Jakob Lorber
1851-1864
IL GRANDE VANGELO DI GIOVANNI
Volume 3
La vita e gli insegnamenti di Gesù nei tre anni della Sua predicazione
Traduzione dall’originale tedesco “JOHANNES das große Evangelium” (vol. 3)
Opera dettata dal Signore nel 1851-64 al mistico Jakob Lorber
Casa Editrice: Lorber Verlag - Bietigheim - Germania
Copyright © by Lorber Verlag
Copyright © by Associazione Jakob Lorber
“Ringraziamo la Lorber Verlag, Friedrich Zluhan e l’Opera di Divulgazione Jakob Lorber e.V., D-74321 Bietigheim/Wuertt., per il sostegno nella pubblicazione di questo volume”.
Traduzione di Salvatore Piacentini dalla 7° edizione tedesca 1982
Revisione parziale a cura dell’Associazione Jakob Lorber
Casa editrice GESÙ La Nuova Rivelazione
Via Vittorio Veneto, 167,
24038 SANT’OMOBONO TERME (Bergamo)
www.gesu-lanuovarivelazione.com
Unità di misura austriache del 18°/19° secolo usate nel testo |
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1 Braccio |
= 77,8 cm |
1 Eone |
= 10180 (1 con 180 zeri) |
1 Iugero (o Joch) |
= 5754,6664 mq |
1 Tesa (o Klafter) |
= 1,9 m |
1 Libbra |
= 560 g |
1 Linea |
= 2,2 mm |
1 Piede |
= 31,6 cm |
1 Pollice |
= 2,63 cm |
1 Secchio |
= 56,6 litri |
1 Spanna |
= 20 cm |
GESÙ NEL TERRITORIO DI CESAREA FILIPPI
Matteo cap.16 (Continuazione)
L'oracolo di Delfi
1. Giulio prosegue: «Presso i greci e i romani vi sono sempre stati degli uomini che, pur non appartenendo alla stirpe degli ebrei e non essendo neppure stati elevati ed educati alle loro scuole dei profeti, hanno avuto tuttavia un'ispirazione divina e, come tale, essi l'hanno anche riconosciuta.
2. Quando Creso, re di Lidia, volle far guerra ai persiani, aveva il massimo interesse di conoscere anticipatamente se la guerra avrebbe avuto per lui esito favorevole o sfavorevole; ma chi avrebbe potuto illuminarlo a questo riguardo? Egli dunque tra sé pensò: di oracoli ce ne sono in quantità; ma uno di questi sarà forse in grado di enunciare la verità! D'altro canto, chi potrà poi dirmi con precisione quali degli oracoli avrà detto la verità? Ebbene, egli continuò a pensare fra sé e disse: anzitutto, vedrò di cavar dagli oracoli quello che si può cavare e poi si vedrà quale risposta si potrà applicare al mio caso.
3. Poi prese un agnello ed una tartaruga, li tagliò in minuti pezzi, li pose assieme dentro ad una pentola di ferro, coperse questa con un coperchio di ferro e infine collocò questa miscela sul fuoco a cuocere. Prima però inviò degli esploratori a Delfo ed a Abe, nel paese dei Focidi, ed all'antica Dodona, così pure ad Anfiarao e Trofonio per interpellare, il centesimo giorno dalla partenza da Sardi, gli oracoli riguardo a quello di cui si stava in quel momento occupando; perché in quel tempo appunto stava cuocendo il suo agnello e la sua tartaruga nel modo già indicato.
4. La maggior parte degli oracoli diede delle risposte così confuse, che nessuno poté capirne niente; l'oracolo di Delfo si espresse invece, come al solito, in esametri:
5. "Ecco, io conto la sabbia e conosco le distanze del mare.
Io odo perfino il muto e intendo anche colui che tace!
Ora il mio olfatto è colpito da un odore come quando nel ferro
viene cotta della carne d'agnello mescolata a quella di tartaruga.
Ferro è di sotto e altro ferro è al disopra che lo copre".
6. Dopo quella prova interrogò l'oracolo di Delfo per sapere se avrebbe dovuto marciare contro i persiani. Però ne ottenne la nota risposta che, qualora avesse oltrepassato il Haljps, un grande regno ne sarebbe andato distrutto! Egli poi interpellò l'oracolo per la terza volta, per sapere se la sua signoria sarebbe durata a lungo. E la Pizia allora rispose:
7. "Quando un giorno un mulo regnerà sui Medi,
o abitante di Lidia dal delicato piede, fuggi,
fuggi senza indugiare verso l'eremo pietroso.
E non temere l'ignominia d'una fretta codarda".
8. Secondo la spiegazione data dall'oracolo stesso dopo che Creso fu fatto prigioniero, sotto la parola "mulo" andava inteso "Ciro", il suo vincitore, essendo quest'ultimo nato da una donna Meda di alto lignaggio, figlia cioè di Astiage, e da padre persiano, suo suddito.
9. Lo stesso Creso interpellò una volta l'oracolo, per conoscere se suo figlio, che era muto, sarebbe potuto guarire della sua infermità. Ne ricevette la seguente risposta:
10. "O cittadino di Lidia, stolto di cuore ma ancorché possente principe!
Non bramare d'intendere, nel tuo palazzo, l'invocata voce del figlio parlante.
Certo sarà per te miglior cosa. Sappi che la prima volta che parlerà,
sarà per te il giorno più nefasto!"
11. Dunque, il giorno in cui Sardi fu conquistata, un persiano furente si precipitò contro Creso per ucciderlo. In quel momento, allora, lo spavento e l'angoscia sciolsero la lingua del figlio, il quale esclamò: "O uomo, non uccidere Creso!". Queste furono le prime parole del figlio muto, e da quella volta, per tutta la sua vita, conservò la facoltà della parola.
12. Vedete, quell'oracolo, come già prima accennato, non era affatto un tempio di sapienza proveniente dalla scuola ebraica dei profeti, ma, dopo i veritieri esempi citati, chi potrebbe contestargli una qualche ispirazione divina?
Dell'apparizione di esseri superiori
1. Similmente a noi romani, per tradizione storica, sono noti in numero sufficiente i casi, come per esempio di Socrate, di Platone, di Aristotile e di vari altri sapienti ancora, che avevano costantemente presso di loro un genio che li ammaestrava e che impartiva loro, sempre a seconda della capacità del loro cuore, dei saggi insegnamenti, e in caso di bisogno pure un sicuro consiglio; e colui che non seguiva un tale consiglio doveva certamente attendere delle cattive conseguenze.
2. Dunque, se si conosce ciò, parte per tradizione storica e parte per propria esperienza, un simile fenomeno, come l'avete constatato qui, non dovrebbe apparire proprio tanto inammissibile! Insomma, noi sappiamo, in base a molteplici tradizioni e ad esperienze del tempo presente, che degli esseri superiori, non tanto di rado come più di qualcuno immagina, vengono a noi uomini, si manifestano in vari modi e ci fanno luce, ora su di una cosa ora sull'altra; ma, essendo così le cose, il nostro angelo non deve apparirci sicuramente come un fenomeno proprio tanto insolito, come in un primo momento si è portati a considerarlo!
3. Che, però, un simile spirito perfetto possieda delle forze incomprensibili al nostro intelletto e che di conseguenza possa compiere cose che a noi appaiono come dei rari prodigi, questo non lo trovo per niente straordinario.
4. Una volta ebbi occasione di vedere della gente oriunda dall'Alto Egitto e di parlare con loro a mezzo di un interprete. Essi erano del tutto nudi e non tenevano celate nemmeno le loro parti vergognose. Noi romani eravamo considerati da loro come degli esseri superiori e celestiali, ed essi si meravigliarono, ammirando gli edifici grandi e fastosi di Roma, le belle vesti e il nostro imponente sfarzo. Tutto quello che vedevano confezionato dalla mano dell'uomo, lo ritenevano opera di deità, quali noi eravamo considerati da loro, ed essi anche mi domandarono se era affidato pure a noi la reggenza del Sole, della Luna e delle stelle, e se eravamo noi a guidare a nostro piacimento tali astri, oppure se tale incombenza era demandata ad altri dèi, forse esistenti oltre a noi.
5. Naturalmente noi li istruimmo, e prima che fosse trascorso un anno si persuasero che anche noi non eravamo che uomini, ed impararono da noi moltissime cose. Finirono poi con l'accettare delle vesti e le indossarono, e la loro gioia fu grande quando ebbero imparato a tessere da loro stessi le stoffe ed a confezionare ogni tipo di vesti, sia degli uomini che delle donne. Dopo pochi anni fecero ritorno al loro paese provvisti di ogni possibile conoscenza, e certamente avranno istituito là delle scuole e così avranno portato qualche luce a diradare le tenebre della loro selvaggia natura.
6. Ma perciò anche quando noi, nel nostro stato di cultura spirituale ancora molto carente, vediamo agire uno spirito perfetto, la nostra meraviglia deve essere assai grande, poiché non possiamo capire come siano possibili tali cose. Quando però il nostro spirito si sarà altrettanto perfezionato, allora certo anche noi saremo atti ad opere di carattere superiore e non ci meraviglieremo certamente così tanto quando vedremo uno spirito scomporre una pietra nei suoi elementi originari, tramite una forza che sarà a noi conosciuta.
7. Ora noi, nella nostra parte spirituale, siamo capaci di un perfezionamento che non conosce limiti, e ce lo dimostrano mille e mille esempi; ed a questo tavolo siedono degli uomini che dovrebbero già essere discretamente vicini alla perfezione dell'angelo. Uno, poi, dovrebbe essere già addirittura considerevolmente superiore all'angelo stesso, come prima avete pure inteso dalle parole del medico di Nazaret.
8. Dunque, d'ora innanzi dedicatevi principalmente a coltivare ed a sviluppare al più alto grado possibile il vostro spirito, e dopo sarà anche a voi possibile dissolvere nei suoi elementi originari non soltanto una pietra come questa, ma anche un'intera montagna»
9. Dopo ciò Giulio si rivolse all'angelo e gli domandò: «E tu, Raffaele caro, dimmi ora se durante questa mia specie di dissertazione un po' lunghetta ho forse detto qualche parola non conforme a logica ed a verità».
Sulla destinazione e sviluppo dell’uomo
1. Risponde l'angelo: «No affatto, le cose stanno proprio nel modo come ora tu molto bene le hai messe in luce. Che i trenta fratelli, dunque, uniformino assiduamente la loro vita a quello che essi quanto prima avranno occasione di ascoltare da questi nostri fratelli, e così anch'essi diventeranno sotto ogni riguardo nostri fratelli.
2. Dio non dà a nessun angelo né a nessun uomo, che in ultima analisi è anch'egli un angelo allo stato iniziale, di più di una vita autonoma perfetta, ed in questa vita la capacità di formare e plasmare per sé, con le proprie forze, tale vita sotto ogni aspetto, fino a giungere alla maggiore somiglianza possibile con Dio. Dunque, se ad un angelo neo-creato, come pure ad un uomo, sono note le vie sicure attraverso cui si può sempre giungere alla perfetta somiglianza con Dio, ma che di sua iniziativa non si vuole incamminare, ebbene, allora certo deve infine ascrivere a se stesso se egli continuamente rimane nel suo misero stato di dissomiglianza a Dio.
3. Vero è che uno spirito, per quanto perfetto, non può in tutte le eternità mai raggiungere Dio nell'assoluta e sconfinata Sua pienezza, ma questo non pregiudica niente, perché a tale scopo si può senz'altro mettere in opera qualunque cosa si voglia, certo sempre entro i limiti dell'Ordine stabilito da Dio. Si può infine, come Dio, suscitare fuori da se stessi degli esseri indipendenti e donare ad essi un'esistenza libera ed eterna, e si può trovare in questi esseri la propria gioia ed una grande beatitudine, come già un padre nel senso terreno la trova nei suoi figli beneamati, ed in questi casi, di somiglianza a Dio, ce n'è più che a sufficienza!
4. Io stesso ho già creato parecchi mondi e soli, e li ho tutti completamente popolati fuori da me! E questi mondi sono provvisti di tutto, spesso meglio di questa Terra, e tutto si riproduce là, come succede qui. Come qui, anche là gli spiriti sono atti ad un'alta perfezione, e del resto perché non dovrebbero esserlo? Alla fine dei conti ciascuno spirito è da Dio, così come i germi delle piante future sono già ormai stati riprodotti parecchi miliardi di volte fuori dai germi delle sementi passate!
5. E considerato che voi, discendenti di Satana, portate ancora in voi lo Spirito di Dio, quanto più lo porteranno poi, in loro, i discendenti della nostra potenza creatrice simile a quella di Dio!
6. Ora, vedete, anche voi potete giungere a questo punto, purché vogliate procedere per le vie che vi vengono indicate. Ma chi di voi invece non vorrà procedere per tali vie, dovrà ascrivere a se stesso se per epoche inconcepibilmente lunghe di tempo rimarrà nel suo stato immensamente debole di dissomiglianza a Dio.
7. Perciò nessuno di voi ami il mondo e la propria carne più del proprio spirito; innanzitutto ciascuno si curi di ciò che è dello spirito e così facendo otterrà anche per la via più breve ciò che è dello spirito, cioè la perfetta somiglianza a Dio!
8. Ma chi invece continuamente si affanna riguardo a quello che è del mondo e della carne, quegli deve poi attribuire la colpa assolutamente e soltanto a se stesso se si trova a vagare sempre nelle medesime regioni tenebrose della morte.
9. Ogni vita può continuamente trapassare in un'altra vita e incessantemente perfezionarsi, purché si dia la pena di progredire sulla via dell'Ordine stabilito da Dio. Ma se la vita si ferma in qualche punto, specialmente al cominciare della grande via della vita, è anche naturalissimo che essa non vada avanti, ma rimanga a giacere e intristisca come una pianticella nell'inverno, poiché secondo l'Ordine di Dio si è sgravata del suo frutto vitale!
10. Siate dunque attivi, anzi molto attivi per lo spirito e non vi rincresca alcun passo fatto sulla via del progresso! Perché ciascuna opera di questo genere e ciascun passo sono sempre accompagnati dalla massima benedizione di Dio.
11. Non crediate però che io, da angelo quale sono, sia tanto perfetto da potermi ora adagiare nella completa inattività! Con la mia presenza qui, anch'io mi avvantaggio immensamente, e per l'avvenire potrò agire con perfezione di nuovo aumentata a favore delle creazioni assolutamente mie. Ma se già io, quale spirito puro e perfetto, posso ottenere qui così tanto e inestimabile profitto, quanto più non lo potete voi che sulla via della perfezione siete ancora tanto arretrati al mio confronto!
12. Ringraziate perciò Dio, il Signore, per avervi guidati a trovarvi qui presenti in simili circostanze e condizioni sante ed esuberanti di grazia, con le quali voi, nei riguardi del vostro spirito, potete progredire in un'ora più che non in diecimila anni ricorrendo alla vostra scienza mondana!
13. Vedete, simili occasioni straordinarie di grazia vengono assai raramente offerte ad un mondo da parte di Dio, di conseguenza, ciascuno che abbia la fortuna immensa di essere fatto partecipe di una così grande occasione, ha il dovere di utilizzarla con tutte le sue forze a vantaggio del proprio spirito!
14. Quando Dio suscita in qualche luogo un profeta, tutti dovrebbero affollarsi intorno a lui per apprendere la Parola sacra di Dio, e ciò per il loro supremo benessere; perché Dio, di simili uomini dotati profondamente della vera sapienza dai Cieli, ne suscita una volta sola ogni cento anni.
15. Di grandi profeti però, mediante i quali Dio annuncia all'umanità della Terra molte cose e assai importanti, ne vengono inviati sulla Terra tutt'al più ad intervalli di mille fino a duemila anni, allo scopo, in primo luogo, di rendere note agli uomini, in misura ampia e in maniera molto particolareggiata, le ulteriori vie di Dio per un perfezionamento ancora superiore, e poi, in secondo luogo, per farli distogliere dalle molte vie torte, per le quali spontaneamente si sono incamminati e farli ritornare sulla retta via.
16. Perché, vedete, nella grande Creazione di Dio tutto si muove incessantemente in avanti, similmente al tempo della Terra il quale non si arresta mai! Gli spiriti fanno apertamente sempre grandi progressi. Ma poiché nel Regno degli spiriti puri si constatano continuamente progressi così grandi, così pure le creature immortali, sui corpi mondiali, non devono rimanere indietro, affinché non vengano a trovarsi troppo lontano dal Regno degli spiriti.
17. Dopo l'apparizione di simili grandi profeti, le cose presso gli uomini assumono di nuovo un buon aspetto per effetto della loro attività, se non proprio in generale tuttavia almeno in particolare, ma quando poi nel mondo degli spiriti viene preso nuovamente uno slancio vigoroso, allora la luce, sempre alquanto velata di un precedente grande profeta, non ha più l'efficacia iniziale. Succede poi che ne viene suscitato ed inviato un altro, e allora pure l'umanità procede innanzi, seguendo l'impulso rilevante che si è manifestato nel mondo degli spiriti.
18. Entro un paio di secoli, però, nell'umanità si viene ad acuire la capacità inventiva, e perciò essa riesce a produrre cose che le generazioni anteriori non avrebbero neppure mai immaginato potessero esistere.
19. Ma allorquando così, dopo forse da dodici a quindici secoli, l'umanità fosse arrivata ad un qualche punto culminante, essa poi, se lasciata a sé, diventerebbe pigra e si arresterebbe nel suo cammino, ed è perciò che Dio anche permette che su questa Terra siano costantemente rappresentati tutti i possibili ed immaginabili gradi di cultura, affinché da una simile constatazione gli uomini più svegli possano imparare che l'umanità, senza le rivelazioni che vengono fatte di tempo in tempo e se lasciata alle sole sue forze, rimarrebbe per migliaia d'anni ferma allo stesso punto e non progredirebbe neanche di una linea, come ne fornisce la prova a voi tutti l'attuale stato delle popolazioni dell'India e dell'India citeriore.
20. Il Signore concede che così avvenga, affinché gli uomini che dovessero un giorno trovarsi in quei paesi possano, con i propri sensi, convincersi che le cose stanno con assoluta esattezza nel modo che ho adesso descritto. Quelle genti, però, sarete voi stessi chiamati infine nei vostri successori ad educarle ad un grado superiore di civiltà, perché, per i popoli che si trovano su di un gradino basso di cultura dello spirito, il Signore non suscita mai, per così dire, appositamente un qualche grande profeta, ma questi popoli incolti Egli li affida, in certo modo per l'incivilimento, ai popoli principali che sono, sia pure per effetto unicamente delle rivelazioni, già arrivati ad un grado più alto di cultura, e per così procedere il Signore ha certo le Sue ragioni infinitamente varie.
21. Ma gli uomini situati, su di un corpo mondiale, nel più alto gradino dinanzi a Dio, devono certo anche sempre riconoscere in maniera profonda e con tutta gratitudine tale loro missione, e devono pure con il massimo zelo applicarvisi, altrimenti dovranno poi ascrivere a loro stessi la colpa se essi poi, nei loro discendenti, si troveranno scesi molto al di sotto delle genti dell'India citeriore, che noi chiameremo Sinesi (cinesi), e saranno infine diventati completamente stupidi come gli animali! Ed ora, voi trenta fratelli, ditemi se tutte queste cose le avete comprese con tutta chiarezza!»
Le disposizioni del Signore a proposito dei ladroni
1. Risponde un giovane fariseo: «O spirito nobile e possente! Certamente abbiamo compreso molto, ma in quanto al comprendere tutto ci vorrà ancora parecchio. Ad ogni modo noi tutti ti ringraziamo calorosamente, poiché con la grande chiave dei Cieli tu ci hai rivelato veramente dei misteri dei quali prima non c'era in noi la benché minima nozione. E noi d'ora innanzi ci daremo ogni possibile premura allo scopo di progredire sulla vera via della vita; questa via, però, vorremmo imparare a conoscerla ancora più da vicino! Ma per oggi ne abbiamo più che a sufficienza, perché ci vorrà qualche tempo affinché lo stomaco del nostro spirito digerisca tutte queste cose. Domani ci troverà già più accessibili ad argomenti più elevati e profondi di quanto lo siamo stati oggi.
2. Ora però noi brameremmo soltanto udire ancora qualche parola di sapienza dalla bocca di quell'Uomo che appare sapiente al più alto grado e che ora riposa a fianco dell'illustre governatore, con il quale, sottovoce, conversa. Quegli, pur non essendo un angelo, sembra in fatto di sapienza molto superiore a voi tutti! Poiché l'espressione della Sua faccia e la Sua per così dire stoica indifferenza mentre parla l'angelo lasciano intravedere le cose più profonde e più grandi!»
3. Dice Giulio: «Qui avete ragione, ma indurre quell'Uomo a parlare non è tanto facile come forse credete. Se proprio vuole, Egli spesso parla molto, ed allora ciascuna Sua parola è come tutta una Creazione colma di sapienza, ma se non vuol parlare non è cosa facile che qualcuno Lo induca ad aprir bocca. Del resto provate voi stessi: interpellateLo ed Egli vi darà ben una qualche risposta!»
4. Dice il giovane fariseo: «No davvero, sento che me ne manca il coraggio, perché ad ognuno di noi potrebbe dare una risposta tale da doversene ricordare per tutta la vita; di conseguenza rinunciamo per oggi a qualsiasi indiscrezione, certo molto intempestiva!»
5. Osserva Giulio: «In verità, questa vostra soluzione è buona. Domani sarà anche un altro giorno e si presenterà forse, più di buon'ora e più facilmente che non oggi, l'occasione di parlare con Lui. Non è escluso che oggi stesso Egli predisponga qualcosa, e in questo caso Lo potrete udire nella maniera più facile e senza alcun incomodo!»
6. Queste parole ridiedero pace all'animo dei giovani farisei ed essi rimasero in attesa di un'occasione per sentirMi parlare.
7. Ma poco dopo ecco venire un sergente, che era di guardia alla riva dove i noti ladroni erano tenuti prigionieri, il quale dice a Giulio: «O signore, comandante nostro! Con i cinque ladroni non si può più andare avanti così! Perché hanno un linguaggio talmente spaventoso, e parlando assumono un aspetto così terribile che tutti i soldati ne sono inorriditi; ed alcuni soldati, a causa delle temerarie e orrendissime bestemmie che sono costretti ad ascoltare, a mala pena li si può frenare per impedir loro di scagliarsi d'improvviso addosso a quei malfattori! Giacché essi dicono: "Meglio la morte che dover sentire ancora pazientemente un simile linguaggio di bestemmia perfidissimo e immondo!"»
8. Allora Giulio si rivolse a Me chiedendo: «O Signore! Che cosa si deve fare?».
9. Ed Io gli rispondo: «Mancano ancora cinque ore al mattino e per tutto questo tempo è necessario che i cinque principali malfattori siano tenuti così come sono ora! Neanche un istante può, né deve venir loro condonato! Ma se i soldati di guardia non possono reggere alle bestemmie, che si ritirino, affinché non siano costretti ad udirle, dato che neppure uno dei malfattori potrà sciogliersi dai lacci e così poter fuggire! Questo te lo garantisco Io. Riguardo ai sette delinquenti politici, questi non si trovano in un gran male e perciò sono anche tranquilli. Possono venir fatti ritirare dalla riva assieme ai guardiani, e domani non ci vorrà gran fatica per mettere le cose a posto nei loro riguardi; ma i ladroni daranno invece parecchio da fare a tutti noi. Dunque, sia fatto così, perché soltanto attraverso il grande tormento l'anima dei perfidi ladroni può gradatamente sempre più venire staccata dalla loro carne satanica e liberata da questi spiriti quanto mai maligni, e senza tale liberazione non c'è da pensare affatto ad una qualche guarigione!»
10. A queste Mie parole, il sergente si allontana e da disposizioni perché sia attuato immediatamente il Mio consiglio.
Minaccia ai farisei da parte di Giulio
1. Il giovane fariseo però, in questa occasione, era riuscito ad afferrare qualche parola circa una guarigione dei cinque ladroni, cosa questa che lo colpì molto, e perciò tutto imbarazzato domandò senza indugio al comandante: «O illustre signore! Ma che sia addirittura egli stesso il famoso medico di Nazaret o forse un principale suo inviato? Perché noi abbiamo inteso che egli accoglie dei discepoli e che poi, se comprendono qualche cosa, li manda in ogni luogo per cercare aderenti alla sua dottrina; cosa che a quanto pare per lo più riesce anche a loro. Se costui fosse davvero il Medico, noi verremmo a trovarci in un bell'imbroglio!»
2. Allora Giulio, fattosi serio e fissando rigidamente negli occhi il giovane fariseo, domanda: «Come sarebbe a dire? Perché mai dovreste trovarvi in un imbroglio, qualora quell'Uomo fosse eventualmente il rinomato medico di Nazaret in Persona? Veramente questa domanda, da parte vostra, mi suona alquanto sospetta! Datemi dunque ora una ben chiara spiegazione riguardo a questo vostro imbarazzo, perché altrimenti non vi andrà proprio troppo bene!»
3. Questa domanda, rivolta a loro da Giulio in tono alquanto serio, incusse in quei giovani abbastanza timore, e il fariseo che di solito assumeva la parte dell'oratore si trovò gravemente imbarazzato e non seppe lì per lì cosa rispondere a Giulio, diventato piuttosto serio.
4. Ma Giulio disse: «Se puoi e vuoi confessarmi la verità, non hai affatto bisogno di tante riflessioni per cercare quello che hai da dire, ma se credi invece di calmarmi con frasi apparentemente vere ti sbagli di grosso, perché so distinguere anche molto bene una invenzione lusinghiera e mendace dalla verità. Ma adesso voglio dirvi una cosa! Badate bene che non legga quello che avete nel cuore! Io, segretamente, ho ancora l'impressione che non ci si possa pienamente fidare di voi, perché, a quanto mi pare, voi stessi siete già stati, una volta per sempre, consacrati con tutti gli unguenti di Satana. Chi si fida delle vostre parole corre facilmente il rischio di tradire malamente se stesso! Tutto quello che finora avete detto, può, con riguardo al vostro pessimo cuore, non essere altro che una pura maschera. Ma, in questo caso, allora guai a voi, perché fuggire, laddove io stesso faccio la guardia, non è nemmeno da pensare! Dite dunque tutta la verità, altrimenti vi andrà ancora peggio di quei cinque ladroni che stanno legati a dei robusti pali, laggiù, sulla riva del mare. Dite perciò la pienissima verità, e senza nessun altro indugio!»
5. A questa categorica richiesta di Giulio, tutti quei trenta si fecero pallidi e tremanti dallo spavento, anche se essi, in fondo, avevano la serissima intenzione di staccarsi dal tempio, tuttavia, per prudenza, ci tenevano all'occorrenza a poter apparire innocenti, anche al cospetto del tempio. Perché i giovani farisei conoscevano benissimo l'arte di comparire in caso di bisogno, in qualsiasi occasione, puri come colombe. Se in un qualche luogo minacciava di venirne loro pregiudizio, per il fatto che appartenevano al tempio, allora si atteggiavano ad avversari dichiarati del tempio, ma quando vi facevano ritorno, e là venivano fatte loro delle rimostranze per essersi scagliati contro il tempio, essi avevano in serbo una quantità di ragioni, l'una più plausibile dell'altra, con le quali dimostravano di essersi atteggiati soltanto in apparenza a nemici del tempio.
6. Per questo motivo anch'Io, già da principio, dissi che di loro non c'era troppo da fidarsi, perché le anime umane di questa specie assomigliano sempre a delle fiere addomesticate, delle quali pure non ci si può mai fidare interamente, perché la loro natura selvaggia non manca di manifestarsi nuovamente, qualora se ne offra l'occasione.
7. E quando dopo una breve attesa Giulio cominciò a farsi più insistente verso i trenta che serbavano ancora un angoscioso silenzio, Io gli dissi: «O amico, lascia che riprendano un po' d'animo e che si spieghino, poi! Perché, anche se ne avessero la volontà, non è possibile che si salvino con delle menzogne. In primo luogo, ci sono qua Io, dinanzi al Quale non serve mentire, e poi qui c'è ancora Raffaele, al quale pure non si possono vendere bugie per verità; ma, dunque, a che cosa gioverebbe ai trenta una qualche menzogna di fronte a noi che anzitutto non si può sperare di accontentare con delle falsità e che oltre a ciò siamo detentori di ogni forza e potenza?»
8. Dice allora Giulio: «Io vedo che Tu, o Signore, anche questa volta, come sempre, hai perfettamente ragione, di conseguenza attenderò anche con tutta pazienza, da questi trenta, la risposta. Voglio però aggiungere soltanto che se la risposta dovesse farsi aspettare troppo a lungo desidererei ben sapere che cosa mi resterà da fare!»
9. Da lì a un po', il giovane fariseo riprese coraggio e disse: «Con una ostinazione disperante hai preteso da noi la risposta alla tua domanda; noi però ti interrogammo prima in tono amichevole, anche se un po' eccitati, su quella nobile figura d'Uomo, per sapere se non fosse addirittura Egli il medico di Nazaret. E concludemmo che, qualora Egli lo fosse, ci saremmo trovati in un bell'imbroglio. Queste parole ti colpirono e allora fosti colto da sfiducia nei nostri riguardi, e nel tono più serio e minaccioso di questo mondo pretendesti che ti dessimo subito la spiegazione di quelle nostre parole! Ma considerato ciò è ben comprensibile che noi siamo stati colti da timore, avendo già sperimentato la tua severità.
10. Adesso però che abbiamo trovato un difensore del nostro imbarazzo in quel nobile Uomo, il quale era veramente quello che più temevamo, perché in noi risorgeva sempre il pensiero che potesse essere il medico da Nazaret, adesso è per noi facile anche parlare, giacché ora non siamo più assillati dal timore e possiamo del tutto esprimerci francamente e liberamente.
11. Che dovessimo avere un ben fondato timore del medico da Nazaret, trovala sua ragione semplicemente in ciò che in verità, per quanto concerne il tempio, ci troviamo evidentemente qui in qualità dei suoi persecutori, nonostante che nei nostri cuori in realtà non lo siamo mai stati, e noi, dinanzi agli occhi del mondo, abbiamo già dovuto prendere più di una disposizione che appariva come rivolta contro di Lui, che a Lui certo non poteva in nessun modo essere gradita, seppure finora non abbia ottenuto l'effetto di causarGli proprio un grave danno!
12. Qui però abbiamo già avuto qualche piccola prova, ed abbiamo in generale osservato che un persecutore del famoso Medico non si può aspettare gran che di bene. Perciò, anche quando apprendemmo qualcosa della guarigione dei cinque ladroni, che dovrebbe seguire domani, ti chiedemmo se non fosse proprio Egli stesso il celebre medico da Nazaret.
13. Se Egli positivamente Lo fosse, allora certo non ci resterebbe quale ultima soluzione altro che gettarci nella polvere dinanzi a Lui e pregarLo di perdonarci tutto quello che, eventualmente costrettivi dal tempio, noi abbiamo già dovuto intraprendere contro di Lui! Ora vedi, questo è appunto il brutto imbroglio in cui noi verremmo a trovarci, se Egli fosse sul serio il medico da Nazaret; ma poiché ci siamo oramai persuasi della grande nobiltà di cuore di quest'Uomo, per noi Egli può senz'altro essere anche il medico da Nazaret e certo per causa Sua non verremo più a trovarci in alcun imbroglio! Questa è dunque la risposta del tutto conforme a verità che tu ci hai richiesto fra tante minacce, ma in compenso da pure tu adesso una giusta risposta alla nostra domanda!»
14. Allora Giulio risponde: «Ebbene, allora sappiate che è proprio Lui Colui al Quale ogni natura e tutte le potenze dei Cieli sono soggette! Egli stesso è il famoso medico da Nazaret! Di Lui ebbe prima a testimoniare la fanciulla, e al Suo cenno obbedì l'angelo quando vi fornì la piccola prova della sua forza; ma dato che ora sapete ciò ditemi: che cosa intendete fare adesso?».
Scambio di opinioni tra farisei e Giulio su Gesù
1. Allora il fariseo, e pure tutti gli altri dicono: «Sia Dio altamente lodato, per aver concesso all'uomo una tale potenza, che non può che essere salutare per i poveri mortali. Nei libri dei profeti sta certo scritto che un giorno Dio manderà un Messia al popolo d'Israele. Ebbene, cosa accadrebbe se considerassimo Lui per tale? È ben vero che, secondo le profezie, un Messia non dovrebbe o non potrebbe venire dalla Galilea! Ma anche qui si tratta di un linguaggio profetico che veramente, per quanto concerne lo Spirito, non si può comprendere interamente. Noi davvero non abbiamo mai potuto ben capire perché in Galilea non dovrebbe sorgere un profeta od una qualche altra personalità illustre, dato che i galilei sicuramente non hanno colpa se sono galilei. Comunque sia però la cosa sta scritta: chi vuole credervi, ci creda, ma chi non ci tiene a crederla, la lasci andare. Ora, a quest'ultima classe dovremo appartenere discretamente anche noi, dato che non ci fa in nessun modo ombra accettare questo Salvatore da Nazaret quale un Messia, nelle forme migliori.
2. Tuttavia, in un certo modo, resta pure una cosa straordinaria al massimo grado, ed è importantissima la domanda che si può fare, e cioè come sia pervenuto quest'Uomo a queste strabilianti qualità, simili a quelle supreme di Dio. Perché, da quanto abbiamo potuto apprendere durante le nostre ricerche circa la Sua persona e le Sue origini, Egli non è che un figlio di un falegname, il quale circa fino al Suo trentesimo anno è rimasto sempre a casa propria e assieme a Suo padre ed a qualche Suo fratello ha lavorato nella Sua professione, ora qua ora là, senza che mai qualcuno fosse riuscito a scoprire in Lui qualcosa di straordinario. Nessuno lo ha mai visto leggere, scrivere o far conti. Pare altresì che nel Suo trattare con la gente si sia sempre dimostrato quanto mai parco di parole e non troppo desto nello spirito!
3. Anzi, a Nazaret stessa ci venne raccontato che Suo padre e Sua madre Lo rimproverarono spesso soprattutto perché, in primo luogo, non era facile indurlo ad entrare in una sinagoga, e in secondo luogo non voleva mai saperne di farsi leggere le Scritture, non dando oltre a ciò che scarsa o nulla importanza al Sabato. Quello che più Lo dilettava, pare sia stata la contemplazione della Natura e delle cose di questa Terra.
4. Così pure sembra che la pesca sia stata una delle Sue occupazioni favorite, ed Egli sempre vi si dedicava con successo, e per questo anche i pescatori gradivano molto la Sua compagnia.
5. A dirla breve, da quanto noi abbiamo potuto apprendere sul Suo conto, risulterebbe come fatto certo che Egli, anzitutto, non ha mai frequentato una scuola, e poi che Egli è stato un uomo nel quale non si è potuto intravedere che in grado assai meschino una qualche cultura!
6. Ma ecco che d'improvviso si è destato a tanta sapienza da poter, con convinzione profonda, asserire che da quando il mondo esiste non ha portato mai un uomo più sapiente di Lui!
7. Ebbene, un simile Uomo, sul conto del quale abbiamo appreso queste e naturalmente molte altre cose ancora in base ad informazioni certo inoppugnabilissime, lo troviamo ora qui e possiamo convincerci che Egli è veramente una Persona del tutto fuori dell'ordinario, ma perciò crediamo anche che non si possa assolutamente trovare in noi una ragione di biasimo se domandiamo come Egli ha acquisito queste inaudite facoltà che prima di Lui non sono mai state patrimonio di un uomo, né certo lo saranno mai più neanche in avvenire!»
8. Osserva Giulio: «Ma chi mai può veramente conoscere gli scopi e la misura dello Spirito di Dio, in quanto Esso vuol mettersi in diretto rapporto attivo ed efficace con lo spirito di un uomo? E non può avverarsi che lo Spirito Onnipotente di Dio si congiunga, con tutta la pienezza della Sua potenza, con lo spirito dell’uomo e che poi agisca ed operi in modo che, naturalmente, un semplice uomo non potrà mai agire ed operare, dato che egli non è un Dio?
9. Ora, quando è Dio stesso che parla, agisce ed opera per mezzo dello spirito infinitamente irrobustito di un uomo dotato delle necessarie attitudini - uomo certo quanto mai raro a trovarsi - per noi deboli mortali di sicuro non possono risultarne che prodigi su prodigi. Parola ed azione diventano allora una cosa sola, e noi non possiamo imitare né l'una né l'altra; perché tanto nel corpo quanto nel nostro spirito limitato, noi siamo solamente uomini. Egli, invece, soltanto per ciò che concerne il corpo è un uomo come noi, ma nei riguardi dello Spirito Egli è Dio in sommo grado e domina tutta l'Infinità!
10. Ma siccome - e ciò va inteso secondo i concetti che abbiamo noi romani della teosofia - il divino puro riconosciuto, in qualsiasi modo e luogo esso si manifesti, va altamente onorato ed adorato, ne consegue anche nel nostro caso, in maniera ben chiara, che di fronte ad un Uomo per mezzo del Quale visibilmente e con tutta evidenza opera la pienezza assoluta dell'Onnipotente Spirito di Dio, noi dobbiamo comportarci in maniera del tutto differente da quello che facciamo reciprocamente fra di noi. Ora ciò deve riuscire quanto mai chiaro anche a voi!
11. E voi da ciò potete altresì rilevare il perché noi, romani altolocati, Gli dimostriamo dal più profondo dei nostri cuori la massima reverenza possibile e il più grande amore e rispetto, e il perché Lo riconosciamo ed altissimamente Lo onoriamo quale il Signore dell'Universo. Ditemi se tutto ciò, anche agli occhi vostri, non s'imponga come una necessità evidente al massimo grado!»
12. Dice il giovane fariseo: «O sì, certamente, perché la vostra teosofia, sotto molti riguardi, ci piace quanto mai, e date le presenti circostanze è qui anche perfettamente al suo posto. Naturalmente, secondo la testuale dottrina di Mosè, questo non sarebbe del tutto buono e gradevole ad accettarsi! Perché in Mosè sta scritto espressamente e rigidissimamente: "Io sono il solo Signore Dio tuo, e tu non devi adorare altri dèi accanto a Me!"»
13. Osserva Giulio: «Perfettamente bene! Ma anche Mosè si deve intenderlo non soltanto secondo la lettera dei suoi scritti, ma piuttosto secondo il loro vero e proprio significato spirituale, ed allora pure ci si persuaderà ben presto e facilmente che Mosè, con la sua rigida dottrina, non può trovar qui ragione di reputare atto nemico, se io stabilisco il principio che l'uomo, di fronte all'una o l'altra manifestazione, certo sempre di quell'Uno e medesimo Spirito di Dio che ebbe a parlare a Mosè, debba anche sempre riconoscerla per tale e come tale debba anche onorarla e venerarla al massimo grado; ed è per questa ragione che, da parte degli egiziani, dei greci e di noi romani, quantunque infine forse in misura un po' troppo ampia per effetto di una specie di cieca superstizione, a ciascun uomo o creatura, dotati di una particolare non comune potenza d'azione, furono tributati onori divini.
14. Ad ogni modo, noi sempre pensavamo che per il puro infine tutto è puro! Sempreché l'umanità un po' superstiziosa, nella sua venerazione del divino, sotto ogni specie di raffigurazione, non degeneri in atti di malvagità, come purtroppo quasi sempre avviene per effetto della fame e della sempre crescente cupidigia e brama di dominio dei sacerdoti, per cui si trova indotta a placare le divinità irate per mezzo di crudeli sacrifici umani. È mia opinione che la sua superstizione, sotto certi riguardi devota e pia, non si possa nemmeno imputare a deficienza spirituale troppo grave, perché, come la penso io, è infine sempre meglio che l'uomo creda a qualcosa, anche se non ha un buon fondamento, piuttosto che egli finisca con il non credere più a niente, degradandosi così da solo al livello dell'animale, il quale esso pure non ha una fede, né diritta né contorta.
15. Un uomo, il quale non può o non vuole accettare alcun credo, non può neanche mai arrivare ad una qualche vera cultura del proprio intelletto! Perché, chi vuole edificarsi una casa, deve prima provvedersi del materiale necessario; ora, come potrà costruirsi, diciamo pure, una semplicissima capanna da pescatore, colui che non dispone del materiale occorrente? Se anche da principio nel materiale grezzo non c'è ordine, a questo si può ben presto rimediare, purché un qualche materiale ci sia, ma dove il materiale manca completamente, là non è nemmeno il caso di parlare di un certo ordine.
16. Perciò, io dico che infine all'uomo giova ancora di più perfino una superstizione, che non l'assoluta mancanza di una qualsiasi fede, giacché anche la paglia è in ultima analisi sempre ancora qualcosa di più di niente del tutto! Con la paglia si può ancora far qualcosa, mentre con un nulla di fatto, rimane nuovamente un nulla. Per questa ragione i romani tollerano anche le superstizioni, talvolta tenebrosissime, del vostro popolo, perché vi vediamo, nonostante tutto, sempre un qualche vantaggio per l'umanità.
17. Per quanto però concerne i funzionari del tempio, questi ai nostri occhi sono un abominio, dato che noi sappiamo con assoluta certezza che essi non credono a niente, e di conseguenza somministrano al popolo, invece della verità, le cose più assurde, gabellandole per supremamente divine, e comminano perfino le punizioni più insopportabili contro coloro che essendo di natura più sveglia, malgrado ogni costrizione morale, non s'inducono a credere che il bello sia brutto, che il Sole emana luce nera e non bianca e che nel torrente Cedron scorra sangue e non acqua! Questo considero essere una perfidia molto ignominiosa, considerata semplicemente a sé!
18. È poi certo che se si ha una qualche capacità, e se c'è la buona occasione di fornire una giusta luce agli uomini ciechi, la cosa è senza dubbio di valore inestimabile, ma finché così non si può fare, è meglio lasciare al popolo la sua pia opinione. Perché se in cambio non si può offrire al popolo niente di meglio, gli si lasci almeno quello che ha!».
Il fariseo confessa che la fede inculcata dal tempio è una fede forzata
1. Dice il fariseo: «Tutto quello di cui tu, o illustre signore, parli, è tanto evidente, vero e buono, che non possiamo dire altro che ciascuna persona, per poco sveglia che sia di mente, conversando con te trae positivamente per il suo cervello e per il suo cuore maggior vantaggio in un'ora che non se egli volesse per cent'anni interi ascoltare le sciocchezze del tempio, nelle quali non c'è niente all'infuori di una vuota e morta risonanza.
2. Nel tempio si blatera molto e si strilla ancor di più, ma ciò equivale a tanto, come se si dicesse a qualcuno: "Amico, lavami le mani e i piedi, però bada di non bagnarmeli in nessun modo!". E quando si impartiscono le nostre dottrine nel tempio, viene espressamente richiesto che si debbano ascoltare con la massima devozione e che tutto debba venir fatto come viene richiesto, ma del perché delle dottrine, che vengono presentate, e del come queste devono essere intese, a nessuno è lecito curarsi, dato che questi sono dei misteri divini, i quali unicamente al solo sommo sacerdote è concesso conoscere un po' più da vicino, ed anch'egli sotto il suggello della più assoluta segretezza!
3. Ma a che cosa serve all'uomo una dottrina che può, anzi deve perfino ascoltare alla lettera, mentre non gli è lecito, neanche se muore, intendere sia pure una sola sillaba, secondo lo spirito? È chiaro che in simili condizioni è del tutto indifferente udire o non udire una tale dottrina!
4. Se si considera proprio in buona luce la questione della dottrina di Dio fra gli uomini, ci si trova di fronte a cose che nemmeno lo stomaco di uno struzzo riesce a digerire. Perché, pur non essendo molto spesso gli uomini tanto stolti e tenebrosi, come una notte autunnale in tempo di Luna nuova e di nuvolaglia, quando si tratta del solito pensare ed agire, essi lo sono invece effettivamente a cento doppi per quanto concerne i loro insegnamenti divini. Oh, essi spesso credono a qualsiasi stramberia che viene loro ammannita - tanto che perfino un cane deve sentirne nausea, per non parlare di un galantuomo -, oppure non credono a niente.
5. O signore, tu non puoi credere quello che ben spesso sentivo nell'anima, quando mi trovavo obbligato a predicare al prossimo per buono e per vero quello che ero già anticipatamente più che convinto che fosse una pretta menzogna! Spesso avrei voluto strozzarmi da me stesso per l'indignazione; ma a che cosa sarebbe servito? Quando il bue è aggiogato, deve tirare sia il carro leggero che il pesante, altrimenti di colpi ce ne sono in abbondanza! Quante volte, nel corso della predica, mi è venuto il pensiero, ed io stesso mi sono domandato: "Chi è veramente l'animale più degno di compianto, io che predico, oppure colui a cui predico?". Ed io non potevo mai allontanare dalla mia mente la conclusione che mi si affacciava, e cioè che alla fine ero io stesso, dei due, il bue più stolto e più solidamente costretto sotto il giogo! Perché chi mi ascoltava, se fosse stata persona sveglia di mente, avrebbe potuto ridermi a suo piacimento dietro le spalle, mentre io non avrei potuto fare ciò in nessun modo, almeno nel tempio, a scanso dell'acqua maledetta!
6. Perciò, o illustre signore, io dico: "Resti lontana da noi tutti qualsiasi cosa che, in tutta verità, è cosa del demonio. Noi d'ora innanzi vogliamo essere della gente assennata, ma in eterno mai più dei servitori dell'umana stoltezza, perché è una cosa orribile essere al suo servizio! D'ora in poi si resti appoggiati alle armi della pura ragione, tutto il resto va messo tra le corna dell'antico caprone espiatorio, che si deve uccidere e bruciare con il fuoco di un giusto sdegno!". Ma ora passiamo a qualcosa d'altro!
7. Sai tu forse, o illustre signore, cosa pretenderebbe da noi questo buon Uomo divino, se noi gli chiedessimo di venire accolti quali Suoi discepoli per alcuni giorni? Perché da Lui si dovrebbero apprendere moltissime cose in un tempo assai breve! Credi che possiamo fargliene richiesta con cortesi parole?»
8. Risponde Giulio: «Certamente! Però a me consta, con assoluta sicurezza, che Egli non accetta mai alcun compenso materiale, ma unicamente un compenso spirituale! Oh, a questo riguardo Egli non ha mai con sé neanche l'ombra di un quattrino e tuttavia non rimane mai debitore di niente a nessuno. Chi per amore fa qualcosa a Suo vantaggio, questi ne ottiene per altre vie mille volte la ricompensa, e la Sua Volontà e la Sua Parola hanno maggior valore che non tutto il mondo intero; di più non vi occorre sapere, ed ora potete fare come volete»
9. Dice il giovane fariseo: «Sta bene, e tu, o illustre signore, ricevi i nostri ringraziamenti per aver fornito questa luce agli animi nostri; perché ora so già molto bene ciò che noi tutti faremo, come anche in certo modo ciò che dobbiamo fare! Adesso ci rivolgeremo del tutto seriamente a Lui, e come Egli ci dirà, così noi faremo!»
Le condizioni poste dal Signore per accogliere i discepoli
1. E detto questo il giovane fariseo si alza, si avvicina a Me e dice: «O Signore, Maestro e Salvatore senza pari! Chi sia io e chi siano questi ventinove miei fratelli, Tu già certissimamente lo sai, e chi veramente Tu sia l'abbiamo pure appreso per bocca dell'illustre comandante Giulio. A questo riguardo, dunque, non ci sarà bisogno di molte reciproche domande. Siccome però siamo a conoscenza che Tu alle volte accogli anche dei discepoli, avremmo anche noi il desiderio di divenire tali, anche soltanto per breve tempo, se non fosse possibile per un tempo più lungo!»
2. Osservo Io: «Tutto sarebbe in regola, ma, vedete, gli uccelli hanno i loro nidi e le volpi le loro tane, mentre Io non ho neppure dove posare il capo!
3. Chi vuole essere o diventare Mio discepolo, quegli deve prendere un greve carico sulle sue spalle, e così deve seguirMi! Vantaggi materiali i Miei discepoli non possono aspettarsene, al contrario essi, nel Nome Mio e per amor Mio, devono abbandonare perfino i vantaggi e i beni terreni già avuti e non soltanto per un dato tempo, ma per sempre. Neppure moglie e figli è bene siano loro d'impedimento a ciò, se vogliono pienamente diventare dei veri discepoli del Regno di Dio.
4. Denaro od altri simili tesori del mondo non devono possederne e neppure due mantelli senza cucitura, né calzari e sacchi per riporre le loro cose, né un bastone per appoggiarsi o per difendersi da un eventuale nemico.
5. Su questa Terra non è permesso loro di possedere niente all'infuori del celato mistero del Regno di Dio. Se voi potete adattarvi a tali condizioni, allora sì che potete anche diventare Miei discepoli!
6. Ciascuno dei Miei discepoli deve essere altresì, come Me, colmo d'amore, di mansuetudine e di pazienza verso chiunque. Egli deve benedire il suo peggiore nemico, altrettanto quanto il suo migliore amico, e qualora se ne offra l'occasione deve rendere del bene a colui che gli ha fatto del male, e deve pregare per chi lo perseguita.
7. L'ira e la vendetta devono esser ben lontani dal cuore di chiunque voglia essere Mio discepolo, non deve lamentarsi per le amare vicende su questa Terra né sdegnato cominciare a mormorare.
8. Egli deve fuggire come la peste ogni vita allettante del senso, ma deve fare ogni sforzo possibile per crearsi nel proprio cuore, mediante la Mia Vivente Parola, pienamente ed assolutamente uno spirito nuovo, per vivere infine in eterno, perfettamente in questo spirito, nella pienezza di ogni forza spirituale.
9. Dunque, ponderate bene queste condizioni, e diteMi poi se siete d'accordo e se siete disposti ad assoggettarvi senza alcuna restrizione»
10. A questa Mia dichiarazione, i giovani farisei rimasero alquanto imbarazzati e nessuno seppe trovare una risposta veramente appropriata. Tuttavia, quello che aveva parlato con Giulio, e che si trovava ancora vicino a Me, disse, dopo qualche tempo, in tono quasi spiritoso: «O Maestro caro, buono e insuperabile! Le condizioni che ci vengono poste possono essere veramente buone quanto mai rispetto al raggiungimento, sia pure soltanto di alcune, delle Tue qualità straordinarie di carattere divino, però ben pochi si troveranno disposti a riconoscerle e ad assoggettarvisi. E per la generalità, poi, una simile richiesta non può certo in nessun modo avere un valore; perché, se tutta l'umanità volesse accettare le condizioni da Te poste per chi vuol diventare Tuo discepolo, la Terra in breve tempo assumerebbe l'aspetto che dovette avere il secondo o terzo giorno della Creazione secondo Mosè, cioè deserta e vuota! Oh, certo, con tale sistema Tu di proseliti Te ne farai ben pochi! Mentre quei pochi che intendono dedicarsi alla cosiddetta vita contemplativa e che vogliono già su questa Terra, in certo modo, raggiungere quello che hanno da raggiungere appena nell'aldilà, questi sì che potranno adattarvisi; ma tutti!? Suvvia, dove andrebbe a finire il mondo?
11. In simili circostanze, l'antica dottrina di Mosè è allora, e resta sempre ancora, quanto c'è di più esauriente e di più vantaggioso sotto ogni riguardo per tutte le creature, per quanto concerne la sfera fisica e morale di ciascun uomo! Almeno, così, si può essere dinanzi a Dio ed al mondo una persona ragguardevole come Davide, ciò che è al massimo grado necessario per il mantenimento dell'ordine sulla Terra. Prova Tu a mettere tutta l'umanità su di un piede di uguaglianza, e ben presto Ti convincerai dove essa sarà arrivata già dopo brevissimo tempo. Certo, è bene che alcuni possiedano il segreto del Regno dei Cieli sulla Terra, ma per tutta l'umanità questo avrebbe l'identico effetto come se in un esercito ci fossero esclusivamente dei capitani di pari grado, oppure esclusivamente dei rozzi guerrieri senza alcuna cognizione della condotta di una guerra, dunque senza un vero comandante! Con un simile esercito potrebbero probabilmente cimentarsi perfino alcune vecchie donnicciole, per poco ben guidate che fossero!
12. Io, per conto mio, certo volentieri voglio diventare Tuo discepolo, anche se Tu intendessi pormi condizioni ancora più gravose, se però tutti i miei compagni si adageranno a tali condizioni, questa è una cosa di genere tutt'altro diverso! Perché, vedi, il tempio pretende veramente molto, ma Tu chiedi addirittura tutto! Ed una cosa simile, amico mio, ben pochi saranno propensi ad intenderla!»
I vantaggi dell'abnegazione
1. Dico Io: «Tutto ciò per altro non fa nulla, Io non costringo mai nessuno! Chi vuole seguirMi, Mi segua. Chi invece non vuole, o non può così fare, che rimanga a casa sua!
2. Però, in questi giorni il Regno di Dio soffre violenza; e coloro che con violenza a sé non lo strapperanno quelli non lo possederanno.
3. Ma rispetto alle condizioni certo alquanto dure da Me poste, devo osservare questo: "Se tu hai un mantello vecchio e ridotto a brandelli, con il quale è una vera vergogna comparire fra gli uomini, e se a te viene un tale con un buon mantello nuovo e ti dice: ‘O amico, togliti il tuo vecchio mantello e gettalo via, perché non è più adoperabile, ed io in cambio te ne do uno nuovo che ti servirà in ogni tempo, perché è intessuto di un materiale sul quale l'azione distruttrice del tempo non ha alcun potere!’; di fronte ad una simile offerta sarai ancora tanto pazzo da opporre un rifiuto e ti adatterai a tenerti il tuo mantello vecchio e cencioso?".
4. Tu e i tuoi compagni sapete, inoltre, che questa vita terrena dura poco, perché è una vita di prova con un tempo estremamente breve, e che dopo di essa comincia l'eternità infinita. Sai tu ora se e come, dopo la morte del corpo, vi sarà per te una qualche altra vita? Ma Io soltanto sono in grado di donare a te, come a ciascun altro con assoluta certezza, la vita più perfetta, eterna di un angelo, in cambio di questa breve e miseranda vita terrena!
5. Potrai tu ancora rimanere in qualche modo perplesso, se accettare o no la Mia offerta, considerato che Io sono l'Unico, il Quale può preparare per te la vita eterna e può dartela in tua assoluta proprietà? In verità, Io chiedo pochissimo, e dono invece in proporzioni immense!
6. Credi forse che la Terra rimarrebbe deserta e vuota, se con il tempo, e questo un giorno anche si verificherà, tutti gli uomini si disponessero a seguire i dettami della Mia Dottrina? O che fariseo miope sei!
7. Guarda qui questo Mio angelo! Egli da solo ha, fuori da Me, tanta forza e tanta potenza che, se Io volessi, egli in un attimo potrebbe annientare con altrettanta estrema rapidità, come prima ha fatto con la pietra, tutta questa Terra, il gran Sole, la Luna e tutte le stelle visibili, al paragone delle quali questa Terra, per quanto concerne la grandezza materiale, rappresenta a mala pena un minimissimo granello di sabbia; ma se tu credi che la coltura del suolo terrestre dipenda soltanto dall'uomo, allora commetti un grossissimo errore!
8. Io voglio donarti un pezzo di terreno dopo averlo colpito con la Mia maledizione, e tu poi potrai lavorarlo come e quanto vorrai, ma vedrai che esso non ti renderà nemmeno triboli e spine da offrire in pasto ai tuoi vermi! Il seminatore sparge il grano nei solchi del terreno, ma all'atto della semina devono essere presenti anche i Miei angeli per collaborare e così benedire il campo, altrimenti questo non ti porterà mai in eterno alcun frutto! Comprendi queste cose?
9. Ma se i lavoratori principali del terreno, allo scopo di produrre dei frutti nutrienti, sono sempre i Miei angeli, essi, nel caso di favorire una simile necessità, potrebbero ben assumersi anche l'atto della semina, come già fanno in quei luoghi della Terra, dove non si è ancora posato il piede dell'uomo.
10. Siccome però gli uomini giacciono nella maledizione antica e vogliono essi stessi lavorare con ogni energia per il loro corpo, ebbene, questo è un motivo per cui gli angeli possono continuare a celebrare l'antica vacanza».
Le necessità e i loro mali
1. Il Signore: «Nella scrittura non avete letto dell'Eden, che un giorno esisteva sulla Terra, dove fu creato il primo uomo? Questo Eden era un grande giardino, fornito abbondantemente dei migliori frutti della Terra, eppure è chiara l'impossibilità che prima vi avesse lavorato la mano dell'uomo! Dunque, i primi uomini non avevano né case, né città. Essi avevano bisogni estremamente limitati, che facilmente si potevano soddisfare; ma così anch’essi si conservavano in perfetta salute, raggiungevano sempre un'avanzatissima età, e perciò avevano sempre molto tempo a disposizione per occuparsi dello sviluppo delle loro anime; oltre a ciò essi stavano quasi continuamente in relazione visibile con le potenze celesti.
2. Caino però, per ispirazione di Satana, costruì per il figlio suo Anoc una città che si fregiò del suo nome, ed è così che egli posò la pietra fondamentale, sulla quale sorse poi l'edificio di ogni male.
3. Io vi dico: "L'uomo non ha affatto bisogno di molte cose su questa Terra, ma l'ambizione dell'uomo, la sua pigrizia, il suo orgoglio, il suo egoismo e la sua brama di dominio, questi sono fattori che creano delle esigenze illimitate, che non possono mai venire completamente soddisfatte!”
4. È così che per lo più trovano alimento le cure dell'uomo, e naturalmente l'uomo rimane molto occupato e non trova più tempo di occuparsi di ciò che veramente dovrebbe formare la sua conoscenza e struttura spirituale, dato che egli è stato posto da Dio su questo mondo soltanto a questo scopo!
5. Da Adamo fino a Noè, i figli delle montagne non fecero mai la guerra, perché minimi erano i loro bisogni e nessuno aspirava ad essere di più di quanto era il proprio fratello, mentre i genitori di fronte ai loro figli affermavano sempre la loro rispettabilità, e in questo modo essi restavano continuamente le sagge guide, i maestri e i consiglieri dei loro figli.
6. Nella pianura invece - dove l'umanità cieca d'intelletto e sorda di cuore si diede ad adornare con tutta pompa i suoi maestri, le guide e i consiglieri e cominciò ad ungere e ad incoronare i loro capi ed a conferire a loro, per maggior lustro e decoro, ogni tipo di poteri e di autorità - il problema della vita semplice e priva di grandi esigenze si presentò sotto un aspetto quanto mai difficile!
7. Lo sfarzo e la pompa hanno uno stomaco d'una capacità così grande che non si sazia mai; il terreno, su di una ristretta superficie, non può più produrre a sufficienza, e gli esponenti dello sfarzo, difficili a saziarsi, cominciarono perciò ad estendere i loro possessi, dichiararono il terreno ulteriormente occupato loro assoluta proprietà e dedicarono poi ogni cura ad aumentare la pompa e il lusso, suscitando così invidia e gelosia, e conseguentemente livore, litigio e guerra, ed infine il più forte s'identificò con il diritto, si eresse a dominatore dei più deboli e li obbligò a lavorare per lui e ad essergli soggetti in ogni cosa. I ricalcitranti però vennero puniti e spinti all'obbedienza incondizionata, perfino con minaccia di morte!
8. Ora, vedete, tutto ciò fu la conseguenza della civiltà esteriore terrena, dell'amore dello sfarzo ed alla pompa, e dall'orgoglio che deriva da questi!
9. Ma se Io ora, che vengo nello Spirito Mio dai Cieli, intendo ricondurvi all'originario e beato stato dei primi uomini, e vi indico la via, già da lungo tempo interamente perduta, che conduce al Regno di Dio, come potete asserire che le condizioni da Me poste, per diventare Miei discepoli, siano troppo dure, anzi per la generalità quasi inadempibili?
10. Io ve lo dico: "Lieve è il giogo che Io pongo sul vostro collo, e il carico che Io vi do da portare è leggero come una piuma, al paragone di quello che voi ora portate giorno per giorno".
11. Come possono portarvi lontano le vostre cure, se sono rivolte solamente per il mondo? Giorno e notte non vi è per voi né sosta né pace; e tutto ciò unicamente a causa del mondo, affinché non debba derivarne pregiudizio al vostro sfarzo borioso ed alla vostra vita agiata, fondata sugli stenti dei vostri fratelli e sorelle deboli, che spesso sudano sangue!
12. Ma con un tale cumulo di cure, come può l'anima trovare il tempo necessario per fare qualcosa atta a destare lo spirito di Dio in lei!
13. Le vostre anime, e quelle di milioni di vostri simili, non sanno più che esse sono le portatrici dello spirito di Dio, per non parlare poi che, travolte come sono nel turbine delle cure mondane che si estendono all'infinito, possano e vogliano fare qualcosa di utile, per spianare le vie della libertà e dell'indipendenza allo spirito stesso! Dal canto suo, però, la misera e debole umanità viene spinta da voi con troppa crudeltà ad un incessante lavoro servile, per soddisfare le vostre brame di sfarzo e di agiatezze, e non può quindi neppure essa far niente, per conseguire la libertà e l'indipendenza del proprio spirito, e così avviene che voi, assieme ai vostri soggetti, siete dei morti e siete perciò dei veri figli di Satana! Né potete intendere la Mia Parola che in tutta serietà e verità vi conduce alla vita, ma persistete invece nel difendere la vostra parola, dalla quale, per voi e per tutti i vostri sottoposti, deve necessariamente sorgere la morte eterna!»
Sulle cause del diluvio.
1. (Il Signore:) «Tuttavia si accusa Dio e si dice: "Come mai ha potuto Dio mandare sulla Terra il flutto del diluvio distruttore di ogni vita, e come ha potuto Egli annientare gli abitanti di Sodoma e di Gomorra?". Oh, non c'è nulla di più facile che spiegare questa cosa, giacché a che scopo lasciare più a lungo grufolare sul suolo di un mondo degli ammassi di carne animata e adorna, le cui anime si sono tanto allontanate dall'antico Ordine divino, da non serbare più nemmeno un'ultima traccia perfino della coscienza di se stesse, a causa delle esclusive cure dedicate alla carne!
2. Può esservi una forma più crassa ancora di incarnazione dell'anima umana di quella quando in essa è perfettamente svanito non solo il semplice presentimento dello spirito divino esistente in lei, ma poi va infine essa stessa perdendosi in modo che comincia seriamente a negare la propria esistenza, e non è più possibile ricondurre in lei la persuasione che essa invece esiste!
3. Oh, certo, quando una volta che l'umanità del mondo sia arrivata a trovarsi in simili condizioni, allora l'uomo ha anche cessato completamente di essere un uomo, e in questo stato non è altro che un animale istintivamente ragionevole ed è, magari in via transitoria, del tutto incapace di ogni ulteriore sviluppo dell'anima e dello spirito. Perciò una simile carne deve venire uccisa e lasciata imputridire assieme all'anima troppo intensivamente incarnata, affinché dopo forse molte migliaia d'anni l'anima, scioltasi dai vincoli stretti della carne, possa ricominciare la via della propria educazione e della propria indipendenza, sia su questa Terra, sia su un altro pianeta.
4. Ma che nuovamente adesso vi siano molto spesso degli uomini, i quali a causa delle immense ed esclusive cure dedicate al mondo, non sanno più nulla delle loro anime, ciò potete constatarlo in parte in voi stessi, in parte nei sadducei ed in grandissima parte in tutto il genere umano. Perché oramai non c'è più nessuno che si rende conto del "chi e che cosa veramente sia un'anima!". Se ne pronuncia il nome e si dice: "Per l'anima mia e nell'anima mia", ma se si domanda a qualcuno: "Amico, sai dirmi chi o che cosa tu intendi per 'anima'?". Allora, di certo, l'interrogato resta di stucco e non sa poi più che pesci pigliare!
5. Quando però un'anima è giunta al punto di non conoscere se stessa e finisce col dimenticare del tutto che cosa essa è, e come è, allora ogni considerazione ed ogni discussione è perfettamente inutile! E a Dio non resta altro che permettere che sul suolo della Terra si riattivi l'antico processo di annientamento dei corpi umani, ora in maggiore ora in minore stile, a seconda dello stato in cui si trovano gli uomini, a seconda cioè che questi hanno ancora qualche cognizione o non ne hanno affatto più dello spirito in loro e della loro anima!
6. Simili individui, puramente di carne e devoti al mondo, diventano nel loro aspetto esteriore spesso molto belli e di forme opulenti, specialmente la parte femminile dell'umanità. La ragione facilmente comprensibile di questo fenomeno è da ricercarsi nella sempre crescente intima unione dell'anima con la propria carne. Gli individui di questa specie però diventano, in seguito a ciò, debolissimi e quanto mai sensibili ad ogni cattiva condizione esterna. Tali corpi si ammalano facilmente ed un lievissimo alito pestifero basta per apportare loro inevitabilmente la morte, mentre altri esseri umani che hanno un'anima libera, ed in questa un libero spirito, possono lasciare che su di loro vengano tutti i veleni della Terra, ma niente avrà il potere di arrecare loro il benché minimo danno. Perché un'anima libera e il suo liberissimo spirito hanno forza e mezzi più che in abbondanza per opporsi con la massima efficacia a qualsiasi fra i possibili nemici in realtà impotenti, mentre un'anima solidamente avvinta in ogni suo punto vitale nei lacci della sua carne maledetta, somiglia ad un gigante strettamente incatenato, il quale infine non è capace di difendersi più nemmeno da una mosca importuna ed è costretto a rassegnarsi quando un pigmeo impotente viene e con un coltello gli separa il capo dal busto molto lentamente ma, proprio per questo, tanto più dolorosamente"».
Cenni missionari.
1. Notate bene quello che ora Io vi dirò: «Quando voi giungete in un luogo dove ci sono persone d'ambo i sessi molto bene acconciate ed ornate e dal corpo molto appariscente, da quel luogo allontanatevi al più presto, perché là non c'è niente da fare per il Regno di Dio, essendo là ripetute, almeno per la metà, le condizioni che decisero della sorte di Sodoma e Gomorra. E da un simile luogo nemmeno il Giudizio di Dio non è mai tanto lontano, giacché simili anime materializzate, che hanno sepolto nella tomba della loro carne quasi ogni coscienza della loro propria e vera esistenza, strettamente compressa fra i ceppi, e quando la loro bella carne viene sia pure soltanto lievemente in contatto con gli spiriti naturali e rozzi dell'aria, maligni e molto incolti ancora, queste anime prigioniere non possono assolutamente difendersi e soccombono alla loro carne, che essendo troppo frammista all'anima è molto più sensibile e suscettibile che non la carne del corpo di un'anima libera.
2. Provatevi ad afferrare una delle solite fragili e delicate ragazze cittadine per un braccio od in un'altra parte del corpo, stringetele forte e vedrete come essa griderà dal dolore; ma andate invece in campagna da un qualche lavoratore di campi, il quale, oltre ad accudire al proprio lavoro, ha pure una cura adeguata della propria anima e di quelle dei suoi figli, e voi potrete afferrare e scuotere come vorrete le braccia del contadino e dei suoi figli, ma dalle loro bocche non udrete affatto troppo acute grida di dolore e d'angoscia.
3. Voi certo pensate che questa insensibilità derivi dall'aspro lavoro e dal conseguente indurimento del corpo! Oh, per niente affatto, ma questa maggiore insensibilità è soltanto la conseguenza dello stato dell'anima, sottrattasi maggiormente alla schiavitù della carne, tramite ogni tipo di rinunce e d'abnegazione. Di conseguenza, poi viene raggiunto anche l'adeguato grado d'indurimento della carne.
4. Ma laddove si presta ogni cura alla delicatezza della carne, ed esistono perfino delle scuole speciali nelle quali con ogni specie di esercizi fisici si tende a rendere il corpo più armonioso nelle sue forme ed infine anche più delicato possibile mediante oli ed unguenti, là non si parla più di anime libere e vigorose; e anche quando solo un lieve soffio velenoso giunge a sfiorare simili corpi terribilmente indeboliti, è cosa facile per la morte celebrare la festa del più abbondante raccolto!
5. Ed in tali occasioni, nuovamente un coro di lamenti si leva, e i semicredenti l'un dopo l'altro, aprendo la bocca, dicono: "Ma che razza di diletto può mai provare Dio mandando sull'umanità continuamente ogni tipo di piaghe?". Tutto ciò porta a far credere che, o un Dio veramente non esiste, o che sia troppo sublime e maestoso per occuparsi dei vermi della Terra, o che si sia fatto bramoso di sacrifici e d'incensi e che di conseguenza convenga ammansirseLo con ricche offerte, formule magiche e profumi! A meno che, infine, Dio non si sia adirato e ora voglia vendicarsi a spese della debole ed innocente umanità; ma allora bisognerebbe far penitenza vestiti di sacco e cosparsi di cenere, e si dovrebbero gettare nel Giordano almeno dodici caproni espiatori!
6. Ma nessuno pensa invece che tutte le sofferenze, tutte le malattie, le guerre, la carestia, la fame e la peste hanno esclusivamente la loro origine in ciò che gli uomini, invece di dedicare ogni cura alla loro anima ed al loro spirito secondo l'Ordine di Dio, la dedicano soltanto al loro corpo!
7. Alle anime morte viene predicato il timor di Dio, nel quale però il predicatore morto nella sua anima, egli stesso già da lungo tempo non crede più, mentre crede solamente all'argomento che è oggetto della sua predica ed all'eventuale onore ed alla stima che gli possono derivare, quale un predicatore di talento ben coltivato. E così avviene che un cieco fa da guida all'altro e che un morto propende a rendere vivente l'altro, a causa del proprio corpo! Ma quale buon effetto ci si può ripromettere e si può ottenere da tutto ciò a vantaggio di un'anima in sommo grado ammalata?
8. Io sono un gran Medico e l'umanità morta, e per questo completamente cieca, si domanda come mai ciò Mi sia possibile! Ma ora dico a voi che Io non guarisco affatto la carne di nessuno, ma laddove un'anima non è ancora troppo tenacemente frammista alla sua carne, Io non faccio che rendere libera l'anima, e ridesto per quanto è possibile lo spirito sepolto nell'anima. Questo allora infonde subito vigore all'anima che si rende libera, e poi essa riesce facilmente e in un attimo a ricondurre all'ordine ed alla normalità quanto c'è di difettoso e di deficiente nella carne.
9. Questa viene comunemente chiamata una guarigione miracolosa, mentre non si tratta che della guarigione più naturale e più conforme all'ordine di questo mondo! Quello che qualcuno ha, egli lo può anche dare, ma quello che non ha, non lo può nemmeno dare!
10. Chi ha in sé un'anima vivente secondo l'Ordine di Dio, ed un libero spirito nella sua anima, può anche rendere libera l'anima del proprio fratello, purché essa non sia già troppo materializzata. E questa poi può giovare, con tutta facilità, al proprio corpo di carne ammalato; ma se il medico dell'anima ha egli stesso un'anima gravemente ammalata, più morta che vivente, come potrà mai donare ad un'altra anima ciò che a lui manca del tutto? Considerate bene dunque queste cose!
11. Ora Io vi ho indicato quali sono le condizioni per diventare Miei discepoli, e così pure la causa dei mali del mondo fino alle loro più vere e profonde fondamenta! Fate adesso come vi piace! Io non vi accolgo quali Miei discepoli, né vi impedisco di diventarlo, ma se davvero volete diventare Miei discepoli, voi dovete anzitutto rendere libere e forti le vostre anime, altrimenti la condizione di discepoli, in dipendenza dalla Mia Dottrina, a nulla vi gioverebbe!»
Noè e l'arca.
1. Dopo queste Mie parole, tutti si guardano l'un l'altro stupiti, e ciascuno tra sé dice: «È colpa mia!» E il giovane fariseo non sa che cosa replicare. Anche Cirenio e Giulio si mostrano alquanto impensieriti, così pure Ebal e perfino Giara, il cui pensiero della propria femminile bellezza comincia ad essere causa di preoccupazione.
2. E dopo qualche tempo di profonda meditazione, Cirenio dice: «O Signore e Maestro, io ho già di quando in quando trascorso con Te qualche giorno e qualche notte, Ti ho visto operare molti prodigi e Ti ho talvolta udito proferire parole molto severe, ma niente ha avuto finora tanto potere di scuotermi fin nel profondo della mia anima, quanto questo Tuo discorso! Perché, secondo queste Tue presenti espressioni, la nostra situazione non è per niente migliore di quella di Sodoma e Gomorra, ai tempi di Abramo. E tutte le nostre cure e tutto il nostro operare è completamente "OPTIMA FORMA" (nella forma migliore) cosa di Satana. O Signore! Dura, molto dura è questa Dottrina! Purtroppo non si può nascondere, sotto nessun pretesto al mondo, che Tu ci hai qui ora ammannito la più chiara e nuda verità; ma come si fa adesso a mettersi in condizioni tali da poter, certo con la migliore buona volontà, volgere completamente le spalle al mondo, per dedicare poi ogni minuto del proprio tempo alla cultura dello spirito e dell'anima?»
3. Dico Io: «O amico mio, niente di più facile! Tu rimani ciò che sei, e chi sei, e continui nel tuo ministero come hai fatto finora, ma non già agli scopi della tua gloria e considerazione, ma per il molteplice vantaggio dell'umanità!
4. Perché, vedi, quando ai tempi di Noè il diluvio venne sopra la Terra, allora abitata dalla più corrotta umanità, le acque uccisero, in quella vasta parte del mondo, tutto all'infuori di Noè, della sua piccola famiglia e degli animali che egli poté accogliere nell'arca, non naturalmente dei pesci.
5. Ma come fece Noè a conservarsi in vita con la sua famiglia, al di sopra di tutte le onde micidiali del gran diluvio? Vedi, egli si trovava nella sua solida arca che il flutto infuriante era costretto a portare sul suo dosso con la massima obbedienza, e tale flutto non poteva in nessun modo penetrare nell'interno dell'arca, dove avrebbe potuto diventare pericoloso anche alla vita di Noè!
6. Questo micidiale diluvio di Noè, però nel senso spirituale, si mantiene ancora sempre sul suolo di questa Terra, ed Io ti dico che questo spirituale e continuo diluvio di Noè non è affatto, in nessun modo, meno pericoloso alla vita dell'uomo del mondo, di quanto lo sia stato il diluvio naturale al tempo di Noè.
7. Ma come ci si può proteggere contro il pericolo dell'affogamento, nelle acque del diluvio spirituale? Io te lo dico: "Come fece Noè materialmente, così si faccia ora spiritualmente. In questo modo si sarà sempre tutelati contro il pericolo di morire annegati nelle acque del grande diluvio spirituale!»
8. Detto con altre parole, si dia anche al mondo, secondo l'Ordine di Dio, ciò che spetta al mondo.
9. L'arca di Noè è per ciascun uomo la sua vera umiltà, l'amore suo per il prossimo e l'amore suo a Dio.
10. Chi è veramente e profondamente umile ed è colmo del puro e disinteressato amore al Dio Padre ed a tutto il suo prossimo, ed è sempre animato dal massimo zelo nel servire, per quanto gli è possibile, tutti i suoi simili, quegli si fa portare in eccellenti condizioni, ed al riparo di ogni invidia, sui flutti altrimenti facilmente micidiali di ogni peccato del mondo ed alla fine di questa sua vita terrena. Quando per lui il flutto si abbasserà e si perderà negli abissi tenebrosi, la sua arca si poserà dolcemente sul grande Ararat del viventissimo Regno di Dio e diventerà una dimora eterna per colui che essa avrà portato».
Come si devono considerare e usare i tesori terreni.
1. Il Signore: «Guarda Me! Non devo restare in contatto con il mondo? Io mangio e bevo e il mondo serve Me, come un giorno le acque del diluvio dovettero servire all'arca di Noè. Certo, esse infuriano con gran violenza sotto il pavimento della Mia arca, ma questa esse non possono mai in eterno inghiottire!
2. Non è colpa tua se un giorno è sorto un impero romano; ormai esso esiste e tu non puoi fare come se non ci fosse. L'impero ha tuttavia delle buone leggi che sono molto ben adatte a mantenere un ordine ed a spronare all'umiltà gli uomini. Se tu presumi di essere un signore posto al di sopra della legge, e che può quindi ornare il tuo capo con la corona, ti trovi nei riguardi di te stesso su una falsa via, seppure non nei riguardi degli uomini, i quali, poiché la legge è sanzionata, devono sopportarla con tutti i suoi vantaggi ed inconvenienti; ma se ti collochi pure tu sotto la legge, e ti consideri unicamente quale l'interprete e l'applicatore della legge chiamato così a fungere per la necessità dello stato, allora ti collochi al tuo vero posto e con il materiale giuridico della legge ti costruisci un'arca, la quale è obbligata a portarti sopra ogni flutto dei peccati del mondo, per quanto violento esso sia.
3. Se oltre a ciò tu anche osservi fattivamente i facili principi della Mia Dottrina, che può benissimo conciliarsi con le vostre leggi, tu allora operi a seconda delle tue possibilità a vantaggio dell'anima, come pure a vantaggio del tuo spirito. Ma se sono Io a dichiararti che questo è sufficiente, dimmi tu, chi mai potrebbe asserire invece che ciò non è sufficiente?»
4. Osserva Cirenio: «Eppure, o Signore, pensa alla pompa ed allo sfarzo, fra i quali io sono costretto a vivere a causa dello Stato! E pensa anche all'opinione che hai appunto ora espressa riguardo al lusso ed alla pompa del mondo!»
5. Dico Io: «Ma tu veramente nel tuo cuore ami il lusso e lo sfarzo mondani?»
6. Risponde Cirenio: «Oh, per niente affatto; tutto ciò anzi costituisce per me un vero tormento!»
7. Dico Io: «Ebbene, come ti può conturbare l'idea di un lusso e di uno sfarzo che ti sono imposte dalle circostanze? Nessun splendore e nessun ornamento può essere di pregiudizio all'anima ed allo spirito, senza che vi sia consenziente l'amore del tuo cuore. Ma se invece il tuo cuore si attacca a qualcosa di materiale, sia pure questo in sé e di per sé una cosa insignificante al massimo, però questo qualcosa può essere per l'anima e per lo spirito altrettanto dannoso quanto la più pesante corona d'oro purissimo ed ornata dalle più preziose pietre.
8. Dunque, tutto dipende da come è costituito il cuore, perché altrimenti, e questo sarebbe oltre ogni dire ridicolo, anche il Sole, la Luna e tutte le stelle dovrebbero venir imputate all'uomo di questa Terra a peccato, dato che tali astri, risplendendo in tanta gloria, diventano per l'uomo causa di grande e vera gioia. Ma così pure, o Cirenio amico Mio, ti è lecito considerare con giusta gioia il tuo splendore al cospetto degli uomini, soltanto che questa gioia conviene che non sia vana, e quindi stolta, perché è con una simile gioia male originata che si giunge a guastare ed infine ad uccidere l'anima!
9. Non è stato concesso pure a Salomone, anzi ordinato, di abbigliarsi con tanto sfarzo, come nessun re prima di lui era stato abbigliato, e come non lo è stato né lo sarà alcun re dopo di lui! Fino a tanto che egli non trovò un compiacimento vano e stolto, bensì quale un fondamento nella sapienza, il compiacimento stesso fu ad edificazione dell'anima sua e del suo spirito, ma quando poi invece si lasciò cogliere dalla vanità, a causa della sua grande magnificenza, e dominare dall'orgoglio, allora egli anche decadde ben presto in ogni cosa al cospetto di Dio e di tutti gli uomini di miglior sentimento, e s'immerse in ogni peccato del mondo voluttuoso, e le opere sue diventarono pazzie dinanzi agli occhi degli onesti, e veri abomini dinanzi alla faccia di Dio!
10. Io dico a te, e anche a tutti gli altri, che per l'uomo è perfino buono ed utile se egli, fattosi compiutamente maturo nell'anima e nello spirito, si dà ad imitare, già su questa Terra, gli splendori del Cielo e se procura una giusta letizia al suo animo, perché è meglio edificare che distruggere. Certo però soltanto chi è completamente maturo nell'anima e nello spirito può senza pregiudizio procedere così, affinché gl'immaturi vedano di che cosa è capace un maturo.
11. Ma chi si costruisce un palazzo per suo onore e gloria, e finisce con l'amarese stesso nella sua magnificenza, commette un grave peccato contro la propria anima e contro il divino spirito in lui, e corrompe se stesso e tutti i suoi discendenti, i quali già dalla nascita si ritengono molto migliori degli altri uomini.
12. Ora, se per effetto dello splendore dei palazzi, i cuori di coloro che li abitano si sono corrotti e sono colmi di superbia e di spregio verso gli altri che non possono abitare nei palazzi, allora sicuramente miglior cosa è convertire i palazzi immediatamente in macerie.
13. Così pure non è affatto contrario all'Ordine divino edificare una città, nella quale gli uomini possano vivere insieme in pace e concordia, come in una famiglia in una casa, e possano agire ed operare aiutandosi reciprocamente in ogni cosa con maggior facilità di quanta ne avrebbero se abitassero a qualche ora di distanza l'uno dall'altro, ma quando poi in una città giunge ad annidarsi l'orgoglio, l'invidia, l'odio, la persecuzione o addirittura l'assassinio, la crapula, la lussuria e l'ozio, allora non resta altro che convertire di nuovo una simile città in un cumulo di rovine, altrimenti essa diventa un semenzaio di ogni specie di mali capitali, i quali, con il tempo, appesterebbero completamente te e tutta la Terra, come è stato il caso di Anoc prima del diluvio, e di Babilonia e della grande Ninive dopo il diluvio! Quanto grandi furono queste città, un giorno! Ed attualmente, al loro posto, non ci sono che poche e misere capanne. Dove un giorno sorgeva Anoc, c'è ora un mare, come c'è anche un mare al posto dell'antica Sodoma e Gomorra, nonché delle dieci città minori intorno alle due maggiori, delle quali ciascuna era più grande che non Gerusalemme al giorno d'oggi, pur non essendo questa più così grande, com'era all'epoca di Davide.
14. Ma ciò che è accaduto a quelle città, accadrà pure a Gerusalemme, e qui presente c'è più d'uno che sarà testimone dell'abominazione della desolazione! Perché, come detto, è meglio che non ci siano simili città, e che ci siano invece in maggior numero delle anime perfettamente viventi, che non ci sia una città dove gli uomini vengono mandati in perdizione per il tempo e per l'eternità!
15. Dunque tu, caro Cirenio, puoi senz'altro avere tutto quanto di prezioso e di meraviglioso porta la Terra sull'ampia sua superficie, e puoi gioirne a tuo piacimento rendendo lode e gloria a Dio. Soltanto è bene che il tuo cuore non ci si attacchi, perché tutto questo splendore della Terra è destinato un giorno a svanire per sé, ed anche per te quando sarà giunto il momento di scambiare il transitorio per quello che è eterno. Tutta la materia non è effettivamente altro che ciò che Io ti ho spiegato chiaramente in una Mia precedente dissertazione. DimMi: «Sei contento così, ed hai tutto ben compreso così come deve venir compreso dinanzi a Dio ed al mondo intero?».
Sulla giusta via che conduce alla meta della perfezione umana.
1. Risponde Cirenio: «Sì, ora di nuovo è tutto perfettamente chiaro. È deciso, una volta per sempre, che le cose non possono cambiare da come sono. Come per ciascun fuscello di paglia c'è una determinata legge, secondo la quale esso può svilupparsi, così c'è una legge psicomorale adatta alle peculiarità dell'essere umano, osservando la quale l'uomo può, per virtù propria, conquistare la propria illimitata indipendenza, ovvero, detto diversamente, c'è sempre ed immutabilmente soltanto una via, seguendo la quale l'uomo può arrivare alla sua vera ed eterna destinazione; mentre incamminandosi per qualsiasi altra delle innumerevoli vie che moralmente sono libere e aperte all'uomo, è assolutamente impossibile che egli raggiunga l'unica grande e vera meta segnata da Dio!
2. Ma del resto, la via che Tu, o Signore, ci hai indicato è la sola giusta e vera, questo io lo percepisco ora con tanta lucidità e chiarezza quanta è chiara la luce del Sole in pieno mezzogiorno. Come pure vedo che ciascun uomo, sia egli di elevata o di bassa condizione, può impavido percorrere la giusta via, purché sia animato da una seria e buona volontà. D'altro canto non posso fare a meno di constatare con certezza, che nessuno per forza propria avrebbe potuto trovare questa via in tutta la pienezza della verità ed in forma tanto perfettamente corrispondente a tutti i rapporti della vita. Una cosa simile può venir rivelata direttamente dallo Spirito di Dio all'uomo che dispone di un giusto intendimento!
3. Però, anche se la via è segnata ormai molto chiaramente, secondo la mia opinione ben di rado essa verrà percorsa da qualcuno senza deviazioni e nella sua interezza. Perché le istituzioni troppo materiali del mondo hanno posto su questa via, l'unica vera e giusta, barriere troppo solide, e molti che per essa si incammineranno, urteranno contro gli ostacoli e si rivolgeranno da essa a mezza via, particolarmente se entro breve tempo non potranno accertare in se stessi un prodigioso successo delle loro fatiche, ciò che, trattandosi d'individui attaccati prima fortemente al mondo esteriore, non potrà verificarsi così presto, come si potrebbe di primo acchito immaginare.
4. Io spero bene, attraverso la Tua particolare Grazia, di raggiungere la sublime e santa Meta, ma io non sono che uno, mentre il grande Stato di Roma conta ormai milioni di abitanti! Ora si domanda: "Tutti questi uomini, che infine sono come noi, quando potranno essere posti su questa via?"»
5. E il giovane fariseo aggiunge: «O illustre signore! Questo era appunto all'incirca il mio pensiero! Noi sì che possiamo oramai già incamminarci, con tutta tranquillità e letizia, per la via che conduce ad ogni salute, ma come potranno fare altrettanto i molti milioni che non hanno l'occasione di attingere alla vera Sorgente, e di chiarire qualsiasi dubbio, chiedendone al gran Maestro della Vita?»
6. Allora dico Io: «Anche a ciò si è provveduto! Poiché dopo di Me le porte del Cielo rimarranno continuamente aperte, e quello di cui noi ora parliamo potrà dopo mille anni e più venire scritto ed appreso, parola per parola, così precisamente come se tutto ciò che accade qui dovesse svolgersi dinanzi agli occhi di coloro che vivranno sulla Terra quasi duemila anni dopo di noi, e se mai qualcuno in futuro avrà qualche dubbio, potrà anch'egli ricorrere per luce e consiglio ai Cieli. Perché, in avvenire, ciascuno dovrà venire ammaestrato da Dio. Chi non verrà direttamente ammaestrato da Dio, non potrà neppure entrare nel Regno luminosissimo della vita e della verità».
Dell'innalzamento di Gesù.
1. Il Signore: «Però, Io vi dico che, tuttavia, sarà sempre difficile restare fedeli alla verità nuda e purissima, poiché l'intelletto del mondo, che qua e là si farà anche molto acuto, non vedrà come Io possa essere, secondo lo spirito, Colui che un giorno diede a Mosè sul Sinai, fra tuoni e fulmini, la Legge e che gli dettò i cinque libri, e con la Sua sapienza, forza e potenza, mantiene e regge tutto l'infinito! Perfino tra di voi ce ne sono di quelli che non comprendono ancora perfettamente, nonostante siate compiutamente testimoni di tutto ciò che qui avviene e che anche altrove è avvenuto, e come Io sia del tutto Una sola cosa con il Padre che è nel Cielo; ma che cosa diranno poi un giorno i grandi sapienti del mondo, quando una simile testimonianza perverrà ai loro orecchi?
2. Anche per questo ciò viene annunciato soltanto ai semplici e non ai sapienti del mondo; perché quello che è grande al cospetto del mondo, è un abominio di fronte a Dio!
3. L'uomo semplice, schietto, ed ancora per quanto è possibile di cuor puro, ha evidentemente anche un'anima più libera, e in questa anche uno spirito libero, e comprende quindi presto e facilmente ciò che è dello Spirito; mentre un sapiente del mondo, la cui anima è impostata unicamente ai valori materiali, non ha più in essa alcun presentimento di uno Spirito divino. Certamente non afferrerà e non comprenderà quello che voi, in gran parte, già facilmente comprendete ed afferrate abbastanza nella sua giusta profondità. Tuttavia voi stessi tuttora non comprendete molte cose, però ciò vi sarà dato di comprendere in maniera perfetta dopo il Mio innalzamento!»
4. A questo punto Cirenio, sollecito, chiede: «Di quale innalzamento parli? Verrai forse innalzato e incoronato su questa Terra quale il Re dei re?»
5. Ed Io rispondo: «Questa è cosa certa! Ma, non già quale re del mondo, né cinto di aurea corona! Non avrei Io il potere di prenderMi un regno della Terra, che si estende anche oltre ogni termine di questa? Chi potrebbe impedirMi di attuare un tale piano?
6.Non giace l'esistenza di tutte le cose nelle mani del Padre Mio, che è in Me, come Io sono in Lui, e così pure la vita di ciascun uomo? Quanti respiri potresti fare con il tuo petto, senza la Volontà del Mio Spirito, il Quale soltanto, tutto mantiene e vivifica?
7. Che cosa giovò, ai tempi di Noè, tutta la potenza e l’arte di guerra dell’umanità? Vedi, il Mio Spirito fece venire il diluvio sopra tutti i re e i loro popoli, ed essi rimasero sepolti!
8. A che cosa servì al potente faraone tutto il suo immenso esercito? Il Mio Spirito fece passare gli israeliti, a piede asciutto, attraverso il Mar Rosso, e fece perire fra le onde l'esercito del faraone che li inseguiva!
9. Dunque, se Io volessi diventare un re di questa Terra, quale potere o forza potrebbe impedirMelo?
10. Una cosa simile però sia lontana da Me e da ciascuno che voglia essere veramente Mio seguace. A Me attende un ben altro innalzamento ed una ben altra corona, di cui tu apprenderai i particolari solo quando sarà avvenuto. Alcuni accenni in proposito li hai già avuti da Me, subito all'inizio di questa nostra odierna conversazione; se te ne ricordi, potrai certamente immaginare da te il rimanente!»
11. Dice Cirenio: «Ma Signore! Io so ormai, con assoluta certezza, Chi e Cosa Tu sei, e qual è il Tuo potere; tuttavia, proprio per questo non so ancora del tutto perfettamente rendermi ragione del perché, nonostante tutta la Tua Onnipotenza, Tu, notoriamente, Ti mantieni nelle condizioni di un fuggitivo alle insidie di Erode, nonché a quelle del tempio!»
12. Dico Io: «O amico! Questa domanda avresti veramente potuto risparmiartela in questo momento; in primo luogo perché l'argomento te l'ho chiarito più che a sufficienza già a Nazaret, ed in secondo luogo perché ormai da tutti i Miei discorsi dovresti aver ben compreso che Io non sono venuto a questo mondo per uccidere i morti di più ancora di quanto lo siano già ora, ma soltanto per reinfondere in loro la vita; quindi, da parte Mia nessuno verrà ora sottoposto a giudizio. Infatti, adesso Io sono qui per prendere su di Me ogni Giudizio che era stato decretato sopra questa Terra, e tutta l'umanità troverà la sua piena redenzione, poiché Io avrò preso su di Me ogni giudizio.
13. Così pure, ora, Io non sono qui per ferire e percuotere, ma solamente per guarire tutte le possibili ferite e i mille e mille mali dai quali è afflitta l'umanità, e dunque per non infliggere ferite ancora più gravi e più profonde.
14. Credi tu forse che Io cerchi in certo qual modo di nasconderMi per timore dei Miei persecutori? Oh, se questo fosse veramente il tuo pensiero, saresti in un grave e grossolano errore! Considera un po' i cinque delinquenti che sono qui. In verità, secondo la Legge di Mosè, e secondo le vostre leggi, essi hanno meritato cento volte la morte, e tuttavia Io non concedo che ora vengano messi a morte, ma che essi pure possano essere resi partecipi della Grazia dei Cieli. Se essi sapranno volgere a loro profitto la Grazia, anch'essi allora potranno entrare nel Mio Regno; ma se in seguito dovessero ricadere nel male, non potranno che ascrivere a se stessi se la maledizione e il rigore della Legge li ucciderà! Perché, vedi, la Legge dura per sempre, ma la Grazia invece non viene che, di quando in quando, in aiuto dei tribolati. Se però della Grazia non viene tenuto alcun conto, allora certo è bene adeguarsi di nuovo alla Legge!»
Della potenza di Volontà del Signore e della libertà dell'anima umana.
1. Il Signore: «Ecco, tu sei il rappresentante di ogni legge, di ogni potere e di ogni autorità di Roma in tutta l'Asia e in una parte dell'Africa; eppure, vedi, qui dipende tutto dalla Mia Volontà, se giudicare i malfattori o restituirli a libertà, e tu alla Mia Volontà non ti puoi opporre.
2. Così pure con la Mia Volontà Io potrei anche costringere tutta l'umanità del mondo ad agire in un determinato modo, ma questo sarebbe pure un giudizio che ridurrebbe l'uomo libero ad una macchina.
3. Tu però non sei affatto una macchina, perché quello che fai, secondo la Mia Parola, lo fai nella convinzione che soltanto così è assolutamente ben fatto e conforme all'Ordine Mio, e se tu non comprendi ancora qualche cosa, ne chiedi la spiegazione ed agisci poi in base al tuo discernimento. Ma allora non si tratta di una costrizione dall'esterno verso l'interno, ma dall'interno verso l'esterno, e ciò rientra perfettamente nell'ordine della libera vita.
4. Poiché se a costringerti è la Mia Volontà, tu sei uno schiavo incatenato, ma se a costringerti è la tua volontà, allora sei libero, perché in tal caso la tua volontà vuole ormai quello che il tuo intelletto, vale a dire la luce degli occhi della tua anima, riconosce per l'unico vero e buono! Nei riguardi del mondo, invece, il procedimento assumerebbe un altro aspetto se venisse costretto ad agire secondo la Mia Volontà. Esso già prima non riconoscerebbe quello che soltanto è vero e buono, e il suo operare sarebbe poi simile a quello dell'animale, anzi peggiore ancora. Perché l'animale, sulla scala degli esseri, è collocato su di un gradino tale che una costrizione ingenita nella sua natura, non può arrecare alla sua anima nessun altro pregiudizio morale, dato che ad un'anima di animale manca molto ancora per poter avere qualcosa da fare con una qualsiasi legge morale libera. Invece l'anima dell'uomo libero, per effetto di una costrizione meccanica interiore, risentirebbe il massimo danno nella sua essenzialità, perché la parte animale, che è giudicata, verrebbe a trovarsi del tutto in opposizione alla sua libera natura morale.
5. Da ciò Mio caro Cirenio potrai, spero certo in maniera più che sufficientemente chiara, rilevare perché di fronte a coloro che Mi perseguitano, il contegno Mio sia tale da sembrare quello di un fuggitivo, e perché dove e quando mai è possibile Io Mi tenga lontano da loro; non dunque per cercare difesa contro il loro possente furore, ma per preservarli dall'eterna rovina, dato che pure essi, per quanto ciechi e stolti, sono Miei figli.
6. Però, se Io vedo che qualcuno dei Miei persecutori è in sé, nonostante tutto, di natura un po' migliore, e che esposto ad un'adeguata luce spirituale potrebbe riconoscere la verità e il buono puro, allora Io non fuggo da lui, ma lascio che venga a Me; e poi egli, ammaestrato, viene a riconoscere la sua notte e il suo giudizio, e diventa infine un uomo secondo l'Ordine di Dio. Un esempio vivente a questo riguardo tu ce l'hai appunto nei trenta persecutori della Mia Persona, giovani sì, ma fisicamente robusti! Certamente, Io non li avrei fatti condurre qui, se mentre essi erano ancora molto lontani da questo luogo, non avessi trovato che i loro cuori erano adatti ai Miei scopi.
7. Le forze naturali furono costrette dalla Mia Volontà a portarli qui, ma conciò non è stata affatto usata violenza alle loro anime. Ma ora, che sono qui, essi vengono istruiti, la luce va facendosi nel loro intelletto, ed essi poi certamente sceglieranno liberamente quello che è di vantaggio per le loro anime.
8. Vedete, ormai si avvicina già il momento in cui il Sole, alzatosi sull'orizzonte, comincerà a mandarci i suoi raggi, e tuttavia a nessuno di voi è venuto ancora in mente di rendere manifesto il bisogno d'un riposo del corpo! Ma perché ciò non è avvenuto? Ecco, perché Io oggi ho voluto che fosse così, però qui, nuovamente, si tratta non di una costrizione dell'anima, ma solamente della materia, che è ora obbligata a servire l'anima più a lungo del normale! Tale costrizione l'ho esercitata tanto nei vostri riguardi, quanto su Me stesso, appunto principalmente a causa di questi trenta, e tuttavia nessuno potrà dire di essere assonnato e stanco. Ma con la nostra veglia, noi abbiamo salvato trenta fratelli, in due modi: corporalmente e spiritualmente; perciò le nostre fatiche e la nostra veglia ottengono una molteplice ricompensa, ed una maggiore ricompensa ancora ne seguirà per l'avvenire. Ecco dunque che una costrizione esteriore non torna certo a pregiudizio di nessuna anima. Ma se Io avessi spinto a forza le anime nella luce, esse si troverebbero ora qui nella condizione di macchine, e nessuna delle loro azioni avrebbe per loro maggior valore di quanto ne possa avere l'effetto che una macchina od uno strumento è atto a produrre.
9. A che cosa serve per esempio ad un'ascia tagliare bene il legno? Tutto ciò è di vantaggio solo all'uomo che, libero e cosciente, sa a dovizia distinguere quello che è utile e buono. Ovvero, a che giova la luce al cieco o una pista da corsa allo zoppo? L'utilità riesce soltanto a chi è adeguatamente conscio, anzitutto di se stesso, poi della necessità del modo di usare e d'impiegare tale cosa ed infine dell'utilità che ne può trarre.
10. Non diversamente avviene della Luce spirituale, che a motivo della sacra libertà di volere dell'uomo essa non può, né deve venire immessa in nessuno con segreta violenza, ma in questa vece si ponga la Luce libera in un determinato luogo, dove può venire scorta da chiunque. Chi ne vuole approfittare, può farlo senza alcun impedimento, ma chi non ne vuole trarre profitto, può anche lasciare la Luce dov'è, senza alcun pregiudizio per la propria libera volontà, come pure del resto è già il caso con la luce del Sole che produce il giorno. Chi vuole farne suo uso, la utilizza per qualche lavoro, ma chi invece, malgrado la chiarissima luce del giorno, vuol starsene in ozio, sia pure anche così, poiché neppure questa cosa può essere di particolare danno per il mondo. La luce, già per se stessa, non costringe nessun'anima, dotata di libero volere, ad essere in qualche modo attiva.
11. Io ho potere sufficiente per trasformare la vostra conoscenza e per ridurre la vostra libera volontà a quella di una bestia da soma, volontà limitata ed imprigionata da tutte le parti, e la bestia da soma andrà poi intorno in tutta umiltà, tenuta al guinzaglio della Mia Onnipotenza, però, in se stessa, sarà come morta. Ma se Io vi ammaestro, vi indico e vi dono la vera Luce, rimanete liberi e potete accettare la Luce, oppure lasciarla stare! Comprendi queste cose, o Mio caro Cirenio?»
12. E Cirenio risponde: «Sì, o Signore, ora comprendo anche questa cosa e credo di vedere esattamente la ragione per la quale Tu hai scelto la condizione umile e povera per istruire tutti gli uomini riguardo all'unica vera loro destinazione e riguardo al modo in cui questa può venire raggiunta da essi. Ma affinché oltre a ciò, ed appunto a questo riguardo, all'uomo ne venga una fede più salda ed una conoscenza ed una persuasione più chiari, Tu compi delle cose che solo a Te sono possibili, e che conferiscono alla Tua Parola maggior peso ed una luce più intensa. E così, agli scopi della vera santificazione della vita nell'uomo, tutto procede da parte Tua nel massimo ordine, e tutto il Tuo parlare ed agire appaiono a me come se fossero stati predisposti da Te già fin dall'eternità! È possibile che a questo riguardo io mi sbagli, però ne dubito fortemente!»
13. Dico Io: «Oh, certo, tu non ti sbagli affatto, perché l'Ordine di Dio deve essere eterno! Perché, se non fosse così eterno, non sarebbe né ordine né verità. Una verità deve essere eterna e tale deve restare; di conseguenza essa deve anche essere prevista dall'eternità. Ma ora passiamo a qualcos'altro».
La prodigiosa trascrizione sulla pergamena dei discorsi del Signore.
1. Il Signore: «Tu, o Marco, poiché l'aurora già comincia a indorare le sommità dei monti, vedi che ci venga dato qualcosa per colazione, perché a stomaco vuoto non ci accosteremo ai cinque delinquenti. Questi ci daranno un bel da fare, e per quando saranno guariti bisognerà tenere pronto del sale, del pane e del vino per ristorarli, perché dopo la guarigione si troveranno in uno stato di grave debolezza, ma poi il sale, il pane e il vino ridoneranno ben presto a loro sufficiente vigore!»
2. Dice Marco: «O Signore! Ad ogni cosa sarà provveduto immediatamente». Quindi egli diede ordine a sua moglie, ai suoi due figli e alle sue quattro figlie di dedicarsi con tutto zelo alla cucina, affinché tutto venisse preparato con sollecitudine. Allora, sua moglie e i suoi figli si affrettarono in cucina, mettendosi al lavoro con impegno, ed alcuni dei Miei discepoli offrirono pure il loro aiuto e diedero una mano a pulire i pesci, mansione questa di cui essi, quali pescatori, s'intendevano alla perfezione.
3. Nel frattempo, però, Matteo e Giovanni rileggono tutte le annotazioni fatte in base ai Miei ammaestramenti di quella notte, ma con dolore constatano che, nonostante la loro abituale diligenza, le lacune questa volta sono rilevanti.
4. Giovanni allora Mi prega di dettare loro quanto era stato omesso. Ma, ad un Mio cenno, Raffaele si affretta a compiere quanto necessita, e in un attimo tutto quanto c'era di mancante viene completato. Quando poi i due si mettono a rileggere ancora una volta le loro annotazioni, non trovano più lacune e tutto risulta in perfetto ordine.
5. Anche Simon Giuda esamina lo scritto e trova che, in base a quanto ricorda, nulla manca di tutto ciò che durante quella notte è stato in misura più abbondante del solito oggetto di conversazione e di ammaestramento; anche del salvataggio dei trenta è fatta particolareggiata menzione, e quindi la gioia dei Miei discepoli è grande.
6. Anche Cirenio esprime il desiderio di avere una copia di tali annotazioni e promette un buon compenso a chi si fosse assunto il lavoro!
7. Allora Giuda Iscariota si annuncia immediatamente ed offre a Cirenio i suoi servigi!
8. Io però rimprovero a Giuda la sua egoistica spilorceria e dico a Cirenio: «Vedi là Raffaele, fagli dare solamente del materiale per scrivere ed egli, prima che non altri, sbrigherà il lavoro!»
9. Cirenio allora chiama i suoi servitori ed ordina loro di portargli una quantità adeguata di rotoli di pergamena in bianco, che poi consegna a Raffaele. Questi tocca a mala pena i rotoli e li restituisce a Cirenio, dicendogli: «Il tuo desiderio è adempiuto; ora però puoi far confrontare il mio scritto con quelli dei due discepoli, per vedere se vi è qualcosa di mancante!»
10. Cirenio esamina i rotoli e li trova sul serio completamente scritti, e naturalmente non manca di meravigliarsi, dato che nonostante il suo sapere non comune e la sua perspicacia non riesce a concepire una simile rapidità.
11. Anche i trenta farisei e leviti osservano curiosamente i rotoli, e l'oratore di prima, che si chiama Ebram, esclama: «Non c'è dubbio, quello che ho potuto vedere e leggere adesso corrisponde, parola per parola, a quanto è stato qui trattato, però, come sia stato possibile all'angelo ricopiare in caratteri nitidi e frasi esattamente concepite fra diversi rotoli e in un istante solo, questo non m'interessa affatto, né io vorrei a tale scopo perdermi in vane ricerche, perché sono già ora totalmente convinto che non riuscirei a cavarne niente. Noi mortali potremo comprendere interamente l'immortale soltanto quando noi stessi saremo definitivamente immortali, e così anche comprenderemo il modo di operare degli spiriti, nella sua interezza, soltanto quando saremo un giorno noi stessi degli spiriti puri del tutto, ma nella nostra carne, come ora siamo, non ne saremo mai più interamente capaci.
12. Dunque, è meglio non perdersi in ulteriori considerazioni riguardo a questo fenomeno! Già nel mondo naturale ci sono tante altre cose e fenomeni, di cui nessun mortale potrà mai rendersi completamente ragione. Se l'uomo, nella sua stoltezza, volesse proprio seriamente rifletterci sopra, finirebbe con l'impazzire in brevissimo tempo. Agli spiriti dei Cieli la cosa riuscirà certo chiarissima, e con il tempo potrà anche a noi riuscire più chiara di adesso, ma se volessimo insistere nel pronunciare qui sul posto oggi stesso una nozione perfetta in tale proposito, finiremmo evidentemente con l’uscire di senno. Io perciò assisto molto volentieri ad un prodigio, ma non ho il desiderio di approfondire più di tanto il come e il perché della cosa. Anche se alla fine si arrivasse davvero a comprendere qualcosa, ci si troverebbe poi incapaci d'imitarla; ma se ciò non si può, allora anche la mezza sapienza non giova più a niente!»
13. Osserva Cirenio: «Considerata la cosa, sotto un certo punto di vista materiale, hai certamente ragione. Per conto mio, non annetto che poca importanza all'eventuale imitazione del prodigio, ma considerato che anche in me dimora uno spirito immortale, confesso che ci terrei a contemplare un po' meglio le cose dello spirito di quanto le si possa vedere con gli occhi strettamente legati, e ciò appunto per riguardo al mio spirito. Io ora sento in tutto il mio essere un desiderio molto accentuato di apprendere dalla bocca di un qualche saggio fra noi, almeno in parte, come si possa spiegare questo metodo angelico di scrittura fulminea. Io vedrò dunque se vi è la possibilità d'indurre qualche sapiente a pronunciarsi, perché tutti i nostri discorsi in proposito equivarrebbero al trebbiare della paglia vuota. Noi non riusciremmo mai a mettere insieme niente di assennato, mentre la bocca di un sapiente può procurarci immediatamente delle sorprese»
14. Disse Ebram, in tono piuttosto gioviale: «Questo va bene, però alla fine la nostra sorpresa probabilmente si risolverà nella constatazione che le spiegazioni del sapiente, a questo riguardo, le avremo altrettanto poco comprese quanto questo prodigio in se stesso, senza i chiarimenti di una savia bocca! Infatti, per comprendere la sapienza è necessario, già per se stessi, essere più o meno sapienti, mentre con l'ausilio del solo intelletto, per quanto sano esso sia, si è ben lontani ancora dal poter penetrare nelle profondità della sapienza. Si riesce certo a percepire qualche vaga ombra, ma non più di tanto. Il Cantico dei Cantici di Salomone, che fu pure un sapiente, è ad esempio ancora il più accessibile, per così dire, all'intelletto sano dell'uomo. Quando si legge, si ha anche l'impressione di comprenderlo, ma se ci si pensa seriamente sopra, non si può che arrivare alla dolorosa convinzione che veramente non si è compreso nulla affatto! Ed ora, a giustificare questa mia persuasione, mi permetterò di citarne qualche punto».
Il Cantico dei Cantici di Salomone.
1. Ebram continua: «Parla così Salomone nel 4° capitolo del Cantico: "Eccoti, o bella amica mia, eccoti bella! I tuoi occhi per entro la tua chioma, somigliano a quelli dei colombi. I tuoi capelli sono come una mandria di capre lisce del monte di Galaad. I tuoi denti sono come una mandria di pecore tutte uguali, che salgono fuori dal lavatoio, ed hanno tutte due gemelli, senza che ve ne sia alcuna senza figlio. Le tue labbra somigliano a un filo tinto di scarlatto e il tuo parlare è grazioso. Le tue guance, dentro la tua chioma, paiono dei pezzi di melagrana. Il tuo collo somiglia alla torre di Davide, edificata per gli esercizi delle armi, alla quale sono appiccati mille scudi, tutte le targhe dei prodi. Le tue mammelle sono come due caprioletti gemelli, che pasturano fra le rose finché spiri l'aura del giorno e le ombre se ne fuggano. Io me ne andrò al monte della mirra ed al colle dell'incenso. Tu sei tutta bella, o amica mia, e non vi è alcun difetto in te. Vieni con me dal Libano, o sposa, vieni con me dal Libano; guarda dalla sommità di Senir e di Hermon, dai ricetti dei leoni, dai monti dei leopardi. Tu mi hai involato il cuore, o Sposa, sorella mia. Tu mi hai involato il cuore con uno dei tuoi occhi, con uno dei tuoi monili del tuo collo. Quanto son belli i tuoi amori, o sorella mia, diletta Sposa! Quanto son migliori i tuoi amori, piuttosto che il vino! E l'odor dei tuoi olii odoriferi più eccellenti di tutti gli aromi. O Sposa, le tue labbra stillano miele, miele e latte sono sotto la tua lingua, e l'odor delle tue vesti è come l'odor del Libano. O Sposa, sorella mia, tu sei un orto serrato, una fonte chiusa, una fontana suggellata. Le tue piante novelle sono un giardino di melagrani e d'altri alberi da frutto deliziosi, di piante di cipro, di nardo e di gruogo, di canna odorosa e di cinnamomo e d'ogni albero d'incenso, di mirra e d'aloe, e di ogni più eccellente aroma. Come una fonte degli orti, come un pozzo d'acque vive, scorrenti giù dal Libano! Levati, o Aquilone e vieni, o Austro, spira per l'orto mio e fa che i suoi aromi stillino»
2. Ecco, o illustre Cirenio, così suona pressappoco, parola per parola, il 4°capitolo del Cantico dei Cantici di Salomone, il sapiente. Questo capitolo appare ancora il più facilmente comprensibile, ma io sono pronto a darti tutti i tesori del mondo, se tu, nonostante tutto il tuo umano intendimento, sei capace di decifrarne sia pure una sola proposizione.
3. Chi è questa trita e ritrita sorella, la diletta Sposa che, se veramente fosse tale come Salomone si affanna a descriverla, rappresenterebbe uno spauracchio per tutta l'umanità, al paragone del quale, la pagana medusa sarebbe da considerare una Venere? In poche parole, per l'intelletto umano ciò è con tutta evidenza un'insensatezza senza pari, ma se dentro vi sia celato qualche significato di rispondenza, ciò l'umano intelletto non lo potrà mai scoprire, ma nuovamente soltanto la sapienza! Dunque, chi è in possesso della sapienza arriverà anche a comprendere queste cose, ma chi non la possiede fa meglio se non le legge, e dato che tuttavia le abbia lette, che eviti per lo meno di pensarci su, perché quanto più vi penserà tanto meno comprenderà. Io mi sono affaticato ad imparare addirittura a memoria tutto l’intero Cantico dei Cantici di Salomone, per poter con ciò renderlo così eventualmente accessibile al mio intelletto. Ma tutto fu inutile. Soltanto in seguito ho potuto gradualmente convincermi che io non sarei mai riuscito a ricavarne nulla.
4. Fa' dunque appello al chiaro intelletto dei nostri compagni, piuttosto che alla loro certamente grande sapienza. Perché se essi ti spiegheranno il veloce metodo di scrittura del nostro angelo, in base alla loro sapienza, appunto, ne arriverai a comprendere tanto quanto puoi comprendere del 4° capitolo del Cantico di Salomone, ma se qualcuno te lo spiegherà in base al sano intelletto, ammesso che ciò sia possibile, ebbene, allora tu ne comprenderai precisamente quel tanto che in generale è possibile comprendere dello spirituale puro sotto una veste materiale. Secondo la mia opinione, dunque, neanche in questo modo vi sarà possibilità di fare qualche salto particolarmente grande in avanti!»
5. Dice Cirenio: «Io vedo bene che tu non sei uno sciocco, poiché non è poca cosa l'aver imparato a memoria, parola per parola, una simile fantasia salomonica che, materialmente parlando, appare un'insensatezza grande fra tutte; ed infatti, cose talmente sconclusionate le mie orecchie non si ricordano di averne mai udite. Ma nonostante tutto questa evidentissima insensatezza comincia ora ad inquietarmi più della celerità di scrittura dell'angelo, di cui prima siamo stati testimoni. Che cosa mai ha inteso dire, con queste parole, il noto Creso degli ebrei? Fu davvero questa, forse, una dichiarazione d'amore a qualche bella fanciulla israelita, che a giudicare dai paragoni fatti da lui dovrebbe aver avuto un aspetto del tutto particolare; oppure le sue parole vanno riferite a qualcos’altro? Ma allora di che cosa si tratta? Questo è il nodo che si dovrebbe sciogliere! Esiste una chiave per decifrare l'indovinello? Se questa c'è, il nostro Signore e Maestro certamente più che altri lo saprà! Rivolgiamoci dunque direttamente all'Artefice, piuttosto che al garzone!»
6. Osserva Ebram: «Questo è anche il mio parere, fa pure così! Confesso che ci tengo anch'io a vederci chiaro in questa cosa, più di quanto ci tengo a sapere quale sarà la mia vita oltre la tomba»
7. Allora Cirenio, rivoltosi a Me, Mi domanda: «O Signore, hai udito quel certo 4° capitolo del Cantico dei Cantici di Salomone? Dimmi, c'è davvero qualcosa di vero e di sano lì dentro, oppure è quello che l'apparenza suggerisce, cioè un cumulo delle più grossolane insensatezze?»
8. Ed Io rispondo: «O amico Mio! Lì dentro si cela un senso eccellente, con un significato molto profondo. Salomone lo scrisse, come gli fu dettato dallo Spirito, ma in realtà neppure egli allora ne comprese molto di più di quanto ne comprenda ora tu adesso. La Parola della sapienza gli venne sì data, però non contemporaneamente il pieno intendimento. Anche per lui molte cose apparirono come scritte nel linguaggio degli Sciti; perché quello che egli scrisse era espresso in termini simbolici per il tempo attuale.
9. Ora, la soluzione e la chiave dell'indovinello è appunto Colui che adesso parla con te; ma la Parola - una Parola dell'eterno Amore dall'eternità, quindi l'Amore purissimo di Dio per voi uomini - è la bella Sposa, la vera sorella dell'uomo e la sua diletta amica! Leggi con questa chiave il Cantico dei Cantici e così lo comprenderai e vi troverai dentro il senso più puro. Arrivi oramai a farti qualche idea della sapienza di Salomone?»
10. Risponde Cirenio, dando un'occhiata ad Ebram: «Senti da che parte comincia a soffiare il vento! Questa è una musica del tutto differente da quella che viene servita nel tempio di Gerusalemme! A me non occorre altro, considerato che sono oramai in possesso della chiave; sarà affar mio studiare Salomone in tutta pace, parola per parola!»
11. Dice Ebram: «La chiave ha certo tutta l'apparenza di essere veramente buona, ciò malgrado, però, non sarà possibile con essa aprire tutto! Anche noi vediamo le stelle, e prima il Maestro, occasionalmente durante i suoi discorsi, lasciò pure cadere qua e là qualche parola atta, a mio modo di vedere, a fungere da chiave. Anche da parte dell'angelo, abbiamo avuto in proposito qualche accenno molto importante, ma più di tanto cosa ne possiamo sapere? Spiegami adesso un po' che cosa è veramente, nella sua effettiva realtà, la bella stella del mattino che poco fa brillava di tanto splendore! Ebbene, vedi, come non ti è possibile spiegarmi con sufficiente chiarezza che cosa è la stella del mattino, servendoti della chiave dell'angelo, altrettanto impossibile ti sarà penetrare la complessa sapienza di Salomone, usando la chiave che il misteriosissimo Maestro ti ha dato. Là dentro ci sono pure moltissime immagini che si possono intendere soltanto se lo spirito porta in sé la vera chiave. La chiave però che il Maestro ti ha offerto, deve essere parlando in generale quella buona, di ciò io da questo momento non dubito minimamente, ed io pure mi riservo il tentativo di decifrare qualcosa servendomi della stessa»
12. Dopo di questo, Cirenio nuovamente Mi chiede: «O Signore! Che cosa devo pensare di quanto ha detto Ebram?»
13. Ed Io: «Egli ha parlato perfettamente, e così tu sai già cosa devi pensare. Ma ora lasciamo stare questo argomento, perché, vedi, la colazione è già pronta! Le nostre membra hanno bisogno di ristoro, dunque, ora prenderemo un po' di vigore e poi ce ne andremo dai delinquenti, perché essi saranno presto maturi per la guarigione!». Finito che ebbi di parlare, furono subito portati e deposti sulle mense dei pesci in quantità e pane e vino.
Sul cibo degli ospiti durante la colazione.
1. I giovani farisei e leviti videro le mense tanto riccamente provviste di pesci, preparati in maniera ineccepibile, di pane e di vino, ed Ebram allora esclamò: «Ebbene, i discepoli del Maestro di Nazaret non vivono proprio tanto miseramente! Non c'è oramai assolutamente alcuna ragione che debba ulteriormente trattenere dal farci anzitutto soldati romani, e poi nello stesso tempo Suoi discepoli con tutto il corpo e con tutta l'anima! Quante volte nel tempio abbiamo dovuto digiunare per la maggior gloria di Jehova, mentre qui non si parla in alcun modo di digiuno, nonostante oggi, essendo vigilia del Sabato, tale pratica sia rigorosamente comandata agli ebrei! E tuttavia con ciò non viene certo recato a Dio alcun disonore, altrimenti la bocca di Colui che è ora anche nostro Signore e Maestro non avrebbe così ordinato fuori dal Suo divino Spirito! Insomma, noi intendiamo fare d'ora innanzi sempre secondo la Sua Parola e la Sua Volontà, possa la cosa sembrare dolce od aspra al nostro palato! Perché quello Spirito che di Sabato fa sorgere il Suo sole come in un qualsiasi altro giorno, e non concede festa ai Suoi venti, è situato senza alcun dubbio molto più alto dello sciocco spirito del nostro tempio, che una volta, per santificare proprio a dovere il Sabato, prescrisse l'osservanza di tre giorni festivi prima, e tre giorni festivi dopo il Sabato. Ma dato che la settimana non ha che sette giorni, Sabato compreso, quella volta era stata posta la questione di quando, allora, si sarebbe dovuto lavorare! Dopo ciò, il cieco legislatore, accorgendosi di averla fatta grossa, divenne a più miti consigli! Sia pace alle sue ceneri!
2. In poche parole, dal nostro nuovo Maestro e Signore traspare da ogni parte il vero Spirito di Dio, e perciò anche noi vogliamo diventare e diventeremo Suoi discepoli per la vita e per la morte, e costi quello che può costare; ma al tempio restino rivolte le nostre spalle per l’eternità, Amen! Così sia, e così pure sarà. Abbiamo digiunato già abbastanza spesso, senza togliere un ragno dal buco. Non possiamo d'altro canto negare che, durante i nostri viaggi, il digiuno stupidamente esagerato l'abbiamo messo con bella grazia a dormire e abbiamo sempre mangiato e bevuto, che fosse o non fosse Sabato o novilunio, e con questo nuovo metodo ragionevole e umano abbiamo ora raggiunto il massimo cui è possibile all'uomo aspirare. Restiamo dunque interamente di buon animo! Noi abbiamo già trovato il promesso Messia, mentre il tempio, data la sua presente costituzione, è probabile che debba aspettare un bel pezzo ancora prima di riuscire a vederLo. Quando pure un giorno Egli venisse a trovarsi di fronte a loro, sicuramente non arriverebbe a riconoscerLo. Noi invece l'abbiamo trovato e riconosciuto e quindi giubiliamo altamente e gridiamo: "Osanna a Colui che noi abbiamo trovato! Siano solo a Lui devoluti tutto il nostro amore e la nostra reverenza!"»
3. Dice allora Giulio: «Così va bene, io pure acconsento pienamente, ed aggiungo: "Salute e benedizione a ciascun uomo di buona volontà"»
4. Cirenio, a sua volta: «Sì, certo, benedizione e salute a tutto il mondo e la grazia dall'Alto! Sia altamente lodato il Nome del nostro Salvatore, il Quale è Gesù! Dinanzi a questo Nome, in avvenire piegheranno le ginocchia tutti i popoli della Terra, tutti gli angeli dei Cieli e tutti gli spiriti sotto e sopra la Terra!»
5. E quindi, l'angelo, Giara, Giosoe, Ebal, i discepoli e tutti quanti concludono ad alta voce dicendo: «Amen!»
6. Dopo questo Amen, però, prendo la parola e dico: «Ed ora, amici Miei e fratelli cari, mangiamo e beviamo, perché il tempo della guarigione dei cinque gravemente ammalati si avvicina». A questo invito, allora tutti cominciano di buona lena a far onore ai pesci, al pane ed infine anche al vino.
7. Così, in breve tempo la colazione fu consumata con l'evidente massimo buon appetito di questo mondo, perché il pesce era stato tanto magistralmente preparato, che il suo squisito sapore fu più che d'incentivo al mangiarlo. Neanche la Mia Giara non si fece pregare, e men che meno il suo Raffaele, cosa quest'ultima che diede tanto nell'occhio a diversi tra i giovani farisei e leviti, da indurli a scambiarsi le loro impressioni in proposito. Ed uno cominciò a domandare all'altro: «Come è possibile che l'angelo, che pure dovrebbe essere uno spirito purissimo, mangia quasi con voracità il pesce, il pane e il vino, e apertamente spinge a fare altrettanto anche la sua graziosa discepola, che del resto non si fa alcun riguardo di dar man forte al suo celestiale maestro?»
8. Ebram, però, dice ai suoi compagni: «Come può esser causa di meraviglia, per voi, questa cosa? Il buon angelo, che poco fa se l'è pur sbrigata tanto facilmente con la pietra che pesava circa ottanta libbre consumandola fra le sue tenere dita, sarà tanto più facilmente capace di sbrigarsela con i pesci, il pane e con il vino, che sono molto meno duri della pietra! Che poi la sua graziosa discepola faccia per così dire a gara con lui nel mangiar molto, questo si spiega con il fatto che essa si trova nel periodo più accentuato della crescita; perché, al vederla in faccia, si stimerebbe che lei non abbia ancora quindici anni, e tuttavia è di costituzione così robusta e florida che di solito si riscontra in una ragazza di vent'anni. Ora ciò è da attribuire al nutrimento abbondante e sano. Il figlio (adottivo) di Cirenio, che siede fra la buona mangiatrice e l'angelo ancora miglior mangiatore, dimostra egli pure un eccellente appetito, ma la fanciulla e l'angelo a tal riguardo lo superano di molto. È un peccato che questa fanciulla sia così avida di cibo! Lei ha comunque una figura molto bella e parla con molto entusiasmo, ma l’eccessivo mangiare le toglie molte delle sue attrattive. Anche il nostro Maestro mangia e beve di buona lena. Bisogna però convenire che questo non è affatto un fenomeno insolito, trattandosi di grandi spiriti. Tutti quelli che finora ho avuto occasione di conoscere, erano sempre dei mangiatori forti, piuttosto che deboli! Del resto, come si mangia e si beve qui non ha proprio grande importanza, se vogliamo fare eccezione per l'angelo che, da quello che si può giudicare, ha mangiato tanto quanto tutti noi presi assieme! Ad ogni modo è strano che uno spirito inghiotta il cibo materiale come uno di noi! Sarebbe tuttavia interessante sapere se, trattandosi di esseri di questa fatta, gli elementi non assimilabili della nutrizione vengono eliminati per le vie naturali o se proprio tutto viene assimilato dalla essenzialità individuale!»
9. Ma Giulio, che era seduto vicino ad Ebram, ed al quale non erano sfuggiti tali discorsi, disse: «Cosa mai andate blaterando e farneticando, se non conoscete la natura delle cose? Vedete, Raffaele è uno spirito che, nel suo stato originario, non potreste vedere né potreste parlargli, ma affinché egli possa mostrarsi a noi quale uomo visibile, avendo il Signore concesso ciò in via straordinaria, egli deve circondare il suo essere spirituale puro con una specie di lieve rivestimento materiale, ed a lui, quale uno spirito fra i più possenti, occorre sempre una grande quantità della lieve materia, che viene da lui tramutata nella sua essenzialità, per poter rendersi visibile a noi. Ma di una separazione ed eliminazione dei cibi ingoiati dentro gli eventuali suoi visceri non c'è nemmeno da parlare, perché tutto quello che egli accosta alla bocca viene nello stesso tempo trasformato ed accolto nella sua essenzialità. Ecco, in questo modo stanno le cose! Perciò farete meglio se non fantasticherete scioccamente fra di voi.
10. Il fatto però che la graziosissima Giara, figlia molto saggia dell'albergatore Ebal di Genezaret, che siede là proprio spalla a spalla con l'angelo, stamani mangia qualcosa di più del solito, ciò si spiega con il fatto che certamente il Signore le avrà segretamente consigliato di fare così per la guarigione dei cinque criminali principali, che senza dubbio rimarrà un fatto quanto mai memorabile, dato che Egli, che pur ha già risuscitato dei morti, Si prepara con tutta accuratezza; cosa questa che a quanto io sappia non ha fatto mai in nessun'altra occasione. Già ieri Egli ci avvertì che si sarebbe trattato di una guarigione difficile e che per la buona riuscita sarebbe stato necessario prepararsi convenientemente e perfettamente! Per questa ragione, con tutta probabilità, anch'Egli, stamani, mangia di più che non in un qualsiasi altro giorno. Siete in chiaro, ora, in questo riguardo?»
11. Risponde Ebram: «Ringraziando Dio, sì, o caro e nobile amico! Basta che, riguardo ad un fenomeno, venga fatta luce, e quanto appare in esso di prodigioso, finisce con il trasformarsi nel naturale. Di conseguenza, se in avvenire ci toccasse nuovamente di meravigliarci troppo di qualche avvenimento prodigioso, questa meraviglia dovrà venir passata sul conto della nostra deplorevole stoltezza! Perché soltanto la stoltezza può meravigliarsi di qualche cosa che essa non può comprendere. Alla vera sapienza, invece, neppur sognando può venire in mente di meravigliarsi di qualcosa, dato che tutto il procedimento della cosa stessa le è perfettamente noto. Noi trenta però siamo ancora impastoiati fortemente in ogni stoltezza e c'è da aspettarsi che noi, ancora ben molte volte, avremo da meravigliarci restando al fianco del nostro grande Maestro, Salvatore e nostro promesso Messia a pieno diritto! Ma ora Egli accenna di alzarsi e di andarsene, e noi pure ci disporremo a fare altrettanto»
12. Dissi Io: «Sì, adesso è ora che ce ne andiamo; alziamoci dunque, ed incamminiamoci tutti verso la spiaggia, dove i cinque sono trattenuti per noi!».
13. E come ebbi detto queste parole, tutti si alzarono dai loro posti, ormai lungamente occupati, e Mi accompagnarono frettolosi fino alla spiaggia.
La guarigione dei cinque ladroni indemoniati.
1. Quando noi arriviamo dai cinque, le loro bocche vomitano un coro di urla terribili e di ruggiti, e cominciano a maledire tutto quello che si avvicina a loro.
2. Io, dunque, faccio ritirare i soldati e anche Giulio e Cirenio, e dico ai pochi soldati rimasti: «Adesso metteteli in libertà, perché in queste condizioni non si può far niente di buono per loro!»
3. I soldati allora obiettarono che ciò non sarebbe stato prudente, dato che i cinque erano troppo robusti e frenetici; e rendere loro completa libertà di movimento sarebbe stato da temere di più che non lasciando libere una ventina di tigri!»
4. Io però dico, in tono di comando: «Io vi ordino di fare senza indugio quello che ho già detto. Se non fate immediatamente secondo la Mia richiesta, vi esponete al rischio che qualche grave sciagura venga a rovesciarsi tra breve su di voi!»
5. A questa Mia minaccia, i soldati si decidono finalmente ad eseguire il Mio ordine, procedendo però con la massima cautela.
6. Quando i cinque si sentono liberi, si precipitano verso di Me, gettano le loro facce a terra ed esclamano: «O Onnipotente figlio di Davide, Tu che ci hai già tanto aiutati, oh, salvaci del tutto dalla perdizione eterna! La morte del corpo noi non la temiamo, ma temiamo l'eterna perdizione! Perché, durante questa notte, oltre al nostro orribile tormento corporale abbiamo avuto pure la visione del tormento degli spiriti dannati nell'Inferno! E noi perciò Ti preghiamo che per scontare i nostri delitti Tu ci punisca per cent'anni, su questa Terra, con ogni specie di sofferenze nei nostri corpi malvagi, ma Ti preghiamo solo di risparmiarci le pene ed i tormenti troppo spaventosi dell'Inferno, che sono qualcosa di indescrivibilmente terribile»
7. Questo è il linguaggio delle anime dei cinque, in un momento di calma dei demoni che ne possedevano i corpi e che erano così costretti a mostrare anche il loro Inferno nella sua più cruda realtà; ma subito dopo i maligni si ridestarono nei corpi dei cinque e parlarono attraverso le loro bocche come con una forza di mille voci, dicendo: «Cosa vuoi Tu, qui, miserabile domatore di moscerini? Vuoi forse cimentarTi con noi, dèi onnipotenti? Prova a farlo! E Tu avrai certo combattuto per l'ultima volta! Vattene miserabile, altrimenti Ti ridurremo in polvere minutissima, che poi spargeremo a tutti i venti!»
8. Dopo ciò, Io esclamo: «Con quale diritto andate voi tormentando, già da vari anni, questi cinque uomini e chi ve l'ha concesso? Sappiate che l'ultima vostra ora è trascorsa! Ora, il domatore di moscerini vi ordina di abbandonare immediatamente e per sempre questi cinque, e di rientrare all'istante nel più profondo dei vostri Inferni!»
9. I demoni prorompono in ruggiti, e urlando spaventosamente dicono: «Se la Tua potenza può costringerci, lascia piuttosto che ce ne andiamo nelle formiche bianche dell'Africa, perché è meglio stare con loro piuttosto che nel nostro Inferno!»
10. No, rispondo Io, per voi e per i vostri simili non c'è nel Mio cuore alcuna misericordia, perché voi non ne avete avuta affatto verso coloro che, nonostante le più fervide preghiere, avete ucciso nel modo più tormentoso. Andatevene dunque adesso, senza nessuna grazia né pietà!».
11. A tale irresistibile comando, i mali spiriti si strappano ai cinque, scagliandoli con forte violenza a terra!
12. Ed Io ripeto: «Via da qui miserabili, l'Inferno vi attende e là prendetevi la vostra ricompensa!»
13. Quegli spiriti però si trattengono ancora e invocano grazia e pietà, perché dicono che è nella loro natura essere tanto malvagi!
14. Io però osservo: «Ma nella vostra natura sta pure l'essere buoni, giacché voi avete la conoscenza del male e del bene. Ora la vostra orgogliosa volontà è perfida ed indomabile, perciò a voi non può venire usata né grazia né pietà! Voi stessi volete soffrire e venir tormentati, siate dunque sofferenti e tormentati per l'eternità, com'è nel vostro volere! Poiché il Mio Ordine dura in eterno ed è immutabile, questa cosa voi la sapete, ma voi sapete altresì come dovete comportarvi in modo che l'Ordine eterno si volga a vostro vantaggio; dato dunque che voi invece lo invertite a vostro danno, godetene allora anche dei frutti che tale danno comporta; di conseguenza andatevene immediatamente dal Mio cospetto!»
15. A queste parole, si sente uno scoppio fortissimo. Fumo e fuoco sorgono dal terreno, ed una voragine si apre all’improvviso e inghiotte in un attimo quei tristi rettili! Poiché gli spiriti scacciati erano apparsi ai presenti sotto forma di serpenti neri come il carbone, e questi appunto furono travolti nella voragine infiammata che si era aperta; fenomeno questo che suscitò in tutti tanto orrore, da farli tremare come se fossero stati colti dalla febbre.
16. Poi Mi rivolsi a Marco, che teneva già pronto pane, vino e sale, e gli dissi: «Dà presto ora un po' di vino ai cinque e poi del pane e del sale!»
17. I figli di Marco sollevano i cinque che giacevano a terra, e versano loro nella bocca aperta un po' di vino. Essi allora rinvengono rapidamente, ma non sanno affatto rendersi conto di quello che era loro accaduto.
18. Ma Io dico loro: «Prendete adesso del pane e del sale, e poi nuovamente un po' di vino, ciò vi rimetterà in forma e in forze, e vi farà riacquistare la piena conoscenza!»
19. Udito questo, mangiano del pane con sale, e dopo una breve pausa prendono nuovamente un po' di vino. Così, in pochi istanti, si sentono perfettamente ristorati, ma il loro aspetto è naturalmente sempre ancora molto sofferente, e appaiono pallidi e dimagriti.
20. Cirenio allora Mi domanda timidamente, che cosa sarebbe stato ormai da fare dei cinque: se lasciarli completamente in libertà oppure ricoverarli in qualche pubblico istituto di cura.
21. Rispondo: «Non darti di questi pensieri per oggi, domani ben si vedrà come si dovranno disporre le cose nei loro riguardi per l'avvenire! Dopo che avranno avuto da parte nostra le opportune cure, riacquisteranno al più presto un aspetto migliore. Ora però dobbiamo concedere loro un breve tempo di riposo, e tu, o Marco, fa' portare qui ancora un po' d'olio! Le catene e le funi, che li hanno tenuti solidamente legati, hanno ricoperto i loro corpi di lividi e di piaghe; queste bisogna ungerle con olio e vino affinché guariscano rapidamente!»
22. Marco allora si procura sollecitamente dell'olio e i suoi figli ungono energicamente i cinque; ciò procura a loro un grande sollievo, ed essi stessi confessano che un simile trattamento ha ridonato vigore. Poi, l'uno dopo l'altro fanno dei tentativi per tenersi ritti in piedi. La cosa da principio presenta qualche difficoltà, ma poi gradatamente riesce sempre meglio.
23. Circa un'ora dopo, quando i cinque salvati hanno così riacquistato già discretamente le forze, appena allora essi cominciano a chiedere dove si trovassero e cosa fosse accaduto a loro.
24. Marco, il quale con i suoi figli si trovava naturalmente più vicino ai cinque, rispose: «Voi eravate molto ammalati e come tali siete stati portati qui ieri nel pomeriggio. Qui però abbiamo con noi il famoso medico di Nazaret, il Quale può dare e anche dà l'aiuto, il più sicuro, a chiunque sia afflitto da un male qualsiasi; e Questo medico ha guarito pure voi. Voi già avrete più tardi occasione di conoscerLo più da vicino».
Discorsi disperati degli indemoniati.
1. Allora, uno dei cinque dice: «Oh, ora nella mia mente comincia un po’ ad albeggiare. Ho come l'impressione di aver fatto un brutto sogno, e da questo sogno mi pare di ricordare che una volta io ero prigioniero di una banda di predoni, e con me altri quattro compagni, e noi allora fummo confinati in una grotta tenebrosa e dati in balia ai demoni. Questi tentarono, operando anzitutto esteriormente, di indurci a diventare anche noi dei ladroni pari a loro, ma poiché noi opponevamo forte resistenza, i demoni s'impadronirono dei nostri corpi. Da quel momento, perdemmo quasi interamente la nostra coscienza, ed una brama ed un incitamento diabolici s'impossessarono dei nostri cuori, restando così noi stessi completamente perduti! Quello che poi in un simile stato spaventoso noi abbiamo eventualmente potuto fare, non lo sappiamo affatto. Soltanto di una cosa almeno io serbo un vago ricordo, e cioè che poco fa siamo stati arrestati per opera di militi romani. Che cosa però successivamente sia accaduto di noi tutti, per mio conto non ne so assolutamente nulla, e non posso rendermi conto del come siamo arrivati qui e del perché ci siamo arrivati per di più in queste condizioni. Noi dobbiamo essere stati molto malmenati, considerato che siamo tuttora pieni di lividi e di piaghe, che almeno a quanto io sento non dolorano ora proprio tanto. O mio Dio, certo noi dobbiamo averla passata molto brutta!»
2. Dice un secondo: «Sai tu veramente quello che noi eravamo in origine? Ecco, noi appartenevamo al tempio, e fummo una volta mandati quali apostoli dai samaritani, per riguadagnarli al tempio. Noi invece, presso i samaritani, apprendemmo delle cose che ci fecero completamente cambiare idea, e ritornammo con l'intenzione di fare in Giudea proseliti per Corazim. Fu proprio quello il momento in cui, arrivati al confine, fummo fatti prigionieri da quei demoni, che ci stregarono, e così poi perdemmo assolutamente ogni nozione del cosa e del chi eravamo; e da allora non sappiamo affatto ciò che è stato di noi! Meno ancora poi potrei spiegarmi come noi siamo arrivati fin qui! Oh, ormai non c'è più dubbio: quello che ci è toccato, lo dobbiamo tutto al tempio! Quello sì che conosce il modo di rendere l'umanità infelice quant'è possibile, ma invece non si può citare alcun esempio, almeno a quanto consta a noi, che il tempio abbia reso felice qualcuno. Unicamente i sommi sacerdoti, i farisei e gli anziani fra gli scribi, sono i beati del tempio, tutti gli altri invece non sono che miserrimi servitori e manovalanza affamata del tempio»
3. Aggiunge un terzo: «Sì, ora mi ricordo anch'io come noi siamo stati tormentati nel tempio, con digiuni e molti altri svariati atti di penitenza! O Dio, tutte le nostre sciagure le dobbiamo certo ai nostri genitori! Nella Legge di Mosè sta scritto: "Onora il padre e la madre, affinché tu possa vivere a lungo e felicemente sulla Terra". Noi abbiamo certamente onorato sempre i nostri genitori mediante l'esatta osservanza di tutti i loro comandamenti, e secondo la loro volontà fummo adibiti al servizio del tempio, nonostante noi per nascita non fossimo mai appartenuti alla stirpe di Levi. Ma questo non ha avuto nessuna importanza, perché a forza di denari ormai si può diventare quel che si vuole, però di denaro ce ne vuole molto! Però, a causa del fatto che siamo templari, siamo diventati ogni giorno più infelici dovendo sottoporci a ogni genere di pratiche ascetiche e di prove, finché fummo inviati quali apostoli in Samaria, dove venimmo tutti stregati da perversi incantatori! Quello poi che da allora fino ad oggi sia stato di noi, quello che noi abbiamo detto e fatto, come noi siamo venuti oltre il mare in questa regione a noi sconosciuta del tutto e chi ci abbia così malamente conciati, di tutto ciò almeno per conto mio non ne so niente. Soltanto molto vagamente posso ricordarmi che, quando noi ci rifiutammo di associarci alle imprese dei ladroni, fummo per opera dei malvagi incantatori lasciati in balia di una maligna accozzaglia quanto mai tenebrosa, che con artificiose manovre finirono con il farci perdere in breve tempo e completamente ogni coscienza e conoscenza, fino al momento presente in cui queste ci sono state ridonate! Ma oramai, e Dio ne sia lodato, siamo ridivenuti come eravamo prima. Noi ora sappiamo nuovamente che cosa siamo e chi siamo; ma, adesso, che cosa ci resta da fare? Dobbiamo fare ritorno al tempio, oppure volgerci da qualche altra parte? Per conto mio sarebbe meglio morire, poiché questo perfido mondo ha perduto, dinanzi ai miei occhi, tutto ciò che avrebbe potuto rendermi apprezzabile vivere ulteriormente sul suo triste suolo! Chi può garantirci che noi non possiamo, con facilità, ricadere nuovamente fra le mani di simili demoni, come già ci è toccato una volta? Chi potrà poi salvarci dalle loro grinfie?»
4. Allora, il quarto e il quinto dicono: «Noi siamo perfettamente d'accordo con te, purché la morte venga rapida, e che poi sia finita una buona volta in eterno! Oh, come è bello il non essere al paragone di un'esistenza quale l'abbiamo dovuta sopportare! In poche parole: cessare di esistere! Però, cessare completamente! Perché la nostra esperienza ci ha reso la vita insopportabile per tutta l'eternità! E parlando in generale, perché dobbiamo esistere? Nel nostro stato di non esistenza prima della nostra nascita, non è certo possibile che abbiamo mai manifestato il desiderio di esistere! Oppure, può forse un qualche savio Creatore trovare diletto nel vedere trascinarsi intorno degli esseri tanto orribilmente disgraziati, sotto la Sua certo più che beata Onnipotenza? Ma che cosa possiamo fare noi, vermi impotenti della Terra?
5. Ciascun animale si trova in condizioni migliori dell'uomo, che tanto ci tiene ad essere il re della Creazione. Con le vostre spade affilate, voi romani certamente potete affrontare il furore del leone, e con il rumore dei vostri scudi e delle vostre lance potete far fuggire le tigri, i leopardi e le iene; ma se venite assaliti da qualche maligno demonio, che armi potete contrapporre a questo invisibile nemico? Voi forse ne sapete probabilmente assai poco in proposito, nonostante una sentenza dell'oracolo di Delfo abbia spesso avuto maggior potere che non un intero esercito agguerrito! Noi invece abbiamo sperimentato una simile forza e potenza occulta, senza avere affatto armi da opporre! Avremmo dovuto diventare a nostra volta altrettanti demoni! Ma poiché non volevamo, quei perversi spiriti ci privarono di ogni nostra conoscenza, lasciando ai nostri corpi ogni vita macchinale, ma utilizzando poi tali macchine Dio sa a quali scopi! Che però questi corpi non siano serviti senza alcun dubbio a niente di buono, lo prova lo stato deplorevolissimo della nostra pelle! Perciò, venga pure la morte e completa. Meglio rinunciare anche ad una vita oltre la tomba, comunque possa essa apparire conformata!»
6. E il primo riprende a parlare e dice: «Sì, se ciò fosse possibile, colui che potesse darci e ci desse con tutta sicurezza una simile morte, ci farebbe un beneficio immenso e d’infinito valore! Perché dobbiamo noi, ancora più a lungo, farci martoriare su questo miserabile mondo? Diventare dei demoni a maggior tormento ancora dell'umanità, questo non lo vogliamo affatto, ma d'altro canto chi in un modo o nell'altro non lo vuole diventare, costui, su questo schifosissimo mondo, altro non può aspettarsi che un'esistenza maledettamente miserevole! Niente di buono si può fare a questo mondo! Si provi a nascondersi e fuggire il contatto con gli uomini, che ormai sono per lo più servitori consacrati di Satana. Ma a che cosa può giovare anche questo? I demoni finiscono con il rintracciare colui che si nasconde, e questi allora non può opporre alcuna resistenza. Se presta ascolto alle loro richieste, egli è ad ogni modo in mano del demonio; ma se non segue i diavoli volonterosamente, questi gli usano la più spaventosa delle violenze, dopo di che egli si trova più che mai in mano del demonio!
7. Un mondo simile e maledetto se lo pigli chi vuole, e con questo pure una simile esecrabilissima miseranda esistenza! Tutto ciò è una cosa troppo infame già per il più scellerato demonio, per non parlare di una pacifica ed innocente anima umana, povera ed impotente! Un Dio, che dimori al di sopra di tutte le stelle, Quello sì che può ridere, ma la creatura umana deve limitarsi a soffrire, piangere, imprecare e disperare! Dov'è il Salvatore che ci ha ridonato questa triste coscienza di essere degli uomini liberi? In verità, è perfettamente inutile che Egli faccia conto della nostra gratitudine, perché con ciò Egli non ha fatto che precipitarci in una nuova miseria! E per un beneficio di questo genere noi non potremo mai in eterno serbargli gratitudine, sempre ammesso che noi si debba essere felici in eterno di una tale vita esecranda! Ma se Egli può invece, con assoluta certezza, garantirci per l'eternità una morte completa, la nostra gratitudine per Lui allora sarà anticipatamente la massima possibile!
8. Chi siete voi, infine, o risplendenti romani? È mai possibile che a voi, su questo mondo, vada meglio che a noi! In fondo, è vero che chi sa stare al servizio di Satana, fra le pompe e gli splendori, si trova a suo agio sul mondo! Chi non vuol essere tormentato dai demoni, si faccia egli stesso demone, e così gli altri demoni lo lasceranno in pace! Ma essere servitori di Dio, oh quale ridicola fra le più ridicole assurdità! Si dovrebbe invocare l'aiuto di Dio e amare Dio con tutte le nostre forze! Belle parole davvero, se contenessero una sola minima scintilla di verità! Noi pure eravamo con il corpo e con l'anima servitori di Dio, e già da fanciulli andavamo cinguettando come gli uccelli: "O Signore Dio Zebaot! Aiuta noi e aiuta tutti gli uomini di buona volontà!". Ma invece guardateci, e vedete come ci ha aiutato il buon Dio Zebaot! Voi, a modo vostro, avete pure tra le mani una potenza, e precisamente quella del demonio, ed ora potete fare di noi quello che volete. Ad ogni modo, di una cosa sola vi preghiamo, cioè di trattarci un po' più umanamente di quanto ci abbiano trattato i demoni di prima, dai quali non abbiamo avuto che continui tormenti! Se volete anche voi fare nuovamente di noi dei demoni, fate in modo che diventiamo demoni compiuti e non a metà! Ci riserviamo poi di vedere, se come demoni interi avremo la possibilità di un'esistenza migliore di quando eravamo forzatamente demoni a metà».
Lo stato particolare dell’anima degli indemoniati guariti.
1. Dice Cirenio: «O Signore! Questo è un linguaggio di cui io non ne ho ancora udito uno uguale! Esso è cattivo, eppure, sotto molti riguardi, purtroppo vero. Che cosa però si potrà fare adesso di questa gente? In verità, tutti qui sono sbalorditi, perfino Giara pare non sappia più veramente che cosa pensare e ho visto piangere l'angelo parecchie volte! Tutto questo mi appare davvero quanto mai strano! Dimmi, dunque, cosa devo fare di loro!?».
2. Io gli dico: «Eppure, ti ho avvertito già prima che essi ci avrebbero dato molto da fare. Tutto ciò per altro non ha grande importanza, nei loro cuori è rimasta ancora qualche traccia demoniaca degli ospiti maligni che sono stati scacciati, ed è come un triste crepuscolo, dal quale essi si devono liberare, perché solo poi sarà possibile dare a loro un completo aiuto, e non un momento prima; oltre a ciò, dobbiamo lasciare che si riposino ancora per qualche tempo e poi, con un po' di pazienza, la serenità del giorno accorderà un po' armoniosamente le loro anime. Tu avrai occasione di udirne ancora delle altre, ma in fondo ciò non sarà un danno né per te né per nessun altro. Perché le loro anime non sono propriamente volgari, esse appartengono a dei mondi migliori e perciò conviene che noi usiamo con loro anche molta pazienza! E quando essi saranno più equilibrati nei loro animi, allora anche tu potrai rallegrarti del tempo che si sarà fatto buono! Ma adesso date loro dell'altro pane e dell'altro vino, perché solo adesso comincerà a farsi sentire in loro la fame e la sete»
3. Marco allora offre loro con molta amorevolezza pane e vino, dicendo: «Bevete, fratelli miei, e mangiate di questo buon pane a vostro piacimento! Perché d'ora innanzi non vi sarà per voi mai più male su questa Terra, malgrado che questa non sia proprio un Paradiso!»
4. Dicono i cinque: «Tu sembri essere un buon diavolo, poiché altrimenti non offriresti un vino tanto eccellente e un pane tanto squisito in abbondanza a noi che, tuttavia, non siamo affatto della tua specie! Risarcirtene noi non possiamo in nessun modo, ma tu non avrai a che fare con degli ingrati! Vedi, o buon diavolo, a noi sembra che con te sia possibile scambiare qualche buona parola! Se su questa Terra avessero dimora solamente gli uomini, non sarebbe proprio tanto brutto vivere sul suo suolo, ma per ogni cinque uomini s'incontrano sempre mille demoni, in maniera che, con il tempo, tutto è destinato a diventare preda di questi! I pochi uomini che ci sono, vengono con troppa potenza dominati dai demoni e perciò non è possibile per l'uomo respirare liberamente un solo istante!
5. Vedi, ogni signoria procede finora dal principe di tutti i diavoli, e la sua dimora è costituita da sangue umano versato frammisto al sangue di poveri e buoni diavoli come lo sei tu; e questo si chiama qui Signoria di Dio. Oh, sì, certamente sarà anche una Signoria di Dio, ma non del Suo Amore, bensì della Sua Ira! E il perché un Dio possa adirarSi, questo non è a conoscenza di nessuna creatura! Certi animali sono le uniche creature fortunate di questa Terra, invece l'uomo, in realtà non molto diffuso, è l'animale da soma di tutti i mali su questo sporco mondo! Egli non può correre mai abbastanza veloce così da poter fuggire a tutti i mali che da ogni parte lo insidiano! Le sue mani sono misere e deboli come la cera; nudo egli nasce, e da parte di madre natura non ha ottenuto neppure quelle poche armi che sono state concesse alle api ed alle formiche per potersi difendere dai nemici. Quando tu vedi un branco di tigri, tutto porta là, perfettamente, il carattere della tigre; e quando vedi un branco di leoni, là non c'è niente che non sia leonino, dunque di natura uguale senza eccezione, e queste fiere vivono benissimo l'una accanto all'altra. Ma quando vedi un gregge d'uomini, là tutto non è uomo ciò che all'uomo somiglia, bensì sono in gran parte demoni! E perciò anche tra di loro regna continuamente la lite, la contesa e la guerra! Nei demoni si annida ogni male, mentre negli uomini non c'è che la disposizione al bene, la quale però, in mezzo a tanti diavoli, è esposta sempre al pericolo di venire gravemente corrotta, e poi l'uomo diventa egli stesso almeno un mezzo demonio, altrimenti deve rassegnarsi a sopportare quello che abbiamo sopportato noi! Però, fra i demoni di questo mondo stomachevole ce ne sono di varia qualità, grandi e piccoli. Ad ogni modo essi sono riconoscibili perché vogliono vivere il meglio e più comodamente possibile senza lavorare e senza nessuna fatica! Essi vogliono essere dappertutto i primi ed ambiscono reputazione ed onori. Essi sanno dappertutto come fare per entrare in possesso dei beni della Terra; si vestono con il massimo sfarzo e perseguitano fino alla morte colui che si è reso colpevole solo di non averli salutati con molta reverenza!
6. A dirla breve tu, o buon diavolo, puoi dire quello che vuoi, ma è un fatto chela signoria del mondo è in mano soltanto ai tuoi simili, mentre l'altra parte dell'umanità è tenuta nella più dura schiavitù e non c'è nessuno che li possa aiutare. Ora, dovrebbero essere appunto questi, secondo la Scrittura, i genuini figli di Dio? In verità, se un Dio ha cura dei Suoi figli, così come ad esempio ha avuto cura di noi, e se il destino dei miseri figli di Dio dovesse sempre essere quello di servire continuamente nella più profonda bassezza i demoni, allora tante grazie di questa figliolanza di Dio!»
7. Dice Marco, al quale la qualifica di ‘buon diavolo’ non piace troppo: «È certo vero che ai figli di Dio tocca spesso su questo mondo sopportare molte cose, ma d'altro canto quante altre cose buone non li attendono un giorno oltre la tomba? Quale incalcolabile pienezza di beatitudini sempre crescenti di numero e d'intensità! Se un figlio di Dio pondera e vaglia bene tutto ciò, può bene adattarsi a qualche lieve umiliazione di prova, durante questa breve vita terrena»
8. E l'oratore dei cinque ribatte: «Ma chi ti garantisce ciò? Certo, tu intendi parlare della Scrittura! Se d’altronde è così, portala pure a seppellire la tua garanzia! Considera un po' la cosa e chi sono coloro che ammanniscono questa vantata Scrittura agli uomini e che pretendono sommi onori nella loro qualità di servitori di Dio? Vedi? Questi, appunto, sono i più feroci demoni!
9. Provi Dio in Persona a scendere quaggiù sotto forma umana a rinfacciare loro tutte le innominabili atrocità perpetrate, e veda Lui di esortarli a penitenza. In verità, qualora Egli non venga ad affrontarli con tutta la Sua Onnipotenza, incorrerà in una sorte ancora peggiore di quella dei due angeli a Sodoma, che portarono a Lot l'invito di allontanarsi, con la sua famiglia, da quei luoghi che stavano per venir giudicati!
10. Ma se questi annunciatori delle promesse divine sono anche, con troppa facilità, così riconoscibili, cosa che non si può contestare, di’ allora tu, buon vecchio e cieco diavolo, quello che un uomo, cioè un aspirante alla figliolanza di Dio, può infine aspettarsi da tali promesse! Io te lo posso dire, confortato dalle molteplici esperienze che malauguratamente per noi abbiamo dovuto fare: niente c'è d'aspettarsi, assolutamente niente!
11. Dunque, o un Dio non esiste affatto e tutto quello che esiste è un'opera delle forze cieche e rozze naturali che durante l'eternità hanno prodotto tutto ciò che si vede, oppure c'è un qualche supremo Essere divino che mantiene un certo ordine sulla grande Terra, sul Sole, sulla Luna e sulle stelle, ma che in Sé è troppo grande e maestoso per badare a noi miseri insetti della muffa e della putredine di questa Terra. Tutta la Scrittura perciò non è che opera d'uomo e, tutto considerato, dentro c'è più del cattivo che del buono. Ed anche in quello che c'è di buono, non c'è diavolo né uomo che l'osservi. Unicamente quello che c'è di cattivo serve ai demoni, per essere caricato sul collo degli uomini!
12. «Non uccidere», così ha detto Dio a Mosè, ma questo stesso Dio comandò a Davide di partire in guerra contro i Filistei e gli Ammoniti e di distruggerli tutti, assieme a donne ed ai fanciulli! Una bella pagina di storia questa, ed una dimostrazione di congruenza senza pari! O non dovrebbe un Dio Onnipotente avere mezzi a sufficienza per far scomparire dalla faccia della Terra i popoli che Gli erano in odio?! Perché dunque, contro il comandamento dato a Mosè per l'intera umanità, fu imposto ad un uomo di radunare molte migliaia dei suoi guerrieri per compiere una strage nella quale molte migliaia di creature umane perdettero la vita, per il solo motivo che un veggente aveva asserito che quelle non erano degne di Dio? Cosa si può pensare di simili veggenti e di simili re che Dio ha chiamato a sterminare popolazioni intere? Questo lo saprà certo meglio di tutti Lui, ed evidentemente, in segreto, anche i veggenti e i re!
13. Per conto mio sono e resto dell'opinione che un Dio d'Amore non dovrebbe mai aizzare come cani feroci degli uomini, che Egli vuole educati nell'amore per l'amore, contro degli altri uomini, dato che Egli di per Sé dispone di potenza sufficiente per sconfiggere e distruggere i demoni, in forma umana, che gli danno noia, o che Gli sono ribelli! Un Dio ben strano questo! Da una parte vengono comandati l'amore, la pazienza e l'umiltà, dall'altra invece l'odio, la persecuzione, la guerra e lo sterminio! In verità, chi riesce a raccapezzarsi in un simile garbuglio, deve avere molto più intendimento che non un uomo comune!».
Della differenza delle anime per i chiaroveggenti.
1. Replica allora Marco, che si stava spazientendo: «Io, veramente, non so cosa pensare di voi! Io non posso fare proprio molte obiezioni, ma d'altro canto non posso neanche darvi pienamente ragione. Non si può negare che vi sia qualcosa di giusto nelle vostre lagnanze, tuttavia a me pare che nello stato di eccitazione nel quale ancora vi trovate, a motivo delle vostre sciagure, siate portati a vedere le cose sotto una visuale più pessimistica di quanto si dovrebbe vederle in realtà. Se tu reputi che anch'io sia un demonio, dimmi, tutta questa compagnia è forse composta da altrettanti demoni?
2. Risponde l'oratore dei cinque: «Oh, niente affatto! Guarda per esempio quest'Uomo, (accennando a Me) che si trova vicino a te, questi è un Uomo quanto mai perfetto ed un vero Figlio di Dio! Egli però non durerà ancora molto a lungo e i demoni, anche rispetto a Lui, finiranno con l'avere il sopravvento! Più indietro, poi, ci sono due giovani ed una ragazza, anche quelli sono dall'Alto, ed essi pure avranno abbastanza persecuzioni da sopportare se non intendono diventare, a loro volta, demoni. Più in là vedo ancora alcuni poveretti che, a giudicare dall'apparenza, dovrebbero essere dei pescatori, tutti gli altri, compresi te e la tua famiglia, sono dei diavoli abbastanza buoni sulla via di diventare uomini, ciò che per altro darà loro ancora parecchio da fare e causerà loro non lievi preoccupazioni! Ecco, in questo modo tu ora sai cosa devi pensare!»
3. Dice Marco: «Ma già che ormai siamo in argomento e hai cominciato a parlare di queste cose, dimmi allora come mai ti è possibile conoscere tanto precisamente tutto ciò? Perché, ecco, intorno a me io non vedo che degli uomini più o meno perfetti, ma di diavoli proprio non ne vedo tra di loro. Su che cosa dunque è basata la tua asserzione, che sembra pure avere un qualche contenuto?»
4. Dice l'oratore dei cinque: «La mia asserzione è fondata su ciò che vedo; i corpi certo si assomigliano, ma fra un'anima e l'altra c'è invece un divario immenso! Il divario consiste nel colore e nella figura; le anime di quelli che ti ho nominato prima sono bianche come neve appena caduta sulle alte montagne, ed hanno una figura meravigliosamente bella che appare più umanamente pura della loro figura esteriore corporea. Le vostre anime, invece, hanno un colore più oscuro ancora dei vostri corpi, e il loro aspetto è di gran lunga molto meno di essi, ma nelle vostre anime si riscontrano ancora, ben marcate, le tracce di una qualche forma materiale-animale!
5. Però, dentro le vostre anime animali vedo ancora una figura lucente molto piccola, che ha un aspetto perfettamente d'uomo; forse questa crescerà in voi e tenderà sopra di sé, come un'epidermide, la vostra anima animale, conferendole pure una forma prettamente umana! A questo riguardo, inoltre, posso entrare in particolari e se vuoi spiegazioni maggiori, puoi attingerle presso gli uomini perfetti»
6. E Marco chiede di nuovo: «Ma dimmi, come mai tu puoi vedere queste cose, mentre io non posso vedere niente?»
7. Risponde l'interrogato: «In seguito alle mie atroci sofferenze, a causa delle quali il mio corpo molto spesso restava quasi senza conoscenza, si aprì la vista della mia anima e, attraverso questa, posso ora vedere anche le anime dei miei simili e percepire, nella maniera più evidente, il grande divario fra uomini e uomini, tra figli di Dio e figli del mondo, ovvero, ciò che è la stessa cosa, fra angeli e demoni!
8. Ma dai demoni del mondo possono sorgere degli angeli, cosa che richiede loro grande fatica e molta abnegazione, e d'altro canto anche gli angeli possono trasformarsi in demoni. Questa trasformazione però esige una fatica ancora maggiore ed è quasi impossibile! Perché nell'anima angelica esiste una forza d'indipendenza troppo possente. Con noi cinque, l'Inferno ha fatto il tentativo per vedere se fosse possibile guadagnarci alla sua causa. Finora, tutti i suoi maligni tentativi rispetto a noi sono falliti, ma che cosa potrà toccarci ancora, questo non lo sappiamo; lo sà soltanto un Dio che ci ha chiamati all'esistenza, ma che poi sembra non abbia voluto prendersi che poca od assolutamente nessuna cura di noi, in modo che noi tutti siamo dovuti venire alla conclusione che o un Dio non esiste più o che Egli risiede troppo in alto per poter badare a noi!».
La filosofia di Mataele sulla Natura.
1. Il veggente: «Su questa Terra, senza dubbio esiste un ordine ed una qualche simmetria da cui si può trarre al più presto la convinzione che dovrebbe esserci un Dio supremamente saggio, il Quale dovrebbe aver creato tutte le cose così come tuttora continuamente si possono vedere e percepire. D'altro canto, però, si può osservare un disordine che talvolta arriva fino all'incredibile, nonché un procedimento arbitrario fra le cose da non potersi mai più comprendere, in modo che alla fine, tra sé e sé, si deve concludere: "Ecco che, nuovamente, di un Dio e Signore non vi è più alcuna traccia!"
2. Basta considerare l'incostanza del tempo! Dove mai vi si può scoprire un'armonia? Si osservino gli alberi di varie specie che crescono disordinatamente in un bosco, e similmente le erbe sui prati, inoltre la forma e la grandezza, sempre quanto mai differente, dei monti, dei laghi, dei fiumi, dei ruscelli e delle sorgenti! Qui non c'è in eterno la possibilità di scorgere simmetria ed ordine, almeno per il nostro intendimento. Il mare forma rive disuguali, a caso ed a seconda della maggiore o minore violenza delle sue onde, e così altrettanto fanno i laghi, i torrenti, i fiumi, i ruscelli e le sorgenti. Soltanto l'uomo può, qualche volta, arginare la loro azione, ma da parte del Dio supremamente saggio non succede mai nulla.
3. Così pure, invece, è soltanto l'uomo che pianta, in un determinato luogo e con ordine, dei giardini e che cura i campi e le vigne, ed egli unicamente riconosce i frutti nobili, li divide da quelli che non son nobili, li coltiva e se li rende utili il più possibile, ma dov’è invece, su tutta la Terra, un giardino, disposto anche minimamente in un certo ordine, che Dio stesso abbia piantato e dov’è un torrente dal letto regolare? Gli strati del terreno sono pure anch'essi disposti in un disordine talmente caotico, che non vi si potrà scoprire altro se non la potenza ultracieca del puro caso. Da tutto ciò, dunque, agli occhi dell'uomo balza ben terribilmente poco di una qualche sapienza divina imperante, e si può far quello che si vuole e si può anche pensare come e cosa si vuole, ma da nessuna parte è dato rilevare alcuna cosa che potrebbe eventualmente dirci: "Ecco che, malgrado tutto, qui veramente si rivela, in proporzioni abbondanti, l'Ordine divino»
4. Certo è che, presa ciascuna cosa singolarmente, non si può affatto scorgere che in essa vi siano delle notevoli tracce di una qualche originaria Potenza divina e di un ordine ispirato a perfetta Sapienza. Se si considera, poi, lo stato caotico in cui si trovano le cose create, come cioè gettate per effetto del caso l'una accanto all'altra, mi sembra che o a Dio sia venuto a noia l'ordine - e che Egli si curi poco o niente affatto delle cose già create, cosa che in alcune di esse appare quanto mai evidente -, oppure che Egli assolutamente non esista, ma che queste casualità sorte fuori da sé, durante le eternità, nello spazio infinito si siano, secondo la legge naturale sorta a sua volta per effetto della loro casuale esistenza, formati a cose aventi già un certo peso e che si siano poi ingranditi man mano fino a diventare mondi, soli e lune. Successivamente nei mondi, a seconda del loro volume e del loro peso, dovrebbero essersi sviluppate necessariamente delle nuove leggi, diventate poi in se stesse fondamento a nuove formazioni.
5. Quanto più accentuata la molteplicità delle cose necessariamente divenne sudi un corpo mondiale sviluppatosi per gradi e sempre più avanti, tanto più molteplici e svariate dovettero seguire necessariamente le cose, anche se più piccole. La straordinaria molteplicità delle cose e la moltiplicazione immensa dei mondi possono infine aver fatto sorgere fuori da sé altre leggi, dalle quali altri effetti cominciarono ad aver inizio con le prime manifestazioni di una vita conscia di sé. Formatasi così sia pure una sola scintilla vitale fuori dalle necessità prima accennate, a questa dovette seguire una seconda e poi, man mano, scintille a miliardi, le quali, a loro volta, fra di loro generarono leggi nuove, diventate poi il fondamento per lo sviluppo di una vita perfetta. È possibile che la vita, tramite le leggi vitali trovate in sé, si sia gradatamente e continuamente evoluta e perfezionata fino ad un grado massimo d'intelligenza profondissima, giunta a riconoscere compiutamente se stessa nonché tutte le cose che la circondano, cominci solo ora, agendo retroattivamente, ad ordinare ed a rendersi tributaria e soggetta la muta natura che l'ha preceduta?
6. Qualora, però, tutto sia sorto in questa maniera del tutto naturale, allora certamente non esisterebbero che delle potenze vitali di grado il più svariato di vita, a cominciare dal minutissimo acaro della foglia, fino a quella perfezione della vita che l'uomo più evoluto classifica come divina. È possibile, dunque, che per le vie di un simile procedimento, già da tempi inconcepibilmente lunghi, si sia sviluppata una Divinità buona; in opposizione però a Questa anche una Divinità malvagia. Sorte così le due Divinità, esse, quali potenze avversarie, dovrebbero trovarsi nella massima opposizione l'una contro l'altra, finché, molto probabilmente, la potenza maligna verrà, per dirla secondo i nostri concetti morali, accolta in sé dalla potenza buona più possente, quale un contrapposto equilibrato e ordinato. In seguito a tale Unione poi, dopo una serie di tempi inconcepibilmente lunghi, tutto quello che è ancora muto, incosciente e morto trapasserà ad una vita perfetta, sotto l'insegna della libera volontà e della libera conoscenza!
7. La ragione, però, per la quale tutto si trova ancora in un tale disordine quale non può risultare che dallo scompiglio provocato da una lotta, sembra doversi ricercare in ciò: la Potenza vitale somma e buona, che noi chiamiamo Dio, non è giunta ancora a collocarsi sul desiderato piano dell'ordine con la Potenza vitale maligna, che noi denominiamo Satana, ma si trova tuttora in stato di combattimento continuo con quest'ultima per sottometterla, e da tale battaglia deve uscire vittoriosa, perché la Potenza maligna, secondo i nostri concetti, non ostacolerebbe incessantemente la buona se essa non avesse una ragione per attrarre quest'ultima entro la propria orbita.
8. Satana perciò deve avere, malgrado tutto, un muto compiacimento nel bene, e per questo motivo tende a rendere soggetto a questo tutta la Potenza vitale buona; però, appunto nel corso di questi continui sforzi, egli continuamente accoglie in sé, in quantità sempre maggiore, il bene, e così facendo, inconsciamente, migliora sempre più le proprie caratteristiche maligne. Ma con ciò, nel suo essere vitale si insinua sempre più l'ordine, il conoscimento ed una saggia avvedutezza, ed arriverà infine al punto in cui non potrà più fare a meno di arrendersi completamente, poiché con la sua natura e con il suo impulso non gli è possibile impedire di venire, per quanto parzialmente, incessantemente vinto.
9. Egli rimarrà comunque, anche quando sarà completamente vinto, sempre ancora un contrapposto al puro bene, ma continuerà un'opposizione ordinata, nella stessa maniera come il sale sta in opposizione al puro olio dolce, poiché, se l'olivo non contenesse il sale - distribuito equamente ed opportunamente nelle sue radici, nel tronco, nei rami e nelle foglie -, il suo frutto non produrrebbe mai più un olio dolce!
10. Io so che, così parlando, mi perdo veramente in dissertazioni che certo non comprenderai nel modo che meritano, tuttavia ciò non è importante, e dal canto mio sia ben lontana l'intenzione di volerti ammannire tali cose come qualcosa di fondato di verità indiscutibile, ma come un'ipotesi alla quale un'anima è tratta da molte ed insopportabili sofferenze non mitigate, nonostante tutte le suppliche rivolte a Dio.
11. L'anima - ovvero la vera forza vitale intelligente primitiva - per effetto di intensi dolori e di sofferenze del proprio corpo, si fa più chiara. Essa vede ed ode tutto quello che ben spesso giace quanto mai lontano dall'occhio e dall'orecchio dell'uomo naturale, e perciò non deve farti gran meraviglia se prima ti ho menzionato molteplici corpi mondiali. Infatti l'anima mia li ha visti meglio e più chiaramente di quanto tu abbia mai potuto e potrai mai vedere su questa Terra; dunque essa può, a ragione, parlare di quanto ha avuto occasione di vedere nello spazio infinito! Ma ormai sia posto fine a tutto ciò, e dicci: che cosa dovremo fare adesso? Perché non è certo possibile che noi continuiamo a rimanere qui!»
12. Risponde Marco: «Un po' di pazienza ancora, fino a che il Salvatore, il Quale in nostra presenza vi ha liberati dalle vostre terribili sofferenze, avrà preso disposizioni a vostro riguardo!».
Il discorso sulla lotta nella Natura.
1. Dice l'oratore: «Quale dunque, dei molti che ci stanno qui intorno, è il Salvatore che dobbiamo ringraziare? Perché, nelle condizioni in cui ci troviamo, che cosa mai altro potremmo noi offrirGli?»
2. Risponde Marco: «Per amor della vostra stessa salute, Egli ci ha vietato di rivelarLo anzitempo dinanzi a voi, e perciò non possiamo ancora esaudire la vostra richiesta; però non mancherà oggi stesso la buona occasione per voi d'imparare a conoscerLo di lieto cuore e, per mezzo Suo, di conoscere anche più di un vostro errore!»
3. Osserva l'oratore: «O amico! Per quanto concerne la letizia dei nostri cuori, non c'è da ripromettersi, proprio in eterno, niente su questo mondo! Poiché, per delle anime come le nostre non vi sarà mai possibilità di letizia su questo mondo, e ciò a causa delle troppe acute sofferenze sopportate! Forse, un giorno, ciò potrà avverarsi se potremo giungere ad un grado superiore e più perfetto della vita, però mai più entro questi corpi malandati!»
4. Allora interviene Cirenio, il quale stava lì vicino, e dice: «Vedete! Io sono il luogotenente generale di Roma per tutta l'Asia, una parte dell'Africa e della Grecia! Io ho avuto oramai l’opportunità di conoscervi e di convincermi che voi non siete affatto della gente volgare. Vi prendo sotto la mia tutela, cosicché in avvenire nulla vi mancherà né ci sarà difficoltà a trovarvi un'occupazione adeguata alle vostre qualità spirituali.
5. D'altro canto, però, sarà necessario che scendiate un po' a patti rispetto al considerare noi romani, così per le spicce, come dei demoni, per quanto di specie discretamente migliore, ed al ritenere una persona, come ad esempio il vecchio e onesto Marco, quale un ‘buon diavolo’! Noi siamo senza alcun dubbio degli uomini come voi; in quanto al resto - del fatto che voi, per ragioni ancora certo a noi ignote e fondate nei divini decreti, foste esposti a gravi tentazioni, e con ciò anche sicuramente a sofferenze terribili -, noi diavoli, secondo il vostro punto di vista, non portiamo nessuna colpa né posso a questo riguardo fare a meno di osservare che, dalle sofferenze, le vostre anime sono uscite molto purificate; ad ogni modo, se ora siete guariti, lo dovete a noi e particolarmente ad Uno di noi, il Quale è un Medico, per così dire onnipotente. Da tutto ciò dunque voi potete trarre la conclusione che il nostro contegno verso di voi non è stato assolutamente diabolico.
6. Per conseguenza, come ho detto, rispetto alla vostra opinione - nella quale adire il vero c'è qualche fondamento - bisogna che veniate un po’ a miglior consiglio, ed io son certo che poi in brevissimo tempo anche i vostri cuori non mancheranno di rasserenarsi del tutto.
7. E l'oratore, che nel frattempo ha riacquistato a dovere le forze, dice sollevandosi da terra: «O amico! Guarda un po' il suolo di questa Terra, e non vedrai che cose buone atte solo ad edificare il tuo animo. L'aspetto delle piante e delle erbe confortano i tuoi occhi, e il dolce ondeggiare del mare rallegra il tuo cuore; non vedi, infatti, come all'ombra di tutte queste magnificenze vanno sporgendo i loro capi apportatori di rovina e di morte un numero sterminato di piccoli demoni in formazione!
8. Tu vedi sì il mirabile fluttuare del mare, ma non vedi i mostri micidiali che si celano sotto il vago scherzare delle onde! Tu vedi regnare dappertutto una vita maestosa, noi invece non vediamo che la morte ed una persecuzione incessante di ogni cosa buona e di ogni nobile vita. Tu vedi soltanto amicizia in ogni dove, e di fronte ai tuoi pochi nemici hai potere sufficiente per renderli, a tuo riguardo, innocui del tutto; noi invece vediamo quasi esclusivamente dei nemici, in grandissima parte invincibili.
9. O amico, data una simile facoltà di visione, che non può ingannare, è ben difficile che il cuore si rallegri! Toglici questa triste prerogativa, o dacci, altrimenti, una giusta spiegazione di tutto quello che dobbiamo vedere, e allora ben presto in noi risorgerà serenità e letizia d'animo.
10. È ben possibile che all'anima, dopo esser salita combattendo faticosamente di gradino in gradino su per la scala della vita e trascorsi periodi inimmaginabili di tempo, sia forse un giorno riservato un destino migliore; ma dove e come si può avere la ferrea certezza? Quali inaudite lotte e tempeste dovrà ancora affrontare la misera anima per arrivare a tanto? Potrà essa, in ogni occasione, affermarsi vittoriosa, o dovrà perire per l'eternità? Che sicurezza hai tu a questo proposito?
11. Ecco: "Noi possiamo vedere cose e rapporti dei quali non hai mai avuto idea, e malgrado ciò noi non vediamo in nessun luogo alcuna cosa che avesse almeno la parvenza di una certezza riguardo ad uno stato decisamente beato dopo la morte del corpo, ma vediamo un vigilare continuo, una cura incessante ed una lotta che non ha tregua!". Noi ti parliamo, così come vediamo:
12. "Ogni vita è una continua lotta con la morte, nella stessa maniera come ciascun moto è una incessante lotta con la quiete che cerca sempre di molestarlo. La quiete stessa, però, combatte continuamente il moto, perché in essa c'è la perpetua tendenza al moto, sempre vigile e pronto alla battaglia.
13. Di chi sarà, infine, la vittoria? Della quiete, che sempre cerca il moto, ovvero del moto che, appunto, altrettanto continuamente aspira alla quiete?
14. Fin dal tuo primordiale germe di vita tu non hai fatto che lottare incessantemente fino a questo momento, e così in avvenire sempre ancora lotterai per l'eternità; e fino a tanto che combatterai avrai anche vita, ma una vita che non sarà altro che una perpetua lotta, inframmezzata soltanto da momenti scarsissimi di beatitudine! Ma quando allora, da questo eterno lottare, potrà sorgere finalmente una beatitudine veramente priva di lotte e di conseguenza pienamente vittoriosa?".
15. È dunque facile parlare di essere d'animo sereno e di lieto cuore; ma allora l'animo stesso si annuncia per chiedere come fate voi romani: "CUR, QUOMODO, QUANDO ET QUIBUS AUXILIIS?!" (Perché, in che modo, quando e chi ci porterà aiuto?!). Ci hai tu almeno un po’ compresi?».
Mataele sulla vita interiore di Cirenio.
1. A queste parole Cirenio rimane stupefatto, e stringendo la mano all'oratore dice rivolto a Me: «O Signore! Che visione strana della vita ha mai questo uomo? In fondo, non si può obiettargli nulla. Tutto quello che egli ha detto, purtroppo, è una verità nuda e cruda, tanto in generale, quanto in particolare! Ma, Tu che ne dici?»
2. Io rispondo: «Perché te ne meravigli? Vi ho pure avvertiti prima che questi cinque avrebbero dato a tutti voi molto filo da torcere! Continuate dunque ad ascoltarli e dopo certo Mi comprenderete con maggiore facilità e più profondamente»
3. Allora Cirenio interpella nuovamente l'oratore dei cinque, che si chiama Mataele, e dice: «Ma potresti tu, con argomenti altrettanto probatori, dimostrare che secondo ogni probabilità Dio sia esistito prima dei tuoi corpi mondiali, dei quali non posso farmi ancora una sufficiente idea? Vedi, almeno a me non è noto che esista un popolo su questa Terra che non riconosca, che non onori e che non adori un Dio colmo di saggezza e di potenza come preesistente a tutte le cose; e proprio ora tu hai cercato di dimostrare precisamente il contrario. Ecco, ciò mi riempie il mio cuore d'angoscia. Esponi dunque, adesso, un'analoga controprova; anzi, io, che sono il luogotenente generale, te ne prego caldamente!»
4. Risponde Mataele: «O debole poppante di questa Terra, come ti compiango! Eppure, come ora leggo nella mia anima, tu hai già avuto occasione di udire più d'una volta la parola saggia e colma di forza, di vita e di verità, e di vedere con i tuoi stessi occhi quello che la Parola di Dio è capace di fare; ma ancora non ti è possibile intendere nel tuo cuore le profondità di qualche pensiero!
5. Ora, amico mio, ecco: "Tu ami ancora troppo la tua vita, e in mezzo a questa vita tu ti tieni fermo ancora, ma è precisamente da questo punto di vista che la vita è più che non altrimenti maggiormente difficile da riconoscere.
6. Amico! Bisogna prima aver completamente perduto la vita, intendo parlare di questa vita terrena, e solo poi la si può riconoscere!
7. Prendi una pentola e riempila d'acqua. Vedrai allora che l'acqua starà tranquilla nella pentola, e tu non ti accorgerai degli spiriti del vapore acqueo che si celano nel liquido tranquillo. Per quanto tu cercassi di smuovere e di rimescolare l'acqua, neanche in questo modo i possenti spiriti del vapore si manifesterebbero ai tuoi sensi, ma se tu esponi l'acqua al fuoco, essa ben presto comincerà a bollire, e durante l'ebollizione gli spiriti potenti del vapore inizieranno a sollevarsi sulla superficie dell'acqua riscaldata e ricoperta di bollicine, ed appena in tali condizioni gli spiriti che ancora riposano nell'acqua bollente riconosceranno i potenti spiriti del vapore che, prima, pure essi riposavano tranquilli nell'acqua fredda senza dar segno alcuno della loro esistenza, guardando anzitutto se stessi e poi, tutti assieme con molte migliaia d'occhi, l'acqua agitata dall'ebollizione che li aveva portati e rispetto alla quale questi spiriti del vapore non avevano avuto prima alcun altro concetto se non quello di essere se stessi una sola cosa con l'acqua fredda.
8. Però, mentre dura l'ebollizione, anche l'acqua riconosce che in sé essa portava degli spiriti particolari e che ne porterà fino alla sua ultima goccia. Sì, così è: ‘L'acqua bollente riconosce che essa stessa è, da cima a fondo, spirito e potenza, mentre nella sua fredda pace di prima non era capace di riconoscersi e di comprendersi!’»
9. Vedi, questa è un'immagine molto appropriata! La tua vita attuale è essa pure un'acqua pura, ma, in quanto al resto, del tutto tranquilla e fredda nella pentola del tuo corpo. La tua pentola può certo venire mossa qua e là in tutte le direzioni, ma nonostante ciò tu non giungerai a conoscere la tua potenza vitale; mentre, quanto più spesso l'acqua, nel suo stato tranquillo e freddo, viene mossa, come è il caso di tutti i grandi uomini del mondo, tanto meno l'acqua della vita, violentemente scossa nella pentola umana, arriva a riconoscere se stessa, nonché quello che la circonda, perché la superficie dell'acqua, quando questa è mossa, non riflette più un'immagine netta, bensì molto contorta e spezzettata.
10. Ma se la tua pentola dell'acqua vitale viene esposta al vero fuoco dell'amore, della massima umiltà e di ogni specie di sofferenza, oh, allora certo ben presto nella pentola comincerà violentemente a bollire, e in seguito ad un tale processo gli spiriti del vapore della vita, resisi liberi, riconosceranno da lì a pochissimo tempo se stessi, il loro primitivo stato d'indolenza e di gelo, vale a dire la loro anima sensuale, e riconosceranno infine la pentola fragile in cui si trovano. L'acqua della vita ribollente, ancora dentro la pentola, con la sua superficie cosparsa di bollicine vedrà alzarsi al di sopra di sé gli spiriti vitali come con mille minuscoli occhi chiarissimi. La pentola invece, comprendi amico mio, non verrà riconosciuta dai liberi spiriti della vita che si innalzano dall'acqua come una cosa con loro, ma semplicemente come un recipiente esteriorissimo e dolorosamente necessario, che più tardi verrà gettato sulla via dove sarà ridotto in cocci. Hai ora una qualche idea, almeno approssimativa, di quello che io veramente ho voluto dirti?»
11. Risponde Cirenio: «Io ho l'impressione di comprendere abbastanza la tua immagine, naturalmente in quanto questa si riferisce comparativamente all'assetto con la nostra vita animico interiore, però, quanto tu eventualmente hai voluto con ciò rivelare di più profondo, credo che ancora ci vorrà parecchio prima che possa intenderlo chiaramente! Ma, con quanto hai già detto, si dovrebbe ritenere forse già dimostrata la necessità che un Dio sia esistito prima di tutte le cose?»
12. Dice Mataele: «Certamente, però di questa cosa non puoi averne ancora un'idea, dato che tu stesso sei ancora lontano dall'aver cominciato a bollire e ad evaporare!»
Il discorso di Mataele su Dio.
1. Parla Mataele: «Vedi, quello che tu chiami Dio, io lo chiamo l'acqua vivente; ma l'acqua di per sé non riconosce la sua propria vita. Quando però viene portata da se stessa in ebollizione per l'ardore possente dell'amore, che è simile alla pressione di gravità verso il centro dell'essere, allora lo spirito della vita resosi libero si innalza al di sopra dell'acqua che prima lo teneva prigioniero, ed è qui che tu vedi lo spirito di Dio librarsi al di sopra delle acque, come anche è stato menzionato da Mosè. E lo spirito poi riconosce se stesso e l'acqua, e riconosce che fin dall'eternità è una stessa e unica cosa con l’acqua; ed è appunto questo eterno conoscimento ciò che si deve intendere con le parole "Sia fatta la luce!”
2. Quando dunque, amico, anche il tuo spirito si librerà sopra la tua acqua bollente della vita, soltanto allora comincerai veramente a riconoscere la tua vita, e la vita di Dio in te.
3. Vedi, ogni essere deve pur cominciare ad esistere, vale a dire deve avere un qualche inizio, altrimenti è anche impossibile che possa mai esistere! Se una vita in grado di riconoscere se stessa e tutto il resto che la circonda, e la sua forza consapevole di se stessa, non avessero mai avuto uno specifico inizio, per molto tempo ancora tale vita non esisterebbe; ma poiché una volta ha avuto inizio, essa anche esiste, già da molto tempo, allo stesso modo in cui anche noi esistiamo in modo specifico, perché una volta abbiamo cominciato ad essere quello che siamo ora.
4. Ma noi eravamo già anche prima di questo nostro essere, ma eravamo nello stesso modo come i freddi vapori vitali, non ancora sviluppati, nella fredda acqua quieta; e così anche la suprema potenza vitale in Dio ha un duplice essere: in primo luogo, un essere tacito, consapevole solamente del Suo essere, e poi un'esistenza come derivante da un inizio di attività interna, che si riconosce liberamente in tutto e per tutto, e si scruta minuziosamente!
5. Perciò è anche detto in Mosè: "In principio Dio creò il Cielo e la Terra, e la Terra era deserta e vuota, e buia nella sua profondità". Ora, chi o che cosa è dunque effettivamente il Cielo, e chi o che cosa è la Terra? Intendi con ciò forse questa Terra che ora ti sostiene, o il cielo che ti dà aria e luce? Oh, quanto lontano saresti allora dalla verità! Dov’era ancora a quel tempo questa Terra, e dove questo cielo?
6. Vedi, con ciò è solamente accennato velatamente a come l'eterna potenza vitale di Dio ha iniziato a indagare e a riconoscere selettivamente nel proprio Essere! E allora il "Cielo" rappresenta la sapienza del suo Io, che riconosce se stessa; però nel punto del suo centro gravitazionale ardente d'amore, nel centro cocente d’amore, che è sottinteso all’espressione "Terra", era ancora buio e deserto e vuoto, dunque ancora senza una più profonda conoscenza del proprio Sé.
7. Ma il centro divenne sempre più caldo, quanto più al suo esterno le masse della consapevolezza di Sé cominciavano a premere su di esso. E il centro divenne ardore supremo, e dalla bollente acqua della vita salì il vapore (lo Spirito), e aleggiò ora liberamente sulle acque e al di sopra delle acque del tacito e quieto, eterno essere precedente, e si riconobbe in tutto e per tutto; e questo riconoscere è appunto la Luce che Mosè fa diventare Dio per cancellare la tenebra, subito dopo la creazione del Cielo e della Terra.
8. Solo da questo momento Dio, quale Parola come pronunciata, diventa Lui stesso "Parola", e questa Parola "Sia fatto" è una libera Volontà che di per sé riconosce se stessa in tutto e per tutto, un Essere nell'essere, una Parola nella parola, un Tutto ora nel tutto!
9. E solo da questo momento, dalla liberissima Volontà, comincia a scaturire la Fonte originale della Vita di ogni altra vita, che ora Si è riconosciuta in tutto e per tutto.
Ti sei fatto ora una qualche idea della cosa?».
Discorso di Cirenio sulla sua sapienza e la risposta di Mataele.
1. Risponde Cirenio: «Oh, certo, ora comprendo abbastanza bene la cosa, e ciò tanto più facilmente in quanto, appunto nel corso di questa notte, ho avuto occasione d'intendere una spiegazione della storia della Creazione mosaica del tutto simile a questa. Le cose, non c'è dubbio, staranno in questi termini, ma esse si muovono in un campo per me già troppo complesso della sapienza, ed io non posso né voglio affaticarmi esageratamente per tentare di scendere nelle loro abissali profondità. Affinché una cosa possa essermi utile, è necessario che mi si presenti facile e piana, perché, se devo andare a scrutarla nelle grandi profondità della sapienza, allora con il mio comprendere ben spesso non se ne fa nulla!
2. Per venire alla conclusione, resti così come ho detto. Da parte mia provvederò a voi, e non vi sarà tolta in nessun modo l'occasione di approfondire per quanto possibile la vostra sapienza, allo scopo, dove ciò è possibile, di condurre la povera umanità sulla retta via; anche se io non posso fare a meno di confessarvi apertamente che l'eccessivo penetrare della mente umana nell'essenza della vita è, a parer mio, piuttosto a svantaggio che a profitto della generalità.
3. Considerate da voi stessi e chiedetevi se tutta la vostra scienza e sapienza, veramente straordinarie, vi procurano la felicità! Certo, lo spirito umano può spaziare in infinite profondità della sapienza e può riuscire, infine, a compiere cose quanto mai meravigliose; tuttavia, per conto mio, è veramente beato soltanto colui che in tutta semplicità ed in perfetto amore è devoto a Dio, il suo Creatore ed osserva i Suoi Comandamenti. Se Dio, poi, vuole elargirgli la sapienza, sia pure come Salomone; bisogna che l'accetti con la massima gratitudine e che di lieto animo ne faccia saggio uso, ma se la sapienza, conferita ad un uomo, non dovesse avere altro effetto che renderlo infelice, io dichiaro di preferire senz'altro ogni stoltezza che sia atta a donare serenità al cuore umano.
4. Io ho coscienza di vivere ed ora so anche che continuerò a vivere in eterno, né mi sono sconosciute le vie che conducono alla vita eterna e beata; ma, allora, che cosa dovrei desiderare di più?
5. Vedete dunque di entrare anche voi in questo mio ordine di idee ed allora come me potrete ancora essere felici su questa Terra, ma con le vostre cupe, benché profonde e sapienti meditazioni, è molto difficile che giungiate a percepire quanto sia il valore e la felicità di essere uomini!
6. Perciò seguite il mio consiglio, anche se non sgorgato alle sorgenti della sapienza più profonda; quello che nonostante ciò posso dirvi è che esso proviene da un cuore unico e certo non privo d'amore, e questo ha bene un valore, anzi un grande valore; ma perché dunque non dovrebbe avere valore anche per voi?
7. Non è affatto la sapienza che ci ha dato la vita, ma l'amore. Restiamo quindi fedeli all'amore e così non avremo penuria di vita, né delle sue piacevoli sensazioni! Ecco, in ciò consiste la mia sapienza, e non esiterei affatto di sostenere che agli scopi della vita dell'uomo essa è di molto più giovevole che non tutta la vostra sapienza, per quanto attinta ad abissali profondità!»
8. Dice Mataele: «Oh, sì, qui certamente tu hai perfettamente ragione. Vedi, fino a tanto che l'acqua della tua pentola non viene esposta al fuoco, la sua vita trascorre tranquilla e felice, ma una volta che viene il fuoco, allora ben presto le cose cambiano interamente d'aspetto, ed una volta a questo bisogna pur venire!
9. Quando tu vuoi parlare di qualcosa, è sicuramente necessario che tu abbia di questa cosa le necessarie cognizioni occorrenti ad un tale ufficio, altrimenti farai una pessima figura nella tua qualità di generale, e se vuoi fare il farmacista o il medico è ben necessario che tu conosca a fondo la tua arte!
10. Orbene, tu da un certo lato aspiri alla vita eterna, però dall'altro lato non vuoi affatto esplorare e conoscere più da vicino la vita stessa; ma come si potranno allora conciliare le cose?
11. Vedi, se io volessi prendere moglie, ma fuggissi qualsiasi occasione di conoscere sia pure alla lontana una donna, non so immaginare davvero come potrei arrivare a far vita comune con una donna!
12. Tu vuoi infine giungere ad una vita che sia addirittura eterna, e già adesso schivi la lieve fatica di indagare un po' più profondamente, anche solo in questa vita terrena transitoria, per renderti conto delle sue radici fondamentali!
13. Oh, sì, amico caro, se la vita eterna dipendesse soltanto da ciò che può venirmi donato da un Dio, come tu puoi donarmi un pezzo di pane, allora certo che le tue massime della vita sarebbero con tutta evidenza da preferire alle nostre; ma la preparazione e il raggiungimento della vita eterna che un giorno potrà venire, sono rimessi esclusivamente ed interamente a noi stessi!
14. Noi dobbiamo lavorare ed agire, e veramente dobbiamo passare con la nostra acqua vitale attraverso l'acqua, e con il nostro fuoco vitale d'amore attraverso il fuoco; allora soltanto la nostra acqua della vita, esposta al fuoco dell'amore intimissimo a Dio, al prossimo ed infine a noi stessi, comincia a riscaldarsi e a bollire, e solo mediante questo ci accorgiamo che in noi esiste una potenza vitale indistruttibile, la quale solo da un certo momento inizia a riconoscersi per quello che è veramente, e allora ricorre ai mezzi adeguati e li utilizza per affermarsi quale indistruttibile potenza, per l'eternità!
15. Dunque, non c'è frattanto e assolutamente da parlare di una cosiddetta vita piacevole e comoda, la quale sotto ogni riguardo somiglia ad un dolce sonno, mentre occorre invece lavorare, lottare e scrutare senza sosta, né pace!
16. Solo quando si è ottenuta una vittoria completa, ben desta e vitale sulla vita incline a dormire ed a morire, soltanto allora è lecito cominciare a parlare di una qualche beatitudine!
17. Tu fai di fronte a noi la figura di un uomo ancora immerso in un profondo e dolcissimo sonno, che la mattina gli amici desti già da lungo tempo cominciano a svegliare, e perciò egli da principio si atteggia a persona stizzita quanto mai, e quando dopo qualche fatica si trova anch'egli desto del tutto, solo allora si convince del beneficio dell'essere perfettamente sveglio e si rallegra, finalmente, della sua chiara e libera vita.
18. Noi sì che siamo completamente a posto con la nostra sapienza, ma a te invece manca ancora molto per arrivare al punto dove siamo noi! Solo quando ti sarai destato, vedrai anche tu quanto noi siamo dalla parte della ragione».
Gesù invita Cirenio ad accogliere i discorsi di Mataele.
1. E Cirenio, rivolto a Me, allora dice: «Signore e Maestro! Che cosa ne pensi Tu? Che cosa c'è da credere di quanto abbiamo inteso adesso? Dice Mataele proprio il vero? Tu certo, prima degli altri, sei in grado di dare un giudizio radicale su questo argomento. Ti piaccia dunque aggiungere qualche parola!»
2. Osservo Io: «Ma se vi ho dato già prima il consiglio di prestare loro ascolto! Se Io Mi fossi accorto che dicono il falso, certo non vi avrei raccomandato di starli ad ascoltare! Perseverate dunque nel fare attenzione alle parole di Mataele. Il soffio che esce dalla sua bocca è un vento frizzante ma buono, e con un simile vento, nonostante il forte ondeggiare del mare che ne deriva, si procede innanzi con maggiore velocità che non per mezzo del più intenso lavorio di remi!
3. Continuate ad ascoltarlo, perché finora si è espresso blandamente, ma quando si riscalderà il suo animo, ben altre dimostrazioni potrete avere da lui!»
4. Dice Cirenio: «Per conto mio, lo ringrazio in anticipo! Comunque ormai siamo classificati come demoni! Che cosa di peggio potrà egli mai fare di noi? Non è forse lodevole da parte mia che io intenda prendermi cura di questi cinque poveri diavoli per tutto il resto della loro vita terrena? E ciò malgrado insistono nell'ammannirci una sapienza quale Tu stesso non ce l'hai mai ammannita!
5. In verità, rinuncio ad ascoltare più a lungo questo Mataele. Il suo modo divedere la vita, per quanto anche giusto possa essere, non è in armonia con le condizioni della vita terrena, né con ciò risulta in nessun modo provveduto ai bisogni materiali dell'uomo!
6. Ben diversamente si prospettavano le cose al tempo degli antichi sacerdoti e profeti! A questi era certo facile essere solleciti esclusivamente per la vita eterna, perché, delle loro necessità materiali, si curavano gli altri, ai quali infine doveva essere indifferente il problema se una vita eterna dell'anima c'è oppure non c'è! A questi non si faceva altro che prescrivere leggi, che essi avrebbero dovuto osservare senza poter rendersi conto del perché e del cosa essi, così facendo, avrebbero potuto effettivamente raggiungere.
7. Per milioni di loro ciò dovette allora bastare, con o senza la prospettiva di una vita eterna; ed ora la stessa cosa non dovrebbe più bastare per noi?
8. Ma se ciò non basta più per noi, allora, a nome di ciascuno che abbia nel proprio cuore una scintilla di vero amore del prossimo, ci si domanda: "Chi offrirà infine il risarcimento ai molti milioni di poveri diavoli, per il fatto che essi, nonostante l'osservanza di eventuali leggi esteriori, sono caduti in braccio alla morte eterna? Se essi sono opera del caso, una simile dottrina può avere un buon fondamento, ma se invece gli uomini, come si può senz'altro riconoscere dal modo saggio in cui sono costituiti, sono l'opera di un Dio supremamente sapiente e buono, bisogna pure che ci sia per tutti gli uomini un'altra via più pratica, percorrendo la quale si possa raggiungere la vita eterna. Se un'altra proprio non esiste, bisogna concludere che ogni vita è quanto di più spregevole e abominevole abbia mai potuto immaginare la mente umana!
9. Perché, se la vita eterna è riservata soltanto a colui che la raggiunge, in certo modo, a spese di migliaia di altri uomini costretti a lavorare a vantaggio di un simile eroe della vita eterna e all'unico scopo che egli, questa vita eterna, se la possa preparare, allora io stesso non ci tengo affatto a domandare neanche una minima scintilla della vita eterna, ed a questa preferisco una morte completa ed addirittura eterna! Ecco, questa è la mia opinione»
10. La Tua Dottrina, o Signore e Maestro, è per me gradevole, cara e piena di significato, perché io sento di avere un Soccorritore possente al mio fianco nel momento in cui vengo sopraffatto da una qualche debolezza, mentre, secondo la dottrina di Mataele, resto abbandonato a me stesso. Io sono rimesso soltanto ed unicamente alle mie forze, ed io solo posso darmi o prendermi la vita eterna; nel qual caso, a un qualche Dio altro non resterebbe da fare se non stare a guardare, sia con occhio adirato sia compiaciuto, come un qualche povero diavolo suda e fatica per fuggire alle mille grinfie della morte e in questo modo salire stentatamente su per l'erta quanto mai inospitale e disseminata di spine, aspre rupi e bestie velenose, che conduce al monte della vita eterna!
11. No, assolutamente, una cosa simile non può essere, e voi, con tutta la vostra eterna scienza della vita, siete dei pazzi! O Signore, dato che io posso immaginarmi un Datore di vita eterna, come sei Tu, in grado di ridonare già terrenamente parlando la vita, qualora egli lo voglia, allora io sono certamente disposto a fare qualsiasi cosa, affinché a Lui piaccia riservare, un giorno, pure a me la vita eterna. Ma se questa vita eterna sono costretto a cercarla da me stesso, esplorando tutti i cantucci della sapienza dei profeti, allora, come ho già detto, non so proprio in eterno cosa fare di una simile vita eterna! Così dice e così ha detto Cirenio, luogotenente generale di Roma per la Celesiria, per tutte le regioni dell'Asia, dell'Africa e per gran parte della Grecia!»
12. Dico Io: «O amico Mio! Questa volta, poi, ti sei riscaldato e perduto in ogni tipo di vano fraseggiare, veramente ed assolutamente per nulla. Quello che erano i cinque, fino a poco tempo fa, tu lo sai; e ora conosci pure sperabilmente il perché.
13. Però Io li ho ormai del tutto purificati, ed ho acceso in loro quella luce della vita che è la sola vera e che mai non inganna, e con ciò ho sbarrato il sentiero per il quale i maligni ospiti scacciati avrebbero eventualmente la possibilità di venire, ancora una volta, a rendere loro una visita ignominiosa.
14. Questi cinque sono dunque ora perfettamente mondi e scrutano profondamente in sé le più sottili trame di ogni vita, come essa era veramente costituita alla sua primordiale origine, ed ora annunciano apertamente a ciascuno queste cose che negli antichi tempi venivano rivelate soltanto a pochissimi per altri pochi. Come è quindi possibile che tu te la prenda con loro?
15. Poiché, vedi, ciò che essi dicono è assolutamente quello che vi ho già detto Io stesso, soltanto che loro lo enunciano con parole molto più crude di verità.
16. Riconosci allora prima il vero valore di ciò che essi dicono, e soltanto poi vedi se ti è possibile serbare loro rancore; ma se adesso ciò che essi dicono ti appare un po' troppo scomodo, hai evidentemente torto a provare rancore per questo. Lascia perciò che Mataele continui a parlare, e poi si vedrà se quello che egli dice corrisponde o meno a praticità, oppure se è in opposizione alla Mia Dottrina».
Mataele parla della via che conduce alla Meta della vera vita.
1. Dice Cirenio: «E sia pure. Io voglio ascoltarlo ancora, anche se è mio proposito essere giudice severissimo!
2. Dimmi dunque, o savio Mataele, se la questione della vita sta in generale nei termini che tu ora hai esposto e documentato in maniera acuta e rigidissima. Che cosa devono attendersi allora i milioni di individui che di tutto ciò non sanno nemmeno una parola, ed i molti altri milioni che nasceranno dopo di noi in questo od in un altro luogo della Terra e che di tutto ciò non ne sapranno nemmeno una sillaba? Cosa ne è della vita eterna, nei riguardi di tutti questi qui?»
3. Risponde Mataele: «Oh, la questione si risolve perfettamente! Anche tutti questi avevano una loro dottrina e questa era sufficiente a tenere desta la fantasia dell'anima. In questa fantasia, poi, col tempo mette le sue radici l'anima, la quale vive poi come in un sogno, nel quale può continuare a vivere per migliaia di anni.
4. Ma questa non è di gran lunga ancora una vera vita eterna. Queste anime, qualora vogliano acquisire la vera vita eterna, devono infine, nel cosiddetto mondo degli spiriti, affrontare lotte e sottostare a prove ben più gravi di quelle che ho menzionato prima e, per così dire, soltanto di sfuggita.
5. Ma chi già si mette per questa via, certamente non con poca fatica ed accettando i dettami suggeriti dalla vera e savia serietà della vita, raggiunge la vita eterna in tutta verità, chiarezza e perfetta solidità, già qui in pochi anni; ciò che nello stato di sonnolenza dell'anima egli può raggiungere, se va bene, soltanto dopo parecchie centinaia ed anche dopo molte migliaia d'anni. Ma se va male anche per poco, un'anima guasta del tutto può qui od in qualsiasi altro luogo, per una successione di secoli, trascorrere una vita di sogno supremamente miserevole, nella quale essa, all'infuori delle proprie creazioni fantastiche quanto mai misere, non giunge assolutamente a nessuna visione e percezione di qualcosa di vero, di reale e di giacente fuori da se stessa. Nonostante ciò, per altro, le esperienze più amare le insegnano continuamente che essa è assediata da numerosi nemici contro i quali non può difendersi, perché non può in qualche modo vederli, come succede in questo mondo ad uno che sia completamente cieco, che pure non può vedere da che parte si sta avvicinando un nemico, oppure dove stia in agguato un qualche pericolo che gli conviene evitare!
6. Eppure, vedi, anche un uomo talmente cieco, nonostante questa sua grave infermità, non è tuttavia completamente privo di luce, perché la fantasia della sua anima è in sé, ad ogni modo, continuamente una luce delle cose che, in qualche maniera illuminante, si presentano come le cose del mondo naturale; però non hanno alcuna stabilità, né ha continuità la loro luce, così che questa ora è chiara, ora nuovamente impallidisce del tutto e ben spesso completamente svanisce in maniera che un simile cieco rimane poi sul serio, per qualche tempo, assolutamente privo di luce e di oggetti visibili.
7. Ora, vedi, sono pressappoco tali le condizioni di un'anima nel suo stato di perfetto isolamento: essa ha ora luce, ora tenebre, però né la luce né le tenebre risultano, nell'anima stessa, essere qualcosa di vero, ma solamente un temporaneo barlume riflesso di ciò che l'anima, senza sua coscienza e volontà, accoglie in sé dalle sfere esteriori, all'incirca come la goccia di rugiada pendente da un filo d'erba accoglie in sé l'immagine del Sole. La goccia, così, è certo illuminata, ma essa, a questo riguardo, non è affatto conscia fino al punto da riconoscere chiaramente da che parte è venuta la luce nella propria massa.
8. Quello che io, in nome dei miei quattro fratelli, ti ho detto qui, si basa sulla nostra esperienza congiunta a gravi sofferenze, e scinde ogni vita apparente dalla vita reale veramente libera e indipendente.
9. Cosicché, da un lato, tu vieni qui a trovarti dinanzi ad una vita sofferente e limitata nella sua atmosfera di potenza, e dall'altro lato dinanzi ad una vita in Dio, perfettamente autonoma e libera; però che tu richieda l'una o l'altra di queste due vite, ciò dipende ora dalla tua volontà. Ad ogni modo la cosa sta effettivamente in questi termini, e non c'è Dio che possa stabilire al tuo posto delle altre condizioni di vita.
10. Vedi però, io ti dico ancora una cosa: "L'anima mia, che adesso va spaziando in campi di luce sempre più intensa, vede e riconosce ora, per suo potere, già molto bene il Salvatore, il Quale ora non è molto che l'ha liberata da una moltitudine d'invisibili nemici della vita superiore libera, mediante la Potenza della Sua liberissima Vita in Dio. Vedi, in Lui c'è di più che non in tutto l'Universo intero".
11. Ma Egli, quale Punto-centrale di ogni esistenza e di ogni vita, riconosciutoSi già dall'eternità, vuole ora ancora maggiormente confermare la Sua Vita, e con ciò anche la vita di tutti gli uomini mediante la Sua Vita; ma Egli un tale scopo non lo raggiungerà se non a patto di un'abnegazione indicibile. Egli abbandonerà questa Sua Vita presente per entrare nella Gloria eterna di ogni vita per Sé, e così anche per tutta l'umanità. Allora, anche se ciascuna creatura si troverà, per dir così, trasformata ed otterrà un altro ordinamento interiore, tuttavia rimarrà fermo il principio: "Ciascuno prenda il carico della miseria esteriore sulle proprie spalle e Mi segua!". Comprendi ora queste cose?»
12. Risponde Cirenio, veramente con ancora un po' di malumore: «Sì, ti comprendo bene e non posso fare a meno di confessare che tu hai detto la verità; nonostante ciò, l'abituare l'animo ad ascoltare simili condizioni della vita, riesce quanto mai difficile!»
Dell'unità della vita eterna.
1. Dice Mataele: «Certamente, non si può negare che simili condizioni della vita non sono tanto piacevoli a udirsi, quanto lo sono le favole d'una fantasia di vita primaverile, nelle quali la vita svolazza come gli uccelli nell'aria o come le farfalle e le dorate effimere, che vanno da un fiore all'altro per sorbirne dai calici i dolci umori. Ma perciò anche una tale vita di piaceri non la si può chiamare altro che una vita passeggera di un giorno, la quale, in primo luogo, è a mala pena conscia di se stessa, e anche per questa ragione - in secondo luogo - non è effettivamente vita. A che cosa gioverebbe all'uomo, infine, una vita effimera di questa specie? Rifletti un po' sulla durata di questa vita terrena! Settanta, ottanta e novanta anni sono già un'età avanzata. Il corpo, a questa età, già s'indebolisce molto: si fa pesante e carico di acciacchi, e basta qualunque minimo alito pestifero ed è finita.
2. Ma adesso si domanda: "E poi?" Chi sarà in grado di darti una risposta sicura se tu prima, già durante la tua vita terrena, non avrai fatto ogni sforzo possibile affinché, prima che quell'alito pestifero si manifesti, tutto il tuo essere diventi in te una risposta vivente, in maniera assoluta? Ma se tu questa santa risposta l'hai trovata in te, allora non hai certo più bisogno di chiedere angosciosamente a nessuno e di dire: "Che cosa sarà, poi, quando questa breve vita sarà giunta alla fine?"
3. Dunque, la buona norma sia questa: di non lasciare l'acqua della propria vita continuamente riposare al fresco, ciò che è tanto piacevole al corpo, ma di esporla al fuoco, affinché vada in ebollizione e si trasformi in vapori possenti, assurgendo ad una nuova vita. Ogni altro procedimento è errato e, per quanto le mie parole possano apparirti sgradevoli, la verità non per questo cessa di essere eternamente verità, e soltanto per mezzo di questa è possibile giungere alla vera e piena verità della vita, senza la quale non è affatto immaginabile alcuna vera vita eterna!»
4. Osserva Cirenio, in tono molto più mite: «Sì, sì, o Mataele, amico mio caro, ormai vedo che tu sei veramente in possesso della pienissima verità, per quanto concerne tutti i rapporti della vita, ed una qualche ragione fondata non si può proprio opporre! Tu, nella tua sfera, ti trovi ormai già completamente sul patrio terreno della vita, ma uno di noi ne è lontano parecchio, e di molto.
5. Dunque, altro non si potrebbe desiderare, se non che tu raccogliessi la tua dottrina della vita in un certo sistema, secondo il quale si potrebbero guidare i giovinetti, in modo da rendere loro, per questa via più facilmente raggiungibile, quello che l'uomo adulto non è ammissibile che possa, infine, raggiungere con tanta facilità!»
6. Dice Mataele: «Ciò che tu desideri, è già in parte avvenuto, e molto più ancora avverrà in seguito!
7. Vedi, il Salvatore grande e possente che ci ha guariti, ha già preso al riguardo tutte le misure possibili. Noi cinque conosciamo la via, tuttavia sarebbe cosa molto difficile il raggruppare tutto ciò in un qualche sistema ordinato, per giovarsene agli scopi dell'istruzione generale, ma per gli uomini come sei tu, noi potremmo, in caso di bisogno, compiere anche questo. Perché ad uno, il quale si trova ormai sulla via della verità in ogni cosa, non è proprio del tutto impossibile nulla, dato che la vita assolutamente libera è sempre una, sia in Dio, sia nell'angelo, oppure nell'uomo. Va' però da sé che, perfino nella vita perfetta e libera, ci sono ancora dei divari immensi; perché una vita che ha appena cominciato a riconoscersi non può, evidentemente, avere tanta potenza quanta ne ha un'altra Vita che già dall'eternità Si è riconosciuta, affermata e consolidata in tutta la pienezza e profondità della verità. Una simile Vita è ora diventata la Signora dell'Infinito, e tutti i corpi mondiali, con tutto ciò che essi portano, sottostanno alla potestà di questa Vita.
8. Ma fino a questo punto, o amico mio, noi sicuramente non arriveremo mai in eterno solo attraverso noi stessi; però attraverso l'unione con questa Vita anche a noi, infine, sarà possibile fare, come per forza nostra, quello che l'Immensa ed Eterna Vita di Dio può fare, per forza Sua propria; d'altro canto, ci sono pure certe potenze vitali perfette che, con tutta evidenza, sono le prime dopo l'eterna Potenza vitale di Dio.
9. Tali potenze, che noi chiamiamo ‘angeli’, stanno di gran lunga al di sopra delle nostre potenze vitali per quanto riconosciutesi in libertà ed indipendenza; ed essi angeli sono dei rappresentanti individualizzati della più universale Potenza vitale divina.
10. Tuttavia ciò che noi abbiamo dovuto sopportare per ottenere ciò che ora possediamo, non occorrerà che tu lo sopporti, ed avrai ugualmente quello che abbiamo noi; poiché, per le anime che sono originarie di questa Terra, come per quelle che già si trovano sul suolo patrio, tutto è effettuabile con molta maggiore facilità che non per quelle che sono state trasferite qui da un altro mondo più perfetto.
11. Comunque sia, ormai nel fondamento della Vita di Dio è decretato, per l'eternità, che appunto questa meschina Terra debba essere il teatro delle Sue Misericordie, e che in certo modo già ora tutto l'Infinito debba entrare in questo nuovo ordine e debba adeguarvisi se vuole aver parte in comune alla beatitudine infinita dell'Una Vita di Dio; quindi esso deve anche adattarsi, costi quello che può costare!
12. In verità! Se noi non fossimo giunti alla fine delle nostre sofferenze, cosa della quale però cominciammo appena a poco a poco ad accorgerci ed a persuaderci, per noi sarebbe stato infinite volte preferibile una morte completa anziché una vita che fosse durata, sia pure soltanto pochi giorni, ancora tanto indicibilmente tormentosa, anche con la prospettiva di partecipare subito dopo a tutte le beatitudini divine!
13. Ma noi, in maniera sempre più chiara, andiamo percependo che il grande Medico della Vita ha voluto, prima del tempo determinato, mettere fine alle nostre sofferenze; e solo ora noi cominciamo ad esserne sempre più lieti ed a convincerci che l'immenso Spirito di Dio intende, in perfetta serietà, fare adesso di questa Terra un teatro delle Sue Misericordie, cosa che sarà anche da Lui realmente fatta! Però, purtroppo, questa stessa Terra diverrà pure il teatro delle più fiere persecuzioni, dell'orgoglio, dell'ambizione, del lusso e della maggiore inimicizia possibile contro tutto ciò che è spiritualmente puro e unicamente buono e vero!»
Una profezia di Mataele.
1. Continua Mataele: «O amico mio! Su questa Terra le cose finiranno con il mettersi tanto male che perfino Satana non si azzarderà più di venire sotto nessuna forma in contatto con gli uomini; ma tuttavia fra questi ve ne saranno di quelli che da ciechi vedranno e da sordi intenderanno più di quanto noi ora vediamo e sentiamo con gli occhi e le orecchie il più possibile spalancati.
2. Verrà un giorno nel quale gli uomini misureranno la potenza vitale dei vapori dell'acqua e la domineranno come fanno gli arabi con i loro destrieri, e l'adopereranno per ogni tipo di lavori incredibilmente gravosi. La forza vitale che si cela nell'acqua essi l'aggiogheranno ai carri più pesanti, e così viaggeranno con la velocità della freccia scoccata dall'arco.
3. E la stessa forza essi l'impiegheranno per muovere delle grandi navi che saranno spinte sulle onde, più rapide dell'uragano, anzi, infine, le navi sfideranno qualsiasi tempesta e correranno noncuranti del suo aspetto minaccioso senza risentirne danni di qualche entità; soltanto le rocce ed i banchi di sabbia continueranno ad essere pericolosi per tali corridori dei mari.
4. Ma subito dopo quel tempo sulla Terra le cose cominceranno a mettersi molto male per la vita degli uomini, perché la Terra si farà sempre più sterile; carestie, guerre e la fame desoleranno questo mondo; la luce della fede nell'eterna verità si estinguerà gradatamente, e il fuoco dell'amore andrà spegnendosi per lasciar posto al gelo, ed allora sopra la Terra precipiterà l'ultimo Giudizio del Fuoco!
5. Beati coloro che non avranno lasciato evaporare del tutto l'acqua della vita in loro agli scopi del vantaggio terreno soltanto, perché, quando il gran Giudizio del Fuoco scenderà dai Cieli, non potrà arrecare loro alcun danno, dato che la loro acqua della vita li preserverà.
6. Subito dopo la vera vita della pace e il suo Ordine divino si porgeranno l'una con l'altro la mano, e la discordia e il litigio non saranno più fra coloro che dimoreranno sulla Terra purificata in compagnia degli angeli di Dio. Anche se i nostri corpi fragili e caduchi non saranno testimoni di tutto ciò che ho ora annunciato, tanto più lo saranno le nostre anime che vedono e comprendono tutto.
7. Vedi, io non avrei annunciato queste cose; sennonché nel cuore dell'anima, o meglio del mio "io", ho percepito un incitamento a far così. Ora questo incitamento certo proviene da quella parte da dove è venuta la salute a noi tutti cinque! Riesci tu ora a comprendermi meglio?»
8. Risponde Cirenio: «Oh, ormai tutto è di nuovo nel massimo ordine, e noi siamo perfettamente d'accordo; adesso sì che spero di apprendere molto da voi, e son certo di aver con la vostra cattura conseguito un vantaggio grandissimo! Dunque, resti fermo quanto ho già detto, e cioè che io provvederò alle vostre necessità terrene e voi, da parte vostra, avrete cura dei miei bisogni spirituali e di quelli di tutta la mia non piccola casa.
9. Certamente, questo sarà un ben magro risarcimento per quanto di grande voi farete a vantaggio mio e della mia famiglia; ma d'altra parte non può venir imputato a colpa di nessuno se a questo mondo non è possibile contraccambiare, in modo migliore, un supremo dono di vita chiamato a durare in eterno! Siete soddisfatti così?»
10. Disse Mataele: «Oh, come puoi domandare una cosa simile? Quando ci è possibile servire qualcuno ed essergli utile, noi siamo più che completamente contenti! Perché neanche a un dono terreno va attribuito un insignificante valore quando esso è fondato sul buono e sul vero e quando proviene veramente da un cuore nobile e buono; giacché il movente del dono conferisce a questo anche un valore perfettamente spirituale, e quindi si colloca sul medesimo alto scalino di un dono puramente spirituale!
11. Poiché laddove il materiale sorregge lo spirituale come lo spirituale sorregge il materiale, là tutto infine diventa spirituale, e reciprocamente l'uno nell'altro non possono attendersi che una sovrabbondanza della benedizione divina in tutta la sua pienezza.
12. Ma laddove invece, come avviene nel tempio di Gerusalemme, tutto quello che dovrebbe essere spirituale viene donato unicamente a scopi materiali, e il materiale viene dato in cambio di qualcosa di spirituale, sempre però nella speranza di trarne un vantaggio materiale, là tutto finisce con il diventare materiale, perde quindi anche il minimo valore spirituale e non può ripromettersi da parte di Dio mai più la benché minima benedizione!
13. Non darti dunque troppo pensiero per il fatto che il tuo dono materiale può sembrare troppo poca cosa per compensare il dono spirituale che potremo offrirti noi, perché, riferito alla qualità del donatore ed al motivo dal quale trae origine, diventa appunto esso pure spirituale, e come tale anche la benedizione dall'Alto non potrà mancargli e sarà grande tanto spiritualmente quanto anche materialmente, poiché lo spirito è pure eternamente un ‘signore’ sopra la materia, la quale, considerata nella sua vera essenza, non è anch'essa altro che dello spirituale costretto entro durissimi ceppi, il quale deve sempre ciecamente ubbidire al liberissimo Spirito vitale di Dio, dalla Cui forza infinita emana propriamente il giudizio di ogni materia, ed Egli solo può rivivificarla come e quando a Lui piace!»
14. Dice Cirenio: «Oh, così va veramente bene! Soltanto ora sento che non vorrei per nessun regno della Terra lasciarvi sfuggire alla stretta amichevole delle mie mani! Speriamo di riuscire a comprenderci sempre meglio, così da renderci reciprocamente sempre più indispensabili! E adesso vada soltanto all'Unico Signore ogni nostra lode ed ogni nostro amore per essersi Egli mosso a misericordia verso voi e per avervi guidati a me! Perché senza di Lui noi saremmo certo morti tutti per l'eternità!»
15. Ed i cinque allora concludono: «Oh, sì! Egli solo è degno di ogni onore, gloria ed amore, non solo da parte di questa Terra, bensì anche di tutto l’intero Infinito! Poiché è solo Lui che attualmente va trasformando tutta l'Infinità! Santo, infinitamente Santo è il Suo Nome!».
Il desiderio dei cinque risanati di conoscere quale fra i presenti è Gesù.
1. Mataele riprende da solo la parola e dice: «Egli si trova fra noi, però fra i presenti ce ne sono due che si rassomigliano molto, per questo dovrebbe riuscire quanto mai difficile distinguere Quale è propriamente il vero. Io credo che Egli sia Quello che ha ora, più volte, scambiato parole con Cirenio. Ma potrebbe certo essere anche l'altro, perché dalle facce di ambedue s'irradia, per così dire, un alto grado di sapienza! Quello di Cui ho detto, l'abbiamo già udito parlare e il Suo dire è stato grande, profondo, saggio e serio, ma alla fine anche un uomo savio potrebbe parlare così. Dall'altro, però, finora non si è appreso niente, forse per la ragione che egli non vuol essere riconosciuto anzitempo. Ma adesso chi di noi avrà il coraggio d'interpellare quello che finora è rimasto silenzioso?»
2. Questo silenzioso era Giacomo, il maggiore, che come è noto rassomigliava moltissimo fisicamente a Me, e oltre a ciò portava una veste del tutto simile a quella che portavo Io abitualmente.
3. All'invito di Mataele anche gli altri quattro si alzarono da terra e si consigliarono per vedere chi di loro e come avrebbero dovuto indirizzare la parola a colui che taceva. Ma infine il coraggio sembrava mancare a tutti e cinque. Mataele si rivolse di nuovo a Cirenio, diventato ormai loro amico, e gli domandò con molta discrezione se quell'uomo che rimaneva in silenzio fosse eventualmente egli il nobile e possente Salvatore, o se lo fossi Io. Essi desideravano venire a conoscenza con precisione di ciò anche con i loro sensi esteriori, per evitare che sotto l'impulso del sentimento di gratitudine potesse venir da parte loro reso pure esteriormente il dovuto onore a chi questo onore non sarebbe spettato!»
4. E Cirenio rispose: «Io non ho ricevuto ancora da Lui nessun cenno preciso che mi autorizzi ad indicarLo a voi; del resto per il momento ciò non ha proprio una grande importanza, dato che Egli, prima di ogni altra cosa, ha riguardo unicamente del cuore dell'uomo. Ma i vostri cuori si trovano ora certamente nella disposizione migliore di questo mondo, dunque altro non occorre. Quando però a Lui piacerà, e quando lo riterrà conveniente per la vostra salute, Egli senz'altro si farà conoscere a voi più da vicino. Io credo, d'altro canto, che se osserverete con qualche attenzione la nostra compagnia durante il corso di questa giornata, allo sguardo penetrante della vostra grande sapienza certo non fuggirà Chi fra noi è propriamente il Vero e l'Unico Onnipotente»
5. In questo modo furono provvisoriamente accontentati anche i cinque, e questi, approfittando della pausa, cominciarono solo allora ad osservare più attentamente il luogo dove si trovavano e si domandarono l'un l'altro dove mai fossero stati condotti. Una cosa avevano potuto frattanto capire, e cioè di trovarsi vicini al mare di Galilea; soltanto non riuscivano a stabilire in che regione.
6. E Cirenio allora, il quale più di altri aveva avuto la possibilità di udire le parole che erano state scambiate fra di loro, disse: «Voi vi trovate nei pressi della città di Cesarea Filippi, e più precisamente siete sui possedimenti di Marco, quel vecchio soldato romano che prima vi ha offerto vino, pane e sale dalle sue provviste. In questo momento egli non è presente, è occupato in casa sua con i preparativi per il pranzo di oggi, ma quando ritornerà, avrete occasione di conoscerlo meglio, dato lo stato attuale più chiaro della vostra mente; perché quando egli vi porgeva pane, vino e sale, voi eravate ancora più nell'altro che in questo mondo, e in tali condizioni poco certo avrete potuto notare della sua individualità quanto mai rispettabile.
7. Disse Mataele: «Si, davvero, tu hai perfettamente ragione! Lo stato di chiaroveggenza interiore, in cui ci trovavamo subito al principio del nostro risveglio, è rimasto immutato. Solamente che allora tutto aveva ai nostri occhi un aspetto terribilmente e stranamente fosco e cupo. Ma poiché ora tutto ha gradatamente assunto un aspetto più sereno e tutto l'ambiente in cui ci troviamo si è pure fatto più piacevole e amichevole, così a nostra volta noi ci sentiamo più sereni ed in certo modo più lieti, nonostante non si possa sconfessare niente di quanto ci viene rivelato dalla nostra facoltà visiva interiore.
8. La verità, o amico, rimane in eterno verità, mentre questo mondo è totalmente mutevole e così pure i suoi figli, tutto non dura che dall'oggi al domani! In modo assoluto non ci si può fidare di nessuno, perché oggi uno ti è amico e già domani o esso non è più tale, oppure un calunniatore ha insinuato nel suo animo qualche sospetto sul tuo conto, e di conseguenza egli ha già cessato di esserti amico ed ha perciò in segreto già assunto di fronte a te la veste di giudice mal disposto!
9. Quindi, a questo mondo, non c'è stabilità né fra le cose né fra gli uomini! Tuttavia il Signore tutto infine volgerà e guiderà per il bene dell'uomo!»
Gesù, l’eroe in lotta contro la morte.
1. Dice un secondo fra i cinque: «Si, o fratelli, solamente su questo sia fondata da adesso ogni nostra speranza! Egli stesso avrà comunque da sostenere una lotta formidabile con 1a potenza della morte. Oramai però non è più lecito dubitare della sicura vittoria! Perché Egli sa infine che la morte è impotente e conosce ogni suo limite, ma conosce pure che l'unica potenza che si cela ancora nella morte altro non è che un'aspirazione alla vita, per quanto stretta in ceppi e come quest'ultima potenza non possa schierarsi contro di Lui, bensì soltanto con Lui nella lotta contro se stessa per non rendere se stessa completamente impotente e per questo completamente morta!
2. La vita che combatte, che è rappresentata da Lui stesso, deve restare in eterno vantaggio di fronte ad ogni potenza della morte, perché la morte veramente completa è in sé priva di qualsiasi potere, ed è come una muta pietra nelle mani esuberanti di vita di un fromboliere che di essa può fare quello che vuole.
3. Ma se nella morte, come nella carne fisicamente animata dell'uomo, c'è una qualche potenza, allora questa è una vita, per quanto situata su un gradino molto basso. Questa vita, però, non entrerà certo in lotta con la vera vita allo scopo dell'annientamento di se stessa, ma si terrà stretta alla vera vita, e con questa combatterà contro la presunta potenza della morte, allo stesso modo di un corpo ormai morente che afferra con grande bramosia la coppa della salute e la porta alla bocca per vivere unitamente alla vera vita ancora più a lungo, e per venire infine dalla stessa pienamente accolta.
4. Ora quando la vita ha così ritrovato se stessa, come si verifica nel caso del nostro Salvatore, da noi non riconosciuto ancora con certezza, allora essa è già qualcosa di perfettamente divino, e fuori da essa non ci può essere più alcuna potenza che ne esca vincitrice, per la ragione che, accanto ad essa, nessun'altra potenza può sussistere.
5. Noi sappiamo che cosa è questa Terra e che cosa il Sole, la Luna e le stelle innumerevoli: tutti questi sono dei corpi mondiali per lo più enormemente grandi. Molti sono perfino un numero inesprimibile di volte più grandi di questa Terra. In sé essi sono certo morti, vale a dire dal punto di vista del loro enorme corpo, però la Potenza vitale divina costringe tutti questi innumerevoli corpi mondiali ad un necessario moto, e questo non è affatto semplice, bensì quanto mai molteplice!
6. Dunque, che cosa possono tutti questi giganti degli spazi contro la potenza della liberissima Vita di Dio che continuamente li sospinge? Nulla! Come la polvere sollevata dall'uragano essi vengono, dalla Potenza vitale divina, spinti e guidati lungo le loro incommensurabili orbite, e tutta la loro moltitudine senza numero non può mai in eterno opporsi alla forza vitale liberissima, così come le miriadi di granelli di sabbia non si possono opporre all'uragano che li strappa alla landa deserta e li solleva e disperde lontano nell'aria!
7. Egli quindi vincerà, e ha effettivamente vinto già da lungo tempo, ma per amore degli uomini, e affinché questi siano resi partecipi della vittoria della vita sulla morte, viene ora combattuta una nuova ed ultima lotta.
8. E così io vedo stesa su tutta l'immensità dell'Infinito una scritta a caratteri raggianti in eterno, e questa scritta dice: (Ascoltate!) "Egli, la Vita stessa dall'eternità, ha per l'eternità compiutamente trionfato della morte con le armi della morte stessa; e la morte dovette da se stessa annientarsi affinché ogni vita fosse ridonata a libertà, e questo soltanto grazie a Lui, il combattente dall'eternità! Gloria dunque a Te soltanto, o Uno eterno e immenso!»
9. Queste parole commossero e scossero tutti i presenti, tanto che essi si prostrarono dinanzi a Me e ad altissima voce esclamarono: «Oh, sì, o Signore, a Te solo sia resa gloria, o Uno grande ed eterno!»
10. Ed in seguito a ciò i cinque Mi riconobbero. Mataele, sciogliendosi in lacrime di gratitudine, esclamò infine con profondissima commozione: «Oh, sei Tu dunque! Oh, quale spettacolo indicibile per noi, morti, il contemplare Colui che Solo vive!». Dopo ciò egli tacque, e come gli altri rimase immerso in profonde meditazioni.
Le parole del Signore riguardo alla genuina venerazione di Dio.
1. Io allora dissi a tutti quelli che erano ancora prosternati dinanzi a Me: «Rialzatevi amici e fratelli Miei! L'onoranza offertaMi ora da parte vostra è una giusta onoranza, perché essa sicuramente è indirizzata a Colui che è in Me, cioè il Padre santo dall'eternità! Però Egli è sempre in Me, come Io e voi tutti pure siamo in Lui. Ora questo porterebbe di conseguenza che voi, per la suprema reverenza dovuta a Me, dovreste continuamente rimanere dinanzi a Me prostrati nella polvere. Ciò per altro non sarebbe assolutamente niente di piacevole né per voi né per Me, e né Io né voi avremmo così avuto un qualche vantaggio.
2. Vedete! È per sempre già abbastanza che voi crediate in Me, che Mi amiate come uno fra i vostri migliori fratelli ed amici e che operiate secondo la Mia Parola. Quello che è di più non giova a nulla, poiché Io non sono venuto in questo mondo con lo scopo che, da parte vostra e degli uomini in generale, Mi vengano rese onoranze divino-idolatre, tali forse come ne vengono offerte ad un dio Mercurio o ad un dio Apollo, ma allo scopo di guarire tutti gli ammalati di questo mondo e di indicare a tutti qual è la giusta via che conduce alla vita eterna. Questo soltanto richiedo Io a voi, tutto il resto invece è stolto, vano e di sapore idolatra, ed a nulla può essere utile!
3. È però vero che l'uomo è tenuto ad adorare incessantemente Dio, il suo Creatore, perché Dio è santo in Sé, e per questo degno di ogni adorazione; però Dio è in Sé anche uno Spirito e perciò Lo si può adorare solamente in spirito e in verità.
4. Ma, veramente, cosa vuol dire adorare Dio in spirito e verità? Ecco, questo vuol dire: "Credere sempre nell'Unico vero Dio, amarLo con tutte le proprie forze sopra ogni cosa ed osservare i Suoi lievi Comandamenti!”
5. Chi fa così, egli anzitutto prega incessantemente, ed in secondo luogo, così facendo, adora Dio in spirito e in verità, poiché senza le opere ogni preghiera delle labbra è una pura menzogna, per effetto della quale Dio, il Quale è la Verità eterna, non viene per nulla onorato, ma unicamente profanato!
6. Rialzatevi dunque da liberi uomini che siete, da fratelli e da amici Miei, astenetevi d'ora innanzi da atti di idolatria nei Miei confronti e non rivelateMi anzitempo dinanzi al mondo! Giacché una cosa simile sarebbe per il mondo molto più un danno che un vantaggio!»
7. Dopo queste Mie parole tutti si alzarono da terra, e Mataele allora esclamò: «Sì, in verità, solo un Dio è capace di proferire parole tanto piene di suprema sapienza e di amore! Oh, quale immensa differenza fra il mio modo di pensare e di sentire attuale, e quello di poco fa! O Signore, soltanto questa mia preghiera non lasciarla inesaudita: "Non permettere mai più che l'anima nostra sia sottoposta a prove simili a quelle dalle quali l'amor Tuo e la Tua misericordia e potenza ci ha liberati!"»
8. Dico Io: «Restate in Me prestando ascolto alla Mia Parola, osservatela e vivete conformemente a questa; in questo modo la Mia potenza e l'amor Mio saranno in voi e vi proteggeranno contro qualsiasi ulteriore e dura tentazione.
9. I Miei discepoli hanno già preso nota per iscritto di tutto quanto per il momento è strettamente necessario all'uomo di conoscere. Queste cose poi leggetele, comprendetele e conformatevi le vostre azioni; di più non vi occorre per il tempo che precederà la Mia elevazione». Di ciò i cinque rimasero soddisfatti.
10. Poi Io Mi rivolsi a Cirenio e gli dissi: «Amico Mio! Qui il Mio compito è finito, ed ora è bene che ci occupiamo degli altri, e che vediamo fino a che punto essi hanno peccato contro le leggi di Roma. Tu però fai bene attenzione, dato che il loro interrogatorio non sarà affatto cosa molto facile, poiché le loro bocche sono colme dell'astuzia e dell'arroganza del mondo! Ma adesso andiamo!».
Gli scrupoli di Giulio riguardo all’interrogatorio degli altri malfattori.
1. Allora Cirenio dice: «O Signore! Che cosa si può fare adesso per questi cinque? Vedi, essi sono quasi più che seminudi! Provvedo a rimediare a ciò? Io qui nel mio bagaglio ho delle vesti, però si tratta di divise statali che soltanto i funzionari dello Stato possono indossare. Queste dunque non farebbero al caso nostro. Io ho anche dei vestiti alla maniera romana che usano i servitori, ma secondo me i cinque sono evidentemente persone di troppo alta levatura, come dimostra la loro sapienza davvero impressionante, per poter loro offrire simili abiti. Che cosa dunque si può fare?»
2. Dico Io: «I vestiti non hanno nessun altro significato se non quello di coprire la nudità del corpo, sia che siano una divisa statale oppure una veste da servitore. Perciò è dunque indifferente che tu copra i cinque con delle vesti di Stato o da servitore. Ad ogni modo Io considero maggiormente la veste del servitore e meno quella dello Stato; perciò dà loro delle vesti da servitore. Avvolti in una veste statale essi verrebbero scherniti dal mondo per la loro veste; ora, per esporli a tanto, essi sono troppo buoni, anche se non c'è nessuno di autenticamente buono a questo mondo. Con il tempo essi saranno chiamati ad affrontare numerose derisioni per amor del Mio Nome, e per questo motivo non voglio che essi vengano dal mondo scherniti già adesso a causa del mondo.
3. E Cirenio, udito ciò, chiama subito qualcuno fra la sua servitù, perché si rechi a prendere delle vesti da servitore fra le migliori. Dopo pochi istanti le vesti vengono portate, e Cirenio le fa subito consegnare ai cinque.
4. I cinque allora gli manifestano la loro gratitudine, dicendo: «Il Grande Uno che è fra noi ti ricompenserà, perché con le nostre vesti ridotte completamente a brandelli eravamo a mala pena in grado di nascondere le nostre nudità agli occhi del mondo; ti rendiamo dunque ancora una volta i più sentiti ed affettuosi ringraziamenti»
5. Dopo ciò i cinque si ritirarono dietro un cespuglio lì vicino, si spogliarono dei loro vecchi cenci e ben presto ricomparirono con le vesti nuove di servitori romani di corte, che conferiscono loro un gradevole aspetto. E dopo che si sono riuniti a noi, ci rechiamo immediatamente dagli altri criminali politici che già ci attendono con grande ansia.
6. Come ci presentiamo a loro, subito essi si prostrano con le facce a terra, domandando grazia. Si trattava veramente di un nucleo principale di otto individui, ai quali erano da aggiungere ancora alcuni che si erano solamente trovati con loro e che in quella stessa occasione erano stati catturati.
7. Allora Io dico a Giulio: «O amico, ora spetta a te interrogare questi prigionieri e chiamarli a responsabilità in maniera giusta e savia!»
8. E Giulio, sentito questo, dice: «O Signore! Anche se un incarico simile in qualsiasi altra circostanza non mi avrebbe causato eccessive preoccupazioni, in una simile occasione il mio animo non riesce a liberarsi da un certo lieve senso di vertigine. Perché qui ci sei Tu, c'è un angelo e poi Cirenio assieme ai Tuoi discepoli ormai già molto sapienti! Inoltre sono presenti i trenta giovani farisei e leviti, e questi cinque qui; non voglio poi neanche far menzione di Giara, la savia fanciulla! Ma, o Signore! I cinque! Oh, questi cinque! E dinanzi a tali chiare menti io dovrò procedere all'interrogatorio dei delinquenti politici?! Oh, questo sarà per me un lavoro per niente facile! Il bello poi della cosa è che io stesso non so proprio bene "EX FUNDAMENTU" (fino in fondo) il perché essi sono stati arrestati e tradotti qui in catene! Tuttavia la questione sta veramente nel fatto che essi sono degli inviati del tempio, e che per incarico dello stesso hanno dovuto divulgare delle voci maligne sul conto di Roma. Ma ad avvalorare una simile accusa qui non c'è nessun valido testimone. Come dunque si potrà allora indurli ad una confessione?»
9. Disse allora Mataele, che si trovava proprio dietro a Giulio: «Non preoccuparti affatto per questo! Per quello che riguarda i testimoni siamo qui noi cinque, ma certamente non a loro danno. Vedi, noi stessi fummo con i nostri occhi e con le nostre orecchie testimoni come questi, a scanso di dover bere l'acqua maledetta, furono costretti ad accettare un simile incarico, perché certo, parlando solamente esteriormente, noi li conosciamo con tanto maggior precisione in quanto anche noi, quasi nello stesso periodo, fummo mandati da un'altra parte per convertire i samaritani! Ma come noi cinque siamo innocenti di tutto quello che può essere successo, altrettanto innocenti dovrebbero essere anche questi che sono qui. Tu, dunque, ora ne sai abbastanza e puoi, di conseguenza, cominciare con tutta tranquillità il loro interrogatorio, senza lasciarti minimamente turbare dal pensiero della nostra interiore sapienza».
Giulio interroga i malfattori.
1. E Giulio allora, avendo appreso tali cose da Mataele, si senti un po' confortato nel suo animo, e si rivolse poi senza indugiare ai delinquenti politici che se ne stavano ancora prostrati con la faccia a terra, dicendo loro: «Alzatevi adesso senza timore alcuno, perché uomini della vostra specie devono, quando avviene, poter guardare freddamente in faccia anche la morte senza tremare! Noi romani non siamo né tigri né leopardi, bensì siamo uomini i quali, semmai, cercano sempre di mitigare la sventura e non d'inasprirla; però ad una cosa è necessario che facciate la massima attenzione, e cioè che nessun crimine viene da noi punito con tanta severità quanto la menzogna! Per una falsa testimonianza e per un'asserzione sfrontatamente bugiarda, presso di noi è prevista la pena di morte! Date perciò una vera risposta a ciascuna mia domanda, ed io, posto da Dio quale giudice di fronte a voi, quando il vostro dire risulterà dimostrabilmente veritiero, mi darò anzi premura di redimervi da ogni male e non certo aggiungervene degli altri! Alzatevi dunque, e parlate un linguaggio aperto e sincero!»
2. A queste parole di Giulio i delinquenti politici si alzano da terra in preda a grave turbamento, ed Io allora dico a bassa voce in lingua romana: «Liberali anzitutto dai loro ceppi, perché chi ha le mani e i piedi legati ha pure la lingua malamente legata!»
3. E Giulio, obbedendo alle Mie parole, ordinò ai soldati di slegare i prigionieri!
4. L'ordine fu immediatamente eseguito, e quando i delinquenti, in numero di circa una dozzina, si trovarono con il corpo completamente libero, Giulio domandò a loro: «Chi siete voi, e qual è il vostro luogo di nascita?»
5. Ed uno a nome di tutti rispose: «O signore! Documenti con noi non ne abbiamo affatto, se però vuoi credere alle mie parole, noi siamo degli appartenenti al tempio, e siamo dannati tanto per opera del tempio stesso quanto del sentimento contortamente pio dei nostri stolti genitori, e siamo tutti quanti figli di Gerusalemme. La Legge di Mosè, per quanto concerne i rapporti tra figli ed i loro genitori dovrebbe, dietro i suggerimenti della pura ragione umana, essere passibile una buona volta di una qualche riforma, nel senso che dei figli diventati ragionevoli per effetto del caso o con il frequentare di quando in quando delle persone veramente savie, non dovrebbero rimanere continuamente soggetti ai loro genitori. Giacché moltissimi figli devono la loro infelicità spirituale e materiale alla stoltezza ed alla superbia spesso indescrivibilmente grande dei loro genitori, che sembrano talvolta davvero subire l'influenza della mala unzione del demonio!
6. In verità, questo comandamento, senza che vi sia la possibilità di una eccezione, è troppo assurdo e cattivo già per il regno degli animali, per non parlare di quello degli uomini! Se ora noi ci troviamo come dei criminali dinanzi a te, vale a dire dinanzi a un giudice per la vita e per la morte, questa bella situazione noi la dobbiamo alla rigida osservanza di un simile comandamento stupidissimo, del quale l'autore è quasi impossibile che sia stato Dio, ma unicamente Mosè od eventualmente un qualche Mosè postumo! Un ben ambito premio questo, per la nostra costante fedeltà ed obbedienza verso i nostri genitori troppo sciocchi! E adesso, dopo questo regalo supremamente gradito, avremo probabilmente da aspettarci l'alto onore della croce, oppure l'infima schiavitù incatenati in qualche galera per tutta la vita?! Perché, se dobbiamo rivelare tutta la verità riguardo al nostro agire di certo triplicemente forzato, nessun Dio può più salvarci dall'inesorabilissima rigidità delle vostre leggi! Eppure il bel precetto di Mosè suona così: "Onora il padre e la madre, affinché tu possa vivere bene e lungamente sulla Terra!". Bellissimo davvero! Oramai ci siamo, e ciascuno può persuadersi di quanto bene siano riusciti a ricavarne dei poveri diavoli come noi! In quanto poi al ‘lungamente’, questo non dipende che da te! La promessa divina, per l'osservanza del quarto comandamento di Dio, trova in noi un adempimento così splendido e solenne, che veramente tutti i demoni non possono fare a meno di sganasciarsi dalle risa alla nostra presenza, e di sputarci infine in faccia!»
7. Dice Giulio: «Ma, cari miei, queste cose non c'entrano affatto, bensì voi dovete rispondere alle domande che vi vengono rivolte!»
8. Replica allora Suetal (così si chiama l'oratore) in nome dei dodici: «O signore, quando uno sente di aver sicuramente la mannaia sul collo, allora c'entra qualunque cosa! Che noi siamo evidentemente colpevoli contro Roma, non lo possiamo negare, e quello che come conseguenza dovrà seguire, tu sperabilmente non potrai metterlo in dubbio, perché è a questo scopo che porti la tua spada affilata ed hai a tua disposizione la legge e la forza; cose queste contro le quali il misero verme nella polvere assolutamente nulla può!
9. Ma considerato che talvolta i signori di Roma, nonostante tutta la severità delle loro leggi, sono più uomini dei cupi signori del tempio, secondo la cui musica deve ormai ballare anche il buon Signore, Dio, noi pensiamo di dichiarare davanti a voi signori, sempre ancora un po' più umani, non soltanto il nostro peccato "ANTI ROMAM" (contro Roma), ma anche il movente che ha determinato il peccato, poiché uomini noi non siamo più già da lungo tempo, cioè da quando abbiamo acconsentito allo scambio dell'acqua del demonio con l'incarico di istigare il popolo contro di voi romani!»
10. Allora Giulio chiede: «E perché effettivamente vi hanno costretti a bere l'acqua maledetta? In che maniera vi siete resi colpevoli di fronte al tempio ed alle sue leggi?»
11. Risponde Suetal: «Noi risultammo colpevoli verso il tempio, precisamente per la ragione inversa per la quale ci siamo resi colpevoli adesso verso di voi! Noi siamo stati accusati di essere in segreto amici dei romani, e per non bere l'acqua maledetta del demonio, e considerato che eravamo giovani, dovemmo diventare appunto vostri nemici. I nostri sciocchi genitori dovettero sborsare oltre a ciò, quale sacrificio espiatorio, parecchie centinaia di libbre d'argento al tempio e fornire a questo mille grassi caproni espiatori, dei quali probabilmente nessuno è stato obbligato a tentare di nuotare nel Giordano, ma la loro sorte sarà stata quella di Giuseppe, vale a dire di essere venduti per molti denari d'argento, e di venir condotti ben tutelati e scortati in Egitto, per finire nelle pance di quegli abitanti.
12. Eccoti la ragione che ci ha procurato nel tempio l'acqua maledetta e, quando il tempio ci ha graziato, ci ha procurato la vostra ostilità! La differenza dunque consiste unicamente in ciò: se avessimo accostato alle nostre labbra la coppa dell'acqua maledetta, noi saremmo già da lungo tempo emigrati in grembo al padre Abramo; ma avendo trovato grazia nel tempio, saremo probabilmente obbligati solo ora a fare una visita al buon padre Abramo per tutta l'eternità. Ben presto noi udremo risuonare fuori dalla tua nobile bocca il già noto "I LICTOR" (vai, carnefice!), e noi allora avremo raccolto il frutto, che è stato promesso a chi avrà esattamente osservato il quarto comandamento di Dio, sotto il titolo di "Buona e lunga vita sopra la Terra!". Se noi dovessimo finire proprio sulla croce, ti preghiamo di far attaccare sulle nostre croci una scritta corrispondente a questo titolo»
13. Dice Giulio, che internamente non poteva frenare la sua ilarità, ma che esteriormente sosteneva la parte del giudice severo: «A me pare che voi tendiate a riversare ogni colpa unicamente sul quarto comandamento di Mosè, ma a me sembra anche di scorgere che voi questo comandamento davvero non lo comprendete, oppure che fingete di non comprenderlo, perché non lo volete comprendere. Nella Legge è detto soltanto che i genitori si devono onorare e non che si debba obbedire loro come ad un dominatore in ogni cosa; perché se io, una volta fanciullo ed ora uomo maturo, ho acquistato molta esperienza e qualche sapienza, dovrò ben vedere che un vero amore ai miei genitori viventi è veramente la giusta onoranza che Dio ha comandato per mezzo di Mosè.
14. Dunque, se avviene che dei genitori deboli di carattere richiedano dai loro figli una cosa, in seguito alla quale sia essi sia i figli possono riceverne un grave danno, in questo caso è dovere dei figli far comprendere ai genitori, con tutto l’amore e la pazienza e nella maniera più chiara possibile, le dannose conseguenze della loro richiesta. I genitori allora certo desisteranno dal loro proposito, poiché, se proprio dovessero persistere nel loro errore, neanche la disobbedienza provocata da vero amore per i genitori potrebbe più considerarsi peccato, né al cospetto di Dio supremamente sapiente, né a quello di ciascun uomo che pensi e giudichi rettamente.
15. Oltre a ciò Mosè stesso, nei suoi scritti che trattano della costituzione teocratica, ha aggiunto una spiegazione per quanto concerne l'obbedienza dovuta dai figli ai genitori, in base alla quale risulta in maniera assolutamente chiara che i figli hanno il dovere di obbedire ai loro genitori in tutto ciò che non è contrario alla legge.
16. In questo modo, dunque, la legge di Mosè appare giustificata più che a sufficienza, e per conseguenza, se le cose stanno veramente così come me le avete esposte, la colpa va attribuita realmente alla stoltezza dei vostri genitori ed alla incomprensione della legge da parte loro, come pure, e ciò risulta ormai chiaro, all'equivoco in cui siete caduti nell'interpretare il comandamento dato da Dio a mezzo di Mosè!
17. La colpa può anche venir ascritta alla vostra radicata astuzia, però alla fine verrà completamente alla luce. Perché, vedete, voi avete imprudentemente smascherato la vostra scaltrezza con il fondare le vostre scuse su di una scimmiotteggiante umoristica critica del comandamento di Dio, e sembrate esser pieni di uno spirito malignamente sarcastico. Ora noi romani non accettiamo affatto, così facilmente a buon mercato, le scuse di simili esseri proteiformi! Perciò è bene che voi produciate dinanzi a me delle giustificazioni molto più serie e verosimili, altrimenti è poco probabile che possiate da me attendervi una buona sentenza!»
Il discorso di Suetal sul tempio e sul Salvatore di Nazaret.
1. Queste stringenti obiezioni fecero sugli interrogati una grande impressione, e Suetal non fu al momento in grado di mettere assieme qualcosa di veramente valido da potervi opporre. Tuttavia, dopo aver meditato a lungo, egli rispose in tono molto serio: «Tu hai perfettamente ragione, ma non per questo noi veniamo ad essere maggiormente dalla parte del torto! Vedi, se tu ad un bambino già dalla culla andrai sempre predicando che due noci più due altre noci fanno cinque, il bambino ti crederà e ripeterà quello che avrà inteso da te, in modo che infine, quando sarà diventato grande, sarà difficile liberarlo dalla sua erronea opinione. Per venire al caso nostro; chi ci ha finora chiarita la legge di Mosè come hai fatto tu adesso? E cos'altro dunque ci sarebbe rimasto di fare, se non accettare la legge così come ci venne spiegata fin dalla culla? I nostri stessi genitori non l'hanno mai compresa meglio, e tutto il tempio probabilmente non la comprende, oppure non la vuole comprendere. In che maniera avremmo potuto farcene un'idea più precisa? È poi da notare ancora che a noi, quali novizi del tempio, non fu mai dato di trovarci di fronte a Mosè nella sua integrità, ciò è un privilegio esclusivo degli anziani e degli scribi! Ma adesso spiegaci tu dove avremmo potuto attingere una nozione giusta della legge! Da chi avremmo noi potuto attenderci una interpretazione giusta e genuina come ce l'hai data tu?»
2. Osserva allora Giulio: «Io dico che dagli uomini, quando una volta in vesti sacerdotali fungono da ministri del tempio, si dovrebbe di pieno diritto aspettarsi che conoscessero almeno la dottrina del loro Dio quanto la conosce un pagano! Dal canto mio ho sempre attribuito grande importanza ai princìpi teologici di ciascun popolo, perché da questi, più che da altri elementi, s'impara a conoscere un popolo in tutto il suo modo di pensare e di agire. Di conseguenza, con qualche diritto credo che a ciascun individuo di un determinato popolo dovrebbe prima di ogni altra cosa interessare d'imparare a conoscere il più esattamente possibile gli elementi della fede dei propri padri, per la ragione appunto che solamente questi princìpi della fede possono costituire la norma per la convivenza sociale! Ma lasciando anche da parte tutto questo, voi non siete dei giovanetti, ma degli uomini che anche nella loro qualità di sacerdoti dovrebbero conoscere i fondamentali princìpi della loro teologia almeno quanto li conosco io, che sono un forestiero! Che cosa mai allora si insegna nelle vostre scuole?»
3. Risponde Suetal: «S'impara a leggere, a scrivere e a far di conto; viene insegnata anche ogni specie di lingua straniera e vi si ottiene infine, come istruzione religiosa, un riassunto della grande Scrittura. Anzitutto si insegna ad accettare per vero incondizionatamente, e come emanante da Dio, tutto ciò che il tempio vuole ed insegna! Stando così le cose è opportuna la domanda: "Come noi avremmo potuto acquisire delle nozioni più profonde riguardo alla dottrina della nostra religione?". Per te la cosa è facile, perché sei un signore munito di potenza e di autorità; tu puoi entrare in una qualsiasi sinagoga principale e semplicemente domandare questa e quella cosa, e ciascun capo di sinagoga ti concederà senz'altro di prendere visione di tutto, poiché non può nasconderti qualcosa! Egli sa già anticipatamente che tu in questo caso faresti perquisire tutto, e sa anche che cosa potrebbe aspettarsi, qualora poi risultasse che egli abbia voluto nasconderti qualcosa! Oh, vedi, un capo di sinagoga è perfettamente consapevole di questa procedura e perciò egli ti mostrerà e ti spiegherà tutto, come bisogna che faccia perfino il sommo sacerdote a Gerusalemme rispetto al cosiddetto Santissimo nel quale, di fronte al popolo e secondo la costui credenza, egli stesso non può entrare che due volte all'anno, mentre è obbligato a farlo vedere ogni giorno agli stranieri possenti e di alta condizione. Come d'altronde lo possono visitare anche altri stranieri, purché paghino; ma si provi uno di noi ad avanzare una simile pretesa e l'acqua maledetta lo aspetta infallibilmente!
4. Qualcuno fra i servitori del tempio, appartenente alla classe dei cosiddetti ‘intimissimi’, è certamente a conoscenza di come vadano le cose nei riguardi del Santissimo, ma quei tali sono in primo luogo molto bene remunerati, ed in secondo luogo sanno che per il minimo tradimento è comminata cento volte la morte, e quindi hanno tutto l'interesse di star zitti. Ma adesso tanto più ancora è lecita la domanda: "Da dove noi dovremmo attingere la vera luce per chiarire la nostra dottrina divina quanto mai mistica?»
5. E se le cose stanno con certezza assoluta proprio così come te le abbiamo ora esposte a nostra necessaria giustificazione, tu, come giudice e quale uomo, vorrai sperabilmente pronunciare nei nostri riguardi nient’altro che una sentenza ispirata a perfetta giustizia!
6. Quali siano i nostri difetti, tu lo sai senza dubbio già da tempo; quanta poi sia in tale riguardo la nostra colpa, tu, sperabilmente, lo puoi con tutta chiarezza desumere da quello che ti abbiamo esposto sul nostro conto senza timore e senza riserva alcuna. Che se a te è noto qualcos’altro a nostro carico, parla, e noi siamo pronti a risponderti senza alcuna paura. Perché chi sa coraggiosamente morire, quegli sa anche con coraggio parlare!»
7. Dice Giulio, perfettamente calmo: «Io sono ben lontano dal nutrire qualsiasi ulteriore sfiducia nelle vostre parole, considerato che sono anche troppo convinto che nel tempio le cose vanno così come avete detto adesso, e perciò da parte mia vi assolvo completamente. Chi cade da un tetto, e cadendo ferisce un fanciullo che vi sta sotto intento ai suoi giochi, non può essere tenuto neanche lontanamente responsabile del fatto. Dunque, a questo riguardo il mio interrogatorio è finito, e come ho detto, per quanto concerne questo punto, voi siete dichiarati perfettamente privi di colpa e non passibili di punizione.
8. Ma ho in serbo ancora qualcos'altro, e riguardo a questo punto io vi porrò ancora una domanda. Dalla risposta che mi darete dipenderà molto se io vi sarò dopo ciò amico oppure nemico; fate dunque attenzione!
9. "Non vi sarà di certo mancata l'occasione, in questi ultimi tempi, di sentire in un luogo o nell'altro che, nei pressi di Nazaret, un certo Gesù, figlio di un falegname di quella città, circola in paese praticando l'arte medica e compiendo davanti alla gente delle cose strabilianti, e predicando al popolo una nuova dottrina di Dio. Se a voi è noto qualcosa di ciò, fatemelo chiaramente sapere, perché io ho un grandissimo interesse ad essere informato riguardo a questi fatti!"»
10. Risponde Suetal: «Anche noi abbiamo sicuramente udito sussurrare così, alla lontana, qualcosa a tal riguardo, ma altrettanto sicuramente noi ne sapremo a mala pena la centesima parte di quanto tu stesso dovresti già da tempo conoscere. In primo luogo noi eravamo occupati a sbrigare il nostro incarico solitamente nei distretti del Mezzogiorno, e appena da pochi giorni siamo arrivati da queste parti del mare di Galilea, dove ben presto venimmo arrestati. Ben poco quindi abbiamo potuto conoscere sul conto di questo tuo certo medico meraviglioso. Una cosa però è sicura, e cioè che la Sua fama si è già diffusa perfino a Damasco ed a Babilonia; in quanto al resto, che tipo d'individuo Egli sia, cosa faccia e come guarisca gli ammalati, noi non lo sappiamo assolutamente, e quindi saremmo noi stessi ansiosi quanto mai di avere riguardo a ciò qualche particolare! Questo è certo: se c'è ancora in qualche luogo un Dio, Egli sicuramente non può più tollerare oltre la perfida attività del tempio, e deve mandare al popolo un liberatore!
11. Noi possiamo di certo dirtelo: tutto ciò che l'uomo, nella sua massima perversità e nella sua ultrasatanica fantasia, è capace d'immaginare, tutto ciò effettivamente viene compiuto fra le vaste mura del tempio; non esiste un numero o una misura capace di esprimere tutte le nefandezze che vi vengono perpetrate con una impudenza ed una indifferenza, di cui non puoi assolutamente farti un'idea! Gli alti signori del tempio sembrano stimare gli uomini quanto di solito viene stimato un ozioso passerotto. Io non voglio neanche spendere delle parole per caratterizzare l'inqualificabile leggerezza con cui tutti i Comandamenti di Dio vengono là regolarmente violati, ma all'infuori di ciò non si può credere quante nuove atrocità vi vengono inventate e compiute; cose che al buon Mosè, evidentemente, non possono esser venute in mente neppure in sogno, perché altrimenti, se le avesse previste, avrebbe prescritto per punirle sicuramente cento volte la morte e dieci Inferni! Ma per la salvezza dell'umanità è meglio che noi non perdiamo tempo a parlarne!
12. Certamente, si renderebbe un servizio immenso all'umanità se il tempio, assieme ai suoi abitanti, potesse durante la notte venir distrutto d'un sol colpo. Perciò è già da lungo tempo che l'umanità ha bisogno di un Redentore, ma questo non avrebbe affatto da liberare noi ebrei da voi romani, perché voi pure andate annoverati fra i nostri liberatori; ma la liberazione che attendiamo è quella dal dominio prettamente infernale che il drago ha stabilito nel tempio! E quando questo, o signore, sarà avvenuto, allora sì che la misera umanità respirerà più liberamente ed altamente gioirà, poiché sarà stata tratta fuori dai ceppi del più feroce nemico!
13. O amico! Può esservi un pensiero più paurosamente sfacciato di quello che Dio Onnipotente abbia donato ad un perfidissimo verme nella polvere ogni Sua potenza sull'umanità e su ogni altra creatura in modo tale che questo verme possa ora, secondo il suo più maligno arbitrio, sfogare impunemente tutta la sua arrogante e più che satanica malizia su Dio stesso, sull'umanità e su ogni altra creatura?! No, assolutamente no, o signore! Se questo fosse il caso, vorrebbe dire che Dio non esiste, oppure che Dio permette, come avvenne ai tempi di Noè e di Lot, che simili demoni giungano a colmare la loro misura! Oh, grande e santo Dio! Dove sei Tu, e perché indugi? In verità, quello che adesso fa il tempio sorpassa ogni concezione umana! Esteriormente, certo, esso conserva tuttora il medesimo aspetto che emana conforto e soccorso, come ad esempio all'epoca di Salomone, ma interiormente è diventato l'Inferno di tutti gli Inferni! Però è meglio che a tale riguardo non si spendano altre parole; dunque, ora, da parte nostra staremo zitti e in attesa che tu ci dica qualcosa di più particolareggiato riguardo al medico di Nazaret!».
Perché gli accusati sono giunti in Galilea.
1. Dice allora Giulio: «Per quello che concerne il cattivo andamento degli affari del tempio, noi romani conosciamo molto bene ogni cosa, e così voi non potreste ormai più narrarci niente di nuovo, né di sorprendente, e perciò il tempo del castigo non si farà più aspettare molto a lungo; di questo potete essere pienamente sicuri.
2. Il motivo, però, che noi non abbiamo chiamato ancora il tempio a rispondere del suo perverso agire, si spiega col fatto che il popolo è ancora stolto e quanto mai ingenuo, e considera ancora il tempio come qualcosa di sacro e là cerca la sua salvezza. Se noi ora aprissimo le ostilità contro il tempio, avremmo ancora, salvo poche eccezioni, tutto il popolo contro di noi; ma quando, certo fra non molto, almeno la maggioranza del popolo avrà compreso come veramente sia adesso costituito il tempio, allora sarà facilissimo il compito di farla finita con questo. A questo scopo concorrerà, in misura preminente, la nuova e purissima dottrina di verità del grande Salvatore da Nazaret. In poco tempo essa si diffonderà tra il popolo, perché questa dottrina di verità è pura come il Sole al suo splendore a mezzogiorno, e chiunque la comprenderà molto facilmente purché sia la buona volontà a guidarne il cuore. Certamente, laddove il cuore umano è radicalmente corrotto, neanche questa dottrina troverà accoglienza, per quanto divinamente pura essa sia! Ma allora, la spada di Roma sarà annunciatrice di un tal giudizio quale il mondo non ha mai visto ancora uno uguale! Perché allora il braccio di Dio sarà di appoggio alla spada di Roma. Ciò io dico per vostra tranquillità!
3. Ma ora passiamo ancora a qualcos'altro! Voi prima avete accennato che il vostro lavorio, ostile ai romani, l'avete svolto piuttosto nelle regioni meridionali dello stato d'Israele, e che ultimamente siete risaliti verso il territorio della Galilea. Io ora vi domando: "Che risultati avete ottenuto con le vostre sobillazioni contro Roma, e per quale ragione vi trovaste indotti a venir qui in Galilea?"»
4. Risponde Suetal: «O signore! Nelle regioni del Mezzogiorno ci siamo limitati a mangiare ed a bere, e non ci fidammo di proferire nessuna parola ostile ai romani, perché trovammo che la maggioranza del popolo nutriva sentimenti molto favorevoli a Roma! Certo non abbiamo mancato, laddove era possibile, di gettare qualche abbondante sprazzo di luce riguardo allo sfrenato cattivo operare del tempio. Ma con queste nostre manovre, ostili maggiormente al tempio piuttosto che a Roma, capitammo in questi ultimi giorni in una località abitata da fanatici operatori del tempio, dove alla chetichella si cercò di metterci le mani addosso, e a noi non ci rimase altro che prendere rapidamente il largo.
5. Approfittando della notte e della nebbia proseguimmo oltre la Samaria, e dopo alcuni giorni valicammo i monti di questo paese. Qui c'imbattemmo in persone che non si espressero nel modo più favorevole all’oppressione dei romani; non siamo in grado di dire se lo fecero per qualche buona ragione o per prendere in trappola noi, miopi balordi. Di conseguenza, noi un po' troppo alla leggera facemmo coro alla loro canzone e "PROPTER FORMAM" (per amor di forma) vi aggiungemmo per nostro conto ancora qualcosa. Ma la storia non ebbe durata più lunga di tre giorni. All'improvviso fummo circondati da soldati romani ed arrestati, e con noi pure quattro o cinque di quegli altri che avevano affermato la concordanza delle nostre idee con le loro. E come fummo là prelevati, nelle stesse condizioni fummo trasportati qui. Ora tu sai tutto quello che mai ti sarebbe possibile di sapere da noi, e puoi pronunciare nei nostri confronti una matura e completa sentenza»
6. Dice Giulio: «Resti ferma la mia prima sentenza, con la quale voi foste dichiarati da me assolutamente non passibili di punizione; ma ora si tratta di una questione di tutt'altro genere, e questa la si può riassumere brevemente nella domanda: "Che cosa farete adesso? Nel tempio è ormai impossibile che facciate ritorno! Rientrare di nuovo a Gerusalemme, dai vostri genitori, logicamente anche questo non è più quasi possibile, perché anche là è poco probabile che vi possa andar bene! Cosa dunque intendete fare?"»
7. Risponde Suetal: «O signore! Ecco un problema veramente difficile da risolvere! Concedici dunque un po’ di tempo, affinché si possa riflettere e arrivare poi a una decisione matura»
8. Mataele allora, che si trovava lì vicino, dice a Suetal: «Ascoltami, io intendo darti un consiglio, e se tu lo seguirai, vedrai che non ti troverai male!»
9. Osserva Suetal: «Non sei tu uno dei cinque che sono stati condotti qui assieme a noi? (Mataele risponde affermativamente).
10. Ma se è così, come mai tu, come un pazzo quasi furioso, anche se sicuramente in via temporanea soltanto, potresti darci un consiglio ragionevole in una circostanza talmente difficile? Infatti voi cinque foste trasportati fin qui carichi di catene come dei frenetici pericolosi, ossia come degli ossessi; dunque, chi mai è stato a guarirvi? Tu adesso parli in modo ben chiaro e normale, è dunque evidente che qualcuno ti ha guarito! Mentre ti trovavi sulla nave, non facevi che rumoreggiare come un toro, e talvolta dalla tua bocca uscivano come dei ruggiti da leone o ululati da lupo! E quando, con voce la più stridula di questo mondo, pronunciavi delle parole, non si udivano che bestemmie e maledizioni spaventose! In poche parole, sei assolutamente l'uomo di prima, per quanto avvolto in una veste alla romana, e non posso fare a meno di meravigliarmi molto, trovandoti adesso con la mente perfettamente chiara. Non può esservi dubbio che qualcuno di questa grande compagnia deve averti guarito assieme ai tuoi compagni! Ma chi è, e dove si trova un simile medico prodigioso?
11. Oh, oh, adesso credo d'indovinare! Nell'anima mia va facendosi un po' di luce! Il signore che ci ha ora interrogato, ci ha parlato di un certo medico da Nazaret, e precisamente egli voleva sapere se noi avessimo già avuto in qualche modo delle notizie complete riguardo a quest'Uomo ed eventualmente quali fossero.
12. Noi allora a nostra volta chiedemmo dei particolari riguardo ad una simile particolare persona, ma non avemmo la risposta soddisfacente che avremmo desiderato, ed invece sei ora tu a ricondurci sulla Sua traccia! Che tu assieme ai tuoi compagni siate stati guariti, su ciò non è più ammissibile nessun dubbio; ma di un'altra cosa ancora sembra non si debba più dubitare, e cioè che appunto quel medico da Nazaret, come incidentalmente menzionato dal nobile signore romano, si trova qui! Anzi Egli si deve trovare qui, altrimenti nessun altro mortale di questa Terra avrebbe potuto guarirvi! Dicci tu, dunque, se la nostra domanda è ben fondata e poi soltanto consentiremo di ascoltare il tuo consiglio in relazione al nostro avvenire!»
La narrazione di Mataele sulla sua sorte e guarigione.
1. Dice Mataele: «Ecco, o fratello, noi eravamo tutti compagni nel tempio e dovemmo condividere il medesimo destino. Solamente voi ve ne andaste verso Mezzogiorno, e noi dovemmo incamminarci verso Oriente. A noi per altro toccò di cadere tra le mani di un'orda di demoni disincarnati, e con ciò i nostri corpi divennero la dimora di molti diavoli. Sennonché in questo luogo si trovò un Medico, certo il più grande che abbia mai calcato il suolo della Terra, e Questo ci ha guariti senza chiedere alcun compenso e soltanto grazie alla Sua possente parola, dominatrice di ogni vita.
2. Egli realmente si trova qui, ed è Lo stesso che il comandante romano Giulio ha menzionato quando vi ha interrogati; però, per quanto concerne voi, non è ancora giunto il momento di fare più da vicino la Sua conoscenza. Egli stesso desidera, quando vi sarà possibile, di venir conosciuto più intimamente! Non fate dunque in proposito altre domande, ma ascoltate quanto vi dico adesso!
3. "Voi siete dunque figli ancora di questo mondo, però, quando volete, potete aspirare anche alla vera figliolanza di Dio, libera ed esuberante di vita! Questi signori di Roma sono volentieri disposti a procurarcene i mezzi. Il signore che vi ha interrogati, certo non indugerà un solo istante a mettervi sulla retta via, e ciò con tanto maggior facilità, in quanto anche il luogotenente generale Cirenio, residente a Sidone, si trova presentemente qui!
4. Vedete, là dietro di voi, ci sono appunto trenta fra gli appartenenti al tempio. Essi sono già incorporati nella legione straniera ed attualmente sono sotto ogni aspetto cittadini romani. Fate anche voi la stessa cosa, e così avrete provveduto a voi stessi per tutti i tempi e per tutte le eternità! Però Gerusalemme non sarà mai più, in eterno, per noi campo da seminarvi la nostra felicità! Perché la costituzione del tempio non è sconosciuta a noi tutti, e nemmeno quella dell'acqua maledetta! Quale sarà mai l'uomo capace di desiderare una volta sola di rientrare nel nido principale di tutti i demoni e nel ripostiglio di ogni peccato? Se volete morire, non avete che a far ritorno a Gerusalemme, ma se invece volete vivere e trovare pure la vita eterna diventate romani nel corpo, e veri israeliti secondo Mosè nell'anima!". Riuscite a comprendere queste cose?»
5. Risponde Suetal: «Sì, certo, noi le comprendiamo, ma non posso fare ameno di constatare, con mia indicibile meraviglia, l'immensa chiarezza di idee alla quale sei giunto! E non riesco a rendermi ragione del come! Adesso io pure ti riconosco per uno dei miei colleghi del tempio, e so che tu eri un eccellente oratore e che diverse volte non schivasti di dire la nuda verità in faccia ai papaveri del tempio; ciò ebbe per conseguenza che tu, credo assieme ad altri quattro compagni della tua specie, dovesti partire per la Samaria! Oh, sì, senz'altro tu sei quello, e noi tutti ci rallegriamo di ritrovarti qui perfettamente mondo e sano. Il tuo consiglio, o amico, è senz'altro in sé e per sé buono, ma c'è il politeismo dei romani che...»
6. Mataele allora interrompe Suetal e gli dice: «Oh, questo politeismo è ancora mille volte migliore del monoteismo tenebrosissimo e contemporaneamente della vera e totale idolatria del tempio! Dimmi, c'è ora nel tempio un sacerdote che creda ancora in un Dio? Io dico a voi tutti che il loro ventre e la brama del vivere nella mollezza, questo è veramente ora il loro vero Dio! Essi servono la morte, il peccato e tutti i demoni. I Comandamenti di Mosè tu puoi comperarli per pochi denari d'argento quando vuoi, ma non potrai indurli a indietreggiare neanche di un passo solo quando si tratta del divorare e del godersi, con ogni comodità, la vita di questo mondo! Essi non hanno più vita, e nonostante ciò si spacciano per i signori della vita e come tali pretendono i massimi onori!
7. Essi ormai non hanno più la benché minima idea del cosa sia la vita, non sanno più assolutamente nulla delle Scritture ed i profeti li comprendono come tu comprendi dov’è la fine del mondo. Essi hanno tutti già da lungo tempo perduto la vita dell'anima ed è perciò che con tanta solerzia hanno cura della loro carne malata; come mai dunque avrebbero essi potuto mostrare e dare la vita eterna dell'anima traendola fuori dalla loro morte assoluta?
8. La vita bisogna che venga profondamente riconosciuta attraverso la lotta della vita - con la vita e con la morte - ed in tale riconoscimento essa deve acquistarsi gradatamente e sempre più una maggiore e attiva consistenza se vuole sussistere come una vera vita. Ora, come può mai il morto indicarti che cosa sia in sé e fuori di sé quella vita che esso non ha mai riconosciuto? Io vi dico: "Nel tempio è già da lungo tempo che la morte ha stabilito la sua dimora; qui invece dimora veramente la vita eterna". Ed ecco: i romani la comprendono e diventano essi stessi pieni di vita, mentre il tempio non la comprenderà mai più, dato che esso è già morto per l'eternità; ma allora, che cosa si deve preferire: il politeismo romano oppure il monoteismo del tempio?»
9. Dopo queste parole di Mataele, la meraviglia si fa ancora più grande nei dodici, persuasi dall'esattezza del suo modo di vedere e dalla sua indiscutibile sapienza!
10. E Suetal, rivolgendosi a Giulio, gli dice per scusarsi: «O nobile signore, perdonaci se ti abbiamo così a lungo fatto attendere una risposta, ma tu stesso hai potuto udire le sagge parole di Mataele, e noi dal canto nostro ne fummo tanto rapiti che non ci è stato possibile ancora darti la risposta desiderata. Pazienta però ancora un po’, e noi di certo ti daremo una risposta assolutamente precisa»
11. Dice Giulio: «Non abbandonate Mataele, perché egli comprende più di mee di molte migliaia d'altri come me. Quando egli parla, preferisco tacere anche per dieci secoli pur di stare ad ascoltarlo! Continuate dunque a discorrere con lui, e sono sicuro che egli sarà senz'altro in grado di darvi il migliore consiglio!»
12. Dice Suetal: «Veramente, un consiglio egli ce l'ha dato, ed ora non dipenderebbe che da te accogliere anche noi nella legione straniera!»
13. Risponde Giulio: «E va bene! L'affare lo puoi considerare come concluso, ma nonostante ciò il saggio Mataele più che altri potrà darvi ancora più d'un insegnamento improntato alla massima sapienza, appunto a questo scopo!»
14. Osserva Suetal: «Si, di questa cosa ne abbiamo il presentimento, anche se la sua qualità ci appare meno comprensibile ancora del come sia costituita l'aria che respiriamo! In che modo egli abbia potuto acquisire tanta sapienza, è inspiegabile! Si può capire la prodigiosa guarigione della sua pazzia furiosa, ma da dove sia venuta la sapienza, ciò lo comprende solo chi può!»
Anima e spirito.
1. Dice Mataele, che aveva ben inteso le parole di Suetal: «Rendi il più possibile libera la tua anima da tutti i vincoli del mondo e tu comprenderai ben presto e con la massima facilità in che modo un'anima possa arrivare in brevissimo tempo alla massima sapienza! Ma fino a quando l'anima giace profondamente sepolta sotto l'antico ammasso di putredine della morte, che è costituito dal suo corpo, non si può affatto parlare di una speciale sapienza divina, né vi è possibilità per questa di venire neanche lontanamente percepita!
2. Là, qualche passo davanti a noi, tu vedi un ceppo che appare solidamente infisso nel terreno. Ora vai e mettiti a sedere sopra, ed io ti garantisco che così restando seduto non ti muoverai dal posto nemmeno se aspetterai molti anni. Appena il ceppo si sarà imputridito completamente tu cadrai con esso a terra. E se tu, poi, non potrai o non vorrai staccarti dal tuo posto prediletto, finirai con certezza assoluta con l'imputridire tu stesso completamente assieme al ceppo; perché ogni cosa morta conviene che prima venga, per così dire, interamente annientata, qualora abbia a trapassare ad una qualche sfera vitale. Ma se invece di sederti sul ceppo vai più in là, in riva al mare, e sali su di una nave, la liberi dagli ormeggi, tendi la vela e ti metti al timone, vedrai che in questo modo non rimarrai fermo al tuo posto, ma la navicella si muoverà e ben presto arriverai in un nuovo paese nel quale potrai imparare molte cose nuove, arricchendo così il patrimonio della tua esperienza. Vedi, così stanno le cose! Ma fino a tanto che tu hai cura di ciò che concerne la carne e la vita comoda e beata, allora tu continui appunto a rimanere seduto sul ceppo e non ti è possibile muoverti. Se invece rinunci completamente a dedicare le tue cure prevalentemente alla tua carne e poni ogni tua cura in ciò che riguarda la vita dell'anima e dello spirito che è in lei, ebbene, così facendo tu sali sulla navicella della vita ed in brevissimo tempo, vincendo la tua pigrizia, procederai avanti. Comprendi la similitudine?»
3. Osserva allora Suetal: «Che cos'è quello che hai detto di uno spirito nell'anima? Ma se è appunto l'anima quello che comunemente viene chiamato lo spirito?»
4. Dice Mataele: «O amico mio, se tu non sai ancora che in ciascuna anima dimora uno spirito di ogni vita, allora certo che non puoi per nulla comprendere ancora da dove mi sia giunta quel po' di sapienza che ora mi è propria! Ed in questo caso, vedi, è molto difficile discutere con te, perché pur avendo aperte le orecchie non intendi nulla, né vedi nulla pur tenendo gli occhi ben spalancati!
5. L'anima non è che un vaso ricettore della vita proveniente da Dio, ma non è di gran lunga ancora la vita stessa; perché se essa fosse la vita stessa, che animale di profeta sarebbe stato capace di predicare qualcosa riguardo al raggiungimento della vita eterna, come pure, viceversa, riguardo alla possibilità di una morte eterna? Ma poiché l'anima può giungere a vita eterna soltanto mettendosi sulla via della vera virtù divina, come può venir dimostrato sulla scorta di moltissimi esempi, ne risulta l'impossibilità che essa stessa rappresenti la vita, mentre invece essa non è altro che un organo ricettore della vita.
6. Soltanto una piccolissima Scintilla nel centro dell'anima è quello che si denomina lo Spirito di Dio e che costituisce la vera vita. Questa Scintilla deve venire nutrita con del cibo spirituale che è la Parola di Dio. Attraverso questo cibo la Scintilla nell'anima si rende più grande e possente ed essa allora attrae a sé perfino la personalità animica dell'uomo, la compenetra gradatamente fino in fondo e finalmente trasforma ed incorpora nel suo essere tutta l'anima nella sua integrità, ma poi non c'è più dubbio che l'anima stessa diventa compiutamente vita, ed essa allora si riconosce per tale in tutte le profondità delle profondità.
7. Non appena la vita giunge in questa forma a riconoscersi completamente e ad avere la perfetta e chiara coscienza di se stessa, sicuramente allora essa riconosce ciò che è la sapienza fino nelle sue più profonde radici, ma finché questo non sia stato il caso desiderato, non si può parlare di sapienza!
8. La vera sapienza è la luce degli occhi dello spirito nell'occhio dell'anima; ma, quando l'anima domanda ancora che cos'è lo spirito in lei, da dove può mai venire in lei la luce dello spirito e di ogni vita nei suoi occhi altrimenti ciechi del tutto?»
9. Dice Suetal: «Amico, te ne prego! Cessa di parlare così e non ricominciare fino a quando non riuscirò a comprendere questo linguaggio, perché per ora riesco a comprendere che per afferrare queste cose sono ancora troppo cieco e tardo di mente! Nonostante ciò, noi tutti cercheremo in ogni modo di fare tesoro degli insegnamenti che nel frattempo ci hai dato! Ormai sono convinto che hai completamente ragione, però, per comprendere a fondo la tua sapienza profondissima, c'è bisogno di una preparazione diligente che a noi finora è stata assolutamente impossibile! Ma come detto, noi intendiamo diventare, con grande entusiasmo, tuoi discepoli!»
Sulla vita e sulla morte.
1. Dice Mataele: «Un onesto buon volere equivale già a metà dell'opera, ma l'uomo non deve troppo fermarsi al buon volere, bensì deve farvi seguire al più presto possibile anche le opere, altrimenti con il trascorrere del tempo la volontà s'intiepidisce, perde la sua forza d'espansione e finisce con il diventare troppo debole per il compimento delle opere buone.
2. Vedi, finché l'acqua bolle nella pentola, vi si può far cuocere e rendere morbidi diversi frutti e li si può ridurre a cibo facilmente digeribile, ma se poi l'acqua nella pentola s'intiepidisce ed infine si raffredda del tutto, allora non si può più assolutamente parlare di una cottura perfetta dei frutti!
3. Perciò la volontà dell'uomo è simile all'acqua che bolle in una pentola. L'amore verso Dio e verso ogni cosa buona della vita data da Dio è il fuoco che porta ad ebollizione l'acqua della vita nella pentola, mentre i frutti che devono venire ammorbiditi e resi atti alla nutrizione sono quelle azioni e quelle opere che noi abbiamo riconosciuti come vere e buone, ma cui non abbiamo ancora dato esecuzione pratica, per questo noi, finché il bollore è intenso, dobbiamo appunto tenere i frutti immersi nell'acqua, altrimenti rimangono crudi e indigeribili e non sono di alcuna utilità per la vita.
4. Dunque, ciò che si vuole bisogna anche metterlo in opera, altrimenti la volontà resta sempre una menzogna di fronte alla vita, e la menzogna non può mai convertirsi in verità!
5. La verità però corrisponde alla vita, come la menzogna corrisponde alla morte; dunque cerca in ogni cosa la verità perché essa è la vita e fuggi la menzogna dentro e fuori di te, perché essa è veramente la morte.
6. Ovvero, che cosa hai tu se t'immagini di possedere qualcosa? Ecco, nient’altro che il vuoto della tua immaginazione; ma che cosa è questo? Vedi, questo è il nulla, ed essendo nulla, corrisponde davvero alla morte!
7. Se tu volessi costruirti una casa e non avessi né materiali né muratori, che aspetto potrebbe avere infine la casa che tu vuoi edificare? Ecco, la casa non arriverà mai ad assumere una forma! Ora, il materiale è costituito dalle azioni e dalle opere di una volontà vivente, ed i muratori sono la ferma volontà d'azione. Questi operai, poi, con il materiale delle buone opere costruiscono una vera dimora, e questa dimora è la tua vera vita in Dio che resterà incrollabile e indistruttibile per l'eternità! Però, con una fatica minore non si costruisce una casa, men che meno poi la casa della vita. Di conseguenza conviene essere, con ogni scrupolo, attivi in tutta la pienezza della forza che a ciascuno di noi è stata singolarmente conferita, altrimenti la costruzione della dimora eterna procederà molto malamente.
8. Quando Noè pose mano alla costruzione dell'arca, sembra che da principio si fosse accinto all'opera comandatagli con molta indolenza e trascuratezza, e quando i suoi avversari se ne accorsero, si diedero a distruggere di notte il lavoro da lui compiuto durante il giorno. Dopo molti anni cominciò a lavorare giorno e notte attorno all'arca e dispose una sorveglianza, e da quel momento la costruzione si avviò a passi rapidi verso il suo compimento. Venuta l'epoca del gran cataclisma, egli offrì, come è noto, protezione e ricovero a coloro che si erano rifugiati lì dentro, preservandoli dalla rovina che altrimenti sarebbe stata inevitabile!
9. Per concludere, io ti dico che veramente noi tutti siamo pure altrettanti Noè. Il mondo - con le sue menzogne, le sue illusioni e tutte le seduzioni che ne derivano - è il diluvio che sempre più s'avanza. Ma per evitare di venirne inghiottiti, necessita che noi si dia con ogni zelo mano alla costruzione dell'arca, come ci è stato comandato. Ora quest'arca è rappresentata dal consolidamento della vita dell'anima nostra agli scopi della conservazione e del finale perfezionamento della vita spirituale da Dio nell'anima.
10. Quando poi, al termine delle cose, il flusso della seduzione e della tentazione mondana si inabisserà nel profondo della sua vacuità, allora la vita divina nell'anima ne uscirà e s'innalzerà in tutta la sua potenza, ed in una nuova e pura sfera vitale, e senza più paura alcuna di una insidia nemica, darà inizio in pienissima ed assoluta libertà un'opera nuova, benedicendo con ciò in Dio e con Dio l'infinito intero di eternità in eternità! Comprendi queste immagini?».
Il Signore provvede ai convertiti.
1. Suetal, completamente sbalordito, si rivolge a Giulio e gli dice: «O signore! È davvero incomprensibile da dove tanta sapienza possa essere venuta in quest'uomo! Eppure io lo conosco benissimo da quando era nel tempio, dove semmai era proprio la sapienza quella che meno d'altro si sarebbe sospettata fosse in lui. Quando noi fummo trasportati da Genezaret fin qui a bordo di una nave, egli era in preda alla frenesia più maligna e non aveva più assolutamente un aspetto umano. Sono a mala pena trascorse ventiquattro ore da quando era ancora pazzo furioso, ed ora lo troviamo qui assurto ad un tale grado di sapienza quale non c'è Salomone al mondo che giunga neanche lontanamente ad eguagliarlo. Dicci, dunque, che cosa è accaduto di lui? Come mai ha potuto acquistare tanta luce?»
2. Risponde Giulio: «Non sapete voi che a Dio è possibile ogni cosa? Basta che voi mettiate veramente in pratica quello che Egli vi ha detto, e poi vi persuaderete bene in voi stessi come un uomo possa in breve tempo arrivare a simile sapienza. C'è un proverbio romano il quale dice: "EX TRUNCO NON FIT MERCURIUS" (Da un tronco d’albero non si ottiene Mercurio - dio romano). Uno zoccolo di legno è immobile e non vi è in esso attività alcuna, mentre d'altra parte l'immaginosa religione dei romani non ha una divinità che abbia tanto da fare appunto quanto Mercurio. Dunque Mercurio è il simbolo di una incessante e giusta attività; lo zoccolo, o tronco, denota invece la massima inerzia, e per conseguenza da un tronco non salterà mai fuori un dio Mercurio! È bene quindi, conformemente agli insegnamenti della sapienza, essere attivi al massimo se alla vera sapienza si vuole arrivare; un'altra via che conduca a questa non la si conosce. La sapienza non la si può imparare come si fa di una qualche altra scienza, ma la si deve acquistare in sé, e per virtù propria, mediante una vera ed intensa attività, secondo gli insegnamenti della sapienza stessa.
3. Dunque, se volete conoscere a fondo come Mataele sia arrivato ad una simile sapienza, che ora suscita tanta meraviglia in voi, conviene prima che voi stessi giungiate alla sapienza battendo la via dell'incessante ed intensa attività, altrimenti ogni vostra domanda è inutile, ed altrettanto inutile e vana è ciascuna risposta alla vostra domanda»
4. Osserva Suetal: «Tu certo parli bene, ma come si distingue inequivocabilmente una simile giusta via?»
5. Risponde Giulio: «Ecco, non siamo arrivati ancora a mezzogiorno, e fino a questa sera c'è un discreto lasso di tempo durante il quale avrete occasione di vedere e di udire varie altre cose, ed anche questa via vi verrà indicata in maniera completamente chiara. Adesso però meditate su quello che già avete appreso e poi tutto ciò che seguirà vi apparirà più evidente e chiaro. In quanto al resto riconfermo la mia sentenza, secondo la quale voi siete pienamente assolti. Soltanto badate bene di non lasciarvi nuovamente indurre a rivolgervi contro di noi, perché in tal caso vi andrebbe molto peggio di questa volta!»
6. E detto questo Giulio retrocede di qualche passo, viene vicino a noi, cioè a Me ed a Cirenio, e Mi domanda se la trattativa e la sentenza fossero state pienamente conformi al buon ordine.
7. Gli dico Io: «Ne è soddisfatto il tuo cuore, vale a dire la voce d'amore intimissima che è nel tuo cuore? Che cosa ti dice questa?»
8. Dice Giulio: «Oh, per questo il mio cuore è molto soddisfatto, e vi domina il giusto desiderio di condurre questi uomini sulla vera via della vita»
9. Osservo Io: «Ebbene, se è così, tutto va bene ed è in perfetto ordine. Con loro si potrà raggiungere senz'altro lo scopo migliore, ma naturalmente converrà che essi vengano esposti ancora a più di una qualche piccola prova. Va anche bene che voi l'accogliate nella legione straniera, soltanto dovete concedere a loro una sufficiente opportunità di proseguire sulla riconosciuta via della salute. I cinque però, con a capo Mataele, vogliate assegnarli come si conviene alla legione, perché essi nel Nome Mio renderanno a tutti voi degli eccellenti servizi, e la loro interiore sapienza otterrà entro breve tempo dei buonissimi risultati. Frattanto bisognerà evitare che essi rimangano in Galilea, poiché non passerà molto che il tempio da una parte o dall'altra arriverà a sapere che circa quarantasette fra i suoi membri hanno disertato, e non mancherà di dar loro la caccia servendosi di Erode. Se in Galilea non troveranno niente in nessun luogo, gl'incaricati non avendo potuto concludere nulla faranno ritorno, e poi i quarantasette verranno considerati come dispersi e perduti in qualche luogo, ed a loro non si penserà più. In questo modo voi romani rimanete al coperto e grazie a voi anche i quarantasette, venendo così accomodato tutto senza dover far ricorso ad una qualche menzogna»
10. Dice Cirenio: «Ma a Tiro e a Sidone essi saranno certo al sicuro! Perché là ci sono pochi ebrei»
11. Rispondo Io: «Oh, sì, più sicuri che in Galilea certamente, però più sicuri ancora si troverebbero in qualche località dell'Africa o in una città del Ponto Eusino»
12. Dice Cirenio: «E sta bene! Io finirò sicuramente con il trovare per loro un luogo adatto, dove potranno starsene in pace lontano dalle insidie del tempio, e se anche quella gente guidata dal suo buon fiuto dovesse arrivare fin là, ebbene, noi abbiamo ancora a disposizione dei mezzi per rendere il loro olfatto insensibile a qualsiasi odore!»
13. Dice Giulio: «Questa cosa mi rincresce molto, specialmente per i cinque; perché è davvero stupefacente a quale profondità di sapienza siano potuti arrivare, e con questo loro mezzo si potrebbe giungere rapidamente alla vera meta della vita, invece di restare rimessi alle sole nostre forze»
14. Allora osservo Io: «O amico! Io sono l'unico e il solo indicatore della retta via, ed Io solo sono altresì la Via stessa, nonché la Meta. Chi è stato a dare ai cinque ciò che ora possiedono? Vedi, sono stato Io stesso! Ma se Io, fuori da cinque malamente ossessi, posso trarre in brevissimo tempo cinque saggissimi fra i saggi, sarò ben capace di fare altrettanto con te che non sei un ossesso furioso!
15. Io solo sono la Via, la Verità e la Vita. Ora, se tu hai Me, a che cosa ancorati possono servire i cinque? Certo, quello che necessita è che rendano, ed essi anche renderanno, all'umanità molti e buoni servizi per mezzo Mio e nel Mio Nome soltanto, ma tu non hai bisogno di loro, tanto più che perfino nella cittadella di Genezaret vive un Ebal, una Giara ed un Raffaele! In quale altro luogo della Terra potrai trovare altrettanta attenzione per i bisogni spirituali?
16. Non hai inteso la domanda di Suetal, quando ha detto che vorrebbe sapere come e per mezzo di chi o di che cosa i cinque hanno acquisito tanto rapidamente la loro profondissima sapienza? Ecco, tu ora lo sai molto bene, ma per i dodici questo è ancora un enigma, mentre non lo è certamente per te. Ti è ormai noto quello che ai dodici è ignoto ancora; come dunque potresti considerare i cinque quasi fossero già giunti allo stesso Mio grado di sapienza?»
17. Risponde Giulio alquanto turbato: «O Signore, la ragione è da ricercarsi nel fatto che sono un po' ricaduto nella mia stoltezza, ma adesso è tutto ritornato nell'ordine più perfetto, e sono oltremodo lieto per le disposizioni che Tu hai preso per i quarantasette uomini, disposizioni che avranno tutte puntualissima esecuzione! Bisogna che però Tu, o Signore, mi perdoni, in grazia, quel po' di stoltezza che è emersa in me!»
18. Dico Io: «Non c'è proprio niente che Io abbia da perdonarti! Quando tu sei in te e con te stesso nuovamente in ordine, allora anche per Me tutto è in ordine, e con ciò ti è rimesso pure ogni peccato.
19. Ma ora va e fa portare ai dodici pane, vino e del sale, dato che anche questi da due giorni non hanno preso più cibo di quanto ne possa ingoiare una mosca! Finora è stata soltanto la Mia Volontà a mantenerli in forze, ma poiché adesso ce n'è l'occasione, conviene che vengano ristorati in maniera naturale con cibo e bevanda. Sia dunque fatto così!»
Narrazione della guarigione di un infermo sul prato benedetto.
1. Giulio, appena intese queste Mie parole, va subito dal nostro Marco, occupatissimo insieme agli altri per l'allestimento di un buon pranzo, e gli espone quanto avevo richiesto. Marco allora si avvia in tutta fretta alla dispensa, che ormai sembrava non volersi più vuotare, e prende una grossa pagnotta ed una scodella di sale. Incarica i suoi due figli di andare a prendere due grandi boccali di vino e di lì a poco tutto viene portato ai dodici.
2. E quando questi scorgono il pane e il vino, sentono una gran fame, e Giulio, accortosi del desiderio con il quale guardavano il cibo, dice loro: «Io so bene che siete terribilmente affamati, però, se volete mantenervi in salute, non mangiate con troppa avidità, ma vedete di moderarvi e poi vi sentirete tutti perfettamente bene!»
3. Dicono i dodici: «O buon signore, non dubitare, sapremo moderarci!». Ma nonostante questo buon proponimento la grande pagnotta sparisce in pochi istanti, e il vino e il sale seguono lo stesso destino; e si capisce che se ci fosse stato ancora dell’altro, ai dodici sarebbe stato ben accetto.
4. Però Giulio osserva: «Amici miei! Per una prima colazione questo basta, comunque tra poco verrà servito il pranzo, ed in questa occasione non vi sarà carenza nemmeno per voi»
5. Dice Suetal: «Va bene, per la prima necessità ciò è sufficiente, e per saziarci avremo tempo anche a pranzo. Però c'è di mezzo una cosa, o signore e nobilissimo filantropo, e cioè noi non abbiamo davvero niente con cui poter regolare il conto con il padrone»
6. Dice Giulio: «Voi siete ormai cittadini di Roma e non avete più da curarvi per chi sarà a pagare il conto per voi! Perché un romano non è rimasto mai ancora debitore di un conto a chicchessia, e l'oste è da parte nostra già indennizzato anticipatamente per parecchi anni. Noi possiamo restare qui a far conti anche per un anno intero ed egli sarà tuttavia ancor sempre in vantaggio! Non preoccupatevi per chi sarà che pagherà!»
7. Dicono tra di loro i dodici: «O fratelli, questo è un linguaggio ben differente da quello che si ode nel nostro tempio, dove non si riceve quasi niente da mangiare, si digiuna e non si recitano le orazioni. D'altro canto, però, è vero che i pezzi grossi digiunano e pregano poco e invece ogni giorno divorano una quantità di elemosine e di offerte per la maggior gloria di Dio, ma i giovani proseliti del tempio possono, "PRO POPULO" (A favore del popolo), digiunare e ancora digiunare, che non soltanto lo stomaco e il ventre cominciano a brontolare, ma anche le ossa! Ci dovevano dare l'opportunità di diventare romani molto tempo prima! Quando è necessario, qui tutto è al suo posto: saggezza, bontà, giustizia e severità, ed anche il pane e il vino sembra che non manchino! Oh, abbiamo l'intenzione di restare romani dalla pelle alle ossa, e con il corpo e con l'anima! Evviva Roma e tutti i suoi rappresentanti!»
8. Dice Giulio: «Molto bene, o amici, il vostro sentimento è buono anche se, e ciò è comprensibile, è presente ancora una buona dose di egoismo, ma anche questo si spera svanirà con il tempo. Oggi, però, avrete occasione di vedere e di udire ancora cose quanto mai straordinarie, che serviranno ad illuminarvi maggiormente. Tuttavia astenetevi dal fare molte domande e sia invece vostra cura osservare e ascoltare. Le spiegazioni poi verranno da sé»
9. Queste parole suscitarono grande curiosità nei dodici, e tutti ansiosi si chiedono l'un l'altro che cosa il nobile romano può voler dire con la dichiarazione che essi, in quel giorno, avrebbero visto ed appreso ancora molte altre cose straordinarie, dalle quali avrebbero potuto trarne molti ammaestramenti, e che tutto infine si sarebbe spiegato da sé. Di che cosa potrà trattarsi?
10. Dice Suetal, desideroso di parlare: «Ebbene, cosa potrà essere? Non avete mai udito parlare dei giochi olimpici dei romani? Probabilmente essi allestiranno qui uno spettacolo di questo genere! A noi però, che siamo pure cittadini di Roma, sarà ben lecito di assistervi, ed in questa occasione potremo forse vedere ed udire cose che ci saranno molto utili. Certo si tratterà di questo e non di altro»
11. Osserva allora un altro dei dodici: «Non credo che sia proprio così. Voi otto ignorate completamente delle circostanze che invece io conosco, perché voi venite dalle parti del Mezzogiorno e poco potete sapere di tutto quello che da poco si è verificato in Galilea. Vi è noto che io e tre altri ancora che sono dalle colline di Genezaret, siamo stati arrestati e trasportati qui con voi, per complicità nei vostri tentativi di sobillazione. Ma appena tre giorni prima del nostro arrivo, sui nostri monti, a Genezaret, erano accaduti dei fatti straordinari quanto mai. Il Medico miracoloso da Nazaret, quello menzionato poco fa dal comandante romano, era capitato là, ed in quella occasione guarì tutti gli ammalati, che erano stati portati là sofferenti delle più svariate infermità, e per ottenere un simile risultato Egli si servì unicamente della Sua divina Parola!
12. Io stesso ho un fratello che ora si trova a casa e che è venuto in possesso dell’eredità. Ebbene, anch'egli, colpito da una artrite acuta, era ridotto ad un essere rattrappito e incapace di muoversi; non poteva né stare disteso, né seduto, né rimanere in piedi. Noi lo tenevamo in una grande cesta ricolma di paglia morbida. Tormentato da atrocissimi dolori, spesso urlava per delle giornate intere; dopo questi momenti di crisi restava di solito talmente spossato da sembrare completamente morto. Per cercare di procurargli qualche sollievo fu tentato quasi l'impossibile, perfino l'acqua della piscina di Siloe, ma tutto invano.
13. Ora, quando anche a noi sulle montagne giunse la notizia che il famoso Medico da Nazaret si trovava a Genezaret e vi guariva ogni ammalato, io pure, aiutato dai miei servitori e valendomi di animali da soma, portai con fatica indicibile a Genezaret mio fratello completamente infermo. Però, quando fummo arrivati là dopo tanto travaglio, apprendemmo che il Medico aveva intrapreso un viaggio su di una montagna, e che non si sapeva se e quando egli sarebbe ritornato. A questa notizia rimasi come impietrito vicino a mio fratello che non cessava di lamentarsi, mi misi anch'io a piangere disperatamente, pregando con tutto il fervore Dio che volesse mettere fine alle sofferenze amarissime del mio povero fratello, non essendo stata concessa la fortuna d'incontrare il Medico prodigioso. Io allora feci il voto che, quale primogenito, avrei rinunciato a tutti i miei diritti a favore di mio fratello, e che come l'ultimo suo servitore l'avrei servito per tutto il tempo della mia vita, purché gli venisse fatta la grazia di riacquistare la salute!
14. Ed ecco, di lì a poco, dal grande albergo della città uscirono dei servitori per venire da me che ero sulla via, e mi raccontarono come il Salvatore avesse guarito in un attimo tutti gli ammalati, e fra questi una grande quantità di paralitici in modo tale che, poi, erano apparsi come se non fossero mai stati infermi in vita loro. Il Salvatore stesso, però, se n'era andato con i suoi discepoli e con il padrone dell'albergo e altri di casa e del luogo verso un'alta montagna che prima d'allora non era stata ancora scalata da nessun mortale per l'eccessiva ripidità dei suoi pendii. Certamente Egli sarebbe ritornato, ma quando, essi non lo sapevano; tuttavia la cosa in se stessa non aveva grande importanza, dato che quel Salvatore aveva benedetto un prato e sarebbe bastato che io deponessi fiducioso mio fratello sul prato benedetto e subito egli si sarebbe sentito meglio.
15. Io domandai immediatamente dove fosse situato il prato benedetto, ed avendomi indicato il luogo io vi portai immediatamente mio fratello e lo deposi sull'erba. Ebbene, nello stesso istante in cui il corpo ammalato del mio misero fratello ebbe toccato il suolo del prato cominciò a stendere comodamente le sue membra. Ogni dolore era scomparso come spazzato via dal vento, ed in brevissimi istanti mio fratello si trovò sano come me! Prima era ridotto a pelle ed ossa, ed io vi assicuro che poi egli apparve perfettamente in carne come me; ed io oggi ancora non posso ringraziare abbastanza per una simile inaudita trasformazione!
16. Io poi mantenni anche la solenne promessa fatta, e consegnai tutti i miei beni a mio fratello ora molto felice e riconoscente a Dio, e disimpegnai in suo favore con il massimo buon volere tutti i lavori, anche quelli dell'ultimo fra i miei servitori di prima, nonostante mio fratello buono e pieno di gratitudine volesse sempre trattenermi dall'agire così.
17. Ma erano solo pochi giorni che fungevo da servitore di mio fratello che avete già visto e riconosciuto, quando capitaste voi da noi, e siete proprio voi il motivo per il quale assieme ad altri tre servitori di mio fratello ci troviamo ora qui, fortemente liberi da qualsiasi colpa.
18. Con questa mia narrazione, però, io ho voluto unicamente attirare la vostra attenzione sul famoso e miracolosissimo Salvatore da Nazaret, del Quale voi, secondo la vostra stessa ammissione, avete già udito qualcosa qua e là!
19. Dunque, a giudicare dalla domanda del comandante di Genezaret che conosco molto bene, bisognerebbe arguire che quel meraviglioso Medico da Nazaret si trova ora qui e vi esercita la Sua parte prodigiosa; e ciò risulta pure chiaramente dalla guarigione dei cinque pazzi furiosi.
20. Dunque, quando il comandante ha detto che noi avremo occasione di vedere e udire ancora molte cose, ha voluto certamente renderci attenti alle parole ed alle opere che ci si può attendere da parte del prodigiosissimo Medico e non ai giochi olimpici all'uso romano che ai nostri occhi non possono essere di sicuro che una cosa ben rozza da cui non si può ricavare alcuna particolare sapienza e dei quali neanche lo stesso comandante sembra essere un grande ammiratore! Ed ora, qual è la vostra opinione a questo proposito?».
Suetal racconta dell’influsso del Guaritore miracoloso.
1. Dice Suetal: «Potresti benissimo aver ragione! Certamente la cosa sarà così, e adesso io desidero conoscere personalmente questo famosissimo fra tutti i medici. Io prima non ho voluto effettivamente sbottonarmi molto in presenza del buon capitano quando c'interpellò sul conto di questa personalità straordinaria, però potete credermi se vi dico che perfino la Samaria e tutta Sichar sono piene della Sua fama! A Sichar lo si considera addirittura come un uomo tramite il quale lo Spirito di Dio opera in tutta la sua interezza! E questo, permettetemi di dirlo, non è neppur essa poca cosa!
2. E nel tempio, poi, quei pezzi grossi stanno probabilmente studiando notte e giorno il mezzo per poter spedire all'altro mondo un Medico di questa fatta. Ma se simili potenze stanno a Sua disposizione, nonché l'evidente amicizia delle più alte autorità di Roma, tutta la gente del tempio può far quel che vuole e sciogliersi magari in gocce di sangue, però contro di Lui potranno meno ancora di quanto possa una mosca contro un elefante!
3. Pare che Egli all'inizio dell'anno si sia già presentato una volta nel tempio e che vi abbia cacciato via tutti i cambiavalute ed i mercanti, a suon di sferzate. Tutto ciò avvenne dopo tre mesi da quando la fama di questo Salvatore aveva cominciato a divulgarsi!
4. In tutta la Giudea si narrano già le cose più straordinarie sul Suo conto. Il popolo, che è immerso fin sopra il capo nelle tenebre del tempio, crede che compia le Sue opere con l'aiuto di Belzebù, come viene chiamato il principe dei demoni. I migliori Lo considerano un mago.
5. I sicariti Lo onorano già come un Dio, come pure molti greci e romani, ed io quasi quasi scommetterei che anche questi romani che sono qui hanno di Lui la stessa opinione, perché l'antico detto "NON EXISTIT VIR MAGNUS SINE AFFLATU DIVINO" (non esiste gran uomo senza ispirazione divina) conserva presso di loro ancora grande valore, e la cosa ha almeno questo di buono, che essi sembrano certo non essere nemici degli uomini dotati in un modo o nell'altro di grande spiritualità, ed anzi appoggiano sempre con le parole e con i fatti il ricco nello spirito, come pare che anche qui innegabilmente avvenga.
6. Soltanto a Gerusalemme non dovrebbe andarci troppo spesso, né dovrebbe tentare altre purificazioni del tempio, se non fosse dotato di qualcosa di più di una straordinaria forza umana, perché là potrebbe una volta avere la peggio! Per quanto grande profeta o mago possa essere, non è credibile che alla lunga Egli riesca a difendersi contro tutte le macchinazioni infernali e gli incessanti piani di persecuzione e di vendetta di quella gente e che non finisca con il diventare una loro misera vittima.
7. Per concludere dirò che, secondo me, chi contro il tempio non viene con fulmini, tuoni, fuoco e zolfo dal Cielo, poco o nulla può contro il tempio!»
8. Osserva l'oratore di prima, che era dai monti di Genezaret: «Contro quell'Uomo il tempio ben poco potrà! Giacché se i pezzi grossi di cui dici non Lo hanno chiamato a rispondere della pulizia effettuata nel tempio e non Lo hanno arrestato, l'affare per loro dovrebbe riuscire difficile anche una seconda volta e si capisce che la Sua Volontà deve certo esser sussidiata da una potenza veramente divina! Ma se questo è il caso, allora ogni potere umano è assolutamente come se non ci fosse!»
9. Dice Suetal: «O amico, tu non conosci a fondo queste cose! Vedi, quando all'incirca durante la Pasqua ripulì il tempio da quei tali di cui ho parlato prima, in quella occasione il tempio ritrasse un profitto di parecchie centinaia di libbre d'argento puro e d'oro. Oh, io ti dico che a queste condizioni Egli può indisturbato procedere anche ogni giorno alla pulizia morale del tempio, che i pezzi grossi del tempio non frapporranno ostacoli al Suo operare. Ma che si provi una volta ad attaccare direttamente il tempio stesso ed i suoi inenarrabili imbroglioni, e vedremo poi come potrà cavarsela! Io certo non vorrei trovarmi nei Suoi panni!
10. Quanto tempo è passato da quando con sorprendente rapidità si sono sbarazzati del famoso profeta Giovanni, che per qualche tempo predicò penitenza e battezzò nei pressi del Giordano, anche se era tutelato perfino dall'autorità di Erode! Il tempio s'insinuò inosservato dietro alla perfida madre della bella Erodiade, ed Erode finì con il diventare l'assassino del suo famoso protetto. Il tempio dispone dieci volte centomila mezzi per rendere innocuo chi reputa poter diventare pericoloso, e finora soltanto rarissime volte il tempio ha fallito completamente i suoi colpi.
11. Le macchinazioni segrete del tempio hanno tali e tante diramazioni che perfino i romani ne hanno un certo rispetto; è vero che già molte cose sono venute alla luce, ma a cosa serve tutto questo se non si possono trovare prove assolutamente valide a carico dei suoi figuri?».
I discorsi di Mataele e Suetal sui rimproveri.
1. A questo punto Mataele, che a qualche distanza aveva inteso tali discorsi, si avvicinò ai dodici e disse: «Voi siete in maniera molto accentuata ancora della gente materiale, specialmente poi tu, Suetal, ed i tuoi sette colleghi. Voi non avete ancora la benché minima idea di Colui che si trova qui.
2. Il Salvatore da Nazaret è qui, proprio qui, ma Chi Egli sia, non lo sospettate nemmeno lontanamente, e perciò non fate che dire sciocchezze scandalose sul Suo conto e del Suo operare!
3. Però, chi nel giusto ordine è un vero uomo, non deve dire che la verità; se non la conosce, che taccia, cerchi ed indaghi, e quando ha trovato la verità, solo allora parli! Perché chi parla senza aver riconosciuto la verità egli mente anche se per combinazione e casualmente talvolta dice la verità!
4. Sulle labbra di un vero uomo non deve mai apparire la menzogna, perché mediante la menzogna l'anima procede verso la morte e non verso la vita!
5. Chi dunque trova diletto nella menzogna, quegli di gran lunga non conosce il valore della vita, perché vita e verità sono una cosa sola! La verità soltanto può rendere libera la tua anima e può dischiuderle l'infinito di Dio nell’essenza, nell'essere e nell'operare.
6. Ma quando tu pensi e parli come ti ho udito ora parlare, rendi di te stesso aperta testimonianza che la tua anima, invece di abitare nel gran tempio della e di ogni verità, non si trova che in una stalla di maiali!
7. A che scopo fare delle considerazioni, quando non si ha alcuna base? Il comandante Giulio da Genezaret vi ha pur avvisati che oggi vi saranno molte cose ancora da vedere e udire, e vi ha molto saviamente avvertiti di astenervi perfino dal fare troppe domande e di limitarvi ad accogliere quanto vedrete ed udrete nell'amore dei vostri cuori per poi adeguarvi le opere, e che così facendo la spiegazione sarebbe venuta da sé! Dunque, il comandante ha parlato giustamente!
8. Tralasciate perciò ogni discorso superfluo, campato puramente in aria e privo di ogni fondamento di verità. Osservate ed ascoltate, accogliendo tutto nei vostri cuori, e così in breve tempo ne ricaverete maggior profitto che non se continuaste anche per lunghi anni ad ammannirvi reciprocamente delle menzogne, sia pure nell'illusione di aver detto la verità!
9. Domandare è certo miglior cosa di voler spiegare ciò che non si conosce affatto, ma quando si domanda è necessario sapere qual è l'oggetto della domanda ed a chi questa viene rivolta, altrimenti la domanda stessa è altrettanto una insensatezza quanto lo è una risposta menzognera campata in aria.
10. Perché mediante l'esperienza devo avere piena convinzione che l'interrogato può darmi una risposta veritiera, ed infine devo aver prima esattamente vagliato che la questione che pongo a qualcuno non sia una sciocchezza. In caso diverso, domandando, dimostro o la mia immensa stoltezza od, eventualmente, la mia celata perfidia! Vi sia ciò di buona norma per la vita, così almeno vi troverete sì modestamente, ma sempre uomini sul suolo di questa Terra!
11. Risponde Suetal, molto ostinato: «Ma mio caro amico Mataele, tu ci rivolgi in certo modo un rimprovero, eppure non ci siamo accorti che qualcuno te ne abbia dato l'incarico! Il tuo consiglio è senza dubbio buono e rispondente a verità, però non è intonato ad una certa amorevolezza, e perciò non può far su di noi assolutamente l'impressione che avrebbe certamente fatto se fosse stato dato in forma un po’ più amichevole. Noi senz'altro lo seguiremo, poiché vediamo che esso è basato sulla verità, tuttavia restiamo dell'opinione che la verità non cessa affatto di esser tale, anche se ci viene incontro in forma cortese.
12. Vedi, due e due fanno sicuramente quattro, questa è una verità, e resta senz'altro tale anche se viene espressa con modi gentili. Dunque, è forse la stessa cosa se, volendo guidare un cieco, lo afferro rigidamente per un braccio facendogli male, o se invece lo conduco dolcemente per mano sulla buona via? Ritengo preferibile il conducente che tiene leggermente il cieco per mano, perché, se io lo tengo per il braccio in modo da causargli dolore, egli tenterà di svincolarsi dalla mia stretta; e chi può garantire che egli non inciampi in quello stesso momento e non cada ferendosi gravemente proprio quando si era liberato dalla mia mano che lo stringeva troppo rozzamente! Ma se invece lo tengo dolcemente per mano, raggiungeremo perfettamente sereni e contenti la meta. Ho ragione oppure no?»
13. Risponde Mataele: «Oh, certo, se le circostanze lo permettano; ma ammettiamo che tu veda un cieco starsene sull'orlo di un burrone e che tu capisca che afferrandolo energicamente per il braccio e tirandolo indietro lo puoi salvare, vorrai anche in questo caso perdere tempo per valutare come e con quanta forza avrai da prenderlo per il braccio?»
14. Dice Suetal: «Ma, parlando in senso spirituale, eravamo così vicini ad un simile abisso di morte?»
15. Risponde Mataele: «Senza alcun dubbio, altrimenti non vi avrei afferrati così rudemente! Perché, vedete, tutto quello che conduce alla menzogna ed è di conseguenza in se stesso menzogna, per quanto insignificante per l’uomo esteriore, costituisce per l'anima già un abisso di morte!
16. Una menzogna lieve e insignificante è per l'anima molto più pericolosa di una menzogna sfacciata ed evidentissima! Perché una menzogna evidente non t'indurrà certo ad una azione, ma una menzogna ammantata di dolcezza e per niente appariscente ti indurrà ad operare come fosse una verità, e potrà facilmente condurti fino all'orlo di ogni rovina. Questa cosa però la vede solo colui al quale si è dischiusa la vista interiore dello spirito! Tu perciò non devi avertene a male se prima ti ho afferrato con una certa impetuosità, perché intorno e fra voi aveva cominciato a strisciare e ad insinuarsi una tenue menzogna come fa una serpe velenosa. La cosa non sfuggì all'occhio mio più illuminato ed a quello dei miei quattro fratelli, e questo spiega anche il mio strappo piuttosto rude e un po' doloroso. Comprendi bene ora?»
17. Dice Suetal: «Oh, se le cose stanno in questi termini, allora il tuo atto un po' brusco verso di noi assume certo tutto un altro significato; naturalmente devo confessare che le ragioni spirituali noi non le vediamo, e dobbiamo crederti che è così. Ad ogni modo non possiamo fare a meno di riconoscere che il tuo ragionamento è molto ben fondato, e perciò crediamo anche alle tue parole. Ma poi, di che cosa possiamo parlare noi dodici? Stare assolutamente zitti è una cosa che fa disperare ed è noiosa, e d'altro canto, in fatto di verità, noi stiamo ancora piuttosto maluccio!»
18. Osserva Mataele: «O amico mio, se tu dovessi attraversare un fitto bosco sulla montagna in una notte tenebrosissima, e sapessi che il bosco è ricco di pendii pericolosi e di profondi crepacci, non sarà meglio per te sostare in attesa della luce del giorno, piuttosto che andar dietro a qualche fuoco fatuo, con il rischio di precipitare in una voragine? Non è certo attraente pernottare nel folto del bosco di una montagna, ma è sempre incomparabilmente da preferire al continuare il cammino su di un terreno dove anche un solo passo mal fatto può causare la morte! Che cosa ne dici?»
19. Risponde Suetal: «Sai una cosa, con te non è proprio consigliabile cimentarsi in discussioni, perché risulta che alla fine la ragione resta sempre dalla tua parte, e non si può ribattere niente; perciò seguiremo il tuo consiglio, ed allora neanche tu avrai certo più nulla da poterci obiettare».
Mataele parla della legge e dell'amore.
1. Dice Mataele: «Eppure ci sarebbe ancora da obiettare qualcosa di una discreta importanza.
2. Se il far così è la conseguenza di una costrizione e non è l'effetto di una convinzione e di un amore, allora è meglio che desistiate dal vostro proponimento, e facciate frattanto come il vostro amore vi detta. Perché quello che l'uomo non fa interamente per amore ha per la sua vita soltanto poco valore, essendo certamente l'amore il vero elemento della vita, o meglio il fondamento stesso della vita.
3. Dunque, quello che è afferrato dall'amore è afferrato allo stesso tempo dalla vita, e nella vita si riversa; ma quello che rimane non toccato dalla vita viene fatto dall'uomo solamente perché egli, altrimenti, teme delle cattive conseguenze o perché il suo piccolo orgoglio vuol far così per ammantarsi di qualche sapienza di fronte al suo prossimo - questo non trapassa nella vita, ma unicamente nella morte, perché non è stato afferrato dall'elemento della vita ma esclusivamente dall'elemento della morte.
4. Io ti dico: "Nessuna legge, per quanto savia sia, genera la vita, ma soltanto la morte, qualora l'uomo non l'osservi per convinzione d'amore; ed in questo caso il più savio consiglio è simile ad un seme che invece su di un buon terreno cade sulla nuda pietra, dove non può finire che disseccato; quindi nell'impossibilità assoluta di generare dei frutti»
5. Io posso parlarvi così perché vedo che è effettivamente così: tutto nell'uomo è morto tranne l'amore! Lasciate dunque che il vostro amore governi sopra tutto il vostro essere, e fate in modo che ciascuna vostra fibra sia compenetrata dall'amore. In questo modo avrete in voi la vittoria sulla morte, e quello che in voi era morto trapasserà, mediante il vostro amore, nella vita indistruttibile di questo; perché l'amore che percepisce se stesso, e da questo sentimento anche si riconosce, questo amore è appunto la vita stessa, e tutto ciò che in esso trapassa, trapassa anche nella vita!
6. L'osservanza per quanto precisa del mio consiglio gioverebbe a poco se doveste seguirlo unicamente per la verità su cui risulta fondato o perché non osservandolo temete una conseguenza negativa; perciò, il seguire il mio consiglio in questo modo non sarebbe tuttavia di alcuna utilità per le vostre anime. Ah, ben altra cosa è invece quando amore e verità si afferrano a vicenda, e così congiunti operano insieme; in queste condizioni l'amore crea allora, dalla luce e nella luce della verità, continuamente una vita nuova e più perfetta in sé e fuori da sé, fino a raggiungere la piena somiglianza a Dio!
7. L'amore, ovvero lo Spirito di Dio nell'uomo, è certamente già dalla sua prima origine un'immagine di Dio, però occorre che si elevi con le proprie forze alla piena somiglianza a Dio, intraprendendo attivamente quella via che vi ho indicata. Comprendete queste cose?»
8. Risponde Suetal, ormai completamente rasserenato: «Per l'Onnipotente Dio! Tu sei davvero uno fra i maggiori profeti, perché in maniera tanto vera, comprensibile e savia non ha ancora mai parlato al suo popolo alcun profeta. Tu, in verità, già nel tuo dito mignolo possiedi e conosci la vita in modo più perfetto che non tutti noi nel nostro intero corpo, o meglio nelle nostre anime prese assieme. O sì, certo, o fratelli! Quanto dice Mataele è davvero una ispirazione divina, e noi non potremo mai ringraziare abbastanza Dio per averci guidati, per così dire, a lui in maniera tanto meravigliosa! Oh, ma se già la tua sapienza è tanto decisamente superiore alla nostra, quale non sarà quella del Salvatore di Nazaret che noi non conosciamo ancora?»
9. Dice Mataele: «Che cosa è che brilla con tanto meraviglioso splendore nella goccia di rugiada che pende da un filo d'erba?
10. Ecco, quello che brilla nella limpida goccia di rugiada è l'immagine del Sole. Tuttavia, l'immagine del Sole non solo risplende, ma agisce anche. Nel centro della goccia si condensa la luce dell'immagine solare, e la goccia allora sviluppa nel suo centro un immenso calore vitale, ed in questo calore vitale essa stessa infine si dissolve del tutto nell'elemento della vita, vivificando così la pianticella sempre in lotta con la morte. Ma non per questo l'immagine nella goccia ha la pretesa di essere addirittura il Sole, ma è e resta semplicemente un'immagine di questo, ed è fornita di una particella di quella stessa forza ed efficacia d'azione che appartengono al vero ed enorme corpo solare!
11. Dunque, l'identico divario sussiste anche fra me e il Salvatore da Nazaret! Egli è il Sole stesso della Vita, ed in me, che rappresento la goccia di rugiada, si manifesta ed agisce in maniera meravigliosamente chiara soltanto una piccolissima immagine di quel vero Sole eterno ed incommensurabile, dal quale traggono il loro santo nutrimento vitale tutte le innumerevoli miriadi di gocce quali noi siamo. Ti è chiaro tutto ciò?»
12. Esclama Suetal: «O mio Dio, che santo linguaggio è mai questo! O amico, tu sei ben più di una goccia, tu sei un mare intero! Oh, a tanto noi non arriveremo mai! Questi concetti sono tanto grandi, maestosi e santi da riempire ogni cuore di commozione intensa, però, date le condizioni del luogo e l'alito evidentemente troppo divino che qui spira, noi non ci sentiamo di rimanere più oltre da peccatori eccessivamente rozzi come siamo, perché questo luogo comincia ad assumere ai nostri occhi un aspetto sempre maggiore di santità!»
13. Anche gli altri undici esprimono un sentimento di massima umiltà, e manifestano l'intenzione di ritirarsi in qualche altro luogo, ma allora Giulio si oppone a questa loro intenzione.
14. Suetal però dice: «O signore, quando un giorno Mosè, in cima al monte, volle avvicinarsi al roveto ardente per accertarsi di che si trattasse, egli udì fuori dalla fiamma una chiara voce parlargli: "O Mosè! Levati i calzari, perché il luogo dove tu stai è sacro!". Ora qui, come risulta evidente dalle parole che abbiamo intese, è quello che Mosè incontrò sul monte! Dunque, anche questo luogo è sacro, e noi peccatori non siamo per niente degni di rimanervi!».
Spiegazione del significato dei fatti esteriori accaduti a Mosè.
1. Allora Mataele, che era rimasto lì vicino, dopo la richiesta di Giulio, il quale non si sentiva in grado di ribattere efficacemente alle parole di Suetal, interviene e dice: «E chi è che vi dice se siete o non siete degni di calcare questo suolo con i vostri piedi? In quale libro, che sia ispirato a qualche sapienza, è scritto che date certe condizioni un ammalato non debba essere degno del proprio medico? Sappiatelo bene! Una simile supposizione da parte vostra non è che il frutto della sapienza rozza del tempio, il quale fa bruciare le mani a colui che osa toccare, con mano profana, la soglia che conduce al Santissimo. Ma quando, invece, gli alti farisei giornalmente vi introducono di nascosto i forestieri, dopo aver pagato una somma non indifferente, allora certo le mani dei forestieri non vengono fatte passare per il fuoco!
2. Che cosa volle Dio far comprendere effettivamente a Mosè, quando gli disse di togliersi i calzari?
3. Ecco, vedi, Dio intese dire questo a Mosè: "Spogliati di quanto vi è in te di materiale e sensuale. Allontana da te, attraverso la tua volontà, l'antico Adamo di carne e sii al Mio cospetto un uomo in completa purezza di spirito, altrimenti non potrai comprendere la Mia Voce, ed Io non potrò fare di te la guida del Mio popolo»
4. E quale significato ha la salita sul monte?
5. Vedete, Mosè fuggiva dinanzi alla persecuzione ordinata dal faraone perché era stato ucciso un alto funzionario, il quale si può dire che fosse stato come un figlio del re.
6. Mosè era tenuto in grande stima presso il faraone, così tanto che non sarebbe stata eccessivamente azzardata l'ipotesi che, come già accaduto a Giuseppe, avesse un giorno potuto ottenere la signoria sull'Egitto, permettendo così d'innalzare il suo popolo.
7. Una simile aspirazione all'innalzarsi, Dio gliela indicò mediante la salita del monte, sulla cui vetta però non gli era concesso di arrivare, poiché il roveto era in fiamme.
8. E ciò, espresso in linguaggio ben comprensibile, voleva dire: "Tu certo diverrai il salvatore del Mio popolo, ma non nella maniera che credi tu, ma come Io, il tuo Signore e tuo Dio, te lo prescriverò!
9. Tu non diverrai re d'Egitto, e non devi rendere materiale, orgoglioso ed egoista il popolo che ho educato all'umiltà, ma il popolo deve abbandonare questo paese e deve ritirarsi con te nel deserto! Là Io darò delle leggi al popolo, ed Io stesso gli sarò da Signore e da Guida; e se il popolo Mi rimarrà fedele, gli donerò il paese di Salem, nei cui ruscelli scorre latte e miele»
10. Vedete, con queste parole Dio, nel linguaggio simbolico di allora, non ha affatto voluto dire a Mosè che egli dovesse togliersi materialmente i calzari dai piedi, ma che doveva solamente liberarsi dall'antico Adamo, ovvero dalle brame dell'uomo sensuale esteriore, che in rapporto al vero uomo vivente stanno precisamente così come stanno le scarpe ai piedi dell'uomo, le quali costituiscono dell'abbigliamento la parte più bassa, infima, esteriore e meno indispensabile.
11. Il luogo però, che Dio denominò sacro, è lo stato più umile dell'anima, senza il quale essa non può sussistere di fronte all'eterno Amore, ed è, nella maniera più vera ed assoluta, un fuoco ed un elemento vitale.
12. Il roveto ardente, poi, significa che la via che un profeta intende percorrere sarà appunto quanto mai cosparsa di spine, ma il suo grande amore per Dio e per i propri fratelli, simboleggiato dalla fiamma dentro e al di sopra del roveto, brucerà gli aculei alle spine del roveto ed infine distruggerà ogni roveto sulla via, che così sarà pulita da spine.
13. Ecco, questo e non altro è il significato della tua citazione di prima, ma se le cose stanno in questo modo, come non c'è dubbio, com'è possibile che tu consideri più o meno sacro un luogo di questa Terra?
14. Toglietevi, dunque, anche voi definitivamente i vostri calzari mondani ed umiliatevi pure in tutte le fibre della vostra vita, ed allora anche voi, come tutti noi, potrete degnamente figurare in questo luogo; perché dinanzi a Dio ed all'Uno che si trova qui, noi tutti uomini siamo perfettamente uguali, e nessuno può vantare di fronte agli altri un qualche privilegio!»
15. E Suetal, udite tali parole di Mataele, esclama: «Oh, certo, quando si è pieni con tanta esuberanza di ogni sapienza, allora è facile starsene senza timore, poiché chi vede può facilmente procedere innanzi, mentre un cieco deve sempre prima accertarsi se il passo che sta per fare sarà sicuro, e nonostante ogni prudenza e ogni meticolosa cautela è tuttavia sempre in pericolo d'inciampare in qualche luogo. Quando però si ha una guida come te, o caro fratello Mataele, allora, anche essendo completamente ciechi da entrambi gli occhi, si può sempre ancora andare innanzi! Oh, se è così, noi restiamo senz'altro, e ci rallegriamo immensamente al pensiero di poter fare quanto prima una conoscenza più intima con Colui del Quale tu hai reso testimonianza così grande e fondata su ragioni evidentissime!»
16. Dice Giulio, stringendo amichevolmente la mano a Mataele: «Sia in eterno reso grazie al Signore per la tua prodigiosa guarigione e quella dei tuoi fratelli! Quante cose ho imparato da te e tutte in modo così facile e chiaro. Io sento ora che nell'anima mia non un'incerta aurora, ma il pieno Sole riversa la sua Luce; e se così continuerà, spero anch'io di poter in breve tempo incamminarmi sulle tue tracce!»
17. Osserva Mataele: «E non può essere diversamente, dato che vi è un solo vero Dio, una Vita e Una Verità soltanto; la presente nostra vita terrena è la via che ci conduce. Noi siamo sorti dall'Amore e dalla Luce, per volontà dell'eterno Amore di Dio, allo scopo di diventare un amore ed una luce indipendenti. Noi questa meta la possiamo e la dobbiamo raggiungere!
18. Ora si tratta del come! Ecco, o nobile fratello mio! Ad essa non si può arrivare che per mezzo dell'amore a Dio e dell'attività incessante ispirata a questo amore! Perché il nostro amore per Dio è senza possibilità di dubbio l'Amore stesso di Dio in noi; Esso guida l'anima nostra all'attività sempre maggiormente potenziata della vera vita eterna, che è in sé l'assoluta verità e la luce più chiara. Quando, dunque, nell'anima umana comincia a farsi giorno, allora è segno che è già molto vicina all'eterna meta della vita, e non è possibile che, con tali premesse, arrivi ad altra meta che non sia quella della vita eterna, la quale a sua volta in sé rappresenta il tutto nel tutto, vale a dire tutto quello che la vita perfetta - in pienissima libertà ed in stato d'indipendenza assoluta - può in eterno mai raggiungere!
19. Sii perciò d'animo sereno e lieto, o nobile fratello mio! Ben presto anche la tua anima scorgerà ciò che la mia già vede in una luce sempre più intensa! E quando la tua anima vedrà il giorno pieno, solo allora comprenderai la grandezza indicibile di Colui che con qualche timore ancora chiami il Salvatore da Nazaret.
20. Come Uomo Egli è certo simile a te ed a me, ma lo Spirito Suo! Oh, lo Spirito Suo compenetra della Sua Potenza e della Sua Luce tutta intera l'infinità eterna! Mi hai tu ben compreso, o nobile fratello?»
21. Risponde Giulio, commosso fino alle lacrime: «Si, ti ho perfettamente compreso o fratello mio, e davvero molto più nobile di me! In verità se volessi lasciar pieno sfogo al mio sentimento, mi sentirei capace di soffocarti in un abbraccio. Ora io non posso più senza lacrime ardenti d'amore guardare la faccia del Salvatore di Nazaret, e solo ora posso rendermi conto dell'immenso amore che Gli dimostra quella fanciulla che veramente pare non potersi più staccare dal Suo fianco!»
22. Concludendo, dice Suetal: «Sia lodato Dio! Ormai per noi non sarà più difficile riconoscerLo! Basta che osserviamo vicino a Chi se ne sta quella certa fanciulla, e Quegli sarà Colui che cerchiamo!». Dopo ciò essi si mettono attentamente ad osservare.
I dubbi dei dodici riguardo la Persona del Salvatore.
1. Giara, dietro Mio suggerimento, s'intratteneva allora con Raffaele e con Giosoe e ragionava con lui della sapienza improvvisamente rivelatasi in Mataele, in modo che i dodici si trovarono doppiamente nell'incertezza di capire chi, tra i due con la fanciulla, era Colui che cercavano. D'altro canto Costui se Lo figuravano come un uomo già maturo, mentre i due che discorrevano con Giara non erano all'apparenza che dei ragazzi dai dodici ai quattordici anni circa, cosicché i dodici non riuscivano assolutamente a raccapezzarsi. Uno fra i dodici disse allora a Suetal: «Amico mio, stavolta ti sei rallegrato davvero un po' precocemente a nome di tutti noi. La fanciulletta - che probabilmente è la figliola del gran possidente ed albergatore Ebal da Genezaret, considerato che noi, dimoranti sulle montagne di quel distretto, abbiamo già più volte avuto l'occasione di vederla in casa sua quando avevamo da fare in città - se ne sta adesso fra due ragazzi che, a quanto sembra, sono figli del luogotenente generale. Ma di quei due ragazzi, l'uno dei due non sarà di certo il Salvatore da Nazaret! Ed ora si domanda: "Chi è veramente Colui che noi cerchiamo?". Io ti dico, o fratello, che qui con la nostra sapienza non riusciremmo affatto a niente; dunque per il momento tacere è per noi indiscutibilmente la cosa migliore!»
2. Dice Suetal: «Sono anch'io del tuo parere. Del resto il nobile signor Giulio ha voluto in questa occasione lasciare che ci rompiamo un po' il capo, ed in fondo ci sta anche bene perché vogliamo sempre ficcare il naso dappertutto. Tacere, ascoltare e osservare è in verità la cosa migliore e costituisce, in certo qual modo, il principio di ogni sapienza». Dopo ciò i dodici si mantengono silenziosi, mentre nelle loro anime sorgono i più svariati pensieri.
3. Allora vengo Io vicino a loro e dico a Suetal: «Dei vostri discorsi di poco fa nulla Mi è sfuggito, perché l'udito Mio è molto fine, ma poiché con il savio Mataele e con il comandante Giulio avete pure già discusso parecchio riguardo a quel certo Medico da Nazaret, senza rendere manifesto qual è veramente in proposito la vostra opinione, Io vorrei ben sentire da voi, con tutta sincerità, chi credete effettivamente che sia quel Tale. Voi potete parlare assolutamente senza nessun timore, perché sono qui a garantirvi che non potrà accadervi nulla di male. Conosco molto bene il Salvatore e so che Egli non vi sarà in nessun modo nemico, anche se vorrete rivelare apertamente la vostra intimissima opinione sul Suo conto a Me, che sono uno dei Suoi migliori e più intimi amici!»
4. Risponde Suetal, grattandosi un po' il capo: «A giudicare dalla tua maniera di vestire, pare che Tu sia un greco; ma i Tuoi capelli e la Tua barba ci dicono che sei un ebreo. I romani, parlando dei greci, non ne danno un giudizio proprio molto lusinghiero quando dicono "GRAECA FIDES, NULLA FIDES" (Lealtà greca, lealtà da niente), ma per qualificare una simile supposizione la tua faccia ispira troppa onestà, e come un uomo senza dubbio di qualche sapienza comprenderai senz'altro che degli uomini come noi, dati gli avvenimenti quanto mai straordinari che qui si svolgono, non possono restare con il cervello e con l'anima vuoti!
5. L'accettare - detto fatto - per moneta sonante tutto quanto, sia pure dalla sapienza di Mataele, ciò che ci è stato esposto sul conto del Salvatore, resta sempre una cosa non piccola, trattandosi di gente del nostro stampo, e il nostro giudizio sul Suo riguardo non potrà conseguentemente non essere quanto mai incompleto. In fondo, finora abbiamo solo sentito parlare di Lui, ed i quattro montanari che stanno vicino a Genezaret hanno certo anch'essi, come hanno narrato, percepito gli effetti di una forza e di una potenza straordinaria, ma alla fine nemmeno loro Lo hanno visto, né Gli hanno parlato.
6. Noi stessi abbiamo potuto quì persuaderci della guarigione prodigiosa compiuta da Lui sulle persone dei cinque frenetici, e di ciò abbiamo quì sentito parlare; però anche di questo caso non fummo personalmente testimoni, ma ne abbiamo avuto notizie, sicuramente chiarissime e veritiere, solamente perché ce ne ha parlato il comandante e gli stessi guariti.
7. Ora, da un lato i fatti straordinari in se stessi, e dall'altro lato il chiaro giudizio e le dissertazioni, specialmente del sapientissimo Mataele, hanno suscitato in noi una raffigurazione del noto Salvatore che, almeno per i nostri concetti non associati ad una qualche superiore sapienza, va evidentemente fatta salire alle sfere della Divinità.
8. Se poi noi, da uomini privi di scienza e più ancora di sapienza come siamo, ci troviamo tuttora su di una falsa via per quanto riguarda questa nostra raffigurazione, appunto questo è il nodo, a sciogliere il quale stanno affaticandosi i nostri cervelli! Ma adesso chi potrebbe o vorrebbe dare, almeno per noi che siamo ciechi ancora e lontani da ogni scienza e sapienza, chi potrebbe, diciamo, dare una spiegazione di questi fatti in modo che al nostro intelletto riuscisse chiara come il Sole in pieno mezzogiorno?
9. Vedi, la scienza degli uomini è nel nostro tempo già molto progredita, e nessuno ha mai potuto finora porre dei limiti all’umana sapienza, e così può essere benissimo che un uomo di Nazaret, con l'ausilio di speciali facoltà spirituali, sia riuscito a trovare una qualche pietra filosofale della quale il mondo non ha avuto finora idea! Egli può, per conseguenza, compiere cose di fronte alle quali non possiamo che restare a bocca aperta, completamente stupiti. Egli può trasportare da un punto all'altro le montagne e far gelare le acque in piena estate, di più anzi, può risuscitare i morti e far scomparire migliaia soltanto per mezzo della propria volontà, ma queste sono cose che già prima di Lui altri uomini hanno compiuto.
10. In Egitto, ad esempio, cose simili non vanno affatto classificate fra quelle impossibili. Qui da noi i fenomeni di questa specie sono più rari, dato che, particolarmente presso di noi ebrei, ogni tipo di magia è severamente proibita, in modo che, alla fine, qualsiasi apparizione fuori dall'ordinario per opera di un uomo, anche se ottenuta con impiego di forze e di mezzi naturali, viene condannata come una stregoneria, e il mago o lo stregone viene lapidato o addirittura bruciato vivo se è ebreo, mentre se è un forestiero viene espulso ben lontano oltre i confini, a meno che non sia in grado e voglia pagare un vistoso riscatto al tempio; in questo caso gli viene concesso di esibirsi con le sue arti e le sue magie soltanto dinanzi ai greci ed ai romani, però del tutto in segreto. Una persona del nostro ceto non può sicuramente assistere a simili esibizioni a Gerusalemme, ma trovandosi in terra straniera, in missione di apostoli del tempio per la conversione di altre genti al Giudaismo, si è tuttavia già avuto l'occasione di vedere più d'una cosa, che doveva necessariamente restare inspiegabile a della gente come noi.
11. Così anche il ben noto Salvatore da Nazaret compie attualmente delle cose assolutamente inaudite, come la guarigione di ogni tipo di malattie; anzi pare che Egli possa perfino resuscitare i morti! Ma io dico, dell'una e dell'altra questione, che tutto ciò non rappresenta di gran lunga ancora una prova che in Lui si renda manifesta una particolare natura divina, né può fornire una testimonianza proprio inconfutabile.
12. Di fronte a degli uomini come noi, la produzione del meraviglioso tanto con la parola che con l'azione non è, per chi ne ha l'attitudine, un'arte tanto difficile, perché parlare dei colori ai ciechi non richiede eccessiva fatica; chi invece vede non ha bisogno di un sermone, dato che i colori li può distinguere anche senza questo.
13. Del resto il Salvatore da Nazaret può esser benissimo un profeta straordinario, veramente ispirato dallo Spirito di Jehova, come lo furono Mosè, Giosuè, Samuele ed Elia, e può compiere le Sue opere per effetto della forza divina che è in Lui, cosa che riteniamo la più probabile, in quanto Egli è certamente un israelita e come tale non può aver mai avuto l'occasione di frequentare le scuole mistiche degli esseni e meno ancora quelle degli egiziani.
14. Se fosse possibile dimostrare nei Suoi riguardi qualcosa di simile, allora sicuramente non riuscirebbe troppo difficile indovinare come abbia acquisito tutta la Sua scienza misteriosa, poiché gli esseni resuscitano i fanciulli morti addirittura a dozzine, e di questo ho potuto assolutamente convincermi di persona! E Dio sà quali e quante malattie ancora essi sono in grado di guarire!
15. Da tutto ciò, poiché sembri un greco molto intelligente, potrai facilmente arguire per quali ragioni noi, nonostante tutti i fatti straordinari dei quali abbiamo qui avuto notizia, siamo nel nostro intimo necessariamente combattuti tra pensieri di varia specie a favore ed a sfavore di una o l'altra versione.
16. Accettare senz'altro tutto per buona moneta sarebbe altrettanto pazzesco che il rigettare tutto senza discutere. Quello che per il momento si può fare è aspettare, ascoltare, osservare e scrutare rigorosamente tutto, e poi si potrà ben vedere se converrà schierarsi dalla parte del pro o del contro, perché mai compreremmo la gatta nel sacco, non essendo escluso che ci si voglia vendere invece delle bisce! Dicci Tu, adesso, se abbiamo torto o ragione!».
Dubbi sulla divinità percepita riguardo al Nazareno.
1. Dico Io: «Sotto certi riguardi sì, ma sotto certi altri, niente affatto! Oh, certo, se gli esseni resuscitano i morti proprio così come li risuscita il Nazareno, allora voi avete ad ogni modo ragione; però, fra i discepoli del Nazareno, si trova qui precisamente un esseno genuino. Egli era stato inviato o per guadagnare del tutto il Nazareno alla causa del grande istituto dell'illusione e dell'inganno, o per carpire almeno il segreto delle Sue guarigioni e delle Sue resurrezioni.
2. Ma quando ben presto si fu convinto che nel caso del Nazareno tutto si svolge pubblicamente dinanzi agli occhi di tutti senza bisogno di nessun preparativo od artificio, ma soltanto in forza dell'antico "Sia fatto", allora diede congedo al suo essenismo colmo d'inganno, ne rivelò tutti gli imbrogli e diventò egli stesso un vero discepolo del Nazareno. Eccolo là che se ne sta da solo sotto un albero. Andate da lui e da lui sentite com'è la faccenda!»
3. Risponde un altro fra gli otto: «O amico, per noi non c'è bisogno di questo, perché conosco a fondo gli esseni e so cosa pensare dei loro sistemi. Si tratta di un imbroglio, ma che ha sempre la sua parte di buono! Comunque il Nazareno non sarà certo mai andato a imparare in una simile scuola! Io, però, propendo piuttosto a credere che debba entrarci per qualcosa l'Egitto, perché il Nazareno ha grandi amicizie fra i romani, e grazie al favore di questi è facile andare a studiare in Egitto!»
4. Chiedo Io al secondo oratore Ribar: «E come hai potuto penetrare i segreti degli esseni? Perché, a quanto ho udito, una cosa simile dovrebbe essere quasi impossibile senza il pericolo della vita!»
5. Risponde Ribar: «O amico, con molto denaro a disposizione e con l'astuzia più raffinata si passa dappertutto. Naturalmente, per poter vedere, dietro a quello che ad uno viene mostrato anche l'altra cosa che non gli viene mostrata, bisogna possedere un po' di sale in zucca. Però è evidente che per raggiungere lo scopo occorre essere provvisti, in grado rilevante, di scaltrezza eccezionalmente raffinata, perciò desidererei anche che mi venisse data l’occasione di fare una prova con il buon Salvatore da Nazaret, ed io garantisco che non riuscirà ad illudermi.
6. Se in Lui c'è veramente quello di cui si va dicendo e quanto di Lui ha narrato Mataele che è una persona davvero sapientissima, ebbene, allora noi potremmo, come Mataele, riconoscere senz'altro i meriti! Soltanto una cosa mi rende perplesso, e cioè che Egli accolga dei discepoli. Ora io ragiono così: "Se la Sua causa è veramente divino-pura, nessun discepolo sarà mai più in grado di imitare le Sue opere, anche se si ostinasse di rimanere fedele alla Sua scuola per tutta un'eternità. Se invece la Sua causa è umana, allora certo si comprendono benissimo anche i discepoli; perché quello che un uomo fa, lo può fare anche un altro, purché abbia le necessarie cognizioni e i mezzi sufficienti. Ma se, come detto, la causa è esclusivamente divina, di un'imitazione non si potrà parlare in eterno, dato che per arrivare a tanto si richiede tutta l'Onnipotenza e la Sapienza di Dio!"»
7. Osservo Io: «O Ribar, amico Mio, tu non parli proprio male! Ma tuttavia, infondo, purtroppo hai torto; poiché un Dio può certamente, dal grande numero degli uomini, educarne ed ammaestrarne in modo particolare alcuni, nello stesso modo in cui educò ed ammaestrò un Enoc, un Mosè e molti altri profeti ancora, affinché diventassero dei maestri e delle guide dell'umanità e dei divulgatori della Volontà divina ai popoli della Terra. Con questo tuo modo di vedere sembri dunque trovarti parecchio su di una falsa via, e ti sarà quanto mai difficile competere con il Salvatore da Nazaret!
8. Giocando d'astuzia, anche la più raffinata, tu troverai nel Nazareno un avversario possente ed invincibile oltre ogni dire! Io Lo conosco bene, e so che è assolutamente impossibile competere con Lui da parte umana; infatti di mille Sue parole è molto difficile ribatterne anche una sola!»
9. Dice Ribar: «Tutto sta a fare una prova, ho già udito simili preludi ed antifone, ma infine tutto si concludeva quasi come dice il noto proverbio romano "SI TACUISSES, PHILOSOPHUS MANSISSES" (Se tu avessi taciuto, saresti rimasto un filosofo). Di conseguenza, per quanto mi riguarda, un qualche valore non lo ha "ANTE" (prima) ma sempre e soltanto il "POST FESTUM" (dopo). Io non anticipo mai e non do mai un giudizio che non sia basato su esperienze fatte da me stesso; ma una volta fatta l'esperienza è ben difficile che m'inganni, e così procedendo ho finora quasi sempre colpito discretamente nel segno. Sei forse Tu pure una specie di Suo discepolo?»
10. Rispondo Io: «Discepolo proprio no, sono invece uno dei primissimi amici Suoi. Certo Lo conosco molto meglio di qualsiasi altro!». Udendo tale colloquio, diversi fra i presenti riescono a mala pena reprimere un sorriso, e tutti prestano la massima attenzione alle parole che vengono scambiate.
Il colloquio di Suetal e Ribar sulla prova miracolosa di Raffaele.
1. Dopo una breve pausa, Ribar riprende a parlare e dice: «Io vorrei almeno sentire dalla bocca di uno dei discepoli che cosa veramente ha imparato finora, frequentando la compagnia di questo Medico prodigioso!»
2. Dico Io: «Oh, niente di più facile! L'ora del pranzo è effettivamente vicina, e l'albergatore sarà ben presto pronto con le sue faccende; però, trattandosi di una minimissima prova da parte di uno dei discepoli, la cosa tuttavia si potrà fare. Sarà precisamente un giovanissimo dei discepoli che ti farà vedere, rigido esaminatore, tutto ciò che è già capace di fare! Sei d'accordo così?»
3. Risponde Ribar: «Perfettamente, poiché senza qualche prova non può venir formulato alcun giudizio sul conto di nessuno!»
4. Allora Io chiamo Raffaele che a rigore di logica è pure un Mio discepolo, anche se è uno spirito ora rivestito da lieve materia. Raffaele, appena chiamato, con la velocità del lampo si trova già davanti a Ribar, e gli domanda: «Quale prova chiedi a un discepolo del Signore?». A questa domanda Ribar riflette e cerca che cosa mai vi fosse di proprio impossibile da essere compiuta da un uomo.
5. Ed Io, vista l'esitazione, aggiungo: «Ebbene, Mi pare di capire che la storia ha già messo un pochino alle strette tutta la tua scaltrezza!»
6. Risponde Ribar: «Oh, non darTi pensiero! "FESTINA LENTE" (velocemente con lentezza), dicono i romani! "HOSTIS CUM PATIENTIA NOSTRA VICTUS!" (Il nemico è stato vinto con la nostra pazienza!). Io intendo dare al discepolo una noce così dura da rompere, da mettere a ben dura prova i suoi denti!»
7. E detto questo, Ribar si china a terra, alza una pietra del peso di qualche libbra e sorridendo dice a Raffaele: «O caro discepolo del divino Maestro che fa cose che sono possibili soltanto a Dio, se tu hai davvero già imparato da Lui qualcosa che dia prova di onnipotenza, trasforma questa pietra in un buon pezzo di pane!»
8. Dice Raffaele: «Prova anzitutto se la pietra che hai in mano è sempre pietra!»
9. Ribar prova e risponde: «Oh, altro che pietra!»
10. E Raffaele: «Prova adesso ancora una volta!»
11. Ribar osserva nuovamente quello che ha tra le mani, ed a un lieve suo sforzo la pietra si rompe in due pezzi, ed egli può constatare che la pietra si è veramente trasformata in pane. Questo miracolo, verificatosi fra le sue mani, lo lascia completamente sbalordito, anzi, egli è colto da un tale spavento che non riesce a proferire parola.
12. Allora Raffaele gli dice: «Assaggialo, perché l'occhio è più facile ad illuderci che non il palato; dallo pure ad assaggiare ai tuoi amici, affinché siano testimoni che la trasformazione avvenuta è reale e genuina!»
13. Ribar assaggia il pane miracoloso da principio con qualche prudenza, ma poiché lo trova di sapore squisito mette di tutta lena il dente in una delle due metà, offrendo l'altra da assaggiare ai suoi compagni. Tutti trovano il pane quanto mai saporito, dolce e di un profumo appetitoso!
14. Dopo ciò Io chiedo a Ribar: «Dunque, o amico caro, qual è la tua opinione? Cosa ne dici di questo fatto compiuto da un giovane discepolo?»
15. E Ribar dice allora a Suetal: «O fratello, parla tu adesso; tu sei un po' più avveduto di me e simili cose stanno troppo al di sopra ed al di là del mio orizzonte intellettuale!»
16. Osserva Suetal: «Gente della tua specie ce n'è adesso moltissima a questo mondo; gente cioè che da principio si pavoneggia della propria meschina intelligenza, ma quando poi si trova di fronte ad un fenomeno che sta molto al di sopra della sua comprensione, rimane sbalordita come una donna colta in flagrante adulterio! Che cos’altro si può dire in questo caso se non che Mataele ha piena ragione in ogni parola detta a testimonianza, certo inoppugnabilissima, in favore del grande Maestro?
17. Se già i Suoi discepoli sono capaci di simili opere, che cosa non sarà poi in grado di fare il divino Maestro in Persona!»
18. Dice Ribar: «Tutto questo è vero, e nessuno di noi potrebbe obiettare. D’altronde, nel tempio si racconta e si insegna, come una ben precisa verità, che certi individui espertissimi in magia dovrebbero essere capaci di compiere cose quanto mai straordinarie attraverso il potere di Belzebù, che essi hanno a loro disposizione. Perfino i romani asseriscono: "IN DOCTRINA ALIENA CAUTI, FELICES" (Fortunato, chi è cauto nella dottrina altrui), e "SAPIENTIA NON INCIPIT CUM ODIO DEORUM!"» (La sapienza non inizia con l'odio degli dèi).
19. Risponde Suetal: «Fammi il gran piacere, e risparmiami i tuoi sciocchi proverbi romani. In quanto poi al tuo orribile Belzebù, tienitelo tu in tasca magari per l'eternità e non farlo ballare davanti a me! Ma non hai poco fa udito quello che Mataele ha detto nella sua sapienza veramente divina, e non hai potuto anche tu facilmente rilevare dalle sue parole come la Dottrina del grande Maestro guidi ciascun uomo a Dio mediante la verità, l'amore e le opere? Dunque, per arrivare a questo scopo, il grande Maestro dovrebbe secondo te far ricorso all'aiuto del rappresentante di ogni menzogna e di ogni inganno? Oh, asino e cieco che sei sempre stato! Il pane che mangiasti è stato una menzogna o è stato veramente pane?
20. Se fosse stato Belzebù a preparartelo, ciò che non gli sarà mai possibile, ti sentiresti adesso nello stomaco una pietra invece di un pane eccellente; ma poiché si è trattato invece di un vero pane come venuto dai Cieli, avviene che tu ne percepisci nel corpo tuo, come nel mio, il sapore davvero celestiale, nonché i benefici effetti!
21. Dove hai mai letto, in tutte le Scritture, che a Satana sia qualche volta riuscito di compiere un prodigio simile a questo? Pensa ai miracoli di Belzebù nel tempio! Che cosa sono essi? Nient'altro che una ignominiosissima e ben conosciuta truffa per spillare, fuori dalle tasche, all'umanità, cieca come te, dell'oro e dell'argento, per venire poi destinati ad altri scopi vergognosi!
22. Ecco, questi sì che sono veramente prodigi di Satana, ma come tali si possono riconoscere con la massima facilità!
23. Qui invece non vi è possibilità d'inganno, e soltanto l'onnipossente Volontà di Jehova si rivela completamente. Come dunque puoi domandare se una cosa simile sarebbe eventualmente possibile anche per l'intervento della potenza di Satana? Quando mai Satana ha dimostrato che in lui risiede una vera potenza?»
24. Osserva tutto confuso Ribar: «Oh, oh, non ha egli vinto sul Sinai, quando per tre giorni sostenne una lotta con Michele per il corpo di Mosè?»
25. Risponde Suetal: «Sì, quella volta egli è arrivato a conquistarsi l'escremento di Mosè! Bella vittoria quella davvero! E che cosa sai ancora?»
26. Dice Ribar: «Ebbene, ti pare niente la seduzione di Adamo e di Eva?»
27. Ribatte Suetal: «Si può paragonare un simile fatto ad un prodigio come questo? Quando una giovane dalle forme procaci ti esibisce tutte le attrattive della sua carne e t'invita con gli occhi suoi lascivi e cupidi, sarà forse una cosa tanto strana se tu, nella accesa brama della voluttà carnale, ti precipiterai fra le sue braccia delicate e ben tornite? Di simili prodigi, tipo Adamo ed Eva, ne succedono oggigiorno purtroppo in numero perfino esuberante e sono da classificarsi sempre tra le manifestazioni naturali più basse e rozze che si conoscano, mentre non vi è assolutamente traccia di qualcosa che si possa veramente chiamare prodigio, a meno che non si voglia denominare prodigio tutto quanto si è manifestato dai primi principi della Creazione! Sai di qualche altra eventuale opera miracolosa di Satana?»
28. Dice Ribar: «Con te è difficile parlare! Ma che cosa sono allora i miracoli degli idoli di Babilonia e Ninive? Non sono stati compiuti forse per il potere di Satana?»
29. Risponde Suetal: «Per gli animali ciechi e provvisti di lunghe orecchie tuoi pari, certamente, ma non è così per l'uomo che vede un po' chiaramente. Quest'ultimo sa molto bene che nel ventre del noto idolo di Babele, portato per l'azione del fuoco al calor bianco durante la notte, le vittime gettatevi poi dentro attraverso le fauci spalancate, potevano con tutta facilità venir consunte dal calore perfettamente naturale generatosi. Di miracoli di questo tipo ne puoi fare quanti ne vuoi ogni giorno, ricorrendo semplicemente ad un buon fuoco, senza bisogno di disturbare in qualche maniera Satana! Io stesso, con il concorso di alcuni manovali pagati, sono pronto a produrti qui una quantità di miracoli satanici delle specie più svariate, senza chiamare per nulla in aiuto Satana, dato che per arrivare a tanto è più che sufficiente la perversa e cupida volontà di ciascun uomo malvagio.
30. Satana, in eterno, non ha alcun potere all'infuori di quello di rovinare una qualche carne che in ogni caso non ha alcun valore, e poi può prendersi la sua ricompensa quanto mai puzzolente; ma in rapporto all'anima ed allo spirito non può eternamente compiere un prodigio, dato che il suo essere stesso non è che la materia durissimamente giudicata! Semmai, per gli sforzi di Satana, tu puoi diventare ancora più materiale di quanto lo sei già da lungo tempo, ma non potrai spiritualizzarti per mezzo suo neanche per la durata di un attimo! E adesso continua pure, caso mai tu abbia in serbo ancora qualche prodigio di Satana»
31. Dice Ribar, tutto stordito: «Se è come dici tu, allora di prodigi satanici io non ne conosco altri, ed io sono disposto a riconoscere per assoluto miracolo l'azione compiuta dal giovane e graziosissimo discepolo del grande Maestro. Del resto tu avresti potuto parlare un po’ più gentilmente con me, ed io ti avrei ugualmente compreso!»
32. Osserva Suetal: «Qui hai ragione tu, ma sai bene che non posso frenarmi quando una persona, certamente di qualche cultura, mi viene fuori con la favola antica di Belzebù, come se gli uomini del mondo non fossero essi stessi i più genuini rappresentanti di Belzebù! Specialmente poi in una simile occasione, quando tutto d'intorno ci sentiamo aleggiare lo Spirito della Divinità! In verità, mi pare di dover scoppiare dalla rabbia!»
33. Dice Ribar: «Suvvia, datti pace, che ormai tutto è appianato. I romani dicono sempre "IN MEDIO BEATI" (Nel mezzo sta la virtù); né troppo ardenti, né troppo tiepidi, questo è il perno della saggezza e di ogni accortezza della vita; quello che è stato, o fratello mio, lo si comprende infine anche senza asini e senza escrementi!»
34. Risponde Suetal: «È giusto, è giusto, ma nella forza della propria passione riesce difficile pesare le parole, con le quali si vuole correggere qualcuno quando comincia a dare espressione a delle preoccupazioni troppo sciocche! Ma considerato che ora anche tu mostri di volerti avvicinare un po' più alla verità, sarà difficile che tu oda dalla mia bocca simili espressioni»
35. Dico Io allora: «Ebbene, vi siete messi d'accordo?»
36. Rispondono i due: «Perfettamente!».
Le linee fondamentali della Dottrina di Gesù.
1. Mi rivolgo allora a Ribar e gli domando: «Qual è dunque il tuo parere su quello di cui sei stato ora testimone?»
2. Risponde Ribar: «In proposito mi sono già spiegato con Suetal, e ormai confesso che il saggissimo Mataele ha ragione sotto ogni riguardo. La prova l'ho avuta ed altro assolutamente non mi occorre! Adesso non è più questione di credere o meno, considerato che ho visto con i miei occhi, e non mi resta che il desiderio di fare la conoscenza personale del grande Maestro!»
3. Interviene Suetal e dice: «Davvero, anch'io bramerei di conoscerLo, sempreché la cosa fosse facile, anche se non ha più così tanta importanza, perché ciò che ho visto adesso, mi basta per tutta la vita! Più di Dio egli non può essere, ma neppure molto di meno, considerando i fatti ai quali abbiamo assistito! E questo per me è sufficiente; soltanto sarebbe mio desiderio apprendere ancora qualcosa della Sua nuova Dottrina!»
4. Dico Io: «Anche a questo riguardo Mataele vi ha già chiariti vari punti capitali, in quanto al resto la Sua Dottrina si riassume nell'amare Dio sopra ogni cosa e il prossimo come se stessi.
5. Amare Dio sopra ogni cosa, significa però naturalmente riconoscere Dio e la Sua Volontà rivelata e poi, per il vero intimo amore al Dio riconosciuto, operare conformemente, e oltre a ciò comportarsi di fronte a ciascun fratello o sorella, per amore di Dio, precisamente così come ogni uomo ragionevole si comporta verso se stesso. Certamente è ben da intendersi che l'amore richiesto tanto rispetto a Dio, quanto pure rispetto al prossimo, deve essere un amore puro e disinteressato al massimo grado possibile.
6. Come ogni cosa buona deve essere degna d'amore, appunto perché è buona e quindi vera, nella stessa maniera vuole essere amato Dio, appunto cioè per la ragione che solo Lui è la Bontà suprema e la suprema Verità!
7. Il prossimo tuo, però, deve anch'esso venire amato così, appunto perché, come te stesso, egli pure è l'immagine di Dio, e come in te anche in lui dimora uno spirito divino.
8. Vedi, questo è propriamente il vero fondamento della Sua Dottrina ed è facile da osservarsi, molto più facile anzi che non le mille leggi del tempio, che sono per lo più riempite con lo spirito interessato dei servitori del tempio stesso.
9. Con l'osservanza il più possibile esatta di questa nuova Dottrina, lo spirito dell'uomo, originariamente molto stretto fra ceppi, si rende sempre più libero, si sviluppa e compenetra finalmente tutto l'uomo e così attrae tutto nella propria vita, che è una vita da Dio e che quindi deve durare eternamente e nella maggior beatitudine possibile.
10. Ora, ciascun uomo, che in questa forma viene per così dire a rinascere nel proprio spirito, non vedrà, non sentirà né assaporerà mai in eterno la morte, e l'abbandono della sua carne sarà la delizia suprema.
11. Poiché lo spirito dell'uomo, diventato in tutto una cosa unica con la propria anima, somiglierà allora ad un uomo rinchiuso in una dura ed angusta prigione, dalla quale deve accontentarsi di guardar fuori da una stretta fessura i bei campi ed i monti della Terra, e di vedere come altra gente in perfetta libertà si allieta occupata in ogni genere di utile lavoro, mentre lui è costretto a languire ancora nella prigione. Tanta sarà la sua felicità quando verrà il carceriere ad aprire la porta, lo libererà dai ceppi e gli dirà: "O amico! Ogni altra punizione ti è condonata; vai, dunque, e godi l'assoluta libertà!”
12. Così pure lo spirito dell'uomo somiglia all'embrione di un uccellino nell'uovo, quando attraverso il calore della covatura esso si è fatto maturo dentro il duro guscio che tiene stretta la sua libera vita, allora spezza la sua prigione e ne esce rallegrandosi della libertà conquistata.
13. Ad un simile stato, però, l'uomo può giungere soltanto con l'osservanza esatta e sincera della Dottrina, che ora il Salvatore di Nazaret sta annunciando.
14. Ma poi, quando si è già sempre più rinati nello spirito, l'uomo ottiene subito anche altre facoltà e perfezioni, delle quali il comune uomo di carne non può farsi assolutamente alcuna idea.
15. Lo spirito allora diviene in sé una potenza pari a quella di Dio. Quello che un simile spirito perfetto vuole nell'uomo, ciò anche avviene e anche deve avvenire, poiché all'infuori della potenza vitale dello spirito non ci può essere alcuna altra potenza e forza in tutta l'infinità di Dio.
16. Perché la vera vita è la sola signora, creatrice, legislatrice e governatrice di ogni creatura, e tutto perciò deve adagiarsi alla potenza dello spirito, che solo vive in eterno.
17. Una piccola prova di ciò l'hai avuta ora da questo discepolo, dunque puoi frattanto crederMi che è veramente così. In quanto alla visione del come, del perché e con quali mezzi, questo ti potrà venir svelato non appena sarai arrivato alla libertà della tua vita spirituale più interiore.
18. Mataele però ti ha dimostrato già sufficientemente a quale acutezza di percezione possa giungere uno spirito anche soltanto rinato a metà, e in tal modo tu ora hai sotto ogni riguardo tra le mani delle prove evidenti e perciò puoi con tutta confidenza, secondo questi principi, adattare a questa norma la tua esistenza. Ti soddisfa questa spiegazione?»
19. Risponde Suetal: «Amico, molto di più che non quella di Mataele con la sua terribile sapienza. Ciò che Tu mi hai detto ora è altrettanto improntato ad una sapienza profonda quanto lo è stato quello che ho inteso dalla bocca di Mataele, anzi, sotto certi aspetti ad una sapienza ancor più profonda; ma quando parla Mataele si viene colti veramente da un'oppressione angosciosa, perché non vi si può scorgere alcun luogo per il quale entrare e dal quale uscire. Tu invece, almeno per me, hai chiarito ora con parole semplicissime e in modo così evidente la questione, che non potrei davvero immaginarmi altra cosa più chiara. Ora so esattamente quello che devo fare e quello che con ciò necessariamente devo aggiungere; così sono perfettamente soddisfatto, non avendo più nessun’altra domanda da fare».
Il secondo miracolo compiuto per desiderio di Ribar.
1. Dico Io: «E sta bene, però dimMi ora del tutto sinceramente: dopo quanto è avvenuto non ti piacerebbe fare la conoscenza del grande Maestro da Nazaret? Se vuoi, Io posso presentartelo!»
2. Osserva Suetal: «Per dirla francamente, quest'Uomo, nel quale dimora la pienezza dello Spirito divino, sta, per un individuo della mia specie, troppo infinitamente in alto sotto ogni rapporto, ed io avrei seriamente timore di doverLo vedere anche già da lontano, e ancora di più di venire in diretto contatto con Lui! Perciò, per come stanno le cose adesso, preferisco non fare affatto la Sua personale conoscenza. Vedi, già la vicinanza di questo Suo giovane discepolo mi mette soggezione, e sinceramente parlando non vedrei assolutamente di cattivo occhio che egli se ne ritornasse alla sua compagnia. La prova ce l'ha fornita, e questa è sufficiente; sarebbe sicuramente difficile indurlo a darne una seconda, che del resto sarebbe anche inutile; perché, se una prova non dovesse venir ritenuta più che convincente, neanche mille altri prodigi potranno ottenere l'effetto di convincere. Io desidererei che tornasse alla sua compagnia, e non è purtroppo il caso di offrirgli una ricompensa, dato che all'infuori delle nostre persone non possediamo nulla. Digli tu dunque, o amico carissimo, di ritirarsi e di ricongiungersi alla sua compagnia che certo è più adatta per lui che non la nostra!»
3. Dico Io: «Oh, ma perché? Egli è libero e può andarsene quando e dove vuole, e del resto anche se ne andrà quando non avrà più niente da fare quì! Tu sei di sicuro adesso perfettamente soddisfatto, ma non così si può dire dei tuoi compagni, nemmeno Ribar, pur essendo ormai in tutto d'accordo con te. Il suo cervello lavora attivamente ancora riguardo al primo prodigio, ed è ben lontano dall'avere trovato il necessario equilibrio. Considerato ciò, visto che c'è tempo, vedremo eventualmente d'indurlo a fare un'altra dimostrazione ancora!»
4. Dice Suetal: «Sarebbe tutto bello e buono, e non mi dispiacerebbe assistere a qualche suo nuovo prodigio; resta però da vedere se la cosa sarà di gradimento del suo grande e santo Maestro, perché non sempre i maestri vedono volentieri che i loro discepoli abbondino troppo con le loro esibizioni»
5. Osservo Io: «Non darti alcun pensiero per questo! Poiché, in proposito, Mi prendo ogni responsabilità e saprò bene come comportarMi, a suo tempo, se fossi chiamato a renderne conto. Noi però dobbiamo prima interpellare Ribar e gli altri tuoi compagni per sentire che tipo di segno richiedono, altrimenti l'uno o l'altro potrebbe dire che il segno era già da molto tempo prima preparato e che noi ci eravamo già in anticipo accordati con precisione sul da farsi. Ma, se sono loro stessi a stabilire il segno da prodursi, non è più possibile ammettere che siano già prima stati presi degli accordi. Ti soddisfa o no la Mia proposta?»
6. Risponde Suetal: «Salomone non avrebbe potuto pensare e parlare più saviamente, e non si può dunque che dichiararsi d'accordo!»
7. Dico Io: «Dunque, noi adesso interpelleremo Ribar: "Dici dunque, o Ribar, in che cosa deve consistere il prodigio da far eseguire al discepolo?"»
8. Risponde Ribar: «O amico, se proprio è disposto a farci vedere ancora qualcosa, che converta questa pietra che ora tengo fra le mani in un pesce della specie più nobile, di quelli che dimorano in questo mare!»
9. Chiedo "PRO FORMA" a Raffaele: «Sarai in grado di compiere ciò?»
10. Dice Raffaele: «In ogni caso proverò; chi chiede, però, deve piantarsi prima ben solidamente sulle sue gambe, altrimenti il pesce lo getterà a terra. I pesci migliori che si trovano in queste acque sono grandi e robusti, tanto che un uomo non li può padroneggiare con le proprie braccia; dunque se Ribar si mette in posizione da poter offrire la necessaria resistenza, immediatamente un grosso pesce da ottanta libbre prenderà il posto della sua pietra che ne pesa appena dieci»
11. Dice Ribar: «Oh, di questo non occorre che ti preoccupi! Nel mio piccolo sono anch'io una specie di Sansone, ed ho potuto già resistere agli sforzi di pesci anche di cento libbre! Del resto sono qui pronto e ben piantato»
12. Allora Raffaele dice: «Sia fatto come hai domandato!». Ed aveva appena finito di pronunciare queste parole che già un pesce, di qualità finissima e pesante ottanta libbre buone, diede - fra un immenso sbalordimento e il timore di tutti i presenti - uno sbalzo tanto violento tra le mani di Ribar, da mandarlo lungo e disteso con la schiena a terra; e poiché il pesce si dibatteva e saltava qua e là con forza puntellandosi sulla coda, gli spettatori si ritirarono in fretta a rispettosa distanza da tutte le parti, non escluso Ribar che frattanto si era risollevato e non dimostrava più alcuna voglia di impadronirsi del pesce. Lì vicino però si trovava anche uno dei figli di Marco, che andò subito a prendere una piccola rete robusta, la gettò sul pesce che ancora si dibatteva violentemente sul terreno, lo avviluppò nella rete e lo portò poi in una vasca colma d'acqua.
13. Quando il pesce si trovò nel suo elemento, ovviamente si calmò, e tutti allora si avvicinarono per contemplare, meravigliati, il grosso pesce. Ribar esclamò: «Ecco che ormai è finita con tutta la mia sapienza, e non mi resta altro che credere fermamente a tutto ciò che mi è stato detto del grande Maestro! In tali condizioni ogni sapienza umana si riduce ad un nulla, e la gloria di Dio si manifesta in maniera troppo letteralmente evidente! Mataele ha ragione in ogni sua parola, e pure l'amico alla cui bontà noi dobbiamo i due inauditi prodigi. Onore dunque a Dio e sia in eterno glorificato il Suo Nome chiarissimo, poiché Egli ha donato anche agli uomini su questa Terra una simile potenza! Noi certo siamo indegni quanto mai di ammirare con i nostri occhi peccaminosi questi prodigi veramente divini, ma considerato che Egli stesso ha voluto rendercene degni, ne sia lodato il Suo glorioso Nome!»
Sulla differenza tra i miracoli di Raffaele e quelli dei maghi.
1. Dice Suetal: «Amen! A queste conclusioni devo arrivare anch'io! Poiché l'occhio umano non ha mai visto una cosa simile! I maghi, ai tempi del Faraone, hanno gettato anch'essi a terra dei bastoni che si narra si siano trasformati in serpenti. Quella volta però non eravamo presenti. Anche se vi fossimo stati, avremmo probabilmente assistito a quell'identico giochetto di prestigio che abbiamo avuto occasione di vedere a Damasco, dove un mago lanciava perfino delle verghe su di una vasta superficie sabbiosa di fronte a lui, e come la verga gettata in un certo modo e con abilità particolari rimaneva sepolta sotto la sabbia, sottraendosi completamente alla vista degli spettatori, e ciò ovviamente si svolgeva in un attimo, allora subito un topo o un ratto saltava fuori dalla sabbia e scappava via rapidamente. Questo mago annunciava in precedenza al pubblico che dalle verghe gettate nella sabbia avrebbe tratto fuori dei ratti e dei topi. Dopo l'esperimento volli esaminare la sabbia e vi trovai le verghe perfettamente intatte. Io trovai là anche delle tracce, anche troppo evidenti, che il mago, probabilmente senza l'incomodo di testimoni, aveva in precedenza adescato in quel luogo un certo numero di ratti e topi, deponendo in certe fossette scavate qua e là nella sabbia qualche cibo prediletto da tali animali, e questi poi facevano onore al cibo finché la verga lanciata con arte speciale non veniva a disturbarli ed a costringerli ad uscire dalle fossette per darsi poi alla fuga.
2. Il popolo stolto tributava al mago persiano onoranze quasi divine, e faceva a gara nel colmare le sue tasche di ogni tipo di cose preziose; e quando tentai di persuadere alcuni, che mi sembravano un po' più svegli, del come stavano veramente le cose, mi gratificarono del titolo di malfattore e così a me restò appena il tempo di prendere il largo. Da queste esperienze io trassi però la convinzione che, in primo luogo, questa razza di maghi è costituita da volpi assai fini, che a furia di esperimenti e grazie alle eventuali nozioni acquisite nel vasto campo dei fenomeni naturali sanno a meraviglia sfruttare la stupidità di molta gente che nella natura vive come un branco di animali, e in secondo luogo che questa specie di gente, dalla stupidità proprio solidamente radicata, non è affatto possibile condurla completamente ad una luce superiore, anche se di ciò volesse incaricarsi sia pure un filantropo dotato di grande sapienza e della maggiore buona volontà.
3. Ed è da ritenersi che tutti i famosi miracoli dei sacerdoti o maghi dell'Egitto e della Persia non abbiano altro fondamento. D'altro canto è probabile che i prodigi degli esseni vadano anch'essi classificati nell'identica maniera.
4. Ma questi due prodigi, che il discepolo del grande Maestro ha compiuto qui, e le guarigioni miracolose che secondo quanto ci è stato narrato sono state operate dallo stesso gran Salvatore, sono con tanta evidenza autentici e stanno tanto al di sopra di ogni gioco d'illusione e di magia, quanto non può stare il Sole nella sua luce più pura e chiara al di sopra di ogni fuoco fatuo della palude. Questi due prodigi segnano decisamente, come già detto, la fine di ogni speculazione della mente e di ogni sapienza umana; qui non serve più né la meditazione, né l'indagine, perché c'è l'Onnipotenza di Dio, al Quale naturalmente niente può essere impossibile.
5. In quanto a noi, non possiamo trarre altro insegnamento che quello di attenerci a ciò che il Salvatore insegna in maniera tanto più vivente, in quanto per mezzo Suo, come comincia a presentarsi alla mia mente, potrebbe precisamente trovare in questo nostro tempo adempimento una antica promessa di Jehova»
6. Dico Io, sempre personalmente rimasto ancora sconosciuto ai dodici e rivolto a Suetal: «Questo tuo parere è proprio nato da una tua grande convinzione?»
7. Risponde Suetal: «O amico, l'opinione che mi sono formata diventa almeno per me una certezza, poiché, vedi, per arrivare ad una simile convinzione ho una ragione molto semplice e molto plausibile, e cioè Dio è troppo infinitamente buono e saggio per aver con tanta potenza suscitato un Uomo e averlo riempito dello Spirito Suo Onnipotente al solo scopo di guarire da malattie fisiche il corpo dell'uno o dell'altro e di trasformare le pietre in pani e pesci. Con l'apparizione di una simile Personalità, che si può considerare come un Sole immenso a sé molto al di sopra di Mosè e di ogni altro profeta, da parte di Dio deve andar congiunto, senza alcun dubbio, qualche altro scopo ancora assai più grande ed a noi tuttora perfettamente sconosciuto! Perché, ripeto, un Uomo-Dio di questa specie, Dio non lo può aver mandato su questa Terra con la sola mansione quanto mai subordinata di operare ogni tipo di miracoli dinanzi agli occhi di una folla cieca, sciocca, curiosa ed avida di spettacoli! Io sarei quasi portato a vedere in Lui il promesso Messia dei Giudei, annunciato pressoché da tutti i patriarchi e profeti! E di questo, o amico caro, io sono quasi del tutto convinto!
8. Se tuttavia Egli non dovesse essere tale, allora io davvero non saprei più Chi dovremmo aspettare che sia in grado di compiere cose ancora più grandi e degne di un Dio! Qual è a questo riguardo il Tuo parere, o caro amico, ammesso che tu da greco, come sembri essere, abbia qualche familiarità con le Scritture degli ebrei?»
9. Ed Io rispondo: «Io sono assolutamente della tua opinione, perché le Scritture degli ebrei le conosco molto bene. Ma ora vorrei sentire anche dai tuoi compagni che cosa essi dicono di questa nostra ipotesi molto ben fondata. Qui, di certo, Ribar è l’esponente che rappresenta anche gli altri dieci compagni. Noi lo interrogheremo in proposito e sentiremo poi quale sarà il parere che vorrà enunciare! Chiedi tu a lui!»
10. Dice Suetal: «Bisogna interpellarlo senza indugio, dato che sarà sperabilmente sazio ormai di ammirare il suo pesce».
L’opinione di Suetal e di Ribar su Gesù.
1. Suetal allora si volge verso Ribar, e tirandolo per la veste gli dice: «Ascolta, o Ribar, si tratta adesso di una questione estremamente importante, in particolare poi per noi che siamo israeliti. Forse tu pure puoi darci a questo riguardo un rapporto non disprezzabile, dato che a quanto mi consta tu sei versato nelle Scritture molto più di me e di qualche altro israelita. Ecco, a noi sono note tutte le grandi promesse che non dovrebbero essere proprio tutte campate nell'aria, se fatte al nostro popolo dai tempi di Adamo fino a quasi i nostri giorni. Secondo queste promesse, noi stiamo aspettando un Messia che dovrà redimere da ogni male, tanto nel corpo che nello spirito, in particolar modo noi israeliti, che costituiamo il popolo antico! Ebbene, i prodigi del famoso Salvatore noi li abbiamo visti con i nostri occhi e con le nostre orecchie abbiamo sentito narrare, da testimoni oculari assolutamente degni di fede, di fatti ancora maggiori compiuti da Lui in epoca recentissima, e di altri che compie continuamente! Io dunque mi domando: "Ammesso che Dio in Persona scendesse dal supremo fra i Suoi Cieli su questa Terra, potrebbe Egli compiere opere maggiori e più prodigiose di quelle compiute appunto dal nostro Salvatore da Nazaret?". La risposta ad una tale domanda non può essere che un incondizionato no!
2. Circa tre settimane fa ci venne mostrata come qualcosa di straordinario una casa ricostruita quasi da cima a fondo appartenente ad un medico che là abitava, di nome credo Giorab od altro che sia, che sembra sia stata fatta sorgere in pochi istanti fuori da un cumulo letteralmente di rovine per opera di questo stesso Nazareno, in forza di un semplice Suo atto di volontà!
3. Ci venne raccontato altresì di un mercante, nei pressi di Sichar, la cui dimora è pure stata ingrandita ed abbellita nella stessa maniera!
4. Anche la storia delle guarigioni miracolose a Genezaret ci è nota. Noi tutti, con i nostri occhi, abbiamo visto il fratello del nostro compagno, dalle montagne del circondario di Genezaret, venire risanato e gli abbiamo parlato, e da ultimo siamo stati noi stessi testimoni della straordinaria guarigione dei cinque pazzi furiosi che ieri ci accompagnavano. La sapienza inconcepibile di Mataele, che adesso assieme ai suoi compagni si intrattiene con il comandante Giulio e con un altro nobile romano, ce ne fornisce una garanzia ancor più che sicura!
5. Se aggiungiamo poi i due prodigi compiuti pochi momenti fa da un Suo discepolo, è senz'altro lecita la domanda se tutti questi fatti non giustifichino pienamente la supposizione che il Grande Salvatore da Nazaret sia Egli stesso appunto il Messia promesso. Cosa ne dici tu?»
6. Risponde Ribar: «Oh, oh, certo, potresti ben aver quasi ragione! In fondo, a te posso dire che questo pensiero era già sorto anche in me, ed io me lo sono portato segretamente dentro come fa una donna gravida con il nascituro. Questa però è una questione doppiamente scabrosa, tanto cioè rispetto al tempio, quanto rispetto ai romani ai quali un genuino Messia degli ebrei, del genere come è stato promesso, capiterebbe certamente molto a mal proposito. Il tempio invece per conto suo pone, secondo i suoi calcoli cabalistici, la venuta del Messia come da aspettarsi per un'epoca posteriore all'attuale di almeno duemila anni addirittura, e ciò per ragioni dal suo punto di vista plausibilissime. Il tempio, i cui affari vanno così bene, nell'epoca attuale non saprebbe proprio che cosa farsene di un Messia; d'altro canto ai romani dovrebbe essere evidentemente più gradito che Egli fosse dalla loro parte, anziché da quella degli ebrei!
7. Per conseguenza non ho nessuna difficoltà a dichiarare apertamente che lamia opinione è questa: "Nel segreto del proprio cuore si pensi ciò che si vuole riguardo al Promesso, ma non si dia pubblica espressione alla propria fede prima che la cosa non risulti ancor più chiara ed evidente alla luce del giorno"! Nel tempo presente, con questa fede non si potrebbero evitare impicci molto gravosi sia dall'una, sia dall'altra parte. Del resto, con la tua opinione e con i tuoi ragionamenti non ti trovi secondo me affatto su di una falsa strada, ma su di una traccia buona e del tutto conforme al mio stesso sentimento, al mio intimissimo pensiero; però, o fratello mio carissimo, per amore della nostra salute, che queste cose rimangano per ora gelosamente fra di noi!
8. Ma, fratello Suetal! guarda un po' con attenzione il giovane discepolo miracoloso! Che cos’altro mai può avere in animo di fare? Prima di tutto non accenna affatto a volersi ritirare presso la sua compagnia, e poi sta guardandoci continuamente sorridendo con un'aria per dir così raffinatamente beffarda, quasi noi fossimo un paio di gonzi di genere superlativo! Cosa mai va architettando? Guarda, guarda, adesso egli si volta addirittura e sembra ridersela saporitamente sotto i baffi! Se quel giovane non fosse dotato di una potenza tanto terribile, quasi quasi mi verrebbe la voglia di andare a chiederne conto; sennonché con un uomo di quel tipo non si può arrivare a capo di nulla, poiché per lui non sarebbe che uno scherzo trasformare uno di noi, così, in un pacifico asino. E come si metterebbero le cose allora?»
9. Dice Raffaele voltandosi, ridendo ancora più apertamente e contemporaneamente facendo sorgere per Mia concessione, accanto a Ribar, un bello e robusto asinello: «Oh, precisamente la stessa figura che fa l'effettivo animale che ti sta ora vicino!»
10. Ribar a queste parole si guarda intorno, e tutto spaventato dice, dopo una pausa impostagli dal suo sbalordimento sempre crescente: «Oh, oh! Che cosa è mai questo? Da dove è mai capitato qui così d'improvviso?»
11. Dice Raffaele: «Da quella stessa parte da dove è capitato il pesce! Ma adesso, permetti una domanda? Per quale motivo riesco noioso agli occhi vostri? Vi ho forse già fatto qualcosa di male?»
12. Risponde Ribar: «O mio carissimo e nello stesso tempo bellissimo giovane amico! Ecco! Tu sei dotato di troppa onnipotenza e oltre a ciò hai un po' l'aria di un bricconcello; di conseguenza noi abbiamo una particolare soggezione di te, e la tua vicinanza è causa di non poca angoscia e di timore! Ma, considerato che ormai sei qui e che non vuoi saperne di far ritorno alla tua compagnia, vieni più vicino e almeno descrivici qual è l'aspetto del grande e divino Maestro da Nazaret! Perché degli incredibili prodigi da te compiuti alla nostra presenza, le nostre anime non sono divenute più sazie. Se tu, ciò che non si può mettere assolutamente in dubbio, hai la loquacità così pronta come lo è la tua capacità di compiere atti miracolosi e dall'impronta divino-pura, apri allora la tua dolce bocca e dicci qual è la Sua figura esteriore!»
13. Dice Raffaele: «Se ciò mi fosse lecito, io lo farei molto volentieri; tuttavia, nonostante tutta la potenza che detengo da parte dell'eterno Maestro di tutte le cose, non devo fare rivelazioni prima del tempo.
14. Voi vi siete arrabbiati, e tu particolarmente, per il fatto che io prima ho dovuto necessariamente ridere un po' di voi. Però vi assicuro che dietro a ciò non si nasconde niente che possa assomigliare ad una cosiddetta monelleria, perché avendo a che fare con degli uomini mortali, specialmente quelli che vanno ancora brancolando in una luce per così dire incerta e crepuscolare, uno spirito completamente illuminato come all'incirca lo sono io viene ben spesso a trovarsi in condizioni tali da non poter trattenersi, in via assoluta, dal sorridere. Per me, ad esempio, c'è sempre una cosa che ancora mi costringe al sorriso, ed è quando vedo delle persone, che si reputano ben savie ed intelligenti, radunate assieme ed affannate a cercare le loro cavalcature, mentre vi stanno montate sopra! Sì, amici miei, quando devo assistere ad un simile spettacolo, costi quel che costi, non posso fare a meno di ridere!»
15. Dice Ribar, facendo tanto d'occhi: «Stiamo forse adesso anche noi cercando le nostre cavalcature anche se ci siamo seduti sopra?»
16. Risponde Raffaele: «Materialmente parlando no, ma spiritualmente senz'altro, e perciò fui anche indotto a sorridere! Ditemi un po’, perché temete tanto di conoscere più da vicino il grande Maestro da Nazaret?»
17. Dice questa volta Suetal: «Vedi, caro e saggio discepolo del grande Maestro, a questo amico che ti ha chiamato qui ho già ampiamente dichiarato le ragioni per le quali non desideriamo fare la Sua personale conoscenza, ed in questo nostro desiderio, davvero niente affatto cattivo, noi vorremmo persistere.
18. Già tu per noi, poveri peccatori, sei collocato troppo alto, e perciò ci troviamo terribilmente a disagio in tua compagnia, perché è evidentemente impossibile che in noi vi sia anche il minimissimo principio di un'idea del cosa sia la tua scienza e la tua sapienza, e quindi non possiamo che trovarci in una situazione strana vicino a te. Ma che cosa è poi un discepolo al paragone del Suo Maestro! Se tu, da giovane discepolo del grande Maestro come sei, puoi compiere delle cose talmente prodigiose, che cosa sarà capace poi di fare il tuo Maestro? Se dunque già in tua presenza noi ci sentiamo pervasi da un così grande sgomento, la vicinanza del grande Maestro dovrebbe suscitare in noi un raccapriccio tale che non potremmo assolutamente resistere! Resta frattanto inteso che noi eviteremo di fare la conoscenza personale del grande Maestro.
19. Ed in verità, proprio utile non può esserci che la Sua Dottrina, le cui linee fondamentali ci sono già state esposte da questo amico; con ciò siamo per il momento del tutto soddisfatti. Se attraverso la più scrupolosa osservanza di questa Dottrina divino-pura ci sarà dato un giorno di essere più perfetti di quanto possiamo essere ora, sarà certo per noi la massima beatitudine fare allora anche l’eventuale conoscenza personale del grande Maestro! L'animale però, che come per effetto di magia hai fatto sorgere al nostro fianco, donalo qui all'albergatore, poiché non abbiamo niente per pagargli quello che abbiamo qui mangiato e bevuto!»
20. Dice Raffaele: «Ebbene, donategli voi questo robusto somaro e anche il pesce, dato che i due animali sono stati creati apposta per voi!»
Il Signore promette ai due di far loro conoscere il Salvatore.
1. Ecco, però, che a questo punto avanza Marco per annunciare che il pranzo è pronto e per invitare i presenti a prendere posto alle mense.
2. E Suetal dice a Marco: «Ascolta, o vecchio e buon amico! Vedi, noi dodici siamo dei poveri e non abbiamo niente con cui pagare il nostro conto, ma ecco che questo giovane discepolo del grande Maestro da Nazaret, che deve trovarsi qui in qualche luogo di casa tua, ha creato per noi, con la sua capacità prodigiosa e come per virtù magica, un pesce bellissimo che certo pesa le sue cento libbre, nonché questo asinello. Prendi tu dunque in tua proprietà questi due animali invece del pagamento da parte nostra, perché del resto che cosa potremmo farne noi dell'asino e del pesce? Le idee, che quali simboli essi ci possono suggerire, si sono già affacciate alla nostra mente! Perché, quanto a noi ci consta, il pesce e l'asino non sono stati mai adoperati a simboleggiare la sapienza, ma sempre a simboleggiare la stoltezza! Abbi dunque la bontà di prendere in consegna i due animali che hanno pur sempre un valore, e ti servano da pagamento per quanto tu ci hai già fornito ed ancora ci fornirai!»
3. Dice Marco: «Io lo farò molto volentieri, anche se voi non siete debitori di nulla, perché tutto ciò che avete consumato delle mie provviste, e che eventualmente ancora consumerete, è ad ogni modo già pagato più di cento volte! Adesso però scegliete il vostro posto a mensa, perché il pranzo verrà servito immediatamente!»
4. Dice Suetal: «O amico! Ma chi è che con tanta generosità ha già pagato anticipatamente il conto per noi? Dillo a noi, in modo che possiamo tributargli i dovuti ringraziamenti!»
5. Risponde Marco: «Non mi è lecito rivelarvelo, conviene dunque che vi accontentiate di quello che vi ho detto adesso». E dette queste parole, dietro un Mio segreto cenno, Marco si allontana conducendo con sé l'asinello, che poi affida ad uno dei suoi figli perché ne abbia cura.
6. E dopo che Marco se n'è andato, Suetal si rivolge a Me e dice: «O amico! Cosa Ti sembra; non è questo vecchio davvero un uomo modello? Io credo che di galantuomini di questa specie ben pochi se ne possono trovare a questo mondo! Però, secondo Te, chi mai può essere ad aver spinto fino al sovrumano la sua magnanimità, così da pagare anticipatamente il conto per noi?»
7. Rispondo Io: «E chi altro mai può essere stato se non il grande Maestro da Nazaret; perché Lui non richiede mai "niente per niente". Chi Gli da uno, ottiene dieci in pagamento, e chi Gli da dieci, viene da Lui ricompensato con cento!»
8. Dice Suetal: «Questo certo sarà vero, però non Gli abbiamo finora dato né uno né dieci, e tuttavia Egli ha già pagato mille per noi!»
9. Osservo Io: «Questo Maestro è oltre tutto anche onnisciente, e quindi sa anche quello che voi farete per Lui, e vi da perciò in anticipo la ricompensa!»
10. Dice Suetal: «La cosa non ci dispiace affatto, né mancheremo di meritarci questa Sua bontà con ogni diligenza e con tutto lo zelo quando una buona volta potremo conoscere quale servizio Egli richiede da noi!»
11. Dico Io: «Oh, sì, ma vedete, allora si renderà infine pur necessario che voi facciate più da vicino la Sua conoscenza! E perché si dovrebbe escludere che Egli voglia accogliere anche voi addirittura fra i Suoi discepoli?»
12. Dice Suetal a Ribar: «Ebbene, non sarebbe questa una buona conclusione? Forse anche noi potremmo ben presto acquisire qualcosa delle facoltà di questo bellissimo giovanetto qui! In verità, con queste prospettive, se la cosa fosse facile, desidererei pure fare la Sua conoscenza personale!»
13. Osserva Ribar: «Ed io pure, anzi, veramente noi tutti! Probabilmente, però, il primo incontro riuscirà ancora più scabroso di quanto lo sia stato poco fa quello fra me e quel terribile pesce»
14. Dice Suetal: «E chi lo sa? Qualche volta il garzone del fabbro picchia più forte del proprio padrone sulla sua incudine, per far vedere che anch'egli sa maneggiare il martello. Se durante il pranzo però si offrisse una buona occasione, forse questo greco, nostro buon amico, potrebbe mostrarci con un cenno qual è veramente il Maestro!»
15. Dico Io: «Oh, senz'altro, Io posso rendervi con tutta facilità un simile favore, però quando Lo avrete riconosciuto, bisogna che voi tutti vi manteniate tranquilli e che non facciate nessun spettacolo, perché Egli non ama queste cose. Egli guarda solo a ciò che si cela nel cuore, ed è perfettamente soddisfatto quando nel cuore Gli viene offerto un omaggio in tutto silenzio, ma in maniera vivente!»
16. Dice Suetal: «Oh, sapremo ben seguire il tuo suggerimento, questa è anzi una cosa molto più assennata e savia. Abbi dunque Tu, o amico carissimo, la bontà, al momento giusto durante il pranzo, di farci il favore di indicarci Chi è!»
17. Rispondo Io: «Va benissimo, siamo d'accordo, così sarà fatto! Ma ecco che ormai le vivande sono già deposte sulle mense; andiamo dunque e accomodiamoci alla prima che ci capita sotto mano. Guardate là, sotto il gran tiglio ci sono due mense: a quella grande Mi dovrò sedere Io per riguardo alle notabilità romane che sono presenti qui, voi però prendete posto alla mensa immediatamente vicina, in modo che potremo comunicare con tutta facilità tra di noi»
18. «Sì, sì», dice Suetal, «è meglio così che diversamente, e la questione sarà risolta. Io sono davvero molto ansioso di conoscere per la prima volta di persona il grande Uomo, il vero Messia degli ebrei!»
19. Dico Io: «Va bene, ma adesso andiamo!». Allora Io precedo i dodici che Mi seguono, e Raffaele si mette in moto egli pure vicino a Suetal, cosa che quest'ultimo non vede troppo di buon occhio, e perciò gli domanda se ha forse l'intenzione di prendere posto alla stessa loro mensa.
20. E Raffaele conferma ciò con la maggior amabilità possibile di questo mondo, al che Suetal rimane piuttosto male, dato che egli ha sempre ancora un esagerato rispetto dell'onnipotenza dell'angelo, ma poiché Raffaele gli va parlando in maniera tanto amichevole, egli lo prende man mano un po' di più a ben volere e non si adombra più tanto della sua presenza.
Raffaele quale formidabile mangiatore di pesce.
1. Ormai gli ospiti vengono da tutte le parti, e si accomodano alle mense che per la diligenza del vecchio Marco e dei suoi due figli, intenditori pure dell'arte del falegname, erano aumentate di quattro, perché Marco aveva una discreta provvista di tavole di quercia, che gli serviva per costruire i suoi battelli da pesca. Ora, con Mia licenza, Raffaele aveva, in un attimo impercettibile, accresciute di molto le provviste, cosicché a Marco riuscì facile far rizzare velocemente nel suo giardino una quantità di mense con le rispettive sedie.
2. Raffaele si mise a sedere fra Suetal e Ribar. Al Mio tavolo però, al quale avevamo preso posto nello stesso ordine come nei giorni precedenti, venne ammesso anche Mataele con i suoi quattro compagni, e dovette sedersi fra Giulio e Cirenio. Alla Mia destra sedeva nuovamente Giara, accanto a lei Giosoe, poi Ebal e dopo i Miei apostoli.
3. Alle altre mense presero posto le persone del seguito di Cirenio e Giulio, mentre i trenta farisei con a capo Ebram, il loro oratore, avevano a loro disposizione un lungo tavolo dietro di Me, e collocato in modo che tutti potevano vedere ciò che succedeva alla Mia mensa nonché a quella dei dodici.
4. Una adeguata quantità di pesce, preparato in maniera eccellente, era stata servita a tutte le mense, né mancava il buon pane e il vino. Noi cominciammo a mangiare le vivande e i dodici non trovavano parole sufficienti per lodare la squisitezza dei pesci, i quali dovettero sostenere, da parte loro, dei formidabili assalti; ma chi mangiava più di tutti era Raffaele. Egli inghiottiva, per così dire, un pesce dopo l'altro, ciò che non mancò di dare fortemente nell'occhio a Suetal, il quale non sapeva affatto che cosa pensare.
5. E quando Raffaele ebbe preso dal piatto l'ultimo pesce, e dopo averlo posto sulla assicella per i cibi che aveva davanti, cominciò a dividerlo in pezzi e si diede ad accostare questi alla bocca, uno dopo l'altro, con una certa avidità; allora, tanto Suetal che Ribar non ne poterono più, e Suetal osservò in tono molto cortese a Raffaele: «O mio caro e bellissimo amico, di che stomaco enorme sei mai fornito, che vi puoi mettere dentro tanto pesce e tanto pane! Sui nostri piatti ben grandi c'erano di sicuro una ventina di pesci, noi non ne abbiamo mangiato che dodici, mentre i restanti otto fra i più grandi sono scomparsi per tua sola virtù. Così giovane e così vorace! Non è possibile che ciò sia buono per la salute del corpo! Del resto non ho niente da osservare, e il Signore Dio benedica te e il tuo appetito! Ma c'entra forse anche questo nella Dottrina del grande Maestro, che si deve cioè mangiare tanto per arrivare alla sapienza ed alla onnipotenza?»
6. Risponde Raffaele sorridendo: «Questo proprio no, ma considerato che il pesce e il pane mi piacciono e che non ve n'è mancanza, perché dovrei tralasciare di mangiarne tanto quanto mi piace? Considera un po' il tempio di Gerusalemme e quanto esso nel Nome di Dio divora giornalmente di tutte le offerte che gli vengono fatte; non si potrebbe anche nei suoi riguardi ragionevolmente chiedere e dire: "Oh, ma anche Jehova non è davvero mai sazio! Ogni giorno Egli divora una quantità immensa di buoi, mucche, vitelli, pecore, agnelli, polli, piccioni, pesci e capre, e numerose grosse pagnotte di pane e molti otri di vino, e dopo questo pasto poderoso Gli resta sempre ancora un appetito enorme d'oro, di argento, di perle e di pietre preziose di ogni genere e specie!»
7. Ti sei mai sognato di domandare se un Dio è realmente dotato di una simile voracità? No certo, perché tu ben sapevi che unicamente i servitori di Dio sono i voraci! Ora, che cosa sono i miei otto pesci paragonati a cento buoi, mucche, vitelli e così via? Ma se ai servitori di Dio nel tempio è lecito divorare impuniti una così enorme quantità di cose nel Nome di Dio, per quale ragione dovrei digiunare io, che senza dubbio sono più servitore di Dio io da solo che non tutti quei voraci del tempio!»
8. Dice Suetal: «Oh, sì, tu hai certamente ragione, solamente non ho potuto celare la mia grande meraviglia, constatando che tu, da giovanetto delicato come ti presenti, hai superato di gran lunga nel mangiare noi tutti, senza avere nessun riguardo per noi che avremmo forse pure desiderato di gustare ancora un po' di questi pesci!»
9. Risponde Raffaele: «Ti è mai capitato di vedere i servitori nel tempio prendere talvolta in considerazione se a coloro che facevano le offerte rimaneva ancora qualcosa per sfamarsi? Vedi, essi prendono tutte le offerte, e prelevano tutte le decime anche se sanno che chi offre, di lì a poco, morirà di fame! E vedi: essi pretendono di essere dei servitori di Dio ed anche lo sono agli occhi del popolo cieco. Ma neanche nel segreto della tua anima hai mai pensato di chiamare a rispondere quei servitori di Dio; perché adesso ti preoccupi tanto per la mia salute, dopo che ti ho dimostrato innegabilmente con i fatti come io sia un genuino servitore di Dio?»
10. Dice Ribar: «O amico Suetal! Con questo qui non mi sembra consigliabile dialogare! Il giovinetto mi pare proprio fatto sullo stampo di Mataele e non si può escludere che egli abbia, così detto fatto, a spiattellarci improvvisamente in faccia tutte le vicende della nostra vita!»
11. Gli osserva Raffaele: «Non parlare così a bassa voce, altrimenti non ti potrò comprendere, ed evidentemente Suetal ancora meno!»
12. Dice Ribar: «Oh, no, no, ho parlato anche troppo forte!»
13. Replica Raffaele: «Eppure, in un certo qual modo hai voluto che io non ti sentissi! Vedi, io odo e vedo anche i tuoi pensieri, come dunque non dovrei udire le tue parole? Sappi che l'animale che prima ho fatto sorgere al tuo fianco ha ancora molti punti di somiglianza con te. Però ti dico anche che, se prima non diverrai tanto umile quanto quel grigio animale, non ti sarà permesso di scoprire la stretta porticina che conduce alla dimora della vera sapienza!»
14. Dice Ribar: «Ma dimmi veramente, amico mio, perché hai voluto procurarmi quella umiliazione di fronte a tanta gente?»
15. Risponde Raffaele: «Ma se ho pure avuto occasione di dirtelo prima, che voi siete così ciechi nelle vostre anime, che sempre ancora cercate l'asino mentre vi trovate su di esso a cavalcioni, e come prima eravate ciechi, così lo siete tuttora, malgrado abbiate mangiato troppo poco pesce! Ma se volete dell'altro pesce, non avete che da dirlo, poiché nel mare ben ne troveremo ancora un po’!».
Buone e cattive caratteristiche dei rimproveri.
1. S'intromette allora un terzo fra i dodici, che ha nome Baele, e dice: «O amici, lasciate che dica una parola anch'io, che di solito parlo poco e preferisco ascoltare qualcosa di savio senza aprir bocca. Ma dai vostri discorsi non ha davvero trapelato finora che ben poca e magra sapienza! Il giovane discepolo ha sul serio ragione se vi prende molto abilmente in giro; poiché io vi dico anche che "non vedete il bosco a causa degli alberi". Pensate soltanto un po’, chi siamo noi e chi sono questi qui che compongono la grande compagnia! E poi ringraziate Dio se siamo ancora in vita! Noi siamo dei miserabili vermi della Terra, deboli e del tutto indegni di considerazione, mentre questa società si compone di potenti, dinanzi ai quali tutta la Terra trema; e noi che siamo dei vermi, non osiamo scambiare con loro delle parole quanto mai sciocche! Come mai ha potuto essere seccante a te, o amico Suetal, che questo meraviglioso giovinetto dalle facoltà prodigiose e veramente onnipotenti abbia mangiato otto pesci in nostra presenza? Non siamo noi qui degli invitati a cui il pranzo non è costato niente, eppure ci siamo saziati? Ma io dunque penso: "Se ormai siamo sazi più che a sufficienza, che cosa vorremmo ancor di più?". Se la natura di questo giovinetto è così fatta che per soddisfarla deve mangiare più di noi straccioni del tempio indeboliti dalla fame, non dobbiamo perciò fare delle critiche! Perché, in primo luogo, egli non ha mangiato a spese nostre e in secondo luogo è stato da parte nostra sommamente sconveniente di aver voluto in certo modo chiamarlo a render conto del suo agire! Io non posso che esortarvi ad essere una buona volta più cauti! A questo discepolo obbediscono, per così dire, tutti gli elementi, e voi parlate con lui come se voi gli foste pari. O pezzi d'asini che veramente siete! Egli è più dei profeti delle epoche passate degno di tutta la nostra venerazione, a causa dello Spirito di Dio che per mezzo suo si manifesta a noi, e voi lo trattate come se fosse un vostro compagno di gioco! Quando voi nel tempio dovevate presentarvi al sommo sacerdote, voi quasi tremavate per l'immenso rispetto; qui invece ci sono milioni di volte di più di mille sommi sacerdoti riuniti in una persona sola, e voi vi comportate come due grandi imbecilli! Vergognatevi dunque! State zitti; prima ascoltate e imparate qualcosa, e solo dopo ragionate con la gente che è meno stolta di voi! Ma il divino giovinetto lasciatemelo in pace, altrimenti sarei costretto a diventare con voi villano in nome di tutti gli altri fratelli che siedono a questa mensa»
2. Osserva Raffaele: «Le tue parole, o caro Baele, sono bensì giuste; tuttavia correzioni così aspre non sono mai completamente nell'ordine, perché esse non hanno come base l'amore, bensì una celata superbia. Poiché quando tu ti metti a correggere i tuoi fratelli con tanta asprezza, ti accendi d'ira, ti infuri fino alla collera e non ne trai niente di buono; perché sulle spine e sui cardi non crescono né uva né fichi, e laddove è passato l'incendio ci vuole tempo prima che l'erba torni a crescere.
3. Quando vuoi essere da guida a tuo fratello, non devi afferrarlo così rudemente per il braccio come fa il leone con la sua preda, bensì come la gallina conduce i suoi pulcini; così pure tu sii di guida ai tuoi fratelli, ed allora tu verrai considerato da Dio, perché avrai operato conformemente all'ordine dei Cieli.
4. Tenta dapprima sempre con la forza e la potenza dell'amore e che cosa esso può fare e quanto lontano arriva! E se poi ti accorgi che nella sua dolcezza poco o nullo effetto ne ottieni, solo allora ricopri l'amore con il velo di una assoluta serietà, e così, mosso da profondissimo amore, conduci tuo fratello tenendolo saldamente fino a che l'hai portato sulla retta via! Ma quando egli si troverà su questa via, allora mostragli il tuo amore, ed allora il fratello tuo rimarrà eternamente per te un amico celeste pieno di riconoscenza! E questo procedimento è migliore, perché è dalle eternità fondato nell'Ordine divino»
5. Baele rimase stupefatto a questo rimprovero, mentre Suetal e Ribar, raggianti di gioia, stringono la mano a Raffaele, perché erano immensamente lieti di aver trovato nel supposto discepolo un patrocinatore del loro diritto umano.
6. Però il giovane discepolo così dice loro: «Amici miei, la gratitudine per un buon servizio ottenuto è buona, sempre che sia anche giusta. Se le origini non sono buone del tutto o, per dirla schietta, sono più cattive che buone, allora anche la più abbondante gratitudine non è per niente migliore delle sue stesse origini!»
7. A questa osservazione di Raffaele, Suetal e Ribar, a loro volta, rimangono a bocca aperta, ed infine Suetal così interpella Raffaele: «Ma, o carissimo giovane amico nostro, dicci veramente cosa hai voluto dire con le tue parole! Ci sembra che la nostra gratitudine non ti soddisfi!»
8. Risponde Raffaele: «Vedete, in un uomo che intende essere fedele all'Ordine di Dio, deve anche essere infine tutto perfettamente secondo l'Ordine divino. L'amore puro, quale il fondamento di ogni vita tanto in Dio quanto in ogni uomo, deve emergere limpidissimamente da ciascuna azione! Ora voi mi siete grati per la ragione che ho rimproverato Baele, poiché ho constatato che la correzione rivolta a voi non era fondata sull'amore, ma sulla rabbia, che è una figlia dell'ira e della vendetta. Baele ha evidentemente offeso il vostro sentimento, e perciò nei vostri cuori vi siete sentiti invadere dal dispetto e contemporaneamente sorse in voi il desiderio che, per questo fatto, a Baele venisse data una buona lavata di capo! Orbene, questa brama rappresenta appunto una giovane figlia del sentimento della vendetta, che abita unicamente nell'Inferno. Adesso, però, ho prevenuto il vostro desiderio e gli ho mostrato chiaramente qual era stato il lato maligno del suo redarguire, in conseguenza di ciò voi due gioiste e mi esprimeste la vostra gratitudine.
9. Ma la gioia non è sorta in voi perché ho ricondotto il fratello Baele sulla giusta via dell'Ordine divino, ma per avergli io, al vostro posto e secondo le vostre intenzioni, inflitto un rude scossone, per cui la vostra piccola sete di vendetta fu alquanto calmata, mentre, d'altro canto, vi resterà riservata l'occasione di calmare ulteriormente la vostra malcelata sete di vendetta con il rinfacciargli varie volte ancora il suo errore. Ora, vedete, considerato che la vostra gratitudine aveva radice appunto in questo terreno, che è del maligno, neanche la gratitudine stessa è potuta essere logicamente buona!
10. Ah, ma tutt'altra cosa è quando la vostra gratitudine è frutto di una gioia veramente celestiale che fiorisce nell'anima quando si vede che un fratello, traviato per qualche istante, è stato nuovamente portato sulla retta via. Allora certo anche la gratitudine risulta essere un frutto dell'Ordine dei Cieli, che si chiama Amore, ed è eccellente appunto per questa ragione.
11. Se voi, che pure siete fra i chiamati, volete veramente diventare figli di Dio, è bene, in via assoluta, che sappiate che non esiste alcun movente, ad una qualsiasi azione, che sia fondato in ogni sua parte esclusivamente sul puro amore. Dai vostri cuori bisogna che venga bandita anche la più impercettibile traccia di dispetto, di brama di vendetta e di maligna gioia per il male altrui, perché tutto ciò è una prerogativa dell'Inferno e non del Cielo.
12. Pensate un po' se in casa vostra vi fosse un fratello gravemente ammalato nel corpo e si trovasse in imminente pericolo di venir ucciso dal male, il che potrebbe causarvi con vostro grande dolore la perdita del caro fratello, voi fareste senz'altro ogni cosa possibile pur di alleviare le sue sofferenze e per salvarlo dal mortale pericolo. Quale sarà la vostra gioia quando vedrete che attraverso le vostre cure e le vostre fatiche il vostro fratello andrà di ora in ora migliorando?
13. Ma se una simile gioia la percepite in voi già per una riacquistata salute fisica del vostro fratello, quanto più voi, quali indistintamente figli di uno e medesimo buon Padre nel Cielo, non dovete aver ragione di rallegrarvi se vi è dato di accorgervi che un fratello infermo nell'anima, e quindi sulla via della possibile perdizione eterna, è stato restituito alla salute della vita eterna! Vedete, siete o no in chiaro in questo ragionamento?».
Suetal si rivela un chiacchierone.
1. Dice Suetal: «O amico, così non parla nessun uomo di questo mondo! Tu devi certo essere una creatura di classe superiore, scesa dai Cieli di Dio! Ma alla fine potresti ben essere tu stesso il gran Medico da Nazaret!»
2. Risponde Raffaele: «Oh, per nulla! Perché al Salvatore sarò per l'eternità indegno di scioglierGli sia pure semplicemente i lacci delle Sue scarpe! Io, dal punto di vista dello spirito, provengo certo dall'Alto! Ma dal punto di vista invece di questo corpo, ora anch'esso terreno, non sono che quello che voi avete visto e conosciuto di me!»
3. Dice Suetal: «Ma adesso che noi, come gli altri ospiti, abbiamo finito il nostro pranzo, vorrei fare anche la conoscenza del celestiale Maestro per tributarGli il mio omaggio più profondo!»
4. Osserva Raffaele: «Io non sono ancora autorizzato a farti una simile rivelazione, ma quando sarà giunto il tempo vedrai bene che anche tu ed i tuoi fratelli Lo conoscerete. Vedi, nei vostri cuori si celano tuttora varie impurità; voi siete tenuti a ricercarle, a riconoscerle per quello che sono e conseguentemente ad aborrirle e a scacciarle da voi con ciò che in futuro, riconosciuto che abbiate l'impurità in voi, formiate il fermo proponimento di non ricadervi mai più, quale che sia l'occasione che possa presentarvisi. Allora sarete veramente atti a riconoscere del tutto il grande Maestro.
5. Ma ora voi tutti fate bene attenzione! Credo che l'amico che prima ha parlato con voi, a giudicare dal suo atteggiamento, abbia l'intenzione di tenere qualche importante discorso, perché ho osservato che Cirenio, il supremo governatore che è seduto vicino a Lui, gli ha rivolto delle domande su qualche argomento. Ora vedi, quando i grandi parlano, i piccoli devono star zitti ed ascoltare quando si offre loro l'occasione di far così! Perciò adesso taceremo e lasceremo che a loro volta parlino i nostri alti vicini»
6. Chiese nuovamente Suetal: «Ma, o carissimo e giovane amico nostro, non vorresti spiegarmi chi è veramente quella eccellente Persona, che ora è in procinto di parlare?»
7. Risponde Raffaele: «No, per il momento non posso, adesso si tratta di tenere in freno la lingua e di ascoltare! Quando quella Persona comincia a ragionare diffusamente riguardo ad un qualsiasi argomento, è sempre di massimo interesse ascoltarLa. Da questo momento dunque, e fino a che Egli avrà terminato di parlare, non una parola di più!»
8. Queste parole inducono alla quiete il nostro Suetal nonché tutti gli altri, ed essi, con impazienza, rimangono in attesa che Io cominci il Mio discorso; sennonché Io non potevo cominciare prima che Cirenio non avesse finito di esporre le sue domande, quanto mai importanti, riguardo al matrimonio, all'adulterio, al divorzio ed alla relazione carnale con una vergine ancora nubile.
9. E dopo qualche minuto di silenziosa attesa, Suetal ritorna alla carica e domanda: «Ebbene, quando dunque comincerà il suo discorso?»
10. Osserva Raffaele: «O cieco e sordo? Non vedi che Cirenio non si è ancora sbrigato con la sua domanda? Si può forse cominciare a parlare ed a rispondere ad una domanda prima che questa sia stata ampiamente svolta? Abbi dunque pazienza e vedrai che anche la risposta non mancherà!»
11. Suetal rimase per il momento soddisfatto di questa decisione, ma Cirenio allarga la sua domanda con numerose osservazioni accessorie, cosicché Io ancora non posso cominciare a rispondere. Cirenio, oltre a ciò, parla a voce piuttosto bassa, a causa di Giara che è lì vicino, cosicché i nostri vicini ovviamente non capiscono molte delle sue domande, e cominciano di conseguenza ad annoiarsi molto, non udendo da nessuna parte proferir parola. Presso i romani era norma capitale che anche le migliaia dovessero tacere, quando un personaggio altolocato accennava anche lievemente soltanto a voler parlare.
12. Trascorrono dunque così nuovamente alcuni minuti, ed Io non inizio ancora a parlare; allora Suetal riapre la bocca e dice a Raffaele:» O piccolo amico mio! Quei due signori non fanno che parlare a bassissima voce tra di loro! Da questo colloquio però, forse ricco quanto mai di sapienza, non ci sarà per noi da guadagnare molto, e noi perciò potremmo ben comodamente intrattenerci per nostro conto riguardo ad un qualche argomento, cosa questa che probabilmente non rincrescerà affatto neppure ai nostri vicini! Perché quando dei nobili signori, di questa specie, parlano tra di loro a bassa voce, fanno comprendere ai piccoli, che stanno loro intorno, che essi non vogliono che le loro parole siano udite! Noi dunque facciamo molto male standocene ora qui completamente zitti e tenendo dinanzi a loro un contegno anche troppo evidentemente incivile; bisogna dunque che ragioniamo anche noi di qualche cosa!»
13. Dice Raffaele: «Guarda, guarda, che testa sopraffina sei diventato! Vedi un po' là, come avanza una seconda portata di pesci allestiti a meraviglia, di pani e di numerose tazze del miglior vino! Tutto questo ben di Dio è destinato a questa mensa, visto che a causa del mio considerevole appetito siete rimasti in svantaggio voi»
14. Esclama Suetal: «Dio ne sia lodato, perché almeno per quanto mi concerne sento ancora qua e là qualche vuoto nel mio stomaco! Il pesce, che ho mangiato prima, non era proprio dei più grandi, e di pane pure non c'era veramente grande abbondanza sulla nostra mensa; perciò questo supplemento è il benvenuto»
15. In quell'istante compare Marco con la bramata seconda portata, ed egli così si espresse: «Perdonate, miei cari amici! Questa mensa è stata un po’ trascurata la prima volta, e perciò dalle mie abbondanti provviste ho fatto preparare ancora queste vivande che vedete; voglia Dio, il Signore, benedirle per tutti voi!»
16. Dopo ciò, ad eccezione dell'angelo, tutti si danno di buona lena a far onore alla nuova libagione, e gli eccellenti pesci, il pane e il vino vengono consumati con una certa rapidità. Non passa molto e la mensa risulta nuovamente del tutto alleggerita.
17. E quando, senza la partecipazione dell'angelo, hanno così fatto piazza pulita, Suetal esce a dire: «Ogni lode sia resa a Dio, il Signore ed unico buon Padre degli angeli e degli uomini! Ormai mi sento una buona volta sazio, come non lo fui mai da sei mesi a questa parte! Adesso sì che ci si può mettere a tacere e ad aspettare con tutta pazienza il sermone promesso dal savio greco, che probabilmente è una specie di consigliere intimo del luogotenente della Celestina e contemporaneamente luogotenente generale di tutta l'Asia. Sennonché il discorso preannunciato dal nostro giovane amico si fa aspettare alquanto!
18. Il luogotenente generale sembra non dover mai arrivare alla fine della sua domanda, certo molto circostanziata, e d'altra parte l'altro non può cominciare la risposta finché il governatore generale non si sia sbrigato con la sua domanda, senza dubbio importante quanto mai! Che la cosa duri ancora a lungo? Anche i farisei e leviti in erba vanno già insistentemente tirando l'orecchio! Ma di un sermone o discorso ancora nessuna traccia.
19. Quella fanciulla poi, tutto ben considerato, non mi dispiace affatto, però sembra che sia innamorata a morte del greco! Non distoglie un solo istante il suo sguardo da lui e pare che riesca a leggergli negli occhi ogni tipo di cose, invece non bada assolutamente al giovane figlio del luogotenente, nonostante sia magnificamente abbigliato e, a quanto si vede, cominci ad annoiarsi alquanto! Oh, oh, ecco qua, altre quattro gentili ragazze sono uscite di casa! Saranno probabilmente le figlie del padrone! Cosa mai vengono a fare?»
20. Dice Raffaele: «Ma sai che sei un grande chiacchierone! Non si riesce a farti star zitto! Non vedi che sono le fantesche che vengono a prendere le stoviglie vuote per lavarle per la cena? Sei proprio di spirito tanto limitato che non ti accorgi di una cosa simile a prima vista? In verità, ci vorrà molto prima che tu divenga un Mataele!
21. Prova una buona volta a tacere e a limitarti al tuo solo e proprio pensiero, perché una certa tranquillità esteriore è necessaria per il ridestarsi dello spirito, senza di che questo importantissimo fra gli atti della vita non può mai tradursi nella verità effettiva».
Gli insegnamenti di Raffaele riguardo al concentrarsi nel proprio cuore.
1. Continua Raffaele: «Ascolta bene, c'è un tale, che è padrone di una casa, ma dentro questa casa da lungo tempo tutto è in disordine. Tutto è abbandonato e sporco, e nelle stanze si sono accumulate sporcizia e immondizie. Il padrone di casa è sempre occupatissimo fuori, e perciò non ha mai tempo per riordinare e ripulire l'interno della sua casa. Ma poiché durante la notte deve tuttavia ritirarsi in casa per riposarsi, ed è di conseguenza costretto a respirare un'aria puzzolente, succede che egli si indebolisce e si ammala, ed in uno stato simile gli riesce ancora più difficile far pulizia in casa ed a riacquistare la salute nell'aria viziata.
2. Ora vedi, anche il tuo cuore è la dimora della tua anima, e particolarmente dello spirito. Ma se tutta la tua attività la sprechi sempre fuori di questa dimora, quando mai ti resterà il tempo di far pulizia dentro la tua casa della vita, affinché il tuo spirito possa prosperare nell'atmosfera dell'anima tua?
3. Dunque, per il progresso dell'anima, e nello stesso tempo dello spirito che è in lei, la prima cosa da fare è il curare la pace e la tranquillità esteriori!»
4. Osserva Suetal: «Però Mataele ha detto che la vita è una lotta continua, e che ad essa non si può pervenire mediante la comoda tranquillità della carne; dunque Mataele si esprime diversamente da te, e tu a tua volta diversamente da lui. Allora chi di voi due ha veramente ragione?»
5. Risponde Raffaele: «Tanto per me che per Mataele, la vita è certamente una lotta, ma non è una lotta esclusivamente esteriore, ma anzi è una lotta fierissima dell'interiore contro l'esteriore. L'uomo esteriore deve alla fine venire completamente vinto dall'interiore, altrimenti l'interiore è destinato a morire assieme all'esteriore. Lascia dunque che il tuo uomo interiore metta un freno alla lingua della tua carne, affinché essa abbia pace e con ciò che sia reso possibile al linguaggio interiore del pensiero della tua anima di divenire a sua volta attivo e di riconoscere quanto sudiciume e quante impurità siano accumulate ancora nella dimora dell'anima stessa.
6. Non ti affannare per nessuna delle apparenze esteriori, che sono perfettamente nulle, perché interessa ben poco che se ne conoscano o che non se ne conoscano le vere ragioni, ed invece vedi di riconoscere la vera ragione della vita interiore dell'anima e dello spirito mediante la vera celebrazione del Sabato. Questa è la cosa che tu e ciascun altro deve esclusivamente prendersi a cuore!
7. A che cosa ti serve conoscere molto bene e sentire che esisti e vivi, mentre non sai se un solo istante dopo sarai e sentirai di essere? A che cosa possono giovarti tutte le cognizioni e tutte le scienze, per quanto sublimi, quando non conosci la tua vita e non hai in te nessuna nozione delle ragioni di questa vita stessa?
8. Ma se tu vuoi conoscere quello che c'è in te di più importante e vitale, devi evidentemente innanzitutto rivolgere verso l'interiore i tuoi sensi percettivi, come quando tu vuoi scrutare qualcosa; perché, come potresti tu ammirare il levar del Sole tenendo gli occhi rivolti ad Occidente? Non ti accorgi, per quanto fungesti tu stesso da "Rabbi", che nei riguardi della tua più assoluta e propria sfera vitale sei ancora così cieco, come lo è l'embrione nel corpo materno?»
9. Dice Suetal: «Oh, sì certamente, ora ne sono molto persuaso, e noi tutti cene staremo adesso silenziosi come delle statue di pietra».
La sapienza mondana di Risa.
1. Dopo ciò alla mensa si fa assoluto silenzio, ma in compenso insorge una disputa fra i trenta giovani farisei e leviti, anche se il loro oratore Ebram, in certo modo, ha comandato anch'egli il silenzio. Fra questi c'era una figura particolare, un certo Risa, che aveva dei genitori ricchissimi, dei quali sarebbe un giorno diventato l'unico erede. Il suo risentimento è grande quando Ebram gli dice che farebbe meglio prestare attenzione alle sagge parole di Mataele, e specialmente a quelle del Salvatore di Nazaret, lasciando riposare la propria lingua anziché sprecare continuamente il fiato chiacchierando della sua eredità, che in fondo non ha un valore reale.
2. Risa però fa ad Ebram una controsservazione sconveniente, e dice: «I poveri diavoli finiscono sempre con il darsi alla devozione e con lo sdrucciolare giù nei pozzi di ogni sapienza, perché non sanno aspettarsi molto dal mondo, mentre i grandi e ricchi si fanno talvolta anch'essi pii e savi, per poter con maggior facilità ricondurre alla mansuetudine ed alla pazienza i poveri diavoli esasperati e indurli a sopportare con rassegnazione anche in futuro la loro povertà quanto mai opprimente!
3. Il ricco va alla Sinagoga e là prega per far credere al povero che così si deve fare ed a quale grado deve giungere la devozione per venire benedetto da Dio nella misura di quanto lo è lui. Il povero, dal canto suo, prega anch'egli molto, allo scopo soprattutto di ottenere da Dio altrettanta benedizione ed anche perché il ricco lo veda, e vedendolo tanto devoto gli faccia eventualmente l'elemosina. Ma che differenza c'è in questo caso tra i due? Assolutamente nessuna! Perché da un lato c'è il ricco che inganna il povero, e dall'altro c'è il povero che inganna quanto più può il ricco per cavargli qualcosa. Io però non mi lascio imbrogliare da nessuno, neanche da un operatore di miracoli, perché questi sapienti del miracolo sanno molto bene per chi e perché vanno operando i loro presunti prodigi. Quando sono diventati perfetti maestri nelle loro arti segrete, allora fanno restare a bocca aperta grandi e piccoli, e vengono onorati addirittura come degli esseri superiori, giungendo così a ricchezza e potenza!
4. A farla breve, per i ciechi è cosa facile essere pittore! Si dipinge loro un orso e poi si dice: "Ecco qui una vergine bellissima e loro ci credono". Ma se viene qualcuno a fare miracoli dinanzi a me, vi dico che l'occhio d'aquila di Risa non ne verrà abbagliato, e costui non si meriterà né perciò otterrà l’elemosina!
5. Tutto a questo mondo è un imbroglio, ma chi con arte più raffinata sa ingannare, costui viene sempre più in alto collocato! Chi invece è un po' meno accorto o inetto, non potrà certo procedere a sbalzi troppo grandi sulla scabrosa via della fortuna!
6. Dunque, è veramente beato soltanto chi già da principio è ricco di beni terreni ed è dotato al massimo grado di perspicacia, e può evitare che un orso gli venga spacciato per una vergine seducente. Questa è l'opinione che ho del mondo e di tutti gli avvenimenti, opinione che ritengo sana, poiché non è annebbiata dalle influenze di nessun diavolo, né povero né astuto. Così è sempre stato e così anche sempre sarà!
7. Che nessuno poi mi venga a blaterare di una vita eterna dopo la morte. Quanto di vero ci sia, ce lo dimostra ogni tomba, come pure ciascun albero del bosco reso fradicio dall'età. Ciò che dalla terra sorge, alla terra ritorna, ed all'infuori di questo non c'è nulla, eccetto la pia illusione dei poveri diavoli, che i ricchi hanno tutto l'interesse evidentemente di coltivare!»
8. Ebram, come detto, resta molto indignato per queste espressioni e dice a Risa: «Dunque, secondo te, Mosè e tutti i grandi e piccoli profeti altro non sono che degli imbroglioni, reali o immaginari, della cieca umanità, e il Salvatore Nazareno di questo nostro tempo non dovrebbe neppure Lui essere affatto meglio quotato presso di te!?»
9. Risponde Risa: «Proprio degli imbroglioni malvagi non credo, ma degli imbroglioni sempre, anche se di una specie migliore, perché tutti conoscevano alla perfezione l'arte di presentare all'umanità cieca forse non proprio degli orsi, ma delle scimmie certo, facendole passare per vergini fanciulle e di far vedere una X per una Y!
10. Poi, per quello che concerne il Medico da Nazaret, anche Lui, attraverso l'istruzione, si è reso senza dubbio familiari le forze occulte della natura. Ora Egli può giovarsene, mentre noi, che non ne sappiamo niente, restiamo sbalorditi come il bue dinanzi ad un nuovo portone, e non vediamo come la cosa possa avere un principio e una fine!
11. Tuttavia gli insegnamenti suoi sono buoni, perché se l'umanità intera li accettasse e li seguisse, ci troveremmo nelle migliori condizioni possibili! Ma chi annuncerà una Dottrina simile a tutte le genti di questa Terra? E se ciò anche fosse possibile, io domando: a quali difficoltà ed a quali ostacoli insuperabili andrà incontro chi vorrà assumersi un tale compito?
12. Poiché gli uomini sono più accessibili in tutte le cose che non nella questione delle varie religioni e insegnamenti divini.
13. L'uomo comune, però, è dappertutto di gran lunga più animale che uomo. Gli manca ogni intelligenza superiore, e perciò, nonostante la falsità e la placida stoltezza quanto mai evidente a cui si ispirano i suoi millenari principi, non s'indurrà a rinunciarvi. L'uomo di maggiore intelligenza, però, farà dentro di sé le seguenti considerazioni: con la vecchia stoltezza, la vita in fondo non riesce cattiva. A che scopo dunque arrischiarsi con delle novità, delle quali non si ha alcuna esperienza su come verrebbero accolte e rispetto alle condizioni che potrebbero risultarne? Questi sistemi sono dunque buoni per singole località, e conviene mantenerli il più possibile segreti se si vuole che conservino il loro valore quale elemento di felicità almeno per alcune singole persone. Se invece diventano di dominio pubblico generale, perdono ogni valore e cadono nel ridicolo, e finisce che nessuno vi bada più. Quello che un - diciamo - uomo può fare viene imitato in breve tempo da mille altri, per poco che vi vengano iniziati.
14. E così, secondo il mio parere, accadrà pure a questo Maestro da Nazaret, che non nego sia un'eccellente persona. Quando avrà insegnato anche a degli altri la Sua scienza mistica, come è precisamente il caso del bel giovanetto che abbiamo già visto, il quale ha già acquisito una maestria superlativa nel compiere prodigi!
15. Ma quando il discepolo è già arrivato al punto di ottenere degli effetti talmente inauditi, che cosa altro resta poi da fare al Maestro? Se i discepoli sono capaci di mantenere il segreto, allora può almeno venir creata qualche istituzione certo destinata a funzionare con molto profitto, a meno che non abbia a guastarsi con i potenti del mondo, perché questi appoggiano di buon grado simili istituzioni che per loro esibizioni di carattere straordinario sono perfettamente adatte a contribuire al consolidamento dei freni imposti al popolo, mediante grandiose promesse per l'aldilà consistenti solitamente in assicurazioni di ricompense o di punizioni senza fine.
16. Ma non appena simili cognizioni segrete diventano di pubblico dominio e dal popolo viene esposta la verità, allora è finita! Le critiche e il ridicolo soffocano tutto, nessuno ci annette alcuna importanza, tutto il primitivo valore, la sublimità e l'entusiasmo vanno irrimediabilmente perduti, e l'umanità va poi affannandosi dietro a qualcosa di più straordinario ancora, ma di solito non trova altro finché rimane in stato di lucidità. Soltanto passati dei secoli, quando una placida stoltezza ha riconquistato il suo dominio, soltanto allora qualche astuto avventuriero può rendersi nuovamente tributario, per qualche altro secolo, l'uno o l'altro piccolo popolo, sempreché conosca a puntino il suo mestiere, altrimenti, se commette anche una minima sciocchezza, corre il rischio di dover cercare in fretta e furia il largo per vedere di salvare la pelle.
17. Vedete, io non pretendo di essere un profeta, e del resto, probabilmente, dei veri profeti non ce ne sono mai stati! Ma io affermo ora con assoluta convinzione che il tempio, con i suoi grandiosi sistemi di illudere e gabbare il mondo, potrà a mala pena sostenersi per cento anni ancora, e ciò malgrado tutta la sua presunta accortezza e prudenza. Poiché quando una simile istituzione diventa troppo avida di beni e di onori, si tradisce ben presto, perde l'aureola che le conferisce maestà e così finisce nella dissoluzione. Ora, il termine di duemila anni sembra che sia già il massimo concesso ad un sistema di questo genere per sostenersi. Trascorso un simile termine, esso ripiomba nella sua nullità e non ne resta che un ricordo frammentario esumabile forse in qualche vecchia cronaca.
18. Soltanto la matematica, inventata dagli antichi fenici e ampliata e perfezionata poi dagli egiziani e dai greci, non può ridursi al nulla, perché essa contiene delle verità che sono evidenti per chiunque, molto utili e perciò indistruttibili.
19. Qualsiasi altra dottrina che richieda dall'umanità ogni genere di sacrificio, e che quando se n'è fatto tesoro non offre altro vantaggio che quello di guarire qualche ammalato e in caso di bisogno di compiere qualche altro piccolo prodigio ancora, come ogni altra dottrina non può sostenersi a lungo! Poiché, in primo luogo non poggia su di una base matematicamente dimostrabile, e in secondo luogo, nonostante le migliori assicurazioni che ne può dare il suo fondatore, essa non rimane dopo di lui mai così semplice e pura come quando è uscita dalla sua mente.
20. Di solito si comincia con ogni tipo di osservazioni illustrative, perché ciascun fondatore di una nuova dottrina è sempre più o meno un fautore dell'antico misticismo e riempie i suoi principi, molte volte quanto mai sani, di frammenti mistici di ogni tipo incomprensibili, che prima di tutto probabilmente non ha capito neppure lui e che i suoi successori potranno capire ancora meno. Gradatamente una dottrina di questo genere va poi ampliandosi sempre di più e quello che in essa c'è di mistico sullo stampo antico si fa sempre più mistico ancora; poi vengono là edificati dei grandi ambienti e si fanno all’interno spettacoli e cerimonie di ogni genere con una faccia terribilmente spettrale, e ciò per rendere tanto più evidente e persuasiva al popolo l'antica santità di una dottrina un tempo semplicissima. Tutto questo però non serve a niente, perché con il tempo agli uomini vengono aperti gli occhi mediante le svariatissime apparizioni nel campo della natura, che vengono osservate e scrutate dalla sana ragione, e allora tutta l'antica dottrina la si può considerare come già spacciata, dato che i frammenti che qua e là restano ancora conservati non si possono poi più unire assieme per ricostituirli in un tutto. Ecco, questa è all'incirca la mia sana opinione che però non ho affatto intenzione d'imporre a nessuno».
Il discorso di Ebram mostra l'errore di Risa.
1. Dice Ebram: «O amico, come ci hai ora presentata la cosa, con l'appoggio della tua ragione, l'ho udita presentare già più volte; ma qui bisogna che tu faccia i conti con qualcuno che è qualche cosa di più di un solito mago imbottito di ogni tipo di arti magiche, persiane ed egiziane!
2. Basta che tu rifletta sui discorsi di Mataele e sulle opere, gli insegnamenti e sulle parole del grande Maestro stesso, e deve riuscire chiarissimo che tu, malgrado la tua ragione per quanto all'apparenza molto sana, ti trovi senz'altro su di una via sbagliata!
3. Io me ne intendo un po' di magia, e conosco le varietà di quest'arte tanto del tipo persiano quanto dell'egiziano, però il compimento dei prodigi che sono stati compiuti qui e tutti gli insegnamenti che qui sono già giunti alle nostre orecchie, fanno pensare ad una origine molto più elevata di quanto noi siamo in grado di raffigurarcela.
4. Quel giovanetto là, che siede con i dodici, dinanzi ai nostri occhi ridusse in polvere una pietra che era sul tavolo, poi ricostituì con la polvere la stessa pietra com'era prima ed infine la fece sparire completamente. Successivamente trasformò una pietra in eccellente pane, dopo ciò un'altra pietra in un pesce che esiste ancora e da ultimo fece comparire, non si sa come, un asino completo in "OPTIMA FORMA!" (nella forma migliore!) O amico, questi sono fenomeni di natura ben differenti da quella dei miracoli sciocchi ed insignificanti di cui abbiamo avuto occasione di assistere a Damasco per opera di qualche mago persiano. Bastava che uno fosse stato in grado di calcolare il risultato di uno più uno e sarebbe riuscito a intravedere l'imbroglio in maniera chiarissima e procurarsene in "OPTIMA FORMA" una spiegazione. Ma adesso, nel nostro caso, chi mai può prospettarsi un'altra spiegazione diversa da quella data da Mataele, che qui cioè agisce unicamente la potenza e la forza del fondamento della vita in Dio e da Dio?
5. Tu dunque hai assolutamente torto se quello che c'è qui lo metti nella ben nota categoria dei meschini imbrogli, come d'altro canto hai pure torto quando nella stessa categoria vuoi classificare Mosè e tutti gli altri profeti. Mataele ci ha dimostrato con sufficiente evidenza cosa stia celato dietro al grande liberatore del nostro popolo dal duro giogo degli egizi.
6. Mosè fu certo una entità di grandezza spirituale così straordinaria dinanzi a Dio ed agli uomini, che la Terra fino ai nostri giorni non ne ha mai prodotto ancora l'uguale. Ma qui, o amico, si trova, sotto spoglia mortale umana, appunto Colui dinanzi alla Cui faccia santissima il grande Mosè ebbe un giorno a velare la propria faccia; per conseguenza è molto irragionevole da parte tua parlare qui, in Sua presenza, come se ti trovassi di fronte ad un simile uomo!
7. Conta un po' gli ospiti che si nutrono tre volte al giorno di pesce senza spine della migliore qualità, di pane, di vino e di ogni specie di frutta, di miele, formaggio e burro. Ma considera, nello stesso tempo, che il nostro albergatore è una persona più povera che benestante. Il terreno che possiede potrà avere al massimo tre iugeri di superficie, e quanto c'è di coltivato a campo è poca cosa ed anche questa è molto pietrosa; la pesca è ancora quello che c'è di meglio, ma a che cosa può giovare avendo così tanti ospiti? Noi saremo in tutto circa quattrocento persone, e tutti riescono a saziarsi pienamente senza contare oltre a ciò i molti animali da soma dei romani e dei greci, ai quali finora non è venuto a mancare nulla. Ma va un po' ad ispezionare le dispense del nostro albergatore e vedrai che sono piene zeppe di frutta di ogni qualità e di pane eccellente; e la cantina, scavata profondamente nella roccia, la troverai colma di vino in modo tale che non potremo vuotarla neppure in un anno. Domanda poi a quell'albergatore onesto ed amante della verità come sia venuto in possesso di tanta dovizia! Vedrai che ti risponderà questo: "Unicamente per effetto dei continui prodigi del grande Salvatore da Nazaret!”
8. Ma, se la questione sta in questi termini, chi può avere ancora il coraggio di affermare che tutto ciò sia un inganno escogitato forse dai potenti della Terra, per illudere così il popolo cieco e stolto allo scopo di renderlo più devoto e più disposto ai sacrifici? Io ti dico invece che qui c'è molto di più di quanto l'intelletto di tutti i sapienti del mondo potrà mai comprendere; qui opera manifestatamente la potenza di Dio, come di quando in quando ha già operato e come ancora opererà sulla Terra. Anche se queste cose non vengono comprese dalla tua ragione, che crede di essere sana, esse sono e rimangono tali quali te le ho esposte io; ma se non vuoi credere alle mie parole, va' tu stesso ad esaminare ogni cosa e poi vedi se questi procedimenti ti appaiono naturali!»
9. Dice Risa: «Ebbene sì, se le cose stanno veramente così, mi vedo certamente costretto a ritirare parecchie delle mie asserzioni, e di conseguenza non intendo più affatto contestare a Mosè ed agli altri profeti il loro divino valore; però una cosa resta nonostante tutto vera, e cioè che nessuna dottrina, per quanto sia di origine divina, riesce infine a mantenersi nella sua purezza originaria nemmeno per un periodo di secoli!
10. Mosè si trovava ancora sul monte intento ad ascoltare le leggi che gli dettava Jehova, mentre il popolo giù nella valle danzava intorno al vitello d'oro. Quale differente aspetto assunse la dottrina di Mosè già quando al posto dei Giudici comparve re Saul; quale differenza più grande ancora ai tempi di Davide e quale cambiamento addirittura sotto il regno di Salomone e dei suoi successori!
11. Continuamente la dottrina andò perdendo qualcosa del puro e del divino, che venne sostituito dall'umano e dal mondano in modo che, arrivata ai nostri tempi, contiene solo dei nomi, mentre lo spirito mosaico è quasi completamente scomparso. Ne è stato conservato solamente quel tanto che giova ancora a conferire ai servitori del tempio una certa aureola di divinità. Essi si sono ben guardati dal toccare il penitenziale, per conservarsi con ciò il diritto, in certo modo autorizzato da Dio, di tormentare la misera umanità in tutti i più raffinati modi suggeriti dal demonio, ma per quanto concerne il veramente divino è già da lungo tempo che se ne può cercare invano una traccia, ed a scontare le offese e le mancanze ai dieci comandamenti, non sono più affatto in voga le vesti grigie del penitente, confezionate di crini. Quando si tratta di gente ragguardevole, ancora l'adulterio è quello in cui viene attribuita una certa importanza, perché simili peccatori devono riscattare la loro pelle, minacciata di lapidazione, mediante l'esborso di grosse somme. Allora questi bevono un'acqua maledetta per modo di dire, la quale non fa loro scoppiare il ventre, poiché i peccatori di questo genere si ritiene buona cosa tenerli in riserva, per metterli ulteriormente a contribuire per sopperire ai numerosi bisogni del tempio! Se gli alti funzionari del tempio commettono adulterio, nessuno ci bada più di tanto; soltanto se qualche povero diavolo avesse la disgrazia di rendersi adultero, allora certo ancor oggi altro non potrebbe aspettarsi che venire lapidato.
12. Dalle Scritture, però, noi apprendiamo con quale inaudito dispendio di forza e di potenza divine e con quale sfoggio di tuoni e fulmini, da far tremare tutta la Terra, siano stati dati da parte di Dio i dieci Comandamenti agli uomini, e come le manifestazioni di una simile terribile serietà divina si siano protratte per vari secoli e si siano spesso ancora ripetute in ogni tempo ed in ogni luogo. Quante volte questo popolo è stato ammonito da Dio, secondo quanto se ne può leggere nei libri dei grandi e dei piccoli profeti! Ma a che cosa è giovato tutto questo per il nostro tempo? A che punto noi siamo arrivati oggi, noi lo sappiamo, e di più non occorre dire! In verità, se davvero esiste in qualche luogo un Inferno, là non è possibile che le condizioni siano peggiori di queste che regnano attualmente qui!
13. Ma se delle rivelazioni, che dovrebbero essere pure-divine, non possono dare che simili frutti, tristi quanto mai, quali sono cioè quelli che è dato di veder prosperare tra i farisei, allora io domando a chiunque sia sano di cervello, se infine sarà proprio difficile vedere che ogni fede, in una qualsiasi rivelazione e provvidenza divine, sarà stata gettata tra le cianfrusaglie!
14. Quello che hai detto sul conto del gran Salvatore è tutto perfettamente giusto e vero, e non è escluso che la sua Dottrina possa trovare coronamento migliore di quello ottenuto da tutte le altre dottrine divine fino al nostro tempo. Però vorrei, con la mia conoscenza attuale, essere soltanto, anche dopo un mezzo millennio, di nuovo presente qui, e constatare con i miei occhi che aspetto avrà poi in generale questa nuova Dottrina, sempre che l'effettiva osservanza ne sia rimessa, come per tutte le dottrine che la precedettero, alla libera volontà degli uomini!
15. Basta che da principio vi sia anche un solo preside ad amministrare la dottrina, ed in mille anni i presidi si saranno moltiplicati come le mosche, ed essi, nel presentare tale pura dottrina, non si dimenticheranno sicuramente della propria pancia. E adesso dimmi se con questo modo di vedere le cose, mi trovo proprio del tutto su di una via tanto sbagliata come hai detto prima!».
L'Ordine divino e il nostro intelletto mondano.
1. Risponde Ebram: «Sì e no, secondo i casi! A parer mio, dal punto di vista esclusivamente umano-terreno, tu hai certamente ragione, ma da quello invece puramente divino hai torto marcio, e di conseguenza ti trovi senz'altro su di una via sbagliata, perché i piani di Dio hanno senza alcun dubbio un aspetto del tutto differente dai nostri. Vedi, se fossimo stati noi a porre le stelle sul firmamento, certo le avremmo collocate con maggiore regolarità; invece Dio, il solo Onnipotente, le ha poste in modo che sembrano un capriccioso gioco di luci. Ma qual è la ragione di un tale fenomeno?
2. Guarda un po' l'erba sui prati e considera come le varie specie si trovano frammiste confusamente; perché questa mancanza d'ordine, dal quale il nostro senso della simmetria potrebbe ricavare un diletto per dir così matematico? In qualsiasi luogo, dove anche tu possa o voglia far convergere l'attenzione dei tuoi sensi, troverai dappertutto in tutti i regni naturali più manifestazioni caotiche che manifestazioni fondate in un qualche ordine simmetrico. Eppure, il Creatore di simmetria deve ben intendersene, poiché le prove evidenti e convincentissime di ciò le abbiamo molto vicine a noi, cioè nella nostra forma umana. Se il buon Creatore è sotto un certo aspetto senz'altro in grado di osservare la massima simmetria, e sotto un altro aspetto della simmetria sembra invece non volersi affatto curare, deve bene esserci certo una ragione molto poco nota ancora a noi vermi della Terra, per la quale il Creatore, da un lato propugna la massima simmetria, mentre dall'altro le si schiera risolutamente contro! Perché non è un anno uguale all'altro, e perché un giorno non somiglia all'altro?
3. E vedi, se si considerano le cose in questo modo, la sana ragione umana, cosiddetta simmetrica, è chiaro che non può fare a meno d'imbattersi in cose passibili di acuta critica da parte del suo spirito arguto; ma ecco che d'improvviso interviene il grande Maestro in Persona e dice: "O ciabattino, parla e giudica finché si tratta di una questione del tuo mestiere, ma non andar più oltre!»
4. Ma nella stessa maniera nella quale vediamo che nell'immensa Creazione di Dio si trovano ovunque un apparente, massimo e caotico disordine appaiato al massimo ordine, ugualmente mi sembra che sia pure il caso delle varie rivelazioni divine degli uomini di questa Terra. Egli, quale unico Creatore, doveva meglio di altri conoscere quello che era e quello che sarebbe stato più confacente, nelle varie epoche e per i vari popoli, agli scopi della loro evoluzione spirituale.
5. E così avviene che Egli, pure per motivi certo supremamente saggi, lascia che la Dottrina data finisca con l'inaridirsi nello stesso modo come innumerevoli erbe e fiori appassiscono sui prati; ma il seme, sviluppatosi fuori dal fiore e simboleggiante la verità pura e vivente, non appassisce, ma continua ad essere vivente!
6. Ma quando noi vediamo che il Creatore permette che tutto quanto è sorto per un tempo determinato, seppure esteriormente sia magnifico e bello, cada con il tempo in rovina, mentre si può constatare che infine Egli dedica ogni cura allo sviluppo della vita interiore in ciascuna cosa a noi conosciuta portatrice di una qualche vita, come mai possiamo meravigliarci quando vediamo il medesimo procedimento trovarsi applicato anche alle rivelazioni?
7. Senza il concorso della parola proferita dalla bocca umana, nessuna dottrina per quanto sia pura può giungere a noi; ma la parola esteriore è già qualcosa di materiale, ed infine, quando lo spirito interiorissimo e puro che vi è contenuto si è sviluppato, essa è condannata a decadere. E così pure avviene che le dottrine divine, nella loro parte esteriore, vanno sì con l'andar del tempo necessariamente sempre un po’ di più in decadenza, per quanto concerne il loro splendore esteriore, ma al loro posto si sviluppa inosservata sempre di più la potenza spirituale purissima e la verità di un'antecedente rivelazione di Dio agli uomini. È così sì o no, o Risa, amico mio?»
8. Allora Risa esclama: «O Ebram, fratello mio, devo ammirarti! In verità, con queste tue parole, veramente ispirate a sapienza, hai sconvolto tutto il mio modo di pensare e non posso che ringraziarti caldamente! Davvero è così come tu me l'hai ora esposto, ed io posso pensare quanto voglio, che la cosa adesso finisce con il diventarmi sempre più chiara! In poche parole, tu hai sotto ogni riguardo trionfato sulla mia ragione, e ripeto che te ne sono molto obbligato».
Cenni sulla vita da parte del Signore per i principianti.
1. A questo punto Io intervengo nella discussione, Mi volto verso Ebram e gli dico: «Ebbene, vedo che hai già fatto dei grandi progressi nella sapienza, come pure voi tutti. In verità è pienamente giustificata la gioia di avere dei simili discepoli, ed essi ben presto potranno venire con profitto impiegati nella cura della vigna di Dio. Tuttavia su di una cosa devo rendere attenti tutti voi, e questa cosa è la seguente:
2. "Voi adesso siete simili ai fiorellini di primavera, che all'inizio della buona stagione innalzano i loro capi sopra il suolo morto della terra, ma quando, come praticamente lo provano gli inizi di quasi ogni buona stagione, le giornate calde vengono interrotte da qualche gelo improvviso, allora questi fiorellini primaticci chinano i loro capi bene ornati e spesso appassiscono del tutto!
3. Io vi dico: "L'uomo vede talvolta in maniera quanto mai chiara la verità, ma qualora avvenga che sull'orizzonte dell'anima umana comincino a sollevarsi delle nubi cupe e gravide di ogni tipo di tempeste della tentazione, allora il turbamento s'impadronisce del cuore umano e l'uomo poi non è capace di continuare a vedere più di una cosa, che prima era presente all'occhio della sua anima, nella massima chiarezza.
4. Dunque, serbate in voi quello che ora avete appreso, però vedete d'innalzare i vostri capi bene adorni sopra il terreno della vostra umanità esteriore solamente quando i geli della prova saranno passati. Io vi dico che allora il vostro sapere non sarà più turbato da alcuna malefica brina!
5. A ogni cosa, però, occorre il suo tempo per consolidarsi e maturarsi, non esclusa dunque la scienza umana! Se capita una buona occasione, molte cose vengono spesso rapidamente comprese, ma con la stessa rapidità anche dimenticate! Perciò, quanto apprendete, vedete di fissarvelo molto bene piuttosto nel vostro animo che non nel cervello, ed allora sì che rimarrà quale vostro patrimonio!
6. Quando guardate un fiore, certo provate gioia ammirandone la bellezza, i colori e il profumo; ma a che può giovarvi questa gioia, la quale è necessariamente transitoria appunto quanto il fiore stesso che l'ha suscitata in voi? Però l'energia sostanziale del fiore deve scendere e depositarsi nelle profondità di quel ricettacolo dove viene custodito e curato il seme vivente, di conseguenza, dunque, anche la vostra gioia esteriore deve appassire, mentre la sua energia deve scendere nel profondo del cuore, dove la vita eterna dello spirito viene custodita e curata, e poi soltanto da qui sorgerà una gioia eterna dallo spirito, in seguito alla sua vera bellezza interiore che si rivelerà; gioia, contro la quale mai più nulla potranno tutte le brine del mondo»
7. Ora però fate bene attenzione, perché adesso Io passerò a trattare un po' più dettagliatamente quegli argomenti sui quali Cirenio desidera che venga fatta maggiore luce»
8. Allora Io Mi volsi verso Giara e Giosoe e dissi loro: «E voi, Miei carissimi figlioletti, potete adesso andarvene ed intrattenervi un po' con le figliole del nostro Marco. Esse potranno narrarvi molte cose da loro osservate e dei fatti a loro successi durante questi ultimi giorni mentre erano occupate nelle cure della cucina, cose che per voi due saranno molto utili da apprendere, perché quello che Io ho ancora da esporre ai convitati che sono qui, è simile ad un pane duro come la pietra, il quale per sminuzzarlo e masticarlo si richiedono già dei denti completamente formati e robusti, e ciò al fine che non ne venga poi sovraccaricato lo stomaco quanto mai sensibile e così dunque non senta dolori e grave pregiudizio. Più tardi, quando i denti del vostro animo si saranno irrobustiti, allora queste cose saranno rivelate anche a voi!»
9. Giara allora abbandona il suo posto, ma veramente non troppo volentieri, Giosoe però le dice: «O Giara, mia cara amica, vieni di buon animo con me! Perché ciò che il Signore vuole, conviene che venga subito fatto da noi sempre di lieto cuore. Tu già queste cose le comprendi ancora meglio di me, allora alzati subito dal tuo posto e vieni con me secondo la volontà del Signore!»
10. Dopo ciò Giara si alza e se ne va con Giosoe in casa di Marco. Qui le figlie di Marco l'accolgono con grande amorevolezza, secondo l'usanza della casa. Ben presto la conversazione inizia, ed i ragazzi si intrattengono fin quasi a sera fatta, istruendosi reciprocamente.
11. Ed Io Mi rivolgo allora a Cirenio e gli dico: «Ebbene, o carissimo amico Mio, ora disponiti a prendere nota di quello che ti dico, che serve da risposta e da spiegazione alla domanda discretamente ampia che Mi hai fatto. Questo tieni fermo in te: chiunque è qui, intende la Mia Parola!»
12. A questo punto Suetal voleva sussurrare a Raffaele ancora una pia parola per il fatto che Io avrei finalmente cominciato a parlare. Ma Raffaele, in tono serio, lo invitò a tacere, ed egli tacque mentre Io cominciai così a parlare.
Il discorso del Signore sull'ordine sessuale.
1. (Il Signore:) «Vedi, la procreazione di un essere umano è una cosa del tutto particolare. Per generare un frutto giusto e sano, occorre che tra due esseri umani maturi, cioè un uomo ed una donna, sussista una giusta affinità delle anime, senza la quale essi difficilmente giungeranno - o spesso proprio non giungeranno - ad ottenere un frutto mediante il noto atto della procreazione.
2. Se dunque un uomo e una donna sono di natura affine nei loro cuori e nelle loro anime, allora possono anche congiungersi tra di loro in matrimonio e, secondo l’ordine facilmente riscontrabile in Natura, possono servirsi dell’atto della procreazione unicamente allo scopo di ottenere un frutto vivente a loro immagine; tutto quello che va oltre a quanto è necessario appunto a tale scopo è contrario all’Ordine di Dio e della Natura, e come tale è un male ed un peccato che non è di molto migliore del muto peccato di Sodoma e Gomorra[1]!
3. Qualora un uomo abbia molto seme, allora è bene che lo sparga in un altro campo, secondo la buona usanza degli antichi padri e dei patriarchi, ed egli non peccherà. Ma se invece se ne va di nascosto solamente per soddisfare il suo impulso con delle procaci prostitute e per divertirsi con loro senza la procreazione di un frutto, allora egli, così facendo, commette con assoluta certezza un grossolano peccato sodomitico contro l’Ordine divino e contro l’ordine della Natura!
4. Solo a un uomo giovane, infuocato [dall’impulso] della procreazione, se viene preso dalle attrattive di una ragazza in maniera troppo potente, al punto da essere a stento padrone dei propri sensi, solo allora gli è lecito congiungersi con la vergine[2], con o senza lo scopo del procreare; tuttavia, dopo l’atto egli è tenuto a darle coscienziosamente quello che fu prescritto da Mosè. E se da questa unione provocata dalla necessità dell’uomo si è maturato un frutto, allora egli deve dare alla vergine da dieci a cento volte di quello che secondo Mosè le sarebbe stato debitore qualora dall’unione non fosse sorto alcun frutto, perché la vergine fa’, per un tale uomo, un grande sacrificio per la vita e per la morte! Se in seguito l’uomo può sposare una simile vergine, allora egli non deve tralasciare di farlo, perché, come detto, lei ha fatto un grande sacrificio per lui e libera l’uomo da un carico che lo stordisce.
5. Poi, però, un tale uomo, fervente [dall’impulso] della procreazione, deve prendere subito una moglie per bene, e in caso di bisogno, in giusto accordo con la moglie legittima, affinché non sorgano liti e dissidi, egli deve prendere anche una concubina. Se però un simile uomo rinnegasse se stesso, allora egli, con maggiore facilità di altri, verrebbe presto fatto partecipe di una superiore grazia spirituale della vita interiore.
6. Come poi si debba procedere per prendersi una moglie legittima, questo - secondo l’Ordine dei Cieli - è stato già comandato attraverso Mosè, e così deve restare fino alla fine del mondo.
7. Ora, da quanto è già stato detto, potrai facilmente comprendere che cosa sia la fornicazione[3] e perché Mosè l’abbia proibita come un grave peccato; infatti, da parte di Dio, tutto è prescritto all’uomo secondo l’Ordine divino. Chi resta entro i limiti di quest’Ordine, raccoglierà i frutti della benedizione dall’Alto; chi invece opera contrariamente a quest’Ordine, raccoglierà i frutti della maledizione.
8. Ma se qualcuno, infuocato [dall’impulso] della procreazione, nonostante tutto il suo bisogno, non ha la possibilità di estinguere in maniera naturale il fuoco che lo tormenta, a costui Io gli consiglio un sollecito bagno nell’acqua fredda e una fervidissima preghiera perché venga mitigato questo tormento, e allora egli sarà liberato quanto prima dal suo tormento. Qualsiasi altro modo di spegnere [un fuoco di questa specie] proviene dal male e a sua volta genera il male; il male però è peccato e a sua volta genera altri peccati.
9. Così pure è bene che venga messo nel cuore di tutti i genitori di non esporre i loro figli già grandicelli ai pericoli dell’eccitazione. Infatti un materiale infiammabile può facilmente prendere fuoco, ma una volta che le fiamme divampano alte da tutte le parti, allora spesso non c’è più da parlare di un rapido spegnimento, e nessuna fiamma divampa alta senza provocare vittime! Quando essa si è spenta, allora si vede ben presto il danno che ha causato.
10. Di conseguenza, particolarmente le giovinette devono andare ben vestite ma mai in maniera provocante, e i giovani non devono assolutamente essere esposti all’ozio, poiché l’ozio è sempre il generatore di ogni vizio e di ogni peccato.
11. E quando qualcuno si è presa una moglie per bene, costui resti legato a lei fino alla morte, e la lettera di ripudio[4] di Mosè non cancella l’adulterio dinanzi all’Ordine di Dio qualora un simile uomo sposasse un’altra donna; se la moglie divorziata si risposa, allora essa commette adulterio. A dirla breve, chi si sposa dopo l’avvenuto divorzio è un adultero, chi non si sposa non è un adultero.
12. Spiritualmente, però, si rende adultero anche colui che mette gli occhi su una donna che è già sposata e nel suo cuore formula l’intenzione di indurla, con ogni tipo di inganni, all’adulterio, anche se l’opera completa non avviene.
13. Ma se tu, scorgendo le attrattive della moglie del tuo prossimo, ti lasci sedurre, allora tu commetti ugualmente un adulterio, poiché con ciò tu hai fatto della moglie del tuo prossimo una prostituta e l’hai spinta a prostituirsi con te. E questo è un peccato grande e grave davanti a Dio e davanti agli uomini, anche se hai generato un frutto con la donna estranea. Naturalmente, però, il male è ancora più grande se hai commesso atti sessuali con la moglie del tuo prossimo unicamente per il muto e cieco stimolo del piacere. Ebbene, tali peccatori ben difficilmente verranno resi partecipi del Regno dei Cieli».
Eccezioni nei casi di sessualità.
1. (Continua il Signore:) «Ammesso però che la moglie del tuo prossimo non abbia potuto concepire dal suo legittimo marito e abbia però un grande desiderio di destare un frutto in sé e desideri te, allora tu devi manifestare questo desiderio a suo marito! Se lui acconsente, allora tu puoi soddisfare un simile desiderio senza peccare.
Se la donna viene fecondata e, trascorso il tempo, manifesta nuovamente un simile desiderio e se il marito lo consente, allora tu puoi dimostrare ancora una volta amicizia alla donna, se tu sei celibe. Ma se tu stesso sei il marito di una donna feconda, allora non devi sottrarre il tuo vigore a tua moglie, perché a questo scopo, da parte di Mosè, è stato reso lecito tenere una e, in caso di necessità, anche più concubine accanto alla moglie legittima, particolarmente quando questa sia sterile, però sempre con il suo consenso. Se poi avvenisse che per questo fatto la moglie legittima dovesse diventare molto triste, allora sarebbe giunto il momento di congedare le concubine, come Abramo congedò Agar, che lui si era preso a causa della lunga sterilità di sua moglie Sara.
2. E qualora succedesse che una donna di un paese straniero, fuggita dal proprio legittimo marito, si presentasse a qualcuno tacendo di essere già la moglie di un uomo, allora colui che così se l’è presa in moglie non commette peccato, e ciò anche se più tardi viene a conoscenza che lei è già la moglie di un uomo, ma che lo ha lasciato segretamente per la sua durezza e sterilità. Infatti al momento in cui ha preso la straniera in moglie, egli certo non sapeva che era già la moglie di un uomo, e quando subito dopo è giunto a conoscenza della cosa, essa era già sua moglie, da cui egli ora non può più separarsi senza commettere il peccato di adulterio, salvo in caso di morte.
3. In simili occasioni, però, si sono già verificati spesso dei fatti quanto mai crudeli. Ecco alcuni di questi fatti. Il nuovo marito, se si trovava soggetto alla legge di Mosè ed era stanco della moglie straniera, cercava di disfarsene e così andava di nascosto dal primo marito e gli denunciava il caso di sua moglie infedele e adultera. La conseguenza era che la donna veniva poi lapidata, mentre i due uomini potevano legalmente passare a nuove nozze. Queste cose però non devono mai più ripetersi in futuro!
4. Ed Io vi dico: “Di fronte ad un simile caso, un celibe non deve prendere in moglie una donna straniera se non si è prima precisamente informato riguardo a tutte le condizioni precedenti della donna. Qualora dalle ricerche fatte non sia risultato nulla ed egli si senta attratto dalla straniera, allora può prendersela in moglie. Ma ammesso che solo più tardi, per puro caso, venga a conoscenza delle precedenti condizioni della donna prima che essa diventasse sua moglie, allora egli non deve essere il traditore di sua moglie [denunciandola di nascosto al suo primo marito], ma deve continuare a tenerla con sé nel buon modo così come egli l’aveva presa. La moglie invece può espiare il suo precedente peccato dimostrando assoluta fedeltà al suo nuovo marito, perché Dio non è un Giudice ingiusto e sa, con la massima esattezza, considerare e vagliare le debolezze della carne umana. L’assassino della propria moglie, però, è peggiore di una moglie adultera!”
5. Vediamo ora il caso in cui ci siano due vicini, dei quali l’uno non riesca a destare alcun frutto in sua moglie, avendo in gioventù, per mancanza di sorveglianza, indebolito troppo la sua capacità procreatrice, mentre l’altro, a giudicare dai suoi numerosi e sani figli, possiede una capacità procreatrice molto vigorosa, dato che egli, sempre e in ogni luogo, è vissuto nel buon ordine e nella sua gioventù ha mantenuto una buona disciplina. Ebbene, che succederebbe se il vicino, che è sterile, andasse dal vicino, che è fecondo, e lo pregasse di destare al posto suo, con la sua abbondante capacità procreatrice, un frutto in sua moglie, e il vicino che è fecondo, per vero amore al proprio vicino, che tra l’altro è buono e di cuore fedele, acconsentisse senza avere nemmeno il più lontano pensiero di voler compiere atti lussuriosi con la moglie del vicino, ciò che sarebbe assai peccaminoso? Vedete, questo non sarebbe né un peccato, né meno ancora un adulterio, bensì una simile azione compiuta con il tacito consenso di tutte le parti coinvolte, sarebbe perfino un lodevole e segreto servizio d’amore; segreto in quanto, all’infuori delle persone menzionate, nessuno dovrebbe venirne a sapere niente, in modo che non venga leso l’onore del vicino che è sterile e affinché nessuno possa rimanerne scandalizzato».
Sul commercio carnale peccaminoso.
1. (Continua il Signore:) «Ma se un uomo celibe, oppure anche un uomo già sposato, sfoga la sua lussuria[5] con la moglie prosperosa del proprio vicino all’insaputa del marito, allora questa è un’infame prostituzione. Una tale donna è una vera e propria prostituta, e gli uomini che sfogano la loro lussuria con lei sono dei veri e propri puttanieri i quali, come tali, non entreranno mai nel Regno di Dio, perché una tale infame prostituzione divora ogni buon sentimento nelle loro anime e uccide ogni elemento spirituale.
2. Una tale prostituzione non è poi per niente migliore del vero e proprio adulterio, anzi molte volte è molto peggiore dell’adulterio stesso, perché trattandosi di un adulterio possono essere in gioco delle circostanze che attenuano parecchio il crimine di un simile peccato e che meritano di venir prese in considerazione da un giudice, mentre nella prostituzione non può mai venir considerata una qualche circostanza attenuante, perché nella prostituzione si manifesta in maniera del tutto sfrenata la fetida brama della lussuria, la quale non è meritevole, dinanzi ad un tribunale, neanche della benché minima considerazione!
3. Una donna, che si lascia facilmente indurre a questo senza una qualche necessità dimostrabile, è cattiva e non merita la minima considerazione, perché la debolezza in questo caso non scusa niente, dato che ciascuna donna, mediante la giusta fiducia in Dio, può ottenere un sufficiente rinvigorimento. Ma ancora peggiore è una donna che di sua iniziativa seduce gli uomini per farli cadere nella sua rete impudica, allo scopo di dedicarsi con loro agli atti lussuriosi in assenza del proprio marito.
4. Ma altrettanto criminosamente e infamemente agisce un uomo, sia celibe che peggio ancora sposato, quando attira a sé delle donne, commette di nascosto atti lussuriosi con loro e alla fine dà loro una ricompensa per la loro lussuria. Infatti un simile uomo, in primo luogo, istiga le donne portandole ad una ignobile infedeltà, e in secondo luogo le rende quasi completamente sterili e le devasta come una maligna tempesta devasta i campi sui quali non si può più deporre un seme con profitto.
5. In una categoria del tutto simile va posto pure chiunque, sia celibe che sposato, che con un compenso qualunque si procuri delle ragazze nubili per compiere atti lussuriosi con loro, e ciascuna giovane ragazza venale è altrettanto una prostituta quanto lo è una donna sposata che si concede per denaro o altri doni.
6. Le ragazze basta che siano diligenti e laboriose, e così esse non dovranno mai dire che è stata la necessità a costringerle a fare questo, perché una ragazza diligente e laboriosa è cara a ciascun uomo retto, e costui non le lascerà patire la miseria. E se un qualche datore di servizi è un uomo avaro e duro, ebbene, si abbandoni lui e il suo servizio, e si cerchi un altro; infatti non sarà per niente difficile, per una ragazza diligente e laboriosa, trovare un buon servizio dove lei certo non soffrirà la miseria!
7. Ma una sorte ancora peggiore sarà un giorno riservata a coloro che, con ogni tipo di doni, cercano di indurre alla lussuria ragazze diligenti o addirittura delle fanciulle immature. In verità, tali uomini, siano essi celibi o sposati, sono simili a dei lupi rapaci camuffati da agnelli ed avranno anche la ricompensa dei lupi!
8. Chi però strappa a sé con la violenza una ragazza, una fanciulla o una donna, costui deve venire giudicato già qui [sulla Terra]! Consista la violenza in ciò che si vuole, sia nella forza delle mani, sia nell’allettamento mediante doni molto preziosi, ciò non fa differenza nel crimine. Neanche la potenza del discorso o l’uso di mezzi magicamente narcotizzanti, attraverso i quali la parte femminile si è messa, con apparente spontaneità, a disposizione della volontà lussuriosa dell’uomo, ebbene, nemmeno questo attenua tale peccato neanche di un capello, e neanche qualora, in seguito alla lussuria, fosse stato realmente concepito un frutto, perché un tale concepimento è avvenuto contro la volontà di entrambe le parti e quindi non contribuisce a mitigare assolutamente il crimine.
9. Ma la forma del tutto più abominevole della lussuria consiste nello stupro dei fanciulli e nella contaminazione di altri membri e parti del corpo femminile differenti da quelli che sono stati prescritti a questo scopo da Dio, per non parlare poi dello stupro degli animali. Tali stupratori devono venire eliminati del tutto e per sempre da ogni società umana!
10. Ma trattandosi di crimini di simile specie, un tribunale dovrà tuttavia sempre tenere conto su quale gradino di formazione[6] stava un qualche lussurioso o lussuriosa del genere. Così pure è da considerare se un essere umano così lussurioso non sia forse posseduto da un qualche spirito maligno che lo incita ad una tale lussuria.
Nel primo caso, la comunità deve aver cura che una simile persona debolmente ragionevole venga portata in un buon istituto di correzione, per esservi sottoposta a disciplina come si fa con un fanciullo corrotto, finché non è diventata un’altra persona, perché quando un individuo è riuscito a trionfare sulla natura bestiale della propria carne e la sua ragione è stata chiarita, allora comincerà a condurre una vita più pura e non ricadrà più così facilmente nella sua vecchia natura bestiale. Nel caso poi dell’ossessione, un tale lussurioso deve venire tenuto sotto chiave e chiavistello, perché tali individui vanno allontanati subito dalla libera società umana a causa del grandissimo scandalo!
11. Una volta che sono in buona custodia, essi devono poi venire risanati con digiuni e preghiere, fatte in loro favore nel Mio Nome. Quando però sono guariti e risulta che si sono liberati dalla loro immonda ossessione, allora devono anche venire del tutto rimessi in libertà».
Rimedi contro gli eccessi sessuali.
1. Chiede Cirenio: «Signore, nel secondo caso, qualora non si potesse trovare la persona dotata della forza spirituale necessaria a indurre gli spiriti maligni, che possiedono la carne di un uomo, a piegarsi dinanzi alla sua potenza di parola e di volontà, in un simile caso non vi sarebbe la possibilità di impiegare anche dei mezzi naturali, almeno fino al punto che un tale uomo potesse poi venire liberato dal suo male per mezzo della potenza di parola e di volontà di un uomo spiritualmente non ancora così forte?»
2. Dico Io: «Il primo mezzo naturale nell’ambito della natura è il digiuno. Si dia ad un tale uomo una sola volta al giorno un pezzo di pane di segale di circa mezza libbra (circa 280 g), e per quanto concerne la bevanda un semplice boccale d’acqua. Oltre a ciò, ogni secondo giorno gli si dia eventualmente da bere un po’ di succo d’aloe, secondo la costituzione della natura dell’ossesso, con una fino a due gocce di giusquiamo[7]. Con un tale sussidio di mezzi naturali si otterrà quindi un buon effetto, tuttavia solo questo trattamento non lo aiuterà del tutto senza la preghiera e senza l’imposizione delle mani nel Mio Nome.
3. In generale, però, in simili casi il giudice deve avere costantemente presente nel proprio cuore il fatto di avere, nel delinquente che ha davanti a sé, solo un uomo fortemente traviato e non un completo demonio.
4. Qualora però un uomo si ostini nel suo pervertimento, pur non essendo del tutto privo di formazione, né ossesso, allora si può procedere nei suoi confronti con una punizione già severa!
5. Se un tale uomo si migliora e comincia a provare orrore del suo peccato rendendosene ben conto, allora egli deve essere trattato con più amore, ma se un tale uomo non migliora affatto e, in maniera evidente, è ugualmente incline e trova piacere nel suo pervertimento - ciò che un caprone lussurioso di questa specie non può mai completamente nascondere -, allora, dato che egli sotto altri aspetti è un uomo di una certa formazione, può venire del tutto bandito dalla comunità e portato in qualche paese deserto e lontano, dove la grande miseria lo indurrà alla riflessione; e se egli si migliorerà, allora le cose per lui si metteranno anche meglio, in caso diverso il deserto lo divorerà.
6. Ma se un uomo è di scarsa formazione e con lui non giovano né punizioni né digiuni, allora lo si può castrare[8] per mano di un medico esperto, e con ciò può venire salvata la sua anima. Considerato che vi sono alcuni che si sono mutilati da sé a causa del Regno di Dio, ebbene, così pure vi possono essere dei tali che - soltanto però nel caso menzionato - devono per la stessa causa venire mutilati in seguito alla disposizione del tribunale della comunità, poiché in questo caso è meglio entrare mutilati nel Regno di Dio che non con il corpo intatto nell’Inferno! Ed ora tu dovresti ben conoscere come deve essere trattato giuridicamente tutto quello che proviene dal desiderio della carne! Questo soltanto Io devo ancora aggiungere, e cioè che in futuro e per tutti i tempi bisogna giudicare, in simili casi, soltanto così come ora lo avete appreso da Me.
7. Per crimini di questo genere Mosè prescrisse la pena di morte per lapidazione o sul rogo, ma un procedimento di questo tipo deve essere applicato soltanto in circostanze eccezionali, qualora si tratti di peccatori incalliti al massimo, per essere da esempio ammonitore agli altri. Io però non abrogo la legge di Mosè, bensì vi consiglio solamente di procedere in ogni cosa nella mitezza, finché un’abiezione[9] troppo grande non esiga l’estremo grado di severità.
8. Come giudici siate miti e giusti attraverso il vero amore per il prossimo, e così voi pure troverete un giorno un giudizio lieve e mite, perché con quella misura con cui voi misurerete, con la stessa misura sarete misurati a vostra volta.
9. Siate misericordiosi, e così anche voi troverete misericordia; ma se siete rigidi e inesorabili nei vostri giudizi e nelle vostre sentenze, allora anche voi un giorno troverete dei giudizi rigidi e inesorabili.
10. E in tali giudizi tenete presente che l’anima e lo spirito dell’uomo sono molto docili e ubbidienti, mentre la carne è e resta debole, e non vi è nessuno che possa vantarsi della forza della propria carne.
11. Di completamente rinati nello spirito, però, non ve ne possono ancora essere ora, in senso vero e proprio, poiché alla vera e completa rinascita dello spirito gli uomini potranno giungere soltanto quando il Figlio dell’uomo avrà assolto in ogni pienezza il compito che Gli è stato affidato.
12. Queste cose conservatele e operate conformemente ad esse!».
Casi giustificanti il divorzio.
1. Dice Cirenio: «Tutti i miei ringraziamenti Ti siano resi, perché ora sento di essere perfettamente illuminato riguardo ad una cosa che mi ha causato sempre molta preoccupazione quando si trattava di emanare una giusta sentenza in casi simili, e credo che ormai dovrebbe esserci a stento un caso che mi inducesse a dubitare se giudicare in un modo oppure in un altro.
Una cosa soltanto mi si prospetta ancora, quale un quesito molto preoccupante, e questa cosa è la seguente: “Non c’è proprio assolutamente nessun caso nel quale una unione matrimoniale definitivamente conclusa possa venir sciolta del tutto, in modo che le due parti divise possano, ciascuna per sé, contrarre un nuovo matrimonio senza rendersi colpevole del fatale peccato di evidente adulterio?”»
2. Rispondo Io: «Oh, certo, di casi simili ce ne possono certo essere. Ad esempio, ammettiamo che un uomo avesse preso in moglie una donna ben dotata di ogni attrattiva femminile, ma che fosse poi risultato che la donna è un’ermafrodita[10]. In un simile caso non resterebbe sicuramente altro che dichiarare immediatamente sciolto il legame matrimoniale, se ciò venisse richiesto; naturalmente però, se non c’è un querelante, allora su questa Terra non vi è più neanche [bisogno di] un giudice. Ma data la possibilità di simili casi, allora sarebbe conveniente emanare una legge secondo la quale un tale matrimonio non deve essere ammesso, e la parte che, pur sapendo bene tra sé di non essere adatta per un patto matrimoniale, [sollecitasse l’unione] deve essere ritenuta responsabile di imbroglio e tenuta al risarcimento dei danni! Ma quanto è stato detto qui riguardo alla donna, vale anche per l’uomo se questo non sia completamente uomo. Se la moglie lo abbandona e poi si sposa con un altro, allora essa non commette adulterio.
3. Fra gli uomini, però, ce ne possono essere di quelli che si sono resi da se stessi eunuchi[11] a causa del Regno di Dio, oppure già nella loro giovinezza sono stati fatti eunuchi per una qualche ragione del mondo, come pure ce ne sono degli altri che erano già eunuchi nel corpo materno; tutti questi, che ho nominato, sono del tutto inadatti al matrimonio e la loro completa inabilità condiziona fin dall’inizio il completo annullamento del matrimonio.
4. Oppure potrebbe accadere che una o l’altra delle parti coniugali abbia una tale infermità del corpo al punto che all’altra parte sarebbe impossibile viverle accanto; ebbene, anche in questo caso sarebbe da sciogliere del tutto il matrimonio, però solo nel caso in cui un contraente non avesse potuto venire a conoscenza dell’infermità dell’altro prima del matrimonio.
Ma se il contraente fosse stato a conoscenza di tale infermità e nonostante ciò abbia acconsentito al matrimonio, allora il matrimonio è valido e non può essere sciolto! Ma le infermità che comportano il completo scioglimento di un matrimonio già concluso sono queste: l’ossessione occulta di una o dell’altra delle due parti matrimoniali, così pure una pazzia periodica, una lebbra segreta di specie maligna, una tumefazione cancerosa[12], la pediculosi[13], una inguaribile tubercolosi[14], l’epilessia[15], l’ottusità completa di almeno due sensi, la paralisi reumatica e un pestifero cattivo odore del corpo o del fiato.
5. Se dunque il contraente sano non abbia - prima del matrimonio - saputo niente che l’altra parte contraente era afflitta da una delle menzionate infermità, allora egli può anche immediatamente, dopo aver concluso il matrimonio, chiederne il completo scioglimento, e questo deve venire accordato! Infatti in questi casi il contraente sano è un ingannato, e la frode scioglie qualsiasi contratto, e quindi anche quello del matrimonio.
6. Ma se tali coniugi non intendono separarsi, anche secondo la volontà del contraente sano, allora il matrimonio è da considerarsi valido e non può venire concesso più tardi ai contraenti nessuna separazione all’infuori di quella di mensa e di letto, poiché in questo caso va applicato il vostro principio: “VOLENTI NON FIT INIURIA”. (Il consenziente non subisce un torto).
7. All’infuori di questi casi, però, non ce ne sono quasi più altri da poter accettare come causa di un divorzio pienamente valido.
8. In qualsiasi altro caso di matrimonio non bene assortito, i coniugi devono avere pazienza l’uno dell’altro fino alla morte, perché come la giovane coppia ha gustato il miele del matrimonio, così essa deve poi accontentarsi anche del fiele del matrimonio.
9. Il miele però è ad ogni modo la parte peggiore del matrimonio, ed è solo con la parte del fiele del matrimonio che ha inizio l’aurea serietà della vita. Questa serietà della vita però deve presentarsi dappertutto, perché se ciò non avvenisse, allora andrebbe male per quanto riguarda la semina per i Cieli.
10. Soltanto nella serietà della vita, spesso amarissima, comincia ad animarsi e a svilupparsi il seme spirituale, il quale nella permanente vita mielosa rimarrebbe soffocato come una mosca che, con tutta avidità, si precipita nel vaso del miele e ci rimette la vita a causa dell’eccessiva dolcezza del miele. Hai tu, Cirenio, ora tutto in chiaro?».
Cenni di comportamento per i coniugi e i giudici.
1. Risponde Cirenio: «Sì, Signore e Maestro dall’Alto! Però ci sarebbe ancora qualcosa, una sola parolina ancora su questo argomento, e poi tutto quello che riguarda il matrimonio risulterà esaurito.
2. Ecco, supponiamo che un uomo, che sotto ogni altro aspetto tenga un buon ordine in tutto, avesse una moglie di natura molto carnalmente sensuale, come in effetti di queste donne insaziabili ce ne sono purtroppo molte. Ebbene, una donna così lussuriosa chiede spesso all’uomo, perfino più volte al giorno, il soddisfacimento e [di conseguenza] l’acquietamento della propria carne. L’uomo dice certo così alla moglie: “Tu hai concepito e ora hai bisogno di riposo per il tempo a ciò stabilito da Dio, affinché nel tuo stato benedetto non te ne venga danno e sofferenze inutili da un infruttuoso soddisfacimento della tua carne”.
3. Ma la donna sensuale non vuole udire né saperne di un simile buon avvertimento e chiede con focosità all’uomo di soddisfare il suo desiderio. Se l’uomo adempie la volontà della moglie, è chiaro che facendo così commette un atto lussurioso e, secondo la Tua Parola, commette un peccato contro l’Ordine divino; ma se invece egli rifiuta, allora pecca contro la volontà di sua moglie e la costringe ad ogni tipo di soddisfacimenti innaturali oppure all’adulterio e alla prostituzione con altri uomini.
4. D’altro canto vi sono pure degli uomini che sono dei caproni talmente libidinosi che non vogliono concedere pace alle loro povere mogli virtuose, a volte nemmeno poche ore prima del parto. Lamentele in questo riguardo se ne sentono ben spesso; ebbene, in un simile caso, cosa deve fare un saggio giudice per emettere una giusta sentenza che sia valida davanti a Dio e davanti a tutta la parte migliore del mondo?
5. Inoltre, se l’uomo ordinato o la moglie virtuosa chiedono il divorzio a causa dell’Ordine e del Regno di Dio, deve venire accordato oppure no?»
6. Dico Io: «Sì, in questo caso, su richiesta di una o dell’altra parte, può venire concesso il divorzio, tuttavia non completamente, però in misura un po’ maggiore della sola separazione di letto e di mensa, e cioè può venire pronunciato anche il proscioglimento del reciproco obbligo di sostentamento e del diritto di eredità, i quali due obblighi, nel caso di un minor motivo divorzio, si estinguono soltanto quando una parte coniugale si sia per oltre tre anni, senza un valido motivo, allontanata completamente dall’altra parte, dalla quale ha solo la separazione di letto e di mensa, e non si sia più curata della parte abbandonata, bensì si sia dedicata al proprio piacere.
7. All’atto del divorzio però, che nel caso che tu hai prospettato dovrebbe venir concesso dietro richiesta della parte coniugale buona, si estingua contemporaneamente anche qualsiasi altra pretesa di diritto, in qualsiasi modo essa sia formulata.
8. Ad ogni modo si deve fare molta attenzione affinché il divorzio venga concesso solo quando lo richiede la parte coniugale buona, e la parte peggiore lo acconsenta; se invece quest’ultima non acconsente e in cambio promette di migliorare, allora il divorzio non va concesso nemmeno alla parte coniugale buona, ma si deve fare solo una nota alla parte peggiore, e la parte buona va poi esortata alla pazienza.
9. In questo caso, però, se i coniugi separati vogliono, in buona armonia, tornare di nuovo insieme, allora non c’è più bisogno di un nuovo vincolo matrimoniale, bensì, secondo la volontà di entrambe le parti, ritorna nella sua piena forza il vecchio patto, ed esso non può ulteriormente venire sciolto in seguito ad una eventuale rinnovata domanda di divorzio, a meno che non si tratti del caso di estrema necessità della separazione di letto e di mensa.
10. Ma se un uomo ha una moglie molto esigente e, con sobrietà di cuore, consente al desiderio della moglie se le sue forze glielo concedono, allora egli non commette proprio un grave peccato contro l’Ordine di Dio, perché la natura di una simile donna è come un terreno arido che, durante i calori dell’estate, il giardiniere deve innaffiare di frequente se vuole conservare le sue piante. Ma quando poi viene l’umido autunno, allora ogni terreno dispone di sufficiente umidità. Ma oltre a ciò l’uomo moderato deve lavorare e formare la propria moglie anche con diligenza spirituale, e ciò porterà a lui dei buoni frutti.
11. La pazienza però è sempre migliore dell’ottimo diritto.
12. Tuttavia una donna virtuosa ha più diritto di chiedere il divorzio a causa della grande lussuria del proprio marito, che non un uomo a causa della grande lussuria della propria moglie, poiché la donna, una volta che è stata benedetta [con il concepimento], ha bisogno del riposo per il tempo che Dio ha prescritto nella natura della donna. All’uomo invece non è stato prescritto alcun tempo, ed egli di conseguenza, nella sua natura, ha meno bisogno di riposo che non la donna che è stata benedetta [con il concepimento]; quindi in un giudizio si deve porgere ascolto prima alla donna che è stata benedetta [con il concepimento], che all’uomo sobrio.
13. Nei riguardi dell’uomo bisogna poi fare anche molta attenzione alla vita che egli ha condotto prima del matrimonio, per verificare se magari una gioventù di eccessi, a causa dei molti peccati, non lo abbia reso moderato e impotente. Trattandosi invece di una moglie molto esigente, un tale quesito cade quasi da sé. Infatti se già da ragazza si è gettata tra le braccia di una vita lussuriosa per guadagno, con ciò la sua natura si è già resa molto insensibile, e se lei più tardi andrà in moglie ad un qualche uomo per bene, allora lei sembrerà del tutto di ghiaccio nel suo desiderio [sessuale]. Se però una moglie di sangue ardente, già nel suo stato di castità, è stata allevata secondo principi molto severi, allora l’eventuale causa di punibilità non va ricercata nella nubile condizione di vergine, bensì unicamente nella natura della moglie; per questo motivo il tribunale non è quasi chiamato a fare osservazioni.
14. Di fronte alla potenza della natura [umana], però, anche la più saggia sentenza giudiziaria è una noce vuota, e di conseguenza, avendo a che fare con una moglie dal sangue ardente, sarebbe da usare dei mezzi corrispondenti tratti dall’ambito della Natura e, con gli stessi, un corrispondente insegnamento del cuore della moglie, e in questo modo la situazione dovrebbe poi certo migliorare con lei. Vedi, questo è il modo in cui si deve procedere in simili casi. Se però c’è ancora qualche cosa che non ti riesce chiara, allora falla sentire!»
Sull’esame delle coppie di sposi.
1. Dice Cirenio: «Tu hai appunto ora fatto menzione di certi mezzi naturali; quali sono dunque?»
2. Dico Io: «Questi mezzi fanno parte della naturale moderazione della vita! Un sangue ardente è sempre più di natura divoratrice di un sangue freddo; perciò gli uomini dal sangue ardente sono più voraci di quelli dal sangue freddo ed hanno una voglia sempre crescente di molti e saporiti cibi e bevande.
3. Quando però simili uomini si orientano alla moderazione, o vengono indotti a moderarsi facendo loro comprendere con cuore amichevole perché si procede così nei loro confronti e perché si raccomanda loro la moderazione e una più grande magrezza nel mangiare, allora il loro sangue ben presto comincerà a pulsare più freddamente e lo stimolo sensuale comincerà a perdere molto della sua forza, senza il minimo danno alla restante salute del corpo e dell’anima.
4. Qualora però, nel caso di una moglie molto esigente, trascorso anche un lungo periodo di tempo di stretta osservanza dell’aurea moderazione, la natura della moglie non dovesse aver ricevuto ancora un cambiamento sensibile, allora sarebbe necessario che lei prendesse alla sera, nei periodi di Luna calante, all’incirca quattro cucchiai da tavola pieni di decotto di foglie di sena[16] con un po’ di succo d’aloe, non però ogni giorno, ma soltanto ogni terzo o quarto giorno, e allora la natura ardente della moglie comincerà a calmarsi.
5. Ma se tutto ciò, oltre ai buoni insegnamenti a lei impartiti, non giovasse che poco o nulla del tutto, allora, a richiesta del marito, può venire avviato il procedimento di separazione di letto e di mensa, che prima si è detto applicabile in simili casi.
6. In ogni caso, però, la moglie moderata ma molestata dal marito lussurioso deve essere tenuta in considerazione, particolarmente se si trova già in uno stato di benedizione [con il concepimento], dieci volte prima che non l’uomo molestato dalla sua lussuriosa moglie, perché un uomo moderato ha, oltre ai mezzi morali, ancora una quantità di mezzi disciplinari naturali a sua disposizione, con i quali può raffreddare i bollori della moglie in modo molto salutare e alla moglie dal sangue ardente non sarà affatto dannoso se il marito, tenendo segreta la sua buona volontà, le mostrerà talvolta un po’ di buona serietà. Ma tale cosa non deve mai derivare da un nascosto rancore o ira, ma sempre da un nascosto e vero amore del prossimo, altrimenti ciò non soltanto non gioverebbe a nulla, ma sarebbe unicamente dannoso.
7. Quanto finora ho detto compendia ogni cosa su quanto ha relazione con il matrimonio e con i peccati in generale, e così ci si deve conformare in tutti i luoghi del mondo.
8. E sarebbe opportuno perfino che da parte dello Stato venisse emanata una disposizione di legge, secondo la quale un matrimonio, una volta concluso, debba venir mantenuto con la maggiore moralità possibile, e che le persone affette da una qualche infermità fisica o animica non debbano venire ammesse al matrimonio, perché da simili matrimoni non può risultare mai una razza completamente benedetta.
9. Ma anche i non affetti da simili infermità devono venire sottoposti ad un esame, per verificare se il giovane sposo e la giovane sposa sono adatti l’uno per l’altra.
10. Qualora un saggio esaminatore, a ciò delegato, giunga a rilevare qualche nodo increscioso, allora deve avere delle riserve riguardo all’autorizzazione al pieno vincolo matrimoniale e deve far presente agli aspiranti al matrimonio, in modo ben vivo, quali sono le cattive conseguenze, evidenziando loro, allo stesso tempo, che la valida autorizzazione al pieno vincolo matrimoniale non può venire impartita finché sussistono i nodi che portano con sé gravi danni.
11. Inoltre un sovrintendente ai matrimoni, delegato dallo Stato, deve rendere ben chiara agli aspiranti al matrimonio la serietà che il patto matrimoniale ha nella vita e il suo alto scopo celestiale!
12. Se poi si constata che gli aspiranti al matrimonio cominciano a mostrarsi sempre più moderati e che mettono da parte i loro nodi mondani al punto da volersi unire nel vincolo matrimoniale soltanto per il reciproco valore umano, ebbene, solo allora un delegato statale può impartire l’autorizzazione ad un vincolo matrimoniale, che così risulta pienamente valido. Egli deve poi riportare per iscritto la promessa di fedeltà in un libro, quale segno dell’indissolubilità del vincolo matrimoniale, concludendo con l’anno e il giorno in cui il vincolo matrimoniale è stato celebrato, e dovrà poi tenersi sempre informato riguardo alle successive condizioni matrimoniali, per essere aggiornato del come esse si configurano, se per il bene oppure per il male.
13. Di conseguenza, tali saggi funzionari delegati alla conclusione dei matrimoni non devono essere degli estranei che si sono intrufolati in una comunità, ma devono essere dappertutto solo dei nativi che conoscano i membri della comunità, giovani o vecchi che siano, quasi altrettanto bene quanto se stessi. In questo modo si impediranno certamente i molti matrimoni non riusciti e vi sarà poi benedizione abbondante in una simile comunità purificata.
14. Sarebbe perciò una cosa buona che in ciascuna comunità piuttosto grande venisse stabilita una giurisdizione matrimoniale con la funzione di esercitare una continua sorveglianza sulle questioni matrimoniali! Certamente una tale giurisdizione dovrebbe avere un carattere di estrema integrità ed a capo dovrebbe starvi dappertutto un uomo come Mataele!
15. Quest’uomo dovrebbe anzitutto vegliare affinché un giovane uomo al di sotto dei 24 anni e una ragazza al di sotto dei 20 non dovessero mai contrarre un valido vincolo matrimoniale. Infatti queste età rappresentano il minimo da esigersi per poter considerare che ci sia la necessaria maturità per un vincolo matrimoniale buono e durevole, anche in spirito, poiché sposi troppo giovani si guastano con il reciproco godimento sensuale e poi subentra presto la reciproca nausea, e allora ha inizio la difficoltà del matrimonio.
16. Perciò, d’ora in avanti, ogni vera felicità dei matrimoni dovrà dipendere dal giudice superiore matrimoniale, di cui ho parlato ora; e in quella comunità dove ci sarà un giudice superiore più saggio a dirigere il suo importantissimo ufficio, quella stessa comunità godrà ben presto della massima benedizione.
17. Un tale giudice superiore terrà sott’occhio e si prenderà a cuore anche l’educazione e la buona disciplina dei fanciulli nella comunità a lui affidata, e saprà eliminare qualsiasi causa di scandalo usando dei mezzi corrispondenti; egli punirà i ribelli e saprà lodare i zelanti per ogni cosa buona e vera, e saprà ricompensarli con il rendere evidente ai loro occhi la benedizione ai loro governi della casa.
18. A questo riguardo, però, non va seguita la pratica, già talvolta adottata qua e là, di assegnare determinati premi, perché tali motivazioni esteriori non sono affatto adatte all’educazione spirituale di una comunità, in quanto in questo modo i componenti della comunità fanno a gara nel dimostrarsi zelanti del bene unicamente a causa del premio materiale e non per il bene in se stesso, il quale deve essere la sola determinante [motivazione] dell’uomo.
19. È superfluo poi menzionare - accanto a quello che è già stato detto ed a prescindere dal fatto che simili matrimoni si mantengono più puri nell’Ordine di Dio e che i loro frutti potranno sempre godere della benedizione dall’Alto - il fatto che da tutto ciò non possono infine non derivare i massimi vantaggi morali e naturali anche ad un complesso statale, per quanto grande sia, e così pure al suo supremo capo consacrato. Infatti se uno Stato vuole avere dei buoni sudditi, esso deve cominciare a formarseli già nella culla. Se i genitori vogliono dei buoni figli, è bene che comincino a formarli già nella culla, altrimenti diventeranno degli uomini selvaggi e saranno di tormento ai loro genitori, anziché di consolazione e di sostegno per i giorni della vecchiaia.
20. Ma se i matrimoni vengono mantenuti in buon ordine, allora da tali matrimoni sorgeranno anche i figli in buon ordine, e questi figli cresciuti nel buon ordine diventeranno poi anche cittadini ordinati, e tali cittadini diventeranno poi anche nei loro cuori dei perfetti cittadini del Regno di Dio; e con ciò trova poi piena completezza quello che l’Ordine divino può richiedere sempre e soltanto dagli uomini di questa Terra!
21. Ti è adesso chiaro ed evidente tutto ciò?».
Raffaele raffigura il discorso del Signore sulla vita sessuale.
1. Risponde Cirenio: «Si, o Signore e Maestro nello Spirito Tuo dall'eternità! Ormai non avrei a questo riguardo altre domande da fare; sarebbe soltanto quanto mai desiderabile che di tutto ciò fosse stato preso nota per iscritto, giacché questo è il fondamento completo della migliore costituzione di uno Stato»
2. Dissi Io «Ecco qui Raffaele che potrà incaricarsi di ciò; basta che tu gli faccia portare del materiale per scrivere»
3. Cirenio allora da immediatamente l'ordine ai suoi servitori di andare a prendere del materiale per scrivere, e questi vanno e sono presto di ritorno con un buon numero di rotoli di pergamena in bianco e con alcune lamine di rame pronte ad accogliere l'incisione. E quando tutto è a posto, Io chiamo Raffaele che rapidamente viene al nostro tavolo e domanda a Cirenio come preferirebbe avere lo scritto, se sulla pergamena oppure inciso sul rame.
4. E Cirenio risponde: «Lo scritto sulla pergamena sarebbe certo più pratico e maneggevole, d'altro canto l'incisione sulla lamina di rame si potrebbe conservare meglio e più a lungo per le generazioni future. Una volta però che la cosa sia scritta sulla pergamena, non mi riuscirà poi difficile fare una copia mediante incisione sulle lamine di rame»
5. Osserva Raffaele: «Sai una cosa? Considerato che a me non procura né maggiore né minore fatica scrivere una o due volte, riempirò i rotoli e inciderò le lamine contemporaneamente»
6. I dodici, al tavolo vicino, a queste parole fanno una faccia meravigliatissima e stanno ansiosi in attesa di vedere come se la caverà il giovane discepolo a scrivere con tutte e due le mani nello stesso tempo.
7. Suetal dice ancora espressamente a Ribar: «Certo che sono molto curioso divedere questa duplice scrittura! Il grande Maestro da Nazaret deve essere un abile insegnante, poiché tale scrittura io non l'ho mai vista. Ma quando il giovane discepolo avrà scritto tutto quello che ha detto ora il greco veramente molto sapiente, che è di certo uno dei discepoli più vecchi del Nazareno, il Sole si sarà sicuramente congedato!»
8. Dice Ribar: «Questo dipende molto da quanto egli è in grado di scrivere fluentemente! Forse nello scrivere egli ha un vantaggio magico del quale noi sappiamo altrettanto poco quanto sappiamo qualcosa di come ha compiuto i precedenti fatti prodigiosi. Certo li abbiamo visti ed anche sentiti, ma non abbiamo sicuramente neanche il minimo sentore di come essi siano stati compiuti! A noi non è affatto lecito esprimere anticipatamente qualche dubbio riguardo alla cosa che sta per accadere, quando si tratta di una persona come questa che ha già compiuto cose così grandi dinanzi ai nostri occhi, almeno finché non ci faccia cambiare opinione l'eventuale mal riuscita di un qualcosa di cui si era proposta l'attuazione!»
9. Dice Suetal: «Senza dubbio sono senz'altro anch'io di questo parere, ma questo sarebbe appunto il buon momento di dire qualcosa!»
10. Osserva Ribar: «O fratello mio! Io credo invece che qui sia veramente meglio continuare a tacere e mettere in azione gli occhi e le orecchie piuttosto che la lingua. Vedi un po', il giovanetto sta mettendo in ordine i rotoli e le lamine! Stiamo dunque attenti, perché egli certo darà subito inizio alla scrittura!»
11. Suetal allora si alza e osserva attentamente come il presunto giovane discepolo si dispone a scrivere, ma quando aguzza un po' più la vista, ecco che scopre che tutti i rotoli e pure le lamine sono già ricoperti completamente di caratteri. E perciò, sbalordito al massimo grado, esclama ad alta voce: «No, davvero, un miracolo più grande di questo non ci può essere! Noi stavamo aspettando per vedere quando il discepolo avrebbe cominciato la sua doppia scrittura, e vedete, ha invece già finito ogni cosa! Oh, questo fenomeno sta veramente in misura infinita al di sopra di ogni intendimento umano, e una cosa simile non si è ancora mai vista!»
12. All'esclamazione di Suetal si alzano anche gli altri undici, danno una occhiata ai rotoli ancora aperti ed alle lamine ricoperte di minuta scrittura, e tutti si persuadono che tanto i rotoli quanto le lamine sono infatti completamente scritti in caratteri chiari e leggibilissimi, e perciò si chiedono: «Come mai è possibile una cosa di questo genere?»
13. Raffaele però, ben vedendo lo stupore dei suoi compagni di mensa, dice a Suetal: «Vedi, questo è l'effetto degli otto pesci che ho mangiato, per i quali tu hai tradito prima una piccola invidia, ma se si vuole mandare a buon compimento un lavoro simile, bisogna ben accumulare una certa energia! O sei tu forse di altro parere?»
14. Risponde Suetal: «O mio carissimo e prodigiosissimo amico, vedo che a te piace un po’ canzonarmi, ma io non voglio più badarci, perché sempre più mi convinco che in te opera in misura enorme l'Onnipotenza divina e che non è possibile scendere a disputare con te! Non sono certo stati gli otto pesci a conferirti un simile potere straordinario, ma soltanto il grande divino Maestro da Nazaret! Vedi perciò di fare in modo che noi possiamo conoscerLo al più presto, perché i nostri cuori non ci danno più pace; noi dobbiamo assolutamente vederLo e parlarGli! Sì, questo per noi ormai è il più ardente desiderio!»
15. Dice Raffaele: «Un po' di pazienza ancora, finché io abbia messo in perfetto ordine questi scritti qui, e solo dopo andremo a vedere dove eventualmente il grande Maestro si nasconde agli occhi dei ciechi ed alle orecchie dei sordi!». I dodici si accontentano allora di queste parole e non fanno per il momento altre domande.
16. Raffaele frattanto raccoglie assieme i rotoli di pergamena in buon ordine eli consegna unitamente alle lamine di metallo a Cirenio, non meno stupito degli altri. Quest'ultimo vi da immediatamente una scorsa e non cela affatto la sua meraviglia nel constatare la chiarezza dello scritto e la precisione dei concetti.
Suetal è impaziente e curioso di vedere il Signore.
1. Mentre Cirenio, con gran gioia, sta scorrendo un po' alla sfuggita le sue pergamene, e mentre la sua espressione rivela sempre più la reverenza che prova, Io do incarico a Raffaele di richiamare Giara e Giosoe dal loro temporaneo e breve esilio per ricondurli alla mensa. L'abile servitore dai Cieli esegue l'ordine con estrema rapidità e quando Giara arriva, essa dice un po' conturbata: «O Signore! O mio eterno unico Amore! È stato terribilmente lungo il colloquio al quale non mi fu lecito di assistere! Io già pensavo che non sarebbe terminato prima di notte, ma ormai, in grazia Tua, tutto è passato e Ti sono nuovamente vicina»
2. L'angelo frattanto era ritornato dai dodici, dei quali Suetal fu il primo a fare le più meravigliate considerazioni sul conto di Giara con le seguenti parole: «Ma dimmi un po', o mio caro, giovane e bellissimo discepolo, che rapporti mai ci sono fra quella ragazzina di appena 14 primavere e il savio greco? Essa sembra innamorata di quell'eccellente uomo fin quasi a morirne! Quando tu te ne andasti, già pensai tra di me che tu ci avresti fatto vedere il Maestro di tutti i maestri, ma invece tu conducesti fuori questa fanciulla innamorata! Questo sì che si chiama restare delusi nella propria speranza! Si tratta forse di un'altra prodigiosa discepola del grande Maestro? Forse adesso, mentre era in casa, ha ottenuto un nuovo ammaestramento in qualche recondita stanza! In verità, standosene qui in vostra compagnia ci si trova continuamente dinanzi a fenomeni a causa dei quali, quanto più ci si affanna a pensarci su, tanto più scimuniti anziché illuminati si diventa. Da un lato, i miracoli della specie più inaudita; dall'altro lato, invece, delle apparizioni aventi soltanto comuni caratteristiche umane. Dimmi dunque come deve considerare questi fatti un galantuomo del nostro genere, come del resto sul serio non riesco a comprendere perché il grande Maestro non voglia adesso farsi affatto vedere, mentre prima, quando cioè noi, come è perfettamente vero, non desideravamo assolutamente vederLo, sembrava volersi quasi far vedere per forza per l'intromissione del saggio greco. Che cosa mai abbiamo fatto per dover tanto tempo languire in attesa di conoscerLo, o infine non ci sarà possibile vederLo per niente?»
3. Osserva Raffaele: «Eh, miei cari amici, se siete proprio così ciechi da non vedere il Sole nemmeno quando esso è situato più alto nel cielo, allora non è più possibile venirvi in aiuto. Quando uno è troppo cristallizzato nella propria stoltezza, non serve a niente anche se gli si dice: "Vedi, questi o quello è Colui che vai cercando!". Egli nemmeno allora crederà, poiché, per credere, ci vuole un intelletto sveglio che possa, in caso di bisogno, trarsi anche da se stesso fuori d'impaccio; mentre se l'intelletto di una qualche persona si trova ancora troppo compresso nello strettoio della rozza materia, allora a niente giova neanche la più precisa indicazione della cosa cercata, ed è in questo caso necessario che la rispettiva persona vi dia dentro con il naso, facendolo sanguinare, e soltanto allora comincerà a studiare le cause che avranno provocato l'emorragia nasale! Ora, bisognerà precisamente che succeda così anche con voi! Fino a tanto che non farete esperienza a vostre spese, non vi sarà Dio capace d'ispirarvela questa esperienza!
4. Che cosa volete fare adesso del grande Maestro da Nazaret o che cosa volete da Lui? Vi sentite forse male, e volete domandarGli aiuto? O bramate di vederLo per pura curiosità, come fanno gli sciocchi quando si affollano intorno all'orso per ammirarlo mentre balla? In verità, il grande Salvatore non è certo qui per esibirsi davanti alla sciocca e vana folla a soddisfazione della sua curiosità; davvero, se il vostro cuore non è capace di trovarLo qui fra la moltitudine, molto meno potrà trovarLo il vostro presuntuoso alto intelletto, questo ve lo garantisco io!
5. Umiliatevi anzitutto nei vostri cuori, altrimenti voi non vedrete il Maestro grande e santo, perché il Suo Essere è perfino rispetto al corpo ricolmo dell'assoluta pienezza dello Spirito di Dio!
6. Egli è un Signore del Cielo e della Terra, e dinanzi al Suo Nome ogni ginocchio deve piegarsi nel Cielo, sulla Terra e sotto la Terra, perché il Suo Nome è "Il Santo, il Santissimo!"
7. E dette queste parole in tono abbastanza rude, l'angelo lascia la mensa dei dodici e prende nuovamente posto alla nostra mensa dove Cirenio, nel Nome Mio, nuovamente lo ringrazia con parole amorevolissime per la cortesia usatagli, poiché negli scritti era contenuto, parola per parola, tutto quello che egli Mi aveva domandato e quello che Io gli avevo risposto».
Il colloquio fra Suetal e Ribar sul comportamento di Raffaele.
1. I dodici però non riescono affatto a digerire la sfuriata di Raffaele, ed essi perciò cominciano a studiare con quali pretesti potrebbero silenziosamente prendere il largo per far ritorno a Gerusalemme, pur non avendo concluso nulla; infatti, Suetal dice: «Finora noi non abbiamo intrapreso nulla di punibile contro il tempio. Di quello che per forza siamo stati costretti a fare, noi non siamo responsabili, e d'altro canto non c'è creatura del tempio che possa in eterno scrutare i nostri più riposti sentimenti, di conseguenza possiamo benissimo venire riaccolti nel tempio e non potremmo che acquistarcene maggiormente il favore se esporremo ai suoi dirigenti più d'una cosa riguardo a tutti i fatti straordinari accaduti durante le nostre pericolosissime peregrinazioni! I pezzi grossi del tempio certo ci ascolteranno con la massima attenzione di questo mondo, ed allora la nostra fortuna è fatta! Noi poi verremo, forse, di nuovo incaricati di esplorazioni come l'attuale, e questa cosa non ci incomoderà affatto, perché siamo abbastanza raffinati ed ormai sappiamo perfettamente che cosa dobbiamo fare ed a favore di chi dobbiamo adoperarci presso il popolo!
2. Qui però, in questa strana compagnia di maghi, oppure di dei, non mi pare davvero che ci si possa trovare proprio nel migliore dei modi. Si parla sempre d'amore, come abbiamo anche potuto rilevare dalle parole del greco, ma quando poi si domanda qualcosa ad un operatore di miracoli di questa specie, se ne ottiene sempre una risposta evasiva e si constata che ci si trova di fronte ad una persona più sgarbata di un orso! Che egli mi venga ancora una volta a predicare qualcosa dell'umiltà, della dolcezza e dell'amore, e io mi riservo di dargli una risposta alla quale potrà certo ben poco ribattere!
3. Chi si prende l'incarico di esortare all'umiltà il proprio fratello, deve essere prima di tutto umile egli stesso, altrimenti bisogna che faccia a se stesso una predica lunga varie braccia riguardo all'umiltà, prima di voler inculcare questa virtù ad uno dei propri discepoli. Ma guardate un po', invece, questo produttore di miracoli in erba come ha finito con il diventare aspro ed aggressivo nei nostri confronti! Che cosa interessa a noi la sua arte miracolosa? A che cosa può servirci questa, se non siamo in grado di imitarlo? Ma è forse questa una ragione perché egli si comporti da zotico con noi?
4. Che, a causa della fanciulla, io abbia fatto un'osservazione del tutto naturale e senza alcuna recondita intenzione suggeritami dalla stranezza degli avvenimenti che ciascuno può qui constatare, questo non credo che possa riuscire offensivo per chi ha anche un solo granello di sapienza; perché quello che ho osservato è, almeno per la gente come noi, una cosa perfettamente comune ed umana, e manca assolutamente di qualsiasi colore profetico. Io non feci che accennare al contrasto qui esistente, che certamente non può fare a meno di colpire ciascuno di noi, e cioè, da un lato, per quanto concerne i fatti, il procedimento ha veramente del prodigioso e del divino, mentre dall'altro lato, rispetto alla sfera morale della vita, nessuno dei soliti occhi umani può vederci altro se non dei fenomeni del tutto comuni e naturali; ed ecco che questa mia innocentissima osservazione ha ottenuto l'effetto di irritare questo modello di dolcezza in modo tale che egli ha cominciato con l'ingiuriarci grossolanamente ad ogni replica da parte nostra! In verità, un simile contegno è degno forse del manicomio, mai però del vivere civile fra persone di qualche educazione e cultura; meno ancora poi in una società composta esclusivamente di predicatori dell'amore, dell'umiltà e della mansuetudine. Perciò, per conto mio, non desidererei affatto prolungare il mio soggiorno qui di molto ancora, poiché non c'è esistenza più fatale di quella che si può condurre restando fra gente di cui non si riesce mai a capire che cosa veramente sia e che cosa pensi, e fino a che punto ci si possa fidare! A dire il vero, non vorrei per tutto l'oro del mondo fare da discepolo, per quanto scimunito, a dei maestri di questo stampo! Ho ragione sì o no? Qual è in proposito il tuo parere, o fratello Ribar; cosa ne pensi: dobbiamo andarcene o fermarci ancora, dato che ormai siamo liberi e possiamo tanto entrare nella legione straniera, quanto anche ritornare alle nostre case?!»
5. Risponde allora Ribar: «Io sono, nonostante tutto, dell'opinione che noi dobbiamo rimanere, perché, in fondo, a darci la piccola lavata di capo non è stato un uomo vero, nel senso stretto della parola, ma soltanto quel giovinetto dei miracoli perfettamente ancora imberbe, ed anche questi si è comportato così, probabilmente a causa della tua grande insistenza nel volere finalmente conoscere il grande Maestro!»
6. Dunque, a questo riguardo, io la penso nel seguente modo: il giovinetto agisce certamente sotto la pressione di un divieto che ha dal suo Maestro, in seguito al quale, per l'una o l'altra ragione, non gli è permesso renderlo noto a noi; tu, però, sei stato forse eccessivamente insistente per strappargli il segreto, e poiché si è visto importunato, ha cercato di cavarsela volgendo le spalle a tutti noi. Il mio parere, dunque, è che noi dobbiamo rimanere, per vedere se proprio non sia possibile fare la conoscenza del grande Maestro!
7. Certo fa un'impressione quanto mai strana trovarsi, come è il nostro caso, da un lato veramente come fra altrettante divinità, e dall'altro fra apparizioni di carattere perfettamente umano e naturale. Di digiuni, a una vigilia di Sabato, non c'è neppure da parlare, poiché quasi la grandissima parte dei presenti è costituita da romani e greci; anche in fatto di preghiere le cose stanno in verità maluccio, anche se quello di cui si discorre qui abbonda di sapienza, non di rado più che salomonica. A dirla in poche parole, qui tutto ha l'apparenza di svolgersi in una forma caotica particolarmente strana. Noi ci troviamo fra uomini che sembrano quasi chiamati da Dio a stringere il Cielo e il mondo dentro vincoli più stretti, per preparare con il tempo, agli abitanti di questa Terra, un campo ulteriore e più vasto per l'evoluzione e il perfezionamento delle loro forze spirituali, nonché di quelle naturali occorrenti a questo fine. Io perciò non posso considerare malamente l'agire del giovinetto, nonostante tutto il suo ruvido comportamento, perché molto spesso un simile scossone non produce assolutamente effetti maligni, anzi spiana la via alla possibilità di vederci chiaro più rapidamente che non mediante cento insegnamenti placidi e modesti»
8. Domanda allora Suetal molto pensieroso: «Come intendi tu la cosa?»
9. Risponde Ribar: «Come la penso e l'intendo, lo sentirai subito da me senza nessun sottinteso!»
L’intuizione di Ribar sulla presenza del Signore.
1. Dice Ribar: «Ecco, a mio avviso, il giovinetto ci ha accusato, non del tutto senza ragione, di essere stolti, ciechi e sordi, ed anche l'asino, che prima ha messo al nostro fianco, ha voluto in fondo dimostrarci materialmente la stessa cosa.
2. Vedi, in me comincia a farsi sempre più strada l'idea, del tutto particolare adesso, che appunto quel greco, dall'aspetto quanto mai sereno e piacevole, sia Egli stesso il grande Nazareno. Io l'ho tenuto continuamente d'occhio, ed in Lui mi hanno già colpito tante cose, che io non potrei quasi più dubitare nemmeno un istante che la mia supposizione sia giusta! Gli occhi, le orecchie ed i cuori di tutti sono rivolti esclusivamente a Lui; il governatore supremo, che tanta potenza rappresenta e che di solito se ne sta irrigidito nella sua superbia, ha per Lui una formale adorazione. Il giovinetto esegue tutto soltanto dietro ad un Suo cenno o comando, e le Sue parole sono chiarissime e colme di sapienza! Oltre a ciò, ho udito come Egli suggerì al supremo governatore anche degli specifici naturali contro l'eccessivo ardore delle giovani donne, ma, vedi, una cosa simile non la può fare che un medico! Infatti, l'insegnamento dato da Lui dovette, per Suo ordine, venire messo rapidamente per iscritto, e ciò fu fatto nella maniera più meravigliosa di questo mondo. Metti ora tutte queste cose l'una di fronte all’altra, e tu stesso finirai con il trovare che non dovrei proprio avere torto del tutto, né che torto dovrebbe avere il giovinetto, se egli ci ha qualificati sordi, ciechi e stolti! Che cosa ne pensi a questo riguardo, e che cosa ne pensate voi tutti?»
3. Risponde Suetal: «Mah, davvero, non dovresti avere proprio torto del tutto! Perché ora in me stesso vedo sorgere una debole luce. Però, se fosse vero come dici, allora certo il giovinetto sarebbe effettivamente dalla parte della ragione, perché, se fosse il caso, noi avremmo sul serio agito come colui che andava cercando l'asino mentre c'era montato sopra! Ma aspetta un po’, io intendo d'ora in avanti osservare minuziosamente quello che il greco vorrà fare, e ben presto si vedrà fino a quale punto potresti avere seriamente ragione!»
4. Da questo momento, Suetal comincia ad osservarMi con grandissima attenzione, e non perde di vista il contegno di tutti gli altri ospiti; e dopo qualche tempo dice a Ribar: «O fratello mio! È possibile che tu abbia pienamente ragione, anzi, dev'essere Lui senz'altro! Infatti, dalle facce di tutti traspare fino all'evidenza, che essi senza alcun dubbio lo venerano come il capo dell'intera compagnia, e perfino lo stesso governatore non si azzarda a fare qualcosa senza il Suo consenso! Però quest'Uomo, un greco all'apparenza, potrebbe essere soltanto un intimissimo amico del grande Maestro, come in realtà ha dichiarato anche a noi; allora risulterebbe certo giustificata anche la grande attenzione che gli si presta! Se Egli, prima di fronte a noi, non si fosse qualificato semplicemente come un amico molto intimo del grande Maestro, avrei già da tanto riconosciuto in Lui il grande Maestro. Ma sarebbe stata pure una cosa ben strana da parte nostra, se avessimo ammesso che quell'uomo onesto e pio fosse altra persona da quella che Egli stesso ci ha detto di essere; poiché, da un uomo compenetrato in così grande misura dallo Spirito di Dio, non si può ragionevolmente supporre che Egli voglia od abbia voluto giocare a rimpiattino dinanzi a noi israeliti del tutto innocui!»
5. Osserva Ribar: «Io, invece, vedo la cosa da un lato assolutamente differente. Se Egli si è presentato a noi quale l'amico più intimo del grande Maestro, non ha per questo mancato di asserire il vero di fronte a noi, anche se Egli fosse, di fatto, il grande Maestro stesso, perché, vedi, ciascuno conosce se stesso meglio dei propri simili, ed è certo, di conseguenza, anche il proprio intimissimo e migliore amico! Dunque, se qualcuno, in un momento per così dire di buon umore, asserisce una cosa simile di sé, non dice assolutamente una menzogna, e si deve inoltre considerare che un uomo dotato di tanta sapienza, può talvolta avere una qualche occulta ragione per non rivelarsi così d'improvviso di fronte ad un qualunque altro uomo, e noi, di questa ragione, non mancheremo certo di venirne a conoscenza più tardi. Guarda un po' il saggio Mataele, come sembra commuoversi quasi fino alle lacrime, ogni volta che rivolge il suo sguardo verso il greco! O fratello mio, questa cosa ha senza dubbio i suoi buoni e significatissimi motivi!
6. Così pure il grande amore che la fanciulla, all'apparenza almeno di spirito quanto mai sveglio, dimostra a questo greco, parla piuttosto a favore che contro la mia asserzione. Perché, considera un po' la bellezza davvero ultracelestiale del giovane prodigioso! Ora penso, senza paura di sbagliare, che, in un istante, mille volte mille donne e ragazze dovrebbero cadere perdutamente innamorate di lui; eppure la fanciulla a mala pena lo bada, anche se egli, quale giovinetto, sia centomila volte più bello della fanciulla; ma rispetto al greco, invece, pare come se essa volesse scendergli dentro nel cuore! Io ti dico, o fratello mio, che neanche questa cosa succede senza un perché! La fanciulla, dunque, deve avere una ragione del tutto differente per dimostrarsi in maniera così straordinaria presa d'amore per il greco, almeno come lo chiamiamo noi, anzi, osservando più attentamente, mi sembra che la fanciulla sia unicamente innamorata di quello che c'è in Lui di divino e che trascuri quasi totalmente la relazione con il suo corpo! Osserva un po' gli occhi della ragazzina, dai quali sembra irradiarsi una certa ammirata venerazione piuttosto che una passione sensuale, e non ti sarà difficile giungere alla conclusione che nell'amore che Gli dimostra non c'è nemmeno la traccia di una qualche materialità!»
7. Dice Suetal: «O fratello mio, davvero non porti invano il tuo nome, perché è bene che un pescatore abbia la vista acuta. A me stesso si affacciano adesso, dinanzi agli occhi, delle cose a cui prima non avevo fatto attenzione; mentre ora tutte concorrono a rafforzare la tua opinione. Anche nei riguardi del giovinetto c'è una cosa che mi colpisce. Il grande Maestro, che quasi certamente deve essere Lui, lo ha già mandato un paio di volte in casa; ebbene, io non ho affatto visto come se ne sia andato, ma lo si vide - qua e là nel medesimo istante; i suoi passi somigliano alla sua scrittura: dove vuole essere, là immediatamente si trova! O fratello, neppure queste cose mi sembrano normali! Se egli non facesse esclusivamente quello che in certo modo il nostro presunto greco gli comanda, sarei portato a credere piuttosto che sia egli stesso il Maestro. Ma considerato invece che fa sempre quello che il presunto greco lo chiama a fare, evidentemente non si può che ritenerlo un semplice servitore, e non già un signore. In verità sono, in sommo grado, una cosa meravigliosa i progressi che questo giovinetto ha già potuto fare in quella certa arte magica, puramente divina!»
8. Dice Ribar: «Quanto hai osservato nel giovinetto, ha già attirato da vario tempo la mia massima attenzione, però devi sapere che già prima, mentre egli mangiava i suoi otto pesci, ho fatto tra di me delle considerazioni sul fatto stranissimo che egli per mangiare veramente non lavorava affatto di bocca e di denti come noi, ma non faceva che accostare il pesce alla bocca e il pesce spariva!». Pesce, spine e carne svanivano come per incanto, e ugualmente mangiò il pane e bevette il vino che, non appena avvicinati alle sue labbra, svanivano nel medesimo istante! Confesso che mi sono trovato molto a disagio vicino a lui, e dico il vero che, inosservato, ho guardato un paio di volte sotto la tavola per vedere veramente che forma avessero i suoi piedi; ma questi li trovai sempre di forma così pura e idealmente bella, che di tali in vita mia non ne ho mai visti in una ragazza, per non parlare poi in un giovinetto! Una simile constatazione mi ridonò la tranquillità e, se un certo riguardo non me lo avesse impedito, non mi sarei stancato per l'eternità di contemplare e ammirare beatamente quei piedi sovranamente belli! In verità, se ora scendesse un angelo dai Cieli, non sarebbe possibile che poggiasse la sua persona su due piedi ancora più belli!»
9. Dice Suetal: «Ecco, questa è una cosa che mi era sfuggita nuovamente; però, partendo dalle premesse della sua meravigliosa bellezza, bisogna pur dirlo che converrebbe quasi arguire che egli è una qualche creatura spirituale di genere superiore, poiché la sua persona e le cose prodigiose da lui compiute sembrano essere qui a dargliene testimonianza addirittura assolutamente inoppugnabile! Ma, a questo punto, noi ci troviamo di fronte alla circostanza contraria, perché egli ci venne presentato come uno fra i più giovani discepoli del grande Maestro, già molto esperto nell'arte magica divina; e tale cosa, com'è naturale, significherebbe: «Se questo giovanissimo è già capace di tanto, cosa non saranno poi in grado di fare i discepoli più anziani?». Ma, con una simile ammissione del tutto logica, verrebbe logicamente anche a cadere l'idea di una essenzialità superiore costituente la personalità del giovinetto; perché, se tuttavia le cose stessero così, Colui che dovrebbe essere il grande Maestro avrebbe poco fa mentito dinanzi a noi, cosa che da parte di un simile uomo io non credo sia lecito ritenere ammissibile! Cosa ne pensi?»
10. Risponde Ribar: «Eh, sì, le apparenze sono veramente tali, ma d'altro canto tutto mi fa credere che, per quanto concerne questo campo, l'antico velo d'Iside non sia stato ancora tolto dinanzi agli occhi nostri! E se poi, nonostante tutto, il grande Maestro fosse eventualmente proprio Quello che Mataele ebbe prima a dire di Lui, anche un angelo dei Cieli potrebbe ben venir chiamato Suo discepolo! Ti pare che abbia ragione o torto?».
Come Dio si fa riconoscere.
1. Dice Suetal: «Sì, sì, la questione così si accomoderebbe! Soltanto l'espressione "il più giovane", darebbe ancora parecchio da pensare, perché un angelo, cioè una creatura di questa specie, che deve aver dietro di sé qualcosa come una mezza eternità di vita, è un po' difficile chiamarla la più giovane, in rapporto agli uomini di questa Terra! Un angelo di tal genere deve aver avuto confidenza con la magia celeste, già molto prima che un sole rifulgesse nel firmamento! Qual è la tua opinione in proposito?»
2. Risponde Ribar: «Questo certo è un affare molto scabroso dove potrei inciampare anch'io, tuttavia un'idea ce l'avrei anche a questo riguardo. Vedi, forse il Maestro ha voluto dire semplicemente che Egli ci presenta il giovinetto come il più giovane fra i Suoi discepoli soltanto in relazione all'antichissimo periodo di tempo, e ciò per il motivo che forse questo giovinetto si trova avvolto in una spoglia terrena appena da pochi giorni, in compagnia degli uomini!»
3. Dice Suetal: «Oh, se ciò fosse possibile, allora sicuramente avresti di nuovo ragione, però sai che è un po' azzardato ammettere una simile cosa? Perché, o questo oppure Mosè? Perché, date le circostanze, le due ammissioni non si potrebbero sostenere l'una accanto all'altra!»
4. Obietta Ribar: «E perché no? Se, come narra la leggenda tramandata di bocca in bocca fino ai giorni nostri, un angelo ha potuto per sette anni essere la guida a Tobia, perché non potrebbe sussistere adesso, per qualche giorno visibilmente, in compagnia degli uomini? Questa Terra è senz'altro essa pure un'opera di Dio, come lo è egli stesso!»
5. Dice Suetal: «Ebbene sì, se tu sei nella verità, e anche Mataele è irrefutabilmente dalla parte della ragione, allora certo questo giovanetto, terrenamente parlando, può essere il più giovane discepolo dell'eterno grande Maestro! La sua figura e le sue opere rivelano evidentemente in lui un'essenzialità superiore dai Cieli, ma se questo essere asserisce di sé che egli è uno fra i più giovani discepoli del grande Maestro da Nazaret, ne consegue chiaramente che Questi, secondo lo Spirito, deve essere un Signore sopra tutti i Cieli e, se questo è il caso, sorge per noi inevitabilmente la grave domanda: "In simili condizioni, che cosa dovremo fare al cospetto dell'Altissimo e dell'Onnipotente corporalmente visibile?". Perché, davvero, questa non sarebbe affatto una minima questione!»
6. Dice Ribar: «È verissimo, ma saremmo in grado di fare altrimenti se fosse proprio così come sempre con maggiore certezza adesso mi sembra che sia? Vedi, la Divinità è libera e fa ciò che vuole, ed i mortali non possono assolutamente prescriverLe dei limiti. Se Essa fosse venuta a noi da Giudice, ci troveremmo molto male, invece Essa è venuta a noi mortali Quale una mansueta Benefattrice, certamente per attrarci a Sé nell'antico Amore predicato dal patriarca Enoc; ora, in tali circostanze, Essa non è temibile. Ma, a quanto mi sembra, Essa si è data a riconoscere, nella Sua genuinità, esclusivamente nell'Amore, perché l'Amore fu senza dubbio l'unico movente che la indusse a scendere quaggiù. Invece, Essa non si dà affatto a riconoscere all'intelletto e alla ragione, della quale noi ci vantiamo molto»
7. Ora, vedi, varie cose che prima mi erano oscure adesso mi riescono chiare! Il supposto greco venne poco fa da noi con immensa amorevolezza, e ci domandò oltre a tutto se volessimo fare la conoscenza del grande Maestro da Nazaret! Noi però, a causa di una specie di timore, ci pronunciammo decisamente contro ad una simile proposta, opponendo di fronte a Lui ogni tipo di meschine ragioni, fondate sull'intelletto. Noi temevamo il Maestro, perché il discepolo già prima ci aveva dimostrato in quali acque terribilmente basse andassimo navigando con la nostra greve barca della ragione.
8. Finora abbiamo sempre ancora speculato con la ragione e ben poche cose ne abbiamo ricavato; e le nostre supposizioni ed i sentimenti, che ora sempre più marcatamente si annunciano negli animi nostri, li abbiamo avuti unicamente a causa dello scossone datoci dal savio giovanetto, la cui pazienza è venuta evidentemente a mancare. Infatti, come adesso comincio a vedere discretamente chiaro, egli, prima che il Maestro desse inizio al Suo lungo discorso, ci aveva in forma abbastanza chiara messo sotto il naso che appunto quel greco e non altri doveva essere il Maestro! Ma la nostra ragione, prettamente animalesca, teneva sempre ancora gli occhi delle nostre anime coperti da un triplice velo, e di conseguenza non riuscivamo a vedere l'asino pur essendovi seduti sopra.
9. E adesso, poiché a causa della poderosa scossa ricevuta ci sentimmo riscaldare da un lieve preliminare amore per questo greco, ci sembra che un paio di veli siano stati levati dagli occhi delle nostre anime, e perciò soltanto adesso cominciamo a ipotizzare in maniera più chiara, tanto che sono ormai del parere che noi dobbiamo gettare completamente a mare tutta la nostra ragione, per seguire invece e unicamente l'impulso dei nostri cuori. In questo modo arriveremo certamente ad una qualche meta, prima che non ostinandoci a badare alla nostra ragione; ragione che all'uomo venne conferita soltanto allo scopo "come quando si cuoce un cibo serve un cucchiaio per mescolarlo; una volta terminata la cottura, si può fare a meno del cucchiaio!" Qual è in proposito la tua opinione e quella di tutti voi?»
10. Risponde Suetal, assai meravigliato: «O amico mio, vedo già che il greco acquista presso di te sempre maggiore simpatia. La stessa cosa succede anche a me, e a tale riguardo condivido perfettamente la tua opinione. Non sarei invece, per il momento, d'accordo di gettare ancora la ragione, poiché se la mettiamo da parte, per abbandonarci ad un sentimento ribollente in noi, che differenza ci sarà poi tra noi e gli animali dei boschi, che sono privi di ragione e che perciò devono seguire gli impulsi del loro sentire istintivo?
11. Vedi, l'uomo viene molto spesso sopraffatto da ogni genere di sentimenti; ora, se egli in simili occasioni volesse immediatamente ed incondizionatamente seguire il suo sentimento senza prima chiamare a consiglio la sua ragione più pura, dove mai finirebbe? Dunque, secondo il mio modo di vedere, è innanzitutto necessario purificare al massimo la ragione! Perché, soltanto se guidati dalla ragione purificata, i nostri migliori sentimenti possono diventare per noi sorgente di vera benedizione.
12. I sentimenti dell'uomo sono, come altrettanti polipi del mare, provvisti di molte braccia, che essi continuamente stendono da ogni parte in cerca di preda. D'altra parte, però, in questi animali non c'è nessuna traccia di una qualche altra intelligenza.
13. Se dunque l'uomo gettasse a mare la propria ragione, verrebbe evidentemente a somigliare ad un simile animale, perché l'uomo che obbedisce unicamente al proprio rozzo sentire è più vorace e più bramoso di piaceri di qualsiasi altro animale! Soltanto la ragione, educata e purificata, regola e trattiene nell'ordine i sentimenti umani, ne separa i cattivi e conserva solamente i buoni e puri, formando così, fuori da una parvenza d'uomo, un uomo vero.
14. Di conseguenza è necessario che tu non faccia a meno della divina ragione, perché, se oggi rinunciamo alla nostra ragione, domani il primo asino od il primo bue diverrà signore sopra di noi!»
15. Inteso questo, gli altri dieci approvano e si dichiarano d'accordo con Suetal, ma Ribar, con espressione pensosa, si stringe nelle spalle, ed allora Suetal gli dice: «Ebbene, non ci saranno già delle obiezioni da fare su quanto ho detto?! Perché ciò sta dinanzi a Dio ed al mondo tutto su basi così solide come lo sono quelle del monte Sinai, sul quale a Mosè vennero date le leggi per un popolo possentemente dotato di ragione!».
Ragione e sentimento.
1. Ribar, dopo una piccola pausa, dice: «O amico mio! A quello che hai detto, malgrado tutto, si potrebbero obiettare parecchie cose! Ma, dato che tu sei ancora un eroe dell'intelletto poderosamente armato, non ti sarebbe difficile oppormi di nuovo una qualche altra ragione. Io dunque, nei riguardi di questo mondo, non voglio in nessun caso darti torto, perché, infatti, nella formazione dell'uomo mondano, il procedimento deve essere tale quale l'hai esposto tu. Questa educazione però deve essere sempre il precursore necessario all'educazione superiore dello spirito da seguire più tardi; ma è bene che la prima non sia già il termine ultimo dell'educazione, né a ciò essa può arrivare nemmeno quando giunge al massimo della sottigliezza e della raffinatezza.
2. Perché, se la ragione ci è stata data inizialmente quale un regolatore dei nostri sentimenti ed allo scopo di nobilitarli il più possibile, ci deve essere senza dubbio nei sentimenti, divenuti in questo modo maturi, qualcosa di corrispondente e di simile a quello che esiste in un frutto maturato sull'albero. Ma, affinché il frutto possa giungere ad un certo grado di maturazione, sono certo necessari la luce e il calore del Sole, e così pure anche di quando in quando una pioggia fecondatrice. Arrivato il frutto a maturazione, lo si staccherà dall'albero e lo si accoglierà in modo conveniente in una buona dispensa perché maturi ancora di più e renda più gustosi i suoi elementi vitali; se tu invece lascerai il frutto pendere continuamente dall'albero, esso non solo non se ne avvantaggerà, ma non farà che guastarsi del tutto!
3. E non diversamente stanno certo le cose rispetto ai sentimenti dell'uomo. Quando hanno raggiunto quel certo grado di maturazione, devono venir sottratti alle cure della ragione esteriore e affidati a se stessi per una maturazione vitale di ordine superiore, altrimenti tutto il precedente processo di maturazione si sarebbe svolto perfettamente invano! Ed è per questi motivi che dissi prima a noi che, considerato che con l'appoggio della ragione non possiamo avanzare oltre, conviene gettare questa ragione esteriore e che dobbiamo invece affidarci ai nostri sentimenti divenuti oramai maturi per trovare la guida alle ulteriori vie della vita!»
4. Dice Suetal: «O fratello mio! In te deve spirare da qualche parte un alito divino! Poiché ti conosco e so che questo non è il tuo solito linguaggio! Tu sconfini del tutto dai campi della sapienza comune, e vai spaziando in quelli della sapienza superiore e matematica. Ecco, confesso di non poter ormai obiettare più nulla, poiché mi sento assolutamente compenetrato dalla persuasione che tu sul serio hai perfettamente ragione e che ti muovi sul terreno della verità. Io sento di non essere arrivato così lontano come te, ma sento pure che anch'io procedo innanzi»
5. Ed anche gli altri dieci ammettono di trovarsi nelle identiche condizioni d'animo.
6. Dopo ciò Raffaele ritorna vicino ai dodici e, battendo le mani in segno di consenso sulle spalle dei due oratori, dice: «Così va bene, o amici miei, così mi piacete molto di più di prima con la vostra dura e rigida ragione, e mi è lecito ormai dichiararvi che vi trovate completamente sulla buona via!»
7. Quando Raffaele ha finito di parlare, Ribar improvvisamente si alza, abbraccia Raffaele con tutta la forza del suo amore, lo stringe al suo cuore ed esclama grandemente commosso: «O Cielo, o celestiale creatura! Perché mai non ho potuto amarti già prima, con tutto l'ardore del mio cuore?». Infatti, come ebbe ammirato più da vicino i piedi, le mani e gli occhi dell'angelo, Ribar sentì immediatamente raddoppiarsi in sé l'intensità del suo amore per lui.
8. Ma Raffaele gli disse: «O amico, un amore è certo migliore di nessun amore, però esso non si adatta al campo d'attività dell'anima e della sua vita più interiore. In me tu non ami che la forma, che ora costituisce la parte di me naturale ed esteriorissima; ma l'amore invece costituisce veramente la parte più interiore dell'uomo, e non dovrebbe mai attaccarsi ad alcuna cosa che fosse tra le più esteriori, perché con ciò il più interiore si trasforma nel più esteriore e diventa, di conseguenza, un'immagine dell'Inferno! In questo modo, l'ordine divino della vita viene invertito, lo spirito dell'anima, che è l'amore, viene fatto rivolgere all'esterno, e in seguito avviene che così deve intristire, come intristisce il frutto di un parto prematuro quando sia stato tratto, con uno strappo violento dall'esterno, fuori dal corpo materno molto prima del tempo.
9. Non è dunque la mia figura esteriore quello che deve attrarre il tuo amore, ma soltanto la verità che apprendi dalla mia bocca. Questa verità ti rimarrà e ti renderà libero dappertutto, e veramente beato nella tua anima. La mia transitoria figura esteriore ti sia invece soltanto da prova che tu proprio vedi come è bella la completa verità accoppiata all'amore nella sua purezza! Comprendi queste cose?»
10. Rispose Ribar, allentando la sua poderosa stretta: «Io certo le comprendo, ma guardandoti, per uno di noi, l'intelletto diventa un peso veramente grande come una montagna!»
11. E allora Suetal s'intromette e dice a Raffaele: «Questo è un difetto già inveterato nel mio amico Ribar! Alla presenza di una bella figura, sia maschile che femminile, egli non può reggere senza accendersi nella sua passione, mentre io invece rimango indifferente. Anche a me senza dubbio piace una bella figura più di una brutta, ma non per questo si agita la mia passione! Per questo motivo anche tutte le donne e le fanciulle, per quanto siano state belle, sono rimaste finora perfettamente immuni da noie da parte mia!»
12. Osserva Raffaele: «Questa cosa però non ti torna affatto in qualche modo a merito, ma il merito va attribuito alla tua natura, poiché un cieco non può affatto gloriarsi di non venire sedotto da una qualche bellezza del mondo, nello stesso modo come al sordo non può venire attribuito a virtù, se non porge ascolto a chi diffonde maldicenza. D'altro canto, però, gli uomini della tua specie sono molto più difficili a destarsi nelle loro anime di coloro il cui animo è, agli inizi dello sviluppo spirituale, più aperto di quello di un altro al termine dello sviluppo stesso.
13. Vedi, nel caso di Ribar, l'elemento spirituale, anche se ancora impuro, si riversa al di fuori attraverso la sua carne, e perciò viene pure immediatamente attratto da cose che siano belle e perfette nella loro specie, considerato che tutto ciò che è bello esteriormente deve evidentemente avere in sé una ragione spiritualmente più perfetta della sua bellezza; quindi il cosiddetto innamorarsi esteriore di un bell'oggetto costituisce, tuttavia, un riconoscersi ed un fervore spirituale, certo muto, ma comunque reciproco; solamente è necessario che un tale sentimento venga, già molto di buon'ora, affidato ad una buona guida, affinché mediante questa possa venire, per così dire, fatto ritornare sul suo vero terreno vitale, ciò che non è affatto un compito eccessivamente difficile, dato che il vero spirito vitale, che si manifesta per mezzo dell'amore, costituisce propriamente l'essenza intelligente dell'uomo, e di conseguenza afferra anche con facilità ed attivamente comprende quello che corrisponde alla sua natura ed al suo ordine».
Motivo della diversità dei talenti umani.
1. Parla Raffaele: «Il cosiddetto innamorarsi esteriore di una cosa bella non è in sé affatto un peccato, però può diventare peccato, vale a dire atto contrario all'ordine della vita, se esso, non affidato ad un controllo e senza guida, si attacca sempre più alle forme esteriori, e in queste condizioni poi diventa naturalmente più difficile distogliere un simile spirito dalla bella esteriorità e ricondurlo sul terreno dell'ordine che gli è stato prescritto.
2. In tali casi, da parte del Signore è concesso che ad uno spirito smarrito vengano rivolte delle ammonizioni dolorose di varie specie e che su di lui piovano dei veri flagelli, in seguito ai quali viene tuttavia ricondotto all'ordine antico, e abbandona ogni esteriorità invertendo quanto in essa c'è di nobile nel proprio ordine e vivificando così veramente la parte nobile anche dell'esteriorità.
3. Vi è quindi un grande divario fra gli uomini della tua specie e quelli della specie di Ribar; ciò che vorresti trovare e che a trovare ti occorrono molti anni, la stessa cosa un uomo simile a Ribar la può trovare in pochi giorni, anzi spesso in poche ore, purché gli venga data una vera guida e purché egli stesso seriamente lo voglia. Comprendi queste cose?»
4. Risponde Suetal, un po' di malcontento: «Certo che le comprendo, ma d'altro canto non posso vedere il perché il Creatore ponga nel mondo uno che è già maturo ed accessibile alla spiritualità, e vicino a questo un altro che invece è ottuso come un ceppo di legno»
5. Osserva l'angelo: «Eh, mio caro, se tu cominci con questo genere di domande, allora certo che ci vorrà del tempo prima che noi arriviamo ad una conclusione, perché il tuo spirito si tiene ancora troppo tenacemente nascosto sotto la pelle della tua carne, mentre lo spirito di Ribar si è già diffuso molto oltre il suo epiderma, e quindi con lui riesce più facile parlare. Continuando a ragionare a tuo modo, potresti anche domandare perché Dio ha creato tante pietre sulla Terra, e perché invece non ha creato soltanto del terreno soffice e fertile; perché tanta acqua che copre un'immensa superficie che si sarebbe potuta adattare a campi e a vigne, e perché tanti rovi e tante piante da spine, sulle quali certo non crescono né fichi né uve. Ora ti dico che tutto così com'è è supremamente necessario, e che l'una cosa senza l'altra non potrebbe sussistere. L'esporti però, sia pure soltanto brevemente e superficialmente, tutte le varie e savie ragioni di una tale sistemazione, richiederebbe un tempo di molte migliaia d'anni, mentre uno spirito desto e maturo può perfettamente appropriarsi di tutta questa materia in pochi istanti, sempreché s'interessi della cosa. Ma siccome uno spirito perfetto si trova di fronte a problemi della vita ben più alti e migliori di quanto lo siano quelli del perché delle pietre, dell'acqua e delle spine, avviene che egli lascia molto volentieri queste cose alle cure sapientissime del Signore dell'eternità»
6. Dice Suetal: «Ma se è così, allora non è poi colpa mia se sono più restio a comprendere in confronto ad un'altra persona del tipo di Ribar, che a quanto ne so io, nonostante il suo spirito più aperto, non ha finora avuto affatto l’occasione di assimilarsi la sapienza celeste, sorbendola, per così dire, con il cucchiaio!»
7. Risponde Raffaele: «Gli uomini del tuo stampo devono certamente avere un intelletto più acuto, affinché la loro anima più ottusa possa, grazie ad esso, trovare la via d'accordo con il proprio spirito; via che senza dubbio è molto più lunga e scabrosa di quella che devono percorrere gli spiriti dell'amore. Perché uno spirito dell'amore ha già in sé e dinanzi a sé, come elemento vitale, quello che l'anima di carattere più ottuso può raggiungere, facendo esatto uso dei propri acuti sensi esteriori, solo dopo aver cercato "PER LONGUM ET LATUM" (in lungo e in largo).
8. Vedi quanta fatica ti costerà ancora, prima di arrivare all'amore. Ribar è già del tutto amore, questo ha solo bisogno di venire un po' imbrigliato ed ordinato, e poi è già bello e pronto; ma tu, se vuoi giungere all'amore, sei obbligato a pervenirvi attraverso il tuo noioso intelletto, per poi possederlo, senza di che non è nemmeno immaginabile la possibilità d'imbrigliarlo e ordinarlo. Comprendi ciò?»
9. Risponde Suetal: «Ma, allora, Dio è ingiusto e niente affatto imparziale!»
10. Dice l'angelo: «Sotto certi riguardi ristretti, sì, ma naturalmente soltanto dal punto di vista limitato dell'intelletto umano alquanto miope; però, quando edifichi una casa, perché scavi delle fondamenta e vi deponi dentro le pietre più grandi, più pesanti e più dure?
11. Che cosa mai ti hanno fatto queste pietre, perché tu le seppellisca per prime nelle tenebrose fosse delle fondamenta e per di più le collochi poi ogni altro peso sulle loro spalle? Perché non ti impietosisce il triste destino di quelle povere pietre? A quale oppressione devono sottostare queste pietre, gravate da un peso immenso come di una montagna?
12. E non ti muove a compassione la sorte delle radici di un albero, condannate a rimanere per sempre sepolte nell'oscuro e putrescente suolo della terra, mentre i rami dell'albero s'innalzano superbi nell'aria e splendono nella luce che tutto ristora?
13. Vedi, non sono queste altrettante ingiustizie già negli strati più bassi della vita naturale creata? Come poté mai un Dio tanto saggio, nella Sua qualità di Creatore, agire con tanta indifferenza e crudezza contro ogni sana concezione dell'intelletto?
14. Così pure anche i tuoi piedi potrebbero avere gravi ragioni di lamentarsi difronte alle tue mani, e potrebbero dire: "Noi che siamo carne e sangue come voi, perché allora siamo condannati a portarvi in giro, mentre voi senza alcuna fatica vi muovete liete e libere nell'aria?»
15. E così pure una quantità di altre membra del corpo potrebbe muovere nei confronti del capo delle lagnanze all'apparenza perfettamente giuste, ma chi è colui che immediatamente non si accorgerebbe della stoltezza di una simile accusa?
16. Ecco, nella stessa maniera il Signore ha dotato anche gli uomini di questa Terra di svariate capacità, qualcuno di più, qualcun altro di meno; però a nessuno resta precluso l'ingresso nel gran tempio della perfezione, ma a ciascuno viene data la via, e perciò nessuno può ragionevolmente lagnarsi e dire: "Signore, perché non hai concesso anche a me i talenti, di cui il mio fratello ha, in così alto grado, ogni ragione di gioire?". Perché, allora, il Signore gli risponderebbe: "Se senti qualcosa che ti manca, va' da tuo fratello, ed egli ti aiuterà! Qualora Io avessi dato a tutti gli uomini ogni cosa in misura perfettamente uguale, nessuno percepirebbe alcuna mancanza nell'altro, e il fratello non avrebbe mai bisogno del proprio fratello! Ma, allora, come sarebbe possibile destare ed irrobustire nell'uomo l'amore del prossimo, che tutto vivifica?
17. Ora, che cosa sarebbe l'uomo senza l'amore del prossimo e come potrebbe poi trovare, senza di questo, l'amore puro per Dio, in mancanza del quale una vita eterna dell'anima non è nemmeno immaginabile?
18. Vedi, affinché un uomo possa essere di utilità all'altro e possa con ciò conquistarsene l'amore, egli deve essere in qualche modo in grado di fare qualcosa che l'altro non è capace di fare così facilmente, per la ragione che gli mancano i necessari talenti; ma con ciò poi l'uno si rende indispensabile all'altro, e in seguito a questo necessario servizio reciproco l'amore viene prima di tutto destato, e poi, a causa del bene che deriva da tale reciproco servizio, l'amore viene sempre più rafforzato.
19. Ma nella potenza dell'amore del prossimo giace sempre la rivelazione più interiore del puro amore divino, ed in questo vi è la vita eterna.
20. Dunque, se tu puoi asserire di te stesso che non c'è in certo modo nessuna cosa capace di suscitare in te amore, né una bella figura, né una qualche azione spiccatamente buona, sarei pur curioso di apprendere da te con quale terzo mezzo, a me completamente sconosciuto, sarebbe possibile all'uomo suscitare l'amore nel proprio cuore e far assurgere questo alla potenza necessaria al rivelarsi dell'amore divino-puro nel cuore!
21. Ma dove questo amore divino-puro non si rivela con la parola e con l'azione, là l'eterna vita dell'anima, dopo la morte del corpo, si presenta come una realtà avvolta entro nubi molto torbide e ancora fosche!
22. A dirla breve, se nel tuo cuore ci sono ancora dei dubbi sulla continuità della vita dell'anima dopo la morte del corpo, è segno che la rivelazione della vita non è ancora seguita; ora, quello che l'uomo non ha, egli sempre dubita di poterlo avere un giorno, per quanto anche brami di possederlo. Ma qualora, mediante la rivelazione dell'amore divino-puro, tu abbia trovato nel tuo cuore la vita eterna dell'anima, così come si trova un denaro perduto, allora tu non avrai neppure più il dubbio sul pieno possesso di ciò che in piena verità già realmente possiedi!
23. Tale cosa, però, non si può diversamente raggiungere se non mediante l'amore del prossimo, e di conseguenza Ribar si trova anche molto più vicino alla vera meta della vita che non tu che hai la tua scatola cranica colma della luce naturale di questo mondo, ma in compenso hai lasciato che il tuo cuore se ne andasse senza calore e senza luce, errando come i selvaggi nel fitto tenebroso dei boschi acquitrinosi d'Europa.
24. Io perciò ti consiglio di fare molta attenzione a quanto ti ho detto ora, altrimenti, nonostante tutto ciò, con il tuo intelletto ne uscirai a mani vuote, e l'aureo frutto sul tuo albero della vita verrà già molto tempo prima della maturazione, intaccato profondamente dai vermi; e i vermi sono i tuoi dubbi, i quali finiranno con il divorare tutto quello che c'è nel tuo cranio; e in tal modo il frutto della tua vita si convertirà in un putridume fetente che servirà da immondo pasto agli uccelli da preda! Mi hai ben compreso?».
Un uomo dell'intelletto cerca l’amore.
1. Risponde Suetal: «Ho certo compreso, ma preferirei quasi quasi non aver compreso! Come posso mai forzarmi ad amare se, per così dire, per mia natura ne sono totalmente incapace? Di fronte a fenomeni e ad opere non percepisco che l'elemento di approvazione del mio intelletto, ma l'amore nel cuore è una cosa per me estranea! Dimmi dunque come sente un uomo; oppure, da quale sintomo riconosce l'uomo che l'amore si è destato nel suo cuore? Perché nella vita dell'uomo ci deve certo essere un qualche segno della percezione, altrimenti tutto l'amore è per lui inutile, poiché può darsi, forse, che egli lo possegga in tutta la sua pienezza, pur non sapendo che un simile impulso della sua vita si chiama amore. Ma, allora, che cosa gli giova anche tutto l'amore?»
2. Dice Raffaele: «Non ti ricordi, dunque, quel tanto che occorre per rinnovare nella tua mente la visione del tempo, in cui eri ancora un fanciullo? Che cosa sentivi quella volta per i tuoi genitori, i quali ti amavano molto e che ti colmavano di benefici di ogni specie, poiché eri il loro prediletto?»
3. Risponde Suetal: «Molto tempo è già trascorso da allora, tuttavia mi ricordo ancora di varie occasioni in cui mi trovai tanto commosso da farmi venire le lacrime agli occhi. Che sia stato questo sentimento filiale, l'amore?!»
4. Disse Raffaele: «Sì, senza dubbio questo è amore. A chi manca questo sentimento, a quegli manca infine tutto ciò che appartiene alla vita; ed un simile uomo allora non è che una macchina del proprio cervello illuminato di luce naturale e a mala pena sa qualcosa dell'esistenza della sua stessa anima.
5. L'amore infantile deve dunque nuovamente destarsi nel cuore di ciascuno che assomigli a te, in caso diverso è assolutamente impossibile che un uomo, dominato unicamente dall'intelletto, venga ammesso al Regno interiore della Vita.
6. A che cosa ti serve, se anche comprendi tutto con il tuo intelletto, quando non riesci a comprendere la tua stessa vita e non sei capace di vedere come essa è costituita e come va formandosi e sviluppandosi?!
7. A che cosa giova, ad un ortolano, ammirare la vegetazione rigogliosa, nobile e varia nel giardino del suo vicino, se trascura di coltivare il proprio, lasciando che le male erbe l'invadano e vi prosperino a loro piacimento? Si curino invece amorosamente le aiuole del proprio giardino, le si mondi dalle zizzanie, si irrobustisca il terreno con del concime adatto e vi si spargano le sementi di nobili piante, affinché al tempo opportuno si possa anche onestamente gioire della vegetazione lussureggiante e nobile del proprio giardino. Ma per il momento lasciamo questo argomento, poiché adesso, da parte del grande Maestro, verrà intrapreso qualcos'altro, e dato questo, conviene mantenere capo e cuore al loro vero posto»
8. Osserva Ribar: «Ma dicci, o celestiale amico, non dovremmo noi prima presentarci al Maestro dei maestri, per ringraziarLo di tutto il bene che certo soltanto attraverso la Sua immensa grazia e bontà ci è stato qui concesso, tanto nei riguardi materiali che spirituali?»
9. Risponde Raffaele: «Egli dà importanza soltanto al cuore; se questo è in ordine, allora è in ordine tutto. Quando però Egli vi reputerà maturi, certo non mancherà di chiamarvi, per tracciarvi i piani di quello che avrete da fare in avvenire.
10. Ma adesso conviene raccogliersi e tenersi pronti nel proprio cuore, anzi, in tutto il proprio essere, poiché quando Egli intraprende qualcosa ciò non ha valore solo per noi, che ci troviamo su questo limitato spazio, né solo per questo paese o per tutta intera questa vasta Terra, ma il valore della Sua Parola e della Sua Azione si estende contemporaneamente a tutto l'infinito ed a tutta l'eternità! Quindi è bene acuire l'attenzione e cercare di comprendere tutto fino nelle più remote profondità. Intendete bene e prendetevi a cuore questa cosa, poiché qualsiasi Parola che esce da bocca mossa dell'eterno Spirito di Dio e qualsiasi azione che ne segue è sempre di una portata infinita! Ed ora devo per un certo tempo abbandonare di nuovo la vostra compagnia e fare secondo la volontà del grande Maestro».
11. E dette queste parole l'angelo lasciò i dodici e ritornò vicino al suo Giosoe, il quale aveva già in serbo molto materiale da dipanare con lui, considerato che i molti discorsi scambiati da tutte le parti avevano suscitato in Giosoe un po' di confusione, e Raffaele ebbe di conseguenza il suo bel da fare per rimettere completamente a posto le idee del suo discepolo.
Il Signore annuncia un'eclissi solare.
1. Però Io dissi: «O amici Miei! Il nostro desinare corporale e spirituale è durato questa volta quattro buone ore, e conviene perciò che ci alziamo dalla mensa. Ce ne andremo dunque a riva, per vedere se forse sul mare succede qualcosa degna di fermare l'attenzione di tutta la nostra compagnia!»
2. Contemporaneamente devo avvertire tutti che entro mezz'ora a partire da questo momento assisteremo ad un'eclissi totale del Sole. Nessuno di voi però se ne inquieti, poiché una simile eclissi è un fenomeno assolutamente naturale.
3. La Luna, che procede da Ponente, va incontro al Sole librandosi ad un'altezza di 98.000 ore di cammino sopra la Terra. Da corpo massiccio ed opaco qual è, verrà a passare davanti al Sole, e così impedirà che la sua luce cada su di una parte di questa Terra; però l'eclissi completa non durerà che alcuni istanti. Dopo ciò, sull'orlo del corpo lunare comincerà nuovamente a mostrarsi il Sole, e poi ritornerà a farsi sempre più chiaro sulla Terra. E mentre il fenomeno si svolgerà nella sua totalità, avrete occasione di vedere le belle costellazioni dell'inverno, che altrimenti non si possono ammirare durante l'estate.
4. Queste cose ve le dico, affinché siate liberi da qualsiasi stolto timore in presenza di fenomeni di questa specie, e per mostrarvi come il fenomeno, nel suo procedimento, sia del tutto naturale; bandite perciò ogni timore quando il fenomeno si manifesterà.
5. In pari tempo scopriremo a distanza da qui, in alto mare, tre navi commerciali. Queste bisognerà condurle a riva prima che l'eclissi si manifesti, altrimenti la maligna superstizione costringerebbe i naviganti a gettare in mare la virtuosa e bellissima figlia di un onesto greco, assieme al padre che l'accompagna.
6. Infatti questi due sono diretti a Gerusalemme per visitare il tempio e per familiarizzarsi con la dottrina ebraica direttamente alla fonte. Essi perciò portano con sé sulle tre navi una grande quantità di tesori, che poi cadrebbero come buona preda tra le mani rapaci delle ciurme greche, formate da gente di pochi scrupoli.
7. Non c'è dunque tempo da perdere, poiché i due corpi celesti procedono incessantemente sulle orbite che le leggi naturali prescrivono loro. Se si volesse impedire loro il cammino, la Terra ne risentirebbe un danno immenso, tale che mille anni non sarebbero sufficienti a risarcirlo; se invece le tre navi vengono tratte a riva con velocità sia pure un po' prodigiosa, nessuno ne soffrirà qualche danno, anzi, per molti poveri di questa regione può risultarne un vantaggio ben grande, sia in linea naturale che spirituale. Presto all'opera, dunque!»
8. Tutti allora si dirigono alla riva e si dispongono su di una estesa linea. Non per questo Io Mi trovo libero da imbarazzi, perché Cirenio, con il suo seguito, i Miei discepoli ed alcuni altri che già da tempo ci accompagnano, sessanta in tutto, i trenta giovani farisei e leviti sotto la guida dei loro oratori Ebram e Risa, i cinque con a capo il saggio Mataele ed i dodici condotti da Suetal, Ribar e Bael, tutti questi si affollano intorno a Me, perché tutti vorrebbero per quanto possibile restarsene vicino alla Mia Persona, senza contare poi Ebal con Giara, e Raffaele con Giosoe, i quali comunque si tengono stretti a Me, e Giara addirittura non abbandona più il lembo del Mio mantello. Il vecchio Marco, con sua moglie ed i figli, desidererebbe pure starMi immediatamente vicino, e perciò è spiegabile la mancanza di spazio in cui vengo a trovarMi; ma ben presto interviene Raffaele e mette ogni cosa in regola, sistemando in un istante tutti gli ospiti, che si trovano a riva su vasti posti più comodi. Frattanto Io, assieme a Cirenio ed al vecchio Marco, salgo su una navicella, e remeggiando su e giù ci portiamo vicinissimi alla riva, al cospetto dei molti ospiti e a soddisfazione di questi e pure dei Miei discepoli.
9. Ormai però la Luna andava avvicinandosi rapidamente al Sole, ed Io allora chiamai Raffaele e gli dissi: «Tu sai già cosa è necessario fare; non frapporre quindi altro indugio!»
10. E Raffaele domandò, più a motivo degli ospiti che per altro: «O Signore, immediatamente od entro un certo tempo?»
11. Risposi Io: «Sia fatto entro dodici istanti!».
12. Le tre navi, però, erano tanto distanti che a mala pena si poteva scorgerle. In linea retta erano certo in quel momento distanti dalla riva intorno alle quattro ore di cammino.
Raffaele, da buon pilota, salva i greci in difficoltà.
1. Cirenio, frattanto, andava invano aguzzando la sua vista, ma non riusciva a scorgere nemmeno la traccia di una qualche nave, né maggior fortuna ebbe Marco nell'esplorare l'orizzonte. Altri però, dotati di vista eccellente, poterono finalmente vedere le navi che apparivano come altrettanti moscerini fluttuanti sul mare, ed esclamarono: «O Signore! Anche con vento favorevole non ci vorranno meno di due ore per arrivare fin qui»
2. Dico Io, allora: «Oh, non datevi pensiero di ciò. Il mio marinaio le farà venire a riva in tempo utile!»
3. Osservano i trenta farisei: «Dove e chi è colui che sarà capace di tanto?»
4. Dico Io: «Voi certo conoscete il giovane Mentore del figlio adottivo di Cirenio, dunque è di lui che si tratta!»
5. Domandano con angoscia i trenta: «E dov'è una barca pronta per lui?»
6. Risponde Raffaele: «Io non ho bisogno di barche! E detto questo sparisce. Tutti allora sono colti da spavento, perché credono che il giovinetto sia saltato in acqua e si attendono di vederlo filare rapido come un pesce incontro alle navi. Molti infatti ignoravano ancora che Raffaele era veramente un angelo, e di conseguenza uno spirito purissimo. Molti lo credevano il Mentore di Giosoe, mentre egli tale funzione non l'aveva che nei riguardi di Giara. Ma, considerato che egli sembrava occuparsi più di Giosoe che di Giara, molti ritenevano che fosse il giovane Mentore di Giosoe.
7. Ma prima ancora che gli interlocutori si fossero raccapezzati, Raffaele si trovò già di ritorno a riva con le tre navi che erano abbastanza grandi e che egli aveva pilotato stando su quella in cui si trovava appunto l'onesto greco con la sua ancora più onesta figlia, entrambi in preda a sbalordimento ed a spavento! Perché, in primo luogo, quell'approdo incomprensibilmente rapido ad una costa perfettamente sconosciuta gli sembrava un sogno, e in secondo luogo non sapeva affatto che cosa pensare del giovane marinaio, né d'altro canto poteva rendersi conto del prodigioso fenomeno, dato che il cambiamento di situazione si era verificato con troppa celerità e la sua sorpresa era stata troppo repentina!»
8. Anche i marinai delle tre navi erano rimasti come pietrificati con le impugnature dei remi in mano, e non osavano più vogare. E quando l'impressione intensa di stupore si fu in lui dopo qualche tempo attutita, il greco domandò al giovinetto in tono profondamente reverente: «Chi sei tu, o potentissimo essere? Chi ti ha chiamato a condurci con tanta rapidità sani e salvi a riva, e per quali motivi?»
9. Rispose Raffaele: «Non fare domande per ora, ma guarda il Sole che ben presto perderà per alcuni istanti lo splendore della sua luce. Se ti fossi trovato in alto mare, la mala superstizione dei tuoi marinai avrebbe fatto sì che ti avrebbero gettato in mare assieme a tua figlia, e si sarebbero poi divisi i tesori che porti con te. Questa cosa, però, il nostro grande Maestro già la previde, ed è perciò che mi inviò a te per la tua salvezza. Ormai tu sei al sicuro, tuttavia non ti saranno risparmiate ancora delle spiacevoli sorprese, e di conseguenza devo rimanere presso di te, su questa nave, il tempo che durerà la catastrofe tenebrosa, altrimenti avresti da sperimentare ancora gravi affanni da parte di questi rozzi naviganti»
10. Il greco allora alza in alto lo sguardo, ed assieme alla figlia inorridisce grandemente, vedendo che del Sole non resta più che una sottilissima falce; egli si alza con veemenza e tuona una maledizione contro il perfido drago che minaccia d'inghiottire completamente il Sole!
11. In quei tempi, presso qualche pagano dell'Asia Minore, era pio costume nelle occasioni di eclissi solare scagliare una quantità di maledizioni, fra le più terribili, contro il drago maligno, affinché questi ne rimanesse spaventato, rivomitasse poi il Sole ingoiato e l'astro del giorno continuasse quindi a splendere. Ma il vecchio non era ancora giunto alla fine delle sue parole maledicenti, che il disco del Sole si trovò completamente offuscato dalla Luna.
12. Allora d'improvviso si levò un urlo selvaggio fra le ciurme dei tre navigli, non solo, ma anche da terra la soldatesca romana ed i marinai, quasi furenti per la paura e la disperazione, fecero cenno di volersi gettare addosso al greco, per gettarlo in mare assieme alla figlia ed a Raffaele, perché attribuivano a questi tre la colpa di quello spaventosissimo flagello degli dèi, che essi intendevano così ammansire. Ma Raffaele afferrò i marinai, li sollevò fuori dalle navi e li depose a terra; Raffaele ne scaraventò in mare soltanto uno che appariva il più feroce di tutti, cosicché il marinaio, nonostante fosse un buon nuotatore, ebbe un bel da fare per arrivare a una discreta distanza dalle navi alla riva, dove giunse del tutto sfinito.
Conseguenze dell'eclissi solare.
1. Mentre si svolgevano questi fatti, il Sole cominciò a riapparire dall'altra parte dietro alla Luna, e l'animo di tutti i presenti ne fu immediatamente rasserenato. Cirenio e Giulio furono gli unici a rimanere tranquilli, perfettamente vicino a Me, durante l'oscuramento totale.
2. Perfino i Miei discepoli si erano fatti inquieti, e Giara e Giosoe erano saltati in tutta fretta nella navicella, vicino alla riva dove Io Mi trovavo, tremanti di spavento, causato più dalle urla selvagge dei marinai che non dall'eclissi in se stessa. Perché tanto Giara che Giosoe erano perfettamente a conoscenza delle cause che provocavano l'oscuramento del Sole, mentre a loro mancava una preparazione al chiasso che si era scatenato; perciò, in preda a grave angoscia, erano saltati nella Mia navicella, stringendosi il più possibile a Me. Cirenio e Giulio avevano frattanto deliziato i loro occhi con la contemplazione delle belle costellazioni invernali, che essi non avevano ancora mai avuto occasione di vedere durante un'estate.
3. La luce gradatamente andò aumentando, l'antico sereno vigore riprese il sopravvento negli animi scossi dei presenti, ed i marinai allora ritornarono alle loro tre navi e pregarono il giovinetto di perdonare loro per essersi comportati prima così rozzamente con lui.
4. Essi invocarono anche il perdono del greco, che disse loro: «Ciò che a qualcuno la propria fede comanda, che sia fatto se egli non trova in sé alcuna altra ragione contraria; però è bene che in avvenire la vostra fede abbia un fondamento più chiaro, ed allora vi convincerete che gli alti dèi non esigono assolutamente alcun sacrificio umano dalle nostre mani, dato che essi stessi dispongono di innumerevoli mezzi per prendersi a loro piacimento centinaia di migliaia di questi sacrifici»
5. I marinai si mostrano soddisfatti di questo insegnamento, impartito loro dal greco e promettono solennemente che in avvenire, nell'occasione di simili fenomeni, si ricorderanno delle sue savie parole e vi rimarranno completamente fedeli. Dopo domandano al loro padrone se intende proseguire il viaggio oppure fermarsi là, dove le navi erano approdate.
6. Ma il greco rispose: «Vedete questo giovinetto che è qui con noi? Egli mi ha fatto del bene e mi ha salvato dal cieco furore della vostra fede. A lui devo la mia vita e quella della mia unica dilettissima figlia. Egli solo può ora disporre di me, e come egli vorrà così anch'io farò; ma contro la sua parola e contro la sua volontà non muovo un passo da qui, anche se dovessi rimanerci per dieci anni.
7. Oltre a ciò, una buona voce interna mi dice che in questo luogo, dalle modestissime apparenze, ora ho già trovato di più che non in tutta Gerusalemme! Io dunque parlerò con l'albergatore di questa località, per sentire se posso fermarmi qui! Se la cosa sarà possibile, farò immediatamente sbarcare i miei animali da soma e tutti i tesori che ho portato con me, e poi voi potrete rimettere in sesto le vostre navi»
8. Però, mentre durava questo scambio di parole, Io ero già salito sulla nave del greco, e con Me anche Cirenio, Giulio e Marco, il vecchio albergatore, nonché Giara, Giosoe; e Marco si rivolse senza indugio al greco, e gli disse: «Amico! Tu vedi che un albergatore onesto non ha mai mancanza di ospiti. Ecco, io sono l'albergatore di questo luogo e nella mia piccola capanna e sotto le mie tende trovano alloggio tutti i cari ospiti che vedi qui. Ad ogni modo anche per te c'è ancora spazio, sempreché tu voglia fermarti qui da me!»
9. Risponde molto cortesemente il greco: «Amico mio! A me basta uno spazio di trenta passi per dieci, e se puoi metterlo a mia disposizione, io ordino all'istante ai servitori che sono con me di rizzarvi sopra le mie tre tende buone, e così sono più che provveduto, poiché di cibi e bevande ne ho portato con me in grande quantità, e se anche mi venissero a mancare, possiedo oro ed argento sufficiente per comperare dell'altra vettovaglia. Ho anche del foraggio per i miei animali da soma; in una parola: sono provvisto di ogni cosa nel migliore dei modi. Mi manca soltanto un pezzo di terreno per collocarvi le mie cose, e dovrò di conseguenza prenderlo temporaneamente in affitto da te. Che cosa chiedi, a titolo di compenso giornaliero, per la superficie che ti ho indicato prima?»
10. Dice Marco, con altrettanta cortesia: «Io ben so che tra voi greci è costume tenere in esatto conto ogni cosa, però tale costume non vige presso noi romani ed israeliti della specie migliore. Tu potrai restare qui finché ti piacerà, ed a te non verrà chiesto nulla all'infuori della tua schietta amicizia; e se poi vorrai fare qualcosa a vantaggio di un qualche povero smarritosi forse da queste parti, ciò sia rimesso alla tua volontà ed al tuo giudizio, ma di fare conti non è affatto il caso di parlarne! Fa' dunque sciogliere il tuo bagaglio e mettiti più comodamente che puoi, come se ti trovassi nella tua città e nella tua casa, perché, finché ti piacerà di rimanere qui, non solo il pezzo di terreno da te richiesto ma anche il mio intero possedimento, davvero non tanto piccolo, è a tua completa disposizione, ed anche alle mie mense non mancherà un posto per te! Dimmi se la mia proposta ti soddisfa!»
11. Risponde il greco: «Ma, o amico mio, se tu parli così, mi metti in soggezione, e il mio imbarazzo è grande, considerato che non posso, per così dire, ricompensare in nessun modo la tua grande e quanto mai disinteressata amicizia che mi dimostri, e perciò quasi non mi azzardo ad approfittare di questa che è da parte tua una vera magnanimità!»
12. Dice Marco: «O amico, la tua amicizia sarà cosa ben più preziosa di tutti i tesori terreni che porti con te, e dei quali non ho bisogno, perché forse ne possiedo di più preziosi di quanto lo siano i tuoi, certo non tanto materialmente parlando, quanto spiritualmente!»
13. Osserva il greco: «Tu dunque già da lungo tempo possiedi quello che io e questa mia figlia andiamo da tempo cercando invano per tutti gli angoli di questa Terra!»
14. Risponde Marco: «Sì, quello che tutta la Terra, le innumerevoli stelle e la Luna non ti possono dare, né che nessun tempio e nessun oracolo ti potrà mai dare, tu troverai qui tutto ciò, in questo misero luogo!».
15. Allora il greco ordina subito ai suoi quattordici servitori di porre mano all'opera.
Divinità e uomini.
1. Io, però, dico al greco: «Ascolta, o amico Mio! È ben possibile che i tuoi quattordici servitori siano diligenti e molto capaci, ma considerato che hai portato con te molte cose, alla tua gente occorrerà, ad ogni modo, un tempo discretamente lungo per mettere tutto in buon ordine.
2. Ora vedi: questo qui, che ha l'apparenza di un giovinetto, è uno dei Miei molti servitori ed è capace di sbrigare in un attimo più lavoro che non tutti i tuoi quattordici servitori, anche se v'impiegassero cent'anni interi; perciò lascia questa volta che i tuoi servitori si riposino, e questo Mio unico servitore qui presente metterà istantaneamente tutte le tue cose in un perfetto ordine, che tu da tempo sei solito avere, e farà quanto potrebbero fare i tuoi quattordici servitori appena in tre giorni!
3. Se vuoi, Io gli ordinerò di fare così!»
4. Risponde il greco: «O amico! Se una cosa simile è possibile su questa Terra, ti prego di farla! Perché i miei servitori sono comunque estremamente stanchi del viaggio, e di conseguenza tra lo sciogliere i bagagli e il rizzare le tende, avrebbero un compito discretamente lungo dinanzi a loro!»
5. Io allora dico a Raffaele: «Mostra dunque di che cosa è capace uno spirito puro in un brevissimo tempo!»
6. E Raffaele, facendo un profondo inchino, rispose: «O Signore! Tu hai comandato, ed ecco, tutto è già in perfetto ordine»
7. Poi, rivolgendoMi al greco, gli dico: «Ebbene, o amico, alzati ed esamina se il lavoro è stato eseguito secondo i tuoi intendimenti!»
8. Allora il greco si alza, si prende tre volte il capo tra le mani ed esclama stupefatto: «Oh, per tutti gli dèi! Che cosa è mai questo? Il giovinetto non ci ha lasciati neanche un solo momento, e le mie tende sono già completamente a posto, ed ogni cosa sembra già essere in pieno ordine! No, no davvero! Qui non c'entrano assolutamente le comuni forze naturali! Ed allora bisogna che entri nelle tende, per vedere come sono state disposte le mie cose!»
9. E detto questo, scende dalla nave, e accompagnato da noi e dalla sua figliava ad ispezionare l'interno delle tende, dove con sua grandissima meraviglia trova sul serio ogni cosa nel massimo ordine.
10. E soltanto adesso è venuto per lui il momento di restare quasi annichilito, e come colto da vertigine dice, dopo qualche tempo, con voce che rivela l'immenso suo sbalordimento: «Che io sia capitato fra i maghi principali d'Egitto? Perché quello che ho visto qui è una cosa inaudita ed una cosa simile a memoria d'uomo non si è ancora mai verificata, e Tu (rivoltosi a Me) sembri esserne il Maestro, ovvero sei Giove in Persona fra tutti questi. Non è stata la carne a generarTi, e neppure questo giovane deve essere nato da donna. Tu devi, dall'eternità, essere sorto fuori dallo spirito! O dèi, o dèi, quale potenza deve essere immanente in voi, che siete in grado di operare simili cose, e che misera creatura è l'uomo, il cieco verme nella polvere, al paragone vostro. Voi potete tutto, mentre il verme mortale, nella polvere della sua nullità, non può nulla affatto! O Amico! Tu sei un Dio cui tutto è soggetto; che cosa posso fare io, misero mortale, per Te che sei un Dio immortale? Cosa posso dare io a Te, che detieni il dominio di tutta la Terra, il Sole, la Luna e di tutte le stelle?»
11. Dico Io: «Amico, in te c'è molta luce naturale, e tu giudichi su quello che hai visto, e che a te appare un prodigio, veramente con il dovuto tatto, ma tu non devi collocare l'uomo troppo al di sotto del concetto delle tue deità, perché Io ti dico: "Tutti gli dèi, quali tu li riconosci e li onori, non rappresentano in verità nulla del tutto al paragone di un uomo pieno del vero spirito di Dio.
12. Ecco, tutti questi che vedi qui, sono in grandissima parte già altrettanto potenti quanto questo giovinetto, e tuttavia non sono che semplicemente uomini in carne e ossa.
13. Prova a toccare il Mio corpo e ti convincerai che per quanto concerne la Mia esteriorità sono carne e sangue anch'Io. Però questa carne e questo sangue sono colmi dello Spirito di Dio, il Quale solo è Onnipotente e alla Cui potenza di Volontà deve inchinarsi ogni cosa!"
14. Dunque vedi, noi qui operiamo unicamente per il potere dello Spirito di Dio che è in noi, che in noi pensa e che in noi vuole quello che la Sua onniveggente ed onnisensibile Sapienza reputa necessario e buono.
15. Ma per ora questa proprietà certo soltanto Io stesso la possiedo in grado supremo, e perciò anche a tale riguardo sono un Maestro, ma è Mio potere rendere capace a tanto anche qualsiasi altro uomo, sempreché sia animato da una qualche buona volontà.
16. Ovviamente, ad un uomo che sia di volontà perversa e contraria, una simile capacità non potrà venire mai più conferita, poiché bisogna che qualcuno sia completamente iniziato nel santo Ordine dello Spirito di Dio prima che possano venirgli impartite le capacità di potenza dell'Eterno Spirito di Dio, le quali non consistono se non appunto in ciò che l'uomo puro viene, nell'anima sua, del tutto compenetrato dallo Spirito di Dio, e vuole da parte sua unicamente ciò che lo Spirito di Dio vuole, ma ciò che questo Spirito vuole, deve anche avere compimento, perché Esso solo rappresenta la forza e la potenza primordiali eterne in tutta l’intera infinità!
17. Perché tutto quello che nello spazio infinito esiste, vive e pensa è, nella sua parte spirituale vivente, costituito da Pensieri di questo Eterno Spirito, Pensieri cioè fissati e immutabilmente trattenuti nell'Ordine posto da Lui stesso e da Idee formulate fuori dal Pensiero, le quali però, a seconda della qualità della loro essenza, sono pure atte a trapassare allo spirituale indipendente.
18. Vedi, o amico Mio, questa è in breve la spiegazione del come stanno le cose. Tu sei un buon pensatore e ben presto riuscirai a comprendere molto, ma per ora accontentati di questo poco.
19. Io ti darò come compagno un certo Mataele, che è uomo colmo di sapienza; da lui potrai apprendere molto, ed allora comprenderai anche Me stesso meglio di adesso»
20. Il greco, profondamente stupito della Mia sapienza, si dichiara completamente soddisfatto, e manifesta il desiderio di conoscere subito il compagno designatogli.
21. Ed Io allora faccio immediatamente chiamare Mataele, e gli dico: «Amico caro, qui tu vedi una dimora un po' scadente, tu però sei un buon carpentiere e saprai già dove c'è bisogno di miglioramenti e di riparazioni!»
22. E Mataele risponde: «O Signore, con il Tuo aiuto, la dimora verrà messa in buono stato e si farà solida».
Ad Ouran viene assegnato Mataele come maestro.
1. Dopo ciò Ouran e sua figlia Elena si mantennero silenziosi e cominciarono a raccogliersi per poter entrare in conversazione con Mataele - che gli era stato presentato quale persona ben dotata di esperienze della vita e che, con un paio di parole, gli aveva già fatto comprendere come la sapienza superiore gli fosse discretamente familiare - e per, in ogni occasione, restare ligio al detto "SAPIENTI PAUCA" (Al saggio basta poco), per evitare di venir giudicato uomo mancante di ogni migliore conoscenza. E quando Ouran rinvenne a sufficienza e il suo animo ebbe riacquistata una certa tranquillità, egli, dopo una pausa abbastanza lunga, chiese a Mataele se sarebbe stato disposto ad accompagnarlo dappertutto nei suoi viaggi intorno al mondo, e quali sarebbero state le sue pretese.
2. E Mataele, accennando a Me, così gli rispose: «Vedi là, Quello è un gran Medico del corpo, dell'anima e dello spirito. Sono a mala pena trascorse dodici ore da quando la mia condizione era ancora quella della creatura più miserabile di questa Terra. I miei visceri erano posseduti dalla peggiore specie di spiriti in maniera tale che tutto il mio essere rappresentava un demonio incarnato. Preso in mezzo da un'orda di perfidissimi briganti, ero lo spavento di tutta questa contrada, perché tutte le mie membra erano tributarie dei demoni, ma la mia anima era come paralizzata e non sapeva niente di ciò che accadeva del suo misero corpo! O amico, da questo che ti narro puoi ben vedere quanto grande fosse la mia miseria! E chi mai avrebbe potuto aiutarmi? Perché io, più degli altri, spaventavo chiunque mi fosse venuto vicino; in verità, sarebbe stato più facile affrontare dieci tigri affamate piuttosto che me. Soltanto ad una coorte di guerrieri romani, fra i più audaci, è riuscito di impadronirsi di me e dei miei compagni. Solidamente legato e incatenato, fui trascinato qui, con quattro dei miei peggiori compagni, per venir condannato a morte.
3. Ma ecco là il Sommo Salvatore, il Quale è disceso giù dai Cieli, su questa Terra aspra e colma dello spirito del demonio, per venire a noi miseri vermi e per guarire anche noi, veri demoni incarnati, tramite la Sua Parola e l'azione. Fu Egli a risanare me ed i miei compagni, ma per una simile guarigione Egli non solo non richiese nulla a noi cinque, ma ci riempì in aggiunta di immensi benefici materiali, e più ancora di benefici spirituali.
4. Ora, questo mio divino Salvatore mi ha chiamato per la prima volta a rendere un servizio, per il quale tu mi domandasti quale compenso avrei voluto richiederti. O amico! Prima che io abbia pagato a questo grande Uno il mio debito, non mi è assolutamente possibile chiederti alcuna cosa, poiché, se faccio come Egli vuole, non faccio che servire unicamente Lui che mi ha chiamato, e non te!
5. Ma verso di Lui rimarrò immensamente debitore per l'eternità, e attraverso il mio servire non potrò che in minimissima parte diminuire il mio enorme debito. Di conseguenza tu, o amico, anche per quanti servizi potrò renderti, non diverrai verso di me debitore di niente, ad eccezione, se lo vuoi, della tua amicizia e del tuo amore di fratello!
6. Perché io l'ho ricevuto gratuitamente e al medesimo prezzo anch'io lo darò a te! Certo, tu da me non otterrai né oro né argento o pietre preziose, ma quello che possiedo ti verrà anche dato liberamente, così come io stesso l'ho ricevuto. Ti piaccia dunque, in futuro, risparmiarmi domande di simile genere»
7. Dice Ouran: «O amico, tu sei davvero uno dei maggiori galantuomini che io abbia mai avuto occasione di incontrare in vita mia! Perciò bisognerà che tu divenga la saggia guida mia e di mia figlia, e che tale tu rimanga per tutto il tempo della mia vita!
8. Io, a rispetto della tua volontà, non ti domanderò certo mai che cosa richiedi per l'opera tua. Ma questo potrai ben accettare da me, quale amico e vero fratello, cioè l'assicurazione da parte mia che per te non ci sarà presso di me penuria di nessun tipo!»
9. Dice Mataele: «Si tratta però di vedere ancora se tu poi vorrai accettare quello che potrò darti, o un poco o tutto o eventualmente anche nulla affatto! Perché, come ho già fatto un po' esperienza, i miei doni sembrano risultare al palato dei sensi non proprio così dolci come può esserlo un vino dolcificato con del miele puro, che i greci di quando in quando amano gustare, anzi pare che spesso siano più amari del fiele e più del succo fresco di aloe! Ed i palati abituati al sapore del miele, male si acconciano ad accogliere tale nutrimento! Dunque, vogliamo vedere prima come sarà possibile fare questo scambio di doni fra noi!»
10. Allora intervengo Io nel discorso e dico loro: «Sapete, facciamo tutti assieme una passeggiata fino alla collina di Marco, considerato che abbiamo un'ora ancora di Sole e che la sera promette anch'essa di farsi molto piacevole; là ci dedicheremo a conoscerci reciprocamente un po' più da vicino. Le tue tende, frattanto, lasciale in custodia ai tuoi servitori, perché le rivedrai e ne potrai fare uso appena dopo la mezzanotte»
11. Osserva Ouran: «Dentro vi sono certo molte e preziosissime cose! Ma credo che questo amico sia assolutamente fidato!»
12. Dico Io: «O amico mio, è trascorsa a mala pena un'ora da quando ti trovavi nel più grave pericolo, e si trattava per te della perdita della vita e di ogni altra cosa che portavi con te; ma chi fu a salvarti allora?»
13. A queste parole Ouran rimase colpito, e dopo una certa pausa disse: «È ben vero, o grande Maestro! Tu hai ragione, sono rimasto un po' impigliato nella mia vecchia abitudine e adesso mi è anche chiaro quanto sia stato stolto il mio timore, ma ciò non si ripeterà una seconda volta; ed ora sono pronto ad andare con Te dove vorrai, senza alcuna preoccupazione!»
Elena, la nobile figlia del saggio greco.
1. E come egli ebbe finito di parlare, sua figlia, di nome Elena, avanzò verso di Me timidamente, e con passo esitante Mi disse in tono di preghiera: «O Signore! O Maestro e Salvatore indicibilmente grande! Non prendere in malo modo quanto ha detto il mio vecchio padre, perché, vedi, poiché sono sua figlia, lo conosco bene da quando sono nata e posso rendere dinanzi a Te la più fedele testimonianza che egli è un uomo buono, mansueto e quanto mai arrendevole, e posso dire in coscienza di non ricordare affatto che egli abbia anteposto spesso neanche un suo buon diritto, che era certamente fondato in ragione, al diritto di qualcun altro, per quanto questo sia stato molte volte fondato piuttosto su di una falsa che non su di una vera ragione. Mai ancora egli è sceso in lite con nessuno, né si è adirato od ha mormorato mai per un torto che gli sia stato fatto. Ma, perciò, anche gli altri dèi non hanno permesso che gli accadesse sventura, e la soave dèa della fortuna gli fu sempre custode vigile ed affezionata.
2. Perciò Tu, che sembri pure essere un pochino un Dio, non vorrai forse considerare la preoccupazione espressa da mio padre come un'offesa alla Tua nobile Persona! Ma se tuttavia dovesse esserci in Te tanta severità, oh, prenditi allora la mia vita in espiazione per il padre mio che io amo sopra ogni cosa!»
3. Dico Io allora a tutti i presenti: «Avete mai visto, in tutta Israele, un simile esempio di amore filiale? In verità, questa è una pagana, ma dinanzi a lei ha ragione d'arrossire tutta Israele, alla quale per mezzo di Mosè fu dato da Dio il Comandamento di rispettare il padre e la madre, di onorarli ed amarli!»
4. E tutti rispondono: «No, o Signore e Maestro! Una cosa simile non si è mai vista ancora in Israele!»
5. Ed Io, rivoltoMi ad Elena, le dico: «Non temere, o figlia Mia, perché è già da lungo tempo che Io conosco te e tuo padre, e se Io non avessi già conosciuto te e lui, voi sareste ambedue rimasti sepolti in questo mare insidioso e perfido!»
6. Osserva Elena: «Ma, o Maestro, che sei tanto cortese oltre ad essere immensamente saggio, com'è possibile che Tu conosca me e mio padre già da tanto tempo? Eppure, è appena da circa un'ora che noi Ti abbiamo visto per la prima volta!»
7. Rispondo Io: «O Elena! Guarda più lontano che puoi il mare, la Terra tutta; ebbene, queste sono cose già molto antiche e tuttavia Io ero già prima che tutto ciò esistesse!»
8. A queste parole Elena è colta da spavento, e Mi domanda con accento insieme d'angoscia e reverenza: «Ma allora in Te ci deve essere addirittura Giove in Persona, il supremo fra gli dèi!»
9. Dico Io: «O dolce colomba Mia, non angustiare il tuo cuore con vani pensieri! Io non sono Giove, perché un Giove non è mai esistito. Però Io sono la Verità e la Vita, e coloro che credono in Me non vedranno, non percepiranno e non assaporeranno in eterno la morte! Ed ora sai veramente Chi e Che cosa Io sia?»
10. Risponde Elena: «Ma se Tu sei soltanto la fredda verità e la vita pura che da questa sorge, com'è che appunto ora io comincio a sentire molto amore per Te?»
11. Le dico Io: «O Mia colomba! Questa cosa ti sarà rivelata subito, quando saremo sul monte! Ma ora andiamo, altrimenti il Sole sarà tramontato prima che noi arriviamo lassù!»
12. Dopo ciò, noi lasciammo le sfarzose tende regali e ci recammo sulla collina, la cui cima, non molto alta, venne raggiunta da noi in brevissimo tempo.
13. Quando fummo in vetta alla collina, Cirenio osservò che il panorama dell'intera vasta regione tutto intorno era veramente qualcosa di magnifico e che avrebbe potuto godere per delle lunghe ore di quello splendore senza paura di stancarsi minimamente. Peccato soltanto che il giorno non sarebbe ormai potuto durare che poco ancora.
14. E dopo qualche istante venne vicino a Me Simon Pietro, e Mi disse: «O Signore! Oggi potresti bene, come fece un giorno Giosuè, comandare al Sole e dirgli: "Fermati o Sole, affinché i figlioli possano più a lungo deliziarsi alle magnificenze della sera e glorificare Colui che le ha create!"»
15. Dice Cirenio: «O Simone, vecchio e fedele pescatore ed ora discepolo del nostro grande Maestro e Signore, questo è stato un buon pensiero, che è maturato in te, dato che una cosa simile, per ragioni che bene conosciamo, dovrebbe riuscire al nostro Signore e Maestro molto più facile di quanto lo sia stato un giorno a Giosuè!». E detto questo, anche Cirenio rivolse a Me una simile preghiera, alla quale volle pure associarsi Giara.
Il sole apparente
1. Io però dissi: «Voi siete dei figli ancora certo molto inesperti, e perciò andate pregando qualcosa che non può assolutamente venire concesso che avvenga nella maniera che intendete; perché, vedete, il Sole, rispetto alla Terra, non si muove, ma sta sempre fermo. Il Sole ha sicuramente anch'esso un proprio moto quanto mai accentuato, ma questo moto interessa la nostra Terra altrettanto poco, quanto il moto che voi fate da un luogo all'altro interessa il grano di polvere depositato sul vostro mantello.
2. Quello che a voi procurano il giorno e la notte, è dovuto alla rapidissima rotazione della Terra intorno al proprio asse; infatti, in una certa occasione vi spiegai come la Terra sia una grande sfera rotante su se stessa, da Occidente verso Oriente, e che volge di conseguenza sempre una parte dopo l'altra al Sole. Su tutta la Terra dunque è sempre, in qualche luogo mattina, e contemporaneamente in un prossimo luogo più verso Oriente è mezzogiorno, in un terzo luogo è sera e più innanzi ancora verso Oriente è finalmente mezzanotte, e questi ben noti quattro punti vanno incessantemente spostandosi nell'ordine indicato, in maniera che nel tempo approssimativo di 24 ore su ciascun punto della Terra viene ad essere successivamente mattina, mezzogiorno, sera e notte! Questo è un ordine che per quanto concerne il moto non deve nemmeno in maniera e misura infinitesimale venire modificato, pena l'annientamento completo di ogni cosa che esiste sulla Terra.
3. Poiché, se Io volessi veramente far splendere adesso il Sole della piena verità ancora per un'ora su questa regione, dovrei logicamente arrestare istantaneamente tutta la Terra nel suo moto di rotazione, che nel circolo massimo della sua circonferenza è così veloce che, a pari velocità, lo spazio che intercorre fra qui e Gerusalemme potrebbe venir percorso in due batter di ciglio. Ma con ciò tutti i corpi liberi, che non sono troppo solidamente congiunti con il corpo terrestre, riceverebbero un urto talmente violento che non soltanto tutti gli esseri viventi come gli uomini e gli animali verrebbero scagliati con violenza inaudita a lunghe ore di distanza verso Oriente, assieme alle loro case, capanne o palazzi, ma in seguito ad un urto di questa specie anche i mari verrebbero lanciati fuori dalle loro profondità addosso alle montagne, che sarebbero spazzate confusamente via, come uno stormo di passerotti sotto le raffiche violente del vento!
4. Dunque, per simili ragioni del tutto naturali che adesso vi ho esposto, Io non posso prestare ascolto alla vostra preghiera secondo la naturale verità. Per altro, Io posso, come ai tempi di Giosuè, farvi splendere per un paio d'ore un sole apparente, il quale illuminerà la regione con altrettanta forza quanto il vero Sole naturale. Certamente, trascorse le due ore, questo sole svanirà completamente, dato che non sarà altro che un fenomeno di riflessione sugli strati atmosferici!
5. Perciò adesso fate tutti bene attenzione! Quando il vero Sole tramonterà, nel medesimo istante quello apparente sorgerà da Occidente e rimarrà poi a splendere sopra l'orizzonte per due ore intere.
6. Però, per far splendere questo sole di cui ho parlato adesso, non verranno impiegati nemmeno dei mezzi soprannaturali, ma dei mezzi assolutamente naturali, anche se il fenomeno sarà provocato con il concorso di forze straordinarie, dalle sfere dei Cieli, in seguito ad un atto interiorissimo della Mia Volontà! Comprendete pressappoco quello che ho detto?»
7. Risponde Cirenio: «Io da parte mia lo comprendo perfettamente, perché possiedo ancora la famosa arancia di Ostracina! O Signore, Tu sai già ciò che intendo dire! Ma se poi tutti gli altri qui presenti lo comprenderanno, quasi quasi sarei portato a dubitarne!»
8. Dico Io: «In quanto a ciò, la cosa non ha importanza. Chi ancora non comprende perfettamente, lo comprenderà bene un giorno, poiché la salute dell'anima umana non dipende assolutamente da una simile conoscenza. La gente che conosce troppo bene la Terra, con il tempo s'invoglia esageratamente di percorrerla tutta e scrutare ogni suo punto, ciò che in avvenire ad ogni modo non mancherà di verificarsi, ma così facendo l'uomo attrae la propria anima verso l'esterno, in conseguenza di ciò questa diventa molto materiale ed avida di guadagni.
9. Quindi sono preferibili un po' meno cognizioni riguardo alla natura della Terra materiale ed invece, in compenso, un po' più di cognizioni di se stessi.
10. Perché, giunto che sia una volta qualcuno alla perfetta conoscenza del proprio essere interiore, quegli giungerà sempre abbastanza in tempo, tanto materialmente che spiritualmente, alla conoscenza non soltanto di tutta la Terra, ma anche di tutti gli altri corpi celesti esistenti nello spazio infinito della Creazione. Ed a questo riguardo s'intende che quello che più interessa e che ha assolutamente maggiore importanza è unicamente la conoscenza spirituale, mentre la sola conoscenza esteriore della forma di questa Terra non spianerà a nessuna anima la via dell'immortalità.
11. Ma adesso prestate bene attenzione. Ben presto il Sole naturale sarà scomparso sotto l'orizzonte, e nello stesso istante quello apparente subentrerà al suo posto».
La paura dei greci del Salvatore.
1. Tutti allora si mettono a contemplare il Sole naturale, la metà del cui disco si è già nascosto dietro le montagne, e nel momento stesso in cui esso tramonta completamente si leva il sole apparente, dotato della medesima potenza luminosa per quanto riguarda quella regione ed i paesi adiacenti. Naturalmente, fino alle stelle una simile luce non poteva arrivare, e perciò qualcuno degli ospiti presenti riuscì a scoprire varie stelle di prima grandezza, particolarmente nel cielo d'Oriente rimasto un po' più oscuro, dato che la luce del sole apparente non poteva avere che un debole effetto nei lontani spazi verso Levante, e la meraviglia per questo fenomeno fu grande.
2. Ed Ouran, combattuto fra il timore ed una venerazione profonda, si avvicinò a Me assieme a sua figlia Elena, e Mi rivolse la parola con una voce che l'immenso senso di rispetto rendeva balbettante, dicendoMi: «Se tutto quello che mi circonda, non m'inganna, e se io stesso non sono diventato un fantasma, tu sei un Dio degli dèi, degli spiriti e di tutti gli uomini e degli animali, di tutti i paesi, dei mari, dei laghi, dei fiumi, dei ruscelli e delle sorgenti e di tutto quanto in questi esiste ed ha vita! A Te sembrano essere soggetti anche i venti, i fulmini ed il rombo spaventoso del tuono, ed il Sole, la Luna e tutte le stelle obbediscono pure ai Tuoi cenni!
3. Ma se Tu, anche se apparentemente un uomo come me, puoi fare tante cose per effetto della Tua sola Parola e della Tua onnipotente Volontà, allora, domando a tutti i sapienti del mondo: che cosa potrebbe ancora mancarTi per essere considerato il primo e più perfetto Dio degli dèi?
4. Io, Ouran, un piccolo principe dalle regioni del grande Ponto, Ti riconosco come Tale e se anche venissero qui adesso Giove ed Apollo in persona e volessero in maniera ridicola sostenere il contrario, dovrei in loro presenza tacciarli della più grossolana stoltezza!
5. Ed ora, o Elena, mia cara figlia, avvicinati ed ammira il Dio degli dèi, contempla Quello che occhio mortale non ha mai visto ancora!
6. Vedi, da noi greci e presso altri popoli è ancora edificato un tempio a un Dio supremo sconosciuto, il quale però non viene mai aperto; talvolta si volle chiamare questo Dio sconosciuto, "l'imperscrutabile fato", dinanzi al Quale, a seconda delle nostre dottrine, perfino Giove trema come una foglia percossa dall'uragano!
7. Ed ecco, questo Dio tremendo ora sta dinanzi a noi, ed appunto poco fa ha comandato ad Apollo di arrestare nel suo corso il carro del Sole, secondo il desiderio di quel venerando vegliardo romano, il quale probabilmente egli pure sarà un piccolo principe di qualche beata provincia!
8. E vedi, o figlia mia, Apollo non si muove più, né si muoverà fino a quando non ne avrà ricevuto segretamente un cenno da parte del supremo Dio ignoto, il Quale dovrebbe, a quanto si dice, essere conosciuto più da vicino soltanto dai servitori del tempio di Gerusalemme! Cosa questa però che potrebbe benissimo essere anche non vera, perché, se essi non riconoscono Questo qui quale l'unico vero Dio, vuol dire che camminano per una via ignominiosamente sbagliata!»
9. Dice la bella Elena: «È possibile che essi sappiano qualcosa di più dettagliato sul Suo conto, certo però solamente per via di raffigurazioni simboliche, ma che essi altrettanto certamente non considerino quest'Uomo prodigioso per Quello che lo consideri tu e per quello che secondo ogni probabilità anche effettivamente è, io sarei disposta a scommetterci molto! Una cosa soltanto non riesco bene a capire, e cioè perché il mio cuore vada sempre più ardendo di vero amore per Lui; eppure ciascuna creatura umana, di fronte ad un Dio, non deve che temerLo, venerarLo ed offirirGli dei sacrifici!
10. Tu sai in quali termini severi il nostro sacerdote al servizio di Apollo mi abbia vietato l'amore ad un Dio, perché un simile amore sembra sia, in primo luogo, troppo impuro per una fra le maggiori divinità, quale è Apollo, e in secondo luogo, qualora tale amore si accentuasse molto ed arrivasse sul serio al punto di attrarre una simile maggiore divinità, si arrischierebbe di suscitare immediatamente la gelosia delle dèe, foriere delle più spaventose vendette, e allora la conseguenza sarebbe quella di dover condividere per l'eternità l'amaro destino di un'Europa, di una Didone, di Dafne, Euridice e Proserpina, e ciò sarebbe qualcosa di estremamente spaventoso.
11. Come tu sai, conforme agli insegnamenti veramente saggi del nostro sacerdote di Apollo, io sono arrivata nel mio animo al punto di sentirmi inorridire all'idea di una possibile apparizione anche del più bel Dio, altrettanto quanto all'idea della comparsa dello spaventosissimo capo di una Medusa, di una Gorgone o di una Megera!
12. Date simili circostanze, non c'era dunque più nemmeno da parlare di un amore ad un Dio. Ebbene, confesso apertamente che nonostante l'aspra lotta che sento fervere nel profondo dell'anima mia e malgrado tutte le più terribili raffigurazioni che continuamente mi sforzo di condurre dinanzi alla mia mente, quali conseguenze del destatosi amore per un Dio, malgrado tutto sento di amare questo Dio sempre con maggiore ardore! Anzi, sento che per amor Suo sarei pronta ad affrontare la più amara delle morti, purché Egli mi degnasse di uno sguardo amichevole!
13. O Cielo, o Cielo! Quanta inesprimibile amorevolezza spira dal suo Essere, nonostante la Sua serietà! Oh, gli dèi non hanno fatto bene a proibire a noi, creature umane, di amarli!»
14. Dice Ouran: «O figlia mia! Gli dèi sono supremamente saggi, e sanno che cosa possono concedere agli uomini! Noi dobbiamo, durante la nostra vita su questa Terra, purificarci prima in modo che in noi non possa rivelarsi più nessuna macchia, nemmeno agli occhi quanto mai acuti di Eaco, Minosse e Radamante, i tre giudici inesorabilissimi, e quando da questi saremo dichiarati perfettamente puri dinanzi alle orecchie ed agli occhi di tutti gli dèi, allora soltanto negli eterni Elisi ci sarà concesso, quale suprema beatitudine, di amare almeno in tutto segreto gli altissimi dèi!
15. Ma qui, su questo mondo e nella carne impura, devi sopra ogni cosa guardarti dall’innamorarti addirittura di Questo che è l'Altissimo ed il Primissimo fra gli dèi! Perché questa sarebbe la cosa più indicibilmente spaventosa fra le più spaventose! Ma se tu senti veramente già un certo impulso d'amore per Lui, sarà ben consigliabile che noi si cerchi di allontanarci il più presto possibile da questo luogo!»
16. Risponde Elena: «Ahimè, questo mi gioverà ben poco, poiché sento che Egli si è già troppo profondamente insinuato nel mio cuore, ed io non posso più allontanarmelo. Ma guarda pure quella fanciulla così tenera ancora, non sembra essa pure presa da forte amore per Lui? Eppure, almeno all'apparenza, sembra che non le succeda niente di male!»
17. Dice Ouran: «O mia cara, chi ti dice che non si tratti di una qualche dèa? Ma in questo caso, non tanto Lui, quanto Lei, avresti da temere! Chi sa mai che non sia una dèa dieci volte più possente di Giunone!»
18. Risponde Elena tutta contristata e con le lacrime agli occhi: «Oh, certo, tu potresti avere ben ragione! Oh, come sono felici gli dèi, e come miseri sono invece gli esseri umani! Un cuore cui non è lecito amare, è senza dubbio l'espressione dell'infelicità massima fra quanto mai l'uomo ne possa numerare su questo mondo! Se mi dà scandalo l'occhio, lo posso accecare; se mi dà scandalo la mano, la posso troncare e così pure il piede, e se trovo nella mia pelle morbida e bianca oggetto di scandalo, posso flagellarla a sangue e poi cospargerla di fango; ma che cosa posso fare del mio cuore quando sono costretta eccessivamente a temerlo? Nei casi di oppressione dello stomaco, Esculapio ha consigliato di prendere del succo d'aloe e allora lo stato dello stomaco migliorerà, ma, per quanto ne sappia, contro l'oppressione del cuore egli non ha indicato alcun rimedio!
19. Ma adesso mi viene un'idea: "Ecco, questo Dio è in pari tempo anche un grande Medico sopra tutti i medici; se noi Lo pregassimo, forse Egli vorrebbe aiutarmi! Infatti, Egli è venuto in nostro soccorso quando non potevamo pregarLo, dato che ancora non Lo avevamo conosciuto; tanto più Egli potrebbe aiutarmi adesso, considerato che Lo conosciamo e Lo preghiamo, e siamo certo disposti ad offrirGli qualsiasi sacrificio che ci richiederà!»
20. Dice Ouran: «Vedi, questo è stato un eccellente e buon pensiero, e forse ci porterà anche i suoi buoni frutti! Ma considerato che il supremo Dio stesso ci ha assegnato il savio Mataele per nostro ammaestramento, noi ora non possiamo rivolgerci a Dio che tramite il suo mezzo soltanto! Del resto Mataele stesso sembra egli pure essere almeno una specie di semidio molto potente, come dovrebbe esserlo anche quel giovinetto che, sia detto in segreto fra noi due, io ritengo infallibilmente che sia Mercurio»
21. Risponde Elena: «Sì, sì, sarà senza dubbio così, e il giovinetto è Mercurio! Ma adesso mi viene un'altra idea! Forse siamo già morti per la Terra, forse abbiamo già felicemente superato il rigido giudizio dei giudici infernali e abbiamo bevuto l'acqua del Lete[17], perdendo con ciò la memoria di essere vissuti sulla terra e di essere morti da poco tempo! Chi sa che noi non ci troviamo già nell'Elisio[18] , forse gli dèi non vogliono rivelarci così d'un tratto l'accaduto, lasciando a noi riconoscere la nostra nuova condizione mediante ogni tipo di accenni indiretti!
22. Ammira un po' l'incomparabile magnificenza di questo paesaggio! Può, domando io, esservi uno splendore ancora maggiore, sia pure nell'Elisio? Un Sole tramonta ed al medesimo posto un altro ne sorge, e nemmeno le stelle non mancano a rendere più fulgido l'eterno mattino! Ma se così fosse? O padre mio! Allora il mio amore non sarebbe affatto un male!»
23. Risponde Ouran: «O figliola! La tua osservazione è parecchio giustificata, anche se io trovo un po' azzardato accoglierla immediatamente addirittura come una genuina verità! Però Mataele non ci è stato dato invano come guida, ed egli certo non mancherà di chiarirci debitamente a questo proposito.
24. Se noi ci troviamo già nell'Elisio, siamo dei novellini, e ce ne vorrà prima che ci possiamo raccapezzare in questo nuovo mondo, ma la guida Mataele certo ci metterà entrambi sulla buona strada! Attualmente qui tutto ha indubbiamente un aspetto quanto mai elisiaco, tuttavia prima, durante il completo oscuramento del Sole, dell'Elisio non c'era qui proprio gran traccia, ed anzi il paesaggio aveva piuttosto l'aspetto un po' del Tartaro. Ma adesso convengo che è così; ma, come ho inteso, questa magnificenza elisiaca durerà appena due ore e poi, non si può mai sapere, forse tutto riprenderà il comune aspetto terreno! Ma ad ogni modo noi abbiamo Mataele, ed egli certo non mancherà di fornirci sotto ogni riguardo i chiarimenti conformi alla più scrupolosa e onesta verità! Però, vedi d'interpellarlo tu, o Elena, perché non ho ancora il coraggio necessario! A voi donne questa cosa riesce sempre meglio che a noi uomini!
25. Veramente adesso è occupato a discorrere animatamente con il vecchio principe, e il Dio sta parlando con un ufficiale romano! Come ho detto, per il momento non mi sento il coraggio di rivolgergli la parola, e chi sa che infine il mio domandare non venisse preso in malo modo! Tu invece sei una donna, e certo non ci vorrà giudicare subito sconvenientemente una qualche piccola insistenza da parte tua; tenta perciò tu, per prima, la sorte!»
26. Dice Elena: «A dire il vero, anch'io mi sento adesso un po' intimorita ed effettivamente non so come risolvere il problema in modo assennato; lascia però che io raccolga un po' le mie forze e poi questa cosa accadrà sicuramente!»
27. Osserva Ouran: «Chi ha fretta, indugi, questo è un detto antico dell'oracolo di Dodona, del quale si dice che l'autore sia stato il savio Plotino, vissuto a quanto pare prima di Omero; quindi puoi senz'altro prenderti in ogni occasione un po' di tempo.
28. Qualsiasi cosa l'uomo voglia intraprendere è bene che si attenga alle norme che detta la prudenza, e che tenga sempre ben presenti le conseguenze che dai suoi atti possono derivare. Si eviti dunque ogni passo precipitato, e così sarà facilmente eliminato il pericolo di cadere in una fossa. L'accingersi pacatamente ad un'opera, ma perciò anche con sicurezza, è sempre meglio del volere saltare con baldanzosa fretta oltre un fosso profondo, la cui larghezza non sia stata prima valutata a sufficienza, e per questo si finisce con il precipitare nell'abisso. Oh, il vecchio Ouran è pure alla sua maniera prudente e saggio, e non ha avuto finora mai da rimpiangere alcun passo falso; e forse, da simili rimpianti, i buoni geni lo preserveranno anche in avvenire».
Intervento e spiegazione di Mataele.
1. Dopo questo scambio di parole improntato a pagana saviezza, ambedue ammutoliscono e rimangono in attesa del coraggio che dovrebbe infondere, almeno ad Elena, animo sufficiente per intraprendere il progettato passo presso Mataele, affinché questi poi perorasse la loro causa presso di Me. Ma quanto più i due aspettano, tanto maggiori e numerose preoccupazioni sorgono nei loro animi, e queste influiscono semmai a scemare l’atteso coraggio anziché rafforzarlo. Essi stanno bensì in ammirazione dinanzi allo splendore di quella magnifica serata, ma lo fanno sempre dominati dal timore; poiché la luce insolita e un po' favolosa del sole apparente, la regione strana e dall'aspetto alquanto selvaggio, i fatti straordinari occorsi e infine la Mia presenza, tutto questo non concede agli animi dei due di adagiarsi nello stato di tranquillità necessario per potersi comodamente godere la pace di quelle non comuni ore serali.
2. Mataele però si accorge ben presto di quanto succede, e avvicinatosi ad Ouran gli dice: «No amico! Tu non sei affatto lieto e la tua bellissima figlia mi sembra un po' sofferente! Dimmi, dunque, che cosa avete?»
3. Allora Ouran, in segreto, dice ad Elena: «Ormai ci siamo! Adesso si tratta di comportarsi con prudenza, sincerità e rettitudine, altrimenti non è difficile che ci tocchi fare un terribile viaggio, là dove Cerbero è di guardia al regno dell'inesorabile Plutone! Vedi di parlare poco e lentamente, e pondera bene ciascuna parola, in caso diverso rischiamo di finirla male!»
4. Ma Mataele, battendo sulla spalla ad Ouran tutto spaventato, ritorna alla carica dicendogli: «O amico mio, perché taci? Prima hai pur potuto parlare con me del tutto liberamente. Che cosa dunque è successo nell'anima tua da renderti così titubante?»
5. Risponde Ouran, dopo una breve pausa e tutto tremante: «Ahi, ahi! Questo è stato un colpo terribile per noi! A me veramente non è accaduto niente di male, ma io e questa mia figlia siamo giunti da voi, dèi immortali, da miseri mortali, cosa di cui ci rendiamo conto solo ora e, a quanto sembra, nell'altissimo Olimpo, nel principale luogo di dimora degli eterni dèi immortali.
6. Qui tutto ha un aspetto prodigioso e sovrumano; la santità immensa di questo luogo ci riempie di angoscia e di spavento, e ciò tanto più in quanto mia figlia, a quanto essa dice e lamenta, sente che il suo cuore comincia ad ardere di amore possente per il grande Dio di tutti gli dèi.
7. Ora, secondo i precetti religiosi vigenti presso noi greci, un simile amore è reputato uno fra i delitti più gravi contro l'infinita santità degli dèi, particolarmente poi contro quello dello sconosciuto supremo Dio di tutti gli dèi! Ma la mia povera figlia non è in grado di difendersi da questo terribile amore; essa non vorrebbe amare, ma il suo cuore le impone inesorabilmente: "Tu devi amare!”
8. Questa misera, nella sua sincerità, mi ha confidato ogni cosa, ed io perciò ho preso la decisione di invocare per mezzo tuo il grande Dio, affinché Egli voglia in tutta grazia liberare da un tale amore il cuore della mia povera figlia! Perché questo amore non dipende certo dalla sua volontà, ma unicamente da circostanze estranee a noi completamente ignote! Oh, non vorresti tu, che senza dubbio sei pure uno dei primi fra i semidèi, concederci questa grazia? Degnati dunque di supplicare in nome nostro il grande Dio, perché risani il cuore infermo di mia figlia, imponendomi allo stesso tempo un sacrificio adeguato a tanta grazia»
9. Queste parole di Ouran riconducono, per la prima volta dopo la sua guarigione, sulle labbra del nostro Mataele un sorriso benevolo e compassionevole, ed egli dice ad Ouran: «Tu sei davvero un pagano genuino, malgrado tutta la tua purezza di cuore. Girando mezzo mondo, vai in cerca della verità e della giusta luce, e dopo averla trovata non la puoi riconoscere, immerso come sei nella tua pagana stoltezza!
10. Io devo dirti che ti commisero molto e che di tutto cuore deploro la tua miopia, ma spero che qui, a queste folli idee inveterate, potrai dare ben presto congedo!
11. Vedi, quello che tua figlia sente nel suo cuore quale un amore per il nostro grande e santo Maestro, è appunto l'unica vera manifestazione vitale della sua piccola Scintilla spirituale nella sua anima. Ma quando questa piccola Scintilla sarà nel suo petto diventata una fiamma, allora soltanto riconoscerà pienamente la completa nullità del vostro antico politeismo e riconoscerà altresì la Divinità unica vera di Colui che ha ravvivato questa piccola Scintilla nel suo petto del resto purissimo.
12. Io ti dico che l'amore è certissimamente l'unico vincolo, tramite il quale Dio attira le Sue creature al proprio onnipotente Cuore paterno, per allevarle a figli Suoi e metterle infine a pari con questo Cuore; e tu, vecchio e cieco pagano, ora invochi la liberazione da quella suprema Grazia divina, che Dio stesso, nella Sua immensa Misericordia, versa nei vostri cuori per ridestarvi alla vita interiore.
13. Deponi una buona volta la tua antica stoltezza, e diventa un uomo che ha la possibilità di acquistarsi la vita eterna in se stesso, e attraverso la forza conferitagli a tale scopo da Dio, di riconoscere veramente se stesso e Dio, e con ciò di entrare nel Regno della beatitudine vera ed eterna.
Origine e spiegazione dei nomi greci delle divinità.
1. Ma affinché tu sappia quali origini abbiano i tuoi dèi e come essi non siano in sé e per se stessi un nulla assoluto, io ti dico nel Nome del Signore, il Quale dimora adesso qui fra noi, che questi dèi non sono che delle vuote denominazioni, le quali ora non hanno per voi assolutamente nessun significato. Nel tempo antico, però, erano delle espressioni che denominavano gli attributi dell'Uno solo e vero Dio, il Cui Spirito ora si manifesta in tutta la Sua pienezza con opere e parole in questo Maestro che vi sta dinanzi.
2. "CEUS" è quella caratteristica che ai tempi dei primi patriarchi veniva sempre fatta precedere ad una data legge - che sempre procedeva dallo Spirito di Dio - che ispirava gli animi di quei primi padri; ora questa caratteristica aveva il significato di: "Il Padre vuole"! Perché mediante il "CE", oppure "ZE" veniva rappresentato il concetto della «ferma e immutabile Volontà», mentre con la seconda sillaba "US", meglio ancora "UOZ", oppure "UOZA", s'intendeva «il Padre nel Cielo, nella Sua qualità di perpetuo Creatore e Reggitore di ogni cosa»
3. Così, ugualmente, la parola "JUPITER", o meglio "JE U PITAR", era quella con la quale gli antichi padri usavano rappresentare ai figli «un vaso atto ad accogliere l'amore e la sapienza da Dio»; poiché "JE U PITAR", interpretato in questo modo significa quanto segue: la "U" che raffigura il profilo esterno di un cuore aperto è «la vera coppa della vita»; poi "PIT", a sua volta vuol dire «bere»; "PITAZ" significa «un bevitore» e "PITAR", ovvero "PITARA" vuol dire «una coppa sacra», mentre "PITZA" o "PIUTZA", denotano «un vaso comune da bere»
4. E come il vostro CEUZ, ovvero JEUPITAR, non rappresentano per voi altro che una vana parola, dato che la nozione del significato di questi concetti caratterizzatori vi sono diventati estranei, altrettanto e spesso anzi ancora più inconsistenti sono i vuoti nomi delle vostre altre divinità, di entrambi i sessi.
5. Ad esempio la vostra VENUZ, ovvero AFRODITE, che per voi è una dèa della bellezza femminile, significava, secondo i concetti molto densi di significato degli antichi padri, certamente «una donna quanto mai bella, non però a vantaggio della sua personalità spirituale», perché l'esperienza aveva insegnato già agli antichi che una donna molto bella, salvo rare eccezioni, è di solito sciocca e non ha in sé alcun patrimonio di una qualche conoscenza, dato che essa stessa è vanitosa e sempre occupata nell'ammirare la propria bellezza, e perciò non trova il tempo per acquisire altre utili cognizioni. Per queste ragioni, gli antichi padri chiamarono una simile bellezza femminile, una vera "VE NUZ" od anche "VE NIZ", che significa «Ella non sa niente, o non conosce niente!»
6. Così pure quasi la stessa cosa significa anche l'espressione: "A V RODITE"; mentre se si diceva "O V RODITE", questo voleva dire «Partorire la vera sapienza divina pura»; inoltre "SLOU RODIT" significa «Partorire la sapienza umana»; invece "A V RODIT" significa «Partorire la stoltezza terrena», e "AFRODITE" era quindi la parola che serviva a denotare «una bella donna, bene acconciata, che sempre partorisce la stoltezza, considerato che essa stessa è il più delle volte stolta!»
7. Con la "V" gli antichi raffiguravano sempre «un vaso raccoglitore». Se dinanzi alla "V" stava una sacra "O", rappresentante «la forma circolare del Sole, e per rispondenza poi anche Dio nella Sua Luce primordiale», allora la "V" per «accogliere la luce della sapienza» figurava collocata dopo la "O" che significava «Dio», ma se dinanzi alla "V" stava una "A", con la quale gli antichi definivano «tutto ciò che è vano e terreno», allora anche questo segno del vaso aveva il significato dell'accogliere la stoltezza nulla e terrena. "RODIT", però, significa «Partorire» e "A V RODIT" non vuol dire altro che «Partorire la stoltezza»
8. Dimmi, adesso, se nell'animo tuo non comincia già un po' ad albeggiare, riguardo alla reale essenzialità dei tuoi dèi!»
9. A queste parole, Ouran ed Elena appaiono molto rasserenati, ed Elena si sente ormai liberata grazie al suo amore per Me.
10. E Ouran dice poi a Mataele: «O amico mio! La tua sapienza è grande, poiché quello che hai ottenuto con me, con poche parole, non lo avrebbero potuto ottenere nemmeno in cento anni tutte le scuole d'Egitto, della Grecia e della Persia! Tu hai d'un tratto, in modo assoluto, spazzato via da me tutti gli dèi d'Egitto, della Grecia e della Persia, ad eccezione di quell'unico Dio sconosciuto che, adesso però mi è sempre più chiaro, ho già trovato qui, e che sperabilmente sempre di più ancora troverò! A dirla breve, tu per me sei adesso un uomo che non si può pagare con nessun oro! E intanto, da uomo e da amico, ti ringrazio dal più profondo del mio cuore; tutto il resto verrà bene poi! Ed anche Elena rivolse a Mataele delle parole di ringraziamento per questi savi ammaestramenti».
Mataele quale demolitore delle mura dei templi pagani.
1. In seguito Mataele ritorna da Me, e Mi domanda se la spiegazione, data di sua iniziativa riguardo ai nomi delle divinità pagane, sia stata opportuna o forse un po' prematura.
2. Ed Io gli rispondo: «Oh, affatto, la cosa ti è riuscita molto bene in modo conforme alla più perfetta verità; e tu ora, con poche parole, hai contribuito ad eliminare le tenebre del paganesimo, in misura maggiore di quanto lo avrebbe potuto fare più d'un savio maestro in molti anni! Poiché, chi vuole educare un uomo secondo intelletto e saggezza, deve prima spazzare via da lui la sua antica stoltezza. E quando poi l'uomo è diventato un vaso vuoto, ma perciò anche puro, allora è facile colmare un simile vaso, ormai ben adoperabile, con ogni sapienza dai Cieli; ora pure sarà il caso di questi due.
3. Io ti dico che in un tempo molto breve noi troveremo facilmente in loro due figli e fratelli, per i quali il Mio cuore gioirà molto di più che non per mille israeliti, che sono stimati quanto mai giusti secondo la legge di Mosè, ma che tuttavia, come uomini, sono più estranei al Mio cuore di coloro che nasceranno sulla Terra appena da qui a mille anni.
4. Ed ancora ti dico che, semmai a questo mondo tu dovessi prendere moglie, la tua compagna non dovrebbe essere che Elena! Sia però ben lontana da Me l'idea di volere con ciò obbligarti ad un tale passo, ma sarà eventualmente il tuo cuore a dartene il suggerimento, e questo anche seguirai.
5. Ed ora ritorna da loro e sii cortese; il vecchio, che a prescindere dalla sua educazione pagana, è un uomo ricco di cognizioni e di esperienza, come pure sua figlia davvero meravigliosamente e doppiamente bella, ti chiederanno ancora altre varie spiegazioni riguardo ai nomi dell'antichità. Tu sei ormai un uomo dalla sapienza basata su solide fondamenta, e ti sarà quindi facile dare a ciascuna loro domanda la risposta più appropriata e convincente.
6. Contemporaneamente questa vostra conversazione non mancherà di fare buona impressione anche sui romani, e così verrà iniziata la demolizione dei molti templi pagani; e poi, anche se sempre ancora con qualche sforzo, si potranno ottenere fra i pagani, in qualche decennio, effetti maggiori che non altrimenti in un millennio!
7. Nella notte è certo sempre difficile predicare della luce, ma quando si è riusciti a formare il giorno, allora quasi ciascuna dottrina, che si riferisce alla luce del giorno, viene a risultare comunque da se stessa superflua, perché allora è il giorno che fornisce direttamente la luce. Il vecchio però ti farà domande molto importanti e dense di contenuto. Va' dunque nel nome Mio e porta a buon fine la tua opera!
8. Noi tutti prenderemo attentissima parte alle tue trattative; inoltre, affinché coloro che si trovano più lontani possano anch'essi sentire le tue parole, questo sarà Mia cura che avvenga!
9. Io farò splendere il sole fittizio per un paio d'ore ancora, e ciò richiamerà molta gente fuori dalla città, in parte per ammirare lo spettacolo e in parte spinta da un senso d'inquietudine a causa di questo giorno che sembra non voler più finire. Ma comunque, data la brevità di questo tempo, presso i due avrai potuto già fare molta strada.
10. E dopo che Io avrò fatto spegnere il sole apparente, prenderemo tutti una buona cena su questa altura, durante la quale avremo ancora abbondante occasione di trattare di varie altre cose. Ed ora, per il momento, sai tutto quello che è necessario fare, di più ce lo dirà il prossimo tempo!»
11. Mataele allora Mi ringrazia di questo incarico, e del tutto segretamente Mi ringrazia anche a causa della proposta riguardante la bella Elena che già al primo sguardo aveva grandemente colpito il suo cuore. Infatti, non aveva potuto fare a meno di dire tra sé: «Per tutti i Cieli! Una tale avvenente figura di donna non è stata davvero mai vista ancora in tutta Israele!»
12. Del resto, anche tutti i romani, non escluso perfino Cirenio, sembravano come affascinati dalla bella greca, al punto che era ardua impresa distogliere lo sguardo dalla bella Elena, il cui corpo pareva formato da purissima sostanza etereo luminosa, e perciò esercitava quasi più attrazione dello stesso meraviglioso sole apparente.
13. Mataele quindi, in questa occasione, si raccolse in modo del tutto particolare; tuttavia quello che veramente passava nella sua anima non fu percepito da nessuno all'infuori di Me.
Divario tra la bellezza dei figli di Dio e quelli del mondo.
1. Mataele dunque, molto serio all'aspetto, si avvicinò nuovamente ad Ouran e ad Elena, e chiese ad ambedue se avessero riflettuto proprio a dovere riguardo alle spiegazioni che prima aveva dato a loro.
2. Ed Elena, ormai di umore sereno, osservò: «Ascolta, si dice che io sia una bella ragazza, anzi, mi si arrivò spesso a chiamare una "seconda Venere". Credi che questo nome abbia anche per me il significato della tua precedente spiegazione? Dimmelo dunque, o caro e saggio amico!»
3. Questa domanda mise inizialmente il nostro Mataele in qualche imbarazzo, per il fatto che immediatamente aveva scorto una piccola offesa al cuore di Elena, ma si riebbe subito e rispose: «O cara sorella in Dio! Quello che ti dissi, vale soltanto per i figli del mondo; i veri figli di Dio, invece, possono essere esteriormente belli quanto si voglia, e ciò non di meno sono saggi nel loro cuore.
4. In questi la bellezza esteriore non è che un'insegna della loro spirituale bellezza interiore, ma nei figli del mondo è invece come l'intonaco mendace di una sepoltura, la quale, quando è dipinta di fresco, ha un bell'aspetto e fa una buonissima impressione, mentre nel suo interno è ricolma di putridume e di esalazioni pestilenziali.
5. Tu però cerchi Dio, e perciò sei anche una figlia di Dio. I figli del mondo invece non cercano che il mondo, e perciò di questo sono anche figli. Essi fuggono ciò che è divino e non aspirano che agli onori ed alla considerazione del mondo.
6. Quando loro chiamano il mondo grande, magnifico e bello, la loro felicità è già compiuta. Ma quando si vuole parlare con loro di argomenti divini, allora non comprendono più nulla, e poi, per nascondere la loro vergogna, si rivestono di tutti i fronzoli del mondo, di ambizione e d'orgoglio, e si danno a perseguitare con ira, odio e scherno ogni sapienza che fuori da Dio si riversa nei cuori dei figli di Dio!
7. C'è dunque un grande divario fra la bellezza dei figli di Dio e quella dei figli del mondo; la prima, come detto, è un'insegna della bellezza interiore dell'anima, mentre la seconda è un intonaco con cui vengono ricoperte le tombe, ed è quest'ultima bellezza che rappresenta la "Venuz", ma non la tua, dato che cerchi Dio ed anzi lo hai già trovato; perciò non devi assolutamente riferire a te la mia spiegazione di prima rispetto a Venere. Mi hai ben compreso?»
8. Risponde Elena: «Oh, sì, ma che io sia una figlia di Dio, questa mi sembra pure un'asserzione alquanto azzardata! Noi certo siamo tutti creature di un medesimo Dio, ma per noi non si può certo parlare della sublimità sicuramente infinitissima dei veri figli di Dio, dato che noi, creature umane materiali, rozze e grevi come siamo, ci troviamo affetti da ogni genere di debolezze e dalle innumerevoli imperfezioni che da tali debolezze derivano. Io dunque penso che tu, o carissimo e del resto savissimo amico, sia questa volta volato un po' troppo alto con i tuoi apprezzamenti!»
9. Dice Mataele: «Oh, per niente affatto, poiché, vedi, quello che ti ho detto, l'ho ricevuto da Quel grande Uno! Ma ciò che Egli mi ha insegnato è e resta eterna verità!
10. Ecco, immaginati di avere una colomba già capace di volare, ora, affinché essa non ti scappi via e si faccia domestica, che cosa fai? Le mozzi le ali. In tali condizioni, la colomba non può più volare di qua e di là a seconda della sua volubilità, e deve invece adattarsi a restare con te ed a lasciarsi addomesticare da te.
11. Ma adesso dimmi se la colomba, quando ha le ali mozzate, è meno colomba di prima, di quando cioè le ali intatte le permettevano il volo libero? Ma alla colomba non cresceranno in breve tempo di nuovo le ali? Certo, dopo non molto la colomba riavrà intere le sue ali e potrà volare liberamente come prima, ma essa sarà ormai addomesticata e rimarrà volentieri con te; e se anche di quando in quando vorrà fare una volata, basterà che tu la chiami ed essa, pure trovandosi a grande altezza nell'aria, ti udrà, scenderà rapidamente e si lascerà accarezzare da te!
12. È certo che su questo mondo anche i figli di Dio hanno molte debolezze, che sono loro di grande impedimento per innalzarsi fino a Dio, loro Padre, ma il Padre santo ha dotato di simili debolezze i figli, per il tempo della loro vita su questo mondo, soltanto per la ragione per cui anche tu hai sminuito la capacità al volo della tua colomba.
13. Ora appunto i figli in un simile stato di debolezza devono riconoscere il loro Padre, devono farsi mansueti ed umili e pregare il Padre di concedere loro, in misura adeguata, vigoria e forza, ed Egli certo poi esaudirà le loro preghiere, quando il momento opportuno sarà giunto.
14. Ma pur considerate le debolezze da cui sono afflitti anche i figli di Dio, questi non perciò sono meno figli Suoi di quanto una colomba, a cui siano state per un breve tempo mozzate le ali allo scopo di addomesticarla, sia meno colomba di prima, di quando cioè aveva ancora le sue ali intatte. Comprendi, o soavissima Elena, queste cose?».
Due tipi di amore per Dio.
1. Risponde Elena: «Oh, sì! Io vedo, a dire il vero, sempre ancora come attraverso una grigia nebbia, ma tuttavia la cosa comincia a farsi più chiara, e spero che con il tempo si farà sempre più chiara. Ma adesso dimmi tu, o amico caro, come si spiega che il mio amore per quel grande Uomo si fa sempre più grande, mentre il mio cuore non percepisce più alcuna sofferenza? Poiché, da quando per mezzo tuo ho saputo con tutta certezza che questo amore non è un male, anzi una virtù supremamente necessaria a ciascuna creatura umana di fronte a Dio, sento che questo amore, ormai sempre crescente, non è più causa di alcun dolore per il mio cuore e che ogni oppressione è svanita dal mio petto come per effetto di un improvviso alito di vento! Oh, dimmi dunque dove vanno ricercate le ragioni di un simile fenomeno!»
2. Dice Mataele: «O diletta sorella, eppure questo è chiaro come la luce del giorno! Prima eri dominata da un timore divorante, avendo il tuo amore osato stendere le sue bramose braccia verso un Dio, ciò che secondo i vostri stolti precetti religiosi era reputato da te sommamente condannabile! Ma poi avesti occasione di convincerti, in maniera evidente, della vostra antica stoltezza e di riconoscere alla sua sorgente la Volontà di Dio; e tu vedi ormai che questo amore è e deve essere la virtù prima e massima di ciascuna creatura umana. Dunque, è facilmente comprensibile perché il tuo amore non è più causa di sofferenza alcuna per il tuo cuore, e che invece il suo assoluto contrario è necessariamente del tutto al suo posto! Non riesci davvero a comprendere da te stessa questa cosa?»
3. Risponde Elena: «Oh, sì, ora certo che la comprendo, però senza questa tua chiarificazione la cosa sarebbe stata ben lontana dal riuscire per me proprio perfettamente chiara! Ecco, ora io ho ritrovato tutto il mio equilibrio»
4. Dice Mataele: «Ebbene, se tu senti di essere in piena regola con te stessa, non avrai più bisogno di apprendere granché; il giusto accrescersi dell'amore nel tuo cuore già ti dirà quello che ancora ti manca. E adesso godi pure tranquilla le magnificenze di questo giorno che il Signore, nell'infinito Suo Amore, Sapienza e Potenza, ha voluto donarci con tanta abbondanza, poiché, dopo questo nostro tempo, trascorreranno nuovamente migliaia di anni vuoti, durante i quali l'umanità non vedrà più la gloria di un simile giorno!»
5. Osserva Ouran: «Tu, o nobile amico, hai detto il vero; questa sera, un tale prolungamento del giorno resta un fenomeno meraviglioso e memorabile oltre ogni dire! Se un simile fenomeno si verificasse all'alba, colpirebbe meno l'attenzione, poiché, particolarmente nelle regioni del Ponto, già spesso è stato osservato che non di rado uno, due e tre soli sono sorti, l'un dopo l'altro, prima del vero Sole, provocando così un notevole anticipo della luce mattutina. Un fenomeno di questa specie, che si verifica all'alba, è certo qualcosa di molto interessante e meraviglioso, ma tuttavia non nella misura di questo prolungarsi del giorno nell'ora del tramonto, in seguito all'apparizione sul firmamento di un sole che sembra essere del tutto simile a quello naturale ed averne anche il medesimo splendore. Sì, certo, a quanto sappia una cosa simile non si è ancora mai vista, né sarà facile che si possa vedere un'altra volta.
6. Ma quello che veramente c'è di più meraviglioso in questo fenomeno sono le stelle chiaramente visibili ad Oriente, eppure questo sole, per così dire divinamente artificiale, non sembra splendere affatto meno di quello naturale. Dimmi, caro amico, sono veramente queste le stelle naturali o sono forse anch'esse degli astri apparenti? L'ora attuale giustificherebbe certo più che a sufficienza la presenza delle stelle sul firmamento; ma perché sono visibili soltanto ad Oriente e non in tutto il cielo?»
7. Risponde Mataele: «O amico! A questa cosa veramente si è già accennato una volta quest'oggi, ma forse non ci avrai fatto attenzione, e perciò voglio spiegartela nella misura almeno come io la comprendo».
Mataele spiega il movimento delle stelle.
1. Parla Mataele: «Vedi, questo sole che ora riluce sul firmamento, si trova in linea retta da noi a mala pena alla distanza che un buon cavalcatore può coprire in una mezza giornata. Il vero sole, invece, si trova dalla Terra, in linea retta, ad una distanza tale che un buon cavalcatore, avendo la possibilità di viaggiare giorno e notte senza interruzione, impiegherebbe più di diecimila anni per percorrerla. I raggi del sole naturale arrivano infinitamente lontano e riempiono di sé uno spazio incommensurabile; mentre i raggi di questo sole apparente, al paragone del primo, hanno una portata ben piccola e non arrivano che molto indeboliti alle regioni di Oriente – ciò che del resto si può constatare benissimo dalla maggiore oscurità che regna ad Oriente – e ne risulta che là l'aria non è così intensamente illuminata come quando sul firmamento splende il Sole naturale. Ed è appunto da attribuire alla luminosità intensa dell'aria circostante, fino a grande altezza da terra, il fatto della mancata visione delle stelle durante il giorno.
2. Se la luce del Sole non avesse tanta intensità, potremmo vedere le stelle anche di giorno, almeno quelle di prima grandezza; ma è in seguito alla grande potenza ed alla incommensurabile portata dei raggi solari che la visione anche delle principali stelle è resa assolutamente impossibile durante il giorno. Comprendi almeno approssimativamente questa cosa»
3. Risponde Ouran: «Sì, ho una mezza idea di quello che intendi dire, ma naturalmente ad una comprensione esatta della cosa, da parte mia, manca ancora parecchio, perché proprio dove meno di tutto mi sono sempre raccapezzato, è appunto la questione delle stelle e del loro moto. Per esempio non ho mai ben potuto spiegarmi il perché, subito dopo il tramonto del Sole, appaiano su tutto il firmamento una quantità di stelle conosciute e che successivamente a Levante si facciano sempre vedere delle altre. Invece quelle che erano prima verso Occidente scompaiono in parte, mentre alcune restano, sia d’estate che inverno, continuamente sul firmamento, con piccole variazioni soltanto della loro primitiva posizione. Questo particolarmente è il caso delle stelle che abbelliscono il cielo settentrionale; invece le belle stelle del cielo meridionale sono quanto mai variabili nella loro posizione, e da quella parte se ne vedono ad ogni stagione delle altre, fra le quali anche certe stelle nomadi che non restano mai ferme in una delle ben note costellazioni dalla configurazione immutabile, ma invece, con tutta indifferenza, emigrano da una costellazione fissa all'altra.
4. Così pure anche la Luna pare non segua un ordine determinato nel suo sorgere e nel suo tramontare. A volte essa sorge molto accentuatamente verso settentrione, a volte invece molto marcatamente verso mezzogiorno. Se tu dunque, o amico, come sono certo ne comprendi più di me e di mia figlia, facci il favore di spiegarci un po' questi enigmi del cielo!»
5. Dice Mataele: «Per esporti ben chiaramente tutte queste cose, il tempo che abbiamo adesso a disposizione sarebbe un po' troppo breve, e tu non avresti certo la pazienza di ascoltarmi fino alla fine, perciò rimandiamo l'argomento ad un momento più opportuno; però, un po’ ad ogni modo posso dirti ora per la tua tranquillità. Voglia tu dunque prestare bene attenzione alle mie parole!
6. "Vedi, non sono le stelle, il Sole e la Luna a sorgere e a tramontare, ma unicamente la Terra, che per quanto concerne la superficie non è affatto un disco, ma è una sfera molto grande, della circonferenza di parecchie migliaia d'ore di cammino. Questa sfera gira intorno al proprio asse, secondo la misura data dalle nostre clessidre, in circa venticinque ore, come il Signore stesso ha spiegato prima. Mediante questo moto di rotazione vengono provocati tutti i fenomeni, sui quali mi hai interpellato prima. Dunque, in queste poche parole tu avresti condensata tutta la spiegazione.
7. Le stelle - che tu vedi sempre formare quelle determinate costellazioni e che in base alle dichiarazioni del Signore in Persona nonché del potere percettivo conferitomi ed ora a me proprio - sono altrettanti soli, e distano dalla Terra in maniera così favolosa che non possiamo farci assolutamente alcuna idea della loro grandezza, né della loro lontananza, né ancora meno possiamo accorgerci dei loro movimenti. Soltanto un periodo di molte migliaia d'anni potrebbe essere sufficiente a rivelare, all'occhio umano, un qualche cambiamento nella posizione delle stelle fisse, ma poche centinaia d'anni non portano per noi alcuna differenza in questa loro posizione.
8. Sono invece le stelle che cambiano continuamente la loro posizione sul firmamento quelle che si trovano molto più vicine a questa Terra, e sono anch’esse dei corpi celesti più piccoli di un sole, e si muovono intorno al nostro Sole e perciò anche noi possiamo benissimo osservare il loro movimento". In ciò consiste dunque la parte essenziale della cosa; tutto il resto lo apprenderai da me ad una prossima occasione! Sei contento con ciò?»
9. Risponde Ouran: «Contento certo in ogni modo, ma ormai sono diventato già come un albero abbastanza vecchio che si lascia piegare soltanto con difficoltà, e di questo fatto converrà che tu ne tenga un po' conto.
10. Vedi, dalla più tenera fanciullezza fino alla vecchiaia già abbastanza avanzata com'è il mio caso, uno ha il tempo di crescere per così dire onestamente e coscienziosamente con le antiche stoltezze, e poiché non ha mai occasione di apprendere qualcosa di meglio, trova talvolta nelle stesse stoltezze delle notevoli conferme di ciò che ha cominciato a credere; ma qui tutto si presenta sotto un aspetto del tutto completamente nuovo, e ogni vecchio articolo di fede bisogna in maniera assoluta gettarlo via: ecco che la cosa allora riesce alquanto difficile e appunto questo è il mio caso.
11. Dunque, quando in qualunque campo io apprenda una dottrina del tutto nuova, di cui la mia mente non ha avuto prima nemmeno il più lieve presentimento, è certo che essa mi costa una certa fatica fino a che la vacuità delle mie vecchie nozioni e la verità delle nuove possano riuscirmi perfettamente chiare. Tu devi perciò avere particolarmente con me un po' di pazienza, poi, gradatamente, spero di diventare anch'io un tuo passabile discepolo, nonostante la mia età già molto avanzata.
12. Con mia figlia invece avrai un compito molto più lieve, perché questa ragazza è dotata di sveglia intelligenza. Tuttavia anche con me si potrà arrivare a qualche cosa, certamente procedendo con passo un po' più lento; una cosa è sicura, e cioè non potrò gareggiare nella corsa con un cervo, ma credo pure che riuscirò discretamente a tenere il passo con un modesto bue.
13. Oh, sì, le stelle, le stelle, mio caro amico, le stelle, il Sole e l'incostante Luna! Queste sono cose ben strane, e per di più ancora la nostra Terra. Chi potesse raccapezzarvisi a dovere, quegli si troverebbe già su di un gradino molto alto dell'umana sapienza. Ma finché sarà possibile esporre alla chiarissima luce del giorno tutti gli impenetrabili misteri che vi sono celati, specialmente trattandosi di gente della mia specie, o amico mio, allora la Luna dal mite splendore avrà molte volte ancora da rifare con il lento suo passo le vie del cielo! Io sento in me che tutto ciò che ho appreso ora da te deve corrispondere assolutamente al vero; ma queste verità le ho nella mente così isolate e slegate, come le prime pietre disseminate qua e là che servono alla costruzione di un nuovo grande palazzo. Ciascuna pietra presa a sé è solida e buona, e quindi una fondamentale verità, ma poi da queste pietre risulteranno più tardi le fondamenta del palazzo, per opera del costruttore! Questa, o amico mio, è una cosa che per quanto mi riguarda giace ben lontana ancora, e credo che pure per quanto concerne te stesso non si tratterà di un'impresa assai facile!»
Sul modo di educare nell’antico Egitto.
1. Risponde Mataele in tono gioviale, poiché le osservazioni molto sensate del vecchio gli sono quanto mai piaciute: «O Ouran, amico mio carissimo! Fuori dalla tua sfera esteriore naturale, da uomo quale sei, non avresti potuto ora parlare in maniera più saggia e vera di quanto hai fatto, e con la comprensione di verità nuove e mai prima intuite, che succede precisamente così come ti sei espresso tu. Tuttavia, devo obiettarti quanto segue: vedi, in Egitto, nelle antiche scuole di questo regno, era in uso, riguardo all'educazione di quei fanciulli che appartenevano alla casta sacerdotale, un sistema di educazione particolare che in fondo non si può dire che fosse cattivo.
2. I bimbi appena nati venivano immediatamente portati in stanze sotterranee molto spaziose, nelle quali la luce del giorno non penetrava mai. Essi venivano là curati a dovere, e non avevano nozione di alcuna altra luce se non di quella artificiale derivata da qualche lampada ad olio minerale ben costruita, nella lavorazione delle quali gli antichi Egizi erano notoriamente degli artefici inimitabili. In simili appartamenti sotterranei, quei giovani dovevano rimanere fino al loro ventesimo anno d'età, e venivano istruiti nella conoscenza del bello e reale mondo esteriore, che non avevano però mai avuto ancora occasione di vedere.
3. L'allievo, con la sua fantasia, si creava delle immagini di questo mondo il meglio che gli era possibile, ma era d'altro canto impossibile che arrivasse a formarsi una qualche idea precisa dell'estensione dello spazio, oltre ai confini limitati entro i quali doveva vivere, della immensa sorgente di luce che si trova negli spazi incommensurabili e liberi, cioè del Sole e della Luna e delle innumerevoli stelle, ed infine dell'intensità della luce e del calore che ne deriva.
4. Ecco dunque che anche un simile tranquillo allievo nelle aule scolastiche sotterranee e tenebrose non aveva nel suo cervello altro che dei frammenti di verità rispetto al mondo superiore ed ai suoi rapporti, e naturalmente, malgrado tutta la sua diligenza e tutta la sua attenzione, non era assolutamente in grado di raccoglierli ed ordinarli verso qualcosa di positivo e reale.
5. Dunque, anche queste erano altrettante pietre da costruzione isolate, solide e colme di verità, la cui connessione, fino a formare un grande palazzo, era ancora molto lontana, e certamente poi negli appartamenti sotterranei era addirittura impossibile.
6. Quando però un tale allievo del mondo sotterraneo aveva, a giudizio dei suoi maestri, raggiunto il necessario grado di cultura, allora gli veniva detto che ormai, per la grazia di Dio, sarebbe stato d'improvviso trasferito al mondo superiore colmo di luce, nella quale luce avrebbe appreso in un solo istante di più che non in moltissime ore di dimora nel mondo sotterraneo e tenebroso.
7. Ad una simile notizia, la gioia dell'allievo abituato a stare sotto terra era naturalmente grande, anche se avrebbe dovuto prima in certo modo morire per il mondo delle tenebre in una maniera del tutto speciale. Il morire però consisteva in un sonno molto profondo che gli veniva procurato, e durante il quale lo si trasportava in un sontuoso palazzo del mondo superiore.
8. Ma quali sguardi di incredibile meraviglia doveva allora lanciare intorno a sé un simile allievo, al suo ridestarsi immerso nella divina luce del Sole? Quale impressione doveva fargli nel trovarsi avvolto in una bianca veste, listata di rosso e di azzurro, e circondato ed amichevolmente accolto dai suoi simili d'ambo i sessi, pure adorni di superbe vesti? Quale diletto doveva risentire il suo palato nel gustare i cibi saporiti del tutto nuovi per lui? Ma quale sensazione poi doveva procurare alla sua anima il vedersi, in maniera amorevolissima, accompagnato fuori all'aperto a passeggiare in deliziosi giardini e ad aspirarne i balsamici profumi, ed infine contemplare per la prima volta, con occhi ebbri di una gioia quasi inconcepibile a mente umana, lo spettacolo meraviglioso della Natura in tutta la pienezza della sua realtà, illuminata dai fulgidi raggi del Sole?
9. Vedi, questa immagine, che con la tua fantasia puoi ancora maggiormente ampliare e perfezionare, ti può servire da paragone per giudicare l'attuale stato delle tue idee in rapporto a tutte le nuove verità che ti sono qui state rivelate.
10. Quello che negli oscuri appartamenti, nei quali l'anima tua ancora si trova e che tu percepisci, sono certo soltanto dei frammenti e non possono costituire un tutto già allo stato completo e perfetto; ma quando il tuo spirito - attraverso il vero amore a Dio, il Signore, e fuori da questo amore anche tramite l'amore del prossimo - sarà destato nell'anima tua, allora nella luce chiarissima del tuo spirito tutto ti si presenterà in un complesso perfettamente armonico, e vedrai uno sterminato mare di luce, colmo delle più alte verità, là dove ora riesci a mala pena a distinguere delle singole ed isolate goccioline.
11. La nostra prima e principalissima cura sarà dunque quella di condurre lo spirito, che è nell'anima, sui campi della sua luce, ma quando avremo raggiunto questa meta, allora, o amico, non avremo affatto bisogno di raccogliere le goccioline, ma ci troveremo invece di fronte ad un mare sconfinato, colmo della suprema Luce della Sapienza di Dio.
12. E allora, o amico mio, tu certo non mi domanderai più d'istruirti riguardo ai fatti della Luna, della nostra Terra, del Sole e di tutte le stelle, perché allora da te stesso, con un solo sguardo, abbraccerai tutte queste cose che ti riusciranno più chiare del Sole in pieno mezzogiorno.
13. Ma poi comincerà per noi un'altra scuola, della quale tu ora non puoi certo avere ancora neppure la più lontana idea. Dimmi dunque, o amico, se questa immagine l'hai pressappoco compresa e se ti è piaciuta!»
Meditazioni di Elena riguardo alla sapienza degli uomini.
1. Risponde Ouran: «Non ho ragione di nasconderti, o carissimo amico, che tutto ciò mi è piaciuto immensamente, e sono convinto che rispetto a noi uomini le cose devono essere e devono svolgersi così; perché, se così non fosse e dovesse essere diversamente, tu non saresti pervenuto alla sapienza che possiedi.
2. Tu pure certamente fosti, in maniera rude, educato nel mondo sotterraneo e tenebroso della tua carne. Dovesti poi, per la tua carne, morire nella tua anima, ed ora dimori a tuo agio nel palazzo di luce del tuo spirito, ed a tuo diletto passeggi nei suoi giardini veramente degni dell'Elisio. Per te, le singole goccioline di prima sono diventate un mare, ma per me non è di gran lunga ancora da attendere che si avveri una cosa simile. Io dunque comprendo sì il senso di ciascuno dei tuoi discorsi, ma il grande contesto mi sarà dato allora, non appena l'anima mia abbandonerà le catacombe tenebrose della carne e verrà introdotta nel palazzo di luce del suo spirito e nei suoi giardini, i cui frutti dal soave profumo maturano nella luce e nel calore dell'eterno Sole della Vita!
3. Ecco, io comincio a percepire in me un certo dolce presentimento di quello che può essere e che anche sicuramente accadrà, ma circa il benedetto "quando", non c'è proprio alcun termine fisso, e l'uomo non ha in sé nemmeno un piccolo indizio per venire a conoscenza, sia pure pochi giorni prima soltanto, del quando la misera anima sarà fatta uscire dalle tenebre delle catacombe!
4. Ma che cosa può fare una creatura umana? Nient'altro che rimettersi, con tutta pazienza, alla volontà di quella Guida Onnipotente, la Quale, senza averne dato prima annuncio alla tua carne, ha destato anche la tua anima nel palazzo di luce del tuo spirito possente.
5. Però adesso vorrei sentire anche dalla mia Elena come le è piaciuta la tua immagine, e quali sono le riflessioni che questa ha suscitato in lei»
6. Risponde immediatamente Elena: «Oh, le mie riflessioni sono state le migliori di questo mondo! L'immagine è splendida e quanto mai appropriata, e se gli antichi egiziani avevano simili istituti di educazione, dimostravano di non essere certamente degli sciocchi, cosa questa che del resto è confermata dai loro grandiosi monumenti. Ma sarebbe stato ben auspicabile che essi avessero esteso ulteriormente l'uso di queste sagge scuole anche a tutto il popolo, perché non posso affatto immaginarmi che nei piani del grande e sapientissimo Creatore sia previsto di lasciare che una parte, e precisamente la maggiore dell'umanità, rimanga ignorante e completamente cieca per tutto il tempo della sua vita. Eppure nel mondo avviene proprio che un sapiente si trovi sempre di fronte a più di diecimila stolti e ciechi, e dappertutto si può constatare la medesima cosa. Ma perché deve essere così? Ecco, questa è certamente una domanda di altro genere, la quale è ben difficile che ottenga risposta.
7. Sull'ampio cocuzzolo di questa collina, ora si trovano radunate all’incirca quattrocento persone, ma di queste ce ne saranno a mala pena cinquanta di veramente sagge, mentre tutti gli altri dovrebbero avere, chi più chi meno, ben poca familiarità con la sapienza. I soldati romani poi, e la numerosa servitù del luogotenente supremo, mi pare di credere che non potrebbero venire annoverati nemmeno fra gli ultimissimi discepoli di una qualche sapienza!
8. Da qui, l'occhio arriva molto bene fino alla vicina città, e si possono vedere masse di gente che ora guardano con gli occhi sbarrati il sole fittizio, sempre fermo allo stesso posto e magnifico nel suo splendore, ma certamente quella gente non sa affatto che cosa pensare di un simile fenomeno! Fra tutta quella massa non si trova sicuramente neppure uno che sia savio, anche se più d'uno, forse, immagina di esserlo, e ciò è veramente peggio che non se egli, nella giusta umiltà del suo cuore, s'immaginasse invece di essere il più ignorante fra i suoi compagni! Che impressione può fare una tale insolita apparizione su gente di questa specie? Quante domande non andranno adesso incrociandosi tra di loro, e si chiederanno: "Che cosa è questo? Che significato può avere? Quali ne saranno le conseguenze?»
9. E chi potrà mai dare a loro la risposta a tutte queste domande? Stolti e ciechi sono venuti fuori dalle loro case, e ancora più stolti e ciechi ci faranno ritorno; ma non è possibile fare diversamente? Quella gente deve proprio sul serio essere condannata a restare ignorante e cieca?
10. Le persone che sono qui presenti, anche se non sono dei discepoli, hanno almeno la nozione che qui non si tratta del vero Sole, ma di un sole apparente fatto sorgere dal grande Maestro attraverso la Sua grande Potenza che a loro è già nota, ed essi stanno osservando il fenomeno in tutta letizia e serenità d'animo, come è chiaramente dimostrato dalle loro facce. È certo che essi, del fenomeno stesso, ne comprendono altrettanto poco quanto me, ma sanno che ciò è la conseguenza della meravigliosa potenza di Volontà del grande Maestro a loro ben noto, e quando Egli forse da qui ad un'ora farà sì che questo gran luminare si spenga, nessuno se ne darà pensiero, poiché nessuno allora ignorerà Chi sarà stato a spegnere la luce.
11. Ma quando le altre genti, che non sanno quello che si svolge qui, vedranno questo sole svanire d'improvviso nello stesso punto dove ora si trova, saranno invase da timore spaventoso e senza alcun dubbio tutti crederanno che gli dèi si siano adirati in sommo grado e attenderanno i flagelli che gli dèi non dovrebbero fare mancare di venire sulla Terra!
12. Io credo dunque che sarebbe addirittura necessario, per la tranquillità del popolo, mandare da qui dei messaggeri, con l'incarico di annunciare il più presto possibile a quegli animi agitati quello che ben presto accadrà, e per avvertirli che non si tratta altro che di un sole fittizio. Che ne dici di questa mia idea, o buono e caro amico?».
Sull'opportunità di tempo e di effetto nell'ammaestramento del popolo.
1. Dice Mataele: «O amica carissima! Questa cosa sarebbe ora quanto mai intempestiva; più tardi sì, ma adesso, cioè nel momento della massima eccitazione, una simile impresa nei riguardi della sfera vitale animica sarebbe come versare acqua gelata sopra dell'olio bollente, poiché tutto divamperebbe in un istante!
2. Ma dopo qualche giorno da questo fenomeno, la gente, in tutta questa vasta regione, diverrà benissimo atta ad accogliere qualche rivelazione di genere superiore, naturalmente non tutti, ma certamente la maggior parte.
3. Più di tutti rimarranno duramente colpiti da questa apparizione i sacerdoti ebrei, essendo già molto impressionati dall'eclissi naturale completa del Sole verificatasi oggi; perché questa gente considera tutto dal lato materiale, e di un senso spirituale interiore delle cose non ha un presentimento, in quanto non comprende più nemmeno il linguaggio simbolico usato nei loro scritti da Mosè e da una quantità di altri veggenti e saggi.
4. Intendo dire che per esempio nel libro di un profeta che si chiamava Daniele è accennato ad una certa abominazione della desolazione e vi si parla pure dell'ottenebrarsi del Sole e di molte altre apparizioni spaventose ancora, le quali tutte hanno un significato spirituale profondissimo.
5. Ma dato che, come ho osservato prima, appunto i sacerdoti ebrei si sono fatti in questa epoca del tutto materiali, e di conseguenza intendono anche le Scritture unicamente secondo la materialità della lettera, così ogni eclissi di Sole è per loro causa di spaventoso terrore, poiché il loro pensiero corre inevitabilmente alla presunta fine del mondo materiale. Mentre l'antico sapiente ha voluto con ciò indicare, solamente dal punto di vista morale, la fine molto desiderabile del mondo materiale nell'uomo, essi invece credono che si tratti della reale distruzione della materia del mondo, e perciò hanno sempre un immenso spavento ogni qualvolta si manifesta una eclissi di Sole!
6. Quando dunque, tra un'oretta, questo sole si estinguerà repentinamente, saranno colti da un'angoscia atroce, e tanto più in quanto oggi non vedranno nemmeno la Luna, considerato che essa è già tramontata. Il grande spavento però provocherà, nel loro senso visivo, il fenomeno illusorio comune agli ubriaconi sfrenati, per cui essi vedranno tutte le stelle andarsene a soqquadro, e ciò in conseguenza della vertigine che coglierà i loro cervelli. Questa apparizione li condurrà poi al pensiero, che appunto le stelle dovranno, secondo la profezia, precipitare giù dal cielo, sulla Terra, in modo che per i molti sciocchi e ciechi non mancherà proprio nulla alla giornata del terrore! Tu avrai occasione di sentire fino a qui - quando questo nostro sole fittizio d'improvviso si estinguerà - che razza di urla terribili si leveranno fra le masse raccolte in questa città, ma questo non si risolverà affatto per loro in un danno, ma anzi con questo mezzo esse si faranno più malleabili, più mansuete e più accessibili alla verità pura.
7. Il giorno sereno di domani ricondurrà i loro pensieri entro una corrente più placida, e si potranno ottenere con loro molti buoni risultati! Perché domani verranno fuori a schiere, sulla riva del mare, per vedere se l'acqua non si sarà forse tramutata in sangue, ed in questa occasione potrà venire scambiata con molti di loro più d'una parola ispirata a saggezza.
8. E il nostro Signore e santo Maestro ha anzi concesso che proprio questa specie di fenomeno si verificasse principalmente in questa città, che non gode affatto della fama migliore! Ciò che Egli fa, ha sempre uno scopo buono e di una infinita molteplicità; soltanto quello che gli uomini vogliono fare senza di Lui non ha alcun scopo e non serve a niente».
I pensieri di Ouran ispirati dalla consapevolezza della presenza del Signore.
1. E dopo tali parole di Mataele, così dice Ouran: «Amico mio sempre più stimabile, non posso fare a meno di confessarti apertamente che al pensiero dell'estinguersi improvviso di questo sole io stesso mi sento colto da una specie di timore, perché in ciò scorgo la totale impotenza di un uomo di fronte alla sconfinata Onnipotenza di Colui il Quale dimora fra noi, ma che tutto considerato è tuttavia troppo santo ed infinitamente maestoso perché uno di noi, che abbia riconosciuto la Sua Personalità, possa avvicinarGlisi o perché io mi azzardi davvero a parlare con Lui, in tono assolutamente confidenziale, come parlo con te o con un altro mio simile!
2. Questo è un pensiero stranissimo, che deve trapassare l'anima a chiunque. Egli è il Tutto nel tutto, e noi tutti siamo un nulla assoluto in Suo confronto!
3. Certo, rispetto ad uno di noi funge poi da consolatore il pensiero che Egli è in Se stesso il supremo e purissimo Amore, e perciò ha verso di noi, misere creature umane, la massima pazienza, indulgenza e misericordia.
4. Sennonché decisamente Egli è il Dio, per le eternità immutabile e completamente immortale, e tutta l'Infinità nella propria essenza pende dalla Sua Volontà, come la gocciolina di rugiada da un isolato filo d'erba. Il più lieve alito uscito dalla Sua Bocca, se ispirato a volontà contraria, basterebbe ad annientare tutta l'infinità, nello stesso modo come un lievissimo alito è sufficiente a spazzare via la debole goccia di rugiada che pende all'estremità di un filo d'erba.
5. Dunque, vedi, se si considerano tali cose con animo pacato, non è possibile allontanare da sé il pensiero che nella visibile vicinanza dell'Onnipotente c'è un non so che di sommamente strano, che da un lato si potrebbe chiamare la beatitudine suprema e dall'altro invece la voglia di trovarsi piuttosto ad una bella distanza da Lui. L'adorarLo da una certa distanza dovrebbe essere un godimento immenso per l'anima e per lo spirito, ma qui in Sua vicinanza ciò si può fare soltanto piuttosto in segreto nel proprio cuore.
6. Così pure vorrei parlare con Lui. Ne ho una brama inesprimibile, ma considerata la grandezza infinita del Suo Spirito, chi ne può avere il coraggio, nonostante il Suo aspetto esteriore sia quello di un uomo modestissimo ed assolutamente socievole! Tuttavia quella certa impronta rivelatrice della Divinità pura e dell'onnipotenza, Gli resta ad ogni modo, e nei Suoi occhi e sulla Sua fronte si legge con precisione che dinanzi alla Sua Volontà devono inchinarsi Cielo e Terra; fuori dai Suoi occhi sembrano veramente uscire dei raggi di luce e la Sua fronte contemporaneamente comanda a ciò che non è mai stato di essere una unità!
7. Sì, amico, questa è una constatazione schiacciante, il vedere cioè dinanzi a sé il Creatore dei mondi e dei Cieli sotto le spoglie di un uomo semplice e del tutto senza pretese! Davvero, questo non è affatto uno scherzo! Ma pure è così, e sia altamente glorificato il Signore per il fatto che ora è così, perché senza di Lui, date le circostanze odierne, ci troveremo assai male!»
8. Osserva Mataele: «Questo senza alcun dubbio, tanto io quanto particolarmente tu, perché, per quanto concerne me, i malvagi mi avrebbero strangolato, mentre tu saresti stato distrutto dall'eclissi. Ma ora stiamo attenti, perché il sole apparente non durerà ancora molto a lungo, e allo svanire improvviso di questa rarissima apparizione farà seguito lo spettacolo di cui ho detto prima!»
9. Dopo ciò tutti fanno silenzio e osservano il finto sole.
Lo spegnersi del sole apparente e i suoi effetti
1. Alcuni istanti prima che l'apparizione svanisca, Io dico ad alta voce a tutti: «Preparatevi alla scomparsa di questa insolita luce, e tu Marco accendi prima tutte le tue lampade ad olio e le fiaccole di resina, altrimenti la fitta oscurità che subentra a questa luce intensa sarebbe nociva e dolorosa ai vostri occhi»
2. Allora Marco ed i suoi servitori accendono in fretta quanti più lumi possono e di ogni specie, e Cirenio e Giulio danno ordine ai soldati di dar fuoco a delle fascine di rami secchi, e quando tutto arde a dovere, con voce forte Io esclamo: «O parvenza dell'aria, svanisci! E voi, o spiriti cooperanti, ritornate nella quiete!»
3. A queste Mie parole, il sole fittizio si spense all'istante; una profonda oscurità avvolse tutta la regione, e s'intese chiaramente il grido d'angoscia proveniente dalla città situata abbastanza vicino.
4. Quella gente distingueva molto bene le molte luci sulla collina, dove noi ci trovavamo a nostro agio, ma nessuno fra le migliaia riusciva a trovare il coraggio necessario per muovere un passo fuori dalla città; perché gli ebrei, nel loro immenso spavento, vedevano già sul serio cadere le stelle giù dal cielo e molte precipitare sul monte dove eravamo noi. I pagani dal canto loro pensavano che Plutone per mezzo delle sue Furie avesse rubato il Sole ad Apollo, distratto forse dalla visione di qualche bellezza femminile, e che stesse per scoppiare una nuova guerra degli dèi sulla Terra stessa.
5. Ora, secondo il mito dei pagani, una guerra degli dèi non era affatto un avvenimento desiderabile per la Terra, date le terribili esperienze fatte con la prima, quando cioè le divinità gigantesche delle regioni infernali si erano sollevate contro l'Olimpo, scagliando verso l'alto con forza prodigiosa addirittura delle montagne ardenti. In quella occasione, ovviamente, Giove non aveva mancato di rispondere con una congrua ed interminabile pioggia di fulmini e di chicchi di grandine grossa come montagne, riuscendo infine vincitore delle male potenze del Tartaro.
6. Siccome, visto dalla città, il sole fittizio era sembrato stare esattamente al disopra del monte sul quale ci trovavamo noi, e poiché il monte stesso, appena svanito il sole, era stato visto brulicante di luci e di fuochi di ogni specie, i pagani opinarono che il Sole fosse stato nascosto dalle Furie precisamente in quella montagna dove i principi del mondo infernale avevano posto delle sentinelle provviste di fiaccole dell'Orco, e guai a chi si fosse avvicinato alla montagna che aveva effettivamente da ogni parte varie caverne e grotte ben distinte e molto profonde, a ridosso di una delle quali era appunto costruita l'abitazione del nostro Marco cui, com'è noto, la grotta stessa serviva da spaziosa cantina, da dispensa e da deposito.
7. Dunque a nessuno passò neanche per la mente di avviarsi verso il monte; gli ebrei per timore di venire schiacciati o bruciati dalle stelle che precipitavano giù, ed i pagani perché terrorizzati al pensiero delle Furie, e quando i loro occhi si furono assuefatti un po' di più all'oscurità, tutti allora man mano si ritirarono nelle loro dimore. Alcuni si addormentarono subito, altri invece rimasero desti tutta la notte oppressi dallo spavento, dall'angoscia e in attesa delle terribili calamità che secondo la profezia di Daniele avrebbero dovuto sconvolgere il globo terracqueo. I pagani poi, da parte loro, stavano aspettando i primi fulmini ed i primi fragori di tuono di Giove, nonché il tremendo rumore dei mondi cui Apollo avrebbe dato inizio contro Plutone, il ladro.
8. Insomma, tutta la città, abbastanza importante, era sottosopra, e vi regnava una confusione che davvero non avrebbe avuto nulla da invidiare a quella manifestatasi anticamente nella gran Babilonia, al tempo della confusione delle lingue. Noi, invece, sulla montagna ci trovavamo a nostro agio, poiché ci facemmo addirittura servire lassù la cena ben preparata. In un istante Raffaele fece in modo che tutte le mense fossero trasportate in cima al monte, e con queste anche le vivande, senza procurare eccessiva briga a Marco ed alla sua famiglia, la quale aveva già prima avuto abbastanza da fare nel preparare i cibi. Anche i soldati romani ricevettero da mangiare a sufficienza, e ben presto anch'essi apparirono lieti e soddisfatti.
L’elevata origine e destino dell’uomo.
1. E quando la cena sull'altura fu terminata, Ouran Mi venne vicino e Mi disse: «O Signore, la Cui grandezza e sublimità nessuna lingua umana è capace di esprimere con parole degne di Te, come devo io, misero verme nella polvere, ringraziarTi per i benefici in eterno inestimabili che per la Tua divina Grazia mi hai qui elargiti, e come posso lodare, onorare e glorificare Te, il Sublime, nell'eternità?
2. O Signore, che cosa siamo noi mortali, perché Tu abbia ad usarci tante attenzioni? Che cosa possiamo fare noi perché Tu abbia a compiacerTene?»
3. Allora Io gli dico: «Suvvia, o amico Mio, non bisogna che tu esageri tanto! Perché, vedi, tu sei quello che sei, cioè un uomo con un corpo bensì mortale, nel quale però dimora un'anima immortale assieme ad uno spirito che è da Dio e che è più immortale ancora. Ed Io sono pure un Uomo, nel quale ugualmente dimora un'anima divinamente immortale e lo Spirito di Dio, nella Sua Pienezza, dimora nella misura necessaria a questa Terra, e Questo è il Padre che è nel Cielo, il Figlio del Quale sono Io, come anche voi siete i Suoi figli.
4. Voi tutti eravate ciechi, e sotto molti riguardi lo siete ancora. Io però sono venuto veggente a questo mondo per mostrare a tutti voi Chi è il Padre, e per rendere veggenti, nel campo dello spirituale-divino, pure voi come Me.
5. Il Padre ha dato a Me la pienezza della Vita, ed Io questa Vita posso anche donarla a chiunque la voglia avere, poiché già prima che il mondo fosse il Padre aveva così disposto che in Me la Vita dovesse dimorare in tutta la sua pienezza e che per mezzo Mio potessero avere la vita anche tutti gli uomini. Ora, Colui che fu designato sono Io secondo la Mia Anima; per quanto però riguarda lo Spirito, Io sono Una sola cosa con Colui che ha così disposto e che Mi ha mandato.
6. Ecco, dunque, Io sono la Via, la Verità e la Vita, e coloro che credono in Me, non vedranno, non sentiranno né assaporeranno mai la morte, anche se dovessero morire corporalmente più d'una volta, ma coloro che in Me non crederanno, quelli morranno, anche se avessero mille vite.
7. Infatti ciascun uomo ha un corpo, e questo a suo tempo dovrà morire - di ciò non viene fatta eccezione neppure per questo Mio corpo; ma l'anima, con la deposizione del corpo, si rende invece più libera, più illuminata e vivente, e diventa compiutamente Una cosa con Colui che prima di ogni mondo l'aveva designata per la salvezza di tutti coloro che crederanno nel Figlio dell'Uomo e che osserveranno i Suoi Comandamenti.
8. Perciò pensa nel modo giusto e osserva i lievi consigli che ti verranno annunciati; poi altro non ti occorre, perché Io non sono venuto per prenderMi onore e gloria dagli uomini. È sufficiente che la lode mi venga da Quell'Uno che sta al di sopra di tutti nel Cielo e sulla Terra; ma se qualcuno proprio Mi vuole onorare, lodare e glorificare, ebbene, quegli Mi ami effettivamente con le opere ed osservi i Miei Comandamenti, ed allora un giorno la Sua ricompensa sarà grande nel Cielo.
9. Sii perciò ora di animo lieto; non apprezzarMi esageratamente e non stimare troppo poca cosa te stesso, allora veramente procederai sulla giusta via, e solo così, gradatamente, imparerai a conoscere perfettamente te stesso, nonché Me.
10. Frattanto, attieniti principalmente a Mataele, ed ascoltalo. Con lui, tu e tua figlia progredirete un bel tratto sulla via della Luce. Se tu però, o tua figlia, avete qualcosa di particolare da chiedere, venite pure da Me ed Io vi darò sempre ascolto; ma ad ogni modo conviene lasciare da parte le grandi parole e le frasi ampollose.
11. Perché, vedi, tra di noi dobbiamo discorrere e trattare unicamente come tra uomini amici e fratelli, dato che ciascuna creatura umana ha in sé uno spirito divino, senza il quale essa non avrebbe alcuna vita. Ora, un simile spirito nell'uomo non è per nulla meno divino di quanto lo sia lo stesso originario Spirito di Dio.
12. Sii ora dunque un vero discepolo di Mataele, e poi, quando sarai ritornato al tuo paese, potrai essere per Me un abilissimo e fervente apostolo. Mi hai compreso?»
13. Risponde Ouran: «Sì, o Signore, ti ho compreso, ma soltanto ora ho riconosciuto perfettamente quello che a me ed alla mia figlia è stato detto riguardo al vero Dio. Prima non avrei osato nemmeno pensarlo!». Poi il greco tacque, e sopraffatto dal sentimento si sciolse in lacrime d'amore per Me.
14. Io però lo presi dolcemente per la mano e gli domandai: «In che cosa dunque consisteva quello che Mataele ti disse di Dio?»
15. Ed Ouran, ancora singhiozzante, guardandoMi in faccia con occhi che erano tutti reverenza ed amore, rispose: «Oh, egli disse che Dio, in Se stesso, è il purissimo Amore! O Santissimo! Lascia che io muoia in questo mio amore per Te!»
16. «No», esclamo Io. «Il momento non è ancora giunto, perché è bene che tu divenga per Me un capace strumento ancora su questa Terra! E quando il tempo della carne sarà arrivato anche per te alla sua fine, allora tu non morrai, bensì sarai da Me ancora destato nella tua carne. Sia dunque la Mia consolazione con te, perché la vera via tu l'hai già trovata!
17. Chi cerca, come tu hai cercato già da lungo tempo, quegli troverà; chi prega, come hai pregato tu, a lui viene dato; e a chi bussa alla vera porta, come tu ora hai bussato, a lui viene aperto! Ma adesso ritorna dal tuo Mataele, e raccontagli tutto ciò che Io ti ho detto.
18. Ed Ouran pianse ancora di più per puro amore e suprema gratitudine viventissima per Me, si affrettò a ritornare da Mataele e gli raccontò fra i singhiozzi come egli era stato accolto da Me, quanta bontà gli avessi dimostrato e tutto quanto aveva appreso da Me.
19. Mataele ed Elena rimasero però essi stessi tanto commossi alla narrazione, fatta in tono solenne dal vecchio Ouran, che nessuno dei due poté trattenere le lacrime, e dopo che il vecchio ebbe terminato il suo racconto, allora Mataele disse: «Ecco, è appunto questa la cosa che riesce assolutamente incomprensibile, che cioè Egli, quale il supremo Essere divino secondo lo Spirito Suo, parli e tratti con noi uomini come se Egli non fosse il Signore dell'infinito, ma un uomo come noi, sempre pronto a trattarci come il migliore amico tratta il più fedele amico, anzi, come un vero fratello tratta il fratello. In poche parole, con Lui si può per così dire scherzare, e tuttavia ciascun Suo sguardo, ogni cenno della Sua mano, ogni passo dei Suoi piedi e ciascuna Parola dalla Sua bocca, all'apparenza anche insignificante, rivelano un'incommensurabile profondità di Sapienza. Le Sue opere testimoniano della Sua incontestabile Divinità, e tutto ciò che Egli fa appare come previsto dall'eternità per il raggiungimento degli scopi migliori. Oh, fra breve tu avrai occasione di vedere e di sentire ancora molte cose».
L'opinione di Elena sugli apostoli.
1. Dice allora Elena, essa pure ancora in lacrime per l'amore che sente per Me: «Ma ditemi un po', chi sono quei dodici rispettabili uomini che quasi non aprono mai bocca e che tuttavia sono continuamente vicini a Lui? Deve certo trattarsi di gente quanto mai savia! Uno Gli assomiglia perfettamente, ma un altro è ancora un discepolo; presta sempre più attenzione degli altri ad ogni Sua parola e spesso scrive su di una tavoletta. Chi sono essi, dunque?»
2. Risponde Mataele: «A quanto ne so io, quelli sono i Suoi primi discepoli, e sono, eccezion fatta di uno, padroni molto saggi e potenti della loro carne e natura! Però quell'uno mi sembra davvero un briccone matricolato! In verità, io non sceglierei mai un tipo simile come mio amico, pare un misero demonio, prematuramente partorito nella carne umana. Certo, il Signore saprà perché lo tollera in Sua compagnia! Infine, anche i demoni sono creature della Sua potenza e dipendono dall'alito della Sua volontà. Perciò non spetta a noi domandare il perché il Suo Amore compia simili prodigi anche dinanzi agli occhi di un demonio. Ad ogni modo, egli è un essere molto strano; io vorrei una volta esaminarlo per bene, per vedere di quale spirito veramente egli sia figlio. Ma lasciamo stare questa cosa, è già abbastanza che lo conosca! Però, con gli altri sarei davvero io stesso desideroso di scambiare qualche parola ad una buona occasione, perché deve trattarsi di persone senza dubbio già profondamente iniziate!»
3. Dice Elena: «Oh, sicuramente deve trattarsi di gente molto savia e che già da principio deve avere dimostrato molta attitudine alla sapienza, altrimenti Egli non li avrebbe certo accolti quali Suoi discepoli, e neanche a me dispiacerebbe intrattenermi riguardo a varie questioni, però credo che non sarà così facile attaccare in qualche modo discorso con loro! Che ne dici tu, o caro amico Mataele?»
4. Mataele però si stringe nelle spalle e risponde: «Dio, il Signore, mi ha bensì completamente destato e il mio spirito è ormai una cosa con me, e dunque conosco me stesso e Dio quel tanto che mi è concesso di conoscere conforme alla piena verità, ma il leggere fin nelle più intime profondità vitali del cuore umano, una cosa simile è nel potere soltanto di quell'Uno e di colui al quale Egli vuole rivelarlo.
5. Ah, ben altra cosa è qualora si tratti di un uomo puramente del mondo, la cui interiore profondità vitale è ancora come vuota del tutto e completamente chiusa e morta. In tali condizioni tutto il suo pensare e il suo volere hanno origine unicamente nel suo cervello e nei suoi sensi esteriori, e allora certo si può stabilire con assoluta precisione quello che pensa, sente e vuole; ma non è così quando si ha a che fare con persone che, essendo il loro spirito compiutamente desto, pensano, sentono e vogliono fuori dal loro interiorissimo fondamento vitale, perché tali persone portano in sé già un materiale spirituale infinito, e questo soltanto Dio può riconoscerlo in tutta la pienezza della verità.
6. Perciò con questi non si può entrare in discorso come con una qualsiasi altra comunissima persona; se fosse necessario, il Signore non mancherebbe certo di disporre e permettere che così avvenisse, ma se non è necessario, allora è consigliabile rinunciare ad un tale diletto. Ma adesso, o soavissima Elena, ti piacciono le stelle che brillano così maestose sul firmamento?»
7. Risponde Elena: «Oh, le stelle mi hanno interessata al massimo grado già fino dalla mia più tenera età, e ben presto mi colpirono una quantità delle cosiddette costellazioni; i segni dello Zodiaco, i principali raggruppamenti di stelle, furono i primi a venirmi mostrati. In un anno imparai a conoscerli alla perfezione e poi acquistai familiarità anche con gli altri meravigliosi gruppi di stelle e con i singoli astri più importanti. Io te li posso nominare uno per uno, conosco la loro posizione e so per ciascun mese quando sorgono e tramontano. Ma a che cosa mi serve tutto ciò? Quanto più mi occupavo di queste splendide lucciole del cielo, tanto più per il mio animo andavano trasformandosi in quegli aspri punti interrogativi ai quali finora nessun mortale è stato capace di dare una risposta soddisfacente. Dato dunque che fuori dalle care stelle non potevo ricavare nulla, con tanto maggiore fervore si occupò la mia mente dei loro nomi, che ovviamente devono essere già quanto mai antichi.
8. Chi fu il primo a scoprire lo Zodiaco e chi impose il nome alle dodici costellazioni? Perché furono dati ad esse precisamente questi nomi che conosciamo, di una specie così strana, e perché non invece degli altri? Che cosa c'entra il leone con una vergine; un cancro con i gemelli; lo scorpione con la bilancia; e che cosa un capricorno con un sagittario? Come sono venuti fuori il toro ed un ariete sul firmamento, e come un acquario con i pesci?
9. Generalmente parlando, è poi assai strano che nello Zodiaco, che dovrebbe essere raffigurato da animali, siano stati inclusi anche quattro figure umane ed uno strumento. Se tu puoi spiegarmi in qualche modo la ragione di questi fatti, te ne sarò molto grata!»
10. Disse Mataele: «O soavissima Elena, niente di più facile di ciò! Basta che tu abbia un po' di pazienza mentre te ne darò la spiegazione, e la cosa ti risulterà poi assai chiara».
Mataele spiega i nomi delle prime tre costellazioni.
1. Parla Mataele: «Gli scopritori dello Zodiaco furono evidentemente i primi abitanti dell'Egitto, i quali, in primo luogo, arrivavano ad un'età molto più tarda della nostra, e in secondo luogo godevano sempre di un cielo purissimo, e di conseguenza potevano osservare le stelle con maggiore facilità e continuità di noi che abbiamo spesso un cielo coperto da fitte nubi; in terzo luogo poi la maggior parte della popolazione dormiva durante i calori del giorno, e appena si faceva sera usciva all'aperto, e la gente accudiva ai propri lavori mentre durava la frescura della notte, quando cioè poteva ininterrottamente trovarsi di fronte alle costellazioni. Essi dunque notarono ben presto l'invariabilità della loro configurazione, e diedero loro anche un nome desunto o da un qualche fenomeno naturale che si verificava in un determinato periodo dell'anno, o da qualche lavoro che si era particolarmente imposto in quel paese e in una determinata epoca.
2. La continuata considerazione dello Zodiaco condusse ben presto gli osservatori alla constatazione che lo Zodiaco stesso è un immenso cerchio, il quale, diviso in dodici parti quasi uguali, in ciascuna di queste parti ha una configurazione a sé particolare.
3. Già i più antichi abitanti della Terra ritenevano che le stelle fossero molto più lontane del Sole e della Luna, e conseguentemente ammettevano che il Sole e la Luna circolassero dentro il grande Zodiaco.
4. Ma lo Zodiaco si muoveva anch'esso in modo che il Sole, che ogni giorno compiva un giro intorno alla Terra (almeno così in quel tempo si pensava), percorrendo la via tracciata dal grande Zodiaco, venisse a trovarsi ogni trenta giorni sotto un altro segno dello stesso. Però, che anche la Luna venisse a trovarsi ogni secondo giorno sempre sotto un altro segno, questo fatto gli antichi se lo spiegarono con il suo corso diurno intorno alla Terra molto più lento, e per questo la Luna non ritornava mai allo stesso posto nello stesso periodo dell'anno come il Sole, e quindi anche la Luna veniva spesso chiamata "il tardo astro".
5. C'erano però alcuni savi, i quali riguardo alla Luna sostenevano precisamente il contrario; ad ogni modo la tesi del tardo movimento lunare era prevalente.
6. Vedi, queste furono le origini dell'antico Zodiaco, e adesso ti esporrò pure in maniera concisa come avvenne che le note dodici costellazioni vennero fissate con i loro strani nomi.
7. Durante la stagione delle giornate più brevi, che particolarmente in Egitto era sempre accompagnata da piogge (col quale periodo di trenta giorni, molto marcatamente caratterizzato da questo fenomeno, sempre si faceva anche cominciare un nuovo anno), secondo il calcolo degli antichi il Sole veniva a trovarsi precisamente nella costellazione che noi conosciamo con il nome di "Acquario". Per questo motivo, tale costellazione venne simboleggiata con la figura di un pastore, che con il suo recipiente è giunto presso l'abbeveratoio, appositamente costruito per gli animali domestici, per versarvi dentro il pieno contenuto d'acqua. Un uomo, che accudiva ad un tale bisogno, gli antichi lo chiamavano un acquaiolo o acquario (Uodan), e perciò lo stesso nome venne impartito anche alla costellazione ed al rispettivo periodo dell'anno. Più tardi, la vana fantasia degli uomini ricavò ben presto da questo simbolo, giusto e buono di per se stesso, un Dio, e gli tributò onori divini in quanto venne considerato un rigeneratore della natura inaridita. Vedi, o soavissima Elena, è così che la prima nota costellazione e il primo periodo piovoso di trenta giorni ottennero il loro nome. Ed ora passiamo alla seconda costellazione, che si chiama dei "Pesci"»
8. E mentre Mataele si accingeva a spiegare la seconda costellazione, Simon Giuda disse agli altri discepoli: «Le spiegazioni di Mataele si fanno quanto mai istruttive, avviciniamoci dunque per poter ascoltare meglio!»
9. Intervengo allora Io e dico: «Andate pure ed ascoltate, perché Mataele è uno dei primi cronisti storici del nostro tempo!»
10. Allora tutti i discepoli si accalcarono vicino a Mataele, ciò che all’inizio mette questi molto in imbarazzo, ma Simon Giuda gli dice: «O caro amico, continua pure! Perché siamo venuti vicino a te soltanto per imparare qualcosa di utile!»
11. Risponde Mataele con tutta modestia: «Per voi, miei cari amici che siete espertissimi in ogni campo, la mia sapienza dovrebbe essere deboluccia, perché voi siete già da lungo tempo discepoli del Signore, mentre io sono a mala pena sedici ore che mi trovo fra voi!»
12. Osserva Simon Giuda: «Tali considerazioni non devono esserti d'imbarazzo, perché hai già fornito prove di saperne per diversi riguardi molto più di noi! Ma tutto ciò dipende dal Signore, e ciò che Egli ben spesso dà a qualcuno in un anno, lo può donare ad un altro in un giorno. Continua pure ora nella tua spiegazione sullo Zodiaco»
13. Dice Mataele: «Confidando allora sulla vostra grande pazienza e sulla vostra indulgenza altrettanto grande, continuerò la mia spiegazione; ascoltami dunque ancora, o carissima figlia del Ponto.
14. Le forti piogge in Egitto hanno fine di solito dopo trenta giorni, ed allora nel Nilo fortemente ancora gonfio e negli stagni adiacenti si trovano sempre dei pesci in quantità; e bisogna approfittare appunto di questa epoca per catturarli. Una grande quantità di pesci viene salata e seccata al vento, che in quel periodo dell'anno soffia in Egitto sempre con molta forza; mentre una parte viene consumata subito fresca, l'altra seccata viene conservata per tutto il rimanente tempo dell'anno.
15. Nel detto paese è la natura stessa che suggerisce questa manipolazione dei pesci, e questo lavoro deve venire terminato prima che il livello delle acque del Nilo si abbassi eccessivamente e prima che le molte considerevoli zone di allagamento laterali si siano asciugate, altrimenti una quantità di pesce rimarrebbe all'asciutto, e andando in putrefazione riempirebbe l'aria di esalazioni pestilenziali.
16. Ora ciò è in uso oggigiorno ancora in Egitto, ed era già una necessità per le antichissime e savie popolazioni di questo grande paese benedetto! Dato dunque che tale epoca dell'anno, già presso i primi abitanti di questo paese, era dedicata alla pesca e che precisamente all'inizio del periodo della pesca il Sole veniva a trovarsi in una nuova costellazione, questa la si denominò la costellazione dei "Pesci", ed anche all'epoca dell'anno venne dato lo stesso nome, che allora era veramente RIBAR, ovvero RIBUZE.
17. Siccome però in questa epoca la gente veniva anche molto facilmente colta da febbri, in parte per l'uso dei pesci eccessivamente grassi e parte pure in seguito all'aria satura di abbondanti esalazioni impure, l'epoca stessa fu più tardi chiamata anche la "stagione della febbre", e la vana fantasia degli uomini fece ben presto, fuori da questa particolarità di quel tempo dell'anno, una dea, tributandone pure una specie di onore divino per la difesa concessa contro tale malattia, che attaccava anche lo stomaco. Ecco che tu hai la spiegazione, del tutto naturale e perfettamente conforme a verità, anche del nome della seconda costellazione; passiamo quindi ora alla terza.
18. Questa costellazione si chiama "Ariete". Dopo l'epoca della pesca, i primi abitanti dell'Egitto rivolgevano le loro cure alle pecore. Queste figliavano e veniva poi il momento della tosatura per ricavarne la lana. Tali occupazioni richiedevano in tutto trenta giorni buoni, e certamente durante questo tempo veniva anche accudito ad altri lavori giornalieri; la cura delle pecore costituiva però sempre un'incombenza principale, e poiché il Sole veniva allora a trovarsi nuovamente in un'altra costellazione, a questa dunque venne dato il nome di Ariete (KOSTRON).
19. Successivamente poi - a motivo delle bufere che per la maggior parte si scatenano appunto in quell'epoca dell'anno in Egitto - quando tutto entra in lotta, un elemento contro l'altro e il calore contro il freddo, per tale motivo il periodo in questione venne consacrato anche all'ardore combattivo, per la cui raffigurazione la fantasia degli uomini trovò ben presto un simbolo a cui più tardi si tributarono pure onoranze divine, e che anzi più tardi ancora, quando s'iniziarono le guerre, venne innalzato alla dignità di un dio fra i più alti. Se scomponiamo il nome di "Mars" (Marte), otteniamo l'antichissimo "MAR IZA" o "MAOR’IZA"; ma che cosa significa ciò? Ecco, niente altro che "Riscaldare il mare".
20. Nei due periodi precedenti il mare si raffredda, ciò che agli abitanti delle coste non poteva sfuggire, ma poi - con l'aumentata potenza del Sole, con la lotta fra le correnti atmosferiche calde del Sud e quelle fredde del Nord e infine per effetto dell'attività dei vulcani che per lo più in questo periodo dell'anno si ridestano nonché dei fenomeni vulcanici sottomarini - il mare si riscalda sempre più. E poiché tutto ciò veniva considerato come una conseguenza degli uragani che si manifestano in questa parte dell'anno, l'espressione "MAOR IZAT" ha il significato di "combattere"; ed il periodo stesso, come già detto, venne simbolicamente raffigurato con un guerriero entro la sua armatura, di cui più tardi se ne fece addirittura un dio. Così avremmo esaudito anche la terza delle costellazioni, e tu puoi farti ormai una chiara idea del cosa si tenga celato dietro "Marte", il vostro dio della guerra».
Spiegazione dal quarto al sesto segno dello Zodiaco.
1. Parla Mataele: «Ed ora passiamo alla quarta costellazione, rappresentata anch'essa da un animale, e precisamente da un toro ben fiero. Dopo aver provveduto alle pecore, quegli antichi popoli di pastori rivolgevano le loro cure anzitutto al bestiame bovino. In questo tempo si avevano per lo più gli accoppiamenti, ed allora si scindeva ciò che era forte da ciò che era debole, e le massime cure venivano dedicate ad un buon allevamento.
2. Il toro, che dagli egizi veniva tenuto nel massimo conto e che anzi fu perfino il loro maestro di scrittura, dato che con il veemente suo soffio disegnava non di rado varie figure sulla sabbia, venne raffigurato in una posizione molto fiera, cioè quasi sollevato sulle due gambe posteriori. Dunque, che cosa era di più naturale di questa, e cioè che si denominasse dal toro anche il gruppo di stelle sotto il quale veniva in questo periodo dell'anno a trovarsi il Sole e che per di più, data la disposizione dei singoli astri, poteva suggerire l'idea che vi fosse abbozzata l'immagine di un tale animale?
3. Perfino il romano "TAURUS" ha la sua origine qui, e non è che un'abbreviazione seguita nel corso dei tempi dalla frase antichissima "T A OUR SAT", ovvero "TI A OUR SAT", che significa: il "tempo del toro", che cioè sta ritto sulle gambe posteriori.
4. Quest'epoca dell'anno venne più tardi, soprattutto presso i romani, denominata "APRILIS", ma anche questa parola, derivata essa pure dall'originario idioma degli egizi, non significa altro che: "A" (Apis, il toro), "UPERI" (apri), "LIZ ovvero LIZU" (la vista), od altrimenti: "Toro; apri la porta!" del libero pascolo ben s'intende. Che poi, con il tempo, anche l'antico toro degli egizi venisse trasformato in un dio, è cosa che non occorre più menzionare con maggiori particolari, né dimostrare in altra maniera. Così avremmo dinanzi a noi anche la spiegazione fedele e naturalissima delle origini del nome della quarta costellazione, e adesso vedremo come accadde che la quinta venne raffigurata da due "Gemelli", cioè CASTOR (Castore) e POLLUX (Polluce), e che le venne impartito un tale nome.
5. Questo lo si potrà spiegare con grande facilità, qualora si ponga attenzione al fatto che per gli antichi egiziani, popolo di pastori, con la cura del bestiame bovino appariva ultimato il principale lavoro dell'annata. Al termine di questo periodo, i capi delle varie comunità si radunavano ed eleggevano uno o due esperti che fossero per quanto possibile buoni intenditori delle cose, ed atti, per così dire, a fungere da giudici per il tempo che essi dovevano dedicare all'esame della situazione nei vari luoghi, allo scopo di sincerarsi se le fatiche del popolo fossero state coordinate dappertutto in modo da assicurare un buon successo; e secondo la specie del suo compito un simile censore veniva poi anche chiamato. La domanda era: "KA I E STOR’?". Che interpretato vuole dire: "Che cosa ha fatto?". E quindi seguiva la frase ammonitrice e l'intimazione: "PO LUXE MEN!" od anche "POLUZCE MEN!". Vale a dire: "Dichiarami com'è!”
6. Da qui sono sorti più tardi i "Gemelli"; in fondo, però, questi due gemelli non erano che due frasi, vale a dire una domanda prima, ed una intimazione poi. Quando due di questi inviati se ne andavano ad ispezionare d'ufficio le varie comunità, uno aveva l'incarico di porre la domanda e l'altro di fare l'intimazione, e la loro mansione non restava naturalmente limitata alle parole, ma si doveva estendere anche ai fatti.
7. E siccome durante questo periodo d'esame e d'ispezione il Sole si trovava precisamente nel segno delle due stelle, accadde così che fu denominato segno dei "Gemelli" e nell'idioma romano "GEMINI", oppure anche "CASTORE e POLLUCE", i quali più tardi furono pure divinizzati per opera della vana fantasia.
8. Così avremmo chiarito in modo conforme a fedeltà e verità, come è stato fatto per i precedenti, anche il quinto segno dello Zodiaco. Ora dunque passeremo a considerare il sesto segno, che si presenta sotto la forma di un "Gambero"! (Cancro). Come mai questo animale venne posto sulla cinta immensa delle costellazioni? Eppure vi dico che ciò si spiega, come nei casi precedenti, in maniera facile e del tutto naturale.
9. Vedete, in questa epoca dell'anno, il giorno raggiunge il massimo dell'intensità e della durata, e poi comincia a diminuire e a retrocedere nella sua durata. Ora gli antichi paragonavano appunto questa retrocessione della durata del giorno con l'andatura del gambero. Contemporaneamente, però, questo sesto periodo di trenta giorni era quello in cui in Egitto le precipitazioni della rugiada, durante la notte, si fanno quanto mai abbondanti, specialmente nelle vicinanze del fiume. Ma questo era pure il tempo in cui di notte i gamberi uscivano dalle pozzanghere, per fare una visita molto ristoratrice e nutriente ai prati vicini, ricchi d'erba e di rugiada. Gli antichi abitanti delle rive del Nilo, ovviamente, non tardarono ad accorgersi del fatto, e da principio si diedero da fare per cercare di allontanare quegli intrusi dai grassi pascoli, ciò che particolarmente per i primi abitanti del paese non era affatto una impresa lieve, poiché in quel tempo la quantità di quei grossi crostacei era pressoché innumerevole. Si cominciò a combatterli raccogliendoli in grandi mucchi e dando loro poi fuoco, ma dato il numero strabocchevole degli animali, il rimedio non riusciva affatto efficace. Durante l'atto del bruciare, però, l'olfatto veniva sempre solleticato da un odore quanto mai invitante, e gli antichi abitanti allora cominciarono a pensare se forse quegli animali non fossero buoni a mangiare. Ma nessuno si azzardava a dare inizio alla degustazione di quella nuova specie d'arrosto.
10. Più tardi si tentò di farli bollire dentro a grandi pentole ed infatti il brodo venne trovato squisito; tuttavia nessuno si cimentava a farne un consumo regolare. Allora si cominciò a darli in pasto ai maiali, di cui già in quel tempo c'erano degli allevamenti, ed i maiali trovarono il nuovo cibo di loro gusto ed ingrassarono a dismisura. Ciò per gli antichi egiziani fu una constatazione molto gradita, in quanto facevano gran uso del grasso di questi animali e ne utilizzavano altresì la pelle e gli intestini. La carne di maiale però non veniva mangiata, e serviva a sua volta da alimento per altri maiali.
11. Quando poi con il tempo la gente schiva del lavoro cominciò a degenerare e ad agire in maniera contraria alle antiche e savie leggi emanate ancora dal sacerdote Enoc nell'epoca prediluviale, allora si costruirono delle solide prigioni, nelle quali venivano rinchiusi i trasgressori. Ora il cibo, che veniva fornito ai rinchiusi, consisteva appunto di gamberi bolliti e alternativamente di carne di maiale salata ed arrostita, con un po' di pane soltanto. Ma ben presto venne osservato che i prigionieri, con questo regime, si trovavano molto bene, ed in seguito avvenne che, in occasione di una scarsa annata, anche i liberi abitanti provarono a mangiare il cibo degli arrestati che era reputato orribile, e trovarono che era migliore del loro consueto cibo casalingo preparato secondo l'antica usanza. Questa constatazione fu poi in breve tempo la causa per cui il numero prima stragrande di quei grandi e grassi gamberi del Nilo andò diminuendo di molto, data la caccia accanita che veniva fatta.
12. Più tardi anche i greci ed i romani mangiarono questi crostacei, e si trovarono molto bene. Solamente gli ebrei non ne mangiano, anche se Mosè non l’ha espressamente proibito.
13. Ma da quanto detto, risulta certo in maniera più che evidente che gli antichi egiziani, per caratterizzare la costellazione corrispondente a questo sesto periodo di trenta giorni, non avrebbero potuto scegliere un simbolo migliore di quell'animale, che appunto in quella parte dell'anno li teneva tanto affaccendati. Va poi da sé che con il tempo anche da questo simbolo fu tratto argomento per nuove onoranze divine. Greci e romani, in tempi più recenti, consacrarono questo mese alla dea JUNO (Giunone) e lo battezzarono con il suo nome.
14. Adesso però si domanda quali furono veramente le origini di questa dea, e come essa sia venuta in possesso della sua personalità divina. Riguardo a questi problemi, i pareri dei saggi sono i più disparati; pareri che in fondo non mancano proprio interamente di base. Ma le ragioni di tale fatto sono veramente quelle stesse che portarono alla creazione fantastica di Castore e Polluce.
15. Precisamente durante il periodo dei gamberi, per accudire ai lavori manuali, cominciava a fare già troppo caldo, e perciò tale epoca veniva dedicata agli studi e alle ricerche spirituali nei grandi templi ombreggiati, dei quali alcuni erano già stati costruiti dai primissimi abitanti del paese.
16. Ora, una fra le principali domande, che si imponeva all'inizio di ogni indagine di carattere spirituale, era se la Divinità pura sia da cercare anche come avente un qualche rapporto con la materia.
17. E come tutte le domande dei saggi erano improntate ad una estrema concisione pur richiedendo una risposta molto ampia, ugualmente era il caso di questa importantissima fra tutte le domande, che suonava precisamente così: "JE u n (UN) O?". Ciò interpretato vuole dire: "La Divinità, una volta divisa in Sé, è ancora un'Unità divina, qualora se ne pongano le parti l'una accanto all'altra?"»
18. Voi adesso domanderete: "Come potevano, queste poche e semplici lettere, significare la frase ora esposta?". Ed io vi dirò subito quali ne sono le origini del tutto naturali. La U, presso gli antichi egizi, veniva rappresentata da una linea semicircolare, chiusa sotto ed aperta sopra, con le due estremità alquanto allungate (u) e racchiudeva così il concetto di un recipiente ricettorio di ogni cosa divina che scende dall'Alto agli uomini sulla Terra. Va da sé che i savi antichi intendevano con ciò principalmente i doni spirituali della luce, per l'anima dell'uomo.
19. La N invece veniva rappresentata dall'identico segno, però capovolto (n) e denotava la materia morta, priva del tutto in sé di spirito e di luce, perciò i tetti di molte case e particolarmente dei templi avevano la forma semisferica, dal profilo cioè di un semicerchio capovolto ed indicavano che in quei luoghi il divino si congiunge con il materiale, creando in quest'ultimo una vita temporanea che si rivela all'uomo per singoli istanti. Da ciò venne anche originata l'antica ed importante domanda: "JE u n O?", dove la O raffigura la Divinità nella Sua integrità e nella Sua purezza.
20. Ora la risposta a questa antica ed importante domanda era questa: "Ogni materia creata si trova di fronte a Dio pressoché nel rapporto in cui la donna si trova di fronte al proprio marito e signore. Dio continuamente crea nella materia e per mezzo di essa le miriadi di Sue creature di ogni specie. Egli continuamente feconda la materia con il Suo influsso divino e spirituale, e la materia poi partorisce pure continuamente gli innumerevoli figli, generati in essa". Questa era certamente un'idea quanto mai elevata, che gli antichi sapienti d'Egitto avevano stabilito quale risposta alla nota e importante domanda.
21. Con l'andare del tempo però, specialmente ai tardi discendenti già sommersi tra le brame di ogni sensualità, rimase a mala pena un vago barlume dell'antica sapienza egiziana, ed allora fuori dalla frase interrogativa "JE UN O" e dalla dichiarata femminilità di ogni materia si preferì formare addirittura una personalità divina femminile alla quale, partendo da considerazioni più che sciocche e tenebrose, s'impartì da principio il nome di "JE NO", e più tardi semplicemente "JUNO" (Giunone). Questa divinità fu data in moglie al dio Giove, non meno di lei nullo e vuoto.
22. I savi antichi, per ragioni ben chiare e naturali, ritenevano che la materia fosse qualcosa di duro, rigido e non piacevole, e tale che da essa, soltanto attraverso grande diligenza e gravi fatiche, si sarebbe potuto ottenere qualcosa. Ora queste imperfezioni, scoperte dagli antichi savi nella materia, poi presso i tardi discendenti servirono come base d’appoggio per far sorgere Giunone, la divinità femminile di Giunone; ecco perché Giove faceva sempre tanta fatica ad andare d'accordo. Comprendete dunque adesso che cos'è la vostra dea Giunone?»
23. Dice Elena: «O amico carissimo Mataele, continua te ne prego, perché sarei capace di starti ad ascoltare così per delle giornate intere senza interruzione! Il tuo racconto non è tanto immaginario e ornato quanto quello di Omero, però le tue parole sono vere e sagge, e questo è mille volte più attraente e di molto maggiore valore che non tutta la magica fioritura letteraria del grande Rapsoda! Continua pure indisturbato la tua narrazione!»
24. Osserva Mataele: «Oh, non rivolgermi parole lusinghiere, perché, vedi, la verità vuole essere compresa, non adulata; però so bene che la tua adulazione non è rivolta a me, ma alla verità soltanto, che non proviene già da me, ma da Dio. E adesso posso continuare di nuovo».
Il settimo, ottavo e nono segno dello Zodiaco.
1. Parla Mataele: «Ascolta dunque! Dopo il Gambero (Cancro) troviamo, nel grande Zodiaco, il "Leone". Ma come mai questa belva si è insinuata fra le costellazioni? Ebbene, ciò è avvenuto in maniera altrettanto naturale, quanto è stato il caso di quelle che finora abbiamo preso in esame.
2. Dopo la caccia ai gamberi, che si protraeva per trenta giorni e a volte anche uno o due giorni di più, dato che presso gli antichi egiziani era stabilito quale mese regolatore e compensatore il mese del Cancro (Giugno) e non già quello dei Pesci (Febbraio), cominciava a farsi sentire un'altra calamità, che causava agli antichi molte preoccupazioni ed affanni. Intorno a questo tempo tali animali feroci di solito figliano, e sono quanto mai affamati e tutti intenti a predare. Essi perciò emigrano in tutte le direzioni oltre i deserti, i monti e le valli e verso le regioni dove fiutano la preda di qualche gregge.
3. Siccome la patria del leone è veramente la torrida Africa, e spesso anche l'alto Egitto non era immune dalla presenza di questo re degli animali, è certo comprensibile come non gli fosse affatto difficile spingersi fino al medio e basso Egitto per compiere le sue razzie fra greggi che pascolavano pacificamente. Come un freddo intenso caccia i lupi verso le regioni abitate dagli uomini, così pure anche i grandi calori del luglio spingono il leone verso le zone settentrionali alquanto più fresche, dove c'è per lui più possibilità di predare.
4. In questo mese, dunque, nell'alto Egitto il calore si fa più intenso e più insopportabile che mai, e perciò spinge il leone verso settentrione e talvolta fino alle spiagge del mare Mediterraneo, dove evidentemente c'è più frescura che non nelle zone desertiche roventi. Così avveniva che, subito all’inizio di questo periodo annuale, gli abitanti dell'Egitto dovevano attendersi sempre le visite di questo ospite temuto, ed erano costretti perciò ad armarsi a dovere per tenerli lontani dai loro greggi; e poiché il Sole, in questo periodo, entrava precisamente in una costellazione che, come avviene per quella del Toro, con i suoi astri raffigura discretamente un leone infuriato, anche la costellazione stessa venne battezzata dagli antichi con il nome di questo animale, e nell'Egitto anche l'epoca stessa era chiamata del Leone, cioè "LE O WA", dove "LE" significa "il maligno", ovvero la discendenza del maligno, in opposizione ad "EL", "il buono", ovvero "il figlio del buono"; "O" è equivalente al "Sole di Dio", e "WA" oppure "WAI" significa "fugge"; "LE O WAI" vuole dire perciò "il maligno fugge il Sole".
5. Solo da pochi decenni i romani cominciarono a chiamare questa parte dell'anno con il nome del loro eroe Giulio Cesare, perché questo sapeva combattere con tanta astuzia e coraggio quanto un leone. Ecco spiegata anche la settima costellazione del cielo o meglio dello Zodiaco, che in epoca più tarda venne anch'essa in certo modo divinizzata.
6. Ma ecco ora che al Leone vediamo seguire una "Vergine". Questa, a prima vista, non sembra andare proprio d'accordo con il segno precedente, e tuttavia ha tutte le ragioni naturali d'essere. Superata l'epoca del Leone, le molestie ed i disagi dell'annata erano per così dire al loro termine, perciò allora gli abitanti si davano ad una vita più lieta e organizzavano feste, che avevano lo scopo principale di radunare le fanciulle oneste e costumate, alle quali venivano offerti dei doni, per spronarle con ciò a perseverare nella virtù. Era anche costumanza celebrare, in questa epoca, le nozze. Soltanto una fanciulla riconosciuta perfettamente pura poteva venire presa in moglie, mentre colei che non avesse bene custodito la propria verginità era esclusa dal matrimonio e nel caso più favorevole non poteva che diventare la concubina di qualche uomo che aveva già una o più mogli legittime, altrimenti non le restava che la spregevole e bassa condizione di schiava. Così, dunque, pure a questa epoca si collegava un avvenimento importantissimo, e dato che in questa stessa epoca un'altra bella costellazione veniva a fare da sfondo al Sole, questa venne denominata della Vergine. E sono ora passati soltanto pochi anni, da quando la vanità dei romani volle chiamare questa parte dell'anno, in onore al loro imperatore, con il nome di Augusto! Ed ecco, o mia cara Elena, che tu sai anche come, dopo il leone, anche una vergine abbia potuto trovare posto nello Zodiaco. Ed ora proseguiamo!
7. Abbiamo visto dunque come anche una vergine sia stata assunta fra le costellazioni, ma adesso ci troviamo di fronte addirittura ad un oggetto, come ben presto vedremo. Si tratta veramente di una bilancia a due piatti, quella che usano i commercianti ed i farmacisti per pesare le loro droghe e le loro medicine. Come mai questo strumento per verificare il peso fu posto fra le costellazioni? Vi dico che la cosa si spiega con tutta facilità, e come per le precedenti nel modo più naturale.
8. Vedete, dopo l'esame delle ragazze e la celebrazione delle nozze, da cui il periodo dell'anno di cui abbiamo parlato veniva nel modo migliore e più opportuno caratterizzato, subentrava l'epoca fissata per il controllo della maggior parte dei raccolti, cioè dei cereali che già dai primissimi abitanti di quel paese venivano coltivati, su vasta scala, accanto naturalmente all'allevamento del bestiame e poi della frutta, fichi, datteri, olive, melagrane, arance ecc.
9. Ogni comunità aveva un anziano che fungeva da capo e da dirigente per qualsivoglia affare o questione, e così pure un sacerdote a cui incombeva unicamente la guida spirituale della comunità, l'istruzione del popolo in determinate giornate e il vaticinio in occasioni importanti. Non occorre neppure accennare al fatto che gli addetti al sacerdozio si moltiplicassero ben presto considerevolmente, come pure è superfluo dire come questa casta non si occupasse affatto di lavori materiali, se non in quanto si fosse trattato di nuove esperienze o di miglioramenti da adottarsi in qualsiasi riguardo.
10. La classe dei sacerdoti era pure quella che si dedicava alle ricerche dei metalli, e dopo averli trovati li raccoglieva e ne disponeva la depurazione e la lavorazione. Agli scopi però di tutte le manipolazioni necessarie di carattere tecnico, occorreva loro anche una quantità di operai e di esperti capi officina, perché tutti non avevano naturalmente il tempo di occuparsi dell'agricoltura e della pastorizia, e di conseguenza bisognava che tutta la comunità mantenesse questa gente. Ma come si sarebbe dovuto procedere alla commisurazione, affinché da parte di ciascun membro della comunità venisse fornita, dal proprio raccolto, un'offerta corrispondente alla classe dei sacerdoti ed agli aiutanti di questi?
11. Ecco. Veniva stabilita la decima, e ciascun membro della comunità doveva consegnare ai sacerdoti la decima parte di ogni raccolto. E come si misurava la decima? Semplicemente con una bilancia. A tale scopo ciascuna comunità disponeva di parecchie bilance, grandi e piccole, della specie menzionata prima, ed alla presenza dell'anziano preposto dalla comunità ogni raccolto veniva pesato esattamente in maniera che venissero sempre colmati i piatti della bilancia. Nove volte i piatti colmi venivano vuotati nel cassone del contribuente e la decima volta in quello dei sacerdoti. Il sacerdote principale era in pari tempo anche il tutore o pastore di tutto il popolo, ed era chiamato "VARA ON" (Egli custodisce, oppure, egli è il pastore). In epoche posteriori i Varaoni divennero di fatto i re del paese, sotto la cui sovranità si trovò pure la classe sacerdotale.
12. Ora, da questa vera esposizione storica, rileviamo che questo periodo, immediatamente seguente a quello della Vergine, era dedicato in modo particolare alla pesatura dei raccolti per il pagamento della decima alla classe dei sacerdoti, e poiché precisamente nella stessa epoca il Sole veniva nuovamente a trovarsi in un'altra costellazione, questo segno dello Zodiaco venne denominato della Bilancia. Questa cosa deve riuscire chiarissima a chiunque abbia, sia pure in misura limitata, qualche cognizione degli usi e costumi degli antichi egiziani.
13. Poi, con il tempo, alla bilancia si vollero attribuire dei significati e delle rispondenze fra le più svariate, per questo non occorre dilungarsi in chiarimenti dettagliati, ed è generalmente noto che questo strumento venne e viene usato come simbolo della giustizia, sia divina che umana, e che presso alcuni popoli, ancora molto in basso sulla scala della cultura, essa fu fatta addirittura oggetto di adorazione, come presso gli indiani lo fu qua e là l'aratro. Infatti, da una parte la fantasia degli uomini e dall'altra parte la sempre crescente avidità dei sacerdoti e degli istruttori del popolo, essi pure in un continuo aumento, concorsero a divinizzare qualsiasi cosa che avesse conservato una qualche traccia di venerabile antichità e che fosse stata reputata utile all'umanità intera.
14. Ecco dunque che in questo modo avremmo appreso pure come uno strumento, adoperato dall'uomo, abbia potuto essere ammesso agli onori del grande Zodiaco, e quindi intendiamo esaminare ora come una fortuna simile sia potuta toccare anche al meschino insetto, che si chiama "scorpione"!»
Spiegazione dei tre ultimi segni dello Zodiaco.
1. Parla Mataele: «Dopo il periodo della Bilancia, veniva l'epoca, per così dire, del niente da fare. Le greggi riposavano sempre più, certo continuavano a pascolare, ma non dimostravano più la vivacità propria del tempo primaverile. Anche gli alberi da frutto non dimostravano più la vitalità manifestata all'inizio della stagione primaverile; i campi a loro volta riposavano, e di conseguenza anche la gente era portata, mancando il lavoro, a restarsene in ozio; e gli uomini si sarebbero certamente dati ancora di più in braccio al dolce far niente se il Signore del Cielo e della Terra, appunto in quest'epoca dell'ozio, non li avesse un pochino punzecchiati concedendo il propagarsi di un insetto quanto mai molesto, il cui luogo d'origine è principalmente l'Egitto.
2. Gli scorpioni cominciavano a mostrarsi dappertutto subito all'inizio di questo periodo, e fino verso la metà del periodo stesso, sotto ogni altro aspetto notevole per la sua inoperosità, questi insetti andavano moltiplicandosi come le mosche in un refettorio. Come è noto, la puntura della coda di questo insetto non è solo molto dolorosa, ma anche molto pericolosa qualora non si abbia immediatamente sottomano l'opportuno antidoto.
3. Dunque, siccome gli antichi egiziani devono avere anche troppo presto imparato a conoscere tanto il pericolo rappresentato da questi animaletti quanto la loro molestia, così allora non mancarono di andare in cerca dei mezzi per potersi almeno in parte liberare. Si tentò ogni specie di rimedio per ovviare al malanno, ma i risultati furono quanto mai scarsi. Finalmente gli abitanti riuscirono a rintracciare un arbusto del Nilo, la corteccia del quale, fatta bollire, conferiva ai vapori sviluppatisi dalla bollitura il potere di tenere lontani, almeno dalle stanze dell'abitazione, quei pericolosi parassiti. Questa corteccia si usò anche rendendola umida e poi coprendone i pavimenti o mettendola addirittura nei letti, e quel brulicame schifoso e velenoso veniva tenuto a rispettosa distanza ed anche ucciso.
4. E dal nome del mezzo difensivo, che teneva lontano e che uccideva questo insetto, anche l'insetto stesso che ovviamente prima non aveva nome, venne chiamato "SCORO" (corteccia), "PI ODER PIE" cioè "beve", e "ON" cioè "egli".
5. Mediante questo nome si volle in un certo modo rendere attenti i successori su quale era la ricetta più efficace per combattere un simile flagello; ed infatti, ancora oggi, tanto l'Egitto quanto l'Arabia e la Persia forniscono una polvere con la quale si possono distruggere non solo gli scorpioni, ma anche quasi tutti gli altri insetti molto molesti e senza il minimo pericolo per la salute delle persone. Ora questa polvere viene preparata principalmente dalla corteccia prima menzionata e con l'aggiunta di qualche altra sostanza ancora. E adesso ritorniamo all'argomento principale.
6. La prima comparsa degli scorpioni, in questo periodo di ozio, coincideva con l'entrata del Sole in una nuova costellazione del grande Zodiaco, e perciò le venne dato il nome del molesto insetto, che precisamente in questo periodo si propagava maggiormente e tormentava animali e uomini. Questo era tra i segni zodiacali quello che finora, meno degli altri, fu fatto oggetto di qualche venerazione, eccettuata la considerazione di cui godeva, perché raffigurava in un certo qual modo un'antica ricetta sempre efficace per combattere quel molesto insetto.
7. Con la distruzione degli scorpioni il tempo dell'inattività volgeva al suo termine, e così pure finivano i temporali rumorosi molto frequenti nell'Egitto in quell'epoca dell'anno, temporali che incutevano sempre agli egiziani un grande rispetto, perché dicevano: «I proiettili di Giove sono più rapidi e raggiungono con maggior precisione il bersaglio che non quelli miseri dell'uomo»
8. Circa poco dopo il periodo degli scorpioni, cominciava a discendere giù dai monti e ad invadere le valli ogni genere di selvaggina, e fra l'altro anche varie specie di animali da preda che non erano però tra i più feroci.
9. Questo fenomeno incitava gli uomini ad impugnare l'arco e ad uscire fuori per la caccia. Nel paese c'era grande movimento. Si vedevano a frotte i conigli, le lepri e le gazzelle, e poi piccoli orsi, tassi, volpi, pantere, una moltitudine di avvoltoi e di aquile, ed infine faceva la sua comparsa anche il coccodrillo e l'ippopotamo, nome, quest'ultimo, derivato dalla frase dell'idioma egizio antico: "JE PA OPATA MOZ", che vuol dire: "Il cavallo del Nilo comincia a manifestare la sua potenza" e di conseguenza non c'era più tempo da perdere se si voleva iniziare la caccia.
10. E da notare ancora che erano stabiliti dei premi vistosi per chi avesse ucciso il più grande numero di coccodrilli. Agli scopi della nostra esposizione, il come venissero condotte le varie cacce non ha alcun interesse; basti sapere, dunque, che durante questo periodo dell'anno quasi tutta l'attività della popolazione veniva assorbita dalla caccia alle molte specie di animali, e noi conosciamo tutto quello che occorre sapere.
11. Intorno a questo tempo della caccia, il Sole nuovamente entrava nel campo di un'altra costellazione dello Zodiaco, e questa venne denominata del "Sagittario" (Arciere), appunto perché nello stesso periodo proprio il tiro con l'arco era l'occupazione principale della popolazione. Con il tempo anche all'Arciere (Sagittario) venne tributata una specie di onoranza divina, non però con eccessivo fervore; ed a questo riguardo si potrebbe fare una eccezione soltanto per Apollo, il quale pure venne onorato come un dio della caccia.
12. Noi abbiamo così sbrigato anche il Sagittario e veniamo finalmente a trovarci dinanzi ad un segno che è il più strano fra quanti ne conti il grande Zodiaco. Si tratta di quello del "Capricorno" (Stambecco), dell'abitante cioè delle rupi più alte della montagna, il quale pure brilla nel settore più meridionale dell'immenso circolo. E come mai questo abitante dell'alta montagna venne assunto nello Zodiaco? Ma io vi rispondo: «In maniera altrettanto naturale come è stato il caso di tutti gli altri segni»
13. In questo ultimo periodo dell'anno, ogni specie di selvaggina visita le valli, per cercarsi un determinato nutrimento, richiesto dalla propria particolare natura.
14. Ora lo stambecco rappresentava per gli egiziani qualcosa di troppo prezioso, perché potessero rimanere indifferenti alle audaci scorrerie fatte da questo animale nelle loro valli. Per farla breve, vi dirò che come si avvicinava il tempo in cui per esperienza antica si sapeva che l'animale sarebbe sceso per cercare dei prati solitari, per farsi il suo pascolo e spiccarvi i suoi meravigliosi salti, venivano in quelle località stabiliti dei posti di guardia, e quando accadeva che sia pure uno solo di questi animali veniva avvistato, si dava subito l'allarme, e chi mai era ancora in grado di stare in piedi, accorreva senza indugio alla caccia.
15. Però non era affatto facile impadronirsi di uno stambecco, e c'erano delle annate in cui non era possibile catturarne neppure uno; ma se l'annata invece era favorevole e si riusciva a prenderne qualcuno, allora questo era un grande avvenimento, anzi veniva addirittura reputato un trionfo per tutto l'Egitto. Infatti un animale di questa specie era considerato come una medicina prodigiosissima, e anche solo con una quantità esigua di questa medicina si curavano già un tempo tutte le malattie, mentre le corna costituivano il massimo e più prezioso ornamento dello stesso re d'Egitto, ed erano stimate di maggior valore che non l'oro e le pietre preziose, anzi, nei primordi del popolo egizio la nobiltà di un faraone era quotata a seconda del numero delle corna di stambecco in suo possesso; corna che dorate, formarono più tardi perfino il simbolo dell'alta scienza e della superiore potestà dei sommi sacerdoti.
16. Dato dunque che lo stambecco era dagli egizi tenuto in tanta considerazione, cosa della quale ancora oggi ci si può convincere visitando l'Egitto, è facile comprendere il perché gli antichi egiziani abbiano anzitutto consacrato questo periodo dell'anno, in cui lo stambecco scendeva nelle loro valli, all'animale stesso da loro reputato così prezioso, e perché abbiano denominato addirittura l'epoca dal suo nome e abbiano infine ugualmente chiamato anche la costellazione nella quale il Sole in quel dato periodo veniva a trovarsi.
17. Ed ecco che in questo modo abbiamo scrutato tutti i dodici segni dello Zodiaco, e non abbiamo trovato assolutamente nulla che non sia perfettamente naturale. Abbiamo però anche constatato come ed in quale modo abbiano avuto origine le molte divinità pagane, e come dietro a queste non si tengano celate proprio altre cose, all'infuori di quelle del tutto naturali che abbiamo appunto già viste.
18. Così d'ora innanzi non sarà sperabilmente più tanto difficile riconoscere l'unico vero Dio nella Sua giusta e verissima luce. Però, nessuna delle divinità create dalla fantasia umana ha assolutamente mai operato nessuno dei prodigi che vennero loro attribuiti, e le poche parole apparentemente savie, che si dice siano state in certi momenti rivolte dagli dèi agli uomini, sono invece state poste in bocca alle illusorie divinità da parte degli antichi sapienti, e ciò per conferire maggiore importanza alle loro enunciazioni.
19. Qui invece si possono vedere fatti, e si possono udire parole quali prima d'ora, in tutta verità, non si sono mai visti, né udite. E qui siamo anche finalmente arrivati al luogo dove si può imparare a conoscere, in misura sovrabbondante, il vero Dio. Dimmi tu Elena e tu o vecchio Ouran se questa mia spiegazione dello Zodiaco vi è riuscita chiara oppure no!»
Elena chiede a quale scuola abbia studiato Mataele.
1. Risponde Elena: «O mio carissimo Mataele! Mai fino ad ora nessuna altra cosa al mondo, espressa con semplici parole, si è presentata alla mia mente con tanta evidenza e chiarezza! Il tuo modo di esporre è stato così persuasivo, che mi è sembrato addirittura di vivere in quei tempi antichi e di partecipare io stessa all'attività di quei primi abitanti dell'Egitto. La verità di quello che hai detto ha compenetrato tutto intero il mio essere.
2. Ma una sola cosa spiegami ancora: "In che modo od in quale scuola hai potuto conoscere con tanta precisione tutti questi misteri?". Perché il Cielo mi è testimone che io dico il vero, quando asserisco che una tale scienza non si può trarre di tasca come si traggono da un sacco pochi grani di frumento che lì sono nascosti! Dunque, come hai acquisito tutte queste profonde cognizioni?»
3. Dice Mataele: «O Elena! Ancora ieri ero molte migliaia di volte più cieco ed ignorante del tuo ultimo e più ottuso servitore, ed ero oltre a ciò ammalato in tale modo che solo Dio avrebbe potuto liberarmi da una simile spaventosa infermità, e mai affatto una qualsivoglia scienza umana!
4. Ma dopo che fui guarito, non solo io riacquistai immediatamente tutte le mie forze fisiche, ma il Signore del Cielo e della Terra ridestò anche contemporaneamente il mio spirito nella mia anima quanto mai conturbata. Ora vedi, è appunto questo spirito che adesso mi insegna a riconoscere, nella sua integrità, ogni cosa che era, che è e varie cose ancora che devono avvenire!
5. Ecco, dunque, tutto ciò non è altro che un puro dono di Grazia del Signore, ed è a Lui soltanto che tu e voi tutti dovete ogni lode, ogni onore, ogni gratitudine ed ogni amore e gloria, mentre io non ho affatto mai imparato nessuna di queste cose in una qualche scuola.
6. Il Signore soltanto è perciò il mio tutto, ed Egli è la mia scuola e tutta lamia scienza e sapienza; quello che io so e posso, lo so e posso unicamente per Sua grazia!
7. Ed io aggiungo e dico a voi tutti: "Quando qualcuno sa una cosa qualsiasi, ma non sa di averla attinta a questa scuola, egli non sa nulla affatto, perché in un simile caso tutta la sua sapienza non è che una nozione imperfetta, frammentaria e quindi completamente vana ed inutile!”
8. Perciò, applicatevi tutti allo studio nell'unica scuola nella verità del Signore, il Quale ora dimora fra di noi corporalmente, in tutta la pienezza della Sua Divinità, e così non avrete mai più bisogno in eterno di un'altra scuola! Comprendi queste cose tu, o carissima Elena?»
9. Risponde Elena: «Oh, certo, io ti ho compreso bene, ma come può un debole mortale quale sono, e come lo è mio padre, venire ammesso alla scuola di Dio?»
10. Dice Mataele, colto come d'improvvisa eccitazione d'animo: «O Elena, o creatura più soave di tutto il grande Ponto, com'è mai possibile che da te venga una domanda così cieca e stolta? Devi ben perdonarmi se a questa tua domanda, neanche minimamente ponderata, io do una risposta molto aspra! Tu e tuo padre già siete in questa scuola; come dunque puoi domandare se e quando vi verrai ammessa? Ma non vi siete ancora accorti che appunto per amore vostro il Signore ha qui compiuto simili grandissimi prodigi?»
11. Risponde Elena, un po' imbarazzata e confusa: «No, Mataele carissimo, ti prego di non volermene male! Io certo ora sono persuasa della mia stoltezza, e quindi non verrò mai più fuori con una domanda di questa specie. Tu però abbi pazienza con noi, e pensa pure tu che nessun grosso albero è mai stato abbattuto con un solo colpo. Piano piano si potrà arrivare a tutto; e se anche mio padre è vecchio, io sono ancora giovane. Ora vedi, io non sono affatto una fanciulla difficile da guidare, questo l'hanno già riconosciuto tutti i miei maestri e pure mio padre lo sa! O mio carissimo Mataele, vedrai che con me non avrai da temere di far brutta figura; solamente non rincrescerti di usare a mio riguardo un po' più di pazienza di adesso! Io te ne prego tanto!»
12. Dice Mataele, tutto commosso dalla grande dolcezza di Elena: «O buona e soavissima Elena! Mai più avrai bisogno di chiedermi di usare pazienza verso di te! Le mie intenzioni sono sempre buone, anche se talvolta faccio un po' il severo, giacché con qualche parola un po' più seria del solito io miro soltanto a condurre alla meta colui a cui essa è rivolta, con maggiore rapidità di quanto ciò sia possibile, usando solamente parole miti. Però io vedo che nel tuo animo tu sei più dolce della più mansueta colomba, e quindi non vi sarà più bisogno in avvenire di svegliarti usando parole serie e gravi»
13. Osserva Elena: «Oh, non avere perciò speciali riguardi per me! Se usando parole serie, tu puoi in qualche modo farmi progredire più presto, io sono d'accordo che tu sia serio anche quanto lo è il grande Ponto, quando le sue onde alte come montagne entrano furiosamente in lotta con gli uragani. Ma se tu sei anche capace di condurre me e mio padre altrettanto lontano, usando nel medesimo tempo parole placide e miti, io certo avrò molto più cara questa seconda soluzione. Ma adesso parliamo d'altro. Ancora una breve domanda soltanto, e poi avrò materia più che in abbondanza da rifletterci su per un bel pezzo.
14. Dimmi dunque ancora, chi fu a denominare tutti gli altri numerosi gruppi di stelle e quali ragioni o circostanze servirono da punto di partenza per una tale denominazione?».
Considerazioni generali sullo Zodiaco.
1. Dice Mataele: «O mia dilettissima Elena! La tua domanda è davvero molto breve, sennonché per risponderti in maniera esauriente ci vorrebbero, per uno come sono io, almeno un intero anno ed anche oltre, perciò sarà meglio rimandare ad una futura occasione la risposta a questa tua domanda concisa, e limitarsi per ora a chiarire, a tale proposito, che i nomi di tutti i gruppi di stelle hanno assolutamente la stessa origine dei dodici del grande ‘Zodiaco’. La denominazione del circolo celeste, che sembra suonare come una parola greca, trova anche riscontro, però del tutto erroneamente, nella definizione ‘Circolo degli animali’, erroneamente dico per la ragione che vi sono raffigurati anche esseri umani e cose, ovviamente solo stando al significato letterale dei nomi.
2. Nell'idioma egiziano antico "ZO" oppure "ZA" significa "Per"; "DIA" ovvero "DIAIA", "lavoro", e "KOS" significa "una parte" oppure anche la "divisione", dunque "ZA DIAIA KOS" (ovvero KOSE) molto bene interpretato, significa letteralmente "Per il lavoro, la divisione", cioè "La divisione del lavoro".
3. Tu vedi, dunque, che da principio le cose non possono essere andate diversamente e che di conseguenza la spiegazione da me data adesso dello Zadia-kos (Zodiaco) deve essere perfettamente esatta! Originariamente gli antichi suddivisero il grande circolo a seconda del periodico susseguirsi dei loro lavori. Presso i successori, invece, il circolo già suddiviso prescriveva i lavori, dato che man mano che le costellazioni apparivano gli egizi venivano così avvisati in anticipo di quale lavoro avrebbero dovuto occuparsi nel periodo dell'anno allora segnato. La denominazione dunque di questo circolo era assolutamente esatta, ma non nel falso senso secondo l'interpretazione dei greci e dei romani.
4. Però, come quei saggi denominarono molto giustamente il circolo zodiacale e le sue costellazioni, allo stesso modo essi diedero il nome anche a molti altri, se pure non tutti i raggruppamenti di stelle, ed essi furono altresì i primi scopritori dei pianeti che tu già conosci, ad eccezione della Luna e del Sole, il quale, almeno per la nostra Terra, non è affatto un pianeta, dato che non è il Sole a muoversi intorno alla Terra, ma sono i pianeti che assieme alla Terra si muovono intorno al grande Sole in differenti periodi di tempo, per i quali però non sono da intendersi quelli giornalieri, che derivano dalla rotazione della Terra stessa intorno al suo asse, sebbene quello impiegato dalla Terra per compiere un giro intorno al Sole, che è di un anno terrestre per la Terra, parecchio di meno per il pianeta Venere e per Mercurio raramente visibile, mentre Marte, Giove e Saturno impiegano molto più tempo della Terra per compiere il loro giro intorno al Sole.
5. La Luna dal canto suo appartiene alla Terra, ed assieme a questa si muove intorno al Sole una volta all'anno, mentre essa, la nostra costante accompagnatrice, si muove oltre a ciò per suo conto una volta ogni 27-28 giorni intorno alla Terra, ad una distanza di centomila ore di cammino.
6. Ma queste sono ancora cose che tu non puoi comprendere così d'un tratto come se niente fosse, ma quando lo spirito di Dio si sarà destato nella tua anima, allora comprenderai da te stessa tutto ciò e molto di più ancora, e senza bisogno di alcuna esteriore e gravosa istruzione.
7. Perciò ora è necessario anzitutto una cosa sola, e questa consiste nel riconoscere se stessi e Dio e nell'amare Dio sopra ogni cosa, tutto il resto poi viene da sé.
8. Del resto noi due abbiamo parlato ormai abbastanza, e sarà buona cosa se noi ci riposiamo un po', affinché gli altri amici, i quali sono molto più saggi di noi, abbiano occasione di fare essi pure qualche buona osservazione a nostro riguardo.
9. Noi non dobbiamo mai parlare troppo riguardo ad un argomento, ma bisogna lasciare che ne parlino anche gli altri, mentre si può stare benissimo ad ascoltare cosa essi dicono, poiché nessuno su questa Terra è saggio tanto da non poter di quando in quando apprendere qualcosa perfino da uno meno savio di lui, per non parlare poi di uno che sia molto più savio di lui! Tu dunque, o mia diletta Elena, mi perdonerai se io stesso me ne starò zitto per qualche tempo e mi limiterò ad ascoltare gli altri, sempre che ben inteso siano disposti a parlare di qualcosa»
10. Ed Elena prontamente dice: «Oh, certo, è giustissimo! Riposati pure, perché sono già quasi due ore che parli esclusivamente e continuamente tu.
11. Chi sa che in questa occasione l'uno o l'altro non ci narri qualche cosa dipiù circostanziato riguardo al grande Maestro, il Quale si trova ora fra noi, e che tuttavia a mala pena dà a vedere di essere appunto Colui che Egli è!»
Le opinioni sulla diffusione della nuova Dottrina.
1. Dice allora Simon Giuda: «Io ammiro molto Mataele per la sua sapienza veramente grande e per le cognizioni dei fatti dell'antichità che vi stanno celate dentro! Certo, una simile sapienza è al nostro tempo altrettanto necessaria quanto il riconoscimento profondo delle verità della vita rivelate dalla bocca di Dio. È un fatto di cui noi potremmo parlare fino ad irrigidirci la lingua, dinanzi ad un popolo il quale già da più di un millennio langue sepolto nell'immondizia della più assurda e tenebrosa superstizione. In tali condizioni una oppure centomila anche delle più belle parole non servono assolutamente a niente. Il popolo non riconosce la propria stoltezza e la propria cecità, né meno ancora riconosce la più bella e pura verità che gli si va predicando.
2. Ma che cos'altro mai si potrebbe fare di fronte ad un simile popolo? Operare dei prodigi? Ma così il popolo si fa più stolto e più superstizioso ancora! Punirlo? Oh, ma un tale popolo è comunque già abbastanza punito!
3. Ebbene, si cerchi fra il popolo quelli che sono più accessibili, e si predichi loro nella forma usata dal nostro Mataele contro il paganesimo, e io prevedo che al massimo in cento anni, con la grazia del Signore, non ci sarà più nemmeno un tempio degli idoli!
4. Giudicate voi, o fratelli, se ho parlato bene o no. In generale, la semplicità di sentire dei fanciulli ha certo più valore dell'intelletto di tutti gli intenditori della Terra, ma in questo caso anche l'intelligenza è perfettamente a posto. Che cosa ne pensate voi, o cari fratelli miei?»
5. Rispondono tutti, ad eccezione di Giuda: «Noi siamo pienamente d'accordo con te, e non c'è proprio niente da obiettare a quanto hai detto!»
6. Allora si fa avanti Giuda e dice: «Eppure, eppure da obiettare ci sarebbe più di una cosa!»
7. Chiede Simon: «Che cosa dunque? Parla! Io non saprei proprio immaginare che obiezioni si potrebbero fare!»
8. Risponde Giuda: «Ecco, si guadagnino alla causa i potenti, ed allora anche senza questa scienza si potrà con tutta efficacia predicare ai deboli»
9. E Mataele, rivolto a Giuda, esclama in tono concitato: «Aha, tu vorresti portare ai poveri di spirito e di beni terreni il messaggio di pace dai Cieli con le verghe e con la spada in pugno! Sei davvero un uomo ben strano! Del resto, anche per altre considerazioni tu mi sembri essere una specialità del mondo sotterraneo, e ciò spiega anche il tuo modo di vedere, del quale sicuramente nessun demonio avrebbe ragione di vergognarsi! Tu sei dunque un demonio di una specie molto rara!
10. Ma dimmi un po': come hai fatto ad intrufolarti in questa compagnia di esseri celesti?
11. Io intanto ti dico che, se da demonio vuoi parlare e trattare con uomini, è necessario che tu ti avvolga meglio dentro la pelle d'agnello, affinché dimorando fra questi non si scopra a prima vista il lupo rapace.
12. E adesso vedi di fare in modo che i miei occhi non si accorgano più della tua presenza, altrimenti potrei venire tentato di fare delle rivelazioni sul tuo conto che, in questo momento, credo non saresti proprio molto ben disposto a sentire, perché il mio spirito ti vede ora chiaramente dentro e fuori, e sa molto bene chi sei tu!»
13. Udendo tali parole da Mataele, Giuda appare meravigliatissimo e dice: «Tuti inganni sul mio conto, o Mataele! Perché anch'io appartengo al numero degli eletti; ho già disimpegnato delle missioni nel Nome del Signore e non sono trascorsi che pochi giorni da quando fui portato anch'io, come i miei fratelli, attraverso l'aria dagli angeli del Cielo»
14. Dice Mataele: «Oh, queste cose io le conosco molto bene, e tuttavia non ritiro neanche una parola di quello che ho detto. Tu sei sì nel numero dei dodici, ma il mio spirito mi avverte: "Fra questi dodici c'è un demonio, e sappilo bene, questo demonio sei tu!»
15. Tale testimonianza, che il mio spirito ha dato di te, dovrebbe frattanto bastarti, perché se proprio desideri di più non c'è nessuna difficoltà a servirti. In questo istante, infatti, il mio occhio ha scoperto una riserva molto considerevole di cattive testimonianze contro di te, e per poco che tu voglia insistere, te le vedrai tutte piombare sulla faccia! Perché fra l'altro tu sei anche ladro, hai capito?»
16. A queste espressioni di minaccia uscite di bocca al savio Mataele, Giuda rabbrividì e si ritrasse avvilito, e nel ritirarsi gli toccò per di più ancora digerirsi le osservazioni che Tommaso non mancò di fargli con le parole: «Ebbene, il tuo inferno ti ha fatto nuovamente il solletico? Va' pure avanti così e potrai udirne di ben altre ancora! Con un Mataele, che il Signore ha guarito in maniera tanto meravigliosa nel corpo, nell'anima e nello spirito, tu, disgraziato, non potrai mai più competere!
17. Vedi, perfino l'angelo del Signore non si azzarda ad avvicinarsi a lui, e tu vorresti contraddirlo in ciò che ha enunciato fuori dalla sua sapienza profondissima e tale che dopo Mosè non se n'è vista una di uguale!
18. Ma come puoi non accorgerti ancora che l'arciasinesco tuo cuore non fa che mettere in mostra una stoltezza talmente grande che pare voglia invadere tutti i cieli? Ma vuoi startene quieto una buona volta e vedere di tacere e imparare qualcosa?
19. Qui si trova raccolta su di un punto solo ogni sapienza di tutti i Cieli e di tutti i mondi; noi ci troviamo riuniti qui nel centro del Cuore divino. Dinanzi a noi risuonano parole e si svolgono fatti che devono suscitare il massimo stupore perfino negli angeli, e tu, massimo somaro che ti trovi con noi, non puoi resistere alla voglia veramente maligna di schizzare, in piena luce divina e fuori dalla palude della tua stoltezza, il fango non solo dei tuoi discorsi, ma anche delle tue obiezioni! Oh, che vero somaraccio sei!»
20. Risponde Giuda, stizzito e impermalito: «Eh, lasciami una buona volta in pace! Se anche sono un asino, lo sono per mio conto e non per tuo conto, e nonostante Mataele mi abbia adesso malamente strapazzato, io sono pronto a scommettere quello che vuoi che questa dottrina, per quanto pura e divina sia, non verrà predicata ai miseri pagani con miti parole, ma con il ferro e con il fuoco!
21. Non si chiederà a nessuno se l'avrà o no compresa, ma gli si farà giurare per la nuova fede, e se vorrà abbandonare questa fede, mai compresa da lui, sarà dichiarato reo di abominevolissimo spergiuro ed apostasia, e il meno che gli toccherà sarà di essere bruciato vivo!
22. E se nella diffusione di questa dottrina, per quanto sia divina in se stessa, non si avrà immediatamente cura di guadagnare ad essa anzitutto i detentori del potere, quantunque io sia un demonio, non vorrei davvero essere io a contare il numero dei testimoni del sangue che cadranno sotto la spada dei grandi potenti pagani. Divino su, divino giù! Il diavolo è anch'egli divino, e con il tempo perfino il divino più puro e sublime diventa una cosa demoniaca!
23. Consideriamo ad esempio la divinissima dottrina di Mosè; che cosa è divenuto di essa, nel tempio di Salomone, il sapientissimo? Ma perciò, da demonio per volontà di Mataele e da asino principalmente per tua volontà, io ripeto: "Mataele ha ragione, ed io riconosco la sua sapienza come la riconosci tu, ma come ha ragione Mataele, altrettanta ne ho anch'io".
24. Io te lo dico e tu prendine nota: "Questa dottrina di pace dai Cieli, in un tempo non troppo lungo, seminerà su tutta la Terra la più tremenda discordia, e susciterà fra i popoli dispute, litigi e guerre irriconciliabili!”
25. Certo, non con il tuo corpo assisterai a simili avvenimenti, ma tanto più un giorno il tuo spirito sarà sicuro testimone di ciò che ora ti ho detto, e tu allora dovrai confessare che Giuda, il demonio e il ladro, sarà stato per una volta anche lui profeta. E adesso, a mia volta, ti domando se mi hai capito e ben compreso!».
L’essenza di Giuda.
1. Dice Tommaso: «Mi pare di capire che tu sei convinto di avere davvero fatto una grande profezia, che senza di te non sarebbe mai potuta venirci in mente! Oh, come sei rimasto un povero sciocco, nonostante tutta la sapienza che è giunta alle tue orecchie ormai già da più di mezzo anno!
2. Quando mai è accaduto che luce e tenebra non si siano trovate l'una contro l'altra nemiche? Quando mai la vita e la morte hanno camminato fraternamente a braccetto? Quando mai la fame atroce e la piena sazietà si sono date la mano a favore della pace del Paradiso? Stolto che non sei altro! È una cosa che va da sé! Quando la luce suprema e più vivida, che parte dai Cieli da qui, si scontrerà con la tenebra più fitta della Terra, è certo che non mancherà una reazione!
3. Considera un po' gli enormi ghiacciai dell'altissimo Ararat! Questi non si sciolgono affatto sotto l'influsso di minimi gradi di calore, come sanno calcolarli i savi d'Egitto giudicando dal colore e dallo spessore del ghiaccio e della neve, ma fa invece venire su questi campi di ghiaccio gli ardori estivi dell'alto Egitto e vedrai come in breve tempo tutto il ghiaccio si convertirà in acqua, ed allora guai alle valli sulle quali si rovescerà l'inondazione!
4. Dunque, come questa soluzione sarebbe inevitabile nel senso materiale, tanto meno una simile soluzione potrà in seguito mancare nel campo spirituale!
5. Ma se già noi cominciamo a predicare l'Evangelo di Dio con la spada in pugno, tanto più presto susciteremo contro di noi la spada del mondo; mentre, se invece noi daremo inizio alla nostra opera con l'arma della pace, che si chiama amore, allora noi troveremo anche in abbondanza la pace.
6. In conseguenza a un simile dono dai Cieli si avranno lotte di ogni specie e guerre, finché il mondo della materia resterà, in seguito all'Ordine divino, quello che è sempre stato, che è tuttora e che ancora sarà. Questa cosa la si comprende molto facilmente da sé, e non c'è bisogno davvero di profezie; ma appunto quando con tutta evidenza viene dimostrato alla gente più intelligente, nel modo usato da Mataele, quanto sia ridicolo e stolto il paganesimo nella sua perfetta vacuità; con ciò, dunque, le reazioni troppo possenti e rovinose contro di noi non assumeranno almeno le proporzioni d'un fenomeno dall'intensità devastante!
7. Ora, per poco che tu abbia degnato d'attenzione quello che ti ho detto, l'assoluta insensatezza della profezia che mi hai spiattellato deve risultarti tanto chiara quanto il Sole meridiano ad un dormiglione dopo sette anni di sonno»
8. Risponde Giuda: «E va bene, io non discuto; tu sei sempre il sapiente Tommaso, mentre quello che dico io deve essere sempre una scempiaggine. Tu hai certo ragione, ma a me fa rabbia di non poterne mai avere. Io posso ponderare quanto voglio una cosa prima di rivestirla di parole, ma ecco che non appena apro la bocca tutti mi sono addosso, come il leone all'agnello, a causa della stoltezza proferita! Oh, c'è davvero da scoppiare dalla rabbia, come una rana gonfiata! Ma io so che cosa farò: d'ora innanzi non dirò neanche una parola e me ne starò muto come un pezzo di legno, allora probabilmente non avrete più motivi per prendervela con me!»
9. Conclude Tommaso: «Sì, questa è una buona soluzione, e così facendo ti dimostrerai saggio!»
10. Allora Mataele chiama a sé Tommaso e gli dice: «Io ti ringrazio, in nome della buona causa, della ramanzina fatta in termini così moderati al fratello Giuda, perché questa non gli ha affatto nuociuto e forse un giorno, appena nell'altro mondo, egli potrà avere profitto da ciò che qui egli considera come una offesa fatta al suo intelletto, perché in lui non c'è finora assolutamente nessuna traccia di una qualche sapienza interiore, ed è molto probabile che una simile traccia non la si potrà neanche trovare durante la sua vita terrena.
11. Ma, in seguito, lasciatelo stare, perché la sua anima non ha origine dall'alto, e il suo spirito è troppo piccino e debole per poter ammorbidire e vivificare l'anima rigidamente mondana, come invece è possibile nel caso vostro»
12. A questo punto Io Mi avvicino a Mataele e gli dico: «Davvero, degli strumenti come te, come tu lo sei per Me, ce ne sono pochi, e perciò Io Mi sento di lodarti. Prosegui dunque per questa via, e tu così sarai, presso i pagani, un idoneo precursore di un altro apostolo che Io poco più tardi susciterò fra i miei nemici. Ed ora ti do la pienissima assicurazione che tu ed i tuoi quattro fratelli mai più ricadrete nel male che vi ha tanto dolorosamente travagliati! Tu poi dovrai assegnare a loro la destinazione, nonché indicare ad essi la via perfettamente giusta.
13. Noi resteremo qui ancora un paio di giorni e domani, che sarà un Sabato, ci saranno vari avvenimenti che ti offriranno occasione di renderMi degli eccellenti servizi; poiché tu sei di quelli che non temono affatto il mondo né la morte, ed è appunto perciò che tu sei per Me uno strumento molto valido.
14. Ma ora conduciMi da Elena, poiché il suo cuore ha di Me un immenso desiderio, e noi perciò andremo da lei e le infonderemo vigore»
15. Esclama allora Mataele: «O Signore! Questa è una grazia infinita da parte Tua per me! Tu, mio Creatore, ti lasci condurre da me a colei che al pari di me è una Tua creatura! Ma d'altro canto è vero che la fanciulla è pura, e che la sua buona volontà è grande; essa certo non conosce che cosa sia il peccato, e davvero merita e vale la pena di irrobustire un simile cuore, attraverso il quale potranno più tardi venirne rafforzati dei milioni!»
La ricerca di Dio.
1. Dopo di che Io, Mataele e la nostra Giara che non si scosta dal Mio fianco, ce ne andiamo da Elena e da suo padre Ouran.
2. E quando Elena scorge che Io Mi avvicino a lei, prorompe in lacrime di gioia ed esclama dopo qualche tempo: «Io ero già molto angustiata dal dubbio se mi sarebbe stata riservata la grazia di avere vicino Te, il Signore della mia vita, e il poter parlarTi! Ma ora il mio ardente desiderio è appagato! Perché Tu, che il mio cuore e la mia mente solo qui in modo meraviglioso hanno imparato a conoscere, Tu stesso hai voluto venire vicino a me! O mio povero cuore, giubila dunque altamente, perché Colui il Cui Spirito ha contato i tuoi battiti dalla culla fino a questo momento e in avanti ancora, si trova ora dinanzi a te e ti porta quella santa consolazione, nella quale la morte del corpo ti sarà un giorno più dolce del miele!»
3. Dopo ciò lei tace, ed allora Io le dico: «O Elena! Un cuore che ama come il tuo non ha in eterno mai da temere la morte, ed esso mai la conoscerà, né dolce né amara!
4. Perché vedi, Io stesso sono la Vita e la Resurrezione! E coloro che come te credono in Me, e Mi amano, non vedranno, non sentiranno e non assaporeranno mai in eterno la morte.
5. Il greve corpo che porti, ti verrà un giorno bensì tolto, ma in quel momento tu non ne sarai conscia e non sentirai alcun dolore, ed invece, in quell'istante stesso, tu verrai trasferita da questa vita pesante e priva di libertà, nella vita chiarissima della tua anima, per opera del Mio Spirito d'Amore che è in te e che va crescendo fino alla perfetta somiglianza con il Mio Spirito eterno! Comprendi già, o carissima Elena, queste cose?»
6. Elena però, per l'intensa commozione, non riesce a pronunciare una parola, e nel rapimento del suo cuore non può che piangere. Trascorre così qualche tempo, e sempre ancora il sentimento di gioia inesprimibile, per essere Io venuto a lei, non accenna a calmarsi nella sua anima, cosicché ogni qualvolta vorrebbe esprimere con parole la sua gratitudine, la foga del suo affetto la rende incapace.
7. Ed Io allora nuovamente le dico: «O Mia diletta figliola, non ti affannare a cercare le parole, perché il linguaggio del tuo cuore Mi è molto più caro di qualsiasi altro che potrebbe fiorire sulla tua bocca!
8. Poiché, vedi, già su questa Terra ci sono alcuni, ed altri ancora ci saranno in avvenire che Mi diranno: "Signore, Signore!". Ma Io risponderò e dirò loro: "Chi invocate voi, o estranei? Io non vi conosco e non vi ho ancora mai conosciuti! Perché voi siete ancora e sempre figli del principe della menzogna, dell'orgoglio, della perfidia, della notte e di ogni tenebra! Andatevene dunque lontano da Me, o malvagi! Ed Io ti dico che poi, tra loro, grande sarà il pianto e lo stridore di denti!
9. Essi cercheranno il loro Dio nell'infinità dello spazio e nelle sconfinate profondità mai raggiungibili e non Lo troveranno, poiché avranno reputato una cosa in sé troppo comune cercarMi nelle loro immediate vicinanze, cioè nel loro cuore!
10. In verità, chi non cerca Dio come tu Lo hai cercato, quegli non Lo troverà neanche se Lo cercherà per tutte le eternità!
11. Dio in Se stesso è l'Amore purissimo, supremo e possente in misura infinita, e perciò può venir trovato unicamente attraverso l'amore.
12. Tu già da principio fosti mossa a cercare per incitamento dell'amore, anche se tu supponevi, amandoMi, di commettere peccato, ma ecco, tu Mi hai trovato. Io venni incontro a te, e così pure a tuo padre Ouran, più che a mezza strada, ma perciò anche in avvenire dovranno cercarMi tutti coloro che vogliono trovarMi, ed allora anche Mi troveranno come tu Mi hai trovato.
13. Ma coloro che Mi cercheranno con il loro orgoglioso intelletto, quelli in eterno non Mi troveranno!
14. Poiché coloro che Mi cercheranno con l'intelletto, somigliano ad un tale che comperò una casa, avendo inteso che sotto le mura era nascosto un grande tesoro. E quando la casa fu passata di sua proprietà, cominciò a scavare ora qua ora là, ma non prese la cosa veramente a cuore e si limitò a scavare in superficie, e quindi non poté trovare il tesoro che era sepolto in profondità. Allora gli venne un'idea e disse: "Ah, ora so che cosa devo fare; comincerò a scavare di fuori, tutto intorno alla casa, e così certo arriverò prima a rintracciare il tesoro nascosto!
15. E così egli iniziò a scavare al di fuori della casa e ovviamente non trovò il tesoro, dato che questo era sepolto a grande profondità nel mezzo della casa; e quanto più lontano dalla casa egli si mise a scavare nuove fosse a causa del tesoro, tanto meno trovò questo tesoro per il quale egli aveva comperato la casa, perché chi cerca qualcosa dove non c'è, e dove mai non può essere, non ha nessuna possibilità di trovare ciò che cerca.
16. Chi vuole pigliare del pesce, deve recarsi sull'acqua munito di una rete, dato che nell'aria i pesci non nuotano. E chi vuole trovare dell'oro, non deve cercarlo gettando una rete nel mare, ma è bene che scavi profondamente nella montagna.
17. Con le orecchie non si può vedere, né con gli occhi si può udire; ciascun senso ha la sua caratteristica disposizione, ed è perciò destinato ad una determinata funzione.
18. E così pure il cuore dell'uomo, che più di ogni altra cosa è affine a Dio, adesso soltanto è affidata la mansione di cercare Dio e anche di trovarLo, e infine, dal Dio trovato, di prendersi una nuova indistruttibile vita. Ma chi invece si dà a cercare Dio con un altro dei suoi sensi, egli Lo può altrettanto poco trovare, quanto poco può provare a guardare il Sole valendosi delle proprie orecchie, del proprio naso od anche dei propri occhi quando questi li abbia strettamente bendati.
19. Però, il vero e vivente senso del cuore è l'amore. Chi dunque desta in sé questo intimissimo senso della vita, e mediante questo si dà a cercare Dio, egli anche deve trovarLo con altrettanta certezza, quanta ciascuno che non sia completamente cieco deve poter trovare con i propri occhi, immediatamente, il Sole e guardarne la forma luminosa.
20. E chi vuole ascoltare una parola savia non deve turarsi gli orecchi e voler udire con gli occhi, perché gli occhi vedono sì la luce e tutte le forme illuminate, ma la forma spirituale della parola non si può vederla, ma soltanto udirla con le orecchie. Comprendi bene tutto ciò?».
L’essere uniti con il Signore.
1. Dice finalmente Elena, il cui cuore si è nel frattempo un po' riavuto dall'emozione causata dall'esuberante gioia d'amore: «Oh, certo, io ho compreso tutto bene, perché tutte le Tue parole sono luce, potenza e vita, e sgorgano dalla Tua santa bocca come una sorgente purissima sgorga dalle rocce d'alta montagna rischiarata dal Sole mattutino! Ma che cosa devo fare ora per ridonare un po' di tranquillità al mio cuore? O Signore, fammi morire se io commetto peccato, ma il mio amore per Te giunge ormai oltre ogni possibilità della mia vita! Oh, permetti solamente di toccare la Tua mano!»
2. Io le rispondo: «Se così desideri, fallo pure! Tutto quello che dall'intimo del tuo cuore ti viene comandato, fallo sempre e non sarà mai sbagliato, te ne posso dare Io piena assicurazione!»
3. Allora Elena afferrò la Mia mano sinistra e la premette con tutta la sua forza sul suo cuore, spargendo nuovamente lacrime di gioia ancora più ardenti, e dicendo: «Oh, come devono essere beati coloro che possono starTi sempre vicino, o Signore! Oh, potessi pure io rimanere continuamente così vicina a Te!»
4. Io le dissi: «Chi è con Me nel proprio cuore, Io pure sono sempre con lui, ed egli è così continuamente vicino a Me; questa è veramente la cosa principale! Perché a che cosa può giovare a qualcuno il trovarsi continuamente e personalmente vicino a Me su questa Terra, se tiene il suo cuore lontano da Me, rivolgendolo invece al pazzo tumultuare del mondo? In verità, egli è talmente lontano da Me ancora più di quanto tu possa immaginare che una cosa sia lontana.
5. Ma chi come te, o Mia dilettissima Elena, è tanto vicino a Me nel proprio cuore, quegli è sempre e resta ugualmente presso di Me, anche se apparentemente Mi divide da lui una distanza migliaia di volte più grande di quella che ora ci separa dall'ultima e minimissima stella che il tuo occhio vede, a momenti, brillare nelle profondità del cielo senza confini.
6. Anzi, Io ti dico che chi Mi ama come tu Mi ami, e in maniera vivente crede che Io sia Colui del Quale i padri hanno atteso la venuta, quegli è con altrettanta pienezza una cosa con Me, come Io, che vedi e senti vicino a te, sono completamente Una cosa sola col Padre Mio che è nel Cielo! Perché l'amore tutto congiunge; attraverso l'amore, Dio, il Creatore, e la creatura diventano una cosa sola, e nessun spazio e nessuna distanza può più separare ciò che l'amore puro e vero ha ricongiunto fuori dalle più abissali profondità del Cielo.
7. Mediante il tuo amore ti troverai dunque sempre nella Mia immediata vicinanza, per quanto anche lo spazio possa per un breve tempo tenerti lontana dalla Mia Persona; un giorno, però, là nel Mio Regno dello Spirito purissimo e nell'assoluta verità non rimarrai mai più in eterno divisa da Me. E adesso dimMi, o carissima Elena, se tu hai almeno pressappoco compreso quello che ti ho detto»
8. Risponde Elena: «Oh, come non avrei potuto comprenderlo! Tutto ora mi appare in forma chiarissima, quasi che in me fosse sorto un vero Sole, e perciò mi riesce anche evidente e comprensibile tutto quello che Tu, o Signore, mi vai dicendo, e il mio cuore afferra completamente il senso profondissimo delle Tue parole.
9. Ma ora, in un remoto cantuccio del mio cuore non ancora illuminato, vedo formarsi una domanda altamente importante, e questa domanda è: "Come ti sarà mai possibile ringraziare Colui che con tanta abbondanza ti ha colmato di ogni grazia? L'amore, per quanto possente, non può valere ancora come una prova di gratitudine, dato che esso stesso, come tutta la vita, non è che una Tua grazia! Con quale sacrificio e con quale ricambio di doni, degno di Te, posso io creatura dimostrare a Te, mio Creatore, la gratitudine che sento di doverTi al più alto grado per tanti inestimabili doni che ho ricevuti da Te? Vedi, o Signore, nonostante la piena luce che regna nel mio cuore, questo punto rimane tuttavia oscuro, ed a questa domanda quanto mai importante non mi è possibile di trovare una risposta! O Signore! Non vorresti Tu, in grazia anche a questo riguardo, trarre il mio cuore dall'imbarazzo con qualche breve parola?».
Come si può e si deve ringraziare Dio.
1. Dico Io: «O Mia cara Elena! A questo mondo cosa potresti mai tu offrirMi che non fosse già Mio, e che Io non avessi già prima donato al mondo?
2. Vedi dunque che questa, da parte Mia, sarebbe una pretesa quanto mai vana, e sarebbe in assoluto in contrasto con Me e con il Mio Ordine eterno.
3. Invece è l'amore che appiana tutto. Chi Mi ama sopra ogni cosa, quegli Mi offre già il massimo dei sacrifici e il ringraziamento a Me più gradito; perché così facendo Mi sacrifica addirittura il mondo intero.
4. Ma accanto all'amore per Me c'è un altro amore ancora, e questo è l'amore del prossimo. I poveri di spirito e di beni materiali costituiscono il vero prossimo. Chi, nel Mio Nome fa qualcosa a vantaggio di questi, egli la fa a Me.
5. Chi accoglie un povero nel Mio Nome, egli accoglie Me, e tale azione gli verrà computata in bene il giorno del giudizio; e chi porge sia pure soltanto un bicchiere d'acqua fresca ad un assetato, egli verrà compensato con vino nel Mio Regno.
6. Quando però tu aiuti un povero, fallo di nascosto con tutta amorevolezza, e non farti vedere dal mondo, perché al Padre nel Cielo non sfugge la tua azione e l'amorevole offerta del donatore Gli riuscirà gradita, ed Egli la risarcirà al donatore al centuplo.
7. Ma chi con il fare beneficenza non ha che lo scopo di brillare al cospetto del mondo, egli si è già preso dal mondo la sua ricompensa, e non deve attendersene una seconda!
8. Vedi, in ciò consiste il sacrificio ed il rendimento di grazie che solo a Me sono graditi, perché tutti gli olocausti, ed altri simili sacrifici, odorano in maniera ripugnante alle narici di Dio, ed ogni preghiera delle labbra è un abominio al Suo cospetto quando i cuori sono ben lontani dal vero amore a Dio ed ai fratelli poveri.
9. A chi può essere di giovamento l'insensato biascicar preghiere nei templi, quando non si pone attenzione ai mille fratelli poveri ed affamati che sono fuori dei templi?
10. Andate dunque, ed anzitutto soccorrete il povero e il sofferente. Date da mangiare agli affamati e da bere agli assetati, vestite i nudi, consolate gli afflitti, redimete i prigionieri e predicate ai poveri di spirito l'Evangelo, e così voi farete infinite volte meglio che non borbottando, sia pure notte e giorno, preghiere nei templi, facendo lavorare le labbra ma lasciando il cuore insensibile e ricoperto di gelo di fronte ai miseri fratelli!
11. Considera l'aria, la terra e il mare; guarda la Luna, il Sole e le stelle; guarda i fiori dei prati e gli alberi, e poi gli uccelli dell'aria, i pesci dell'acqua e tutti gli altri animali della terraferma; poni attenzione alle alte montagne, alle nubi e ai venti; vedi, tutto ciò proclama ad alta voce la gloria di Dio, e tuttavia Dio non guarda mai e poi mai in modo superficiale tutte queste cose, come fa l'uomo, ma Egli guarda unicamente un cuore umano che Lo riconosca e Lo ami quale il solo Padre veramente buono e santo. Ma come allora potrebbe Egli avere compiacimento in un cuore perverso e insensibile, oppure in una vuota cerimonia coronata da un vocio confuso delle labbra, dietro alla quale stanno in agguato il feroce egoismo, l'ambizione, la brama di dominio, ogni fornicazione, menzogna ed inganno?
12. Ecco che ormai tu conosci che Dio, in primo luogo, non ha bisogno di prendersi il Suo onore dalla gente che biascica preghiere, perché l'infinito intero è colmo della Sua gloria!
13. Ma quale gloria vuole l'uomo cieco e stolto rendere allora a Dio, se egli stesso non ha altra gloria se non quella che egli ha già prima ricevuta da Dio, attraverso la grazia fattagli da Dio di essere una creatura umana? Ovvero, può tornare in qualche modo ad onore di Dio, se gli uomini Gli offrono in olocausto un bue e in pari tempo tengono i loro cuori aridi e gelidi per trovarsi, a sacrificio compiuto, dieci volte ancora peggiori di quanto lo siano stati prima del sacrificio stesso?
14. Oh, no, dagli uomini Io non prendo alcuna gloria, perché c'è già il Padre nel Cielo che Mi glorifica più che a sufficienza; quando però gli uomini osservano i Miei Comandamenti e con ciò dimostrano di amarMi sopra ogni cosa, così facendo essi onorano Me e Mio Padre; ora Io e Mio Padre siamo perfettamente Una sola cosa.
15. Ma se così è in pienissima ed eterna verità, non può affatto recarMi disonore colui che adempie la Volontà di Dio, come l'ha annunciato Mosè nonché tutti i profeti, e come Io stesso ad alta voce proclamo dinanzi a voi tutti!
16. Comprendi ora come si deve ringraziare Dio, e come Lo si deve onorare per tutto il bene ricevuto da Lui?».
Il futuro della pura Dottrina di Dio.
1. Risponde Elena, completamente conquistata e commossa dalla verità di questo Mio insegnamento: «O Signore! Ognuna delle Tue parole ha destato nel mio cuore una risonanza immensa, ed una eco uniforme ha tuonato nell'anima mia: questa è la verità divina purissima!
2. Ma certo una simile dottrina Dio soltanto può darla agli uomini, perché nessun intendimento umano sarebbe capace di tanto! Sì, ora io so molte cose, e so anche esattamente quello che avrò da fare in avvenire!
3. Oh, quale dolcissima cosa è apprendere la Volontà dell'unico vero Dio e operare conformemente con tutte le proprie forze; ma quanto amaro è invece operare quando è l'orgoglio umano a dettar legge, e dopo averla dettata la conclude con le parole: "Questa è la Volontà di Dio!»
4. Ho sempre pensato che un vero Dio può avere solo una Volontà perfettamente vera, che non sta mai in contraddizione con se stessa come succede invece nelle leggi umane, di cui una spesso abolisce l'altra; se la si osserva, si incorre nella sanzione prevista da una legge precedente, e se non la si osserva, si incorre in quella prevista dalla legge nuova! Ma allora s'impone la domanda: "In simili condizioni, come può sussistere l'uomo?"
5. Consideriamo un po' le nostre antiche leggi degli dèi. Queste, per bocca degli astuti sacerdoti, dicevano: "Se tu sacrifichi a Plutone, ti attiri l'ira di Giove, e se sacrifichi a Giove, avrai poi da fare con Plutone, ma se tu sacrifichi ai rispettivi sacerdoti, i quali soli sanno come ammansire l'ira degli dèi, allora fai bene, perché essi solo sono i veri mediatori fra le divinità e gli uomini". In questo modo i sacerdoti si attribuirono tutte le offerte, e oltre a ciò, dal popolo misero e cieco da loro spremuto senza dare assolutamente niente in cambio, essi pretesero onoranze divine, e tutto il popolo doveva tremare di fronte alla loro potenza! Oh, una dottrina purissima come la Tua non potrà mai in eterno permettere una cosa simile!»
6. Le dico Io: «Queste considerazioni non devono essere per te causa di affanno, però è vero che in ultima analisi a tutto ciò che scende dall'alto, per quanto puro sia e che si tratti di cosa spirituale oppure materiale, è riservato il medesimo destino. Basta che tu tocchi il suolo della Terra, ed eccola immediatamente impura.
7. Considera una goccia di pioggia, e non c'è diamante che possa reggere al suo confronto in fatto di purezza; ma come essa giunge in contatto con il terreno, di purezza non si può più parlare.
8. Recati su di un monte e non troverai parole sufficienti per meravigliarti della purezza dell'aria, ma guarda un po' giù nella valle e scoprirai un divario assai grande fra la purezza dell'alto e quella del basso.
9. Qual è il candore del fiocco di neve che cade dalle nuvole! Ma dopo due lune vai e ammira la neve, e troverai quanta immondizia avrà contaminato il biancore abbagliante di prima!
10. Poni attenzione al vento, quando spira dall'alto dei monti giù nelle valli, e vedrai come subito si offusca per effetto della polvere molesta. Perfino il Sole, la Luna e le stelle perdono molto del loro splendore quando si avvicinano all'orizzonte, anzi lo stesso raggio del Sole meridiano viene anche troppo spesso facilmente offuscato dalle emanazioni del suolo, in modo che infine tutto il Sole, malgrado la sua intensissima luce, non lo si può distinguere in modo da poter, con qualche certezza, asserire: "Eccolo, esso è qua, oppure esso è là".
11. Ora avviene similmente anche di ogni dono spirituale che viene dai Cieli; per quanto puro possa essere alla sua origine, con il tempo e per effetto del sozzo interesse mondano viene tuttavia offuscato, come succede a tutte quelle cose che appunto ora ti ho menzionato.
12. Non diversamente certo accadrà di questa Mia purissima dottrina; non ci sarà un apostrofo che resterà immune da critiche e da corrosioni.
13. Il tempio che ora Io sto edificando, essi lo distruggeranno precisamente così come in un tempo, non molto lontano dal nostro, i romani distruggeranno il tempio di Gerusalemme, dove non rimarrà una pietra sopra l'altra!
14. Ma questo Mio tempio Io lo riedificherò, però quello di pietra, che è a Gerusalemme, mai più! Ma non ti curare affatto di tutte queste cose, perché a Me ogni cosa è nota, e so pure perché deve avvenire così!
15. Poiché, vedi, nessuno attribuisce una certa importanza alla luce del Sole e dal suo calore mentre dura l'estate, ma quando poi viene la notte, la luce acquista gran pregio, ed è solo durante l'inverno che si impara a stimare il giusto valore del calore.
16. Ora appunto e in maniera non differente da questa succede anche riguardo alla luce e al calore spirituali! Chi se ne va in giro liberamente, non bada affatto al proprio stato di libertà, ma quando è costretto in ceppi a languire dentro un carcere, oh, allora certo egli è in grado di valutare quale bene immenso sia la libertà!
17. Ebbene, o Mia dilettissima Elena, se viene concesso che anche ogni cosa pura si intorbidi, ciò accade appunto perché almeno nella massima tribolazione l'uomo si induca ad apprezzare il valore della luce incorrotta.
18. Ma quando poi, nella notte profonda, la luce pura comincerà di nuovo a mostrarsi, vedrai ben presto come tutto ciò che respira e vive sarà attirato verso la luce, nella maniera stessa come nello stato invernale; e dell'assenza d'amore nell'uomo, tutto comincerà a raccogliersi intorno ad un cuore albergante la fiamma d'amore, nella maniera stessa come i poveri, dalle membra intirizzite per il gelo invernale, si radunano intorno al fuoco di un buon camino.
19. Queste cose però Io le dico a te sola e a pochi altri ancora, e chi le ha intese, le tenga per sé e non le diffonda oltre, perché infine non è in ciò che consiste la Mia Dottrina. Io l'ho voluto dire solamente a te, o mia dilettissima Elena, per tua tranquillità, ma ad un terzo non ha da interessare che poco o nulla! Per quanto concerne le necessità esteriori, ogni cura la prendo già Io a Mio carico; per quello poi che riguarda le umane creature, è sufficiente che ciascuna creatura si attivi per la purificazione del proprio cuore. Quando il cuore è in ordine, anche ogni cosa esteriore si assesterà, per così dire, da sé nel migliore dei modi. Hai compreso, o Mia diletta Elena, tutto ciò perfettamente?»
20. Risponde Elena: «Oh, sì, o Signore! Purtroppo però non è un motivo di grande letizia conoscere queste cose in anticipo, sennonché anche questo avrà la sua buona e supremamente saggia ragione di essere, e Tu certo hai sempre anzitutto cura del bene spirituale dell'uomo; perciò dunque deve accadere così, come Tu, o Signore, nella Tua infinita benignità Ti sei ora degnato di rivelarmi! Che la Tua Volontà sia fatta in ogni tempo e per tutte le eternità!»
21. E dette queste parole, Elena cadde in un vero assopimento d'amore, tenendo sempre la Mia mano ferma sul suo cuore; ciò cominciò a causare nella Mia Giara un lieve dolore, per il fatto che durante il Mio colloquio con Elena non c'era stata per Me occasione di dire pure a lei qualche cosa. Il suo dolore però svanì non appena Io le ebbi rivolto uno sguardo amorevole».
Spiegazione sul ridestarsi nello spirito.
1. Dopo qualche istante però Giara, che la Mia amorevole occhiata aveva fatto riavere dal piccolo malessere, disse: «O Signore, o mio unico amore! Sono stata un po' indiscreta con la mia piccola gelosia a motivo della bellissima Elena, e Ti ho forse offeso? Se così è stato, perdonami, o mio solo amore!»
2. Ed Io le rispondo: «Sii tranquilla, figliola Mia! Se già un malvagio non può venire offeso dall'amore, quanto poi potrei esserlo Io!? Se tu Mi amassi di meno, non temeresti affatto di vedere forse indebolito il Mio amore per te, per avere Io accolto con tutto l'amore anche questa Elena, ma poiché tu veramente Mi ami sopra ogni cosa, fosti colta per qualche momento da un simile timore, e questo ti accadde unicamente per la ragione che appunto per pochi istanti la tua anima aveva perso di vista Chi veramente Io sono. Ma ora che tu hai riacquistato l'esatta percezione di tale circostanza e sai bene chi Io sono, il pensiero di Elena non ti darà mai più ombra.
3. Guarda il Sole, quando splende sul firmamento, come riversa la sua luce su tutti i fiori del prato! Ma dimMi, non sarebbe stolto da parte di qualche fiore affliggersi perché il Sole, nella sua immensità, dona i suoi raggi in uguale misura anche al fiore che gli è vicino?
4. Considera le grandi stelle, delle quali ti è stato concesso di vederne un paio da vicino e di ammirare la loro natura, e vedi, tutte queste ed un numero infinito di altre ancora, che nessun occhio umano potrà nella sua carne mai contemplare, sussistono e vivono fuori dal Mio amore. Ma se il Mio amore è per l'eternità delle eternità sufficiente a mantenere tutti questi immensi ospiti e in numero sterminato, come puoi tu, o Mia carissima figlioletta, lasciarti cogliere da una specie di timore di venire, per dire così, pregiudicata nella misura dell'amore Mio per te? Vedi adesso l'inconsistenza del tuo timore, durato un paio d'istanti, di rimetterci nel Mio amore?»
5. Risponde Giara: «Senza dubbio, o Signore, amore e vita mia! D'ora in poi mi darò ogni cura di essere una vera amica per la cara Elena, e mi applicherò a far mia qualcuna delle sue virtù. Ah, se anche le mie sorelle più anziane fossero di sentimenti come lo è questa Elena, che gioia sarebbe per me! Ma invece esse sono portate per il mondo, e di cose spirituali non c'è molto da discorrere con loro; a questo riguardo le figlie del vecchio Marco sono molto più malleabili delle mie sorelle. Oh, se ci fosse almeno qualche mezzo per condurre le mie sorelle sulla via dello spirito!»
6. Dico Io: «Ebbene, non darti eccessivo pensiero di ciò! Quando farai ritorno a casa, vedrai che troverai le tue sorelle già più accessibili allo spirituale. Devi pensare inoltre che hai con te Raffaele, e con lui potrai ben mettere sulla buona via anche le tue sorelle ed i tuoi fratelli.
7. Del resto, trattandosi di persone maggiormente inclinate al mondo, la cosa non procede proprio così sollecita come si potrebbe immaginare. Spesse volte sono necessari molto tempo e molta pazienza per purificare un'anima da tutte le scorie che vi stanno appiccicate.
8. Ma prima che una totale pulizia non sia stata eseguita, lo spirituale-fondamentale non può assumere una parte principale, poiché il volere occupare l'intelletto con simili argomenti significa costruire case sulla sabbia.
9. Dell'argomento invece bisogna che si occupi il cuore, ma se questo è ancora ricolmo di materia, lo spirituale puro è certo che non vi può trovare alcun punto d'appoggio! Perciò conviene che nel caso delle tue sorelle si abbia cura anzitutto che i loro cuori, prima di ogni altra cosa, vengano liberati da tutto ciò che c'è in essi di materiale, e poi il tuo compito sarà facile rispetto alle tue sorelle per le quali ora tanto ti affanni. Però Io non posso che lodare queste tue preoccupazioni ed anzi voglio dirti che le stesse non dureranno ancora molto a lungo. Hai tu, o Mia dilettissima Giara, compreso bene e chiaramente quanto ti ho detto?»
10. Risponde Giara: «Oh, sì, almeno quanto una fanciulla quattordicenne può comprendere delle cose che concernono lo spirito. Certo, dietro a ciò che Tu hai detto, saranno celate profondità infinite di pensiero che la mia anima è ben lontana ancora dal poter spiegare; tuttavia quello che per gli istanti della vita terrena può opportunamente riuscire comprensibile, credo di averlo compreso bene, e Tu, o Signore, sicuramente non permetterai che l'intendimento del mio cuore venga preso in giro dagli altri. Ma la nostra carissima Elena si è ora profondamente addormentata, ed io perciò potrò parlare poco con lei!»
11. Dico Io: «Questo non fa nulla, perché qui c'è ancora abbastanza gente con cui poter discorrere, se proprio dobbiamo discorrere con qualcuno! Però tra non molto si verificherà un avvenimento che attirerà completamente di nuovo la nostra attenzione, e poi avremo ben poco tempo da dedicare al vuoto conversare!»
12. Chiede allora Giara, con un certo impeto: «O Signore, che cosa mai succederà?»
13. Ed Io rispondo: «Ecco, non è proprio affatto necessario che tu conosca questa cosa in anticipo, ma quando accadrà ne saprai comunque più che a sufficienza, e sempre troppo ancora in tempo!»
14. Ed Ouran, che riposava con Mataele seduto sulle zolle erbose proprio dirimpetto a Me, Mi chiese egli pure in fretta: «O Signore, potrà minacciarci forse un qualche pericolo?»
15. Dico Io: «A noi certo non accadrà nulla; non così però ad altra gente che non si trova qui con Me su questa collina. Volgete lo sguardo verso Cesarea Filippi, e ben presto capirete quale specie di vento sta per spirare laggiù!»
Le conseguenze dei fenomeni naturali a Cesarea Filippi.
1. Gli abitanti di Cesarea erano in grande paura ed in attesa di cose terribili che, secondo la loro opinione, avrebbero dovuto precipitare sull'orbe terracqueo. Gli ebrei si aspettavano il Giudizio preconizzato da Daniele e i pagani invece la guerra degli dèi; e il popolo dal canto suo si ribellò e rifiutò ogni ulteriore obbedienza ai propri capi, e nel suo furore si diede a distruggere tutto quello che gli capitava sottomano. In poche parole, in un paio d'ore la città si trovò in preda alla massima anarchia, la cui colpa deve però venire attribuita in grandissima parte a quegli stolti sacerdoti.
2. Tra quella gente, infatti, se ne sono trovati alcuni non del tutto digiuni della storia e della sapienza egiziana, i quali, dall'improvviso scomparire del sole apparente, non rimasero particolarmente impressionati, dato che avevano appreso dalle antiche leggende egiziane che simili fenomeni si erano già verificati più volte senza che la Terra ne riportasse alcun danno. D'altro canto qualche fariseo israelita venne indotto a pensare tra sé, che eventualmente fosse di nuovo sorto un qualche Giosuè, il quale posto dinanzi ad un compito grave e importante avesse nuovamente comandato al Sole di splendere più a lungo del solito!
3. È da notare ancora che presso una certa setta d'israeliti vige la credenza che, a ricordo eterno della completa vittoria su Gerico, ogni cento anni, nel giorno anniversario, il Sole rimanga più a lungo sul firmamento senza perciò esercitare nessun maligno influsso sulla Terra; dunque neppure questa specie di farisei si intimorì per quel fenomeno.
4. Alcuni maghi dell'Oriente, che in occasione di un viaggio intrapreso si trovarono presenti essi pure in città, dichiararono da parte loro che il Sole, ogni qualvolta si ottenebra completamente durante il giorno, splende poi la sera più a lungo per risarcire la Terra dei danni causati. Dunque, neppure questi si spaventarono, ma tutti furono concordi nel volgere il fenomeno a loro profitto, e precisamente in modo da suscitare tra il popolo un terrore d'inferno.
5. Dopo che svanì il sole apparente, il popolo non mancò di ricorrere a tutti quei mezzi atti a rendere benevole le divinità, mezzi che gli venivano suggeriti dai sacerdoti delle varie religioni; ma a causa della cupidigia sfrenata di questi, tutto ciò era ancora troppo poco, poiché il popolo non sembrava disposto a sacrificare proprio tutte le cose preziose che possedeva.
6. Di questo lurido imbroglio però si accorse subito un vecchio ed onesto greco, esperto egli pure nelle scienze naturali, e costui, raccolti intorno a sé alcuni fra i più assennati del popolo, li condusse a casa sua e là spiegò loro nel miglior modo possibile e con poche parole come il fenomeno verificatosi nella giornata fosse del tutto naturale, e come non fosse da temere assolutamente alcuna mala conseguenza; ma per di più egli li rese attenti delle varie specie di imbrogli dei sacerdoti di ogni tipo, tutti senza coscienza, aggiungendo: "Vedete, se ci fosse qualcosa da temere dalla strana apparizione avuta oggi, questa razza astuta di sacerdoti non correrebbe affatto con tanto zelo girando per le vie con le tasche aperte e pronte a ricevere quello che essa chiama offerte, ma che sono invece delle pure estorsioni! Ma quando, tra alcune ore, il Sole certamente sorgerà di nuovo nel suo pieno splendore, quegli stessi imbroglioni dell'umanità faranno una nuova corsa per le vie per prendere dalla gente altre offerte, questa volta però di ringraziamento. Andate, dunque, ed annunciate al misero popolo ingannato che sono io, il vecchio greco abbastanza esperto su più di una cosa, che mando a dire loro come sta la faccenda!»
7. Dunque, questo vecchio scienziato greco godeva ottima fama presso il popolino e la sua asserzione si diffuse perciò in un baleno. Non era trascorsa nemmeno un'ora che il Giudizio universale assunse tutto un altro aspetto ed i sacerdoti delle varie specie dovettero restituire tutte le offerte, e poi, se ancora in tempo, prendere velocemente il largo, perché il popolo esasperato si faceva sempre più minaccioso e nessuno di quegli unti servitori degli dèi era ormai più sicuro della propria vita.
8. Questo Io naturalmente l'avevo previsto, e perciò informai anche Ouran poco prima che si avessero i manifesti indizi della insurrezione popolare contro le varie specie di sacerdoti, anche se, d'altra parte, molta altra gente si trovava in preda al terrore, fuori dalla città, in attesa dei terribili avvenimenti annunciati dalle profezie.
9. Subito dopo questo Mio avviso, si poté osservare come vari edifici cominciassero d'improvviso ad ardere, ed allo stesso tempo un clamore immenso levantesi dalla città giunse perfino alle nostre orecchie.
10. Allora Cirenio assieme a Giulio Mi vennero frettolosamente vicino e Mi domandarono tutti preoccupati che cosa mai accadesse nella città, perché tutta la questione appariva a loro molto somigliante ad una rivolta popolare! Io però spiegai a entrambi, in poche parole, quale era veramente la situazione, e precisamente quello da Me ora esposto.
11. E quando Cirenio e Giulio ebbero inteso il Mio racconto, riacquistarono la calma e Mi chiesero soltanto se non ci fossero da temere eventuali altre cattive conseguenze.
12. Io però risposi loro: «Per voi del tutto in nessun modo, ma non così per quei sacerdoti delle varie razze, perché ora il popolino, fattosi avveduto, sta adesso appunto ammansendo gli dèi mediante olocausti, dando alle fiamme le abitazioni dei sacerdoti e i templi degli stessi dèi. Ora credo che voi certo non rimpiangerete la sorte che tocca ai sacerdoti, dato che quella perversa progenie di serpenti e di vipere deve una buona volta venire estirpata. Il sole fittizio ha avuto una buona luce, poiché essa rivelò al popolo cieco le ignominie dei loro servitori degli dèi, e questi stanno adesso ricevendo il premio che già da lungo tempo hanno meritato!»
La gioia di Marco per la punizione toccata ai sacerdoti.
1. A questo punto anche Elena si ridestò dal dolcissimo e beato sopore in cui l'aveva immersa la sua foga d'amore, ed ebbe non poco timore quando si accorse dell'agitazione che regnava fra i presenti sulla collina, e vide contemporaneamente le fiamme innalzarsi dalla città. Però Giara la prese subito per mano e le spiegò come stavano le cose; dopo ciò Elena riacquistò immediatamente la sua calma e disse: «Nell'anima mia già da una buona ora c'era il presentimento che questa città sarebbe andata quasi inevitabilmente incontro a un simile destino, subito dopo il rapido svanire del sole apparente, ed ecco che i nostri occhi e le nostre orecchie sono già testimoni come il mio presentimento, certo alquanto triste, sia diventato realtà! Ma Tu, o Signore, non c'è dubbio che simili avvenimenti li prevedesti già quando facesti sorgere quel sole fittizio, e soltanto ora comincia a venire alla luce il vero motivo per il quale Tu l'hai fatto splendere!»
2. Dico Io: «Oh, certo, cara figlioletta Mia, può ben darsi anche che la cosa stia in questi termini! Una luce, da Me posta sul firmamento, persegue sempre una quantità di buoni scopi oltre a quello soltanto dell'illuminazione, ciò che davvero non è se non una funzione affatto secondaria.
3. Considera la luce del Sole! Il suo splendore di per se stesso sarebbe qualcosa di minimo e di assolutamente secondario, ma poni attenzione invece a tutte le creature libere della Terra, partendo dal punto di vista della loro natura esteriore, e tu allora potrai constatare gli effetti della luce e del calore solare tali che nessun scienziato di questo mondo li ha mai presentiti nemmeno in sogno, eppure sono tutti effetti della luce solare!
4. Già questa sola Terra potrebbe rivelarti l'esistenza di tante e così svariate cose prodigiose quali conseguenze della luce solare, che tu neanche in molte migliaia d'anni non riusciresti a scorrerle tutte con gli occhi del tuo corpo, e meno che meno poi a numerarle!
5. Ma intorno a questo Sole, la luce del quale già su questa Terra produce tante meraviglie, ruotano molti altri corpi mondiali anche più grandi della Terra, sui quali la medesima luce suscita fenomeni e cose meravigliose del tutto nuove ed a voi inaccessibili, anzi, ciascun corpo mondiale illuminato dall'uno e medesimo Sole subisce dei fenomeni del tutto nuovi e differenti da quelli di un altro mondo! Ora, vedi, tutto ciò è l'effetto dell'una e medesima luce!
6. Se vuoi ora concludere, devi ammettere con assoluta certezza che Io non ho fatto apparire il sole fittizio unicamente per far durare la luce molto più a lungo. Che ne pensi tu, Mia cara figliola?»
7. Risponde Elena: «O Signore, Tu immenso ed unico Santo! Qui ogni pensiero umano cessa di avere valore per l'eternità! Perché la Tua grandezza e la Tua sapienza abbracciano l'infinito, e chi può allora scrutare nelle profondità della Tua Onnipotenza?
8. È già qualcosa di infinitamente grande che io Ti possa amare sopra ogni cosa e che possa essere beatissima in questo amore, del quale il mio cuore in eterno non sarà certo mai completamente degno! Ma il volere fare altre indagini, riguardo al Tuo divino Essere santo ed imperscrutabile, sarebbe a mio parere, per un cuore umano, la massima delle pazzie! Questa, o Signore, è la mia opinione!
9. Si può amare certamente sopra ogni cosa, e questo io ritengo che sia la felicità suprema, ma scrutare nel Tuo Essere, questo non lo potrà mai in eterno nessun spirito!»
10. Dopo queste parole della bella Elena, espresse ancora nel massimo trasporto del suo grande amore per Me, interviene il vecchio Marco e dice: «O Signore! Io credo che considerando quel fuoco anche i molti bei pesci, che dovetti fornire a titolo di decima ai sacerdoti d'Israele, probabilmente non tarderanno ad essere bolliti ed arrostiti a dovere! Tu sai, o Signore, che nella misura delle mie forze io sono, verso chiunque, di tutto cuore ospitale; in verità, quando ho potuto donare qualcosa a qualcuno, la mia gioia è stata maggiore di quella di colui al quale avevo fatto il dono; ma quella decima ai farisei mi ha sempre avvelenato l'anima. E adesso osservo che le case più colpite dal fuoco sono quelle dei sacerdoti ebrei! Questo è proprio un buon giorno di scadenza per i poltroni ed imbroglioni privi del tutto di coscienza; io me ne compiaccio più che se qualcuno mi avesse fatto dono di dieci fra le più belle case della città. Io davvero non sono stato mai uno di quelli che gioiscono del male altrui, ma questa volta, perdonami o Signore, non posso reprimere la mia grande contentezza.
11. Perché il donare qualcosa a chi ne ha bisogno è una beatitudine per chiunque sia di cuore buono, e il dare la meritata ricompensa a chi ha lavorato per noi, o magari di più ancora, è sacro dovere di ciascuno, come pure un sacro dovere di ogni onesto cittadino è quello di pagare le imposte commisurate in proporzioni umane dal reggente del paese. Infatti, chi governa il paese deve sobbarcarsi gravi cure e dispendi per mantenere l'ordine e la sicurezza nel paese stesso, ed i sudditi sono tenuti a fare volentieri, per amore del prossimo, tutto ciò che il reggente ritiene salutare per tutto lo Stato e richiede dai sudditi.
12. Ci possono essere dei tiranni, i quali opprimono e spremono completamente il popolo, questo è vero, ma di solito dopo un tiranno viene un buon reggente, e il popolo ha poi occasione di riaversi.
13. Ma la classe dei sacerdoti resta invece sempre uguale a se stessa; attraverso i secoli essa tiranneggia ininterrottamente il popolo come un vampiro, l'opprime molto spesso ignominiosamente sotto il peso di imposte inaudite e inumane e da parte sua non dà al misero popolo che il più grossolano inganno proveniente dagli angoli più disparati. Ah, ma allora è impossibile che un galantuomo non lodi e glorifichi Dio, il Signore, quando Egli fa finalmente scendere il Giudizio su questi induriti odiatori ed ingannatori dell'umanità! Ed io perciò sento davvero come un balsamo che si riversa nel mio cuore, ora che vedo le sinagoghe e le belle dimore, particolarmente dei farisei, avvolte entro le più maestose fiamme e proprio in una vigilia di Sabato; e domani, che è Sabato, a quei figuri non è permesso fare collette né alcuna altra cosa. Oh, questi tristi figuri d'antico pelo, e mai sazi, se la sono già da lungo tempo ben meritata una simile buona lezione!»
14. Dico Io: «Ma sei tu davvero sicuro che questa illuminazione della città vada riferita proprio ai farisei ed anche agli altri sacerdoti pagani?»
15. «Oh», dice Marco, «poco fa io ero giù in casa, ed ho dato qualche disposizione riguardo ai poveri che potrebbero presentarsi domani. Ora è accaduto che mentre accudivo alle mie faccende sono capitati tre giovani greci, ai quali ho fatto dare del pane e del vino, ed essi mi hanno raccontato così per sommi capi quello che adesso succede in città; e dico il vero che avrei voluto poter pagare ciascuna loro parola con una grossa perla, tanto fu la mia gioia nell'averle intese! Ecco che il sole apparente ha avuto anche questo salutare effetto!»
16. Dico Io: «Ma domani dovrai pur pagare la tua gioia, perché molti tra i farisei verranno a mangiare alla tua mensa»
17. E Marco risponde: «Ben volentieri, per questa gioia che mi hanno procurato io sono disposto a provvedere per quei figuri anche per otto giorni di seguito, e forse, in questa occasione, l'uno o l'altro finisce con il diventare uomo; poiché a Te, o Signore, tutte le cose sono possibili».
La gioia per il male altrui è biasimevole.
1. Dopo queste ed altre parole di approvazione da parte di Marco e di qualcun altro ancora che aveva udito il suo discorso, Elena osserva una fiammata d'un biancore straordinario innalzarsi a grande altezza, così da rischiarare intensamente tutta la regione. Anche Cirenio rimane colpito alla vista di questa fiamma che si eleva dal centro della città, tanto più che la fiamma si faceva sempre più grande, più alta e più vivida.
2. Ora, di notte ogni luce ha la proprietà di provocare un'illusione ottica in chi guarda, e ad un tale che non abbia la necessaria esperienza la luce stessa appare sempre più vicina, quanto più aumenta in grandezza ed intensità, pur rimanendo al medesimo posto ed alla stessa distanza. A riprova di ciò basti citare il caso dei bambini, i quali quando splende la Luna piena stendono spesso le mani quasi per afferrarla, per il motivo che dato il suo splendore essa sembra loro vicinissima, e per la stessa ragione anche i cani talvolta le abbaiano contro.
3. L'identica impressione riportò pure Elena quando la fiamma cominciò ad aumentare in grandezza e splendore, e perciò Mi rivolse la preghiera, affinché Io comandassi alla mala fiamma di non avvicinarsi e di non recarci danno!
4. E allora Io dissi: «Oh, non fate proprio come i piccoli fanciulli! L'avvicinarsi della fiamma non è che una comunissima illusione ottica. La ragione però per la quale la fiamma si è fatta vivida è la seguente: "Nel grande palazzo del capo dei farisei, il fuoco ha raggiunto la spaziosa dispensa, dove si trovavano depositati circa cento quintali di olio finissimo, conservati dentro a delle botti robuste, oltre a varie botti di purissimo olio minerale per l'illuminazione del proprio palazzo, nonché un'abbondante provvista di burro, latte e miele. Tutti queste cose grasse hanno preso fuoco, ed ora già alimentano in maniera così poderosa le fiamme, ed in questa occasione, come tu o vecchio Marco te lo sei prima segretamente augurato, anche i pesci della decima sono in procinto di venire arrostiti per bene! Giacché nella grande dispensa di pesci ce n'erano già una bella quantità pronta ad essere preparata per domani". Che cosa dici tu, o Marco, di queste cose?»
5. Risponde Marco: «O Signore, Tu che puoi scrutare nel mio cuore con altrettanta chiarezza quanto nella grande dispensa del capo dei farisei, Tu sai bene che né ora né mai io sono stato uno di coloro che si rallegrano del male altrui. Da soldato certo ero molto rigido nell'adempimento del mio dovere, però non ho mai recato danno a nessuno di mia volontà, eccettuati i casi dove la legge aveva già prima condannato, le cui conseguenze non potevano naturalmente venire attribuite a me. Tuttavia, anche in questi casi non ho provato mai una certa gioia, quando il rigore della legge veniva a colpire qualcuno. E così pure qui, nel nostro caso, io non provo affatto un senso di soddisfazione per la sciagura in se stessa o per il fatto che i miei pesci buoni e belli stanno adesso arrostendo laggiù ad unico vantaggio degli spiriti dell'aria, ma una vera gioia la provo invece per il fatto che a questi antichi tormentatori dell'umanità viene ora, finalmente, impartita una lezione energica ed abbondante sotto tutti i riguardi.
6. Perché la distruzione dei tesori per opera del fuoco sarebbe il meno, ma è la totale contemporanea distruzione della fede nelle loro dottrine; questo è il vero danno irrisarcibile che essi sono costretti perciò a subire, e d'altro canto l'immenso vantaggio che ne ritrarrà il popolo ingannato. Perché questo avrà adesso l'orecchio e il cuore certo molto ben disposti ad accogliere la verità divina e pura, ed è questa veramente la ragione per la quale io mi rallegro; e forse può accadere che i sacerdoti colpiti dalla sciagura, qualora non siano troppo induriti di cervello e di cuore, divengano essi pure più accessibili alla verità di quanto lo sarebbero stati nella loro ricchezza. Ad ogni modo la mia opinione è che la giornata di domani ci darà occasione di fare più di un memorabile esperimento! Dimmi adesso, o Signore, se ho ragione, o se forse anche questa mia gioia è condannabile ai Tuoi occhi!»
7. Dico Io: «Oh, per nulla affatto, poiché se nel concedere che tutto ciò avvenisse Io non avessi avuto le stesse ragioni per le quali tu ora veramente ti rallegri, tu non avresti visto sorgere il sole apparente, e questo spettacolo dell'incendio sarebbe mancato. Ma da principio vi era senz'altro nel tuo cuore una traccia di gioia maligna, poiché avevi del rancore contro i farisei per il diritto alla decima, che veniva fatto valere spietatamente e senza coscienza. Ed ecco: qui è anche fondata la lieve critica che ti ho mosso prima, per cui ti dissi anche che domani avrai da accogliere diversi sacerdoti rovinati dall'incendio, però neanche questo si risolverà a tuo danno.
8. Vedi, un uomo, perché sia veramente perfetto, deve essere perfetto in ogni suo sentire, in ogni suo pensiero ed in ciascuna sua azione, altrimenti egli non è di gran lunga ancora maturo per il Regno dei Cieli di Dio.
9. Immagina il caso di un rozzo e maligno violatore di ogni buona legge che tutela il consorzio umano, di un vero nemico di ogni buon costume, insomma di un tale che potrebbe senz'altro chiamarsi fratello di Satana. Immagina che da lungo tempo questo tale vada esercitando, impunito, le sue raffinate malvagità, e che non sia possibile prenderlo, dato che la sua astuzia veramente satanica lo protegge. Molta gente non si augura niente con maggiore ansia che di vedere in qualche modo il malfattore raggiunto al più presto dal braccio punitore della giustizia!
10. Finalmente alla giustizia riesce di mettere le mani sull'audace malandrino e di chiamarlo a rispondere dei suoi delitti, per poi infliggergli l'aspra e dolorosissima punizione da lungo tempo meritata! Ora tutti, grandi e piccoli, gioiscono perché il malvagio sta per subire una buona volta il castigo che da tempo gli spetta, anzi, ci sono addirittura di quelli, normalmente galantuomini, ai quali duole che in una simile occasione non spetti a loro, per autorizzazione legale, di fungere personalmente da carnefici nei confronti del malfattore che si è attirato l'odio generale, e per poter tormentare nel modo più spaventoso immaginabile un simile rigurgito dell'Inferno!
11. Ma ora si ponga ad un cuore e ad un intelletto puri la domanda, se una gioia di questo genere si addice anche ad un uomo perfetto! Ed un cuore puro ed un intelletto altrettanto puro risponderanno, senza alcun dubbio, che l'umanità, tormentata per lunghi anni da questo scellerato, sia finalmente liberata da lui e, al riparo dalle sue insidie, possa una buona volta vivere di nuovo in pace; di questo io certo mi rallegro, ma molto, moltissimo di più gioirei se il malvagio avesse riconosciuto la propria perfidia, se l'avesse deplorata e se si fosse ravveduto, diventando così persona utile al consorzio umano, ed avesse tentato con ogni mezzo possibile di riparare il male commesso in passato!
12. Dite, a quale di questi due sentimenti dareste la preferenza: al primo, che è quello della gioia maligna per la punizione del malfattore, oppure al secondo, accoppiato ad un augurio puro e veramente ispirato ad umana carità?»
13. Risponde Marco: «Oh, in questo caso la scelta non può essere dubbia, perché il secondo sentimento è il solo che si addice ad un uomo, mentre il primo è a mio giudizio ancora molto rozzo, egoista e animalesco!»
Mataele viene nominato viceré.
1. Dice Ouran: «Io non ho mai udito ancora esprimere dei sentimenti ispirati a un tale grado di umanità! Io stesso sono un uomo ed un reggente di molte centinaia di migliaia di sudditi, e dappertutto corre la fama che questi miei sudditi siano i più felici di tutto il Ponto. Tuttavia ho sempre dovuto applicare la legge come la emanava Roma, salvo qualche lieve mitigazione, che soltanto da parte di Roma mi veniva concessa, data la mia qualità di reggente feudatario. Però, quantunque mitigate, queste leggi mi sono sempre apparse dure!
2. Trattandosi di leggi, oh quanto poco viene presa in considerazione la natura umana e come nessuna attenzione si fa se ad una o all'altra persona, data la sua natura e le sue particolari qualità, sia o no possibile osservare una data legge! Quale stoltezza non sarebbe il sostenere che una scarpa debba adattarsi a ciascun piede, ma quanto più stolta ancora appare una legge che non fa nessuna distinzione e che viene imposta a ciascuno, qualunque sia la natura e le sue specifiche qualità!
3. Ma come Tu, o Signore e Maestro, hai ora espresso chiaramente le leggi della vita, e secondo queste ciascuno può veramente regolarsi con la massima facilità, qualunque sia la sua natura e le sue caratteristiche individuali e può osservare di conseguenza con altrettanta facilità simili leggi supremamente umanitarie! Quando sarò di ritorno al mio paese, le cose dovranno là assumere ben presto un altro aspetto!
4. A Mataele ed ai suoi quattro compagni, che adesso sono tutti vestiti alla foggia romana, io darò da indossare delle vesti da alti dignitari greci, ed essi mi aiuteranno ad organizzare nel migliore dei modi il mio piccolo stato. Mataele già anzi fin d'ora lo nomino mio primo consigliere, e poiché non ho figli maschi, lo innalzerò contemporaneamente alla dignità di viceré»
5. Allora interviene Cirenio, che aggiunge: «Ed io, nella qualità di supremo governatore di Roma con giurisdizione su tutta l'Asia ed una parte dell'Africa, che detengo ogni potere su queste regioni per volontà di Cesare Augusto imperatore che fu mio fratello, ed ora pure per volontà di suo figlio, confermo questa eccellente scelta fra tutte! Tu, o Ouran, non avresti potuto trovare in tutto il mondo un ministro e un successore più degno! DIXI! (Ho parlato!) Cirenio.
6. Ed Io concludo: «Ed Io pure gli impartisco la Mia conferma, perché nello spirito egli porta già da tempo la Mia unzione; tu però, o Ouran, giunto al tuo paese potrai ungerlo anche con l'olio di nardo dinanzi al popolo ed a tutti i grandi del tuo regno, affinché sappiano con chi avranno a che fare e per il rispetto che gli dovranno. Egli, meglio di un grande esercito con i più scelti guerrieri, saprà difendere il tuo regno contro le insidie e le incursioni degli Sciti. E quando inizierà la sua attività nella nuova carica, Io a tale scopo gli conferirò anche un potere straordinario; frattanto però egli non ne ha ancora bisogno, perché la sua sapienza gli è sufficiente!»
7. Dice Ouran: «O Signore, non sarebbe forse già adesso il momento buono, datane la possibilità, di convertire quegli Sciti molto pericolosi alla conoscenza del Tuo Essere? È davvero un peccato che quella stirpe, fisicamente meravigliosa, si mantenga sempre nel suo stato rozzo di assoluta incultura. Fra di loro si possono riscontrare degli individui di una struttura talmente perfetta, quali non si possono trovare in nessuna altra parte del mondo, ma per quanto concerne lo spirito, il loro valore è del tutto nullo.
8. Molte volte c'è da restare meravigliati, quando ci si imbatte in una maestosa figura d'uomo di questa specie, o meglio ancora in una giovane dalla bellezza più che paradisiaca, e si deve constatare che ben spesso né l'uno né l'altra conoscono nemmeno un linguaggio, ma si esprimono con dei grugniti a somiglianza dei maiali, che essi stessi certo non possono comprendere e men che meno poi gli altri. Io vorrei avere questi Sciti sotto il mio dominio, non per qualche brama di conquista, ma per farne veramente degli uomini. Non potrebbe venirmi concesso ciò?»
9. Rispondo Io: «A questo fine ti renderanno buoni servizi i compagni di Mataele, e il tuo desiderio verrà ampiamente soddisfatto; però, condurre tutti gli Sciti sotto il tuo scettro, sarà compito quanto mai difficile, dato che il loro regno ha una estensione immensa. Ad ogni modo, quelli che dimorano vicino al Ponto potrai guadagnarli alla tua causa ed alla civiltà, secondo il tuo intendimento migliore»
10. Dice Ouran: «O Signore, grazie eterne Ti siano perciò rese, a nome mio e di tutti coloro che attraverso la Tua dottrina verranno destati nello spirito! In verità, da parte mia non verranno risparmiate fatiche, né faranno difetto la perseveranza e la buona volontà, venga soltanto la Tua grazia a confortare questi miei propositi!»
11. Dice Cirenio: «Ed io aggiungo che sei autorizzato a considerare tuoi immediati sudditi quanti fra gli Sciti potrai ridurre sotto il tuo scettro. Se li vuoi riconoscere in via non ufficiale, a Roma, quali sudditi diretti dell'impero, sarai esonerato per dieci anni di seguito dalla corresponsione del canone d'investitura per tutto il tuo intero grande paese ed ai tuoi successori verrà riconosciuto il pieno diritto d'eredità, cosicché, trascorso il periodo di completi trent'anni, l'investitura del tuo paese non verrà più concessa ad un maggiore offerente. La conferma di tutto ciò, che ora ti ho detto, verrà consegnata da me nelle tue mani entro la giornata di domani, scritta su pergamena e da valere per sempre. Soltanto un nemico esterno potrà strapparti con la forza tale concessione, ma da parte di Roma essa ti rimarrà per tutti i tempi»
12. Allora Io dico a Cirenio: «Ebbene, dagli questo documento scritto oggi stesso, perché domani è Sabato, e noi non vogliamo essere causa di scandalo per deboli di spirito»
13. Osserva Cirenio: «O Signore! Come posso scrivere qui, adesso che è mezzanotte, il promesso documento? Ma domani lo preparerò prima del sorgere del Sole e allora la cosa non potrà essere di scandalo per nessuno!»
14. Io dico: «Guarda qui, il Mio Raffaele è già pronto con tutto. Ecco, prendi questo documento, leggilo e vedi se corrisponde interamente alle tue intenzioni!»
15. Cirenio prende la pergamena in mano e accostatosi ad una fiaccola la legge, e trovatala concordante parola per parola con il testo che egli aveva nella mente, esclamò: «Se io fossi per la prima volta testimone di un fatto simile, ne sarei estremamente meravigliato, ma io ho già più volte avuto da Raffaele prove della sua abilità prodigiosa e perciò non mi meraviglia più che per lui un lavoro di questa specie sia appunto così facile come è facile per ciascun uomo penetrare, in un istante, con il proprio occhio fin là, dove brillano le più lontane stelle. Ed ora che il documento è pronto, bisogna che passi immediatamente in possesso di Ouran»
16. E detto questo, Cirenio porge l'atto ad Ouran, rivolgendogli le seguenti parole: «Prendilo a tua garanzia e dei tuoi successori, e vedi di guadagnare i tuoi sudditi al Regno di Dio, al Regno dell'Amore ed al Regno dell'eterna verità, i quali sono scesi dai Cieli in maniera tanto prodigiosa a noi mortali nella Persona di Gesù, il Signore, da Nazaret! In Lui noi siamo ed in Lui ora viviamo e vivremo per l'eternità!»
Elena in sposa a Mataele.
1. Ouran ringrazia Me e Cirenio dal profondo del cuore, ed altrettanto fa anche Elena che ai ringraziamenti aggiunge pure la domanda: «Ma mio padre non ha discendenti maschi; chi dunque gli succederà nel regno?»
2. Ed Io le rispondo: «Ma, o Elena Mia carissima, non vi ho già dato Io un successore dotato di sapienza grandissima, che tuo padre ha anzi innalzato alla dignità di viceré; e non vi sta bene quello?»
3. Risponde Elena, quasi in lacrime per la gioia: «Oh, se ci sta bene? Ma io ho ben dovuto fare questa domanda per sentire, con tutta precisione, qual è la Tua santa volontà, che sola ha per me valore! O Signore! Perdonami, dunque, se così facendo Ti ho forse offeso!»
4. Le dico Io: «Oh, a questo riguardo sii perfettamente tranquilla, perché nessuna creatura umana può mai in eterno offenderMi, e men che meno poi tu. Ma giacché tu Mi hai ora interrogato riguardo a una cosa che sapevi benissimo anche senza la domanda, ti interrogherò adesso anch'Io riguardo ad una cosa che anch'Io potrei conoscere anche senza che tu Mi risponda!
5. Guarda un po' Mataele! Tuo padre lo ha ormai nominato viceré, e come tale egli è pure stato confermato da Cirenio e da Me. Come vedi, egli è ancora giovane e non ha più di ventott'anni; dimMi: "Ti piacerebbe averlo per marito?"»
6. A queste parole Elena china pudicamente un po' gli occhi, e dice dopo una breve pausa: «O Signore! Ma dal Tuo sguardo non c'è proprio niente di sicuro di ciò che si porta, per quanto accuratamente celato, nel proprio cuore? Tu certo hai scrutato nel mio cuore e hai trovato che io voglio un gran bene a Mataele; ed ora hai svelato il mio segreto prima che avessi occasione di svelarlo a me stessa. Ma poiché ormai il mio segreto è rivelato, alla Tua santa domanda io non posso che rispondere con un sì quanto mai sincero. Io certo amo molto Mataele, ma adesso bisognerà anche vedere se anche lui potrebbe amarmi!»
7. RivoltoMi allora a Mataele, Io gli dico: «O amico Mio, adesso puoi in tutta tranquillità continuare la conversazione!»
8. Risponde Mataele: «O Signore, o sublime Dio! Nel mio cuore mai Tu appari così grande come quando Tu, perfettamente da uomo, parli con noi uomini! Oh, se io potessi amare questa pura vergine che in tutto il suo essere ti è davvero devota, se la potessi amare con quell'ardore con cui amo Te, o Signore! Ma essa è una splendidissima figlia di re, mentre io non sono che un povero figlio di cittadini, neanche effettivamente di Gerusalemme ma dai dintorni di questa grande città, la quale ha cento porte e più di dieci volte centomila abitanti, fra i quali io ed i miei non siamo neppure annoverati! Ecco, questo è il punto difficile della questione!»
9. Dico Io: «E poi, non c'è altro? Cos'era dunque Davide, per quanto riguardala sua nascita? E chi Saul? Chi ha eletti ed unti questi due a re d'Israele?
10. Ma se Io ora faccio di te quello che un giorno feci ai due che ho nominato, come non potresti essere pari in rango ad Elena? Credi forse che Io non avrei sufficiente potere, per porti all'istante sul trono imperiale di Roma?
11. La forza e la potenza dell'angelo Raffaele, qui presente ai nostri servizi, tu già la conosci, ma ad un Mio cenno obbediscono immediatamente mille legioni di simili angeli; e chi mai vorrà entrare in lotta con loro? Già il potere di Raffaele è più che sufficiente a ridurre in un istante tutta questa Terra in polvere; ora quanto più facile compito non sarebbe dunque per lui il detronizzare l'imperatore di Roma e il porre pacificamente un altro sul suo trono? Ma tale cosa ora non avviene - anche se non è la forza che Mi manca, come mai Mi mancherà - perché Io so bene le ragioni per cui gli attuali imperatori sono lasciati sul trono di Roma! Ma perciò anch'Io ho il più illuminato potere di darti quello che Io voglio e di collocarti al posto che voglio. Ora, date simili circostanze, chi potrà contrastarCi?
12. Vedi, il potere di Dio arriva più lontano di quello di un re di questa Terra! Ovvero, la vita di un re non sta nelle Mie mani altrettanto quanto quella di un mendicante? Basta il più lieve alito di Volontà del Mio Spirito e tutta quanta la Creazione non esiste più! Dunque, o amico Mio, non darti pensiero, perché ciò che Io dico vale per l'eternità, e quando eleggo qualcuno e lo pongo ad un posto, questo è e resta per lui intoccabile come inoppugnabile è la Mia decisione. Io solo sono il Signore e faccio tutto secondo la Sapienza e l'Amore assolutamente Miei propri, e nessuno può efficacemente chiederMi: "Signore, perché fai questo o quello?". Oh, altra cosa è se qualcuno, nell'amor del suo cuore, si rivolge a Me e Mi domanda qualcosa, certo allora Io gli porrò nel cuore una risposta che lo illuminerà; ma se qualcuno volesse disputare con Me, egli non otterrà alcuna risposta ed avrà invece un giudizio! Sii dunque tranquillo; quando Io ti faccio re, tu lo sei anche effettivamente, e chi vorrà scendere in campo contro di te, sarà schiacciato! Prendi perciò in pace la mano di Elena, poiché essa è e resta la tua sposa diletta!»
13. Allora Ouran si alza, e tutto compenetrato da immensa gratitudine esclama: «O Signore, Tu, l'Onnipotente dall'eternità, come potrò io da misero peccatore che sono, come potrò mai ringraziarTi in maniera che sia almeno un po' degna di Te? Perché Tu vai largendomi continuamente grazie supreme ed inapprezzabili benefici! Oh, quale grave preoccupazione, che durava già da lungo tempo, Tu hai levato dal mio cuore!
14. Com’è duro compito, per un padre sensibile, destinare all'unica propria amata figlia un marito del quale si possa, almeno con relativa certezza, asserire in anticipo che è pienamente adatto alla propria figlia e che la renderà felice. Quali sacrifici non hanno offerto dei genitori, ben spesso nei templi matrimoniali d'Imene (templi per la celebrazione dei matrimoni), per il bene delle loro figlie maritate, nella credenza di assicurare a loro un felice matrimonio; sennonché anche troppo spesso ogni sacrificio è stato vano! Nonostante tutto ciò le unioni risultarono infelici e la figlia maritata divenne fin troppo spesso una vera schiava, anziché l'amica e fedele compagna del proprio marito!
15. Ma qui è avvenuto, come si apprende dalle leggende antiche, che cioè le vere unioni vengono concluse dagli dèi nei cieli. Va da sé che nel nostro caso l'erroneo concetto di dèi deve essere del tutto lasciato da parte, poiché quando si è trovato l'Uno solo e vero Dio, allora gli dèi creati dalla fantasia umana hanno cessato di esistere!
16. Questa unione dunque è stata da Te stesso, o Signore, decisa e consacrata, ed io di conseguenza posso ora senz'altro affidarmi tranquillamente alla speranza che ad essa non verrà nemmeno a mancare la Tua benedizione, o Signore, benedizione che deve certo venire prima meritata con l'esatta osservanza della Tua santa Volontà, altrimenti non potrebbe venire concessa!
17. O Elena, mia dilettissima figlia! Ti saresti immaginata, quando iniziammo il nostro lungo viaggio con l’intenzione di cercare la vera sapienza e lo sconosciuto Dio di tutti gli dèi e di condividere tutto questo con i nostri popoli e di renderli in questo modo i più felici possibile, che noi due saremmo stati resi così indicibilmente felici in questo posticino abbandonato, deserto e assolutamente insignificante?
18. Vedi tu, figlia mia, come la mia ammonizione a te spesso rivolta, e cioè che "chi tutto vuole trovare, deve cercare soltanto Dio", abbia trovato qui la sua piena conferma! Tu sospiravi quando noi lasciammo la nostra città con il segreto proposito nel cuore di non farvi ritorno prima che non avessimo trovato la verità e l'unico e vero Dio, e dicesti accorata: "O padre mio, è probabile che non vedremo mai più questa nostra città e questo bel paese", ed io allora ti dissi: "Non conturbare il tuo cuore, figliola mia, noi non andiamo a depredare nessuno, né usciamo a minacciare la guerra a qualcuno dei nostri vicini, ma andiamo in cerca della felicità suprema per noi e per il nostro paese! Nessun Dio, né alcuna potenza del mondo può, sotto alcun aspetto, chiamare cattivo questo nostro progetto", allora tu riacquistasti la quiete e noi demmo coraggiosamente inizio al nostro viaggio! Ma è appunto da questo momento che faccio appello alla tua memoria, e ti chiedo se allora avesti un qualche lieve presentimento di tutto il bene e di tutta la felicità che in misura così esuberante ci è stato dato di trovare qui!?».
Il ringraziamento ed i buoni propositi di Elena.
1. Risponde Elena: «O padre mio! Qual è il mortale che di tutto questo avrebbe potuto avere anche il più lontano presentimento? Oltre a ciò, nonostante tutto il nostro migliore sentire e pensare, noi eravamo ancora troppo profondamente sepolti nel paganesimo, e non eravamo perciò atti a concepire un’idea abbastanza pura per poter con il suo ausilio raffigurarci, sia pure in forma quanto mai vaga, tutto quello che unicamente per la grazia di Dio, il Signore, abbiamo qui ricevuto in dono direttamente dalle Sue proprie mani!
2. Ed ora e in eterno noi non possiamo fare altro per Lui che amarLo continuamente con tutte le nostre forze, ed i fratelli e le sorelle, che sono nostri sudditi, li vogliamo amare come la nostra stessa vita per mezzo del fatto che in fedeltà e verità annunceremo loro il Nome sublime e santissimo dell'unico vero Dio ed attueremo per loro un sistema di governo attraverso il quale essi potranno diventare uomini veramente graditi a Dio, il Signore, procedendo per le vie del vero amore e della vera umiltà! Ed ora Mataele, il diletto consorte mio, ci offrirà in unione ai fratelli suoi, a questo scopo, la forza del suo braccio e la potenza del suo saggio cuore, e così il nostro bene sarà nel Nome del Signore pure il suo, e il suo bene sarà a sua volta il bene di tutti i nostri molti sudditi.
3. Questo è tutto ciò che dal profondo del mio cuore afflitto e colmo di gratitudine posso ora, in fedeltà e verità, dichiarare e confessare al cospetto di Dio, il Santissimo. O Signore! Siano però la Tua grazia e la Tua misericordia costantemente con me, misera peccatrice dinanzi agli occhi Tuoi, perché Tu solo sai meglio di tutti quanto dei carichi della vita terrena io sarò capace di sopportare. Non senza carichi voglio percorrere la via di questa vita, ed io volentieri li porterò nella misura della forza che Tu, o Signore, mi hai concesso; ma, o Signore, oltre questa forza non volermi tentare!»
4. Le dico Io: «Dolce è il Mio giogo e lieve il Mio carico; ma così, una piccola aggiunta di quando in quando, non potrà in eterno esserti causa di danno, ma di grande utilità per l'anima e per lo spirito.
5. Mataele, tuo marito, già ti racconterà al momento opportuno quale carico gli fu dato da portare per poter allontanare da sé tutto ciò che ha nome mondo, e mettere in grado il suo cuore di svilupparsi a un simile grado di forza. Ciò che ora possiede non gli può venire più tolto da nessuna forza e da nessuna eternità, ma quello invece che tu hai accolto in te semplicemente dall'esterno, somiglia ancora molto ai semi sparsi solo da breve tempo nel terreno, i quali devono sottostare a vari processi prima di poter portare un frutto veramente benedetto e maturo.
6. Quindi non avere nessun timore dei vari aggravi della vita, nei quali incapperai sulla via di questa vita terrena, perché sarò Io a mandarteli incontro, allo scopo di fortificare la tua anima e il tuo spirito!
7. Dunque, allorché di quando in quando su di te sentirai un qualche peso, pensa sempre che sono Io a porlo sulle tue spalle, affinché tu abbia ad irrobustirti! Poiché quanto Io più amo una creatura umana, tanto più essa viene da Me sottoposta a prove, dato che ciascuna è destinata a diventare perfetta, a Mia somiglianza. Ma per giungere a tanto, si esige molta abnegazione, molta pazienza, molta mansuetudine ed un'assoluta dedizione alla Mia Volontà.
8. Ma chi si rimetterà del tutto alla Mia Volontà, egli sarà altrettanto perfetto nel proprio spirito, come sono perfetto Io stesso, per la ragione che allora un tale spirito diventa perciò Una sola cosa con Me! Ed ora dimMi se queste cose le comprendi chiaramente bene!»
9. Risponde Elena: «Oh, sì, per quanto è almeno possibile comprendere ad una persona mortale le parole di Dio, nella sua temporanea e grande limitatezza!»
10. Dico Io: «Allora tutto va bene, e adesso, ad opera compiuta, noi ci riposeremo un pochino. Chi vuole dormire per qualche tempo, dorma pure, ma chi invece vuole vegliare e pregare con Me, che vegli e che preghi!»
11. E molti allora esclamarono: «O Signore, noi veglieremo e pregheremo con Te!»
12. Dico Io: «Ebbene, fate secondo il vostro compiacimento!». Conviene però prepararsi a dovere per la giornata di domani, perché essa si annuncia scabrosa. RivolgendoMi a Cirenio: "Domani arriverà qui anche tuo fratello Cornelio e il comandante Fausto, per constatare quello che può essere accaduto da queste parti; perché essi non sospettano che tu sia qui, e meno ancora poi che qui Mi trovi anch’Io. Tuttavia bisognerà provvedere affinché essi, con i loro seguiti, trovino alloggio qui, dato che per questa volta non sarà possibile trovarne, per il fatto che la città uscirà parecchio malconcia dall'incendio. A causa del fuoco appiccato ai templi e alle sinagoghe, non solo queste ne soffriranno, ma anche parecchi altri edifici e abitazioni cittadine. Domani, dunque, converrà concentrare le menti e tenersi tutti pronti ad ogni evento. Chi ha sonno, vada pure a dormire, Io però devo vegliare e pregare!"
13. E dette queste parole, Io lasciai la compagnia e scesi alquanto più al basso del monte, per restare solo e per congiungere più intimamente l'eterno Mio Spirito paterno con tutto il Mio Essere».
Sull’essenza di Gesù.
1. Molti dei presenti sul monte però, che avevano inteso queste Mie disposizioni, cominciarono ad interrogarsi l'un l'altro, ed anche Elena ed Ouran rimasero un po' meravigliati, e come molti altri dissero: «Strana cosa! Ora Egli se ne va per pregare e prepararsi per domani! Chi altro può mai Egli invocare e a Chi può Egli innalzare le Sue orazioni? Può forse essere, malgrado tutta la Sua sapienza, la sola profondissima, che non sia Egli stesso il supremo Essere divino? Non andrà forse Egli ad adorare Se stesso? E se anche così facesse, si imporrebbe evidentemente la domanda: "A che scopo?". Strano davvero! Egli va a pregare e a prepararSi per la giornata di domani, come se, quale Supremo Essere divino, Egli non fosse già preparato dall'eternità e con assoluta perfezione ad ogni evento! Questo è curioso, molto curioso! Ebbene allora, che vuole dire tutto ciò? Eppure Egli ha parlato prima come soltanto un vero Dio può parlare! Dal più lieve alito della Sua Volontà dipende l'esistenza del mondo, ma ecco che ora Egli stesso va a pregare, e ci invita a dormire e riposare, oppure, come Lui, a pregare e a prepararsi per la giornata di domani! Ebbene, se Egli stesso va ad adorare un qualche Essere divino, noto certamente a Lui solo, Chi dobbiamo allora adorare? Dobbiamo adorare Lui, oppure l'Essere divino del tutto sconosciuto che Egli stesso va adesso ad adorare? No davvero, questo è il più strano e sciocco dei sogni!»
2. Allora d'improvviso si alza Mataele, e in tono un po' concitato dice a voce alta, così che molti poterono udire: «Che cosa mai andate giudicando di questa cosa, come il cieco giudica i colori? O ciechi voi tutti che siete qui, ad eccezione dell'angelo Raffaele, e voi pure o vecchi Suoi discepoli siete ancora molto ciechi e perciò stolti!
3. Su questa Terra non porta Egli pure, come noi tutti, un corpo di carne e di sangue, dai quali la Sua anima si è sviluppata come la nostra, per essere atta a raggiungere la piena unione con lo Spirito divino, fondamentalmente eterno?
4. Soltanto lo Spirito in Lui è Dio, tutto il rimanente invece è uomo, come noi pure siamo uomini. Se Egli prega, ciò non vuol dire altro dunque che Egli, il Suo elemento umano, lo fa compenetrare del tutto dal Suo Spirito divino fondamentale, primordiale ed eterno, dal Quale traggono origine tutti gli altri spiriti, allo stesso modo della minuscola immagine del Sole in una goccia di rugiada, che ha origine dal Sole.
5. Nel Suo Spirito Egli è il vero Sole, mentre noi tutti e gli spiriti non siamo altro che immagini viventi di questo eterno Sole e Causa Prima di ogni cosa, che si chiama Dio! Comprendete bene adesso cosa significa il Suo pregare?»
6. Giara ed Elena furono le prime a comprendere tale spiegazione; gli altri invece non poterono inizialmente creare un equilibrio nella loro mente, dato che le loro idee erano ancora confuse, per quanto concerne i concetti di anima e di spirito, e di questi essi erano indotti a fare tutta una sola cosa. Allora Mataele si diede ad istruirli con il massimo ordine, dopo di che molti riuscirono a raccapezzarsi, e tutti furono prodighi di lodi all’impavido Mataele, per la sua sapienza veramente assai profonda; ed Elena, presa la sua mano, se la premette al cuore ed esclamò: «O magnifico consorte donatomi da Dio, se la tua sapienza continuerà a rivelarsi sempre così, con maggior splendore si presenterà per me il problema del come potrò, in maniera corrispondente, amarti sempre di più! Se tu non fossi ora venuto in soccorso a noi tutti con la tua sapienza, avremmo tutti cominciato a dubitare della Divinità del grande Maestro, nonostante tutte le opere inaudite e prodigiosissime da Lui compiute dinanzi ai nostri occhi. Adesso però tutto è ormai ritornato in pieno ordine, e noi tutti ora conosciamo a sufficienza Chi dobbiamo adorare ed invocare con assoluta fiducia!»
7. Dice Cirenio: «Per quanto anch'io mi rallegri di saperti ora collocato nel migliore dei modi, o Mataele, amico mio caro e ormai pure fratello, mi sarei molto più rallegrato di poterti avere costantemente vicino a me! Perché, ad eccezione dell'angelo che sta adesso discorrendo con Suetal, qui non c'è nessuno che sia illuminato profondamente come te in ogni cosa! Oh, quanto sarà felice il popolo che ti avrà come reggente, come lo sei del resto già di fatto! Ad ogni modo noi avremo la possibilità di vederci spesso, perché o verrò da te o tu da me!»
8. Mataele allora prende la mano del vecchio fra le sue mani, e venerando Cirenio gli dice: «O nobilissimo Cirenio, noi vogliamo procedere concordi, e il nostro principio sia: "Rendere il popolo quanto più possibile saggio e felice nel Nome del Signore". Noi certo rivolgeremo la nostra attenzione principalmente sempre al benessere spirituale dei popoli, affidati alla nostra guida dal Signore, però converrà che anche nei riguardi materiali nessuno venga a trovarsi in condizioni opprimenti, specialmente poi qualora sia, nei riguardi spirituali, già in perfetto ordine.
9. Nel complesso del grande impero romano, un simile sistema di governo incontrerebbe certo dei gravi ostacoli, ma in un piccolo paese, invece, è senz'altro possibile applicarlo molto facilmente, ed i piccoli stati felici diventano poi di solito come uno specchio, nel quale i grandi Stati si specchiano per vedere se hanno forse la faccia sudicia e se i loro capelli sono acconciati a dovere.
10. Uno specchio è comunemente grande soltanto quanto una mano, però, se qualcuno vuole, può guardarsi pian piano del tutto, da capo a piedi; similmente dunque anche un piccolo paese può facilmente servire da specchio a tutto un impero. Ma se invece un piccolo paese volesse prendersi a modello un grande impero, finirebbe con il persuadersi di avere fatto un bel magro affare, e rischierebbe di vedere precipitare tutti i suoi sudditi nella rovina! Perciò noi preferiamo essere un piccolo specchio, che non uno gigante in cui vi si guarda dentro! Ho ragione o torto? Dimmelo tu, o nobile Cirenio!»
11. Risponde Cirenio: «Oh, vorrei sapere chi è colui che potrebbe darti torto! Tu hai davvero sempre ragione, perché in te parla continuamente il destato Spirito di Dio!
12. Ma guarda un po' adesso dalla parte della città, mi pare che il fuoco vada facendosi sempre più violento! Che finisca con il restare preda delle fiamme l'intera città, certo non piccola? Raffaele potrebbe benissimo intervenire, sempre che ne avesse un qualche interesse!»
Sull'essenza degli angeli.
1. Osserva Giara: «Oh, quello sì! Ma soltanto se gli viene, in qualche maniera certo per noi invisibile, un cenno da parte del Signore, altrimenti egli non fa niente. Egli mi è stato dato per farmi da maestro e protettore, ma se gli dico di farmi questa o quella cosa, è proprio il vero momento che non lo fa, e se voglio sapere da lui qualche cosa, non solo non mi dice niente, ma anzi mi fa una domanda a sua volta e mi invita ad esporgli quello a cui prima gli ho rivolto la domanda per saperne qualcosa. In queste condizioni, dunque, il chiedere a lui qualcosa è fiato sprecato. Egli mi è certo molto caro, ma mi sarebbe mille volte più caro ancora se fosse almeno un po’ più arrendevole. Egli è senza dubbio sempre oltremodo cortese; soltanto pregandolo di fare l'una o l'altra cosa, non si ottiene niente e ci si rimette tempo e fatica»
2. Dice Mataele: «Oh, vorrei ben vedere se non fosse proprio possibile indurlo a preservare dalle fiamme almeno qualche abitazione borghese! Io voglio chiamarlo e sentire se la nostra soave Giara ha davvero ragione anche a questo riguardo!»
3. Allora Mataele chiama a sé Raffaele e gli domanda: «Amico mio, guarda un po' la città! A quanto puoi vedere, ormai anche diverse misere casucce cominciano a prendere fuoco; ma considerato ciò, non potresti impedirlo?»
4. Risponde l'angelo: «O certamente, a condizione che la cosa mi fosse lecita; sennonché la mia volontà appartiene interamente al Signore, ed io non posso volere che soltanto quello che Egli vuole. Se il Signore lo volesse, non potresti immaginare la brevità dell'attimo che mi basterebbe per spegnere quell'incendio, ma senza la Sua Volontà, posso da parte mia altrettanto poco quanto te, perché tutti gli atti prodigiosi, che tu mi hai visto compiere, non sono stati fatti da me, ma è stata la Volontà del Signore a farli per mezzo mio.
5. Noi angeli, nella nostra essenzialità e secondo questa essenzialità, non siamo altro che efflussi della Volontà divina, ovvero siamo la Volontà personificata del Signore e per noi stessi non abbiamo alcun potere, perché noi come esseri indipendenti, al di fuori della Volontà divina, non possiamo affatto venir concepiti come sussistenti ed esistenti nella stessa maniera come tu non puoi concepire per i tuoi occhi, in uno specchio, l'immagine del Sole com’è in realtà, se prima sulla superficie dello specchio non è caduto un raggio vero del Sole.
6. Ma per farti comprendere ancora meglio il mio essere, richiamerò la tua attenzione sullo specchio concavo ed ustorio costruito nei tempi antichi dal famoso meccanico Archimede, specchio di cui egli scoprì incidentalmente i principi. Questi specchi hanno la proprietà del tutto naturale di concentrare e riflettere, in un punto situato ad una determinata distanza, i raggi solari che vi cadono sopra. Questi raggi poi, fatti convergere in un punto solo, hanno per quanto concerne luce e calore una potenza tante volte maggiore del semplice raggio, quante volte il raggio stesso è contenuto in una porzione quadrata della superficie dello specchio, avente nella sua massima concentrazione appena due pollici di diametro.
7. Un simile punto focale ha allora un potere sia luminoso che calorifico certo più di mille volte maggiore del semplice raggio solare naturale, ma esso non è affatto immaginabile senza il Sole.
8. Lo specchio non fa che riunire i raggi del Sole, concentrandoli nel rispettivo fuoco, dove essi allora manifestano immediatamente la loro potenza, ma senza il Sole, lo specchio stesso non ha la forza né l'effetto, perché di proprio e permanente non possiede che la facoltà naturale di condensare i raggi solari quando cadono sulla sua superficie; di conseguenza, se il Sole manca, l'effetto dello specchio ustorio è perfettamente nullo.
9. Ma similmente anche noi angeli non siamo, per noi e da noi, che degli specchi concavi, atti ad accogliere ed a condensare la Volontà divina, e quando noi, in tali condizioni, passiamo all'azione, ciò lo possiamo fare per mezzo dell'energia focale della Volontà divina concentrata in noi, ed allora certo tu non puoi assistere che ad una serie ininterrotta di prodigi. Hai ora compreso?»
10. Risponde Mataele: «Oh, adesso comprendo bene. Soltanto non sapevo che Archimede fosse l'inventore degli specchi ustori, perché questa invenzione veniva attribuita, originariamente, ad un certo Amerode e poi al ben noto Talete, del quale si dice che abbia costruito anche una macchina per produrre il lampo!»
11. Dice Raffaele: «Questo va bene, però Archimede era un tornitore, ed egli scoperse da solo i principi tanto dello specchio ustorio di cui si possono fare varie applicazioni, e poi dei cilindri e dischi generatori del lampo, quanto principalmente della leva, tramite la felice applicazione della sua vite molto ben calcolata, da lui inventata quale mezzo in appoggio alle sue altre ricerche. Di tale leva si narra che, dopo l'invenzione, egli abbia detto: "Datemi un punto fisso (d'appoggio) fuori della Terra, ed io solleverò il mondo!»
12. Ma da tutto ciò che ho detto risulta che io, da me stesso, non posso esaudire la tua richiesta. Quando però il Signore avrà scelto me a questo scopo, tutto sarà rapidamente compiuto. È bene dunque che vi rivolgiate unicamente al Signore»
13. Dice allora Giara: «Adesso non si può disturbare il Signore, perché Egli ci ha raccomandato la quiete, oppure di pregare se restiamo svegli. Ed è questo che dobbiamo fare, poiché quello che Egli dice è sempre fondato su buone ragioni! Perché dobbiamo affannarci, se anche tutta la città finirà col bruciare? È chiaro che il Signore avrà avuto i suoi buoni motivi per concedere che tale disastro colpisca la città, e tali motivi non possono essere che supremamente buoni e fondati sul Suo amore e sulla Sua misericordia. Ora, se noi volessimo provocare un cambiamento, la nostra azione non avvantaggerebbe affatto la causa che vorremmo patrocinare, ma non faremmo evidentemente altro che pregiudicarla; quando sarà giunto il momento opportuno, il Signore farà tutto per il meglio, anche senza il nostro patrocinio. Ma con il mio Raffaele, come ho detto, non c'è e non ci sarà niente da fare, perché senza la Volontà del Signore egli è come un otre vuoto».
La sapienza di Giara.
1. Dice Mataele: «O piccola Giara mia! Davvero, una simile sapienza non avrei mai supposto di doverla cercare in te! Oh, benissimo, cara la mia cittadina di Genezaret; ma adesso mi interesserebbe anche sapere un po' come preghi veramente!»
2. Risponde Giara: «Io mi ritiro, con ogni mio pensiero e sentimento, nelle più intime profondità del mio cuore, dove dimora l'amore per Dio; ora, con ciò, questo santo amore ottiene alimento, appunto così come quando tu deponi su una sostanza rovente, che non ha più fiamma, della buona legna secca che si accende facilmente.
3. La legna allora ridesterà ben presto il quieto ardore fino al punto che cominceranno a mostrarsi delle piccole fiammelle. Queste piccole fiammelle si appiccheranno in breve tempo a tutta la legna che poi arderà spargendo un grande chiarore. E similmente avviene anche nel cuore, dove allora tutto si fa luce e calore vitale, e lo spirito a somiglianza di Dio che vi dimora, si desta, si innalza verso il Creatore e Lo invoca:
4. "O Padre nostro, che sei nei Cieli! Sia santificato il Nome Tuo! Venga l'Amor Tuo paterno a noi miseri peccatori, sepolti nella morte e immersi nella notte! La Tua santa Volontà sia fatta qui su questa Tua Terra, come pure in tutti i Tuoi Cieli! Se abbiamo peccato contro l'Ordine Tuo eterno e santo, perdonaci la nostra stoltezza ed usa verso di noi pazienza e indulgenza come anche noi le usiamo verso coloro che hanno in qualche modo peccato contro di noi! Non concedere che nella debolezza della nostra carne noi si venga in qualche modo tentati dal demonio oltre alle nostre forze, ma liberaci attraverso la Grazia Tua immensa, il Tuo Amore e la Tua Misericordia dai molteplici mali, a causa dei quali potrebbe venire turbato e indebolito il nostro amore per Te, o gran Padre santo e amorosissimo! E quando abbiamo fame e sete, sia nello spirito sia nel corpo, dacci Tu, o Padre caro e buono, secondo il Tuo santo discernimento, quanto giornalmente ci abbisogna! A Te solo ogni mio amore, ogni gloria, ogni onore in eterno!”
5. Ecco, questo è che chiamo pregare; ma un tale pregare agli occhi di Dio, evidentemente ha valore qualora l'amore verso Dio sia prima divampato nelle profondità più interiori del cuore, e nel modo già accennato, in fiamme chiarissime e ardenti, per effetto dell'unione di tutti i pensieri e sentimenti nel centro divino del cuore. Se questo procedimento viene a mancare, allora ciascuna preghiera, per quanto ornata di belle parole ma sorta unicamente dalle labbra, è un abominio al cospetto di Dio, e non viene né ascoltata né esaudita!
6. Perché Dio è in Sé uno Spirito, e quindi va adorato nello spirito d'amore e nella luce chiarissima della verità; comprendi ora, dunque, che cosa significhi pregare conformemente alla piena verità, come lo sento e l'intendo io?»
7. Esclama Mataele: «O deliziosa e soavissima fanciulla! Chi mai avrebbe potuto immaginare tanta profondità di sapienza in te? In verità, io potrei certo benissimo farmi ancora tuo discepolo e non mi vergogno affatto di confessare questo apertamente dinanzi a tutti! Oh, soltanto adesso comprendo il tuo invincibile attaccamento al Signore e viceversa, come dicono i romani! Anche tu sembri, come me, essere stata destata in brevissimo tempo dal Signore!»
8. Dice Giara: «Chi ama Dio sopra ogni cosa, egli viene in breve e facilmente destato, ma chi invece Lo ha trovato, per quanto compiutamente, solo con l'intelletto, egli si è assunto un compito grave e quanto mai vano, e le sue fatiche su questo mondo non lo faranno mai più arrivare alla meta desiderata. Ma così pure tu sei giunto, con tanta rapidità, alla luce più intensa della grazia di Dio, poiché dentro al cuore della tua anima deve essere stato sempre ardente, nonostante, rispetto al corpo, tu sia rimasto per un certo tempo in potere dei maligni spiriti infernali!»
9. Dice Mataele: «Oh, sì, mia divina fanciulla! È ben possibile che tu abbia pienamente ragione! Già fin dalla mia fanciullezza amavo Dio con grande ardore, e perciò anche i miei genitori mi avviarono poi alla carriera del tempio, dove fu per la mia carne proprio il vero momento di diventare una vera macchina d'inferno, ma malgrado tutto la mia anima rimase qual era, nella sua origine iniziale. Ma non parliamo più di queste cose, perché il loro ricordo mi turba molto. Ed ora dimmi tu, mia dilettissima Elena, che cosa ti sembra di questa saggia fanciulla? Non è meraviglioso, a quale alto grado di sapienza sia già giunta questa cara fanciulletta?»
10. Chiede Elena: «Ma chi sono e dove sono i suoi genitori?»
11. Risponde Mataele: «Suvvia, ti sono già noti; già stasera tu hai visto e hai parlato proprio con suo padre Ebal, l'albergatore di Genezaret, quando andaste giù a valle nelle vostre tre tende! Te ne sei già dimenticata? Ma dimmi piuttosto come ti sembra la sapienza ricca di contenuto di questa fanciulla e se come sento io, senti pure tu il desiderio vivente di arrivare a tanta sapienza, quanta ne possiede questa carissima e soave fanciulla? In verità, io so molte cose, ma questa fanciulla ne sa ancora di più! Io nella mia anima vedo che nel suo casto petto stanno celate cose delle quali noi non abbiamo ancora nemmeno una vaga idea. Però Raffaele non sembra godere, presso di lei, proprio di una particolare considerazione! Cosa ne dici tu di tutto ciò, o Elena, mia diletta consorte?»
12. Risponde Elena, in tono mesto, anziché lieto e sereno: «O Mataele mio! A tanto non arriverà mai più in eterno la tua povera Elena! Sembrerebbe quasi che il cuore dell'Onnipotente fosse nascosto nel cuore di questa ragazzina, perché queste sono cognizioni nella sfera della vita divina più interiore nell'uomo, quali le si può apprendere soltanto dalla bocca del Creatore! Ma, date simili circostanze, è certo facile comprendere il perché essa non tenga in molta considerazione l'angelo, perché, per quanto riguarda la vera sapienza, essa gli deve somigliare come un occhio somiglia all'altro della stessa faccia! Che l'angelo disponga, da parte del Signore, di una potenza e di una forza infinite, non si può mettere affatto in dubbio, però quello di cui dovrei quasi dubitare è che egli, nella vera sapienza fondata sull'amore per il Signore, sia superiore a questa fanciulla!
13. Io certo vorrei entrare volentieri in qualche modo in dialogo con lei, se non avessi tanta soggezione di fronte alla sua sapienza, perché basterebbe che ad uno di noi sfuggisse anche una sola espressione un po' sciocca ed allora si potrebbe con molta probabilità ricevere dalla sua bocca una correzione tale, che non ci si azzarderebbe più per tutta la vita a fare uscire dalle labbra una sola parola.
14. Se la fanciulla fosse povera, vorrei farle dono di tutti i tesori che ho con me, ma a giudicare dalle sue vesti abbastanza ricche sembra essere figlia di genitori benestanti, e un dono da parte mia non sarebbe certo accettato da lei, particolarmente considerata la sua immensa sapienza, per la quale essa comunque avrà in spregio ogni sfarzo mondano ancora più di noi, e particolarmente trattandosi poi di me, che non sarei in grado di porgerle in fatto di sapienza neppure quanto è grande una minutissima goccia d'acqua!
15. Io ho quanto mai cara questa fanciulla, ma vicino a lei mi sento alquanto a disagio e timorosa.
16. Tuttavia le sono immensamente grata, per quanto ha detto riguardo al come si deve pregare Dio per riuscirGli graditi, ma come farò ad esprimere a questa fanciulla i dovuti ringraziamenti?»
17. Allora interviene Giara, che si era nel frattempo intrattenuta con Raffaele, e dice: «O soavissima e nobile regina, amami come io ti amo, e di più non occorre. Quello però che sono tutti i tesori del mondo per me, tu lo sai bene, anzi l'hai detto tu stessa poco fa con parole molto savie. Che se poi si trattasse sul serio di doverci reciprocamente onorare con dei miseri doni materiali, certo io potrei offrirne a te di minori che non tu a me, ma che cosa è tutto questo sfarzo mondano al confronto anche di una sola minimissima scintilla del vero e vivente amore per Dio nei nostri cuori? O amica mia! Questo è il gioiello che noi, con tutta fedeltà, dobbiamo custodire, tutelare e coltivare nei nostri cuori, affinché non vada per noi perduto! Ma se noi possediamo questo gioiello di splendore sempre crescente in purezza ed intensità vitale, noi possediamo più di quanto tutti i Cieli sono capaci di contenere! Comprendi questa cosa?».
Elena ragiona sul potere sacerdotale.
1. Risponde Elena: «Io ho compreso molto bene le parole riboccanti di verità che hai ora detto; una sola cosa ancora mi resta da comprendere, e questa è come tu sia diventata così sapiente!»
2. Dice Giara: «Oh, non ti affannare per questo, perché questa è una cosa riservata al Signore, il Quale distribuisce fra le umane creature i Suoi vari doni di grazia, a seconda delle loro attitudini, e li sparge in mezzo a loro come il seminatore sparge il grano nei solchi nel campo arato di fresco. Laddove il seme cade su di un buon terreno, esso porta anche in breve e facilmente frutti abbondanti. Ora io credo che anche il tuo cuore sia un campo buono!»
3. Dice Elena: «Dovrebbe certo esserlo; però sono vissuta troppo a lungo nel più tenebroso paganesimo, il quale ha sempre ancora in me delle risonanze postume, come una nota stonata di un'arpa eolia! Ora conosco la verità, e questa ormai è diventata la mia vita; ma pensa al popolo numeroso, che ho nella mia patria, che è ancora tenacemente attaccato al paganesimo ed ai suoi idoli! Quanta fatica costerà il portare un'altra luce al popolo e togliergli l'antica superstizione! Se la Volontà onnipotente del Signore non ci concederà in larga misura il Suo aiuto, i risultati dei nostri sforzi saranno assai magri, se non quasi nulli!»
4. Dice Giara: «Ma tu stessa fosti una pagana, assieme a tuo padre, eppure non ci sono volute proprio fatiche eccessive per condurti sulla via della pura verità!»
5. Osserva Elena: «Certamente non posso competere con te, in fatto di sapienza, nelle cose spirituali-pure, ma devi notare che al mondo ci sono pure una quantità di cose, particolarmente fra quelle che hanno attinenza con le varie religioni professate dagli uomini, le quali sono di gran lunga più difficili da eliminare, che non gli spropositi stessi di una dottrina erronea.
6. Anzitutto devi fare i conti con la casta sacerdotale, che si è sistemata la dottrina degli dèi precisamente così come può riuscirle più redditizia possibile, assicurandosi in tale modo una vita quanto mai piacevole e comoda. D'altro canto i templi hanno bisogno di una moltitudine di cose che procurano occupazione e lavoro ad una quantità d'artisti, di artigiani ed a molta manovalanza. Tutta questa gente vive perché ci sono i templi, e ora, scomparendo i templi, essa ci rimette il suo guadagno e il suo pane. Quali proteste cominceranno a fare questi!?
7. Se a questa moltitudine si potesse procurare una qualche altra fonte di guadagno, la cosa forse si metterebbe per una via più facile, ma come attivare in un regno che non è molto grande, così su due piedi, delle nuove fonti di guadagno, e dove prendere il pane per tanta gente? Per qualche giorno certamente noi non saremmo nell'imbarazzo, ma trattandosi di molti anni di seguito, dove si potrà prendere quello che occorre con mezzi leciti ed onesti?
8. Oltre a ciò i sacerdoti godono sempre presso il popolo la maggiore fiducia e sono tenuti da questi in gran considerazione, e perciò basta che i sacerdoti maligni dicano al popolo che su di noi è scesa la maledizione degli dèi ed allora avremo il nostro bel da fare per poter abbandonare il nostro paese con la pelle intatta. Vedi, o amica mia, queste sono tutte cose che non possono fare a meno di darci molto da pensare! Come ho detto, soltanto un intervento prodigioso del Signore può rendere praticamente attuabile una riforma in queste condizioni!
9. Sarà già una cosa difficile diffondere qui, nel regno degli ebrei, questa luce purissima dai Cieli, dato che l'antica legge di Mosè appare già troppo deturpata da simili falsità ed inganni che hanno concorso a rendere ricchi i sacerdoti e a procurare loro una situazione di privilegio e di comodità. Bisogna poi notare ancora, che la casta sacerdotale ha sempre avuto l'accortezza di fare causa comune con i detentori del potere, e di rendersi loro indispensabili con il pretesto di molteplici ragioni politiche.
10. In conseguenza a ciò i potenti sono portati di solito a concedere troppe libertà e troppi privilegi ai sacerdoti, i quali poi con illusioni e menzogne di ogni specie guadagnano ben presto a sé il popolo cieco, così che alla fine anche i potenti sono costretti a fare buon viso a cattivo gioco, se non vogliono totalmente perdere la causa. Ma in simili condizioni il governo di un popolo diventa allora una questione difficilissima! Si finisce col dover essere addirittura soddisfatti quando si può ancora far finta di essere il reggente, anche se nella realtà non lo si è già da lungo tempo.
11. Credimi, i sacerdoti sono i veri signori dei popoli già da lungo tempo, mentre gli imperatori, i re ed i principi non sono che i loro aiutanti, segretamente molto infastiditi; per questo motivo questi ultimi ben vorrebbero sistemare diversamente e meglio le proprie cose, e ben volentieri darebbero il benservito a tutti i panciuti e pasciuti servitori degli dèi, se ciò fosse possibile! Ma invece la cosa non funziona e con sistemi umani va meno di tutto; ed ecco, quando penso a tutto ciò mi si drizzano addirittura i capelli sul capo! Ti rendi conto anche tu di tali difficoltà?»
12. Risponde Giara: «Senza dubbio, ma io so ancora che non tutto quello che è legno lo si può spezzare d'un colpo, e per di più va considerato che a noi creature umane moltissime cose appaiono impossibili, mentre a Dio e con il Suo aiuto sono invece facilmente possibili!
13. Tu dunque vedi di fare quello che puoi e lascia tutto il rimanente alle cure del Signore, che poi tutto non mancherà di arrivare alla buona meta desiderata.
14. Inoltre devi considerare che hai con te Mataele, dotato da parte del Signore di molta sapienza, ed i suoi compagni altrettanto saggi. Questi otterranno pure qualche risultato, e così tu ora puoi stare del tutto tranquilla.
15. E quando Mataele darà inizio nel tuo paese al suo insegnamento come ha fatto con te, io penso che non gli riuscirà proprio eccessivamente difficile guadagnare alla buona causa perfino i sacerdoti, ai quali poi potrà venire affidato il nuovo compito, ed i sacerdoti stessi sapranno bene in seguito come fare per diffondere la nuova dottrina fra il popolo. Per quanto infine concerne gli artisti e gli artigiani, i sacerdoti convertiti avranno certo modo d'impiegare per altre mansioni anche questi!
16. Ma naturalmente se tu, o carissima amica, al tuo ritorno in patria volessi rovesciare il tutto, per quanto infarcito d'errori, in una sola volta, è certo comprensibile che il tuo lavoro e le tue fatiche verrebbero molto malamente ricompensate.
17. La vera sapienza da Dio deve sapere anche impiegare i mezzi adatti dappertutto, ma se questo non lo si sa, allora anch'essa è ben lontano dall'essere una vera sapienza derivante da Dio. Ciò che si può ottenere da una persona, deve potersi ottenere anche da mille, ma certamente si esige più tempo e più pazienza che non avendo da fare con una persona sola; però, prendendo tempo e ricorrendo a mezzi appropriati, tutto può funzionare. Un albero non cade per effetto di un colpo solo, né si vuota un pozzo togliendo un solo secchio d'acqua, e lo stesso succede di ogni cosa. Invece, con la buona volontà, con il tempo e con i mezzi adatti si possono trasportare le montagne ed asciugare i mari!
18. A Dio nessuna cosa è impossibile, e quando Egli aiuta tanto spiritualmente che materialmente, allora tutto è fattibile! Consolati dunque, confida fermamente nel Signore e vedrai che tutto andrà molto meglio di come adesso si presenta alla tua mente! Adesso, caro Mataele, dimmi se ho ragione o torto!»
Ouran mostra come sia infondato il timore di Elena.
1. Risponde Mataele: «Hai certamente ragione e nessuno potrebbe giudicare diversamente, ma la mia carissima consorte si immagina la cosa come immensamente difficile! Io convengo senz'altro che il lavoro non sarà proprio facile, ma d'altro canto non si tratterà nemmeno di una seconda stalla di Augia che Ercole, il gigante, si dice abbia ripulito nel breve tempo pattuito! Io non nutro a questo riguardo alcuna apprensione e sono del parere che con l'aiuto del Signore la cosa verrà sistemata con relativa facilità!»
2. Dice Elena: «Anch'io spero che sarà così, però conosco il mio popolo, le usanze e le istituzioni antiche del paese, e posso dirti che fra le genti del mio regno l'essere e il restare uomini è un problema molto difficile!
3. Scendere in campo contro i vari errori dell'umanità è un compito facile, ma un'opera titanica è combattere il fanatismo di una superstizione indurita all'eccesso, che la casta sacerdotale ha sempre cercato di promuovere nel popolo per mezzo di ogni tipo di falsi prodigi.
4. Bisognerebbe ora essere in grado di compiere dei controprodigi ancora più sensazionali, ma resterebbe poi da vedere come potrebbe avvantaggiarsene il popolo! Con ciò non si farebbe che spingerlo da una superstizione all'altra, se in pari tempo non fosse possibile fornirgli anche la vera luce per distinguere il miracolo genuino dal falso. Ma come si può fare ciò, qualora non si conosca che sotto a tali falsi miracoli c’è veramente ben poca cosa?
5. Ora i vecchi sacerdoti, i quali per accreditare i loro soprusi agli occhi del popolo si sono già esibiti con tanti prodigi fittizi, non acconsentiranno mai a rinnegarli! Se lo fanno, tutto il popolo si scaglierà contro di loro, perché a un popolo numeroso non si può assolutamente impartire così presto una nuova educazione, come si può fare invece con una singola persona.
6. Rispetto alla vecchia casta sacerdotale bisogna procedere in maniera del tutto diversa, mentre il popolo deve venir preparato, quasi senza che se ne accorga, ad una trasformazione tanto radicale che noi potremo stimarci molto fortunati se in capo a dieci anni avremo condotto il popolo al punto di poter trattare di cose spirituali!
7. Sii certo o Mataele, mio consorte dilettissimo, io non dubito un solo istante della tua grande sapienza, né che all’occorrenza non ci mancherà lo straordinario aiuto del Signore, ma d'altra parte conosco anche le difficoltà che ci si schiereranno contro come giganti, e non è affatto azzardato il prevedere l'eventualità che un giorno noi si debba fuggire dal nostro paese per cercare ricovero in terra straniera!
8. Per quanto pura e idealmente divina sia questa dottrina, e per quanto essa abbia un infinito potere beatificante, è bene considerare che il mondo è troppo profondamente immerso nella palude di ogni perfidia e che perciò, secondo la mia opinione, sarà sempre un compito quanto mai arduo il predicare ai demoni dell'Orco l'Evangelo della pace di Dio!»
9. Dice Mataele: «Non c'è da dubitare che il lavoro non sarà facile, ma noi tanto più avremo ragione di gioire, quando con l'aiuto del Signore lo scopo sarà raggiunto! Però la cosa deve riuscirci anche se tutto il mondo dovesse venire ridotto in macerie, perché in simili evenienze io sono un uomo assolutamente speciale e quello che una volta ho intrapreso, deve venire portato a termine! Ma adesso parliamo di qualcos'altro»
10. Osserva Ouran: «Fate molto bene se cambiate argomento. Io, veramente, mentre discorrevate, ho fatto un breve sonnellino che mi ha molto ristorato, ed ho visto in sogno delle cose molto meravigliose, ma ciò non toglie che io non abbia udito qualcosa anche della vostra conversazione, e vi dico che la piccola Giara ha perfettamente ragione e che tu Mataele, figlio mio, hai pure ragione; il timore di mia figlia però, anche se non è del tutto infondato, è tuttavia un po' troppo vano!
11. Io posso dire di conoscere il mio popolo come conosco me stesso; per la maggior parte esso è dedito al commercio, viene in contatto con ogni specie di popoli e con ciò si rende familiare anche i loro usi, i costumi e le religioni. Nell'interno del paese ci sono certo delle comunità che sono saldamente attaccate ai loro oracoli, ma le popolazioni costiere, a quanto io ne so, ci tengono assai poco a tutti gli dèi. Presso la gran parte, i sacerdoti già da lungo tempo godono pessima fama, e così pure già da lungo tempo la filosofia ha scalzato poderosamente le fondamenta dell'Olimpo vero e proprio.
12. Nella Tauria, la cui parte meridionale sta pure sotto il mio dominio, il culto degli dèi è da vario tempo completamente scomparso. A questo fenomeno contribuì non poco il poeta romano Ovidio, che si trattenne qualche tempo da quelle parti, e con le sue Metamorfosi prese in giro, in maniera decente e poetica, tutto ciò che aveva a che fare con gli dèi. Ormai gli dèi di questo tempo sono Platone, Socrate e Aristotele, e con questi la nuova dottrina può accordarsi molto facilmente, perché questi tre savi predicano essi pure un solo vero Dio, mentre ripudiano assolutamente il politeismo, nel suo vero senso e come qualcosa di reale, considerandolo invece e semplicemente quale espressione degli attributi dell'Uno vero Dio eternamente vero.
13. Noi stessi non ci saremmo quasi mai sognati di scendere qui nel paese degli ebrei, se non avessimo inteso che nel tempio di Gerusalemme fosse pressoché visibilmente presente l'unico vero Dio che particolarmente Platone descrive nel suo Simposio e come con questo unico vero Dio ci si possa congiungere spiritualmente! Nessuno fra il mio popolo ignora queste cose, e date tali fondamenta si può sempre edificarvi qualcosa di bello e di buono!
14. Arrivato a Gerusalemme, non avrei ovviamente mancato di farmi iniziare in ogni cosa, e se avessi trovato là qualcosa di mia soddisfazione, l'avrei subito portato con me per offrirlo al mio popolo; ma che noi invece siamo poi finiti qui dal Fabbro in persona anziché dall'apprendista, e che dopo tutto ciò a cui abbiamo assistito, udito e visto non si può mettere affatto in dubbio, questo è certo un libero e straordinario atto di grazia di Dio, in premio forse della nostra buona volontà; grazia della quale noi non vogliamo affatto reputarci degni, come neanche mai ci reputeremo. E a noi, quando avremo fatto ritorno in patria, il compito si presenterà tanto più facile, in quanto possiamo senz'altro attenderci che l'assistenza divina già qui sperimentata, non verrà affatto a mancarci in nessuna occasione.
15. Tu stessa vedi, o mia dilettissima figlia, che noi non abbiamo cercato così tanto quanto abbiamo trovato. Se noi avessimo trovato anche solamente qualcosa di più di quanto c'è nel Simposio di Platone, già saremmo ritornati alle nostre case pienamente felici; ma quale deve essere il nostro stato d'animo ora che abbiamo trovato quello che a Platone non è venuto in mente nemmeno in sogno, quando scrisse il suo Simposio! Oh, sì, adesso noi ritorneremo in patria colmi di giubilo e ad alta voce annunceremo ai popoli stupiti tutto ciò che abbiamo sperimentato durante le nostre ricerche e tutto quello che abbiamo visto ed udito! Io non posso nascondervi che me ne rallegro già grandemente in cuor mio!
16. Ma di fronte a tutto ciò, non comprendo ancora come in te, o Elena, siano potuti sorgere in proposito tanti timori!
17. Io non posso assolutamente negare che ci sia un certo fondamento in quanto hai detto, ma la cosa non calza se riferita al nostro paese, e trova semmai applicazione piuttosto al Giudaismo che, per quanto mi è dato adesso conoscerlo un po' più da vicino, è colmo d'inganno, d'ambizione e di malvagia volontà. Certo qui, il tuo timore ha una qualche ragione d'essere, ma non rispetto ai miei sudditi che sono dei veri agnelli! Che ne dici tu, o caro e nobilissimo figlio mio Mataele?»
18. Risponde Mataele: «Io condivido senza riserve la tua opinione, perché nel tempio di Gerusalemme la situazione è attualmente impostata ad una mostruosità del tutto particolare, e sarebbe quanto mai azzardato andare là ad annunciare questa dottrina. Nel tempio, dove una volta lo Spirito di Jehova era certo visibilmente presente nel Santissimo, ora domina solamente quanto di pessimo e di più perfido si può immaginare, ed effettivamente il Divino è l'unico elemento di cui là non si possa più assolutamente trovare traccia, escluso il Nome! I sacerdoti, dal canto loro, non sono che dei lupi e delle iene camuffate da agnelli. Quando saremo riuniti fra noi, potrò a questo riguardo raccontarvene di tutti i colori, dato che io stesso fui addetto al tempio, ma per il momento è bene lasciar stare queste cose, se consideriamo che siamo qui per intrattenerci su argomenti molto migliori di quelli rappresentati dal tempio di Gerusalemme, nel quale a un Dio non ci si pensa più del tutto.
19. Adesso invece io metterò un po' più alle strette la nostra carissima Giara, poiché dentro il suo petto essa nasconde ancora altri misteri, dei quali tutti noi non abbiamo mai avuto neppure la più lontana idea! O Giara, raccontaci dunque qualcosa della tua vita!»
Giara racconta la sua esperienza sulle stelle.
1. Dice Giara: «Oh, molto volentieri, ma potrete poi credere a quello che vi dirò? Tu, o mio caro Mataele, te ne intendi pure in fatto di stelle, ma io forse di più ancora, ciò però non è certo merito mio, ma una grazia straordinaria unicamente del Signore. Aspetta un po', io ti rivolgerò adesso una domanda; se mi puoi dare una risposta soddisfacente allora è segno che tu ne sai quanto me, ma se tu dovessi esitare nel rispondere, solo allora mi permetterò di raccontarti varie cose che io so. Cosa credi che siano le piccole stelle sul firmamento?»
2. Risponde Mataele: «O Giara mia, carissima, vedi, questa è una domanda abbastanza strana. Per quello che concerne la Luna, il Sole e qualche altro ulteriore pianeta potrei forse darti una risposta abbastanza soddisfacente, ma fin là dove si trovano le stelle fisse l'occhio della mia anima non è ancora penetrato. Io suppongo che esse siano pure dei mondi assai lontani, come anche il Signore accennò una volta, ma come esse siano costituite veramente e quale sia la loro natura e le particolarità, questo naturalmente non posso dirtelo, e perciò vorrei caldamente pregarti di chiarirmi in qualche modo la questione!»
3. Dice Giara: «O caro Mataele, se tu non puoi credere che io sono stata con questo mio corpo che vedi qui su qualcuna di quelle stelle, tutte le mie narrazioni non ti gioverebbero che poco o nulla! Ma se tu puoi credere questo, allora di certo potrò dirti in proposito qualche cosa!»
4. Osserva Mataele: «O mia fanciulla carissima, devi pure convenire che così il credere viene posto a una ben dura prova, perché non è immaginabile una possibilità fisica per il verificarsi di un tale fenomeno. In spirito, cioè in uno stato di rapimento della tua anima, una cosa simile è certo possibile, ed io sono volentieri disposto a credere a quanto vorrai dirmi e raccontarmi delle lontanissime stelle fisse, ma se tu dici di esserci stata con questo tuo corpo, allora, o fanciulla carissima, già la questione in massima parte non mi apparirà credibile, e perciò il tuo racconto, di per sé forse completamente vero e giusto, perderà molta della sua forza persuasiva, se già la premessa è tale da renderlo assolutamente impossibile»
5. Dice Giara: «Perché mai dovrebbe essere impossibile che io sia stata su l'una o l'altra di quelle stelle, così come sono con la mia carne, il mio sangue e le mie ossa? Non è possibile a Dio ogni cosa?»
6. Risponde Mataele: «Oh, senza dubbio, niente è impossibile a Dio, però Dio ha stabilito per ogni cosa un determinato Ordine, e quest'Ordine è una Legge che appunto Egli stesso osserva nella maniera più coscienziosa e che anche deve osservare, altrimenti tutta la Creazione dovrebbe all'istante svanire. Il Signore compie qui dei verai prodigi in gran numero, però agli occhi dell'esatto osservatore questi risultano inclusi sempre nell'ambito del Suo Ordine eterno e santo.
7. Quando questa sera fu espresso il desiderio che il giorno venisse prolungato, Egli non fermò la Terra o apparentemente il vero Sole, ciò che secondo le Sue stesse parole sarebbe contro il Suo Ordine, perché se Egli permettesse una simile cosa, ogni vita su questa Terra correrebbe il rischio supremo di spegnersi; e ciò che non verrebbe annientato dall'urto immenso provocato dall'arresto improvviso, diverrebbe poi sicuramente preda della morte per effetto dei mari che si precipiterebbero sui continenti.
8. Vedi, per quanto mi è ora noto riguardo alla costituzione della Terra e della sua atmosfera, io so che già ad un'altezza corrispondente a sole dieci ore di cammino nessun essere vivente può più sussistere, come nessun pesce può vivere fuori dall'acqua, quantunque un pesce possa mantenersi fuori dall'acqua più a lungo in vita di un uomo portato all'altezza di dieci ore di cammino al disopra della superficie terrestre. Ma, adesso, immagina la distanza incommensurabile che separa questa Terra dalla più vicina fra quelle stelle fisse!
9. È già qualcosa di immenso la distanza che passa fra di noi e il Sole, distanza che la mia libera anima può esattamente misurare; una freccia lanciata impiegherebbe, mantenendo costantemente la velocità iniziale, oltre cinquant'anni a raggiungere il Sole. Ebbene, secondo la percezione della mia anima, la quale di certo non può dare ancora un affidamento proprio assoluto, una stella delle più vicine a noi è già dieci volte centomila volte più distante da noi che non il Sole, e il tempo che impiegherebbe una freccia a raggiungerla sarebbe di dieci volte centomila volte cinquant'anni! Ma se un uomo si muovesse con la velocità iniziale di una freccia scoccata dall'arco, la pressione dell'aria evidentemente lo schiaccerebbe in un attimo. Che cosa ne sarebbe di lui, poi, se si trovasse a dover percorrere quella spaventosa distanza in pochi istanti? A che cosa si ridurrebbe la sua carne e il suo sangue?!
10. Vedi, le leggi naturali sono pure esse stabilite da Dio e si possono revocare soltanto revocando nello stesso tempo anche tutta la natura, ma finché una natura sussiste, deve pure sussistere, immutabile, anche la legge naturale. Nessuna eccezione è possibile in questo campo, perché un'eccezione, per quanto minima, causerebbe una perturbazione incalcolabile nella complessa natura delle cose, le quali sono interdipendenti come gli anelli di una catena; basta che un solo anello si spezzi e tutta la catena resta priva del suo potere avvincente! E con ciò credo di averti esposto le ragioni per le quali non mi è per il momento tanto facile credere che tu sul serio abbia compiuto un viaggio su qualche stella fissa, pur rimanendo nel tuo corpo di carne e di sangue.
11. Certo, a Dio devono essere possibili moltissime altre cose ancora, e per comprenderle ci vorrà ancora molto, nonostante la mia sapienza, ma, mia carissima Giara, la tua asserzione sconfina un po' troppo nell'incommensurabilità dello straordinario, ed io non posso accettarla per vera, prima che tu non abbia all'evidenza, dimostrato che sussiste la premessa di una tale possibilità in armonia con l'Ordine divino, stabilito per l'eternità.
12. Tu però non devi volermene male, perché io non intendo fare obiezioni a quanto tu hai detto nel suo complesso; solo per le ragioni ora esposte, che esse pure non sono campate in aria, non trovo di poter accettare la cosa oggettivamente per vera. Ma forse, in appoggio alla tua asserzione, tu puoi fornire delle prove assolutamente convincenti, ciò che in anticipo non posso certo sapere! Se tu ne hai, fammele udire, e poi in seguito io non dubiterò più di niente di quanto mi vorrai raccontare!»
13. Dice Giara: «Ebbene, io vedo che la tua sapienza è veramente grande e che sei una persona quanto mai avveduta, ma tuttavia, nemmeno tu sei di gran lunga ancora capace di vederci chiaro in ogni cosa! Ecco, se si potesse fare qualche conto su Raffaele, egli potrebbe procurarmi con la massima facilità e in un istante qualche campione di prodotti naturali da me raccolti su quelle stelle e portate su questa Terra a ricordo e a testimonianza che mi sono veramente trovata là; ma con lui non si può venire a capo di nulla, e di conseguenza tali palpabili prove non te le posso fornire. Tu, nel tuo stato puramente umano e naturale, potresti bensì dubitare ancora della loro autenticità, tuttavia la tua anima, colma dello Spirito divino, riconoscerebbe almeno che i ricordi presi da me non appartengono a questa Terra. Perché in essi è insito tanto sfarzo e tale carattere di preziosità, che al loro paragone la cosa più preziosa che può annoverare la Terra, non può fare che la figura di una pretta immondizia; essi, posti su di un manto o su di una corona imperiale, costituirebbero un ornamento di valore per sempre inestimabile! Ma lasciamo ormai stare queste cose! Ecco che ad Oriente comincia ad albeggiare, il Sabato sta per iniziare e adesso è bene prepararsi per questo giorno del Signore!»
14. Dice Mataele: «Hai perfettamente ragione. Ma allora, dovremo per oggi rinunciare proprio, a sentire qualcosa riguardo ad eventuali ulteriori dimostrazioni da parte tua, a riprova della tua corporale presenza su alcune stelle fisse?»
15. Risponde Giara: «E come potrei fare? Le tue controdimostrazioni sono troppo solide e troppo ben fondate nell'Ordine immutabile esistente, e perciò, a riprova della mia reale presenza su certe stelle fisse, non potrei che insistere nell'affermazione che tutte le cose che sembrano impossibili all'intelletto umano, sono invece possibilissime a Dio.
16. Hai tu contato gli istanti e misurato il tempo entro il quale il Signore, per mezzo del mio Raffaele, fece trasferire le navi di Ouran dall'alto mare alla riva? Ma nonostante tanta incredibile rapidità, a chi mai fu tolto sia pure un solo capello? Quanto tempo impiegò Raffaele a trasportare dalle navi a terra e a sistemare le grandi tende di Ouran, ed a disporre tutti i suoi arnesi e le sue cose in gran parte perfino estremamente fragili, e tutto questo nel massimo ordine?
17. Non hai osservato la strabiliante velocità di Raffaele nello scrivere? Non contrastano anche queste, anche solo a rigor di termini, afferrate fortemente, con le comuni leggi naturali? Eppure gli stessi tuoi occhi sono testimoni che tutto ciò è realmente avvenuto! Puoi sostenere dunque, fondandoti sulle tue ragioni, che ciò sia possibile?
18. Vedi, io posso dirti, avendolo visto con gli occhi di questo mio corpo come mai nessun altro mortale di questa Terra, che nello spazio universo infinito ci sono dei soli di una grandezza così enorme, che se fossero cavi avrebbero in sé spazio sufficiente per contenere tutta questa immensa distesa di cielo che tu vedi qui fino alle stelle fisse della prima, seconda e terza grandezza. Questi corpi solari smisuratamente grandi, intorno ai quali girano degli interi sistemi solari con i loro innumerevoli soli-centrali e planetari agli scopi del loro nutrimento, si muovono a loro volta intorno ad un corpo-solare-centrale infinitamente ancora più grande, e tale moto è così rapido che tu non saresti in grado di raggiungerli nemmeno procedendo con la velocità del pensiero.
19. Da qui fino a qualunque delle stelle fisse della prima, della seconda e della terza grandezza ed anche della quarta, un tale volo durerebbe a mala pena sette istanti di tempo, e noi con il nostro Sole e con il Sole-centrale dei soli-planetari, il quale insieme al Sole-centrale dei sistemi solari di cui ho detto prima, compie l'identico giro vertiginoso, noi ci muoviamo continuamente con la stessa prodigiosa velocità, e tutto questo è certo esattamente conforme alle leggi naturali! Ma tu ti accorgi forse di qualcosa durante questa corsa spaventosa? Oppure, dà forse noia a qualche corpo mondiale o a noi stessi, se in un attimo percorriamo distanze incommensurabili nello spazio infinito della Creazione?
20. Ma se già simili corpi mondiali smisuratamente grandi, si muovono con una velocità che è inimmaginabile senza alcun pregiudizio per la loro integrità, con quanta maggiore facilità non potrà muoversi, qualora tale sia la Volontà del Signore, un esile corpo come il mio?
21. Puoi farti ora un concetto un po' più chiaro della possibilità che io abbia sul serio, con il mio corpo, compiuto un viaggio fino a qualcuna fra le più vicine delle stelle fisse?»
22. Risponde Mataele: «O fanciulla mia! A te si nasconde tutto intero un cielo di sapienza, e davvero io adesso comincio a credere alla possibilità di quelle straordinarie avventure che dici di aver vissuto. Tuttavia lasciamo stare per ora questo argomento, considerato che le nostre anime non sono ancora abbastanza capaci di abbracciare delle grandezze di questa specie, poiché a me, per arrivare a questo, ci vorranno ancora parecchi anni, per quanto aperta sia pure la mia anima».
Discorsi sugli avvenimenti straordinari accaduti
1. Dopo di che Mataele rimane silenzioso ed immerso in considerazioni riguardo a quanto ha detto Giara, mentre Elena ed Ouran, muti dallo stupore, guardano Giara tutti sbalorditi; Giara invece tiene, dal canto suo, lo sguardo rivolto alla città, dove l'incendio infuria ancora violento ed è in ansiosa attesa del Mio ritorno. Sul monte ormai regna il silenzio assoluto e soltanto in casa di Marco c'è qualche fervore di vita, a causa dei nuovi ospiti annunciati, cioè Cornelio e Fausto; frattanto, però, l'albeggiare va sempre più accentuandosi.
2. Questa pace sul monte durò un'ora buona, eccezion fatta, come abbiamo visto, per la casa di Marco, dove c'era invece molta animazione, a causa dei nuovi ospiti che si attendevano ed anche in considerazione della venuta certa di fuggiaschi che si dovevano attendere dalla città incendiata.
3. Ma verso mattina questo periodo di calma contribuì a conciliare anche il sonno, ed infatti perfino Cirenio, Giulio, il ragazzo Giosoe e molti fra gli alti funzionari al seguito di Cirenio si addormentarono; i trenta giovani farisei invece, che più degli altri avevano seguito con attenzione il progredire dell'incendio, rimasero svegli e si intrattennero animatamente su quanto avevano udito e visto, mentre altrettanto fecero anche i dodici, con a capo Suetal, Ribar e Bael.
4. Mataele, Elena, Giara, Ouran e, al fianco di Mataele, i suoi quattro compagni che si chiamavano Rob, Boz, Miha e Zahr rimasero anch'essi svegli ed immersi in profondi ed elevati pensieri; ma essi non si sentivano portati a discorrere, e meditando invece su quello che Giara aveva spiegato a tutti loro, non si azzardarono a rivolgerle altre domande. Giara però, dal canto suo, meditava pure se essa non avesse forse rivelato troppe cose in una sola volta a quegli amici.
5. Dopo un bel po' di tempo, quando ad Oriente cominciava a rosseggiare l'alba, Rob, di solito molto taciturno, aprì la bocca e disse: «O cari amici, nonostante tutte le mie meditazioni io non posso ancora ricondurre la calma nel mio animo. In verità, qui tutto appare tanto straordinariamente strano, che pare sempre di passare da un sogno all'altro e si può fare quello che si vuole, ma non si riesce mai a familiarizzare con tutto quello che si è visto e udito, in maniera da potersi trovare un po' così come a casa propria. E questa sensazione del trovarsi sempre più estranei in questo ambiente dai meravigliosi avvenimenti, è ancora in sé la cosa più naturale alla quale possano venire rivolte le idee di un pensatore. Noi ci troviamo dinanzi ad una serie ininterrotta di prodigi della specie più grandiosa!
6. Tu, o fratello Mataele, sei qui diventato re di un grande paese, e noi tuoi consiglieri; il grande e santo Maestro basta che getti uno sguardo sulla vasta Terra ed essa trema come un fanciullo dinanzi alla verga; e per di più ecco che viene dai Cieli il giovane principe dei maghi, il quale compie cose, alla vista delle quali a uno di noi devono addirittura rizzarsi i capelli sul capo! Ed ora abbiamo qui ancora questa ragazzina che ci racconta delle storie alle quali, volendo pensare troppo a lungo, si può con la massima facilità diventare proprio pazzi! Dimmi tu se in tali condizioni sia in qualche modo possibile assuefarsi all'idea che tutto ciò è perfetta realtà!
7. Ma dove si sarà Egli fermato tanto tempo? Saranno ormai già tre ore buone da quando ci ha lasciati, e non ritorna ancora!»
8. Osserva il secondo dei quattro compagni di Mataele, che si chiamava Boz, che era pure uomo di poche parole, e dice a Rob: «Quello che tu senti, lo sento anch'io, e per nessuna cosa al mondo riesco a trovarmi qui proprio a mio agio! Tutto quello che succede qui si verifica così all'improvviso, e nella sua specie è sempre così eccentricamente grandioso, che qualcosa di più grandioso non si può assolutamente immaginare. Ogni fatto, ogni parola ed ogni racconto che orecchio umano abbia udito ed occhio umano abbia finora mai visto, fanno sì che perfino di Mosè e di tutti i suoi miracoli, non resta effettivamente altro che una perfetta nullità della polvere.
9. Non si può affatto mettere in dubbio che la pienezza assoluta dello Spirito primordiale divino operi per mezzo di questo Maestro grande, buono e supremamente meraviglioso, nativo di Nazaret e che, per quanto concerne il corpo, è figlio d'un falegname di quella città. Ma qual è il mortale che può sentirsi completamente a suo agio accanto ad una grandezza simile? Quando Egli parla, non è Lui che parla, ma l'eterno Spirito di Dio che si esprime fuori da Lui, e quando Egli agisce, vorrei sentire dal più grande saggio di questa Terra che cosa ci possa essere ancora di più prodigioso, e di possibile a Dio, che non sia possibile a Lui! Nella parola e nell'opera Egli è compiutamente Dio. La Sua Volontà domina di fatto tutto l'infinito, eppure Egli, come semplice uomo, dimora fra noi, e da semplice uomo mangia e beve!
10. Dove sono ormai tutti i saggi proverbi di Salomone, il quale, consacrando il tempio, disse: "O Signore! Certo io so che Cielo e Terra non Ti possono contenere, e dove ogni Creazione finisce, là Tu sei ancora nella Tua eterna ed infinita Potenza! Ma tuttavia noi, o Signore, Ti abbiamo edificato una dimora per poterci radunare con cuore puro e afflitto, per ringraziarTi di tutti i Tuoi benefici e benedizioni e per esporTi la nostra miseria nell'ora della tribolazione»
11. Se proprio non letteralmente così, è pur questo, espresso con brevi parole, il senso di quello che il savio edificatore del tempio disse il giorno della consacrazione; ma avrebbe parlato così se avesse visto questo nostro Maestro da Nazaret, se Gli avesse parlato e se come noi Lo avesse conosciuto?
12. Il tempio, rispetto alla Sua persona fisica, è parecchie migliaia di volte più grande, e l'onnipotente Volontà del nostro attuale Maestro, che dappertutto agisce, non è certo quella del Maestro, Dio stesso, bensì soltanto una forza incomprensibile dell'uno e medesimo Maestro che noi possiamo vedere, udire e con cui possiamo parlare e nello stesso tempo di Lui notiamo che la Sua misura personale fisica è altrettanto quanto quella nostra! Come può far sì che la Sua Volontà domini tutto l'infinito e tutta l'eternità, e che il Suo occhio e il Suo orecchio siano contemporaneamente ovunque completamente presenti? Ecco, tutte queste sono cose nelle quali nessun spirito può vederci proprio ben chiaro, e la conseguenza è che non ci si può nemmeno assuefare ad una tale visione della realtà!
13. Oh, se la figura del divino Maestro, spiritualmente immenso, fosse quella di un Sansone o di un Golia, la cosa sarebbe certo già meno strana, perché allora si potrebbe dire: "Uno Spirito onnipotente di questa specie deve anche disporre di un corpo corrispondente alla Sua grandezza, ma invece questo Maestro Lo si può dire piuttosto piccolo che grande, per quanto concerne la Sua personalità fisica, eppure il Suo Spirito si trastulla, per così dire, con l'infinito al pari di un fanciullo con una mela!" Ecco, questo è l'incomprensibile, e tutta la sapienza dei savi e le loro dottrine riguardo all'Essere di Dio devono qui finire con il naufragare miserissimamente; noi però, pur dovendo praticamente constatare che le cose stanno davvero in questi termini, non possiamo così presto sentirci a nostro agio!
14. A dirla breve, io ho ancora l'impressione di sognare piuttosto che di sentirmi desto e del tutto a casa mia. L'anima mia adesso vede certo molte cose; sì, l'occhio mio spazia su tutta la Terra ed esso domina la superficie, nonché penetra nelle più recondite profondità. Vedo la Luna, un mondo misero, triste e meschino, destinato a uomini ancora più miseri e meschini, nonché ad altre creature. Io vedo Mercurio, Venere, Marte e Saturno, e vedo pure altri pianeti simili, grandi e piccoli. Saturno ha un aspetto quanto mai meraviglioso; è molte volte più grande della Terra e si libra esattamente nel mezzo di un immenso anello, aldilà del quale sette, dico sette, lune più grandi della nostra volteggiano intorno al pianeta, come le api intorno al loro alveare. Similmente vedo i campi meravigliosi e sterminati dell'immensa superficie solare, tuttavia, malgrado ciò, io non mi sento in tale ambiente di gran lunga tanto estraneo quanto qui, nella vicinanza stranissima del Creatore di tutti gli innumerevoli mondi e delle loro meraviglie!
15. Forse voi vi immaginate di sentirvi meglio di me perché non considerate questa cosa così profondamente e con tanta pacatezza come me e come il fratello Rob, ma se si comincia in tutta calma a rifletterci su con la maggiore possibile attenzione e facendone un confronto con tutto ciò che a questo mondo si è mai potuto vedere ed udire e potuto leggere nei libri antichi, allora un senso d'inquietudine va sempre più accentuandosi nell'anima. Anzi, si arriva al punto di perdere molto la nozione della propria esistenza, che questa finisce con l'apparire all'individuo come un palpabilissimo nulla! Ditemi se ho ragione oppure no!»
16. Osserva allora Micha: «Voi due avete ragione, ed io mi sento assolutamente come vi sentite voi, ma nonostante ciò mi sento anche immensamente felice»
17. Dicono Rob e Boz: «Oh, questo non lo si discute nemmeno, perché noi pure ne siamo lieti e beati, ma ciò non toglie completamente che quel certo senso dell'estraneità permanga! Dio è e resta Dio, e noi possiamo pensare e sentire quanto e come vogliamo, ma questo abisso non lo colmeremo mai!».
L’interpretazione degli avvenimenti basata sulla saggezza di vita di Micha.
1. Ribatte Micha: «Questo non è neanche necessario; siamo contenti di essere quello che siamo e di avere finalmente dinanzi a noi, corporeamente ed agente nella Sua più sconfinata sfera, Colui del Quale gli antichi hanno invano aspirato di formarsi un concetto di una qualche consistenza, perdendo sempre tempo e fatica.
2. Considerate Mosè e tutti i profeti, ed assieme a loro anche i sapienti d'Egitto e della Grecia; riunite in un fascio i loro concetti spirituali di Dio straordinariamente mistici e voi non avrete ancora nemmeno un granello di sabbia a confronto di quello che qui abbiamo dinanzi a noi, in assoluta abbondanza tangibilmente e corporeamente.
3. Mosè, il massimo tra i profeti, sul monte Sinai voleva vedere Dio, ma fuori dalla nuvola di fuoco una voce di tuono, che fece tremare la Terra, gli rispose: "Nessuno può vedere Dio e contemporaneamente vivere!". Noi, invece, vediamo quello stesso Dio adesso, con Lui parliamo, siamo testimoni felici della Sua Sapienza ed Onnipotenza, e tuttavia continuiamo a vivere molto bene e piacevolmente! Che il buon Mosè, sul monte, si sia trovato in qualche momento un po' a disagio, particolarmente quando intorno al suo capo andavano sbizzarrendosi con scoppi tremendi un'infinità di fulmini, questo è molto ben comprensibile, ma se noi qui ci mettiamo a parlare di uno speciale stato d'inquietudine suscitato dalla presenza di Dio, immensamente buono e socievole, allora noi siamo ben degni che si faccia le più grosse risate alle nostre spalle!
4. I nostri vecchi andavano sempre fantasticando di un Padre santo nei Cieli, ma non giunsero mai a formarsi di Lui un qualche concetto. Noi, invece, Questo stesso Padre santo l'abbiamo qui, in tutta la più evidente verità, dinanzi a noi, su questa Terra che ora rappresenta il Cielo di tutti i cieli, e dovremmo trovarci a disagio?
5. È ben vero che qui il modo di sentire deve essere quanto mai insolito e diverso da quello del fanciullo intento ai suoi vani trastulli a casa propria, ma d'altro canto noi ora ci troviamo ad una scuola della vita assolutamente curiosa! Quando un fanciullo va a scuola per la prima volta, certamente anch'egli non si sente tanto a suo agio come quando è a casa con i genitori e occupato unicamente a trastullarsi, ma quando avrà per un anno di seguito frequentato la scuola, allora si troverà anche là altrettanto a suo agio e dedito allo studio, quanto a casa sua dedito ai giochi.
6. Il come però Egli, il nostro Dio, Maestro, Signore e Padre possa con la Sua onnipotente Volontà penetrare tuttavia nell'intera infinità, con assoluta efficacia, ogni cosa dalla più grande alla più piccola e possa essere conscio, chiarissimamente e contemporaneamente, di tutte le Sue creature in numero sterminato, questo, o fratelli, non deve interessarci affatto, o comunque non oltre a quel tanto che basti a farci comprendere che così è, e deve essere, altrimenti ogni cosa esistente dovrebbe evidentemente perdere all'istante la sua esistenza oggettiva.
7. Basta avere soltanto pazienza! Per oggi noi sappiamo tanto, domani è chiaro che ne sapremo di più, entro un anno poi è ben probabile che ne sapremo molto di più che non appunto ora agli inizi del nostro sviluppo spirituale, nel quale stato però noi ci troviamo già ora tuttavia su di un gradino di gran lunga più alto che non prima di noi Mosè e tutti i profeti che godono la massima fama, i quali, nelle loro santissime visioni, hanno appena per le vie di una sottile spiritualità presentito e poi, con parole e segni quanto mai mistici, scritto quello che adesso noi, con esclusione di ogni misticismo, possiamo afferrare con le nostre mani. Basta che noi, in maniera viva, teniamo presente questa cosa, ed allora ben presto ci troveremo molto meno a disagio di quanto si sia trovato Saul tra i profeti»
8. Dicono gli altri: «Sì, sì, tu hai perfettamente ragione, e tutti noi cominciamo già a sentirci un po' meglio! È proprio strano quali effetti può avere la parola ragionevole di un uomo!»
9. E Zahr, il quale era rimasto finora zitto, ma che di solito era sempre di lieto umore, esclama: «C'è davvero da ridere al pensare quante sciocchezze è capace di affastellare alle volte anche la gente più accorta! Micha, il più debole di noi, è stato proprio lui quello che ha dato l'opinione più assennata. E infatti, come mai potremmo qui sentirci estranei e trovarci a disagio? Anzi, precisamente il contrario! Appena adesso ci troviamo completamente a posto! Noi siamo vicini a Dio, l'eterno nostro Creatore e Padre; è da qui che siamo partiti, e qui per quanto è stato possibile siamo ritornati; perché dunque parlare di trovarci a disagio? Qui soltanto siamo perfettamente a casa nostra! In verità, non riesco a comprendere come i fratelli Rob e Boz possano avere una visione così strana delle cose! Cosa ne dici tu, o Mataele?».
Spiegazioni di Mataele sugli avvenimenti memorabili.
1. Dice Mataele: «Tu hai ragione, ma pure gli altri due hanno ragione; questa sensazione è assolutamente individuale! Tu e Micha, per quanto concerne le vostre anime, siete originari da un sole; questi due, invece, sono figli di questa Terra però con l'identico diritto all'amore ed alla grazia del Signore come voi. Ma le vostre anime, già dai loro primordi, sono state più vicine allo spirituale puro di quelle di Rob e Boz, e perciò non deve affatto meravigliare se essi, trovandosi qui talmente vicino allo Spirituale Assoluto e Purissimo, si sentono più estranei e più a disagio di noi, che già dalla prima origine del nostro essere siamo stati più vicini di loro allo Spirito. Ma pure essi, gradatamente, cominceranno ad acclimatarsi, e già nel momento in cui parliamo si trovano molto meglio; però, un giorno non può naturalmente dare quello che può dare un anno. Da qui ad un anno anch'essi certo sentiranno e si esprimeranno differentemente da adesso, quando cioè il loro spirito si sarà sempre più unificato con le loro anime. Intendi questa sapienza?»
2. Risponde Zahr: «Oh, ora comprendo benissimo, perché la mia anima, per effetto delle grandi sofferenze che ha dovuto sopportare, ha essa stessa acquistato molta luce, ed ora intendo tutto con facilità. Solamente quella fanciulla, con i suoi viaggi sulle stelle fisse, rappresenta per me un boccone che non riesco proprio a digerire in "OPTIMA FORMA" (nella forma migliore), malgrado che in fondo io creda a quanto ha detto ed in certo modo anche debba crederle. Ma come abbia fatto i suoi viaggi, questo è tutto un altro discorso!
3. Ma del resto, considerato che senza dubbio noi adesso ci troviamo per così dire nel Centro dell'attività divina, perché dunque, nell'immediata vicinanza del supremo Essere divino, non dovrebbero verificarsi delle cose che normalmente non accadono in tutto l'infinito?!»
4. Dice Mataele: «Con il tuo umore, costantemente sereno, hai spesso delle battute che dicono molto di più di tutto un tempio di Salomone zeppo della più raffinata sapienza. Anche il nostro Micha ha detto prima delle cose molto utili e noi possiamo tutti essergliene grati; ma ora anche tu, o fratello Zahr, hai considerato la possibilità del viaggio corporeo di questa fanciulla, su qualche stella fissa, da un punto di vista tale che una simile possibilità io non la posso adesso mettere affatto in dubbio. In verità è una cosa curiosa! Basta che non ci faccia presente dove ora proprio ci troviamo, e la possibilità per ogni cosa ci appare apertamente dinanzi agli occhi, alle orecchie, alle mani e ai piedi!
5. L'osservazione però fatta da uno di voi, che la Potenza infinita dello Spirito di Dio la si possa meglio raffigurare dentro un corpo di gigante anziché dentro quello comune dell'individuo umano, com'è il caso del Signore, significa bensì qualcosa rispetto alla percezione dal punto di vista materiale, dato che il colossale colpisce maggiormente, a confronto del piccolo, i sensi dell'uomo, ma dal punto di vista dello spirituale-puro la cosa risulta essere un'assurdità. Poiché la Potenza divina non ha affatto bisogno della materia per commisurare i propri effetti, a seconda della quantità della materia a disposizione, sebbene la materia è essa stessa in sé e per sé soltanto un'espressione tangibile che testimonia la forza spirituale della Volontà divina, alla quale è indifferente chiamare all'esistenza tutto un mondo oppure un minuscolo granello di sabbia. A che cosa servirebbe in questo caso avere un corpo da gigante? Il Volere divino non ha bisogno in sé che di un punto d'appoggio eternamente immutabile per rendere manifesta la Sua azione che parte dal detto punto e da questo si irradia sempre, con uguale energia ed intensità, dappertutto nella sfera infinita dei mondi e degli esseri. Ora, per custodire questo Suo santo ed eterno punto d'appoggio, sempre potente allo stesso massimo grado, Egli davvero non ha necessità di disporre di un corpo da gigante.
6. D'altro canto è un fatto che ad esempio gli egiziani, qualsiasi cosa avesse una qualche relazione con la Divinità, l'hanno sempre rappresentata sotto forme colossali, e ben spesso spaventose, per colpire così il più possibile l'immaginazione del popolo schiavo, destinato a rimanere sempre cieco. Questo popolo doveva temere la Divinità fino al terrore, e doveva, quasi annichilito, inchinarsi dinanzi alle sentenze dei sacerdoti e tremare come una foglia percossa dall'uragano! Ma queste raffigurazioni della Divinità hanno forse reso migliore il popolino? Oh, no, affatto! Con il tempo il popolo si abituò alla presenza di quelle figure gigantesche della Divinità, e di una testa di sfinge che si innalza a circa 30 altezze d'uomo dal suolo non fece più nessuna impressione, limitandosi piuttosto ad ammirare la pazienza di un qualche antico scultore, il quale, da un monolito granitico, aveva tratto addirittura una testa.
7. Rallegriamoci dunque ora per averci visitati il Signore stesso e nella più assoluta e chiara verità, sotto la spoglia semplicissima di una creatura umana non particolarmente distinta da alcuna esteriorità, allo scopo di insegnarci, nella maniera più piana di questo mondo, qual è la nostra destinazione, che cosa siamo noi stessi e Chi è Lui. Questo è appunto e soltanto quello di cui abbiamo bisogno, mentre tutto il resto possiamo lasciarlo da parte per l'eternità»
8. Dice Zahr: «Grazie a te, o fratello; quello che hai detto è quanto mai vero e buono! Oramai nel Nome del Signore e Maestro dall'eternità ci siamo confortati con vantaggio reciproco, e nel frattempo l'alba è già bene avanzata; ma, come vedo adesso con l'approssimarsi del giorno, tutti si sono dati a sonnecchiare all'infuori di noi, ed io devo confessare che non sento in me la benché minima traccia di stanchezza, ma ritengo che voi pure sarete, come me, pienamente in forze!»
9. Dicono tutti: «Completamente! Tanto rinvigoriti e ben disposti non ci siamo veramente mai sentiti!»
Le missioni e le sofferenze degli angeli.
1. A questo punto si avvicina ai cinque Raffaele e dice: «Neppure io dormo, quantunque abbiate detto che tutti dormono, all'infuori di voi!»
2. Risponde Zahr: «O amico, che tu non dorma, come anche non puoi affatto dormire, questa è una cosa che deve pur riuscire assai chiara a ciascuno che ti conosca altrettanto bene quanto noi! Di conseguenza, ti saresti ragionevolmente potuto risparmiare questa osservazione. Vedi, caro il mio angelo, è già abbastanza che da parte di noi uomini venga posta talvolta in luce la stoltezza da cui siamo afflitti, e non sentiamo davvero bisogno che in questo campo ci venga un aiuto da parte tua per diventare ancora più stolti di quanto noi siamo già per natura, ma sentiamo piuttosto il bisogno di venire da te ammaestrati in ogni altro campo, facendo ricorso ai tesori immensi della tua sapienza ed esperienza, che sono più antichi delle fondamenta del mondo»
3. Chiede Raffaele: «Ma chi allora, secondo te, sono io, per non avere necessità di dormire?»
4. Risponde Zahr: «Oh, te ne prego, o celestiale amico mio, non interrogarci o parlarci in maniera così dubbia e oscura! Tu sei un angelo del Signore dai Cieli, e il Signore, per la necessità del momento, ti ha provvisto di un corpo alquanto lieve! E questo corpo tu lo puoi deporre ed annientare con maggiore rapidità di quella del lampo!
5. Dunque, tu sei un essere ben differente dall'uomo di questa Terra, sempre mortale per quanto concerne il corpo; tu non sei nato da donna, e all'infuori di Dio, il Signore, non hai mai avuto un padre ed una madre che ti avessero generato e concepito, come è stato per noi. Tu, dai tempi più immemorabili, godi di una beatitudine che l'uomo non potrà mai immaginare; il dolore, le sofferenze, il cordoglio e il pentimento amaro, tutto ciò lo conosci soltanto di nome e non per tua diretta esperienza, e perciò non puoi affatto ragionare, secondo la pienissima verità, di cose terreno-umane con gli uomini; invece con noi tu puoi parlare unicamente di cose spirituali-pure, che noi anche accetteremo da te con la massima gratitudine. In ciò tu ti sai districare bene, ma della materia in generale e del corpo in particolare tu non puoi parlare con cognizione di causa, dato che tu, dentro un corpo misero e dolorante, non ci sei mai stato»
6. Dice Raffaele: «Ma guarda un po' quante belle cose sai tu! Ma io ti dico che se anche non mi fossi mai trovato dentro un qualche corpo, tuttavia so che cos'è un corpo e a quale scopo esiste ogni sua fibra meglio di quanto lo potresti sapere tu anche dopo mille anni di diligentissimo studio!
7. Non siamo forse noi angeli che dobbiamo avere cura di tutto ciò che riguarda l'essere dell'uomo, dal suo embrione fino al suo dipartirsi da questa Terra?!
8. Non siamo forse noi che, mediante i dolori e le sofferenze provocate nella vostra carne, purifichiamo le vostre anime e le rendiamo atte ad accogliere lo spirito da Dio? E noi, secondo te, non dovremmo sapere che cosa sono le vostre molteplici sofferenze e i vostri dolori? Ma cosa mai ti va frullando per il capo, se te ne vieni fuori con questo genere di rimproveri?
9. Oh, credimi invece, noi angeli siamo tutt'altro che incapaci a percepire il dolore e la sofferenza; anzi io ti dico che molte volte noi dobbiamo sopportare sofferenze e dolori maggiori dei vostri, specialmente quando, come anche troppo spesso succede, dobbiamo constatare quanto gli uomini ostinati calpestino, fra gli scherni e le beffe, con gli immondissimi piedi tutte le nostre grandi fatiche, volgendoci completamente le spalle.
10. Ascolta, o amico mio, useresti tu tanta pazienza con un tale sul quale ti fosse stata concessa ogni potestà, e che mentre tu lo colmi dei maggiori benefici egli te li ricambia con altrettanto disprezzo e non vuole affatto saperne niente di te, né ascoltare i tuoi consigli e contemporaneamente non pensa sempre ad altro che a sbarazzarsi di te, il suo più grande amico e benefattore, e possibilmente a danneggiarti e per di più, in premio di tutte le cure e le fatiche da te spese per la sua salute, a perseguitarti con la calunnia ed a tramare contro di te il tradimento?! Dimmi, se tu fossi ad esempio un secondo Cirenio, cosa faresti di un simile uomo? Avresti la pazienza di assistere con tutta indulgenza, moderazione e mansuetudine un simile scellerato fino alla sua fine?»
11. Dice Zahr, assumendo un aspetto meravigliatissimo alle parole dell'angelo: «No davvero, o amico mio! Sento che una simile pazienza non potrei averla mai più in vita mia! Già senza avere alcun potere, la pazienza verrebbe a mancarmi; figurarsi poi se disponessi di un potere!»
12. Dice Raffaele: «Vedi dunque, io, senza dover rispondere delle mie azioni, dispongo di tanta forza e potenza che io da solo potrei, in un minimissimo istante, distruggere e annientare interamente tutta questa Terra, la Luna, il Sole, nonché tutte le stelle visibili all'occhio tuo - che non sono altro che corpi mondiali enormemente grandi - con tutto quello che soli, pianeti e satelliti portano; eppure nel mio libero volere ho sempre tanta pazienza con l'umanità caparbia e indocile di questa Terra!
13. Ma tutto questo non sarebbe niente e sarebbe un male ancora facilmente sopportabile, ma pensa adesso al contegno ostinatamente quanto mai ribelle di Satana e dei suoi angeli, i quali, da esseri spirituali molto potenti, essi stessi vanno continuamente accarezzando il lodevole piano di trarre in rovina non solamente noi, ma anche Dio stesso e di togliergli tutta la Sua Potenza!
14. Certo, una cosa simile non può accadere mai in eterno, ma, ad ogni modo, il malvagio e irrinunciabile piano c'è, ed essi non desistono dai tentativi di realizzarlo; ed essi, con ciò, vanno sempre incontro a spaventosi dolori, che si preparano da se stessi con la loro perfidissima volontà; ma ciò non li confonde assolutamente al punto da rinunciare permanentemente alla loro grande malvagità!
15. Vedi, a noi non sfugge tutto ciò, ed abbiamo il potere non soltanto di punirli nella maniera più dolorosa, ma anche di annientarli del tutto per l'eternità, senza essere chiamati a rispondere dinanzi a Dio, il Signore!
16. Ma, nonostante ciò, noi dimostriamo loro tutta la pazienza e l'indulgenza possibili, considerandoli come nostri fratelli caduti, e guidiamo rigidamente le circostanze così che, da parte nostra, non viene mai limitato il loro libero volere, che è e rimane sempre perfettamente tale, accontentandoci soltanto di impedire, con ogni cura, l'azione a distanza di tale perversa volontà. Ed ora dimmi, o amico mio, cosa faresti tu in simili condizioni?»
17. Risponde Zahr: «Io mi scaglierei come un orso menando colpi all'impazzata, e vorrei vedere se questa specie di spiriti bestiali non mi desse ascolto, particolarmente qualora, senza essere obbligato a rispondere verso chicchessia, mi fossero proprie la potenza e la forza che hai tu!»
18. Dice Raffaele: «Vedi, dunque, che l'essere un angelo di Dio non è una cosa tanto facile come ti immaginavi, e che di quanto veramente ha relazione con l'uomo devo intendermene un pochino anch'io; con ciò risulta giustificata anche la mia pretesa di discuterne eventualmente con voi!»
19. Osserva Zahr: «Oh, sì, io ne sono ormai più che persuaso, ma adesso dimmi ancora: "Sei tu qui per dovere o per tua libera volontà?"»
20. Risponde Raffaele: «Ebbene, ti dirò, io potrei anche abbandonarvi, al momento, di mia propria liberissima volontà, ma la mia volontà è invece di restare con voi, perché ciò piace al Signore; ora, considerata bene a fondo la cosa, quello che costituisce la mia volontà è veramente il compiacimento del Signore, e contro ad esso nemmeno Dio stesso può schierarsi, perché questa è la chiave di volta della conservazione di ogni Creazione della quale, con tutto il numero per te infinito delle stelle che la tua vista abbraccia, tu non riesci a vedere neppure la eonesima[19] parte, per non parlare poi della sua infinita totalità e della peculiarità delle sue parti! Ma ecco che il Sole va rapidamente avvicinandosi al suo sorgere ed il Signore fa ritorno; perciò ora conviene stare di nuovo perfettamente attenti ad ogni Suo cenno!».
Ogni spirito di preoccupazione umana viene cacciato da Raffaele.
1. Chiede allora Zahr: «Non dovremmo forse svegliare adesso i dormienti?»
2. Risponde Raffaele: «Si sveglieranno bene, non appena il Signore sarà ritornato fra noi!»
3. A queste parole Giara è in piedi d'un balzo e con impeto appassionato domanda: «Da che parte! Oh, da che parte viene l'Amore di ogni amore? Gli occhi miei non vedono ancora niente!»
4. Dice Raffaele, sorridendo: «Ma questo non ha importanza, quando Lo vede il tuo cuore vuol dire che ben presto nemmeno i tuoi occhi resteranno digiuni. Egli sarà qui precisamente al sorgere del Sole!»
5. Esclama Elena, che pure essa era rimasta desta: «O Giara, vuoi? Andiamogli incontro! Oh, che felicità poterLo vedere prima che giunga qui!»
6. Dice Giara: «Sì, sì, o amica mia, vieni pure con me. Oh, che gioia sarà quando potremo già da lontano vederLo venire verso di noi!»
7. E detto questo le due fanciulle si dirigono in fretta verso il bosco situato ad occidente, e ben presto vi scompaiono.
8. Ed Ouran, sveglio anche lui, che le aveva seguite con lo sguardo quando furono scomparse nel bosco, disse: «Alla fine rischiano di smarrirsi! Il monte, a quanto si può vedere in direzione verso Mezzogiorno, è abbastanza fortemente in salita e dovrebbe estendersi per parecchie ore di cammino! Nella loro fretta esse si allontaneranno chissà quanto, mentre il Signore può capitare da un'altra parte, e così Lo cercheranno, ma non Lo potranno trovare!»
9. Dice Raffaele: «O, non affannarti per questo! Quelle due non si smarriranno affatto, come non mi smarrirei né potrei smarrirmi io. Quando il cuore, per effetto d'amore, si trova in una simile intensissima Luce, la possibilità di smarrirsi si rende sotto qualsiasi aspetto assolutamente impossibile! Esse certo si addentreranno per bene nel bosco, ma finiranno anche con il trovare il Maestro»
10. A queste parole, Ouran si calma e si mette nuovamente ad osservare dalla parte della città, avvolta ancora fortemente dal fumo. Con la sua vista molto acuta egli ben presto scorge come dalla città iniziano ad allontanarsi delle masse di gente in tutte le direzioni, non escluso il nostro monte verso il quale sembrano rivolgersi delle intere processioni. Allora Ouran esclama: «Adesso sì che stiamo freschi! Se capitano tutti qui, dove si potrà trovare del pane per tanto popolo? Questi finiranno con il divorare completamente il vecchio Marco, assieme a tutta la sua casa!»
11. Osserva Raffaele: «Anche a questo riguardo le tue preoccupazioni sono superflue! Tutta la Terra e tutte le creature che su di essa vivono, hanno certamente bisogno ad ogni singolo istante di una quantità grandissima delle cose più svariate, ed il Signore sazia tanto la grande Terra stessa quanto tutti gli esseri che vi dimorano! Ma che cosa è la Terra al paragone del Sole, il quale è dieci volte centomila volte più grande di lei, e che ha bisogno sempre di quantità incalcolabili di nutrimento per mantenere la sua potente luce, nonché le innumerevoli creature che vivono sugli immensi suoi campi splendenti? Eppure il Signore ha cura costante del Sole, come ha cura di te, o mio nobile amico!
12. Ora immaginati lo sconfinato spazio della Creazione, che nessuno in eterno arriverà mai a misurare; spazio ricolmo di soli e di mondi molto più colossali ancora di questa Terra, con il suo Sole lucente! E tutti sempre e ugualmente vengono dall’Uno e Lo stesso Signore provvisti riccamente di tutto ciò che occorre alla loro esistenza. In nessun luogo manca qualcosa, ed invece la maggiore abbondanza regna dappertutto! Ma se così è, come altrimenti in eterno non può che essere, perché dovresti allora affannarti al pensiero del come si potrà provvedere del pane per i molti, che usciti dalla città si dirigono da questa parte?»
13. Risponde Ouran: «È vero, hai perfettamente ragione! Io non sono un sapiente, ma un semplice uomo, e viene il momento in cui mi dimentico dove veramente adesso mi trovo, ma ormai anche questa è passata e l'equilibrio in me è ristabilito!»
14. Allora si avvicina Ebram, che pure con i suoi trenta compagni era rimasto sveglio, e dice: «Non ti pare che la faccenda susciterà grande scompiglio, dato che oggi è un Sabato e in aggiunta più rigoroso ancora dei soliti? Se l'incendio fosse scoppiato in una giornata comune, si potrebbe senz'altro soccorrere con il consiglio e con i fatti tutti gli sventurati che verranno qui, ma considerata la giornata speciale d'oggi, questo anche per il grande Maestro sarà un compito alquanto difficile!»
15. Dice Raffaele: «Anche tu preoccupati di qualcos’altro e non di queste cose! Hai mai visto il Sole celebrare il Sabato, o il vento, la pioggia, il crescere delle piante o altro del genere? Ma perché queste creature non celebrano il Sabato? Perché non lo celebra mai nemmeno la Volontà del Signore, incessantemente attivissima, essendo Egli un Signore anche del Sabato?
16. Ovvero, come potresti attribuire a Dio, come avente valore per Lui, una legge molesta che appunto Dio ebbe a dare soltanto agli uomini per la loro santificazione, da aver valore finché Egli l'avesse reputata opportuna?!
17. Ma se il Signore ti condona il Sabato e la sua celebrazione, che cosa allora ti proponi di raggiungere con il tuo stolto Sabato? Vorresti forse appiopparlo anche a me il tuo Sabato, perché lo santificassi anch'io, dedicandomi ad un ozio perfettamente inutile, senza senso e senza scopo? Oh, aspetta aspetta, proprio oggi che è Sabato vi preparerò una bufera che vi resterà per dei mesi inchiodata nella memoria!»
18. Dice Ebram: «O mio celestiale amico, tu non devi interpretare in malo modo la mia domanda! Bisogna che tu pensi sempre che noi siamo semplicemente uomini e che, nonostante anche la migliore buona volontà, date certe straordinarie occasioni noi ricadiamo sempre nella vecchia abitudine, come il maiale nel pantano. Ma tu, o servitore possente ed angelo del Signore, proteggi tutti noi da simili ricadute, perché noi tutti siamo creature umane particolarmente deboli e colme di difetti»
19. Dice Raffaele: «Ebbene, ora va' dai tuoi fratelli e tranquillizzali, perché essi pure sono assillati dalla stessa stolta preoccupazione del Sabato, a causa della quale tu sei venuto qui da me, e dimostra loro quanto c'è di sciocco nella loro preoccupazione, e pian piano si desteranno anch'essi!». Ebram allora se ne va ed esegue positivamente l'ordine ricevuto da Raffaele. Dopo ciò, anche Ebal da Genezaret si sveglia, e rivolto ad Ouran gli chiede subito notizie di Giara.
20. Ouran lo informa di quanto era successo, e come Giara in compagnia di Elena si fosse incamminata nel bosco in cerca del Signore.
21. Ed Ebal allora dice: «Ahi, ahi, non avrebbero dovuto andarsene così! Il bosco a quest'ora formicolerà probabilmente già di gente di tutte le classi, allontanatasi da Cesarea! Ma considerato ciò, non è mica difficile che possa capitare loro qualcosa di sommamente spiacevole!»
22. Dice Raffaele: «Anche tu potresti preoccuparti d'altro e non di questo! Le due fanciulle sono già da lungo tempo sulla buona via e non tarderanno ad essere di ritorno. Quando il Sole si sarà completamente alzato, il Signore giungerà qui, e vedrai che le due fanciulle non saranno molto lontane da Lui!»
23. Chiede Ouran: «Quanto manca ancora al pieno sorgere del Sole?»
24. Risponde Raffaele: «Una mezz'oretta ancora!»
La difficoltà di conversione dei sacerdoti.
1. Così tutti rimangono soddisfatti e la tranquillità ritorna su questa cima, che è separata soltanto da una piccola sella dalle altre cime più alte che si susseguono per un bel tratto verso Mezzogiorno; ma giù, alla riva del mare, c'è invece già molta animazione, perché varie compagnie provenienti dalla città sono già giunte alla dimora del vecchio Marco, dove lamentano, ovviamente con foschi colori, la loro miseria e la sciagura che senza loro colpa è venuta su di loro.
2. Nella cucina di Marco regna di conseguenza la maggiore attività, ed i due figli del vecchio Marco, assieme al loro padre, sono occupati a preparare vari focolari da campo, allo scopo di approntare una colazione sufficiente per tanti ospiti.
3. Alcuni fra i fuggiaschi di Cesarea si avviano anche verso il monte, avendo già in distanza scorto che lì c'era gente, ma quando si accorgono della presenza dei romani, si affrettano a ritornare sui loro passi, supponendo che questi siano stati messi là di vedetta per fermare i fuggiaschi e rimandarli alla città ancora in fiamme per lavorare allo spegnimento dell'incendio; ciò che agli ebrei ortodossi sarebbe riuscito sommamente incomodo, data quella particolare giornata di Sabato. Perché a Cesarea vivevano parecchi di questi ortodossi, i quali, senza essere proprio dei farisei, tenevano all'osservanza dei principi mosaici in maniera terribilmente rigida, ed in quella giornata ci si trovava precisamente in un Sabato di novilunio, che veniva sempre osservato con maggiore rigore degli altri Sabati comuni. Ma la fatalità aveva voluto che le strane apparizioni della sera prima avessero aggravato ancor di più la situazione, in modo che quei tali, con il capo rasato cosparso di cenere e con le vesti stracciate, apparivano invasi da uno zelo ancora più grande, e risoluti ad osservare quel Sabato con un rigore ancora più accentuato che non un altro Sabato, sia pure di novilunio. Per questi rigidissimi osservatori del Sabato, sarebbe stato supremamente fatale se i romani, i quali di Sabati non ne volevano sapere, li avessero rimandati in città per cooperare allo spegnimento; perciò avendo scorto i romani, e quantunque questi sonnecchiassero ancora, non si trattennero a lungo sul monte, ma come detto se la svignarono immediatamente.
4. E Raffaele sorridendo disse a Mataele: «Li hai visti quei terribili fautori del Sabato? Come se la sono svignata rapidamente non appena si sono accorti della presenza dei romani! Ma puoi stare allegro, perché quelli là ci daranno in giornata ancora molto filo da torcere!»
5. Dice Mataele: «O amico mio! Forse con l'amore, la sapienza e la pazienza, e particolarmente con l'aiuto del Signore, tutto si potrà aggiustare. Io non posso che compiangerli; quei miseri, ciechi di cuore e nudi d'intelletto, se ne stanno infissi nella loro stoltezza come dei vecchi chiodi arrugginiti in una trave! Chissà che non si riesca a guarirli tutti!»
6. Osserva Raffaele: «O amico, finché l'uomo è soltanto stolto, la cosa è più facile, ma quando la stoltezza è fattivamente e solidamente congiunta all'orgoglio, all'ambizione ed all’avidità, allora la conversione diventa una faccenda grave, e ancora più grave se si tratta della casta sacerdotale nelle sue gerarchie più alte!
7. Considera la posizione di qualsiasi uomo, ad esempio quella di un comandante di eserciti o di un qualche altro alto funzionario di Stato; finché egli è investito della sua carica, egli anche esige la stima e l'onore che gli compete e che gli viene anche riconosciuto, ma con il tempo egli può diventare inabile alle sue funzioni e perciò viene collocato in riposo, ed allora "DE FACTO" (effettivamente) non è più nulla. Il sacerdote dell'alta gerarchia, invece, mantiene il suo prestigio intatto fino alla tomba, e dopo la sua morte i sacerdoti successori gli fanno erigere un monumento a maniera di tempio, agli scopi del loro proprio onore e della loro stima, e gli tributano onoranze divine! La casta sacerdotale, dunque, sa conservare intangibile, per lunghi tempi, la propria dignità, e sa tutelarla in ogni contingenza della vita.
8. Ma prova tu ad avvicinare un simile sacerdote, altissimamente tronfio della sua dignità e che puoi benissimo vedere come sia sommerso nella falsità e nella menzogna, e ti convincerai di non poter ottenere assolutamente niente da lui! La sua dignità egli la considera superiore a quella di un imperatore, dato che egli presume di essere un rappresentante di Dio sulla Terra, ed egli non è disposto a cambiarla con nessuna altra dignità di questo mondo.
9. Se tu vuoi indurlo a cederti la sua dignità in cambio di molto oro ed argento, egli ti risponderà: "Io possiedo già oro e argento senza che tu me ne dia, mentre la mia dignità vale più di tutti i tesori del mondo intero, perché io sono un ministro di Dio e non un funzionario di un principe del mondo, e il mio ministero permane in eterno!". Ma dopo che ti avrà fatto una tale obiezione, non ti resterà più alcun argomento valido tra le mani, e dovrai in aggiunta finire con il ballare al suono della musica che piacerà ad un simile alto sacerdote, assolutamente tronfio della sua sublime dignità! E per questo dico che con questi ortodossi si potranno ottenere ben magri risultati! In quanto al resto, il tuo sentimento è veramente degno di rispetto, e a Dio, il Signore, sono possibili moltissime cose che a noi angeli ed a voi uomini ben spesso sembrano impossibili»
10. Dice Mataele: «Io ti ringrazio di quanto mi hai detto, ma ecco che adesso il Sole sorge, ed in cuore nostro dobbiamo tenerci pronti alla venuta del Signore»
11. Osserva Raffaele: «Hai perfettamente ragione, perché il Signore è davvero il Sole di tutti i soli. Quando Questo Sole sorge nel cuore dell'uomo, per l'uomo è anche sorto il giorno di tutti i giorni. Lo vedi tu già venire fuori dal bosco; ma perché mai guardi da quella parte con tanta attenzione?»
12. Risponde Mataele: «Il Sole veramente si è già alzato del tutto sopra l'orizzonte, però del Signore e delle due ragazze che gli sono andate incontro non si scorge ancora niente; a me sembra che, prendendo alla lettera la tua asserzione, tu stesso ti sia questa volta un po' sbagliato nella tua celestiale profezia! Il pieno sorgere del Sole non si accorda questa volta proprio perfettamente con il ritorno del Signore! Vedi, il Sole sta già discretamente alto sopra l'orizzonte, e del Signore non c'è alcuna traccia. Dimmi, dunque, quale significato debbo attribuire alla predizione che ci hai fatta?»
13. Dice Raffaele: «Ma tu devi rivolgere i tuoi occhi dalla parte da dove Egli viene e non da quella da dove Egli non viene! Voltati, e ben presto ti convincerai che io non vi ho fatto alcuna falsa predizione».
Della giusta ricerca di Dio.
1. A queste parole dell'angelo, Mataele, Ouran, Ebal ed i quattro compagni di Mataele si voltano rapidamente, e vedutoMi arrivare sulla collina assieme al vecchio Marco, si affrettano tutti incontro a Me.
2. Giunti presso di Me, Mi salutano tutti con la massima amorevolezza e Mi ringraziano per essere ritornato da loro; ma, come vedono che Giara ed Elena non sono con Me, cominciano a impensierirsi, ed Ebal, estremamente preoccupato per Giara, Mi chiede in tono che tradisce un po' di timore se nel bosco Io non Mi fossi forse imbattuto nelle due, che secondo le parole di Raffaele si erano affrettate a venirMi incontro. E considerato che non erano ritornate con Me, era probabile che esse stessero ancora cercandoMi nel bosco! Per questo avrebbe desiderato che Io mandassi loro incontro Raffaele, perché le riconducesse sane e salve alla compagnia!
3. Ed Io allora dissi: «Perché voi tutti siete in pena, a causa di queste che Mi cercano? Credete che Io possa proteggere qualcuno solamente a condizione che Io sia corporalmente vicino a lui? Ma quando tu, o Ouran, ti trovasti in grave pericolo, chi fu ad avvertirMi perché Io avessi riguardo per te, e ti salvassi? Ignoro forse Io dove sono ora quelle due che Mi cercano? Datevi dunque pace, e vedrete che presto saranno qui di ritorno.
4. Le due fanciulle Mi hanno trovato anche nei loro cuori, ciò che è facile per chiunque; ma chi Mi cerca esteriormente, pur sapendo che Mi si deve cercare soltanto interiormente, conviene che abbia anche una simile lezione, qui certo data soltanto come esempio, perché impari che il cercarMi e il venirMi incontro solamente esteriori, non lo possono mettere in grado di venirMi più vicino, ma anzi contribuiscono ad allontanarlo sempre più da Me! Questa cosa potete farla oggetto di serie considerazioni, tanto più in questa mattinata di Sabato! Del resto le due hanno scoperto le Mie tracce e non tarderanno molto ad essere di ritorno»
5. Dice Ebal: «Orbene, se è così, tutto è di nuovo in perfetta regola! Veramente esse sarebbero certamente rimaste con noi se Raffaele non le avesse indotte con le sue parole ad una così repentina decisione. Il buon giovinetto vede tutto da vicino, per quanto anche distante sia una cosa, e perciò si può facilmente restare accalappiati. Non succede così spesso che egli sconsigli qualcuno dal fare qualcosa, anche qualora si tratti perfino di un passo falso, perché intende condurlo sulla buona via mediante esperienze amare, da fare dall'interessato a proprie spese, e sarà accaduto così che non avrà sconsigliato, come si potrebbe supporre, le due dal venirTi incontro, ma non avrà certo fatto altro che spronarle ad avventurarsi nel bosco, e di conseguenza si sono probabilmente fermate tutte stanche in qualche luogo, senza sapere che pesci pigliare! Però, alla mia Giara sta bene, perché conosce il modo di fare di Raffaele e come deve comportarsi di fronte a lui! Essa è rimasta ancora una volta intrappolata, e questo non le farà affatto male, però anch'egli bisogna che si prepari a ‘stare allegro’! Quando essa sarà di ritorno, non mancherà di fargli un nuovo predicozzo di qualità speciale, ed egli avrà nuovamente occasione di meravigliarsi per la parlantina sciolta di Giara!»
6. A questo punto proprio Raffaele, il quale nel frattempo aveva destato i dormenti, si avvicina al nostro gruppo, ed Ebal gli dice: «Tu sei di nuovo la causa per cui Giara, e con lei anche Elena, si sono avventurate in una impresa un po' disgraziata! Io devo confessarti che la maniera nella quale procedi con le persone che ti sono affidate e il modo con cui vai guidandole non mi piacciono affatto! Quando un tuo discepolo vuole fare qualcosa che non è del tutto in ordine, è tuo dovere dissuaderlo con il consiglio e con i fatti; e non sta bene che tu lo lasci cadere in errore o anzi, in certo qual modo, incitandolo a fare proprio così per poi, solo dopo che è caduto, preservarlo da futuri errori con lo spauracchio delle cattive conseguenze da lui stesso sperimentate. Questo procedimento potrà essere buono e opportuno con gli spiriti della tua specie, ma avendo a che fare con creature umane esso, a mio giudizio, anche se non è proprio da gettare via, non si adatta assolutamente!»
7. Risponde Raffaele: «Tu sei un israelita rispettabile e onestissimo, ma per quanto concerne le vie segrete del Signore, tu sei ancora sciocco come un pesce! Credi forse che quello che faccio lo faccio di mia volontà? Io sono un dito del Signore, e devo fare come lo Spirito del Signore mi suggerisce! Se tu fossi dotato di una perspicacia un po' maggiore, ti persuaderesti facilmente di questa cosa, ma io so fin dove arriva il tuo occhio nel campo dello spirituale, e perciò indulgo a tale tua debolezza. Del resto, che le due non si siano affatto smarrite, lo puoi constatare vedendo precisamente come adesso esse si dirigono verso di noi, sane e salve, venendo dalla parte dove c'è la capanna di Marco, e sono accompagnate da una delle sue figlie, che ci porta la notizia che la colazione per noi è pronta!»
8. Dice Ebal: «Ma, come hanno potuto arrivare fino al piano senza essere viste da noi?»
9. Risponde Raffaele: «Non ha detto prima il Signore che esse erano sulle Sue tracce?»
10. Osserva Ebal: «Bene, bene, io non ho più nulla da dire, dal momento che sono qui di ritorno; almeno, per conto mio, tutto è in piena regola!».
Motivo della distruzione di Cesarea Filippi.
1. Dopo ciò, ci perviene da Marco la notizia che la colazione è pronta, e che tutte le mense sono già riccamente provviste di cibi e bevande; noi allora scendiamo giù dal monte per prendere posto alle nuove mense, allestite ancora nello stesso ordine come il giorno prima, dove nessuno mancava.
2. E Ouran dice allora ad Elena: «Quando poco fa eri giù, hai osservato se le nostre tende sono ancora a posto e se sono in ordine? Ed i nostri servitori hanno ricevuto anch'essi di che ristorarsi, e si è provveduto pure ai nostri animali?»
3. Dice Mataele ad Ouran: «O amico e suocero mio! Alla presenza del Signore tutte queste cose sono vane! Tu non devi fare altro che pensare al Signore, perché Egli, dal canto Suo, pensa per noi e per tutto l'infinito!»
4. Dopo tale osservazione di Mataele ad Ouran e mentre ci avviamo verso le mense discendendo dal monte, Cirenio strada facendo Mi domanda: «O Signore devo forse mandare un reparto dei miei soldati in città, per dare una mano a spegnere l'incendio? Perché se alla città non viene portato aiuto, alla fine di questa sera essa sarà ridotta ad un cumulo di macerie fumanti!»
5. Gli dico Io: «Mio caro amico! Se Io l'avessi voluto, avrei ordinato già da lungo tempo al Mio Raffaele di portarsi in città, e il fuoco sarebbe stato spento in un attimo; ma la Mia Volontà è invece che questa città, pessima per Dio e per l'imperatore, venga umiliata del tutto. Perciò Io concedo che là venga distrutto tutto dal fuoco, ad eccezione delle dimore dei poveri e degli umili, mentre ogni altra cosa conviene sia ridotta in cenere! In avvenire, della gente migliore verrà a stabilirsi in quella città e ai discendenti del nostro vecchio Marco sarà conferito un onesto comando su di essa e dintorni, con l'autorizzazione dell'imperatore da essere mantenuto in famiglia ereditariamente da figlio in figlio e da nipote in nipote, ma se essi pure si dimenticheranno di Dio, toccherà anche a loro la stessa sorte, come agli abitanti dell'attuale città.
6. Se in questa città della fornicazione l'incendio fosse scoppiato in un giorno lavorativo, esso sarebbe stato spento già da lungo tempo, ma in giorno di Sabato, e particolarmente trattandosi di un Sabato di novilunio, nessuno di quei rigidissimi israeliti acconsente a toccare alcuna cosa, nemmeno con la punta del dito mignolo, per timore di apparire impuri al cospetto di Dio.
7. A tale riguardo, la coscienza di questi ortodossi è quanto mai sensibile, ma il tralasciare le opere buone non inquieta affatto la loro coscienza, come pure non l'inquieta l'adulterio materiale e spirituale ed ogni tipo di menzogna e d'inganno.
8. Essi sono perfino dell'opinione che un peccato commesso contro i Comandamenti di Dio, in una giornata comune, non sia quasi peccato, e che fino a sera ci sia tempo sufficiente per purificarsi, invece in una giornata di Sabato si dovrebbe restare impuri fino alla sera, quando cioè ha inizio il dominio del principe della notte, ed allora molto facilmente potrebbe accadere che venisse un inviato di Satana, il quale una volta trovato qualcuno impuro, facesse buona preda della rispettiva anima!
9. Secondo loro, il peccato nuoce all'uomo soltanto di notte, e per essere precisi veramente soltanto fino a mezzanotte, perché è in questo lasso di tempo che a Satana è concessa la caccia aperta. Di giorno egli non ha potere alcuno, e quindi si può peccare a proprio piacimento senza avere da temere conseguenze, solamente bisogna fare grande attenzione a purificarsi prima del tramonto del Sole e nella maniera prescritta da Mosè, e avvenuto che sia ciò, ogni timore per i peccati commessi durante il giorno non ha nessuna ragione di essere durante la notte.
10. Il pensiero di Dio non conturba affatto questi ciechi, per quanto abbiano anche peccato contro i Suoi Comandamenti durante il giorno. Essi ci tengono soltanto a non cadere tra le grinfie di Satana, e poiché tale cosa può verificarsi con maggiore facilità di Sabato, quando cioè non possono ammazzare alcun caprone od agnello o vitello, anzi non possono nemmeno lavarsi sette volte, allora essi hanno ogni possibile cura di conservarsi puri durante tutta la giornata del Sabato, affinché il demonio non abbia nei loro confronti alcun potere una volta che il Sole sia tramontato!
11. Ecco, è qui che tu devi cercare il motivo per cui questi tenebrosi, sotto ogni aspetto, preferiscono che le loro dimore siano ridotte in cenere il giorno di Sabato piuttosto che dar mano a spegnere il fuoco. Ma perciò verrà anche il giorno in cui un condottiero romano, che non ignorerà tale rozza ed incurabile pazzia di questo popolo, avrà facile gioco nel disperdere, con un assalto improvviso e sferrato nella giornata di un Sabato invernale, questa progenie che allora sarà insorta, e di ridurre la loro gran città ad un cumulo di rovine.
12. Ma adesso pensiamo a far colazione prima che ci capitino qui, in gran numero, delle visite non proprio molto desiderabili, con le quali avremo il nostro bel da fare per levarcele d'attorno con le buone maniere»
13. Dopo ciò tutti presero posto alle mense, e l'eccellente colazione venne consumata con particolare buon appetito. In questa occasione non si trovò, fra i commensali, nessuno discorde nel tributare ampia lode al vecchio Marco e anche Ouran ed Elena osservarono che essi, in vita loro, non avevano mai gustato del pesce così ben preparato e del pane così saporito; Marco però devolse a Me ogni lode e disse: «Questo è il Sale e il Condimento di ogni cibo, di ogni bevanda e di ogni cosa, a Lui solo offrite la vostra giusta lode!»
14. Ma non ci fu nessuno fra i molti ospiti che non avesse compreso ciò che Marco aveva voluto dire, e tutti Mi glorificarono in segreto nei loro cuori. Mataele, però, osservò ad alta voce: «Sì, o vecchio Marco, tu hai ragione, poiché là dove il Signore di ogni vita è il capocuoco e il Tutto nel tutto, là è incomparabilmente bella e buona la vita, poiché in tali condizioni lo spirito, l'anima e il corpo ottengono il migliore alimento! Tu hai fatto molto bene ad offrire al Signore la lode resa a te, ma appunto perciò il tuo nome non morirà nei cuori di coloro che hanno imparato a conoscerti quale un amico del Signore».
15. Marco poi Mi ringrazia per il grande onore fatto alla sua casa, e ringrazia pure Mataele per le buone parole rivolte, che però dichiara di non meritare affatto.
Cirenio e la delegazione dei farisei ortodossi fuggiaschi da Cesarea incendiata.
1. Finita la colazione, Cirenio e Giulio Mi domandano che cosa si dovrà fare poi.
2. Io allora dico (a Cirenio): «Aspettiamo un po' qui, perché tra breve ci sarà da fare qualcosa che ora è in preparazione. Guardate là, verso la riva! Ecco che, come una nuvolaglia pigra, vanno trascinandosi già vari farisei ortodossi anziani con i loro discepoli non meno ortodossi. Questi sono già venuti a conoscenza che tu ti trovi ora qui, per ragioni che essi certamente ignorano. Essi ritengono che tu sia venuto qui per ispezionare le località del mare di Galilea e che tu abbia stabilito in questo posto una specie di campo, e la vista delle sfarzose tende di Ouran li rafforzano nella loro nebulosa opinione. Essi ora stanno attenti per vedere se tu arriverai per mare su qualche nave o, se essendo già qui, uscirai da una delle tende. Essi poi hanno l'intenzione di metterti a cuore la questione del risarcimento, dato che la loro opinione è che i pagani hanno incendiato le loro case!
3. Ma essi ben presto e facilmente apprenderanno che tu invece ti trovi qui, e noi quindi li avremo tutti addosso. Puoi immaginarti poi che specie di fatica ci procureranno! Una cosa però raccomando a te ed a voi tutti, che cioè la Mia presenza non venga rivelata anzitempo. Bisogna che essi vengano messi prima completamente alle strette e subito dopo deve venir loro annunciato lo spavento degli spaventi, consistente nella Mia presenza in questo luogo. Ma tu poi avrai occasione di persuaderti di quanto ci sarà da fare e da trattare con questa progenie adultera!
4. Mataele e Raffaele ci renderanno in questa occasione dei buoni servizi; ma prima della metà del giorno non ci sarà possibile levarceli dai piedi. Restiamo dunque tranquilli qui per un po’ ancora, e tu frattanto vedi di chiamare a raccolta le tue forze, perché ormai tu conosci quello che ti aspetta»
5. Dopo ciò il silenzio si fa generale, e solamente i soldati e la servitù sono ancora affaccendati ai piedi del monte e chiacchierano a voce un po' alta.
6. Trascorso qualche tempo, Mataele Mi domanda se gli sarebbe stato concesso di parlare a quei nerissimi figuri senza preamboli e senza speciali riguardi.
7. Ed Io gli rispondo: «Certamente, ma anche tu dovrai, in maniera particolare, chiamare a raccolta tutte le tue forze, non credere che sarà compito assai facile trattare con quei corazzati eroi della notte, perché essi, per moltissimi casi che si possono presentare loro, sono molto agguerriti». Udito questo, Mataele cominciò a concentrarsi a dovere.
8. Inoltre, anche i Miei discepoli Mi domandano quale contegno dovranno tenere in una simile circostanza.
9. Ed Io dico loro: «Voi in questa occasione non avrete né da dire, né da fare qualcosa, comportatevi da muti testimoni di quanto succederà e se l'uno o l'altro di quei farisei vi domanda qualcosa, indirizzatelo a Cirenio, dicendo che la faccenda non è di vostra competenza ed allora essi vi lasceranno in pace. Io stesso da principio manterrò lo stesso contegno». I discepoli rimasero soddisfatti di tale decisione e noi restammo tranquillamente in attesa di quei molesti visitatori.
10. Trascorsa una mezz'ora, coloro che erano vicini alla riva, aspettando Cirenio, ebbero da parte di un ebreo proveniente dalla città, che era passato là dove ci trovavamo e che conosceva Cirenio, la notizia che il governatore si tratteneva nel giardino del vecchio soldato. A questa notizia, tutti i farisei e gli ebrei ortodossi si voltarono e a passo rapido vennero verso di noi.
11. E Mataele, vedutoli venire, esclamò: «Ebbene, o nobile amico Cirenio, preparati perché la bufera sta per scoppiare e sono proprio quanto mai curioso di sapere tutto quello che questi figuri avranno da esporre!»
12. Dice Cirenio: «Io non sono meno curioso di te, anche se devo apertamente confessare che il trattare con simile gente è per me cosa spiacevolissima fra tutte, poiché basta che tu faccia il gesto di mostrare loro un dito ed essi già vorrebbero prenderti tutta la mano, e questa è cosa che non va, considerato che c'è ancora dell'altra gente che ha estremo bisogno di venire presa in considerazione»
13. Ma mentre questo colloquio si svolgeva, i richiedenti erano già arrivati dove volevano, con alla testa ovviamente il capo della loro sinagoga. Questi riconobbe immediatamente il governatore generale e gli rivolse subito il discorso con le seguenti parole: «O altissimo, illustrissimo e plenipotente signor governatore supremo della Celesiria, del paese d'Israele e del rimanente dell'Asia Minore e della grande Asia, nonché di una parte dell'Africa! Tu certo non ignorerai quale inaudita sciagura sia piombata questa notte su di noi, abitanti di Cesarea Filippi, sempre devoti a Dio ed all'imperatore. Se a noi potesse attribuirsi la benché minima colpa dell'accaduto, noi non dovremmo che maledire e profondamente deplorare la nostra negligenza e sopporteremmo con pazienza quello che l'Onnipotente Dio ha permesso che venisse su di noi, ma possiamo in coscienza dire che, a quanto noi sappiamo, da parte nostra non è stato fatto assolutamente nulla che possa giustificare tanta sciagura, ma la causa va attribuita alla malvagità di alcuni pagani! E quindi, veramente, noi siamo venuti qui per pregarti di concederci una corrispondente indennità!
14. Tu certo una tale indennità in equa misura non vorrai negarcela, tanto più che noi, in primo luogo, siamo senza riserve sudditi di Roma come quei perversi pagani, ed in secondo luogo siamo sacerdoti e servitori dell'unico vero Dio, e come tali, nella nostra devozione a Roma, siamo in grado d'influire sull'animo del popolo in senso favorevole all'idea imperiale più che non molte migliaia di spade e di lance, ma se noi invece ci mettiamo a perorare in veste antiromana, le nostre lingue ottengono in poche ore maggiori risultati che non centomila guerrieri in un anno. Qui dunque è il caso di dire che una mano lava l'altra!
15. Esaudisci perciò la nostra preghiera, toglici dal nostro momentaneo stato di miseria e fa ricostruire a spese dello Stato le nostre case distrutte, le nostre scuole e le nostre case di preghiera, e nel nome dell'imperatore ti assicuro che tu non troverai in noi dei cittadini ingrati, anzi, se altrimenti non fosse possibile, noi ci impegneremmo oltre a ciò a restituire allo Stato, entro vent'anni, la sovvenzione ottenuta a questo scopo con i rispettivi interessi. Considera, o nobile governatore la nostra supplica, e non respingerla! Non ne risulterà infine niente di svantaggioso né per te, né per l'Imperatore! Perché noi sappiamo bene chi e che cosa siamo e quale potere abbiamo. Se in noi l'imperatore ha degli amici, gli sarà facile governare il suo vasto impero, ma se nel segreto dei nostri animi noi gli fossimo avversari, allora la corona e lo scettro potrebbero diventare per lui un peso ben grave! Prendi dunque in considerazione le nostre temporanee necessità, vaglia da saggio quale sei la nostra domanda e fa poi secondo il tuo migliore consiglio!»
16. E Cirenio, celando a stento l'interna sua indignazione, dice: «Prima che vi risponda con un sì o con un no io intendo procedere ad un accurato esame per chiarire le ragioni per le quali la città, con le vostre case, sono state incendiate. A me è permesso dubitare che voi siate proprio del tutto innocenti, perché appunto questa notte qualcuno mi ha riferito che veramente voi avete colto l'occasione dell'eclisse totale di Sole avuta ieri, e più ancora quella dell'improvviso svanire di un sole fittizio sorto dopo il tramonto del vero Sole, per fare delle arringhe al popolo, allo scopo di rammentargli l'imminenza del Giudizio di Dio, che avrebbe dovuto seguire secondo la predizione di uno dei vostri profeti, e che poi anche i sacerdoti dei greci, seguendo il vostro esempio, non hanno mancato di volgere a loro profitto lo strano fenomeno naturale che si era manifestato. Ora si dice che voi, appartenenti alle due caste sacerdotali, abbiate abusato dell'impressione causata da questo fenomeno per costringere il popolo a delle offerte inaudite, a titolo di anticipo sulle efficaci preghiere che voi poi avreste rivolto al vostro Dio per placarne l'ira; la conseguenza fu che il popolo, reso cieco e sordo già dalla sua infanzia da voi, fece allora l'impossibile pur di fuggire al Giudizio finale da voi annunciato!
17. Fortunatamente si trovò un uomo ragionevole e di qualche esperienza, il quale, chiamati a sé fra il popolo alcuni un po' più illuminati che conosceva, spiegò loro con tutta tranquillità e pazienza le ragioni naturali del fenomeno avvenuto e che egli aveva potuto osservare già altre volte, e oltre a ciò, per rafforzare la propria spiegazione, li rese attenti in modo saggio della circostanza che se i sacerdoti avessero attribuito una certa importanza alle proprie asserzioni, non si sarebbero certo tanto affannati ad estorcere al popolo dei sacrifici così esorbitanti per i pochi istanti di esistenza che sarebbe loro rimasta su questo mondo colmo di menzogna e d'inganno! I sacerdoti insaziabili, avidi e spietati erano, come dice lui, a conoscenza che tutta la faccenda non avrebbe potuto avere nessuna importanza, né conseguenze all'infuori tutt'al più di qualche naturalissimo cambiamento di tempo il giorno successivo; essi però, conoscendo la superstizione di questo popolo, ne approfittavano per commettere in tale occasione e senza nessuna coscienza le loro malefatte!
18. Ecco, queste sono le cose che mi sono state raccontate questa notte stessa da parte di un fidatissimo testimone. Ebbene, quale fu la conseguenza di tali spiegazioni savie e molto opportune? I pochi che erano stati con brevi parole ben illuminati, si affrettarono ad andarsene fuori verso il popolo disperato, gridando allegramente e a squarciagola: "Fatevi animo, che non è niente, ed ascoltateci tranquillamente per il vostro bene!". Allora essi dissero al popolo in maniera facilmente comprensibile come stavano le cose, e il popolo vedendoci finalmente chiaro fu colto dal furore e dall'ira contro di voi, ed a sua volta vi volle offrire un piccolo saggio del Giudizio finale di Daniele; e considerato che in base a questa fedele narrazione mi accorgo adesso fin troppo bene che non la malvagità dei pagani, ma precisamente voi stessi soltanto portate la colpa se questa notte la bella e importante città è stata distrutta dal fuoco in seguito alla giustificatissima indignazione popolare contro il vostro procedere mentitore e truffaldino. Voi sarete ben persuasi che io non soltanto non posso dare ascolto alla vostra supplica, presentata in termini molto impudenti, ma al contrario io, quale co-reggente, nell'interesse del mio imperatore e per il bene del popolo dovrò chiamarvi a rispondere severissimamente e dovrò condannarvi a risarcire integralmente al popolo il danno arrecatogli, secondo i rilievi che mi riservo di far assumere con tutta esattezza e con il presupposto naturalmente che le cose siano andate davvero nel modo che mi è stato rivelato questa notte da parte di un testimone assolutamente degno di fede! Che cosa avete ora voi da osservare a quanto ho detto? Parlate, se siete in grado di obiettare qualcosa!
19. Già durante l'esposizione di Cirenio quei foschi supplicanti avevano cambiato cera come tanti camaleonti, e si poteva benissimo leggere l'interno furore nei loro occhi di veri lupi; e precisamente avvenne che a causa dell'ira che li soffocava non erano in grado di giustificarsi, così che non furono più capaci di dire una sola parola.
20. Cirenio attese qualche tempo e poiché nessuno ancora si decideva ad aprire bocca, viste le smorfie provocate dall'ira nei supplicanti, egli si sentì ardere di sdegno, ed in tono cupo e severo, che rivelava la piena inesorabilità - propria di un autentico romano -, disse: «Fate presto a parlare, altrimenti sarò costretto ad interpretare il vostro silenzio, dietro al quale si cela la fiamma dell'ira, come una confessione ampia dei fatti di cui siete incolpati, e quindi senza alcun ulteriore riguardo sarò costretto a pronunciare nei vostri confronti la sentenza ben meritata, che deve avere subito prontissima esecuzione. Parlate, dunque, perché voi sapete bene che noi romani non siamo mai soliti scherzare!»
21. Finalmente il capo della sinagoga riesce a muovere la lingua ed esclama: «O signore! Questa calunnia è troppo grande! In tali condizioni non è possibile raccogliere così presto le proprie idee per difendersi, ma si tratta invece di concentrare profondamente ogni pensiero per comprendere come sia possibile una calunnia di questo genere e per trovare i mezzi più efficaci per rigettarla nella polvere della sua inconsistenza e della sua nullità. Chi può provare che noi abbiamo costretto il popolo a dei sacrifici? Noi abbiamo predicato conformemente a quanto sentivamo e temevamo! Chi può smentirci, quando asseriamo che noi abbiamo agito assolutamente secondo quanto la profezia suggeriva all'animo nostro? Non erano i segni tutti conformi? E la storia non ci fornisce esempi in quantità del come a Dio sia, a un dato momento, sfuggita la pazienza ed abbia fatto scendere sull'umanità i più spaventosi giudizi? Ma noi abbiamo pure esempi in quantità che Dio, nonostante un giudizio punitore annunciato con precisione come inevitabile, ha ridonato al popolo la Sua grande grazia e misericordia quando questo si è ravveduto e pentito ed ha fatto corrispondente penitenza.
22. Ma se il tuo uomo saggio, che ha illuminato i pochi aizzandoli contro di noi, era di sentimenti tanto onesti, perché non è venuto anche da noi per spiegarci quello che poi ebbe a spiegare ad alcuni malcontenti che ci sono stati sempre nemici? Soltanto chi non ha la minima idea della nostra nobilissima dottrina divina e non ha alcuna cognizione di una qualche Parola di Dio per bocca di un profeta, nonché dell'efficacia di una tale Parola in un tempo di angustia così caratterizzato da segni celesti, soltanto un tale può con tanto abominevole perfidia insorgere contro di noi con espressioni calunniose! E ad una simile persona può un governatore supremo di Roma prestare più fede che a noi? Ci si potrà bensì dire: "Se quel savio uomo fosse venuto a voi e vi avesse chiarito le cose come ha fatto con il popolo disperato, voi non gli avreste dato ascolto, anzi l'avreste giudicato o addirittura lapidato!". Ma chi potrà sostenere un'accusa di questa specie a carico nostro, prima di averne fatto con noi l'esperienza? Nostro costume è giudicare e sentenziare a fatto compiuto, e non prima che il fatto sia compiuto sulla base di apparenze e di perfide supposizioni! Per il nostro contegno è garante la nostra dottrina di Dio; ora, chi oserà venire qui a dare le prove che le nostre azioni sono in contraddizione con la nostra fede? La calunnia maligna od una perfida insinuazione non hanno per noi forza di prova, e il tuo testimone può averti detto anche non so quale cosa, ma noi dobbiamo dichiarare non valida e nulla la sua accusa finché egli non può dimostrarci che noi veramente abbiamo agito in opposizione alla nostra fede, e che noi quel savio, che con la sua sapienza ha poi sobillato il popolo contro di noi, lo avremmo congedato senza ascoltarlo!
23. Noi partecipammo in maniera viva all'angoscia del popolo, e se questo, in espiazione dei propri peccati, ci portò delle offerte in grandissima quantità e nella fede di riconciliarsi così con Dio, perché non avremmo noi dovuto accettarle queste offerte? Dove mai sta scritto qualcosa di contrario?
24. O nobile supremo governatore! Pensa bene che qui tu hai da fare con degli autentici e rigidi servitori di Dio e non con dei funzionari del tempio della nuova specie, che purtroppo già anche troppo bene se ne intendono del voltarsi a seconda di come tira il vento! Questa cosa noi non l'ignoriamo affatto, e sappiamo altresì che per questa ragione anche il tempio non ci vede di buon occhio, ma presso di noi, pochi purtroppo, l'antica fede dimora intatta ancora su solide basi e non si scuoterà per il ronzio di un insetto notturno sussurrante insinuazioni e falsi apprezzamenti alle orecchie tue! Noi godiamo oggi di una splendida giornata del Signore e certo non è possibile trovare in nessun luogo la traccia di un qualche Giudizio di Dio, ad eccezione di ciò che la nostra città è diventata preda del fuoco; ma anche questo non è affatto da attribuirsi al Giudizio di Dio, sebbene, purtroppo, alla tenebrosa malizia di alcuni pagani che ci hanno sempre osteggiato. Ma d'altro canto, sarebbe davvero stata una cosa tanto impossibile a Dio riservare a questo paese la medesima sorte toccata un giorno a Sodoma e Gomorra? Chi può venir qui a sostenere che dati i segni precursori un simile avvenimento non avrebbe potuto ripetersi? Noi non vogliamo affatto vantarci che Dio abbia voluto risparmiare a questa regione il minacciato Suo Giudizio in seguito forse alle nostre molte preghiere. Dio può anche essersi compiaciuto di fare così, per esaudire una qualche persona devota e pia e che noi non conosciamo affatto, dato che pure le nostre preghiere, assieme a quelle di un pio, sono salite fino ai gradini del Suo trono. Ma chi può dimostrarci, contro la nostra fede e la nostra convinzione, che i fatti non stanno così, ma del tutto diversamente? Ecco che ormai ho parlato in nome dei miei, e adesso, o alto signore, spetta a te dare un giusto giudizio al cospetto di Dio e di tutti gli uomini!»
L'accusa di Marco contro il fariseo, capo della sinagoga.
1. Ad una simile replica, Cirenio naturalmente non era preparato, e lì per lì non seppe che cosa ribattere al capo della sinagoga. Egli perciò chiamò a sé Mataele e gli disse a mezza voce: «Adesso continua tu, perché la mia sapienza è già esaurita! Io vedo che questi qui sono molto più raffinati di quanto me lo fossi immaginato prima!»
2. E Mataele gli risponde: «O nobile amico! La cosa si farà per noi davvero difficile; perché dimostrare a loro che essi avrebbero agito in un dato modo, se le circostanze si fossero presentate in una determinata maniera, è un affare difficile, e se anche essi, cosa che non voglio affatto mettere in dubbio, avessero avuto in seguito la più malvagia intenzione, manca tuttavia da parte loro perfino il tentativo di tradurlo in effetto, per non parlare poi del convincimento definitivo della mala azione, che è il solo pienamente punibile quale coronamento della mala intenzione che essi avrebbero potuto, ma che al caso anche non avrebbero potuto avere. Ma quanti e quali pensieri non si possono formare in un'anima umana, quando essa si trova stretta da tutte le parti?
3. Quando nel cuore infuriano le passioni, non c'è uomo che sia capace di discernere fra il puro e l'impuro dei suoi pensieri che si susseguono con fulminea rapidità, incrociandosi come nubi temporalesche gravide di tempesta, e quando poi, con il tempo, la bufera si è calmata nel cuore, l'uomo ridivenuto tranquillo serba raramente il ricordo completo di tutto ciò che preso nel vortice delle proprie passioni è turbinato confusamente nella sua anima. È ben possibile che dentro vi sia fra altro molto di condannabile, ma dico, perfino: quale Dio vorrà assumersi la responsabilità di giudicare in un simile caso? Se qui abbiamo a che fare con della gente veramente credente e se essi hanno condiviso i timori del popolo per l'una e medesima ragione, ciò che noi dobbiamo ammettere, allora, fino a tanto che non si sia in grado, come un Dio, di dimostrare loro il contrario, non resta altro che dare corso alla loro domanda, presupposto sempre che l'accoglimento di simili suppliche, date le circostanze straordinarie come quelle attuali, sia autorizzato dall'imperatore! Noi qui possiamo emanare un giudizio soltanto su ciò che ci sta chiaro ed aperto dinanzi, fino a tanto almeno che non ci sia dato di opporvi qualcosa di fondato; i nostri pensieri però non possono in un caso simile servire mai da controprova, e quand'anche volessimo interrogare l'intera città, noi non verremmo a saperne di più di quanto ne sappiamo adesso»
4. Queste parole erano state anch'esse, per così dire, sussurrate da Mataele all'orecchio di Cirenio, e questo allora, imbarazzato, si rivolse a Me e Mi chiese: «E Tu, che cosa ne dici?»
5. Io però gli risposi: «Il Mio tempo non è ancora venuto, perciò continuate a trattare voi due con loro, ma fate venire il vecchio Marco, il quale, unitamente ai suoi due figli, conosce questa gente meglio di voi; anche Ebal da Genezaret li conosce e pure Giulio, discretamente. Fa' dunque chiamare questi che ho detto e tu ben presto udrai suonare un altro genere di musica»
6. Cirenio allora manda immediatamente a chiamare Giulio, che nel frattempo era risalito sulla collina con Ebal per vedere che cosa facessero i soldati e per osservare l'incendio che ancora divampava violento, e i due giunsero presto, come pure il vecchio Marco. E quando tutti i chiamati furono presenti, Cirenio espose loro in brevi parole la petizione dei farisei ortodossi, nonché la perorazione del loro capo, come anche tutta la tesi sostenuta in maniera fino a quel momento inconfutabile dal capo stesso.
7. E Marco, avendo udito queste cose, si meravigliò moltissimo della spudoratezza fenomenale del capo della sinagoga e gli rivolse le seguenti parole: «Oh, grande tra i farisei, tu che adesso ti atteggi a persona tanto onorevole ed estremamente pia, tu, che contro ogni mia speranza già da lungo tempo accarezzata sei capitato come chiamato e desiderato nella mia grande rete! Ritorna con la tua mente a tre anni soltanto dall'epoca attuale e ricorda quanta fatica ti costò il trarmi alla tua fede; tu mi esonerasti perfino dalla circoncisione, operazione sempre grave e alquanto dolorosa per una persona anziana, in cambio della mia iscrizione tra coloro che confessavano la tua fede, ed altro non sarebbe stato affatto necessario. Tu mi promettesti una quantità di vantaggi di ogni specie ed allora ti obiettai che io ero un uomo coscienzioso e che non avrei scambiato volentieri la religione dei miei padri per un'altra della quale conoscevo troppo poco i suoi principi, come pure non conoscevo quali nuovi doveri me ne sarebbero derivati. Io poi ti dissi apertamente che non sarei stato in linea di massima proprio contrario a scambiare la mia religione, alquanto zoppicante, con una migliore, soltanto avrei dovuto prima venire completamente iniziato in tutta l'essenza di quella religione che avrebbe dovuto diventare anche la mia!
8. Tu però dicesti che con la tua religione tutto ciò non era necessario, dato che comunque ogni religione non è altro che una filosofia ad uso dei bambini, la quale appunto per questi deve anche venire mantenuta. Ma quando l'uomo è arrivato a formare e a sviluppare adeguatamente la propria ragione, non ha più bisogno di nessuna filosofia da bambini, ed egli mostra soltanto esteriormente di badarci a causa dei bambini, mentre per suo conto bisognerebbe che si stimasse imbecille e pazzo se volesse sul serio attribuirvi una qualche importanza! Ma considerato questo, un uomo del mio stampo avrebbe potuto poi giudicare se sarebbe stato più conveniente abbracciare esteriormente una religione, la quale, meno che altre, dava noie e procurava impicci.
9. Io accettai l'offerta, ed assieme a tutta la mia casa mi convertii alla tua religione. Ma subito dopo mi si apersero gli occhi, quando cioè mi vidi, da parte vostra, condannato ad ogni specie di imposte seccantissime e poi, più il tempo passava, più mi accorgevo quale pessimo e vergognoso scambio avessi fatto accettando la vostra religione.
10. Prima di tutto dovetti darvi la decima, nonché le primizie di ogni frutto! Molte volte tentai di ricorrere presso le autorità di Roma, ma non potei mai approdare a nulla, poiché dappertutto non trovai che beffe e la risposta: "VOLENTI NON FIT INIURIA" (Il consenziente non subisce un torto), perché da vecchio e prudente romano che sei ti sei lasciato pigliare nella trappola? Sconta adesso la tua mancanza di riflessione e la tua stoltezza!
11. E tutte le volte che venni da te per farti presente la mia miseria, tu non mi desti mai ascolto, limitandoti nel tuo grande orgoglio a rispondermi: "Così sta scritto", e allora non mi restava altro da fare che ritornarmene, con volto ed animo tristi e annoiatissimi, senza avere ottenuto niente.
12. Quando vi domandavo che mi venissero fatte conoscere più da vicino le vostre Scritture, la risposta era sempre la stessa, e cioè: "Noi siamo la Scrittura e la vivente Parola di Dio! Perciò nessuno deve fare altre domande, bensì faccia ognuno così come noi insegniamo e prescriviamo, altro non occorre a nessuno!»
13. Ecco, o vecchio e maligno oracolo degli ebrei di Cesarea Filippi, queste sono le tue parole e questi sono i tuoi fatti; e tu adesso vorresti improvvisamente apparire candido come una colomba? Ma io ti giuro, su quello che ho di più sacro, che non te ne andrai via da qui prima che tu non abbia risarcito almeno me di ogni danno inflittomi ingiustamente. L'illustrissimo governatore generale può, sotto la mia responsabilità, farti appendere con la schiena sulla croce, e con ciò non ti verrà proprio usato alcun torto. Hai capito, vecchio e perfido oracolo?»
14. Dice Cirenio: «Ah, così stanno le cose?! Ecco che qualche passo l'abbiamo già fatto! Ebbene, o savio capo dei tenebrosi oppressori del popolo, che cosa hai da obiettare adesso?»
15. Dice il capo della sinagoga: «Conosci tu Mosè nella sua integrità e tutti i profeti suscitati da Dio?»
16. Risponde Cirenio: «Mosè lo conosco discretamente, in quanto ai profeti, li conosco a dire il vero soltanto di nome!»
17. Dice il capo: «Sta bene, ma allora va' e vedi prima quanti e quali sono i miei doveri, e poi puniscimi se sei capace di provarmi che ho trasgredito ad un solo di questi doveri! Se vuoi darti la pena di leggere, noi abbiamo qui con noi la Scrittura quale unico bene che ci è lecito portare con noi in questo gran giorno del Signore, qualora ci sia pericolo che tale bene possa andare distrutto!».
Trattative con i farisei.
1. Dice Mataele sottovoce a Cirenio: «Questo è un altro pezzo di pane che mi pare sarà troppo duro per i nostri denti! Marco ha condotto molto bene il suo affare, ma che cosa possiamo fare se non si riesce a provare esservi, da parte loro, lesione dei doveri imposti dalle loro leggi? Ma ascoltiamo ancora quello che potranno dire Ebal e Giulio. Dubito, per altro, che anche quanto potranno esporre questi due ci servirà a gran cosa, perché il vecchio capo, per quanto concerne la legge, mi sembra troppo sicuro di sé, e lo ritengo capace di giustificare, in base alla legge, anche le azioni più ignominiose. Ma allora che cosa si può fare?»
2. Osserva Cirenio: «Ebbene, in base ai miei pieni poteri condanno tutti quei punti della legge, i quali cozzano contro la sana ragione umana, ed allora li abbiamo al laccio!»
3. Dice Mataele: «La cosa sarà difficilmente fattibile, perché egli potrà allora dire: "La sana ragione umana esige pure che si debba anzitutto emanare una legge, e poi sanzionarla prima che la si possa applicare nei confronti di qualcuno; e di fronte a ciò che cosa potrai ribattere?". In queste condizioni è necessario chiamare a raccolta tutte le proprie forze, per poter, per le vie della capacità umana, arrivare a qualche risultato, avendo a che fare con una specie simile di figuri! Del resto, non dovrebbero tardare ad arrivare qui anche Cornelio, Fausto, Kisjonah da Chis ed un certo Filopoldo, pure originario di quella regione. Questi saranno certo tutti in grado di renderci dei buoni servizi, ed io già mi rallegro della loro prossima venuta!»
4. Dopo aver per qualche tempo riflettuto riguardo a quanto aveva inteso tanto da parte del capo della sinagoga quanto un po' più in segreto da parte di Mataele, e circa la sua gioia per l'annunciato arrivo di Cornelio e dei suoi altri compagni, Cirenio invita anche Ebal ad esporre qualcosa di positivo sul conto dei farisei ortodossi!
5. Allora Ebal si leva e dice: «O nobile amico! Le volpi ed i vostri protei sono difficili da pigliare; le prime perché le loro tane hanno sempre due uscite, ed i secondi perché si possono trasformare in tutto ciò che si vuole, perfino negli elementi. Perciò la mia opinione è la seguente: "Dato che tu, in seguito a quanto ti è stato riferito sul conto di questi figuri da parte del Testimone verissimo e fedelissimo che conosci altrettanto bene come me, non puoi dubitare affatto che le cose stiano in questi e non in altri termini, e d'altro canto che tu, quale giudice di questo mondo, di fronte al mondo stesso non puoi emanare una sentenza che in base a quegli elementi sulla cui fondatezza l'occhio tuo e il tuo orecchio si sono esteriormente potuti convincere, ecco quale sarebbe il mio consiglio: ‘Congeda questi noiosi supplicanti senza concedere loro minimamente quanto hanno chiesto e senza emanare una qualche sentenza di condanna nei loro confronti, così tu avrai perfettamente soddisfatte le esigenze dell'interiore verità spirituale, nonché quelle del senso mondano’. Questo è il mio parere»
6. Io potrei raccontarti centinaia di fatti in relazione ai molteplici inganni e alle oppressioni perpetrate in molte occasioni da questi presunti servitori di Dio ai danni del popolo, ma a che cosa ti gioverà tutto questo? Essi certamente troveranno sempre un buon pretesto, cioè un buco fuori dal quale sgattaiolare all'aria libera! Essi usano sempre coprirsi accuratamente contro ogni vento che potrebbe essere loro nocivo, usando il velo di Mosè e la veste di Aronne e dei profeti, ed allora qualsiasi vento per quanto gelato non arriva a procurare loro nemmeno un raffreddore.
7. Quello però che fuori dai libri dei profeti può trarre il senso esteriore dell'intelletto, noi lo sappiamo benissimo, perché questi libri si attagliano a moltissime cose, fino a tanto che non si conosce il loro senso interiore spirituale. Ora ciò costituisce, per gente simile, un nascondiglio di primo ordine; quindi non resterà molto altro da fare da quello che ti ho consigliato»
8. Dice Cirenio: «Sicuro, è proprio vero, tu hai perfettamente ragione, ed io non posso fare a meno di riconoscerlo, e tuttavia penso che a questa gente dovrebbe pure essere possibile poter opporre qualcosa di dimostrabilmente criminale, nel qual caso essi non potrebbero certo più sfuggirmi!»
9. Dice Ebal: «Ahimè, con tutti sì, ma non con questi bei tipi che conoscono ogni virgola della legge di Roma e conoscono meglio di qualsiasi avvocato il modo di eludere la legge che neanche Satana è capace di accalappiarli. La legge essi l'avranno offesa già mille volte direttamente o indirettamente; dinanzi a Dio certo essi non potranno nascondersi, ma noi non potremo nulla contro di loro se vogliamo mantenerci entro i limiti legali! Chissà se Kisjonah, Cornelio, Fausto o il greco Filopoldo potranno portare qualche elemento nuovo! Ma di noi che siamo qui, all'infuori del Signore e di Raffaele, credo che nessuno sarà capace di farli cadere in trappola»
10. Cirenio allora scuote il capo e dice: «Ad ogni modo potrei metterli sotto sorveglianza come gente sospetta; forse una tale disposizione severa potrebbe scuoterli un po' e influire in qualche modo sulle loro coscienze!»
11. Osserva Ebal: «Puoi provare a far così, ma ti garantisco che dopo le successive proteste del capo non farai abbastanza in fretta per ritirare le guardie incaricate della faccenda. Esteriormente, di fronte al mondo, non abbiamo qui nemmeno il più lieve appiglio per farne una "CAUSA CRIMINIS"! (Questione di diritto penale!) Un accusatore non c'è, e di conseguenza non c'è ragione perché ci sia un giudice. La discreta asserzione del Signore non possiamo considerarla quale un'accusa per un duplice motivo: in primo luogo, essa manca al cospetto del mondo di qualsiasi carattere probatorio e, in secondo luogo, il Signore, sempre di fronte al mondo, non potrebbe valere che a metà quale testimone, perché, almeno attualmente, non ci si potrebbe riferire alle Sue facoltà profetiche come aventi forza legale «ANTE FORUM ROMANUM"! (Davanti al tribunale romano!) Noi certo sappiamo esattamente che cosa pensarne, ma l'arida legge di Roma ancora non conosce affatto il nostro Signore e Maestro, né la Sua asserzione, né la Sua sapienza, in modo che tu, nonostante tutta la tua intimissima convinzione, puoi chiamare questa gente legalmente a rispondere soltanto di ciò la cui consistenza risulti esteriormente tale da poterne fare dei capi d'accusa, ed a questo scopo evidentemente si richiede anzitutto un querelante e poi soltanto vengono i testimoni giurati; ovvero, io domando: per la legge romana ha un valore l'enunciazione di un profeta o di un oracolo quando questi non appartengono alla vostra religione?»
12. Risponde Cirenio: «In certi casi straordinari sì, particolarmente qualora il profeta si sia prima dimostrato assolutamente degno di fede dinanzi ad un tribunale regolare; se il tribunale non ha alcun motivo di dubitare di Lui, può venire considerato come avente piena forza di prova tanto la persona del profeta quanto la sentenza di un oracolo provatamente degno di fede! Perché soltanto il giudice ha il diritto di accettare o meno la validità del testimone, nonché di decidere circa l'ammissione o meno di una data persona a deporre in qualità di testimone»
13. Dice Ebal: «Va bene, ma come si fa poi se un profeta non si lascia usare come querelante, né meno ancora come testimone? Come potrai costringerlo? A mio modo di vedere ce la farai a indurlo a testimoniare, ma a querelare in nessun caso! Qui certo noi abbiamo Qualcuno, ma come costringerai questo grande Uno, oppure l'angelo Raffaele a presentarsi come querelanti o come testimoni?»
14. Risponde Cirenio: «Non c'è il minimo dubbio che in questo caso non si possono usare costrizioni. Aspettiamo, dunque, perché non credo che gli annunciati si faranno attendere ancora molto! A me sembra di scorgere in lontananza, in mare, un lavorio di remi!»
15. Dice allora Mataele: «Questa cosa l'ho osservata anch'io già da mezz'ora, ma a me pare che rimangano quasi sempre allo stesso posto! Ebbene, come va con il vostro interrogatorio? Siete ancora allo stesso punto?»
16. Dice Cirenio: «Non siamo avanzati nemmeno d'un pollice! Tu avevi ragione, ed Ebal pure; vedo ormai che nonostante tutta la nostra plenipotenza nelle cose del mondo poco o nulla c'è da concludere con questa gente, e probabilmente neanche coloro che aspettiamo potranno aiutarci più di tanto».
Cirenio manda a chiamare testimoni da Cesarea contro i farisei.
1. Parla Cirenio: «Ma adesso mi viene un'idea! Io invierò subito un messo al capo del distretto e ordinerò a questo che mi mandi qui dalla città quanti più testimoni e accusatori possibili; questi sapranno ben raccontare qualcosa a carico di tali volpi, e poi non sarà più difficile metterli con le spalle al muro!»
2. Esclama Mataele: «L'idea può avere qualche valore! Se non altro tu potrai poi tenerli sotto sorveglianza. Però bisogna agire senza alcun indugio!»
3. Cirenio fa chiamare immediatamente due soldati a cavallo e spiega loro la richiesta da fare al capo del distretto. I due danno subito di sprone, e di galoppo si avviano verso la città.
4. Ma quando i farisei ortodossi, che frattanto borbottavano fra di loro, si accorgono della manovra, il loro capo si avvicina di nuovo a Cirenio e gli domanda: «O signore e padrone, perché hai ordinato ai due cavalieri di andare in città? Li hai forse mandati là per causa nostra? Vuoi forse annullare con ciò i nostri legittimi diritti, sanzionati perfino dalla vostra legge? O signore, questa sarà una cosa difficilmente fattibile, perché la legge e Dio sono senz'altro dalla nostra parte! Tu dovresti emanare delle nuove leggi che per il momento ti potrebbero essere utili altrettanto poco delle vecchie, poiché una legge nuova non può avere mai forza retroattiva!»
5. Risponde Cirenio in tono un po' irritato: «Voi badate di parlare quando siete interrogati; la vostra petizione già la conosco e la vostra responsabilità pure, ed ora dipende tutto unicamente da me. Io devo bene consultarmi con i miei funzionari, per esaminare se meritate che alla vostra petizione venga accordata l'approvazione imperiale!
6. Se dopo un rigorosissimo esame risulterà che ne siete meritevoli, la vostra richiesta sarà accolta, ma se non ne sarete trovati degni, non solo l'accoglimento della vostra petizione cadrà da sé, ma verrà anche dato corso ad una procedura penale a motivo dell'impudenza che eventualmente risulterà dimostrata per avere osato voi, da gente meritevole di punizione, di pretendere dallo Stato ancora un indennizzo a copertura delle vostre colpe! Queste cose annotatevele bene! Un governatore generale di Roma non giudica in maniera affatto diversa da voi; egli non giudica mai avendo di mira favori o il riguardo esteriore dovuto alla persona, ma rigorosamente secondo il diritto e la legge, e senza nessuna considerazione di classe o di rango.
7. Badate bene, dunque, in quali condizioni si trova in segreto la vostra coscienza di fronte a Dio ed agli uomini! Poiché da voi, che vi chiamate servitori di Dio - anche se Dio non ha bisogno di servitori, dato che la Sua Onnipotenza ed Onniscienza, nonché la Sua Onnipresenza e Sapienza Gli rendono ad ogni modo già dall'eternità i migliori servizi -, da voi che dovreste essere gli educatori del popolo, ebbene, da voi verrà richiesta una resa di conto molto più rigorosa che non dal popolo ignorante, il quale molto spesso conosce a mala pena alcune poche leggi esteriori, e neanche di queste poche sa quale spirito veramente vi sia celato dentro.
8. Voi invece conoscete tanto la legge quanto lo spirito, e dovete anche conoscere tutto ciò come pure dovete essere iniziati in ogni verità; perciò vi persuaderete voi stessi del perché è mio dovere procedere nei vostri confronti con molto maggiore rigore che non trattandosi di una qualsiasi comune persona, e ciò a causa del popolo! Poiché, o voi dovete essere qui puri come il Sole, oppure voi non siete né siete mai stati degni del vostro compito! E adesso andate, mettete in qualche modo per iscritto la vostra petizione su pergamena e poi presentatela a me, affinché possa avere nelle mie mani un argomento in più, sia a vostro vantaggio, sia a vostro danno»
9. Dice il capo della sinagoga: «O nobile reggente e signore! Oggi è un Sabato di novilunio, giornata cioè nella quale ci è vietata qualsiasi attività. In questa sacra giornata l'uomo è chiamato ad occuparsi unicamente in spirito delle cose di Dio, mentre la sua carne deve starsene in assoluto riposo; a noi è solamente concesso parlare, ma non possiamo scrivere finché il Sole non sia tramontato. Dopo il tramonto però noi estenderemo bene la petizione anche per iscritto»
10. Domanda Cirenio: «È stato Mosè a dare la legge, rispetto alla particolare osservanza del Sabato di novilunio?»
11. Risponde il capo dei farisei: «Mosè veramente no, però i suoi successori per bocca dei quali pure spesse volte ha parlato lo Spirito di Dio, come per bocca di Mosè»
12. Osserva Cirenio: «Di questa cosa mi permetto di dubitare molto, perché, mentre dalle leggi pure e dagli ordinamenti di Mosè traspare talvolta con assoluta evidenza lo Spirito divino, la celebrazione del vostro novilunio invece non rivela nient’altro che la più grossolana superstizione e tutto il carico della più rozza stoltezza umana! Che cos'è il novilunio? Voi non lo sapete, ma noi invece lo sappiamo, e di conseguenza non possiamo fare che le più clamorose risate a spese della celebrazione del vostro novilunio, ed i nostri savi, che intendono molte cose, non possono dal canto loro che meravigliarsi altamente e domandarsi come mai sia possibile che in immediato contatto con greci, romani ed egiziani vi possano essere ancora simili teste ricolme di paglia e di tenebre incurabili, le quali non sanno nemmeno che cosa sia in generale la Luna e che cosa un novilunio! Ditemi un po', che idea vi fate voi della Luna?»
13. Dice il capo: «Dicci tu piuttosto, o illustre signore, qual è la tua opinione riguardo alla Luna, e poi ti diremo anche quello che ne pensiamo noi!»
Dell’essenza della Terra e della Luna
1. Dice Cirenio: «Ascoltate, dunque! La Luna è un corpo celeste, all'incirca cinquanta volte più piccola della nostra Terra, ed accompagna costantemente la Terra lungo la sua immensa orbita intorno al Sole; mentre la Terra percorre questo suo viaggio una volta in 365 giorni, la Luna gira in questo tempo quasi 13 volte intorno alla Terra.
2. Durante questo suo giro, la Luna deve, per necessità, venire a trovarsi successivamente in diverse posizioni, e poiché essa è un corpo oscuro come la nostra Terra, anch’essa come la Terra viene illuminata dal grande Sole. Quando la Terra si trova quasi fra il Sole e la Luna, noi vediamo tutto il disco lunare illuminato, ed allora abbiamo il plenilunio; quando poi la Luna, dopo all'incirca 14 giorni, in seguito al suo rapido moto viene a trovarsi quasi fra il Sole e la Terra, e conseguentemente non possiamo vedere che una parte insignificante della sua superficie illuminata, allora abbiamo il novilunio.
3. Ma qualora avvenga che la Luna, come casualmente, venga a situarsi esattamente fra il Sole e la Terra, allora essa copre interamente il disco solare ed impedisce alla luce del Sole di colpire una determinata parte della superficie della Terra, e precisamente quella parte che viene a trovarsi sul prolungamento di una linea retta ideale tirata dal Sole alla Luna, ed in un simile caso si produce naturalmente un'eclissi di Sole. In quei punti della Terra, invece, che non si trovano sul prolungamento di una tale linea retta, l'oscuramento non viene che poco o nulla percepito, e inoltre non viene affatto percepito nelle regioni situate sull'emisfero opposto. Perché questa Terra, sulla quale dimoriamo, non è che una sfera come lo sono il Sole e la Luna, e su di essa si producono il giorno e la notte semplicemente per il fatto che essa compie un giro su se stessa, o sul proprio asse, entro ventiquattro ore; e durante questo tempo essa espone tutti i suoi continenti ed i suoi mari, dal polo settentrionale a quello meridionale, gradatamente ai raggi del Sole, facendoli tutti illuminare e riscaldare.
4. Questa è la sola verità, ben calcolata e chiaramente constatata nel silenzio dei savi, ciò di cui il profano certamente non sa nulla, dato che per comprendere gli manca la necessaria cultura preliminare, che del resto deve anche mancargli restando al fianco di maestri del vostro stampo; perché quello che non si ha, non si può nemmeno dare agli altri. Ma se anche aveste qualcosa, non dareste ai profani nulla di tutto ciò, per la ragione che la stoltezza di questi ultimi vi rende di più della più convincente verità! Ora io vi ho dato la spiegazione esatta di cos'è il novilunio, ora spetta a voi dare la spiegazione del vostro novilunio»
5. Risponde il capo della sinagoga: «Di quello che tu, o nobile signore e reggente, ci hai raccontato, siamo pure noi venuti a cognizione per vie segrete, ed io, per quanto concerne la mia persona, sono senz'altro propenso a credere che sia così, ma metti a confronto questa verità scientifica con la Genesi di Mosè, e vedrai che in quest’ultima non si trova la minima traccia di tutto ciò che ora tu hai rivelato e che mi era noto già da una ventina d'anni.
6. Noi però, che siamo sul seggio di Mosè e di Aronne, ci troviamo dinanzi al popolo nella posizione, naturalmente forzata, di principali confessori ed araldi della dottrina di Mosè che si oppone diametralmente a queste enunciazioni evidentemente vere della scienza, ma in tali condizioni che cos’altro possiamo fare, se non tutt'al più tenere in gran silenzio per noi queste migliori convinzioni e dare invece al popolo quanto abbiamo avuto in eredità da Mosè?
7. Che provi soltanto uno di noi ad annunciare al popolo una dottrina sotto qualsivoglia aspetto differente da quella di Mosè, ed io garantisco che egli finisce lapidato!
8. Certamente più di uno dice: "Dietro a ciò che Mosè ha detto si nasconde un senso ben differente, e il significato della parola mosaica è tutt'altro da quello che può venire reso dalla morta lettera". Anche questo lo concedo per conto mio molto volentieri, ma come si potrebbe - senza pericolo - inculcare queste nuove idee alla massa popolare, che già i nostri predecessori, e non noi, hanno provveduto a rendere più ottusa della pietra? In primo luogo il senso spirituale ne è così profondamente nascosto, che a dire il vero neanche gli illuminati riescono a farlo venire a galla con sufficiente chiarezza, ed in secondo luogo poi si impone la domanda di come si dovrebbe fare, per inculcare ad un popolo immerso nelle tenebre della stoltezza e superstizioso al massimo, ed al quale ogni elemento di una qualche scienza superiore è più estraneo del polo settentrionale, come si potrebbe appunto inculcare una dottrina della quale, per dirla con tutta schiettezza, non si è mai riusciti a farsi un concetto assolutamente chiaro!
9. Non c'è dubbio, quindi, che la cosa più ragionevole che si possa fare è lasciare il popolo nella sua antica fede, e noi, che siamo i pastori, osservare in maniera rigidissima la vecchia dottrina e la legge almeno di fronte al popolo, ma quando però non ci sono dei testimoni sciocchi tra i piedi, allora si faccia e si creda per sé ciò che si riconosce costantemente per vero. Ma se si procede diversamente, vedrai ben presto questo paese diventare preda della più feroce insurrezione! Ed ora puoi parlare di nuovo tu, e puoi redarguirmi, se ritieni esservi del falso in quanto ho detto».
Il rapporto di un messaggero riguardo alla rivolta a Cesarea.
1. Cirenio resta meravigliato della sapienza del capo della sinagoga, e dice a Mataele: «O amico! Con questi qui non è bene mettersi a mangiare ciliegie, perché si ricevono sempre tutti gli ossiccioli in faccia! Egli in segreto è addirittura imbottito di cognizioni, e vedi con quanta abilità sa giustificare la sua attuale situazione! Davvero, una cosa simile non si è mai vista ancora, perché si rischia di finire quasi con l'applaudirlo! Comunque sia, quelli che ho fatto chiamare dalla città dovranno presto arrivare qui, e allora si vedrà tutto quello che potranno raccontarci»
2. Dice Mataele, sorridendo: «Essi certo avranno molto da raccontare, ma nonne faremo ugualmente nulla, perché questi arci-, che sono troppo unti di ogni malizia da tutte le parti, trovano sempre un buco da potere sgattaiolare! In poche parole, per pigliare in trappola questa gente, ci vuole di più della forza e dell'avvedutezza umane. Trattandosi di greci o di romani m'impegnerei a guarirne dalla loro stoltezza centinaia al giorno, perché quello che esporrei sarebbe per loro una novità, ed essi anzi accoglierebbero con immenso desiderio e gratitudine le nuove idee, ma con questi qui, invece, non c'è niente che possa loro apparire nuovo, essi per lo più sono iniziati in ogni scienza e sanno così bene e astutamente patrocinare la loro causa che riesce molto difficile obiettare qualcosa a quanto dicono.
3. Ed io credo che sia stato appunto questo il motivo per cui il Signore si è un po' ritirato, avendo già in precedenza visto che con simili zeloti non è bene trattare e discutere. E così io sono modestamente dell'opinione che gli accusatori ed i testimoni che eventualmente verranno dalla città non otterranno da questi di più di quanto si sia potuto ottenere noi!»
4. Dice Cirenio: «Ebbene, non si può dire altro che questa è per il momento una trattazione del tutto straordinaria e tale che in simili circostanze non se ne avrà probabilmente mai una seconda su tutta la Terra! Se almeno il prefetto facesse presto a venire!»
5. Cirenio ha appena finito di parlare, quand'ecco capitare un messo quasi senza fiato, il quale rivolto a tutta la compagnia dice: «Amici! Vedete di prendere al più presto il largo, perché in città è scoppiata una terribile rivolta! Tutti danno la caccia a quei birbanti di ebrei ortodossi e farisei che se la sono data a gambe, e i romani e i greci massacrano tutto ciò che sia pure alla lontana ha odore d'israelita. Io sono un povero diavolo di greco e ho dovuto per necessità coprire il mio corpo nudo con questa veste ebraica, e in queste condizioni è un miracolo che abbia potuto salvare la pelle!»
6. Esclama Cirenio: «Giovanotto, io sono il governatore generale! Spiegati più esattamente! Come e perché è scoppiata la rivolta di cui parli?»
7. Risponde il messaggero, alquanto imbarazzato per l'inattesa presenza del governatore: «O alto e possente signore! I fatti sono semplicemente questi: "Quando ieri il Sole, od un’altra meteora luminosa che fosse, prolungò quasi di due ore il giorno in confronto al normale, e subito dopo che la luce si spense improvvisamente sul firmamento, fenomeno questo raro ma tuttavia non nuovo su questa grande e vasta Terra, allora i sacerdoti ebrei, che certo in base a scienza ed esperienza umane devono avere riconosciuto l'apparizione per quello che realmente era, invece di dire la verità ai loro fratelli di fede cominciarono invece ad annunciare al popolo cieco e superstizioso, fuori dai loro mistici libri dei profeti, che tale cosa fosse un prodigioso e tremendo giudizio punitore di Dio che avrebbe dovuto immediatamente seguire. In conseguenza di ciò, quei sciocchi ebrei si misero a urlare e a gemere disperatamente, ed essi poi scongiurarono i loro sacerdoti, che si spacciano per amici e servitori di Dio, d'interporsi presso Dio, affinché Questi volesse in tutta grazia ritirare la Sua destra punitrice, dichiarandosi disposti ad offrire in sacrificio qualsiasi cosa che fosse stata loro richiesta.
8. Ma quando gli scaltri sacerdoti ebrei ebbero inteso tutta questa chiara musica, ed ebbero visto tutta quell'acqua affluire al loro mulino, assunsero una posa solenne, e in tono mistico e patetico risposero: 'Se volete distogliere dal vostro capo l'inesorabilissimo giudizio universale di Dio, che altrimenti immancabilmente verrà, dovete farci offerta di tutto quanto voi possedete d'oro e d'argento, perle e pietre preziose, nonché dei vostri migliori buoi da ingrasso, delle più feconde mucche e dei più grassi vitelli, affinché possiamo sacrificare, in maniera degna, tutte queste cose a Dio!'.
9. Quelle volpi matricolate di sacerdoti ebrei avevano appena finito la loro predica solenne che già, come un diluvio, cominciano a piovere le offerte richieste! Questo fatto non sfuggì all'attenzione dei nostri sacerdoti, che gli ebrei chiamano pagani e che non sono neppure essi degli imbecilli, e anch'essi pensarono se non sarebbe stato il caso di inscenare, a loro volta, qualche felice spettacolo, allo scopo d'indurre anche il loro popolo ad offerte altrettanto generose! E finì così che essi trovarono, nelle loro antiche tradizioni religiose, qualcosa che poteva ottimamente servire allo scopo di spillare delle offerte al popolo. Essi spiegarono la faccenda così: ‘Il buon Apollo si era innamorato di una qualche Dafne di nuovo stampo ed era andato a farle una visita non troppo pulita; Plutone, essendosi immediatamente accorto di questa cosa, ed essendo il suo nemico, ne approfittò per trafugargli il Sole e lasciando Gea, Apollo e la sua nuova bella, nel più terribile degli impicci! La conseguenza non poté essere che una spaventosissima guerra degli dèi, nessun greco o romano poteva dubitare di ciò! Forse, mediante fervide preghiere e ricche offerte, sarebbe stato ancora possibile indurre il potentissimo Giove ad interporsi nella pericolosissima questione e ad appianarla!’. Un simile artificio procurò ai nostri sacerdoti un utile rilevante, ma di gran lunga non tanto quanto quello ricavato dai sacerdoti ebrei con le esortazioni infiammate rivolte alle loro pecorelle, terrorizzate al pericolo del giudizio universale di Dio.
10. Ma un greco molto savio, che aveva la testa e il cuore al loro vero posto, si diede allora la pena di spiegare le cose ad alcuni un po' più assennati, e costoro poi, a loro volta, cominciarono ad illuminare nel migliore dei modi, in quei momenti di confusione, gli angustiati greci e romani riguardo a quel fenomeno naturale, e dimostrarono loro in maniera quanto mai evidente la vergognosa avidità delle caste sacerdotali, alle quali la voglia di chiedere ed accettare sacrifici sarebbe certo passata, anche se nelle loro predizioni di cattivo augurio ci fosse stata anche una sola parola di vero. Bastava confrontare i due annunci catastrofici, cioè quello particolarmente terribile degli ebrei e poi quello dei greci e romani, per persuadersi che tutti e due non avrebbero potuto avere pratica attuazione! Infatti sarebbe dovuto accadere o quello che avevano annunciato i sacerdoti ebrei, oppure quello che avevano predetto i sacerdoti greci! Ora, comunque fosse, gli dèi non sarebbero stati così scimuniti da andare a cuocere una minestra speciale per ciascuna delle nazioni, dato che comunemente essi distribuiscono i loro doni celesti in maniera sempre equa fra tutte le genti, credenti o non credenti che siano!
11. Questi ed altri simili ammaestramenti ottennero il risultato che il popolo cominciò a vedere chiaro nella faccenda, ed allora venne fatto il tentativo di avvisare anche alcuni ebrei reputati fra i meno ignoranti, ma fu come una semente gettata fra le pietre. Successe cioè il contrario di quanto sarebbe stato da attendersi, e quei vitellini di Dio proruppero in minacce ed incolparono il paganesimo di essere la causa dell'imminente catastrofe!
12. Con ciò ebbero fine le parole, e cominciarono invece a parlare i fatti; fu allora che greci e romani fecero venire sul capo di quegli ebrei, irriducibili nella loro stoltezza, un giorno del giudizio illuminato dal fuoco, e imposero poi ai sacerdoti la restituzione delle offerte, estorte ignominiosamente in quei momenti di confusione e di angustia. E poiché ad una simile richiesta, modesta e giustificatissima, non si voleva dar corso, allora venne fatto ricorso alla violenza particolarmente nei riguardi dei sacerdoti ebrei, i quali allora cedettero senz'altro alla forza e si squagliarono attraverso il fumo che si sollevava da tutti gli angoli dei quartieri ebraici della città, ormai tutta un mare di fuoco.
13. Il saggio prefetto romano della città aveva subito dopo proceduto ad ulteriori rilievi importantissimi e molto ampi circa l'attività di quelli arcibricconi di sacerdoti ebrei, e poi sì occupò di dimostrare al popolo come solo essi fossero la causa di una simile catastrofe devastatrice. E solo allora scoppiò la rivolta contro il giudaismo da parte nostra; rivolta che si è fatta ormai già molto grave, perché gli ebrei vengono adesso massacrati ovunque se ne può trovare uno, e nella città è quasi più facile vedere sangue che non latte o vino.
14. Ma a quanto mi sembra adesso di vedere, là sotto il grande cipresso stanno appunto i sacerdoti ebrei che se la sono svignata! Ebbene, di certo a quelli là fra poco andrà male se non prenderanno immediatamente la fuga, cosa che non sarò affatto io a consigliare a quei tristi figuri! Ho qui con me un giavellotto, che mi è stato lanciato dietro mentre scappavo, credendo che io fossi un ebreo e che per fortuna non mi colpì; mi riservo bene di farne uso a mia volta per infilzare un paio di quei birbanti. I due messaggeri a cavallo mi hanno incontrato alla porta della città, ma avranno un bel da fare per arrivare alla sede prefettizia!". O signore, ecco, ora tu sai tutto quello che io so, e ciò che ti ho detto è verità lampante che io posso garantire con la mia vita»
15. Dice Cirenio: «Io ti sono molto obbligato per queste notizie, e ti dico che ti sei comportato bene. Ma adesso fermati qui, e se hai fame e sete prenditi pure del pane e del vino. Io frattanto manderò in città una parte della legione per sedare la rivolta, e poi dovrai fare da valido testimone contro quei sacerdoti ebrei».
16. Il messaggero accoglie di buon grado l'offerta, considerato che la fame e la sete si fanno già abbastanza sentire. Cirenio da parte sua fa invece un semplice cenno a Giulio, che sa già quello che deve fare, essendo egli stesso stato presente mentre il messaggero faceva il suo racconto.
Il messaggero Ermes racconta la sua esperienza in città.
1. Dopo che Giulio ebbe eseguito l'ordine di Cirenio e una parte della legione, e precisamente due coorti si furono avviate verso la città, anche i due messaggeri a cavallo, precedentemente inviati, furono di ritorno e riferirono le medesime cose che erano state narrate dal nuovo venuto; inoltre essi espressero, a nome del prefetto della città, la devotissima assicurazione che non appena la situazione si fosse fatta un po' più calma egli si sarebbe affrettato a venire per fare all'alto governatore un rapporto esattissimo e coscienzioso degli avvenimenti. Allora Cirenio ricompensa i due cavalieri e li congeda, ed essi, fatto il saluto, vanno a raggiungere i loro commilitoni. Dopo Cirenio si rivolge nuovamente al messaggero e gli domanda chi veramente lo avesse mandato fuori dalla città a portare le notizie.
2. Risponde il messaggero, che si è nel frattempo alquanto rianimato: «O signore! Nessun altro che la mia propria necessità! Io stesso, che sono cittadino di Cesarea, considerato che il fuoco non fece alcuna distinzione fra le case ebraiche e le nostre case, ho perduto in questa occasione ogni mio avere e sono ridotto alla mendicità; questo mantello, che a mala pena arriva a coprire il mio corpo, l'ho tolto ad un ebreo ucciso e me lo sono gettato sulle spalle, altrimenti sarei nudo come lo sono pure mia moglie e le mie tre figlie già grandicelle, che tutte si trovano ora coperte da un grande lenzuolo, dietro la capanna del vecchio Marco.
3. Io però feci diffondere una esortazione alla fuga per quegli ebrei della città che eventualmente si fossero trovati qui, affinché se la dessero a gambe, e così mi fosse stato più facile riconoscerli e trarre a mio piacimento vendetta di questi birbanti capitali, per mezzo di questo spuntone aguzzo. Ma se avessero voluto fuggire, non avrebbero potuto farlo che per mare, dato che dalla parte della città, per disposizione del prefetto, sono già stati stabiliti dappertutto dei posti di guardia, i quali non mancherebbero di fare la dovuta accoglienza a queste birbe, le quali andrebbero incontro ad una sorte non proprio molto invidiabile!
4. O signore! Io sono greco e me ne intendo un po' di astuzie di guerra, ma ormai la cosa è in ordine, e da qui questi figuri non ci scapperanno ormai più! Del resto non sarebbe affatto male collocare qualche sentinella in riva al mare, perché altrimenti potrebbero impadronirsi rapidamente di una barca e prendere il largo»
5. Dice Cirenio: «Non darti pensiero di ciò, perché si è già provveduto a tutto»
6. Poi, rivoltosi a Mataele, gli dice: «Ebbene, che ne dici delle notizie annunciate da questo messaggero? Io ad ogni modo aspetterò fino all'arrivo del prefetto, e sono davvero ansioso di sentire cosa questi arci- potranno ancora ribattere!»
7. Osserva Mataele: «Molta utilità credo che non potrai ricavarne, perché tu conosci ancora troppo poco i mille buchi attraverso i quali essi sono capaci di sgattaiolare per riacquistare la cara libertà, però, ad ogni modo, ora sei in condizioni più vantaggiose rispetto a prima.
8. Ma adesso bisogna anzitutto pensare a fare qualcosa per la moglie e le figlie del messaggero! O Elena! Tu certo avrai con te alcune vesti comuni o anche soltanto delle camicie, in modo che non debbano intanto rimanere proprio completamente nude!»
9. Elena allora chiama subito una delle sue serve e le dà l'ordine di provvedere all'occorrente; la serva se ne va immediatamente ad una delle tende di Ouran e ritorna portando quattro buone camicie e quattro tuniche alla greca di preziosa fattura. E quando essa si presenta ad Elena, questa le dice: «Fatti condurre dal messaggero laddove si trova sua moglie e le sue figlie, vestile e poi conducile a questa mensa!»
10. Commosso fino alle lacrime per tanta bontà, il messaggero accompagna con il cuore colmo di gioia la serva là dove attendono, afflitte e piangenti, le sue tre figlie e la moglie, e quando è là giunto, e le trova ancora avvolte entro il lenzuolo, esclama: «Non piangete più, o mie care! Perché, vedete, noi abbiamo trovato un aiuto possente! Qui si trova il governatore generale Cirenio, e probabilmente sua figlia vi manda delle vesti nuove, le più belle e preziose di quante abbiate certo potuto mai vederne finora!». Allora la moglie e le figlie tutte contente indossarono in fretta le vesti nuove, e il messaggero ripiega il lenzuolo e lo nasconde sotto la sua tonaca ebraica. Dopo di che le conduce tutte da Elena, ed esse giunte alla sua presenza si profondono in ringraziamenti e versano lacrime di gioia.
11. Elena fa sedere le quattro donne al suo fianco ed offre subito a loro pane e vino, perché anch'esse sentivano già molta fame e sete; poi Elena ed Ouran si intrattengono con le quattro, e queste raccontano varie cose riguardo all'oppressione dei farisei a danno dei loro correligionari. Frattanto Cirenio dice al messaggero: «O amico! Io inizialmente ti ho apostrofato un po' bruscamente, chiamandoti con l'appellativo non troppo rispettoso di giovanotto, ma ora che ti conosco meglio mi rincresce sinceramente di averti affibbiato, sia pure per un istante solo, un titolo che non ti conviene, ma a compensare ciò riceverai ora da me una veste d'onore!»
12. E detto questo Cirenio ordinò ai suoi servitori di portargli una finissima veste d'onore romana, consistente in una camicia di bisso a ricche pieghe che arrivava fino al ginocchio, ed in una toga di bellissimo colore azzurro confezionata con tessuto di seta indiana e munita agli orli di galloni d'oro, nonché di un paio di sandali preziosi alla foggia romana ed un finissimo turbante egiziano, adorno di penne e provvisto di un fermaglio che era formato da uno smeraldo di gran pregio. Oltre a ciò il nostro Cirenio fece consegnare al messaggero sei belle maglie e cento libbre d'argento. Il messaggero andò certamente fuori di sé dalla gioia, e non seppe da dove cominciare per esprimere a Cirenio la sua gratitudine per tanti benefici dimostratigli.
13. Però Cirenio, tutto lieto e sorridente, disse al messaggero che si chiamava Ermes: «Va' ora in casa di Marco, lavati e vestiti e poi ritorna qui da nobile romano, allora sarà il momento di sottoporre i farisei ad un interrogatorio principale, perché questa volta, te lo garantisco io, essi non mi sfuggiranno più tra le mani; ed in questa occasione tu, o nobile amico Ermes, potrai rendermi dei buoni servizi!»
14. Risponde Ermes: «Io certo voglio fare questo ed una certa astuzia di guerra non mi ha mai fatto ancora difetto! Ma questa gente è già troppo astuta per le Furie (spiriti femminili di giustizia che punivano i trasgressori delle leggi naturali), per non parlare di noi che siamo rimessi ai mezzi ed alle vie di una ordinaria procedura legale. Se si vuole attirare nella rete questi figuri, si deve fare calcolo solamente di ciò che può risultare da testimonianze molto attendibili, perché quando li si lascia parlare, la loro retorica rende confusi e si finisce con il trovarli addirittura innocenti e con il concedere loro quanto chiedono. Perciò la mia opinione sarebbe invece questa: "Si faccia un fascio di tutti questi birbanti e li si getti in mare, in modo che almeno i pesci possano cavarne un utile; di lì a poco non ci sarà più un cane a curarsi di loro, e quali giudici si sarà fatto abbastanza secondo giustizia. Se in un paese venissero ad annidarsi delle tigri, delle iene o dei lupi a spavento e danno dell'umanità, si dovrebbe forse procedere con queste bestiacce ad un interrogatorio ordinario? Io per conto mio dico di no; le loro infamie sono troppo note, dunque è meglio allontanarli quando cominciano a mostrarsi troppo pericolosi per la società umana". O signore! Questi sono come i protei, che ci sgusciano sempre fra le mani! Quanto più noi ci affanniamo a tendere loro dei lacci con i mezzi della politica, tanto più corriamo il rischio di venire noi stessi accalappiati da loro! Io li conosco bene malgrado sia greco, ma ora, o illustre signore, permettimi in grazia una domanda ancora!»
15. Dice Cirenio: «Che cosa c'è di nuovo? Parla!»
Ulteriore procedura inquisitoria di Cirenio.
1. Dice Ermes: «O signore! Là, a circa dieci passi da questa mensa, c'è, assieme ad una ragazzina, un uomo dall'aspetto quanto mai amichevole ma nello stesso tempo anche supremamente savio; la ragazzina conversa in maniera familiare e cordialissima con Lui, e quando Egli apre la bocca, essa sembra deliziata oltre ogni dire! Chi è dunque quella gentilissima Persona? Ah, quale dignità traspare evidentissima da tutto il Suo Essere! Quanto è nobile la forma umana in una figura così imponente! Quasi tutti gli occhi sono rivolti a Lui! A giudicare dal vestire, Egli è certo di Galilea! Puoi tu dirmi chi è quell'Uomo? O dèi, o dèi! Quanto più Lo osservo, tanto più mi trovo addirittura innamorato di Lui! Io non posso davvero biasimare mia moglie e le mie tre figlie, se non possono quasi più distogliere gli sguardi da Lui! Io sono pronto a giocarci la vita che quello è un uomo eccellente, nobile e savio! Ma chi, chi può Egli essere, e che cosa fa qui! O signore, soddisfa se puoi questa mia curiosità e poi subito ci occuperemo di queste birbe. Oh, essi ormai non ci scappano più in nessun caso; dobbiamo solo evitare di preoccuparci delle loro asserzioni!»
2. Risponde Cirenio: «O amico Ermes, per quanto riguarda quell'Uomo, posso intanto dirti che fra noi uomini Egli può venire considerato senz'altro come un Dio! Egli esteriormente è bensì semplicemente un Medico da Nazaret, ma di che specie! Un medico simile questa Terra non l'ha ancora mai visto! Tutto il resto lo apprenderai più tardi; ora però conviene che ci dedichiamo al nostro affare! Ma tu, in avvenire, non chiamarmi più signore, ma chiamami amico e fratello!»
3. Dice Ermes: «Sta bene, io so rispettare ogni comandamento, ma per questo poi sarei disposto, nella mia massima venerazione ed amore per te, a morire addirittura di gratitudine! Ma una sola cosa ancora dimmi, o nobile amico, chi è mai quel bellissimo giovinetto che se ne sta vicino al Medico? Che sia Suo figlio, e la ragazzina forse Sua figlia?»
4. Risponde Cirenio: «Sì sì, o amico mio, tu hai ben giudicato, ma ora occupiamoci delle nostre faccende!»
5. E detto ciò Cirenio fa venire di nuovo alla sua presenza il capo della sinagoga e gli domanda se egli conosce il messaggero.
6. E il fariseo dice: «E chi non conosce il rinomato cantore e suonatore di cetra? Noi ci siamo già spesse volte immensamente deliziati alle sue canzoni! Peccato proprio che non si sia potuto finora indurlo ad abbracciare la religione dei nostri padri; in verità, egli arriverebbe a superare il nostro gran re Davide! Egli è una persona quanto mai rispettabile, onesta e di delicato sentire, però noi non godiamo le sue simpatie, cosa che noi gli perdoniamo volentieri, dato che non possiamo pretendere da lui che nel suo spirito riesca ad afferrare e comprendere i nostri precetti che talvolta appaiono fortemente inumani!»
7. Osserva Cirenio: «Ma è appunto questo Ermes che eleva le accuse più gravi contro di voi, ed ora egli mi ha confermato, per la seconda volta con tutta schiettezza, tutto quello che prima ebbe ad espormi sul vostro conto un Testimone assolutamente degno di fede, e voi, per conseguenza, mi state ora dinanzi come dei volgarissimi malfattori, con l'aggravante che avete ancora la fenomenale impudenza di chiedermi un risarcimento per ciò di cui, a causa della vostra avidità, vi siete fatti gli incendiari più esecrabili e maliziosi! Che cosa ne dite?»
8. Risponde il capo dei farisei, sorpreso quanto mai: «O signore! Per quello che concerne Ermes, noi non nutriamo il benché minimo rancore contro di lui, perché già da lungo tempo sappiamo che un uomo, il quale di una cosa in cui non ha nemmeno la cognizione strettamente necessaria per farsene una pallida idea, non può giudicare differentemente della cosa stessa da come questa appare al suo intelletto limitato. Chi mai potrebbe serbare rancore a qualcuno che cadesse giù dal tetto e che con la sua caduta uccidesse una persona seduta proprio sotto di lui? Se Ermes, il bravo cantore, vuole ora esserci pure lui nemico, ebbene, che lo sia, ma noi ad ogni modo non ci faremo suoi nemici! In fondo, tutto quello che egli ha detto di noi è vero! Ma in Europa, e precisamente in Sicilia, si dice che ci sia un sito pericolosissimo sul mare chiamato Scilla e Cariddi; chi sfugge con la sua nave a Scilla, viene poi inghiottito da Cariddi! Ora noi, questa notte, ci trovammo esitanti appunto fra un Scilla ed un Cariddi morali, e noi ora domandiamo a te: "Che cosa avremmo dovuto fare affinché potesse venir reputato perfettamente giusto da voi romani?"»
9. Dice Cirenio: «Ma se voi sapevate cos’era in realtà l'apparizione di ieri, perché non l'avete spiegata conforme a verità ai vostri compagni di fede, e quindi evidentemente tutti gli animi ne sarebbero rimasti tranquillizzati? Perché avete mentito al popolo, creando così la premessa per la successiva costernazione e confusione, compresa l'attuale insurrezione contro di voi? Perché avete estorto al popolo, da tiranni spietati, le offerte più inaudite, pur conoscendo che cosa fosse nella sua realtà il fenomeno verificatosi e come in questo non vi fosse nulla che giustificasse la supposizione di un qualche avverarsi della profezia di Daniele?
10. Fornitemi a questo riguardo una spiegazione, e giustificate un simile incredibile procedere da parte vostra di fronte al popolo misero e cieco!»
11. Dice il capo della sinagoga: «Io ti ho fatto ora menzione dei vostri Scilla e Cariddi, ma sembra che tu non abbia compreso bene la cosa! Ecco, quando ieri il Sole, come ai tempi di Giosuè, rimase insolitamente a lungo sull'orizzonte, la cosa apparì straordinaria a molti fra i nostri compagni di fede, essi vennero da me alla sinagoga, mi chiesero dei chiarimenti e mi annunciarono pure che tutti gli ebrei ne erano grandemente angustiati. Io cercai di chiarire la cosa il meglio possibile nella fretta di questa prima visita, e spiegai il fenomeno come qualcosa di naturale in quest'epoca dell'avvicinarsi dell'equinozio. Essi poi andarono, ma non riuscirono a tranquillizzare il popolo, perché questo pretendeva di aver visto verso Oriente delle stelle cadere dal cielo, e fece presente a questi annunciatori la profezia di Daniele; però il popolo, contemporaneamente, minacciò chiunque avesse voluto occultargli una cosa simile. Ma dopo qualche tempo il Sole, ovvero l'apparizione luminosa, tutto ad un tratto svanì, e tutto fu immerso nella più spaventosa tenebra! Ed allora si esaurì qualsiasi tentativo di ricondurre la calma negli animi! Era deciso che fosse venuta la fine del mondo, ed una sola parola in contrario da parte nostra avrebbe segnato immediatamente la fine anche per noi!
12. Vedi, questo per noi fu Scilla, e date le circostanze ci vedemmo costretti a predicare Daniele a tutto spiano ed a richiedere, secondo l'evidente gravità delle circostanze stesse, i più energici mezzi di penitenza per mantenere con ciò nell'animo del popolo almeno una lieve speranza nell'indulgenza di Dio! Ma noi vedemmo, pure con precisione, che nella giornata di oggi saremmo incappati in Cariddi. Quando però ci si trova a scegliere soltanto fra due mali, allora si sceglie di preferenza quello che appare minore, in questo caso il primo, piuttosto che quello destinato a portare la rovina immediata, e cioè il secondo. Noi dunque agendo così abbiamo agito rettamente, cioè come conveniva agire date le circostanze verificatisi e non provocate da noi, perché era assolutamente impossibile fare diversamente. Come vorresti giudicarci dunque, a causa di ciò, tu leale romano quale sei? Ti piaccia di spiegarci questo!»
13. Risponde Cirenio: «Va bene, va bene, la cosa a questo riguardo potrebbe passare; ma adesso si affaccia la domanda: "Che cosa avreste fatto voi della raccolta delle offerte? Perché la fine del mondo, per evitare la quale voi chiedeste ed otteneste queste offerte, come si può constatare, oggi non è avvenuta! Le avreste voi restituite al misero popolo?"»
14. Dice il capo della sinagoga: «O nobile reggente! Questa è una domanda certo strana e quanto mai superflua! La cosa si intende da sé, solamente che si sarebbe dovuto procedere con accortezza e prudenza a causa della cecità del popolo; ma adesso questa domanda puoi rivolgerla al fuoco, che ha consunto tutte le offerte e tutte le nostre provviste, per sentire che cosa esso intenderà fare!
15. Non vi era affatto necessità che la nostra predica della profezia di Daniele, imposta dalle circostanze, avesse come conseguenza l'incendio delle nostre case e delle nostre sinagoghe, incendio dovuto all'opera dei tuoi saggi compagni di fede, causa il vecchio rancore nutrito contro di noi; dunque noi non siamo venuti a supplicare soltanto per noi, ma anche per il nostro popolo, considerato che ora, senza nostra colpa, siamo ridotti alla mendicità. Ora, come puoi tu a motivo di ciò volerci giudicare o addirittura condannare, invece di venirci in aiuto? Prendi in attento esame la questione, considera le ragioni ed i fatti, e tu dovresti trovarti immerso nelle tenebre più fitte se volessi attribuire a noi una qualche colpa!».
Giudizio del capo dei farisei sul Salvatore.
1. Dice Cirenio: «Sia lontano da me un tale pensiero, ma tutto quello che mi sta a cuore, e mi deve stare anche a cuore, è che io voglio migliorarvi radicalmente e fare di voi dei veri uomini! Voi potete certo celare il vostro intimo attraverso parole esteriori ben ponderate ed accorte - e in questa occasione tanto più facilmente in quanto le circostanze hanno preso forma, sotto un certo aspetto, a vostro vantaggio, e nessuno di noi può affermare con dimostrabile certezza quello che voi avreste fatto delle offerte riscosse se l'incendio non avesse avuto luogo -, ma ora vi dico qualcos'altro, vi chiedo cioè: "Avreste detto, con la coscienza più pura e più tranquilla, anche ad un onnisciente profeta Elia o ad un angelo del Signore capace di scrutare il vostro cuore e i vostri reni ciò che voi avete detto a me?
2. Nella vera verità, sulla mia parola d'onore imperiale che è vera e potente, io vi dico: "Ci sono alcuni saggi nella mia compagnia, non della mia bensì della tua fede, a cui i più riposti pensieri dell'uomo sono chiari ed evidenti quanto una azione compiuta alla piena luce del Sole! Se essi vi esaminassero, rendereste conto a loro con una coscienza altrettanto leggera come quando renderete conto a me che, come voi ben sapete, sono certo carente nell'onniscienza, anche se non lo sono nell'intelletto e nell'accortezza? Io ho esaminato in profondità questi saggi e ho riscontrato che non c'è da scherzare con loro! Farò esaminare anche voi da loro. Se le cose vanno come voi avete esposto, allora vi verrà concesso tutto quello che avete chiesto, ed anche di più, ma qualora i suddetti saggi dicono di voi qualcosa di diverso, allora il fratello e lo zio del nuovo sovrano che ora siede sul trono sapranno molto bene quello che dovranno fare!»
3. Dice il capo della sinagoga: «Ed in che modo puoi garantirci che questi sapienti, ai quali tu hai fatto allusione, siano nostri amici, o che non siano invece nostri nemici, e se sia più o meno escluso che essi possano abusare della loro sapienza ai nostri danni? Perché nessuno può far sì che noi non siamo dei farisei, e che come tali noi non si venga odiati in Galilea, per la ragione che noi viviamo rigidamente secondo i precetti e predichiamo esclusivamente Mosè ed i profeti, mentre, in segreto, già quasi tutta la Galilea propende per la filosofia egizio-greca. Ora, se questi tuoi sapienti sono dei galilei, le parole della loro sapienza non suoneranno certo a noi favorevoli, e noi quindi dobbiamo fare in anticipo ogni possibile riserva per quanto concerne le enunciazioni della sapienza di qualsiasi galileo a noi notoriamente nemico!
4. Oltre a ciò, sta pure scritto che dalla Galilea non sorgerà, né può sorgere alcun profeta, per la ragione appunto che, quali eretici rispetto alla religione ebraica, sono troppo lontani dalla sapienza di Mosè! Se però si tratta di sapienti dalla Giudea, noi li ascolteremo ben volentieri!»
5. Dice Cirenio: «I sapienti, dei quali ho fatto menzione, sono nella fede e nel mio cuore collocati tanto in alto, che ciascuna parola dalla loro bocca è per me come proveniente dal Cielo, anche se io non pretendo che una cosa, per essere vera, debba proprio discendere dal Cielo; perché ciascuna verità resta tale tanto sulla Terra quanto nel Regno della Luce da tutti i Cieli! Perché una pera più un'altra pera devono necessariamente fare due pere tanto nel Cielo quanto sulla Terra, altrimenti anche il Cielo sarebbe una menzogna!
6. Ma adesso, fra altro, ho ancora una domanda per voi. Voi avete appena fattole vostre riserve nei confronti di eventuali sapienti della Galilea, e da questo fatto credo di potere dedurre che il vostro contegno sia dettato anche da altre ragioni che non sono proprio quelle della filosofia greca! Si dice che nei pressi di Nazaret sia sorto un uomo, il quale va compiendo delle cose prodigiose, e va annunciando all'umanità una nuova dottrina, presumibilmente dai Cieli, confermandola con segni e miracoli fin qui mai visti ancora. Ditemi un po' se vi consta qualcosa di quest'uomo, e che cosa ne pensate di lui!»
7. Osserva a bassa voce Mataele: «Ecco che adesso hai trovato il loro punto debole! Vedrai come inizieranno immediatamente a cambiare colore ed a suonare un'altra musica!»
8. E il capo della sinagoga risponde: «Oh, fino ai tuoi orecchi è giunta la fama degl'imbrogli di quel ciarlatano, descrittoci con colori molto foschi, al quale la sega e la pialla sono diventate troppo grevi, e che preferisce campare nel comodo ozio anziché guadagnarsi il pane con un qualche fruttuoso lavoro? Ecco, la tua volontà è ora di giudicare ad ogni costo noi sacerdoti secondo la legge; questa cosa noi la comprendiamo da ogni tua parola e da ogni tuo atteggiamento; e un galeotto, nonché seduttore del popolo di questa fatta che vorrebbe essere qualche cosa attraverso un po' di scienza magica raccattata in Oriente, ha presso di te, per così dire, libero passo, può fare quello che vuole e la sua parola avrà certo per te un valore molto maggiore della nostra, a favore della cui verità dovrebbe pur militare evidentemente l'intelletto, la pura ragione ed un sentimento umano fondato sulla legalità!? Sì, quel galeotto, di cui intendi parlare lo conosco, ma con ciò ho anche detto tutto quello che avevo da dire!»
9. Esclama Cirenio, visibilmente irritato per tali espressioni: «Benissimo, adesso avete esposto, sul conto di un Uomo, un'opinione tale quale a vostro svantaggio non avreste potuto esporla mai. Però questa volta avete detto la verità, almeno per quanto mi è stata data la possibilità di vedere chiaro quello che c'è effettivamente dentro di voi. Io Lo conosco molto bene quel vostro galeotto e so che cosa pensare di Lui, ma ora conosco alla perfezione anche voi e per conseguenza so anche cosa pensare di voi! Che io non prenda alla leggera per buona moneta tutto quello che uno vuole spiattellarmi finché non abbia scrutato anche l'ultimo atomo delle sue asserzioni, di questo sono pronto a fornirvi la prova certamente più irrefutabile.
10. Qui dinanzi a voi vedete colui che è attualmente il re del Ponto, che l'altro ieri stava ancora al mio cospetto come un malfattore strettamente incatenato, ed avrebbe potuto con tutta facilità venire condannato alla croce, ma Io esaminai esattamente e a fondo la sua questione, e avendolo trovato del tutto innocente, nonché molto savio, l'ho innalzato alla sua attuale dignità!
11. Io sono più severo di qualsiasi altro giudice, ma mi lascio sempre guidare da un sentimento di assoluta giustizia verso chiunque, e se qualcuno durante la fase inquirente ha sofferto un danno ed io lo trovo poi innocente, non esito a convertire, per quanto sta nelle mie forze, il dolore da lui sofferto in gioia, cosa della quale vi fornisce la prova questo nuovo re.
12. Ma con maggiore rigore degli altri ho esaminato appunto quel Nazareno di cui si parlò prima, ed ho trovato che Egli è un Uomo talmente perfetto, quale simile non ha mai prima di Lui calcato il suolo di questa Terra, né in avvenire mai più lo calcherà dopo di Lui. Per la qual cosa Egli è anche colmo e compenetrato interamente del più genuino Spirito di Dio, e parla e agisce unicamente fuori da una potenza e da una forza incommensurabile e infinita! Così, dunque, ho conosciuto questo Nazareno, ed io mi sento ardere del più grande amore e venerazione per Lui, anche se Egli è nel vero senso della parola un autentico israelita.
13. Oh, anche noi romani stimiamo il giudaismo quando esso è come dovrebbe essere secondo Mosè e tutti i profeti, colmi cioè di spirito, di forza, amore, verità e sapienza, ma un giudaismo quale attualmente viene coltivato e predicato da voi è per noi romani, amanti dello spirito e della verità, un'abominazione assoluta della desolazione sul luogo santo, come ce l'ha annunciata il nostro profeta Daniele! Ecco, questa è la testimonianza che io do del Nazareno, che voi tanto disprezzate. Ditemi, adesso, che cosa potete obiettarmi?».
I farisei giudicano il loro capo e Gesù.
1. A queste espressioni di Cirenio tutti quei farisei rimangono sbalorditi, ed uno di loro osserva a bassa voce: «Ohimè, il nostro capo, accorto e astuto, questa volta l'ha fatta bella! Che bestione! Quell'animale non avrebbe potuto mettersi a tessere a pieni polmoni le lodi del Nazareno in faccia al potente governatore e così tutta la storia avrebbe adesso un aspetto ben differente?! Questa bestia avrebbe pur dovuto accorgersi, come ci siamo accorti noi, che a Cirenio si poteva leggere sul viso come egli fosse prevenuto, in senso quanto mai favorevole, al Nazareno, e ciò malgrado egli dà una simile sfuriata contro il beniamino del governatore, come se fosse Dio sa quanto convinto della Sua ignominia, mentre non lo ha mai visto ed esaminato, né gli ha mai parlato! Oh, questo animalaccio d'un capo non fa assolutamente per noi! Bisognerà deporlo! Perché se lo si lascia parlare ancora, già oggi finiamo tutti sulla croce! Con il governatore non c'è affatto da scherzare!»
2. Dicono allora gli altri, pure sottovoce: «Va' dunque tu e prega il governatore generale che ti conceda di parlare, ma quell'asinaccio d'un capo bisogna che ormai stia zitto! Forse possiamo ancora cavarcela! E se ti riesce di liberarci da questo laccio che ci è piombato sul collo, sarai in avvenire il nostro capo!»
3. E quello che aveva fatto l'osservazione, risponde: «Sta bene, proverò, però anche senza voler diventare capo!»
4. Dopo egli esce dalla schiera dei farisei, avanza verso Cirenio e gli chiede licenza di parlare a sua volta.
5. Dice Cirenio: «Io aspetto ancora che il vostro capo mi faccia sentire un secondo giudizio sul conto del Nazareno!»
6. Dice l'osservatore, anch'egli un fariseo della specie più raffinata: «O illustre reggente! Egli è già liquidato, la sua saviezza ha fatto naufragio, e perciò tace come un cammello nel deserto. Egli si è dato la zappa sui piedi e si è lasciato pigliare nella rete, ed ora non sa come liberarsi. Probabilmente il buon Nazareno gli ha appioppato un ceffone in maniera invisibile, in conseguenza del quale gli si è otturata la bocca ed ora fa come ha sempre fatto!
7. Tu, o illustre reggente, data l'acutezza del tuo intendimento, devi esserti persuaso già da tempo che questo nostro capo è un animale di prima classe! Se io od un altro di noi avesse cominciato a parlare al suo posto, tutto il processo sarebbe già da parecchio tempo finito; perciò, o illustre governatore, non badare più a lui, ma concedi a me di parlare!»
8. Dice Cirenio: «Ebbene, parla tu! Vedremo che specie di musica sarà la tua!»
9. L'osservatore riprende allora a parlare e dice: «O illustre reggente! Per quello che concerne l'accusa con la quale si afferma che siamo noi la vera causa dell'incendio, può certo valere quello che il capo un po' confusamente ti ha detto, anche se io, viceversa, devo apertamente confessarti che noi, nonostante le circostanze molto gravi e scabrose, non siamo proprio così perfettamente innocenti come ha tentato di dimostrare il nostro capo. La pretesa dell'offerta totale seguì dietro suo ordine, però, se per ristabilire l'ordine e la quiete fosse stato proprio necessario portare via a questi poveri compagni di fede anche la camicia, qualora non l'avessero offerta spontaneamente, questa è certo tutta un'altra domanda; così pure una domanda, alla quale è molto difficile dare risposta, è quella che si riferisce alla restituzione delle offerte carpite al popolo! Forse si sarebbe dato alla gente del denaro in prestito con un buon interesse, oppure con altre cose, ma per quanto riguarda la restituzione delle offerte, logica e naturalissima a detta del capo, credo che ci sarebbe stato molto da discutere! Noi tutti siamo rimasti indignati, fino nell'intimo dell'anima nostra, quando dovemmo ascoltare quell'animalaccio del nostro capo blaterare così a vanvera sull'argomento, ma non abbiamo potuto obiettare nulla, perché nella particolare giornata di Sabato soltanto al capo è lecito parlare; ma, per una simile perorazione molto stupida del nostro capo, il diavolo avrebbe potuto, per conto nostro, portarselo via anche di Sabato, e così noi non correremmo il rischio di finire tutti sulla croce.
10. Io adesso parlo apertamente, come io e noi tutti abbiamo nel cuore; se il nostro capo, dalla sapienza d'asino, ha una predilezione speciale per questo genere d'innalzamento, che si soddisfi a spese della sua persona, degna forse neanche della croce! Noi perciò non finiremo certo annegati nelle nostre lacrime, ma per il momento, dal nostro punto di vista, a noi non interessa per niente una simile specie di particolare distinzione alla moda romana!
11. Per venire poi a quel Nazareno che tu, o illustre governatore, ci hai fatto conoscere un po' meglio, devo dire che per ragioni naturalissime a noi non è possibile, come è vero Jehova, pronunciarci né pro né contro, poiché tutto ciò che noi sappiamo di lui si limita a poche dicerie, udite sussurrare alla lontana. Qualche voce era molto favorevole, qualche altra invece, sparsa probabilmente dai suoi nemici, aveva sapore d'avventura se non proprio cattiva; così, ad esempio, sembra che egli abbia richiamato perfettamente in vita dei corpi che erano senza alcun dubbio morti! Ebbene, questa cosa noi non l'abbiamo vista e ne abbiamo soltanto udito parlare, ma se si pensa a che cosa voglia dire in realtà risuscitare un vero morto, io credo che sia ben da perdonare se qualcuno, per ragioni naturali più che evidenti, esprime qualche dubbio in proposito! Io, però, con ciò non intendo negare in via assoluta una simile possibilità, ma invece mi preme far rilevare la reale difficoltà di una operazione di questo genere, per il compimento della quale si esige ben più delle potenze vitali fisiche e spirituali di un uomo, per quanto anche portate al più alto grado di sviluppo o di perfezione.
12. Del profeta Elia si racconta, è vero, che abbia ridonato una volta la carne a un mucchio d'ossa umane e la vita al rispettivo individuo, ma noi di tale fatto non fummo testimoni; oltre a ciò anche questa è una leggenda tramandata di bocca in bocca e non figura scritta in nessun libro, nemmeno nei punti apocrifi delle Scritture! Dunque, come deve essere difficile, per un uomo che ragiona, credere a simili cose!
13. Gli esseni risuscitano anch'essi i morti, a pagamento, e questi di solito sono miracoli che si pagano a caro prezzo, ma ormai si è arrivati a penetrare anche in questo mistero e si sa cosa pensarne.
14. Ma considerato che tu stesso rendi ora del Nazareno una testimonianza tanto favorevole - e lo descrivi come persona dotata di altissima intelligenza e cultura, ricca di ogni esperienza e degna assolutamente di fede, più che non altri mille sapienti -, tanto io, quanto questi miei migliori colleghi non possiamo fare a meno di rendere a questo Nazareno perfetta giustizia!
15. Questa è dunque la mia risposta alla tua domanda, o illustre reggente, ora io ti ho ammannito del vino genuino, e tutto sta fedelmente nei termini da me descritti; tutti questi che sono qui, ad eccezione del nostro capo, possono dare di fronte a te testimonianza di ciò, ed ora, o illustre governatore, ti piaccia farci conoscere la tua decisione e usarci grazia!»
16. Dice Cirenio: «Le tue parole certo mi soddisfano di più di quelle del vostro capo, che volle fare la parte della vecchia volpe finché gli fu possibile, ma quando ampliai le mie reti, finì tuttavia con il restarvi impigliato, ed ora è qui, come un mentitore matricolato e perfido. Ma un pentimento sincero ed una vera e piena confessione possono essere di rimedio a tutto, perché egli appartiene a quella classe di persone che in segreto sono amiche di ogni menzogna ed inganno, ma dinanzi agli uomini vorrebbero godere stima ed alta considerazione a motivo della carica che ricoprono. Esse vogliono per sé il riguardo dovuto a un profeta, però, per quanto riguarda le opere, vorrebbero comportarsi come uno scita nomade e rapace!
17. Dunque un pentimento sincero, una trasformazione radicale nel tenore di vita ed un'ampia confessione, tutto ciò può rimediare ad ogni cosa, perché io non sono venuto qui per tenere un giudizio severissimo e inesorabile contro un qualsivoglia peccatore, come del resto sta anche nei miei poteri, ma soltanto per aiutarlo a ritornare sulla vera via della vita. Però è bene che i peccatori non mettano ostacoli fra i miei piedi, dato che faccio ogni sforzo possibile per ispirarmi, nel mio agire, a sentimenti altamente umani! Ma ora, come può un uomo che si pretende saggio, e precisamente un capo dei sacerdoti, come può egli così infamemente mentire?
18. E adesso dico a te, capo della sinagoga, parla e vedi di dire tutta la verità, perché i tuoi compagni hanno finora propriamente mirato a mettere al sicuro la loro pelle a spese della tua, cosa che non trovo affatto lodevole da parte loro! Io so quello che so in maniera positiva e certa, e tu puoi mentire quanto vuoi o puoi, ma non ti servirà a niente, perché non ti sarà affatto possibile trarmi in inganno. Dunque, vedi per il tuo bene di dire la verità!»
Il discorso profondamente serio di Cirenio.
1. A queste parole il capo della sinagoga si fa meditabondo, e dal suo contegnosi comprende che è molto perplesso se dire o no la verità! E dopo una discreta attesa, si decide ad aprire bocca e dice: «O illustre reggente! Quanto più numerosi sono i cani, tanto maggiore pericolo corre la lepre! Io mi convinco sempre più che ormai i testimoni contro la mia parola vanno moltiplicandosi come i funghi sul terreno dopo una pioggia; quali prove potrei io attingere nella mia persuasione, da opporre a quello che vuoi sapere e che sostieni già di sapere? Dire di sì non posso, trattandosi di una cosa contro la mia convinzione, e dire di no non mi servirà a niente! Accogli dunque senz'altro per buona la testimonianza a mio carico; io non mi darò più la fatica di respingere da me le asserzioni a mio riguardo, giuste od ingiuste che siano, fatte dai molti testimoni! Trovi in me che ci sia una colpa? Ebbene, hai pieno potere di punirmi secondo il tuo intendimento; io, da uomo misero quale sono, non ho nessuna forza da poterti opporre!»
2. Dice Cirenio: «Nei vostri libri sta scritto: "Guai a colui che metterà le sue mani su di un unto di Dio"! Perciò anch'io so osservare molto bene questa vostra legge, fino all'estremo limite possibile.
3. Saul, il vostro re unto dal Signore, con il trascorrere del tempo si fece autore di ogni male, e Davide, il secondo unto per mano di Samuele a re d'Israele, ebbe poi occasione di avere varie volte in suo potere Saul stesso che gli insidiava la vita e lo avrebbe potuto annientare, ma lo Spirito di Dio così parlò fuori dal cuore di Davide: "Guai a te, qualora tu dovessi armare la tua mano contro il Mio unto!”
4. Dunque, anche se romano, e quindi pagano, sento tuttavia anch'io la voce di quello Spirito, che così mi dice: "Tu puoi certo esaminare ciascuno dei Miei unti, e se trovi che essi, in maniera per te ben riconoscibile, si sono sviati, guidali, e attraverso il consiglio e l'azione falli ritornare sulla retta via, ma guai a te se tu volessi giudicare anche uno solo di loro".
5. Se, dunque, un arcangelo come Michele non si azzardò a giudicare egli stesso Satana, dopo la battaglia dei tre giorni perduta da quest’ultimo, ma rimise ogni giudizio al Signore, come potrei osare io di giudicare te al cospetto di Dio? Però voglio scrutare in te e voglio farti presente, nella sua crudezza, il tuo agire senza coscienza e senza amore di fronte ai tuoi fratelli. Ma poiché tu sai che è soltanto questo che voglio, perché ti rifiuti di parlare apertamente con me?»
6. Risponde il capo della sinagoga: «Se tu comunque sai tutto, non vedo proprio la ragione per cui tu debba insistere per ottenere da me ancora una confessione! Io prima ti vidi animato da grande fervore, dopo che ebbi certo del tutto apertamente esposto il mio pensiero, dato che non ero in grado di dare del noto Nazareno la stessa favorevole testimonianza come te, che probabilmente hai già avuto occasione di fare in qualche modo la sua piena conoscenza, e di conseguenza mi guarderò bene dal farti delle ulteriori aperte confessioni! Io ad ogni modo ti ho già detto tutto, e tu dal canto tuo hai detto che sai tutto; perché dunque perdersi ancora in vane parole?
7. Del resto, per quello che concerne la mia dichiarazione sul conto del Nazareno, essa non è affatto cresciuta sul mio terreno, ed io evidentemente non potrei dirti altro se non quello che io stesso ho potuto apprendere in proposito da altri! Ma, considerato che ora ho inteso da parte tua una testimonianza differente, va da sé che anch'io penso di lui in maniera differente! Ovvero, devo forse fare ancora dell'altro? Chi mai può prescrivermi di pensare bene di un uomo, quando le voci giunte prima al mio orecchio sul suo conto sono state soltanto cattive e non buone? Ma poiché solamente adesso ho appreso, per tua bocca, le migliori informazioni sul conto del Nazareno, anche a me è ormai possibile rendere una testimonianza altrettanto buona di lui, e malgrado io abbia fatto ancora con lui, al pari di te, nessuna esperienza diretta, a me basta quanto hai testimoniato tu, ed ora io penso del Nazareno come la pensi tu. Non è ancora giusto così?»
8. Dice Cirenio: «Oh, certo che sarebbe giusto se il tuo cuore parlasse come la tua bocca, ma a me pare che se lo si potesse sentire esso parlerebbe del tutto diversamente! Perché, vedi, il vostro fariseismo mi è anche troppo ben conosciuto; io so fin troppo bene che voi, al pari degli esseni e dei sadducei, non credete veramente a nulla, ma agli scopi del vostro benessere materiale volete fare credere al popolo cieco tutto quello che a vostro modo di vedere può esservi fonte di buoni interessi.
9. Ma se un uomo dall'anima veramente illuminata da Dio si presenta e si dà a mostrare all'umanità, vagante nella notte e nella tenebra più fitta, qual è la giusta e chiara via della vita, in questa occasione non si può certo evitare che vengano completamente messi in luce i vostri antichi inganni, allora la vostra ira si accende contro un simile profeta della Luce di Dio, e voi cercate in tutti i modi possibili di trarlo interamente in rovina, poiché a vostra vergogna è fama antica quella che voi, ad eccezione di Elia e di Samuele, lapidaste quasi tutti i profeti mandati da Dio, mentre al popolo predicavate di avere con ciò reso a Dio un gradito servizio.
10. Appena dopo cent'anni voi avete accolto il profeta, ma non già per amore suo, bensì unicamente perché vi si offriva l'occasione di mettere a buon profitto le sue predizioni per generare spavento, ed avete cominciato ad ornarne e ad imbiancarne il sepolcro, vero o falso che fosse, ciò era indifferente!
11. Ecco, questo è stato in ogni tempo il vostro modo di agire che a me è anche fin troppo ben noto, ma se le cose nei vostri riguardi hanno avuto, secondo ogni verità, sempre questo medesimo aspetto, come potrei io prestare sia pure un briciolo solo di fede alle parole che escono dalla vostra bocca? Dimmi tu se, rispetto a voi, le cose si sono mai prospettate in un modo differente? Credi tu nel tuo cuore, in tutta verità, sia pure un jota solo di tutto quello che finora predicasti al popolo perché ne facesse articolo di fede?».
12. Nota Bene: Che Cirenio potesse in tale occasione esprimersi in simili termini, si spiega col fatto che fui Io a porgli queste parole nel cuore e sulle labbra; dunque, quanto egli ebbe a dire in questa circostanza fu come se fosse stato detto da Me stesso; solamente la forma dell'espressione era quella particolare e individuale di Cirenio.
Il carattere del capo dei farisei.
1. Dopo aver per qualche tempo meditato profondamente, il capo dei farisei rispose: «Ma come potrò dimostrare, al cospetto di tutto il mondo, che io nel cuore penso diversamente da quello che dico e che non credo a quello che non insegno al popolo? Se i miei predecessori si sono resi colpevoli contro i profeti, ciò che io non posso né voglio negare, quale crimine può venire imputato a me, che invece ho sempre onorato in sommo grado tutti i santi veggenti di Dio? Se anche mille dei miei colleghi eventualmente non credono a quanto vanno insegnando, come può questo fatto essere ritenuto una prova che neppure io credo a ciò che vado predicando?»
2. Dice Cirenio: «La prova, da poter afferrare con le mani e con i piedi, sta in ciò che tu, a giudicare dal tuo parlare, sei una persona troppo intelligente e avveduta per poter accettare quale una verità emanante da Dio delle cose smaccatamente insensate; tu non sei digiuno di matematica, e chi conosce la scienza del calcolo non prende così facilmente una mosca per un elefante. Ora tu non arriverai mai più a persuadermi in qualche modo del contrario!»
3. Chiede il capo: «Ma qual è dunque l'assurdità per la quale, da buon calcolatore, dovrebbe essere escluso che io potessi credere?»
4. Risponde Cirenio, citando degli esempi: «Credi veramente, nel tuo cuore, alle meravigliose virtù concimanti del letame del tempio, che a quanto ne so io tu stesso hai ogni anno regolarmente e con grande fervore lodato e raccomandato? Credi all'efficacia salutare del novilunio? Credi che nell'Arca dell'Alleanza, rifatta di fresco, dimori effettivamente Jehova, tale quale Egli dimorava nell'Arca antica di Mosè da voi già da lungo tempo gettata in un angolo? Credi all'identità della fiamma d'olio minerale che arde sulla vostra Arca, come a quella prodigiosa e sacra colonna di fuoco o di fumo al di sopra dell'Arca di Mosè, che illuminò la via ai vostri padri quando uscirono dall'Egitto? Credi davvero che sia maggiormente vantaggioso per l'uomo sacrificare al tempio piuttosto che amare i propri genitori e obbedire a loro in tutte le cose buone, secondo i comandamenti di Dio?
5. Dichiarami apertamente se tu credi a questi ed ai mille altri simili punti della vostra dottrina, che ogni ragione umana deve assolutamente respingere? Perché, se tu stesso ci credi veramente, ciò che a me non sembra possibile, allora senz'altro sei più ottuso di un cammello e sei atto a fare qualsiasi altro mestiere eccetto l'istruttore del popolo. Ma se tu stesso non credi, e nonostante questo insegni avvalendoti dell'assassinio, dell'incendio e della spada - al misero popolo una tale perversa assurdità, se, dico, credi a ciò che tu, ricco in altri campi di cognizioni e di scienza non puoi mai più credere, allora sei un truffatore del popolo e sei degno del massimo disprezzo, e il tuo posto è in questo caso, già per ragioni politiche di Stato, piuttosto in una prigione da trascorrerci dentro la vita, che non sulla cattedra di maestro!
6. Ecco, qui hai pronto il tuo Scilla e il tuo Cariddi, ed io mi impegno a fregiarti di una onorificenza imperiale se sei in grado di convincermi che fra questi due punti esiste, effettivamente, una via di mezzo da poter servire da scusante!»
7. A queste parole il capo dei farisei comincia a grattarsi il capo, non sapendo più da che parte voltarsi.
8. Ed Ermes, il cantore, ovvero il messaggero di prima venuto da Cesarea Filippi, dice a Cirenio: «O illustre governatore! Adesso sì che ci è ben cascato dentro, e non c'è più modo di uscire fuori dalla rete! Oh, ciò sta proprio bene a questo tirannaccio nemico di ogni cosa buona e giusta. Se non lo conoscessi così bene, come davvero lo conosco, potrei anche deplorare la sua sorte, perché anche un peccatore, per quanto indurito, mi fa sempre compassione quando si trova in un grave imbarazzo, ma questo cialtrone qui potrei vederlo arrostire vivo e sarebbe addirittura un divertimento per me! Non è questo certo il tempo né il luogo per parlare di tutto ciò che, in confidenza, si è riusciti a sapere sul conto di questo reverendissimo capo della sinagoga! Ma di una cosa puoi essere sicuro, e cioè che su tutto il suo corpo non c'è nemmeno un peluzzo che possa dirsi buono.
9. Ce ne sono molti, fra i condannati alla croce dai vostri tribunali, che dal punto di vista dell'umanità sono sicuramente migliori di questa birba capitale priva totalmente di coscienza! Ma io non sono giudice, e di conseguenza non spetta a me condannare nessuno; ad ogni modo sono oltremodo contento di vedere che il figuro si sia così bene impigliato nella rete principale!»
10. E Mataele aggiunge sorridendo: «Però bisogna fare attenzione che non ne strappi le maglie e finisca con il ridere lui in faccia a noi. Finora il suo linguaggio si è tenuto molto dentro i limiti della moderazione, ma quando sarà messo proprio bene con le spalle al muro, vedrai, o Cirenio, con che energia comincerà a parare i tuoi colpi. Soltanto adesso posso farmi un giusto concetto di lui, anche se lo ho già conosciuto una volta nel tempio! Vedi, questi è colui che trent'anni or sono ha alzato le mani contro il sommo sacerdote Zaccaria, e lo ha ucciso fra l'altare dei sacrifici e la cortina del Santissimo! Ma ormai non se ne parli più!»
11. Esclama Ermes, pieno di gioia: «Oh, di operazioni di questo genere compiute da lui io ne conosco ancora molte, ma a stretto rigore non sono sufficientemente dimostrabili, e di conseguenza a questo riguardo poco o nulla si può fare!»
12. Dice Cirenio al colmo dello stupore per la rivelazione di Mataele: «Oh, che cosa mi racconti adesso! Dunque, questo bel campione di capo dei sacerdoti avrebbe tolto la vita nel tempio a quel sommo sacerdote che secondo la testimonianza generale deve essere stato una persona quanto mai savia e pia! Bene, bene, adesso che ho questo indizio saprò provvedere io al resto!»
13. E detto questo, Cirenio fece cenno al comandante Giulio di appostare qua e là dei militi di guardia, perché nessuno di quegli ortodossi potesse sfuggire.
14. E Giulio impartì subito in segreto gli ordini opportuni, ed immediatamente il comando di Cirenio venne eseguito, ma il capo della sinagoga si accorse parzialmente della manovra, e rivolto a Cirenio gli domanda: «A motivo di chi succede questo movimento?»
15. Ma Cirenio gli risponde: «Non sta a te né a nessuno della tua specie fare simili indagini, perché a dei mostri umani, come tu ne sei uno, Cirenio non darà più alcuna risposta! Tu non solo sei un miserabilissimo mentitore e ingannatore del popolo, ma per di più sei un assassino del popolo, spiritualmente e corporalmente. Io aspetto che mi pervenga ancora il rapporto del prefetto della città e che siano arrivati Cornelio, Fausto e Giona da Chis; poi non mancherò di dirti perché ho fatto collocare le guardie qui intorno!»
16. Dice il capo dei farisei: «Sta bene! Ma poi, a mia volta, ti dirò la ragione per la quale io veramente mi trovo qui!»
17. E così dicendo, il capo trae di tasca un rotolo di pergamena, lo mostra a Cirenio e dice: «Conosci questo sigillo e questa firma?»
18. Cirenio allora rimane sorpreso e risponde: «Questo è il sigillo dell'imperatore e la sua firma! Che cosa vuol dire ciò?»
19. Dice il capo: «Quando sarà necessario, apprenderai che cosa contiene questa pergamena. Io ti consiglio, di conseguenza, di desistere da qualsiasi inquisizione a mio riguardo, altrimenti questo rotolo potrebbe procurarti delle noie non piccole. Io ancora ti rispetto come un galantuomo, ma nota bene di non spingere la cosa troppo oltre, altrimenti non è escluso che io mi trovi costretto a fare un uso per te certo molto sgradevole di questo rotolo che tu, come qualsiasi altro, sei tenuto a rispettare al massimo!
20. In verità, io non avrei tirato fuori dalla tasca della mia veste quest'arma terribile se tu non mi avessi costretto; tu però cominciasti a calpestarmi come un verme e perciò è venuto anche per me il momento di provarti che tu non sei di gran lunga ancora l'unico signore in questo territorio! Dunque io credo che sarebbe meglio ritirare le guardie, perché altrimenti potrei trovarmi obbligato a spiegare davanti alle tue anche le mie forze, malgrado oggi sia Sabato.
21. È vero! Questo mio linguaggio, molto diverso da quello di prima, ti dà qualche disturbo, ma io veramente non posso farci niente, perché anche il tuo linguaggio ha poco fa dato qualche disturbo e noia a me. Per non perdere tempo, concluderò dicendo che ora io ti conosco, ma a tua volta tu conosci bene me! Fa' adesso quello che ti pare prudente e buono, ed io da parte mia farò lo stesso! Mi hai compreso proprio bene?»
22. E detto questo, il capo della sinagoga con aria da dominatore volge le spalle a Cirenio, si porta con i suoi alla riva ostentando il contegno di uno al quale, da parte dell'imperatore, sia stato conferito in caso di bisogno un grande potere; Cirenio invece si trova in un grave imbarazzo, non sapendo bene a che partito appigliarsi.
23. E Mataele allora dice: «Vedi dunque, mio caro amico, come un figuro di questa specie è nel migliore dei modi provveduto da lungo tempo di tutto ciò che può occorrergli per la sua sicurezza, tanto fisicamente che moralmente, così che egli si trova come dentro ad una fortezza. Perciò è estremamente difficile, e davvero anche del tutto inutile, voler procedere da giudici, perché questa gente, Dio sa per quali vie torte, ha saputo procurarsi in segreto i massimi privilegi, contro i quali lo scendere in campo costituisce un lavoro irto quanto mai di difficoltà!»
24. Osserva Cirenio: «Ma dimmi un po', o mio caro e saggio Mataele, come è mai possibile che quest'idra umana sia venuta in possesso di un simile salvacondotto di mano dell'imperatore, senza che io vi abbia cooperato ed a totale mia insaputa? Eh certo, considerato questo, adesso non resta proprio altro che fare in qualche modo buon viso a cattivo gioco! Ma sono pure molto curioso di conoscere quello che in proposito dirà il Signore!»
25. Dice Mataele: «Ma è probabile che Egli non vorrà troppo volentieri esprimersi con precisione a questo proposito! Perché Egli sapeva già in anticipo perché affidava a te l'esame di questa congrega, e sembra che non abbia fatto che scarsa attenzione a tutto il processo!»
26. Dice Cirenio: «Eppure bisogna che ormai ci rivolgiamo a Lui per consiglio!»
27. Osserva Mataele: «Senza dubbio, perché le cose sono arrivate a un punto tale che di consiglio non si può affatto fare a meno!»
Il documento apocrifo.
1. Sulla riva, frattanto, i farisei confabulavano tra di loro, e il capo della sinagoga aveva detto ai suoi colleghi: «Voi avete condotto bene la faccenda, poiché la vostra presa di posizione, apparentemente contraria a me e per la quale vi diedi il segnale con il mio silenzio, è venuta proprio al momento opportuno. Adesso stanno lì come inchiodati, e non sanno più che pesci pigliare! Che almeno non capitassero i tre annunciati, che sono i soli che potrebbero crearci qualche impiccio! Basta che non conducano con loro addirittura il famoso Nazareno! Allora noi saremmo ben che spacciati, e non potremmo sperare aiuto da nessuna parte!
2. Però la mia opinione è quella che noi dovremmo tentare quanto prima di prendere il largo per la via del mare e di portarci difilati a Gerusalemme, perché una volta arrivati coloro di cui è annunciata la venuta, sarebbe probabilmente troppo tardi. Cirenio ha ritirato le sue sentinelle e nessun ostacolo si oppone più alla nostra partenza; procediamo dunque lungo la riva per un certo tratto e finiremo ben con il trovare qualche battello greco di pescatori, con il quale farci trasportare in luogo sicuro!»
3. Dice l'osservatore di prima: «Ma le guardie appostate dalla parte della città! Come faremo a sfuggire a loro? Perché saranno già in agguato dietro ai cespugli, e se ci agguantano siamo poi ugualmente bell'e fritti!»
4. Dice il capo: «Hai ragione. La questione si presenta disperatamente ingarbugliata! Ma del resto, che cosa succederebbe se chiedessimo a Cirenio, in tono perentorio, di concederci una scorta sicura? In base al documento imperiale egli non può né deve negarcela! Va' dunque tu, che ti sei assunto prima la parte dell'oratore, e fa come ho detto!»
5. L'osservatore allora fa così, ma nel frattempo Cirenio si era consigliato con Me, ed Io naturalmente lo avevo informato di tutto quello che i farisei sulla riva avevano discusso e deliberato, in modo che egli era perfettamente al corrente di ogni cosa e ormai sapeva quello che per il momento doveva fare, e sapeva le disposizioni che avrebbe dovuto prendere.
6. E quando l'osservatore ebbe esposto, nel tono più sfacciato ed imperioso possibile, la sua richiesta a Cirenio, questi gli rispose: «Amico mio! Non ti nascondo che prima quel certo salvacondotto mi ha incusso qualche timore, ma la ragione è che, allora, non era ancora a mia conoscenza che il documento è falso! Ma siccome adesso questo affare si presenta ai miei occhi in una luce del tutto differente, anche il timore se n'è andato, e di conseguenza non ho affatto l'intenzione di corrispondere alla richiesta del tuo capo.
7. Ed ora va' e digli che mi consegni all'istante quel documento, altrimenti gli verrà tolto con la forza, e qualora tentasse di distruggerlo, egli può aspettarsi di venire ancora in giornata appeso alla croce! Va' dunque, e rapportagli quello che ho detto!»
8. L'osservatore allora fa un profondo inchino e si allontana tremando come una foglia. E quando è vicino al capo, dice balbettando per lo spavento: «Siamo perduti! Quel maledetto documento ha finito di coronare le nostre birbanterie! Se proprio non oggi, per domani c'è d'aspettarci la croce! Tira fuori subito e senza alcun indugio l'indiavolato documento, poiché il governatore lo vuole avere a tutti i costi, altrimenti in serata ti troverai già ben che appeso alla croce! Satana in persona deve averti tradito! Cirenio è ormai a conoscenza di tutto!»
9. Quella fosca compagnia, capo compreso, apprendendo questa notizia comincia a sentirsi molto male, e allora il capo trae di tasca il documento, lo consegna all'oratore e dice: «Prendilo e portaglielo! Ormai siamo spacciati, perché con questo è spezzato anche il nostro ultimo sostegno!»
10. L'oratore esegue, porta il documento a Cirenio e nel deporlo nelle sue mani dice: «O alto reggente! Ecco qui il documento! Noi siamo al tuo cospetto tutti dei grandi e volgari malfattori, e non possiamo fare altro che appellarci ai tuoi sentimenti di umanità!»
11. Cirenio prende il documento in mano, lo legge da cima a fondo, e dopo qualche istante di riflessione dice: «Guarda un po' che specie di astuzia raffinata! Ma adesso dimmi solo una cosa: "In quale occasione ha potuto il vostro capo venire in possesso di questa CHARTA ALBA?"». (Carta bianca, un documento fornito solo di firma, ma del resto bianco)
12. Risponde l'oratore: «O nobile signore! Molte cose mi sono note, ma questa devo dire che non la so. Egli l'ha portata qui con sé già quando venne da Gerusalemme in qualità di capo della sinagoga, ma non so proprio davvero chi gliela abbia procurata a Gerusalemme!»
13. Dice Cirenio: «Ma sei tu certo che egli abbia portato qui già da Gerusalemme questo documento?»
14. Dice l'oratore: «Quella volta egli ce lo mostrò, informandoci di che cosa si trattava, e poi dichiarò di associare anche noi a tale suo potere; questo è tutto quello che so, né credo che altri fra noi ne sappiano di più!»
15. Continua Cirenio: «A parte questo, come si è comportato egli invece come uomo?»
16. Risponde l'oratore: «Non mi consta niente di male sul suo conto; nelle mansioni del suo compito egli si è sempre dimostrato molto rigido e ligio ai principi dello spirito ebraico. Che egli, del resto, usasse introitare le sue rendite non proprio con eccessiva misericordia, questo è noto, tuttavia non potrei affermare che egli si sia comportato talvolta con troppa durezza verso qualcuno. È possibile che egli abbia qualcosa sulla coscienza già dal tempo prima che venisse qui, ma a questo riguardo, com'è naturale, dalla sua bocca non abbiamo mai inteso niente; in quanto al resto, da quando officia qui, noi non sappiamo nulla, tranne il fatto che ieri, nell'occasione delle apparizioni straordinarie, egli sul serio ha usato un po' troppa insistenza nelle sue richieste di offerte, cosa questa alla quale fu certo il popolo stesso, più degli altri, a dare la spinta!»
17. Domanda ancora Cirenio: «Ha forse il vostro capo già cercato di abusare altre volte di questo documento?»
18. Risponde l'oratore: «Fino ad oggi non ci siamo mai accorti di un tentativo di questo genere»
19. Prosegue Cirenio: «Corrisponde proprio a verità tutto quello che mi hai detto adesso?»
20. Dice l'oratore: «O illustre signore! Con la mia vita sono pronto a garantire che in quanto ho detto non c'è nemmeno un jota che non corrisponde ai fatti così come io li conosco!»
21. Conclude allora Cirenio: «Allora sta bene! E adesso va' e dì al tuo capo che io voglio parlare con lui; di conseguenza venga qui da me, poiché intendo vedere che cosa si potrà fare di bene per voi, in tale circostanza!»
22. Questa volta l'oratore va vicino al capo della sinagoga già con più coraggio e meno febbricitante, e gli riferisce la volontà di Cirenio. E il capo ci pensa su un po', e poi dice: «Ahimè, cosa ci resta da far altro se non buon viso a cattivo gioco? Ad ogni modo è meglio perdere qualcosa che non perdere tutto!»
La confessione del capo dei farisei.
1. Così dicendo il capo della sinagoga va da Cirenio, e gli rivolge la parola nel seguente modo: «Qui dinanzi a te sta un'impotente; questi, per un certo tempo si illuse di poter, da uomo di questa Terra, fare uso per sé di tutti quei diritti che mai abbia preteso di usare un uomo, ma pur essendo egli stesso maestro nel calcolare, si sbagliò ed arrivò alla convinzione che i grandi di questa Terra non tollerano degli altri grandi accanto a loro! Perciò io intendo schierarmi, d'ora innanzi, fra gli ultimissimi, forse, con ciò, riuscirò gradito ai grandi!»
2. Dice Cirenio: «Se così ti comporterai, farai molto bene! Ma una cosa spiegami adesso. Per quale motivo ti sei mostrato a me differente da quello che eri? Eppure ti avevo offerto la mano da amico e tu la rifiutasti! A che cosa miravi veramente con un simile contegno?»
3. Risponde il capo dei farisei: «Se tu rifletti sull'alta posizione di qualcuno, vedrai che accanto a quest'alta posizione esiste sempre un segreto spirito d'orgoglio, che si può caratterizzare così: "Ambizione e potere derivanti da una carica!". Date queste premesse, si è tratti poi molto facilmente a peccare, ma quando si è presa l'abitudine di peccare, si diventa ciechi e sordi, e si va innanzi peccando sempre di più. Purtroppo si arriva infine al punto dove sta scritto: "Fino a qui soltanto, e non un passo oltre!". Ma ecco che anch'io sono giunto a questo punto, e perciò sarò molto lieto di trovarmi al più presto possibile molto in giù dall'altezza alla quale ero salito! Io ho già settantotto anni, e quindi ben poco posso attendermi più! D'ora in poi, se vuoi concedermi questi pochi giorni di vita che mi restano, io mi dedicherò esclusivamente a ciò che è divino e puro»
4. E Cirenio gli dice: «Va' adesso là, vicino alla casa di Marco, troverai su di un tavolo del pane e del vino; prenditi qualche ristoro e poi vedremo di risolvere la questione, prima che le persone annunciate arrivino qui»
5. Il capo allora si rasserena in volto, ringrazia e si avvicina alla mensa che era là preparata. Il vecchio aveva già molta fame e sete, e quindi anche l'offerta gli era giunta quanto mai a proposito.
6. Mentre il vecchio così si ristora, Io Mi avvicino a Cirenio e gli dico: «Così va tutto bene. Tu hai condotto l'affare perfettamente a dovere, ed anche la testimonianza che hai data del Nazareno era assolutamente in regola; però sarebbe prematuro ancora che quest'uomo facesse la Mia piena conoscenza. Mantenendo la tattica usata finora, sarebbe perfino possibile guadagnare interamente questa gente alla nostra causa, però una mossa precipitata potrebbe invece guastare tutto.
7. Io metterò a tua disposizione Raffaele, ed egli farà quello che tu gli dirai. Sii però prudente, qualora tu reputassi necessario avvalerti delle sue facoltà prodigiose. Non pensare affatto alla ristrutturazione della città che qua e là arde ancora, anche se l'angelo sarebbe benissimo in grado di ricostruirla in un istante. Perché è Mia volontà che quella località rimanga per qualche tempo nel suo attuale stato di umiliazione, e saranno infine Marco ed i suoi figli quelli per mezzo dei quali dovrà venire portato aiuto alla città. Potrai chiedergli che ti faccia ogni altra cosa, tuttavia sempre con una certa ponderata prudenza»
8. Chiede Cirenio: «Ma Tu, o Signore, che cosa farai nel frattempo?»
9. Dico Io: «Io non resterò molto distante da te, e come ho fatto finora Mi comporterò come fossi estraneo alla cosa. Quando però verso Mezzogiorno vedrai arrivare una nave, portati alla riva ed accogli nel Mio Nome i nuovi venuti, ma dì loro che neppure essi devono, per amor di costoro, palesarMi prima del tempo, affinché la questione con i farisei non venga guastata. Il messaggero Ermes, il cantore, indirizzalo però ai Miei discepoli; questi lo istruiranno bene, in quanto gli sarà necessario, per venire chiaramente a conoscenza della nuova dottrina. Io frattanto Mi intratterrò con Ouran, riguardo alla futura costituzione del suo Stato, e così pure con Mataele e con la sua consorte. Ecco che ora sai a che punto ti trovi e che cosa ti incombe fare!»
10. Dice Cirenio: «Sta bene, o mio Signore e mio Dio, ma a quale segno riconoscerò che questa cinquantina di ebrei ortodossi si saranno fatti maturi per la Tua causa?»
11. Dico Io: «Questa cosa tu l'apprenderai a tempo opportuno, dopo che avremo consumato il pranzo, ciò che oggi faremo con un'ora di ritardo. Dunque, per questo motivo non darti alcun affanno, ma cura invece tutto il rimanente con amore e secondo l'ordine Mio divino eterno!»
12. Questo incarico colmò di gioia Cirenio, tanto più in quanto aveva appreso che Io ero rimasto pienamente soddisfatto del suo procedere rispetto ai farisei. Io allora chiamai anche Raffaele, e gli dissi di tenersi agli ordini di Cirenio.
13. Raffaele si fece rapidamente innanzi e disse: «Eccomi qui pronto a servire a Dio, a te ed a ciascun uomo di buona volontà, con la forza e con la potenza del Signore e nel Suo Nome; sii però cauto in quanto ordinerai, perché da parte mia verrà eseguito tutto secondo i tuoi ordini!»
14. Dice Cirenio: «O amico mio dai Cieli! Se io agissi secondo il mio intelletto, non ci si potrebbe trovare che dinanzi ad una stoltezza dopo l'altra; che l'opera mia, riguardo ai farisei tanto astuti, sia stata coronata da successo, questo lo devo soltanto al Signore, perché fu Egli a porre nel mio cuore delle adeguate parole ed un retto intendimento! Il mio merito dunque, in proposito, è nullo, ma così spero e credo che continuerà finché avremo raggiunta la meta! Sotto tali auspici, o amico, possiamo ben azzardarci a proseguire, secondo il volere del Signore, nell'opera iniziata rispetto a questi farisei! Che cosa ne pensi tu, o amico mio dai Cieli?»
15. Risponde Raffaele: «Oh, allora la faccenda assume tutto un altro aspetto. Con un tale sentimento non è affatto ammissibile un errore nel compiere l'impresa! E così, con la forza di Dio riunita in noi, riprenderemo e compiremo l'opera già iniziata!».
16. Nel frattempo Stahar, il capo dei farisei, aveva ripreso vigore. Egli ritornò da Cirenio e lo ringraziò caldamente per il beneficio concessogli.
Stahar, il capo della sinagoga, espone le sue vedute sulla fede.
1. Ma Cirenio declinò il ringraziamento e disse: «Ogni lode e ogni grazie spetta unicamente al Signore del Cielo e della Terra; tu però, che sei versato profondamente in tutte le dottrine degli israeliti e che sei un perfetto dottore della legge, mi spiegherai per mia istruzione quale senso e quale valore attribuisci al concetto di angelo. Insomma, io vorrei sapere che cosa sono effettivamente gli angeli di Dio e come servono essi a Dio ed agli uomini!»
2. Dice Stahar: «O illustre reggente, questa è una domanda quanto mai scabrosa, particolarmente per il fatto che finora non è stato mai pienamente dimostrato che esistano sul serio degli angeli. La Scrittura ne fa sì menzione in varie occasioni, ma in nessun luogo invece è detta neppure una sillaba riguardo a chi ed al che cosa siano veramente in se stessi, e come essi servano Dio e gli uomini!
3. Secondo il Dahahlmud (Talmud), sotto il concetto ‘angeli’ sono da intendere semplicemente le forze irradianti dall'Essere divino, le quali, in forma di fasci di fiamme, si dipartono in tutte le direzioni con la più inimmaginabile velocità del pensiero ed in tutta potenza dal Centro divino, eternamente imperscrutabile, all'incirca come i raggi luminosi si dipartono dal Sole. Questa è una versione che mi pare ancora la più accettabile; ma se sia proprio una definizione giusta e conforme a verità, questa è una domanda di altro genere, cui sarà probabilmente assai difficile che un uomo mortale arrivi mai a dare una giusta risposta!
4. Sempre secondo le Scritture, sembra che gli angeli siano spesse volte stati visti servire gli uomini sulla Terra sotto la veste di giovanetti d'incomparabile bellezza! Dunque, per un pensatore positivo questo è certo un articolo di fede molto greve; almeno né io né nessuno fra i miei colleghi ha mai avuto l'occasione di vedere qualcosa di simile! Può essere che sia così! Ma, d'altro canto, con altrettanta facilità può trattarsi invece di un modo di dire antico e poetico, con cui si sono volute personificare le potenze spirituali agenti, per renderle più tangibili ai sensi con il dare loro la forma pienamente giovanile, vivace e vigorosa di bellissimi giovanetti. Poiché di un angelo femmina non c'è versetto della Scrittura che ne faccia menzione, probabilmente per la ragione che l'entusiasmo dei poeti non ha certo mai potuto immaginare che esistesse in una vergine, per quanto bella, quella forza che può venire attribuita invece ad un giovanetto nel suo pieno e sano sviluppo!
5. Vedi, o illustre reggente, entro i limiti della ragione pura le opinioni sono dunque molto disparate; dappertutto sembra trasparire, a questo riguardo, qualcosa di reale, ma proprio che cosa vi sia di vero in tutto questo, l'uomo non può affatto giudicarlo. Conviene perciò lasciare al popolo la sua fede nei simboli, e mantenerveli, dato che in fondo non si può offrirgli niente di meglio. Ma questo è poi anche tutto ciò che posso rispondere alla tua domanda certo importante, perché a te non posso dare la versione che viene comunemente data al popolo!»
6. Dice Cirenio: «Tu dunque non credi pienamente alla possibilità dell'apparizione individuale e corporea di un angelo?»
7. Risponde Stahar: «Non solo non pienamente, ma ad una tale possibilità non credo affatto, poiché io non ho mai avuto ancora né l'onore né la fortuna di vedere qualcosa di simile, nemmeno lontanamente in sogno, per non parlare poi nella realtà; e così pure i miei colleghi, quando mai sia stato che io abbia discusso con loro tale questione, non hanno mai potuto dirmi altro di quello che so già da lungo tempo.
8. Io non voglio proprio negare in via assoluta l'estrema possibilità, se non per me solo; però questo è certo, e cioè che un simile spirito angelico può tanto meno ancora manifestarsi ai nostri sensi senza il concorso di un mezzo naturale come un'entità formale e reale, quanto non può il raggio di luce manifestarsi in qualche modo come tale, laddove non trova assolutamente alcun mezzo atto a reagire.
9. Il raggio della luce solare attraversa senza dubbio l'aria prima di toccare il suolo della Terra in maniera efficace; ora nell'aria, che è un mezzo ancora troppo meschino, esso non può convertirsi in erba, ma una volta che sia arrivato sul terreno, può già come un proteo trasformarsi in ogni cosa, purché trovi nella materia una qualche disposizione per poter trasformarsi.
10. E questa è perciò la mia opinione, dato che nella natura immensa di tutte le cose si constata che esiste un certo ordine coattivo, e che mai non si vede sorgere alcuna cosa per la quale non sussista in precedenza una motivata ragione, ne che alcun effetto può rendersi manifesto senza che esista prima un mezzo atto a prestarsi alla manifestazione. Considerato, inoltre, che anche il più attento osservatore non ha mai potuto fare la constatazione che la natura proceda in qualche modo a sbalzi, non mi è possibile neppure ammettere, in nessun modo, i cosiddetti miracoli, né l'apparizione personale e corporea di uno spirito sotto qualsivoglia nome, sia pure angelo o demonio, Dio o la Sua polarità contraria.
11. Certo, uno spirito superiore può manifestarsi, ma soltanto nella carne e nel sangue; quello che va oltre a ciò è un'opera della fantasia di qualche persona ingegnosa, ovvero è una smaccata menzogna!
12. Peccato che proprio noi, che già da lungo tempo abbiamo riconosciuta la verità, dobbiamo diffondere la menzogna e la più nera superstizione con azioni e aspetto mistico, e tenerle in piedi; siamo noi che dobbiamo assumere una cera onesta e pia, quando invece si vorrebbe addirittura poter scoppiare dalla rabbia a causa di simili fenomenali stupidità. Ma c'è Mosè e ci sono i profeti, tutta gente ambiziosa che dovette anzitutto far restare a bocca aperta e rendere stupido il popolo, ricorrendo ad ogni tipo di rappresentazioni d'illusionismo naturale, affinché il popolo stesso finisse con il coronarli per tutti i tempi quali suoi dominatori, ed accordasse loro il diritto di tiranneggiarlo con tutto ciò che mai possa venire dichiarato un male.
13. Ma quando un popolo è ben impantanato nell'illusione e ottenebrato fino alle più intime fibre della vita a forza di miracoli, allora prova a dargli la luce, ma quella vera, e vedrai che ti salterà addosso come una tigre e ti farà a pezzi.
14. Di conseguenza è sempre ancora meglio, trattandosi di un popolo ormai radicalmente reso stupido, lasciarlo nella sua antichissima stoltezza ed eccitarlo e rianimarlo a mezzo di nuovi miracoli piuttosto che affaticarsi ad aprirgli gli occhi, e ciò per il motivo che un popolo, qualora sia stato proprio ben reso stupido, non è in generale più possibile esporlo alla luce!
15. Per me c'è stato un tempo in cui chiunque fosse stato intenzionato a rendere con un miracolo ancora più evidentemente ottusa l'umanità, già comunque immersa nella stupidaggine più acuta, io lo avrei assalito come una tigre furente e possibilmente l'avrei perfino ucciso a causa del suo ignominioso proposito. Ma con il passare del tempo io venni, dopo molti tentativi di questa specie, alla convinzione che l'umanità, una volta che sia troppo stupida, non la si può assolutamente ricondurre alla ragione, e mi persuasi pure che avevo avuto molto torto nel scendere in campo contro quegli individui i quali, attraverso miracoli artificiali, tendevano a rafforzare con la maggiore efficacia il popolo nella sua antica superstizione.
16. Io credo di essermi ora mostrato a te tale quale sono, ma che io abbia dovuto ovviamente mostrarmi con una faccia diversa al popolo, questo spero che lo capirai anche tu senza scandalizzartene! E che per conto mio abbia sempre pensato diversamente, te ne fa garanzia la mia migliore, intima convinzione che non avrei mai potuto esporti se essa non fosse realmente esistita in me. Ormai io rimango indifferente dinanzi a tutti gli operatori di miracoli; soltanto non bisogna che come al solito, per gelosia di mestiere, essi vengano ad attaccar briga con gente del mio stampo, già sveglia, ma è meglio invece che collaborino con noi e così si finirà con lo stare tutti bene.
17. Perché, nell'umanità incurabilmente cieca, non si deve creare la sensazione che dietro a noi non ci sia niente, ma conviene mediante prodigi artificiali rafforzarla nell'opinione e nella cieca fede che dietro a noi ci sono dei misteri inspiegabili, i quali soltanto un sacerdote colmo dello Spirito divino od un profeta appositamente suscitato da Dio può comprendere a fondo.
18. È già abbastanza che soltanto pochi vedano chiaramente come tutte le religioni e tutte le dottrine relative ad una Entità divina altro non sono, detto fra noi, che vuote favole e antiche leggende, le quali non sono altrimenti fondate se non nell'umana fantasia».
Raffaele e Stahar.
1. Parla Cirenio: «Per conto mio devo dirti che neanche a questo riguardo condivido la tua opinione, perché io credo invece fermamente che ci sia un Dio, il Quale ha creato tutto il mondo degli spiriti e dei sensi per la potenza perfettamente a Lui propria, e precisamente fuori da Sé, e ciò in un periodo di tempo ovviamente alquanto più lungo di quello indicato da Mosè, compreso male o proprio per niente. Però qui con me c'è della gente che comprende Mosè meglio di te!
2. Così ugualmente io credo in una vita eterna di tutti gli uomini che di buon volere adempiono i Comandamenti di Dio, e credo anche senza restrizioni nella formale personalità di tutti gli spiriti e quindi pure degli angeli di Dio; credo infine altrettanto fermamente in una vera rivelazione di Dio per bocca dei profeti e nella Personalità divino-umana!
3. E tutto ciò io credo non solo per averne udito parlare, ma per mia convinzione intimissima e perfettamente viva, e quindi mi appare quanto mai strano che tu non creda nulla affatto di tutto questo!
4. Che cosa diresti per esempio se io sul serio ti dicessi: "Ecco, questo gentile giovinetto che vedi qui è appunto uno di questi angeli di Dio ai quali non hai mai creduto, e può anche sempre provarti con i fatti di essere tale!". Cosa potrai allora obiettarmi?»
5. Risponde Stahar: «O signore, signore! Io non posso dire altro che questo: "Ora, a te piace passarmi un po' al setaccio pubblicamente!". Questo gentile giovinetto non sarà certamente altro che un tuo figlio, che farà molto ben sperare di sé e che già fino dalla sua prima giovinezza tu avrai fatto ammaestrare in ogni possibile arte e scienza; sarebbe quindi da stupire grandemente se il giovane non ha acquisito certe facoltà, delle quali uno di noi non ha saputo mai nulla nemmeno in sogno.
6. Se io fossi uno dei soliti ingenui che prendono tutto per buona moneta, potresti ben darmi a bere anche questo sorso all'apparenza benedetto, ma come stanno invece a mio riguardo le cose, sarà difficile che l'affare proceda così liscio, perché io so quello che so, e tu pure senza volerlo dire apertamente non la penserai diversamente; sembra soltanto che tu voglia mettermi nuovamente alla prova!»
7. Dice Cirenio: «Ebbene, se proprio credi che io abbia voluto prenderti in giro, fa' nel Nome di Dio, il Signore, una prova con lui, e poi si vedrà se io ti avrò detto o no la verità!»
8. Dice Stahar: «Acconsento, se me lo permetti; dunque, per quanto concerne il tuo angelo, io farò cadere immediatamente dalla tua faccia il triplice velo di Mosè che la copre, cosicché poi ti risulterà presto chiaro che cosa si deve pensare degli angeli. Avvicinati, dunque, o mio grazioso e giovane angelo!»
9. Raffaele allora si fa innanzi e dice a Stahar: «Che cosa vuoi che faccia, o uomo privo di fede?»
10. Risponde Stahar: «Ecco, in questo mare dimorano dei pesci in gran quantità, potresti dunque trarne adesso fuori uno fra i migliori e nel tempo stesso presentarmelo su di un piatto già bello arrosto, nonché preparato a dovere?»
11. Stahar aveva appena finito di parlare che Raffaele già gli offrì su di un piatto ben grande il pesce richiesto, invitandolo anche a mangiarne.
12. E Stahar, avendo visto ciò, rimase enormemente imbarazzato e non seppe che cosa dire o pensare dell'incredibile fenomeno.
13. Raffaele poi invita anche Cirenio ad assaggiare il pesce, che veramente era molto ben preparato. Il pesce fu dunque diviso in pezzi, e Cirenio ne prese dal piatto una buona porzione; ne mangiò e non poté che lodarne con calore la squisitezza. Così pure Stahar provò a mangiarne un pezzo e fu anche lui costretto a fare coro a Cirenio, ed infine vari ospiti si presero pure delle porzioni di pesce e lo trovarono squisitissimo.
14. E quando così il piatto rimase vuoto, soltanto allora Stahar si rivolse umilmente a Raffaele e gli domandò: «Sei tu davvero un angelo del Signore o sei forse semplicemente uno straordinario giovane mago dall'Europa o dall'Africa, o addirittura dalla grande Asia Citeriore? Il fatto resta incomprensibile e oltre a ogni dire meraviglioso, ma a questo mondo esistono magie e maghi famosi, per opera dei quali un profano può con tutta facilità e in simili cose venire indotto in errore; perciò dimmi con perfetta sincerità, qualora ciò sia possibile, se sei un angelo del Signore oppure un mago?»
15. Risponde Raffaele: «Ed a che cosa potrebbe giovarti il mio sì o il mio no? Al dubbioso occorrono delle prove tangibili! Esaminami, e poi giudica se quello che faccio lo può fare eventualmente anche un mago!»
16. Dice Stahar: «Eh, sì, sarebbe interessante provare, ma tutto sta a sapere come, e confesso che non saprei come cominciare il mio esame; la mia testa non mi suggerisce niente e del resto il compimento del primo lavoro di prova, da me richiesto in maniera piuttosto ridicola, è già di per sé tanto straordinario che non se ne può immaginare affatto un altro che fosse più impossibile ancora da eseguire! A giudicare però dalla tua figura immensamente graziosa, sarei davvero portato a credere sul serio che tu sia un angelo di Dio, piuttosto che un mago! Ma tu sembri esistere entro un vero corpo di carne, e questa cosa deve lasciare perplessi sul conto di una effettiva spiritualità; lascia dunque che provi se hai anche delle ossa!»
17. Allora l'angelo permette che Stahar lo tocchi, e questi, con sua sorpresa, trova il corpo di Raffaele perfettamente sodo e compatto; poi egli scuote energicamente il capo e dice: «Hm, hm, qui c'è addirittura uno sfoggio di polpa floridissima e perciò non traspare proprio granché di spirituale!". Ad ogni modo il fatto compiuto non lo si può mettere in dubbio, esso è indiscutibile; però altrettanto innegabile è la realtà di questo corpo disperatamente bello e più pieno e florido di quello della più formosa ragazza, e di queste meravigliose braccia sode e compatte, eh, certo, in queste condizioni lo spirituale non può mostrarsi! Parlando senza sottintesi e a prescindere dal fatto che io sono ormai un vecchio somaro e che tu appartieni al sesso maschile, bisogna convenire che sarebbe la cosa più facile di questo mondo innamorarsi perdutamente di te, particolarmente nel significato più sensuale della parola! Ora vedi, questa sarebbe di nuovo una constatazione che dovrebbe portare piuttosto alla conclusione che non ci sia qui niente da potersi di pieno diritto classificare come spirituale puro e celeste! Non si potrebbe ammettere altro che tu, come un giovane Tobia, fossi, in maniera misteriosa ed invisibile per noi uomini mortali, aiutato da un angelo, presupposto che tu già fin dalla nascita fossi stato, come Samuele, un fanciullo oltremodo devoto e pio. Ma se questo non fosse il caso, potresti altrettanto bene essere segretamente in relazione con il demonio! Ciò che per altro è per conto mio tanto meno propenso a sospettare, in quanto il tuo aspetto è sotto ogni rapporto troppo celestialmente bello, onesto e pio, e poi ancora per la ragione che io, a dirla schietta, non ho mai prestato proprio gran fede al demonio; già la piena fede in un Dio è stata sempre per me un problema assai grave, quanto più poi la fede nel Suo termine opposto!
18. Perciò, nonostante la mia rigidezza esteriore, non sono per me stesso affatto uno zelota, ma un naturalista cui piace ragionare, e come tale non prendo per soprannaturale alcun fenomeno, finché esso lascia adito ad una spiegazione naturale!
19. L'azione che tu hai compiuto non permette certo al mio intelletto di darsene una spiegazione naturale, ma io non ho mai preteso di arrivare a comprendere tutto ciò che si verifica nel campo immenso della natura; può darsi benissimo, dunque, che la tua arte prodigiosa abbia un qualche fondamento naturale; fondamento che sarà perfettamente noto a te e forse ancora a qualcun altro. A me è difficile che voglia rivelarlo; del resto non ha grande importanza, dato che in natura avvengono molte cose, le quali considerate in sé e di per sé sono pure altrettanti prodigi per il fatto che noi non possiamo comprenderne la ragione, ma dei quali non per questo diciamo subito che sono dei veri e propri miracoli!».
Esperienze di Stahar con dei maghi indiani.
1. Dice Stahar: «Ascolta, o graziosissimo giovinetto che sembri quanto mai versato nell'arte magica! Tre anni fa fecero la loro comparsa in città alcuni orientali, sembra addirittura dall'India citeriore; stando alle loro asserzioni, si dice che là ci siano delle montagne tanto alte che le loro cime arrivano quasi a toccare la Luna quando questa vi passa sopra. Può anche essere che sia così, ma ad ogni modo gli stranieri, per attrarre maggiormente l'attenzione, usano sempre esagerare, e tale sarà stato pure il caso dell'altezza delle montagne!
2. Ma lasciamo stare queste cose che non c'entrano nella nostra questione, e siano pure quelle montagne di alcune braccia più basse! Questi forestieri dall'India citeriore, persone molto rimarchevoli all'aspetto, mi chiesero il permesso di esibirsi, quali operatori di veri miracoli, dinanzi al popolo, dietro un modesto compenso!
3. Io però feci dire loro, per mezzo dell'interprete, quanto segue: "Prima che io non mi sia convinto a quattr'occhi, come si suol dire, in che cosa veramente consistono i vostri prodigi e se sia consigliabile di produrre operazioni simili al cospetto del popolo cieco, non potrei concedervi il permesso che mi avete chiesto, nonostante che io stesso sia un fervente ammiratore di ogni cosa straordinaria e per quanto innocenti anche possano essere questi vostri miracoli!”
4. Quegli operatori di prodigi si dichiararono allora tanto più soddisfatti della mia decisione, in quanto avevo assicurato loro un buon onorario per prodursi privatamente in mia presenza e anche di un paio di miei colleghi fra i più svegli d'intelletto.
5. Essi se ne andarono ai loro alloggi, e dopo un'ora fecero ritorno provvisti di ogni tipo di requisiti magici; lì c'erano bacchette, pietre, metalli dall'aspetto strano e vasi grandi e piccoli dalle forme più svariate e da me prima d'allora mai viste.
6. Io allora domandai al loro capo a che cosa sarebbero serviti tutti quegli oggetti. Ed egli mi rispose: "A dire il vero a niente del tutto; ma egli doveva sentirsi vicino a qualcosa del suo paese, altrimenti non sarebbe stato in grado di compiere, con la sicurezza e la perfezione dovute, un prodigio che gli fosse stato richiesto; dopo ciò egli mi domandò che cosa desiderassi vedere o sapere da lui!”
7. Ed io gli risposi: "Sta bene, se non ho che da chiedere, credo che non andrai molto lontano con le tue magie!". Allora gli domandai se potesse dirmi ciò che io, nel momento successivo, avrei pensato. E il mio pensiero corse a Roma ed al nome dell'imperatore; egli allora si pose entrambe le mani sul petto e indovinò quello che io avevo pensato. Ti puoi facilmente immaginare come questo fatto avesse suscitato in me non meno stupore del prodigio da te compiuto ora.
8. Poi gli presentai un boccale d'acqua e dissi: "Tramutami quest'acqua in vino!". Allora si accostò, fece alcuni segni con le mani al di sopra del boccale con l'acqua dentro, e poi mi disse: "Assaggia, o signore, e dimmi se ti piace questo vino!". Io assaggiai subito l'acqua, ed ecco, essa era diventata assolutamente vino. Il mio stupore allora non poté che aumentare.
9. Dopo egli prese un vaso di argilla che era perfettamente vuoto, ci versò dentro il rimanente del vino per poterne, come egli asserì, avere ristoro durante il lungo viaggio di ritorno in patria. Quando però qualche istante dopo osservai il vaso che era del resto pulitissimo, trovai che esso non solo non conteneva il liquido ma che non era neppure umido; emanava soltanto ancora un forte odore di vino, e il mago osservò che a causa la facilità con la quale avrebbe potuto spandersi, egli preferiva portarsi con sé il vino in stato asciutto e spirituale.
10. Io allora gli domandai se con quelle esalazioni di vino egli sarebbe stato capace di produrre al momento, o entro un determinato tempo, dell'altro vino liquido e bevibile. Poi egli chiese a me ed ai miei tre colleghi se avessimo desiderio di bere ancora. Ed avendo noi risposto affermativamente, prese il vaso visibilmente vuoto, e che con tutta evidenza era più piccolo del mio boccale, e vi versò in quest'ultimo del vino in quantità tale da farlo traboccare.
11. Allora, o giovane e grazioso amico, i capelli cominciarono a rizzarsi sul capo, perché il fenomeno si trovava già troppo al di là della sfera di ogni nostra sapienza! Ed io mi trovai al punto di non sapere più che cosa dire! Noi riprendemmo a bere di tutta lena quel vino eccellente e, nuovo prodigio!, il boccale non accennava affatto a vuotarsi in maniera percettibile!
12. Quando poi, resi già entusiasti a dovere dal vino, esprimemmo in termini quanto mai calorosi la nostra meraviglia per quanto avevamo visto, il mago riprese a parlare e disse: "Ma signori miei! Bere del vino senza mangiare del pane non sta proprio bene; ecco, qui ci sono alcune pietre, cosa ne dite se io le tramutassi in pane?". Ed io gli dissi: "Anzi, fa' pure!". Allora passò leggermente le sue mani sulle pietre e disse: "Prendi un coltello e taglia il pane!". Io andai e feci così, era proprio pane saporitissimo e vero!
13. Dopo osservai: "Ma, amico mio, considerato che sei capace di fare tutte queste cose, sarei pure curioso di sapere a che cosa ti può servire ancora un compenso per la tua arte straordinaria?". E il mago rispose: "Solamente a motivo della rarità, nonché per avere dei mezzi per sostentarsi materialmente in quei luoghi dove non si possono o non si devono operare miracoli".
14. Io rimasi soddisfatto di tale risposta ed offrii al mago due libbre d'argento, che egli accettò con molti ringraziamenti; però, in considerazione del genere straordinario delle sue esibizioni, non potei dargli licenza di prodursi pubblicamente dinanzi al popolo cieco, perché questo non avrebbe esitato a rendergli subito onori divini, particolarmente i greci ed i pochi romani.
15. Egli mi disse che sarebbe stato in grado di far vedere degli altri esperimenti, ancora in grande numero e di gran lunga più interessanti di quelli ai quali avevamo già assistito! Ma io non avevo proprio più nessun desiderio da richiedere a loro e di vedere altre cose. Quello che avevo visto mi aveva già un po' troppo riscaldato la testa, e confesso che provai la massima soddisfazione quando quegli indiani se ne furono definitivamente andati, considerato che ci sarebbe stato il pericolo che ne venisse fomentata la ribellione fra il popolo.
16. A conclusione della seduta domandai al mago se con un compenso speciale sarebbe stato disposto a spiegarmi come faceva a produrre almeno uno dei suoi prodigi. Egli però, pur non dandomi un'assoluta e asciutta risposta, avanzò delle pretese di compenso così esorbitanti, da farmi addirittura inorridire; dopo ciò congedai ancora più volentieri quell'artista.
17. Vedi dunque, o mio graziosissimo giovinetto, quel mago dell'India citeriore era certo altrettanto poco un angelo di Jehova quanto lo ero io, eppure riuscì a compiere delle cose meravigliose; ma perché allora tu con il tuo corpo, sia pure celestialmente bello, dovresti essere un angelo, per il semplice fatto che anche tu sei capace di compiere delle cose che al mio grezzo intelletto umano appaiono straordinarie?
18. È quindi necessario che tu mi fornisca delle prove di carattere maggiormente spirituale e puro della tua condizione angelica, altrimenti io non potrei riconoscerti per un angelo di Dio, anche se tu producessi dinanzi a me dei prodigi cento volte maggiori di quello che si è concluso con una mangiata di pesce. Ed io penso che nessuno, che sia di mente veramente equilibrata e serena, potrà avere qualcosa da obiettare a questa mia ragionevolissima pretesa!».
Stahar racconta l'assassinio del sommo sacerdote Zaccaria.
1. Risponde Raffaele: «Si tratta solamente di vedere se tu hai detto o no la verità! Io però posso dirti con assoluta certezza che tu, semplicemente per sondare più a fondo le mie capacità spirituali, ti sei gettato a capofitto nel pantano più immondo e fetente della menzogna, lasciando libero sfogo alla tua sfrenata fantasia, e che in tutto quello che hai raccontato con molta disinvoltura non vi è nemmeno un'ombra di verità.
2. Tu sostieni che il tuo mago immaginario ha indovinato quello che pensavi, ma io invece ti dico che dinanzi a tutti noi hai sfrontatamente mentito, e così la menzogna dei maghi è diventata in me una verità per te.
3. Secondo le tue menzognere asserzioni, il tuo immaginario mago avrebbe convertito dell'acqua in vino; ebbene, anche questa cosa posso dimostrarti con i fatti che è possibile. Ecco, qui pure c'è un boccale vuoto; facciamolo riempire d'acqua! Ora vedi, all'infuori dell'acqua qui non c'è altro. Ora io non ho nemmeno toccato il boccale e tuttavia l'acqua si è trasformata in ottimo vino! Prova ad assaggiarne un po' e poi dimmi se ti piace!»
4. Stahar allora assaggia l'acqua e trova che si è veramente trasformata in eccellente vino.
5. E l'angelo prosegue: «Il tuo mago fece poi scomparire in un altro vaso il vino; ebbene, io non tocco nemmeno il vaso, eppure dentro non c'è più neanche una goccia di vino! (Infatti il boccale si trovò perfettamente vuoto) Ma il tuo mago immaginario, dal semplice odore del vino fece poi uscire fuori dell'altro vino; ora guarda, questo boccale neppure odora più di vino, e tuttavia voglio che ritorni ad essere colmo di eccellente vino! Ecco, il boccale è pieno!
6. Tu, però, non hai pane con cui accompagnare il vino e non vorresti solamente bere del vino senza mangiare qualcosa! Il tuo mago dovette far ricorso ad alcune pietre per trasformarle in pane, a me invece non occorre altro che la mia volontà, e vedi, tu hai già davanti a te una quantità di pane! Assaggiane, e poi dimmi se non ti piace di più dell'altro tuo pane menzognero.
7. Tu infine compensasti il tuo mago con due presunte libbre d'argento, ma io ti traggo qui fuori dall'aria duecento libbre di puro argento, veramente esistenti, per il pagamento della tua menzogna, e adesso dimmi se sei soddisfatto!»
8. Stahar allora rimane completamente sbalordito, e dopo qualche tempo dice: «No, davvero, qui non è possibile che le cose siano naturali e che delle forze naturali vi abbiano parte! Qui evidentemente agisce molto di più di una qualche potenza naturale, per quanto imperscrutabile, e dietro a tali fenomeni deve invece celarsi la volontà Onnipotente di Dio; tu dunque, o giovinetto, sei davvero o un angelo rivestito di carne o uno fra i più grandi profeti di Dio, come Samuele oppure Elia.
9. Sì, ormai credo che tu sia un messaggero di Dio disceso dai Cieli a noi uomini, miseri peccatori, per condurci su quella retta via dalla quale ci siamo finora tanto scostati!
10. È certo vero, o grande e grazioso messo del Signore, che la storia dei maghi dell'India citeriore, che ti ho raccontato prima, è stata inventata da me da cima a fondo, sempre però soltanto sulla base di quanto venne narrato a suo tempo a me stesso da parte di qualcuno, ma io te l'ho raccontata unicamente allo scopo di metterti alla prova, ed ora sono convinto che tu effettivamente puoi scrutare i cuori e i reni degli uomini, e che la tua volontà può ottenere con la massima facilità anche l'assolutamente impossibile.
11. E così pure io ora credo fermissimamente che, nonostante il tuo attraentissimo corpo, sei un perfetto messaggero di Dio, e provo nel mio cuore un'immensa letizia per aver assistito almeno una volta ad una cosa alla quale, come sta scritto nei libri, ebbero negli antichi tempi occasione di assistere i nostri pii genitori!»
12. Osserva l'angelo: «A te però non è la prima volta che ti capita di vedere una cosa meravigliosa, vista pure dagli antichi padri; già trent'anni fa, tu pure avesti occasione di assistere a qualcosa di simile, e che dopo tale avvenimento accadde che appunto il sommo sacerdote d'allora venne ucciso fra l'altare e il Santissimo, particolarmente per tua mano. Perché mai non credesti quella volta all'evidente miracolo, e perché diventasti incrudele perfino contro un sommo sacerdote?»
13. Risponde Stahar: «O carissimo e potente messaggero del Signore! Non rammentarmi quel tempo in cui, certo per effetto di una maledizione, per la prima volta vidi la luce nel mondo e quel fatto che poi ebbi mille volte amaramente a deplorare! Ma quella volta, dato lo stato del mio animo e il mio modo di pensare, non mi restava quasi più altro da fare.
14. Io ero allora già completamente imbevuto della filosofia dei greci, e sapevo il perché io ero un uomo; Platone, Socrate come pure Aristotele io li preferivo incomparabilmente a tutti i miei profeti nebulosi, oscuri e del tutto mistici che io finora non ho ancora compreso, né mai comprenderò per la ragione che non si possono comprendere, particolarmente poi il Cantico dei Cantici di Salomone, il quale potrebbe venire attribuito piuttosto ad un insensato che non ad un sapiente. Di conseguenza io avevo concepito un vero odio contro tutto quello che veniva anche minimamente a contrastare alla ragione euclidica, poiché devo appunto alle opere di Euclide se io sono diventato maestro nelle scienze matematiche.
15. O mio celestiale e onnipotente amico! Se qualcuno mi dice che due e due fanno quattro e che di giorno fa chiaro e che di notte è buio, allora egli ha detto la piena verità ed io lo stringerò da amico al mio petto. Ma se un altro viene e si ostina a sostenermi in faccia che due e due fanno cinque e che di giorno fa scuro mentre la notte è chiara, allora un simile animale non mi resta che accopparlo d'un colpo solo, perché un uccisore dello spirito di questa fatta io lo considero peggiore di qualunque ladro e di qualunque brigante ed assassino.
16. Dunque, appunto in questi termini stavano allora le cose nel tempio: si cominciarono a sostenere le tesi più assurde ed insensate! E si comminarono addirittura delle pene contro chiunque si fosse azzardato a muovere la benché minima obiezione ad una sentenza ispirata ad una simile sapienza, per quanto fosse risultata salomonicamente tenebrosa e sciocca!
17. Il sommo sacerdote, di cui si parla, era appunto un salomonista fervente accanito di questa specie, e ci teneva con il massimo rigore a quella sapienza ultra mistica. Egli cominciò addirittura a inneggiare ad una Luce chiarissima che sarebbe ben presto venuta sul mondo. Questa Luce avrebbe rischiarato ogni tenebra nella notte con tale potenza che perfino la Terra ne avrebbe ottenuto maggiore splendore del Sole al suo pieno mezzogiorno; il giorno del mondo si sarebbe invece trasformato in una notte tenebrosa, e la tenebra del giorno si sarebbe fatta così intensa che ne sarebbero morti uomini e animali. Ora la ‘Luce del Giorno’ era già venuta sul mondo, e già illuminava la tenebrosa notte in modo che perfino i nati ciechi vedevano come vede in pieno giorno chi ha occhi sani!
18. Questo che ora ho detto non è che un lieve inizio, ma tale cosa è assolutamente menzognera da cima a fondo, dato che io da trent'anni a questa parte non ho mai visto una luce della notte, ad eccezione della Luna e del fenomeno verificatosi ieri a sera del protrarsi della luce del Sole, che però sarebbe stato meglio che non si fosse verificato, evitando così tante sciagure. A nessuno era lecito domandare a tale sommo sacerdote che significato avessero veramente le sue parole, ma pretendeva invece che gli si credesse ciecamente.
19. Ma tutto ciò, nel nome di Dio, io avrei anche tollerato, perché non guasta più di tanto l'aggiungere a tanta pazzia ancora un po' di pazzia, considerato però che per conto proprio si può sempre pensare ancora secondo la pura verità. Sennonché una volta egli cominciò a dire: "I 7 ormai diventano 1, i 666 diventano ormai 111, e 777 e 1/2 ed 1/3 ed 1/4. Chi è capace di contare, che conti ormai diversamente, perché l'antico è destinato ad essere giudicato e condannato!”
20. Queste ed altre simili assurdità suscitarono in me ed in vari altri discepoli di Euclide una preoccupazione immensa e nello stesso tempo spavento e furore; noi allora congiurammo, e con alcune pietre ben dirette ponemmo fine a tutte quelle stoltezze che suonavano offesa al buon senso!
21. Con ciò però non guadagnammo granché, perché i successori dell'uccisosi dimostrarono poi cento volte peggiori di lui. E date simili condizioni, per gente del nostro stampo, un'ulteriore dimora nel tempio si rendeva impossibile; io pensai ai fatti miei, iniziai a fare la parte dell'ortodosso e di lì a poco venni trasferito qui come capo della sinagoga con tutti i diritti di un sommo sacerdote. Qui non mi feci mancare nulla, esteriormente mi mostrai rigido ed austero, ma dentro di me ero pieno di buoni propositi e la pensavo differentemente. Ed ora tu conosci anche i motivi per cui fu ucciso Zaccaria! Che cosa puoi dire tu ora in proposito?».
Raffaele fornisce spiegazioni sulle profezie riguardanti il Messia.
1. Dice Raffaele: «Ma tutto ciò aveva evidentemente un senso spirituale e non materiale, e si riferiva al Messia che doveva venire in quel tempo sul mondo; Messia del Quale ebbero a profetizzare già tutti i profeti, anzi perfino Adamo ed Enoc, come pure Chenan nei suoi momenti d'ispirazione!
2. Ormai è venuto il tempo in cui tutte le profezie stanno trovando adempimento. Zaccaria, quale ultimo tra i profeti, profetizzò in forma spirituale l’avvenuta apparizione sul mondo del Promesso, e perciò voi uccideste la sua carne e suggellaste in tal modo nuovamente un patto di fedeltà con l'Inferno, patto cui Caino per primo aveva dato inizio - con la sua lotta con il pio Abele - per l'umanità cieca, stolta e perversa.
3. Però appunto all'umanità eccessivamente cieca e stolta non si può imputare a colpa troppo grave quando nella sua cecità commette ogni specie di peccati di crudeltà, così dunque neppure tu sarai giudicato a causa di Zaccaria e tanto meno ancora lo sarai, dato che tu già molto spesso hai deplorato seriamente tale delitto, cosa questa della quale è stato tenuto gran conto a tuo vantaggio. Ma ora si domanda, che cosa faresti tu se ti trovassi al cospetto del Messia, che già da trent'anni dimora su questa Terra fra i discendenti d'Israele e va’ insegnando, e che cosa farebbero, data una simile eventualità, i tuoi cinquanta colleghi? Gli renderesti tu il dovuto onore? E nel tuo cuore Lo riconosceresti per Quegli che Egli è?»
4. Risponde Stahar: «O onnipotente amico mio! Questa è di nuovo una domanda che per rispondervi si correrebbe il rischio di rompersi l'osso del collo! Chi è il Messia promesso con parole e frasi tanto mistiche? Dov'è Egli? Che cosa vuole e che cosa insegna? Prima che non si conosca tutto questo, non si può certo, nel Nome di Jehova, dare una precisa risposta!»
5. Dice Raffaele: «Egli è Colui del Quale cantò Davide: "O porte, alzate i vostri capi, e voi, porte eterne, alzatevi, e il Re di gloria entrerà! Chi è questo Re di gloria? Egli è il Signore degli eserciti, il Signore Jehova Zebaot". Vedi, questa è la testimonianza che egli rende del Messia, il Quale, Santo, Santissimo si trova attualmente e corporalmente su questo mondo come noi!
6. Ma se Davide parla così chiaramente di Lui, con ciò anche le tue domande hanno avuto risposta, e tu già sai cosa pensare del Messia; adesso, però, io esigo che tu mi dia una risposta precisa alla domanda che ti ho rivolto!»
7. Dice Stahar: «Se così è, ciò che nella mia sfera soggettiva non voglio affatto mettere in dubbio, domando poi che cosa ne facciamo di Mosè, del quale si legge che ha detto categoricamente e chiaramente: "Nessuno può vedere Jehova e in pari tempo vivere!". Similmente noi troviamo in Mosè una formale interdizione fatta da Jehova al gran veggente, secondo la quale a nessuno è lecito raffigurarsi Dio sotto una qualsiasi immagine, per quanto sublime questa possa essere! Tu però dici che, secondo l'asserzione di Davide, il Messia adesso dimora fra gli uomini, Egli stesso quale uomo rivestito di carne, avente assolutamente forma e figura! Come si concilia dunque questo con quello che ha detto Mosè, e che cosa si deve fare di quest'ultimo? L'uno dei due è bene che venga ripudiato; o Mosè o il tuo Messia, perché non è possibile che Mosè e Davide abbiano tutti e due ragione!»
8. Dice Raffaele: «Né Mosè né Davide hanno torto! Perché ambedue annunciano all'umanità il giusto, il vero e il buono! Mosè non disse affatto, per comandamento di Jehova, che Questi non sarebbe potuto un giorno comparire quale Uomo fra gli uomini, anche se egli vietò unicamente di farsi di Dio un'immagine scolpita, come fu all'incirca quella del vitello d'oro; così pure Jehova disse a Mosè "che nessuno può vedere Lui come Dio e Spirito e contemporaneamente vivere!". Ma Jehova subito dopo disse a Mosè: "Fa' attenzione - tu però rimani dietro la rupe! E Mosè vide la schiena di Jehova".
9. Ma che cosa significa ciò? Ecco, la schiena di Jehova che Mosè vide significa "la Sua corporeità umana, sotto la quale, come Uomo più perfetto, Egli stesso si sarebbe reso un giorno visibile agli uomini!". Ma se è così, perché si dovrebbe ripudiare Mosè, volendo accettare la testimonianza di Davide?
10. Ma se voi pure, già da trent'anni, avete messo da parte l'antica Arca dell'Alleanza, poiché da questa era scomparsa la colonna di fuoco e la nuvola, e al suo posto ne collocaste un'altra del tutto materiale! Questo fatto però, senza che voi lo comprendiate, è esso pure una testimonianza per il tempo attuale, e significa che Jehova ora non si libra più unicamente quale Spirito maestoso sopra ogni materia, come una volta sopra le acque della notte, bensì Egli stesso abbandonò tale Sua situazione nella quale Egli si diede a riconoscere agli altri figli come Creatore e Padre per mezzo del suscitato profeta in modo difficile e incerto, e perciò ora Egli stesso si è rivestito della carne di un uomo ed Egli stesso insegna agli uomini e discorre con i Suoi figli!
11. Non vedi tu, qui, anche una nuova Arca della nuova Alleanza, della quale la nuova Arca nel tempio è bensì un simbolo ammonitore, mentre la vita dello Spirito di Jehova che una volta si librava sopra l’antica Arca, già trent'anni fa Jehova stesso l'ha posta nell'Uomo-Dio, e Questo è ora qui sul mondo ed insegna agli uomini a riconoscere Lui stesso!
12. Ma se le cose stanno in questi termini, come puoi tu asserire che per accettare questo sia necessario ripudiare o Mosè o Davide?
13. Inoltre sta scritto: "Allora i Cieli saranno aperti, e si vedranno gli angeli salire e scendere agli uomini che saranno di buona volontà, e dinanzi a questi essi testimonieranno del Verbo eterno diventato carne, il Quale è Dio stesso!". Ma ecco! Questo avviene appunto ora dinanzi ai tuoi occhi e alle tue orecchie! Dunque, come puoi fare ancora altre domande? Ovvero, ritieni sempre ancora che io sia semplicemente un uomo?»
14. Risponde Stahar, colpito e reso meditabondo dalle parole dell'angelo: «Oh, io mi trovo in condizione d'animo ben strana! Certo, quanto hai detto non fa una grinza, e la verità brilla fuori da ciascuna parola dalla tua bocca celestiale. Io ormai sono convertito, ma adesso devono venire convertiti anche i miei colleghi, e poi si tratterà ancora di sapere dove noi potremo incontrarci con il Grande Messia per ascoltare la Sua stessa Parola!»
15. Risponde Raffaele: «Va' dunque e narra queste cose ai tuoi fratelli, affinché pure essi credano e possano farsi beati, poi venite tutti qui per apprendere dove potrete vedere il Santissimo e dove potrete parlarGli!»
16. Stahar, allora, se ne va subito in cerca dei suoi colleghi tuttora immersi nelle tenebre.
Stahar converte i suoi colleghi.
1. I colleghi di Stahar, però, si trovavano per la maggior parte dispersi qua e là lungo la riva del mare, mentre qualche altro si aggirava nel cortile. Ma Stahar li fece chiamare tutti sulla riva, e quando furono radunati disse loro: «Amici miei! Avete udito parlare quel giovinetto ed avete visto tutto quello che ha fatto?»
2. Rispondono i colleghi: «Qualche cosa, però non tutto, perché la questione ci è apparsa come impostata con arte sopraffina, dal governatore romano, allo scopo di attirarci tutti nella rete che ha teso, e noi abbiamo pensato che quanto più lontani dall'arco si sta, tanto più sicuri si è di evitare la freccia! Comunque abbiamo perso tutto quello che possedevamo e siamo ridotti alla mendicità! La città brucia ancora. Che cosa possiamo fare dunque? I romani sanno benissimo che cosa noi rappresentiamo per il popolo, e senza il nostro favore, non tanto facile da acquistare, il dominio sull'Asia viene a costare loro ben caro. Oh, un romano del valore di Cirenio, che ha a sua disposizione i più ricchi mezzi da tutte e tre le parti del mondo, può tutto ciò che vuole!
3. Basta che tu mi dia molto oro ed argento ed allora divento anch'io un taumaturgo, forse non alla maniera di quel mago giovinetto, ma ad ogni modo garantisco di fare dei miracoli della più strabiliante specie»
4. Osserva Stahar: «Amico mio! Se parli così vaneggi, e non sai fare nemmeno distinzione fra un prodigio genuino ed uno falso. Tutto quello che ragionevolmente era possibile obiettare, io l'ho obiettato, ma tutta la mia opposizione si trovò a fare vergognosamente naufragio quando quel giovanetto cominciò a spiattellarmi i miei più riposti pensieri! Ma in seguito a ciò riconobbi il mio antico ed immenso errore, ed ora sono venuto qui da voi per esporvi quello che ho visto ed udito!
5. Il giovinetto è infallibilmente un angelo del Signore, ed egli senza possibilità di errore testimonia che il promesso Messia si trova già sul mondo e che Egli rende la vista ai ciechi e l'udito ai sordi, e dice che non è escluso che noi possiamo anche qui vederLo e parlarGli.
6. Io ormai ci credo del tutto, e finirete con il crederci pure voi! Perché non sono certo tale da accettare e credere qualcosa alla leggera, ma bisogna invece che per crederci mi sia convinto assolutamente che quella data cosa è, tanto nel suo complesso quanto nei suoi minuti particolari, corrispondente a verità, ma quando ho ottenuto una simile convinzione, allora questa è come fissata su di una base granitica e nessuno può togliermela!
7. Considerato dunque che mi trovo precisamente in queste condizioni, potete credermi senz'altro anche voi! Poiché, presi tutti assieme, voi non siete in grado di sollevare a questo riguardo dubbi maggiori e più numerosi di quanti ne abbia già sollevati io, ma ogni mia obiezione è risultata una menzogna, e poiché, infine, cominciai a vedere nella questione del Messia altrettanto chiaro come vedo che uno più uno fanno due, così potete ben credermi pienamente anche voi»
8. Dicono i colleghi: «Va tutto bene, ma adesso si tratta di vedere che cosa veramente dobbiamo credere»
9. Risponde Stahar: «Siete dunque sordi? Non vi ho già detto che quel giovinetto è in tutta verità un angelo di Dio e che il Messia è comparso su questo mondo e che noi quanto prima Lo vedremo in Persona e Lo udremo? Questo e non altro è quello a cui dovete credere!»
10. Dicono i colleghi: «Sta bene, se tu credi e di questo sei addirittura matematicamente convinto, non possiamo più dubitare, ma trattandosi di fenomeni di questo genere, mai visti ancora e quindi assolutamente nuovi, è necessario anche considerare che ben spesso i migliori nuotatori si annegano per primi e che i più arditi arrampicatori precipitano per primi giù dalle montagne e che i cosiddetti credenti saldi come le rocce sono infine quelli che si smarriscono fra ogni tipo di dubbi e prima di altri che non hanno con eccessiva rapidità afferrato qualcosa d'incomprensibile, né hanno fatto immediatamente mostra di una fede granitica.
11. Per quanto sappiamo, tu non sei mai stato uno che crede con estrema facilità, ed è proprio per questo che anche noi accogliamo per vera la tua parola; ma tenersi un po' di prudenza di riserva non nuoce mai! Perché noi dalle Scritture conosciamo come già più d'un profeta e taumaturgo, verso il finire della sua vita, sia diventato un semplice e debole uomo come tutti gli altri! Soltanto in seguito si poté constatare di quale spirito fosse figlio un simile profeta. Dunque, neppure questo si deve dimenticare»
12. Dice Stahar: «Di tutto ciò mi prendo ogni responsabilità. Io certo so che con queste idee non c'è niente da fare nel tempio, però sapremo bene come tutelarci! Esteriormente, per essere ragionevoli quanto occorre, restiamo quello che siamo stati finora e pagheremo il tributo pattuito, interiormente però è necessario che ci trasformiamo radicalmente, e con il tempo converrà che anche al popolo vengano dati degli insegnamenti migliori.
13. Se ora voi tutti, dunque, siete del mio parere e della mia fede, rechiamoci tutti là, dove il governatore generale si trova con il giovinetto; là verrà fatta maggior luce di quanta se ne abbia adesso!»
14. I colleghi allora si dichiarano d'accordo e si recano tutti da Cirenio, e giunti là, Stahar prende la parola e dice: «Eccoci ormai qui, tutti ai tuoi comandi; quello che tu vorrai, noi anche faremo e saremo, e nessuno di noi più ti contraddirà! Al caro e onnipotente messaggero di Dio piaccia però di fortificare maggiormente, ancora nella fede, anche questi miei fratelli, in tutto ciò che a me stesso è stato da principio difficile credere!»
15. Dice Cirenio: «Vedi, dunque, che noi romani non siamo proprio quei giudici tanto inflessibili come voi vi siete da lungo tempo immaginati; ma certamente esigiamo un rigido rispetto della giustizia e del diritto, nonché la piena verità. Chi fa suoi questi principi è nostro amico, ottiene la cittadinanza romana ed allora a nessun altro tribunale all'infuori di quello di Roma compete di pronunciare una sentenza contro di lui.
16. La prima cosa quindi che posso fare a vostro beneficio è rilasciare a ciascuno di voi un certificato di cittadinanza romana! Voi siete, compreso il vostro capo, in cinquanta e sarete subito provvisti di quanto a ciò occorre; quando questa questione sarà sbrigata, si vedrà ben poi quello che ancora si potrà fare per voi!»
17. Dopo ciò Cirenio diede ordine ai suoi servitori di portargli 50 rotoli di pergamena. I servitori allora andarono dove era depositato il bagaglio di Cirenio e furono ben presto di ritorno con i rotoli richiesti, e quando questi furono deposti sul tavolo, Stahar domandò a Cirenio: «O illustre signore! Bisognerà ben prima che noi ti facciamo conoscere i nostri nomi!»
18. Risponde Cirenio, indicando l'angelo: «Vedete, questo è il mio celerissimo scrivano, egli però già da tempo sa cosa deve fare, né i vostri nomi gli sono sconosciuti; egli dunque potrà approntare i certificati sotto i vostri occhi». E detto questo, Cirenio pregò Raffaele di volersi accingere alla necessità!
19. E Raffaele, fattosi rapidamente avanti vicino al tavolo dove si trovavano deposti in rotoli, li distese come meglio era possibile, prese poi lo stiletto con l'inchiostro e con questo passò con la velocità del lampo sopra tutti i rotoli, dicendo infine a Cirenio: «Ecco, o amico mio, qui hai i cinquanta certificati da te richiesti, estesi in lingua romana, greca ed ebraica; ormai puoi distribuirli agli interessati!»
20. E quando Cirenio cominciò a distribuire i certificati, tutti i cinquanta furono colti da un senso di raccapriccio, perché questo prodigio risultava ai loro occhi troppo evidente e grandioso, e di conseguenza si diedero, tremanti, a riflettere sul fatto che ormai si trovavano in vicinanza di Dio. Essi ringraziarono Cirenio della duplice grazia loro concessa, però nessuno si azzardò a parlare né a domandare qualcosa.
La perorazione di Ebram riguardo alla «Luce Nuova» dall'eternità.
1. A questi avvenimenti avevano assistito anche i trenta giovani farisei con a capo Ebram e Risa, ed essi si rallegrarono immensamente poiché ebbero visto come Cirenio era riuscito a guadagnare alla buona causa anche quei cinquanta ostinati.
2. Ed Ebram, avvicinatosi a Stahar, gli disse: «Vedi, noi qui siamo in trenta, come voi mandati dal tempio nei vari paesi per fare proseliti a vantaggio del tempio stesso, e questo è un lavoro quanto mai aspro! Quegli ebrei del tempio, come sono ora, in fatto di cultura si trovano trecento anni indietro al paragone dei pagani di qualunque paese; e noi dovremmo rendere ciechi coloro che vedono, e si dovrebbe condurli sotto la tutela dell'acqua maledetta del tempio! Oh, il nostro cuore intendente ci suggerì che tutto ciò e ancora molte altre cose non vanno bene! Di conseguenza noi ci siamo fatti tutti romani e la nostra testimonianza contro il tempio sarà per molti fonte di grande luce, ma noi abbiamo ottenuto ancora un'altra grande sacra testimonianza, che dona Luce più intensa di mille soli che splendono contemporaneamente, ed essa è la Luce dall'eternità che già prima della Creazione di ogni mondo risplendette agli angeli, alle viventi fiamme, cioè fuori da quella fiamma eterna in Dio che si chiama Amore.
3. Questa Luce primordiale di ogni luce e questo eterno Amore, li abbiamo trovati qui, e voi pure, in gran parte, li avete trovati e più ancora li troverete in avvenire.
4. Ma ora ci rallegriamo grandemente che abbiate anche voi trovato qui quello che abbiamo trovato noi. Certamente questo è avvenuto a spese del benessere esteriore della vostra esistenza, perché tutti i vostri beni sono stati distrutti dal fuoco che tuttora è intento nella sua opera! Voi, come noi, non possedete più niente! Ma questa è la Volontà di Dio, e cioè che noi uomini, se veramente vogliamo avvicinarci a Dio e vogliamo che provveda in ogni campo e sotto ogni riguardo per noi, dobbiamo prima - con grande amore e con illimitata fiducia nel Padre Onnipotente - volgere completamente le spalle a qualsiasi cosa che sia del mondo, e dobbiamo rinunciare fino all'ultimo atomo a tutto ciò che di mondano ci era caro e prezioso! Solo allora Dio, Signore e Padre, è pronto ad accogliere quali Suoi figli noi, abbandonati e proscritti dal mondo, ed a provvedere ad ogni nostro bisogno, e soltanto così noi ci troviamo provvisti veramente di tutto per tutta l'eternità.
5. Ma quando Dio provvede completamente a noi, allora soltanto possiamo formarci un concetto esatto di quanto male fossimo provveduti da parte del mondo!
6. A che cosa servono all'uomo anche tutti i tesori della Terra, se non può portarli con sé quando è venuta per lui l'ora di prendere congedo da questo mondo; e come mai del resto potrebbe portarli? Ma i tesori di Dio invece, che Egli spiritualmente ha creato per l'anima e per lo spirito, questi sì che possiamo portarli con noi nell'immenso aldilà, e ci saranno anche del tutto e in tutto cibo e bevanda, tetto e vesti, nonché la vita perfetta ed eterna colma di splendore, di luce e di beatitudine suprema.
7. Perciò non rammaricatevi per ciò che avete perduto da ieri fino a quest'ora, poiché il Signore aveva provveduto per voi già prima che Lo aveste riconosciuto come ora. Il vostro amore per Lui, Gli faccia pur volentieri sacrificio di tutte queste cose, ed Egli vi risarcirà mille volte in spirito più di quanto voi aveste a perdere materialmente!»
8. Risponde Stahar: «Io ti ringrazio, a nome di tutti questi miei fedeli colleghi e fratelli, di queste parole quanto mai consolanti; ora vedi qui sul tavolo il grande masso di puro argento che l'angelo ha formato magicamente fuori dall'aria! Con ciò noi saremmo già relativamente indennizzati del danno sofferto, ma a tale indennizzo attribuiamo ormai molto poco valore, perché quello che siamo stati non ritorneremo più ad essere, considerato che il saggio governatore generale, come credo d'indovinare, prenderà a riguardo di tutti noi delle disposizioni ben differenti. Ad ogni modo, per noi verrà certo provveduto almeno quel tanto che occorre per non morire di fame e per coprire il corpo, di tutto il resto ormai non ci preoccupiamo. Anche queste duecento libbre d'argento le lasceremo qui a Marco, l'albergatore, in parte come doveroso compenso per i cibi e le bevande già forniteci e in parte per quanto ancora ci fornirà.
9. Una cosa soltanto ancora brameremmo sapere, e cioè se il Messia da lungo tempo promesso, e che dovrebbe già essere venuto nel mondo, si trovi proprio in queste vicinanze. Sarebbe ora per noi un vantaggio maggiore di tutti poterLo vedere e forse perfino sentire da Lui qualche parola!
10. Detto fra noi, qualche piccola supposizione possiamo arrischiarla sul conto di qualcuno del quale abbiamo appreso già varie cose reputate incredibili, che però ora non ci appaiono più tali dopo aver visto di quali cose sia capace l'angelo!
11. Ebbene, quest'Uomo, anzi veramente il Dio stesso sotto umana spoglia, ci sembra che sia appunto quel Nazareno di nome Gesù, sul conto del Quale si sono d'un tratto diffuse fra il popolo, di luogo in luogo, le voci più meravigliose, in conseguenza al fatto che era già da lungo tempo che ci trovavamo nel massimo imbarazzo di fronte al popolo, ogni qualvolta questo si rivolgeva a noi per avere spiegazioni riguardo a cose che asseriva di aver udito con le proprie orecchie.
12. Il governatore generale stesso mi ha a questo proposito rivolto una domanda molto suggestiva, per rispondere alla quale mi sono trovato alquanto sulle spine, in maniera che ora non suppongo né più né meno che appunto quel prodigioso Gesù di Nazaret sia infallibilmente il Messia e che l'angelo ha confermato essere ora in questo mondo. E non è escluso che questo Messia sia forse addirittura qui fra i molti presenti, e che per ragioni supremamente sagge non intenda farsi riconoscere da noi prima che non ci siamo fatti, in un certo modo, più degni di quanto purtroppo lo si sia stati finora!
13. Perciò sono dell'opinione, e dico senza indugi davanti a tutti voi, che se la cosa sta veramente così, altro non ci resta che voltare le spalle una volta per sempre al tempio e al suo più inutile santuario, e stringerci con ogni fibra della nostra vita al Messia degli ebrei! Voi che cosa ne pensate?»
14. Rispondono gli altri: «A questo certamente non si può obiettare. Quello che tu quale nostro superiore farai, anche noi faremo, perché le condizioni del tempio le conosciamo bene e sappiamo che fra le sue mura non vi è più salute, ma solamente ambizione, superbia, ira, vendetta, menzogne di ogni genere, voracità, crapula, dissolutezza e adulterio in tutte le forme. Questi sono attualmente gli elementi che costituiscono l'essenza del tempio. Quale salute e quale benessere ci si può aspettare da una istituzione come questa? Maledizione e rovina sì, e quanta se ne può desiderare, ma di salute, da quella parte, non c'è più da parlare in eterno!
15. Mentre tu parlavi, abbiamo anche ponderato profondamente e seriamente la questione e siamo d'accordo con te di dare addio per l'eternità al tempio, e ciò di pienissimo buon diritto; perché noi non abbiamo accolto una novità così alla leggera, ma abbiamo prima sottoposto ogni cosa a scrupolosissimo esame, e nemmeno i maggiori prodigi hanno avuto il potere di farci cambiare posizione come fa il vento con la foglia.
16. Considerato però che ora abbiamo la convinzione che tali cose nuove corrispondono perfettamente a verità, non possiamo più fare a meno di accogliere questa verità, venuta dai Cieli, tale quale essa è, e ciò tanto più che il tempo, le circostanze e l'autorità di Roma si atteggiano a noi più favorevoli di quanto avremmo potuto mai aspettarci!
17. Noi siamo ormai, senza alcun dubbio, molto ansiosi di conoscere il Messia da Nazaret! Ma che sia Egli proprio quello che di questa numerosa compagnia porta una veste di color rosa, con sopra un mantello azzurro chiaro di merino alla foggia greca e ha i capelli così belli, come di simili non ne abbiamo mai visti in nessun uomo?»
18. Osserva Stahar: «Davvero, è possibile che non abbiate proprio torto; anch'io è già da vario tempo che Lo sto osservando, e ho potuto inoltre constatare che tanto l'angelo quanto Cirenio, sempre durante il loro agire e discorrere, rivolgevano l'attenzione anche a Lui, quasi per domandarGli se fosse giusto come parlavano ed agivano.
19. Anche tutti gli altri tengono verso di Lui un comportamento sommamente rispettoso, che per quanto celato non è tuttavia sfuggito al mio occhio! Se non si trattasse eventualmente di un qualche principe imperiale di Roma, sarei quasi disposto a giurare che appunto quell'uomo altri non è che il Messia!»
20. Dicono gli altri: «Oh, con quella bella capigliatura bionda, non c'è nemmeno da pensare che si tratti di un romano! Del resto, che cosa potrebbe accadere se Gli andassimo vicino e L'interrogassimo di una cosa o dell'altra?»
21. Risponde Stahar: «Io penso che sia meglio rivolgerci prima all'angelo oppure a Cirenio; oramai siamo cittadini romani e di conseguenza ne abbiamo il pieno diritto».
Un fariseo parla della responsabilità dell'uomo.
1. Dopo ciò tutti si avvicinano di sereno umore a Cirenio, e gli domandano che cosa avrebbero dovuto fare a quel riguardo.
2. Cirenio rispose loro: «Io ritengo più conveniente che voi aspettiate ancora un po', ma che in compenso cerchiate di avvicinarvi nei vostri cuori il più intimamente possibile a Lui. In questo modo sarà poi Egli stesso a venire a voi e a dirvi Chi Egli è e cosa voi dovrete fare. Frattanto però posso dirvi che voi, ad ogni modo, vi trovate su una buona strada, poiché la circostanza che il grande Uomo-Dio debba certamente trovarsi qui, avete dovuto dedurla già dal fatto della nostra presenza in questo luogo! Perché, per un affare di poco conto, non ci saremmo trattenuti qui quasi tre giorni!
3. Dunque Egli si trova qui, di ciò potete essere ormai perfettamente sicuri; conviene soltanto che vi avviciniate a Lui anzitutto nel cuore e che formiate con ferma e seria volontà il proponimento di spogliarvi di tutte le vostre inveterate male abitudini, e dei vostri peccati, in maniera assolutamente radicale, allora Egli stesso verrà ben presto a voi, e dalla Sua bocca divina apprenderete quali dovranno essere le vostre mansioni future.
4. Ma effettivamente Egli è anche Colui che voi stessi avete supposto che fosse. GuardateLo e tra voi pensate: "Questi è Jehova in Persona, quale Uomo fra gli uomini! Egli è Colui che ha creato il Cielo e la Terra e tutto ciò che esiste su di questi ed in questi!”
5. Io vi dico: "Egli è l'Eterna Causa Prima di ogni essere e di ogni vita; nella potenza assolutamente imperscrutabile della Sua Volontà sta il fondamento di tutto l'infinito, tutta la Potenza degli angeli non è che un lievissimo alito della Sua bocca ed ogni Luce è da Lui che sgorga!”
6. In breve, considerate che Egli è veramente Lo stesso che diede a Mosè sul Sinai la Legge per il popolo d'Israele, ma questo popolo si dimenticò di Lui e ricadde in ogni tipo di vizi e di peccati, ed Egli stesso è venuto ora a raddrizzare il Suo popolo e a renderlo libero da tutti i mali dell'anima.
7. Perciò anche Egli indossa una bella veste di color rosa, per dimostrare come sempre ancora ami il Suo popolo. Però, mediante l'ampio mantello azzurro vuole significare di essere venuto anche a noi pagani, per innalzare anche noi ai Suoi figli! Quel mantello abbraccia tutto il mondo, e perciò anche tutti i pagani.
8. Dunque, riflettete bene su quanto vi ho detto, e ben presto comincerà a rendersi manifesto in voi che non vi ho affatto detto una cosa non vera»
9. Stahar e tutti i suoi colleghi si profondono allora in ringraziamenti per queste inattese dichiarazioni da parte di Cirenio, e si ritirano manifestando il più profondo rispetto.
10. E quando in perfetta tranquillità si trovarono di nuovo in riva al mare, Stahar disse ai suoi compagni: «Eppure è curioso, la rivelazione quasi senza sottintesi da parte di Cirenio sul conto del Messia suscita in me una sensazione stranamente inquietante di benessere! Mi sento, per così dire, dominato da un sentimento di sicurezza, come se a noi tutti non mancasse più davvero niente a questo mondo! Ma nello stesso tempo mi sento sopraffatto da un senso particolarissimo di inquietudine e di timore, al pensiero di trovarmi al cospetto del Signore dell'eternità, perché dopo quello che abbiamo visto ed udito non possiamo nascondere che Egli è in tutta verità Quello che Cirenio testimoniò che è! Un colloquio con Lui non potrà non suscitare in noi una impressione quanto mai strana, ed è certo da temere che la nostra lingua, solitamente tanto scorrevole, non vorrà più obbedirci!»
11. Dice uno più animoso degli altri cinquanta: «Sì, è vero, hai parlato rettamente, ma il mio pensiero sarebbe questo: "Noi non abbiamo certo colpa se apparteniamo all'umanità, dato che di nostra volontà non siamo venuti a questo mondo!". E così, pure, che colpa abbiamo noi se le circostanze nelle quali si svolse la nostra vita furono tali da farci diventare quello che finora fummo. I nostri genitori, la nostra educazione e le conseguenti necessità di ogni specie hanno concorso a fare di noi quello che siamo.
12. Se fossimo figli di poveri contadini, sicuramente saremmo simili ai nostri genitori. Ma a Dio invece è piaciuto farci diventare figli di gente ragguardevole e ricca, e fummo perciò educati nel tempio e poi anche del tutto consacrati a questo. Di ciò non possiamo certamente essere ritenuti responsabili! Ma che noi siamo diventati ciò che siamo stati finora, a ciò deve aver contribuito pure la Volontà dell'Onnipotente!
13. Che poi ci siamo fatta lecita più di una cosa che non era proprio interamente conforme alla legge, questa è una cosa che certo riguarda direttamente noi, ma nonostante ciò faccio tra di me le seguenti considerazioni: "Se i tuoi genitori avessero fatto di te un pescatore che stentatamente avrebbe dovuto provvedere al proprio sostentamento, è naturale che sarebbero state tralasciate varie cose che invece si ha avuto la possibilità di fare, dato che dal lato materiale si era ben provveduti, e d'altro canto a fare quelle date cose si era spinti da una carne e da un sangue ben nutriti! Di conseguenza anche il nostro contravvenire alle leggi è in parte un prodotto delle circostanze, nelle quali siamo venuti a trovarci per effetto di nascita e di educazione.
14. Dunque, se il grande Messia venisse a noi, sento che potrei parlare con Lui in un certo modo del tutto senza timore e senza alcuna particolare soggezione, poiché non posso fare a meno di essere quello che sono, né Egli certo può fare in modo di non essere quello che effettivamente Egli è dall'eternità fino all'eternità!”
15. Dimmi tu, sinceramente, se può venire rinfacciato all'albero di muoversi, quando l'uragano lo scuote di qua e di là. Quale colpa ha il mare, se dei venti petulanti sconvolgono la sua quieta superficie facendo sì che un'onda inghiotte l'altra, come un animale da preda? Oppure, può essere colpa della debole canna, se viene curvata da tutte le parti per la forza delle onde?
16. Noi non siamo una forza primordiale, ma siamo soggetti all'influenza di forze sconosciute di varie specie, che agiscono su di noi. A che cosa ti serve la migliore buona volontà e il proponimento più serio di non cadere, quando il ponte sul quale devi passare, senza che tu lo sappia, si è in qualche modo marcito e crolla quando appunto tu pacificamente ci passi sopra? Che cos’è la vita e quali punti d'appoggio essa offre sui quali poter contare con sicurezza? Chi conosce il fondamento del pensare e dell'operare? Attraverso il congiungimento sessuale animalesco e muto, dal quale esula ben spesso anche la benché minima serietà di pensiero, la vita viene formata tanto dagli animali che dall'uomo nell'identica maniera. Né l'animale ne l'uomo è lontanamente conscio del come, in seguito all'atto carnale, sessuale e muto, venga formandosi un organismo vivente, che già nel suo meccanismo materiale è costituito con tanta arte suprema che il più grande sapiente dovrebbe studiare mille anni per poter esaminare e riconoscere in maniera del tutto superficiale le singole parti che lo compongono e per scrutare in esso i rapporti di causa e di effetto! Ma se fosse arrivato anche a questa conoscenza, non avrebbe conosciuto che la semplice macchina; e come si fa poi per comprendere il principio della vita stessa, come questa agisce nella macchina e come fa a servirsi delle innumerevoli singole sue parti?
17. Noi certo sappiamo di esistere, siamo consci di vivere, di pensare e di volere, e percepiamo anche in noi dei moti e degli impulsi. Ma come sorgono questi in noi, e chi è che li suscita? E dove se ne vanno, una volta che siano stati saziati di ciò a cui essi ci hanno spinti?
18. Vedi, queste sono riflessioni molto logiche per le quali, alla stregua anche della più pura ragione, siamo almeno per i quattro quinti della nostra esistenza scusabili al cospetto di qualunque Dio, e perciò anch'io non temo alcuno spirito, né alcun Dio! Non ho mai fatto del vero male, eccetto forse che di quando in quando, considerato che sono un uomo, mi è piaciuta qualche formosa ragazza, e ciò va nuovamente posto a carico della mia natura; infatti, perché doveva suscitare in me tanto diletto l'opulenza di forme di una bella giovinetta? Sono stato forse io a porre nel mio essere questa brama prepotente? Io non ne so nulla! Chi mi ha dato il sentimento dell'amore, difficile da soddisfare? Chi è il creatore della sete e della fame in me? Per quale ragione devo mangiare e bere? Ecco, tutto ciò è provocato in noi da forze superiori, alle quali non possiamo opporre alcuna legge positiva. Noi certo possiamo arrivare con le rinunce fino ad un dato punto, ma più di tanto oltre non possiamo andare; ma se le cose stanno così, quale ragione e quale sapienza più pura ancora ha il diritto di citarmi in giudizio per rispondere delle mie azioni? Non certo una ragione ed una sapienza umane che pensano chiaramente come me, e tanto meno poi una ragione chiarissima ed una suprema sapienza divine! Perché dunque dovrei avere al cospetto di un Dio un timore che mi appare molto sciocco?»
19. Dice Stahar: «Ma, eppure sta scritto che l'uomo deve temere Dio, considerato che Dio è Onnipotente, mentre l'uomo è quanto mai impotente, e non può con la sua forza opporsi assolutamente a Lui!»
20. Osserva l'oratore: «Questo va bene, l'uomo Lo tema pure; ma questo è detto con riguardo alla personalità morale dell'uomo e non della personalità totale in tutte le sue funzioni vitali! Ma anche questo timore è fondato sull'amore destinato a servire alla volontà, sotto certi aspetti libera dell'uomo morale, come norma di vita simile a quella costituita dall'amoroso timore dei figli verso i loro genitori. Ma fatti dare invece una legge da un Dio, in forza della quale ti sia vietato di respirare o di digerire, o che proibisca al tuo polso di battere, ai tuoi capelli ed alle tue unghie di crescere, o di invecchiare e di percepire l'odore, il sapore e le sensazioni della gioia e del dolore! Quale Dio mai, per poco savio che fosse, sarebbe disposto a fare una cosa simile? Dove abbiamo noi il punto di paragone, in base al quale poter stabilire esattamente quando e dove l'uomo comincia ad assumere una figurazione precisa e positiva con riflesso alla cerchia completa del pensare, del volere e dell'agire, nella sua assolutezza morale, libero da ogni necessità imposta dalle funzioni della vita?
21. Chi conosce i fili, mediante i quali la vita naturale si tiene congiunta a quella spirituale-pura in sé perfettamente libera, e fino a qual punto può manifestarsi del tutto indipendente da questi fili? Eh, sì, non c'è dubbio che l'uomo sotto certi aspetti è libero. Egli può andare dove vuole, può stare in piedi o seduto e può guardare con i suoi occhi dalla parte che preferisce, ma tutti questi atti presuppongono sempre una necessità derivante dalla limitata vita naturale.
22. Quello che ci si domanda è dunque: dove e come va collocato l'uomo, dal punto di vista morale e della sua libertà? Fino a quando questo problema non sarà perfettamente risolto, ogni questione di peccato o di virtù è del tutto fuori posto!»
Floran filosofeggia su Dio.
1. Dice Stahar: «Io so, o amico mio, che tu sei un grande sapiente del mondo e che è difficile obiettarti qualcosa. D'altro canto, però, non ti possono essere sfuggite le cose straordinarie compiute dall'angelo. Ora si tratta di sapere se le ha compiute a beneficio della nostra vita naturale, oppure unicamente per il nostro spirito»
2. Risponde l'oratore: «Noi le abbiamo viste con i nostri occhi, ma le hanno viste pure quelli di Gerusalemme? No! Ma ammesso che essi non le hanno viste con gli occhi della loro carne, e che di conseguenza non possono neppure credere anche volendoli rendere edotti degli avvenimenti stessi, possiamo noi, gente ragionevole, serbare loro rancore oppure addirittura condannarli a ogni tipo di pene?
3. Solo per mezzo dei nostri sensi, a noi è stata imposta la necessità della fede, ma privi della vista esteriore, ci troveremmo abbandonati quanto quelli di Gerusalemme. Dimmi, dunque, dove inizia qui lo stato morale? Annulla gli occhi e il loro necessario potere visivo, e poi stabilisci il punto morale assoluto!»
4. Dice Stahar: «Amico mio, io vedo bene che non sarà mai troppo facile andare d'accordo! Questa cosa dovrebbe essere chiarita pienamente da uno spirito superiore. Adesso vedo proprio l'angelo che si dirige da questa parte; è con lui che tu devi parlare, e sarei molto curioso di sentire come concluderete la questione!»
5. Risponde l'oratore, in tono pacato e sobrio come sempre: «Mio caro amico! L'angelo non mi fa soggezione più di te, e parlerò con lui come ho parlato con te, né sono disposto a fare a lui concessioni maggiori che a te, tanto più, anzi, in quanto è uno spirito beatissimo e può gioire di ogni perfezione, mentre noi dobbiamo ancora strisciare sul suolo duro e immondo di questa Terra come tanti vermi, nella polvere di ogni nullità! Di verità non ce n'è che una, e questa, vale tanto per un angelo quanto per un rozzo straccione di questo mondo!»
6. Come ebbe finito di parlare, giunse vicino a lui l'angelo, che gli disse: «O Floran! Tu, dunque, non temi niente?»
7. Risponde l'oratore: «Se tu conosci il mio nome, conoscerai pure le ragioni per le quali non posso provare timore dinanzi a Dio né dinanzi a te, anche se tu volessi compiere mille prodigi ancora tra i più grandi! Anch'io posso immaginare mille miracoli, ma compierli, non posso, e allora? Se potessi fare anch'io dei miracoli, allora, di certo, neanche i tuoi avrebbero più agli occhi miei niente di meraviglioso! Io sono già contento di assistervi, mentre effettuarli è una cosa che non mi concerne, ovvero: dovrei forse fare cordoglio perché non mi è possibile risplendere come il Sole, o perché non posso volare libero nell'aria come un uccello? Io sono contento di quello che sono, di quello che so e di quello che posso; di più, almeno per questo mondo, a me non occorre!
8. Quello che io so, che sono e che posso, è un dono di Dio alla mia persona, e di ciò, io sono grato al Creatore, ma, come detto, non mi occorre di più, e non invidio colui che possiede più di me!
9. Dovrei forse avere paura di te, per il fatto che sei infinitamente più potente di me? Oh, niente affatto! Se tu fossi più stolto di me, non disporresti di nessuna forza, oppure, questa sarebbe tanto rozza, alla quale poi potrei oppormi con la mia pura ragione allo stesso modo in cui potrei fronteggiare la potenza dell'uragano; invece tu sei tanto più sapiente e più potente di me, e questo fatto mi infonde la certezza che tu, verso di me, non faresti abuso di queste tue facoltà, soprattutto perché non ho potuto, né tanto meno ho voluto, farti del male. E se anche volessi permetterti con me qualche scherzo, non te ne serberei proprio rancore, però non potrei neppure dartene lode come a un leone della sapienza, del quale si dice, con riflesso alla sua serietà, che esso non è un cacciatore di mosche. Ora Dio è ancora infinitamente più savio e più potente di te, perciò, meno ancora posso avere timore di Lui, che non di te»
10. Dice l'angelo: «Ma non sai tu che Dio può annientarti per l'eternità o può decretare contro di te un eterno massimo tormento, qualora non volessi osservare la Sua legge? Dunque, neanche sotto questo punto di vista, Dio è da temere?»
11. Risponde Floran: «Senza minimamente voler far torto alla tua sapienza, devo apertamente confessarti che questa domanda che mi hai rivolto, per parlare in modo schietto, non ti fa nessun particolare onore celestiale! Dubitare che Dio, cioè l'Essere detentore della Potenza fondamentale, possa annientarmi, sarebbe una stoltezza ancora maggiore del tuo accenno, alquanto balordo, alla mia soggettiva ed oggettiva nullità. Cosa potrebbe accadere se ritornassi nel nulla, in quel nulla che fu il mio patrimonio prima della mia presente esistenza? Dunque, ben venga anche l'eterno annientamento di quel nulla che sono in ogni modo io, e ti assicuro in anticipo che, quale un nulla assoluto, non ti citerò perciò davanti a nessun tribunale! Se poi Dio trovasse davvero piacere a tormentarmi per l'eternità, allora anche la Sua sarebbe una Sapienza di poco prezzo, perché un diletto di questa specie, lo si potrebbe trovare a malapena in una tigre.
12. La storia non può citare nessun esempio di un tiranno che sia stato un sapiente; e cosa potreste tu e il tuo Dio replicarmi, se io vi dimostrassi che l'essere tiranni è indizio di perfetta insipienza, anziché di perfetta sapienza? Chiunque abbia dato un’occhiata alla costituzione estremamente sapiente di ogni creatura, non può sostenere questo di Dio! Dunque, Dio è la suprema Sapienza, e perciò è anche certamente la suprema Bontà!
13. Ora, dotato com'è di tali qualità perfettissime, è assolutamente impossibile che Egli abbia creato, in un qualche luogo dell'infinito, una creatura allo scopo di un eterno tormento! Oh, è tutt’altra cosa purificare un essere, qui sulla Terra o nell'aldilà, mediante ogni tipo di amare e dolorose esperienze, poiché l'uomo è un'opera di Dio, destinata secondo l'Ordine divino supremamente saggio a perfezionarsi da sé nella sfera morale, allo scopo di diventare quello a cui il Creatore l'ha chiamata!
14. Ad ogni modo, questi momenti dolorosi che servono per migliorarsi, e che sono soltanto di breve durata, Dio permette solo che si verifichino, ma non li provoca deliberatamente per procurarsi il piacere di tormentare per un qualche tempo un uomo per un passo falso da questi commesso, bensì, l'unico scopo dei momenti dolorosi è quello di ricondurre l'uomo al riconoscimento sereno dell'Ordine, e con ciò di facilitargli il proprio evolversi verso la perfezione. Dunque, una simile norma di prudenza divina e pura, dalla quale traspare unicamente amore e una suprema benevolenza, non potrò mai in eterno considerarla come una punizione dittatoriale!
15. Ecco dunque, che tu non potresti oltraggiare più gravemente Dio che presentandoLo a me come un eterno Tiranno; io credo che tu ora mi avrai senz'altro compreso!
16. Dio non posso che amarLo sopra ogni cosa e adorarLo come l'Essere più santo, più buono e più sapiente, ma non potrò mai temerLo in eterno!»
17. A questo punto l'angelo batté sulla spalla a Floran, e gli disse sorridendo: «Bene, hai concluso, o Floran, e non credere che io abbia voluto intavolare con te una discussione perché tu hai ragione come ho ragione anch'io. Con la mia domanda un po' superficiale ho voluto solamente offrirti l'occasione di manifestare la tua opinione anche dinanzi ai tuoi fratelli molto più apertamente di quanto sia stato il caso prima, e ora ti dico che sei già maturo per incontrarti con il Signore! Seguimi dunque, ed io stesso ti presenterò a Lui!»
18. Esclama Floran: «Dunque, è effettivamente vero che qui ha trovato adempimento l'antica profezia?»
19. Risponde l'angelo: «Sì, questa è una verità assoluta, della quale io sono certamente un testimone eloquentissimo dai Cieli. Seguimi tu solo, per adesso!»
Sull’umiltà e orgoglio.
1. Dice Floran: «E perché non può venire anche Stahar, il nostro capo e gli altri miei fratelli? Sono forse meno uomini di me? Va', perciò, tu solo! Se i miei fratelli non sono degni di essere presentati al Signore delle eternità, tanto meno allora lo sono io, poiché la mia coscienza dice che sono migliori di me!
2. Prendi nota, o angelo, se anche tu puoi prendere nota di qualcosa, che sono contrario a qualsiasi preferenza fatta alla mia persona. Sempre gioirò della preminenza accordata ai miei fratelli, ma in quanto a me intendo essere sempre l'ultimo tra di loro! Io amo veramente i miei simili, ma chi veramente si ama, a lui si lascia volentieri la preferenza e il vantaggio, e nonostante ciò, anzi proprio per ciò si è perfettamente felici! Chiedilo a tutti i miei fratelli e senti da loro se ho mai pensato ed agito diversamente, ed ora dovrei per la prima volta in vita mia lasciarmi preferire al cospetto dei miei fratelli! No, e mille volte no! Mille legioni anche di spiriti potenti della tua specie e dieci onnipotentissimi Jehova non potranno in eterno modificare il mio sentimento, finché mi sarà lasciata libertà di pensiero e di volere.
3. Ecco, o amico mio onnipotente, questo è pure un ordine fuori dal quale non sarà capace di trarmi né l'allettamento anche di mille cieli aperti, né il timore di altrettanti inferni, per quanto aperti essi pure!
4. Va' tu solo ora dal Signore! Di mia spontanea volontà non ti seguirò mai più! Del resto, in generale, mi fa meraviglia che tu, da spirito onnisciente che sei, non abbia scorto in me questo mio sentimento fermo come il diamante già prima quando mi preferisti. Io rimango assolutamente fermo su questa mia decisione. Tu puoi bensì portare il mio corpo dove vuoi per effetto della potenza e della forza insite abbondantemente in te, ma il sentimento del mio cuore non potrai mai più padroneggiarlo, a meno che a te non sia possibile strapparlo dal mio cuore e sostituirlo con un altro. Ma anche così facendo, non avrai minimamente trasformato il mio presente "io", ma l'avrai semplicemente annientato, e avrai messo al suo posto un altro "io" in questa macchina tarlata»
5. Dice l'angelo, tutto lieto e sorridente: «Ma, mio caro amico e fratello! Chi ti dice che ti abbia usato, in qualche modo, una preferenza con il fatto che, secondo la Volontà del Signore, ho detto che ti avrei condotto da Lui, considerato che sei il più maturo fra tutti? Hai già visto qualche volta che su di un albero, per quanto di nobile specie, tutti i frutti si siano maturati contemporaneamente? Ora, qual è la persona ragionevole alla quale potrebbe venire in mente di dare la preferenza per esempio ad una pera fattasi matura prima delle altre, per il solo fatto che essa per prima si è trovata matura? Essa si può di certo gustare prima delle altre che si matureranno un po' più tardi, ma che solo per essersi maturata prima delle altre si debba considerarla migliore delle altre non ancora completamente mature, ebbene, di una cosa simile presso di noi, nei Cieli, non si ha affatto la benché minima idea! Anche Mosè allora dovrebbe godere di un privilegio, rispetto al Signore stesso, per il fatto che egli fu chiamato oltre mille anni prima di Lui!? Oh, ciò non ti dà alcun privilegio, anzi, al contrario! Per quanto concerne una via, chi è il più favorito: colui che l'ha preparata oppure quel condottiero che per questa via è poi passato, ed ha portato avanti il suo esercito?
6. Vedi, o amico mio, questa volta con la tua pura ragione non l'hai proprio azzeccata! Io conosco il senso piuttosto caparbio del tuo cuore, e perciò l'ho voluto sottoporre solamente ad una prova esteriore, ma nascosto dietro al tuo cuore, per quanto ricco di sentimento, io trovai anche una traccia di orgoglio mascherato, disposto a fare dalla vera umiltà un titolo di preferenza per il proprio "io" di fronte all'"io" degli altri, per figurare in certo modo come unico ed insuperabile in tale sfera, escludendo sempre la possibilità di una eguaglianza da parte di altri! Così, infine, resta ben da decidere chi fra i due sia il più orgoglioso, se cioè colui che vuol essere l'ultimo e il minimo fra tutti, oppure colui che vuol essere il primo e il più altolocato!
7. Ti è noto il fatto, esposto nella storia greca, del re Alessandro di Macedonia e di quel certo Diogene, uomo del tutto insignificante? Vedi, quest'ultimo viveva già da lunghi anni in una botte, che aveva collocato sulla spiaggia come sua abitazione.
8. Un giorno, il grande eroe e re andò a visitare quel tipo originale, che certo era l’unico e il solo nella sua specie. Alessandro si presentò davanti alla botte, e la vista di quello stoico gli piacque ed egli gli domandò: "Che cosa desideri che faccia per te?". E Diogene, con accento supplichevole, gli disse: "Che tu ti tolga dal tuo posto dove impedisci ai benefici raggi del Sole di venire a riscaldarmi!”
9. Tale stoica indifferenza piacque molto al grande eroe, tuttavia egli esclamò: "Se già non fossi Alessandro, preferirei di essere un Diogene!”
10. Che cosa volle dire Alessandro con ciò? Ecco, questo è il senso delle sue parole: "Tutto il mondo rende omaggio a me, ma questa gloria, a prezzo di quali lotte l'ho acquistata! Costui invece gode di una considerazione mondiale che quasi supera la mia, e si rende immortale pur non venendogli tutto ciò a costare che una vecchia botte!”
11. Non trovi qui, che fra l'orgoglio di Alessandro e quello di Diogene non ci sia alcun particolare divario? Anzi, Diogene nella sua specie si dimostrò più orgoglioso di Alessandro!
12. È perfettamente buono e giusto il volere, per vero amore ed umiltà, essere gli ultimi, ma il vero amore e la vera umiltà non escludono affatto l'obbedienza, particolarmente di fronte al supremo Signore del Cielo e della Terra. Quindi, se tu davvero nutri dei retti sentimenti, fai quello che il Signore vuole, e tutto il resto poi sarà in regola, perché il Signore meglio di qualsiasi altro sa perché Egli vuole una cosa!»
13. Finalmente Floran dice: «Sì, ora ti seguirò, perché mi hai convinto in maniera amichevole che ero apertamente dalla parte del torto per quanto concerne i miei sentimenti». E Floran allora seguì da solo l'angelo, il quale lo condusse da Me.
Floran in presenza del Signore.
1. E quando i due si trovarono in Mia presenza, l'angelo s'inchinò dinanzi a Me fino a terra, e disse: «O Signore, ecco qui un frutto maturo; la sua carne è bensì come quella di tutti gli uomini, però quale spirito egli è forte e colmo d'incorrotta potenza; siano perciò resi solo a Te ogni lode ed ogni onore da eternità in eternità!»
2. Dico Io: «Sta bene, o Mio Raffaele, i frutti di questa specie sono graditi al Mio palato, ed Io li apprezzo molto. Egli è bensì uno che viene dal seggio di Mosè e di Aronne, però egli si è appropriato anche della scuola di un Platone, di un Socrate, di un Pitagora e di un Aristotele, e perciò non è come una canna che viene piegata qua e là dal vento, ma è come un robusto cedro del Libano che sa sfidare le procelle! E quest'albero Io lo lascerò fino all'edificazione della nuova Gerusalemme, e là farà da mura maestre e da tetto alla Mia casa!
3. Ed ora tu, o Floran, dimMi: "Sei lieto di averMi conosciuto?"»
4. Risponde Floran: «O Signore di ogni vita! E chi non dovrebbe gioire diconoscerTi?! Ma io sono un peccatore, e la Tua Santità mi impone: "Stai da Me lontano". Ora, vedi, questa è una cosa della quale non posso gioire! Io vorrei ora trovarmi al Tuo cospetto degno di Te e senza peccato, ma ciò è impossibile, dato che invece ho peccato; dunque, sono un peccatore e provo vergogna immensa dinanzi alla Tua Santità! Ma questa constatazione non suscita nel mio cuore alcuna letizia, bensì soltanto amaro pentimento; e questo non è atto a rallegrare un cuore! Tuttavia, d'altro canto sono un uomo, ed ho un intelletto che mi suggerisce dinanzi a Te una scusa per i miei peccati, e che mi dimostra che sono, come uomo, costituito da moltissimi elementi, uomo che può raggiungere la perfezione quando i suoi elementi si sono, come il mosto nell'otre, purificati mediante la fermentazione del peccato, e sono diventati vino puro e squisito per tutti.
5. Tu sei il Signore, e l'uomo è per l'eternità il frutto dell'eterna Tua lotta; quindi, anche per lui c'è solo lotta con un avvicendarsi di vittorie e sconfitte, per poi da queste, come la Fenice dalle ceneri del suo fuoco distruttore, risorgere ad una nuova vita, che in sé sarà una, ma esteriormente tuttavia rimarrà, come anche deve rimanere, una perpetua lotta.
6. Non perdonarmi dunque, o Signore, il mio peccato, poiché esso era necessario per provocare in me la lotta fino alla formazione dell'uomo nuovo, ma perdonami la vergogna delle mie ripetute disfatte, e allora mi rallegrerò di Te, o Signore!»
7. Dico, rivolto ai discepoli: «Ecco, qui vedete ancora un uomo, nella cui anima non dimora alcuna falsità! Ma quest'uomo è già da molto tempo che l'amo!»
8. Dice Simon Giuda: «O Signore! Questi sembra essere un secondo Mataele!»
9. Dico Io: «Credi tu che si possa essere saggi soltanto alla maniera di Mataele? Vedi, questo Floran è precisamente il contrario di Mataele, e tuttavia è come quest'ultimo un sapiente. Mataele è un conoscitore dei fatti della natura e degli idiomi degli antichi; Floran invece è versato nella scienza di tutte le religioni, in ogni filosofia e nel senno degli antichi. Perciò è anche più difficile ragionare con lui che non con Mataele, ma considerato che ormai egli è guadagnato alla nostra causa, diverrà quanto prima un eccellente strumento atto a combattere contro tutte le credenze erronee che sussistono fra gli uomini di questa Terra. Questa lotta egli la condurrà con molto tatto e con ottimi successi, senza aggiunta alcuna di miracoli. Ora questo è meglio per i figli del mondo, affinché il giudizio che li tiene avvinti non li costringa più strettamente ed aspramente ancora nelle loro anime. Per i figli dall'Alto, le opere prodigiose sono certo una grazia, ma non così invece per i figli del mondo.
10. Siccome nei vostri cuori sapete Chi sono, voi proprio perciò potete rimanere liberi nelle vostre anime quando Mi vedete compiere sulla Terra le opere di Dio; ma non altrettanto va detto dei figli del mondo. Questi, mediante i prodigi, subiscono una costrizione e restano come incatenati, non avendo più il pensiero libero, né meno ancora il sentimento interiore.
11. Ma quando Floran, con la sua perspicacia del mondo, comincerà a lavorarne gli animi, allora essi si troveranno in tal modo portati dentro il raggio d'azione di una certa luce della parola, la quale sarà sufficiente per illuminare loro i gradini che conducono al tempio del cuore. Quando però saranno entrati in questo tempio, saranno pure salvi per tutta l’eternità! Bisogna dire, inoltre, che voi tutti presi assieme non siete di gran lunga tanto avanti in sapienza quanto lo è ora Floran da solo!»
12. Ma queste parole non vennero intese da Floran, poiché Io le avevo dette soltanto nel cuore ai Miei discepoli; egli però Mi chiese che cosa avrebbe dovuto fare.
13. Ed Io gli risposi: «Ritorna dai tuoi fratelli, e dì loro che anch'Io ben presto verrò da loro!»
14. Dopo ciò Floran non apre più bocca, fa semplicemente un inchino e si affretta a ritornare ai propri fratelli.
Floran parla del Signore, con Stahar ed i suoi.
1. Fatti pochi passi, si trovò nuovamente presso i suoi colleghi, e immediatamente Stahar gli domandò: «Ebbene, come va, siamo veramente sulla buona via?»
2. Dice Floran: «Perfettamente! Non ci può essere più alcun dubbio! Egli è un uomo come noi, ma da tutto il Suo essere traspira qualcosa di impossibile da descrivere con parole, e che soltanto il sentimento può percepire. Quando Egli parla, appare evidente che ciascuna Sua parola deve avere valore per tutta l’eternità! Ed altrettanto evidente risulta che con ancora un Suo "sia fatto", potrebbe trarre istantaneamente fuori da Sé, od anche fuori dal nulla, un intero mondo colmo di meraviglie.
3. Egli non può celare la Sua assoluta Divinità, e anche se fossi andato da Lui senza alcuna preparazione, come invece non è stato, io avrei dovuto dirGli senza indugio: "Tu non sei il solito uomo, e nel Tuo petto deve avere dimora la pienezza dello Spirito primordiale, divino!”
4. Tuttavia, anche l'atto preparatorio disposto con somma sapienza ha avuto questo di buono, e cioè che noi possiamo con tutta facilità e chiarezza vedere con Chi abbiamo a che fare. Egli verrà tra poco qui; questa è una promessa che ho avuto da Lui, ma quando sarà giunto qui, vi convincerete voi stessi che ho ragione!
5. Ora però comprendo anche chi fu Quello che per primo ha rivelato a Cirenio il nostro comportamento in città, ciò che appunto non era affatto lodevole da parte nostra; ma adesso tutto assume un altro aspetto! Il caso, del quale il nostro Messia-Jehova avrà certo avuto una significativa premonizione - anche se forse il sole postumo di ieri sera non è stata del tutto opera Sua - ci ha liberati d'un tratto dal giogo antico della stoltezza; cosa della quale ora possiamo certamente essere ben lieti. Infatti, chissà quante sciocchezze noiose ed offensive per l'umanità vorrà immaginare in avvenire ancora il tempio, e che per il compimento ignominioso di esse avremmo nuovamente dovuto prestare mano con mentito entusiasmo! Ma adesso che vengano pure, e noi metteremo sotto ai loro occhi la prova della nostra cittadinanza romana, in maniera tale che essi avranno da ricordarsene per un bel pezzo!
6. Noi abbiamo ormai dalla nostra parte, in primo luogo, anzi in primo e immensamente significante luogo, il Messia e un angelo dai Cieli che appare essere molto più potente di quello che un giorno guidò il giovane Tobia, e in secondo pure significante luogo e nei riguardi poi di questo mondo, abbiamo il governatore generale di tutta l'Asia e di una parte dell'Africa, che è uno zio diretto dell'attuale imperatore, regnante a Roma. Dunque, anche se tutto l'inferno di Gerusalemme volesse scatenarsi contro di noi, dovremmo essere in grado di dominarlo come un leone aizzato può dominare qualsiasi volpe, per quanto astuta! Cosa ne dite di tutto ciò?»
7. Dice Stahar: «Noi non possiamo dire altro se non che siamo tutelati a dovere per tutta l'eternità! Ora neppure io non temo più nessuno, e combattere per la causa di Dio è bello e facile; poiché la potenza di Dio è un tale baluardo, che nessun nemico sarà mai in eterno capace di distruggere! Ma ora vorrei pure sapere da qualcuno di voi quale destinazione, certamente nuova, sarà stabilita, per noi riguardo al futuro. Chi di voi può formulare in proposito una logica supposizione? E tu Floran, cosa ne dici?»
8. Risponde Floran: «A questa cosa non penso affatto, né date le circostanze in cui siamo venuti a trovarci qui reputo meritevole dedicarvi il benché più fuggevole pensiero! Noi ormai siamo vicini a Dio, e così siamo provveduti non soltanto per questo tempo ma anche per tutta l'eternità! Di conseguenza, o fratello mio, questa domanda avresti potuto risparmiartela!
9. A me nulla più interessa a questo mondo, perché Colui che abbiamo trovato qui rappresenta per me il Tutto sopra ogni cosa! Come sarà la Sua Volontà, così sarà pure il mio avvenire per tutti i tempi dei tempi! Perché Egli solo sa con esattezza quello che siamo, quello che dobbiamo diventare e che cosa in avvenire dobbiamo fare per diventare ciò che Egli vuole che noi diventiamo. Conseguentemente ogni vana cura da parte nostra è una stoltezza; appena quando Egli ci dirà: "Fate questo o quello", solo allora sarà venuto per noi il tempo di preoccuparci del fatto se riusciremo a seguire tutto ciò che ci chiamerà a fare sempre con la massima scrupolosità e secondo il Suo Volere. Ecco, o fratello mio, Stahar! Questa è la mia opinione.
10. Ma adesso stiamo quieti, perché osservo che il Signore assieme a Cirenio si dispone a venire qui da noi. Occorre dunque raccogliersi interiormente nel proprio cuore, altrimenti non sopporterete la Sua vicinanza! Ecco dunque che vengono, e anche l'angelo e una fanciulla sono in loro compagnia. Che anche la fanciulla sia un angelo?»
11. Dice Stahar: «Macché, la fanciulla non può essere un angelo, perché di angeli femminili non ce ne sono mai stati e non ce ne saranno mai dato che non ce ne possono essere! Altrimenti la Scrittura ne farebbe menzione in qualche luogo! Dunque, questa fanciulla non può essere altro che la figlia di un qualche ricco israelita; romana non è di certo, come si può giudicare dalla veste che indossa. Il ragazzo, che Cirenio conduce per mano, è senza dubbio romano, e forse si tratta di uno degli ultimi figli del vecchio signore. Ma la fanciulla, se la si osserva bene, deve anch’essa ben possedere sapienza! Il suo sguardo fermo, espressivo e dolce allo stesso tempo, ne fornisce l'inoppugnabile prova»
12. Dice Floran: «Sì, sì in generale avrai ragione, soltanto non sono perfettamente d'accordo con la tua asserzione che non vi possono essere degli angeli femmine, naturalmente fra di loro non esisteranno delle differenziazioni sessuali, ma per quanto riguarda il sentimento e l'animo delle differenziazioni ce ne saranno di certo in maniera e forma tali da creare tra di loro un rapporto identico a quello che sussiste su questa Terra fra un vero uomo e la sua vera donna diletta! Del resto, considera un po' quell'angelo e poi dì se esso assomiglia senz'altro piuttosto ad una delicatissima fanciulla che non ad un giovanotto! Fagli indossare degli abiti femminili, e avrai dinanzi una fanciulla "NON PLUS ULTRA" (insuperabile), come dicono i romani! Ma ora finiamola con queste chiacchiere, che non concludono nulla! Essi saranno presto qui!»
Confessione di Floran davanti al Signore, e sua testimonianza riguardo al tempio.
1. Noi frattanto, con passo lento, giungiamo vicino ai cinquanta, i quali s'inchinano profondamente. Io però dico loro, poiché sono uomini, di starsene ritti ed essi subito così fanno.
2. Ed Io li interrogo e dico: «Credete veramente che Io sia Colui del Quale tutti i profeti hanno annunciato?»
3. Rispondono tutti: «O Signore, nessuno di noi ne dubita, ma poiché veramente sei Quello, come puoi far domande a noi, Tu che certo conosci i nostri più riposti pensieri già prima che questi siano cominciati a formarsi nella nostra mente?»
4. Dico Io: «Di ciò nessuno di voi tragga ragione di scandalo rispetto a Me, poiché qui non si tratta di quello che certamente è a Me noto già dall'eternità, ma dell'esteriorizzazione del vostro pensiero. Voi non potete comprenderMi, prima che la vostra parte interiorissima non sia diventata pure la vostra parte esteriorissima!
5. Voi potete bensì vederMi con i vostri occhi ed ascoltare la Mia voce con le vostre orecchie; ma, tuttavia, il vostro cuore non può intendere e comprendere Me in spirito e in tutta verità! Ed è perciò che Io rivolgo a voi delle domande; e una risposta che voi Mi date ha per la vostra intera vita un effetto del tutto differente da quanto ne avrebbe una risposta che venisse data da voi ad una persona simile a voi.
6. Dunque Io ora vi chiedo nuovamente: "Voi, veramente e senza dubbio alcuno credete che Io sia Colui del Quale ha predetto Mosè e tutti gli altri profeti?". Esprimetevi francamente e senza alcun timore, così come pensate nei vostri cuori!»
7. Risponde allora Floran: «O Signore, Tu conosci meglio di noi le nostre nature! Gli avvenimenti si sono manifestati così d'improvviso, e la loro successione è stata troppo rapida: ieri il sole postumo e la sua repentina scomparsa; poi le conseguenze del fenomeno che tuttora si rivelano nel fumo che vela tutta questa regione e nella perdita di ogni nostro avere; e oltre a ciò ancora non sappiamo niente delle nostre mogli e dei nostri figli! E inoltre: noi ci rifugiammo qui, venimmo arrestati e chiamati a rispondere del nostro operato; poi seguirono i prodigi dell'angelo ed infine la Tua stessa comparsa; e tutto ciò in diciotto ore! Tutto questo non è davvero uno scherzo, ed è naturale che così d'un tratto non si possa riacquistare la dovuta chiarezza d'idee!
8. A me stesso, come certo anche a tutti i miei compagni, la cosa appare ancora come un sogno. È vero e giusto tutto, e mai si potrà mettere in qualche modo in dubbio quello che è accaduto qui. Ma in breve tempo si sono verificate qui tante cose fra le più straordinarie, che in verità non è possibile comprenderle tutte in una volta. Noi crediamo fermamente a tutto quello che è qui e che qui succede, e che Tu sia evidentemente il Messia del Quale tutti i profeti hanno pronosticato, questa è pure cosa certa e sicura altrettanto quanto certo e sicuro è che quel vegliardo romano è il governatore di tutta l'Asia, fino a dove cioè l'Asia è stata conquistata; ma ci vorrà bene un tempo più lungo prima che noi riusciamo ad accogliere tutto ciò nella nostra vita.
9. D'un colpo solo non si può abbattere nessun albero, né è possibile che noi comprendiamo perfettamente questi avvenimenti così in solo un tratto. Ma noi, senza dubbio, prima di ogni cosa ci daremo premura di approfondire al massimo, in noi, la cognizione di tutto ciò che particolarmente per causa nostra è accaduto qui ed a cui abbiamo assistito! Di fatti così profondamente significativi e di testimoni più nobili sicuramente in nessun punto della Terra ha mai potuto avere luogo.
10. Dunque, noi tutti crediamo fermamente e senza possibilità di dubbio che sei Tu il promesso Messia, nonostante le Tue origini terrene a noi più o meno note come supremamente umili per quanto concerne il rango e il censo mondani. I Tuoi genitori terreni sono poveri, e Tuo padre era, a quanto ne sappiamo noi, un falegname di Nazaret. Non conosciamo affatto da che famiglia discenda Tua madre, e perciò riesce tanto più strano che un Salvatore dell'intera umanità, come Tale annunciato già al primo uomo di questa Terra, abbia voluto scendere su questo mondo in condizioni così straordinariamente meschine e povere, laddove in spirito devono già dall'eternità essere stati ai Suoi comandi tutti i vantaggi di una o dell'altra nobile nascita.
11. Se Tu fossi venuto a questo mondo fuori dal grembo dell'imperatrice e facessi di simili prodigi, quale sarebbe il popolo di questa Terra che non vorrebbe esserTi soggetto in ogni cosa! Ma apparire a questo mondo in condizioni così poco appariscenti, pur essendo il Primo e Massimo Uomo, anzi l'Unico Dio stesso sotto forma umana, questa è una cosa che non può mancare di essere di scandalo a molti! A noi certo non fa più effetto una tale espressione, e così siamo più contenti ancora, ma tutti gli uomini non penseranno come ora pensiamo noi, per non parlare della gente superba di Gerusalemme e meno ancora di quella del tempio! Perché questi li conosciamo bene, e sappiamo precisamente che essi, a questo mondo, amano e stimano un uomo soltanto, mentre ogni altro va gettato nel letamaio, e quest'uomo è per ciascun appartenente al tempio e senza alcuna eccezione egli stesso! Questi soltanto viene da ciascuno di loro amato e stimato sopra ogni cosa, ma qualsiasi altro, anche essendo un Dio, non può attendersi che il massimo disprezzo; solamente una pompa ed uno sfarzo esteriori straordinari hanno ancora il potere d'imporsi un poco alla loro attenzione ed alla loro stima.
12. Se Tu, o Signore, andassi a Gerusalemme, e se Tu lo permettessi, già nei primi tre giorni essi ucciderebbero il Tuo corpo, perché la gente del tempio non conosce nessuno, se si esclude il fatto che ognuno di loro conosce solo se stesso. Ciascuno vorrebbe uccidere l'altro, ma siccome ciascuno è dall'altro ritenuto utile per il raggiungimento dei propri scopi, avviene che si tollerano reciprocamente sotto la maschera della più ipocrita amicizia.
13. Nessuno si fida dell'altro, neanche una spanna oltre a quanto gli riesce d'indovinarne, nella maniera più astuta possibile, i pensieri ed i piani; e tuttavia ciascuno esprime ipocritamente all'altro una incondizionata fiducia. Ma se deve ricorrere alla cooperazione dell'altro per un qualche affare, allora non c'è da parte di quest'ultimo cauzione che basti per essere costretto ad agire onestamente; sennonché neanche le cauzioni servono a nulla. Se colui, a cui è stato affidato lo svolgimento di un affare, si accorge ad affare definito di essere in discreto vantaggio anche oltre la cauzione prestata, allora rinuncia alla cauzione e s'intasca quello che in misura molto maggiore ha ricavato dall'affare.
14. Oh, a questo riguardo ci sarebbe molto ancora da dire; ma dato che a Te, o Signore, sarà ben nota comunque ogni cosa, ciascuna ulteriore parola dalla mia bocca non potrebbe essere che una vana stoltezza, e perciò Ti ripeto che crediamo fermamente in Te, anche per la ragione che era estremamente necessario che Tu venissi per mettere fine a tante falsità e a tanti abomini una volta per sempre».
Le vie divine per guidare l’umanità.
1. Dico Io: «Ascolta, o Mio caro Floran, tu ti sei esternato dinanzi a Me, perfino al di là di quanto ti avevo chiesto, ma la cosa non guasta e va bene anche così!
2. Io certo metterò fine agli abomini in Gerusalemme ed in altri luoghi ancora, necessita però che molti acquistino la convinzione che hai tu! Perché, vedi, molti sono coloro che nella loro cecità sono ancora fortemente attaccati al tempio, e da questo attendono ogni salute ed ogni rimedio. Se si volesse, a simili ciechi, togliere il tempio dall'oggi al domani, essi non considererebbero il fatto come una gran benedizione dall'Alto, bensì come un giudizio tremendo, e si troverebbero precipitati nella più nera e furiosa disperazione, che poi avrebbe delle conseguenze molto peggiori dell'attuale cecità, per quanto profonda. Ma voi di fronte al popolo figurate come i rappresentanti del tempio, e il popolo considera voi come gli elargitori della salute di cui il tempio è ricolmo.
3. Ora, che cosa intendo dirvi con ciò? Ecco, null'altro che questo: "Dove ci sono buoni indizi di poter trovare ascolto, dovete rivelare gradatamente al popolo le attuali condizioni del tempio, quello che fanno i suoi servitori e che specie di gente è veramente questa!
4. Ma contemporaneamente dovete rendere molto attento il popolo di quanto avete visto ed udito qui, così soltanto e nell'ordine migliore e più efficace la mala amministrazione del tempio, con il tempio stesso, si inabisserà nel più assoluto nulla, e con ciò cesserà di essere quello che è attualmente, e al suo posto sorgeranno i nuovi templi dello Spirito di Dio, che costituiranno nel Cielo una Gerusalemme completamente Nuova.
5. Certamente occorrerà che diate inizio a questa buona opera nel modo più cauto ed inosservato possibile; potete così procedere con tanto maggiore facilità, in quanto ora siete definitivamente cittadini romani, né il tempio può intraprendere alcuna cosa contro di voi, dato che tra voi e il tempio c'è la spada di Roma che vigila".
6. Questa dunque è già una mansione che affido a voi; curatela bene e potete essere più che certi che la ricompensa non verrà a mancarvi! Siete d'accordo così?»
7. Dice Stahar: «O Signore! Avremo da riprendere il nostro antico posto a Cesarea Filippi, o dovremo stabilirci in qualche altro luogo?»
8. Dico Io: «Rimarrete qui a Cesarea Filippi sotto la guida di Marco, questo nostro albergatore, al quale da parte di Cirenio e Mia verrà conferita giurisdizione sopra tutta questa regione, come di fatto in gran parte è già conferita. Il distretto di Cesarea Filippi è grande e conta molte centinaia di migliaia di abitanti; quando questi avranno ottenuto sufficiente Luce, la Luce poi si diffonderà bene da sé. Ma il condurre a compimento quest'opera sarà rimesso alla vostra circospezione ed alla vostra sapienza!»
9. Osserva Stahar: «O Signore, tutto ciò sarebbe bello e buono, ma la città intera non è ormai più che un cumulo di rovine e di cenere. Le nostre dimore non esistono più, e la nostra sinagoga fu tra i primi edifici che vennero dati alle fiamme; dunque, dove potremo stabilirci?»
10. Rispondo Io: «Sia questa la vostra minima preoccupazione! Basta che Io voglia, e posso far sorgere dinanzi a voi non una cittadina come Cesarea, ma un mondo intero bell'è pronto! Del resto Cirenio, coadiuvato dalla Mia Grazia, metterà ben energicamente in opera ogni mezzo per mettere riparo a molte case, e dunque per provvedere anche a voi di un ricovero. Oltre a ciò i nobili ospiti che si attendono già da stamani approderanno tra breve qui, ed in seguito ci saranno molte cose ancora da trattare e da stabilire»
11. Stahar allora fa un profondo inchino, e poi mormora come rivolto a Floran: «Ebbene, l'Onnipotente parla davvero come un uomo, cosa questa che mi piace molto, ma pure Egli potrebbe con un solo Suo pensiero farla finita con il tempio e con la superba Gerusalemme; perché dunque Egli adotta questo graduale e lento annientamento?»
12. Dice Floran: «Vedi, o fratello mio, ciò avviene per la ragione che noi due restiamo schierati ancora con discreta tenacia fra gli asini, e come tali siamo ben lontani ancora dall'intendere qualcosa dell'Ordine divino!
13. Quando tu, al tempo della prima estate, vedi pendere da un albero una quantità di frutta molto verde, immatura e durissima, il tuo primo pensiero è quello di augurarti un po' di Onnipotenza; tu vorresti poter dire con certezza di successo un "FIAT!" (Sia fatto!) affinché tutti i fichi, le mele, le pere, le prugne e l'uva diventassero all'istante mature! Però l'Onnipotente Creatore ha disposto diversamente le cose, come ce lo insegna l'esperienza di ogni anno e di ogni giorno; ma dovremmo anche noi, a tale riguardo, esclamare e chiedere: "L'Onnipotente pur conosce le necessità dell'uomo, perché dunque indugia tanto nel far maturare la frutta?".
14. Così pure bisogna che l'uomo prima rimanga per vari anni come uno stupido bamboccio, per poi appena gradatamente crescere fino a farsi davvero uomo, mentre un passerotto dopo quattordici giorni dalla nascita è già un passero completo e sviluppato, e si trova perfettamente a suo agio ed atto a curare la propria economia domestica nelle regioni dell'aria. Anzi, la maggior parte degli animali hanno addirittura già al momento della nascita e in maniera più che sufficiente la capacità di provvedere ai propri bisogni, mentre l'uomo impiega quasi vent'anni per arrivare a raccapezzarsi soltanto un po' in questo difficile mondo. Egli, il signore della natura, deve aspettare più a lungo di tutti per essere quello che è destinato ad essere! Ora, non si potrebbe anche qui dire: "O Signore, Tu che sei l'Onnipotente, perché proprio dell'uomo, la creatura Tua prediletta, non Ti sei preso migliore cura? Perché proprio l'uomo in divenire deve attendere tanto per diventare uomo completo?".
15. Vedi, questa cosa sta pure nell'Ordine di Dio, Ordine che certo ci appare ancora quanto mai incomprensibile; quindi, in questo Suo Ordine rientrerà ugualmente il graduale annichilimento del tempio da parte nostra. Perché una distruzione repentina precipiterebbe nella massima disperazione i molti ciechi per i quali il tempio rappresenta ancora il tutto nel tutto, e ciò sarebbe molto peggiore degli inganni dei suoi abbietti servitori tollerati ancora per qualche tempo!
16. Ecco, così ho riconosciuto in maniera passabile l'indicazione del Signore, e non comprendo davvero come questo possa essere interamente sfuggito a te! Né ho compreso come tu abbia potuto domandare al Signore, in quale modo sarebbe stato provveduto a noi nei riguardi terreni! Non è già abbastanza che Egli ci abbia incaricati di fare questa e quella cosa? Eppure è convenuto già fino dagli antichi tempi che qualora uno venga assunto per un dato lavoro gli si debba fornire anche un convenevole sostentamento. Ma se così si comportano già gli uomini che sono tanto egoisti, quanto più giustamente si comporterà il Signore del Cielo e della Terra, anche senza che noi sentiamo il bisogno di farGliene richiesta!
17. Vedi, o mio caro fratello, a questo riguardo le tue parole sono suonate in modo molto terrenamente umano! Poiché con la tua domanda hai posto evidentemente in luce l'incredulità che sotto vari punti di vista esiste ancora in te. Di conseguenza non si può ragionevolmente pensare altro che in te si celi ancora un'abbondante porzione d'incredulità, alla quale sarà necessario che tu dia assolutamente congedo per sempre».
Cenni missionari per i lavoratori nella vigna del Signore.
1. Dico Io a Floran: «O amico! Non è la tua carne che ti suggerisce queste cose, ma lo spirito che è in te e che è dall'alto! In Stahar c'è certo pure uno spirito, ma questo è ancora sonnolento, e quindi in lui parla ancora la sua carne che non in qualche modo lo spirito suo. Sennonché ciascuno si cura anzitutto di ciò che gli è più vicino e prossimo. Colui dal quale parla uno spirito desto, ha anche il proprio spirito quale suo prossimo, e di conseguenza la sua cura sarà anzitutto rivolta a ciò che è del suo spirito; ma chi invece è piuttosto sepolto nella carne, e fuori dalla carne pensa e vuole, per un tale il suo prossimo è la propria carne, e perciò anche prima di ogni altra cosa si cura della propria carne, mentre mette in seconda linea ogni cura rispetto allo spirito.
2. Così stanno le cose nei riguardi degli uomini su questo mondo; quando però il nostro Stahar sarà di spirito più sveglio, allora egli pure si curerà anzitutto delle cose che sono dello spirito.
3. Vedi, la vera cura per lo spirito consiste nel fatto che il vostro cuore si riempia del vero amore per Dio e per il prossimo!
4. Amare e praticare la gente buona e onesta è facile, ma il fare altrettanto con gente che è cattiva, e il condurre questa sulla retta via, è opera che richiede molta abnegazione.
5. Perché se tu vai per la strada con una meretrice e adultera, la gente ti segnerà a dito e ti farà qualcosa che non tornerà a tuo onore di fronte al mondo, ma quando quella meretrice e adultera l'avrai ricondotta sulla buona via, dalla parte di Dio potrai perciò attenderti una grande ricompensa; ebbene, ora una minimissima scintilla di questa vale di più di tutto un mondo colmo dei più fastosi onori.
6. Chi Mi ricondurrà un perduto avrà da Me un premio maggiore di colui che avrà custodito per Me cento agnelli che pascolano pacificamente sul prato; perché, il mantenere nell'onestà e nella virtù un galantuomo, è un lavoro quanto mai facile, ma il riportare sulle vie dell'onore uno che è in spregio a tutti, e il trasformare in eroe di virtù un peccatore indurito è evidentemente una cosa che ha un significato ben molto maggiore. E soltanto questa sarà reputata da Me una cosa alta e onorifica, mentre la prima resterà la prestazione di un pigro servitore.
7. Io sono l'Altissimo, se voi lo credete, e Io cerco ed accolgo soltanto quello che il mondo ha in spregio e che agli occhi suoi appare perduto. Poiché i sani non hanno certamente bisogno del medico!
8. Dunque, se volete essere Miei perfetti discepoli e Miei servitori, dovete pure voi essere in tutto così come ora Lo sono Io stesso.
9. Se voi vedete un cieco camminare per la strada, e vi accorgete che la via perla quale si è incamminato è sommamente pericolosa, non correrete appunto subito vicino al cieco viandante e presolo per il braccio non gli direte: "Ascolta, o amico, la strada per la quale vai è molto pericolosa; lascia che ti conduca io, affinché tu non cada in qualche fosso!". E quando poi egli si affiderà a voi credendo nella vostra parola, vi vergognerete forse di fare da guida al cieco? Sicuramente nessuno di voi nutrirà un tale sentimento!
10. Un peccatore però è spesso molto più cieco nello spirito di quanto lo sia nella carne colui che è privo della luce degli occhi. Chi potrebbe ora vergognarsi di aiutare e di fare da guida ad un cieco nello spirito?
11. Dunque, in avvenire, per voi nessun peccatore dovete considerare così grande da dover sentire vergogna da fargli da guida.
12. Di questi insegnamenti anzitutto prendete nota molto bene e nei vostri cuori rifletteteci su con ogni cura, e poi comincerete a scorgere, in maniera chiarissima in voi, le luminose vie della vita, e fuori da questa ogni altra cosa.
13. Ma ecco che ormai dal mare vengono avvicinandosi delle navicelle a questa riva; esse portano gli ospiti dei quali si è parlato prima, e questi saranno essi pure portatori di molta luce».
In vista navi che recano gli ospiti.
1. Però anche Marco e i suoi due figli che si trovavano a casa loro si accorsero che delle navi venivano da quella parte; e da esperti piloti se ne andarono solleciti fino sulla riva, per vedere se forse alle navi fosse occorso qualche aiuto.
2. Anche Cirenio e quanti erano là presenti, romani e greci, si affrettarono verso riva, per osservare che cosa avrebbero portato le tre navi. Ma queste erano ancora discretamente in alto mare e distavano dalla riva all'incirca un'ora di viaggio, e così quei curiosi non potevano ancora distinguere che cosa si trovasse sulle tre navi che erano di dimensioni piuttosto grandi»
3. Cirenio allora Mi chiede qualche spiegazione, ed Io gli dissi: «Si tratta di coloro che aspettavamo già stamani. Hanno avuto il vento contrario e il mare mosso, perciò hanno dovuto attraccare in un altro porto per lasciare sfogare il vento, e questo è il motivo del loro ritardo. Ormai è passata già un'ora piena dal mezzogiorno, e per arrivare fin qui sarebbe loro necessaria un'altra intera ora, considerato che al lavoro dei remi si oppone sempre ancora un leggero vento contrario. Però adesso sta a noi venire loro in aiuto, e ciò abbrevierà di molto il percorso e il tempo»
4. Dice Cirenio: «O Signore! Non potresti mandare loro incontro Raffaele, come facesti ieri per Ouran?»
5. Dico Io: «Oggi, questo lavoro non è affatto necessario, perché coloro che adesso stanno per arrivare non sono minacciati dal pericolo che sovrastò ieri Ouran. Con questo battello a tre alberi, Marco e i suoi due figli se la sbrigheranno con tutta facilità, e in mezz'oretta avremo qui i nuovi ospiti»
6. Dice Cirenio: «Ma, o Signore, non vuoi operare oggi nessun prodigio?»
7. Dico Io: «Non hai letto quanto sta scritto in Mosè: "Il settimo giorno lo Spirito creatore di Dio si riposò, e questo settimo giorno fu chiamato ‘Sabato’". Dunque, se anch'Io ora osservo un po' il Sabato faccio evidentemente bene, dato che ho lavorato con diligenza durante i sei giorni precedenti. Oltre a ciò ho intorno a Me una quantità di servitori di tutte le specie, i quali nel Mio Nome e nella potenza di questo Nome possono essere e sono attivi!»
8. Osserva Cirenio: «O Signore! Queste parole suonano nuovamente un po'strane; non sono proprio capace di capirne il senso!»
9. Gli dico Io: «Ebbene, chiedi a qualcuno e tutto ti sarà reso chiaro. Io però ora non prendo il breve riposo di cui ho detto per causa Mia, bensì per voi; per offrire l’occasione a voi pure di esercitarvi nelle opere, e in questo modo sono attivo anch'Io con voi. Non comprendi questa cosa?»
10. Risponde Cirenio: «Oh, sì, adesso comprendo! E posso anche immaginarmi perché succede così!»
11. Dico Io: «Ciò non deve costarti eccessiva fatica, perché Io l'ho spiegato chiaramente a voi tutti già questa mattina. Prima del pranzo non faccio niente di Mia propria mano, dopo il pranzo però ci sarà ben occasione di fare qualcosa; ma se parlo, faccio qualcosa anche prima del pranzo.
12. Ma ora bisogna avvertire Marco che mandi i suoi due figli incontro allenavi, e che dal canto suo abbia cura che le mense siano provviste a dovere, poiché gli ospiti che si aspettano arriveranno esausti, affamati ed assetati, e così pure la loro servitù ed i poveri naviganti prostrati dalla fatica»
13. Dopo feci un cenno a Marco, che comprese immediatamente e dispose che i due figli saliti sul battello volgessero la prua al largo facendo forza di remi, mentre egli stesso si affrettò a ritornare a casa per mettere in moto ogni mano a preparare le mense.
14. Anche nelle tende di Ouran ferveva il lavoro; infatti Mataele ed i suoi quattro compagni, nonché Elena la sua giovane moglie e il re Ouran avevano scorto le navi guardando fuori dalle tende, nelle quali essi si erano ritirati un'ora prima con la famiglia di Ermes, il noto messaggero da Cesarea Filippi, per cambiarsi di vesti, e Mataele particolarmente per indossare vesti regali, per figurare dinanzi ai nuovi e attesi ospiti per quello che ormai era divenuto.
15. Ouran, allora, Mi viene vicino in fretta, e Mi domanda in tono di profonda umiltà: «O Signore, cosa ci porteranno quelle navi? Che ci siano addirittura gli ospiti nobilissimi che si attendono?»
16. Dico Io: «O amico Mio, la tua domanda suona molto secondo le costumanze delle corti del mondo! In nostra presenza non ci sono né ospiti nobilissimi, né ospiti umilissimi, ma soltanto fratelli dalla A alla Z. Se Io posso lasciarmi chiamare vostro amico e fratello, perché dovrebbero esserci tra di voi uomini altolocati o dei bassolocati? Io ti dico: "Solo l'Onnipotente, tra di voi, è un vero Signore, mentre voi tutti siete l'uno di fronte l'altro fratelli e servitori di quell'Unico e solo Signore!”
17. O credi tu forse che i re siano presso di Me in maggior considerazione del minimo fra i loro servitori? Oh, per nulla assolutamente! In questo caso ti assicuro che è solamente il cuore che determina il vero rango. Il re deve invece sapere nel proprio cuore il perché è re; e il servitore deve così pure nel suo cuore conoscere perché è un servitore; altrimenti re e servitore sono di fronte a Me collocati sul medesimo gradino piuttosto basso!
18. Dunque, o amico Mio Ouran, prendi ben nota che dinanzi a Me non esistono ospiti né basso né altolocati, ma solamente figli, fratelli e sorelle!
19. Ouran si accontentò di questa ammonizione, fece un profondo inchino e non si azzardò a fare altre domande».
Dei pericoli dell'orgoglio.
1. Ma quando Ouran ritornò vicino a Mataele, gli disse: «Oggi è un po' difficile parlare con il Signore! Io gli ho domandato del tutto umilmente se i preannunciati nobili ospiti sarebbero arrivati, ma a causa della parola "nobili", mi sono preso da Lui una lezione così aspra, che mi resterà in mente tanto più in quanto è stata appunto così asciutta e ruvida! Il Signore però appare oggi cambiato! Ieri Egli era l'Amore e la Dolcezza personificati, oggi invece chi Gli viene vicino deve attendersi un'adeguata lezione! Veramente non comprendo questa cosa!»
2. Dice Mataele: «Ma la comprendo bene io! Ma come mai potrebbe venirmi in mente, sia pure soltanto in sogno, di chiedere al Supremo e Onnipotente Signore quale specie di nobili ospiti potrebbero arrivare da una qualche parte! Chi siamo noi uomini e Chi è Lui? Egli si abbassa fino a noi e non richiede nessuna dimostrazione d'onore, è colmo d'Amore e di Umiltà e noi vorremmo parlare di ospiti nobilissimi in Sua presenza! Questo, o mio carissimo suocero, è un errore un po’ troppo grande, e il Signore non avrebbe potuto assolutamente dare un'altra risposta ad una simile domanda, perché, se tale domanda l'avessi rivolta a me, non so proprio se la risposta che ti avrei dato non sarebbe stata un po' più asciutta e ruvida ancora! Ma il Signore, che è sempre il più mansueto di tutti, riprende spassionatamente un errore, al solo scopo che noi riconosciamo di averlo commesso. Va' da Lui e confessa il tuo errore, e vedrai che le Sue parole suoneranno ben diversamente.
3. Dice Ouran: «Certo, tu devi aver nuovamente ragione; oh, se ho commesso un errore, bisogna che immediatamente rimedi!»
4. E detto questo, Ouran lasciò di nuovo la tenda, si avvicinò a Me e disse: «O Signore, prima ho gravemente errato al Tuo cospetto con la mia vana domanda! Perdona il mio errore, perché non è stata la mia volontà ad avervi parte, ma soltanto la mia inveterata stoltezza come Tu, o Signore, avrai certo visto con assoluta chiarezza!»
5. Gli dico Io: «Amico mio! Chi riconosce in sé un errore che ha commesso, e spontaneamente vi rinuncia, a lui l'errore è anche perdonato per sempre, e chi dopo ciò si rivolge a Me, a lui l'errore è doppiamente perdonato.
6. Ma chi riconosce il proprio errore, e non ci rinuncia e lo trattiene nella sua propria natura, a lui l'errore non è perdonato nemmeno se viene cento volte da Me!
7. Perché Io ti dico, che chi viene a Me e dice: "Signore, Signore", costui non è di gran lunga ancora Mio amico, ma tale è soltanto colui che adempie la Mia Volontà. Ora questa richiede che voi non vi innalzate nella vostra persona al di sopra del vostro prossimo, per considerazioni d'ufficio o di carica!
8. Voi certo dovete fungere nella vostra carica sempre secondo fedeltà, amorevolezza e giustizia, ma così facendo non dovete dimenticare un solo istante che coloro i quali sono sottoposti al vostro buon ufficio sono in tutto pari a voi, e perciò sono vostri fratelli!
9. Questa cosa del resto ve la insegna da sé il vero amore del prossimo fuori dal vero amore che voi quali figli nutrite per Me.
10. Qualora sia necessario fate sì valere la considerazione e il rispetto dovuti al vostro ufficio e alla vostra carica, ma in voi e per voi stessi siate pieni di umiltà e di amore; allora il vostro giudizio nei riguardi dei vostri fratelli e delle vostre sorelle smarrite sarà sempre un giudizio pienamente giusto secondo il Mio Ordine!
11. Quello che ora Io ti ho detto, te l'ho detto soltanto per indicarti anche a questo riguardo qual è il Mio Ordine e la Mia Volontà, poiché intendi bene: "Chi non rinuncia al proprio orgoglio anche nella misura di un minimissimo atomo, a lui in avvenire non verrà rivelato, in spirito, il Mio Regno, ed egli non ci entrerà prima di aver eliminato da sé anche quel minimissimo granello di polvere d'orgoglio!”
12. Ed ora va', e annuncia queste cose a chiunque troverai che tiene celato in sé anche una minima traccia d'orgoglio!»
13. E udite queste parole, Ouran s'inchinò di nuovo profondamente, secondo il suo costume, e ritornò rapidamente vicino ai suoi, e Mataele gli domandò che accoglienza avesse trovato presso di Me.
14. Ouran allora risponde: «Il Signore mi ha usato immensa grazia e mi ha mostrato la verità, l'ordine e la giustizia nella vera umiltà, ed ora sono nuovamente felice come prima»
15. Dice Mataele: «Sì, o caro padre e fratello, nella vera umiltà! Il nostro è certo un ufficio nobile di fronte a milioni d'uomini, e altresì un ufficio molto grave e difficile al cospetto dell'Onnipotente Dio! È opportuno guardarsi molto bene dal venire travolti, nella propria persona, dalla nobiltà dell'alto ufficio, nel qual caso poi si darebbe alla superbia ed all'orgoglio la possibilità di annidarsi negli animi nostri, e si finirebbe con il ritenersi superiori a quegli uomini appositamente consacrati da Dio per servire nel migliore dei modi tutti i propri fratelli e per essere così in certo qual modo i servitori dei servitori.
16. E chi investito di una carica come la nostra volesse innalzarsi, costui dicerto verrebbe molto abbassato, come possiamo persuaderci che è accaduto ben spesso nella serie dei re della Giudea. Ma com’era una volta, così continuerà ad essere fino alla fine del mondo. Sicuramente è molto difficile vivere nel fasto, adorni d'oro e pietre preziose e in pari tempo mantenersi nel proprio cuore più umili di ciascuno dei propri sudditi! Solamente la grazia e la misericordia immensa del Signore possono mantenere nel punto voluto dall'Ordine dei Cieli un re che si trova in mezzo al fasto e alla pompa terrene»
17. Dice Ouran: «Sì, è tutto vero quello che hai detto». Ma ecco che le tre navi sono giunte ormai presso la riva. Andiamo dunque anche noi, affinché possiamo porgere il nostro saluto agli arrivati!
18. Dopo ciò tutti si affrettarono giù verso il luogo dell'approdo.
La gioia del rivedersi dopo l'arrivo degli ospiti.
1. Quando gli arrivati furono scesi a terra, e si furono accorti immediatamente della Mia presenza, protesero verso di Me le braccia, versando lacrime di gioia.
2. Cornelio, avvicinatosi a suo fratello Cirenio, esclamò: «Oh, considerato che siete qui, altro di meglio non posso fare che rallegrarmi con tutta l'anima di trovarmi una volta ancora felicissimo in vostra compagnia!»
3. Fausto, poi Kisjonah e Filopoldo, vinti dalla commozione non potevano trovare parole per esprimere la loro gioia, ed i servitori dei neo arrivati rimasero dal canto loro essi pure molto meravigliati di trovarMi in quel luogo.
4. E Cirenio domanda a Cornelio quando abbia avuto notizia della sorte toccata alla città di Cesarea Filippi.
5. Dice allora Cornelio: «Veramente non sono affatto venuto a conoscenza del fatto mediante qualche messaggero, ma ho avuto in me stesso dei forti sospetti che qualcosa di grave doveva essere accaduto. Prima di tutto la giornata di ieri è stata sotto ogni riguardo una giornata spettacolare; si cominciò con l'eclisse completa del Sole che in pieno giorno ci regalò per buoni trenta minuti una notte profonda! La sera invece, quando la notte sarebbe stata al suo vero posto, al Sole piacque arrestarsi sopra l'orizzonte un paio d'ore più a lungo del solito, cosa questa che naturalmente fra gli ebrei, greci e romani suscitò una sensazione indescrivibile.
6. Se il preside attuale della sinagoga, che è pure grande amico del nostro vecchio Giairo, non fosse una persona veramente saggia e di mente serena, e se altrettanto non si potrebbe dire del suo collega di Nazaret, allora anche le due città avrebbero ben potuto diventare preda del fuoco. Ma i due presidi si affrettarono ad arringare con parole molto assennate il popolo, il quale anche esteriormente dava segni di grande agitazione, ed allora esso diede ascolto agli insegnamenti, e in grandissima parte riacquistò la calma. I più esaltati però li feci prendere in custodia, feci loro spiegare l'accaduto nel migliore modo possibile e già stamani sono stati rimessi in libertà.
7. Ma dopo che io a Cafarnao e Fausto a Nazaret ci fummo occupati di ristabilire l'ordine, ecco capitare da me, a Cafarnao, Fausto quasi senza fiato; perché da Nazaret aveva osservato, in questa direzione, dei forti bagliori d'incendio, e il suo pensiero era subito corso a qualche grave fatto che era potuto accadere a Cafarnao. Ma giunto a Cafarnao trovò invece una calma perfetta, però mi ragguagliò dei bagliori visti, e allora andai con lui e con alquanti servitori sulla più alta collina, in vicinanza di Cafarnao. Da quel punto scorgemmo allora meglio il rosseggiare che andava aumentando, ma nessuno fu in grado di stabilire con precisione quale fosse la località colpita dalla sciagura. Appena questa mattina, quando la luce del giorno ci permise di distinguere bene i luoghi circostanti ed anche se la distanza era grande, io riconobbi dalle colonne di fumo che s'innalzavano che il fuoco divampava in prossimità di Cesarea Filippi; solo allora decisi di venire qui con Fausto per mare, per accertarmi di cosa fosse divenuto preda dell'incendio.
8. E mentre arrivati alla riva ci disponevamo a salire su di un battello, vedemmo arrivare il nostro Kisjonah con Filopoldo, ed egli mi portò la notizia di aver constatato da una considerevole altura delle sue montagne che quello che ardeva era senza possibilità di dubbio la città di Cesarea Filippi.
9. Udito questo, che ci venne confermato anche da Filopoldo che talvolta possiede la facoltà della seconda vista, ci affrettammo a salire sulla nave dell'amico Kisjonah, e ci dirigemmo precisamente qui il più velocemente possibile, malgrado il vento contrario. Durante il percorso, dall'alto mare, potei convincermi a varie riprese che si trattava davvero di Cesarea Filippi, e il pensiero del che cosa si sarebbe dovuto fare qui suscitò in me grave preoccupazione!
10. Ma invece la mia buona stella mi ha preparato qui tutto un altro spettacolo! Questo inatteso e santo incontro con il Signore di ogni Magnificenza, con i Suoi discepoli e con te mio carissimo fratello, ah! tutto ciò ci ha fatto svanire completamente ogni timore e ogni preoccupazione dall'anima mia! Perché ciò vuol dire che tutto già da lungo tempo si trova in perfettissimo ordine!
11. Ma ora tocca a Te, o mio Tutto, mio massimo Amico e Maestro santissimo dall'eternità! O Gesù, dilettissimo Amico mio! Vedi, ora tutta la Tua Onnipotenza Ti sarà debole scudo di fronte al mio grande amore per Te! Bisogna che Tu lasci che Ti abbracci con tutta la mia forza! Io così ho fatto finora ogni giorno e più volte in spirito, ma adesso lo faccio una volta anche nella maniera della realtà materiale!»
12. E dicendo queste parole Cornelio Mi strinse quasi convulsivamente al suo cuore, e coperse il Mio capo di baci e di ardentissime lacrime di gioia. E dopo che in tale modo ebbe alleggerita la piena del sentimento che ferveva nel suo nobile cuore, si sciolse dolcemente e disse con voce tremante di commozione: «O Signore, Maestro, Dio e Creatore dell'infinito spirituale e corporeo! Dimmi dunque che cosa vuoi che faccia di buono? Tu già conosci il mio cuore!»
13. Gli dico Io: «Oh, ma tu pure conosci il Mio! Fa qualunque cosa il tuo cuore ti suggerisce nel Nome Mio, e così avrai fatto abbastanza per te ed anche per Me! Ma poiché tu, cedendo all'impulso del tuo cuore, Mi hai fatto violenza come non Me l'ha fatta ancora nessuno, anch'Io non molto dopo la Mia elevazione su questa Terra userò verso di te una violenza d'altra specie, in conseguenza della quale né tu né nessun membro della tua famiglia non vedrà, non sentirà e non assaporerà mai la morte del corpo!
14. Questa tua dimostrazione d'amore Mi ha rallegrato fino nelle più intime fibre del Mio Essere, e tu con ciò hai fatto verso Me una cosa di cui fino a questo momento l'eternità non può fornire un secondo esempio, tranne quello dei piccoli fanciulli che prima degli adulti riconoscono il Padre loro. Ma ora lascia che Io ti abbracci a Mia volta!»
15. Dice Cornelio, piangente di gioia: «O Signore, Maestro e Dio! Di una simile grazia infinitamente santa non sarò mai degno in eterno!»
16. Dico Io: «Ebbene, sono Io che te ne rendo degno, vieni dunque qui da Me!»
17. E Cornelio Mi si avvicinò ed Io lo abbracciai. Ed egli, vinto dall'emozione, si diede fortemente a piangere ed a singhiozzare, così che molti credettero che gli fosse accaduto qualcosa di male. Ma egli ben presto si riebbe ed esclamò: «Oh, non datevi pensiero per me! Non soltanto non mi è accaduto niente di male, ma è l'eccessivo bene che mi opprime, ed è la gioia che mi strappa queste lacrime»
18. Allora si fece innanzi Kisjonah, e Mi domandò in tono mesto: «O Signore! Ti ricordi ancora di me, e sono ancora nella Tua grazia?»
19. Ed Io gli rispondo: «O fratello Mio, come mai puoi rivolgerMi una simile domanda? Tu Mi ami sopra ogni cosa, ed Io in ugual misura; che cosa vorresti di più? Non ti ricordi quello che Io ti ho detto in confidenza, e cioè che saremmo restati amici e fratelli per l'eternità? Vedi, quello che Io dico ha da parte Mia valore per l'eternità se anche tu resti come sei, e allora questo anche da parte tua avrà valore per l'eternità; rimanga dunque stabilito così! Non sei contento in questo modo?»
20. Risponde Kisjonah: «O Signore, Tu mi hai reso indicibilmente contento, ed io sono beato quanto mai di poter sentire ancora una volta una sacra parola dalla Tua bocca santissima!»
21. Dico a Kisjonah: «Di queste ne sentirai ancora molte! Ma adesso guarda un po' lì quei cinquanta farisei, e tu certo ne riconoscerai qualcuno che fu implicato nella famosa faccenda che trovò il suo epilogo in casa tua!»
22. Kisjonah, Cornelio e Fausto osservano allora attentamente i cinquanta, e Kisjonah, che aveva una memoria particolarmente buona per quanto riguarda avvenimenti e cose, riconobbe immediatamente otto di loro che avevano partecipato al noto trasporto oltre le montagne, e disse: «Oh, che cosa fanno qui costoro? Si trovano forse qui in qualità di prigionieri, per essere stati sorpresi a scortare qualche altro convoglio o per commettere qualche altra canagliata?»
23. Rispondo Io: «Niente di tutto ciò; il sole postumo di ieri e il conseguente incendio della città, del quale certo essi stessi portano la parte maggiore della colpa, li ha fatti cadere nelle nostre mani, ed essi pure sono ormai completamente nostri e sono diventati del tutto cittadini di Roma.
24. Perché, vedete, sono già sette giorni che Io dimoro qui, ma ciò è avvenuto unicamente per la ragione che questo luogo è molto favorevole alla pesca. Qui si possono prendere i migliori pesci dal mare naturale e i più nobili pesci spirituali dal mare spirituale. E noi, durante questo tempo, abbiamo già fatto qui delle retate quanto mai degne di nota.
25. Ecco qui intanto i cinquanta; questa è la retata di oggi, e non c'è nessuno che sia fradicio; là più oltre vedi un altro gruppo di trenta, tutti perfettamente sani, prodotto della pesca di ieri. Più in là ancora, seduti ad una mensa, puoi vedere altri dodici, pure sanissimi e pigliati ieri nella nostra rete; poi, sono caduti ieri anche quei cinque che scorgi là presso le tende e che sono di qualità sceltissima! DimMi tu se questo non si chiama lavorare con diligenza e onestamente?»
26. Risponde Kisjonah: «Davvero! Se tutti questi sono già guadagnati alla causa, con ciò è dato senza dubbio un forte impulso al Regno di Dio sulla Terra da Te annunciato, e questo tanto più che sembra trattarsi quasi esclusivamente di gente del tempio, dove avendo a che fare con persone anziane, una conversione deve essere quanto mai difficile! Naturalmente poi, nel caso che la conversione riesca, essi dovrebbero risultare anche fermissimi nella nuova fede.
27. Ma io vedo là anche quel galantuomo di Ebal da Genezaret con una delle sue figliole. È pure lui tra coloro che sono stati presi qui?»
28. Rispondo: «Certamente, però egli entrò con tutta la sua famiglia nella nostra rete già nell'occasione della gran pesca fatta a Genezaret, e la fanciulla poi è un pesciolino della specie più nobile che abbiamo trovato! Avrai ben l’opportunità di conoscerla più da vicino, e sono sicuro che ti rallegrerai immensamente; infatti, per quello che concerne la sapienza purissima dell'animo, e oltre a ciò la purezza del cuore, dovrebbe essere molto difficile trovare qui un'altra che la eguagli! E di tutto ciò, sono Io che rendo della fanciulla tale testimonianza! Te ne occorre una migliore e più degna di fede?»
29. Dice Kisjonah: «O Signore! La Tua testimonianza ha un valore assoluto! Ed io non vedo l'ora di poter in qualche modo parlare con la ragazzina»
30. Osserva allora Fausto rivolgendosi a Me: «Ma là ci sono delle tende regali; il vecchio indossa veramente vesti da re e così pure il giovane che ora scambia qualche parola con la giovane donna al suo fianco. Appartengono pure quelli ai Tuoi prigionieri per il Cielo di ogni Amore e di ogni Luce?»
31. Rispondo Io: «Senza dubbio; quello è un re del Ponto! Il suo regno è grande ed egli ha finora governato molto saggiamente il suo popolo mediante leggi miti, ma molto rigidamente sanzionate. Egli però ebbe l'intuizione che per rendere veramente felice un popolo avrebbe anzitutto egli stesso dovuto conoscere la verità e l'unico vero Dio! Egli si preparò e partì verso il Mezzogiorno, avendo appreso che indagini di questa specie non si sarebbero potute fare che a Gerusalemme. Durante il suo viaggio arrivò a questo mare interno, e volle attraversarlo per andare a Gerusalemme.
32. Ma a causa dell'eclissi di Sole di ieri, egli si trovò in un grave pericolo, lo feci salvare dal Mio angelo e lo feci condurre qui. Dunque fu lui solo ad arrivare qui, con la sua figlia Elena e un numero ristretto di servitori.
33. Il giovane re però, dal canto suo, era a suo tempo un allievo del tempio, e poiché era dotato di grande talento venne mandato in altri paesi in qualità di missionario. Però al confine fra la Giudea e la Samaria, assieme a quattro compagni, cadde nelle mani di una banda di ladroni e fu costretto con i suoi compagni a fare causa comune con quei malviventi. Precipitati, a causa di questo, nel dolore e nella disperazione, le anime dei cinque si rifugiarono sotto le ali del loro spirito, mentre dei loro corpi s'impossessarono in maniera assoluta e fattiva degli spiriti maligni di origine infernale e di natura ostinata al massimo. Soltanto ad una pattuglia di legionari romani riuscì ad impadronirsi dei cinque demoni, come venivano chiamati dal popolo, e solamente sotto fortissima scorta e strettamente incatenati poterono venire trascinati fin qui, l’altro ieri sera. Sennonché dalle rigide leggi di Roma non avrebbero potuto aspettarsi altro che la morte più tormentosa dal tribunale di Sidone!
34. Ma Io, riguardo alle loro anime e al loro spirito, pulii la loro carne dai maligni spiriti infernali, e voi non avete che da parlare con loro per sincerarvi di quale spirito siano figli! Particolarmente Mataele, ora marito della figlia del re, e viceré egli stesso, è persona dinanzi alla quale ciascun cittadino di questa Terra deve levarsi il cappello.
35. Egli è - nella misura possibile fino a questo momento - un perfetto rinato nello spirito, e sarà per Me un valido strumento per combattere le tenebre dei pagani del grande Settentrione. Quando avrete l'opportunità di parlargli, potrete rendervi conto di quale spirito ci sia in lui»
36. Chiede allora Cornelio: «Ma Signore! Chi è poi quel giovinetto, non Giosoe che conosciamo già da Nazaret, ma quell'altro che appunto adesso si intrattiene con la fanciulla?»
37. Gli dico Io: «Egli è appunto l'angelo del quale vi ho detto che ieri ha salvato il vecchio re con la figlia. Egli si trova ormai quasi da tre settimane fra i mortali di questo mondo, ed ha da parte Mia specialmente l'incarico di istruire e di educare la fanciulla, però è sempre pronto a servire anche ciascun altro dei Miei»
38. Domanda a sua volta Filopoldo: «Chi è qui l'albergatore, e come si chiama?»
39. Dico: «L'albergatore è un veterano romano, un'anima fedelissima ed amante di ogni verità; ha in tutto sei figli, due maschi e quattro femmine, tutte care e gentili ragazze, ed una moglie essa pure donna modello che non conosce altra volontà all'infuori di quella del suo onestissimo marito.
40. Perciò anche a Me è piaciuto per il momento prendere dimora presso questa famiglia, prima molto povera, e voi vedrete fra non molto come queste otto persone saranno state capaci di allestire per delle centinaia un pranzo che susciterà in voi una giusta allegria. Ecco il vecchio albergatore; si dirige già da questa parte per portarci l'annuncio che il pranzo è pronto».
Le profezie sull’Incarnazione del Signore.
1. Non appena Io ebbi finito di parlare, Marco giunse sul posto ed avvertì che il pranzo era pronto, chiedendo allo stesso tempo se avrebbe dovuto farlo servire, considerato che era già l'ora nona. (Le tre del pomeriggio)
2. Dissi a Marco: «Fa' pure servire il pranzo, perché coloro che attendevamo sono già qui presenti, ed i commensali da parte loro sono tutti pronti»
3. Allora Cornelio chiama il vecchio Marco e gli dice: «Ebbene, o mio vecchio commilitone, non mi riconosci più? Non ti ricordi che ci trovammo assieme in Illiria ed in Pannonia? Certamente quella volta ero un ragazzo piuttosto che un guerriero, ma da allora sono trascorsi ormai quarantacinque anni, ed io sono vicino ai sessanta!»
4. Risponde Marco: «O nobile signore! Quegli avvenimenti sono del tutto ancora presenti nella mia memoria! Ce ne volle quella volta di fatica e di energia per mantenere un ordine tollerabile fra quelle popolazioni fiere e litigiose. Nella regione dell'Istmo superiore (Danubio), in vicinanza della località di Vindobona (Vienna), da principio non ci andò proprio bene, ma dopo un paio d'anni la situazione si fece passabile, e ricordo che potemmo trascorrere delle ore molto belle.
5. Gli usi e i costumi di quei germani erano certo per noi romani alquanto primitivi e rozzi, ma quando poi si poté gradatamente istillare in loro qualche idea più libera e un po' di cultura spirituale, anche la situazione divenne sopportabile. Il vino che essi producevano era veramente deboluccio e acidulo, ma una volta abituati non riusciva sgradito al palato.
6. Ma appunto non lontano da Vindobona, a monte dell'Istro dove organizzammo una volta una caccia al cinghiale e nella quale occasione riuscimmo ad uccidere quaranta di questi animali, noi ci incontrammo con un sacerdote e veggente germanico dalla lunga barba, il quale appollaiato su di una quercia stava seguendo le vicende della caccia. Quell'uomo conosceva un po' l'idioma romano e mentre ci trovavamo proprio sotto la sua quercia, dove avevamo abbattuto appunto un cinghiale, ci rivolse la parola e disse:
7. "O voi, giovani coraggiosi! Sappiate che in Asia, nel paese al di là delle acque, vi attendono grandi cose! Là vedrete qualcosa mai vista ancora da nessun mortale! Qui non regna che la morte come il possente cinghiale è finito sotto i colpi delle vostre lance e delle vostre spade; così tutto finisce qui nel paese della morte! Ma nell'Asia fiorisce la vita, chi là si troverà, non vedrà più in eterno la morte!”
8. Poi ammutolì, e per quanto noi insistessimo perché si spiegasse, non ci fu verso di fargli aprire bocca; quindi ce ne andammo oltre in cerca di altri cinghiali. Ma, vedi, quel vecchio fu in quel momento veramente profeta, e ora assistiamo a ciò che egli ci profetizzò!»
9. Esclama Cornelio: «Ma guarda un po'! Io, di quel vecchio germano me ne sarei quasi dimenticato. È vero, verissimo, tu hai ragione! Bisognerà che noi due parliamo ancora di questo argomento!»
10. Il vecchio Marco però se ne andò per disporre le vivande sulle varie mense con l'aiuto della servitù di Cirenio e di Giulio, e Cornelio approfittando dell'intervallo Mi chiese: «O Signore! Che ne dici Tu della predizione di quel germanico, che realmente venne fatta molti anni fa in Europa a me e al vecchio Marco che in fatto di anni dovrebbe averne circa dieci più di me?»
11. Dico Io: «Tutti gli uomini e popoli, che dimorano dispersi su questo vasto mondo, hanno cognizione di una profezia fatta e data già al primo uomo della Terra, profezia che concerne Me e la Mia attuale venuta agli uomini di questa Terra, ed i loro sacerdoti sotto l'influenza della tradizione ed in seguito all'interiore impulso dei loro cuori poterono sempre spianarsi la via ad una contemplazione spirituale, ed in tali condizioni profetizzarono, esprimendosi con immagini certo spesso molto ben confuse, che infine non venivano comprese nemmeno da loro stessi.
12. Soltanto con il ripetersi dello stato estatico qualcuno perveniva, di quando in quando, ad una visione più chiara, e così poteva rendersi conto un po' più da vicino delle visioni avute altre volte.
13. Identico è stato il caso di quel germano. Egli si trovava appunto in uno stato di estasi lucida sulla sua quercia, condizione questa che era stata in lui favorita dall'emanazione dell'albero assieme al timore delle vostri armi, ed egli fece la profezia. Ma quando, dopo la predizione, ritornò in sé, non si ricordava più niente di tutto quello che aveva detto, e di conseguenza non poté più dare alcuna risposta, nonostante tutte le vostre insistenze.
14. Vedi, questa è la causa di una simile predizione. Se voi volete credere, anche la sibilla di Endor si trovava in stato di estasi lucida quando Saul la costrinse a scongiurare per lui lo spirito di Samuele, anche se di solito era in relazione con la perversità degli spiriti maligni, per influsso dei quali profetizzava menzogna, malvagità e frode.
15. Nessuna creatura umana è tanto morta e perfida da non poter, in un determinato momento, predire qualcosa di vero, ma una simile predizione non può fare da sé garanzia per tutti e per le altre predizioni fatte eventualmente da essa, ma è vera soltanto limitatamente a se stessa!
16. Così pure anche l'oracolo di Dodona e quello di Delfo hanno fatto talvolta profezie quanto mai veritiere, però ad una propria e vera profezia facevano sempre seguito altre mille che erano false e menzognere.
17. Ugualmente non è neppure da mettere in dubbio che certi veggenti e profeti abbiano compiuto addirittura dei miracoli, ma in confronto degli altri - per ispirazione di maligni spiriti e per effetto dell'intelletto mondano acuitosi con ciò in loro - essi escogitarono una quantità di miracoli illusori con i quali delle popolazioni intere rimanevano per un millennio sepolte nelle tenebre, mentre quegli altri facevano la vita comoda e priva di ogni preoccupazione, finché un veggente veramente suscitato non venne a stroncare le loro ignominiose manovre.
18. Però la cosa non procedette mai con eccessiva facilità; poiché un popolo, una volta che sia sperduto fra le illusioni, è già di per sé quanto mai difficile ricondurlo sulla retta via, men che meno poi i rispettivi sacerdoti della menzogna, per la ragione che così vengono posti in gioco i loro grandi vantaggi terreni.
19. Voi tutti avete attualmente avuto occasione di capire quale difficile lavoro abbia Io stesso, eppure il Mio linguaggio è tale quale prima di Me non è mai stato dato di udire da nessun veggente, e compio opere che prima di Me non sono mai state viste. Il Cielo intero è aperto, gli angeli ne scendono, Mi servono, rendono testimonianza di Me, vedono ed odono tutto, e ciononostante vi sono addirittura discepoli che sono sempre intorno a Me e vedono, sentono e apprendono tutto, ma la loro fede somiglia ancora ad una banderuola o ad una debole canna che il vento, da qualunque parte spiri, piega e torce in tutte le direzioni! Consideriamo poi che cosa ci si può attendere dagli altri uomini del mondo!»
Il modo di guidare gli uomini e i popoli.
1. Il Signore: «Certamente, con la Mia onnipotente Parola Io potrei in un istante convertire tutti gli uomini, ma allora dove se ne andrebbero in questo caso l'attitudine alla vita e la libertà del loro spirito che è bene vengano conquistate per esclusiva opera loro?
2. Dunque, da ciò deve chiaramente emergere per voi che non è affatto facile combattere in maniera efficace gli errori insinuatisi nei popoli, senza che la libertà del loro volere e il loro necessario libero arbitrio spirituale ne siano pregiudicati.
3. Ma altrettanto difficile è evitare che simili errori abbiano ad insinuarsi fra gli uomini; poiché alla parte spirituale dell'uomo deve venir fatto presente il vero e il falso, il buono e il cattivo, e ciò agli scopi della libera indagine, del riconoscimento e della libera scelta, altrimenti egli non si troverebbe mai spinto a pensare.
4. L'uomo deve trovarsi continuamente in uno stato di lotta, in caso diverso si addormenterebbe qualora la sua vita non avesse sempre nuove occasioni di esercitarsi come tale, così da mantenersi di per se stessa, di irrobustirsi e così raggiungere la sua perfezione.
5. Se Io non concedessi talvolta agli errori d'insinuarsi fra gli uomini, bensì unicamente la sola verità con tutti i suoi effetti ben precisi ed assolutamente necessari, gli uomini stessi finirebbero con l'assomigliare ad un ricchissimo crapulo amante dei piaceri, portato ad avere macchinalmente cura soltanto che al proprio ventre non venga a mancare a tempo debito l'abbondante cibo con cui riempirlo!
6. Se si provvede a tutti gli uomini e nel migliore dei modi soltanto per le necessità del corpo, senza chiedere loro nessuna fatica, voi potete star più che certi che non vi saranno ben presto più sacerdoti, né re, né soldati, ma non vi saranno nemmeno più cittadini, né contadini, né operai o artigiani; infatti, a quale scopo dovrebbe lavorare l'uomo, od essere in generale attivo in uno o nell'altro campo, se si trovasse provvisto in abbondanza di tutto quello che gli occorre per tutto il tempo della sua vita?
7. Dunque, è necessario che il bisogno e la miseria, la sofferenza e il dolore dimorino con gli uomini, affinché essi non muoiano sepolti nell'inattività e nella pigrizia!
8. Quindi, voi da ciò potete vedere che tra gli uomini ci devono essere ogni tipo di cose, affinché possano continuamente venire spronati ad ogni specie di attività; ma da questo principio fondamentale della vita risulta pure essere altrettanto inopportuno impedire agli errori d'insinuarsi, come quanto lo sradicarli completamente una volta insinuatisi.
9. Spesso le conseguenze sempre dolorose, che seguono agli errori, sono infine i mezzi più efficaci per eliminare gli errori e per diffondere la verità.
10. Attraverso la miseria e il bisogno, derivanti dalla menzogna e dagli inganni di ogni specie, l'umanità deve sentire in maniera profonda e vivente l’assillante sete della verità, e deve con tutta serietà cominciare a cercarla come l'ha cercata il vecchio Ouran dal Ponto. Ma allora l'umanità troverà anche ben presto la verità, come l'ha trovata Ouran, e solo allora la verità trovata difficilmente in mezzo ad ogni tipo di necessaria difficoltà sarà veramente utile all'umanità. Ma se l'uomo potesse trovarla con la stessa facilità con cui l'occhio trova il Sole sul firmamento diurno, essa non avrebbe per lui, in un tempo anche troppo breve, più nessun valore, e per distrarsi comincerebbe a correre dietro alla menzogna come fa il viandante di giorno che, per quanto è possibile, va in cerca dell’ombra, e quanto più questa è fitta, tanto più se ne compiace.
11. L'uomo di questa Terra è quindi fatto precisamente così, come assolutamente deve essere, per poter poi diventare veramente un uomo; però anche tutti i suoi rapporti esteriori devono essere così sistemati, e così devono essere regolate le circostanze in cui si svolge la sua vita, affinché, costretto dalle circostanze stesse, possa poi avviarsi a diventare un vero uomo!
12. Però, la piena e nuda verità non può in generale venir annunciata ora agli uomini nemmeno da parte Mia, bensì essa deve rimanere velata attraverso similitudini ed immagini, cosicché l'uomo la può decifrare cercando tra tali immagini. Soltanto con voi pochi Io parlo senza alcuna riserva, ma coloro ai quali voi annuncerete queste cose, non devono riceverle da voi così spoglie, bensì alquanto velate, affinché non venga tolto a loro l'occasione per la libera riflessione e la libera attività. Ed affinché voi stessi non vi facciate tiepidi, Io aggiungo e dico a voi pure:
13. "Io avrei molte cose da dirvi, ma voi ora non le potete sopportare; però, quando lo Spirito di verità scenderà su di voi e sui vostri figli, Esso vi guiderà in ogni verità, e così sarete in ogni verità per questa Terra, e in questa verità riceverete nelle vostre mani la chiave per le infinite verità dei Cieli, attraverso le cui rivelazioni sempre più profonde e più nuove voi riceverete sempre più compiti da svolgere nelle eternità!”
14. Ma ecco che adesso Marco c'invita a mensa, e questa è pure una verità che noi ci disporremo ad ascoltare!».
Il grande pranzo in comune alla mensa di Marco.
1. Cornelio allora Mi getta nuovamente le braccia al collo, e dice profondamente commosso: «Oh, sì! Soltanto un Dio e mai più un uomo può rivolgere simili parole all'umanità!»
2. Dico Io: «Sì, va bene, tu rendi di Me, in ogni ordine, una giusta testimonianza che ti porterà i migliori frutti! Non sono la tua carne e il tuo sangue a suggerirti tali cose, ma il tuo spirito che, come il Mio, è da Dio, e perciò anche tu Mi sei un vero fratello
3. Ma ora, dato che siamo nella carne, seguiamo anche la chiamata che ci viene da questa per soddisfare le necessità della medesima!
4. Tutti allora ubbidiscono alle Mie parole e si dirigono verso le mense, dove ci attendono una quantità di pesci molto appetitosi.
5. Alla mensa, alla quale ho preso posto Io, siedono alla Mia destra Cirenio, accanto a lui Cornelio e dirimpetto a noi Fausto, Kisjonah, Giulio e Filopoldo; alla Mia sinistra si sono seduti Giara, poi Raffaele, Giosoe, il ragazzo e infine Ebal; l'ala sinistra della lunga mensa viene occupata dai Miei discepoli, mentre alla destra prende posto la famiglia reale di Ouran con Mataele, Rob, Boz e Zahr.
6. Un'altra mensa molto lunga accoglie i cinquanta farisei, ed è collocata parallelamente alla Mia, ed è di fronte a Me, Stahar e Floran siedono a metà e così possono vedere il Mio volto.
7. Una terza mensa più piccola, dietro di Me, accoglie i trenta giovani farisei e leviti; i loro oratori principali Ebram e Risa siedono proprio dietro alla Mia schiena, ma con il volto girato dall'altra parte.
8. Più in là dalla Mia mensa, a sinistra, dunque dietro ai Miei discepoli, si trova una mensa più piccola e collocata di traverso alla quale siedono i dodici con a capo i loro oratori Suetal, Ribar e Bael, mentre più in là a destra, proprio dietro ad Ouran, c'è un'altra piccola mensa che accoglie il povero Ermes, il noto messaggero da Cesarea Filippi, con sua moglie ora riccamente vestita, con le sue tre figlie ed una adottiva. Così tutti coloro che sono della Mia compagnia si trovano provveduti a dovere.
9. La servitù poi aveva preso posto a delle mense situate un po' più lontano e non venne fatto mancare loro nulla, come pure alle varie centinaia di militi romani che nel loro accampamento dovevano provvedere da sé ai loro bisogni, come era sempre costume presso i romani.
10. Tutti, assieme a noi, sono ora occupati a procurare al corpo il necessario ristoro, e tutti sono larghi di lode a Me per tale straordinario banchetto.
11. Sulle mense fanno bella mostra i pesci, il pane ed ogni tipo di frutta saporita, come fichi, pere, mele, prugne e perfino dell'uva, e non manca nemmeno un eccellente vino. Tra i convitati non ce n'è uno a cui manchi l'appetito, e il vecchio Marco, i suoi due figli e due delle figlie più anziane si affaccendano intorno alle mense per sorvegliare che a nessuno manchi nulla.
12. Il vino va man mano sciogliendo le lingue, e qua e là cominciano le conversazioni e gli scambi di idee. Anche alla Mia mensa sono frequenti le esclamazioni di meraviglia e di lode per la bontà dei cibi e delle bevande, e perfino la Mia Giara si è fatta più vivace e non finisce di lodare la squisitezza dell'uva, tanto più che questa frutta non era ancora di stagione.
13. Anche i Miei discepoli, caso raro, cominciano a farsi loquaci, soltanto Giuda Iscariota se ne sta zitto, avendo ancora troppo da lavorare di mascelle attorno a un grosso pesce ed essendo troppo occupato ad approfittare di una coppa ben grande di vino che gli sta dinanzi, e di conseguenza non trova il tempo di immischiarsi nella conversazione. Tommaso, a dire il vero, gli aveva già un paio di volte dato di gomito per renderlo attento della sconvenienza, ma egli non intese, e ciò fu anche un bene, perché altrimenti sarebbe ben presto venuto fuori con qualche sproposito.
14. Giara però, che sedeva alla Mia sinistra, stava ansiosamente in attesa di qualche buona occasione per infliggere uno scossone ben grosso a questo discepolo, che a lei riusciva quanto mai insopportabile; ma questa volta non fu in nessun modo possibile distogliere Giuda Iscariota dalla sua flemmatica funzione divoratrice e tracannatrice.
15. Ma quando egli ebbe finito il suo grosso pesce, tradì l'intenzione di allungare le mani verso un altro non meno grosso del primo, ma questa volta Raffaele fu lesto a prevenirlo e si portò via lui il secondo pesce! Il fatto naturalmente provocò una certa contentezza che partiva da un sentimento di soddisfazione, e la Mia Giara poté soltanto a stento reprimere un sonoro scoppio di risate.
16. Io allora domandai a Giara che cosa avesse.
17. E la ragazzina rispose: «O Signore e Amor mio, come puoi rivolgere delle domande ad una creatura umana i cui più distinti pensieri Ti sono più aperti di quanto lo sono a noi quelli della forma esteriore di questa coppa? Non hai osservato, o Signore, come il discepolo Giuda Iscariota già prima si scelse il pesce più grosso, che deve aver pesato certo dieci libbre, e come ebbe cura di mandare giù anche il vino della più grande coppa, nonché vari pezzi di pane di rispettabili dimensioni?
18. Ebbene, adesso voleva mettere le mani su di un altro pesce altrettanto grosso, ma il mio Raffaele, avendo scorto il giusto sdegno degli altri discepoli, prevenne il vorace Giuda Iscariota, salvando così il secondo pesce dalla sua furia divoratrice. Ecco il vero motivo per cui ho tanto faticato a trattenere le risate!
19. Io certo so, per averlo appreso già a Genezaret, che veramente non si dovrebbe mai ridere, eccetto il caso che il movente sia l'amore e la benevolenza, ma la cosa aveva assunto qui un aspetto così buffo, che a stento ho potuto reprimere una solenne risata. Io penso che non sia proprio un grave peccato se si deride uno che è avaro e vorace quando si vede naufragare una qualche sua impresa assolutamente egoistica, perché si può anche ammettere che così uno scherzo possa contribuire in qualche maniera a migliorarlo. Dunque, per un simile caso dovrebbe essere ben lecito ridere un po'!?»
20. Dico Io: «O Giara, Mia carissima, questo non è proprio peccato, ma se ci si può astenere è ad ogni modo meglio di tutto. Vedi, se di fronte ad un simile avaro si mantiene una certa serietà, egli si ravvede e desiste dal suo avaro proposito, ma se invece lo si deride, allora si irrita, ed appunto per ciò si mette d'impegno per cercare di realizzare con raddoppiata avarizia la sua intenzione!
21. Giuda Iscariota è un avaro, e datane l'occasione anche un ladro; infatti, chi tenta sempre d'ingannare il prossimo, ed anche lo inganna, tale azione di certo è quella del ladro!
22. Ora, se durante il suo egoistico operare vede intorno a sé delle facce sorridenti, egli è portato a credere che gli altri si compiacciano delle sue canagliate, che vorrebbero somigliare a degli scherzi, e continua poi a commetterne con maggiore solerzia; ma se invece, come detto prima, ai suoi tiri birboni, anzi già ai primi accenni di voler commetterne uno, egli scorge, da tutte le parti intorno, degli sguardi piuttosto seri che lo sorvegliano, allora desiste dal suo malo proposito e rimanda questo ad una eventuale futura occasione. Perché, trattandosi di un avaro, la speranza di un ravvedimento completo è ben meschina! Tuttavia è buona cosa impedirgli, quante più volte è possibile, di compiere le eventuali egoistiche imprese progettate; con ciò egli perde sempre più del suo perverso ardire man mano che constata i continui insuccessi, e tralascia dal fare il male, se non proprio per avversione al male, per la rabbia che l'insuccesso gli procura.
23. Ecco dunque, o Mia dilettissima figlioletta, per i motivi che ora ti ho esposti, è sempre meglio non ridere di qualcuno, per il fatto che un brutto tiro progettato gli è andato male!».
La contraddizione tra volere e fare.
1. Dice Giara: «Sì, o Signore ed unico Amore mio! Certo sarebbe sotto ogni riguardo buona cosa, anzi la migliore, se si potesse avere sempre al fianco una persona capace di un ammaestramento divino e puro quale il Tuo! Ma noi, creature umane, siamo troppo spesso così cieche che, anzi, per essere più precisi, avviene che non vediamo quanto ci sta sotto il naso proprio quando maggiore sarebbe il bisogno di avere una vista acuta! E non va per niente meglio rispetto alla vera sapienza della vita nei momenti per noi più importanti; infatti, quando e dove ne avremmo il massimo bisogno essa ci fa difetto, ma quando invece essa non ci occorre, ecco che ci sentiamo pieni di pensieri e idee sublimi! Di conseguenza la nostra situazione è sempre alquanto strana!
2. A me sembra che non ci sia in me stessa niente di buono all'infuori della mia volontà, ma perfino questa non è degna infine di eccessiva lode, perché il più delle volte viene a mancarle la piena forza necessaria all'azione. Spesso succede che si pensa e si vuole fare cose molto buone, e tuttavia non le si porta a termine, o peggio ancora si fa precisamente il contrario di quel bene che effettivamente si vuole. Dove sia da ricercare la causa di tale fenomeno io non lo so, ma che veramente sia così, lo so per mia personale esperienza.
3. O Signore, o Amore mio! Attraverso la Tua Grazia onnipotente, a me è stato lecito gettare uno sguardo meraviglioso nelle tue immense creazioni, ed a questo proposito ne so ormai più di tutti i sapienti della Terra presi assieme. Quello che si nasconde dentro le profondità infinite dei Tuoi Cieli lo conosco, ma perché non posso così conoscere anche me stessa?».
4. Dico Io: «Perché tu stessa sei un essere molto più meraviglioso di tutti gli immensi soli ed i mondi presi assieme. Nel cuore dell'uomo giace un Cielo, che è molto più pieno dei più meravigliosi prodigi di quanto lo sia quel cielo che puoi contemplare con i tuoi occhi.
5. Vedi, ogni materia costituisce un giudizio, ed è la risultante di una ferrea costrizione. Tu puoi esaminarla esteriormente ed anche interiormente e studiarne la struttura, e più di un farmacista conosce la scienza di scomporre esattamente una materia nei suoi elementi primitivi; ora questa rara scienza si chiama "chimica", e con il tempo andrà sempre più perfezionandosi.
6. Ma come tu in questo modo puoi conoscere con discreta esattezza una pietra esteriormente ed interiormente, puoi ugualmente renderti conto anche di un mondo intero. Il nostro Mataele è molto versato in questa scienza, ed anche il Mio discepolo Andrea che appartenne alla congregazione degli esseni è un abile farmacista, arte questa che apprese in Egitto. Questi due potranno dissertare in tua presenza e con molta genialità sulla struttura della materia di tutto un mondo. Certamente dentro la materia c'è ancora più di un qualcosa che nessun chimico sarà mai in grado di chiarire, ma gli elementi dei quali una materia è composta egli può distinguerli, anche se non può mai scrutare nell'essenza degli elementi stessi, per la ragione che questa rientra nell'ambito dello spirituale e non può essere riconosciuta e compresa in via assoluta che da un puro spirito, dato che negli elementi si celano cose infinite!
7. Però, cose più infinite ancora si celano nell'anima dell'uomo e nel suo spirito; ora, cose simili non c'è chimica che possa chiarirle all'intelletto umano, ed appunto perciò Io stesso sono dovuto venire a voi, umane creature, per farvi conoscere queste cose che nessuno mai sarebbe arrivato a conoscere con le sole proprie forze.
8. Dunque, tu vedi che appunto per risolvere il problema da te sollevato sono venuto Io stesso dai Cieli, e insegno appunto quello che altrimenti non avreste potuto apprendere mai da nessuno.
9. Tu certo ancora non comprendi come possa esserci qualche cosa nella tua volontà, e come d'altro canto non ti riesca di operare conformemente a tale volontà, ma bensì tu vada operando sotto la spinta di un qualche motivo esteriore che non conosci, restando così le tue azioni determinate dalle mute brame della carne che non di rado sono contrarie alla volontà dello spirito. Perché la volontà non è una forza appartenente alla carne, al sangue o all'anima, la quale ha formato la carne e il sangue, e poi essa stessa ha tratto da questi elementi il nutrimento necessario al suo completamento formale; bensì la volontà è appartenente all'amore, il quale è lo Spirito Mio in voi, e voi perciò non siete soltanto Mie creature, ma siete veri figli Miei, destinati a reggere un giorno, assieme a Me, l'infinità intera nel Mio Regno.
10. Ma a questo scopo dovete prima, ad ogni modo, rinascere completamente nello spirito, altrimenti ciò non sarebbe possibile!
11. Comprendi queste cose, o Mia carissima figlioletta?».
Sulla rinascita.
1. Risponde Giara: «Io queste cose le comprendo così alla meno peggio, ma di comprenderle perfettamente e a fondo non c'è niente da parlare ancora! Particolarmente la rinascita nello spirito è una cosa che non mi riesce chiara, per quanto ne abbia udito spesso parlare! Come bisogna intenderla veramente?»
2. Dico Io: «Per il momento questa cosa non può venir resa comprensibile nella sua intima essenza né a te né a nessun altro; perché se già non Mi comprendete perfettamente quando parlo con voi delle cose terrene, come potrete ora voi comprenderMi perfettamente se Mi intrattenessi con voi riguardo alle cose celestiali-pure?
3. Oh, Io vi dico che se cominciassi a ragionare con voi di argomenti di carattere celestiale-puro, tutti ne rimarreste scandalizzati e direste: "Guarda un po' come quell'Uomo si è fatto insensato! Egli dice delle cose che sono contrarie ad ogni ragione e natura! Come si può accogliere per vera la Sua testimonianza?".
4. Perciò voi tutti la nuova nascita o la rinascita fuori dallo spirito e nello spirito la comprenderete perfettamente solo quando verrò rapito, come Elia da questa Terra, sotto i vostri occhi, quale Uomo e Figlio dell'Uomo!
5. Subito dopo manderò dai Cieli, sopra tutti i Miei, il Mio Spirito pieno di potenza e di verità, e soltanto in conseguenza di ciò sarà resa compiutamente possibile la completa rinascita dello spirito nello spirito, e anche voi soltanto con ciò vi troverete in grado di comprendere e di riconoscere la rinascita del vostro spirito.
6. Ma fino a quell'istante, nessuno può compiutamente rinascere nello spirito, come pure nessuno lo può a cominciare da Adamo, non esclusi Mosè e tutti i profeti.
7. Però, attraverso il Mio atto, che ora ho annunciato a te ed a tutti gli altri, avranno parte alla piena rinascita dello spirito tutti coloro, a cominciare da Adamo, che saranno stati generati sul mondo e che durante la loro vita terrena avranno dimostrato di essere animati almeno di buona volontà, anche se a questa volontà l'azione non avrà sempre corrisposto.
8. Poiché ci sono certo molti ancora che hanno la migliore volontà di fare qualcosa di veramente buono, ma a loro mancano completamente i mezzi, le forze materiali e le capacità che a tale scopo sono evidentemente tanto necessarie quanto sono necessari gli occhi per vedere; ebbene, in simili casi, presso di Me, la buona volontà ha sempre lo stesso valore del fatto compiuto.
9. Vedi, se per esempio qualcuno cadesse nell'acqua e tu fossi presente alla disgrazia, tu vorresti allora con tutta l'anima andare in soccorso all'infelice, ma sei conscio di non saper affatto nuotare; in tali circostanze, se tu volessi lanciarti nell'acqua in aiuto dell'altro, rimarreste entrambi inghiottiti dal flutto. Ma se tu sapessi ben nuotare, ti getteresti senza alcun dubbio nell'acqua e salveresti l'infelice in pericolo. Ora, dato invece che tu non sai affatto nuotare, nonostante la tua buona volontà di trarlo in salvo, devi rinunciare a gettarti nell'acqua e devi limitarti ad andare in cerca di qualcuno capace e disposto a salvarlo, se ancora in tempo!
10. Ecco, o figlioletta Mia, in tali circostanze il buon volere acquista il medesimo valore dell'azione compiuta, e questo principio si applica a mille e mille altri casi ancora, nei quali la semplice buona volontà è presso di Me accettata come il fatto compiuto.
11. Voglio citarti ancora un esempio. Ammettiamo che tu fossi animata dal migliore buon volere di aiutare un miserello che si è rivolto a te. Tu stessa non possiedi niente, eppure brameresti con ogni tua forza di venire in soccorso a quel misero. Ma considerato che tu stessa non hai niente, vai dall'uno o dall'altro che sono ricchi e preghi loro, con il massimo fervore, che vengano in aiuto del tuo povero; ma poiché il ricco è duro di cuore, non ti riesce ad ottenere nulla, e devi lasciare che il povero se ne vada per la sua strada, senza aver potuto far niente per lui, accompagnandolo con le lacrime della tua pietà e raccomandandolo a Dio, il Signore.
12. Vedi, anche in questo caso la tua volontà pesa sulla Mia bilancia altrettanto come l'azione compiuta.
13. Ora di uomini di questa specie ce ne sono stati molti prima di voi, ce ne sono ancora e ce ne saranno parecchi pure in avvenire; tutti questi saranno resi partecipi della rinascita dello spirito nelle loro anime!
14. Dunque, se tu come tutti gli altri non puoi ancora comprendere come si deve e in che cosa consista la vera e propria rinascita dello spirito, Io adesso te ne ho spiegata la ragione nel modo più chiaro che era possibile; ma quando verrà il tempo in cui nel tuo spirito sarai rinata, allora soltanto tu comprenderai perfettamente come e perché non avrai adesso potuto comprendere queste cose! Ti è ora chiaro il motivo per cui ancora tu non Mi puoi perfettamente comprendere?»
15. Risponde Giara: «Sì, o Signore e mio unico Amore! Ora comprendo bene il motivo! Ma d'altro canto è anche impossibile non comprenderTi, perché rischiari le cose in maniera tanto pura, come il Sole a mezzogiorno rischiara la Terra in una giornata perfettamente serena.
16. E detto questo Mi ringraziò dell'insegnamento ottenuto, e Mi promise pure che avrebbe fatto il possibile per non ridere mai più delle azioni stolte di qualcuno!»
Cornelio e Giara.
1. Cornelio però non poté celare la sua meraviglia per l'avvedutezza della fanciulla, e così pure non meno di lui Fausto e Filopoldo, e Cornelio Mi pregò di concedergli di intrattenersi, riguardo a vari argomenti, con la fanciulla mentre si trovavano ancora a tavola! Ed Io glielo permisi, e grande fu la sua gioia e quella della fanciulla stessa e di tutti i commensali, e raccomandai a Cornelio che le domande che le avrebbe rivolto fossero sagge.
2. Ma quando Cornelio volle formulare delle domande, cominciò seriamente a meditare riguardo a che cosa veramente avrebbe dovuto chiedere. Perché la Mia raccomandazione di rivolgere alla fanciulla soltanto domande serie, l'aveva interpretata in modo che la conversazione non avrebbe dovuto consistere soltanto in vane chiacchiere, ma che avrebbe dovuto mirare a qualche scopo utile, e perciò rifletteva su quali argomenti sarebbero stati da proporre in una società in cui era sempre offerta l’occasione di trattare argomenti di altissimo interesse.
3. Ma quanto più rifletteva intensamente, tanto meno riusciva a trovare qualcosa che apparisse degna di farne oggetto di domande alla fanciulla per iniziare con questa una conversazione. E pensava a questo e a quello senza poter trovare niente che gli apparisse di particolare valore.
4. E dopo aver per qualche tempo così meditato, Cornelio Mi disse: «Ecco, vedi! M'immaginavo che questa faccenda avrebbe avuto un decorso più facile, ma quanto più invece mi affanno a riflettere, tanto meno riesco a trovare un argomento che si confaccia ad una fanciulla così sapiente!»
5. Gli dico Io: «Ebbene, se tu non trovi niente di straordinario, poni alla fanciulla un argomento qualsiasi, il primo che ti viene in mente!»
6. Risponde Cornelio: «Sarebbe tutto bello e buono, ma nemmeno in questo modo il problema si presenta facile, perché da un lato non mi sento di proporre un argomento proprio comunissimo, e dall'altro non saprei proprio da dove cominciare con qualcosa di meglio che non fosse già stato qui abbondantemente trattato!»
7. La fanciulla però, avendo osservato l'imbarazzo di Cornelio, gli disse: «O mio carissimo e nobile amico, se proprio non trovi una domanda da rivolgermi, permetti allora che ne faccia una io a te; perché per quanto concerne il domandare non è facile che mi trovi imbarazzata, ed ho sempre pronte in riserva dieci domande per ognuna del mio eventuale interlocutore»
8. Dice Cornelio: «Anche questo andrebbe bene, o dilettissima figlioletta mia! Ma se tu mi rivolgi una domanda, si intende bene da sé che poi è mio dovere risponderti, ma se, come con tutta facilità potrebbe accadere, non fossi capace di tanto, considerato che tu mi sembri una figliola dotata di sapienza e di una intelligenza molto acuta, che cosa avverrebbe poi?»
9. Risponde Giara: «E allora? Ebbene, risponderò io stessa alla mia domanda e poi tu giudicherai tanto della domanda che della risposta, e mi dirai se in qualche modo mi sono sbagliata! Oh, vedi, per me non è qui assolutamente questione da poco domandare e rispondere; il Signore, che è l'unico mio amore in eterno, è Quello che mi preoccupa meno di tutti, perché tra la Sua sapienza infinita e la nostra limitatissima ogni paragone si perde comunque dentro un nulla senza fondo.
10. Che noi parliamo un po' più o un po' meno scioccamente, ciò non altera minimamente il rapporto tra noi e il Signore; infatti, noi siamo sotto ogni riguardo un nulla di fronte a Lui, e quanto in noi c'è che per Lui ha un valore, è rappresentato da Lui stesso nei nostri cuori attraverso la Sua grazia.
11. Ma fra di noi, e precisamente a questa stessa mensa, ci sono dei sapienti dei quali ho il massimo rispetto, e con questi è un po' imprudente mangiare nella stessa scodella!
12. A me sono note varie cose delle quali, all'infuori di me, di Raffaele e naturalmente del Signore, nessun altro ne può sapere niente, dato che in un simile incredibile campo ogni esperienza gli deve mancare; però, a che cosa mi serve essere come a casa mia, sulle lontane stelle, e d'altro canto una straniera su questa nostra patria Terra? In simili condizioni conviene qui nascondersi cento e mille volte!»
13. Chiede Cornelio: «E chi è a questa mensa colui che, dal punto di vista umano, hai principalmente tanto rispetto?»
14. Risponde Giara: «Vedi là quel viceré, che d'ora in poi regnerà tutto il Ponto assieme al vecchio Ouran? Si chiama Mataele; ebbene egli sarebbe capace di darmi del filo da torcere! Io credo che a cento domande non sarei capace di dare nemmeno una risposta proprio assennata!»
15. Osserva Mataele: «O mia cara fanciulla, ti sei fatta d'un tratto eccessivamente modesta! Con me non verresti affatto a trovarti in una situazione imbarazzante, considerato che conosco benissimo l'acutezza e la profondità del tuo ingegno! Se già un essere come Raffaele deve, per discutere con te, raccogliere in modo particolare le sue energie, quanto più non dovrà fare altrettanto uno di noi! E il comandante Cornelio fa molto bene se ci pensa su a dovere, prima di scegliere l'argomento riguardo al quale poter ragionare con te! Poiché tu sei una fanciulla come uguale deve essere ben difficile da trovare! Non si può negare che anch'io conosca varie cose, ma nonostante ciò non desidererei affatto avere con te una discussione su certi campi della sapienza, ciò che del resto sarebbe pure una vana stoltezza! Invece avrò quanto mai caro, e apprezzerò molto se potrò venire ammaestrato da te riguardo a più di una cosa»
16. Dice Giara: «Ecco che cosa capita ad una ragazza quando sa anch'essa qualcosa! Nessuno si fida più di scambiare una parola con lei! Perciò per lei sarebbe quasi meglio sapere qualcosa di meno, per non apparire sgradita agli amici più sapienti. Ma che cosa posso farci? Cominciare a sapere di meno di quello che so è impossibile, perché non è in mio potere indebolire la Luce che è nel mio cuore. Ora questa Luce mi viene donata in misura sempre più abbondante dall'amore al Signore, al Padre santissimo dei padri di tutti i padri della Terra! Certo, se mi fosse possibile rendere più debole anche una proporzione minimissima di questo mio unico e solo amore, allora diverrei anch’io senza dubbio immediatamente più stolta; ma questa cosa mi è del tutto impossibile! E di conseguenza, ciò che so fuori da questa Luce non è scienza mia, ma scienza e sapienza del Signore nel mio cuore, e quindi nessuno ha la benché minima ragione di temermi, come io non ho affatto motivo di restare, trepidante dinanzi a nessuno. Dunque tu, o nobilissimo amico Cornelio, puoi ben intrattenerti con me, e tu, o nobile Mataele, pure!»
17. Dice Cornelio: «Sì, hai ragione! Ma tu sai, carissima Giara, che appunto in ciò sta la difficoltà, perché, come già comincio a vedere con molta chiarezza, con te è un po' difficile parlare, appunto per il motivo che nel tuo cuore accogli davvero in abbondanza la sapienza purissima di Dio. Oh, ma tu del resto sei immensamente cara e soave, e si potrebbe stare ad ascoltarti per delle giornate intere; ma in quanto al farti delle domande o al farsi fare delle domande da te, questa è una questione di tutt'altro genere; farsi interrogare è una cosa che non dà pensiero, ma poi viene il momento delle risposte, ed è appunto qui che almeno per me sta la difficoltà!
18. Devo anche confessare che non ho potuto ancora liberarmi del tutto da qualche residuo di presunzione, in seguito al quale non c'è al mondo una cosa che tema di più del restare svergognato, ciò che sicuramente non è comunque buono; ma non so che farci, dato che fin da fanciullo sono stato educato in questo modo, e una abitudine tanto inveterata, non la si perde così facilmente come si potrebbe credere.
19. Ma comunque aspetta ancora un po'; finirà ben con il venirmi in mente qualcosa di sensato, e poi sarò con vera gioia in attesa che tu mi dica qualcosa di improntato a genuina sapienza!»
La domanda di Cornelio a Giara.
1. Giara si dichiara così soddisfatta, e Cornelio si dà con deliberata diligenza a rovistare nel cervello in cerca di qualche cosa di buono, ma ciò non gli riesce affatto.
2. Finalmente a Cornelio viene un'idea, e domanda a Giara: «Bene, bene, ecco che ho trovato pure qualcosa! Dimmi, dunque: “Che cosa è veramente il Sole e da quali elementi è composto, considerato che esso versa sul suolo della Terra una luce così intensa e un calore quasi incredibile?”. Se tu, o soave Giara, sei in grado di dirmi qualcosa anche a questo riguardo, sono pronto a darti un premio regale, sempre che tu lo voglia accettare!»
3. Risponde Giara in tono lievemente ironico: «Sai tu, o nobile reggente, in questa maniera si fa soltanto quando si vuole togliere da uno stagno i pesci fradici per pulire lo stagno stesso, dato che i pesci fradici rendono l'acqua puzzolente, impura e di conseguenza malsana! Hai compreso, signor comandante Cornelio?
4. Se tu hai dei tesori superflui, potrai ben trovare numerosi poveri, particolarmente qui nella città distrutta dal fuoco, ai quali far pervenire un soccorso regale, ma io non ho bisogno che nessuno su questa Terra mi offra un compenso, perché ho tutto l'amore del Signore, e questo è la mia unica e massima ricompensa!
5. Certamente risponderò alla tua domanda e non ti resterò debitrice di niente, ma non per ciò potrò accettare da te una ricompensa, men che meno poi nel senso terreno. Perché una cosa simile dovrei considerarla uno dei più gravi peccati, poiché, in primo luogo, facendo così sottrarrei quanto vorresti donarmi a chi è veramente bisognoso, e in secondo luogo ti priverei evidentemente dell'occasione di fare qualcosa di veramente buono, dato che io stessa non sono affatto una povera figlia di questo mondo e che considerato tutto bene posseggo, forse anche dal punto di vista materiale, dei tesori che tu non potresti pagare neanche offrendo tutto un impero, e dei quali, rigorosamente parlando, ho altrettanto poco bisogno quanto della ricompensa regale che mi hai offerta.
6. Non credere però che queste mie parole siano dettate forse da una qualche specie d'orgoglio, ma è la pura ed innocua verità che esprimo; perché, se in me ci fosse soltanto anche una minimissima scintilla d'orgoglio, non siederei qui a fianco al Signore e Maestro di tutti i signori e maestri! Ecco, o carissimo amico mio Cornelio, questa volta, con la tua proposta, il successo ti è un po' mancato.
7. Vedi, le umane creature, che certo sempre immeritatamente godono di una qualche grazia da parte del Signore, vanno trattate e giudicate differentemente dai veri e propri esseri umani naturali del mondo.
8. Tu ti immaginasti che io, ragazzetta al massimo quattordicenne, fossi probabilmente vanitosa per natura, come lo sono le altre fanciulle del mondo, e che avrei provato addirittura una gioia immensa nel vedermi adorna di vesti regali. Ma una simile vanità è più lontana da me della più minuta stella che il tuo occhio può scoprire da questa Terra in un qualche punto del firmamento, e ciò evidentemente vuole pure significare qualcosa! Ritira dunque presto l'offerta di ricompensa che mi hai fatta, altrimenti in nessun caso risponderò alla tua domanda!»
9. Dice Cornelio: «Orbene, poiché presso di te sono venuto così a sproposito con la mia offerta, secondo il tuo desiderio la ritiro ben volentieri e farò invece come mi hai consigliato; ma adesso rispondi in amicizia alla domanda che ti ho posto!»
10. Allora Giara cominciò a raccogliere tutte le energie della sua mente e poi disse: «Tu ora vuoi sapere da me che cosa è il Sole e da che elementi è composto per poter riversare sul suolo di questa Terra luce e calore in abbondanza così straordinaria?
11. Ebbene, sono certo in grado di fornirti a questo proposito delle spiegazioni assolutamente sincere. Ma a che cosa ti gioveranno poi? Tu puoi bensì credermi, come un cieco può credere a qualcuno che gli racconta di un fiore e che questo è di un color rosso meraviglioso. Potrà mai il cieco convincersi da sé che quel fiore è davvero prodigiosamente bello nel suo colore rosso? Una simile cosa sarà ben difficile durante questa vita terrena, e nell'aldilà l'anima libera vorrà sicuramente curarsene assai poco; perché comunque ad essa riuscirà di vedere in un istante e di imparare molto di più che non su questo mondo anche in cinquant'anni di diligenti e faticose ricerche»
12. Dice Cornelio: «Qui, o soave fanciulla, hai perfettamente ragione; io certo non potrò mai convincermi "AD PERSONAM MEAM" (personalmente) della verità delle tue asserzioni riguardo al Sole; ma ormai so pure che a te non è proprio possibile dirmi una cosa non vera, perché quello che sai, lo sai e lo puoi anche sapere solamente in quanto ti viene rivelato dal Signore; di conseguenza posso senz'altro accettare come perfetta ed inoppugnabile verità tutto ciò che riguardo al Sole potrai e vorrai dirmi!»
13. Dice Giara: «E allora sta bene! Però mi riservo di vedere se tu alla fine non comincerai a scrollare le spalle! Ascoltami dunque».
Il Sole naturale
1. Parla Giara: «Ecco, il Sole è precisamente come questa nostra Terra, la quale, come vedi, non è tanto piccola. La luce però che irradia da quel gran mondo non ha niente a che fare con il corpo solare abitato, ma proviene da un'atmosfera che lo circonda da tutte le parti, la cui superficie perfettamente liscia (dell'atmosfera), in primo luogo, per effetto del continuo attrito con l'etere circostante, produce ininterrottamente quantità incalcolabili di energia luminosa elettrica, inoltre, in secondo luogo, l'atmosfera rappresenta un enorme specchio sferico, accogliente e riflettente in ogni direzione possibile la luce di milioni di altri soli.
2. In forza di questa luce emanata dal nostro Sole viene illuminata e riscaldata questa Terra, nonché molte altre terre ancora che chiamiamo pianeti. Ma il calore non arriva dal Sole fino alla Terra contemporaneamente alla luce, ma viene prodotto dalla luce appena sul posto.
3. La luce certo ci arriva da molto lontano, ma il calore invece viene prodotto appena qui, e precisamente con ciò che mediante la luce gli spiriti naturali dell'aria, dell'acqua e della terra vengono eccitati e indotti ad una grande attività; ed è questa attività che produce quello che noi percepiamo come calore secondo la denominazione da voi data a una simile energia, oppure come ardore qualora l'attività dei menzionati spiriti venga per una ragione o l'altra intensificata. Però, come la luce può venire potenziata all'infinito, ugualmente all'infinito può venire potenziato anche il calore.
4. Tu poi domanderai, "Chi mai può sussistere sul sole stesso? Poiché, laddove la luce è intensa al massimo, là deve manifestarsi al massimo grado anche il calore!". Ma la cosa non sta in questi termini, poiché, fino alla superficie del vero e proprio corpo solare penetra, a mala pena, la milionesima parte della complessiva potenza luminosa del Sole, producendo ben poco più di luce e di calore di quanto ne abbiamo su questa nostra Terra; cosicché le creature di Dio possono esistere altrettanto bene quanto su questa Terra. Sul Sole, invece, non ci può mai essere notte, considerato che su di esso tutto si trova immerso nella sua indistruttibile luce.
5. Quindi, gli abitanti del Sole non sanno affatto che cosa sia la notte, tuttavia essi, pure nel loro giorno eterno, possono distinguere molto bene ancora le stelle ed i pianeti che assieme alla nostra Terra girano intorno al Sole, e ciò è dovuto all'involucro atmosferico di una purezza assoluta e alto 1200 ore, dentro il quale si trova il corpo solare. Verso la superficie del corpo solare, la purezza dell'atmosfera viene certo di quando in quando e in qualche luogo turbata da molte e fitte nubi, ma d'altra parte ci sono dei periodi perfettamente sereni, durante i quali il mondo esteriore lo si vede benissimo e può venire osservato molto meglio ancora che da qualsiasi altro pianeta.
6. Il Sole gira intorno al proprio asse, ma non nel tempo di quasi venticinque ore come questa nostra Terra, ma compie il giro in ventinove giorni. Di conseguenza, entro questo tempo gli abitanti del sole sono in grado di ammirare tutto intero il cielo stellato, particolarmente quelli della zona mediana, i quali, a quanto sento in me, dovrebbero essere i più sapienti e i più belli, mentre gli abitanti delle altre zone hanno analogia piuttosto con i vari pianeti che lo circondano.
7. Per quello poi che concerne la costituzione interna dell'enorme corpo solare, il mio intuito mi dice che dentro di questo dovrebbero esserci ancora degli altri corpi mondiali, situati l'uno nell'altro come in altrettante sfere cave, e distanti l'uno dall'altro da due, tre e fino quattromila ore di cammino, ciò che però non si deve considerare come un rapporto costante, dato che questi corpi solari interni, talvolta si dilatano molto ed altre volte invece si restringono fino a ritornare allo stato normale. Gli interstizi tra l'una sfera e l'altra sono riempiti o di acqua od anche di ogni tipo di elementi gassosi.
8. Il perché infine tutto debba essere così non te lo posso dire, perché questa cosa la conosce soltanto il Signore e Maestro dell'infinità che ora siede presso di noi; se vuoi saperne di più, conviene che tu ti rivolga a questo Unico e Solo!»
9. Dice Cornelio: «Ti ringrazio molto, o mia dilettissima e gentilissima fanciulla, per le rivelazioni che mi hai fatto adesso; rivelazioni che accetto dall'Alfa all'Omega, perfino con il mio intelletto, con assoluta fede come veritiere, perché non ci riscontro nulla di assurdo; ma a che distanza dunque da questa Terra deve essere situato il Sole per poterci apparire così piccolo nonostante la sua enorme grandezza?»
10. Risponde Giara: «Su questa Terra ora non esiste una misura adeguata per questa cosa; gli egiziani però ne avevano una e i futuri discendenti però - in Europa e non in Asia - scopriranno nuovamente un sistema di misura. Tuttavia, tanto posso dirti: se una freccia venisse lanciata con la massima forza dalla Terra in direzione del Sole, mantenendo sempre la rapida velocità, dovrebbe volare per venti interi anni terrestri prima di raggiungere il Sole!
11. Ed ora puoi tu stesso fare il calcolo. Basta che misuri il tempo che una freccia impiega per arrivare ad una distanza di mille passi d'uomo, e tu troverai che la freccia, malgrado tutta la sua velocità, impiegherà tuttavia due istanti a percorrere la distanza di mille passi d'uomo. Un'ora di tempo, però, di simili doppi istanti di tempo ne comprende 1800; un giorno però conta 24 ore, ed un anno è formato da 365 giorni, cosa che senz'altro già conoscerai. Ma ora se conosci questo, per poco che tu sappia fare il conto, arriverai presto a conoscere la distanza che separa il Sole dalla Terra. Di più non ti posso dire e spiegare, poiché, anche se lo sapessi, mi manca tuttavia la misura ed una espressione sufficiente per indicare il numero! Figurati 40.000 volte 1.000 ore di cammino, e tu avrai all'incirca la distanza che c'è dalla Terra fino al Sole!»
12. Cornelio, allora, rimane stupefatto ed esclama: «Davvero, simili cose non sarei mai andato a cercarle in questa ragazzina. Essa calcola, nella sua testa, con i più grandi numeri di questo mondo, come uno di noi conta sulle dita le quantità minime. Ciò va al di là perfino delle enunciazioni di Euclide, il più grande matematico che ci sia stato! No, in verità, è la prima volta che mi succede una cosa simile e di questa specie! Ma dimmi ora Tu, o Signore: posso accettare tutto questo così come mi è stato esposto? Io ho l'impressione che questa fanciulla abbia colpito nel segno con abbastanza precisione!»
L'educazione del cuore e della mente.
1. Dico Io: «Per quanto questo non sia un Vangelo, tuttavia, così com'è, tutto è verità che con il tempo avrà essa pure il buon effetto di guarire gli uomini da varie superstizioni. Poiché in nessun altro campo l'umanità si trova invischiata così fortemente nella superstizione quanto in quello luminoso del cielo stellato. Però non è ancora giunto il tempo in cui si potrà chiarire pienamente all'umanità un simile problema, poiché ora anzitutto si tratta di formare, fuori dalle attuali larve umane degli uomini, verità e realtà perfette.
2. E questa meta la si può raggiungere solamente se si guida l'uomo, finalmente, alla conoscenza di se stesso, e poi anche a quella di Dio, in modo che l'uomo giunga ad amare Dio sopra ogni cosa e con tutte le sue forze. Arrivato l'uomo a consolidarsi su questo terreno e reso atto a ricevere da Dio il Santo Spirito, allora egli si rende sensibile pure a tutte le altre verità da lui ancora ignorate e viene posto in grado anche di comprenderle!
3. Ma se si volesse così su due piedi sovraccaricargli il cervello di tali cognizioni, non riuscirebbe affatto a comprenderle, ed il lavoro mentale che gli verrebbe imposto lo condurrebbe addirittura alla pazzia!
4. Conseguentemente a tale riguardo, la norma fondamentale è questa: "Prima di acquisire qualsiasi scienza, gli uomini devono diventare dei veri uomini, altrimenti qualsiasi scienza, anziché vantaggio non può arrecare loro che danno". Infatti, ciascuna scienza non fa che lavorare l'intelletto che risiede nel cervello, mentre il cuore, che è il fondamento della vita, rimane incolto, rozzo e selvaggio, come quello di un animale feroce; ed allora, con la scienza si suscita mali maggiori che non avendo alcuna scienza, poiché per un cuore perverso la scienza è come un faro che gli indica la via ad ogni tipo di maligne opere!
5. Perciò, o uomini e fratelli miei, a coloro che sono ciechi, procacciate anzitutto una vera luce della vita del cuore, e fate che solo questa luce illumini dopo anche l'intelletto dell'anima; ed allora sì che ciascuna scienza diverrà per l'uomo una vera benedizione!
6. È certo una cosa molto lodevole essere ricco di cognizioni, dato che così si può aiutare talvolta il prossimo con un consiglio, ma migliore cosa è l'amore che desta e vivifica; la scienza invece soddisfa soltanto, ma poi si pone a giacere sul suo letto di riposo!
7. E così la scienza giova certo all'uomo nel tempo, ma d'altro canto lo danneggia nell'eternità per quanto concerne il ridestarsi dello spirito in lui; se però invece la scienza sorge con il tempo fuori dalla Luce eterna dello spirito, quale un ottenimento in più come dono, allora non può mancare che tale Luce sia ricolma di tutto il calore vitale vivificante, che viene elargito laddove tale Luce cade, e laddove la vita già esiste, questa viene maggiormente vivificata ed intensificata.
8. CredeteMi: "Gli innumerevoli prodigi circolanti negli spazi per voi incommensurabili, ciascuna creatura umana li porta celati e riposanti nel proprio spirito"; e perciò, prima di ogni altra cosa, procurate dunque che il vostro spirito si ridesti compiutamente, e in voi stessi potrete vedere con la massima chiarezza e potrete percepire con tutti gli altri sensi, fedelissimamente, quello che nessun occhio umano ha mai visto e nessun orecchio ha mai percepito.
9. Chi veramente riconoscerà ed amerà Dio in Me, il Figlio dell'Uomo, egli già in questa vita godrà di beatitudini della cui magnificenza e splendore nessun senso umano ha finora percepito e neppure mai immaginato! Ma per le aride e complicate vie della pura scienza, certo nessuna umana creatura raggiungerà mai più questa meta! Comprendi, o Cornelio, queste cose?».
Il destino della Dottrina divina.
1. Dice Cornelio: «Quanto Tu ora hai detto è pieno di verità, dal punto di vista della pura vita umana, la quale però non è stata mai ancora enunciata a questo mondo; infatti, se non fosse mai stata qualche volta ed in qualche modo enunciata, certo si sarebbe trovato qualcuno che l'avrebbe compresa per quello che veramente è, e avrebbe conformato rigorosamente ad essa anche la propria vita, in maniera che gli effetti non avrebbero potuto sicuramente mancare.
2. Ma a me, che pur qualcosa conosco, non mi consta che ciò sia mai avvenuto, ma, almeno per quanto concerne noi pagani, è avvenuto precisamente il contrario, e perciò merita davvero una profonda ammirazione un Socrate, un Platone ed un Frigio, un Plotino, tutti nobili spiriti, come pure vari grandi uomini di Roma, i quali soltanto attraverso sforzi eroici, compiuti in opposizione assoluta alle leggi del politeismo, sono tuttavia riusciti a trovare con discreta precisione le Tue orme, cioè dell'unico vero Dio.
3. Fu Platone a dire che l'unico vero Dio, per quanto sconosciuto, deve essere il purissimo Amore; quanto più si approfondiva in meditazioni riguardo allo sconosciuto Dio, tanto più si accentuava il calore del suo cuore, e quando si accorse che questo benefico calore aumentava, avendo un medico osservato che doveva trattarsi di una malattia, egli scoppiò a ridere e disse: "Se questa è una malattia, non posso che augurarmi che si accresca nel mio cuore, poiché mi procura un benessere incomparabilmente maggiore di qualsiasi stato di perfetta salute, per quanto lodabile!”
4. E Platone amò sempre più il Dio sconosciuto, e raccontò poi egli stesso come, nei momenti supremi del suo amore al Dio sconosciuto, contemplò appunto questo Dio, come Egli fosse compiutamente collegato con lui e quali inesplicabili delizie avrebbe provato in simili occasioni!
5. Le stesse cose le raccontarono pure gli altri sapienti, ed i loro insegnamenti avrebbero potuto certo influire sull'umanità e in maniera quanto mai salutare se alla loro diffusione i ministri di Dio, che ben conosciamo, non si fossero opposti con ogni abominevole mezzo.
6. Ma le cose sono andate sempre così e probabilmente così andranno anche in avvenire, e per questa ragione la verità pura non poté prendere mai piede apertamente in nessun luogo, dato che coloro che avrebbero dovuto essere i più prossimi ministri della verità, guidati dai loro volgarissimi interessi, le sbarrarono essi stessi il cammino, la cacciarono in un labirinto tenebroso e ne ridussero la via, originariamente diritta e aperta, ad un groviglio di mille e mille sinuosità le quali, come racchiuse dentro una muraglia tenebrosa, impedirono sempre, a chi andava cercando, l'accesso all'intimo centro, dove è eretto il tempio antico dell'eterna verità.
7. O Signore! Neppure alla Tua Dottrina toccherà una sorte migliore, non appena anche un solo sacerdote comincerà a carpirne la gloria a vantaggio della propria persona. Di maestri ce ne devono essere, ma fra dieci se ne troverà sempre uno affetto da tale tigna. Ora questo comunicherà fin troppo presto agli altri il suo male, ed ecco che allora la verità verrà già a trovarsi a mal partito!
8. Mosè, il sapientissimo del Cairo e figlio adottivo della figlia del faraone, iniziato in tutto, incise la verità divina su tavole di marmo, e pieno della potenza di Dio comandò, sotto la minaccia di sanzioni tremende, che al popolo venisse annunciato soltanto quello che stava scritto sulle tavole e che il popolo stesso venisse incitato a vivere e ad operare conformemente a questi insegnamenti; dal suo tempo sono trascorsi appena mille anni; ma che aspetto ha ormai la santa Dottrina incisa sulle tavole di marmo? All'infuori del nome, non è possibile più trovarne nemmeno una traccia! Dov'è l'antica e meravigliosa Arca dell'Alleanza, quella che suscitava spavento e incuteva rispetto? Dove sono le tavole originali che Mosè di propria mano ricoperse di caratteri e che sembravano destinate a durare in eterno? Vedi, tutte queste cose le hanno distrutte i successori di Mosè, unicamente per tutelare i propri e luridi interessi mondani!
9. Perciò, senza alcuna pretesa di fare il profeta, dico: "Come sempre fu, così ancora è, e così sarà sempre in avvenire, e se Tu, o Signore, affiderai la Tua Dottrina agli uomini perché l'amministrino, senza dubbio in capo a mille anni apparirà disperatamente contorta e stravolta, e l'umanità dovrà allora, come Diogene, andare in cerca della verità in pieno giorno, e tuttavia nella sua integrità non potrà trovarla".
10. Certamente, presso singole persone la piena verità si manterrà di nascosto, ma per la generalità non resterà di più di quanto sia rimasto di Mosè ai figli di Abramo nel tempo attuale, cioè una buccia vuota e dei vani nomi! Chi è che comprende ormai più qualcosa dello spirito delle dottrine mosaiche?
11. Di conseguenza insisto nell'affermare che l'umanità è sempre stata così, e che salvo piccole varianti così anche resterà.
12. Una novità ecciterà sempre la curiosità degli uomini e li indurrà a muoversi; ma quando essi si saranno anche per poco abituati, allora ben presto anche la cosa più nobile, diventata quotidiana, perderà ai loro occhi il suo valore e li lascerà indifferenti. Se si vuole però che essa, almeno in certa misura, mantenga il suo potere stimolante, necessita che venga spesso ringiovanita o rinfrescata con ogni tipo di manifestazioni straordinarie, e che vi venga apportato qualche cambiamento, naturalmente nella forma occorrente per evitare pregiudizio alla questione principale, altrimenti l'umanità comincerà di nuovo, pure fra il rombare dei tuoni e lo schianto dei fulmini, a fabbricarsi dei vitelli d'oro e a danzarvi allegramente intorno per ammazzare la noia.
13. E veramente più di un sacerdote merita di essere scusato, se vende al popolo della miserabile apparenza del vero per merce genuina e preziosa, e se gabella per qualcosa di divino puro quello che è invece rozza materia; infatti, quando il torrente della tenebra si è fatto di per sé troppo irruente, anche il nuotare contro corrente non riesce più possibile, ed anche il sacerdote meglio intenzionato, ammesso pure che serbi tacitamente in sé qualche scintilla della vera Luce di verità, deve NOLENS SEU VOLENS (Volente o non volente) seguire la corrente, in caso diverso finisce con il venire sommerso dalle acque!
14. O Signore! Da quando la specie umana dimora su questa Terra, questo male fu il suo perpetuo e inscacciabile accompagnatore; cosa questa che non si potrà mai e mai più assolutamente negare. Ma non sarebbe possibile, dunque, guarire radicalmente e per sempre l'umanità da un simile flagello antico? Perché non riesco a vedere il motivo per cui l'umanità debba sempre di nuovo languire e andare in rovina!»
La dignità della libertà di volere umana.
1. Dico: «Ascolta, o Mio carissimo! Questa cosa rappresenta una necessità estrema sul corpo mondiale che porta gli uomini destinati a diventare altrettanti veri figli di Dio!
2. La minima limitazione spirituale imposta da parte Mia alla liberissima volontà, frustrerebbe completamente questa Mia intenzione!
3. Perciò qui sulla Terra deve essere lasciato assolutamente ed illimitatamente libero il campo d'azione per poter giungere ad ogni comunissimo vizio degno del più orrendo e profondo Inferno, come anche per poter arrivare alle più sublimi virtù oltre ogni Cielo, altrimenti non se ne fa niente con la formazione dei figli di Dio su questa Terra a ciò destinata!
4. Ed è qui appunto che sta la misteriosa ragione, per la quale perfino la meravigliosissima Dottrina di Dio viene con il tempo trascinata nel fango più immondo!
5. Nessuno potrà mai dire assolutamente della Mia Dottrina che essa richieda in qualche modo qualcosa d'innaturale, d'ingiusto e d'impossibile, e tuttavia con il tempo si insinueranno tali durezze e tali difficoltà di adempimento, che nessuno sarà più in grado di osservarla nella sua integrità.
6. Nella foga di uno zelo esagerato si organizzeranno macelli e a centinaia di migliaia gli uomini verranno massacrati peggio delle più feroci bestie dei boschi, e così facendo si penserà di rendere a Dio un servizio fra i più graditi.
7. Anzi, se gli uomini vorranno, Io stesso dovrò lasciarMi far prigioniero ed infine perfino lasciarMi uccidere nel corpo, per concedere appunto con ciò la massima libertà d'azione alla loro volontà, poiché fuori da questa e attraverso questa suprema ed illimitatissima libertà le creature umane di questa Terra sono poste perfettamente in grado di innalzarsi alla dignità altissima di veri figli di Dio, in tutto assolutamente simili a Lui, e di veri dèi essi stessi.
8. Come soltanto Io stesso attraverso la Mia illimitatissima potenza di volontà sono Dio da eternità in eternità, nell'identica maniera devono innalzarsi a dèi per l'eternità anche i figli del Mio Amore!
9. Ma per raggiungere questa meta, è appunto necessario quel processo di formazione spirituale del quale non sei affatto ancora persuaso; se però ti dai la fatica di pensarci soltanto un po', vedrai che non è possibile un procedimento diverso.
10. Dove si tratta di salire alle più grandi altezze, deve essere data anche la possibilità di scendere alle massime profondità!»
11. Cornelio resta allora qualche tempo meditabondo, e poi dice: «Sì, sì, o Signore, comincio a percepire un lieve albeggiare nel mio petto! Sento che infine dovrei ben comprendere la cosa, ma ci sono ancora delle nuvole e delle nebbie che impediscono alla mia anima di affacciarsi sui campi della vera luce. In certi momenti mi accorgo benissimo che in me si fa più chiaro ed allora comprendo molte cose, fra le altre ora anche questa, in modo che non mi sarebbe più possibile di sollevare contro alcun dubbio! Ma per quanto riguarda il trovarsi a proprio agio ed in perfetta luce in questa sfera della verità certo finora sconosciuta a tutti, ebbene, per quanto mi concerne ce ne vorrà un bel pezzo ancora!
12. O Signore, non potresti accendere nel mio cuore, anche in questo campo, una scintilla un po' più ricca di luce?».
13. Dico Io: «Certo che lo potrei, ma allora la luce più intensa non sarebbe opera tua, ma unicamente opera Mia, e di conseguenza sarebbe qualcosa di estraneo in te. Tu poi non avresti alcun bisogno di cercare o di pregare, né di bussare ad alcuna porta.
14. Ma Io invece voglio, e così devo anche volere, che ciascun uomo progredisca sulla via prescritta da Me, e che con le proprie fatiche e con il proprio sacrificio acquisti quello di cui ha bisogno per questo mondo e per l'aldilà, altrimenti non sarebbe mai capace di un'attività completamente libera, ed appunto per questo non potrebbe mai rendersi indipendente.
15. Ora, l'assoluta indipendenza è la premessa più indispensabile per il raggiungimento del grado più alto possibile di beatitudine.
16. Considera la posizione di un servitore, per quanto ben trattato sia; egli, presso il suo padrone ha quasi tutto quello che quest'ultimo, persona facoltosissima, possiede; egli può mangiare le migliori vivande e bere i vini più squisiti alla mensa ospitale del proprio signore. Se il suo signore intraprende un viaggio sia per mare sia per terra lo conduce con sé, e quanto gode il padrone, gode anche il servitore. Eppure c'è un divario tra la felicità dei due.
17. Molte volte il pensiero del servitore ricorre al proprio stato, e dice fra sé: "Io ho un buon padrone ed egli non mi chiede mai qualcosa che potrei chiamare ingiusta. Godo la sua stima e vengo da lui trattato benissimo, eppure se volessi un giorno dinanzi a lui darmi una certa importanza, egli potrebbe dirmi: ‘O mio servitore, finora ti ho tenuto come un mio figlio, e perciò non ti ho chiesto che dei lievi ed equi servizi. Tu ora però ti sopravaluti e cominci a fare da padrone; di conseguenza, come servitore non fai più per me e conviene che abbandoni la mia casa!’. Allora dovrei andarmene e sarei ridotto alla mendicità, mentre il mio padrone continuerebbe ad essere un signore con molti beni a sua disposizione»
18. Vedi, o amico mio, nel servitore questo pensiero amareggia molto spesso il sentimento della felicità; mentre è ben differente il caso del padrone, il quale anche se ha molto caro il suo servitore, non occorre che si preoccupi se questo lo vuole lasciare, poiché per quest'uno che perde può trovarne con facilità altri cento. Egli resta il facoltoso padrone e l'indipendente possessore di molti beni e inestimabili altri tesori! La sua felicità non può dunque venir turbata per quell'uno, mentre quella del servitore può eventualmente da un momento all'altro fare completamente naufragio. Ora, vedi, gli stessi rapporti sussistono anche nel nostro caso.
19. Finché Io, quale il Signore di ogni vita e di ogni luce, devo continuamente ispirare vita e luce in voi, voi non siete che Miei servitori; perciò posso mantenervi la vita e la luce finché Io solo voglio fare così. Come potreste, altrimenti, procurarvi luce e vita? Non deve già il pensiero della possibilità di quello che ora ho detto suscitare in te un senso bene accentuato di angoscia?
20. Ma quando in un animo, però, può ancora venire risvegliata una qualche paura, timore ed inquietudine, è escluso che si possa fare un qualche discorso di una beatitudine perfetta!»
Il talento e la destinazione dell'uomo.
1. Il Signore: «A questo scopo appunto sono venuto Io stesso su questa Terra destinata a portare le generazioni dei Miei veri figli, per sciogliervi dai lacci della necessità costrittiva imposta alla creatura e per mostrarvi con le parole e con i fatti la via alla vera vita libera, indipendente ed eterna, nonché per raddrizzare questa ed appianarla con l'esempio che vi do Io stesso.
2. Unicamente per questa via sarà reso possibile l'accesso alla Gloria incommensurabile di Dio, Mio e vostro Padre.
3. Perché come Uomo, Io lo sono al pari di voi; ma in Me dimora la pienezza originaria della Gloria divina del Padre, il Quale in Sé non è che puro Amore; dunque, non Io, uomo come voi, sono ora che vi parlo, bensì la Parola che ora intendete da Me è la Parola del Padre che è in Me e che Io ben conosco, mentre voi non Lo conoscete; infatti, se voi Lo conosceste, la Mia missione sarebbe vana. Ma appunto perché non Lo conoscete, né mai Lo avete conosciuto, perciò allora sono venuto Io stesso per mostrarvi il Padre e per farveLo conoscere perfettamente.
4. Questa però è la Volontà del Padre: "Che tutti coloro i quali credono che Io, il Figlio dell'Uomo, sono inviato dal Padre, abbiano la vita eterna e la gloria del Padre per diventare e restare eternamente dei veri figli dell'Altissimo!"
5. Ma per conseguire questo scopo è necessario che in questo mondo Cielo ed Inferno dimorino sotto il medesimo tetto! Senza lotta non esiste vittoria! Perché ci sia la possibilità di arrivare al sommo dell'altezza, devono essere create le condizioni perché venga sviluppato il massimo dell'attività, ovvero per raggiungere un estremo occorre prima svincolarsi dall'estremo opposto.
6. Ora come sarebbe immaginabile un'altitudine suprema, senza il punto di riferimento di una massima profondità? Ovvero può qualcuno di voi figurarsi una montagna senza le valli alle parti? Non vengono le altezze dei monti valutate secondo la profondità massima delle valli che ne segnano i confini? Dunque, ci devono essere delle valli molto profonde, e chi dimora nella profondità della valle deve arrampicarsi sul monte affrontando molte difficoltà, se vuole deliziarsi nella contemplazione libera di un vastissimo panorama. Ma se le valli non ci fossero, non ci sarebbero neppure delle montagne, e nessuno potrebbe salire su di una qualche altura per godere di una vista sia pure un po' più ampia dell'ordinario.
7. Questa è solamente un'immagine materiale, ma tuttavia essa porta in sé la rispondenza della nobile realtà spirituale, e per chi può, e vuole pensare, essa assumerà un significato sempre maggiore.
8. Nella sfera della vita interiore siete chiamati e scelti per raggiungere la vetta suprema; conseguentemente deve esserci fra voi anche una profondità estrema, ed al fine di combattere in voi stessi questo termine opposto della suprema altezza, voi disponete di una volontà perfettamente libera, nonché di un potere a voi proprio elargitovi da Dio.
9. Ecco, o Mio caro amico Cornelio, in questi termini stanno le cose ed i rapporti della vita su questo mondo, e ciò per la ragione che così devono essere! E credo che sperabilmente a questo riguardo non avrai più altre domande da fare!
10. Io potrei condurti in spirito su di un altro mondo, dove troveresti ogni cosa in uno stato di perfezione simile a quello inimitabile delle opere degli animali; però, a che cosa serve loro questa perfezione, che continuamente si ripete invariata? Essa non fa altro che nascondere le necessità della loro vita quanto mai meschine e sempre uniformi, ma oltre a questo limite non trovi proprio assolutamente nulla.
11. Potrebbero, in simili condizioni, venire allevati ed educati dei figli di Dio?
12. Invece in voi, uomini di questa Terra, si trova l'infinito, soltanto che questo ancora non è sviluppato; e perciò anche il bambino, quando viene al mondo, di per sé non può affatto nulla, e si trova in uno stato rilevante d'inferiorità rispetto all'animale appena nato, di qualunque specie esso sia.
13. Ma appunto perché si presenta al mondo così nudo, debole ed inetto e quasi incosciente come un polipo del mare e come un vaso del tutto vuoto, appunto perciò gli è data la possibilità di assurgere fino alla suprema coscienza divina e ad ogni perfezione.
14. Fate dunque ben attenzione a tutto quello che ora vi ho detto e conformatevi le vostre opere; in questo modo anche voi raggiungerete immancabilmente quella Meta, alla quale tutti voi siete eletti e chiamati nel tempo e per l'eternità. Ora dimMi, tu amico Mio carissimo, qual è il tuo intimo pensiero riguardo a questa Terra e alle sue creature umane nella luce e nelle tenebre?».
Il ricordo di Cornelio della nascita di Gesù.
1. Cornelio rimase allora qualche tempo immerso in riflessioni, e finalmente disse con accento della più profonda meraviglia: «O Signore, Signore, sì, certo, è vero! Ma resta pure eternamente vero che se Tu volessi entrare sotto il mio tetto, io non ne sarei mai degno! Perché Tu solo sei Colui del Quale Davide, il gran re dei giudei e del quale in gioventù ho letto i salmi, profetizzò con le parole: "O porte, alzate i vostri capi, e voi, porte eterne, alzatevi e il Re di gloria entrerà! E chi è questo Re di gloria? Egli è il Signore Zebaot, il Signore possente in battaglia!" (Salmi 24,7-8)
2. Questa cosa, come detto, l'ho già appresa in gioventù e, strana cosa, più tardi gli avvenimenti ebbero un corso tale che io dovetti essere testimone oculare della Tua nascita a Betlemme, e contemporaneamente fui anche colui che indicò ai Tuoi genitori la via della fuga dinanzi alle crudeli insidie di Erode.
3. Ma quella volta avevo appena venticinque anni compiuti, ed ormai ne ho buoni trenta di più. Durante questo tempo molte vicende ho incontrato lungo il cammino della mia vita; molto ho anche visto ed inteso, e ho fatte molte esperienze. Ma, nonostante tutto ciò, le singolari parole di Davide, e la Tua nascita con tutte le apparizioni che l'hanno accompagnata, sono ancora tanto presenti nella mia memoria, e così chiare dinanzi agli occhi miei, che mi sembra che questi avvenimenti assolutamente si siano svolti appena ieri o l'altro ieri, e risuonano sempre nelle mie orecchie le parole: "O porte, alzate i vostri capi, e voi, porte eterne, alzatevi e il Re di gloria entrerà! E chi è questo Re di gloria? Egli è il Signore Zebaot, il Signore possente in battaglia!"
4. E questo versetto del Salmo lo avevo in mente già al tempo della Tua nascita, e quando Tu, o Signore, guaristi i miei servitori ed in seguito mi fu concessa la grazia immensa di poterTi ancora incontrare, tali versetti li ripetei molto spesso nel mio cuore, che sopra ogni cosa Ti ama e venera! Ed oggi, ancora una volta, dico e testimonio che Tu solo sei il grande ed eterno Re della gloria del Quale il sapiente e massimo re dei giudei ha cantato nel suo spirito profetico! Ma se Tu non fossi quel Re Zebaot, come potresti esprimere cose tali rispetto agli uomini quali sono state espresse ora con le Tue parole?
5. Ah, ma bisognerebbe pure che a ciascuno di noi queste Tue santissime parole restassero impresse indelebilmente nella memoria, per quanto però che la mia memoria non sia stata mai il mio lato forte, tuttavia la questione principale, vale a dire il suo nocciolo, questo sì che mi resta. Ma quanto ci hai detto adesso, giace troppo al di là di ogni concetto umano, e anche se almeno io sono riuscito a comprenderne discretamente il senso, la cosa mi appare pur sempre come un lucido sogno, ed io mi aspetto di avere un bel da fare per renderla il più possibile evidente alla mia famiglia quando avrò fatto ritorno alla mia casa, perché la mia memoria non giunge a trattenerne tutti i punti con la dovuta fermezza, né con la fermezza con la quale è uscita dalla Tua santissima Bocca»
6. Gli dico: «Oh, a questo si può rimediare immediatamente e con molta facilità! Vedi, qui con noi abbiamo Raffaele, l'angelo; basta che tu metta a sua disposizione alcuni fogli di buona pergamena, ed egli subito metterà per iscritto per te tutti i chiarimenti dati poco fa da Me su questo argomento, il quale certo è di grandissima importanza.
7. Cornelio, con la maggiore gioia di questo mondo, chiama allora i suoi servitori e fa portare una ventina di fogli di eccellente pergamena, nonché dell'inchiostro e una penna d'oro.
8. L'angelo tocca appena la pergamena con la penna intinta nell'inchiostro, e in un attimo tutti i venti fogli risultano riempiti in bellissima forma.
9. Dopo ciò l'angelo porge i venti fogli a Cornelio perché li esamini, e questi non può cessare di meravigliarsi per come l'angelo abbia potuto scrivere tutto il Mio discorso in un tempo che non poteva non apparire infinitamente breve! Cornelio non era stato prima d'allora presente quando il nostro Raffaele, in precedenti occasioni, aveva fornito prova della sua prodigiosa rapidità nello scrivere; perciò egli rimase ancor più sbalordito constatando sia l'incredibile celerità con la quale l'angelo aveva sbrigato il suo incarico per ricordare per iscritto le parole da Me pronunciate e sia per il fatto che queste figuravano scritte tanto in greco che in latino, e con una tale esattezza che non mancava nemmeno un punto.
10. Ma la cosa attirò pure al massimo grado l'attenzione di Kisjonah, di Fausto e di Filopoldo, che già conosciamo, e li colmò di stupore; e Filopoldo, che era sempre quanto mai desideroso d'istruirsi, cominciò ad interrogare Raffaele sul modo in cui era possibile compiere un lavoro di scrittura con una simile prodigiosa celerità»
11. L'angelo però gli rispose: «O amico mio! Ad un essere come me, la cosa è certo sempre possibile, ma invece è assolutamente impossibile spiegartene il come; infatti, è una facoltà propria a ciascuno spirito perfetto quella di compiere in un istante non solo un lavoro di scrittura di tal genere, ma anche qualsiasi altra operazione di forza per quanto colossale possa apparire. Se tu volessi vedere distrutta un'intera montagna, prosciugato un lago o convertito un paese in un mare, oppure annientato tutto un pianeta o addirittura un Sole un milione di volte più grande del vostro, o se tu volessi mandarmi su di una delle più lontane stelle e mi chiedessi di portarti da quella una prova della mia presenza là, tutto ciò potrebbe venire compiuto da me in un attimo così rapido che con i tuoi sensi non ti accorgeresti nemmeno che sarei stato minimamente assente. Dunque, come ciò avvenga e rispettivamente come possa ciò avvenire, è una cosa che soltanto un puro spirito è capace di comprendere.
12. Quando un giorno sarai compiutamente rinato nello spirito, allora questo lo comprenderai, anzi potrai tu stesso compiere cose simili, ma finché non sei rinato nello spirito, è impossibile che tu giunga a conoscere tali proprietà degli spiriti puri, anche se te le volessi spiegare nella maniera più chiara e precisa. Domanda però a te stesso come sia possibile che il tuo pensiero si trasferisca in un minimissimo istante da qui a Roma oppure da qui a Gerusalemme e sia immediatamente poi di ritorno presso di te! Se tu, o amico mio Filopoldo, sei capace di spiegarti questo, allora non ti sarà difficile comprendere anche la mia velocità»
13. Dice Filopoldo: «Sì, è vero, o meraviglioso e splendido essere angelico, il pensiero certo solca qua e là come un lampo gli spazi, e nessuno può valutarne la rapidità; però, tutto ben considerato, il pensiero si riduce a niente e non è che un'immagine strettamente fuggevole. Se qualcuno vuole veder realizzato il proprio pensiero, deve molto faticosamente mettere mano al lavoro, e ci vuole poi un tempo ben lungo prima che l'immagine creata dal pensiero sia diventata visibile verità palpabile; ma nel tuo caso invece il pensiero è già contemporaneamente e meravigliosamente un'opera compiuta e questo è un divario immenso tra il mio e il tuo pensiero!».
L'essenza e la destinazione degli angeli.
1. Dice l'angelo: «No, non c'è affatto nessun divario! Fa' che il tuo spirito giunga alla rinascita e poi il tuo pensiero sarà esso pure contemporaneamente un'opera prodigiosa e divina assolutamente perfetta, in quanto questo pensiero sarà fondato nell'Ordine divino!
2. Non credere infatti che sia io a fare e a compiere queste cose, ma tutto ciò fa ed opera lo Spirito del Signore che effettivamente costituisce e ricolma il mio essere più interiore; perché noi angeli, in sostanza non siamo che dei punti d'irradiazione dello Spirito divino! Noi siamo in un certo qual modo la Volontà personificata di Dio che agisce nella Sua massima potenza. La nostra parola è la voce della Sua bocca, e la nostra bellezza è un debole riflesso della Sua magnificenza e gloria infinite e della Sua incommensurabile Maestà.
3. Però, anche se Dio, il Signore, è nella Maestà della Sua sapienza e della Sua forza l'Essere infinito, tuttavia Egli è ora nell'Amore del Padre qui, come un uomo finito, presso di voi e con voi; ed appunto questo Amore, che dichiara Lui stesso di essere Uomo dinanzi a voi, rende anche noi angeli uomini al vostro cospetto, altrimenti non siamo che luce e fuoco saettanti, come grandi pensieri creati attraverso tutti gli spazi infiniti e ricolmi di Parola, di potenza e di volere da eternità in eternità!
4. Lo spirito però, o meglio ancora quello che più propriamente è la fiamma d'Amore dal cuore di Dio, in forza della quale soltanto acquistate la vera caratteristica di figli di Dio, questa fiamma voi uomini di questa Terra la state ottenendo appunto solo ora, e siete di conseguenza preferiti in maniera inesprimibile al di sopra di noi; per arrivare dunque alla vostra altezza noi dovremo percorrere la via che state percorrendo attualmente!
5. Finché noi angeli restiamo tutti come ora siamo, non rappresentiamo altro che delle braccia della Vita del Signore e ci muoviamo pronti all'azione solo quando veniamo incitati a una data azione dal Signore, così come voi incitate a una data azione le vostre mani e le vostre dita; di tutto quello che scorgi in me, tutto appartiene al Signore; niente è nostro e niente c'è in noi in qualche modo di autonomo, cosicché tutto in noi è il Signore stesso.
6. Voi invece siete chiamati a diventare, in stato d'indipendenza assoluta, quello che è il Signore stesso, perché un giorno da parte del Signore vi verrà detto: "Voi dovete essere in tutto così perfetti com'è perfetto il Padre vostro nel Cielo!”
7. Ma quando simili parole del Signore saranno rivolte a voi uomini, soltanto allora dovrà risultarvi chiarissimo a quali cose infinitamente grandi siete destinati e chiamati, e quale infinito divario debba esserci allora fra voi e noi!
8. Voi adesso siete certo proprio come degli embrioni nel corpo materno, che con la loro minima forza vitale non possono ancora costruire delle case; ma quando sarete rinati fuori dal vero corpo materno dello spirito, allora disporrete voi pure della potenza d'azione come ne dispone il Signore!
9. Ma io ti dico ancora una cosa che il Signore stesso vi dirà se voi rimarrete pienamente viventi nella fede e nel perfetto amore a Lui! Ecco, questo vi dirà: "Io compio dinanzi a voi grandi cose, ma voi ne compierete ancora di maggiori al cospetto di tutto il mondo!”
10. Una cosa simile però il Signore la dice anche a noi? Oh, no di certo, perché noi rappresentiamo appunto la Volontà e l'azione del Signore, di fronte alle quali il Signore, come testimoniando contro Se stesso, farà a voi tale predizione.
11. Ma con il tempo l'Amore infinito, la grazia e la misericordia immensa del Signore destinerà una via anche per noi spiriti angelici, e percorrendo tale via noi pure diverremo completamente pari a voi.
12. La via per la quale attualmente il Signore stesso procede, diverrà un giorno la via di tutti gli spiriti primordiali creati in ogni Cielo; ciò per altro non accadrà dall'oggi al domani, bensì gradatamente durante il corso incessante delle eternità che non hanno mai fine, e nelle quali noi fuori da Dio saliamo e scendiamo in ogni direzione, come dentro un circolo infinitamente grande, senza mai toccarne l'estremo confine. Ma per quanto a lungo anche una cosa si faccia attendere, tuttavia viene il tempo in cui essa si avvera, dato che essa sta in verità e fedeltà scritta nell'Ordine immenso del Signore. Ora ciò che in quest'Ordine è definitivamente scritto, deve pure un giorno verificarsi; circa il quando, questo è davvero di secondaria importanza! Avverato che si sia una volta, esso è come fosse stato già dall'eternità.
13. Tu, o caro amico Filopoldo, cent'anni fa non eri ancora nato, e non esistevi perciò come esisti ora; ma non è forse vero che il tuo sentimento ti fa sembrare di essere sempre esistito? Soltanto il freddo calcolo del tuo intelletto ti dice sempre che tu non eri, mentre il tuo sentimento e la tua sensazione vivente ti conducono alla persuasione dell'assoluto contrario.
14. Così pure il freddo intelletto ti mostra che tu dovrai un giorno morire, e che quindi dovrai per sempre cessare di essere per questa Terra quello che ora sei, ma interroga invece il tuo sentimento e vedrai che questo non sa, né vuole sapere niente di una morte o di una scomparsa dalla vita.
15. Orbene, chi è che ha in sé ragione e verità: "Il freddo intelletto o il caldo sentimento della vita?". Io ti dico: "Hanno ragione ambedue, tanto l'intelletto, quanto il caldo sentimento vitale in sé conscio". L'intelletto, quale ben ordinato archivio del cervello dell'anima, con la caduta del corpo dovrà evidentemente cadere anch'esso, con il corpo, dall'anima stessa, assieme alle altre parti del corpo e alle membra di questo; e anche il suo patrimonio di percezione e di calcolo, per essere esso transitorio e fugace, deve avere in sé pure la sensazione della fugacità. Ma diversamente avviene del sentimento vitale e della coscienza di se stessi, i quali, poiché sono elementi spirituali di Dio, non hanno mai avuto principio, né di conseguenza possono aver mai fine!
16. Per questa ragione all'anima, perfino nel suo stato più materiale, è impossibile considerare se stessa come peritura e come soggetta a cessare di esistere; così nell'anima si fa sempre più luce e non appena essa si è fatta perfettamente una sola cosa con lo spirito da Dio immanente in lei, allora il sentimento della vita acquista tanta chiarezza e potenza che poi la sensazione della caducità, che sorge dal freddo calcolo dell'intelletto, perde ogni significato e ogni forza.
17. La ragione di questo fenomeno sta in ciò che lo Spirito del Signore, compenetrante tutte le forze vitali dell'anima, compenetra pure le parti nerveo-spirituali del corpo e così toglie loro ogni sensazione di caducità. Questo effetto, però, viene a sua volta ottenuto con ciò che infine, in seguito all'azione dello Spirito, tutti gli elementi eterei della vita si rendono immortali, come le sostanze vitali dell'anima.
18. Tu dunque, o mio caro Filopoldo, che sei pure oriundo dall'alto, potrai ormai rilevare con facilità come uno spirito possa aspettare tutto e che un periodo di tempo per quanto lungo sia non è per lui effettivamente nulla, perché una volta o l'altra verrà, secondo l'Ordine del Signore, il turno benedetto anche per lui, e poi si tratterà di vedere quale parte dell'eternità sarà stata per lui troppo lunga: se quella già vissuta o quella ancora da vivere!
19. Io sono adesso ancora quello che sono, e questo corpo apparente non è di gran lunga ancora carne e sangue generati e poi partoriti a dimora di un'anima sostanziale, tuttavia questo mio stato attuale è un'approssimazione già più significante, ed è possibile che il tempo della realizzazione completa di tanta grazia non sia affatto tanto lontano; allora anch'io sarò quello che ora sei tu!
20. Dunque, non lodarmi per il fatto che mi hai visto compiere dei prodigi, perché dato che io non sono ancora propriamente un "io", il mio "io" è unicamente un "Io" di Volontà del Signore; dunque, per il fatto dei prodigi gloria e lode spettano soltanto al Signore in Se stesso, e tali prodigi possono venire compiuti da Lui in misura e maniera infinitamente superiore anche senza di me in questa mia tangibilità materiale.
21. Ma Egli è pure Colui che ha rivolto le grandi e sante parole a Cornelio dame poi scritte per lui; tu già Lo conosci dal tempo in cui fu a Cana presso Chis, ed ora avrai occasione di conoscerLo ancora meglio. Ben presto ci sarà qualcosa di nuovo per cui udiremo da Lui altre pure parole di Vita!».
La filosofia di Filopoldo sulla Creazione.
1. Filopoldo allora si volge a Kisjonah che gli siede accanto, e gli dice: «Adesso hai finalmente al pari di me un concetto preciso riguardo agli angeli di Dio? Vedi, anch'io sono stato sempre uno che sosteneva che gli angeli non avevano effettivamente una personalità distinta, ma che erano soltanto delle idee ricolme della Volontà proveniente da Dio, i quali si rendono visibili solamente quando ciò è reputato necessario da Lui. Ma siccome Dio ha una quantità in eterno innumerabile di idee di ogni specie, grandi e principali, nonché minori e secondarie, ne risulta certamente che tali idee, qualora debbano venire in una maniera qualsiasi realizzate, devono pur essere colme della potenza e della forza dell'immutabile Volontà divina, altrimenti non potrebbero mai manifestarsi o come una entità agente o come una entità passiva sorta in seguito ad un atto di volontà.
2. Tutte le creature - le quali si presentano consistenti in una determinata forma visibile, sia per un tempo sia per sempre, come sarebbe ad esempio un mondo con tutto ciò che esso comprende e porta, e tutto ciò di cui esso consiste - sono altrettante idee sorte da Dio, che già si trovano in un stato passivo di esistenza, in forza di un atto di volontà. Ma per poter provocare questo stato passivo di esistenza, devono sorgere da Dio pure delle altre idee, per lo più senza forma e del tutto liberamente agenti, le quali esse pure sono colme della Sua Volontà, però soltanto allo scopo di agire e di creare delle forme e non già perché sono delle forme accentranti in sé intelligenza e forza, per poter come tali influire e agire fuori dal proprio centro sulle idee oggettivamente sorte, così che queste ultime abbiano a plasmarsi a forme sistemate in un determinato ordine e conforme ad un determinato piano, sebbene per rimanere sempre senza forma pur nella loro efficace funzione agente, rispetto a tutte le forme, come già ebbe a sostenere il savio Platone con riguardo alle origini dell'anima umana.
3. Questo angelo ha ora certamente una forma che però veramente in sé e di per sé non è nulla, dato che non è permanente; tuttavia essa, così com'è, è molto prossima a costituirsi dinanzi all'idea fondamentale di Dio a grande pensiero libero esistente a sé, ormai piuttosto dipendente soltanto da se stesso, per agire in sé e per se stesso in parte con il materiale già diviso ed esistente e in parte con quello defluente del continuo da Dio!
4. Ma in ciò mi pare risulta fondata pure l'idea della propria vera condizione di figlio di Dio! Infatti, finché un’idea, non essendo isolata, è identica con la Divinità, non è possibile immaginare una sua attività autonoma, e di conseguenza neppure un suo stato d'indipendenza. Soltanto quando viene sotto ogni riguardo resa pari a noi uomini della Terra, solo allora essa pure può diventare ed essere quello a cui siamo chiamati noi uomini.
5. Dimmi, ti pare che il mio modo di vedere sia giusto oppure no?»
6. Risponde Kisjonah: «In verità, non potrei trovare niente da obiettare al tuo ragionamento; certo, se c'è qualcosa nella quale non mi trovi proprio a mio agio, questa è la sapienza del mondo; tuttavia, mettendo a contributo tutto il mio naturale intelletto, devo concludere che tu hai giudicato molto saviamente e non posso che rallegrarmi di possedere in te un amico ed un fratello nel Signore così sapiente; comunque, quando saremo ritornati a casa nostra, avremo modo di parlare ancora molto su questo argomento, ma adesso vorrei pure sentire nuovamente qualche viva parola dalla bocca del Signore!
7. L'angelo ha annunciato già prima qualcosa a questo proposito, ma non si vede, né si sente ancora niente; e il Signore, come osservo, durante la nostra sapiente disquisizione Si è un po' addormentato. Di conseguenza, se le apparenze non ingannano, c'è poca probabilità che noi possiamo udire così presto qualcosa dalla Sua santissima bocca.
8. La savia fanciulla che ha dato tanto da pensare a Cornelio, si è pure addormentata, e il governatore generale e molti altri ancora stanno qui sonnecchiando alla nostra mensa. Però alle altre mense regna molta vivacità ancora! Quasi mi impressiona che le sapienti dissertazioni dell'angelo, e particolarmente le tue, abbiano contribuito a creare questa atmosfera di stanchezza!
9. Tu già sai, o mio carissimo Filopoldo, che ti ascolto quanto mai volentieri quando ti metti a parlare così di questioni trascendentali, tuttavia direi quasi che qui alla presenza del Signore, il Sommo Sapiente, tu sei andato un po' troppo lontano con la tua eloquenza. Sta poi il fatto che pure l'angelo ha tenuto un lungo discorso, ma ha parlato puramente fuori dal Signore, così che in certo modo è stato come se avesse parlato il Signore stesso; ma poi, quando hai cominciato a parlare tu, non si è trattato nient’altro che della tua opinione riguardo a tutto quello che avevi appreso dall'angelo, ed è questo a parer mio che ha suscitato un tale stato di stanchezza alla nostra mensa. Non sei tu stesso pressappoco di questo parere?»
10. Dice Filopoldo: «Sì, lo ammetto, non dovresti avere proprio torto; anche ame ora rincresce sul serio di essermi lasciato trascinare così lontano dal mio intelletto, ad ogni modo, ormai non posso fare altro che considerare che ‘quello che è accaduto non sia accaduto’, quantunque, detto per inciso, sia convinto di non avere fatto con ciò niente di male!»
Il raggio d’azione intellettiva del cervello.
1. Allora Io Mi rizzo nuovamente ben desto nella Persona, e dico a Filopoldo rivolgendogli uno sguardo amichevole: «No davvero; niente affatto male!
2. Le tue considerazioni, riguardo al divario che corre fra un angelo ed un vero uomo di questa terra, sono giustissime. La questione sta esattamente così come l'hai compresa e come l'hai in maniera eccellente svolta verbalmente. Il Mio sonnecchiare è stato semplicemente una conseguenza della stanchezza fisica, dato che abbiamo lavorato per quasi due giorni di seguito!
3. Ma visto che tu hai tanta familiarità con la sapienza di Platone, spiegaci adesso anche la vera ragione della Mia venuta quaggiù, nella carne di questa Terra.
4. Quello che in Spirito sono ed ero dall'eternità, tu lo conosci; d'altro canto, che Io abbia, come le altre creature umane, un corpo di carne e di sangue, lo vedi e percepisci come ciascun altro qui a questa mensa.
5. Perché la Causa Prima di ogni essere e di ogni vita si rivestì della spoglia dell'evidentissima mortalità? Deve essere così, oppure questo è invece forse semplicemente per dire così un capriccio dell'eterno Spirito divino che in Me dimora ed opera? Se tu puoi dichiararMi questo in maniera sufficientemente precisa, a Te verrà riservato già in questa vita un premio della sapienza dai Cieli!»
6. Risponde Filopoldo: «O Signore, per dirla schietta, una simile cosa io la presagisco e, senza dubbio per l'influsso della Tua grazia, la vedo sorgere nella notte della mia vita come il preludiare di un glorioso mattino! Sì, sento la grandiosità infinita dell'argomento che dovrei svolgere, ciò che mi manca sono soltanto le parole!
7. Un'infinità di frasi della sapienza terrena non basterà a renderlo chiaro, e a tale scopo occorrerebbe possedere un linguaggio del tutto proprio agli spiriti, che poi dovrebbe venire compreso da tutti, altrimenti sarebbe come parlare ai sordi.
8. Ma da dove prendere anzitutto un simile linguaggio, e come poi procurare all'uomo un giusto intendimento di queste cose? Vedi, o Signore, questi sono secondo la mia opinione dei punti essenziali principalissimi, i quali, se non risolti, renderebbero assolutamente impossibile una completa esibizione di tanta alta sapienza!
9. Ma ciononostante sento in maniera perfettamente viva la grande, meravigliosa e santissima verità in me, ma sono anche conscio dell'assoluta impossibilità di rivestire, come si converrebbe, questa massima e santissima fra tutte le verità di parole, facendo ricorso al nostro miserissimo linguaggio, agli scopi di un retto intendimento. Queste ragioni Tu, o Signore, vorrai in grazia prenderle in considerazione, esonerandomi quindi da un simile esorbitantissimo, altissimo e massimo spiegamento di sapienza!»
10. Dico «Ah, che dici mai! Questi sono dei vani ragionamenti; per fare ciò non si richiede affatto tanto come tu credi. Nel cervello, dove l'anima solitamente miete i suoi raccolti di sapienza, è certo che tu difficilmente potrai trovare delle parole adatte, ma tanto più potrai trovare queste nel cuore, il quale è il portatore dello spirito fuori dal cuore di Dio.
11. Esplora dunque nel tuo cuore, e troverai che anche le massime profondità della sapienza possono venire enunciate con le più semplici e piane parole di questo mondo, e a ciascuno in maniera molto migliore e comprensibile che non con le altisonanti espressioni della sapienza salomonica. A che cosa ti può servire il Cantico dei Cantici di Salomone, se alla millesima volta che lo leggi ne comprendi così poco come alla prima?
12. Salomone però dovette scrivere così, perché allora non era venuto ancora il tempo di svelare completamente i misteri profondissimi del Cielo agli uomini privi delle necessarie capacità e ai quali lo spirito faceva del tutto difetto nel cuore, ma quella volta si trattava di fare nel modo il più velato possibile semplicemente degli accenni, affinché l'anima ne rimanesse colpita e attonita, quasi a preparazione di quello che avrebbe dovuto seguire. Ma di comprensione non si può parlare.
13. In quel tempo, Salomone stesso, del suo Cantico dei Cantici, comprese appunto quanto ne comprendi tu adesso, perché se lo avesse compreso non avrebbe poi né peccato, né sarebbe diventato un perfetto adoratore degli idoli e un adultero impenitente.
14. Ma quello che ha scritto, per influsso dello Spirito di Dio che in certi momenti alitava nella sua anima, è ad ogni modo "Parola divina pura", però, non data per la comprensione del cervello, bensì per l'interiore intendimento dello spirito atto a tale bisogno; spirito che è da Dio e che dimora nel cuore. Ora, un tale spirito è stato, solo in questo tempo della Mia venuta quaggiù, posto eccezionalmente nel cuore di alcuni pochi uomini, affinché essi avessero a riconoscerMi ed a comprenderMi per amore di loro stessi e pure dei molti altri uomini ancora deficienti di tale spirito.
15. Nel tuo cuore però c'è già lo spirito di cui ora ho menzionato, ed è come un embrione nel corpo materno; quindi è sufficiente che tu ti dia ad esplorare un po' soltanto nel tuo cuore e vedrai che questo spirito di Dio tu ben lo troverai, ed esso poi ti suggerirà parole attraverso le quali potrai facilmente rivelare per coloro che siedono a questa mensa quello che Io ho domandato»
16. Dice Filopoldo: «O Signore! Tutto sarebbe certo bello e buono, e può benissimo essere che trovi nel mio cuore la chiave del problema; però a Te, o Signore, sarebbe una cosa immensamente facile svelare questo profondissimo mistero, e Tu troveresti certamente in noi gli ascoltatori più attenti. Per me invece sarà un compito tremendamente difficile, e alla fine dovrei forse aspettarmi di venire in aggiunta meritatamente deriso?»
17. Dico Io: «Oh, niente affatto. In primo luogo sta scritto nel Mio Ordine che, affinché abbia per voi uno scopo vitale, una cosa simile deve venire svolta e chiarita liberamente da parte vostra, o uomini, di fronte a Me, e in secondo luogo la questione stessa non è in sé assolutamente tanto difficile come nel tuo cervello te la raffiguri.
18. Io certo potrei spiegarla a te e anche agli altri, e voi un po' a stento Mi comprendereste; ma queste cose, come tutte le altre, l'anima vostra le conserverebbe principalmente nel suo palazzo, che è il cervello, dove poi non sarebbe quasi di nessuna utilità per lo spirito in voi. Infatti, ciò che l'anima custodisce nel palazzo del suo cervello, muore e trapassa con il tempo assieme al cervello stesso. Ma che vantaggio può ritrarre poi lo spirito da ciò che è passato e che ha cessato di esistere?
19. Se tu invece l'argomento lo svolgi fuori dal tuo cuore, allora anch’esso resta eternamente in quello che di per sé è eterno, vale a dire nel tuo spirito, e dunque per mezzo di questo resta poi altrettanto eternamente nella tua anima; quello però che il cervello abbraccia, quello trapassa e nulla più resta nell'anima di tutta la scienza morta del mondo, una volta che essa abbia abbandonato il corpo.
20. Perciò, d'ora innanzi, voi dovete accogliere tutto nel cuore, e sviluppare e svolgere pure tutto nel cuore; infatti, quello che il cervello crea, vale unicamente per la fugace vita di questo mondo e per il corpo mortale.
21. Ma l'anima e lo spirito non hanno bisogno di tutte queste cose; ad essi non occorrono vesti terrene, né dimore, né campi, né vigne. Ogni cura, fondata nel sapere del cervello, è indirizzata a provvedere alle necessità materiali, che presso il genere umano hanno purtroppo raggiunto un grado così alto che dalla gran parte dell'umanità non possono venire ormai più numerate, né meno ancora soddisfatte.
22. Di conseguenza, l'intelletto terreno del cervello umano non è possibile che accolga e comprenda mai qualcosa dello spirituale-puro, perché esso è dato all'uomo soltanto affinché possa provvedere a quanto è necessario al proprio corpo. Tale cosa è possibile solamente allo spirito divino nel cuore, ed è perciò che esso deve venire già di buon'ora esercitato. Raggiunta che abbia una buona volta una certa solidità, allora il vero ordine della vita risulta perfettamente stabilito. Ma ora prova a svolgere quello che Io ti ho richiesto, e il tuo spirito ne ritrarrà un immenso vantaggio».
Il motivo dell’Incarnazione del Signore.
1. Dice Filopoldo: «Ebbene, io ci proverò nel Tuo Nome per me santissimo, qualunque possa essere la cosa che riuscirò a tirar fuori da me.
2. Io penso che se già in un semplicissimo uomo deve esserci un qualche motivo per una qualche azione per quanto semplice, altrimenti non avrebbe certamente mai messo in moto le sue membra, a maggiore ragione conviene presupporre che Dio debba aver avuto un motivo supremamente giustificato e buono, Egli che è l'Unico eterno e vero Spirito purissimo ed onnipotente, per esserSi costretto dentro la forma limitata della carne, per essere, quale il Creatore di tutte le cose, Compagno a noi uomini che siamo le Sue creature.
3. Ora, come già in noi uomini soltanto l'amore è la leva possente e la causa di ogni azione, qualunque ne possa essere il genere, così certamente anche in Dio fu appunto l'Amore la ragione unica per la quale Egli, costretto di per Se stesso, Si degnò di fare quello la cui santissima conseguenza sei Tu, o Signore, che ora dimori fra noi e ci insegni a riconoscere in noi liberamente la Tua Volontà, a fare questa Volontà nostra proprietà assoluta e ad operare conformemente ad essa nella nostra piena indipendenza ed in maniera gradita a Te, o Signore.
4. La cosa dunque si presenta così nel mio cuore, in un modo del tutto naturale ed umano: "Tu, dall'eternità, fissasti una volta le Tue Idee, dando a queste reale forma e consistenza; originariamente le forme erano dure e rigide, come è tuttora ogni cosa che ai nostri sensi si presenta come apparentemente del tutto priva di vita. Fuori da queste grandi forme, all'apparenza morte, Tu sviluppasti di periodo in periodo delle forme vitali sempre più molli, più consce di se stesse e con maggiore o minore libera capacità di movimento e di azione. Tutto ciò è ed era soltanto una scuola ed una prova preliminare per la vita pienamente libera nella forma successivamente sorgente da tutte le forme precedenti, in quella cioè dell'uomo al quale Tu, o Signore, donasti la forma principale originaria del Tuo proprio Essere fondamentale.
5. Dunque, oramai l'uomo esisteva, ed egli riconobbe se stesso e la sua divina libertà; in tale condizione si rallegrava immensamente della propria esistenza, della propria bella forma e poteva distinguere e contare le cose che lo circondavano.
6. Egli però ben presto cominciò ad indagare in sé per venire a conoscenza delle origini di se stesso, nonché delle cose che egli vedeva al suo servizio; e quando Tu, o Signore, osservasti questa cosa, il Tuo cuore divino ne gioì immensamente e procurasti all'uomo occasione di percepirTi e di pensarTi sempre più.
7. Mediante la rivelazione interiore, tacita e segreta nel cuore dell'uomo ormai libero, il quale era sotto ogni aspetto la Tua immagine, il Tuo Spirito eterno ne guidò l'attenzione in modo che egli cominciasse a riconoscere come egli stesso, con tutto ciò da cui si vedeva circondato, doveva essere l'opera di un Essere Onnipotente ed immensamente Sapiente e Buono. In seguito a questo riconoscimento, sempre crescente e sempre più nitido, la nuova meravigliosa creatura umana dovette sentire sorgere nel proprio cuore non soltanto un sentimento di massimo rispetto e di venerazione per il Creatore di tutte le cose, e sentito con sempre maggiore intensità vitale, ma anche il sentimento dell'amore per Lui, e con questo anche l'ardente desiderio di vederLo e di parlarGli almeno una volta, per poter fedelmente riconoscere che il presentimento - suscitante in lui l'immensa venerazione e l'amore - dell'esistenza di un tale Sommo Essere non era un vano parto della sua fantasia!
8. Questa intensa brama andò accentuandosi sempre più, e sempre più ardente andò facendosi il sacro desiderio di Te, o Signore, nel Tuo Spirito che dimorava nel petto puro e del tutto incorrotto della prima coppia umana.
9. Queste prime creature umane si amavano certo, ma non riconoscevano se stesse; allora il loro amore per Te, o Signore, si congiunse e generò in ambedue la fiducia, sempre più grande e precisa, che doveva esistere un Creatore grande, santo ed onnipotente, il Quale aveva posto l'uomo come signore su tutta la Terra e su tutto ciò che essa portava, dato che dinanzi alla sua volontà s'inchinava ogni altra creatura della Terra.
10. Ma quando tale brama di conoscerTi, per così dire, personalmente, ebbe raggiunto il suo punto culminante, allora anche Tu Ti commuovesti nel Tuo cuore divino, apristi all'uomo la sua facoltà visiva interiore, Ti creasti per quel momento una forma umana eterea e così Ti mostrasti all'uomo desideroso di conoscerTi.
11. Soltanto allora l'uomo poté contemplare l'immensa, santissima verità e la perfetta realtà del proprio presentimento, e Tu gli fosti motivo di gioia grandissima ma anche di un giusto timore, poiché Tu eri Colui che aveva donato l'esistenza a lui come a tutte le cose.
12. Quella volta l'uomo era buono e puro come il Sole, non vi era niente che avesse potuto turbare i suoi sensi, e quello che adesso viene chiamato passione era ben lungi dal suo petto santificato.
13. Ma Tu, o Signore, sapevi bene che così, tramite l'alito della Tua Volontà, veniva animata solamente la forma dell'uomo, che però questo era ormai atto a dare inizio all'opera di sviluppo del proprio essere interiore per pervenire allo stato di indipendenza.
14. Tu lo istruisti e gli indicasti le due vie: una conduceva all'indipendenza più libera, simile a quella di Dio, e l'altra conduceva allo stato di creatura giudicata (non libera) e quindi dipendente in misura assoluta.
15. Un comandamento fu il fatale indicatore delle due vie e costituì, nello stesso tempo, le due vie stesse.
16. Ma affinché il comandamento fosse per l'uomo nuovo quello che doveva essere, è evidente che Tu dovevi porre accanto all'essere umano un tentatore che lo incitasse alla non osservanza del comandamento, che invece l'essere umano avrebbe dovuto fedelmente osservare di suo fermo volere.
17. La cosa funzionò per qualche tempo; però Tu stesso vedesti che l'uomo, mediante la rigida osservanza di questo solo comandamento, non avrebbe infine potuto raggiungere quell'alto grado d'indipendenza assoluta che Tu gli avevi posto quale Meta.
18. Per pervenire ad una tale Meta era necessario che prima l'uomo venisse ancora più profondamente e più marcatamente separato da Te; egli doveva peccare e cadere, e soltanto poi, in questo stato di estremo isolamento da Te, avrebbe dovuto di nuovo ricominciare a raccogliersi fra gravi stenti e ogni tipo di tentazioni, e andare in cerca di Te con cuore oppresso e pentito.
19. Quando l'uomo così caduto si fu nuovamente risollevato in tale faticosa maniera fino a Te, dalle profondità in cui era precipitato, allora Tu Ti mostrasti di nuovo in una forma già molto più consistente ed in misura più ampia nella rivelazione avente lo scopo di ammaestrarlo, e gli facesti la grande promessa di quello che Tu ora hai pienamente e tangibilmente compiuto dinanzi ai nostri occhi, e cioè che Tu pure saresti divenuto per l'uomo un Uomo simile a lui e perfettissimo, affinché in tutte le eternità future egli potesse starTi di fronte in stato di assoluta, perfettissima indipendenza, e con ciò a Te stesso fosse riservata la maggiore, anzi la suprema beatitudine di trovarTi di fronte ai Tuoi figli non come un Dio, Signore e Padre diffuso in tutte le immensità e per conseguenza invisibile e in generale non percettibile com’era prima, bensì di stare di fronte a loro come un diletto Padre visibile che i figli possono amare, e di condurre personalmente i buoni figli in tutti i Tuoi Cieli meravigliosi.
20. Quale beatitudine potrebbe rappresentare per un Dio infinito, se Egli potesse bensì vedere i Suoi cari figli, ma questi non potessero vedere Lui altrimenti se non quale un mare infinito di Luce? Invece così Tu hai procurato la felicità suprema agli esseri umani, ma nello stesso tempo anche a Te stesso, quale il vero, unico ed amorosissimo Padre dei Tuoi figli!
21. Quale compiacimento potresti Tu stesso trovare nel Tuo figlio migliore e di cuore più puro, quando sei conscio, in maniera certa e chiarissima, che egli in eterno non Ti potrà mai vedere ed udire?
22. Dunque, tutto ciò Tu, o Signore, l'hai fatto per amore Tuo e degli uomini, affinché i puri fossero in Te immensamente felici, e Tu pure potessi godere in loro il massimo diletto e la suprema beatitudine!
23. E se ora scendessero dai Cieli tutti gli angeli e cominciassero a sostenere che un'altra, differente da questa, è la ragione principale della Tua attuale Incarnazione piena e perfino materiale-formale, io sono pronto a rinunciare per l'eternità alla mia umanità e di cessare di esistere, oppure anche a diventare in eterno un qualche animale!
24. Se Tu, o Signore, non avessi l'Amore in Te, Tu eternamente non avresti chiamato all'esistenza visibile e formale nemmeno una delle Tue magnificentissime Idee; ma poiché Tu stesso, nel Tuo Cuore divino, Ti compiacesti immensamente delle Tue grandi, gloriose e meravigliose Idee - dato che le avevi amate già prima che la Tua Sapienza e la Tua Potenza infinite le avessero chiamate ad esistere esteriormente visibili e plasmate a forme fissate attraverso la Tua Forza il Tuo Amore, fattosi anche sempre più ardente ed operoso, Ti costrinse poi a donare, a questo punto, anche alle Tue Idee un'esistenza come fuori da Te, e quindi pure una conseguente vita.
25. Ma questa vita evidentemente non è altro che il Tuo supremo Amore divino, purissimo e potentissimo!
26. Tutte le creature respirano la loro vita fuori da e in questo Tuo Amore, anzitutto il loro essere non è altro che il Tuo Amore; anche tutte le forme sono esclusivamente il Tuo Amore! Tutto ciò che noi udiamo, vediamo, percepiamo, sentiamo e gustiamo è soltanto il Tuo Amore! Senza di Esso, un sole non avrebbe mai illuminato una qualche Terra, né mai avrebbe riscaldato e fecondato le sue zolle!
27. Ma se soltanto il Tuo Amore ha fatto tutto ciò con le Tue sublimi Idee primordiali, perché tale Amore non avrebbe dovuto poi fare qualcosa per Se stesso, allo scopo appunto di raggiungere, in tutta pienezza, in tutti gli esseri sorti attraverso di Esso, quello che Esso, originariamente, costrinse dentro a Se stesso allo scopo di preparare la forma e una vita libera e indipendente alle Idee?
28. Ecco, con questo io credo di avere detto la piena verità, dalla quale emerge chiarissimamente che Tu, il Dio dall'eternità però anche necessariamente in via transitoria un Uomo come noi, dovesti divenire Tale perché costrettovi da Te stesso!
29. E credo altresì di avere con ciò risposto, da un punto di vista generale, esaurientemente alla domanda che Tu mi hai posta, per quanto ciò è possibile alla sapienza di un uomo! Io Ti prego, o Signore, di farmi udire a proposito una Tua chiara sentenza».
Il linguaggio del cuore.
1. Tutti restano meravigliati nell'udire la profondità di concetti e la sapienza di Filopoldo. Kisjonah l'osserva sbalordito da capo a piedi, e non riesce a comprendere come quell'uomo, del resto notoriamente fornito di molta perspicacia ed esperienza, abbia d'un tratto potuto lasciare sommamente stupiti tutti con la sua penetrante sapienza, e perfino Mataele dice: «In verità, anch'io so qualche cosa, tuttavia a tali profondità il mio spirito non è mai penetrato! Lo spirito di costui o la sua anima devono certo avere già ottenuto un ammaestramento in qualche altro mondo migliore!»
2. Anche Giara contempla il savio, e non riesce interamente raccapezzarsi per lo stupore causatogli dal suo sfoggio di sapienza!
3. Allora Io dico a Filopoldo: «Vedi dunque, Mio caro amico e fratello, come tela sei cavata bene e come, con la splendida risposta data da te alla domanda da Me posta nel tuo cuore, tu hai anche colpito perfettamente nel segno!
4. Io ti dico che ora tu hai rivelato nel Mio Nome - in maniera quanto mai vera, fedele e comprensibile con la massima facilità - la pienissima verità a tutti i Miei discepoli, amici e fratelli, ed a ciò Io non ho bisogno di aggiungere che questo: "Così è, e sotto questo aspetto vanno considerate dall'eternità tutte le cose e tutti gli esseri!”
5. Vedi, in quanto hai detto c'è più sapienza che non in tutto il Cantico dei Cantici di Salomone, che egli, in fondo, comprese altrettanto quanto qualsiasi altro, perché se avesse compreso il suo significato interiore, non sarebbe poi caduto in ogni tipo di peccato, né sarebbe stato tratto in rovina!
6. Cercate dunque voi tutti sempre soltanto nel vostro cuore la vera sapienza e la Mia Rivelazione; in questo modo la comprenderete facilmente e la conserverete per tutta la vostra vita, in eterno»
7. Dice allora Pietro: «O Signore! Noi siamo ormai da nove mesi con Te; perché dunque non siamo capaci anche noi di parlare come questo amico da Cana, che è presso Chis?»
8. Ed Io gli rispondo: «I romani hanno un piccolo proverbio il quale dice: "EX TRUNCO NON STATIM FIT MERCURIUS!" (Da un tronco d’albero non si ottiene Mercurio! - un dio romano) e tale è pure, più o meno, il vostro caso; così che Io stesso sarei talvolta spinto a domandarvi e a dirvi: "Quanto a lungo dovrò Io ancora sopportare finché sarete atti a comprendere qualcosa nel vero fondamento della vostra vita?".
9. Eppure già spesso vi dissi che voi dovete cominciare a concepire pensieri nel cuore e non nel capo, per pervenire a quella pienezza della verità che renderebbe veramente libera la vostra vita! Perché non fate così, invece di restare piuttosto attaccati alla materia, la quale non ha niente e niente vi può dare? Fate come Io vi insegno, ed allora anche voi potrete parlare secondo la vera sapienza come ora ha fatto Filopoldo!»
10. Dice Pietro: «O Signore! Noi abbiamo spesso provato, ma con il pensare nel cuore non ci riusciamo. Soltanto di quando in quando percepisco, non tanto dei veri e propri pensieri, quanto piuttosto delle parole nel cuore; ma queste non mi sento di chiamarli pensieri, perché mi raffiguro che possano trovare espressione nel cuore solo dopo essere stati pensati nel cervello!»
11. Gli dico Io: «Questo è già un principio. Esercitatevi però, e poi non tarderete ad arrivare al punto di poter concepire nel cuore i pensieri più profondi e più liberi!»
12. Dice Pietro: «Grazie eterne Ti siano rese, o buon Maestro. Se è così, non ci mancherà allora molto per fare qualche progresso»
13. Osservo Io: «Sì certo, ma ora ciò non vi riuscirà in maniera perfetta, cioè prima che Io abbia fatto ritorno alla Mia Casa; dopo invece sì!
14. Non tutti coloro che sedevano alla mensa compresero queste Mie parole, e perciò domandarono che cosa avessi inteso dire»
15. Allora risposi: «Pensate forse che il Figlio dell'Uomo continuerà, come ora, a dimorare in carne e sangue fra voi uomini, e ad insegnare e ad operare prodigi fino alla fine di questo mondo?
16. Sì, Io certo rimarrò fino alla fine di questa Terra fra gli uomini che sono di buona volontà, e li consolerò, li fortificherò e li ammaestrerò operando per loro anche dei prodigi, ed Io pure Mi rivelerò a tutti coloro che veramente Mi amano ed osservano i Miei Comandamenti; ma ciò non avverrà dentro a questa spoglia mortale, ma in quella trasfigurata ed eterna. Chi ha intendimento, comprenda bene queste cose!»
17. Dicono i discepoli: «Signore, qualche intendimento l'abbiamo, però questa cosa non riusciamo a comprenderla perfettamente!»
18. Dico Io: «Io sono stato finora ben lontano dal tenervi responsabili di questo. Ciascun allievo ha bisogno di un certo tempo prima di acquistare consistenza ed abilità nelle discipline che gli vengono insegnate, ma raggiunto questo grado di maturità, allora viene lasciato libero, e soltanto a cominciare da quel momento egli è responsabile degli eventuali errori! Se quindi voi non intendete ancora varie cose, siete senza colpa; in avvenire però non sarà così! E ora teniamoci preparati e pronti, perché ben presto succederà qualcosa che ci darà molto da fare!».
Sull’aureola.
1. Queste parole le avevo proferite a voce alta, così che anche gli altri ospiti delle mense accanto le udirono. Allora il nostro Stahar, capo della sinagoga di Cesarea Filippi, si alzò dal suo posto con grande serietà, venne vicino a Me e disse: «O Signore! Io ho inteso quello che a questa nobile mensa è stato detto e vagliato. Tutte cose quanto mai meravigliose, sublimi, ispirate a profonda sapienza e verità, nonché sotto ogni riguardo inconfutabili. In ciascuna Tua parola risplende la Tua purissima Divinità come un sole in pieno mezzogiorno e tutti gli angeli del Cielo non potrebbero sostenere una tesi contraria.
2. Ma trovo pure che sempre qualcosa mi manca, e questa è quella certa aureola sublime e divina, della quale oggigiorno ancora ci si accorge molto chiaramente non appena si muove il primo passo nel tempio, e particolarmente nel Santissimo del tempio stesso!
3. Quella certa sacra misteriosa pace e il profumo delle offerte consacrate, che qui manca del tutto, fanno sempre sull'uomo una immensa impressione e lo commuovono fortemente, certo a suo vantaggio. Quale insormontabile barriera appare esserci là, fra Dio e l'uomo!
4. Come si sente piccolo l'uomo di fronte alla tremenda ed eterna Maestà divina, anzi come si sente inabissato nel nulla, ed appena in tale suo completo annientamento arriva a percepire l'immenso Tutto nel tutto divino e la propria assoluta nullità; ciò che è quanto mai salutare per l'umiltà del cuore umano sempre portato ad insuperbire.
5. Per essere breve, dirò che secondo la mia opinione, certo non normativa, l'uomo non dovrebbe trovarsi con tanta semplicità e tanto a proprio agio alla presenza del suo Dio e Creatore come quando si trova a casa propria dinanzi ad un piatto di lenticchie che si dispone a mangiare comodamente!
6. Qui dunque manca questa sublime aureola. Noi qui sediamo tutti assieme come fossimo semplicemente amici, anzi addirittura fratelli, e quando qualcuno parla di qualcosa, da lui si sentono parole grandiosamente vere e sagge; ma in tutto ciò non c’è affatto traccia di quella certa aureola antichissima e genuinamente profetica. Quando egli ha finito di parlare, è finita pure anche ogni cosa; ma così risulta anche per noi tutto esaurito anche per quanto concerne il particolare supremo rispetto di cui l'uomo è sempre debitore a Dio.
7. In Tua presenza ci troviamo in una situazione estremamente comoda e piacevole, e perfino il Sabato, che con la sua solenne pace intona in maniera tanto splendida il cuore umano, non suscita più nei nostri animi nessuna maggiore sensazione di un qualsiasi altro giorno lavorativo. Ed ecco che ora dovrebbe in aggiunta verificarsi ancora qualcosa del tutto particolare, e ciò, pur essendo oggi un Sabato di novilunio, non potrà sicuramente che accentuare negli animi nostri ancora quella sensazione del normale e dell'usuale che ci dà la solita comunissima giornata lavorativa!
8. Non si potrebbe dunque ottenere, per intervento della Tua onnipotenza, che venisse ovviato a tale inconveniente, in modo che almeno le due ore che restano ancora da poter dedicare al necessario riposo del Sabato non venissero eccessivamente ridotte al livello di quelle di una qualunque giornata di lavoro, facendo così svanire anche l'ultima traccia di un'aureola divina?»
9. Ed Io gli rispondo: «Un vecchio albero difficilmente si lascia piegare! E non conosci il detto: "Il cane ritorna sempre alla sua vomitata, e il maiale esso pure sempre ritorna alla cloaca nella quale si è già ricoperto d'immondizia!”
10. Che cosa ha qui a che fare l'aureola del tempio, che ti appare tanto sublime e olezzante? Quando mai ha essa aperto gli occhi dell'anima a qualcuno, e a chi ha mai indicato le vie della vita?
11. Ho forse Io creato l'uomo per l'aureola o non forse unicamente per l'Amore, che tutto beatifica?
12. I tiranni e gli oppressori violenti del loro prossimo, questi sì che usano sempre circondarsi della tua aureola, e oltre a ciò gettano polvere negli occhi a chi vede ancora qualcosa e strozzano i poveri e i deboli all'unico scopo di accrescere, intorno a loro, la tua sublime aureola del terrore; e tu chiami questa una cosa buona e vantaggiosissima per l'anima umana? O vecchio stolto e cieco che sei!
13. In che modo potrei giovarvi se Mi trovassi fra di voi come un fuoco distruttore di ogni cosa? Potrebbe ciò mai accrescere l'amore vostro e la vostra fiducia in Me? Oppure, sei capace di amare colui che incessantemente con occhi roventi d'ira minaccia di strozzarti al minimo errore che potresti commettere?
14. Conosci tu, oppure conosce il vostro tempio della tenebra forse meglio di Me, perché Dio ha creato gli uomini ed in quale rapporto stanno fra di loro, e poi l'uomo di fronte a Dio?
15. Ma che cosa è propriamente quello che tu chiami aureola? Ecco, essi sono la vera e propria esalazione pestifera e velenosissima del più profondo Inferno, della quale Satana circonda i suoi fedeli servitori simili a lui, affinché questi assurgano, dinanzi a tutto il mondo, ad una considerazione tremendamente alta e grande, e con ciò e per mezzo di ciò avviare con poca fatica al suo tenebroso regno il maggiore numero possibile di anime umane!
16. Sennonché sta scritto che tutto quello che, circondato da quella certa aureola, appare grande al cospetto del mondo, è invece un abominio al cospetto di Dio!
17. Hai mai visto due esseri umani, che veramente si amino, stare l'uno contro all'altro, superbamente avvolti ciascuno nella sua aureola, né l'uno degnare l'altro di un amichevole sguardo, né men che meno di una dolce parola?
18. Oppure hai già visto qualche volta che una giovane sposa, veramente soave e innamorata, sia andata incontro al suo sposo circonfusa dell'aureola del massimo orgoglio e che lo sposo abbia fatto altrettanto o peggio forse ancora verso la sposa? Credi davvero che unendo due simili esseri, si sarà celebrato un vero matrimonio? Sì, in forza della legge umana ciò si può fare dinanzi al mondo, ma per il Cielo non avrà mai in eterno alcun valore! Poiché laddove non c'è Amore, non esiste neppure un Cielo!
19. Io ti dico: "Là c'è soltanto la maledizione dell'Inferno, e non luce, non la via, né la verità, e di conseguenza neppure la libera Vita, ma unicamente l'eterno Giudizio che opprime e trattiene tra le Sue briglie coloro che si sono in sé maledetti da se stessi!”
20. A te sembra che quanto qui avviene si vada svolgendo in un'atmosfera meno divina e meno degna di Dio, perché qui non ti è dato di assaggiare niente dell'Inferno e delle sue abiezioni!
21. Vedete fin dove può arrivare l'umanità cieca! Essa si fa un articolo di fede su ciò che, usando mezzi dell'Inferno, si possa rendere a Dio un buon servizio e quanto a Lui mai gradito! Più in là non si sarebbe affatto potuto andare nella cecità, nella stoltezza e nella perfidia!
22. Ma se così ti appare davvero tanto edificante e tanto degno di Dio, ritorna pure al tuo Inferno, e là servi al Dio della tua sublime fantasia e ti sia lieta la dimora dentro la tua aureola!»
23. A queste parole Stahar cade sulle sue ginocchia dinanzi a Me, ed esclama: «O Signore, perdona me, vecchio pazzo, cieco e stolto, mentre Ti ringrazio per questa correzione che mi hai impartita. Ora mi sento perfettamente guarito.
24. Vedi, sono stato allevato così e cullato in queste idee, e le impressioni avute nella culla difficilmente si possono cancellare dall'anima. Ma ormai in me è sorto un nuovo sole, e finalmente vedo tutta la scelleratezza e l'abiezione del servizio del tempio. Qualunque cosa possa accadere, resterò come una rupe di granito nel mare, fermo in questa nuova Dottrina, perfettamente degna di Dio, che ci viene annunciata dalla Tua santa bocca»
25. Gli dico Io: «Allora alzati, o fratello Mio. Va' dai tuoi fratelli e racconta loro quello che hai appreso da Me, perché pure essi sono immersi fin oltre i capelli ancora nella loro sciocca aureola! Spiega loro che cos'è veramente l'aureola, e dichiara a loro chi sono Io anche senza aureole, e quello che Io veramente e propriamente voglio!»
26. A queste parole Stahar si risolleva, fa un profondo inchino dinanzi a Me, ritorna rapidamente dai suoi fratelli e lì comincia a sbottonarsi completamente, così che in breve si sente molto rumore a quella mensa che prima si era mantenuta del tutto silenziosa, e Stahar ha un bel da fare per convincere i suoi fratelli, ai quali il vino ha accalorato alquanto gli animi.
27. Però Floran, il principale oratore della compagnia, gli viene in aiuto ed in breve anche quella vertenza appare appianata.
28. Frattanto Filopoldo aveva osservato a Cirenio: «O illustre governatore! Eppure è un fatto assai strano sul serio, come qualcuno non riesca a vedere quello che gli sta proprio sotto il naso!»
29. E Cirenio dice: «L'abitudine è un formidabile punto d'appoggio per ogni stoltezza. C'è in Europa un popolo, presso il quale tutto viene aggiustato e governato con il bastone e con la sferza; per qualsiasi mancanza, anche la più lieve, trova impiego doloroso o il bastone o una verga ben resistente. Cesare Augusto, mio fratello, pensò un giorno di abolire tali sistemi, e perciò stabilì degli educatori perché andassero da quel popolo e là predicassero zelantemente contro un'usanza così barbara, anzi fece perfino venire a Roma dei rappresentanti d'ambo i sessi di quel popolo, affinché imparassero a conoscere la benedizione ed i vantaggi di una convivenza umana e civile. Ma ecco che quella gente fu colta da una invincibile nostalgia per il loro paese, dove certamente doveva aspettarsi di venire picchiata a sangue, almeno una volta al mese.
30. Ma se già un inferno materiale diventa per qualcuno una consuetudine tanto radicata da bramarla addirittura quando non la trova presso un popolo umano e colto, quanto più non vorrà rinunciare qualcun altro all'abitudine dell'inferno spirituale che offre all'uomo tanti vantaggi terreni?
31. A me perciò non fecero grande meraviglia le parole di Stahar. Egli si trovava già da lunghi anni fisicamente a suo agio dentro la sua aureola, e quindi ha voluto spezzare ancora una lancia in suo favore, prima di prendere da essa definitivo congedo. Ma ormai la cosa si è risolta in bene, e perciò sia pace anche alla sua aureola».
Preparativi per l’imminente tempesta.
1. Frattanto però Ermes, il messaggero e cantore da Cesarea Filippi, si era recato sulla collina per osservare a che punto fosse l'incendio della città, e trovò che questa ardeva qua e là con molta forza ancora, ma in pari tempo scoprì anche che, appunto in direzione della città, andava addensandosi con grande rapidità un terribile uragano, che a suo modo di vedere non avrebbe tardato molto a scatenarsi.
2. Egli allora scese dalla collina con i suoi pronostici, e giunto alla base disse al vecchio Marco: «Mio caro vicino! Sono qui presenti molti ospiti e non passerà mezz'ora che noi ci troveremo tutti sotto la sferza della più tremenda bufera! Disponi tu di un riparo sufficiente a difenderci tutti dai malanni di varia specie, soliti in queste occasioni? Perché con un tempaccio quale sospetto che ci minacci, non è prudente restare all'aperto. Non voglio tanto parlare del vento e della pioggia, quanto della grandine e dei fulmini, e questi, si sa, sono un po' troppo scomodi per affrontarli all'aria libera! Se tu non avessi un tetto abbastanza grande per ripararci, bisognerebbe pensare al da farsi»
3. Risponde Marco: «Finché quel certo Uno, che è qui, non dice e non ordina niente, non c'è sicuramente alcun pericolo! Quest'Uno è il migliore e più sicuro ricovero per tutti noi, se però fosse Suo desiderio che venissero prese a questo riguardo sul serio delle misure, si provvederà a tutto il più sollecitamente possibile! Dunque, non darti nessun tipo di affanno amico e mio vicino, e vedrai che tutto andrà bene»
4. Allora Io chiamo i due e dico a Marco: «L'uragano che ben presto scoppierà sopra di noi ci procurerà senza dubbio molti fastidi, di conseguenza l'opinione di Ermes, che sarebbe opportuno provvedere a ricoverare tutta questa gente, è giustificata, ma a te manca assolutamente ogni materiale. Ma dove prenderlo, adesso, in grande fretta?»
5. Dice Marco: «O Signore, finché Tu sei qui con noi non posso che ripetere quello che ho detto prima all'amico Ermes: "Tu sei il nostro rifugio migliore e più sicuro, e in eterno non avremo bisogno di averne un altro migliore e più solido!"»
6. Queste parole del vecchio Marco vengono ripetute ad alta voce e con piena fiducia da molti fra i presenti, ed Io allora concludo: «Così dunque sia! Ma se poi capitasse una grossa grandine accompagnata da fulmini e da pioggia torrenziale?»
7. Esclamano tutti: «O Signore, fa' pure venire in aggiunta uno spaventoso terremoto che rovesci tutte le montagne e cadano pure anche le stelle giù dal cielo, ma noi con Te presente non potremo che accogliere ridendo ogni spettacolo, poiché che cos'è che può arrecarci danno, quando la Tua Onnipotente mano ci protegge?»
8. Ed Io ammonisco: «E sta bene, però anche durante la tempesta e nel pericolo è bene che voi teniate lo stesso linguaggio nel cuore e non soltanto nella bocca, allora certo, attraverso la vostra fede vivente, la Mia tutela non potrà mancarvi; ma qualora nel momento del pericolo la vostra fede incominciasse a vacillare, anche la Mia tutela non avrebbe alcuna particolare efficacia a vostro vantaggio»
9. Esclamano tutti: «O Signore! Chi mai potrà farsi vacillante nella fede e nel confidare in Te? Noi facciamo anzitutto affidamento al Tuo Amore e alla Tua onnipotente Volontà, perché se Tu, o Signore, arrestassi il corso della Tua Volontà, nonostante tutta la nostra fede e la nostra fiducia, ci troveremmo molto a mal partito; ma Tu sei immensamente buono e giusto, e dunque non vorrai che la nostra confidenza vada incontro ad una disillusione»
10. Rispondo Io: «Questo no certo, anzi, appunto durante questa serata avrete occasione di conoscere la potenza e la gloria di Dio. Oltre a ciò questo uragano che si prepara è necessario a causa della città che arde ancora, altrimenti il fuoco la divorerebbe per qualche giorno ancora. Si tratterà sì di un uragano che durerà all'incirca tre ore e sarà tale che non ne avrete visto ancora di uguali, tuttavia esso, alla fine, sarà in generale piuttosto vantaggioso che dannoso.
11. Ma ora portiamoci sulla via dove più che altrove sarà necessaria la nostra presenza, e là potrete pure contemplare pienamente lo spettacolo degli elementi infuriati, mentre la gloria di Dio vi sarà resa manifesta con maggiore evidenza che non essendo riparati sotto ad un tetto!»
12. A queste parole tutti si affrettano verso il mare ancora perfettamente tranquillo, però già si vedono avanzare delle nubi foschissime che vanno accavallandosi anche sulle montagne ad Oriente ed a Mezzogiorno, e tutti incominciano a comprendere che si avrà a che fare con un uragano tra i più formidabili. Sul mare, frattanto, appaiono a stormi le procellarie.
13. Ouran, a quella vista, comincia ad essere preoccupato per le sue belle e preziose tende; egli, di conseguenza, si avvicina a Me e Mi prega affinché Io voglia prendere sotto la Mia protezione anche quelle che egli stima essere i suoi gioielli da viaggio! Perché, dai pronostici che si possono fare, c'è da ritenere che anche le tende avranno molto a soffrire sotto la sferza dell'uragano che si prepara!
14. Io però gli dico: «Non vi ho Io già detto che appunto in questa occasione la gloria di Dio si manifesta con assoluta evidenza? Come puoi dunque tanto affannarti ancora per le tue misere tende, quasi come se da esse dipendesse la salute del mondo? Vedi, le tende sono grandi e molto spaziose; quando l'uragano scoppierà al di sopra di noi in tutta la sua violenza, allora facci entrare tutte le donne che sono qui ed anche quelli fra gli uomini che malgrado tutto fossero colti da troppo grave spavento! Poiché quello che sta preparandosi non sarà affatto uno scherzo, ma alle tue belle tende non accadrà nulla, ad eccezione che si bagneranno alquanto»
15. Dice Ouran: «Io Ti ringrazio per questa promessa che è oramai come se fosse già adempiuta. Le mie tende, che certo anche sotto il nubifragio più violento non lasciano passare una goccia d'acqua, sono a disposizione di chiunque ne vorrà fare uso. In quanto a me, resterò pure io qui all'aperto, in Tua compagnia, o Signore»
16. Dico Io: «Non temi dunque nemmeno la grandine?»
17. Risponde Ouran: «Io ho già espresso prima la mia opinione assieme a tutti gli altri, e dico ancora una volta secondo la savia sentenza romana: "SI FRACTUS ILLABATUR ORBIS, IMPAVIDUM FERIENT RUINAE!"». (Anche se l'intera Terra scoppiasse, le rovine sosterrebbero l'impavido!)
18. Dico Io: «Sta bene anche questo!». Ma ecco che ormai le nubi temporalesche incominciano a cozzare tra di loro come giganti in guerra e tra poco inizierà la battaglia; nel mare già si mostrano le caratteristiche ondate; quindi è tempo che i timidi cerchino rifugio in qualche luogo!
19. I pesci saltano fuori dall'acqua per dare la caccia agli insetti che volano molto bassi sulla superficie, e dal canto loro i gabbiani e le procellarie volteggiano allegramente al di sopra delle acque ed aiutano i pesci a sbarazzare l'aria dagli insetti. Il mare qua e là si fa molto tumultuoso, nelle alte regioni dell'atmosfera le nubi si accumulano e si scontrano sempre più, facendosi sempre più dense e fosche; ad occidente romba ininterrotto il tuono e sull'alto mare gli uragani danno inizio alla loro furiosa e fragorosa battaglia.
La tempesta.
1. E come i segni forieri della tempesta che si avvicina rapidamente si fanno sempre più manifesti e rumorosi, e mentre l'oscurità si diffonde sul mare e sopra tutta la regione, i più timorosi fra gli ospiti incominciano a cercare riparo nelle tende di Ouran, né hanno più voglia alcuna di restare all'aperto presso di Me. Anche fra i discepoli si levano voci che tradiscono ogni genere di preoccupazioni, e dei cinquanta farisei non uno si sente disposto a rimanere all'aperto, quando vedono cadere sul terreno circostante dei chicchi di grandine pesanti qualche libbra.
2. Ebal ammonisce Giara di rifugiarsi con lui in una delle tende di Ouran, ma essa non si lascia smuovere dal suo posto e dice: «Chi mai può avere tanto spavento quando si trova là dove è presente il Signore in Persona? Come mai è possibile che un uragano, sia pure di questa specie, abbia maggiore potere del Signore dell'Amore, dell'Onnipotenza e della eterna suprema Forza?»
3. Ed Ebal risponde: «Sia lontano da me un simile pensiero; ma quando si vede cadere della grandine il cui peso si conta a libbre per ciascun chicco, anche senza volerlo si viene presi da un senso di timore, particolarmente all'idea che le nubi ne possano rovesciare sul terreno in masse ben fitte. Una palla di ghiaccio, come quella che è caduta davanti a me in questo momento, potrebbe schiacciare il capo a chi si trovasse sotto!
4. Io credo senz'altro che anche se cadesse fitta come una pioggia nessun chicco arriverebbe a toccare od offendere me e mia figlia, ma ciò nonostante un uomo come me viene involontariamente e per inveterata abitudine vinto dal timore. Adesso però voglio farmi forza e bandire da me ogni timore, perché conviene che io non sfiguri di fronte alla mia Giara!
5. La grandine frattanto si è fatta ancora più fitta e dei pezzi di ghiaccio grossi come un doppio pugno precipitano con grande violenza a terra. Il mare incomincia a sollevare ondate enormi ed i fulmini si susseguono con impressionante rapidità; mentre assieme alla grandine sempre più fitta inizia a scendere anche la pioggia a torrenti.
6. A questo punto Ebram e Risa con i trenta giovani scappano anch'essi a precipizio e cercano riparo sotto le mense. Suetal invece, con Ribar e Baele, i primi fra i dodici ex delinquenti, rimangono, e così pure restano fermi i Miei discepoli, eccezione fatta per Giuda Iscariota. I soldati romani cercano rifugio in casa di Marco e nelle sue capanne da pescatore, ed altri ancora sotto gli ammassi di rocce.
7. Proprio vicino a Me sono rimasti Cirenio, Cornelio, Fausto, Giulio, Filopoldo, Kisjonah, Ebal con Giara, Raffaele e Giosoe, poi undici dei discepoli, il vecchio Marco con i suoi due figli e anche Mataele con Ouran, Rab, Boz, Miha e Zahr.
8. Elena invece, la moglie di Mataele, era anch'essa fuggita in una delle tende assieme alla moglie e alle figlie di Ermes; quest'ultimo però rimase pure presso di Me.
9. Ma per quanto noi stessimo sulla riva del mare allo scoperto, nessuno della compagnia venne nemmeno toccato dalla grandine che cadeva fittissima o dalla pioggia che veniva giù a torrenti, ed il luogo dove noi ci trovavamo rimase perfettamente asciutto. I fulmini colpivano il terreno tutto intorno a noi, però altra molestia non ci davano se non col fragore dei loro scoppi che giungeva tutt'al più ad offendere le nostre orecchie. L'uragano frattanto, aumentando di violenza, aveva incominciato a sconvolgere terribilmente il mare, sollevando delle onde come delle piccole montagne che scorrevano travolgenti sulla superficie, offrendo all'occhio dello spettatore un quadro di una imponenza spaventosa.
10. E Marco allora esclamò: «O Signore! Sono molti gli anni che già mi pesano sulle spalle, e di tempeste ho potuto fare una certa esperienza, specialmente in Calabria e in Sicilia; ma confesso che non ho mai assistito ad un uragano di questa specie, che non deve aver niente da invidiare al classico diluvio di Noè! O Signore, questa grandine devasta per vari anni questa regione, e il flutto dell'acqua precipitante con inaudita violenza trascina tutto il terreno fertile nel mare! Questo lascerà alla povera gente ben disperate prospettive per l'avvenire! E questa situazione per di più non accenna a cessare, anzi, la sferza dell'uragano picchia sempre con maggiore violenza e frequenza. Quelli lì, accovacciati sotto alle mense, finiranno con l'annegare se non si tolgono da quel posto! Le mense stesse offrono loro un punto che ormai può dare ben poco riparo, dato che sono già spaccate qua e là! O Signore, Signore, durerà molto ancora questa disastrosa tempesta?»
11. Gli rispondo Io: «Veramente essa non ha ancora iniziato per bene, e tu vorresti che fosse già finita? Finché resta così com'è è poca cosa, ma quando cambierà, allora potrai ben constatarne la veemenza; del resto non occorre che tu ti affanni a causa di questo uragano. Se esso non fosse necessario, dovrebbe svanire al minimo Mio cenno, ma per la conservazione della Terra esso è invece altrettanto necessario quanto lo sono a te gli occhi per vedere; lasciamo dunque che esso si sfoghi con tutto il suo furore.
12. D'altro canto bisogna pure che quei certi amici delle aureole si facciano una piccola idea di una vera aureola, quale non hanno potuto trovare presso di Me! Guarda un po' là, come sbirciano furtivamente dalle aperture delle tende, e non riescono a comprendere come noi possiamo sopportare tutte le furie dell'uragano con tanta disinvoltura qui all'aperto! Però, nessuno ha il coraggio di venire fuori. Oh, come è misera ancora la loro fede!»
13. Osserva Marco: «Sarà tutto bello e buono quello che dici, ma come faranno a vivere quei poveretti che resteranno? Perché Tu stesso vedi che la grandine, che sembra non volere più cessare, abbatte e stronca assolutamente tutto, ed i gorghi spazzano via tutto il buon terreno trascinandolo in mare! A migliaia vengono ora schiacciati e affogati uomini e animali, e coloro che adesso sfuggiranno alla morte, saranno evidentemente condannati più tardi a morire di fame! Questa si chiama dunque una punizione inflitta davvero un po' troppo aspramente con la sferza più tremenda di questo mondo!»
Il giudizio sulla zona di Cesarea Filippi.
1. Dico Io: «Sai tu, Mio caro Marco, ciascuno parla di una cosa a seconda di come la conosce, e perciò anche qui avviene che tu parli di questa cosa come tu la comprendi! Io però ti dico che il Signore impiega la scopa molto di rado, ma quando Egli ci mette mano, Ti assicuro che spazza assai bene!
2. Conosci questa vasta regione? Sì, tu la conosci e sai che è fertilissima e che è in mano a greci ricchi e prepotenti, mentre i poveri ebrei sono costretti, con il sudore della loro fronte, a lavorare in cambio di una ricompensa davvero irrisoria, ad esclusivo vantaggio di quella genia di greci opulenti, e a portare a stagione finita tutto il frutto del loro lavoro nei granai e nelle dispense dei greci. Questi, poi, con il prodotto delle altrui fatiche fanno commercio con tutte le parti del mondo, ricavandone molto oro ed argento, mentre, venuto l'inverno, i nostri ebrei devono andare mendicando o tutt'al più dedicarsi alla pesca se vogliono vivere!
3. Vedi, questo gli ebrei lo possono sempre fare, e il mare continuerà a restare ricco di pesce!
4. Quando mai un ebreo ha ottenuto un solo tozzo di pane da un greco di questa specie, quando la fame l'ha spinto a mendicare? Mai, te lo dico Io; anzi, per mendicare un pane ha dovuto sempre attraversare il mare e rivolgersi ai propri compagni di fede! Qui c'è il Mio Kisjonah e là il Mio Ebal, chiedi a loro ed essi ti diranno quante migliaia di poveri ebrei di questa regione hanno ottenuto, soltanto presso loro due, un boccone di pane durante l'inverno!
5. È già da lungo tempo che Io sto osservando con pazienza immensa questo inumano, infame procedimento, ma ora la misura è colma e Io intendo punire questa spietata progenie di usurai in maniera che se ne dovranno ricordare per tutta la vita!
6. Guarda il tuo giardino e i tuoi piccoli campi; né l'acqua né la grandine vi arrecano il benché minimo danno, ma guarda poi il rimanente della regione e vedrai i segni di una tale devastazione che difficilmente avrai potuto constatare in un altro luogo!
7. In seguito a questo flagello, questa razza di usurai greci sarà cacciata da questo paese, poiché sulle nude pietre essa non potrà più raccogliere né grano né frumento né orzo né lenti o fave, e quando si sarà ben persuasa di ciò, essa abbandonerà il terreno desolato ed emigrerà in Europa.
8. Ed è anche principalmente per questo motivo che Io ho concesso che quasi tutta la città fosse convertita in un cumulo di macerie e di ceneri, perché dove l'uomo non ha più dimore né terre da coltivare, egli abbandona i luoghi fattisi deserti e vuoti e se ne va in cerca d'altro.
9. Per i miseri ebrei resterà ben a sufficienza del terreno ancora coltivabile intorno al mare e la città verrà di nuovo edificata per i veri ebrei, però in una forma più pura e migliore di quanto lo sia stata finora. Questa è una città sì ancora giovane, e come città conta a mala pena settant'anni, dato che prima sul suo posto non sorgeva che una borgata insignificante; ma d'ora innanzi non verrà più chiamata città, ma sarà e resterà semplicemente un villaggio di pescatori. Il fasto dei greci deve scomparire, ma, al contrario, la gloria dei Cieli sarà rivelata come ora appunto avviene e si rende manifesta. E adesso, o Marco vecchio Mio, dimmi se sei d'accordo con i Miei sistemi di governo»
10. Risponde Marco: «Oh, se è così, certamente! Allora, o Signore, percuoti pure con forza anche dieci volte maggiore! Quello che hai detto è pura verità! È un fatto che con questi ricchi greci non si poteva più scambiare sul serio una parola, e presso di loro, da lungo tempo, di un amore per il prossimo si sarebbe invano cercata una traccia. Se si voleva avere qualcosa da loro, bisognava pagarlo a caro prezzo con dell'argento o dell'oro, se però essi comperavano qualcosa da uno di noi, ci si doveva accontentare di fare uno scambio con altre merci che essi fornivano. Oh, perciò, quello che succede sta loro più che bene e non posso che gioire di tale violenta tempesta. Anzi, visto questo, non posso davvero che augurarmi che si faccia almeno dieci volte ancora più terribile!»
11. Gli dico Io: «Lascia stare adesso queste cose, perché alla misura assolutamente giusta sarà senz'altro provveduto!»
12. Interviene allora Cirenio e chiede: «Tu dunque intendi dire che questa regione rimarrà completamente deserta?»
13. Dico Io: «Deserta del tutto, precisamente no, però è bene che i ricchi greci ne vengano allontanati; Io ti dico che questo uragano otterrà l'effetto di cacciare via da qui almeno un migliaio di famiglie fra le più benestanti, perché questo l'ho previsto già da lungo tempo! Malgrado ciò, però, essi rimarranno ancora sudditi di Roma»
14. Dice Cirenio: «Non è una cosa buona se in una regione o in un intero paese ci sono molti abitanti ricchi?»
15. Rispondo Io: «Oh, sì, certo, se fossero come questi Miei amici qui, Ebal e Kisjonah, questo è certo un bene, perché allora essi sarebbero dei veri padri del paese, per la povera popolazione, e ciascun paese potrebbe sicuramente stimarsi felice di avere molti di questi padri.
16. Ma questi ricchi greci sono invece delle vere sanguisughe per un paese e ritengono che i veri ebrei devono essere lieti quanto mai se a compensare le loro gravi fatiche viene loro concesso di mangiare insieme ai maiali di cui sono ricolmi i porcili dei greci! Questi per Me non sono più degli uomini, ma degli autentici demoni senza l'ombra di un cuore, e per la loro carne orgogliosa non c'è in Me nessuna pietà e nessuna misericordia! Dopo che l'uragano avrà esaurito il suo furore, ciò che avverrà entro un'ora, che provino a deporre il loro argento e il loro oro sulle nude pietre e che vi seminino sopra il grano, e poi vedremo se potrà germinarvi anche un solo stelo!
17. Ora, vedi, in un colpo solo Io ho annientato una quantità di insetti maligni; i sacerdoti, veri apostoli della menzogna, hanno dovuto prendere il largo, ed ora la medesima sorte toccherà pure a quella progenie greca di usurai! I loro palazzi sono ridotti a macerie e i loro vasti campi, i giardini e i prati vengono ora spazzati via dalle acque, e quando, dopo cessato l'uragano, esamineranno le loro terre e si persuaderanno che ogni ulteriore tentativo di coltivazione sarebbe fatica assolutamente sprecata, allora incominceranno a raccogliere i loro averi e se ne andranno per la maggiore parte in Europa; poi a Me resteranno a disposizione sempre mezzi sufficienti per rendere in breve tempo il più fiorente possibile questa regione.
18. Frattanto la bufera accennava a diminuire un po' in violenza; però, anche se la grandine era cessata, la pioggia cadeva dalle nubi addirittura in tale quantità che l'acqua si ammassava sul terreno a mezza altezza d'uomo e scorreva poi via con un rombo terribile, e perfino il livello del mare rivelava l'enorme contributo fornitogli da quel nubifragio, ciò che certamente non era piccola cosa. Macerie di case e capanne, alberi e mille altri arnesi o suppellettili venivano trascinati dalle acque nel mare, così pure una quantità di bestiame, come pollame e uccelli di ogni specie, abbattuti dalla grandine, maiali in grandissimo numero, asini, vacche, buoi, pecore, capre, lepri, caprioli e cervi. Tutto affluiva in quel mare con grande soddisfazione dei suoi rispettivi e numerosissimi abitanti, i quali avrebbero così avuto di che cosa saziarsi abbondantemente per lungo tempo, con il risultato di promuovere la moltiplicazione e di costituire così un buon risarcimento per gli ebrei poveri che ad ogni modo non avevano che poco o affatto niente da perdere, considerato che essi poco o affatto niente possedevano. I pochi ebrei benestanti erano anche loro diventati piuttosto greci negli animi, per quanto riguardava la durezza e l'insensibilità di cuore, e di conseguenza alle loro anime non sarebbe affatto riuscito dannoso se si fossero trovati costretti, come gli altri, a dedicarsi alla pesca e alla mendicità.
19. Ma quando la pioggia incominciò a riversarsi con così terribile violenza, tutti coloro che avevano cercato ricovero sotto alle mense si levarono e vennero, completamente inzuppati, nel luogo dove Io Mi trovavo, e non poterono celare la loro meraviglia quando videro che tanto Io quanto tutti gli altri, che erano rimasti con Me all'aperto, eravamo completamente asciutti e che il posto dove ci trovavamo, su un terreno alquanto sopraelevato, era stato rispettato dall'acqua in modo tale che non si sarebbe potuto scoprire neppure una gocciolina sul minimo filo d'erba.
20. Ed Ebram, dopo essersi spinto fino a Me, Mi domandò: «O Signore! Com’è possibile che con tutto questo spaventoso rovescio di pioggia questo luogo e tutti voi siate rimasti perfettamente all'asciutto mentre noi siamo bagnati come se fossimo caduti in mare e ci sentiamo gelare come fosse inverno, mentre qui c'è un tepore piacevole, come l'abbiamo goduto stamani? O Signore, come si spiega questa cosa?»
21. Ed Io gli rispondo: «Questa cosa non esige spiegazioni, ed essa è precisamente come tu la puoi constatare; Io davvero non posso dare altra risposta alla tua domanda, perché, considerato il molto che tu hai già qui udito e visto, dovresti ben sapere e perfino percepire in maniera vivente Chi e Che cosa sia qui presente! Ora, se nell'anima tua comprendessi questo, come sarebbe possibile rivolgerMi una simile domanda?
22. Il mattino in voi parve annunciarsi bensì molto chiaro, ma la sera sembra di nuovo trasformarsi in un tenebroso assopimento dell'anima! O umanità terribilmente cieca! C'è certo qualche momento in cui appari lievemente illuminata, ma la luce, poiché non è sorta sul tuo terreno, non permane, e invece in brevissimi istanti la notte nuovamente si sostituisce al breve mattino dell'anima!»
23. Dice Ebram: «O Signore! Che cos'è questo? Cosa hai inteso dire con ciò ame e ai miei ventinove fratelli?»
24. Dico Io: «Semplicemente questo, che tu ed i tuoi fratelli non siete che dei pesci ciechi dentro un'acqua torbida. DimMi un po', che cosa vi ha spinti, data la Mia pienissima presenza, a rifugiarvi sotto alle mense e alle panche?»
25. Rispondono in coro quegli inzuppati: «O Signore, ci ha spinti il ribrezzo e il timore di fronte alle tremende manifestazioni di questa specie; timore del tutto naturale che ci è rimasto ancora dalla nostra fanciullezza!»
26. Nella nostra cieca paura non abbiamo più pensato dove e presso Chi noi ci trovavamo, adesso però ci accorgiamo benissimo della nostra stoltezza e vediamo altresì come siamo stati tutti quanti ciechi e quanto gravemente abbiamo peccato al Tuo santissimo cospetto. Ed ora, o Signore, non possiamo fare altro che chiederTi perdono in tutta la più sincera e vivente comprensione dei nostri cuori! O Signore! Condonaci la nostra immensa stoltezza!»
27. Dico Io: «È già da molto tempo che Io vi ho perdonato tutto, né presso di Me la stoltezza viene passata mai dalla parte del debito, perché chiunque sia stolto deve ascrivere a se stesso la colpa se la stoltezza finisce con il volgersi a suo danno; ma un'altra volta, quando non Mi avrete come adesso presso di voi, allora ricordatevi della vera e vivente fede del Mio Nome, ed Esso vi proteggerà meglio di una qualche debole tavola di legno che con un lieve urto può venire spezzata»
28. I trenta allora fanno tesoro della Mia ammonizione e Mi pregano di poter restare là sul terreno asciutto.
29. Ed Io dico loro: «Questo s'intende da sé! Rimanete ed asciugatevi, perché la pioggia durerà una buona mezz'ora ancora.
30. Lieti di questa decisione, i trenta si fermano essi pure all'aperto, rallegrandosi di potersi sentire completamente asciugati in breve tempo, anche sotto il violentissimo nubifragio».
La nave in difficoltà in alto mare.
1. Allora Io chiamo a Me l'angelo e gli dico a voce alta, per farMi sentire anche dagli ospiti e dai discepoli: «Là in alto mare c'è una nave coperta, abbastanza grande, che si trova in condizioni molto difficili, con a bordo venti persone di entrambi i sessi, senza contare gli otto marinai. La nave, all'inizio della tempesta, si era fermata sulla riva opposta non lontano da Genezaret, ma quando l'uragano si fece più violento, la nave, che era pronta per la partenza, ebbe strappati gli ormeggi e venne sospinta velocemente in alto mare. I naviganti e i viaggiatori fecero tutti gli sforzi possibili, ed esaurirono quasi tutte le loro forze nei tentativi di salvarsi dal naufragio. Nel momento in cui parliamo essi sono nel pericolo estremo di venir inghiottiti dalle acque; alzati, dunque, e portali in salvo, non però in maniera troppo incomprensibile, ma sciogli uno di quei battelli e da pilota provetto quale sei volgi la prora verso la nave pericolante e conducila qui, dato che ad ogni modo era diretta in questa direzione, essendo Cesarea Filippi l’ultima destinazione dei viaggiatori.
2. A queste Mie parole, l'angelo lascia immediatamente la nostra compagnia e stacca un battello il quale era naturalmente pieno d'acqua; Raffaele però lo vuota in un batter d'occhio e lo spinge con la velocità di una freccia contro l'uragano, raggiungendo in pochi istanti la nave che minacciava di naufragare»
3. E quando i pericolanti scorsero l'angelo, caddero sulle loro ginocchia, resero grazie a Dio ed esclamarono: «Oh, questo non è un solito pilota! Questo è veramente un angelo che Dio, per esaudire le nostre preghiere, ha mandato per la nostra salvezza! Sì, questi certo ci condurrà tutti a buon porto»
4. Raffaele domanda allora soltanto pro forma: «Dove mai siete diretti, in mezzo a questo uragano?»
5. Rispondono i pericolanti: «La nostra meta era Cesarea Filippi e volevamo partire subito dopo che si era calmato il temporale, ma la violenza del mare e del vento strappò la nave dalla riva e la spinse fin qui. Noi veramente non sappiamo dove ci troviamo, perché la pioggia troppo fitta non ci permette di scorgere da nessuna parte una riva che ci sia conosciuta. Ci vuole ancora molto per arrivare nel luogo dove siamo diretti?»
6. Dice Raffaele: «Con questo vento, no; ma siccome la tempesta e la pioggia dureranno con tale violenza per una mezz'ora e voi dovreste oltrepassare la zona più sconvolta del mare dove sareste irrimediabilmente perduti, così, da pilota esperto e animoso quanto mai, sono venuto qui per portare voi e la vostra nave in salvo. Avete molta acqua nella nave?»
7. Rispondono i marinai: «Eh, ce n'è abbastanza!».
8. Però, trascorso qualche istante, l'acqua penetrata nella nave sparì, come per incanto, fino all'ultima goccia ed i marinai, che se ne accorsero ben presto, dissero al cortese pilota: «Ma in verità è molto curioso; bisogna dire, o giovane e bravo pilota, che prima ci siamo sbagliati; nella nostra nave, molto ben coperta, non è penetrata nemmeno una goccia d'acqua. Strano però che prima abbiamo avuto l'impressione che ci fosse realmente dell'acqua, salvo che non sia stata semplicemente un'illusione dovuta alle nostre condizioni d'animo e al nostro giustificato timore, perché adesso in realtà non vediamo in nessun cantuccio neppure una sola goccia d'acqua e la cosa ha sul serio un po' del meraviglioso. Le disposizioni che prende il Signore sono sempre tutte meravigliose, eppure resta senz'altro una cosa abbastanza strana che nonostante tutto questo diluvio, tanto nella nostra nave coperta quanto nel tuo battello scoperto, non vi sia che qualche traccia d'umidità!»
9. Dicono allora i viaggiatori a quei marinai: «Non dite molte parole invano! Tutto ciò è dovuto alla grazia di Dio, per la quale sarà nostro dovere offrirGli in tutta serietà un gradito sacrificio di ringraziamento, e il giovane e intrepido pilota è un pilota dai Cieli! Perché guardate un po' come la pioggia viene ancora giù a torrenti e tutto intorno a noi le onde sembrano montagne che scivolano sul mare, eppure tanto la nostra nave quanto il suo battello scorrono sull'acqua con tranquillità come se il mare fosse uno specchio e né sulla nave né sul battello cade una sola goccia di pioggia. Anche i fulmini guizzano continuamente intorno a noi, e nessuno di questi fulmini apportatori di morte ci tocca. Vedete, questa è certo una grazia, una grazia immensa concessa dall'Alto e da noi assolutamente immeritata!»
10. Dicono i marinai ai viaggiatori: «Sì, certamente, voi tutti avete ragione, questo è un miracolo ed una vera grazia dall'Alto! Noi siamo ormai salvi, vedete, siamo già vicini alla riva e nonostante la pioggia torrenziale c'è una quantità di gente all'aperto, e molti anzi tutti già ci fanno con le mani dei cenni di benvenuto! O Signore, nostro Dio! Come sei grande e buono, anche fra le burrasche, verso coloro che Ti hanno sempre fedelmente lodato e glorificato e Ti hanno fatto sempre con gioia la prescritta offerta! Onore eterno al Tuo Nome santissimo!».
11. E dopo tali parole puntano direttamente e tranquilli verso la riva, mentre Io in segreto comando che la tempesta si calmi e cessi completamente!
12. In pochi istanti l'uragano tace, e tutto ritorna ad uno stato di tranquillità assoluta come se nulla fosse accaduto. La nave si accosta con tutta facilità e i viaggiatori scendono a terra.
13. E quando essi sono scesi non possono celare la loro meraviglia per quanto è dato loro di vedere.
14. L'uragano e il nubifragio sono completamente svaniti, il mare è perfettamente tranquillo e il cielo libero da nubi, e soltanto dei fiocchi bianchi di vapore, ammantati di rosea luce, adornano qua e là il fondo azzurro del cielo; infatti il Sole si era già coricato dietro le montagne, lasciando alla Terra e dove noi eravamo soltanto il saluto del suo splendido crepuscolo.
15. La riva dove sono scesi i viaggiatori è completamente asciutta, tutti gli ospiti che si trovavano con Me appaiono lieti e contenti, e il nostro vecchio Marco li accoglie con tutta cortesia, e subito domanda loro se desiderano prendere qualche rinfresco e qualche ristoro, dato che le fatiche e le peripezie del viaggio devono certo averli resi abbastanza stanchi.
16. In una parola, tutto quello che vedono e odono esercita su di loro un'influenza tanto benigna che non sanno affatto capacitarsi, e credono che sia un sogno tutto ciò che succede e si svolge loro intorno.
I mercanti ebrei dalla Persia.
1. Dopo qualche tempo, riavutosi dalla sua immensa meraviglia, uno dei viaggiatori dice: «Dov'è dunque il nostro pilota? Perché bisogna anzitutto che gli domandiamo cosa gli dobbiamo per il servizio impagabile che ci ha reso! Non è davvero uno scherzo quello di esporsi ad un simile pericolo per salvare una nave carica di viaggiatori!
2. Frattanto, però, i marinai vengono a prendere istruzioni dai viaggiatori e domandano loro se per il viaggio di ritorno devono aspettare la notte e il giorno seguente, ovvero, se dato lo stato ormai tranquillo del mare possono ritornare alle loro case alla sponda opposta che in linea retta era distante dalle cinque alle sei ore di viaggio.
3. Ma i viaggiatori decidono che i marinai debbano attenderli finché avranno sbrigato i loro affari a Cesarea Filippi.
4. Marco, udita la decisione dei viaggiatori, dice loro: «Miei cari amici, il cammino fino alla città potete veramente risparmiarvelo, perché di tutta la città non resta altro che qualche capanna di poveri ebrei ed una quantità di rovine consunte dal fuoco! La notte scorsa e tutta la giornata d'oggi un incendio ben meritato vi ha infuriato e l'ha distrutta, e a nessuno è stato possibile combattere il fuoco!
5. Se avete qualche cosa da regolare, bisogna che veniate ad una eventuale conclusione qui, dove le supreme autorità, tanto terrene che spirituali, si trovano appunto presso di me!»
6. A tali notizie i viaggiatori rimangono sorprendentemente conturbati ed esclamano: «O amico! Se è così, ci sarà ben poco da fare qui, malgrado la presenza dei supremi signori del mondo e dello spirito! Noi infatti eravamo in importanti relazioni d'affari con i negozianti greci di questa città ed essi hanno ricevuto da noi molta merce, però ci sono rimasti debitori dell'intera nostra ultima fornitura! Come faremo a recuperare il nostro denaro?
7. Noi siamo dei buoni artefici nella lavorazione della seta e del pelo di cammello; abbiamo fornito delle stoffe finissime di lana di vari colori ed anche dei tessuti a fiorami e dei drappi per gli svariati usi del tempio, e l'ultima fornitura aveva in complesso un valore di diecimila libbre d'argento; noi siamo bensì degli israeliti tributari a Gerusalemme, però viviamo in Persia, abbiamo lì le nostre fabbriche e siamo sempre stati onesti e buoni.
8. Nel nostro paese abbiamo sempre osservato la legge di Mosè più rigidamente e scrupolosamente di tutti gli israeliti di Gerusalemme, manteniamo una sinagoga che in tutto ciò che riguarda grandiosità e sfarzo non dovrebbe perdere molto nel paragone con il tempio di Gerusalemme!
9. Noi siamo gente a modo e caritatevoli verso tutti i poveri che confessano la nostra fede mosaica, e come tutti sanno siamo vissuti nella massima purità di costumi e nel migliore ordine possibile; perché dunque Jehova ci ha ora visitati così crudamente?
10. Vedi, noi avevamo l'intenzione, qualora fossimo potuti venire in possesso di quanto legittimamente ci aspettava, di devolvere volentieri la metà delle diecimila libbre a favore del tempio, anzi, noi volevamo elargire anche le rimanenti cinquemila libbre per venire in aiuto agli eventuali compagni di fede molto poveri di questa regione, se si fosse potuto, per la regolarità dei conti, ottenere il completo pagamento della somma dovutaci!»
11. Dice Marco: «Purtroppo, miei cari amici ed ospiti, malgrado tutti i vostri lodevolissimi propositi, è ben difficile che la cosa si possa realizzare! Tuttavia parlate con il governatore generale Cirenio, che attualmente si trova qui assieme ad altri esponenti dell'autorità di Roma; forse egli potrà esservi utile in qualche cosa»
12. Dicono i viaggiatori: «Dov'è dunque, affinché andiamo da lui e gli esponiamo la situazione in cui ci troviamo? Forse anche a questo riguardo potrà verificarsi qualcosa di prodigioso! Perché il nostro salvataggio, per opera del giovane pilota, è stato evidentemente un prodigio, e non affatto piccolo! Ma il nostro pilota sembra essersi smarrito in qualche luogo e non si fa più vedere, mentre noi vorremmo dargli il dovuto compenso per averci tratti in salvo!»
13. Dice Marco: «Là, su quella piccola collina al mare, si trova il governatore generale e gli altri personaggi, e fra loro c'è anche il pilota. Voi potete andare da loro senza farvi alcun riguardo e tentare di sbrigare le vostre faccende.
14. Là però c'è anche un Qualcuno, che è avvolto in un mantello colore azzurro cielo e che sotto porta una veste intessuta, senza cuciture, di colore rosa ed ha un'abbondante capigliatura bionda inanellata che Gli arriva fino alle spalle; se riuscite a guadagnarLo, potrete certo dire di aver fatta la massima tra le fortune! Poiché Egli può assolutamente tutto, e sotto certi aspetti a Lui non è impossibile nessuna cosa! Tuttavia, trattandosi di una questione come la vostra, non posso nascondervi che sarà piuttosto difficile parlare con Lui!»
15. Chiedono i viaggiatori: «Chi e che cosa egli è dunque? È egli forse qualcuno della famiglia imperiale di Roma, oppure addirittura il capo di qualche gran regno?»
16. Risponde Marco: «Né l'una né l'altra cosa; però andate là e forse arriverete a indovinare Chi si cela sotto il mantello azzurro!»
I due delegati dei viandanti a colloquio con il Signore.
1. Con queste parole il nostro Marco lascia i viaggiatori e rientra in casa per predisporre la cena. I viaggiatori però, dal canto loro, si consigliano se devono portarsi tutti sulla collina oppure scegliere a questo scopo soltanto un paio di deputati! Ben presto si mettono d'accordo e decidono di inviare solamente due delegati, scelti fra i più saggi. La cosa è subito combinata e i due nominati si dirigono solleciti verso la collina.
2. E una volta giunti, essi fanno un profondo inchino e la loro prima cura è quella di domandare, in forma quanto mai cortese, al pilota ormai ritrovato di che cosa e quanto gli sono debitori.
3. Ma il pilota afferma: «Io non sono che un servitore del mio Signore dal Quale ricevo tutto ciò che mi occorre; perciò non accetto mai alcuna ricompensa da chicchessia, considerato che tutto poi è dovuto soltanto al mio Signore!»
4. Chiedono i due deputati al pilota: «Dove e chi è allora il tuo beato signore?».
5. E Raffaele, indicando Me con la sua destra, risponde: «È Quello che vedete là! Andate dunque da Lui e a Lui domandate, ed Egli poi vi dirà di quanto o di che cosa Gli siete debitori!»
6. I due allora si inchinano dinanzi all'angelo e si avvicinano a Me. E giunti che sono, si prostrano secondo l'usanza persiana con le facce a terra, e restando in quella posizione Mi dicono: «O signore, le cui raggianti sembianze noi non ci azzardiamo di contemplare! Tu hai mandato incontro a noi il tuo abilissimo e coraggiosissimo pilota nel momento del maggior bisogno, e senza di lui noi saremmo stati evidentemente perduti! Noi però non siamo dei poveri da non poter compensare secondo merito ed equità un simile servizio, anzi siamo molto ricchi e non chiediamo a nessuno un servizio invano, tanto meno poi un servizio di tanta importanza che veramente non lo si potrebbe mai compensare abbastanza. Che cosa ti dobbiamo dunque per averci tratti da un pericolo che altrimenti ci sarebbe costato la vita?»
7. Ed Io rispondo loro: «Anzitutto Io chiedo che voi, poiché siete uomini, vi alziate da terra e che, secondo la nostra usanza, vi manteniate ritti come si addice a degli uomini in presenza di altri uomini, poiché noi non siamo affatto dei personaggi vani ed orgogliosissimi del regno di Persia dai costumi servili; soltanto poi ci metteremo d'accordo circa le competenze di salvataggio»
8. A queste Mie parole, i due si sollevano e Mi pregano cortesemente, esprimendo la loro gratitudine, di stabilire il compenso da loro dovuto per l'operazione di salvataggio.
9. Ma Io dico loro: «Io so da dove venite, e Mi è anche nota la ragione del vostro arrivo da queste parti; non ignoro neppure che in fatto d'oro, d'argento e di pietre preziose siete ricchi come lo sono pochi israeliti della grande Gerusalemme e so anche che voi per questo salvataggio paghereste tanto quanto sono i crediti da voi vantati nei confronti dei mercanti greci di questa città ormai devastata e che difficilmente mai vi riuscirà, sia pure in parte, di realizzare!
10. Dunque, il compenso che Io potrei richiedere a voi, particolarmente perché siete persiani e appartenenti alla nostra stirpe, dovrebbe di pieno diritto ammontare ad una somma così grande quanto la vostra sicura perdita per l'inesigibilità dei vostri crediti verso questi mercanti greci, i quali ormai sono in cerca di un ricovero in qualche capanna dei boschi. Ma che cosa ci guadagnereste voi, qualora là potreste incassare per poi qui di nuovo pagare? E poi, infine, non vi resterebbe altro che ritornare alle vostre case con la sensazione di non aver concluso niente e di trovarvi nella situazione di prima!
11. Ma Io invece non intendo mettervi niente in conto per il salvataggio e vi assicuro, inoltre, che la vostra permanenza qui e perfino il viaggio fino a qui e il ritorno fino a Genezaret da dove siete venuti per via mare non vi costerà uno statere, perché si tratta di una nave di Ebal e la rispettiva ciurma era pure al servizio di Ebal. Siete contenti così?»
12. Rispondono i due delegati: «O signore! Tu che sei ancora nel pieno vigore della tua fiorente giovinezza, ma allo stesso tempo sembri ed effettivamente anche sei colmo di genuina salomonica sapienza; quello che tu ora hai stimato essere il prezzo del nostro salvataggio, noi avevamo già comunque l'intenzione di devolverlo per metà al tempio di Gerusalemme, in forma di offerta, e l'altra metà a vantaggio dei poveri israeliti di questa regione, qualora i mercanti di questa località fossero stati in grado di rimborsarci la somma non irrilevante che ci dovevano.
13. Ma visto che è toccata loro una sorte così dura, questa perdita non ci causa il benché minimo affanno, e noi siamo pronti a venir loro in aiuto con il doppio di questa somma a fondo perduto e senza interessi, nonché in aggiunta di offrire a te, con la più grande gioia di questo mondo e secondo la tua stima, le diecimila libbre dovute per il nostro salvataggio! Poiché vedi, o signore di questo paese, noi siamo molto ricchi, e mille cammelli non ci basterebbero per trasportare qui i nostri tesori terreni anche se volessimo caricarli con quattromila libbre ciascuno. (Una libbra persiana equivarrebbe oggi a cento grammi). Oltre a ciò noi possediamo vastissimi terreni e numerose ricche greggi. Queste somme dunque non rappresentano per noi quasi nulla; chiedi perciò pure quanto vuoi e sarà una gioia per noi poterci conformare alla tua volontà e alla tua decisione, poiché a dieci volte tanto dovrebbero ammontare i crediti che noi ancora vantiamo nelle varie città della Giudea! Noi ti daremmo allora immediatamente l'importo in contanti oppure degli assegni di pagamento con assoluta garanzia.
14. Noi faremo come tu gradisci, perché non siamo mai stati né avari né spilorci! Noi ben sappiamo che la ricchezza si trova continuamente nelle mani dell'Altissimo, il Quale la può donare a qualcuno durante la notte e pure riprendergliela la notte seguente! Noi non siamo che i suoi amministratori, mentre l'unico assoluto Padrone è Lui, il Signore Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe!
15. Da quanto ti abbiamo ora detto, puoi già capire con chi hai a che fare qui; ti piaccia dunque soltanto comandare e noi faremo come tu certo vorrai deliberare!»
16. Dico Io: «Come ho già prima detto, così resti deciso! Perché Io ben conosco voi e tutte le vostre condizioni, e voi fate già abbastanza se accondiscendete alla Mia richiesta. Se però volete fare qualcosa di più a vantaggio di coloro che sono veramente poveri, da nessuna parte certo vi verranno creati impedimenti. Ed Io ancora vi dico che qui c'è la possibilità di ottenere qualcosa che ha un valore infinitamente maggiore di tutti i vostri tesori che quasi non si possono contare! Ma di ciò parleremo più tardi!»
17. Osservano i due delegati: «Tu sembri essere un saggio di una specie straordinaria! I tesori di questa Terra pare non abbiano affatto potere di commuoverti, e a quanto si può dedurre dalle tue parole, forse neanche una esagerata beneficenza riscuote eccessivo plauso presso di te! I tesori dello spirito sono certo presso di te in maggiore pregio di tutto l'oro della Terra! E se la pensi così, hai anche perfettamente ragione; perché i tesori dello spirito durano in eterno, mentre quelli terreni non durano, per ciascun uomo, che soltanto fino alla tomba, e poi cessano di esistere per colui che è stato tolto da questa Terra!
18. Sì, o savio signore, dacci i tesori della sapienza e questi ci saranno più cari di tutto il nostro oro, delle pietre preziose e dei nostri pesanti sacchetti d'argento; ma ora noi ce ne andremo e rapporteremo fedelmente ed esattamente tutte queste cose ai nostri fratelli»
19. Ed Io concludo: «Sì, anzi, andate e raccontate tutto ciò ai vostri fratelli, ma poi ritornate qui con loro. Voi non siete che in venti, esclusi i marinai, e troverete facilmente posto qui!»
20. «Oh, certo!» Esclamano tutti lieti i due delegati. «Di posto ce n'è a sufficienza; ma ci si domanda, poi, se tu avrai anche la bontà di elargirci qualche elemento di sapienza. Perché da noi, in Persia, la vera sapienza si fa sempre più rara, e al suo posto prende sempre più piede l'arte magica dei sacerdoti pagani; ed è probabile che questa finirà ben presto con il soffocare ogni sapienza, perfino negli israeliti che dimorano là, se i sacerdoti e i servitori degli idoli, estremamente avidi ed ambiziosi, riusciranno a strappare al re qualche privilegio e qualche potere; ciò è da temere molto che si verifichi, dato che essi fanno in questo senso una pressione enorme sul re e lo suggestionano notte e giorno.
21. Noi finora abbiamo saputo tenere loro testa valendoci delle nostre grandi ricchezze, ma quella perfida genia sa anch'essa come ammassare considerevoli tesori, e ad ogni occasione sono intorno al re, che ha sempre le mani bucate, per offrirgli il loro aiuto. E così, purtroppo, accadrà che essi finiranno con l'approfittare malamente della tolleranza del re, il quale è del resto una persona di buon cuore. Ma di ciò avremo tempo di parlare più tardi; adesso si tratta anzitutto di mettere al corrente i fratelli, che devono ormai attenderci con ansia, di ciò che abbiamo appreso qui». E detto questo si inchinano nuovamente e si affrettano a ritornare presso i fratelli. Giunti là, rendono fedele conto della loro missione e si intrattengono ancora su vari altri argomenti con i loro compagni e con le loro compagne.
Della benedizione e maledizione della ricchezza.
1. Cirenio allora Mi rivolge la parola e dice: «O Signore e Maestro! In verità, non ho ancora mai avuto occasione di imbattermi in gente così generosa e di nobile cuore; costi quello che può costare, ma bisogna che io trovi il modo di tutelarla contro la sopraffazione dei sacerdoti degli idoli. Il re di Persia non è in fondo egli pure che un vassallo di Roma, ed è sottoposto al mio controllo; oh, a quei perversi figuri non mancheremo ben presto di accorciare le unghie! Anche Tu, o Signore, dovresti concedere qualche particolare grazia a questi galantuomini, perché a me sembra che ne siano assolutamente degni!»
2. Dico Io: «Senza alcun dubbio, altrimenti non li avrei fatti salvare da un sicuro naufragio per mezzo del Mio angelo; poiché quando Io intervengo in maniera prodigiosa in qualche questione, vuol dire che ci sono dei buoni motivi. Ed appunto nel nostro caso i buoni motivi non mancano!
3. Una grande ricchezza terrena nelle mani di persone come queste è una vera benedizione dai Cieli per un intero paese, e se poi esse sono per di più dotate di una qualche superiore sapienza, possono con la ricchezza fare miracoli per il reale benessere dell'umanità.
4. Ma una ricchezza immensa tra le mani di un avaro o di un usuraio diventa una maledizione dell'Inferno per tutto un impero, perché egli tende a concentrare tutto nelle sue mani a spese di tutto il suo prossimo! Non la miseria, non la disperazione, né le lacrime di povere vedove e di orfani riescono a commuoverlo. Dinanzi alla faccia e al cuore gelidi di un usuraio, le migliaia possono trovarsi in preda ai tormenti della fame; egli li vede sì, ma purtroppo non porge a nessuno nemmeno un misero pezzo di pane per saziarlo!
5. E perciò Io ora vi dico che un giorno, i fornicatori, gli adulteri, i ladri e gli assassini pentiti entreranno nel Regno dei Cieli, ma l'anima di un avaro e di un usuraio non ci entrerà mai! Perché questa è incorreggibile e diverrà un materiale con il quale i demoni edificheranno un Inferno tra i più profondi!
6. Un usuraio è una vera macchina dell'Inferno costruita per la rovina di tutta l'umanità, e come tale rimarrà in perpetuo patrimonio assoluto dell'Inferno!
7. Poni sul capo di un usuraio una corona, offrigli scettro e spada e un possente esercito in aggiunta, e vedrai che così avrai stabilito un vero Satana a reggente tirannico della misera umanità, ed egli non risparmierà nemmeno l'ultima goccia di sangue dei suoi sudditi. Egli arriverà a fare strangolare chiunque, prima di condonargli uno statere! Sia dunque maledetta da parte Mia ogni avarizia ed ogni usura!
8. Mentre, invece, persone di questa specie, che per la diligente loro operosità e per l'influsso della grazia dai Cieli hanno acquistato cospicue ricchezze, sono un frutto nobile e buono di questa Terra! Essi sono dei costanti raccoglitori a vantaggio dei deboli e dei poveri, ed edificano sempre nuove dimore per coloro che non hanno tetto, e tessono vesti per i fratelli e le sorelle che sono nudi; e per questo anche il loro premio un giorno sarà molto grande, poiché essi portano già in sé, su questa Terra, il più alto e meraviglioso dei Cieli!
9. Quando verrà il giorno in cui la loro anima abbandonerà il corpo, fuori dai loro cuori si aprirà e si estenderà il Cielo, e questo li porrà nel suo mezzo così come il Sole che splende e diffonde la sua luce sfolgorante intorno, dove tutto vivifica e crea!
10. Gli altri buoni, però, saranno beati soltanto nella misura dei pianeti che si rallegrano del tepore dei raggi del Sole, ma d'altro canto hanno sempre una parte di sé immersa nella notte!
11. Sì, o Mio caro Cirenio! Essere ricchi su questa Terra e in pari tempo adoperare per sé la ricchezza soltanto in quanto è strettamente necessario al proprio sostentamento, dunque essere avari con se stessi per poter essere tanto più liberali e generosi verso i poveri, questa, vedi, è la massima somiglianza con Dio già nella carne di questa Terra! Ma quanto maggiore questa autentica e sola verosimiglianza a Dio è in un uomo, tanto maggiore è anche la benedizione e la grazia che sempre gli affluisce dal Cielo!
12. A un tale succede come al Sole: quanto più esso irradia la sua luce sopra il suolo della terra, tanta più chiarezza risplende anche in se stesso; ma quando, venuto l'inverno, esso si fa parco nel dispensare la sua luce, anche in se stesso appare più misero e meno risplendente, anche se certo soltanto apparentemente!
13. A chi molto dona con gioia ed amore, a lui anche in grandissima abbondanza verrà ridonato!
14. Perché, se tu poni nel mezzo di una stanza una forte luce, questa, riflessa fortemente da tutte le pareti, rifluirà poi di nuovo intensamente verso il centro della luce e circonderà questa forte luce con una potente aureola, rendendo così maggiormente splendida, potente ed efficace la luce fondamentale; ma se tu invece nel mezzo della stanza collochi soltanto una lucernina che brilla debolmente, anche le pareti debolmente illuminate non rifletteranno che una luce assai scarsa, e l'aureola della luce fondamentale risulterà essa pure assai meschina!
15. Perciò voi che siete abbondantemente provvisti di beni di questa Terra, siate liberali e generosi com'è liberale il Sole sul firmamento nel dispensare la sua luce, così voi pure sarete simili al Sole, e a voi pure come a lui sarà ridonato in abbondanza quanto avrete donato.
16. Perché tu non puoi spargere in un buon terreno una buona semente se questa non ti rende il centuplo; ora le buone opere di un cuore perfetto sono appunto i migliori semi, e l'umanità povera è il più fecondo terreno; questo terreno non lasciatelo mai incolto, anzi siate splendidi e larghi nello spargere i semi, e questi allora frutteranno il centuplo già qui e mille volte di più nell'altra vita; ciò di cui Io sono certo per voi un solido garante!».
La natura fondamentale umana.
1. Il Signore: «Certamente qualcuno, qua e là, dirà e giudicherà così: "Sì, va bene, è giusto predicare la virtù della generosità e condannare l'avarizia come un abominevolissimo vizio, ma a chi va fatta risalire la responsabilità, se una persona sente in sé il prepotente impulso ad una generosità dissipatrice, come fosse un tratto fondamentale della propria vita, mentre un'altra persona invece è mossa dalla più sordida avarizia? In ambedue i casi si tratta della manifestazione esteriore del loro amore interiorissimo, fuori dal quale sorge in ciascuno dei due il sentimento che li rende felici e che poi, tanto l'uno quanto l'altro nella loro specie, tendono ciascuno a coltivare per sé. Ne consegue, però, che il primo si rattrista se non possiede tanta abbondanza da poter fare contenti i suoi poveri consimili, mentre il secondo si avvilisce se non riesce ad accumulare per sé quanto desidera o se addirittura subisce una perdita! È come se tutto fosse già originariamente insito nella natura umana e non si potesse parlare né di un vizio né di una qualche reale virtù. Per l'avarizia è un vizio la generosità, e per la generosità è altrettanto un vizio l'avarizia. Chi può incolpare l'acqua se è per sua natura più cedevole, e chi può condannare la pietra per il fatto che è dura? L'acqua è necessario che sia com'è ed altrettanto sia detto della pietra!”
2. Questo, considerato da un certo punto di vista, non è mal giudicato, perché in effetti la natura del generoso è di essere liberale, mentre quella dell'avaro è perfettamente il contrario. Tuttavia, veramente, la cosa sta in questi termini: "Ciascun uomo viene al mondo quale un bambino con l'impulso all'egoismo e all'avarizia, e la sua anima è assolutamente impregnata ancora dell'elemento materiale-animale più grezzo. Particolarmente, poi, sia detto questo di quelle anime che non provengono dall'Alto, ma solo da questa Terra. Però, neppure quelle anime che scendono giù dalle stelle su questa Terra sono libere del tutto da un simile elemento.
3. Se ora l'uomo viene educato in questo elemento animale, egli lo assimila sempre di più nel suo elemento fondamentale, vale a dire nel proprio amore; ma poiché questo si è fatto animalesco, l'uomo allora continua ad essere un animale da preda e di umano non conserva che la miseranda forma, la lingua sciolta e, per effetto della costruzione ordinata del cervello, un patrimonio intellettuale ordinato, il quale però viene dall'elemento animale spinto sempre di più sulla china di un'attività ignominiosa; in conseguenza di ciò non può riconoscere per buono e beatificante che quello soltanto che è voluto dall'elemento assolutamente animale".
4. Dunque, se adesso qualcuno volesse sostenere che veramente è fuori luogo parlare di una virtù, e conseguentemente anche di un vizio, e che è un grave torto il condannare l'avarizia di fronte alla generosità, egli venga rimesso a questa Mia spiegazione e la consideri e la vagli assai bene!
5. Supponiamo ora che un ortolano abbia piantato due alberi da frutto nel proprio giardino e che li curi come si conviene; ti pare che sarà per lui indifferente se soltanto uno degli alberi gli porterà dei frutti, mentre l'altro - pur essendo della medesima specie e pur venendo nutrito della stessa pioggia e rugiada, della stessa aria e della stessa luce - non gli renderà alcun frutto, anzi nemmeno un fogliame sufficiente a procurare un po' d'ombra? Allora è certo che l'avveduto ortolano ragionerà così: "Questo è un albero malato e di natura corrotta che distrugge in sé tutti gli umori che succhia e aspira, voglio proprio vedere se non è il caso di rimediare a questo malanno!". Allora l'ortolano impiegherà a questo scopo tutti i mezzi possibili che gli sono noti, ma se infine nemmeno questi gioveranno, si deciderà ad abbattere l'albero corrotto in sé e sterile, e al suo posto ne pianterà invece un altro.
6. Quindi, un uomo avaro ed egoista è in sé un essere che si è guastato, e non può portare alcun frutto di vita per la ragione che egli distrugge in se stesso ogni vita.
7. Un uomo generoso, invece, si trova nel giusto ordine della vita già per la ragione che porta esteriormente abbondanti frutti.
8. Un albero però non può venir ritenuto responsabile se porta o non porta frutti, perché non si forma da se stesso, ma sono gli spiriti salienti dal regno giudicato della natura nel suo organismo che lo formano con la loro forza e con l'intelligenza quanto mai semplice, e perciò altrettanto limitata, insita in loro. L'uomo, invece, si trova nella condizione di potersi formare da se stesso mediante l'illimitata intelligenza della sua anima, e di svilupparsi a nobile albero portante frutti ricchissimi di vita.
9. Se egli fa così, come gliene danno la possibilità i mezzi che ha a sua disposizione, soltanto allora egli si sviluppa a vero uomo nell'eterno e vero Ordine di Dio; ma se non fa così, resta un animale che come tale non ha la vera vita in sé, né perciò può donare qualcosa della sua vita al prossimo mediante le opere della carità e dell'amore.
10. Perciò questi ebrei persiani, salvati poco fa, sono già degli uomini perfettamente in ordine, ed ora sarà compito facilissimo guidarli ad una sapienza superiore, perché quando una lampada è già tanto piena d'olio da iniziare abbondantemente a traboccare ed ha in sé un lucignolo della vita robusto e ben situato, allora basta accendere questo lucignolo e tutta la lampada si farà luce ed illuminerà fortemente tutto intorno entro un vasto circolo!
11. Ora questi ebrei dalla Persia, assieme alle mogli che alcuni hanno condotto con sé, sono appunto lampade ben ricolme d'olio, quindi non ci vorrà molto a far sì che tutti siano nella luce!»
12. Dice allora Cirenio: «O Signore! Questo è di nuovo un ammaestramento quanto mai importante per l'intera umanità, e sarebbe bene che venisse scritto e che avesse valore fino alla fine del mondo!»
13. Dico Io: «Hai ragione di preoccuparti di questa cosa, è perciò che ho già provveduto da parte Mia a fare in modo che i punti più salienti di quanto ho detto vengano annotati nei tuoi rotoli. Ma ciascuna di simili annotazioni ha nei riguardi della vita soltanto quel valore che hanno per il viandante le scritte morte poste sulle molte vie ed ai crocicchi di questo mondo. Quello però che può recare aiuto a ciascuno e può dargli sapienza, forza e vita, questo a ciascun uomo viene scritto nel proprio cuore, e precisamente in maniera indelebile, così che questa scritta del diritto eterno della vita e dei suoi rapporti interiori ed esteriori viene letta da sé ad alta voce nel cuore umano ad ogni azione contraria all'Ordine divino e l'anima viene ammonita a ritornare all'originario Ordine divino!
14. Se l'uomo darà ascolto a questa voce interna, si troverà presto sulla buona via, ma se egli non si rivolgerà a questa voce e farà come gli suggerisce l'infuriante passione della sua carne, avrà poi da ascrivere solamente a se stesso se sarà in sé inghiottito dal proprio giudizio. Ora scorgo però che i nostri persiani si accingono a muoversi; perciò anche noi vogliamo attenderli qui di lieto animo».
Le opinioni dei persiani sul Signore.
1. Mentre Io dissertavo dinanzi a Cirenio sulla generosità e sull'avarizia, i persiani discutevano tra di loro e si consigliavano riguardo al Chi Io potessi essere! Alcuni ritenevano che Io fossi un profeta, altri invece opinavano che Io fossi probabilmente un savio a cui erano familiari tutte le scuole dell'Egitto, della Grecia e di Gerusalemme. Qualcuno fra di loro pensava addirittura che Io fossi una specie di principe romano perfettamente a conoscenza delle condizioni dell'immenso impero o come tale profondamente versato nelle scienze della politica! Si sarebbe di conseguenza dovuta usare la massima cautela in Mia presenza, altrimenti non sarebbe stato spiegabile come il superbo romano Cirenio, governatore generale di tutta l'Asia, tenesse di fronte a Me un contegno così rispettoso e umile! Ma, infine, uno dei due delegati disse: «Possa essere questo o quello, ad ogni modo è e resta un uomo superiore dal quale possiamo sempre imparare qualcosa, e questo è anche quello che dato il momento ci occorre più di tutto!»
2. Tutti allora si dichiararono d'accordo, si avviarono e vennero sulla collina dove Io Mi trovavo, anche se l'oscurità aveva già incominciato ad accentuarsi.
3. Ma nello stesso tempo comparve pure il vecchio Marco che Mi domandò cosa si sarebbe dovuto fare riguardo alla cena, dato che le mense erano rovinate dalla gragnola e il terreno ancora umido.
4. Io però, indicandogli i persiani, gli dissi: «Vedi, per Me una grande vivanda di squisitissimo sapore sarebbe che questi vengano consumati dal Mio Amore ancora prima di cena. Fino a quel momento troverai bene il tempo per provvedere alle vivande per il corpo e per rimettere un po' in ordine le mense; infatti soltanto poche sono in realtà inadoperabili, ed anche queste al momento opportuno saranno riparate. Ma adesso procurate subito un po' di luce, affinché la gente qui non debba muoversi nell’oscurità!». A queste parole Marco si ritirò tutto lieto e ad un suo cenno tutto incominciò ad animarsi in casa sua.
5. I persiani allora si avvicinarono a Me, si inchinarono come era loro costume nuovamente fino a terra, però dopo si rialzarono e non rimasero a giacere con le facce all'ingiù.
6. E uno dei due delegati di prima, presa la parola, disse: «O signore e certamente grande amico degli uomini animati da buon volere, eccoci qui! Le nostre vicende tu le conosci e così pure il motivo che ci ha fatti venire in questo paese. Ma quanto è avvenuto noi lo consideriamo come una disposizione meravigliosa dall'Alto, e con Giobbe esclamiamo: "O Signore, ogni cosa Ti appartiene, Tuo è il Cielo e la Terra e l'aria e le acque. Tu doni e riprendi, secondo il Tuo beneplacito, come e quando vuoi. Ad un mendicante Tu puoi imporre la corona e mettergli in mano lo scettro e puoi curvare i capi dei re nella polvere della nullità più assoluta! Perciò il fatto non ci addolora, anche perché l'uomo che conoscendo l'onnipotente Volontà di Dio, deve riconoscere che dinanzi al Suo cospetto è sempre un peccatore, e deve considerare come una punizione una simile sventura. Quindi neppure noi ci doliamo della considerevole perdita subita, perché se in questa contingenza apparentemente dolorosa non avesse avuto parte la Volontà di Dio, noi saremmo, come è stato ogni anno il caso, venuti certo in possesso del nostro denaro senza alcuna difficoltà. Ma questa, invece, è stata evidentemente la Volontà di Dio e a Lui noi sacrifichiamo volentieri questa piccola cosa e di tutto cuore saremmo disposti a fare dei sacrifici maggiori ancora, qualora l'Onnipotente li richiedesse a noi, perché Egli soltanto è il Signore, mentre noi non siamo che suoi servitori sempre desiderosi di servirLo e di obbedirGli.
7. Noi non amiamo e non temiamo che Dio, e non abbiamo quindi alcun timore degli uomini; se anche, dunque, il Signore del Cielo e della Terra ci ha in qualche modo svergognati al cospetto degli uomini, è certo che Egli per fare ciò ha avuto i Suoi motivi! Poiché con troppa facilità e leggerezza anche l'uomo commette peccato dinanzi a Dio, peccato che arreca sempre grave danno all'anima; ma in questi casi poi viene il Signore impugnando la verga correttrice e aiuta l'uomo a ritornare sulla buona via".
8. Da tutto ciò dunque, o caro signore e amico, tu puoi vedere che siamo degli uomini che non si sono ancora affatto dimenticati di Dio. Ora è certo possibile che tu sia un pagano dotato di grande sapienza e che a te siano familiari le potenze segrete della natura; tuttavia noi non riconosciamo che una Onnipotenza, e questa è unicamente in Dio, il Signore. Contro questo concetto fondamentale noi non possiamo accettare alcuna dottrina!
9. Dunque, se tu avessi intenzione di farci conoscere una qualche genuina sapienza, non dimenticare che noi fermamente ed immutabilmente confessiamo la divina dottrina di Mosè. Contro di questa non accettiamo nulla, per quanto possa essere improntato a sapienza! Perché stimiamo e preferiamo essere considerati dei pazzi al cospetto dei sapienti del mondo, piuttosto che essere trovati peccatori al cospetto di Dio»
10. Dico Io allora: «Così va benissimo, e voi davvero vi trovate sulla migliore delle vie. Tuttavia tanto in Mosè, quanto del tutto particolarmente nei profeti, ci sono delle cose che potrebbero esservi ancora completamente oscure, e sono proprio queste che Io vorrei chiarirvi, affinché possiate anche voi comprendere per voi e per i vostri fratelli, mogli e figli qual è l'ora che volge attualmente!
11. Allorquando Elia si trovava nascosto in una grotta della montagna, lo spirito lo ammonì a fermarsi in quel luogo finché Jehova stesso vi sarebbe passato dinanzi! Ed Elia si pose proprio vicino all'uscita ed ascoltò. D'improvviso passò dinanzi alla grotta una tempesta impetuosa che infuriava talmente che tremò tutta la montagna. Allora Elia pensò se fosse forse passato Jehova. Lo spirito però gli rispose: "Jehova non era nella tempesta!”
12. Ed Elia rimase ancora in ascolto, ed ecco subito dopo passare davanti alla grotta un fuoco possente. Un mugghiare formidabile si intese fra sibili e scoppi, e le pareti esterne della grotta apparvero vetrificate per l'effetto del calore. Elia pensò allora che fosse passato Jehova! Ma lo spirito nuovamente gli parlò e gli disse: "Neanche in quel fuoco c'era Jehova!"
13. E il grande profeta pensò tra sé: "Dunque, né nella tempesta né nella violenza del fuoco non è presente Jehova, nell'essenza fondamentale del Suo Amore!"
14. E mentre meditava così intensamente, un alito lieve e dolcissimo passò dinanzi alla sua grotta, e lo spirito si annunciò ancora una volta e così parlò: "Vedi, o Elia, in questo lieve e dolce alitare è passato Jehova, e ciò sia per te, secondo la promessa, un segno che tu ormai puoi procedere liberamente per la tua via e puoi abbandonare questa caverna in cui tu, nascosto, dovresti attendere la redenzione!”
15. Allora Elia di lieto animo uscì fuori all'aperto dalla caverna e trovò libera e senza impedimenti né pericoli la via che conduce alla grande patria.
16. Se voi avete già trovato un fondamento tanto solido nella Scrittura, spiegateMi questi strani quadri simbolici!».
Il Signore spiega un testo della Scrittura.
1. Tutti rimasero stupefatti a questa Mia domanda e alla precedente citazione della Scrittura, e non seppero che risposta dare. Perché quanto più andavano ponderando l'argomento, tanto più grande si faceva la confusione nel loro animo e nel loro intelletto!
2. E dopo qualche tempo di riflessione uno dei due delegati osservò: «O nobilee savio amico! Tu mi sembri molto versato nella Scrittura nonostante tu sia forse un romano o un greco! Le frasi simboliche e quanto mai misteriose del profeta Elia che ci hai citate, sono nella loro essenza esatte, ma finora non sono state mai comprese da nessuno. Sarebbe davvero stupefacente che proprio un pagano fosse destinato a fornire a noi israeliti qualche luce in tale proposito! Ad ogni modo noi ti preghiamo, perché già una volta mi è capitato di aver ottenuto, da un sapiente pagano del lontano Oriente, dei chiarimenti riguardo a vari punti oscuri dei libri del profeta Isaia, e in quella occasione ho anche avuto giustificatissima ragione di meravigliarmi altamente della sua profonda sapienza. Ora qui mi sembra che possa nuovamente trattarsi di un caso simile; di conseguenza noi tutti che siamo qui ti preghiamo affinché tu ci dia, secondo il tuo discernimento, una spiegazione di queste immagini simboliche!»
3. Ed Io gli rispondo: «Ebbene, così sia! Però Io devo anzitutto rettificare l'opinione erronea che vi fate di Me ritenendoMi un pagano, nel senso che tale non sono affatto e che sono invece di nascita israelita come lo siete voi; ma certo sono anche il Tutto con tutti per guadagnarvi tutti al Regno della Luce, al Regno della verità eterna! Dunque, chi ha orecchi per udire, oda, e chi ha occhi per vedere, veda!
4. Elia rappresenta l'anima pura dell'uomo, e la caverna in cui era nascosto è il mondo o più propriamente la carne e il sangue dell'uomo; lo spirito che parla ad Elia, rispettivamente all'anima dell'uomo, è lo spirito di Dio con il quale l'anima deve diventare una sola cosa, ma che tale non può ancora diventare, dato che Jehova non è ancora passato dinanzi alla caverna della carne del mondo.
5. La "tempesta" che passa, denota il tempo da Adamo, il primo uomo, fino a Noè; il "fuoco" poi raffigura il tempo da Noè fino ai giorni nostri.
6. Ma il tempo del "dolcissimo alitare" davanti alla caverna del profeta ci sta appunto ora dinanzi, ed esso porterà la piena redenzione nello spirito a ciascuna anima di buona volontà e, nota bene, anche voi siete adesso sul punto di ottenere la via libera di Elia!
7. La nave che vi ha portati qui è stata anch'essa simile ad una caverna del profeta. Essa venne inizialmente a trovarsi in balia della furiosa tempesta e il vostro bisogno e la vostra angustia furono grandi; e quando dalla tempesta foste spinti sulle onde sfrenate dell'alto mare, un fuoco di mille fulmini incominciò a saettare tutt'intorno al vostro piccolo e debole mondo fatto di tavole fradice, ma Jehova non era nel fuoco, malgrado Egli avesse mandato incontro, tramite il Suo braccio, aiuto e salvezza.
8. Ora voi vi trovate là dove, dopo la tempesta e il fuoco, tira dinanzi a voi un dolce alitare di vento. Chi dunque può mai essere in questo dolcissimo alitare che passa dinanzi a voi e in vostra vicinanza?!»
9. A queste parole i persiani si stupiscono grandemente, e il delegato che aveva parlato prima esclama: «Strano, strano! Questa recente immagine è in maniera sorprendente simile a quella antica del profeta Elia! Non si può negare che durante il nostro salvataggio le cose si siano svolte in modo prodigioso e ciò in misura non certo piccola, ed io ora su questa collina percepisco davvero tanto fisicamente che moralmente quello strano e misteriosissimo alitare del quale lo spirito ebbe a dire al profeta che dentro vi era passato Jehova! Orbene, cosa ne dite voi, o fratelli e sorelle mie? Che impressione vi fa questa cosa?»
10. Rispondono allora tutti gli altri, ad una voce: «La cosa appare a noi quanto a te altrettanto meravigliosa, tuttavia da soli non riusciremo a pervenire ad alcuna luce! Lasciamo dunque che questo savio continui a parlare per te ed anche per noi tutti!»
11. Osserva il delegato: «Certo, questa sarebbe la cosa migliore, ma qui, dove sono radunate le supreme autorità di Roma, i re e i principi, non si può domandare così semplicemente di questo e di quello, ma anzitutto si deve chiedere graziosa licenza di domandare qualcosa in generale!»
12. Ma allora Io l'interrompo e gli dico: «O amico, in questo luogo non c'è affatto necessità di simili cose; questo è un costume che vige in Persia, ma rimanga da noi per sempre ben lontano! Dinanzi a Dio, o amico Mio, un'umiltà che tende troppo stoltamente ad abbassare l'anima umana è altrettanto una stoltezza quanto qualsiasi altra che si riscontra soltanto nel paganesimo, e tanto più poi l'esagerata umiliazione di un uomo dinanzi ad un altro che sia a sua volta semplicemente un uomo.
13. Infatti, una simile strisciante manifestazione d'umiltà da parte di un uomo dinanzi ad un altro uomo non può che nuocere ad ambedue; al primo, perché un'umiltà di questa specie è il più delle volte simulata ed ipocrita e contribuisce a rendere più orgoglioso ancora il prossimo, e al secondo, perché con ciò effettivamente viene offerto alimento al suo orgoglio! La vera e giusta umiltà, che ha la sua radice nel puro amore, è quella che stima il suo prossimo ed ama il fratello quale un fratello, e non fa di se stessa e né del fratello un Dio da pregare, prostrati sulle proprie ginocchia!
14. Qualsiasi cosa che tu da uomo e fratello desideri o vuoi da un altro uomo e fratello, chiedila, ma nessuno deve strisciare nella polvere dinanzi al proprio simile!
15. Quello che Dio non pretende da nessuno, tanto meno un uomo deve pretenderlo dal suo prossimo! Ecco, questa è pure una vera sapienza nel pienissimo Ordine divino; prendete quindi buona nota anche di ciò e così comportatevi; in questo modo riuscirete graditi a Dio e agli uomini!
16. Ma ora ritorniamo al nostro argomento. Ebbene, allo scopo che voi possiate riconoscere la concordanza fra il "dolce alitare di vento" davanti alla grotta del profeta e questo tempo, e considerato che voi siete ancora degli israeliti dai rigidissimi principi, Io ora vi rivolgerò un'altra domanda».
La domanda del Signore sul Messia.
1. Il Signore: «Che opinione vi fate voi del Messia promesso, il Quale, secondo le profezie di tutti i profeti, deve venire appunto in questo tempo per la redenzione d'Israele? Voi, da persone accorte quali siete, credete che ci sia in ciò qualcosa di vero, oppure, come attualmente è il caso molto spesso, non avete alcuna fede in simili profezie tenute in stile troppo mistico per l'intelletto umano?»
2. Risponde il delegato: «O mio nobile amico, tu sollevi una questione estremamente difficile! Non credere proprio niente sarebbe davvero una cosa troppo azzardata per un autentico israelita! Però, detto seriamente, altrettanto azzardato è pure crederci, perché con ciò si rischia di aprire una porta immensa e di concedere assolutamente il passo alla tenebrosa superstizione.
3. Se però la perfetta mancanza di fede sia da preferire alla più oscura superstizione o viceversa, questa decisione la rimetto volentieri a chi è dotato di sapienza maggiore della mia; tuttavia il mio intelletto sempre sano mi dice che la ‘nessuna fede’ sembra avere un notevole vantaggio in confronto ad una tenebrosissima superstizione.
4. Poiché la ‘nessuna fede’ rassomiglia, secondo la mia opinione, ad un bimbo appena nato, ovvero ad un campo vuoto ed incolto dove niente è stato ancora seminato. Il bimbo può, per effetto di una buona educazione, farsi uomo di grande sapienza, e nel campo che giace incolto si può seminare qualsiasi specie di nobili piante. Ma una volta che il campo è invaso da ogni possibile mala erba o che il fanciullo cresciuto ha avuto l'intelletto nutrito con ogni tipo di stoltezze, allora, salire a qualche sapienza è impresa che o non si rende più possibile oppure si rende quanto mai difficile e faticosa. Ora, ogni onesto campagnolo che abbia mai dovuto sobbarcarsi una simile fatica sa molto bene come sia arduo compito mondare un campo da tutte le male erbe che vi sono cresciute, oltre a quello di mantenerlo mondo! Ecco, o nobile amico, questa è all'incirca la nostra serena opinione.
5. Dunque, con riguardo al promesso Messia noi non diciamo né sì né no; se però un qualche vero sapiente e buon conoscitore delle scritture vorrà chiarirci la cosa, noi, da israeliti e da uomini quali siamo, gli saremo grandemente obbligati. Se tu possiedi a tal proposito qualche nozione fondata, faccela conoscere e noi te ne saremo eternamente grati!»
6. Dico Io: «Tu hai giudicato perfettamente, e nessuna fede è di molto preferibile ad una tenebrosa superstizione; tuttavia, nonostante ciò, il primo termine ha pure qualche maligna derivazione o deformazione, la quale una volta che si sia indurita per bene è altrettanto difficile da estirparsi quanto è difficile mondare un campo invaso dalle zizzanie.
7. Il campo ricolmo di male erbe dimostra almeno che ha un buono terreno, altrimenti queste male erbe non potrebbero prosperare; però altrettanto non si può dire di un campo completamente abbandonato ed incolto.
8. Tu devi sapere che quando il cosiddetto preciso e matematico intelletto mondano ha messo radici molto profonde in un uomo, allora la questione di una fede, per quanto sublime ed improntata a superiore sapienza in qualcosa di spirituale puro, si rende già immensamente difficile. Un simile uomo, che si muove unicamente entro la sfera del proprio intelletto, pretende infine che tutto gli venga dimostrato matematicamente. Di cose che egli non può vedere e non può misurare, egli non vuole saperne niente del tutto.
9. Ebbene, giudica ora tu stesso se, con riguardo all'accoglimento dello spirituale puro, non sia pure una cosa molto difficile avere a che fare con un uomo di questa specie!»
10. Risponde il delegato: «Certamente, o nobile e saggissimo amico! Ma bisogna pure ammettere, con una certa approssimativa sicurezza, che uomini di una simile specie ce ne sono pochi, e queste rondini isolate non fanno di gran lunga ancora primavera. Questi scienziati dell'intelletto sono, tutto sommato, molto più accessibili alla verità che non i foschi eroi della tenebrosissima superstizione, particolarmente quando la fede di quest'ultimi sia diventata una fede della pagnotta! In queste condizioni un tale eroe della superstizione non ammette alcuna discussione e cerca di perseguitare con il ferro e con il fuoco tutto ciò che potrebbe essergli di pregiudizio. Di questi esempi noi ne abbiamo a iosa nella nostra casta sacerdotale, per la quale non esiste ormai mezzo troppo cattivo pur di poter tutelare contro qualsiasi attacco i suoi abominevoli inganni!
11. Del resto io non voglio affatto sostenere con ciò la tesi che i sacerdoti credano qualcosa di quello al quale essi costringono gli altri a credere tirandoli per i capelli, perché il loro movente è il pane, un pane il più squisito possibile, ed oltre a ciò molto oro, argento e pietre preziose. Ad ogni modo l'umanità, resa cieca in mille modi, ci crede e ciò non di rado con il più rivoltante e crudele fanatismo!
12. Ebbene, in confronto ad una simile umanità dalla fede ultra pazza, perfino lo stereotipato eroe dell'intelletto ha un vantaggio enorme di fronte alla verità! Almeno egli è amico di una verità, per quanto stereotipata sia, mentre l'umanità immersa nella più nera superstizione caccia via da sé qualsiasi specie di verità e prende un tronco d'albero per una scimmia piuttosto che per quello che veramente è.
13. Un amico della verità è però sempre accessibile in una qualche maniera ragionevole, mentre trattandosi di quei tali foschi eroi della superstizione, neanche da lontano è ammissibile la speranza che possano rendersi, sia pure in modo soltanto apparentemente ragionevole, accessibili a qualche verità.
14. È una cosa assolutamente nota che è molto difficile condurre alla fede pura l'uomo troppo precisamente matematico, ma accolto che abbia una tale cosa, sia pure semplicemente come un'ipotesi, egli si manterrà rigidamente fedele e farà di tutto per poter possibilmente dimostrare che essa è una verità perfino sulla base delle matematiche.
15. Ma lo sarà mai altrettanto un tenebroso eroe della superstizione? Per untale eroe, il fango e l’oro sono l'identica cosa, ed io mi tengo fermo a quanto ho detto prima, e cioè che nessuna fede è migliore di quella che si può trovare per esempio presso di noi.
16. Del resto, a quanto abbiamo udito, pare che anche la casta sacerdotale del tempio a Gerusalemme non sia ormai granché migliore della nostra, vale a dire della persiana. La famosa e meravigliosa arca dell'Alleanza sembra che sia passata già da lungo tempo allo stato di leggenda, perché anche noi sappiamo troppo bene quando e dove ne sia stata costruita una nuova al posto dell'antica, e ovviamente non a Gerusalemme, ma in una delle più remote province della Persia, affinché niente della novità potesse trapelare. Ma neppure questa misura di prudenza giovò a loro più di tanto, perché essi dovettero finire con il comperare il silenzio e la discrezione degli artefici persiani, pagandoli dieci volte tanto quanto valeva tutta l'arca, e nonostante ciò gli artefici raccontarono più tardi il fatto ai loro connazionali e questi poi a loro volta a noi israeliti. Dunque, o nobile amico, noi ci teniamo rigidamente stretti alla dottrina di Mosè, malgrado anche qui si possano riscontrare cose che al vaglio dell'intelletto non possono non apparire come un puro non senso; nessuno ha finora saputo attribuirvi un senso ragionevole e sano, e così nessuno neanche più si cura di sofisticarvi su oltre! Ma per quanto concerne invece la legge e la morale, c’è tutto di insuperabilmente buono e saggio e nessuno può, neanche nella più chiara visione di sogno mattutino, ideare qualcosa di più savio e di migliore!
17. E soltanto questa parte della Scrittura è appunto quella che noi chiamiamo divina; tutto il rimanente non c'interessa che poco o nulla affatto, specialmente la parte profetica che nessuno riesce a comprendere.
18. La spiegazione che tu ci hai dato dei quadri simbolici del profeta Elia è molto calzante e bella in rapporto al Messia che si spera verrà e che molto probabilmente è da prendere unicamente nel senso spirituale-puro, ma quello che in proposito hanno predetto gli altri profeti è esageratamente mistico; c'è bisogno quindi di una spiegazione ben convincente e di una fede molto solida che fortunatamente non dimora più affatto presso di noi!
19. Ed è fortunatamente un titolo di grande merito per noi credere poco od assolutamente nulla a simili e stravaganti cose, ma a tal proposito noi invece e con tanta maggiore fermezza crediamo nell'Uno vero Dio, il Quale realmente ha parlato ai figli di questa Terra per bocca di Mosè.
20. Tuttavia non possiamo nascondere che buona parte della nostra granitica fede in Dio noi la dobbiamo anche a Platone, le cui opere noi leggiamo e seguiamo. Mosè è un pratico, e segna le vie della vita con linee precisamente marcate; Platone, invece, tratta normalmente di spirito e di anima, e mostra l'anima all'anima e lo spirito allo spirito. E tutto questo preso assieme, e cioè Mosè, Platone, Socrate, nonché i vari profeti ben compresi nella loro vera luce, ebbene, questo è ciò che noi chiamiamo propriamente il Messia che verrà dall'Alto, da dove ogni luce scende sopra la Terra agli uomini che sono di buona volontà.
21. E così, o nobilissimo e sapiente amico, ti ho ora ampiamente rivelato cosa siamo e come noi pensiamo e sentiamo; tocca adesso a te, se a te è noto qualcosa di migliore e se lo vuoi, rivelarci in proposito le tue idee! Quale sarebbe ad esempio la tua opinione riguardo ai profeti ed al promesso Messia?».
Difficoltà di conversione dei persiani.
1. Dico Io: «Non giunse mai nel vostro paese la notizia che trent'anni fa a Betlemme, l'antica città di Davide, una vergine aveva partorito in una stalla un Re ad Israele?
2. Quella volta tre savi dal vostro Oriente videro una stella, ed essi interrogarono il loro spirito per conoscere che cosa volesse significare quello strano astro. E lo spirito suggerì a loro di seguire quella stella, ed essa li avrebbe condotti fino al neonato Re dei Giudei, il Quale avrebbe fondato sulla Terra un Regno che non avrebbe più avuto fine in eterno!
3. Allora quei savi presero con sé dell'oro, dell'incenso e della mirra, montarono sui loro animali da soma assieme ad un grande e brillante seguito, e seguirono la via indicata loro dalla stella, la quale non si fermò fino a quando non fu raggiunto il luogo dove il bambino era nato. Arrivati che furono, i tre fecero delle indagini per rintracciare il neonato e giunsero fino ad Erode, il quale però non seppe dare loro alcuna informazione, anzi disse a loro di ritornare a Betlemme dove si era fermata la stella, e raccomandò ad essi di continuare con tutta diligenza le ricerche, pregandoli contemporaneamente, qualora lo avessero trovato, di avvertirlo, affinché potesse egli stesso venire, per rendere onore al neonato!
4. Ma quando dopo queste cose riuscirono a trovare il neonato e Gli ebbero offerti i loro doni, uno spirito dai Cieli subito li ammonì di non dare ad Erode alcun annuncio della loro scoperta ed allora essi fecero ritorno al loro paese per un'altra via.
5. Dite, dunque, se e che cosa avete udito narrare riguardo a questi fatti!»
6. Risponde il delegato: «Ah, sì, tu ci richiami alla memoria una cosa che a suo tempo fece grande rumore in tutta la Persia, anzi fino all'India, perché i tre savi, come ce ne sono molti verso le regioni di confine tra la Persia e l'India, divulgarono con parole risonanti la notizia di quei fatti, che giunse perfino alle orecchie del re. Questi però non ne fece grande caso, dato che egli conosce questi savi e sa come siano sempre portati a fare di ogni mosca un completo elefante! Le storie di questo genere non fanno perciò mai una particolare impressione presso di noi, come pure ormai anche in alto loco tutti i miracoli della magia, dal punto di vista dello speciale e dello straordinario, hanno perduto ogni valore, considerato che nelle sfere più colte si conosce già più che a sufficienza quanto c'è di genuino e reale nei multiformi prodigi della magia. Quando si è di buon umore si assiste ancora a simili produzioni, sempreché siano ben scelte e ben presentate, e si ride poi anche se la cosa si conclude con qualcosa di comico. Ma, come già detto, da noi le magie di questa specie non hanno più nessun valore.
7. Da noi non si apprezzano che le verità le quali siano dimostrabili con cifre, mentre tutte quelle certe esibizioni prodigiose fantastiche non vengono presso le classi colte e già da lungo tempo prese più in considerazione e, detto sinceramente, noi non ci crediamo affatto! È certo possibile che qua e là si tengano nascoste anche delle perfette verità, ma queste sono tanto soffocate dentro ad ogni genere di misticismi che nessun intelletto umano è più capace di trarle fuori dallo stato di completa purezza per mostrarle alla piena e non ingannevole luce del giorno; e tu, o nobile amico, comprenderai che è più ragionevole mantenersi sulla via della verità pura che non svolazzare intorno ad un lavoro della fantasia, per quanto improntato a magniloquente poesia»
8. Cirenio allora Mi dice a voce bassa: «O Signore! A quanto pare, con questa gente del resto molto rispettabile non ci sarà niente da fare per la nostra causa; essi sono troppo solidamente attaccati alla loro verità matematica e stanno schierati decisamente contro tutto ciò che noi chiamiamo fede! Così pure essi sembrano essere nemici dichiarati di qualsiasi prodigio che, in caso estremo, viene impiegato da parte Tua quale prova irrefutabile della Tua assoluta Divinità.
9. È quasi escluso che Tu possa influire dunque con un prodigio senza rischiare di suscitare sdegno in loro; e d'altro canto anche ricorrendo ad altri mezzi di prova, come sarebbero le spiegazioni dei brani dai libri del profeta Isaia, di Davide e di Salomone che si riferiscono a Te, non si approderebbe con loro a nulla, dato il poco credito che godono presso di loro i profeti; e così io davvero non saprei che terza via d'uscita scegliere! Perché è chiaro che non è possibile dimostrare con cifre che Tu sei il vero Messia, e sembra che in altri modi non si possa convincerli!»
10. Io dico pure a Cirenio a bassa voce: «Non darti alcun affanno per questo, perché Me ne curo Io; infatti, se si è arrivati a ricondurre alla ragione un Mataele ed un Floran, si potrà senz'altro arrivare allo stesso risultato anche con questi. Il più ostinato di tutti era il capo della sinagoga, Stahar, eppure anch'egli è ora in perfettissimo ordine; dunque, con tanta maggiore facilità si potrà far rientrare nell'ordine anche questi galantuomini»
11. Osserva Cirenio: «Io non ne dubito affatto, perché solo a Te è possibile ogni cosa; ma se resto entro la mia cerchia di comprensione ancora molto umana, la cosa non mi appare assolutamente molto facile»
12. Dico Io: «Certamente, ma tuttavia non impossibile; bisogna però dare a loro per prima cosa l’occasione di potersi completamente esternare, e soltanto dopo, quando cioè avranno fatto vedere tutto quello che si nasconde ancora dentro di loro, si potrà procedere alla semina di un nuovo frutto nel giardino purificato dei loro cuori!»
13. Mentre Io scambiavo queste poche parole con Cirenio, i persiani andavano sussurrandosi misteriosamente qualcosa nelle orecchie, e il delegato che conosciamo, che si chiama Schabbi, disse ai suoi compagni: «A me sembra sempre più di avere l'impressione come se noi ci trovassimo su dei carboni ardenti; la questione del Messia pare che sia qui di grande attualità! I romani, che hanno buon fiuto, hanno certo udito suonare questa campana, e probabilmente stanno adesso già frugando in tutti gli angoli del regno d'Israele, per poter in qualche modo mettere le mani su quell'uomo, il Quale dovrebbe fondare qui sulla Terra un Regno indistruttibile per l'eternità, e del tutto invincibile, a discapito evidentissimo dei dominatori del mondo. Di conseguenza è necessario usare la massima prudenza per non dare adito a far sorgere dei sospetti contro di noi nell'animo dei romani!
14. L'uomo che ha confabulato in segreto con il governatore generale, non c'è dubbio che sia un furbaccio di tre cotte al servizio di Roma; basterebbe che credessimo anche soltanto un po' in maniera ferma nel Messia che deve venire, e noi saremmo belli e spacciati. Dunque, in simili condizioni conviene restare piuttosto rigidamente fedeli al sistema matematico, accontentandosi di ascoltare, invece che parlare; e qualora il Messia dovesse di nuovo mostrarsi, noi ben sappiamo quello che dovremo dire di reciproco accordo per evitarci dei malanni su questo mondo, salvando le apparenze. Per conto nostro sappiamo già ciò che, da israeliti quali siamo, dobbiamo pensare dei profeti, ma non occorre affatto che noi serviamo qui da straccio materiale a questo volpone! Egli, giudice od inquisitore che sia, sembra intendersene delle nostre Scritture molto più di tutti i nostri dottori della legge, e probabilmente non gli dispiacerebbe pigliarci nella sua trappola, ma d'altro canto anche noi siamo prudenti e savi e la cosa non gli riuscirà, anche se noi siamo stati portati in salvo da un sicuro naufragio mediante l'uomo prodigioso. Teniamoci perciò ben stretti alla nostra matematica e così potremo andarcene da qui con la pelle perfettamente intatta, ma la minima mossa compromettente potrebbe riservarci una sorte quanto mai miserevole!»
15. Tutti gli altri danno allora ragione a Schabbi e gli promettono di restare saldamente uniti e di non tradire nemmeno con una sola sillaba quello che in cuore loro credono sul conto del Messia.
16. Ed Io, avvicinatoMi nuovamente a loro, dico al delegato: «Ma, o Schabbi! Perché nutrite nei vostri cuori dei cattivi pensieri contro di Me e contro gli innocui romani?
17. Credi tu che a Me sia sfuggito tutto quello che hai combinato segretamente con i tuoi? Io ti dico che non Mi è rimasta nascosta una sillaba! Perché Colui che vide e seppe che voi vi trovavate in un grave pericolo, considerato che altrimenti non sarebbe venuto in vostro aiuto, Egli anche qui vede e legge fino in fondo ai vostri cuori! E siccome Egli ha sinceramente le migliori intenzioni nei vostri confronti, perché non volete accordarGli la vostra fiducia?»
18. Gli risponde Schabbi: «Tu sei certamente molto avveduto e saggio, ma questa tua sapienza ci gioverà poi a qualcosa? Un po' di cervello l'ha pure ciascuno di noi, e noi crediamo di comprendere quali sono le tue intenzioni a nostro riguardo. Le supreme autorità di Roma sono al tuo fianco, non lontano da qui stanno accampati dei militi romani, allo scopo probabilmente di impadronirsi di qualcuno, caso mai riuscisse di identificarlo per mezzo di ogni specie di domande e di discorsi! Ma per quanto concerne noi, non occorre che vi perdiate in indagini, perché non troverete mai niente in eterno!»
19. Osserva allora di nuovo a bassa voce Cirenio: «Ah, questo poi è strano da parte di questa gente! Ecco che adesso ci troviamo di fronte perfino ad una dissimulazione del tutto speciale! Chi mai si sarebbe aspettato una cosa simile da questa gente? E solo adesso essi si trovano barricati a dovere, e precisamente così che non ci si può avvicinare a loro da nessuna parte! Che cosa si potrà fare ormai? Essi si sono fatti di noi una determinata idea, che è falsa già alla sua radice e che purtroppo è stata da loro espressa in modo che non ci resta niente da ribattere; ed ora si tratta davvero di vedere che cosa bisognerà fare»
20. Dico Io: «Sta pur certo che si potrà fare ancora molto, anzi essi sono molto più vicini di prima alla meta. Questo comportamento prudente essi l'hanno tenuto in segreto già dal principio, avendo osservato che qui c’eravate voi romani. Giacché da qualche tempo si è diffusa presso di loro la pessima leggenda che nel paese dei giudei è realmente sorto il Messia, il Quale va facendo grandi prodigi; ma i romani, avendo avuto notizia di ciò, si sarebbero dati a perseguitare ferocemente questo Messia, non limitandosi a tenere diligentemente d'occhio soltanto la persona del Messia, ma anche chiunque nutrisse una minima traccia di fede in un Messia che deve venire o che è già venuto. Ecco, qui soltanto vanno ricercate le ragioni della loro dissimulazione che noi ben presto potremo combattere con efficacia».
L’ammonizione di Schabbi.
1. Cirenio è ormai persuaso del come stanno le cose riguardo ai persiani, ma non riesce a comprendere come simili voci calunniose, e veramente sataniche contro i romani, abbiano potuto far presa perfino tra gli ebrei della Persia, e chi sia stato a spargere là l'abominevole semente!
2. Ed Io gli dico: «Non sono forse nove mesi che il tempio è a conoscenza delle Mie opere? Là rivolgiti e prendi informazioni! È da lì che escono tutti i pessimi e falsi rapporti sul Mio conto e sulle Mie opere nonché sul vostro conto, perché essi sanno che voi romani non siete contro di Me. Giovanni il Battista vivrebbe ancora anche per questo mondo, se il tempio non avesse colto l’occasione per celarsi dietro la madre della bella Erodiade.
3. Tutto procede dal tempio, e le costui braccia giungono molto lontano sul suolo della Terra; queste però le saranno presto accorciate di molto! Vedi, le cose stanno così, e a te saranno sperabilmente chiare adesso le ragioni per cui il trattare con questa gente è piuttosto difficile; tuttavia le nostre fatiche non saranno vane ed essi devono venire ricondotti alla vera luce, altrimenti sarebbe sul serio un male per Me, per la Mia Dottrina ed anche per voi!
4. E tu incomincerai soltanto adesso ad intravedere il vero motivo che Mi ha indotto a salvare dal naufragio questi persiani. Infatti, all'unico scopo di conservarli alla vita terrena Io non avrei mandato loro in aiuto nessun angelo, ma siccome è una cosa della massima importanza illuminare correttamente questa gente sul Mio conto e sulla Mia causa, avendo essi una grande influenza sul popolo numeroso che dimora nel grande paese da dove sono venuti, così Io dovetti salvarli, considerato che senza di loro noi non avremmo alcun mezzo efficace per liberare i persiani dagli erronei concetti che sono venuti formandosi al nostro riguardo»
5. Dice Cirenio: «A Te solo, o Signore, sia resa lode per queste parole; ormai tutto è di nuovo in ordine ed ogni cosa mi è perfettamente chiara. Continua dunque a trattare con loro, perché adesso già vedo che un successo sicuro della migliore specie lo si può attendere, anzi dovrà venire»
6. Però, mentre da una parte Io mettevo ordine nelle idee di Cirenio, tutto un altro stato d'animo regnava tra i persiani; e il nostro Schabbi andava dicendo ai compagni: «Vedete un po' come i due pezzi grossi vanno di nuovo confabulando misteriosamente per studiare come potrebbero farci cadere in trappola, usando qualche altro mezzo ancora più astuto, perché finora da noi non hanno cavato nulla, ma adesso si tratta di star preparati con prudenza dieci volte più di prima. Finora essi si sono limitati ad usare contro di noi i piccoli mezzi, ma adesso molto probabilmente incominceranno a batterci con i grossi arieti, e se non ci teniamo uniti assieme con tutta forza, verremo rovesciati come tante canne palustri! Di conseguenza ciascuno di noi usi la massima cautela! Perché bisogna assolutamente che questi qui non portino alla luce la fede che portiamo intimissimamente celata in noi come si fa dell'acqua di un qualche pozzo. Quell'esaminatore ha provato prima a intimorirmi, sostenendo di conoscere tutti i nostri più intimi pensieri esattamente così come prima aveva conosciuto il pericolo nel quale ci eravamo trovati sul mare! Ma io in segreto mi sono detto: "O vecchia volpe! È da questo buco che vorresti trarci fuori? O, mio poco onorevole amico, ti assicuro che vai sprecando la tua fatica!". Egli però si accorse subito che con questo genere di astuzia non riusciva ad accalappiarmi, perciò ha ripreso subito a confabulare con il governatore generale e certamente adesso si è consultato con lui per vedere quale nuovo tranello potrebbe escogitare per farci cadere con sicurezza; ma non ci lasceremo attirare in nessuna trappola né positivamente né negativamente! Ad ogni modo è necessario che noi stiamo in agguato come le gru nelle loro paludi, altrimenti siamo perduti!»
7. Domanda uno dei persiani: «Come conosce egli il tuo nome? Da noi non è possibile che l'abbia potuto sapere!»
8. Risponde Schabbi: «Questa cosa è sul serio un po' strana, però non dobbiamo lasciarci trarre in inganno, considerato che le vie ed i mezzi a disposizione di tali persone dall'astuzia raffinata e dalle cognizioni e aderenze vastissime sono innumerevoli, quando vogliono conoscere i segreti degli altri. Perciò non bisogna lasciarsi affibbiare troppo alla leggera tutto per buona moneta.
9. Soltanto Dio è Onnisciente, mentre un uomo lo è soltanto allorquando è chiamato dallo Spirito di Dio a rivelare al suo prossimo cose che il senso umano si trova nell'impossibilità di indagare. Ma un simile uomo, incitato da Dio, soltanto raramente viene su questo mondo egoista e perfido, e ad ogni modo mai fra i pagani tenebrosissimi dominati dall'ambizione e dall'egoismo.
10. Questi uomini invece, che mantengono ogni tipo di relazioni con tutto il mondo e con i suoi sapienti, sono da cima a fondo delle astute volpi aizzate ed hanno un'abilità immensa nello strappare agli altri i loro segreti! Benevolenza, severità, magnanimità, pazienza e perfino la rivelazione dei propri segreti, messe in opera per ispirare piena confidenza durante l'esame all'esaminando per fargli sciogliere la lingua, nonché piccole astuzie in grande numero vengono in caso di bisogno spesso impiegate per scoprire anche i più reconditi segreti di questo mondo. Ma arrivati che siano questi pagani, privi di ogni sentimento di misericordia, in evidente possesso di segreti anche semplicemente all'apparenza contrari ai loro piani di dominio, allora guai a colui che si sarà lasciato indurre a confidarsi con simili disumani individui! Essi sono astuti e perfidi, e possono venir tenuti a freno solamente opponendo loro altrettanta raffinatissima astuzia! Per le vie nascoste essi possono bensì venire a conoscenza di grandi misteri, ma mai dei segreti del cuore, sempre che l'esaminato sappia custodirli con tenacia.
11. O amici miei! Noi qui ci troviamo adesso al cospetto dei giudici più inesorabili! Il tema proposto e quanto mai odioso per i pagani è il Messia, il Quale ormai pare che sia sorto veramente, stando a quanto da tutte le parti ci venne positivamente assicurato. Egli dovrebbe trovarsi nascosto in qualche luogo della Galilea, in attesa che giunga il Suo tempo stabilito. I pagani perciò hanno iniziato la caccia contro di Lui, e già la fede nella possibilità dell'apparizione del grande Liberatore d'Israele dalle dure ed acuminate grinfie da tigre dei pagani porta con sé la morte! Ormai voi conoscete la qualità del terreno sul quale poggiamo qui i piedi, ma saprete altresì quello che qui ci resterà da fare!»
Il colloquio fra i due delegati.
1. Dicono gli altri: «Tu sei stato sempre la prudenza personificata e si sa che la prudenza è la madre della sapienza; tuttavia in questa occasione tu non sembri usarla opportunamente! Infatti, qualche conoscenza degli uomini l'abbiamo pure noi, e quanto più consideriamo l'esaminatore, tanto più svanisce in noi ogni pensiero che in lui possa tenersi celata una benché minima falsità! Io, che ti sono stato compagno nell'ambasciata presso di lui, ho prima aguzzato un po' il mio orecchio e sono arrivato ad afferrare parecchie delle parole scambiate a bassa voce fra l'esaminatore e Cirenio; ma quello che io ho sentito non faceva che tradire una piccola preoccupazione riguardo alla possibilità di guarire noi dalle nostre orrende ed erronee opinioni! Noi, per vie indirette ed in maniera perfidissima, dovremmo avere ricevuto, ispiratore il tempio, delle informazioni completamente false sul conto del Messia e dei romani; questa dunque è la causa della nostra cieca paura di loro e l’ansia nel nascondere la nostra fede assolutamente buona e giusta!
2. Durante il nostro viaggio fin qui, abbiamo avuto ben più di una occasione di osservare i romani che s'incontrano dappertutto, ma nonostante tutte le nostre indagini condotte nella maniera più avveduta non abbiamo potuto in nessun luogo trovare conferma che i romani siano davvero tanto crudeli e spietati; anzi, abbiamo invece sentito dappertutto esprimere liberamente e sinceramente la migliore opinione di questo mondo sul loro conto. È ben vero che tu facevi allora l'osservazione e dicevi: "Dato che in una simile occasione intendono essere crudeli, essi avranno frattanto cura di tenere ben celato questo loro sentimento agli occhi del mondo, per non suscitare anzitempo fra il popolo inquietudine e disordine!". Ma io non condivido questo parere, perché ciascun uomo appartiene evidentemente sempre ad una qualche famiglia, e questa dovrebbe certo accorgersi della sua mancanza e infine farebbe delle ricerche per sincerarsi dove se ne fosse andato quel membro prezioso della famiglia. Ma di una cosa simile non c'è stata ancora una traccia in nessun luogo, e di conseguenza propendo a credere che la tua prudenza, molto lodevole in qualsiasi altra occasione, sia qui un po’ esagerata, particolarmente per quanto concerne la persona dell'esaminatore dal fare cordiale e sincerissimo!
3. Però io qui osservo ancora qualcosa di tutt'altro genere e assolutamente straordinario, e mi meraviglia assai che ciò abbia potuto sfuggire del tutto alla tua perspicacia!»
4. Esclama Schabbi: «Oh, cos’è dunque? Dovrei essermene accorto pure anch'io! Perché di solito è difficile che qualcosa sfugga ai miei occhi, e il mio percepire è sottile come una brezza mattutina! Anch'io davvero sarei molto meravigliato che tu ti fossi accorto qui di una cosa che non avesse colpito la mia attenzione!»
5. Dice il secondo delegato, che si chiamava Giura: «Eppure è così. Tu non ti sei accorto di quello che l'esaminatore ha voluto dire così alla sfuggita, quando ci spiegò in maniera chiarissima le apparizioni avute da Elia nella grotta come trovassero riferimento in lui stesso?»
6. Dice Schabbi: «E che cosa ti sembra che egli abbia voluto dire con ciò?»
7. Risponde Giura: «Niente altro che appunto Egli stesso è il promesso Messia, dinanzi alla Cui potenza tutti i re della Terra devono chinare la fronte! Vedi, questo è veramente quello che io ho trovato e che invece è totalmente sfuggito alla tua grande prudenza. Oltre a ciò, dato che il mio orecchio è molto acuto, ho sentito poco fa che il governatore generale ha chiamato l'esaminatore il Suo Signore! Una cosa addirittura inaudita per un condottiero di Roma! Ora, vedi, anche queste sono cose che non si dovrebbero lasciare da parte così alla leggera e soltanto per ragioni di eccessiva prudenza! Ma che cosa accadrebbe, poi, se questo raro Uomo fosse, come non è impossibile, veramente il promesso Messia?»
8. Dice Schabbi: «Ebbene, Egli non potrebbe che essere soddisfatto in alto grado della mia cautela ben motivata; perché la mia prudenza mira appunto a preservare la santità della nostra dottrina dalla bava contaminatrice dei pagani. È ben possibile che in quanto dici di avere osservato ci sia qualcosa di vero, però senza un severissimo e discretissimo esame non dobbiamo accettare qualcosa neanche alla lontana, a meno che non ci si trovi costretti, per così dire, ad accettare per forza prove evidentissime. Perché quello che ha colpito la tua attenzione potrebbe tuttavia essere soltanto una maschera molto bene applicata alla realtà, ed allora noi verremmo a trovarci facilmente al punto da me sospettato e temuto! Dunque, o amico mio, è meglio andare piano! Simili cose, pur essendo vere, l'uomo le accetta sempre ancora troppo presto e precipitosamente, e ciò può procurare dei gravissimi imbarazzi!»
Della fiducia prematura.
1. A questo punto Io Mi avvicino nuovamente ai persiani e dico, rivolto particolarmente a Schabbi: «Dunque, che cosa avete combinato frattanto? Credi ancora che Io sia una vecchia volpe non avente altra mira all'infuori di quella di consegnarvi tutti nelle mani inesorabili degli attuali dominatori del mondo, come colpevoli di parteggiare per il Messia degli ebrei temuto dai romani? Ma ho Io veramente proprio l'aspetto di un così abietto traditore?»
2. Risponde Schabbi, un po' imbarazzato: «O buono e nobile amico! La faccia è sì il più delle volte lo specchio dell'anima, ma non sempre. Io posso dire di aver conosciuto un uomo il cui aspetto esteriore rassomigliava con tanta perfezione a un dolcissimo e gentilissimo angelo, come un occhio sano assomiglia all'altro occhio della stessa persona, eppure questa non era che una maschera naturale, poiché quel tale era invece nell'anima un demonio compiuto in "OPTIMA FORMA!" (nella forma migliore!) Quell'uomo, a causa della sua bella e dolce forma e figura, era addirittura un favorito della corte, ed era oltre a ciò versatissimo in ogni tipo di arti e scienze, mentre il suo animo era più tenebroso del fantastico Stige dei romani! Guai a chi gli si fosse avvicinato da amico! Sarebbe stato irremissibilmente perduto! Le femmine gli correvano sempre dietro come ossesse, anche se ciascuna donna che gli fosse venuta vicino era altrettanto certa di cadere vittima della sua ferocia quanto è certa di cadere sul terreno la goccia di pioggia che la nube non può più trattenere! E tuttavia egli appariva sempre la persona la più innocente di questo mondo, e la più mansueta e pura. In ogni occasione tutto risultava attribuibile soltanto ad imprescindibili circostanze, però lo strano era che le circostanze nemiche non facevano a lui stesso mai del male. Egli sempre e dappertutto usciva sano e salvo da ogni avventura, e solamente coloro che gli si erano avvicinati si vedevano accollate per la vita e per la morte le conseguenze delle avverse circostanze! Oh, per il suo re egli era il più fedele servitore, ma per ciascun suddito, invece, egli era un demonio meravigliosamente gentile!
3. Nella città reale un greco molto facoltoso, che però si era convertito alla nostra fede, aveva una giovane moglie dotata di bellezza e di grazia prodigiose, ed era tanto devota e fedele a suo marito come lo è questa mia mano destra al mio corpo ed alla volontà del mio cuore. Ora non passò molto che quel bel satana in forma umana ebbe notizia della bellezza della donna, e ben presto dispose le circostanze in modo da venir osservato dalla donna stessa. Volle il caso che da lì a poco il facoltoso greco si vedesse costretto a ricorrere alle vie legali, contro un autentico persiano di nascita e di costumi, per esigere, in base a pieno diritto, la restituzione di una considerevole somma che il persiano aveva preso a prestito dal nostro greco. Ma il persiano aveva come giudici dei compaesani dello stesso stampo e degli stessi costumi, di modo che il nostro greco non poteva praticamente ottenere giustizia di fronte all'infedele e disonesto persiano. Allora la donna, che certo si era accorta che quel tale seducente cortigiano aveva già spesso gettato gli occhi su di lei, disse al marito: "Che ne diresti se noi invocassimo l'intervento del bel cortigiano presso il re, affinché venisse tutelato il nostro buon diritto?". E il greco rispose: "Oh, io so bene che egli spesso ti guarda con occhi bramosi e sono sicuro che una parola da parte sua avrebbe molto potere, anche se quale compenso si profilasse per lui unicamente una speranza del tutto vana. Però le voci che corrono sul conto del bel cortigiano sono tutt'altro che buone! Anzi pare che sia addirittura da preferirsi la sua ostilità alla sua amicizia. Chi finora è stato indotto ad entrare con lui in relazioni di amicizia, è sempre stato colto da grande male. A mio giudizio, dunque, la perdita della somma che ci è dovuta rappresenta il minore dei due mali, e noi perciò faremo una cosa più assennata sacrificando il primo e minore bene al Signore".
4. A tale sentenza si adagiò senz'altro la bella giovane donna. Ma dopo non molto tempo quel cortigiano si presentò egli stesso in casa del nostro greco per fare degli acquisti, perché questo mercante è un gioielliere e in pari tempo anche un artefice esperto nel legare le pietre preziose in argento e oro. Quell'uomo si comportò con estrema cortesia e riguardo, e riuscì ad ispirare fiducia al greco, anche se sua moglie invece sentiva, contro la propria volontà, un vago senso di angoscia impadronirsi del suo animo al cospetto di quel cortesissimo gentiluomo che oltre a ciò era quanto mai generoso e splendido, perché non le era mai accaduto di vedere che un cliente pagasse senza contrattare il primo prezzo chiesto per un gioiello; dunque, qualche cosa ci doveva essere sotto.
5. Il greco allora, pieno di lieto umore, disse: "Ah, quest'uomo deve avere molti invidiosi soltanto a causa della sua bellezza e modestia e per la sua posizione di preferenza a corte, ed è perciò che si cerca di creargli una fama orribile e di renderlo così sospetto nei circoli di corte. Eppure tutte le sue parole sono ispirate a sincerità e sapienza come quelle di un profeta. In verità non è possibile che dietro a quest'uomo si nasconda qualcosa di male". Non passò molto tempo e il nostro cortigiano ritornò dal greco e comperò un grosso diamante, legato in oro, per adornare un turbante che aveva ricevuto in dono dal re. Il prezzo del diamante era di cento libbre d'oro che il cortigiano volle subito pagare, perché aveva sempre un numeroso seguito incaricato di portare i tesori che avrebbero potuto occorrergli; però il greco così gli disse: "O saggio e nobilissimo amico mio! Aiutami a rientrare in possesso di una certa somma che mi deve il tal dei tali, e questo prezioso fermaglio è pagato! Io so che la tua parola tutto può presso il grande re, ed io te ne sarò infinitamente grato!”
6. Disse allora il cortigiano: "Domani senz'altro ti sarà resa giustizia, ciò malgrado però prendi qui l'oro che ti è dovuto per il mio gioiello; ma considerato che ti rendo un grande servizio del tutto disinteressatamente, io in cambio non ti chiedo che un minimo servizio. Per celebrare il giorno natalizio del grande re, io sto allestendo in sette giorni una grande festa che si terrà nel famoso giardino del Paradiso. Ora, ecco, io invito a questa festa te e tua moglie, e alla mensa regale poi potrete chiedere e ottenere una quantità di favori".
7. Al greco una simile proposta venne quanto mai a proposito, perché già da lungo tempo desiderava essere nominato gioielliere di corte; tuttavia la donna osservò: "Non possiamo più cambiare le cose, però non c’è da aspettarsi niente di buono né per te e men che meno per me! Quest'uomo nutre cattive intenzioni contro di me, ed a te può accadere di venir sacrificato al mio fianco! Sarebbe meglio che noi mettessimo insieme le nostre cose e fuggissimo da qui il più velocemente possibile, prima che arrivi il settimo giorno, pieno per noi di sciagura".
8. Ma il greco così le rispose: "Mia cara moglie, è certo cosa buona essere prudenti, ma l'eccessiva sfiducia in una persona che di fatto non ha mai ancora fornito qualche prova di meritarsela e della quale altro non si sa all'infuori di quanto le male lingue possono avere inventato e propagato sul suo conto, cosa questa che più di altri può toccare appunto ad un galantuomo, anche una simile sfiducia è altrettanto un'imprudenza quanto una deplorevolissima leggerezza!". La soave donna si adattò a questa ammonizione molto ragionevole e il giorno seguente il persiano debitore dovette rimborsare al greco fino all'ultimo statere.
9. Il fatale settimo giorno venne, come fissato da un ferreo destino, ed i due si recarono vestiti a festa al Paradiso del re. Là tutto pareva immerso in un mare di luce; da tutte le parti c'era uno scintillio d'oro e di pietre preziose più intenso delle più brillanti stelle sul firmamento notturno, e musiche e canti si diffondevano per i viali tracciati fra la vegetazione dell'immenso giardino. I due però non tardarono molto ad essere scoperti dal nostro cortigiano, il quale li condusse nel grande padiglione del giardino alla presenza del re che li accolse cordialmente. Nel mezzo di questo padiglione o tempio a colonnate erano disposte delle mense e dei divani di seta sofficissimi in grande numero e d'uno sfarzo incomparabile; sulle mense poi c'erano dei grandi vassoi d'oro colmi delle più prelibate vivande e dentro a dei grandi boccali di cristallo facevano allettante mostra di sé i vini più squisiti nonché una quantità di altre bevande aromatiche.
10. Il nostro greco dovette prendere posto ad una mensa accanto a quella grande del re, mentre la sua bella moglie venne invitata a sedere alla stessa tavola reale. Il banchetto durò molto tempo e tutti mangiarono e bevvero in allegria. Ma il nostro greco incominciò improvvisamente a sentirsi male, perché gli era stata offerta una bevanda alla quale era stato mescolato del veleno, e perciò dovette venir ricondotto a casa sua; la donna invece venne portata negli appartamenti del re e sotto minaccia di morte dovette lasciar fare della sua persona tutto quello che gli altri vollero, finché ne furono sazi. Il greco non ci rimise la vita, ma rimase, come lo è tuttora, un uomo fisicamente rovinato; quale aspetto poi avesse la sua misera moglie, quando appena dopo sette giorni poté raggiungerlo, ognuno se lo può facilmente immaginare!
11. Ecco, questa fu la conseguenza della fiducia concessa con eccessiva precipitazione, e concepita verso un tale che senz'altro esteriormente ispira fiducia, mentre il suo cuore è come il covo di un'intera banda di demoni tra i più feroci. I due però, ai quali è toccata non proprio molto tempo fa questa sciagura, si sono seduti là in disparte a causa della loro debolezza e possono confermare con la loro bocca quanto ho raccontato adesso! Dunque, o amico, quando se ne sono viste di queste, è ben spiegabile se si sovrabbonda in prudenza!».
La differenza tra il Signore e i maghi.
1. Dico Io allora: «Va' e conduciMi qui quei due!». E Schabbi va e ritorna subito con loro.
2. Ed Io chiedo a loro se desiderano riacquistare la salute e la vigoria di una volta.
3. I due allora rispondono: «Oh, sì, Signore! Se ciò fosse possibile! Ma quello strano veleno ha rattrappito tutte le mie membra e soltanto a fatica riesco a trascinarmi; in quanto poi alla mia donna, vedi qui questo povero fiore calpestato e spezzato! Essa è rovinata nel corpo per tutta la vita! O Jehova, perché proprio a noi è stata riservata una sorte tanto orribile?»
4. Ed Io dico: «Ebbene, Io voglio che riabbiate la piena salute del corpo e che vi sentiate così lieti e sereni come il giorno del vostro matrimonio!»
5. Appena dette queste parole i due sentirono come una fiamma attraversare il oro corpi ed immediatamente si trovarono ristabiliti in salute e colmi di vigoria, come se non fossero mai stati ammalati; anche il loro aspetto apparve improvvisamente più fiorente ancora che non nel giorno delle loro nozze. È immaginabile, dunque, che il loro sbalordimento fu immenso, dato che in Persia un fatto simile non era mai accaduto!
6. Anche Schabbi si stupisce molto e non si fida quasi più dei propri sensi; ma Giura lo spinge lievemente con il gomito e gli dice un po' a bassa voce: «Che ne dici tu? A me sembra che siamo già arrivati al vero posto e che ormai non ci troviamo troppo distanti da Colui che tu vorresti rinnegare per eccessiva prudenza; per mio conto ti dico che o è Questo o non sarà mai più nessuno per tutta l'eternità! E adesso giudica a seconda di come il tuo sentimento ti detta!»
7. Risponde Schabbi: «È vero, è possibile che tu abbia colto proprio nel segno. Questa guarigione istantanea dei due per mezzo della sola parola è certo più di quanto tutta la sapienza umana possa concepire! Ed ora anche la nostra salvezza mi appare in una luce un po' più chiara. Un uomo, nella cui volontà è insita una simile potenza da piegare all'obbedienza perfino la rozza materia, deve trovarsi al di sopra di tutti gli altri uomini di questo mondo; in Lui deve avere dimora la pienezza della forza di Dio e la sua anima deve portare l'impronta vitale e potentissima della Volontà divina oppure essa è la stessa Divinità! Forse mi sono lasciato trascinare un po' troppo oltre dalla mia prudenza, tuttavia non è possibile che così abbia commesso peccato; infatti, con il mio agire tendevo a salvaguardare il divino che di fronte ai pagani avrebbe ben potuto rappresentare un abominio, e a non permettere che esso venisse contaminato da simili barbari; ciò che non sarebbe stato di nessun vantaggio né a noi né alla causa sublime della fede!
8. Ma come si vede qui, i pagani poi non sono tanto fieri e crudeli come ci vennero descritti in Persia. Sarebbe quasi incredibile che Cirenio, il superbo governatore generale, non sapesse chi o che cosa si cela sotto le spoglie di questo Essere prodigioso! Ma se lo sa e chiama Lui un Signore è ben da supporsi che avrà i suoi eccellenti motivi per chiamarLo così! Perché contro la potenza di una simile volontà, tutte le armi di Roma dovrebbero essere dei meschini fuscelli di paglia!
9. Questa non è stata né magia né guarigione miracolosa sullo stampo di quelle operate dai nostri maghi e sacerdoti, i quali, in cambio di un compenso in denaro od in altra forma, inducono della gente perfettamente sana a fare la parte del sordo, dello storpio o del cieco e ad andare in questo mentito stato in pellegrinaggio al tempio immondo di un qualche idolo, per poi, ad un segnale convenuto, riacquistare l'udito, la vista e la normalità del camminare. Con ciò viene gettata polvere in abbondanza negli occhi ad una quantità di deboli d'intelletto, e se poi si presentano degli autentici storpi, ciechi e sordi, e nonostante tutte le loro preghiere e le loro offerte nessuno ne risente un vantaggio, allora la sentenza è sempre questa: la vostra fede è troppo debole e la vostra offerta è troppo meschina e non gradita a Dio! Anzi, neanche tu ignori che i nostri maghi richiamano perfino in vita i bimbi morti di ricchi genitori, ma è già da lungo tempo che noi conosciamo come. E sappiamo altresì che simili fanciulli, risuscitati da morte, non sono affatto consanguinei dei genitori. Ma costui sarà bene in grado di richiamare in vita i morti apparenti?»
10. Allora intervengo Io e dico: «Certo, Egli può fare anche questo senza offerte e senza oli o succhi d'erbe! Guardate là, verso la riva, i due figli del nostro albergatore hanno appunto tratto dall'acqua tre annegati, un uomo e due ragazzine!
11. Si tratta di un padre, un povero ebreo, con le sue due figlie. Sua moglie è riuscita a stento a salvare la propria vita aggrappandosi ad un tronco d'albero che galleggiava sull'acqua, ma suo marito e le due figlie, che erano accorsi in aiuto della madre che si trovava in grave pericolo, vennero travolti dal flutto sempre crescente del mare dove affogarono; le onde del mare, però, rigettarono a riva i cadaveri e i due robusti figli del nostro albergatore ne hanno trovati adesso i corpi che furono deposti laggiù.
12. Ma adesso Io voglio anche che quella sventurata donna, che invoca ancora aiuto, piangente, tremante e afferrata al suo tronco d'albero, venga condotta qui.
13. A questo scopo impiegherò nuovamente il Mio pilota, e solo poi voi vedrete la gloria di Dio e crederete in Colui che vi ha salvati tutti». E detto questo, Io chiamo Raffaele, gli faccio semplicemente un segno che egli comprende immediatamente, e in un solo minuto egli è già di ritorno presso di noi sulla collina, conducendo con sé la donna che non cessava di lamentarsi e sembrava inconsolabile.
14. Io però le tocco il braccio e dico: «O donna, calmati, credi e spera, perché a Dio sono possibili tutte le cose!»
15. Allora la donna si calmò molto, ma disse: «Io so bene che presso Dio non c'è nulla di impossibile, però so pure che da peccatrice quale sono non sono affatto degna di una grazia da Dio! Oh, che purezza di cuore ci vuole in una creatura umana, per poter essere degna anche della minima grazia proveniente da Dio! Ma la porta della grazia di Dio è chiusa per me già da lungo tempo. Certo che Dio avrà ben poco riguardo per me, nella mia attuale miseria, perché nel mio stato felice mi sono ricordata poco di Lui. Ma Dio mi ha già concesso una grande grazia punendomi ora!»
16. Le dico Io: «E che ti diresti se Io ti ridonassi il marito e le tue due figlie?»
17. Risponde la donna: «Soltanto Dio potrà ridonarmeli nel giorno del Giudizio, perché essi giacciono sepolti nel mare e sono morti; i loro corpi tu potrai certo restituirmeli se sono stati tratti fuori dall'acqua dai figli di Marco, ma mai più viventi, poiché devono essere trascorse già due ore da quando affogarono!»
18. Io allora dico all'angelo: «Porta qui i tre cadaveri!». E subito l'angelo portai tre corpi sulla collina e li depone ai Miei piedi.
19. La donna riconosce immediatamente i cadaveri per quello di suo marito e delle due figlie, e scoppia nuovamente in un disperato pianto.
20. Ma Io le dico: «O donna, sii tranquilla, perché lo vedi chiaramente che essi stanno soltanto dormendo!»
21. Risponde la donna: «Sì, essi dormono il sonno eterno da cui nessuno si è mai ridestato!»
22. Dico Io: «O donna! Tu ti inganni; un sonno eterno come tu lo intendi non esiste affatto, e le tue parole sono la conseguenza della tua poca fede nella vita in un altro mondo. Questi tre però Io li ridesterò, affinché tu e molti altri ancora irrobustiscano la fede e la confidenza nel Nome vivente di Dio!»
23. E poi subito, rivolto ai cadaveri, dissi ad alta voce: «Destatevi dal vostro sonno di morte e alzatevi!»
24. Allora i tre corpi incominciarono subito a muoversi, e si rizzarono ben presto in piedi. Con occhi sbalorditi essi si guardarono intorno, perché non potevano rendersi conto di quanto fosse accaduto a loro e dove si trovassero.
25. Io però dissi alla donna: «Va' là e spiega a loro dove si trovano adesso, e quello che è a loro capitato! Quando poi avrete ripreso animo e vi sarete riconosciuti, avremo ancora qualcos’altro di cui parlare!»
26. Ma la donna si prostrò dinanzi a Me, e a causa dell'immenso stupore da cui era stata sopraffatta non poté articolare una parola. Soltanto dopo qualche tempo essa si riebbe, si risollevò da terra e incominciò a lodarMi ed a glorificarMi con espressioni quanto mai calorose, perché andava man mano sempre più convincendosi che suo marito e le sue figlie vivevano veramente ed erano in perfetto stato di salute e di eccellente umore.
27. Io però la indirizzai nuovamente a quei resuscitati, perché parlasse con loro e si facesse riconoscere come la moglie salvata dell'uomo e come la vera madre delle due figlie! E la donna fece i pochi passi che la separavano dai resuscitati; infatti, quando qualcuno viene da Me guarito o richiamato in vita, Io Mi allontano sempre di qualche passo dal guarito o dal resuscitato, e ciò per ragioni note solo a Me.
28. E giunta che fu presso i resuscitati, la donna si fece subito riconoscere, ed essi a loro volta la riconobbero come moglie e madre, e la accolsero con manifestazioni di gioia grandissima e con espressioni del più profondo stupore.
29. Io però vietai alla donna di rivelare subito ai tre, i quali avevano ormai già recuperato completamente la conoscenza, che ero stato Io a salvarli e a resuscitarli, per il motivo che ciò non è confacente ad una vita ridestata di recente; soltanto dopo che avesse avuto da Me un cenno, avrebbe potuto rivelare il mistero, e la donna osservò anche strettamente il Mio comandamento, nonostante il marito le facesse pressanti istanze, perché gli indicasse chi era stato il prodigioso benefattore».
L'effetto delle azioni del Signore.
1. Fu questo avvenimento che fece la maggiore impressione sui nostri persiani. Ormai erano come pietrificati, e il nostro Schabbi guardava ora Me, ora nuovamente i resuscitati e andava tastando loro il polso e domandava affannosamente se era proprio vero che prima erano morti e se non potevano proprio ricordarsi niente di quanto era loro accaduto!
2. E l'uomo rispose: «Domanda a questa pietra ed essa ti dirà perfettamente l'identica cosa che posso dirti io adesso. Io non ricordo altro che di essere stato travolto nel mare da un poderoso torrente e che immediatamente perdetti in tale modo ogni conoscenza, e risultai quindi morto. Da quel momento non so che cosa sia accaduto di me; solamente questo mi è dato di ricordare, e cioè che subito dopo essere stato inghiottito dall'acqua micidiale mi ritrovai su di un grande prato assieme alle mie figlie ed ero pervaso da una grave tristezza, senza sapere veramente perché lo fossi. Ma ben presto una nuvola luminosa incominciò a avvolgerci da tutte le parti ed in questa luce provai un senso di grande beatitudine! Noi non vedevamo però nessuno all'infuori di noi stessi, e poi, in questo stato di delizia, un dolce sonno si impadronì di noi; e da questo sonno ci svegliammo soltanto qui. Ecco che tu ora sai tutto quello che in coscienza posso dirti; giudica dunque ora tu stesso!
3. Non si potrà certamente mettere in dubbio che il mio corpo fosse morto, come non ci può essere dubbio, ora che ti parlo, che io sono vivo! Perché prova tu a gettarti in fondo al mare e a rimanervi per due ore, ed io ti garantisco che tu, per quanto concerne il corpo, sarai morto del tutto!»
4. Dice Schabbi: «Sì, non c’è alcun dubbio! Tu fosti completamente morto e quest'Uomo prodigioso ti ha richiamato in vita tramite la Sua sola onnipotente Parola! No, davvero, una cosa simile su questa Terra non si è ancora mai vista! Ma che cosa dobbiamo fare adesso?»
5. Allora Giura chiama a sé Schabbi e gli dice: «Ebbene, o Schabbi, amico mio, qual è la tua opinione riguardo a questo avvenimento?»
6. Risponde Schabbi: «Ah, che cosa si può e che cosa si deve dire? Qui agisce la potenza di Jehova e non altro! Perché questo fatto giace a distanza infinita oltre ad ogni orizzonte dell'umana esperienza, e nessuna scienza e nessuna sapienza è mai salita ad altezze tanto vertiginose. La mia mente ora va addentrandosi in un labirinto di cui non è possibile trovare l'uscita!»
7. Allora Io dico a Schabbi: «E così, amico Mio, qual è ora la tua opinione riguardo a quella storia del Messia che trent'anni fa venne divulgata nei vostri paesi dai noti magi dell'Oriente? La consideri tu ancora una favola inventata dagli astrologi?
8. Perché, vedi, quello stesso Uomo, che allora venne partorito da una tenera vergine in una stalla a Betlemme e al Quale i tre savi che voi chiamate i re delle stelle portarono in dono oro, incenso e mirra, Quello sono Io; quella volta un bimbo appena nato e adesso un Uomo nel pieno delle sue forze. Come ti sembra la strana coincidenza dei fatti e che opinione ti fai della cosa?
9. Che però Io sia veramente Quello, di questo possono renderne qui testimonianza due che sono ancora perfettamente in vita: l'uno è il centurione Cornelio, un fratello più giovane dell'imperatore Augusto e l'altro è il governatore generale Cirenio che ha favorito e preparato la Mia fuga in Egitto e che è egli pure un fratello dell'imperatore Augusto, però più anziano di lui! Ed ora che conosci queste circostanze, dimMi che cosa pensi del Messia del Quale i tre re delle stelle hanno divulgato la fama nel vostro paese? C'è qualcosa di serio e di reale in Lui o no?»
10. Risponde Schabbi: «Oh, sì, Egli è ora un’assoluta realtà, ma quella volta la storia che Lo riguardava aveva certo un accentuato sapore di favola dei re delle stelle! Perché questi nostri re delle stelle bisogna conoscerli, e soltanto allora si arriva a comprendere facilmente come essi sappiano volgere a loro profitto ogni nuova apparizione sul firmamento. In primo luogo sono perfettamente esperti in tutte le letterature del proprio paese e dell'estero, essi conoscono i profeti israeliti altrettanto bene quanto quelli indiani, il SEN SCRIT e il SEN TA VEISTA dei parsi, dei gebri e dei birmani sono loro familiari come i nostri libri. In secondo luogo, poi, non c'è in cielo neanche una minima stella che essi non conoscano ed a cui non abbiano già da lungo tempo dato un nome.
11. Se alla loro vista si presenta una qualche stella che ancora non conoscono, come ad esempio una cometa, ebbene, questa dà subito lo spunto a dissertazioni profetiche di ogni specie; se la cosa non fa presa sui propri connazionali, allora ci si rivolge all'estero, e poi qua o là si trova bene un posticino dove essa trova qualche credito. Questo, noi che vediamo più chiaro, lo sappiamo bene, anzi benissimo, e con ciò risulta spiegata anche da sé la ragione degli scarsi effetti ottenuti quella volta presso di noi dalla fama della nascita del promesso Messia degli ebrei, divulgata per il materiale vantaggio dei re delle stelle, i quali rimpatriando ne diedero annuncio a tutti gli israeliti con eccezionale solennità. Essi quella volta, a dire il vero, mantennero un contegno del tutto serio, ma per noi aveva valore l'antico detto: "Chi spesso fantastica e mente, a lui non si crede anche se da lui la verità si sente!”
12. Chi di noi, allora, avrebbe potuto immaginare, neanche in sogno, che i re delle stelle avessero finalmente raccontato anch'essi qualcosa di vero?
13. Ora, certamente, le cose a Tuo riguardo hanno assunto tutto un altro aspetto, e Tu nella Tua sapienza non vorrai imputarci a peccato se quella volta non abbiamo creduto a ciò che si andava raccontando di Te».
Il vantaggio dell’attività e le cattive conseguenze della pigrizia.
1. Dico Io: «Questo proprio no, tuttavia non bisogna non rilevare che i mercanti di questo mondo anche troppo spesso trattano tutte le cose che concernono lo spirito con eccessiva leggerezza; ciò fu pure quella volta il vostro caso. Ho Io ragione o no?»
2. Risponde Schabbi: «Eh, sì, o mio nobile amico colmo di potenza divina, è ben vero che gli affari ed i tesori di questo mondo, il loro acquisto e la loro amministrazione sono causa di gravi preoccupazioni a chi vi si dedica, ma poi, appunto, mediante la ricchezza ben impiegata si possono acquisire facilmente delle utili esperienze di ogni genere e si è in grado di destare lo spirito assopito di qualche uomo, incitandolo ad una utile attività, procurandogli un'occupazione vantaggiosa e togliendolo in questa maniera dall'ozio che di solito è il padre di ogni vizio e di ogni peccato.
3. Considera un po' la classe dei sacerdoti di ogni nazione! Finché questi tali dovevano lavorare e dovevano, come qualsiasi altro, guadagnarsi il pane con il sudore della loro fronte, anch'essi erano i primi amici della verità; ed infatti loro fecero delle scoperte e dei calcoli scientifici di cui ancora oggi ci dobbiamo stupire. Essi ricondussero l'armonia nel pensiero umano ed eressero scuole per la vera cultura dello spirito umano e per la conoscenza di se stessi. Quella volta anche simili sacerdoti trovarono le vie che conducono a Dio, e ricolmi dello spirito e di buona volontà guidarono il loro prossimo alla stessa conoscenza.
4. Ma quando più tardi gli uomini andarono sempre più persuadendosi degli immensi benefici arrecati dalle belle e nobili fatiche degli antichi e genuini sacerdoti e ne ebbero riconosciuta la grande utilità, essi esonerarono da ogni lavoro pesante i sacerdoti, che apprezzavano ed amavano sopra ogni cosa, prendendoli a loro carico ed introdussero il dono della decima, e convennero che da allora in poi i sacerdoti avrebbero dovuto dedicare ogni cura ed ogni fatica unicamente all'educazione dello spirito umano. Ma allora avvenne che la casta sacerdotale ben presto si dedicò all'ozio, si mise a fantasticare ed a perseguire scopi ben diversi, seppellì la chiara verità dentro le catacombe tenebrose e cominciò a nutrire l'umanità, quella volta molto credulona, con ogni tipo di leggende e di favole, e così la pigrizia dei sacerdoti fu con tutta evidenza la ragione per cui perfino la dottrina nobilissima di Mosè, il vero e grande profeta, decadde.
5. Basta leggere Mosè ed i profeti, e confrontarli con quanto vanno predicando ed operando gli attuali successori di Mosè e di Aronne a Gerusalemme, e ci si convincerà ben presto e con assoluta facilità che essi non credono né a Mosè né meno ancora in un Dio. Perché, se credessero in Mosè e nel Dio da lui annunciato, essi non si sarebbero fatti mentitori e ingannatori ignominiosissimi del popolo che vanno assillando corporalmente e moralmente! Ma tutto questo è una necessaria conseguenza della loro scandalosa oziosità! Dunque, a mio parere, l'onesta ricchezza nelle mani di gente attiva, saggia e di buon volere rappresenta per l'umanità bisognosa ben più di un tempio di Dio che non quello di Salomone a Gerusalemme!
6. Certo che noi, gente dedita attivamente al commercio, non abbiamo proprio molto tempo da dedicare alle varie fantasticherie mistiche, che sono un privilegio dei poltroni, e da sofisticarvi su in cerca di quanto può esserci di vero, ma noi invece insegniamo al popolo a fuggire l'ozio e lo educhiamo ad essere veramente utile a qualcosa! In questo modo io credo di avere molteplicemente rimediato al lieve errore che Tu con insistenza mi hai indicato, quello cioè che noi trattiamo con leggerezza eccessiva le cose che concernono lo spirito! Perché, da parte mia, penso che fare il bene nella realtà e non a parole sia meglio che mettere per iscritto le più belle dottrine senza avere mai la volontà di osservarle per il buon esempio.
7. E in fondo, a che cosa giova anche il nostro sofisticare, sia pure profondissimo, e il rompersi il capo se a nessun mortale riuscirà mai di sollevare nemmeno il velo più esteriore della sapienza di Dio?
8. Ma se tale cosa è proprio necessaria all'uomo, la grazia di Dio susciterà ben essa un qualche nuovo Mosè, vale a dire un Messia autentico come Tu adesso sembri esserne uno. Questo, poi, certamente ci istruirà nella vera sapienza di Dio, e noi questa sapienza l'accoglieremo senza dubbio grati e volonterosi a qualsiasi prezzo come una vera merce dai Cieli, e in base ad essa saremo anche attivi, perché noi commercianti siamo sempre grandi amici di ogni operosità vantaggiosa agli uomini e le nostre ricchezze le impieghiamo solamente per spronare l'umanità, che per natura è incline alla pigrizia e all'ozio, ad ogni specie di onesta attività utile a se stessi ed al prossimo.
9. Ed ora, o nobile Amico colmo dello Spirito di Dio, dimmi se il nostro modo di considerare la vita è buono, idoneo e di conseguenza vero, oppure se Tu sei in grado di suggerircene, fuori dalla Tua sapienza, un altro forse migliore!»
L’essenza della vera Rivelazione.
1. Dico Io: «No, affatto! Il buono e il vero rimangono gli stessi, sia che vengano scoperti dall'uomo mediante una zelante indagine, sia che gli vengano rivelati immediatamente da Dio; infatti, la scoperta di una verità corrisponde appunto anch'essa ad una rivelazione dall'Alto, ma resta sempre una rivelazione mediata, dove il mezzo è raffigurato precisamente dalla zelante indagine.
2. In seguito a un tale indagare, l'anima si libera dai grevi lacci della materia e desta per singoli momenti lo spirito divino in lei, oppure, detto con altre parole, essa si avvicina di più al centro vitale del proprio cuore dove sempre e costantemente affluisce la Luce e la Misericordia di Dio, e dove queste creano la vita dell'anima e provvedono al suo sviluppo spirituale nello stesso modo in cui la luce e il calore del Sole penetrano nei solchi del terreno e vi destano, mantengono e promuovono un frutto libero, autonomo e perciò maturo, la cui vita non è più dipendente dalla pianta, ma sussiste di per se stessa.
3. Quando nei veri momenti di fervida attività l'anima si raccoglie nel già menzionato centro vitale nel cuore, allora con ciò essa è anche arrivata alla rivelazione dello spirito di Dio, e là in se stessa altro non può trovare che la stessa eterna verità da Dio. Ora questa è, appunto, una rivelazione mediata, e si differenzia dall'immediata soltanto in ciò che Dio, nei casi di grave ottenebramento dell'umanità, desta degli uomini che hanno particolare attitudine, senza che essi cooperino a questo atto, e ne guida le anime nel loro centro vitale per procurare da qui nuovamente agli altri ciechi la luce destinata ad aprire loro gli occhi.
4. E poi c'è ancora un divario fra la rivelazione mediata e l'immediata, e questo consiste in ciò: la rivelazione mediata procura all'uomo che cerca una giusta luce soltanto su ciò che egli desidera aver chiarezza, e ciò è simile alla luce di una buona lampada con la quale si può illuminare benissimo una qualche stanza oscura; la rivelazione immediata, invece, è simile al Sole in pieno mezzogiorno, la cui possente luce illumina il mondo intero in tutti i suoi grandi e piccoli solchi.
5. Questa rivelazione immediata dunque, paragonabile al Sole, non ha valore soltanto per il singolo a cui viene data, ma ha valore per tutta l'umanità, e in primo luogo per il popolo al quale il profeta appartiene; ma poiché ci sono dei profeti veri e genuini chiamati da Dio, è facile dunque dedurre che ce ne siano anche dei falsi, e ciò precisamente per le seguenti ragioni che si possono comprendere con tutta facilità.
6. Un vero profeta deve godere, presso i suoi simili, di una speciale considerazione, perché le sue profezie, e inoltre anche le opere che va compiendo a riprova della divinità della sua missione, devono evidentemente ispirare un certo rispetto all'uomo comune, che gli piacciano o no le profezie oppure che le stesse siano o non siano in consonanza con i suoi interessi materiali.
7. Presso gli uomini di sentimento migliore, la considerazione di un profeta si accresce fino a diventare gigante, senza però che la sua volontà vi concorra, e non gli è possibile di esimersi da quelle certe dimostrazioni di devota stima e di venerazione, per quanto egli sia - come deve anche essere - umile.
8. Orbene, questa cosa non sfugge all'attenzione di altri uomini del mondo, il cui intelletto non di rado è dotato di molto ingegno inventivo; infatti, ai figli del mondo non ha mai fatto difetto l'accortezza del serpente. Questi uomini del mondo ambiscono pure essi ad essere tenuti in considerazione, allo scopo facilmente constatabile del vantaggio terreno.
9. Essi incominciano a studiare e talvolta con l'aiuto di Satana scoprono cose e tengono dissertazioni mentitamente sapienti, in modo che l'umanità profana e digiuna di ogni nozione finisce con il non sapere più fare alcuna differenza fra quello che è genuino e buono e quello che è falso e cattivo.
10. Ma come e in quale maniera, allora, si può distinguere un falso profeta da uno vero? Semplicemente dai rispettivi frutti.
11. Infatti, dalle spine e dai triboli non si è mai raccolto né uva né fichi!
12. Il vero profeta non è mai possibile che sia egoista, né che ci sia in lui traccia d'orgoglio. Egli accetterà con animo grato quanto i cuori nobili e buoni vorranno offrirgli, però mai egli esigerà da qualcuno un compenso fisso, ben sapendo egli che ciò è un abominio al cospetto di Dio e che Dio può certo da solo mantenere i propri servitori!
13. Il falso profeta si farà pagare ogni passo, ogni parola ed ogni azione cosiddetta del servizio divino per il preteso benessere dell'umanità. Il falso profeta avrà voce di tuono, quando parlerà dei giudizi di Dio, ed egli stesso giudicherà nel Nome di Dio con il ferro e con il fuoco. Il vero profeta, invece, non giudicherà mai nessuno, ma esorterà soltanto disinteressatamente i peccatori a penitenza e non farà alcuna distinzione fra grande e piccolo e fra ragguardevole e non ragguardevole, perché per lui vale unicamente Dio e la Sua Parola, mentre tutto il resto egli lo reputa una vana stoltezza.
14. Nel discorso del vero profeta non si riscontrerà una contraddizione; si pongano invece in luce le parole del falso profeta e le contraddizioni si vedranno pullulare. Nessuno può mai offendere il vero profeta, perché egli sopporterà sempre come un agnello qualunque cosa il mondo vorrà fargli; egli si scaglierà con tutto lo zelo e l'ardore soltanto contro la menzogna e contro l'orgoglio, e li respingerà sempre.
15. Il falso profeta è sempre un nemico mortale di ogni verità e di ogni migliore progresso del pensiero e delle opere; nessuno, all'infuori di lui, deve conoscere qualcosa o essere degno di una qualche esperienza, affinché tutti siano costretti sempre ed in ogni circostanza a ricorrere a lui per un consiglio che devono poi pagare a caro prezzo.
16. Il falso profeta non pensa che a se stesso; Dio e il Suo Ordine sono per lui bazzecole noiose e ridicole, alle quali egli non presta una scintilla di fede; per questo anch'egli, con la coscienza più leggera di questo mondo, è disposto a farsi un Dio di legno o di pietra come gli suggerisce il capriccio; che poi un simile Dio possa, per mano del falso profeta, operare facilmente cose che appaiono miracoli agli occhi dell'umanità, una volta che questa è divenuta completamente cieca, è cosa che si può ben facilmente comprendere!»
17. Dice Schabbi: «O mio nobile Amico, io so e tutti quanti noi sappiamo di quali artifici si valgono quegli impostori e come operino i loro miracoli; ma questi tali io li considero delle bestie e non più degli uomini. Perché non so trovare al mondo maggiore ignominia di quella di un simile mestierante spirituale e truffatore del prossimo, il quale forza i propri fratelli ignoranti a credere a qualcosa che lo fa ridere tra sé sgangheratamente, mentre egli stesso riesce malamente a comprendere come l'umanità possa essere così spaventosamente sciocca da accettare per oro di zecca una tale innominabile assurdità.
18. O nobile Amico! Quello che hai detto ora, io già lo sapevo. Ma come fosse costituita una rivelazione mediata e una immediata, questo davvero io non lo potevo sapere; però sono lieto di apprendere che ciò che l'onesta volontà dell'uomo ha trovato e scoperto in seguito alla sua perseverante indagine, è infine anch’essa una rivelazione dall'Alto. Naturalmente ciascuno non può essere profeta per tutto il popolo, ma qualora il profeta mediato abbia inventato o scoperto qualcosa di molto utile in una sua propria particolare sfera, sia pure soltanto allo scopo del vantaggio materiale, questa cosa potrà venire utilmente impiegata con il tempo anche per il bene di un popolo intero, e così può anche il mediato e particolare profeta essere e diventare, per così dire, un profeta universale!
19. Consideriamo un po' l'invenzione, certo prediluviale, dell'aratro; questo strumento agricolo, d'inestimabile valore, deve essere stato inventato senza dubbio da una mente attiva e consacrata all'indagine per le vie della rivelazione mediata. Il suo nome non è certo stato tramandato dalla storia, ma quale vantaggio incalcolabile ha già arrecato all'umanità la sua invenzione! E così ci sono una grandissima quantità di simili invenzioni di utilità generale, fra strumenti ed utensili di svariatissima specie, che hanno davvero un valore infinito. I rispettivi inventori furono certo gente attivissima, modesta e senza alcuna pretesa, altrimenti gli storiografi avrebbero certo ricordato i loro nomi come hanno ricordato i nomi di coloro che hanno regnato sui popoli riuscendo a questi, generalmente parlando, di ben scarsa utilità.
20. Io sono dunque dell'opinione che quegli uomini siano stati i maggiori benefattori dei popoli, ai quali essi hanno insegnato a pensare entro l'ambito dell'ordine di verità e li hanno arricchiti di utili invenzioni!
21. Ma l'utilità di profeti universali puramente spirituali è una cosa finora molto discutibile; essi biasimarono, è vero, le depravazioni collettive dei popoli e punirono i malfattori ed anche annunciarono, per lo più in forma quanto mai velata, Dio, le Sue opere, la Sua volontà e le Sue intenzioni, ma l'umanità non li comprese nel loro senso perfettamente chiaro, e perciò continuò a fare secondo l'incitamento delle sue voglie mondane, lasciando che Dio e i Suoi sublimi profeti se la sbrigassero per conto loro.
22. Posta su questa via, l'umanità si avviò verso il più confuso paganesimo e con questo verso la superstizione tenebrosissima nelle sue varietà in numero inimmaginabile, ma l'aratro, invece, restò aratro, la sega rimase sega e l'ascia rimase l'ascia, ed anche ora il pagano, come l'ebreo ortodosso, continua a servirsi di tali utili invenzioni!
23. Ed è infine pure molto discutibile quale specie di veri profeti abbia per l'umanità un significato ed una utilità generali!
24. Gli uomini pensano sì molto e comprendono anche più di una cosa, ma in quanto a penetrare interamente il significato di un Daniele, di un Isaia, di un Geremia o addirittura del Cantico dei Cantici di Salomone, non c'è speculazione della mente umana che possa giovare; è tutto perfettamente inutile. Queste cose non le può comprendere che Dio o un qualche spirito angelico, oppure un profeta appositamente preposto a questo scopo. Soltanto per queste tre specie di spiriti ci può essere la possibilità di comprendere questo, ma per qualsiasi altro spirito è per lo più assolutamente impossibile. Ma adesso ci si domanda a che cosa può giovare un'alta sapienza, quando essa è incomprensibile a qualunque mortale!»
Della debolezza umana.
1. Dico Io: «O amico, guarda lassù le stelle sul firmamento, tu le conosci e sai quale scopo hanno? Dovrebbero esse forse non esistere perché finora nessuno tra gli uomini ha potuto comprendere che cosa sono? Comprendi tu forse cos'è il Sole e cosa la Luna? Dovrebbero anche questi astri non esistere, perché tu non li comprendi?
2. Sai tu che cos'è il vento, il lampo, il tuono, la pioggia, la rugiada, la neve e il ghiaccio? Dovrebbe tutto ciò svanire per la ragione che tu e tutti gli altri uomini ignorate che cosa siano?
3. Puoi tu farti un'idea esatta delle migliaia di specie di animali, della loro forma e delle loro particolari qualità? Comprendi tu il mondo delle piante e le loro forme, e sai tu che cosa sono la luce e il calore?
4. Allora, sarebbe forse meglio che tali cose non esistessero per la sola ragione che tu e gli altri uomini non potete comprenderle?
5. Comprendi forse la tua vita e il come tu puoi vedere, udire, sentire, gustare e fiutare? Deve dunque l'uomo rinunciare a tutti questi sensi, perché tutto ciò per lui è incomprensibile?
6. Ma poiché già in questo mondo della materia ci sono tante cose che l'umanità non può mai comprendere nella loro totalità, ebbene, pensaci su un po', e poi dimMi qual è la tua opinione in proposito!»
7. Dice Schabbi: «O Signore e Maestro colmo di potenza divina! Non occorre che io perda molto tempo a pensarci su, perché io so tutto quello che adesso hai voluto dirmi. E precisamente Tu hai voluto mostrarmi e condurmi fino al punto da dover constatare che le condizioni nelle quali si svolge l'indagine sono identiche: sia che si tratti di ricerche nella sfera della superiore sapienza, sia di quelle nella sfera della creazione materiale, noi uomini non ne comprendiamo affatto nulla all'infuori della figura esteriorissima e di ciò che percepiamo per mezzo dei nostri sensi rozzi alquanto materiali; vale a dire, quanto noi riusciamo a differenziare tra le cose create sulla base della forma, del colore, dell'odore e del sapore o quanto poco e veramente affatto nulla comprende e sa l'uomo, ebbene, nonostante ciò egli presume di essere grande in sapienza e va fiero delle sue meschine cognizioni! Ed anche quel poco che sa, che cos'è? Un nulla, un assoluto nulla!
8. Oh, come è cieca e stolta l'umanità intera! Essa non arriva nemmeno al punto di vedere quello che non è, né sa nulla di quello che è. L'erba cresce e l'uomo che vede e che sente se ne rallegra, ma poi chi dei mortali può comprendere quello che ci vuole per creare l'erba, per farla crescere e mantenerla sempre in quella sua particolare specie?
9. Adamo, Enoc, Noè, Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè ed Elia furono sicuramente i maggiori sapienti che la Terra abbia mai avuto ed in loro la Luce di Dio era molto grande; ma come l'erba spunti, cresca, produca semi e come tutto nei semi sia disposto in modo che fuori da essi possano sorgere una molteplicità innumerevole e in eterno della stessa specie d'erba, di tutto ciò, tutti i grandi patriarchi che ho nominato, nonostante la loro sapienza, non hanno certo mai avuto la benché minima idea nemmeno in sogno.
10. Ma se noi non conosciamo neppure come cresce e si propaga la più misera pianticella di muschio, né come si torce il minimo verme nella polvere, perché vorremmo noi ragionare degli elementi o delle lontane stelle? E come noi uomini non sappiamo niente in questo campo, tanto meno ancora sappiamo e comprendiamo che cosa siano le stelle, come siano fatte e a che cosa servano.
11. Ed ecco, o grande e nobile Maestro, Tu, accennando alla mia assoluta ignoranza, hai voluto appunto ammonirmi e dirmi: "Dio, l'Onnisciente, pone molte cose dinanzi agli occhi dell'uomo e a tutti gli altri suoi sensi esteriori, e con ciò pure contemporaneamente dinanzi ai sensi dell'anima, per costringere l'uomo a pensare". Però l'uomo la spiegazione deve cercarsela da solo; perché se Dio gli desse anche questa in aggiunta, egli si farebbe quanto prima pigro e finirebbe col marcire nell'inoperosità e nell'ozio di fronte a qualsiasi cosa.
12. Poiché di ciò di cui l'uomo è giunto in perfetto possesso con la sua intelligenza, la sua pigra natura non vuole affatto saperne di più, e questo è anche fin troppo confermato e dimostrato da una generale esperienza e perciò non ha bisogno di venire comprovato ulteriormente; e lo stesso contegno terrebbe evidentemente l'uomo rispetto alla sfera spirituale pura, qualora egli comprendesse minuziosamente e con assoluta chiarezza tutto quello che i grandi profeti di Dio hanno ricordato nei libri della sapienza. Egli ben presto si metterebbe a dormire e finirebbe con il non avere più pensieri su nulla; ed infatti a quale cosa ancora l'uomo dovrebbe rivolgere un suo qualche pensiero, se egli comunque comprendesse già tutto?
13. Dunque, Dio sa molto bene come Egli deve condurre e tenere gli uomini affinché pensino, vogliano e debbano infine esplicare una grande attività in un campo come in un altro, evitando l'ozio ad ogni costo!
14. Ora, anch'io devo convenire che la storia o la questione del Messia non avrebbe di gran lunga fatto su di me l'impressione che veramente ha fatto, se io avessi compreso fino al più piccolo dettaglio tutti i testi di Isaia che a Lui si riferiscono. I tre re delle stelle io li avrei tutt'al più accolti a risate, se fossero venuti da me per snocciolarmi la loro mistica sapienza, e qualsiasi altro che mi avesse avvicinato con le identiche intenzioni non avrebbe potuto attendersi sorte migliore!
15. Ma essendo rimasto invece in me fino ad oggi tutto questo in uno stato di semioscurità non disgiunta da fede, avviene che ora sento una felicità tanto maggiore, perché quello che mi appariva tanto difficile ed oscuro da credere, si è rivelato dinanzi ai miei occhi con tanta chiarezza, ed ora io scorgo dinanzi a me Colui che tutta Israele, me compreso, ha aspettato con così ardente brama! O Signore e Maestro, Ti ho compreso io sì o no?».
Schabbi riconosce il Signore.
1. Sì, certo, risposi allora Io, e gli posi poi la seguente ulteriore questione: «Ebbene, o amico Mio caro, considerato che dinanzi agli occhi e alle orecchie degli uomini tu appari essere, sotto ogni aspetto, un cervello molto intelligente e giudichi di varie cose con molto acume, dimMi adesso, secondo la tua migliore convinzione, cos'è che ti raffiguri con la parola Messia, che dovrei essere poi Io stesso, e quale scopo dovrebbe veramente avere l'attuale comparsa del Messia?»
2. Risponde Schabbi: «Eh, mio nobilissimo Amico! Questa è una domanda del tutto particolarmente capziosa, bene inteso non secondo la mia opinione di prima, perfettamente erronea e dettata dalla prudenza di fronte alla pericolosa eventualità che Tu volessi strapparmi per mezzo di incomprensibili azioni miracolose e di astutissime domande qualche dichiarazione che tradisce l'inimicizia verso i romani, sebbene unicamente rispetto alla mistica personalità del Messia stesso, riguardo al Quale, appunto, Isaia dice delle cose quanto mai strane e leggendo le quali non c'è uomo che possa raccapezzarsi; perché ora il Messia è un figlio di re, ora un possente ed invincibile eroe, poi viene chiamato un Figlio di Dio e poi ancora figlio di una vergine! Ad un certo punto Isaia dice: (Capitolo 25, 6-9)
3. "Il Signore degli eserciti, su questo monte farà a tutti i popoli un convitto di vivande grasse piene di midolla, di ottimi e finissimi vini senza feccia. E dissiperà in questo monte il di sopra della coperta che è posta sopra tutti i popoli, e il velame che è stato steso sopra tutte le nazioni. Egli abisserà la morte in eterno; e il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni faccia e toglierà via l'onta del Suo popolo su tutta la Terra; perché il Signore così si è espresso. E in quel giorno si dirà: ‘Ecco, questo è il nostro Dio; noi l'abbiamo aspettato, Egli ci salverà; questo è il Signore che noi abbiamo atteso; noi trionferemo e ci rallegreremo nella Sua salute!’."
4. Vedi, o nobilissimo Signore e Maestro, queste sono le parole molto significative del profeta; ma come veramente si devono intendere? Che cos'è e dov'è il monte sul quale il Signore appresterà per noi un convitto del tutto speciale di vivande grasse, ripiene di midolla e di ottimi vini, e di nuovo di vini purissimi? Colui al quale questo cibo piacerà, dovrà avere uno stomaco davvero molto sano!
5. Questo convitto non è possibile che abbia un senso naturale, ma solamente un senso spirituale. Che cos'è il monte e che cosa il particolare convitto grasso? A me sembra che ciò voglia dire ‘prendere in giro l'umanità’. Sullo stesso monte il Signore, vale a dire il Messia, secondo il mio intendimento toglierà la coperta che avvolge tutti i popoli e rimuoverà il velo dalla faccia dei pagani. Questo sarebbe ancora comprensibile, ma il monte, questo benedetto monte, dov'è mai e che cos'è?
6. Che Egli potrà inabissare e che anche inabisserà la morte, e che toglierà via l'onta del Suo popolo in ogni paese, dunque anche dalla nostra Persia, questo almeno adesso mi è chiaro, poiché ho visto come Tu hai richiamato in vita i morti.
7. Ma subito dopo, Isaia mette in bocca al popolo beato sul monte le parole: "Ecco, questo è il nostro Dio, questo è il Signore nostro!". Ora, è Questi il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe? Ma se è così, allora, Tu sei Quello stesso che diede la legge a Mosè sul monte Sinai e che tuonò le parole: "Io solo sono il tuo Dio e Signore; non crederai e non ti atterrai a nessun altro Dio all’infuori di Me!»
8. Dunque, se Isaia non fu in disaccordo con la legge di Mosè, è impossibile che abbia voluto far sorgere nel Messia ancora un Dio, ma, poiché Isaia lo fa sorgere del tutto inequivocabilmente come un Dio, è evidente che Tu devi essere quello stesso Dio il Quale ha già parlato sul Sinai a Mosè!
9. Che cosa potresti dirmi allora, se sulla base delle enunciazioni del profeta io adesso mi prostrassi ai Tuoi piedi e ad alta voce Ti adorassi come il Dio di Abramo, d'Isacco e di Giacobbe?».
Sulla vera adorazione di Dio.
1. Dico Io: «Se tu credessi in maniera assoluta e vivente in quanto dici e ne fossi intimamente convinto, Io non avrei nulla da obiettarti, né a voi tutti qualora incominciaste ad adorarMi in giusta maniera come vostro Dio! Considerato però che in voi, in generale e men che meno poi nelle anime vostre, non c'è riguardo a questo alcuna convinzione spirituale, allora voi fareste verso di Me un vero atto di idolatria, come se voleste tributare onoranze divine ad un altro uomo o ad una qualche immagine scolpita.
2. Chi veramente ed efficacemente vuole adorare Dio, quegli deve innanzitutto riconoscere nel modo più vivente Dio nel suo cuore e deve avere prima Dio, nello spirito e in ogni verità, nella conoscenza e nell’amore, e soltanto allora egli può renderGli il dovuto onore e può effettivamente adorarLo; ma, al di fuori di questo sentire interiore, l'uomo pratica un atto orribile di idolatria anche di fronte al vero Dio.
3. Ma come può qualcuno adorare l'unico vero Dio in maniera degna ed efficace, se egli non Lo ha ancora mai riconosciuto se non per averne udito parlare e in forma idolatra? Che divario ci sarà, in questo caso, fra l'adorazione dell'unico vero Dio e quella di un idolo?
4. Però, l’autentica adorazione dell'unico vero Dio sta nell'amore per Lui e nell'amore per il prossimo. Ora, come può egli amare Dio se non Lo ha ancora mai riconosciuto?
5. Oppure, può un giovane ardere d'amore per una vergine che egli non ha mai visto, né conosciuto? E se anche egli si immagina che essa esista in qualche luogo e si dà ad amare di possente amore colei che veramente non esiste in nessun luogo, allora egli è semplicemente un pazzo, e in tal modo pratica al massimo grado l'amore di se stesso, ciò che è un abominio al cospetto di Dio.
6. Ogni adorazione di idoli è perciò la massima sciocchezza che l'uomo possa commettere e testimonia la sua orrenda cecità, perché i tenaci adoratori degli idoli finiscono con lo stimare se stessi delle divinità, e allora fanno ardere incensi per gli idoli, mentre essi stessi si fanno adorare come dèi; ora questo è un vero trionfo di Satana nel cuore dell'uomo. Guai però a questi tali che nel loro grande accecamento si credono essi stessi delle divinità; la loro sorte sarà un giorno supremamente triste, perché un simile orgoglio è un verme che non muore mai ed un fuoco che mai si estingue!
7. Io ti dico che il diletto di Satana consiste veramente nel far deviare il più possibile le cieche creature umane dall'Ordine di Dio mediante l'orgoglio che instilla in loro, ma quando un giorno arriveranno nell'aldilà quali discepoli della sua scuola, egli allora le ripudierà e affiderà a loro le più basse e ignominiose mansioni dalle quali, secondo la sua perfidissima volontà, non potranno più in eterno liberarsi!
8. Satana, quale principe delle tenebre, fa in modo che qui l'uomo s'innalzi a un dio, per poi un giorno abbassarlo e umiliarlo fino al livello della più bassa mostruosità.
9. Dio, invece, chiede qui un cuore saggio e colmo di umiltà, per poter un giorno elevare l'uomo tanto maggiormente e renderlo tanto più beato.
10. Un simile potere verrà così tolto a Satana, e gli uomini potranno muoversi e operare indipendenti e del tutto liberi secondo il loro sentimento; perciò i buoni splenderanno tanto più, mentre i malvagi di loro propria volontà tanto più profondamente ed atrocemente apparterranno all'Inferno, poiché la loro perfidia allora non verrà posta in carico a Satana, ma verrà invece iscritta sul loro libro assolutamente proprio, e un giorno Satana e i suoi servitori riserveranno a loro un trattamento tanto peggiore.
11. Di conseguenza, il primo dovere di ciascun uomo è di ricercare in spirito e verità Dio nell'umiltà del proprio cuore, e quando Lo ha trovato adori allora anche Dio in spirito e verità!
12. La preghiera principale, però, consiste in ciò che un cuore umile rimanga tale, che ami con le opere il prossimo come se stesso e che ami Dio sopra ogni cosa, quale l'unico vero Padre di tutti gli uomini e di tutti gli angeli.
13. Ora, nessuno può amare Dio nella sua carne tenebrosa se odia il proprio fratello! Perché come potrebbe qualcuno amare Dio che egli non vede, se non ama il proprio fratello che gli sta dinanzi in carne ed ossa?
14. E poi non è di gran lunga sufficiente dire: "Io amo il mio prossimo e gli sono assolutamente amico!". L'amore vero e valido presso Dio deve consistere nelle opere quando il prossimo ne ha bisogno, sia spiritualmente che materialmente! Questo amore è la chiave meravigliosa che dischiude le porte della Luce da Dio nel proprio cuore.
15. Io dico a te e ai tuoi compagni, che se voi non aveste trovata questa aurea chiave e non l'aveste accolta nei vostri cuori, mai più avreste trovato la via che vi ha condotto qui! Quello però che vuole significare il fatto che tu ed i tuoi compagni siete potuti arrivare fin qui in sicurezza, sia pure attraverso una tempesta tremenda della vita esteriore, questo voi già incominciate a presentirlo, ma il tempo che tra breve seguirà vi condurrà sui veri campi della luce! E quando Mi avrai interamente riconosciuto, allora potrai giudicare se Io sono o non sono degno di adorazione!»
Il timore reverenziale dei persiani di fronte alla santità del Signore.
1. A queste Mie parole i persiani si fanno molto meditabondi, e mentre Io mi recavo dai tre resuscitati allo scopo che venisse prodigata a loro qualche cura anche materialmente, Giura, rivolto ai suoi compagni, così si espresse: «Amici miei! Costui ha un linguaggio che appare ancora più meraviglioso delle Sue opere, nonostante queste siano tali e quali noi non ne abbiamo mai viste di simili. Ma un prodigio somiglia sempre all'altro, e l'uomo inesperto di queste cose è cieco e non vede proprio in quel punto dove meglio e più chiaramente che non in altri potrebbe guardare e dovrebbe vedere! La guarigione del nostro gioielliere è certo quanto mai sorprendente, anche se, forse, non impossibile da ottenere con mezzi naturali. Noi senza dubbio non sappiamo come si possa giungere ad un simile risultato, tuttavia sappiamo per esperienza come gli indiani curino il morso dei serpenti velenosi senza l'aiuto di erbe, succhi od oli. Costui ha pure guarito i due senza erbe né oli, ma come? Ecco, questo non lo sappiamo né possiamo saperlo!
2. I tre annegati sono stati veramente richiamati in vita, però resta ancora da dimostrare se erano davvero proprio completamente morti, oppure se si è trattato di una probabile simulazione. A dirla brevemente, i fatti non provano di gran lunga ancora tutto, ma la Sua potente Parola, secondo me, ha maggiore forza di prova dei due prodigi; infatti, dalla bocca di un mortale non può uscire un linguaggio simile ispirato a tanta infinita sapienza e ad eterna verità! Pensa, o Schabbi, solamente alla spiegazione che ci fu data riguardo all'unica vera adorazione di Dio e non ti potrà sfuggire quale immensa e penetrante sapienza sia in essa contenuta; questo fornisce a me la prova di qualcosa di portentoso, anzi di qualcosa che io non mi azzardo di esprimere!»
3. Chiede Schabbi stupito: «Ebbene, che cosa è che non ti fidi di esprimere?»
4. Risponde Giura: «Pensaci un po' bene, e non voglio più chiamarmi Giura se non arrivi anche tu alla mia stessa conclusione!». Schabbi allora incomincia a riflettere, ma tuttavia non riesce a comprendere bene come avrebbe dovuto interpretare la domanda di Giura!
5. Soltanto dopo qualche tempo Schabbi si decide, e dice così a Giura: «Io vorrei bensì dirti qualcosa, e sono del parere che ne salterebbe fuori qualcosa di assolutamente strano; ma appunto questa particolare stranezza è e resta quello che ci sarebbe di più azzardato! Basta che ci pensi un po'! Se ora, come quasi non c'è più dubbio, costui è il Messia, Egli, secondo Isaia, non è soltanto un semplice uomo che ha parlato qui con noi, ma, nota bene, anche nell’Anima Sua, Dio, l'unico e vero dall'eternità! Ma, se così fosse, cosa sarà di noi? Come faremo noi deboli uomini a reggere al Suo cospetto, quale l'Altissimo? Come ci comporteremo e dove volgeremo i nostri passi?»
6. Dice Giura: «Sì, ora questa è la mia più grave preoccupazione e il mio più grande affanno! Io ho il presentimento che noi qui ci troviamo di fronte ad una sublime e raggiante verità di tale genere; solamente non riesco a comprendere quegli altolocati pagani! Perché essi sembrano attaccati a Lui come alla loro stessa vita!»
7. Dice Schabbi: «Non ti ricordi che in Isaia sta scritto: "Ed Egli toglierà via il velo che ricopre i pagani"! Ora questo significa che Egli Si è già rivelato a questi primi fra i pagani! Essi già sanno Chi hanno dinanzi a loro, e perciò Gli sono affezionati con tanta riverenza. Essi avranno già la convinzione assoluta che Egli, l'Onnipotente dall'eternità, li può disperdere con un soffio per l'eternità come la pula del grano, ed hanno quindi dinanzi a Lui uno sconfinato rispetto; anzi, a quanto mi sembra sono già dei vinti in mano Sua, e gli israeliti buoni sono liberi! Questa è pressappoco la mia opinione.
8. E poi va notato che nel profeta si legge anche: "E il Signore tergerà le lacrime da tutte le facce, e leverà via l'onta del Suo popolo in ogni paese!". Questo vale certo anche per noi che viviamo in Persia, soltanto che, evidentemente, noi non saremo i primi che vedranno per sé adempiuta la profezia; ad ogni modo, però, è venuto il nostro turno, e questo sembra essere appunto il momento in cui Egli si è ricordato degli israeliti negli altri paesi. Da noi Egli ha cominciato ad asciugare le nostre lacrime e a cancellare la nostra onta! Noi eccezionalmente ci troviamo, parlando in senso terreno, così bene provveduti che pure in un paese straniero non abbiamo motivo di piangere per miseria né ci opprime il sentimento di alcuna offesa arrecataci. Ma laggiù dimorano ancora migliaia di nostri fratelli e sorelle, e questi sì che soffrono grande miseria e sono spesso esposti agli scherni ed al disprezzo dei pagani; ma noi siamo benissimo in grado di venire in aiuto a tutti e di tergere nel Suo nome le lacrime dalle loro facce e di cancellare l'onta che da molti anni grava su di loro! E pare che il Signore, il Quale evidentemente ora si trova qui, ci abbia salvati e fatti venire su questa modesta montagna per eleggerci a Suoi strumenti presso coloro che dimorano in paesi stranieri. Questa è grosso modo la mia opinione riguardo tutti gli avvenimenti che si sono svolti qui. Ed ora parla tu, o amico mio!»
9. Dice Giura: «Sì, a mio avviso tu hai colpito perfettamente nel segno! Le cose staranno proprio tutte in questi termini! Ma poiché tutto dovrebbe essere così con assoluta certezza, si affaccia di nuovo la grande e significatissima domanda: "Come faremo noi che sicuramente siamo fin sopra i capelli immersi in ogni tipo di peccati, ad avvicinarci a Lui?". Eppure sta scritto: "Nessuno che non sia puro da colpa deve e può avvicinarsi a Dio!". Ora noi dovremmo essere, sotto molti aspetti, tutt'altro che puri! Come mai potremo purificarci? Chi sarà disposto ad accogliere una nostra valida offerta e atta a purificarci dai nostri peccati al cospetto di Dio?».
Della preghiera.
1. Allora Io ritorno vicino a loro e dico: «Io stesso, come ho potuto dire prima ai morti: "Destatevi e vivete!", ora con altrettanta efficacia e validità posso dire a voi: "Siate purificati e ogni peccato vi sia perdonato!". E voi vi trovate puri e senza peccato dinanzi a Me! Credete voi a ciò?»
2. Rispondono Giura e Schabbi: «O Signore, noi lo crediamo! Dato che ormai, secondo i Tuoi decreti santissimi in eterno, le cose stanno così per la salute di tutta Israele e dei pagani, dona grazia a noi miseri peccatori al Tuo cospetto e sia con noi la Tua dolcezza e la Tua misericordia! O Signore! Sii con noi e in ogni avvenire con lo spirito di coloro che per mezzo Tuo vengono ridestati a vita eterna, ora come in tutte le eternità delle eternità! Ma adesso, o Signore, che Ti abbiamo riconosciuto, e che anche i nostri cuori si sono infiammati d'amore per Te, concedi a noi di dare sfogo ai nostri cuori e di adorarTi con tutto il fervore e la compunzione del nostro animo!»
3. Ed Io dico: «O cari amici e fratelli Miei, in questo modo non ne faremo nulla! Voi certo avrete letto quello che il Mio Spirito disse un giorno per bocca di un profeta, quando questi così parlò: "Questo popolo Mi onora con le labbra, ma il suo cuore è ben lontano da Me!". Ed Io stesso ora vi ripeto ancora: "Qualsiasi specie di preghiera fatta con le labbra è un abominio al Mio cospetto!”
4. Siate veramente ragionevoli e abbiate un cuore che comprende, fate del bene a chiunque ha bisogno del vostro aiuto! Anzi, fate del bene perfino ai vostri nemici e benedite coloro che vi maledicono! Così diverrete simili a Me. Perché Io faccio splendere il Mio Sole sui buoni e sui cattivi, e i Miei peggiori nemici vengono giornalmente riempiti di benefici per opera onnipotente della Mia mano. Soltanto contro i malvagi troppo perversi e induriti Io impugno la Mia sferza!». Sì, Io vi dico: "Voi tutti siete figli del Mio cuore e fratelli della Mia Anima; perciò, anche quando pregate non lo fate soltanto con le labbra, alla maniera dei pagani e dei farisei, cioè con le parole formate dalla lingua di carne, ma pregate come già vi ho detto, in spirito dunque e in verità, mediante le opere viventi dell'amore a vantaggio del vostro prossimo. Allora ciascuna parola nel Mio Nome sarà veramente una preghiera che Io esaudirò sempre ed immancabilmente, mentre le parole e i sospiri delle labbra Io non li esaudisco mai! Comprendete bene quanto ora vi ho detto?»
5. Risponde Schabbi: «O Signore! Come sei del tutto differente da quello cheTi abbiamo sempre immaginato! Ma come non deve poterTi amare sopra ogni cosa chiunque Ti abbia una volta riconosciuto! Tu sei l'Amore e la perfetta Mansuetudine Stessi, e quanto infinitamente lontana da ogni notte e da ogni tenebra è la Tua santissima Dottrina e com'è facile a comprendere ciascuna parola dalla Tua bocca! Sì, soltanto ora noi crediamo pienamente che Tu sia l'atteso Messia e che all'infuori di Te altri non ce ne possano essere!»
6. Dico Io: «Sta bene così, o Miei cari amici. Io ben vi conoscevo e vi condussi a Me per una via, quale è stata indicata al profeta Elia. Nell'impetuosa tempesta c'era la Mia Volontà; nel fuoco la Mia Potenza; ma nel dolce alitare del vento ci sono Io stesso; e così voi pure doveste passare attraverso una tremenda procella, all'acqua ed al fuoco per venire fino a Me. Ormai però voi siete presso di Me e avete trovato Me che lungamente avete cercato; ma come per qualcuno Io sono difficile da trovare, una volta che sono stato trovato è molto più difficile perderMi! Chi nel suo cuore Mi tiene stretto a sé, a lui Mi tengo stretto Io pure; chi però si stringe a Me, può sì allentare la stretta, ma Io la Mia stretta non la allento mai! Perché il Mio Amore non dura soltanto per qualche tempo, ma dura in eterno, e una volta che qualcuno abbia accolto il Mio Amore nel proprio cuore non può mai più in eterno liberarsi di Me! Perché il Mio Amore lo tiene saldamente per l'eternità, affinché mai in eterno possa smarrirsi e allontanarsi completamente da Me. E così accadrà anche a voi; voi verrete certo a trovarvi nel mondo in circostanze e condizioni tali che vi sarà un po' difficile confessare il Mio Nome come pure restare fermi nella fede. Poiché tra breve accadranno cose, come devono anche accadere, che sminuiranno la vostra fede in Me, ma Io al tempo opportuno vi rafforzerò nuovamente e illuminerò completamente la stanzuccia del vostro cuore. Poi non verrete più indotti in alcuna tentazione a causa del Mio Nome, ma rimarrete invece, d'allora in poi, nel Mio Amore e nella Mia Potenza.
7. Ed ora parliamo di qualcos'altro! Voi farete di nuovo ritorno in Persia; quando fra poco vi ritroverete nel vostro paese, annunciate fedelmente e senza alcuna aggiunta quello che avete visto ed udito qui, e tutto ciò che è accaduto a voi per la salute di tutta l'umanità su questa Terra. In tal modo diverrete anche voi dei lavoratori nella Mia vigna. Annunciate queste cose anche al vostro re, affinché sappia quello che deve fare! Egli deve rinunciare al paganesimo tenebroso e non deve mai dare ascolto alle parole menzognere dei maghi che si fanno chiamare sacerdoti di Dio, mentre veramente non sono altro che degli accogliti e dei servitori dell'Inferno. Così pure è suo dovere cacciare dal suo paese i maligni apostoli da Gerusalemme, che attraversano terre e mari per convertire i pagani al Giudaismo, e quando essi talvolta riescono nel loro intento, il convertito diventa poi ancora più marcatamente servitore dell'Inferno di quanto lo sia stato prima come pagano. Però, oltre che all'opera di conversione, quei perfidi apostoli di Gerusalemme spargono anche voci maligne sul conto di altri paesi e di altre genti, una delle quali appunto voi avete riferito apertamente a noi, cioè quella concernente le crudeltà dei romani, ed è per ciò che anche voi, per timore dei romani, avete tenuto di fronte a Me un contegno tanto terribilmente sospettoso e prudente!
8. Allo scopo dunque di combattere tutta questa malizia, Io ho eletto voi, frale molte migliaia di migliaia nel vostro paese, per porre sulle vostre spalle questo lieve carico, per portare il quale voi possedete in sovrabbondanza tanto le forze quanto i mezzi! E il vostro premio, nel Mio Regno eterno, un giorno non sarà certo piccolo!
9. Voi ora sapete quello che dovete fare nel Mio Nome e così pure nel nome dei romani, i quali nel vostro paese sono stati ignominiosamente calunniati; non venga mai meno in voi il buon volere, la diligenza e l'attività, e allora anche il Mio aiuto a voi non verrà mai meno!
10. Ma ecco che ora vedo Marco uscire di casa; egli ci inviterà ad andare a cena che oggi certo si è potuta allestire un paio d'ore più tardi del solito; ma di ciò ha colpa la tempesta che ha infuriato oggi; la grandine ha danneggiato alquanto molte fra le panche disponibili che dovettero perciò venire riparate. Ormai però tutto è di nuovo nel massimo ordine e la cena è preparata molto bene e abbondantemente, in modo che dopo lo strenuo lavoro compiuto ci disporremo ancora una volta a prendere ristoro in tutta pace!»
Il futuro di Giara.
1. Infatti, il nostro vecchio albergatore Marco si diresse verso di Me e Mi disse: «O Signore e Maestro, la cena è pronta; se Ti è gradito farò immediatamente servire le vivande che la mia cucina ha allestito!»
2. Ed Io gli rispondo: «Anzi, fa' così senza indugio, perché oggi perfino Io sento già una fame più che discreta, e Mi rallegro già al pensiero di un buon pesce, di un bel pezzo di pane e di un bicchiere di ottimo e puro vino.
3. Però bisognerà che i tuoi due figli vadano ancora una volta alla riva e diano un'occhiata al mare; lungo le rive galleggiano ancora dei cadaveri di poveri ebrei, con le loro mogli e figli. Ora Io non voglio che durante la Mia dimora qui né quelli né nessun altro trovi la morte! Il mare è tranquillo e liscio come uno specchio, e le stelle hanno oggi uno scintillio particolarmente forte; essi dunque saranno in grado di sbrigare con facilità una simile incombenza, e ciò tanto più in quanto potranno venire aiutati benissimo dai marinai qui presenti di Kisjonah, di Ebal da Genezaret e dai marinai di Cornelio. Circa nove corpi galleggiano dispersi qua e là lungo la riva a una distanza massima di un'ora e mezza di cammino; bisogna che essi trasportino questi a terra, e quando saranno deposti sulla riva sarà necessario collocarli con la faccia all'ingiù, distesi su un terreno un po' inclinato e lasciarli là a giacere fino al mattino; solo domani Io li ridesterò»
4. Marco allora chiede: «O Signore, perché soltanto domani e non oggi?»
5. Ed Io gli rispondo: «O Marco, amico Mio, non affannarti per questo! Io so perché l'erba, che soltanto il prossimo anno stenderà il suo verde tappeto sui prati, non è già cresciuta quest'anno. Dunque, questa cosa non ti sia causa di inutili preoccupazioni, perché dell'Ordine Io Me ne intendo molto meglio di te, o Mio carissimo Marco! Ma ora va' e disponi perché venga eseguito a regola quanto c'è da fare»
6. Allora Marco se ne va prontamente e ordina che le vivande vengano servite sulle mense; poi dice ai suoi figli quale servizio devono fare, ed essi attrezzano subito una grossa imbarcazione, dopo aver chiesto anche ai marinai, di cui abbiamo parlato prima, di voler dare loro una mano nell'opera di recupero dei cadaveri.
7. Noi frattanto abbandoniamo il nostro posto e ci dirigiamo verso le mense che vengono occupate nell'ordine già noto; i tre richiamati in vita però, assieme alla donna, vengono fatti entrare in casa di Marco, dove viene loro offerto cibo e bevanda, nonché poi un buon giaciglio per la notte e tutto ciò secondo la Mia Volontà per fortificarli per la mattina seguente.
8. E mentre noi ci accostiamo alle mense, soltanto allora i rifugiati nelle tende di Ouran incominciano a comparire all'aperto, in cerca delle mense preparate per loro.
9. E Giara, accortasi di ciò, tirandoMi per la veste Mi dice: «O Signore, o mio Amore sempre più crescente, guarda un po' là come quei valorosi combattenti per il Tuo Regno soltanto adesso incominciano a sbucare fuori dai loro nascondigli, stimolati come sono dalla fame. In verità, ad eccezione di Mataele, pare che tra di loro ci siano solo in numero estremamente piccolo gli spiriti decisamente grandi. Ah, prima che scoppiasse il vero uragano, era proprio comico vedere con che fretta i cinquanta farisei si ritirarono al riparo sotto la grande tenda dopo la comparsa dei primi chicchi di grandine, i quali, bisogna però convenirne, pesavano qualche libbra ciascuno!
10. Essi sapevano altrettanto bene quanto me che Tu sei la più sicura protezione contro qualsiasi genere di pericolo, e tuttavia smarrirono la fede, si fecero quanto mai timorosi e andarono in cerca di una protezione materiale. Adesso si vergognano in maniera evidente di essersi comportati così, e da quanto mi sembra non si azzardano a venire apertamente davanti ai Tuoi occhi! In quanto a Mataele, egli certo sarebbe rimasto assieme ai suoi compagni, ma naturalmente ha dovuto tenere compagnia alla sua giovane e bellissima consorte reale. Dunque, a mio giudizio, egli può essere scusato, ma negli altri hanno agito solamente la loro scarsa fiducia e la mancanza di fede, e per questa ragione non posso averli granché in stima»
11. Dico Io: «Certo, hai ragione o figlioletta Mia; ma lasciamoli stare per ora, in quanto sono ancora deboli in una o nell'altra cosa; però il tempo e le molteplici esperienze li renderanno ben più vigorosi in ogni campo. Pensa alle molte cose che tu hai già sperimentato al Mio fianco, ed è perciò ben spiegabile il perché tu abbia più coraggio; questi, invece, non hanno finora che poca esperienza, e di conseguenza il loro timore ha avuto con più facilità il sopravvento sulla loro fiducia. In seguito però acquisteranno anch'essi maggiore fiducia. Comprendi tu questo?»
12. Risponde Giara: «Sì, lo comprendo, però so anche che a Genezaret tutti hanno fatto come me le stesse esperienze, e tuttavia da principio nessuno, all'infuori di me, ebbe il coraggio di posare con Te i piedi sull'acqua, nemmeno i Tuoi discepoli; da dove viene dunque una tale minore fiducia?»
13. Dico Io: «La ragione di ciò va nuovamente ricercata nelle tue maggiori esperienze; infatti tu fosti visibilmente portata dal Mio angelo, sulle sue mani che non sono state fatte da uomo, e oltre a ciò tu dimostrasti certo il massimo e più potente amore a Me, nel quale amore c'è sempre anche la maggiore fiducia.
14. Ciò non ti deve dunque tanto meravigliare, considerato che la tua fiducia in Me è più forte di quella degli altri; infatti, la tua fiducia è fondata sul tuo grande amore.
15. Ma anche su di te, come ho avuto già occasione di dirti a Genezaret, con il passare degli anni verrà più di una tentazione, contro le quali tu, nonostante la tua fiducia molto grande in Me, dovrai combattere. Ma per la potenza e la forza del Mio Nome tu sarai vincitrice di ogni tentazione, e soltanto dopo potrai liberamente camminare nella Mia Luce.
16. Poiché quello che una creatura umana vuole avere da Me liberamente per sé, è necessario che essa se lo conquisti con le proprie forze; tu, o Mia carissima figlioletta, non hai sostenuto nel vero senso della parola alcun combattimento, perché a tale scopo non era finora giunto il tuo tempo né si era presentata la giusta occasione. Però ciascuno andrà incontro a tutto ciò soltanto quando la Mia opera su questa Terra sarà compiuta.
17. Io ora non sono che un seminatore e vado deponendo il buon grano nei campi viventi dei vostri cuori; ma i semi dovranno prima germinare nei vostri cuori e poi crescerà il frutto colmo di benedizione fino alla formazione. Soltanto allora sarà vostro compito curare da voi stessi la maturazione e la conservazione del frutto sul vostro terreno della vita, sobbarcandovi più di una fatica e più di una rinuncia! Felice colui che nei granai del Mio Spirito, da Me edificati in lui, raccoglierà in purità e abbondanza i frutti dei semi che Io vado spargendo nel suo cuore! In verità, egli non soffrirà in eterno più né fame né sete!
18. Dunque, quello che tu, o dilettissima Mia Giara, ora possiedi, non è che il seme da Me sparso nel tuo cuore; entro alcuni anni questo seme sarà diventato un'ondeggiante campo di spighe e sarà esposto a tutte le tempeste; ma allora sarà anche giunto il momento di dedicarsi con tutta energia e con piena fiducia nel Mio Nome e confortati dal possente amore per Me, e in completa abnegazione, all'opera di preservazione dell'ondeggiante campo dalle procelle gravide di minaccia, affinché queste non abbiano rovinosamente a scoppiare e a distruggere il grano maestoso che Io stesso ho seminato e coltivato secondo ogni arte! Infatti, una volta scoppiato su un simile campo l'uragano devastatore, è quasi impossibile frenarlo.
19. Tu certo ti ricorderai come poche settimane fa Io abbia sistemato per te a Genezaret un piccolo giardino, arricchendolo di ogni tipo di utili piante; queste piante crescono molto belle e rigogliose, però il giardinetto e le piante devono venir curati, le zizzanie devono venir strappate se spuntano in qualche luogo e se il tempo si fa troppo torrido e asciutto non bisogna lasciare inoperoso l'innaffiatoio.
20. Dunque, Io ho sistemato un simile giardinetto nel tuo cuore e l'ho riccamente dotato di ogni specie di belle e utili piante, ma la sorveglianza e l'ulteriore cura di questa nobile piantagione è ormai compito esclusivamente tuo. Metti ogni tua attenzione e ogni diligenza nel custodire e nel curare questo giardinetto, e così a suo tempo potrai ritrarne un abbondante raccolto! Comprendi bene questa immagine?»
21. Risponde Giara: «Sì, o Signore, o mio unico amore, io comprendo benissimo; non posso però difendermi da un certo senso di tristezza al pensiero che mi occorrerà affrontare ancora più di una tempesta prima del tempo della raccolta! Ma io spero e credo che Tu non lascerai andare in perdizione la Tua povera serva, quando nel momento del bisogno essa invocherà aiuto da Te; perché Tu hai certo udito ed esaudito il mio supplicare quando ancora non Ti avevo visto e riconosciuto; come non potrei dunque contare sul Tuo appoggio?»
22. Dico Io: «Tutti coloro che Mi riconoscono e Mi invocano nel loro cuore e che confidano nella Potenza del Mio Nome non conosceranno mai in eterno né la vergogna né il danno, di questo puoi esserne più che sicura! Ma ora conviene prendere posto alle mense e rifocillarsi con quanto esse offrono».
Spiegazione del 4° Comandamento.
1. Poi prendiamo posto solleciti alle mense, e la cena viene in breve consumata. Questa volta durante il pasto non venne scambiata una parola, però dopo qualche bicchiere di buon vino la compagnia incominciò a farsi molto animata. Accanto al tavolo, dove ero seduto Io assieme a Cirenio, Cornelio, Fausto, nonché ai Miei discepoli, ad Ebal, Giara, Kisjonah, Filopoldo, Ouran, Elena, Mataele con i suoi compagni, all'angelo Raffaele e il ragazzo Giosoe, era stato disposto un nuovo tavolo per i nostri persiani; tutti gli altri ospiti già conosciuti sedevano invece alle mense appositamente preparate per loro, a seconda della compagnia cui appartenevano e separatamente gruppo per gruppo.
2. Tutti però si meravigliarono del piacevole tepore della serata dopo un simile furioso temporale, e manifestarono particolarmente il loro stupore constatando che il terreno era perfettamente asciutto, mentre non più di due ore prima l'acqua era alta due buoni piedi. Ouran, poi, Mi domandò come sarebbe andata la faccenda quando si fosse trattato di provvedere ad un giaciglio per tante persone; egli avrebbe volentieri accolto il più grande numero possibile di ospiti per quanto lo spazio disponibile nelle sue tende lo avesse concesso, ma siccome in quella occasione si trattava di provvedere a parecchie centinaia di persone, le sue tende sarebbero state di gran lunga inferiori al numero necessario!
3. Ma Io osservai: «O amico Mio! I successori di Adamo non avevano tende, né capanne, né meno ancora delle dimore sistemate con ogni comodità; il suolo della Terra ed un albero ombroso era tutto per loro, ed essi moltissime notti le passavano a cielo aperto ed erano sani e robusti. Essi non sapevano confezionarsi nemmeno qualcosa per coprire i loro corpi; una cintura di foglie di fico all'altezza dei lombi era tutto il loro vestito, e a quei tempi arrivavano all'età di parecchi secoli. Ora invece gli uomini hanno inventato ogni genere di comodità, e per un Paradiso terrestre perduto hanno saputo crearsene molte centinaia di migliaia! Vedi, ora cento anni di età sono reputati un prodigio!
4. Ebbene, la colpa di questo fenomeno va ascritta alla mollezza nella quale ha incominciato a cullarsi l'umanità, rendendosi in tal modo da se stessa estranea alla natura di questo corpo mondiale, il quale è sotto ogni aspetto destinato a portare l'uomo, a nutrirlo e a mantenerlo robusto e sano.
5. Perciò, o Ouran, amico Mio, non affannarti a causa del giaciglio per questa notte; il suolo sano e buono della Terra avrà benissimo posto per tutti. Chi veramente è colto dal sonno, riposa molto bene anche su un cuscino di pietra; se la pietra sotto il capo gli dà noia è segno che l'uomo non è proprio tanto stanco, né ha tanto bisogno di dormire, e allora può nuovamente alzarsi e riprendere il lavoro.
6. I letti soffici abituano l'uomo alla mollezza e sottraggono alle sue membra il vigore che a queste è invece necessario, e un sonno troppo prolungato indebolisce l'anima e i muscoli del corpo. La natura umana è simile ad un bimbo poppante che nulla nutre meglio del seno materno, e quei fanciulletti che a lungo traggono il loro alimento dal seno di una madre robusta, sempreché questa sia di natura sana e incorrotta, si fanno poi robusti come giganti e possono affrontare anche un leone senza paura di stancarsi.
7. Ma in pari misura anche la natura di questa Terra è un vero seno materno perle umane creature, se esse non si allontanano da lei mediante ogni tipo di inutili comodità e mollezze. Ma una volta che tali uomini si siano allontanati da questo grande seno materno e che si siano isolati dal suo influsso rinvigorente, allora è certo che se si presentasse il caso di dover venire in contatto con il turgido seno della Terra, essi proverebbero la medesima sensazione che proverebbe un adulto che dovesse nutrirsi del latte di donna. Egli cioè sarebbe colto da nausea e da vomito. Quello che da fanciullo lo aveva nutrito meglio di ogni altra cosa e che gli aveva conferito vigore, da adulto, e quindi da lungo tempo svezzato dal seno materno, lo renderà malaticcio e debole di stomaco.
8. Dunque, l'uomo sicuramente non può sempre attingere forza e vita naturale per i suoi muscoli dal seno materno, però egli non deve mai troppo allontanarsi dal seno della madre Terra se vuole mantenersi fisicamente sano e robusto, e se vuole raggiungere una tarda età.
9. Mosè disse così: "Onora il padre e la madre, affinché tu possa vivere a lungo e bene sopra la Terra". Con ciò Mosè non intese soltanto indicare i propri genitori, ma in misura adeguata anche la Terra e la sua forza che partorisce sempre nuova vita. Perciò, neanche a questa madre l'uomo deve voltare le spalle, ma deve effettivamente tenerla in alto onore, ed egli poi otterrà, nei confronti del corpo, quella benedizione che è stata promessa da Mosè. L'onorare il padre e la madre corporali è buono e necessario laddove le circostanze lo ammettono e dove le condizioni lo rendono possibile, ma se a questo riguardo quanto Mosè promise è Parola di Dio, allora tale promessa, come la luce del Sole, deve avere un effetto universale che niente può interrompere!
10. Perché, se la promessa di Mosè fosse semplicemente limitata a questo, quale benessere e vita lunga possono attendersi sopra la Terra coloro che onorano solamente i genitori del corpo? Allora la cosa evidentemente si mette male per coloro che non di rado li perdono già quando sono ancora nella culla, e che poi vengono allevati da gente straniera. Come possono questi onorare i loro genitori veri se non li hanno mai conosciuti?
11. Molti fanciulli vengono spesso trovati abbandonati per le strade da madri snaturate che li hanno concepiti nella loro lussuria, e che appena nati li hanno esposti da qualche parte. Simili trovatelli vengono raccolti e allevati da qualche persona misericordiosa e di cuore; ora a questi benefattori essi sono certo debitori di ogni amore e rispetto, ma Mosè non parla affatto di genitori adottivi di questa specie, ma soltanto dei veri e propri genitori!
12. Ora succede che il trovatello ben allevato non può in nessun modo onorare i suoi veri genitori; in primo luogo perché non li conosce e in secondo luogo, se anche li conoscesse, egli non avrebbe davvero né dinanzi a Dio né dinanzi a tutti gli uomini alcun dovere d'onore verso di loro, i quali, presi nel vortice di una passione peccaminosa, lo hanno generato e poi abbandonato, esponendolo sulla strada ad un pericolo mortale. Dato dunque che per un tale non c'è secondo Mosè la possibilità di amare e di onorare i suoi veri genitori, dovrebbe egli perciò perdere ogni diritto a quanto Mosè promise? Oh, questa non sarebbe davvero una cosa assai bella; e come parola sapientissima di Dio che bella figura farebbe!
13. Inoltre ci sono dei genitori che educano i loro figli a tutto ciò che si può dire cattivo; essi già nella culla istillano nel loro animo un orgoglio veramente satanico e insegnano a loro ad essere duri d'animo e spietati verso chiunque. Questi genitori, vere tigri, ammaestrano i figli piccini alla prepotenza, alla menzogna e all'inganno! Può dunque Mosè avere fatto le sue buone promesse anche a pro di simili figli, che onorano i loro genitori maligni con ogni perfidia e malizia, perché appunto i genitori così hanno voluto?
14. Di che cosa sono allora debitori i figli ladri, briganti ed assassini ai loro genitori? Essi, naturalmente, non possono onorarli altrimenti che con l'essere e il fare in grado eminente quello che sono e fanno sempre i loro genitori, e cioè con il furto, la rapina e l'assassinio perpetrati a danno dei viaggiatori stranieri! Dunque, com'è possibile che la promessa di Mosè venga efficacemente estesa anche a simili figli?
15. Già l'intelletto mondano, per poco sviluppato che sia, non può dirti altro che una promessa così intesa sarebbe, assieme al Comandamento di Mosè, una ingiuria senza pari fatta ad ogni sapienza di Dio! Come potrebbe Dio, la suprema Sapienza stessa, avere dato un comandamento secondo il quale anche uno spirito angelico incarnatosi dovrebbe dimostrare amore e venerazione a dei genitori che hanno assunto un corpo di carne proveniente dal più profondo Inferno?
16. Vedi dunque che il comandamento di Mosè, considerato da questo punto divista, sarebbe la più pazza e massima assurdità!
17. Perciò, da un lato, è chiaro ed è ormai più che dimostrato che tutto quello che Mosè ha detto e ordinato è una Parola purissima di Dio, e non può quindi in eterno contenere in sé qualcosa di assurdo; d'altro canto però, se si spiega e si osserva la legge di Mosè nella maniera stolta in cui è stata spiegata finora, la legge stessa deve apparire dinanzi al tribunale di ogni migliore ragione umana come la più evidente e grossolana assurdità!
18. Ma dove giace la causa per cui la legge di Mosè, come fu osservata finora, deve apparire un assurdo nonostante la sua origine puramente divina? Ecco, la causa va ricercata nella interpretazione errata di quello che Mosè ha voluto principalmente dire con questo comandamento; vale a dire la coppia universale di genitori della grande natura di Dio, o più precisamente la Terra, come padre nella sua qualità di corpo mondiale creato per il genere umano e come vera madre nella sua funzione di grembo, fuori dal quale vengono continuamente partoriti innumerevoli figli di ogni specie e qualità! L'uomo di carne, dunque, deve sempre stimare e onorare questa antichissima coppia di genitori, e non deve mai voltare a loro le spalle con l'abituarsi eccessivamente alla mollezza, e comportandosi così egli manterrà sano il proprio corpo e raggiungerà una tarda età, e non gli verrà a mancare un vero benessere.
19. Da questa antica coppia di genitori, un uomo animato da zelo può più che in qualsiasi altro modo apprendere ogni cosa buona, grande e vera e può anche in questo modo, come primo acquisto, edificarsi quella grande scala sulla quale il patriarca Giacobbe vedeva gli angeli del Cielo salire e scendere. Chi con grande serietà e diligenza esplora nella natura, egli promuoverà molta benedizione per il benessere proprio e dei suoi fratelli.
20. Dunque, non darti pena, Mio caro amico Ouran, se anche dovrai passare una notte in grembo all'antica madre del tuo corpo, poiché non potrà venirtene niente di male!».
Le innovazioni introdotte dai farisei nel 4° Comandamento.
1. Ouran, a queste parole, è quanto mai deliziato e dice di non avere mai inteso niente di veramente più pratico in vita sua, e che avrebbe sempre seguito con ogni cura il mio consiglio. La Mia lezione però ha suscitato la più grande meraviglia nei nostri persiani.
2. E Giura esclama: «Ecco, questa è ciò che io chiamo una vera luce dall'Alto; perché dentro a questi misteri non è mai penetrato nessun occhio mortale. Ed è così che desidererei che qualcuno mi spiegasse tutti i dieci comandamenti. La cosa ci appare tanto vicina e chiara, eppure noi non siamo riusciti a scoprirla malgrado tutta la nostra acutezza d'intelletto! Tuttavia vorrei domandare ancora una cosa!»
3. Dice Schabbi: «Io non saprei davvero quale punto ancora si potrebbe fare oggetto di una domanda particolare!»
4. Dice Giura: «Non sai tu, dunque, che per quanto riguarda i doveri dei figli verso i propri genitori già da tempo esiste una nuova legge secondo la quale un figlio o una figlia fa meglio se depone un'offerta nel tempio che non se onora il padre e la madre? Questa nuova legge non abolisce la vecchia, ma stabilisce, per arrivare alla promessa mosaica, un mezzo migliore che non sia la legge mosaica stessa. Ma appunto, considerato che il concorso straordinario delle circostanze ci concede di parlare direttamente con il Legislatore originario, io vorrei ben conoscere qual è il pensiero del Signore riguardo a questa nuova legge!
5. Da un lato, e cioè se un figlio ha dei genitori molto cattivi e corrotti, questa legge mi appare veramente a posto, da un altro lato, se un figlio dissoluto per natura ha come spesso succede dei genitori assolutamente buoni e degni che dinanzi a Dio e a tutti gli uomini meritano ogni stima, amore e venerazione dai propri figli, allora questa legge di stampo troppo templario-egoistica non mi pare assolutamente a posto. Tutto l'assieme della legge ha un sapore spiccatamente di fattura umana e vi emerge ben poco dell'elemento divino; ma c'è ancora una qualche altra legge che dice: "Voi dovete sempre ascoltare e fare come vi dicono coloro che siedono sui seggi di Mosè e di Aronne!"
6. Questa legge però è anch'essa un vero cammello sul quale i farisei hanno già contrabbandato nel tempio una quantità di merce pessima e falsa facendola credere genuina, e il popolo è costretto ad acquistarla per buona all'elevato prezzo della propria libertà morale. Questa è una pessima cosa, ed una simile legge, che concede il privilegio esclusivo soltanto a certi uomini, mi sembra essa pure di origine infernale e fatta apposta per dare sempre a Satana libero accesso nel Santuario. Perché questi santi privilegiati attribuiscono a se stessi eccessiva importanza e appaiono da principio ammantati in certo modo di pia superbia e circonfusi dalla sacra aureola profetica, più tardi poi si fanno sul serio autoritari, tirannici quanto mai, orgogliosi e immensamente superbi, pure essendo sempre insediati nei seggi di Mosè e di Aronne! Ma per conto mio, detto così fra noi, io credo che questi sacri seggi potrebbe prenderseli in consegna addirittura Satana in persona! E da parte di questi veri rappresentanti di Satana, che siedono sui seggi di Mosè e di Aronne, sono stati proclamati già molti precetti umani in sostituzione di quelli puramente divini, e noi dovremmo alimentarli, perché una legge stupida ed infernale ordina di ascoltare coloro che siedono sui sacri seggi e di fare quello che essi comandano.
7. Oh, certo, la legge in sé e per sé sarebbe perfettamente a posto se si avesse la garanzia che sempre e soltanto i più degni successori di Mosè e di Aronne fossero chiamati a predicare dai seggi sacri; ma, invece, quale vera progenie di draghi non è già seduta su questi sacri seggi, e non di rado molte leggi fra le più rivoltanti sono state scagliate giù da tali seggi, come una sabbia pungente negli occhi aperti del popolo veggente, così da accecarlo in grandissima parte! E queste leggi, che superano in pazzia quanto di più pazzo possa escogitare la mente umana, rimangono poi in vigore per il massimo tormento dell'umanità e nessuno osa più scuotere un simile giogo. Ma, allora, anche la pura ragione finisce con il chiedersi se Dio ne sa qualche cosa, ovvero se esiste in generale un Dio che permette a simili abomini di stabilirsi nel Suo Santuario!
8. Orbene, un chiarimento a questo riguardo dalla Sua stessa bocca sarebbe certo meglio di ogni altra cosa in grado di mostrarci qual è il nocciolo vero e genuino della questione, ed io perciò vorrei rivolgere addirittura a Lui una domanda. Che ne dici tu? Posso azzardarmi o no a fare così?».
Il Signore spiega la legge dei farisei.
1. Allora rispondo Io al posto di Schabbi e dico: «Ascolta, o Giura, amico Mio, la tua domanda è giusta e molto importante; non occorre che tu Me la ripeta, perché Io ad ogni modo so bene qual è il punto che vuoi spiegato!
2. Vedi, corrisponde al vero che per bocca di un veggente è stato dato il comandamento di dare ascolto a quanto dicono coloro che occupano i seggi di Mosè e di Aronne e di fare quello che essi fuori dallo Spirito di Dio comandano, ma ciò soltanto quando le loro opere sono buone; ma se le loro opere invece sono malvagie, è bene che essi vengano cacciati dai loro seggi per mano dei più degni discendenti di Levi.
3. Ma coloro che sedevano sui menzionati seggi seppero molto ammantare le loro opere conferendo a queste un bell’aspetto, e la conseguenza fu che sui sacri seggi non sedettero dei degni successori di Mosè e di Aronne, ma sedettero e tuttora siedono dei lupi rapaci travestiti da pecore, i quali hanno scagliato fra il popolo, sotto il manto della Volontà divina, delle leggi dinanzi alle quali deve inorridire perfino l'Inferno!
4. Riandate però con il pensiero ai tempi passati e vedrete quante volte Io, per bocca di profeti consacrati, ho fatto ammonire con assoluta serietà questi falsi successori di Mosè e di Aronne, e quante volte ho levato contro di loro la Mia verga punitrice; ma a che cosa è servito ciò? In un primo tempo la situazione si rifece migliore, ma subito dopo divenne peggiore di prima, fino ad arrivare al vergognoso stato attuale che peggiore non potrà mai più essere. Essi hanno ormai colmato la misura di ogni perfidia e basterà ancora qualche sola goccia e le male acque traboccheranno e travolgeranno tutti come un nuovo diluvio di Noè; e su ciò puoi essere perfettamente rassicurato!
5. Ma come per molte altre leggi, così pure è accaduto anche della legge concernente i doveri dei figli verso i loro genitori; legge emanata da Mosè e poi sostituita con l'offerta al tempio. Da principio essa era una cosa buona e giustificata, e si riferiva soltanto a quei figli i cui genitori, come spesso è il caso, erano dei veri rifiuti dell'umanità, ma che per circostanze strane spesso avevano dei figli molto buoni e bravi e che, devoti a Dio, vedevano e conoscevano molto bene la malignità capitale di coloro che avevano generato il loro corpo; quanto però i loro malvagi genitori domandavano faceva rizzare a loro i capelli sul capo! Ma nell'incompresa legge di Mosè, non stava altro che il comandamento di onorare i genitori anzitutto con l'obbedienza!
6. Ed è per queste ragioni che, ai tempi in cui le condizioni del tempio erano ancora buone, qualcuno di questi infelici figli si rivolse al tempio stesso per aiuto e consiglio, e disse: "E' certamente vero che Mosè, ispirato da Dio, ha comandato di obbedire ai propri genitori e di stimarli altamente e onorarli per avere lunga vita e benessere sopra la Terra, però Mosè ha anche comandato di non uccidere, di non rubare, di non mentire e di non fornicare e men che meno di desiderare la moglie del prossimo; ora questo è appunto quello che dovrei fare secondo il comandamento, ma non secondo i miei malvagi genitori! Ora, che cosa mai devo fare per non peccare contro qualcuno dei comandamenti di Mosè?".
7. Allora il sommo sacerdote, certo compenetrato dallo Spirito di Dio, così rispose: "Non fare come vorrebbero i disonesti genitori del tuo corpo, ma al posto di obbedire alle loro perversità sacrifica un'offerta e fa orazione a Dio e così sarà meglio per te, e tramite la grazia dall'Alto anche per i tuoi sciagurati genitori!"
8. E così avvenne che simili figli abbandonarono i loro perfidi genitori; offrirono per loro e per i perversi genitori l'offerta al tempio e cercarono poi lavoro presso della buona gente, per condurre in tal modo una vita gradita a Dio.
9. Fino a questo punto questa legge posteriore era perfettamente nell'Ordine divino, ma con il tempo quei lupi rapaci, che avvolti entro pelli di pecora sedevano sui seggi di Mosè e di Aronne, hanno generalizzato questa legge, ed allora anche i figli perversi poterono svincolarsi dall'obbedienza verso i loro genitori assolutamente buoni e onesti mediante la sacrilega offerta, per poter poi peccare liberamente e far tacere la coscienza!
10. Con ciò dunque il duplice comandamento di Dio venne anche duplicemente eliminato e venne sostituito con un principio umano prettamente infernale, il quale non poteva non essere che un'abominazione delle abominazioni in quanto era diametralmente opposto all'Ordine di Dio, dato che ciascuno, per quanta poca purezza di pensiero abbia, deve accorgersi all'istante che un simile precetto non può essere mai più divino, ma soltanto di origine esclusivamente infernale e satanico. Del resto tutto ciò avrà la sua fine, e poi non rimarrà granché da arringare contro.
11. In generale però è certissimamente in perfetto ordine che il debole si lasci guidare da chi è forte. Ora i genitori sono sempre più forti dei figli, e perciò corrisponde anche al buon ordine che i figli si lascino guidare dai loro genitori; ma quando il debole si accorge che il forte lo vuole fare precipitare nell'abisso della rovina, allora egli fa molto bene se si allontana dal più forte e va in cerca di un riparo più sicuro.
12. Del resto adempie interamente la legge di Mosè soltanto colui che sotto ogni riguardo si comporta così come ora ho esposto chiaramente e integralmente al vecchio re Ouran. Ora credo che avrete compreso questa cosa».
Che cos'è la lussuria?
1. Risponde Giura: «Oh, sì, questa è luce, amore e suprema verità concentrati in un punto! Certo, o Signore e Maestro dall'eternità, è così che io vorrei avere chiarita l’intera legge di Mosè, e soltanto allora si potrebbe vivere e procedere saldi immutabilmente nel Tuo Ordine eterno! Allora Satana non troverebbe certamente alcuna apertura nella quale insinuarsi, come un lupo camuffato da pecora, dentro il Tuo santuario inondato di luce, per là manipolare i Tuoi Comandamenti santissimi fino a farne dei precetti umani!»
2. Dico Io: «Amico Mio, l'ora in cui il tenebroso principe del mondo sarà giudicato non è ancora venuta, però essa si è avvicinata di molto. Ma quando anche lui sarà giudicato, sorgeranno anche troppo presto degli uomini che in quel tempo manipoleranno le Mie purissime leggi peggio ancora di Satana. Su questa Terra la luce avrà sempre da combattere con le tenebre!»
3. Dice Giura: «O Signore! E perché ciò? Basta che tutto il genere umano giunga a riconoscere la luce così come ora la riconosco io, e Satana con tutta la sua perfidia cercherà per l'eternità invano lavoro su questa Terra. Poiché anche i nostri figli e nipoti verrebbero coscienziosamente educati nella medesima luce e vi rimarrebbero fino alla fine del mondo, e questo sarà pur certo e altrettanto immutabilmente sicuro quanto immutabilmente e sicuramente è da ammettersi che due unità della medesima specie congiunte a due altre unita simili formeranno, per tutti i tempi, quattro unità della medesima specie!
4. Questa cosa non può venire messa in dubbio da nessuno su questa Terra, poiché si tratta di una evidente e irrefutabile verità. La Tua spiegazione dei dieci comandamenti di Mosè rende ciascuno di questi un principio e una verità matematica, ma se è così, a chi mai potrà venire in mente, neppure alla lontana, di mettere in qualche modo in dubbio una simile verità? Ma siccome nessuno potrebbe nutrire in proposito un qualche dubbio, ciascuno anche dovrebbe agire poi a seconda di una tale verità con tanta chiarezza riconosciuta, altrimenti egli dovrebbe reputare se stesso evidentissimamente un pazzo, oppure egli sentirebbe dire ciò, nei suoi confronti, dalla bocca di qualsiasi essere umano ragionevole!
5. Però, ovviamente, se le più sante e più importanti verità vengono sempre presentate avvolte entro un certo misterioso ed enigmatico velo e l'uomo non di rado può farne quello che più gli piace, allora certo che si trovano in quantità grandissima i mentitori, mediante i quali Satana, con il suo abominevole seguito, può senz'altro ottenere libero accesso nell’umanità.
6. Perciò, o sublime Signore e Maestro, dacci Tu la chiara e aperta verità, affinché in avvenire venga reso vano ogni tentativo di Satana di insinuarsi fra gli uomini e sia condannato ad infrangersi contro la muraglia dell'immutabile verità!
7. Io mi limito a citare, quale esempio, soltanto quel comandamento di Mosè con il quale è classificata come peccato ed è vietata la fornicazione. Che cosa è veramente e propriamente la fornicazione? Sussiste forse questa soltanto per il fatto che ci si accosta carnalmente ad una persona di sesso diverso con il corpo non lavato e non ci si lava nuovamente dopo l'atto carnale, ovvero per fornicazione è da intendersi la libidine bramosa e l'atto carnale consumato con una donna qualsiasi, una vergine, una meretrice, una concubina o una giovane vedova?
8. Va compresa sotto questa denominazione l'impudicizia cieca o addirittura il muto sodomitico peccato, ovvero se si pratica carnalmente con la moglie molto lasciva di un altro? Inoltre, per essere del tutto immuni da un simile peccato bisogna sopprimere completamente questo, che è il più forte tra gli impulsi naturali? Ma se è così, allora anche il letto matrimoniale non rappresenta certamente altro che un'officina della fornicazione, fatta passare per consentita e morale: perché chi ci garantisce che l'uomo non usi carnalmente con la propria florida moglie di più di quanto occorre agli scopi della procreazione?
9. Io ho visto e conosciuto degli uomini che avresti potuto definirli delle perle, addirittura in quanto concerne la bontà, attività d'amore, pazienza, mansuetudine e misericordia, però in quanto alla spinosa questione della castità erano e sono rimasti deboli. Essi fecero davvero molto per rendersi forti anche a questo riguardo, ma la loro natura non si piegò neppure allora quando la totale incapacità fisico-naturale venne a mettere fine al realizzarsi delle loro brame; ma vergini dalle forme vistose continuavano sempre a suscitare su di loro uno stimolo e un desiderio.
10. D'altro canto poi ho visto e conosciuto degli altri uomini che anche dinanzi alla più meravigliosa bellezza femminile rimanevano freddi come un blocco di pietra; dei veri modelli dunque in fatto di castità, ma in quanto al resto assolutamente insensibili come dei ceppi d'albero verso qualsiasi cosa! Niente li commuoveva! La miseria e il bisogno dei poveri erano per loro delle cose ridicole e le lacrime degli infelici una finzione per suscitare pietà; la donna la consideravano un essere spregevole di cui si sarebbe potuto facilmente fare a meno, e che a questo mondo non ha scopo differente da quello di un campo destinato unicamente ad accogliere un qualche seme. Il matrimonio veniva considerato da loro come l'istituzione più ridicola esistente nell’umanità. Secondo la loro opinione si sarebbe dovuto rinchiudere tutte le donne sane in un immenso edificio e là farle fecondare da uomini robusti e ben dotati di capacità virile; in tal modo si sarebbe ottenuta una generazione esclusivamente bella, sana e forte. Le donne brutte o deboli, invece, sarebbe stato meglio sopprimerle, oppure adibirle come gli animali ai lavori più bassi e farle lavorare fino a vederle scoppiare! Queste sono le convinzioni di quei pudichi virtuosi che io ho potuto ascoltare!
11. Ma ora mi domando se il debole, dal punto di vista della castità, non risulti dinanzi agli occhi di chiunque incomparabilmente più preferibile al gelido eroe della castità! Per parte mia dico senz'altro di sì! Ma, o sublime Signore e Maestro, non so né posso sapere quale sia il Tuo giudizio in tale proposito. Dunque, per mettersi in regola anche riguardo a questo punto della vietata fornicazione annunciata da Mosè e per non dover continuamente stare in angosciosa apprensione per il timore di peccare al cospetto di Dio ogni qualvolta ci si accosta ad una donna, sarebbe bene che a noi venissero dati dei chiarimenti precisi. E se l'atto in questione, in qualunque forma e circostanza, è proprio sempre peccato, Tu, o Signore e Maestro, certo conoscerai un qualche farmaco mediante il quale poter, come un soffio, allontanare da sé la concupiscenza e lo stimolo rispettivo! Perché non c'è niente di più miserando per un galantuomo di venire, in un determinato senso, continuamente spinto a peccare come se si fosse tirati per i capelli; la natura costringe sempre, con potenza irresistibile, la carne a mettersi per questa via, e se poi si cade come un corpo che naturalmente è pesante, ecco che un peccato mortale è già ben commesso! Questo però è un po' troppo forte, specialmente per chi, ringraziando Dio, ha nella misura del possibile sempre ancora la testa e il cuore al loro vero posto. Dunque, o Signore e Maestro, desidererei avere da Te anche a questo proposito una piccola delucidazione! Perché a me sembra che questa sia una questione fra le più scabrose!»
Il peccato contro la castità.
1. Dico Io: «Se la vita dell'uomo non è uno scherzo, né una frivola cosa, ma una cosa sacra e serissima, allora neppure l'atto generativo dell'uomo può essere affatto una frivolezza e un'inezia, ma è anch'esso una cosa sacra e quanto mai seria. Allora, vedi di comprendere bene il suo fondamento, e subito dopo tutto ti risulterà chiaro.
2. La sensazione piacevole dell'atto non deve essere essa il movente dell'atto stesso, ma il movente deve essere costituito soltanto dall'intenzione di generare una creatura umana!
3. Se comprendi ciò, troverai ben presto che le sensazioni voluttuose non sono che fenomeni accessori, mediante i quali l'opera dell’incarnazione nella natura della carne è resa possibile. Dunque, se ti spinge il movente principale allora va' e fa' secondo la tua intenzione e non avrai peccato. Ma a questo riguardo, poi, ci sono varie cose che devono venir prese nella dovuta regolare considerazione.
4. Quest'atto non deve avvenire all'infuori della sfera del vero amore del prossimo; ora un precetto capitale del vero amore del prossimo suona così: "Fate agli altri tutto quello che desiderate che pure gli altri facciano a voi!"
5. Ora, ammettiamo che tu avessi una figlia nel fiore degli anni e che fosse la delizia del tuo cuore paterno. In tal caso non avresti preoccupazione più grande di quella di assicurare una giusta felicità a questa tua figlia da te teneramente amata; la figlia sarebbe pienamente matura e quindi atta alla procreazione. Ma quale impressione farebbe sul tuo animo se un uomo, anche perfettamente sano, spinto dal bisogno di generare con una vergine un essere umano, costringesse con la violenza tua figlia a prestarsi alle sue brame?
6. Ecco, il fatto accenderebbe in te un terribile sentimento di vendetta contro un simile malfattore, e tu non lo perderesti più di vista prima di avergli inflitta una punizione il più possibile severa.
7. E tuttavia quell'uomo non avrebbe commesso alcun peccato contro la castità, poiché così facendo egli sarebbe stato seriamente incitato dalla necessità di non disperdere il suo seme fuori dal vaso a ciò destinato dalla natura, e con ciò sarebbe stato interrotto il cammino dell’incarnazione. Però, sotto un altro aspetto, l'atto è malgrado tutto da definirsi come peccaminoso, per la ragione che così viene recata una offesa gravissima all'amore del prossimo!
8. Un altro esempio. Ammettiamo che tu stesso, trovandoti in un paese straniero, sentissi un giorno prepotente lo stimolo carnale, e trovata una donna su di un campo la persuadessi con denaro e buone parole ad accondiscendere alla tua brama; vedi, in questo modo non avresti commesso peccato contro la castità e neppure adulterio, anche se la donna fosse la moglie legittima di un altro. Ma se tu avessi pensato all'immenso imbarazzo in cui si sarebbe venuta a trovare la donna ed alle persecuzioni alle quali con il tuo atto l'avresti esposta quando il legittimo marito le avesse detto: "O donna! Rendimi conto; chi ha deposto in te il seme, dato che io già da molto tempo non ti ho toccata?". Ecco, così facendo tu hai seriamente compromesso la pace domestica di quella famiglia, e questo è un peccato molto grave contro l'amore del prossimo! Perché il tuo impulso, anche se è forte e anche se non è una passione sensuale, l'avresti potuto certamente risparmiare per una occasione più adatta!
9. Da ciò dunque ti deve essere chiaro che un uomo davanti ad un'azione, in quanto al resto perfettamente regolare e non contrastante con la vera castità, deve tenere d'occhio anche tutte le altre circostanze accessorie nei rapporti con il prossimo, qualora non voglia peccare contro una qualche legge.
10. Ma un uomo può praticare con la propria moglie la fornicazione altrettanto come con una prostituta, ed in misura maggiore ancora, poiché in una meretrice non c'è più nulla da guastare, dato che in lei comunque tutto è già guastato e rovinato; ma una moglie può invece venire eccitata all'eccesso e così possono venire accese in lei delle brame di appassionato desiderio, per effetto delle quali essa può precipitare nel meretricio peggio ancora di una nubile.
11. Chi si accosta carnalmente ad una giovane commette fornicazione, perché pone a fondamento del suo atto unicamente la soddisfazione del senso e non la seria intenzione di generare, né d'altronde il suo atto altro fondamento neanche vuole avere, considerato che già la pura ragione deve suggerirgli che la pubblica strada non è luogo adatto per seminarvi il grano.
12. Oltre poi al peccato contro la vera castità, colui che giace con una prostituta commette un altro peccato contro la propria dignità umana e quella della meretrice stessa, per la ragione che con ciò egli può facilmente causare grave danno alla propria natura e può ancora rendersi inguaribile nella sua segreta ossessione e rendere ancora di più insanabile la cieca prostituta, cosa questa che nuovamente non corrisponde all'amore per il prossimo.
13. Ma chi giace con la moglie altrui, degradatasi a prostituta, costui, nella stessa maniera, pecca due volte, e quattro volte se egli stesso ha moglie, perché con ciò egli commette anche adulterio.
14. Ed ora Io penso, poiché sei un uomo dalla sana ragione, che questo poco che ti ho detto ti basterà; tanto più poi in quanto un uomo della tua specie sa ad ogni modo che cosa si confà ad una persona sotto ogni rispetto equilibrata, ordinata ed onorata!»
15. Risponde Giura: «Sì, o Signore e Maestro! Ora tutto mi è chiaro e vedo anche dove devono condurre le varie specie di fornicazione. Dinanzi a Dio non c'è che una verità valida, la quale è fondata sull'Ordine eterno; tutto quanto c'è di più, di meno o di accessorio è un male!»
16. Dico Io: «Appunto, così è e resterà in eterno; ma ecco che ora sono di ritorno i marinai, che avevamo inviato per raccogliere i cadaveri e che infatti li hanno anche trasportati a terra, e occorre che questo Mio servitore (Raffaele) vada a riva per aiutarli a deporli in un posto adatto, altrimenti domani la guarigione sarebbe più difficile.
17. Raffaele si avvia velocemente ed esegue tutto nel migliore ordine. Subito dopo i marinai però se ne vanno a cena».
La disputa dei farisei sulla divinità del Signore.
1. Considerato dunque tutto ciò che si era svolto e che era accaduto dopo questa cena del Sabato, sarebbe stato legittimo attendersi che la giornata lavorativa fosse finita; ma in Cielo non si riposa mai quando si tratta di fare del bene, né d'altro canto anche l'Inferno non cessa mai la sua attività di fare del male, e così avvenne che in questa giornata di Sabato ci fu riservato qualcosa del tutto particolare come conclusione, e che dovette essere portata effettivamente a termine prima ancora di mezzanotte.
2. Infatti, era sorto un litigio fra i cinquanta farisei, a capo dei quali stava Stahar e Floran, l'oratore che già conosciamo. Questi novellini, rifugiatisi durante l'uragano in una delle tende di Ouran, avevano covato ancora una quantità di dubbi, e la deposizione dei cadaveri avvenuta allora non aveva fatto che confermare più di una delle loro dubbiose vedute sul Mio conto e sulle Mie opere. Ora fra di loro i pareri erano divisi, così che la parte migliore accettava liberamente la versione che Io fossi un profeta straordinario dello stampo di Elia, mentre l’altra parte, costituita dai più tenebrosi, manifestava l'opinione che, nonostante la Mia conoscenza profonda delle Scritture, Io non fossi che un allievo uscito dalle catacombe d'Egitto e che avessi appreso la sapienza e la genuina arte magica nel tempio di Kornak! Per questa ragione i romani Mi accettavano tanto bene, poiché presso di loro i veri artisti di magia godevano maggiore credito dei loro stessi dèi, dato che essi consideravano i primi altrettante dita di Giove, mediante i quali quest’ultimo, molto affezionato ai grandi, operava tra gli uomini. I romani però erano gente quanto mai avveduta e sapevano che non c'era da fidarsi affatto degli ebrei finché non fossero essi stessi diventati romani nel corpo e nell'anima! Ora, per arrivare ad un simile risultato, la via più facile sarebbe stata appunto quella di manipolare gli ebrei, molto portati a subire il fascino del prodigio, mediante un mago di prima categoria e del Mio stampo uscito dalla scuola di Kornak; e tutto ciò in maniera che per loro non ci fosse la necessità di rinunciare al loro Mosè e ai loro profeti. E proprio questo stava appunto accadendo con il visibile e migliore successo di questo mondo, perché per chi non si fosse deciso a convertirsi attraverso le parole e i prodigi erano sempre pronte alcune coorti di militi romani allo scopo d'indurlo a convertirsi per forza. E ciò anche spiegava le energiche sfuriate che in ogni occasione si scatenavano contro il tempio di Gerusalemme; veniva cioè messo in rilievo con tutta diligenza quello che c'era di male, mentre si lasciava assolutamente inosservato e non si menzionava neppure con una sillaba quanto nel tempio c'era di buono; eppure era molto noto quanto bene andava instancabilmente facendo il tempio!
3. Stahar e Floran, che certamente avevano un'opinione molto migliore sul Mio conto e su quello dei romani, si sforzavano sì di ribattere tali argomentazioni dei loro colleghi, però ottennero dei risultati ben magri, nonostante avessero esuberantemente fatto emergere le Mie qualità di profeta sul tipo di Elia.
4. E la parte avversaria oppose loro: «Guardate un po' là come sono stati deposti i nove annegati! Secondo tutte le prescrizioni mediche, proprio con i capi all'ingiù e con le facce rivolte a terra. Che necessità è questa? Un Dio è abbastanza Onnipotente per richiamare in vita gli annegati anche senza preparativi di questo genere; ma dove vengono prese prima di tutto queste misure, che sono proprie della genuina arte medica per tentare di richiamare in vita gli annegati, è segno che in fatto di produzioni miracolose resta pure ancora molto da discutere! Anche i tre risuscitati di prima dovettero venire condotti in una stanza, affinché l'aria fresca della notte non facesse loro male e il mattino seguente potessero avere un aspetto migliore e più sano. Ormai se ne capisce abbastanza!»
5. Floran domandò, poi, il loro giudizio sul conto di Raffaele, che evidentemente aveva dato prove delle sue capacità incredibilmente prodigiose. Allora alcuni rimasero sorpresi e imbarazzatissimi, e non seppero lì per lì che cosa rispondere!
6. Uno fra i principali avversari, però, trovò il modo di replicare, dicendo: «Amico mio, noi veramente non sappiamo nulla del tutto, ma è senz'altro da ammettere che in natura ci sono molte forze misteriose ancora non scoperte, delle quali non possiamo avere un'idea nemmeno in sogno. Questi qui si sono rese familiari tali forze e per vie a noi assolutamente sconosciute le sanno domare in modo tale che noi profani siamo portati a ritenerlo evidentemente un vero e proprio miracolo! Se quel giovane ci indicasse su quali ragioni si fondano simili fenomeni, nonché quali sono i modi e i mezzi per produrli, potremmo anche noi sicurissimamente operare dei prodigi. Oh, gli uomini possono bensì ottenere degli effetti immensamente strani e possono rendersi tributaria tutta la natura, tuttavia dal nulla non possono ottenere assolutamente nulla, perché una cosa simile soltanto Dio la può fare, ed è precisamente qui che sta il grande divario fra l'Onnipotenza di Dio e il potere miracoloso di qualche uomo istruito.
7. Che provi quel giovane a creare adesso una nuova Terra con tutto ciò che su di essa respira, ed è fuori dubbio che per una impresa simile verrà a mancargli il fiato! Certo, il manipolare quello che già esiste in natura non è, per chi sa il mestiere, un'arte proprio speciale, ma si provi a creare perfettamente dal nulla un mondo o soltanto un filo d'erba senza disporre di semi, oppure addirittura una creatura umana, e si vedrà subito fino a dove arriverà l'onnipotenza di un simile uomo!»
8. Dice Floran: «Eh, amico mio! Da parte mia non vorrei impegnarmi in una scommessa troppo forte contro l'ammissione che, se fosse proprio necessario, questi due avrebbero la capacità di trarre fuori dal nulla anche un mondo intero; non mi piacerebbe affatto correre questo rischio!»
9. Stahar aggiunge: «E neppure io, perché a mio modo di vedere i due hanno già fatto delle cose immense. Oltre a ciò i due rivelano in ogni campo una sapienza talmente grande che tutto il mio sapere e la mia esperienza io li trovo al paragone ridotti assolutamente a nulla; ma dove una simile alta sapienza si manifesta là agisce lo Spirito di Dio a cui nessuna cosa è impossibile.
10. Pensiamo un po' a tutte le cose che in un giorno furono possibili a Elia e a Mosè, e con ciò potremo anche qui renderci conto del come questi due possano sempre compiere in modo sicuro i loro incomprensibili prodigi, appunto tramite l'ausilio di quello stesso onnipotente Spirito.
11. Ebbene, è un ostacolo questo? Se noi sappiamo che soltanto lo Spirito onnipotente di Dio può fare cose che sono impossibili agli uomini, è chiarissimo che qui opera quello stesso Spirito di Dio il Quale un giorno diede vita alla Terra dal nulla, e che più tardi compì i meravigliosi prodigi per mezzo di Mosè e di Elia!
12. Io devo inoltre fare un'osservazione e domandarvi: "Dove, all'infuori della cerchia dei figli d'Israele, è mai esistito un popolo che sia stato - in qualche modo nella sapienza e nella forza che da essa appunto deriva - più profondo di noi genuini discendenti di Abramo, d'Isacco e di Giacobbe?". Chi di conseguenza non avesse trovato vera sapienza e potenza in casa di Giacobbe, dove dunque mai avrebbe potuto trovarla altrove? Io certo conosco pure qualcosa della misteriosa scuola egiziana e so quello che si insegnava! Però è vero che questa scuola di Kornak arrivava con la sua scienza a mala pena fino al cortile, mentre non è mai arrivata nell'intimissimo e santissimo!
13. Questi due invece, come lo si può riconoscere al primo sguardo, appaiono essere con il Santissimo ed Intimissimo in tali stretti e confidenziali rapporti, quanto lo può essere una massaia con l'interno delle sue dispense. In una brava padrona di casa, che ha cura di tutte le faccende domestiche, si può immediatamente giudicare dal suo aspetto sereno se le sue dispense sono regolarmente e ben provviste; ed in questi due, per poco che si osservi attentamente le loro facce, ci si può pure convincere facilmente che i loro animi sono ricolmi della più serena e sicura pace, e sgombri del tutto dalle preoccupazioni che assillano l'animo umano!
14. Ora, chi è dotato di una simile sapienza e potenza, e può guardare il mondo con tanta serenità veramente divina, e chi è così poco scosso dal più tremendo uragano quanto lo siamo noi dal primo inverno che dovette superare il primo padre Adamo, ebbene, Costui è un Santissimo ed è già Egli stesso un Signore e un liberissimo Dominatore! A lui non occorre alcuna scuola di sapienza a Kornak, poiché lo Spirito di Dio mediante Se stesso gli ha già posto nel cuore una scuola migliore! Questa è all'incirca la mia opinione ed anche pure la mia fede, ma che questa mia fede sia buona io lo riconosco perché anch'io comincio a percepire da essa, liberamente, una pace davvero divina; cosa che prima d'ora non mi venne mai dato di percepire.
15. Io, per quanto sia stato il vostro capo, non posso certo imporvi questa fede e questa sensazione per il semplice motivo che non si sono mai potute né si potranno mai imporre, tuttavia ritengo mio dovere dirvi che le cose stanno veramente così, e che voi con la vostra scuola egiziana andate errando nelle catacombe più tenebrose senza il minimo filo conduttore in mano!»
16. Osserva allora l'oratore dell'opposizione, che in seguito alle parole di Stahar ha perso già diversi aderenti: «Va bene, mio caro amico, tu adesso hai parlato molto ragionevolmente e giustamente, tuttavia quello che ci scandalizza consiste unicamente nella necessità che si è trovata di collocare gli annegati secondo le prescrizioni mediche; infatti, così usano procedere con gli annegati i medici, come pure la gente esperta del mare, e in questo modo spesso avviene che già per effetto di una simile manovra ritornino in vita. Collocando i corpi in questo modo, i polmoni si liberano dall'acqua, e se nel cuore non è estinta proprio l'ultima scintilla di vita, allora anche i corpi si rianimano, perché pare che trattandosi di annegati l'anima resti per tre giorni ancora congiunta al corpo, e di conseguenza, già secondo le esperienze di tempi antichi, il richiamare in vita degli annegati dovrebbe essere possibile perfino allorquando questi fossero rimasti nell'acqua per due giorni interi. Dunque, se in questo profeta della specie di Elia dimora veramente lo Spirito di Dio, a che cosa servono simili preparativi basati su esperienza medico-umana?
17. Quando Elia, secondo quanto narra la leggenda, ridonò corpo e vita ad un mucchio di resti scheletrici, non si rese necessaria nessuna preparazione, ma bastarono la sua parola e la sua volontà. Ed ancora prima di questo fatto sono state compiute cose meravigliose da lui, e unicamente in forza della sua parola; perché dunque tutte queste manipolazioni con i nove annegati, quasi che egli fosse diventato d'improvviso assolutamente privo in lui della potenza dello Spirito di Dio?
18. Vedi, o amico mio, se tu su di un panno completamente insudiciato fai ancora una piccola macchia, per quanto uno abbia la vista acuta non se ne accorgerà, ma su di un panno perfettamente lindo e puro anche il minimo punto oscuro offenderà il tuo occhio. E così succede anche nei riguardi di questo grande profeta, nel cuore del quale dovrebbe dimorare la pienezza dello Spirito di Dio; ogni cosa, per quanto piccola, deve dare nell'occhio se essa non è compatibile con il concetto grande e maestosissimo e con la dignità suprema dello Spirito divino di Dio. Sarebbe bastato che egli non avesse fatto così ed io avrei finito per ritenerlo Jehova in persona, dato che le sue parole e le sue opere di prima avevano del tutto l'impronta della Divinità; ma mediante questa manipolazione degli annegati egli, per conto mio, ha cancellato ogni traccia del suo prestigio divino di prima ed ora non mi è più possibile raccapezzarmi a dovere»
19. Osserva nuovamente Stahar: «Amico mio! Se già questa cosa ti appare contrastante, non posso fare a meno di meravigliarmi come alla fine, nella fede in Jehova, tu non abbia già da lungo tempo trovato oggetto di scandalo in ciò che le piante, gli animali e gli esseri umani stessi non crescano che lentamente, secondo quanto già ad esuberanza devono averti insegnato le tue osservazioni. Perché l'onnipotente Spirito di Jehova si sobbarca un procedimento così noioso? Per quale motivo, in generale, ha Egli bisogno di alberi, di arbusti e di piante per fare gradatamente maturare su queste le varie specie di frutti? Basterebbe un Suo atto di Volontà e i frutti cadrebbero giù dalle nuvole belli e maturi sulla Terra! A che scopo i campi della Terra? Perché lo Spirito di Dio non fa piuttosto piovere direttamente dal Cielo del grano purissimo e completamente maturo, o meglio ancora del pane saporito e già ben cotto!? Perché gli animali e le creature umane per poter essere devono venire generati? E perché l'uomo deve venire alla luce incapace di qualsiasi cosa ed assolutamente debole; non potrebbe egli fare la sua comparsa su questo mondo già grande e grosso, dotato di sapienza e provvisto di quanto gli occorre?
20. Non trovi tu che per l'Onnipotenza dello Spirito divino questo procedimento sarebbe molto più saggio e degno di Lui che non la nota via dell’indugio, per la quale un fanciullo affamato deve non di rado stare ad osservare per varie settimane un albero, prima che sui suoi rami vengano a maturazione i frutti? Che gioia sarebbe riservata ad una coppia di genitori ai quali preme il benessere dei propri figli, se questi venissero al mondo già ricchi di ogni sapienza come Samuele?! Ma una madre deve invece partorirli con gran dolore, e poi occorrono almeno dodici anni finché un fanciullo venga portato al punto di essere semplicemente accessibile ad un'istruzione superiore e soltanto dopo può, fino alla maturità, applicarsi con ogni diligenza, per crearsi una base stabile e necessaria in qualche arte o scienza che sia. Trovi tu davvero compatibili questi procedimenti con la suprema sapienza dello Spirito di Dio?
21. Ma se nonostante tutto ciò non ne viene alcun discredito all'infinita Sapienza divina, per quale ragione vorresti, nel caso di questo profeta, trovare un punto oscuro nel fatto che Egli ha fatto collocare i nove cadaveri secondo certe prescrizioni mediche? Parla tu adesso, o amico mio!»
22. Risponde l'oppositore, che si chiama Murel: «Sì, va bene, o amico Stahar, tu hai ragione ed ormai scorgo benissimo l'infondatezza assoluta delle mie asserzioni di prima. Però, malgrado questo, c'è in quanto ho detto qualcosa che rimane tuttavia in piedi, e questo qualcosa è appunto la lentezza di Dio che in molte cose mi appare sì perfettamente a posto, ma in molte altre invece no. D'altro canto in varie cose sarebbe più opportuna una lentezza ancora maggiore, come ad esempio nella folgore rovinosa e nelle giornate troppo brevi durante l'inverno; anche il plenilunio dovrebbe mantenere il suo pieno splendore più a lungo dei soliti magri due giorni. Se il fulmine non cadesse con tanta spaventosa rapidità, lo si potrebbe schivare ed allora riuscirebbe meno dannoso; anche il vento temporalesco potrebbe soffiare con meno veemenza e molte rovine ne sarebbero risparmiate. Nella Creazione si riscontra un'agilità enorme nelle manifestazioni della Potenza di Dio per lo più appunto laddove essa è dannosa alla natura animata, mentre laddove, secondo il mio giudizio, un procedere più lento e un indugio spesso eccessivo non è di nessuna utilità, proprio là non c'è quasi più da parlare di un progredire delle cose.
23. Dunque, l'esperienza insegna a ciascuno che è così, e non altrimenti! Ma perché deve essere così, e perché io devo riconoscere per non buono qualcosa che anche potrebbe essere buona, e oltre a ciò farmi impaziente e stizzoso? E perché ben spesso piove quando, secondo l'apprezzamento di ogni agricoltore, lo splendore del Sole sarebbe il maggiore beneficio? E perché invece il Sole splende molte volte per lunghi mesi ininterrottamente senza che ci sia intercalato un periodo di pioggia? Ecco, amico mio, queste sono tutte domande importantissime; ma chi è in grado di darvi una risposta soddisfacente?»
24. Dice Stahar: «Vedi, là c'è il grande Maestro! Rivolgiti a Lui, ed io sono pronto a scommettere che Egli potrà ben illuminare tutti i tuoi punti oscuri, poiché le tue domande sono troppo in alto, anzi tanto in alto che potrei quasi definirle stolte; e ciò non perché sono davvero tali, ma solamente perché appaiono stolte al mio poco intendimento»
25. Dice Murel: «Oh, tu sei uomo accorto e molto più sapiente di me, e rendi delle mie domande una simile testimonianza! Come posso dunque presentarle al cospetto del Sapiente fra i sapienti?»
26. Osserva Stahar: «E allora, se sei convinto di questo, astieniti dal domandare il perché di simili cose e di simili fenomeni che la Sapienza di Dio ha già dall'eternità stabiliti in questi termini ed in queste forme. Noi uomini non comprendiamo moltissime cose, anzi veramente non comprendiamo nulla, perché tutta la nostra intelligenza, al paragone della Sapienza divina, è a mala pena come un atomo di pulviscolo solare, e tuttavia il nostro intelletto vorrebbe chiamare Dio a rendere conto del perché Egli ha fatto una cosa in questo modo e una cosa in un altro modo? Noi non siamo di gran lunga ancora arrivati alla prima lineetta dell'Alfa, e già domandiamo qual è l'essenza dell'Omega! Oh, come siamo ancora ciechi e stolti!
27. È possibile che alla scuola di Kornak, in Egitto, queste cose siano comuni fra i ciechi pagani, ma in seno a dei figli d'Israele che dovrebbero avere gli occhi sani, simili domande non dovrebbero affatto sorgere; infatti, ammesso pure che i ciechi non sappiano di essere tali, almeno noi dobbiamo riconoscere noi stessi, non fosse altro che fino al punto di persuaderci, che la nostra scienza avrebbe già raggiunto il grado più alto possibile della sapienza qualora fossimo arrivati alla constatazione che tutto il nostro sapere e conoscere sono un nulla assoluto di fronte anche alla minimissima scintilla della Sapienza divina!
28. Certamente lo spirito sofistico dell'uomo scorge entro l'ambito delle creazioni prodigiose di Dio molte cose che egli, nella grande limitatezza del proprio intelletto, trova di non dover troppo approvare, ma in simili momenti è bene che egli si ricordi del tempo della sua fanciullezza, quando cioè i suoi savi genitori gli rifiutavano spesso più di una cosa che a lui, ragazzo sventato e inesperto, avrebbe recato senza dubbio una grave danno se l'avesse ottenuta o saputa. Dunque, se l'Amore e la Misericordia di Dio e la Sua autorità Paterna non rivelano a noi, figli quanto mai inesperti e bisognosi di tutela, più di una cosa, che conoscendola poi potrebbe certo recarci in vario modo grave ed incalcolabile danno, noi non possiamo perciò che lodare e glorificare Dio! Perché, quando saremo capaci di una maggiore sapienza, questa da parte di Dio ci verrà sicuramente rivelata!».
Il discorso del Signore su Murel, Stahar e i discepoli.
1. E Cirenio, che aveva seguito con molta attenzione questa discussione svoltasi a voce abbastanza alta, rivoltosi a Me disse: «O Signore e Maestro! Vedo che qui il capo della sinagoga ha fatto dei grandi progressi! Io davvero non mi sarei aspettato da lui tanta sapienza! Con che facilità ha potuto ridurre al silenzio la parte avversaria, e quello che fa più meraviglia è che sia riuscito a mettere a posto Murel; infatti, quest'ultimo io lo conosco per un oratore di prima classe e oltre a ciò per un uomo che su questa nostra Terra ha avuto occasione di fare dappertutto numerose esperienze più di altri; di conseguenza sa ragionare su molte cose, e quello che dice non è mai privo di un certo buon fondamento. Io lo conosco bene, perché è venuto sempre da me quando si è trattato di qualche particolare ambasciata da parte del sacerdozio ebraico. Egli sapeva presentare sempre così bene le sue petizioni, che non era mai possibile opporgli in via assoluta un rifiuto. E perciò tanto più mi meraviglia che Stahar abbia ora riportato su di lui una completa vittoria.
2. Ma è probabile che Tu, o Signore, gli abbia ora posto in bocca più di una parola, perché altrimenti non c'è dubbio che il vincitore sarebbe stato Murel. Quello che disse Murel aveva anche qualche fondamento e le sue asserzioni non erano proprio del tutto impostate sulla sabbia, ma Stahar gli oppose argomentazioni ancora più solide e gli mostrò delle cose che avevano una base molto più robusta delle sue.
3. Io devo confessare, in generale, che perfino in questa epoca di decadenza si trovano fra gli ebrei delle persone che si cercherebbero invano in qualsiasi altra parte del mondo, e già per questo fatto non posso più assolutamente atteggiarmi a nemico verso di loro. E Stahar, in ogni caso, sarà mio dovere metterlo nuovamente in posizione tale che la sua sapienza possa avere un ampio raggio d'azione, perché ormai egli sembra essere completamente dalla Tua parte!»
4. Dico Io: «Sì, lo è infatti, ed Io lo sapevo già da lungo tempo che egli sarebbe diventato così; Murel però si farà ancora maggiore, perché il suo spirito è uno spirito di grande tenacia e fermezza, e nella sua anima hanno fondamento moltissime esperienze da potersi mettere a buon profitto, e attraverso le quali egli è in grado, in maniera eccellente, di discernere tra il vero e il falso e tra il buono e il cattivo. Questo Murel noi dobbiamo ulteriormente lavorarlo e destarlo, e indicargli qual è l'unico vero Ordine dello Spirito divino; ed egli poi avrà facile compito nel diffondere questa nozione fra gli altri con la sua più calorosa eloquenza»
5. Osserva Cirenio: «Però, a proposito dei Tuoi veri e propri discepoli, quello che più mi meraviglia è che essi sono sì in verità qui, ma che danno l'impressione di non essere affatto presenti. Essi non fanno che ascoltare e cercano sempre con occhio quanto mai attento che nulla sfugga loro, ma non li si sente quasi mai parlare o discorrere. Per quale ragione essi si comportano in maniera così spiccatamente passiva?»
6. Ed Io gli rispondo: «Per la ragione che, ad eccezione di uno, essi sanno molto bene quello che devono fare. Chi tace e ascolta, raccoglie continuamente; ma chi parla da sé, disperde e non perviene mai ad una vera ricchezza spirituale. Quando però i Miei discepoli, che già da principio sono con Me, avranno accumulato in misura molto abbondante, allora incominceranno bene anch'essi a parlare, e soltanto allora la salute verrà annunciata ai popoli della Terra per mezzo loro. Fra di loro ci sono degli uomini dotati di profonda sapienza, malgrado appartengano per lo più alla classe povera dei pescatori.
7. Ma ora ritorniamo al nostro Murel. Egli farà ronzare ancora intorno ai nostri orecchi qualcuno dei suoi moscerini, ma poi finirà - in seguito ad un processo autonomo dello sviluppo in lui - con il pervenire ad una potenza veramente gigantesca dello spirito»
8. Dice Cirenio: «Oh, io già gioisco grandemente in anticipo di questa trasformazione, perché per me è sempre motivo di grande letizia quando vedo un qualche cieco recuperare la vista o un qualche muto la parola».
Le esperienze di Murel durante i suoi viaggi.
1. Mentre Cirenio Mi fa queste osservazioni, anche Murel si avvicina a noi e dice: «O Signore e Maestro! Finora non hanno parlato che due di noi a nome di tutti, cioè Stahar e Floran, e io me ne stetti bensì in silenzio, dato che con molte cose mi trovavo d'accordo; però c’era qualcosa con la quale io non ero né potevo essere d'accordo. Ora Stahar ha fatto intorno a me una luce ben grande, per questo io vedo di gran lunga meglio di prima; però, malgrado ciò, ci sono ancora varie cose che non riesco a distinguere con sufficiente chiarezza. E considerato che adesso io penso di Te in maniera del tutto diversa di prima, vorrei anche che da parte Tua mi venisse fatta qualche luce più o meno grande.
2. Tu sai che anch'io, al pari dei miei colleghi, appartenevo alla classe dei farisei, in quanto il fariseismo poteva conciliarsi con le mie idee e con i miei principi un po' più puri, ed io non ignoro che Tu non sia proprio un particolare amico di quei profeti piuttosto delle tenebre che dell'Alto! Ma anche in quella classe c'è pure qualcuno da cui non è completamente sfuggito ogni spirito migliore; ora io mi sono sempre considerato come appartenente appunto a quest'ultima frazione e sotto simili auspici anch'io mi sono azzardato a presentarmi adesso da Te, non nella veste dei farisei che Tu avversi, sebbene unicamente come un semplice uomo ricco di qualche esperienza, allo scopo di interrogarTi riguardo a varie cose che sono d'interesse non soltanto mio particolare, ma di tutti in generale.
3. Ebbene, io avrei anzitutto da rivolgerTi una certa domanda preliminare, che sarebbe precisamente questa: "Io sono un uomo peccatore e Tu un santo di Dio; potrai Tu degnarmi di una soddisfacente risposta?"»
4. Ed Io gli rispondo: «Chi riconosce il proprio peccato come peccato, ed effettivamente lo disprezza e oltre a ciò ama Dio sopra ogni cosa nonché il prossimo suo come se stesso, costui non è più peccatore al Mio cospetto!
5. Però, amare Dio sopra ogni cosa significa osservare i Suoi comandamenti e non voler vivere fuori dall'Ordine di Dio; se questo è il tuo caso, parla, ed Io ti ascolterò e ti risponderò»
6. Dice Murel: «In questo caso, o Amico, bene Ti sia, perché allora ci saranno ben poche parole da scambiare fra noi! A che cosa mi serve il riconoscimento dei miei peccati ed anche detestarli con tutte le mie forze, qualora ben presto si presenta poi la mala ora della tentazione e si cade di nuovo mille volte su quello stesso dove già prima si è caduti mille volte?!
7. Si osservano i comandamenti di Dio continuamente con la migliore buona volontà, ma quando si tratta di passare ai fatti, allora anche troppo spesso sorgono le gravi difficoltà.
8. Così pure io ho sempre amato il mio prossimo quando non ho avuto da fare con tipi loschi e bricconi, ma se avevano simili caratteristiche è chiaro che non li ho potuti amare, né sono tuttora per niente loro amico. Se però diventeranno onesti, io li amerò e stimerò di nuovo, ma altrimenti non lo potrò fare con tanta facilità. Ecco, ora Tu sai da parte mia di quale spirito io sono figlio; se vuoi o se puoi degnarmi di una risposta, dimmelo apertamente; ma se non vuoi, dichiaramelo pure, ed io mi accontenterò ugualmente.
9. L'orgoglio e la testardaggine sono sentimenti perfettamente estranei al mio animo; d'altra parte in me non c'è nessun tipo di timore, perché non sono amico di nessuna vita in particolare. Questa vita interessa a me precisamente quel tanto che può interessarmi l'ultima tavola di legno con la quale Noè ultimò l'arca. Il non essere ha per me un valore di mille anni maggiore che non questa miseranda esistenza!
10. Perché, innanzitutto, sono stato chiamato ad esistere e perché devo continuare ad esistere? Ho io potuto pregare un qualche Dio per poter esistere e diventare? Io fui fatto senza saperne nulla, continuo ora a esistere senza la mia volontà e devo adagiarmi ad ogni specie di leggi e di fastidi simili per compensare i quali io non ho che una promessa molto vaga e nebulosa, secondo cui dopo questa misera vita dovrebbe esserci un'altra vita un po' meno misera fino all'eternità. Ma per poter un giorno venire reso partecipe a questa vita io devo, per tutta questa mia presente vita, addirittura schiacciare ogni tentazione, per quanto terribile, e restare conforme alle leggi, più puro del Sole meridiano; condizione questa assolutamente inadempibile, a meno che la propria natura non sia di carattere altrettanto divino, quanto lo è appunto sicuramente la Tua, o mio caro e stimatissimo Amico!
11. Ora, a che cosa può servire tutto questo? Se ne vada dunque questa vita dove vuole, perché non occorre affatto né una vita transitoria pessima, né meno ancora un'altra vita, sia pure eterna, che nel migliore dei casi sarà di poco migliore. Non è la perfetta non esistenza già in se stessa anche la perfetta felicità?
12. Ah, certo, se dinanzi a me vedessi prospettata un'eterna vita perfetta, la cosa assumerebbe tutto un altro aspetto; si saprebbe allora come e perché si dovrebbe fare qualche cosa in questa vita, affinché fosse possibile attendersi con fiducia assoluta che la vita eterna, che deve venire, sarà tanto migliore; ma nelle condizioni nelle quali attualmente si vive qui, non è il caso nemmeno di pensarci!
13. Si vada dove si vuole, ci si faccia iniziare in una scuola o nell'altra, e dappertutto non si può trovare che una fede cieca, accompagnata da una speranza che manca completamente di qualsiasi fondamento. E così è accaduto che gli uomini, per realizzare forse la loro possibile speranza desunta dalla loro artificiosa fede, si sono fatti dappertutto delle leggi con le quali tormentano se stessi e il loro prossimo, assolutamente senza alcun scopo e non di rado in maniera veramente insopportabile.
14. Io ho viaggiato per tutto l'Egitto in cerca di una limpida convinzione in una vita futura! Ma che cosa ho trovato anche dopo tutte le noie ed i tormenti dell'iniziazione? Niente altro che un sognare più lucido provocato artificialmente; mi si insegnò ad interpretare le visioni dei sogni e a dare loro un significato mistico-profetico, che comunemente si adattava a qualsiasi circostanza.
15. Se anch'io, come molti altri, fossi stato un sognatore debole di spirito, simili produzioni da giocoliere, inscenate per illudere i sensi, avrebbero in ogni caso fatto su di me un'enorme impressione, e io sarei vissuto prestando completamente fede alle stupidaggini. Ma invece, nonostante tutte le illusioni, io vidi subito l’infondatezza di quelle cose, riconobbi in me l'imbrogliato e nei maestri della sublime scuola gli involontari ed anche volontari imbroglioni, che di tutto quanto insegnano agli altri, non credono nemmeno una parola.
16. E questi ultimi sono ancora i più avveduti, mentre gli altri, che credono a qualcosa di quanto dicono, sono naturalmente già parecchio più altolocati sulla scala della stoltezza e riconoscono quella chiara verità che poggia su innumerevoli esperienze sempre uniformi, la quale avverte: "O uomo! Tu non vivi che dall'oggi al domani, e poi non più!"
17. A Kornak io pagai la richiesta tassa scolastica per l'iscrizione e l'iniziazione, e me ne partii con la chiarissima convinzione di aver sborsata una forte somma completamente per nulla in rapporto a quello naturalmente a cui io mi ero veramente ripromesso di arrivare.
18. Cammin facendo m'imbattei in un individuo che volle accompagnarsi alla mia carovana; egli aveva visitato la Persia e perfino gli antichi credenti birmani, e di questi cominciò a raccontarmi miracoli. Dopo tre giorni ci mettemmo d'accordo d'intraprendere un viaggio nel paese dei famosi antichi credenti, passando per la Persia. Il nostro viaggio, congiunto a molti disagi e pericoli, durò cinque intere settimane e là trovammo un popolo che si assoggettava ad una vita di penitenza terribilmente rigida, ma che del resto era però quanto mai ospitale, ed infatti noi fummo accolti con straordinaria amorevolezza. Per quello che riguardava il loro linguaggio, la cosa mi offrì certamente qualche difficoltà; tuttavia il mio amico lo conosceva e si prestò a farmi da interprete, in maniera che potei così mettermi in relazione con quei famosi professanti l'antica religione, che si vuole discendano direttamente da Noè. In breve tempo imparai dal loro idioma quel tanto che bastava a comunicare con quella buona gente. Naturalmente le mie investigazioni miravano anzitutto a stabilire quale fosse la loro convinzione o le loro idee circa la vita futura.
19. Ma la risposta che ne ebbi fu che ad una simile cosa è a conoscenza soltanto del loro sommo sacerdote immortale, che poteva comunicare continuamente con Dio, nonché vedere il mondo dell'aldilà con tutti coloro i quali vi fossero prima trapassati. Questo sacerdote, però, era sempre invisibile a tutti i mortali! A nessuno era lecito avvicinarsi alla sua residenza e soltanto una volta all'anno, all'alba di un Sabato, egli si mostrava ai mortali per qualche istante su di una rupe d'oro; essi però dovevano radunarsi a mezz'ora di distanza. Ma i mortali erano invece tenuti a credere e a sperare, qualora avessero osservato le leggi, dico Io, di ferro e insopportabilissime, ma se qualcuno avesse mancato a tale dovere, doveva compiere opere di penitenza dinanzi alle quali perfino Satana avrebbe dovuto inorridire!
20. Mi furono anche indicati dei penitenti di questa specie, che di fronte al loro aspetto, senza esagerare, mi si rizzarono i capelli sul capo! Quello che nelle scuole d'Egitto avviene piuttosto apparentemente e soltanto per suscitare angoscia e spavento, là altrettanto e peggio ancora succede nella più cruda realtà! Ma perché si sottopongono questi uomini, questi stupidissimi fra gli animali, a simili orrori? Ebbene, unicamente per il miraggio di una vita futura migliore!
21. Essi si incatenano con tanta ostinazione e forza ad una speranza artificiosamente creata, la quale, con questa pessima fra le pessime illusioni delle loro misere anime, finisce con il venire da loro considerata come una fra le più inoppugnabili verità!
22. Ma certamente, a perpetuare un simile stato di cose, concorrono con tutte le loro forze i sacerdoti, per la ragione che con questo ingannare la gente essi si mantengono sempre la posizione più ragguardevole e si assicurano una vita comodissima. L'umanità è abbastanza sciocca, e perciò trova piacere nel venire imbrogliata. In quanto a me, però, questo non è più il caso già da molto tempo, e quello che mi occorre è la certezza oppure una morte che mi liberi completamente.
23. Dopo un periodo tormentoso di un anno, io lasciai il luogo dove erano questi antichi credenti e accompagnatomi ad una carovana di persiani feci ritorno a casa mia, vale a dire a Gerusalemme, e là divenni ben presto levita nel tempio e poi fariseo (VARIZAER, cioè custode, pastore). Dopo poco tempo venni da queste parti, ed ormai sono già da undici anni al servizio della sinagoga, in qualità di sacerdote ebraico.
24. Io di certo non ho fatto la gente più sciocca di quanto lo fosse prima, né mediante le parole né con i fatti; però non ho contribuito neppure a renderla più savia, perché il mio pensiero era questo: "Chi si trova felice nella sua stoltezza lo si lasci in pace, poiché perfino con la più evidente verità non gli si fa un dono proprio particolare!". Ecco, io così ho soltanto voluto mostrarTi come sono fatto e come la penso.
25. Se dunque spetta alla legge umana, difficile ad ogni modo da osservare, decidere se un essere umano sia onesto o birbante, io sono evidentemente un peccatore al cospetto del Tuo Essere lealmente purissimo, e per amor Tuo non posso, non voglio, né devo cimentarmi a parole con la Tua santità.
26. Ma se per Te, come per me, non è norma la legge umana, ma soltanto l'uomo tale quale egli è secondo la sua natura, allora, nonostante la Tua Divinità che veramente non m'interessa affatto, Tu puoi certo parlare con me altrettanto bene quanto io con Te! Ma non attenderTi perciò da me ringraziamenti od onoranze, anche ammesso che Tu fossi Jehova in Persona, poiché in questo caso sarei opera Tua ed io non vedo assolutamente motivo per cui sarei tenuto a temerTi o ad amarTi e ad onorarTi.
27. Ah, se io avessi potuto pregare prima di esistere, allora il rapporto sarebbe del tutto differente, anche qualora fossi un amico della vita; ma, invece, io sono diventato un nemico della vita, perché ho sempre trovato la povera e onesta umanità destinata a languire sotto il giogo ignominiosissimo di ogni tipo di leggi stupide e meschine; soltanto coloro che dai primi princìpi hanno saputo abbindolare a tutto spiano il loro prossimo più debole di cervello, soltanto quelli sono felici, perché hanno sempre trovato il modo d'innalzarsi al di sopra di ogni legge.
28. Questi ottenebrano la mente del loro misero prossimo con ogni genere di belle promesse per l'aldilà, affinché essi stessi possano condurre tanto più liberamente una vita agiatissima nell'aldiquà. Queste cose io le conosco assai bene, e so pure che cosa pensare di una vita futura dopo la presente vita terrena e che cosa aspettarmi da essa. Di conseguenza anch'io non ho paura dell'Onnipotente Dio e meno ancora di un qualche reggente del mondo, per quanto grande e potente possa essere.
29. Dio non Lo temo per la semplice ragione che Egli deve essere evidentemente un'Entità troppo sapiente, al Quale non deve sicuramente far piacere tormentare un misero vermiciattolo nella polvere, che Egli, con il Suo minimo alito, può annientare qualora incominci a dargli noia. D'altro canto Dio, l'Essere cioè supremamente sapiente, non può neppure ragionevolmente pretendere da me onore, adorazione ed amore, per il fatto che Egli, non pregato né richiesto, mi ha chiamato ad una miseranda esistenza, che per bocca di gente ambiziosa ed avida mi insegna a sperare in una beatitudine futura nell'aldilà, con l'obbligo, in certo qual modo, di prendere un simile insegnamento come pienissima verità, mentre da ogni parte mille esperienze mi mostrano con assoluta evidenza perfettamente il contrario e mentre la natura immensa da tutte le sue tombe va continuamente proclamando ad alta voce: "O uomo! Tutta la tua vita non dura che dall'oggi al domani!"
30. Tu vedi dunque che con l'antica e famosa fede e con la sua consolante accompagnatrice, cioè la cara speranza, da me non c'è da cavare niente, proprio niente del tutto! Fammi perciò conoscere la verità che io sentirò in modo vivente, come sento questa mia esistenza, e poi potrò fare a meno di ogni fede, come pure di ogni vana speranza!
31. O saggio e possente Uomo di Jehova, non stuzzicare il nostro appetito senza che poi ci sia qualcosa da mettere fra denti! Di fronte a Te, o sapiente amico, io non mi sarei espresso così senza alcun velo, se dalle Tue parole e dai Tuoi insegnamenti di prima non avessi attinta la persuasione che in Te dimora la verità, e che Tu pure sei Uno che ha intenzioni oneste rispetto all'umanità.
32. Perché, se Tu pure rispetto alle parole dovessi avere dei pensieri nascosti non concordanti con le stesse, allora lasciami in quella verità da me faticosamente acquisita a prezzo di mille amare esperienze!»
Dove si deve cercare la verità.
1. Dico Io: «Caro amico, quando tu perdi qualcosa e poi la cerchi in un luogo estraneo dove non hai perduto niente e insisti nel cercare, meravigliandoti perché malgrado le lunghe e diligenti ricerche ed i molti sacrifici non ti riesce di trovare assolutamente nulla, che cosa si deve dire in questo caso? E benché tu sia un uomo prudente e avveduto, a questo riguardo non lo sei stato affatto!
2. Vedi, già all’inizio della tua ricerca tu trovasti Mosè ed i profeti vuoti, privi di spirito e lontani dalla verità; tu li considerasti, come tutto il resto, una vana forzatura scaturita da mente d'uomo, e non ti prendesti mai la briga di penetrare nello spirito della Scrittura, ma preferisti invece sprecare tempo e moneta per cercare la verità in luoghi dove non la si sarebbe potuta mai più trovare!
3. E così avvenne che tu necessariamente ti trovasti ingannato e dovunque truffato, non trovasti altro che menzogna, ipocrisia e l'imbroglio più evidente, ma di conseguenza anche le tue molte esperienze dovettero, altrettanto necessariamente, risultare amare e non ti sono servite fino ad oggi a niente se non eccettuato che esse finirono col renderti odiosa perfino la vita e fecero scomparire da te ogni amore, ogni venerazione e ogni rispetto verso Dio.
4. Ma se tu avessi cercato la verità nel posto che è suo, l’avresti senza dubbio trovata già da lungo tempo, come l'hanno trovata moltissimi prima di te!
5. CrediMi, la verità non esige una fede come la immagini tu, né una vana speranza priva di riserve nascoste, sebbene essa susciti nella tua parte vitale più interiore una fiducia chiara come il Sole e non lasci più adito al benché minimo dubbio circa la vita futura; la più perfetta ed evidente convinzione vive allora nel tuo spirito, quando questo si desta per effetto dell'amore per Dio e per il prossimo.
6. Certamente, però, una cosa di questa specie non si può trovare né alla scuola pagana di Kornak in Egitto né meno ancora presso i vecchi palazzi dell'India!
7. Tutto ciò giace molto più vicino all'uomo, e per ogni diligente cercatore è molto facile da trovare, ma è bene cercarlo laddove lo si può trovare, altrimenti ogni lavoro ed ogni fatica è una cosa vana! Dove non ci sono che tormenti e spine non si raccoglie l'uva né fichi, e nelle cloache e nelle paludi non prospera il grano.
8. Tu hai detto altresì che non sei debitore a Dio né di amore né di timore né di una qualche gratitudine, e ciò per il fatto che tu non Lo hai mai pregato di chiamarti all'esistenza. Però Io ti dico che se il tuo spirito fosse già desto, esso ti avrebbe chiarissimamente indicato quello di cui sei debitore a Dio, il Padre di tutti gli esseri umani. Certamente la tua carne e il tuo sangue ne sanno a questo riguardo altrettanto poco, quanto poco il tuo mantello sa quando il tuo stomaco si sente vuoto.
9. Qui a questa mensa, però, troverai un certo Filopoldo da Cana di Samaria. Fino a poche settimane fa egli pensava come ora pensi tu, e così pure le sue parole somigliavano alle tue di oggi. Parla con lui e ne otterrai senza dubbio qualche luce; ma solo dopo ti verrà data da parte mia una vera luce, e allora ben si vedrà se Dio sia o no degno di un qualche puro e vero amore da parte tua! Ecco, proprio dirimpetto a Me siede appunto l'uomo con il quale devi prima intrattenerti. Va' come ti ho detto e segui il Mio consiglio, e vedrai che sicuramente ne avrai vantaggio maggiore che non frequentando la scuola di Kornak!»
10. Allora Murel, facendo tutto il giro della lunga mensa, si avvicina a Filopoldo e gli dice: «Il Maestro mi ha indirizzato a te allo scopo di ottenere una vera e seria scintilla di luce riguardo alla questione che mi assilla. Dimmi, dunque, quanto puoi di buono e di vero!»
11. Risponde Filopoldo: «O amico, io ho inteso tutto quello che tu in presenza di tutti noi hai detto in faccia al Signore, e da quello che ho inteso ho potuto riconoscere in me che una volta io non pensavo e non parlavo molto differentemente da te; sennonché la causa del fenomeno era da ricercarsi esclusivamente in me stesso. Anch'io andavo cercando laddove non avevo perduto niente, ma dove veramente avevo perduto, là non cercai, e di conseguenza non trovai neppure niente. Soltanto quando questo Signore e Maestro venne a noi dall'Alto e dall'eternità, allora soltanto gli occhi mi furono aperti, e a quel punto io riconobbi chi sono e perché sono, e riconobbi pure che cosa e perché, in generale, è l'uomo! E vedi, o amico mio, adesso tutto è luce in me e nessun dubbio tenebroso offusca più in qualche modo il mio essere chiarissimamente illuminato. Ma così pure questo sarà certo fra breve anche il tuo caso».
Della decadenza della sapienza egiziana e indiana.
1. Murel allora prega Filopoldo di dargli in proposito un sufficiente chiarimento. E Filopoldo risponde: «O amico e caro fratello mio! Tu sei ricco d'esperienza ed hai viaggiato perfino in India, nonché nei paesi che si trovano molto al di là ancora del Gange, fino alle montagne che non sono mai state ancora calcate da piede d'uomo. Prima però avevi già viaggiato e visitato l'Egitto, là dove il Nilo dalle acque ribollenti precipita giù dalle rupi. Non ti rimase sconosciuto l'antico tempio di "Ja bu sim bil" costruito sulla roccia, e un mattino udisti risuonare le colonne di Mem'n'on-Säulen. Le antiche scritte a caratteri cuneiformi attrassero la tua attenzione, e cercasti di decifrare quelle ancora più antiche a geroglifici.
2. I maestri di Kornak avrebbero dovuto spiegarti ogni cosa, considerato che eri disposto a compensarli molto bene, e tuttavia non l'hanno fatto per la ragione che non lo potevano fare. Perché i savi e gli scienziati d'Egitto del tempo attuale non sono più appunto neanche l'ombra di quelli che ai tempi degli antichi faraoni fondarono simili scuole e templi. Per quanto concerne la sapienza antica, essi si trovano ancora in condizioni peggiori degli scribi e farisei di Gerusalemme, ed i birmani poi sono ancora più arretrati degli egiziani. I birmani sono passati ad un ascetismo tale da costituire una vergogna per l'umanità; ora cos'altro è un simile ascetismo, se non uno sconfinato orgoglio da una parte ed una sconfinata stoltezza dall'altra?
3. Una volta l'umanità era in possesso della vera sapienza quale l'aveva posseduta il patriarca Noè; ma con il tempo, quando le famiglie si accrebbero a popolo il quale chiaramente doveva avere maggiori bisogni di una piccola famiglia, le forze fisiche della gente dovettero venire messe troppo a contributo, perché ciascuno potesse occuparsi della sapienza più interiore.
4. Allora i popoli elessero dal loro seno i più savi, affidarono a loro la sacra incombenza e fecero promettere solennemente a loro di avere cura che la conoscenza di Dio venisse sempre mantenuta fra il popolo, e che la sapienza interiore non andasse perduta, ma venisse conservata per loro e per i loro figli!
5. Contemporaneamente i popoli concessero ai sovrastanti alla sapienza, ai custodi e tutori, il diritto di emanare leggi conformi alla sapienza stessa, per la cui sanzione restava garante ed esecutore tutto il popolo, dal primo all'ultimo individuo, in modo che i trasgressori di queste leggi sante non avrebbero dovuto sfuggire ad una grave punizione!
6. Da principio questa istituzione funzionò in maniera eccellente e non ebbe alcun nocivo effetto. Però, in seguito anche la casta sacerdotale si moltiplicò e l'aggravio per il loro mantenimento materiale andò aumentando. Fu allora che incominciarono a venir emanate nuove leggi e nuovi decreti, sotto la mistica denominazione di ordinanze divine. Punizioni, penitenze e ogni tipo di artifici truffaldini, presentati sotto il manto del miracolo, si videro allora pullulare, né furono dimenticati i mezzi di riscatto, perché, chi avendo offeso qualcuna di queste leggi pretestuosamente dichiarate di origine divina e avesse voluto liberarsi dalla rispettiva punizione, doveva pagare un enorme riscatto. I poveri, ovviamente, dovevano rassegnarsi a scontare la pena, e questo a causa dell'esempio marziale. E che oggigiorno le cose debbano andare ancora peggio, questo è facile da comprendere!
7. Dunque, amico mio, è là che tu andasti a cercare la verità e la profonda sapienza? Si comprende che tu, in quelle condizioni, non avresti mai potuto trovarla, come pure si comprende che in seguito a ciò tu sia divenuto un completo nemico della vita. Però, che tu stesso sacerdote e dottore della legge non hai pensato di indagare appunto nella Scrittura, per vedere se e quanto di verità e di sapienza si trovasse celato e se non ci fosse stata la possibilità di arrivare ad una visione interiore della vita in conformità alle norme dell'antica scuola dei profeti, questo confesso che ora non mi è possibile comprenderlo interamente!
8. Certamente, sotto un certo punto di vista, con la conoscenza della verità ame non andava molto meglio, e la mia sapienza si limitava per lo più alla filosofia greca, anche se reputavo superiori le Scritture sacre degli israeliti, però a me mancava la radice fondamentale, e di conseguenza questo albero meraviglioso non poteva portare frutto per me».
Della vita anteriore degli uomini.
1. Filopoldo: «Ma nel momento in cui, poche settimane fa, mi fu concessa l'inestimabile felicità di incontrarmi con questo divino Maestro, tutte le fosche nubi svanirono d'un tratto, e il Sole della vita di Dio irradiò la sua luce nella mia anima! Ed appena in questa santa Luce io riconobbi il mio essere e l'Essere di Dio, e soltanto allora io vidi chiaramente di che cosa e di quanto sono debitore a Dio, l'unico Padre santo, a Lui che è dalle eternità l'Amore il più puro.
2. Io riconobbi del tutto me stesso e mi convinsi che prima di diventare un uomo su questa Terra avevo concluso con il divino Spirito un contratto del tutto speciale agli scopi della mia educazione a figlio di Dio, e che questa Terra è in tutto l'infinito il solo ed unico mondo che ha la mansione di offrire dimora ai figli di Dio, i quali possano venire generati ed allevati secondo l'Ordine eterno dell'Amore di Dio.
3. Guarda lassù, tutte le stelle innumerevoli non sono altro che mondi molto più grandi e splendidi di questa Terra, e su ciascuno di quei mondi tu trovi degli esseri umani che per quanto concerne la forma sono perfettamente simili a noi, e trovi dappertutto fra di loro una grande sapienza, né fra di loro fa completamente difetto l'amore; però essi vengono alla luce già perfetti, quasi come gli animali di questa Terra, e non hanno bisogno di imparare tutto quanto essi sanno, vogliono e devono dai primissimi elementi. Il linguaggio è quasi dappertutto identico, e la loro conoscenza ha dei limiti ben precisi; ma dappertutto la conoscenza giunge fino al supremo Spirito di Dio ed essa è piuttosto un presentimento che non una vera conoscenza.
4. In breve, su tutti gli innumerevoli corpi mondiali tu trovi degli esseri umani che sono quasi perfettamente simili ai pagani della specie migliore su questa Terra, con la differenza soltanto che gli uomini, sugli altri corpi mondiali, non fanno mai veramente nulla di nuovo né inventano niente, e tutto quello che c'è là esiste già al massimo grado possibile di perfezione, mentre i pagani di questa Terra possono pur sempre scoprire e inventare qualcosa di nuovo, e di conseguenza a loro non resta mai ed in nessun modo preclusa la via per una perfezione graduale all'infinito.
5. Tuttavia, su quegli enormi mondi ci sono pure qua e là dei sapienti che talvolta, per così dire, si incontrano con degli spiriti superiori e si fanno istruire da questi nella conoscenza più profonda di Dio, e allora qualche volta succede che qua o là a qualche abitante di quei mondi, più desto di spirito, sorga la brama di diventare anch'egli un figlio di Dio!
6. Perché nell'Universo tutti i sapienti sanno, per mezzo degli spiriti superiori che si rivelano a loro, che nello sconfinato spazio della Creazione esiste un mondo sul quale gli esseri umani che vi dimorano sono dei figli di Dio, e che pure un'anima di un altro mondo, che si sia spogliata del proprio corpo, può diventare, reincarnandosi, cittadina di questo fortunato mondo, certo però in un corpo grezzo totalmente di carne. Ma dal momento in cui qualcuno manifesta questo suo serio desiderio, gli viene fatto presente per filo e per segno, con assoluta precisione, tutto quello di grave che egli su quel mondo dovrà sobbarcarsi.
7. Anzitutto ad una simile anima viene tolto ogni ricordo del suo buon stato anteriore, in modo tale che nel nuovo mondo, partorita fuori da un corpo imperfetto di donna, essa appare per il mondo esteriore quasi completamente incosciente, e simile a questo riguardo agli animali d'infimo grado, da non poter rendersi nemmeno minimamente conto della nuova esistenza. Solo dopo, lentamente e gradatamente, circa dopo un anno, incomincia a svilupparsi in essa una coscienza del tutto nuova per effetto delle immagini, dei fenomeni e delle percezioni acquisite tramite i sensi. A questo punto la memoria e il ricordo recente di quanto percepito costituiscono le sole guide e gli unici aiuti sulla nuova via di questa vita terrena. Qui non vengono affatto degli spiriti superiori inviati da Dio per condurre il bimbo ad una conoscenza maggiore in altezza ed in profondità, ma i genitori, con l'esperienza da loro acquisita, essi sono chiamati a curare amorosamente il figlio affinché venga avviato su di una via migliore. Il fanciullo poi deve studiare molto e imparare, deve iniziare a disporre di se stesso, deve cercare e pregare, deve sopportare l'angoscia, la fame, la sete e sottostare ad ogni altro genere di privazioni; deve umiliarsi ed abbassarsi fino nell'ultima fibra della sua vita; e alla conclusione di una simile vita viene di solito una penosa e grave malattia che segna la fine della vita dell'umana creatura di carne.
8. Se l'uomo ha soddisfatto tutte le condizioni di vita prescritte e richieste, se ha amato Dio sopra ogni cosa e il prossimo suo come se stesso, anche essendo stato in compenso perseguitato da quest'ultimo come un feroce nemico, allora egli ha pure animato la scintilla dello spirito di Dio deposta nel cuore della sua anima e l'ha destata ed avviata allo sviluppo.
9. Qui soltanto incomincia ad accrescersi il Dio nell'uomo; Egli compenetra l'anima e la rende pari a Sé, e così l'uomo naturale di prima assurge dal profondissimo fango della sua nullità alla dignità di figlio di Dio, il quale in un simile perfetto stato gode di tutte quelle perfezioni che sono in Dio stesso.
10. Vedi, o mio amico Murel, come ora ti ho esposto per sommi capi e nei termini più concisi possibili, precisamente così pure viene esposta la cosa all'abitante di un mondo stellare, e qualora poi egli lo richieda in maniera viva e seria, viene in un istante spogliato del suo leggero corpo, e reso inconscio viene in un altro istante trasferito su questa Terra per esservi generato, ed allora una simile creatura umana viene a trovarsi dinanzi a te, come appunto è il mio caso e pure il tuo.
11. Ma da quanto ho detto ora, tu sai se prima di venire su questa Terra abbiamo o no concluso spontaneamente un contratto con Dio, il Signore?
12. Dio nel Suo eterno Ordine mantiene immutabilmente la Sua parola, e niente può cambiare la Sua intenzione; se noi però abbiamo pure fatto sempre così, secondo la legge che Egli stesso ha dato per tutta l'umanità per mezzo di Mosè e per mezzo dei primi padri di questa Terra e che per di più ha scritto in ciascun cuore umano, questa, vedi, è un'altra domanda!
13. Certo io non dubito che d'ora innanzi noi osserveremo questa legge, ma ciò non sarà dovuto alle nostre fatiche, ma soltanto alla misericordia di Dio. E adesso, dimmi, come ti soddisfa questa piccola sapienza!»
L'esperienza dell'aldilà di Filopoldo.
1. Dice Murel: «Ascolta, o amico Filopoldo! Tu adesso mi hai rivelato delle cose che sicuramente nessuno mai ha avuto finora la più pallida idea! Ma tutto è una serie ininterrotta di enunciazioni prodigiose; dimmi dunque, proprio sul serio, è forse questa una produzione della tua fantasia? Perché tutto ciò ha un aspetto così strano e tanto fuori dall'ordinario da somigliare ad una delle principali favole della fede pagana.
2. È possibile del resto che tutto corrisponda perfettamente a verità, ciò che io non sono in grado di giudicare dato che la conoscenza delle stelle è appunto quella che mi fa più difetto. Ma chi anche potrebbe immaginarsi che le stelle, queste piccole luci del cielo, siano dei mondi ancora più grandi di questa Terra e che pure mai nessuno ha ancora visto dove finisce?!
3. Oh, assicurami riguardo a questo punto, te ne prego! Perché tu hai suscitato in me un desiderio troppo ardente di venire iniziato più da vicino in questo mistero quanto mai meraviglioso! In Mosè non c'è sicuramente alcuna traccia di qualcosa di simile, anzi neppure il più lieve accenno, poiché nella sua storia della Creazione non appare a questo riguardo nemmeno una sola parola, e in generale dalla sua Genesi nessuno è mai riuscito a comprendere che cosa veramente egli abbia voluto dire!»
4. Dice Filopoldo: «O amico! Chi interpreta Mosè nel modo giusto, può trovarvi anche questo; ma per arrivare a ciò ci vuole senza dubbio di più dell'imprimersene faticosamente a memoria il significato puramente letterale. A chi però avesse amato Dio sopra ogni cosa, a lui lo Spirito divino avrebbe già fornito i chiarimenti opportuni ed egli saprebbe allora anche come la Genesi di Mosè non significhi proprio la storia della vera e propria creazione dei mondi, quanto piuttosto e soltanto dell'educazione e della formazione spirituale di tutto l'essere umano e della sua libera volontà nell'Ordine di Dio, ciò che appunto nella Genesi è rappresentato estesamente. Ma chi vede e comprende ciò, quegli può rilevare, attraverso delle vie di infallibili rispondenze, anche tutto il rimanente che vi è contenuto, come ho potuto io stesso dimostrarti in maniera non soltanto chiara, ma addirittura palpabile. Ma non avremmo il tempo necessario per spiegare la cosa proprio oggi.
5. Io però ho qualcos'altro che mi fu dato come prova inoppugnabile dall'Alto tramite la grazia meravigliosa del Signore, il Quale si trova ora fra di noi perfino corporalmente, così come tutti i profeti l'hanno fedelmente annunciato.
6. Come adesso, anche quel giorno, quando il Signore che veniva da Chis ci visitò a Cana, c'era fra noi uno spirito angelico rivestito di un corpo etereo; quell'angelo, per comando del Signore, sciolse la benda che copriva gli occhi della mia anima e immediatamente ritornò in tutto il mio essere la piena coscienza della mia preesistenza, o meglio della mia esistenza in un altro mondo.
7. All'istante io riconobbi il meraviglioso e immenso mondo sul quale ero vissuto nella carne, prima della mia esistenza presente su questa Terra, anzi di più, io vidi là perfino i miei genitori, i fratelli e le mie sorelle viventi tuttora nella carne, e l'angelo mi portò su questa Terra anche alcuni utensili da me posseduti in quel mondo e che io riconobbi subito per incontestabilmente genuini.
8. Ma al momento che mi fu donata una simile luce spirituale di portata incommensurabile, io vidi anche bene tutto quello di cui sono debitore a Dio, il Signore, e ora perfino al Padre amorosissimo!
9. E soltanto in quel momento si affacciò al mio essere, in tutta la santa sua realtà, la visione del valore incalcolabile della mia vita, come pure della vita di ciascuna creatura umana; ed ora non ho né idee né parole sufficienti per lodare e glorificare Dio, il Signore, nonché tutto il mio prossimo!
10. Però, prima di questo fatto prodigioso io ero un nemico della vita precisamente come lo sei stato tu, ma io sono già ora convinto che tu pure, fra breve, sarai e penserai come sono e penso io ora. E quello che ti ho appena narrato lo possono confermare come pienamente vero quasi tutti coloro che siedono a questa mensa, qualora tu voglia chiedere una tale dichiarazione.
11. Ma il testimone più degno di fede di tutti è qui appunto il Signore stesso, il Quale ti ha indirizzato a me, affinché tu apprendessi da me se, conforme alla tua opinione, l'uomo non deve a Dio, il Signore, né gratitudine, né lode, né amore!»
L’ordine naturale dei mondi.
1. Dice Murel: «Io ti ringrazio, o mio amico e fratello Filopoldo, delle tue profonde e chiare parole! Tu mi hai ora rivelato delle tali cose che probabilmente non furono fatte conoscere a Salomone all'apice di tutta la sua sapienza nemmeno in sogno. La cosa è così tanto enormemente straordinaria che qualunque pensatore dovrebbe, già udendola, metterla immediatamente anche senz'altro in dubbio, dato che nel nostro intelletto umano esteriore non esiste neppure un barlume del più lieve presentimento di una cosa simile. E tuttavia non ci può essere a questo riguardo ormai più il benché minimo dubbio in me, perché, se ciò non fosse così fondato sulla tua più chiara esperienza, non avresti potuto nemmeno esporlo a me con tanta scioltezza. E infatti, da quando la Terra è portatrice di creature umane certo a nessuna di queste è potuto venire in mente qualcosa di simile, e tu stesso non avresti potuto pensarlo se non fosti stato guidato dalla più chiara ed evidente esperienza. Perché queste cose nessuno può succhiarsele fuori dalle dita e non può che trattarsi di una suprema e meravigliosissima rivelazione dall'Alto; io dunque devo accettarla per manifestatamente vera, come se l'interessato fossi stato io stesso.
2. Ma adesso dammi ancora qualche piccola spiegazione riguardo alle stelle, perché non mi riesce ancora affatto di far entrare nella mia mente come possano quei minuscoli puntini luminosi essere altrettanti mondi!»
3. Risponde Filopoldo: «Eh, mio caro amico, la cosa sarà un po' difficile, perché tu non hai ancora alcuna idea di questo nostro mondo terrestre, né puoi raffigurarti che aspetto esso veramente abbia nel suo complesso e nei suoi rapporti fisici con gli altri mondi. Perciò io prima devo spiegarti com'è formata e costituita questa Terra, e solo dopo sarai più facilmente in grado di farti un concetto preciso anche degli altri mondi»
4. Allora Filopoldo incominciò a descrivere a Murel il complesso del corpo terrestre come un sapientissimo professore di geografia, appoggiando la dimostrazione anche ai fenomeni che avevano colpito l'attenzione di Murel ed alle esperienze fatte da lui durante i suoi viaggi; egli gli indicò pure le cause che scaturiscono da queste per le quali sulla Terra la notte deve seguire al giorno sempre con perfetta regolarità, e gli descrisse oltre a ciò la Luna, la natura di questo satellite, la sua distanza dalla Terra e i suoi compiti, come pure le caratteristiche degli altri pianeti appartenenti al nostro sistema.
5. E quando ebbe finito con tali spiegazioni date nella misura più chiara ed evidente possibile, soltanto allora passò alle stelle fisse, dicendo così:
6. «Tu ora hai imparato a conoscere, per quanto è stato possibile dato il breve tempo a disposizione, l'essenza della nostra Terra, della Luna, del Sole e degli altri pianeti che circolano intorno a questo Sole, ed è difficile che tu possa avere dei dubbi sul fatto che "così deve essere, perché è impossibile che sia diverso", ed io ormai posso dirti che tutti i maggiori e minori punti luminosi sul firmamento essi pure non sono altro che corpi solari immensamente grandi, dei quali ce ne sono alcuni che sorpassano in grandezza, fino all'incredibile, questo nostro Sole, di fronte alla cui grandezza hai quasi cominciato ad avere le vertigini.
7. Ma il fatto che le stelle ci appaiono così piccole dipende dalla loro enorme distanza da noi. Se tu puoi immaginarti l'immensa distanza del nostro Sole dalla Terra aumentata di quattrocentomila volte ottieni, approssimativamente, la distanza che ci separa dalla stella fissa a noi più vicina dopo il Sole. E qui puoi anche facilmente trovare il motivo per cui esse appaiono così piccole ai nostri occhi di carne, se consideri che già il nostro Sole, che pure è così grande rispetto alla Terra da contenere senza eccessivo ingombro mille volte mille delle nostre Terre, ci sembra essere a mala pena così grande come una mano d'uomo.
8. Ci sono però delle altre stelle fisse, che noi possiamo ancora percepire con la nostra vista, che sono così incommensurabilmente lontane che noi non conosciamo affatto un numero atto ad esprimerne la distanza. Se tu dunque hai ben afferrato quanto ti ho detto, ti riuscirà certo molto facilmente comprensibile come quei minimi puntini luminosi possano essere benissimo dei corpi mondiali smisuratamente grandi, anche se all'occhio di carne non appaiano mai per quello che veramente sono! Hai compreso bene tutto ciò?».
Il discorso di lode e ringraziamento di Murel.
1. Dice Murel: «O amico mio, io sono ormai libero e quanto mi era finora oscuro è perfettamente tutto chiaro; però adesso mi è pure assolutamente chiaro che un essere umano non avrebbe in questo campo potuto raccogliere in tutta l'umanità proprio niente senza la straordinaria assistenza di Dio. Chi mai può gettare con tanta chiarezza uno sguardo alle norme secondo le quali è amministrata la casa di Dio infinitamente grande, se non unicamente uno spirito dai Cieli? Soltanto lo Spirito di Dio può spaziare in tali immensità e poi rivelarle a noi uomini se ci dimostriamo almeno un po' di buona volontà. Ma se gli uomini volessero, con il loro intelletto, trarne qualcosa senza una rivelazione dall'Alto, non ne caverebbero da eternità ad eternità altro che vane sciocchezze. Però Dio, il Signore e Padre di noi tutti, ha cura dei Suoi figli e dona loro ogni cosa buona dai Cieli quando essi la bramano!
2. Oh, ma anche perciò vada ogni mia lode e il mio amore a Lui, l'unico vero e massimo Benefattore dell'umanità, al Buono e al Santo. Com'è grande e sublime il radioso pensiero che ora come il Sole fuori dalla tenebra della notte sale nel mio cuore:
3. "Noi, esseri umani su questa Terra, non siamo fra di noi che fratelli e sorelle, e il Padre buono e santo nella Sua Onnipotenza ed immensa Sapienza ci guida verso la più sublime e più santa delle mete!"
4. O fratello mio Filopoldo! Come e quando mai potrò io ricompensare il merito che ti sei acquisito presso di me? O amico, se io a cominciare da oggi avessi da vivere quanto è vissuto Matusalemme, e dinanzi a me stessero aperti tutti i templi e tutte le catacombe della sapienza umano-terrena, io, alla fine di tutte le verità che mi hai ora rivelate, saprei solo quel tanto che io ne sapevo quando tu iniziasti ad illuminarmi riguardo a queste cose prodigiose. Adesso invece non è trascorsa neanche un'ora ed io mi sento come Mosè sul Sinai, quando le fiamme della Luce di Dio divamparono alte sopra il suo capo ed egli venne letteralmente compenetrato nel corpo e nell'anima dalla Sapienza divina.
5. Oh, come mi trovo bene ora in questa santa e vera Luce di Dio! Sì, ma solo adesso mi si presenta il problema di come devo lodare e glorificare Colui il Quale ha suscitato in te tanta e poderosa luce, da metterti in grado di destarmi in maniera tanto chiara e possente! È davvero possibile alla bocca di un uomo proferire parole che siano degne di Lui? No, no, ciò non sarà mai più possibile! Ogni lingua mortale deve ammutolire quando la Parola vivente incomincia a divampare con le fiamme potentissime del ridestatosi amore per Dio, il Padre santo!
6. Oh, come infinitamente grande e maestoso appari ora dinanzi a noi, o Maestro santo! Chi mai può comprenderTi nella Tua interezza? Noi uomini certo no, e nemmeno tutta l'eternità!
7. Ma poiché Tu, santo Maestro, conosci cose tali come nessuno le può conoscere all'infuori di Colui che le ha create, io dichiaro ampiamente: "Quantunque Tu, o Maestro santissimo, sia dinanzi a noi celato dentro la carne, tuttavia il mio cuore Ti riconosce: 'Tu sei assolutamente Quello stesso che diede al Tuo popolo eletto, un giorno sul Sinai, le sacre leggi della vita per mezzo di Mosè e che sempre parlò al popolo per mezzo dei Suoi profeti. Tu sei il Promesso e il Promettitore in una Persona, e stai ora adempiendo la grande Parola divina del Tuo Amore, rivolta ai Tuoi piccoli e deboli figli!'. Oh, fa' che noi diventiamo in breve uomini robusti, e la nostra bocca immortale Ti porgerà una lode quale tutti i Cieli non Ti hanno ancora mai offerta, o Padre santissimo!
8. O Terra, se anche come mondo sei misera al paragone dei mondi immensi che lassù nell'incommensurabile spazio della Creazione percorrono le loro orbite infinitamente vaste, come grande tuttavia sei ora al paragone di ogni stella, poiché tu sola porti Colui che esse tutte non possono comprendere.
9. O voi tutti, fratelli miei, perché indugiate ancora ad alzarvi e a glorificarLo sopra ogni cosa, poiché voi pure al pari mio dovete ormai sapere Chi è Che voi avete dinanzi!". Ma qualora tuttavia voi non lo sapeste compiutamente, lo dico io a voi tutti: "Qui è Egli, il Signore, il Padre dall'eternità; Cielo e Terra sono pieni della Sua immensa ed eterna gloria! LodateLo, oh lodateLo con me; si aggiunga alla mia anche la vostra lode, oh voi pure siete già fatti possenti nella Sua immensa grazia e nella Sua Misericordia!"»
10. Ed allora Io dico a Murel: «Io sono già appagato, o Murel, amico Mio carissimo, e quanto hai detto basta perfettamente! Io ti conosco già da lungo tempo e ben sapevo che cosa era celato in te. E poiché tu hai già compreso tante cose in questo breve tempo, molto di più ancora comprenderai in avvenire.
11. Ma ora vieni qui da Me, e bevi un vino puro dalla coppa alla quale ho bevuto Io; poi tu conoscerai ben altre cose ancora, che fino a questo momento non ti sono state rivelate per mezzo dell'amico Filopoldo! Vieni dunque qui da Me!»
12. Esclama Murel: «O chiamata sovrana, o Voce delle voci e Parola delle parole per la prima volta riconosciuta e compresa dalla mia stoltezza! Chi mai può resistere al Tuo invito, quando Ti abbia riconosciuto nel proprio cuore? Oh, come sublime, santa, grande e soave suoni, e come familiare e conosciuta sgorghi dal santo Labbro paterno e voli incontro al debole figlio così a lungo esiliato dal Tuo cuore! In misura sterminata sento affluire verso di me le beatitudini con quell'alito dalla bocca di Colui che un giorno ebbe a tuonare il "Sia fatto" nell'immensità, nel sacro preludio al moto e alla vita negli spazi infiniti che nessuna eternità può conoscere né mai conoscerà dove traggono principio e dove hanno fine!
13. Tremi e rabbrividisca in me ogni traccia che abbia mai potuto incitare il mio essere al peccato, ma tu, o rinato mio cuore, fremi di giubilo! E vedi, è il tuo Creatore, il tuo Dio e Padre che ti ha chiamato, segui dunque il richiamo di questa Voce che ha alitato la vita nelle tue fibre!
14. O Voce paterna, come suoni dolce all'orecchio del filiale amore nel cuore di un figlio ridestato dal sonno mortale!»
L’adempimento della profezia di Isaia.
(25,6-12)
1. Dopo queste parole veramente dense di significato, Murel si mosse verso di Me, piangendo di gioia! E quando Mi fu vicino, egli disse ad alta voce a Stahar e a Floran: «Venite voi pure qui, e aprite i vostri occhi che sono ancora molto offuscati! Nel cortile del tempio foste sì voi a precedermi e da amici mi conduceste là dove voi già eravate, ma qui è meglio del vostro cortile, qui c’è in tutta la Sua realtà il Santissimo!»
2. Dico Io, allora: «Sia come si vuole, tu però prendi la coppa e bevi! Perché tu hai ora parlato molto e la tua gola è già discretamente arsa; ridona dunque al tuo petto il necessario umore con il vino della verità e dell'amore, affinché tu ti irrobustisca e divenga per Me un valido strumento per combattere la notte e le sue deleterie conseguenze.
3. Vedi, qui la notte è sì stata trasformata nel giorno più chiaro, ma tutto intorno a noi regna la notte più profonda e ci vorrà molta ed intensa luce per fugare questa densa tenebra; però ora sei anche tu chiamato a servirMi da fiammante fiaccola!»
4. Dopo ciò Murel, con il cuore colmo di gioia, prende la coppa colma e la vuota fino all'ultima goccia. E immensamente stupito per la straordinaria squisitezza di quel vino, esclama nel suo entusiasmo: «O vino, il più squisito e mirabile che abbia mai deliziato il mio palato, tu certo non fosti spremuto da alcuna uva di questa Terra, né mai otre fu destinato a testimone del tuo fermento, ma fosti portato giù dai Cieli appositamente per il Signore della Gloria di tutti i Cieli. O Signore, o Padre eccellente, quale magnificenza deve regnare nei Tuoi Cieli! Oh, dimmi, come mai abbiamo noi meritato che Tu stesso ci degnassi di tanta incommensurabile grazia ed amore?»
5. Dico Io: «La ragione di ciò sta nel possente vincolo che lega il Padre ai Suoi figli, un vincolo che è pur simile a quello che stringe lo sposo alla sua sposa.
6. Nell'eterno Mio Spirito Io sono vostro Padre già dall'eternità; però in questa Mia carne Io sono tuttavia simile ad uno sposo e voi tutti siete ugualmente la Mia sposa diletta quando accogliete la Mia Parola e la Mia Dottrina, e credete in maniera vivente nei vostri cuori che Io sono il Promesso, il Quale deve venire per redimere tutta l'umanità dal peccato antico, che è un cattivo parto dell'Inferno, e per aprire ad essa la via alla vita eterna e alla vera figliolanza di Dio!
7. In verità Io vi dico: "Chi crede in Me e osserva con le opere la Mia Parola, quegli è come una sposa divina in Me, ed Io in lui sono un vero sposo per la vita eterna. Ma chi è in Me ed ha Me in lui, quegli mai più non vedrà, non sentirà né assaporerà la morte!
8. Chi crede in Me e Mi ama, e con ciò osserva il Mio lieve comandamento del puro Amore, quegli Mi riconosce per Padre nella pienissima luce del suo cuore, a lui Io anche sempre verrò e Mi rivelerò, e da quel momento in poi egli verrà ammaestrato e guidato da Me stesso ed Io impartirò alla sua volontà la forza, perché nel caso di reale necessità tutti gli elementi debbano ubbidirgli!"
9. Nel mondo propriamente detto i Miei certo non celebreranno trionfi solenni, poiché tutti gli uomini che provengono da questa Terra non sono solo figli Miei, ma figli del principe della menzogna, della notte e delle tenebre. Costoro non amano la Mia Luce, né ameranno coloro che andranno a portare loro la Mia Luce; ma non per questo i Miei dovranno scandalizzarsi, poiché il trionfo nel Mio Regno è già riservato a loro!
10. Io vi avverto che per amore a Me e del Mio Nome voi avrete sempre da sopportare qualche persecuzione e il disprezzo da parte del mondo vero e proprio; ma nell'aldilà, nel Mio Regno, la cosa assumerà un aspetto perfettamente opposto, ciò di cui voi potete essere totalmente sicuri, e la potenza della vostra volontà già nell'aldiquà confonderà gli avversari e li ricoprirà di grande vergogna, e voi in segreto giubilerete per amore del Mio Nome. Perché voi sapete Chi sono Io e ciò che Io solo posso darvi; il mondo invece, il malvagio nemico della Luce del Mio Amore, non lo sa affatto, né giungerà a saperlo.
11. Voi però lo sapete, e in questo punto trova ora adempimento ciò che il profeta Isaia profetizzò quando disse: "Il Signore degli eserciti farà a tutti i popoli, su questo monte, un convitto di vivande grasse, un convitto di ottimi vini; di vivande grasse piene di midolla; di ottimi vini finissimi senza feccia. E dissiperà in questo monte il disopra della coperta che è posta sopra tutti i popoli, e il velame che è stato sopra tutte le nazioni. Egli abisserà la morte in eterno; e il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni faccia, e torrà via l'onta del Suo popolo su tutta la Terra; perché il Signore così ha parlato! E in quel giorno si dirà: 'Ecco, questo è il nostro Dio, noi l'abbiamo aspettato, Egli ci salverà, questo è il Signore che noi abbiamo atteso, noi trionferemo e ci rallegreremo nella Sua salute! Perché la mano del Signore riposa sopra questo monte!'.
12. Moab (Gerusalemme e la sua mala costituzione) però sarà trebbiato sotto di Lui come si trebbia la paglia per farne del letame! Ed Egli stenderà le Sue mani in mezzo ad esso come chi nuota stende le mani per nuotare, e abbasserà, abbatterà e getterà a terra, fino nella polvere, la fortezza delle sue alte mura". (Isaia 25, 6-12)
13. Vedi, quello che Isaia profetizzò quando venne in Galilea, appunto in questa regione e precisamente su questo monte ora trova qui completo adempimento sotto i nostri occhi! Conta i popoli che qui vengono rappresentati, e a tutti viene levato dagli occhi il fitto velo che li ricopre, e a ciascuno viene offerto un vino purissimo senza alcuna feccia, e chi lo beve ed accoglie il suo spirito nella propria anima ha accolto in sé la vita eterna; ed egli gusterà, per tutti quelli che sono qui, la Mia Parola come il vino più puro dai Cieli, e a coloro che in futuro ne riceveranno da voi per berne, e lo inghiottiranno anche subito a grandi sorsi, anch'Io inghiottirò la loro morte, né mai più loro la sentiranno né l'assaporeranno.
14. Sì, questa sapienza è un grasso convitto che Io ho qui preparato per voi e per i popoli della Terra; qui venite cibati e saziati con il midollo della più profonda sapienza e della verità eterna.
15. E quando sarete giunti al punto in cui non potrà mai più farvi difetto la giusta e grande provvigione, andate allora in tutto il mondo, ai fratelli e alle sorelle abbandonati e a tutte le vedove e gli orfani, e asciugate le lacrime dalle loro facce e offrite loro abbondantemente da bere di questo vino purissimo che Io ho dato ora qui a voi in misura più che abbondante!
16. Il tempo in cui voi dovrete iniziare quest'opera vi verrà indicato dal Mio Spirito in voi. Quando poi vi accingerete al lavoro, in tutta verità e fedeltà nel Nome Mio, il Mio Spirito, il Mio Io sarà e rimarrà con voi per sempre, in eterno.
17. D'ora innanzi non sarà necessario che vi affanniate per ciò che avrete da dire nel Mio Nome, poiché ogni parola vi verrà posta a tempo debito nel cuore e sulle labbra.
18. Lo Spirito di questo vino che qui vi ho offerto da bere non svanirà mai più in eterno dalle vostre anime, poiché esso si chiama "verità eterna"! Quindi in voi non potrà mai germinare una falsità, dato che in questo vino è contenuta l'eterna verità, mentre la falsità è la morte, la perdizione e il giudizio eterno. La Verità stessa però è anche la Vita, e questa poi sono Io stesso, dato che Io dall'eternità sono la Via, la Verità, la Luce e la Vita Stesse!
19. Chi perciò accoglie Me nel suo cuore, quegli possiede tutto; infatti, all'infuori di Me non c'è, per tutte le eternità e in nessun luogo, una verità e una vita! E adesso, o Murel, dichiaraMi qui dinanzi a tutti, se tutto ciò ti è evidentemente chiaro!».
La promessa del Signore.
1. Risponde Murel: «O Signore, e come potrebbe non riuscirmi chiaro? Perché il vino che Tu mi hai dato da bere era altrettanto limpido, come lo è questa Tua Dottrina, ed ora Io altresì Ti dico che per la prima volta nella mia vita ho compreso interamente Isaia! Questo vino spirituale non conteneva alcuna feccia per me e certamente neppure per tutti coloro che hanno partecipato a questo copioso banchetto spirituale; e nel vino del profeta, ora completamente chiarificato per opera Tua, o Signore, io Ti ho anche perfettamente riconosciuto, e comprendo adesso che ormai io pure sono tra coloro che dicono su questo monte: "Tu, o Signore, sei il nostro Dio che abbiamo atteso, ed ora ci porti la salute veramente in eterno! Moab però è ormai trebbiato a dovere, ed esso giace già come paglia vuotissima e come il letame roso dai vermi e dai mosconi. Oh, quale gioia indicibile è questa per la mia anima già povera, che per così lungo tempo è rimasta assetata di verità e che qui è stata così riccamente compensata di tutte le fatiche cui essa stessa volle sobbarcarsi per la ricerca della purissima verità!
2. Certo, o Signore, Tu solo sei il nostro Dio e il nostro Signore; all'infuori di Te non ce n'è in eterno un altro! A Te solo dunque vada per l'eternità tutto il nostro amore". E a te pure, o mio caro amico Filopoldo, io serberò gratitudine in eterno, perché sei stato il primo ad aprire i miei occhi, affinché potessero vedere quello che io avevo invano cercato in ogni luogo di questa Terra!
3. Ma ora, o Signore, ho da rivolgerTi una grande preghiera a nome di tutti noi, poiché Ti sei lasciato trovare da noi, Tuoi figli, o Signore, non abbandonarci mai più, così che i nostri discendenti siano costretti a cercarTi nuovamente per mille anni ancora senza potere dire: "O Signore! Ti abbiamo ritrovato!" Questa preghiera, o Signore, Ti sia sottoposta nella maniera più viva da parte di tutti noi!»
4. Dico Io: «Nella Mia Parola, che è il Mio Spirito e il Mio Amore, Io rimarrò presso gli uomini di buona volontà fino alla fine del mondo; di ciò siate voi tutti certi!
5. Però, mai per l'eternità in questa Mia figura umana esteriore, dopo che secondo i decreti Io tra breve l'avrò trasformata.
6. Poiché mediante questo corpo Io ho preso su di Me ogni giudizio, e necessita pure che questo corpo venga dato per tre giorni in balia alla morte, affinché d'ora in poi le vostre anime possano avere vita eterna!
7. Ora questo Mio corpo è il rappresentante delle vostre anime, e affinché queste vivano, occorre che esso abbandoni la vita; e la vita da esso lasciata tornerà poi a vantaggio eterno delle vostre anime.
8. Il terzo giorno però anche questo Mio corpo completamente transustanziato riprenderà la vita, e allora la sovrabbondanza del Mio eterno Spirito si riverserà su di voi, ed in voi penetrerà e vi sarà di guida in ogni verità.
9. E soltanto in questa verità voi verrete, come il Mio corpo, transustanziati nei cuori e nelle vostre anime, e voi stessi vi prenderete, in perfetta libertà e indipendenza, la vita eterna fuori dalla sovrabbondanza del Mio Spirito, e solo così voi diverrete, sarete e rimarrete per l'eternità veramente dei figli di Dio.
10. Ma soltanto ora inizia per voi tutti il periodo preparatorio a tale processo. Ascoltate la Mia voce e fate attenzione alle Mie parole!
11. "Nessuno entrerà mai nel Mio Regno, se non sarà attratto dallo Spirito proveniente da Me! Ma Chi è lo Spirito? Ecco, Questo è il Padre dall'eternità, il Quale vi attirerà a Me.
12. Questo Spirito non ha nome; la Sua essenza però è l'Amore. Se avete l'Amore avete anche lo Spirito, e se avete lo Spirito avete anche Me, perché Io, il Padre e lo Spirito, siamo una cosa sola!
13. Siate zelanti nell'amore per Dio e nell'amore per il prossimo, in particolare a quello povero che ha bisogno materialmente e spiritualmente di assistenza, e così, tramite questo amore, voi desterete l'amore per Dio, specialmente se così operando vi libererete del mondo e del suo vuoto giudizio, poiché chi si vergognerà a causa dei poveri fratelli e sorelle del mondo, e li fuggirà per apparire onorato al cospetto del mondo, costui non verrà riconosciuto e accolto neppure da Me.
14. A dirla breve, se qualcuno si vergognerà dei Miei poveri fratelli e sorelle a causa del mondo perverso, Io a Mia volta Mi vergognerò di lui!
15. Ma chi riconoscerà il Mio Spirito anche nei poveri, Io pure riconoscerò lui in eterno per Mio figlio". A queste cose fate voi tutti bene attenzione. Ed ora, qui dove siamo, prenderemo tre ore di riposo ristoratore!».
L’essenza e l’umanità del Signore.
1. I Miei discepoli furono i primi a prendere sonno e anche i romani erano parecchio stanchi; ciascuno si fece un cuscino delle proprie mani e appoggiatosi alla tavola dormirono come su dei soffici letti. Però il nostro Murel e Filopoldo non si addormentarono, ma si ritirarono un po' da parte e dedicarono tutto quel tempo a scambiarsi le loro idee riguardo a tutto quanto era accaduto.
2. Anche il nostro Mataele venne a fare compagnia ai due, e disse: «Non mi è assolutamente possibile prendere sonno dopo tutto quello che in questi ultimi due giorni è accaduto. Pensate un po'! Sono appena trascorsi tre giorni da quando io ero posseduto da una legione di demoni, e forse ero, certo inconsciamente, il più temuto malandrino della regione.
3. Dove veniva sospettata la mia presenza, nessuna carovana si sarebbe azzardata a passare, e chi cadeva nelle mie mani non poteva certo continuare la sua strada senza danno! Ora invece sono genero di Ouran, il re e co-reggente del grande paese sul Ponto, che arriva fino ai confini del regno degli sciti. Il regno pare si estenda dal Ponto fino al Mar Caspio, oltrepassando un'importante catena di monti. Ma non è questo un prodigio fra tutti i prodigi? Certamente, qui succedono cose delle quali nessun mortale può farsi una qualche idea!
4. Ora però si impone una grande domanda, che posta nei suoi termini più semplici è la seguente: "Verrà questa dottrina compresa e mantenuta pura dalle genti che vivono molto lontane da qui o che vivranno in un futuro lontano da noi?". Perché la dottrina, per quanto in sé e di per sé pura e vera, la si considererà certamente come l'ispirazione di un grande profeta, ma l'accettare la versione che Dio stesso, in un corpo di carne e di sangue, l'ha insegnata al genere umano, questo diverrà un articolo di fede molto difficile e vacillante, tanto più che Egli è, per così dire, un figlio naturale di una certa Maria che più tardi divenne moglie di un falegname di nome Giuseppe. Ora, la conoscenza di questi fatti è ormai molto diffusa tra il popolo e riuscirà alquanto difficile inculcare a questo il sentimento dell'umano-divino con riguardo al Signore, nonostante in noi, riguardo a questo punto, non ci sia certamente più alcun dubbio.
5. Noi siamo assolutamente convinti che in Lui non c’è niente di umano-naturale come in noi, ad eccezione della sua forma esteriore, cioè del corpo. Anima e Spirito, invece, sono Dio, perché senz'altro si può sostenere che in Lui dimora la pienezza della Divinità anche corporalmente! E infatti, basta che Egli voglia qualcosa e immediatamente avviene secondo la Sua Volontà.
6. La massima e più evidente prova della Sua Divinità sta però nella Sua Parola e nell'angelo sempre pronto ai Suoi servizi, il quale al cospetto di tutti i presenti compie delle cose che per ciascun mortale sono ancora più inesplicabili della dissertazione di Filopoldo sulle stelle fisse.
7. In poche parole, per noi che siamo diretti spettatori, il carattere santissimamente straordinario della cosa ci appare in tutta la sua più intensa luce, poiché noi possediamo in sovrabbondanza le prove più evidenti.
8. Ma altrettanto non accadrà dappertutto e nemmeno sempre. Ed io ho potuto già qui osservare che, nonostante le prove più incontestabili, a più d'uno riesce sempre ancora immensamente difficile vedere e comprendere l'Essenza divina del Signore, e in questa occasione io ho anche osservato che, in rapporto al riconoscimento del Signore e della Sua Gloria divino-pura, la parola chiarificatrice opera sempre prodigi maggiori del più schiacciante fatto miracoloso e la ragione pare ne vada ricercata in ciò: "Ai miracoli sempre enigmatici, reali o artificiali che siano, si è in questo nostro tempo ormai tanto abituati, che essi non suscitano veramente più nessun particolare stupore in noi»
9. Specialmente da sessant'anni circa a questa parte, da quando cioè i romani sono diventati i nostri signori, c'è stato qui un vero formicolio di maghi e di taumaturghi! Ed avviene che l'uomo ignorante ed inesperto dell'arte magica e misteriosa, getta con tutta facilità nella medesima pentola tanto il miracolo vero quanto l'artificiale, non fa più nessuna differenza fra tutti e due, né d'altro canto può farla, mancandogli tutti gli elementi necessari ad un riconoscimento. Ma considerato ciò non è difficile da comprendere perché un'opera prodigiosa non possa far mai l'effetto che fa una chiara parola.
10. A dirla breve, con il giusto ed opportuno ridestare l'intelletto umano, si ottiene evidentemente di più che non mediante un miracolo qualsiasi».
Il futuro della Dottrina di Gesù.
1. Certo, per noi anche i fatti straordinari sono già un mezzo poderoso di prova, perché il nostro intendimento è ora già destato al punto da poter discernere al primo sguardo che cosa è vero e che cosa è falso.
2. Perché le esibizioni artistiche dei maghi ci sono già tutte conosciute, e non c'è più nessuno che esibisca altre novità. Ma opere del genere come le abbiamo viste qui, richiedono ben più del semplice intervento di un mago d'Egitto o della Persia; esse richiedono l'azione creatrice onnipotente di Dio e la priorità fondamentale-primordiale dello Spirito divino, la Cui Volontà tiene imbrigliati con robusta mano tutti gli spiriti e tutti i mondi, così come un buon guidatore conduce sicuro i suoi cavalli ora tirando e ora allentando le redini, e in questo modo imponendo l'obbedienza con la sua volontà agli animali che altrimenti sarebbero indomabili.
3. Qui dunque è constatabile la pienissima Divinità primordiale, mentre ciò non sarà mai in eterno constatabile nei maghi, per la ragione che Essa non c'è e non c’era mai stata. Tuttavia, questo noi possiamo ammettere, e cioè che i nostri primi padri devono avere molto operato nel campo del prodigioso fuor dalla Potenza divina, perché senza precedenti genuini miracoli non sarebbero mai più sorti falsi miracoli.
4. Attualmente si producono di nuovo dinanzi ai nostri occhi dei prodigi assolutamente autentici, però non ritengo di essere un cattivo profeta se dico che fra qualche secolo ci saranno più prodigi falsi che veri nel Nome del Signore.
5. Ogni cosa sta senza dubbio nelle mani del Signore, tuttavia è bene ammettere con certezza che, in primo luogo, il Signore non rimarrà sempre corporalmente visibile su questa Terra fra gli uomini e non elargirà sempre il Suo consiglio a viva voce, né assisterà con la Sua azione materiale, come avviene ora che Egli getta le fondamenta della nuova dottrina, e che, in secondo luogo, Egli d'ora innanzi vorrà meno ancora limitare la libertà di volere dell'uomo che non in questa epoca destinata a restare in eterno memorabilissima; epoca che dovrà rendere imperitura perfino questa Terra e dovrà costituirla un giorno quale punto-centrale dei Cieli.
6. Perché un mondo, una volta che Egli ne abbia corporalmente calcato il suolo con il proprio piede, deve, per tempi eterni, restare almeno in un certo modo trasfigurato. Ma se l'umanità rimarrà in possesso della sua libera volontà e vedrà la luce del mondo sempre ugualmente così incosciente e quasi priva del tutto di intelligenza, in modo che le sue future cognizioni dipenderanno unicamente dall'istruzione esteriore originaria, è lecito in questo caso prevedere che le tenebre prenderanno di nuovo il sopravvento e che l'umanità ambiziosa e incline al comodo vivere corromperà anche questa nuova dottrina divino-pura, trasformandola in un fosco paganesimo, il quale non avrà nulla da invidiare a quello degli indiani!
7. Non assisteremo sicuramente a questi avvenimenti con questi nostri corpi, ma tanto più sicuramente vi assisteremo quali abitanti di un mondo spirituale inondato di luce che ancora non conosciamo! Ci sarà, in quel tempo, un vero pullulare d'inganni, di menzogna, utilitarismo e orgoglio, egoismo, timore del mondo, ipocrisia, adulazione, bigottismo, persecuzione, liti, vendette e crudeltà di ogni genere!
8. Fu il Signore stesso a dire che tutto ciò è necessario che venga concesso nell'interesse del libero arbitrio e della vera plasmazione vitale di ogni singolo individuo per se stesso; senza di questo nessuno può diventare un vero figlio di Dio, né può avere accesso alla gloria del Padre!
9. Ma se già da parte del Signore stesso venne presentata una simile prognosi, come mai potremmo noi pensare altrimenti se non che ciò accadrà precisamente così come mi sono appena espresso? Il migliore rimedio preventivo contro questo male è e resta sempre un linguaggio chiaro congiunto a certezza matematica, dato che una prova matematica non può venire corrosa dalla quantità del tempo, e vale tanto per gli indiani, quanto per i persiani, gli arabi, i greci, i romani e gli ebrei».
Preoccupazioni su come svolgere il lavoro missionario.
1. Dice Murel: «O nobile e sapiente amico! Una simile dottrina ha appunto questo di buono, e cioè che essa, a mio modo di vedere e per quanto concerne chiarezza, riposa su una base sicura e più che matematica, e di conseguenza non può lasciare dietro di sé alcun dubbio. Perciò anch'io sono dell'opinione che essa non potrà mai venire falsata!»
2. Ribatte Mataele: «Sarebbe certo da desiderare che fosse così, ma tuttavia così non sarà! Proprio tanto matematicamente sicura, come tu la raffiguri, già essa non è a causa della sua natura spirituale-pura! Per convincertene basta che tu rifletta su quanta fatica ci è voluta con te, prima che in te cominciasse a sorgere il semplice presentimento della verità che vi è in essa contenuta e fino a che tu venissi perfettamente in chiaro della questione!
3. Tu stesso eri già preparato e rafforzato per effetto di numerose e svariatissime esperienze acquisite e fatte, e avevi pure chiarezza nel tuo intelletto, eppure non comprendevi né Mosè, né Isaia. Ci vollero poi parecchie e ben appropriate parole prima che nel tuo cuore incominciasse ad albeggiare!
4. Immaginati adesso della gente che non ha alcuna cognizione di una scienza superiore e sia priva di esperienze precedenti; ora mettiamo che un apostolo della nuova dottrina si presenti dinanzi a questa gente e predichi questo vero Evangelo dalla luce dai Cieli, che faccia dunque faranno quei tali ad un simile annuncio?
5. Quindi io penso che noi dovremmo pregare il Signore di indicarci soprattutto come dovremo noi, con ragionamenti intelligibili, annunciare a coloro che si mostreranno propensi la parola della vita in maniera convincente e atta a destare in loro nuova vita, poiché io ritengo che questa sia la cosa più necessaria e di conseguenza la sola più atta a conseguire cospicui vantaggi per la buona causa!»
6. Dice Filopoldo: «O nobile amico che porti la veste che usa adornare i re! Tu hai parlato certo giustamente e bene, ma il Signore proprio per questo ha già fatto una promessa, secondo la quale noi non dobbiamo affannarci per quello che noi avremo da dire nel Suo Nome, perché al momento opportuno ogni parola ci verrà posta nel cuore e poi sulle labbra! Ma se questo, senza alcun dubbio, sarà il caso, allora io non vedo proprio la ragione per cui noi dovremmo ancora una volta interpellare il Signore!
7. Io però, d'altro canto, sono dell'opinione che noi, come futuri divulgatori della nuova dottrina, non dobbiamo rimanere completamente spogli del potere di operare qualche prodigio, perché contro la rozza violenza degli uomini soltanto i prodigi possono condurre ad un risultato. L'uomo che è ridotto ad essere per due terzi un animale, deve venire avviato alla riflessione su ciò che è utile e buono mediante un miracolo, prima che gli si possa dire qualcosa riguardo a Dio e alla eterna destinazione umana.
8. Avendo a che fare con gente di qualche cultura, una savia parola sarebbe nel migliore dei casi più che sufficiente anche senza prodigi, ma di fronte alla forza rozza non c'è da ripromettersi nulla senza un prodigio. Tutti i popoli per metà o del tutto selvaggi sono stati ridotti, per lo più dai loro dominatori e dai loro sacerdoti e dai falsi miracoli di quest'ultimi, ad una condizione semianimalesca. Essi non comprendono la parola, però un atto miracoloso genuino, che deve essere più forte di uno falso, li conduce al punto che essi incominciano a schierarsi dalla parte del più forte e una volta che siano guadagnati alla causa, soltanto allora si può dar mano ad una istruzione efficace.
9. Questa è all'incirca la mia opinione ed io sostengo che perfino di fronte agente già molto sveglia d'intelletto si potrà con un prodigio, sempreché sia autentico, ottenere sempre di più, e si raggiungerà sempre con maggiore velocità lo scopo che non mediante una predica, sia pure di carattere superiore! Poiché anche l'uomo di intelletto sveglio mette a base della sua vita una certa argomentazione, la quale è falsa già per il fatto di essere un'argomentazione; ora, tali argomentazioni non si possono facilmente estirpare dall'anima con la semplice parola!
10. Consideriamo noi stessi, e chiediamoci che cosa è stato in primo luogo a trarci fuori dalle nostre argomentazioni. È inutile nascondercelo! Sono state appunto le opere quelle che ci hanno mostrato Chi è Colui che le ha compiute!
11. E di conseguenza io credo che noi dovremmo pregare il Signore di concederci anzitutto la facoltà di operare all’occorrenza anche un prodigio!»
L’infondatezza di ogni preoccupazione per il lavoro missionario.
1. Dice Murel: «Miei cari amici! Senza voler minimamente mettermi sulla via delle critiche, né contestare che i vostri desideri siano fondati sull'Ordine divino, io mi limito, senza fare alcun inutile sfoggio di parole, a constatare semplicemente che noi stiamo consigliandoci sul modo di piegare da una parte anziché dall'altra un singolo capello, mentre il Signore certamente ha già da lungo tempo provveduto ad ogni cosa!
2. Non c'è dubbio che con il tempo sul nostro Sole spirituale si manifesteranno degli ottenebramenti altrettanto quanto si manifestano rispetto al Sole naturale che ben spesso viene, in pieno giorno e per l'azione di nubi tenebrose, offuscato in modo che anzitutto non si ha nemmeno una traccia per rilevare in quale punto del cielo si trovi la madre del giorno, e poi, per di più, l'oscurità è tale che per vedere qualcosa si è costretti ad accendere un lume, ammesso pure che sia mezzogiorno. Ma poi le nubi si sciolgono in pioggia feconda, ed il giorno luminoso che ne segue vede i campi e i prati profumati e ridenti a far mostra della benedizione largita loro dal cielo.
3. Io credo che il supremo Amore e la Sapienza del Signore faranno venire spesse volte anche sopra la nostra Terra spirituale, e proprio al mezzogiorno luminosissimo dell'umana conoscenza e sapienza, delle nubi fosche e tenebrose sulla sacra faccia del Sole del nostro spirito, per rendere l'umanità tanto più assetata di luce; infatti, solo perdendo la luce noi possiamo poi riconoscere quanto sia grande e inapprezzabile il valore della vera luce della vita!
4. Gli uomini, allora, cominciano a chiedersi: "Dov'è la luce della vita?". Essi si danno a sospirare e a piangere, e le lacrime, questa pioggia che scende dalle nubi spirituali, cadono nei solchi del cuore angosciato e vivificano di nuovo le radici, divenute qua e là aride, della santa Parola nell'anima, e noi poi riviviamo assieme a queste radici, e con l'anima nuovamente rinvigorita giungiamo a scorgere ben presto e facilmente ancora una volta il Sole della vita risplendere nei nostri cuori di nuovo illuminati, e ci rallegriamo poi immensamente della nuova luce, della quale avevamo dovuto fare a meno per parecchio tempo, per effetto di ogni tipo di dispute e di litigi.
5. Io vi dico che il Signore conosce con certezza assoluta tutto ciò che deve ancora venire sulla nostra sfera terrestre naturale e spirituale, ed anche il perché di tutto ciò!
6. Di conseguenza, almeno a me sembra che il nostro consiglio sia perfettamente vano. Se egli ci stima atti ai Suoi scopi, non c'è dubbio che da Lui anche otterremo potenza di parola e di azione, ma secondo le vedute della nostra mente limitata noi non possiamo prescriverGli quello che anzitutto deve darci e quali disposizioni deve prendere.
7. Poiché se noi non sapessimo Chi Egli è, allora certo potremmo trattare con Lui come con un qualsiasi altro nostro simile, ma, considerato che noi tutti conosciamo benissimo Chi Egli è, la cosa in questo modo non può più andare! Perché con ciò noi renderemmo manifesto che o noi siamo ancora parecchio stolti, oppure che noi ci reputiamo già più sapienti di Lui! Riflettete adesso bene su quanto ho detto, e ditemi poi se in fondo non ho forse giudicato anch'io secondo verità!»
8. Dice Mataele: «Ormai non c’è alcun dubbio che il tuo giudizio è davvero giusto! Ad ogni modo l'opinione da me espressa mirava veramente a chiarire soltanto quello che sarebbe necessario per aiutare l'umanità ad acquistare permanentemente la luce della vita. Però, in questa occasione, ho pure immediatamente riconosciuto che voi due, e in modo particolare l'amico Murel, avete giudicato con molto maggiore chiaroveggenza di me; del resto io credo che a nessuno di noi tre manchi la buona volontà e che il Signore stesso disporrà tutto nel migliore dei modi! Ma ora, amici miei, passiamo ad un altro argomento».
Della morte del Signore e del futuro dei Suoi discepoli.
1. Che aspetto potrà mai assumere questa storia dal punto di vista di Gerusalemme? Noi conosciamo il buio in cui è sommerso il tempio, la sua sconfinata avidità e ambizione, e la sua occulta ostilità verso i romani. Dunque, se il Signore decidesse davvero un giorno di recarsi a Gerusalemme, ciò che da qualche Suo accenno di prima è lecito senz'altro ammettere, che faccia farà allora il tempio e particolarmente Erode, l'avido di potere e partigiano della bella vita?
2. Io sono dell'opinione che a Gerusalemme questo fatto avrebbe, quale inevitabilissima conseguenza, una agitazione immensa in tutte le classi della popolazione! Ed allora si imporrà il problema: o far piovere fuoco dal cielo o fuggirsene dalla città corrotta per non venire insultati nel modo più infame. Però tanto una cosa che l'altra non potranno dare che scarsissimi risultati, poiché dove Satana è riuscito a formarsi il nido, là non nascono più colombe, come pure da un covo di serpenti non nascono mai pulcini. Si può fare quel che si vuole, ma Satana resterà Satana finché della Terra esisterà anche l'ultimo granello di sabbia. Cosa ne pensate voi?
3. Osserva Filopoldo: «Una simile questione, o nobile amico, mi sembra stare un po' troppo al di sopra dell'orizzonte della nostra conoscenza! È bene ammettere che allo Spirito di Dio, l'Immenso in Potenza e Sapienza, sia possibile ogni cosa e quindi anche domare una Gerusalemme! Considera un po' Cesarea Filippi, la superba città! Dov'è, e a che cosa è ridotta ormai essa, che nella sua boria aveva incominciato a lastricare le sue vie di oro e pietre preziose? Vacci ora e non vi troverai altro che un cumulo miserando di rovine! Credi tu che il Signore, forse, non farà venire in un prossimo futuro un giudizio simile anche sopra Gerusalemme, la fornicatrice?
4. Io ti dico: "Da qui a cent'anni di certo nessuno sarà più in grado di indicare il luogo dove la superba Gerusalemme avrà fatto pompa di sé!". Dunque, secondo il parere di Murel, tralasciamo anche di occuparci di questo, perché il Signore saprà meglio di tutti quello che a tale riguardo andrà fatto!
5. Frattanto ogni nostra cura sia rivolta unicamente in ciò che noi stessi rimaniamo nella Luce del Signore, tutto il rimanente saprà ben Lui come sarà da ordinarsi e come da disporsi. Non siete anche voi dello stesso parere?»
6. Dice Mataele: «Certo, la questione va bene così come l'hanno esposta adesso Murel e Filopoldo, però io so ancora qualcosa che probabilmente voi due non sapete, e questo lo so per bocca del Signore stesso, ed è appunto perché lo sapevo che vi ho parlato nel modo che avete inteso.
7. Il Signore, come Uomo, andrà a Gerusalemme quando sarà venuto il tempo, e là insegnerà e farà grandi prodigi. Ma per effetto di ciò, il tempio si riterrà pregiudicato, monterà in furore e tenterà di impadronirsi del Signore e di ucciderLo, opera questa alla quale esso già ora avrebbe una grandissima voglia di rendere esecutiva. E udite! Il Signore concederà che il tempio riesca a farLo arrestare e uccidere corporalmente! Queste sono effettivamente parole Sue.
8. Ma Egli non rimarrà che per tre soli giorni, per così dire apparentemente morto, ovviamente per quanto concerne il solo corpo; poi resusciterà e soltanto così annienterà ogni tenebra e ogni giudizio. Da quel momento in poi Egli conferirà a tutti i Suoi apostoli una adeguata potenza e li provvederà di tutta la forza del Suo Spirito, della Sua Sapienza e del Suo Amore.
9. I Suoi dodici vecchi discepoli, che sono stati testimoni di tutto, Egli sicuramente li manderà in ogni parte del mondo ad annunciare il Suo santo Evangelo.
10. Ma da quel momento in poi, che cosa sarà di noi? E considerato che noi già dall’inizio non siamo stati testimoni di tali avvenimenti, farà Egli partecipare in qualche misura anche a noi di quella grazia? Ebbene, io penso che accadrà certamente così; ma poi, ad ogni modo, che cosa faremo? Per voi due la questione si presenta più facile e potete in certo qual modo prendere tutto alla leggera; io invece, forse domani o dopodomani, dovrò andarmene lontano da qui, nelle fredde regioni del Ponto e dovrò dedicarmi al governo di quelle rozze popolazioni, e non potrò più essere testimone di tutto quello che il Signore ancora insegnerà ed opererà! Chi mi darà notizia o chi mi dirà se il mio modo di governare i popoli sarà del tutto corrispondente alla Volontà divina?».
La coscienza umana e l’influsso degli angeli su questa.
1. A questo punto interviene Raffaele, il quale non stava ovviamente dormendo, e che, avvicinatosi ai tre, dice a Mataele: «Credi tu che noi, spiriti angelici in numero sterminato, e qui io particolarmente, siamo pronti a servire il Signore soltanto qui su questa collina?
2. Vedi, come qui siamo ora presentemente visibili ai tuoi occhi, noi siamo sempre dappertutto agli alti servizi del Signore e portiamo la Sua Volontà da un'infinità all'altra, e sta pur certo che anche nelle tue regioni del Ponto sapremo sicuramente trovarti per farti sempre conoscere tutto quello che secondo l'Ordine di Dio ti sarà necessario conoscere. Qualunque cosa possa accadere, qualora la tua volontà rimanga com'è ora, immediatamente verrà portato a tua conoscenza tutto quello che le circostanze richiederanno, e di più per il momento non ti occorre.
3. Ma se tu nella tua dignità di re dovessi lasciarti sedurre dall'ambizione e dall'orgoglio, come di solito avviene, allontanandoti così dal Signore e di conseguenza anche da noi, allora certamente non ti verrebbe rivelato più nulla riguardo al Regno di Dio e alla Sua incommensurabile Grazia!
4. Dunque, non aver nessun’altra cura all'infuori di quella di rimanere nella grazia e nel completo amore del Signore; tutto il resto ti verrà dato come diretta conseguenza di ciò!
5. Anche se tu potessi convincerti da te stesso di tutto quello che il Signore dirà e opererà su questa Terra in avvenire, e ciò malgrado ti lasciassi in qualche modo sedurre dal mondo, allora tutto quanto avresti visto e udito ti servirebbe tanto quanto se tu non avessi visto e udito nulla. Ma se tu rimarrai, come attualmente, nella grazia e nell'amore del Signore, così che non ti lascerai accecare dal mondo ma continuerai ad amare il Signore sopra ogni cosa e tutto il tuo prossimo come te stesso, anche se tu ti trovassi nel mondo il più estraneo e più lontano, ti verrebbe fatto conoscere tutto rispetto all'azione del Signore, per quanto sarebbe reputato necessario per la salute della tua anima. Poiché proprio tutto ciò che il Signore vuole e dispone in tutta l'infinità non è necessario per la salute della tua anima!
6. Vedi, su ciascuno degli innumerevoli mondi, il Signore dispone sempre qualcosa di nuovo, ma questo ha valore e significato appunto soltanto per quel mondo per il quale la disposizione è presa, e non avrebbe invece alcun significato per la salute dell'anima tua. Il Signore deve altresì ordinare sempre a favore della consistenza di questa Terra più di una cosa che a te non può interessare, ma quello che Egli disporrà per la salute dell'anima umana, di ciò niente ti verrà nascosto. Sei tu contento così oppure no?»
7. Dice Mataele: «O mio nobile amico dai Cieli di Dio! Io sono perfettamente soddisfatto di quello che ho appreso da te, e nient’altro mi occorre se non unicamente che tu abbia ad ammonirmi qualora, indotto dall'una o dall'altra circostanza, dovessi sia pur minimamente allontanarmi dal Signore e dal Suo Ordine! Perché un simile spintone, dato di nascosto e a tempo debito, vale di più di un mondo ricolmo dei maggiori tesori!»
8. Dice Raffaele: «Anche questo accadrebbe sempre senza la tua domanda. Poiché, vedi, ciascun essere umano possiede nel suo cuore un organo spirituale che per noi, angeli di Dio, sta sempre aperto ed è sempre accessibile senza alcun impedimento; quest’organo è sempre il rappresentante dei concetti semplici, vale a dire: buono-cattivo, vero-falso, giusto-ingiusto.
9. Se tu operi continuamente bene e conforme a verità e giustizia, allora da parte nostra viene toccata la parte positiva e buona dell'organo, e con ciò in te sorge il sentimento della soddisfazione per avere operato e parlato bene e secondo giustizia.
10. Ma qualora avvenga che tu non abbia agito e parlato bene, allora viene da noi eccitata la parte contraria dell'organo, e tu percepisci un senso d'angoscia che ti avverte che hai deviato dall'Ordine di Dio. E questo organo, nel linguaggio morale, si chiama con il nome sottile di ‘coscienza’.
11. Tu ti puoi fidare completamente di questa voce; essa non ti ingannerà mai e poi mai. Potrebbe verificarsi un caso solo, e cioè che qualcuno arrivasse al punto che questo organo si facesse in lui talmente insensibile da non poter più percepire il nostro tocco in seguito all'essere diventato eccessivamente materiale; ma in un simile caso la parte spirituale dell'uomo risulterebbe comunque già completamente perduta! Un caso di questa specie, però, non ci sarà certamente mai più in eterno per te, considerato che ti sei già troppo avvantaggiato sulla via della grazia e dell'amore del Signore, ed il Signore ti ha, assieme ai tuoi compagni, trasformato e organizzato completamente a nuovo. La tua anima è ancora bensì quella vecchia, nella quale l'Amore del Signore, quale il Suo Spirito, ha già cominciato con tutta possanza ad influire, ma la tua antica carne maligna è stata tramutata dal Signore, affinché non abbia più ad opprimere la tua anima.
12. Sarebbe necessario che tu volessi proprio fermamente allontanarti in cuor tuo dal Signore, ed allora anche la tua carne certo ridiventerebbe selvaggia, come un giorno accadde a quella di Esaù, il quale contro la volontà di suo padre trovava maggiore diletto nel dare la caccia agli animali selvaggi che non nel sorvegliare le greggi domestiche del padre. Ma nel tuo caso anche un simile inselvatichimento è da escludere, perché la tua anima è già troppo ampiamente e con troppa potenza compenetrata dallo spirito d'amore per il Signore.
13. Fra breve l'amore tuo per il Signore, tramite l'operosità nel campo dell'amore del prossimo, perverrà ad un'essenzialità e ad una forma più intense, e si farà poi perfettamente una cosa sola con l'anima; allora tu sarai rinato nello spirito e nella verità, e come tale agirai in unione spirituale con l'Amore originario in Dio, diventato in simile modo con questo ugualmente una sola cosa.
14. Ma soltanto con ciò l'Amore di Dio verrà ad acquistare di fronte a te anche consistenza e forma, e tu potrai allora vedere Dio e parlare con Lui; e il Signore, come ora qui corporalmente visibile a te e ben percettibile al tuo cuore, sarà e rimarrà in eterno la tua grande guida e il tuo Maestro. Ma allora non vi sarà più per te la possibilità di allontanarti dal Signore nel tuo cuore e nella tua conoscenza, perché allora tu sarai nella volontà e nella conoscenza un genuino e vero figlio dell'eterno Padre, e quindi perfettamente Uno con Lui. Comprendi tu questo?»
15. Risponde Mataele: «Sì, oramai lo comprendo bene sotto ogni riguardo».
La meteora.
1. Mentre Mataele si accingeva ad aggiungere ancora qualcosa, una grossa meteora molto luminosa passò in volo attraverso i più bassi strati dell'atmosfera, facendo udire un sibilo caratteristico dovuto al suo moto rapidissimo; sibilo che venne percepito distintamente, dato che la meteora non era passata a più di ottocento tese d'altezza dal suolo. Una lunga coda seguiva la meteora, la quale nella sua corsa pareva trascinarsi dietro. Alla vista di quel fenomeno tutti e tre furono colti da spavento, ed essi domandarono in tutta fretta all'angelo di che cosa si fosse trattato.
2. Ma l'angelo, invece di rispondere e dilungarsi in spiegazioni con i tre, si lanciò con velocità fulminea dietro la meteora, e in pochi istanti la portò con sé, presentandola ai tre sotto forma di una palla di materia grezza del diametro di due tese e mezza, la depose a terra su di uno spazio libero, e disse ai tre: «Ora, venite qui e guardate senza timore la causa del fenomeno; nessuno di voi ne avrà danno in nessun modo»
3. I tre allora si alzarono e si avvicinarono con molta prudenza alla meteorite che conservava ancora una forte luminosità. Giunti vicino, essi percepiscono uno spiccato odore di zolfo e constatano che il masso ben grosso, visto da vicino, assomiglia in tutto e per tutto ad una pietra pomice, dai pori più ampi, dalla quale sprizzano delle fiamme azzurraste, provocando dei lievi sibili e uno stridore particolare. Qualche fiammella è ancora molto chiara, mentre altre vanno già impallidendo.
4. Solo dopo aver attentamente guardato, Mataele si rivolge all'angelo e gli domanda: «Dunque, che cosa è veramente questa specie di pietra? Come e dove si è formata? All'apparenza si tratta di una massa abbastanza solida, e deve avere, in rapporto alla nostra forza fisica, un peso rilevante. Facci però il favore, o caro e celestiale amico nostro, di spiegarci un po' la cosa!»
5. Risponde l'angelo: «Questo masso ancora mezz'ora fa era una parte integrante del Sole, e per la forza eruttiva di un enorme cratere, dove c'era un ribollimento intenso, venne lanciato con violenza incredibile nello spazio siderale assieme a molti altri, e come per caso esso prese la sua direzione verso la Terra. Con velocità maggiore di quella del lampo, questo masso volò attraverso l'etere, e già prima di arrivare sulla parte del mondo che si chiama Europa, esso venne in contatto con l'atmosfera terrestre, sfiorandone da principio soltanto la superficie, ma quando qualche istante più tardi si abbassò e trovò una maggiore resistenza negli strati più densi dell'atmosfera, allora la velocità ne venne di molto attutita e si ridusse al percorso di venti ore di cammino nel tempo di quattro istanti. Quando io lo rincorsi e lo presi, esso era già passato quasi su tutta l'Asia, e dieci istanti più tardi sarebbe caduto nel grande oceano; ma è stata la Volontà del Signore che venisse a voi fornita anche a questo riguardo una spiegazione, affinché non abbiate continuamente a credere che si tratti di uno spirito maligno volante sulla Terra, allo scopo di recare danno a voi ed all'umanità tutta. Ecco che adesso avete sotto gli occhi questo spirito maligno, dal quale potete imparare che si tratta invece di un fenomeno assolutamente naturale che si manifesta fra i grandi corpi mondiali»
6. Dice Murel: «Ma com'è che nell'aria esso spandeva una luce così intensa, mentre qui la sua luminosità va sempre più diminuendo?»
7. Risponde Raffaele: «L'intensa luminosità è provocata dal moto attraverso l'aria oltre ogni dire rapido; l'attrito eccessivo con le particelle dell'atmosfera fa sì che queste vengano compresse con estrema violenza, perché esse non possono con sufficiente rapidità cedere il passo al corpo che precipita. Ma l'aria, data la densità che ha qui, si accende qualora venga per una causa qualsiasi sottoposta ad una pressione eccessiva, e poiché lungo il percorso di una simile meteora l'aria si accende continuamente, così anche succede che laddove una meteora volante viene a trovarsi c'è sempre un chiarore fortissimo. E considerato inoltre che dietro la meteora, che si muove con velocità estrema, si forma sempre uno spazio vuoto nell'aria, la cui superficie concava è ancora eccitata a fuoco, risulta così spiegata anche l'origine della coda d'intensità luminosa decrescente che è sempre visibile dietro una meteora di questa specie e che per se stessa non è una realtà, ma semplicemente un'apparizione.
8. Toccate ora questo masso e sentirete com'è ancora caldo, così vi convincerete facilmente della verità di quanto vi ho appena detto. Però io posso darvene ancora una prova ricorrendo ad un mezzo del tutto naturale, e cioè: "Considerato che a me è possibile un simile esperimento, io posso lanciare in alto con la velocità del lampo una delle pietre che sono qui d'intorno, e con l'ausilio di spiriti a me sottoposti posso farla ritornare qui dopo pochi istanti, e voi vi persuaderete che questa pietra pesante soltanto poche libbre si renderà altrettanto e immediatamente luminosa quanto lo era prima questa meteora".
9. Detto questo, Raffaele prese una pietra e la gettò con forza tremenda nell'aria, e gli spiriti al servizio dell'angelo la spinsero per qualche momento con velocità maggiore di quella del lampo, facendole descrivere una linea circolare a pochi metri di altezza dal suolo. Oltre al sibilo fragoroso prodotto dallo sfregamento con l'aria, la pietra acquistò allora una tale luminosità che, per un raggio assai vasto, la regione venne rischiarata tutto intorno come se fosse stato pieno giorno, ed agli occhi dei tre veramente non apparve che un circolo splendente come il Sole, per la ragione che il moto della pietra era talmente rapido che nessuno sarebbe stato in grado di distinguerla durante i suoi giri vertiginosi.
10. Dopo qualche istante, la pietra tutta ancora rovente venne di nuovo tranquillamente deposta a terra dagli spiriti davanti ai tre spettatori sbalorditi, e Raffaele disse: "Ecco, l'esperimento è finito, e ciò in modo facile e in poco tempo; trovate ora voi una differenza tra questa meteora artificiale e l'altra naturale?"»
11. Risponde Mataele: «No affatto, sono ambedue fenomeni dello stesso genere; solo il volume è ovviamente diverso. Ma adesso mi si presenta alla mente un'altra domanda, e cioè che a te, poiché ci hai dato tante prove della tua incredibile capacità e potenza, è certamente quanto mai facile lanciare con forza e velocità, quali nessuno potrà mai concepire, una pietra di questa specie in maniera tale che l'aria, troppo violentemente compressa per effetto dell'enorme velocità della pietra lanciata, deve accendersi e comunicare alla pietra tanto calore da renderla in breve tempo assolutamente rovente. Si vede che per arrivare a questi risultati devi essere uno fra i più possenti spiriti angelici e che evidentemente ti potresti trastullare con interi corpi mondiali come noi facciamo con delle nocciole, e che dovrebbe esserti possibile afferrare perfino un sole e scagliarlo, in un momento, a una tale profondità dello spazio infinito della Creazione, che un lampo avrebbe un bel da fare a correre per centomila anni prima di raggiungerlo! Dunque, per realizzare un simile esperimento, da parte di Dio viene a te concessa una forza ed una potenza che per noi è certamente ancora inconcepibile; ma come può il Sole, questo pigro corpo naturale, sviluppare fuori da sé una simile potenza?».
L’essenza della materia.
1. Dice Raffaele: «Oh, credi tu che sul Sole non ci siano come qui degli spiriti pronti a fare il loro servizio? Io dico a te e a voi due pure che né sul Sole né su questa Terra accade qualcosa senza che vi cooperino tali spiriti; infatti, tutto quello che vedi e tocchi in fondo non è altro che spirito; perfino la più rozza materia è spirito, anima, però soltanto in stato giudicato. Se tu inquieti oppure offendi eccessivamente mediante sfregamento, urto o pressione gli spiriti che, profondamente giudicati, giacciono inerti nella materia, essi ben presto non mancheranno di farti sentire la loro forza e potenza.
2. Vedete! L'aria è certamente qualcosa di molto tenue e molle, ma se essa viene, per effetto di qualche eccessivo urto o pressione, portata fuori dal suo equilibrio e troppo turbata nella sua pace, essa arriva a sradicare i più grossi e robusti tronchi d'albero, fa tremare la terra, si accende in mille fulmini devastatori e diventa un elemento fra i più spaventosi!
3. Però, che cos'è allora che tumultua con tanto furore nell'aria e per mezzo suo? Nient'altro che gli spiriti e i princìpi animici che in essa riposano e che veramente la compongono!
4. Prova ad urtare due pietre violentemente l'una contro l'altra, e all'istante gli spiriti che vi sono confinati dentro annunceranno la loro presenza e ridurranno in minutissimi granelli di polvere l'intera massa della pietra, per quanto dura possa essere, e in questa occasione non ci sarà neppure mancanza di fenomeni di fuoco.
5. Prendi dell'acqua e sottoponila ad una pressione più forte possibile; nel primo stadio tu ne ricaverai una massa di ghiaccio, la quale, pur essendo del tutto solida ed in perfetta quiete, distruggerà il recipiente che la contiene per quanto resistente sia. Ma se tu potessi sottoporre il ghiaccio ad una pressione ancora maggiore, esso si dissolverebbe istantaneamente in vapori di fuoco e annienterebbe con uno scoppio terribile tutto ciò che volesse ostacolarlo!
6. Finché gli spiriti ed i princìpi animici naturali, confinati in quello che esteriormente appare materia, non vengono inquietati od offesi, essi certamente riposano come morti e si lasciano manipolare e formare in varie forme, ma se accade che vengano qualche volta eccessivamente destati dalla loro quiete normale, guai allora a chi si trova vicino!
7. La presenza di elementi spirituali nella materia può essere del resto constatata con grande facilità; infatti, voi vi accorgerete sempre di un fenomeno luminoso più o meno accentuato, a seconda del grado d'intensità di un'attività degli spiriti destatisi in una qualche materia, quando essi vengono costretti ad un'attività straordinaria;
8. Di conseguenza, quanto siano attivi gli spiriti dell'atmosfera solare, particolarmente sulla superficie dell’astro, lo dimostra la luce intensissima del Sole.
9. E con quanta violenza possa poi venire scagliato un simile masso fuori dal Sole nell'occasione delle sue grandi eruzioni, quando cioè gli spiriti della sua materia vengono turbati al massimo nella loro quiete e spinti all'attività, voi potete già farvene una pallida idea, o meglio anzi averne un presentimento, considerando l'intensità della luce solare!
10. Sì, io posso assicurarvi che in seno all’immenso Sole si verificano non dirado eruzioni di tale violenza che, durante le loro manifestazioni di forza, dei massi grandi come questa Terra non farebbero maggiore figura a dei granelli di polvere trasportati dal vento qui sulla Terra! E così vi riuscirà tanto più comprensibile con quale facilità e velocità questo piccolo masso sia venuto a precipitare qui, giù dal Sole!»
11. Dice Murel: «Ma se le cose stanno così, come è indiscutibile, allora questo masso finisce con l'acquistare un valore inestimabile, e si dovrebbe collocarlo a eterno ricordo in un museo, come qualcosa di straordinario!»
12. Osserva Raffaele: «Ma allora dovresti collocare in un museo addirittura tutta la Terra come sta e giace, perché l'intero pianeta che si chiama Terra ha l'identica provenienza di questa meteorite!»
13. Dice Murel: «Ma se è così, che cosa ne facciamo della storia mosaica della Creazione?»
14. Risponde Raffaele: «Per quanto riguarda questo, rivolgiti all'amico Mataele che se ne intende alla perfezione, ed anche le cognizioni di Filopoldo in materia sono molto profonde!»
Il senso della Genesi mosaica.
Una esperienza soprannaturale di Mataele.
1. Allora Murel interpella in proposito Mataele, e questo gli dice: «Quello che Mosè narra della Creazione ha assai poca relazione con la creazione del mondo; ma si riferisce unicamente alla formazione dell'uomo, a cominciare dalla culla fino alla sua perfezione; così pure con ciò venne indicata la fondazione della Chiesa di Dio sulla Terra fino ai giorni nostri, e più oltre ancora fino alla fine del mondo.
2. Con le parole "Cielo e Terra" è da intendersi il nuovo uomo terrestre dal momento della nascita in poi; il "Cielo" denota le sue capacità spirituali interiorissime e nascoste, e la "Terra" deserta e vuota significa l'uomo naturale neo apparso che è a malapena conscio della propria esistenza; questo è il primo stadio dell'uomo.
3. Con il tempo il fanciulletto arriva ad essere cosciente di se stesso e comincia a sognare e pensare, questo corrisponde al "Sia fatta la luce", cioè che egli sappia di esistere; secondo stadio.
4. E così si può continuare attraverso tutti i giorni della creazione fino allo stadio del riposo della perfezione umana! E adesso dimmi se incominci a comprenderne qualcosa!»
5. Risponde Murel, stupefatto per le cognizioni bibliche di Mataele: «No davvero, o nobile amico, questa sapienza non avrei mai e poi mai pensato di cercarla in te! Ah, in questa maniera che ormai riconosco come la sola giusta, io certo vorrei farmi spiegare da Te tutta intera la Scrittura! In verità, ci vuole però molto fino a che un'anima umana giunga a penetrare tali profondità della sapienza! Ma come poi ci sei arrivato tu?»
6. Dice Mataele: «O Murel, amico mio, questa è una domanda che qui, dove ci troviamo, è un po' fuori posto! Abbiamo il Signore con noi, e qui c'è un angelo dai Cieli che fu certo testimone di tutta la Creazione materiale. Io stesso ero già in gioventù un dottore della legge nel tempio, per la quale ragione anch'io venni inviato ai samaritani in qualità di apostolo, ma prima ancora che arrivassi a scambiare una sola parola con loro, venne Jehova a sbarrarmi il cammino. Io caddi tra le mani di feroci ladroni, e per avere salva la vita dovetti farmi ladrone anch’io.
7. Ma essendomi visto abbandonato in tal modo da Dio, senza che potessi in me stesso trovare un motivo, la mia esasperazione fu grande; da principio la mia fede vacillò e iniziai a considerare tutta la Scrittura come un artificio degli uomini, però un'apparizione stranissima che ebbi mi convinse ben presto del contrario.
8. Una notte, mentre da solo ero di guardia davanti alla terribile spelonca che serviva da rifugio ai briganti, vidi venirmi vicino un uomo dall'aspetto serio e severissimo. Io sguainai immediatamente la spada e con questa lo trapassai. Egli però esclamò: "Non affannarti inutilmente con la tua arma miserabile, perché nessuna arma mortale potrà mai in eterno uccidere uno spirito immortale! Io sono lo spirito di Abramo, e sono venuto a chiederti perché hai abbandonato Dio e ora vuoi ancora perseguitare il Suo Nome!"
9. E allora io, Mataele, al colmo dell'ira gli risposi: "E perché Dio si mise per primo a perseguitare me, che pure fui mandato nel Suo Nome ai samaritani per guadagnarli tutti alla causa del tempio? La mia intenzione era onesta e giusta al Suo cospetto e a quello di tutti gli uomini, dato che era stata trovata onesta e giusta dinanzi al tribunale della mia coscienza. Dal principio della mia esistenza, Dio mi ha dato a giudice unicamente la mia coscienza, ed io sono vissuto giustamente sotto gli occhi di questo giudice che ho in me! Non sono stato io a mandare me stesso dai samaritani, ma il sommo sacerdote in rappresentanza di Mosè e di Aronne!
10. Se fu un male che io venni inviato ai samaritani, la Sapienza di Dio non avrebbe avuto bisogno di punire me, ma soltanto colui che mi aveva mandato; ma poiché essa si è scagliata contro di me, l'innocente, da quel momento io sono diventato un nemico acerrimo di Jehova, del Quale tu, o spirito severo, sembri essere l'apostolo inviato a me!"
11. Allora lo spirito, oscuratosi più ancora in volto, così parlò: "Conosci tu la potenza di Dio e la Sua ira? Come vuoi tu, impotente verme nella polvere, opporti all'Onnipotente Dio? Non può la Sua potenza afferrarti e annientarti miserevolmente come se tu non fossi mai esistito?".
12. Ed io gli risposi: "Per conto mio lo può certo fare, poiché per l'esistenza che mi è stata data adesso, io non posso che maledirla in eterno! Ma se non esisto più del tutto, allora anche la mia giusta ira e il mio furore contro di essa ha cessato per l'eternità di essere!"
13. Però, il severo e serio spirito disse: "Tu non puoi comandare a Dio di annientarti, ma Egli sì che può tormentarti in eterno con le più spaventose pene, e allora si vedrebbe fino a quando tu vorresti ostinarti a sfidare la Sua Onnipotenza!"
14. Ed io, al colmo del mio furore, replicai: "Dio certo può fare così, se il tormentare in eterno una creatura al solo scopo di mostrargli continuamente la Sua Onnipotenza Gli procura uno speciale diletto! Però io giuro dinanzi a te, o spirito aspro e severo, che Dio, anche disponendo di una Onnipotenza mille volte più grande, non giungerà mai più a piegare il mio sentimento, malgrado tutti i tormenti immaginabili che vorrà infliggermi!
15. Con la bontà, la dolcezza e la giustizia evidente Egli può fare di me ciò che vuole; sì, Egli può fare di me il più mansueto agnello, ma con la Sua ira non può ridurmi che ad un demonio di tutti i demoni! Finora l'Onnipotenza di Dio non mi ha donato che una vita tormentosissima della quale non potrò esserLe in eterno grato; se un giorno a Dio verrà in mente di dimostrarsi più Misericordioso verso di me e di rimediare ai torti inflittimi nel Suo capriccio d'Onnipotenza, allora anch’io Gliene sarò grato! Ma così come stanno le cose attualmente, non posso che essere decisamente nemico di Jehova! Perché io me ne andai nel Suo Nome pieno di seria e di buona volontà da Gerusalemme a Samaria per annunciarvi la Sua maestà e la Sua gloria, ma in compenso Egli mi fece cadere tra le mani dei demoni e lasciò che venissi sopraffatto da questi!
16. È ben possibile che la mia missione in Samaria Gli sia spiaciuta! Ma se Egli poté un giorno rivolgere un'ammonizione a Balaam, il falso profeta, a mezzo del suo asino, perché non ha voluto ammonire me ed i miei compagni, valendosi degli asini che portavano noi e il nostro bagaglio? Perché Egli ha concesso che cadessimo fra gli artigli di Satana?
17. Ed ora rispondimi, altrimenti la mia bocca ti scaglierà una maledizione come non è stata ancora mai proferita su questa Terra!". Nel medesimo istante caddi a terra privo di sensi, mentre lo spirito scomparve!»
L’incomprensibilità dei duri metodi educativi.
La comunicazione con il Signore nel cuore.
1. Mataele prosegue: «Da quel momento io perdetti la chiara conoscenza di me stesso e, per quanto posso ricordarmi, degli spiriti fra i più malvagi presero attivamente possesso del mio corpo, e io divenni lo spavento dell'intera regione! Non vi era lancia o giavellotto capace di trapassare la mia carne, e i più solidi ceppi si scioglievano dalle mie mani come fossero di paglia! L'affrontare uno o mille avversari era per me la stessa cosa; chi tentava di afferrarmi ne usciva malconcio all'estremo, e molti ci rimettevano la vita. Eppure di tutto questo la mia anima non ne sapeva niente.
2. Tuttavia Dio aveva decretato che ciò finisse, e noi cinque venimmo recentemente fatti prigionieri dai romani e condotti qui l'altro ieri; qui il Signore ci liberò dal nostro immenso tormento e l'anima mia ridivenne l'unica abitante pienamente cosciente di questa carne. Però il Signore illuminò con la Sua Luce tutti i labirinti del mio cuore, e vedete, soltanto allora io compresi Mosè ed i profeti, e Mosè si ritrovò come il primo in essa.
3. Se ora venisse da me lo spirito di Abramo, certo il mio linguaggio verso di lui sarebbe del tutto differente da quello di circa cinque anni orsono. E adesso tu sai come io sia arrivato al punto di comprendere come va intesa la Scrittura!
4. Io certo non auguro a nessuno di giungere a comprendere Mosè per la via da me percorsa, dato che ora è a disposizione di tutti una via più facile, ma poiché tu, o Murel, in certo modo mi domandasti come io fossi arrivato ad una comprensione così chiara dei libri di Mosè, non potei fare a meno di farti conoscere la via dolorosa da me dovuta percorrere, ed ora puoi tu stesso immaginarti il resto.
5. Il resto però, infinitamente più facile, è ora la grazia del Signore la quale può donarti in pochi istanti quello che io ho raggiunto seguendo la via la più spinosa.
6. Qui d'altronde c'è l'angelo del Signore; interrogalo, ed egli ti potrà dire come sia vero quello che ti ho raccontato di me e dei miei quattro compagni! Cosa ne dici adesso?»
7. Risponde Murel: «O, Mataele, amico mio! Tu hai sopportato molte e terribili disavventure, ed hai dimostrato un coraggio che invano si cercherebbe ora sul mondo; tu fosti bensì un demonio e tuttavia il tuo cuore non era corrotto. Esso chiedeva verità, giustizia e amore, ma poiché tale era il tuo desiderio, esso finì anche con l'ottenere quello che desiderava; il Signore infatti non lascia che nessun cuore sincero vada in perdizione!
8. Ma perché poi il Signore ha condotto te e i tuoi quattro compagni per una via così aspra? La missione in Samaria per la conversione dei samaritani io non posso assolutamente immaginarmi che sia stata proprio la sola ed unica ragione a giustificare un simile dono così poco ambito! Ci deve essere stato qualcos'altro che noi non riusciamo a vedere»
9. Dice Mataele: «Su ciò non c'è alcun dubbio, però ancora oggi non sono arrivato a comprenderne nulla, e in verità finora non ho sentito neppure il bisogno di comprenderne qualcosa; tuttavia adesso desidererei io stesso ottenere anche a questo riguardo un po' di luce! Il nostro Raffaele, se fosse ben disposto, potrebbe certo fornircela senz'altro!»
10. Dice Raffaele: «Oh, la mia persona e il mio eventuale umore non c'entrano quasi del tutto nella questione, ma tutto dipende dalla Volontà del Signore; infatti, il mio sentimento ad altro non corrisponde se non alla pura Volontà del Signore! Rivolgiti dunque a Lui, e indubbiamente sarà fatto come il tuo cuore desidera»
11. Dice Mataele: «Sarebbe tutto bello e buono se il Signore non dormisse, ma ora Egli dorme e perciò sarebbe quanto mai sconveniente destarLo per questo motivo!»
12. Osserva Raffaele: «Oh, qualche punto debole è tuttavia ancora rimasto in te! Il Suo corpo, certo, adesso riposa un pochino, ma la Sua Anima e l'eterno Suo santissimo Spirito non riposano mai, né mai riposeranno. Che cosa accadrebbe dell'intera Creazione se il Signore se ne dimenticasse per un solo istante? In un attimo fulmineo la Creazione non ci sarebbe più; non un sole, né una luna, né una stella esisterebbe più in tutta l'infinità eterna, né ci sarebbe più una Terra per portarti e nessun angelo o uomo avrebbe più la possibilità di sussistere in un qualche modo e per forza propria.
13. Tutto ciò che esiste, sussiste unicamente per la Volontà del Signore; Volontà Onnipossente, eternamente eguale a se stessa ed immutabile, senza la Quale non è immaginabile alcuna esistenza.
14. Ma se le cose stanno così, come altrimenti non possono stare, come può sorgere nella tua mente il pensiero che Egli possa davvero dormire e che nel sonno Egli non sia conscio di quanto la Creazione infinita ha bisogno in ciascun istante della sua esistenza?
15. Il Signore conosce con assoluta esattezza ciò che ora pensi e vuoi, perché se io lo so è certo che il Signore deve pur averlo saputo già molto tempo prima, altrimenti non sarebbe possibile che lo sapessi io. Tutto quello che noi angeli sappiamo e conosciamo, lo sappiamo e conosciamo unicamente fuori dal Signore. Ebbene, a me sono note tutte le tue avventure e le dure prove cui dovesti sottostare; ma chi se non il Signore avrebbe potuto rivelarmele? Non tu, né la bocca e il senso di nessun altro spirito, perché, senza il Senso e la Volontà del Signore, non potrei comprendere affatto tutto questo.
16. Ma come io comprendo tutto e riconosco e so direttamente solo dal Signore, così pure lo puoi anche tu; certamente però solo nella misura della necessaria capacità che possiede il tuo cuore!
17. Interroga dunque in cuore tuo il Signore, e vedremo poi se nel cuore ti verrà data o meno una risposta!»
Le ragioni delle difficili vie percorse da Mataele.
1. Allora Mataele rivolse a Me tale domanda nel suo cuore ed Io vi posi immediatamente e senza alcun velo la seguente risposta, che egli anche subito ripeté ad alta voce ai tre che gli erano vicino: «Il Signore era con i samaritani, essendosi questi allontanati dalla pestifera dottrina di Gerusalemme e convertiti a quella pura di Mosè e di Aronne. Tu, o Mataele, eri però un espertissimo ed efficace oratore, e in pari tempo avevi un carattere inflessibile che non avrebbe mai desistito da un proposito una volta formato. Il Signore era a conoscenza di ciò e prevedeva che tu, qualora fossi venuto a un contatto di ammaestramento con i samaritani, ormai puri credenti, avresti fatto fra di loro opera grandemente devastatrice; perciò fu il Signore che permise che tu assieme ai tuoi compagni cadessi sotto l'influenza dei famigerati ladroni, ben sapendo che tu non te ne saresti liberato finché il tuo sentimento non si fosse fatto flessibile e del tutto malleabile. Finché tu fosti pienamente cosciente un brigante fra i briganti, la tua ostinazione non volle fare alcuna concessione, anzi, formasti un piano astuto e ti mettesti a catechizzare i cinquanta ladroni, che all’incirca componevano la banda assieme alle loro mogli ed ai loro figli, portandoli al punto di confessarsi completamente aderenti alla dottrina fondamentalmente falsa di Gerusalemme, dato che essi, in base alle tue parole, venivano a trovarvi addirittura una garanzia ed un sicuro asilo per il loro mestiere di briganti.
2. E quando fosti giunto con loro a questo punto e mentre già il giorno seguente, quale condottiero della schiera che contava ormai te compreso cinquantacinque apostoli per il bene di Gerusalemme e per quello tuo proprio, ti proponevi di piombare sulla Samaria per là imporre con la forza la dottrina di Gerusalemme e per passare a fil di spada chiunque si fosse opposto alla tua propaganda; allora il Signore concesse che tu venissi ammonito mediante l'antico spirito di Abramo.
3. Ma siccome neanche questa apparizione ebbe l'effetto di cambiare il tuo proposito, soltanto allora il Signore permise che la tua anima dovesse nascondersi nella propria carne e che del tuo corpo invece si impossessassero molti demoni. Da quell'istante in poi tu divenisti, assieme ai tuoi compagni, il terrore della regione!
4. Perfino i tuoi cinquanta apostoli ladroni fuggirono e diventarono della gente a modo, e poiché avevano visto quale sorte terribile era toccata a te ed ai tuoi quattro compagni, a causa del perfido proposito formato per la conversione dei samaritani, così anch’essi per conto loro rinunciarono ad un tentativo, sia pure lontanissimo, di convertire i samaritani a vantaggio di Gerusalemme!
5. Fu in questo modo, dunque, che il Signore con uno strappo energico ed efficace lacerò il tuo piano estremamente contrario al buon ordine e ti lasciò nei ceppi del giudizio infernale fino a che la tua anima non avesse concesso posto in sé ad un sentimento meno caparbio.
6. Il Signore, però, conosceva pure da dove era originaria la tua anima e perché era così ostinata e tenace, e permise che su di essa si riversasse una simile coppa tremendamente amara, appunto perché era assolutamente escluso poterla ricondurre in altro modo dentro la cerchia dell'ordine.
7. Molto lontano da questa Terra esiste un altro mondo, che gira pure esso intorno al medesimo sole; mondo che a mala pena l'occhio di qualche singolo conoscitore delle stelle ha finora potuto scorgere. Su questo mondo (Urano) vive un'umanità molto ostinata, la quale, una volta che abbia formato un piano o abbracciato un proposito, non è possibile farla desistere dai suoi sforzi prima che lo abbia compiuto. E anche da questo mondo delle anime mature vengono trasferite nella carne su questa Terra per raggiungere la dignità di figlio di Dio, però esse conservano molto ancora della loro inflessibilità di carattere.
8. Un simile straniero, per così dire, sei pure tu su questa Terra, perché la tua anima ha origine appunto da quel mondo, e ciò spiega anche il perché fosti tanto poco cedevole e tanto rigido nei tuoi propositi.
9. Ma affinché la tua anima venisse resa malleabile e la sua natura con le peculiarità dell'altro mondo potesse essere plasmata in maniera da farsi accessibile alla giusta e liberissima verità di Dio, per entrare così nella sfera del divino amore e conseguentemente in quella dei veri e genuini figli di Dio, per queste ragioni dunque fu che l'aspra via che dovesti percorrere venne trovata l'unica possibile e la sola efficace.
10. Nell'inferno degli spiriti e delle anime di questa Terra tu dovesti, come le anime dei figli del mondo, acquistare un certo grado di maturità; dovesti dunque passare così per la porta più stretta, per poter salire a più alte regioni della vita come un succo vitale ingentilito e nobilitato. Ma come tale tu ora stai già al cospetto di Dio, il Signore di ogni vita».
La Parola interiore. La ragione dell'Incarnazione del Signore.
1. E come Mataele ebbe ripetuta a viva voce dinanzi ai tre la risposta che era stata messa nel suo cuore, egli si stupì grandemente per tale verità che aveva percepita in sé e per le parole interiori mai percepite così chiaramente prima di allora.
2. Raffaele, però, disse a Mataele: «Ora, dunque, vedi come è desto il Signore, quantunque il Suo corpo riposi, e come nel tuo cuore hai inteso chiaramente e distintamente le Sue parole, in modo da poterle enunciare ad alta voce con la bocca della tua carne. Ed ecco, similmente anche noi percepiamo, in maniera quanto mai vivente ed energica nell’operare, la Parola e la Volontà del Signore in noi, e precisamente così che noi poi diventiamo del tutto la Sua Parola e la Sua Volontà! Ma se noi siamo questo, allora quali la Sua Parola e la Sua Volontà siamo pure per mezzo di queste la stessa Azione compiuta, dunque Verbo, Volontà e Azione in una forma sola! Comprendi adesso, o amico Mataele, tutte queste cose in maniera chiara ed evidente?»
3. Risponde Mataele: «Quando ci si aspetta di trovare in sé una convinzione così tranquillizzante, come se si comprendesse già tutto quello che ci si presenta dinanzi al momento, ecco invece che ci si presenta nuovamente appunto qualcosa di cui non si ha mai avuto l'idea nemmeno in sogno! Ma da tutto ciò io vedo che nella Sapienza divina esiste una pienezza tanto incommensurabile, ed una tale profondità, che uno spirito non giungerà mai a comprenderla pienamente! Perciò noi avremmo, attraverso tutte le eternità, sempre in assoluta abbondanza da imparare e da comprendere sempre cose nuove! Ma è anche molto bene che sia così!
4. Io trovo che veramente non mi converrebbe affatto se tutto mi riuscisse ora chiaro come riesce chiaro al Signore stesso. Se in tutta l'infinità non vi fosse per me niente più di sconosciuto, io mi troverei ben presto sazio della vita, mentre invece esiste una quantità così sterminata di cose profondamente nascoste entro il velo più fitto del mistero che noi non arriveremo mai in eterno a portarle alla luce. Io devo ora confessare apertamente che, oltre a ciò, la beatitudine di Dio non dovrebbe essere assolutamente da invidiare se noi, come Sue creature e figli, conoscessimo tutto così chiaramente come Egli stesso conosce, e la Sua eterna ed infinita Sapienza ‘totale’ dovrebbe venirGli terribilmente a noia qualora Egli dovesse impiegarla unicamente per Se stesso!
5. Ma è appunto perciò che Egli rese colmo lo spazio infinito di opere innumerevoli corrispondenti alla Sapienza e Potenza Sue infinite, e creò degli esseri pensanti e dotati anche di molta sapienza. Costoro, sempre presi in sommo grado da tale profondità di Sapienza e di Potenza divine, ricercano e ammirano continuamente le profondità divine della Sapienza e Potenza dell'Un Creatore, e ad ogni nuova rivelazione vengono trascinati a nuova ammirazione e adorazione, e sentono potenziarsi in loro l'amore per Lui!
6. Ebbene, questa sola cosa deve costituire per Dio la reale beatitudine! Per Lui, il Creatore e Padre degli angeli, dei mondi, degli esseri umani e dei Suoi figli, questa deve essere la sola massima delizia, quella cioè di rendere sempre maggiormente beati tutti coloro che sempre più riconoscono ed amano Lui e le Sue parole!
7. Per preparare la via ad una beatitudine sempre maggiore a noi uomini di questa Terra, a voi angeli di tutti i Cieli e a tutte le creature dimoranti nell'immensità, Egli stesso venne come Uomo a noi su questa Terra allo scopo di manifestarSi formalmente a noi, tangibilmente nella carne e nel sangue come un uomo si manifesta al proprio simile. Amico, essere o angelo dall'eternità, oppure semplice creatura umana come sono io, tutto ciò il Signore non lo fa soltanto per amor nostro, ma anche per amor Suo, perché con l'andar dei tempi Egli si consumerebbe dalla gran noia, quando con tutta la Sua Onniscienza dovesse risultarGli in maniera supremamente chiara in Sé che Egli, quale l'Intelligenza per quanto eterna e perfettissima ma tuttavia pur sempre senza forma al massimo grado, non potrebbe mai venire contemplato dalle Sue creature e ancor meno esse potrebbero comunicare direttamente con Lui, e perciò rimarrebbe per loro un Dio sconosciuto!
8. Infatti, non sarebbe quanto mai doloroso, ad esempio, per un padre terreno e amorosissimo di venti figli molto graziosi, tutti però ciechi e sordi, non poter mai scambiare una parola, né mostrarsi a loro come uomo? Vedremo ora di raffigurarci in modo vivente un tale rapporto: un padre immensamente ricco di fronte a venti figli d'ambo i sessi, uno più bello dell'altro, ma tutti sordi e ciechi! Si domanda: "Non sacrificherebbe un simile padre la maggior parte delle Sue ricchezze pur di donare l'udito e la vista alle Sue dilettissime creature? E quale acerbo dolore non sarebbe per Lui qualora in tutto il mondo non vi fosse nessun mezzo per far riacquistare ai suoi figli la vista e l'udito?»
9. Ora noi uomini abbiamo udito e vista, e vedendo e udendo noi troviamo un grande diletto l'uno nell'altro, talvolta perfino più del necessario, in quanto noi arriviamo talora a dimenticarci addirittura del Creatore. Ma il Creatore buono e santo, il Padre sapientissimo, dovrebbe rinunciare per sempre alla suprema fra le beatitudini, cioè di venire riconosciuto, sentito e visto dai Suoi figli? Una soluzione di questo tipo non sarebbe assolutamente ammissibile per un eterno Padre colmo del più sublime e puro amore verso i Suoi figli!
10. In Lui vi è certamente una brama maggiore di veder noi, Suoi figli, assurti al punto di essere nell'Ordine Suo abilitati a vederLo, ad amarLo personalmente e di comunicare con Lui senza danno per la nostra esistenza che non in noi, figli, che non possiamo ancora formarci un concetto vero e proprio dell'Essenza fondamentale dell'Eterno Padre!
11. Io credo dunque di non affermare una cosa troppo campata in aria se dico che il Signore, non soltanto per amor nostro, ma anche per amor Suo Si è rivestito di un corpo di carne e di sangue, e così è venuto su questa Terra a noi, Suoi figli, ai quali manca ancora molto per essere completamente dirozzati! Egli già dall'eternità aveva previsto ciò che avrebbe fatto; noi però siamo ora i testimoni dell'esecuzione di questo eterno ed immenso piano! Dimmi tu, o Raffaele, se ho giudicato giustamente o falsamente!»
Il pensiero della noia di Dio.
1. Dice Raffaele: «Non sei stato tu, o amico, a giudicare così, bensì è stato il Signore stesso a porti una tale versione nel tuo cuore, e per questa ragione essa deve anche essere giusta!»
2. Allora interviene anche Murel e dice: «Davvero, tutto quello che si sente qui è molto dissimile da come è portato a giudicare il mondo! E tuttavia non c'è ragione pura d'uomo che possa muovervi obiezione! La nostra noia, qualora noi diventassimo d'un tratto sapienti ed onniscienti come Dio, e di fronte a questa la noia di Dio inerente ad una qualsiasi condizione del fatto appunto di non poter mai venir percepito, visto ed udito dalle Sue creature, dai Suoi figli e perfino dagli angeli, queste sono veramente due situazioni e due giudizi dinanzi ai quali un uomo che pensi profondamente non può fare a meno d'inchinarsi con tutto rispetto! Una cosa simile non se l'è sognata di certo mai nessuno dei pezzi grossi del tempio, eppure è giusta! Io posso pensare adesso, e concludere come voglio, ma non riesco affatto a trovare niente da ribattere, nonostante l'espressione "noia di Dio" suoni un po' strana! Io posso però esaminare l'argomento da qualsiasi lato io voglia, ma esso resterà vero, verissimo! Però ora mi si affaccia alla mente ancora un esempio molto calzante per illustrare questa verità del tutto nuova, e bisogna che ve lo esponga per il meglio!»
3. Dice Mataele: «O fratello, faccelo pur sentire senza indugio! Perché da un animo come il tuo, arricchitosi di molte esperienze, non ci si può aspettare che qualcosa di reale, di buono e di utile per la nostra causa!»
4. Risponde Murel: «Non proprio per questo, ma affinché sappiate come io ho compreso tutto questo! Io mi immagino un uomo che, dotato di ogni sapienza, si trovi tutto solo sulla cara Terra di Dio. Egli bramerebbe di manifestarsi fedelissimamente agli altri uomini, se ce ne fossero in qualche luogo, e va esplorando la Terra minutamente in ogni suo angolo, senza tuttavia trovare un essere vivente e pensante. La sua grande sapienza comincia allora a pesargli, poiché tutto ciò che egli fa e crea non viene riconosciuto e apprezzato da nessuno. Ma in quali condizioni d'animo dunque dovrebbe con l'andar del tempo venire egli a trovarsi? Non dovrebbe disperarsi? La terribile noia non lo divorerebbe del tutto?
5. Ma quale momento di gioia indescrivibile non sarebbe per lui quello in cui egli trovasse finalmente una fanciulla, anche di bassa condizione o anche un rozzissimo servo! E con quale indicibile amore non attrarrebbe egli a sé un simile oggetto delle sue affannose ricerche!»
6. Oh! Da ciò si può chiaramente vedere quello che un uomo rappresenta per l'altro uomo, e quale beatitudine si cela nel fare del bene al prossimo!
7. Quale destino spaventoso non dovrebbe essere quello di un uomo assolutamente solo, il quale non riuscisse a trovare in tutto il mondo un secondo essere umano cui poter elargire un beneficio! Dunque l'amore è un elemento puro divino di vita, perché l'impossibilità di manifestarsi fattivamente agli altri deve renderlo supremamente infelice!
8. A che cosa servirebbe ad un cantore il suono melodioso della sua voce, equale scopo avrebbe l'armonia strappata ad un’arpa bene intonata se fosse destinato a sentirli in eterno lui solo? Se un uccellino solitario nel bosco va saltando di albero in albero, e mediante certi suoni lamentevoli che sembrano delle invocazioni va in cerca del suo simile e non lo trova, ben presto un senso d'angoscia comincia ad opprimerlo, egli ammutolisce, si fa triste ed in breve abbandona il bosco deserto e vuoto per lui.
9. Già nell’animale è insito tanto amore che esso visibilmente brama la vicinanza del suo simile, ma quanto più dev'essere il caso nell'uomo dotato di sentimento, d'intelletto e di ragione! A che cosa gli servirebbero tutte le sue grandi capacita ed i talenti, se non potesse utilizzare questi che ad unico vantaggio di se stesso?
10. E così, sulla base di questa mia percezione ben fondata, io posso del tutto logicamente ammettere, ovviamente secondo i nostri umani concetti, che Dio, il Signore, dovrebbe finire col venire oppresso da una noia spaventosa, anche se Egli vedesse intorno a Sé tutta l'infinità ricolma dei mondi più meravigliosi, sui quali però non esistesse alcun essere capace di riconoscere Colui Che li avesse creati fuori dal Suo Amore, di amarLo e di sentire immensa gioia nel contemplare le innumerevoli opere prodigiose della Sua Sapienza e Potenza. Ma perché possa venire riconosciuto e amato è necessario che il Creatore venga incontro alla creatura, e il Padre al figlio, e che gli Si riveli in maniera tangibile da rendere possibile alla creatura, e particolarmente al figlio, di riconoscere il Creatore, il Padre come Tale.
11. Qualora questa condizione non venisse adempiuta, Dio avrebbe creato invano angeli e uomini, nonché tutto ciò che esiste; Egli poi rimarrebbe eternamente solo ad ogni modo, e le Sue creature, per quanto meravigliosamente belle, ne saprebbero di Lui tanto quanto può l'erba saperne del mietitore, che la taglia e la mette ad asciugare per farne del fieno.
12. Dio invece Si è sempre manifestato per le vie più adatte e in maniera ben percettibile ai Suoi esseri dotati di completa intelligenza e di perfetta ragione, che erano in lotta per la vera libertà della vita, e li ha preparati a questa Sua venuta. Ma con questa venuta anche tutte le promesse fatte risultano adempiute; le creature Lo vedono in carne e sangue come vedono se stesse; Egli procede fra di loro del tutto come uomo, e quale Padre dall’eternità va insegnando e mostrando qual è il loro grande ed eterno destino.
13. Ma in questo modo poi tutto è nel massimo ordine, e ormai non dipende più che da noi uomini l'impiegare con tutta coscienza i mezzi vitali che ci vengono consigliati, e la grande duplice meta è raggiunta, vale a dire: "Il figlio ha riconosciuto il suo eterno Padre santo, egli Lo contempla con occhi ebbri d'amore, e di Lui si rallegra a dismisura; d'altro canto il Padre si rallegra oltre ogni dire per il fatto che Egli ora non è più solo, bensì Si trova raggiante in mezzo ai Suoi figli che Lo riconoscono, Lo lodano e Lo amano sopra ogni cosa e che sempre e nuovamente restano lietamente meravigliati al cospetto delle Sue opere prodigiose, ed inneggiano alla Sua Potenza infinita e alla Sua Sapienza! Ed in queste condizioni sì che ci deve essere beatitudine in sovrabbondanza, tanto per il Creatore quanto per la creatura!". È giusto il giudizio che ho dato io della cosa, oppure è falso?».
La domanda di Raffaele ai missionari.
1. Dice Raffaele: «Il giudizio che hai dato è perfettamente giusto; infatti così è, e non altrimenti! Però neanche tu non hai attinto queste cose alla sorgente della tua carne e del tuo sangue, bensì a quella dello spirito che è nella Parola del Signore. Ma è sufficiente che voi ora sappiate tali cose! Quello che però voi sapete in questa sfera tenetelo per voi! Poiché per comprendere questo ci vogliono anime come sono le vostre; per le altre è sufficiente che conoscano Dio e che Lo amino quale Padre sopra ogni cosa! Qualora però doveste imbattervi in qualche anima veramente grande, potrete rivelare ad essa anche questa cosa della quale abbiamo ormai ragionato già per più di due ore. Ed adesso, miei cari amici, passiamo a qualcos'altro!
2. Voi, procedendo per le vie suggerite dal vostro spirito di collaborazione al Regno di Dio, avrete ben spesso occasione di sentirvi pressantemente interpellare dai vostri discepoli, i quali diranno: "La vostra dottrina è sì nobile, bella e commovente, ma le promesse da voi fatteci invece non accennano ancora a trovare in qualche maniera compimento. Dovremmo sentire in noi la voce del Padre, anzi, le promesse arrivarono al punto di farci intravedere che noi avremmo addirittura potuto vedere il Padre e parlargli, ma di tutto questo noi non ci siamo accorti che si sia avverato niente. Se la vostra dottrina è fondata sulla verità, anche le promesse che ci avete fatto devono trovare in noi adempimento! Noi osserviamo tutto attentamente, ma finora non riusciamo ancora a scoprire in noi alcuna traccia di un adempimento delle promesse che ci avete fatto. Dateci una spiegazione riguardo a questa cosa e diteci apertamente perché le vostre promesse nei nostri riguardi non sono approdate a nulla". In questo caso, che cosa pensate di rispondere a loro?»
3. A tale questione, posta da Raffaele, tutti e tre restano meravigliati, e Murel esclama: «O amico, se confidando nella Parola fedelissima del Signore noi facciamo delle promesse ed i nostri discepoli osservano con i fatti la dottrina, c'è naturalmente assoluta necessità che il Signore non ci lasci eventualmente nell'imbarazzo, perché risulta evidente che altrimenti sarebbe più conforme a prudenza il non diffondere la dottrina che il rischiare di restare senza parole al cospetto della gente!
4. Anzi, qui trovo opportuno asserire in tutta buona fede che appunto le piantate in asso di questo genere da parte divina sono sempre state un fattore importantissimo nella decadenza delle religioni! Perché è avvenuto che le promesse fatte ai fedeli, per un qualche occulto motivo non si sono avverate pienamente, e talvolta anzi non si sono avverate affatto, e allora i maestri dovettero ricorrere a mezzi artificiali per non venire ignominiosamente e malamente trattati dal popolo! Ma allora anche il sentimento del popolo fu attratto verso l'esteriorità, e di fronte al popolo ingannato non fu più possibile intraprendere qualcosa per le vie dello spirituale-puro.
5. Di conseguenza, il Signore non dovrebbe più fare così verso tutti i divulgatori della Sua dottrina; Egli cioè non dovrebbe più, come altre volte, abbandonarli a loro stessi, particolarmente in quei momenti nei quali il sicuro avverarsi delle Sue promesse fosse stato da loro stabilito a prova capitale della verità e della divinità della dottrina stessa; poiché io, almeno per conto mio, preferirei essere un comunissimo spazzino che non un Geremia tormentato a sangue. E non sarebbe ancora niente se facendo il Geremia qualcuno ci ritraesse dei vantaggi, ma in casi simili non è il caso in eterno di parlare di vantaggi quando non si fa che diventare oggetto di scandalo per l'umanità!»
6. Osserva Raffaele: «Ma, amico mio caro, trascinato dal tuo zelo, tu sei uscito completamente dal campo che ti aveva veramente indicato la mia domanda! Il Signore farà certo sempre ed eternamente quanto spetta a Lui in relazione alle promesse da Lui fatte, ma ora si tratta soltanto di vedere se conoscete con esattezza le condizioni pienamente valide, in ogni tempo fissate dal Signore, affinché le promesse fatte possano trovare sempre pronto adempimento!
7. Infatti, in un uomo può talvolta dipendere da una minuzia che una promessa venga o non venga veramente adempiuta, ma allora si rende necessario che voi, da veri maestri, abbiate veramente chiaro quello che ancora manca al discepolo, affinché possa a sua volta diventare maestro. Ora vedi, appunto a questo si riferisce la domanda che vi ho fatto prima!»
Il Regno di Dio nel cuore dell'uomo.
1. (Raffaele:) «Ma poiché vedo che voi in nessun caso potreste rispondere alla domanda che vi ho rivolta, così questa risposta voglio darvela io stesso in maniera appropriata e sufficiente per il vostro intelletto destato. A voi però conviene far tesoro di tale risposta ed imprimervela profondamente nei vostri cuori, perché essa è quanto mai importante, anzi dipende tutto da ciò, e cioè che voi conosciate con esattezza assoluta le condizioni che sono poste al pieno raggiungimento della vera figliolanza di Dio, condizioni che devono essere necessariamente e imprescindibilmente tali secondo l'immutabile Ordine divino.
2. Voi sapete che ciascuna creatura umana deve formare e plasmare se stessa secondo il riconosciuto Ordine divino, del tutto indipendentemente dall’onnipotenza della Volontà divina e in seguito alla sua assoluta e libera decisione, per diventare in questo modo un libero figlio di Dio.
3. Il mezzo più valido, e per conseguenza il più efficace che viene consigliato per conseguire un simile scopo, è l'amore per Dio, e nella stessa misura l'amore per il prossimo, sia questo prossimo uomo o donna, giovane o vecchio, ciò è indifferente.
4. Però, le compagne fedeli dell'amore sono la vera umiltà, la mansuetudine e la pazienza; infatti, il vero amore senza questi tre accessori non può affatto sussistere e non è amore vero e puro.
5. Ma come può l'uomo apprendere in sé se egli veramente si trova o meno nell'amore puro secondo l'Ordine divino?
6. Ecco: "L'uomo esamini se stesso - quando s'imbatte in qualche fratello o sorella poveri - se nel proprio cuore sorge del tutto apertamente e amorevolmente il desiderio di donare con gioia perfetta e senza misura nell'assoluta dimenticanza di se stesso! Se egli percepisce un tale sentimento in sé, e questo ovviamente nella maniera più seria e vivente, allora egli è già un vero figlio di Dio pronto e maturo, e le promesse fatte, di cui un simile perfetto figlio di Dio può attendersi che si avverino, cominciano allora ad entrare nel campo della realtà assoluta e a manifestarsi meravigliosamente con la parola e con l'azione, ed è così che voi, quali maestri, apparirete giustificati al cospetto dei vostri discepoli.
7. Quei discepoli però nei quali le promesse non troveranno realizzazione, dovranno prendere norma da ciò, e avranno da attribuire a loro stessi se le promesse fatte a loro non avranno potuto ancora avere adempimento; perché il loro cuore non si sarà ancora aperto interamente alla povera umanità del prossimo".
8. L'amore a Dio, e l'adempimento spontaneo della Sua riconosciuta Volontà, è il vero e proprio elemento celestiale nel cuore umano; esso è la dimora e l’abitacolo dello Spirito di Dio in ciascun cuore d’uomo, e l'amore del prossimo è la porta che a questa sacra dimora conduce.
9. Questa porta deve rimanere del tutto aperta, affinché la pienezza della Vita divina possa accedere in tale dimora, e l'umiltà, la mansuetudine e la pazienza sono le tre finestre bene aperte attraverso le quali la santa dimora di Dio nel cuore dell'uomo si illumina nel modo più splendente della luce dai Cieli e viene riscaldata con ogni pienezza di vita dai Cieli.
10. Dunque, tutto dipende dall'amore del prossimo che si esprime nella massima libertà, nella massima spontaneità e nella massima letizia; la massima abnegazione possibile di se stessi è essa stessa la rivelazione delle promesse. Ecco, questa è la giusta risposta alla domanda vitale supremamente importante. Ponderateci su, e operate conformemente; in questo modo voi sarete giustificati dinanzi a voi stessi, ai vostri fratelli, e così pure al cospetto di Dio! Poiché quello che ora fa il Signore stesso, dovranno farlo pure gli uomini per diventare simili a Lui, e quindi Suoi figli. Avete compreso voi tutto ciò?».
Vera vita spirituale.
1. Quando Raffaele ebbe terminato il suo discorso proveniente da Me, i tre si mostrarono immensamente stupiti, e Mataele disse: «Noi certo abbiamo compreso queste parole sante veramente viventi, e abbiamo altresì per la prima volta perfettamente inteso ciò che Davide volle significare quando in uno dei suoi divini salmi disse: "O porte, alzate i vostri capi, e voi, porte eterne, alzatevi, e il re della gloria entrerà!". Ma l'adempimento vivente! Oh, dov'è mai? Cosa non ci vuole per compiere questo col calore della vita!
2. Oh, sì, incontrando un povero gli si dona certo qualcosa, ed allora ad uno non dispiace per il poco che ha donato al bisognoso; ma l'impulso a fare ciò ha origine di gran lunga di più dall'intelletto che non da un qualche sentimento di amore verso il prossimo! O Dio, quanto è lontano l'uomo dalla meta a causa del suo intelletto e del suo freddo ragionare privo di ogni amore! Chi dona qualcosa ad un povero per impulso del vero amore fraterno e del prossimo, e prova oltre a ciò una vera ed umile gioia al pensiero di aver fatto a vantaggio dei propri fratelli e delle proprie sorelle quanto di bene gli era stato possibile fare nel Nome di Jehova, e nutre in sé costantemente la brama più vivente di fare del bene in misura ancora molto maggiore, e di tentare ogni via pur di rendere tutti i suoi fratelli e le sorelle il più possibile felici con dimostrazioni d'amicizia, con la parola, con il consiglio e con l'azione più gioiosa, - oh, - a quali altezze incommensurabili assurgono l'anima e lo spirito di un simile uomo al cospetto di Dio, il Signore! Ma a che punto invece siamo noi ancora con i nostri cuori di pietra e con i nostri piccoli doni dall'intelletto?
3. O amico dai Cieli! Con la tua domanda e la risposta che tu hai dato alla stessa ci hai dischiuso davvero un bel panorama! Soltanto adesso distinguiamo in maniera ben chiara dove siamo e a che punto ci troviamo! Signore! Desta i nostri cuori ed accendili nel vero e più vivente amore del prossimo, altrimenti la Tua intera Dottrina di Vita, ancora divina nel modo più puro, non è altro che un vano gioco di parole estetico-morale senza forza ed efficacia!
4. Ed ora vedo scorrermi dinanzi agli occhi tutta la via della vita da me trascorsa fino ad oggi; essa era, già nelle sue premesse e dai suoi inizi, fondamentalmente errata, ed è perciò che non potei arrivare a nessuna meta!
5. Soltanto adesso incomincio a riconoscere la vera e propria via, e so in che cosa consistano le promesse e i loro adempimenti. Io so ora che cosa manca ancora a me stesso e che cosa mancherà a coloro per i quali le promesse non avranno adempimento nonostante l'accettazione della Dottrina divina, e so pure come questi potranno venir guidati sulla via della massima perfezione; ma accanto a tutto ciò vedo pure bene che avrò moltissimo da fare ancora per me, allo scopo di rientrare io stesso nel più perfetto ordine!
6. Noi certamente abbiamo un grande vantaggio nella sfera della fede, dato che il Signore stesso dimora qui fra noi ed insegna con la parola e con l'azione; dunque dinanzi a noi sta aperto tutto il Cielo, e gli angeli di Dio ci ammaestrano nella sapienza dei Cieli e nell'Ordine eterno della Vita, ordine che proviene da Dio; ma la formazione del cuore è affidata solamente a noi! Ma noi ce la caveremo anche in questo con l'aiuto del Signore!
7. Una cosa è ‘sapere’, e tutt'altra cosa è ‘sentire’. Alla conoscenza si può arrivare da se stessi per le vie dell'arida diligenza, e alla scienza del mondo si può arrivare per le vie dell'esperienza, ma per giungere al vero sentire ci vuole molto di più della molta diligenza e della molta esperienza!
8. Il molto sapere non contribuisce a rendere sensibile il cuore umano, né gli conferisce sempre una giusta volontà, e d'altro canto l'esperienza può aumentare la nostra conoscenza tanto nel bene quanto nel male; soltanto un ‘retto sentire’ anima tutto, dà un ordine a tutto e dona pace e beatitudine. Di conseguenza già agli inizi dell'opera di formazione dell'uomo a "vero uomo" è necessario guardare anzitutto il suo cuore!
9. Poiché, se il cuore non è stato coltivato già dall'inizio, ma si è invece coltivato il solo intelletto, allora il cuore si indurisce e conforme alle esigenze dell'intelletto diventa orgoglioso! Ma una volta che il cuore sia dominato dall'orgoglio è quanto mai difficile il procedere in esso alla cultura del sentimento, e in questo caso è bene ricorrere già a vere prove del fuoco che consistono in ogni tipo di sventure e miserie, e il cuore deve allora venire assoggettato ad ogni genere di pressioni, affinché poi, come una cera energicamente manipolata, si faccia molle e sensibile alle miserie ed alle sciagure della dolorante umanità che costituisce il suo prossimo!
10. Ringraziamo te e per mezzo tuo il Signore per questo importantissimo ammaestramento fra tutti, mediante il quale solo io ora so chiaramente che cosa dovrò fare in ogni avvenire, tanto per me quanto per tutti coloro che da Dio, per mezzo mio, riceveranno questa splendida e purissima Luce».
Gli impedimenti principali all'adempimento delle promesse.
1. Dice Raffaele: «Oh, a me non spettano né ringraziamenti né onori, ma tutto ciò spetta soltanto al Signore!
2. Però è bene che voi abbiate compreso queste cose nella loro profondità vitale, e con questo mezzo potrete sempre ribattere ai ragionamenti di chiunque verrà a voi per dirvi: "O amico, io finora ho sì fatto tutto e creduto tutto secondo i tuoi insegnamenti, ma degli effetti promessi nulla ha accennato a tradursi nella realtà fino a questo momento! Cosa devo fare ancora? Io ho abbandonato l'antica e buona dottrina dei miei padri, nella quale essi molto spesso provavano piena consolazione, il migliore consiglio e l'aiuto necessario in ogni genere di tristi vicende, ed ora questa nuova dottrina mi lascia orfano assieme al mio vicino. Nessuna preghiera viene in qualche modo esaudita, e nessun dubbio tenebroso viene chiarito! Dov'è dunque il Dio magnifico nel Nome del Quale tu, di tua iniziativa, ci hai promesso tutte le felicità e altre cose meravigliose?".
3. Ma, allora, ti sarà facile rispondergli così: "O amico! Di ciò non va data colpa alla Dottrina da te ascoltata soltanto nel tuo intelletto, per quanto anche tu abbia in via di prova conformato le tue azioni alla stessa Dottrina, addirittura rigidamente, ed abbia atteso l'adempimento della promessa apportatrice per te di vantaggi; infatti, tu facesti il bene secondo la Dottrina soltanto per amore del vantaggio che la tua mente vedeva brillare dentro la promessa e non già per puro amore del bene come tale! Tu dunque operasti soltanto sotto l'impulso dell'intelletto, e non però sotto quello del cuore! Questo invece è rimasto in sé duro e freddo come era prima dell'accoglimento della pura Dottrina divina, e di conseguenza né con l'azione né con la fede cieca e morta potesti vedere compiute le promesse che ti furono fatte!
4. Ma ora desta il tuo cuore! Tutto quello che fai, fallo fuori dal vero fondamento della vita! Ama sopra ogni cosa Dio per Lui stesso, e in uguale maniera ama anche il tuo prossimo!
5. Fa' il bene per amore del bene fuori del fondamento della tua vita, e non cercare di basare sulla tua fede e sulle tue opere l'adempimento della promessa e domandare se quella sarà adempiuta o no! Poiché l'adempimento è appunto una conseguenza del fatto che tu credi in maniera vivente nel tuo cuore, che senti e che per impulso vivente d'amore operi. Ma come tu hai creduto e operato fino ad oggi, fosti simile ad uno che avesse lavorato e seminato in sogno e si fosse destato con la pretesa di raccogliere il frutto della sua semina, mentre non trovò né il campo né il frutto della sua semina.
6. Il credere, il sapere e l'operare dell'intelletto umano sono un vano sogno, e non contengono in sé alcun elemento vitale. L'uomo deve prendere a cuore tutto ciò in cui dimora la vita, e ciò che egli depone nel cuore anche germoglierà e porterà i frutti promessi.
7. Chi non sa o non vuole regolare così la sua vita, ed ama se stesso anche nella sua fede e nel suo pensiero, egli non vedrà mai l'adempimento della promessa, perché l'adempimento è il frutto dell'attività del cuore!"
8. Quando voi risponderete così a chi vi domanderà il perché del mancato adempimento della promessa, allora egli vi lascerà in pace e comincerà a provare ad essere veramente operoso nel proprio cuore.
9. Se egli farà così, inizierà poi a sorgere in lui stesso la prova che la promessa fondata nella Dottrina di Dio non è assolutamente vana e vuota, ma se invece egli continuerà a prendere consiglio soltanto dal suo intelletto, e a questo soltanto conformerà le proprie azioni, allora dovrà attribuire la colpa a se stesso se egli non potrà vedere adempiuta la promessa durante tutto il tempo della sua vita terrena e neppure facilmente nell'aldilà! Ed ora ditemi se avete ben compreso tutto ciò e in maniera viva!»
10. Filopoldo riprende a parlare ed esclama: «O amico nostro dai Cieli! E chi non potrebbe comprenderlo? Chi, come te, vive soltanto la vita del cuore e nel cuore pensa e sente, quegli comprende anche con la massima facilità e chiarezza tutto quanto è attinente alla vita del cuore, ma chi invece vive, pensa e sente unicamente nel proprio cervello, per lui tutto quanto concerne la vita si riduce comunque ad un ridicolo nulla. Noi però abbiamo ormai trattato questo argomento in maniera assolutamente esauriente e chiara e come vedo ad oriente incomincia ad albeggiare; la stella del mattino è già molto alta sull'orizzonte, e perciò credo che noi ora dovremmo pensare a qualcos’altro!».
La libera volontà di un angelo.
1. Dice Murel: «Siamo d'accordo, l'idea è quanto mai bella e buona; basterebbe soltanto sapere a che cosa si potrebbe passare! Che ne direste, ad esempio, se il nostro caro amico dai Cieli ci raccontasse qualcosa della stella del mattino? Perché, se noi siamo avviati a diventare dei maestri delle viventi opere di Dio, non ne sapremo mai abbastanza di tutte le cose possibili! Noi certo avremo a che fare con anime e spiriti di ogni specie, i quali ci interrogheranno riguardo a svariatissime cose. Dunque, se noi non saremo in grado di dare a loro degli adeguati chiarimenti, essi si allontaneranno da noi, ci scherniranno e ci avranno in spregio; ma se invece saremo capaci di fornire loro spiegazioni sufficienti riguardo a tutto, essi allora saranno ben disposti ad ascoltare quanto diremo loro anche su altri argomenti ed accoglieranno il nostro Evangelo! Che risposta daresti tu, per esempio, a colui che ti domandasse che cos'è veramente la stella del mattino?»
2. Risponde Filopoldo: «O amico! In un simile caso io gli direi che dovrebbe attendersi di arrivare a questo genere di cognizioni per intuizione propria e fuori dalle proprie percezioni interiori, sempreché volesse indirizzare la propria vita secondo la Dottrina della salute dai Cieli. Ma se così non volesse fare, allora anche tutte le mie spiegazioni non gli servirebbero a nulla, per la ragione che di tutto ciò egli non potrebbe in alcun luogo attingere una convinzione. D'altro canto la fede cieca non può di certo giovare a nessuno, dato che oggi egli crede una cosa, domani però viene a trovarsi sotto l'influenza di uno che è più forte nell'esposizione della parola senza ritrarne sicuramente per la sua vita un vantaggio maggiore di quanto ne abbia ritratto credendo a noi qualche giorno prima.
3. L’uomo perciò deve venire avviato a vedere in se stesso l'essenza delle cose, siano queste vicine o lontane, per acquistare coscienza e conoscenza e poi contemplarle e considerarle fuor dalla luce vivente di una simile coscienza interiore. Arrivato che sia l'uomo a questo punto, ciò che non è proprio impossibile, allora egli non ha più bisogno dei nostri consigli a questo riguardo, né dei nostri insegnamenti!
4. Secondo il mio parere, noi facciamo abbastanza se indichiamo agli uomini chiaramente qual è la vera via della vita, mentre tutto il resto si svolge da sé, come anche il nostro celestiale amico ha magnificamente dimostrato, quando ha detto che basta, in certo qual modo, deporre in un campo un buon seme e poi questo si svilupperà e maturerà ulteriormente da sé. Tuttavia, per nostro diretto vantaggio e a nostro irrobustimento spirituale, il messaggero dei Cieli può senza dubbio aprirci gli occhi e renderli atti a vedere più da vicino la stella del mattino, come a suo tempo egli ebbe già a riaprirli al vecchio Tobia mediante il fiele di un pesce, perché mi sembra che qui si tratti dello stesso Raffaele che guidò il giovane Tobia!»
5. Dice Mataele: «Tu puoi benissimo avere piena ragione. I nomi sono gli stessi e la sapienza pure; di conseguenza il nostro celestiale amico è sicuramente un vero medico degli organi visivi, e come tale può fornirci maggior luce di quanta io ora ne abbia riguardo alla stella del mattino, ma naturalmente se vuole e se può! Perché, per quanto concerne lui, tutto dipende rigorosamente dalla Volontà del Signore, poiché per sé stesso non ha una propria volontà, come noi che ne abbiamo una assolutamente propria e perfettamente libera»
6. Osserva allora Raffaele: «Tu hai detto bene; ad ogni modo, però, nemmeno la mia libertà di volere non è in fondo tanto impedita come l'intendi tu; io pure sono un recipiente atto ad accogliere la Volontà divina e non unicamente un'irradiazione di tale Volontà! Io percepisco molto bene quello che io voglio e ciò che poi vuole il Signore.
7. La differenza consiste semplicemente in ciò che io percepisco la Volontà del Signore con maggiore facilità, precisione e rapidità che non voi uomini, e poi subordino repentinamente e completamente la mia volontà a quella del Signore, e appunto per mezzo di questo io risulto essere contemporaneamente come una pura irradiazione della Volontà divina. Ma malgrado ciò io dispongo di una volontà assolutamente libera e potrei, come una qualsiasi creatura umana, agire contro questa Volontà; ma una cosa simile non può verificarsi, perché io possiedo la sapienza in grado talmente alto che io stesso, luce fuori dalla Luce Primordiale divina, riconosco troppo chiaramente che è l'eterna immutabile giustizia del divino Volere il bene vitale assolutamente supremo di tutte le creature umane, di tutti gli angeli e di tutti i mondi, e perciò, in seguito alla mia personale decisione presa in assoluta libertà, io adempio soltanto la Volontà ben riconosciuta di Dio, e poi a questa io subordino sempre e completamente la mia volontà.
8. Se dunque voi volete che vi riveli la stella del mattino che i pagani chiamano Venere, io posso farlo anche per mia volontà, qualora a ciò non si opponga quella del Signore; e se questo fosse il caso, allora certo neppure io vorrei darvi alcuna spiegazione. E così pure quello che io vi dico, lo dico fuori dalla mia scienza e sapienza, che certamente non possono essere in nessun caso differenti dalla Scienza e Sapienza divine, dato che io sono continuamente compenetrato unicamente dalla Volontà divina che mi dà l'impulso a parlare e ad agire. Perciò, se desiderate conoscere la stella del mattino nella sua naturale realtà, posso certo farvi questo favore e mostrarvela com'è». Esclamano allora i tre ad una voce: «O sì, facci questo favore, o carissimo amico nostro dai Cieli!»
Sul pianeta Venere.
1. Allora Raffaele pose le sue mani contemporaneamente sulla fronte e sul petto a ciascuno dei tre, e nel medesimo istante questi si trovarono, con il potere visivo delle loro anime, trasferiti sul pianeta Venere, e poterono benissimo ammirarne le campagne, le creature e la disposizione; essi udirono perfino parlare quegli abitanti e precisamente nell'occasione di una adunanza che veniva tenuta in onore del grande Spirito di tutti gli spiriti. Ora quanto veniva là detto era del seguente tenore: «O voi, umanità di questo bel mondo che il grande Spirito creò ad immagine del Suo occhio! Noi ci troviamo qui radunati per porgere le nostre lodi e gli atti della nostra adorazione a questo grande Spirito! Supremamente possente e savio è il grande Spirito, perciò noi non possiamo altrimenti onorarLo se non con il dimostrarci al Suo cospetto a nostra volta saggi in ogni nostra parola ed in ogni nostra azione. La vera sapienza, però, consiste nel massimo e possibile ordine, e il grado supremo di questo ordine è la simmetria. Consideriamo noi stessi quale il punto culminante di ogni creazione; quale simmetria nella struttura delle nostre membra, quale somiglianza perfetta fra un occhio e l'altro, fra un orecchio e l'altro, fra una mano e l'altra e fra un piede e l'altro! Osserviamo le nostre persone nella loro conformazione fisica; chi può asserire che tra di noi non esiste la massima somiglianza fisionomica? Se non ci fosse un divario nel nostro carattere e nel nostro temperamento noi non saremmo in grado di distinguerci l'uno dall'altro!
2. Ma da questa e da moltissime altre cose ancora noi ci troviamo indotti ad arguire che la Sapienza del grande Spirito deve avere il compiacimento massimo nella simmetria più perfetta, e di conseguenza anche noi vogliamo osservare la simmetria e l'eguaglianza più rigorosa in tutto quello che facciamo o edifichiamo. Dunque, nessuno costruisca una dimora che sia anche di una sola linea più grande di quella del vicino, né voglia darle in nessun modo un'altra forma, né porla sia all'interno che all'esterno fuori dalla dirittissima linea, poiché una cosa simile riuscirebbe sgradita al grande Spirito, ed Egli non impartirebbe la Sua benedizione ad una tale dimora, costruita fuori dall'ordinario.
3. Così pure noi scorgiamo in tutte le creature che la forma più gradita al grande Spirito è la forma a linee curve; infatti, quanto più perfetta è una creatura, tanto più spiccata è la rotondità delle sue forme. Di conseguenza anche noi siamo tenuti a conferire una curva ad ogni opera delle nostre mani, perché in questa il grande Spirito ha un compiacimento del tutto particolare, e deve anche averlo, considerato che quali esseri creati a Sua immagine e dotati dei Suoi sensi troviamo noi stessi il massimo compiacimento nella forma curva, sia dunque per noi un comandamento il conferire doverosamente la forma rotonda a tutto quanto facciamo. Chi fa costruire qualcosa di angoloso, o addirittura di appuntito, senza bisogno e senza una fondata ragione, si attira il disgusto e l'ira del grande Spirito!
4. Noi vediamo ancora che il bel colore bianco frammisto ad un po' di rosso deve essere, senza alcun dubbio, il più gradito al grande Spirito, dato che Egli ha conferito un tale colore a noi, che siamo le Sue più eminenti creature. Conviene dunque che noi restiamo particolarmente fedeli del tutto a questo colore quando dobbiamo provvedere al nostro vestiario, né dobbiamo lasciarci traviare al punto di dare un qualche altro colore alle nostre vesti, poiché anche questo non incontrerebbe il gradimento del grande Spirito!
5. Ugualmente noi dobbiamo usare la linea perfettamente retta soltanto laddove è assolutamente necessaria, come anche il grande Spirito ricorre ad essa solamente quando appare inevitabile. In ogni altro caso e dappertutto noi non vediamo che linee curve, e perciò si esige che anche da parte nostra questa misura e questa forma vengano osservate nella maniera più rigorosa possibile, per essere perfetti e simili al grande Spirito.
6. Noi però sappiamo che a ciò possiamo arrivare nel modo più esatto, soltanto per mezzo della perfetta cognizione delle matematiche e di un'abile misurazione; di conseguenza un altro imprescindibile dovere di ciascuno è quello di coltivare anzitutto questa scienza e quest'arte; l’uomo infatti, privo di queste, non potrebbe che apparire odioso e spregevole al grande Spirito mille volte in un giorno! Poiché il grande Spirito vede tutto e tutto comprende, e laddove Egli riscontra una negligenza in un simile ordine, che è il solo a Lui gradito, Egli allontana subito il Suo occhio, e con ciò anche la Sua benedizione, senza la quale non esiste cosa che possa prosperare!
7. Ma una volta che siamo in perfetto ordine rispetto a questi punti principali, si intende da sé che altrettanto ordine va curato pure nel nostro pensiero e nella nostra volontà, perché alla perfetta simmetria esteriore dell'anima, com'è ovvio, il grande Spirito annette anzitutto importanza.
8. Con quale facilità potrebbe dunque insinuarsi fra di noi l'orgoglio e il sentimento dannosissimo del disprezzo di una creatura umana verso l'altra, nonché la povertà, la miseria e l'indigenza; soltanto tramite il più rigoroso rispetto della simmetria e dell'eguaglianza in tutte le cose noi terremo sempre lontane queste sconvolgenti possibilità, quando cioè nessuno si lascerà sedurre dal pensiero di essere eventualmente migliore o più perfetto del vicino.
9. Là dove il grande Spirito stesso ha trovato di stabilire, perché necessaria, una disuguaglianza o un'asimmetria, in questo caso soltanto queste non ci sono di danno, ma di utilità. Così avviene che noi non possiamo avere tutti la stessa età. Questo è sì, considerato a strettissimo rigore un errore nell'ordine; tale errore però viene pienamente neutralizzato dal grande Spirito col fatto che l'età inoltrata, ricca di cognizioni e di esperienze, rende la giovinezza altrettanto ricca quanto lo è essa stessa!
10. E così pure nel complesso dell'equilibrio simmetrico oltre gli ordinamenti del grande Spirito esistono ancora varie altre dissonanze, ma queste ci sono solamente per insegnarci che quando accanto al supremo Ordine sussistono delle deviazioni dall'Ordine che non sono benedette per il semplice fatto che sono permesse, ma sussistono unicamente affinché noi, considerandole, possiamo con maggiore facilità riconoscere il male. Nessuno deve presentarsi fra i suoi simili con una veste lacera, ma deve avere cura di rimediare allo strappo, applicandovi una toppa della medesima stoffa, se non è in grado di procurarsi una veste nuova!
11. È stato in vari casi anche osservato che alcuni, quando devono percorrere un lungo cammino, adoperano un bastone per appoggiarsi! Questo è certo qualcosa di non conforme all'ordine e va evitato. Quando qualcuno per ragioni di età debba servirsi di un bastone, che prenda due bastoni perfettamente eguali, uno in ciascuna mano per ragioni di equilibrio e di simmetria, per non riuscire sgradito agli occhi del grande Spirito!
12. È stata fatta anche un'altra osservazione, e cioè che alcuni dispongono il oro giardini e li sistemano in maniera differente dal come li hanno sistemati i loro vicini, noti per il loro assoluto amore all'ordine. Di queste cose il grande Spirito non si compiace affatto, e oltre a ciò per tale causa potrebbero trovare fra di voi incentivo l'invidia e la gelosia, cose queste che al cospetto del grande Spirito sarebbero addirittura un abominio! Dunque, abbiate cura che nei vostri giardini e sui vostri campi regni sempre un ordine perfettamente eguale; quando i campi e i giardini sono così ordinati, sono piacevolissimi da vedere, e l'occhio del grande Spirito vi trova grande compiacimento, ed a questo poi segue anche la Sua benedizione.
13. Ugualmente nelle vostre case sistemate ogni cosa in modo tale che quando un vicino entra nella dimora dell'altro non abbia l'impressione di trovarsi in casa estranea, ma come in casa propria. Anche di ciò il grande Spirito si compiace molto, perché voi tutti siete una famiglia sola al Suo cospetto e non dovete quindi rendervi estranei l'un l'altro.
14. Anche se qualcuno venisse a noi da in capo al mondo, è bene che egli si senta completamente come nella propria dimora! Questo riesce gradito al grande Spirito e la Sua benedizione poi non resta a mezza strada.
15. Della gente che dimora in vicinanza di una grande acqua si è bensì azzardata a costruire degli edifici che adornano il paesaggio in uno strano stile, ma il grande Spirito non si compiace affatto di una cosa simile; ora quello che a Lui non piace, non deve essere oggetto di compiacimento nemmeno per noi!
16. Curate bene gli animali domestici e trattateli bene, perché anch'essi sono usciti dalle mani del grande Spirito e sono destinati ad esservi utili; essi sono degli strumenti viventi creati per il vostro vantaggio e noi siamo quindi assolutamente tenuti a rispettarli.
17. Così pure nessuno deve senza necessità distruggere alcuna pianta per minima che sia, perché ciò equivarrebbe ad una dimostrazione di ingratitudine verso il grande Spirito, e per questo non dovremmo attenderci alcuna benedizione. Le strade però devono essere mantenute pulite, e non bisogna lasciare che su esse vi cresca l'erba, affinché questa non venga calpestata e disturbata nel suo sviluppo! Fate esattamente così come vi ho detto, e allora la miseria non farà mai la sua apparizione tra di voi!
18. Considerate le mie parole come l'espressione della Volontà del grande Spirito immensamente sapiente e potente, Volontà rivelata a me per voi, ed operate in maniera rigorosamente conforme a questa, così voi sarete felici già qui e poi beati nell'aldilà, in quel mondo cioè del quale le anime di coloro che si sono dipartiti da noi raccontano che è quanto di più bello e di più splendido si possa immaginare, e nel quale si potrà spesso vedere il grande Spirito ed i Suoi sfolgoranti servitori.
19. Ed ora, a conclusione, devo annunciarvi ancora una cosa che già una volta, tanto tempo fa, ed ora nuovamente mi venne rivelata da un chiaro spirito, e precisamente la seconda volta con molta maggiore precisione della prima. Voi certamente vedete durante la notte quella grande stella splendente che è accompagnata da un'altra molto più piccola; questa grande stella, la bella e lucente Kapra (la Terra), voi la conoscete benissimo, tuttavia nessuno di voi sa cosa essa veramente sia, né del resto nemmeno io lo sapevo prima. Quello spirito però me lo ha rivelato, e mentre mi trovavo in uno stato come di sogno mi ha fatto vedere che la stella Kapra è appunto anch'essa un mondo grande circa quanto è questo sul quale noi viviamo.
20. La stellina che accompagna Kapra è essa pure un mondo, però è considerevolmente più piccola di Kapra; quella stellina è nuda quanto mai e su di una sua metà non esistono affatto esseri naturali viventi!
21. Ma sulla grande Kapra lo spirito mi indicò un Uomo, e mi disse che quello è il Signore e che in Lui dimora la pienezza dello Spirito immenso ed eterno; d’ora in poi questo Spirito, in perfettissima forma umana, sarà accessibile a tutte le Sue creature ragionevoli come un uomo è accessibile all'altro uomo. Però le creature umane che dimorano su Kapra sono per lo più come Suoi figli, e a tutti verrà conferita una grande potenza divina, qualora essi, cioè quali figli, vorranno adempiere la Volontà di quest'Uomo di tutti gli uomini, ma coloro che non adempieranno la Sua Volontà resteranno stolti e deboli, e non saranno accolti quali figli, ma rimarranno, come le anime degli animali, uomini-animali così a lungo, fino a quando non avranno fatta completamente propria la Volontà del grande Spirito che dimora in quell'Unico Uomo!
22. Quindi noi uomini dobbiamo sempre considerare la bella e lucente Kapra con particolare rispetto! Ma noi dovremmo amare il grande Spirito, che ora Quale un perfettissimo Uomo dimora su Kapra, come qui la moglie ama il marito, e il figlio il proprio padre e la propria madre; ed allora anche a noi sarebbe donata la capacità un giorno di vedere il grande Spirito quale un Uomo e di comunicare con Lui, ciò che aumenterebbe di molto la beatitudine che già possiamo attenderci. Anzi, lo spirito che mi ha fatto queste rivelazioni ha aggiunto perfino che per più di uno che dimora su questo nostro mondo non dovrebbe essere impossibile venire pareggiato in dignità ai figli di Kapra.
23. Ed ora che avete appreso queste cose per mezzo mio, del vostro maestro e della vostra guida costantemente verissima e fedele, ora credete e nell'animo vostro tributate stima a quella stella, affinché dalla sua luce possano anche a noi affluire dei raggi ricchi di benedizione e di grazia!»
I vantaggi dell’ordine su Venere.
1. Quando il maestro e guida sul pianeta Venere ebbe finito di annunciare alla sua comunità queste cose, i tre vennero destati da Raffaele; nel frattempo, però, si era già fatto molto chiaro e non mancava neanche un'ora al sorgere del Sole. E Mataele era immensamente stupito per quanto aveva visto e udito poco prima come in un vivo sogno. Egli raccontò il suo sogno e gli altri due, Murel e Filopoldo, rimasero meravigliati ancora più di lui nel constatare che quanto avevano appreso da Mataele corrispondeva con assoluta esattezza a quello che essi pure avevano visto ed udito come in sogno.
2. E allora Raffaele domandò: «Ebbene, come vi è sembrato quello che avete visto sulla stella del mattino?»
3. Dice Mataele: «Mah, se questa è stata davvero la stella del mattino, cosa della quale ormai non dubito più affatto, devo dire che non mi è piaciuta molto, e che i suoi abitanti, con la loro dottrina e con la rigida osservanza della simmetria, non sono assolutamente degli stolti, dovendo fra di loro regnare continuamente la massima purezza di costumi, perché in tali condizioni un peccato diventa quasi un'impossibilità assoluta! Tuttavia, per quanto concerne me personalmente, trovo che simili condizioni di vita finirebbero con il riuscirmi più che noiose, addirittura insopportabili; una uniformità ed una monotonia eterne senza probabilità di un progresso rappresentano, per così dire, una vita da anfibi; ed una lumaca e un abitante di Venere devono evidentemente avere gli stessi bisogni; quanto va oltre a questo non interessa più nessuno dei due! No, in verità, o amico Raffaele, la stella del mattino è brillante quanto mai e vista da questa nostra Terra si può definirla un vero splendore; ma come mondo, con i suoi abitanti e con le sue altre creature, confesso che non mi piace affatto!
4. È sì senza dubbio vero che, considerato questo genere di costituzione vigente fra gli abitanti di quel mondo, non potrà scoppiare mai in eterno una guerra, visto che là per l'appunto non sussiste la possibilità del peccato, tuttavia un genuino peccatore su questa Terra io lo preferisco di molto ad un simile abitante di Venere, malgrado tutta la sua purezza di costumi. Del resto, una tale purezza di costumi non può nemmeno avere un certo valore, perché accanto ad essa non può trovare posto alcuna perfezione spirituale; e infatti, se su quel mondo qualcuno potesse giungere ad una maggiore perfezione dello spirito, egli dovrebbe venir preso dalla disperazione, trovandosi in mezzo a tanta eguaglianza e simmetria nel contegno e nell'agire di tutta l'umanità della stella del mattino, poiché il suo impulso lo porterebbe a muoversi sulla via del progresso, mentre le circostanze lo obbligherebbero a restare fermo sul posto come un albero!
5. Un essere umano maggiormente perfezionato nello spirito, posto su questo pianeta, sarebbe appunto simile ad un albero che avesse la facoltà di pensare e di desiderare, e che dovesse, nonostante ciò, rimanere attaccato con le sue radici al terreno!
6. Dicci tu dunque, o caro amico, gli abitanti di Venere non hanno proprio nessun spirito, amore, libera volontà e desideri? Essi devono pur pensare e poter calcolare, dato che il loro maestro ha con tanto calore raccomandato a loro anzitutto la scienza del calcolo, ma se sono capaci di tanto, si deve necessariamente ammettere per loro anche la possibilità di un qualche progresso spirituale!»
7. Risponde l'angelo: «Certamente, ma la loro aspirazione non tende verso un progresso che si manifesta esteriormente, ma solamente verso un progresso interiore; essi infatti così dicono, secondo il loro riconoscimento: "Un progresso che appare esteriormente è un impedimento al progresso interiore dello spirito; si renda ogni cosa esteriore il più uniforme e il più marcatamente stereotipata possibile, e la si adatti secondo le necessità del corpo e della vita, ma poi non si vada a questo riguardo innanzi nemmeno di un solo passo, considerato che ogni progresso nel campo dell'esteriore e del materiale significa un regresso in quello dell'interiore e dello spirituale»
8. Presso le genti che curano e coltivano eccessivamente l'esteriore regna nel loro interiore la più sfrenata barbarie; nessun popolo dotato di un tacito vantaggio spirituale interiore ha mai invogliato alla guerra un qualche popolo vicino, una volta però che un popolo ebbe dato espressione alla propria grandezza spirituale interiore, mediante opere esteriori che gli erano facilmente eseguibili, ne venne immediatamente destata la gelosia di un qualche popolo vicino e la guerra fu anche pronta! Dunque, se questo non è, né può essere il caso degli abitanti di Venere, si trovano forse questi in condizioni peggiori di quelle degli abitanti della Terra?
9. Là gli esseri umani non godono affatto di alcun privilegio né riguardo alla figura fisica né nel vestito e neppure nell'abitazione, di conseguenza là ogni cosa viene apprezzata soltanto secondo il suo valore interiore. Per effetto dell'uguale conformazione della persona, sono tutti anche di statura ed aspetto perfettamente eguale, e vengono poi resi l'uno all'altro ancora più somiglianti di quanto siano in realtà in seguito all'uguale foggia del vestire.
10. Gli individui che non subiscono l'influenza di ogni specie di sconvolgimenti passionali, finiscono con il rassomigliarsi l'un l'altro come fratelli e sorelle anche nell’aspetto esteriore. Invece, quanto più la cosiddetta forma esteriore degli umani si differenzia l'una dall'altra, tanto più questo è anche un segno dello sfacelo interiore, perché l'interiore di ciascuno si è plasmato a seconda della tendenza e dell'impulso esteriori che però non possono mai arrivare a somigliarsi, dato che soggiacciono al dominio delle insaziabili male passioni umane, quali l'avidità, l'invidia, il rancore, l'orgoglio e l'ambizione.
11. Se tu porti un mantello verde, il tuo vicino uno azzurro ed un terzo un mantello rosso, voi ben presto incomincerete a litigare per far valere la presenza dell'uno o dell'altro colore, ma se invece tutti e tre indossate un mantello d'identica forma e del medesimo colore non vi verrà in mente nemmeno in sogno di imbarcarvi in sciocche e inconcludenti contese a motivo del maggiore o minore valore della forma e del colore del vostro mantello, e così vi resterà tempo di ragionare di cose migliori e più interessanti.
12. Sul mondo chiamato Venere voi avete constatato la perfetta somiglianza degli esseri umani che vi abitano e l'identità delle loro fisionomie; un uomo somiglia all'altro come un occhio all'altro occhio, ed altrettanto si può dire di una ragazza o di una donna; dappertutto si incontra la medesima forma, però in sé e di per sé sempre supremamente bella e perfetta; ora, anche questo è quanto mai buono.
13. Su questa Terra la diversità della forma secondo il grado dell'immaginata bellezza maggiore o minore costituisce non di rado un incentivo alla contesa, all'amore, all'odio, all'avversione ovvero ad una esagerata preferenza ed inclinazione esteriori; su Venere, invece, di tutto ciò non esiste alcuna traccia. Là le creature umane si amano soltanto a seconda del grado interiore della sapienza: quanto più qualcuno sa ragionare e raccontare della bontà e potenza del grande Spirito e tanto più umile e mansueto si fa, tanto maggiore stima egli acquista presso la sua comunità! Ed ora ditemi se non sono forse anche questi degli ordinamenti supremamente saggi da parte del Signore!»
14. Risponde Mataele: «O certamente, ed io anzi vorrei che adesso anche su questa nostra Terra ci fosse un ordinamento simile. Però ecco che ormai il Signore si alza, e tutto il popolo con Lui. Ora si tratta dunque di tenere gli occhi e le orecchie bene aperte, perché senza dubbio qualcosa d'importante verrà ben presto intrapreso! Forse con i nove annegati?».
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GESÙ NEL TERRITORIO DI CESAREA FILIPPI Matteo cap.16 (Continuazione) |
L'oracolo di Delfi |
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Dell'apparizione di esseri superiori |
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Sulla destinazione e sviluppo dell’uomo |
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Le disposizioni del Signore a proposito dei ladroni |
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Minaccia ai farisei da parte di Giulio |
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Scambio di opinioni tra farisei e Giulio su Gesù |
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Il fariseo confessa che la fede inculcata dal tempio è una fede forzata |
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Le condizioni poste dal Signore per accogliere i discepoli |
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I vantaggi dell'abnegazione |
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Le necessità e i loro mali |
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Sulle cause del diluvio |
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Cenni missionari |
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Noè e l'arca |
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Come si devono considerare e usare i tesori terreni |
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Sulla giusta via che conduce alla meta della perfezione umana |
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Dell'innalzamento di Gesù |
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Della potenza di Volontà del Signore e della libertà dell'anima umana |
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La prodigiosa trascrizione sulla pergamena dei discorsi del Signore |
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Il Cantico dei Cantici di Salomone |
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Sul cibo degli ospiti durante la colazione |
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La guarigione dei cinque ladroni indemoniati |
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Discorsi disperati degli indemoniati |
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Lo stato particolare dell’anima degli indemoniati guariti |
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Della differenza delle anime per i chiaroveggenti |
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La filosofia di Mataele sulla Natura |
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Il discorso sulla lotta nella Natura |
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Mataele sulla vita interiore di Cirenio |
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Il discorso di Mataele su Dio |
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Discorso di Cirenio sulla sua sapienza e la risposta di Mataele |
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Gesù invita Cirenio ad accogliere i discorsi di Mataele |
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Mataele parla della via che conduce alla Meta della vera vita |
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Dell'unità della vita eterna |
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Una profezia di Mataele |
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Il desiderio dei cinque risanati di conoscere quale fra i presenti è Gesù |
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Gesù, l’eroe in lotta contro la morte |
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Le parole del Signore riguardo alla genuina venerazione di Dio |
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Gli scrupoli di Giulio riguardo all’interrogatorio degli altri malfattori |
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Giulio interroga i malfattori |
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Il discorso di Suetal sul tempio e sul Salvatore di Nazaret |
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Perché gli accusati sono giunti in Galilea |
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La narrazione di Mataele sulla sua sorte e guarigione |
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Anima e spirito |
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Sulla vita e sulla morte |
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Il Signore provvede ai convertiti |
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Narrazione della guarigione di un infermo sul prato benedetto |
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Suetal racconta dell’influsso del Guaritore miracoloso |
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I discorsi di Mataele e Suetal sui rimproveri |
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Mataele parla della legge e dell'amore |
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Spiegazione del significato dei fatti esteriori accaduti a Mosè |
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I dubbi dei dodici circa la Persona del Salvatore |
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Dubbi sulla divinità percepita riguardo al Nazareno |
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Il colloquio di Suetal e Ribar sulla prova miracolosa di Raffaele |
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Le linee fondamentali della Dottrina di Gesù |
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Il secondo miracolo compiuto per desiderio di Ribar |
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Sulla differenza tra i miracoli di Raffaele e quelli dei maghi |
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L’opinione di Suetal e di Ribar su Gesù |
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Il Signore promette ai due di far loro conoscere il Salvatore |
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Raffaele quale formidabile mangiatore di pesce |
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Buone e cattive caratteristiche dei rimproveri |
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Suetal si rivela un chiacchierone |
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Gli insegnamenti di Raffaele riguardo al concentrarsi nel proprio cuore |
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La sapienza mondana di Risa |
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Il discorso di Ebram mostra l'errore di Risa |
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L'Ordine divino e il nostro intelletto mondano |
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Cenni sulla vita da parte del Signore per i principianti |
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Il discorso del Signore sull'ordine sessuale |
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Eccezioni nei casi di sessualità |
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Sul commercio carnale peccaminoso |
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Rimedi contro gli eccessi sessuali |
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Casi giustificanti il divorzio |
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Cenni di comportamento per i coniugi e i giudici |
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Sull’esame delle coppie di sposi |
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Raffaele raffigura il discorso del Signore sulla vita sessuale |
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Suetal è impaziente e curioso di vedere il Signore |
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Il colloquio fra Suetal e Ribar sul comportamento di Raffael |
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L’intuizione di Ribar sulla presenza del Signore |
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Come Dio si fa riconoscere |
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Ragione e sentimento |
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Motivo della diversità dei talenti umani |
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Un uomo dell'intelletto cerca l’amore |
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Il Signore annuncia un'eclissi solare |
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Raffaele, da buon pilota, salva i greci in difficoltà |
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Conseguenze dell'eclissi solare |
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Divinità e uomini |
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Ad Ouran viene assegnato Mataele come maestro |
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Elena, la nobile figlia del saggio greco |
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Il sole apparente |
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La paura dei greci del Salvatore |
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Intervento e spiegazione di Mataele |
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Origine e spiegazione dei nomi greci delle divinità |
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Mataele quale demolitore delle mura dei templi pagani |
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Divario tra la bellezza dei figli di Dio e quelli del mondo |
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Due tipi di amore per Dio |
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Mataele spiega il movimento delle stelle |
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Sul modo di educare nell’antico Egitto |
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Meditazioni di Elena riguardo alla sapienza degli uomini |
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Sull'opportunità di tempo e di effetto nell'ammaestramento del popolo |
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I pensieri di Ouran ispirati dalla consapevolezza della presenza del Signore |
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Lo spegnersi del sole apparente ed i suoi effetti |
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L’elevata origine e destino dell’uomo |
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L'opinione di Elena sugli apostoli |
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Mataele spiega i nomi delle prime tre costellazioni |
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Spiegazione dal quarto al sesto segno dello Zodiaco |
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Il settimo, ottavo e nono segno dello Zodiaco |
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Spiegazione dei tre ultimi segni dello Zodiaco |
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Elena chiede a quale scuola abbia studiato Mataele |
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Considerazioni generali sullo Zodiaco |
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Le opinioni sulla diffusione della nuova Dottrina |
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L’essenza di Giuda |
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La ricerca di Dio |
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L’essere uniti con il Signore |
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Come si può e si deve ringraziare Dio |
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Il futuro della pura Dottrina di Dio |
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Spiegazione sul ridestarsi nello spirito |
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Le conseguenze dei fenomeni naturali a Cesarea Filippi |
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La gioia di Marco per la punizione toccata ai sacerdoti |
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La gioia per il male altrui è biasimevole |
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Mataele viene nominato viceré |
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Elena in sposa a Mataele |
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Il ringraziamento ed i buoni propositi di Elena |
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Sull’essenza di Gesù |
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Sull'essenza degli angeli |
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La sapienza di Giara |
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Elena ragiona sul potere sacerdotale |
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Ouran mostra come sia infondato il timore di Elena |
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Giara racconta la sua esperienza sulle stelle |
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Discorsi sugli avvenimenti straordinari accaduti |
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L’interpretazione degli avvenimenti basata sulla saggezza di vita di Micha |
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Spiegazioni di Mataele sugli avvenimenti memorabili |
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Le missioni e le sofferenze degli angeli |
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Ogni spirito di preoccupazione umana viene cacciato da Raffaele |
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La difficoltà di conversione dei sacerdoti |
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Della giusta ricerca di Dio |
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Motivo della distruzione di Cesarea Filippi |
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Cirenio e la delegazione dei farisei ortodossi fuggiaschi da Cesarea incendiata |
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L'accusa di Marco contro il fariseo, capo della sinagoga |
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Trattative con i farisei |
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Cirenio manda a chiamare testimoni da Cesarea contro i farisei |
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Dell’essenza della Terra e della Luna |
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Il rapporto di un messaggero riguardo alla rivolta a Cesarea |
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Il messaggero Ermes racconta la sua esperienza in città |
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Ulteriore procedura inquisitoria di Cirenio |
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Giudizio del capo dei farisei sul Salvatore |
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I farisei giudicano il loro capo e Gesù |
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Il discorso profondamente serio di Cirenio |
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Il carattere del capo dei farisei |
|
Il documento apocrifo |
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La confessione del capo dei farisei |
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Stahar, il capo della sinagoga, espone le sue vedute sulla fede |
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Raffaele e Stahar |
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Esperienze di Stahar con dei maghi indiani |
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Stahar racconta l'assassinio del sommo sacerdote Zaccaria |
|
Raffaele fornisce spiegazioni sulle profezie riguardanti il Messia |
|
Stahar converte i suoi colleghi |
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La perorazione di Ebram riguardo alla «Luce Nuova» dall'eternità |
|
Un fariseo parla della responsabilità dell'uomo |
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Floran filosofeggia su Dio |
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Sull’umiltà e orgoglio |
|
Floran in presenza del Signore |
|
Floran parla del Signore, con Stahar ed i suoi |
|
Confessione di Floran davanti al Signore, e sua testimonianza riguardo al tempio |
|
Le vie divine per guidare l’umanità |
|
Cenni missionari per i lavoratori nella vigna del Signore |
|
In vista navi che recano gli ospiti |
|
Dei pericoli dell'orgoglio |
|
La gioia del rivedersi dopo l'arrivo degli ospiti |
|
Le profezie sull’Incarnazione del Signore |
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Il modo di guidare gli uomini e i popoli |
|
Il grande pranzo in comune alla mensa di Marco |
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La contraddizione tra volere e fare |
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Sulla rinascita |
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Cornelio e Giara |
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La domanda di Cornelio a Giara |
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Il Sole naturale |
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L’educazione del cuore e della mente |
|
Il destino della Dottrina divina |
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La dignità della libertà di volere umana |
|
Il talento e la destinazione dell'uomo |
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Il ricordo di Cornelio della nascita di Gesù |
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L'essenza e la destinazione degli angeli |
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La filosofia di Filopoldo sulla Creazione |
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Il raggio d’azione intellettiva del cervello |
|
Il motivo dell’Incarnazione del Signore |
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Il linguaggio del cuore |
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Sull’aureola |
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Preparativi per l’imminente tempesta |
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La tempesta |
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Il giudizio sulla zona di Cesarea Filippi |
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La nave in difficoltà in alto mare |
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I mercanti ebrei dalla Persia |
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I due delegati dei viandanti a colloquio con il Signore |
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Della benedizione e maledizione della ricchezza |
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La natura fondamentale umana |
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Le opinioni dei persiani sul Signore |
|
Il Signore spiega un testo della Scrittura |
|
La domanda del Signore sul Messia |
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Difficoltà di conversione dei persiani |
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L’ammonizione di Schabbi |
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Il colloquio fra i due delegati |
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Della fiducia prematura |
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La differenza tra il Signore e i maghi |
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L'effetto delle azioni del Signore |
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Il vantaggio dell’attività e le cattive conseguenze della pigrizia |
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L’essenza della vera Rivelazione |
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Della debolezza umana |
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Schabbi riconosce il Signore |
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Sulla vera adorazione di Dio |
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Il timore reverenziale dei persiani di fronte alla santità del Signore |
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Della preghiera |
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Il futuro di Giara |
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Spiegazione del 4° Comandamento |
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Le innovazioni introdotte dai farisei nel 4° Comandamento |
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Il Signore spiega la legge dei farisei |
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Che cos'è la lussuria? |
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Il peccato contro la castità |
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La disputa dei farisei sulla divinità del Signore |
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Il discorso del Signore su Murel, Stahar e i discepoli |
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Le esperienze di Murel durante i suoi viaggi |
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Dove si deve cercare la verità |
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Della decadenza della sapienza egiziana e indiana |
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Della vita anteriore degli uomini |
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L'esperienza dell'aldilà di Filopoldo |
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L’ordine naturale dei mondi |
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Il discorso di lode e ringraziamento di Murel |
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L’adempimento della profezia di Isaia (25,6-12) |
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La promessa del Signore |
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L’essenza e l’umanità del Signore |
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Il futuro della Dottrina di Gesù |
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Preoccupazioni su come svolgere il lavoro missionario |
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L’infondatezza di ogni preoccupazione per il lavoro missionario |
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Della morte del Signore e del futuro dei Suoi discepoli |
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La coscienza umana e l’influsso degli angeli su questa |
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La meteora |
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L’essenza della materia |
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Il senso della Genesi mosaica - Una esperienza soprannaturale di Mataele |
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L’incomprensibilità dei duri metodi educativi - La comunicazione con il Signore nel cuore |
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Le ragioni delle difficili vie percorse da Mataele |
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La Parola interiore - La ragione dell'Incarnazione del Signore |
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Il pensiero della noia di Dio |
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La domanda di Raffaele ai missionari |
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Il Regno di Dio nel cuore dell'uomo |
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Vera vita spirituale |
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Gli impedimenti principali all'adempimento delle promesse |
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La libera volontà di un angelo |
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Sul pianeta Venere |
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I vantaggi dell’ordine su Venere |
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[1] Tutti gli abitanti di Sodoma e Gomorra praticavano la prostituzione (Cfr. GVG/10/235/9), erano anche omosessuali (Cfr.GVG/2/213/3 e GVG/6/225/13) e compivano atti lussuriosi perfino con gli animali. (Cfr. GVG/6/225/11). [N.d.R.]
[2] A condizione però che la vergine sia d’accordo. Si legga infatti, nel cap.68, par.8, la conseguenza riservata a coloro che agiscono con la violenza. [N.d.R.]
[3] Fornicazione: illecita relazione sessuale, adulterio. Commettere atti sessuali impuri, cioè non prescritti dall’Ordine divino. [N.d.R.]
[4] Ripudio: nel diritto matrimoniale di alcuni popoli, formale dichiarazione del marito alla moglie di volere rompere il vincolo coniugale. [N.d.R.]
[5] Lussuria: brama sfrenata di piaceri sessuali. [N.d.R.]
[6] Formazione: maturazione delle facoltà psichiche e intellettuali dovuta allo studio e all'esperienza. [N.d.R.]
[7] Giusquiamo: pianta erbacea annuale o biennale delle Solanacee con fusto peloso, vischioso, fiori gialli venati di viola, dai cui semi si estraggono alcaloidi. [N.d.R.]
[8] Castrare: privare degli organi della riproduzione. [N.d.R.]
[9] Abiezione: condizione di bassezza d’animo, di indegnità, di meschinità. [N.d.R.]
[10] Ermafrodita: coesistenza, in uno stesso individuo, degli organi sessuali primari maschili e femminili. [N.d.R.]
[11] Eunuchi: uomini privi degli organi genitali per evirazione. [N.d.R.]
[12] Tumefazione cancerosa: aumento patologico del volume di un organo o di una sua parte causata dal cancro. [N.d.R.]
[13] Pediculosi: infestazione contagiosa del corpo causata dalle femmine adulte del parassita pidocchio che, deponendo uova da cui originano larve, causano nel cuoio capelluto o su parti pelose prurito intenso, escoriazioni e infezioni secondarie. [N.d.R.]
[14] Tubercolosi: infezione da Mycrobacterium tubercolosis che colpisce molteplici organi fra cui frequentemente il polmone e che si manifesta principalmente con la formazione di particolari tubercoli. [N.d.R.]
[15] Epilessia: sindrome cerebrale caratterizzata da crisi di convulsioni, spesso con perdita della coscienza. [N.d.R.]
[16] Sena: pianta arbustiva delle Leguminose a foglie pennate e grappoli di fiori gialli, usata in medicina. [N.d.R.]
[17] Lete: fiume degli inferi. Chi beveva alle sue acque, dimenticava il passato.
[18] Elisio: paradiso pagano.
[19] Annotazione di Jakob Lorber: Con un eone si intende il cubo di un decilione.
(Un decilione = 10 60 = 1 con 60 zeri) Nota italiana: 1 eone = 10 180 = 1 con 180 zeri.