Feldwege = 1 miglio. 400.000:10 = 40.000 miglia = velocità della luce al secondo. Annotazione di Jakob Lorber. (1 miglio tedesco = 7,42 km. 40.000 miglia = 296.800 km. Cfr.Dall'inferno al Cielo, vol.2, cap.299, v.10. La velocità del fulmine è quindi 296.800 : 4 = 74.200 Km/sec. [N.d.R.])
[17] Icneumone: varietà di mangusta africana; ha le dimensioni di un gatto ed è un temibile cacciatore di topi e di rettili.
[18] Vitello del Nilo: probabilmente estinto, potrebbe essere paragonato alla famiglia degli elefanti marini, che però attualmente è presente solo nel Nord America sulla costa occidentale.
[19] Aruspice: presso gli Etruschi e poi presso i Romani, sacerdote che prediceva il futuro osservando le viscere delle vittime consacrate agli dèi.