Jakob Lorber
1851-1864
IL GRANDE VANGELO DI GIOVANNI
Volume 2
La vita e gli insegnamenti di Gesù nei
tre anni della Sua predicazione
Traduzione dall’originale tedesco
“JOHANNES das große Evangelium”
Opera dettata dal
Signore nel 1851-64 al mistico Jakob Lorber
Casa Editrice: Lorber Verlag - Bietigheim - Germania
Copyright © by Lorber Verlag
Copyright © by
Associazione Jakob Lorber
“Ringraziamo la Lorber Verlag, Friedrich Zluhan e l’Opera di Divulgazione
Jakob Lorber e.V., D-74321
Bietigheim/Wuertt., per il sostegno nella pubblicazione di questo volume”.
Traduzione di Salvatore
Piacentini dalla 7° edizione tedesca 1982
Revisione parziale a
cura dell’Associazione Jakob Lorber
Casa editrice GESÙ La Nuova Rivelazione
Via Vittorio Veneto, 167,
24038 SANT’OMOBONO TERME (Bergamo)
www.gesu-lanuovarivelazione.com
Unità di
misura austriache del 18°/19° secolo usate nel testo |
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1 Braccio
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= 77,8 cm |
1
Libbra |
= 560 g |
1
Linea |
= 2,2 mm |
1 Pertica
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= 3,8 m |
1 Spanna |
= 20 cm |
SOGGIORNO DI GESÙ E DEI SUOI A CHIS E A NAZARET
(Matt.13)
Sulla
punizione dei criminali
1. A sera già avanzata arrivano i tesori tratti fuori dalla caverna di
Kisjonah, consistenti in oro, argento ed in una grande quantità di pietre
preziose di grandissimo valore, parte in stato grezzo e parte già lavorate: ci
sono circa 3 libbre di diamanti lavorati e 3 libbre ancora grezze, poi
altrettanto in peso delle due qualità di rubini, nelle stesse proporzioni
un’uguale quantità di smeraldi, giacinti, zaffiri, topazi ed ametiste, ed
infine circa 4 libbre di bellissime perle grosse come un pisello. C’erano più
di 20.000 libbre di oro e 5 volte tanto d’argento.
2. Quando Fausto ebbe ispezionato queste enormi ricchezze, rimase
strabiliato ed esclamò: «O Signore! Io, come figlio di uno dei ricchi patrizi
di Roma, ho avuto pure occasione di vedere dei tesori di questa Terra, ma una
cosa simile non è mai capitata sott’occhio! Questo sorpassa tutto quanto si
legge dei Faraoni e di Creso, il quale, secondo la leggenda, era tanto ricco
che quasi non sapeva cosa fare dei suoi tesori e infine si sarebbe sul serio
costruito un palazzo tutto d’oro se il suo vincitore non gli avesse sottratto
il troppo oro che aveva.
3. Ma adesso, o Signore, Tu, cui niente può rimanere nascosto, dì a me,
povero peccatore, come si spiega che questi dodici servitori di Satana siano
venuti in possesso di tanta enorme ricchezza? È da escludere che ciò sia
accaduto in modo anche solo relativamente onesto e nemmeno in un tempo troppo
breve! Com’è dunque stata possibile una simile cosa?»
4. Io gli dico: «Amico, ormai non dartene pensiero più di tanto! Non
vale affatto la pena di sprecare altre parole a causa di questi escrementi di
Satana. Di una cosa posso assicurarti: che cioè fra tutti questi tesori non c’è
uno statere di onesta provenienza e se si volesse illustrare punto per punto
come e con quali svariatissime abominevoli mascalzonate questa razza di
serpenti e di vipere abbia carpito ed accumulato tanta ricchezza, si andrebbe
molto ma molto per le lunghe.
5. Spero che tu stesso non avrai altri dubbi sul fatto che qui si
tratta di birbanti della specie più astuta; che però essi siano sotto certi
aspetti ancora qualche cosa di più dei soliti birbanti, questo non occorre che
altri lo sappiano.
Secondo le leggi di Roma, essi hanno meritato già dieci volte la morte
soltanto per la rapina perpetrata a danno della carovana imperiale delle
imposte e quest’altra rapina, di cui abbiamo la prova in questo enorme tesoro
che ci sta davanti agli occhi, non è affatto meno abominevole, per quanto non
concerna così direttamente gli interessi dell’amministrazione imperiale.
6. Dunque, anche se tu sapessi tutto, non potresti ucciderli più di una
volta. Tu puoi bensì rendere loro la morte più dolorosa, ma a quale scopo? Se
il martirio è del tipo più doloroso, per usare un termine del vostro linguaggio
giuridico, esso risulta immediatamente mortale, se invece è più lieve, ma in
compenso di maggior durata, allora esso causa al condannato una sensazione non
molto più forte di quanto ne causerebbe a te una mosca noiosa, poiché l’anima,
in questo caso, per quanto anche materiale, terrorizzata oltre ogni dire dalla
certezza dell’imminente morte del proprio corpo, si raccoglie e si ritira
immediatamente nei suoi più reconditi recessi e comincia di propria volontà a
sciogliersi dal corpo nel quale non è più possibile rimanere, e il corpo, in
simili occasioni, diventa completamente insensibile. In tali condizioni puoi tormentare
un corpo quanto vuoi, ma esso non sentirà che un minimo dolore o non lo sentirà
affatto. D’altro canto, come detto, se tu sottoponi un corpo improvvisamente ad
un tormento atroce, l’anima non potrà sopportarlo a lungo e se ne libererà,
separandosi con un violento e istantaneo strappo dal corpo. Ora un corpo
completamente inanimato puoi farlo bollire o bruciare, ma esso non proverà più
gli effetti della tua punizione.
7. Io, di conseguenza, non sono a favore della pena di morte, perché
essa non ha nessuna importanza per l’ucciso né meno ancora torna a decoro e a
vantaggio del concetto di giustizia per il seguente motivo: “Se tu ne uccidi
solo uno, mille ti giureranno vendetta!”. Però, riconoscendo le necessità
dell’Ordine divino, Io sono assolutamente d’accordo che con un malfattore si
debba fare uso giusto ed energico della sferza e che non si lasci riposare
questa fino a che non sia subentrato un generale miglioramento! La
flagellazione usata secondo giustizia ed a tempo debito, è migliore del denaro
e dell’oro puro, poiché in tal modo l’anima viene sempre più liberata dagli
elementi materiali che vi si sono infiltrati e termina infine con il rivolgersi
al proprio spirito. Quando la flagellazione ha conseguito ciò, ha già salvato
l’anima dalla perdizione e di conseguenza tutto l’uomo dalla morte eterna.
8. E perciò ciascun giudice nell’Ordine di Dio non deve punire neanche
il peggiore dei delinquenti con la pena di morte che non serve a nulla, ma con
la pena della flagellazione applicata secondo la gravità richiesta dal
misfatto. Se egli fa così, è un giudice degli uomini per il Cielo; ma se non fa
così, allora è un giudice per l’inferno e non potrà mai aspettarsi da Dio
alcuna ricompensa, bensì per il regno per il quale egli ha giudicato gli uomini,
dallo stesso regno egli deve ricevere anche la ricompensa! Ed ora tu ne sai
abbastanza; non hai bisogno d’altro che di far mettere sotto custodia questi
tesori. Domani arriveranno anche gli altri da Corazin, dopo non resterà che
procedere alla spartizione ed alla spedizione di tutta questa immondizia del
demonio. Ma adesso rechiamoci nella grande sala dove la cena ci attende già! In
verità Io sono già stanco di tutta questa storia, tanto più che il Mio tempo Mi
sospinge a Nazaret»
9. Dice Fausto: «Signore! Vedo anche troppo bene che questa storia
talmente ignominiosa debba ripugnarTi a dismisura, ma come si può mettervi
riparo una volta che si è presentata così? Ed io vorrei inoltre pregarTi, o
Signore e mio più grande e migliore amico, di non partire da qui prima di me,
poiché, senza di Te, in primo luogo, non posso fare niente e, in secondo luogo,
nonostante io abbia con me la mia carissima moglie, senza di Te morirei qui
dalla noia! Perciò Ti prego nuovamente di non lasciare questo luogo fino a
quando io non abbia visto la fine di questa fastidiosissima faccenda! Con il
Tuo aiuto spero di avere sistemato tutte le cose entro domani a mezzogiorno.
10. Dico Io: «Ebbene sia! Però Io non voglio più vedere né sentir
niente, tanto dei tesori quanto degli undici farisei, perché ciò Mi ripugna più
di qualsiasi putredine»
11. E Fausto risponde: «Avrò cura che venga fatto come Tu desideri».
Giuda
Iscariota, ladro dell’oro
1. Dopo di ciò entriamo nella stanza, precisamente nella sala da
pranzo, dove ci attende una ricca cena. Ma abbiamo a mala pena terminato di
mangiare che ecco comparire Giuda Iscariota, scortato da due servitori della
casa, che riferiscono al giudice superiore che questo discepolo, od altro che
sia, ha tentato di rubare due libbre d’oro, ma essi lo hanno colto sul fatto e,
toltogli l’oro, lo hanno condotto da lui per rispondere della sua mala azione.
2. E Giuda, vergognandosi tremendamente, dice: «Non era neppure
lontanamente mia intenzione appropriarmi dell’oro, ma ho voluto semplicemente
convincermi, prendendo in mano le due verghette, che esse fossero davvero tanto
pesanti quanto si assicura, ma questi due pazzi qui mi si sono lanciati addosso
e mi hanno trascinato fin qui come un volgarissimo ladro! Io ti prego, o
Fausto, che mi venga tolta questa macchia che io non merito affatto!»
3. Risponde Fausto, e dice ai due servitori: «Per questa volta, sia! È
un discepolo del Signore e voglio risparmiargliene le conseguenze».
(Rivolto poi a Giuda) «Tu però per il futuro, a meno che tu non divenga
un addetto alle stime imperiali, guardati dal toccare verghe d’oro,
specialmente durante la notte, altrimenti andresti inevitabilmente incontro
alla condanna comminata per il tentato furto! Hai compreso quello che ti ha
detto Fausto, il giudice superiore?»
4. Dice Giuda, ancor più rosso dalla vergogna: «Signore, ti assicuro
che non c’è stata la benché minima traccia di un tentato furto, ma si è
trattato invece soltanto di una curiosità, sia pure alquanto inopportuna, che
mi ha spinto a provare il peso di quelle verghe»
5. Dico Io: «Vattene e cercati un giaciglio! Infatti a quel male, al
quale tutti i ladri soccombono per mano di Satana, soccomberai fra non molto
anche tu, perché eri, sei e resterai un ladro! Finché il rigore della legge ti
trattiene, tu non sei un ladro nell’azione propriamente detta, ma nel tuo cuore
lo sei già da molto tempo! Se Io abrogassi oggi tutte le leggi, tu saresti il
primo a mettere le mani sui tesori che sono qui custoditi, perché ogni
sentimento di diritto e d’equità è ben lontano dal tuo cuore. Peccato che sotto
la tua testa non batta un cuore migliore! Va’ ora a dormire e vedi di essere
domani più sincero di oggi!»
6. Dopo questo rimprovero Giuda, vergognandosi molto, si ritira e va a
coricarsi, ma per due ore non può prendere sonno, perché va arrovellandosi il
cervello studiando il modo per poter sfuggire alla predizione da Me fatta, ma
il suo cuore non può additargli nessuna via d’uscita, tormentato com’è dalla
sete prepotente dell’oro; alla fine egli si addormenta. Noi pure andiamo a
riposarci, essendo affaticati dal lavoro delle due notti precedenti, però il
mattino non si fa attendere a lungo.
7. Fausto era appunto in procinto di voltarsi per fare un’ultima
dormitina, quando fu annunciato l’arrivo dei conducenti della carovana con i
tesori di Corazin. Egli viene svegliato e deve, per ragioni d’ufficio, uscire
subito fuori per ispezionare i tesori, per farli stimare e per prenderli in
consegna. Anche noi frattanto ci siamo alzati tutti e la comitiva si raduna
nella grande sala dove, già pronta su molte mense, ci aspetta la colazione che
consiste in pesce fresco, allestito benissimo. Fausto, quasi già stanco dal
lavoro fatto, si affretta a raggiungerci abbracciato alla sua giovane sposa e
prende posto vicino a Me.
8. Appena terminata la colazione, rallegrata da un buon bicchiere di
vino, Fausto Mi racconta che quella mattina il suo lavoro, che in condizioni
normali avrebbe richiesto un paio di settimane di diligenti cure, è ormai
sbrigato e tutto è già partito per il rispettivo luogo di destinazione. Tutti i
documenti erano già in pieno ordine e pronti sul tavolo nella grande stanza
dell’ufficio e così pure le relative lettere legali accompagnatorie. Il tesoro
ritrovato nella caverna di Kisjonah era stato ripartito e il tutto corredato da
documenti per i luoghi di destinazione, lo stesso si dica dei denari delle
imposte e del grosso tesoro del Tempio ritrovato a Corazin e così tutto era
partito in buon ordine, nella grande stanza d’ufficio non era rimasta che una
quantità considerevole di attrezzi ed utensili da falegname, dei quali non
s’era trovato ancora il proprietario»
9. Allora Io dissi: «Là in fondo, all’estremità della tavola, vicino
alla madre Maria, siedono due dei figli di Giuseppe e precisamente Giosoe e
Gioele; essi ne sono i proprietari! Tutte queste cose sono state loro
sequestrate assieme alla casetta di Nazaret e bisogna che vengano loro
restituite!»
10. Dice Fausto: «Signore! E anche la casa, ben s’intende! Te lo posso
garantire! O Signore ed amico, quante noie e dispiaceri mi hanno già procurato
questi loschi figuri! Una sciocca legge li ha finora spalleggiati e con tutta
la migliore buona volontà non si è potuto incastrarli da un qualche loro lato
debole. Davanti ai miei occhi essi hanno perpetrato le più orrende ingiustizie
e, benché dotati di tutto il potere, non si poté far loro nulla. Questa volta
però pare che Satana non li abbia assistiti ed io ho nelle mie mani un tale
rapporto sul conto loro da farli tremare come una foglia che viene percossa
dall’uragano! Il rapporto al governatore superiore Cirenio è un capolavoro e lo
si trasmetterà immediatamente vidimato a Roma, unitamente ai denari delle
imposte. Da Tiro, Sidone e Cesarea una buona nave imperiale, munita di forti
vele e timone, con ventiquattro rematori e con un discreto vento, può
raggiungere in dodici giorni la costa romana, vale a dire che il rapporto può
essere circa entro questo tempo nelle mani dell’imperatore! Godetevela ancora
questi dodici giorni, loschi figuri! Sapremo ben mettere dei freni adatti al
vostro smisurato orgoglio!»
11. Osservo Io: «Amico, Io ti dico davvero che non devi gioire
anzitempo! Le cornacchie non si strappano gli occhi a vicenda! È certo che non andrà
troppo bene fra le mura del Tempio agli undici: non li condanneranno a morte,
ma verranno rinchiusi per tutta la vita nelle celle di penitenza, per quanto
però concerne le pubbliche scuse verso Roma, vedrai che sapranno farli apparire
innocenti e candidi come la neve, allora soltanto ti verranno richiesti
ulteriori rapporti ed informazioni e tu farai molta fatica a rispondere alle
domande che ti verranno rivolte da Roma. È certo che a te non verrà torto un
capello, ma ti sarà difficile sfuggire a qualche angustia, se non saprai
raccogliere in tempo i testimoni e le prove necessarie. A questo scopo Io
lascio presso di te Pilah, egli ti renderà buoni servizi in tale occasione.
Abbi cura però di procurargli sollecitamente una veste di tipo romano, affinché
non possa venire riconosciuto dai colleghi che stazionano a Cafarnao, perché Io
posso dirtelo: Satana non ha di gran lunga tanto astutamente e perfidamente
organizzato il suo governo quanto questa razza di vipere. Perciò, oltre
all’essere mansueto come un agnello, sii pure astuto come un serpente,
altrimenti non verrai mai a capo di nulla con questa progenie!»
12. Dice Fausto: «Grazie infinite Ti siano rese per questo consiglio.
Ma, essendo questa faccenda ormai sbrigata nel miglior modo possibile, non potremo
dedicarci a qualche cosa di più lieto e piacevole?»
13. Ed Io gli rispondo: «Sicuramente! Io ci sto senz’altro, soltanto
aspettiamo che venga ancora Kisjonah il quale sarà ben presto in regola con le
sue casse».
Il corretto
uso della capacità di operare miracoli e di guarire
1. Noi non attendiamo a lungo e compare anche Kisjonah, che saluta
tutti nel modo più affettuoso ed amichevole e dice: «O carissimo amico mio
Gesù! Così Ti chiamo soltanto per una formalità esteriore, perché sai bene cosa
e Chi Tu sei per me nel mio cuore. Tutto quanto di bene mi accadde in questi
giorni lo devo soltanto a Te. Non fu complessivamente che di misere 5.000
libbre l’importo del debito da me volutamente condonato ai poveri abitanti di
Cana, ma Tu me ne hai date ora 50.000 senza calcolare tutti gli altri tesori il
cui valore deve essere di almeno altrettanto!
Io però Ti prometto, per tutto l’immenso amore che ti porto, che farò
del mio meglio per impiegare tutta questa ricchezza a vantaggio dei poveri e
degli oppressi, così che alla fine debba anche questa immondizia del demonio
convertirsi in oro puro per i Cieli di Dio!
2. Certamente non mi propongo di dare oro ed argento in mano agli
uomini, perché ciò costituisce un veleno per i loro cuori deboli ed inclinati
alla materia, invece procurerò ai privi di tetto e di beni un ricovero e darò
loro un terreno e bestiame e pane e vesti. A chiunque avrò soccorso, però,
verranno annunciati la Tua Parola e il Tuo Nome, affinché egli possa serbare
viva coscienza che ad Uno solo è dovuta tutta la gratitudine, mentre io non
rimango che un servitore pigro ed inetto! Ma Tu, o Signore, assistimi e
rafforzami, quando servirò nel Tuo Nome, e se mai dovesse il mio cuore cedere
alle lusinghe del mondo, fa’ che le mie forze vengano meno e che io così mi
accorga di non essere che un uomo debole, incapace di compiere qualcosa con la
mia sola forza!»
3. Io allora, posta la Mia mano sul suo cuore, gli dico: «Amico e
fratello Mio! Tu non hai che da custodirMi qui dentro e la forza per compiere
opere nobili e buone non ti mancherà mai. Sì, con la fede viva e con l’amore
puro e totale verso di Me e con la brama ardente di operare il bene per il tuo
prossimo nel Mio Nome, potrai comandare agli elementi ed essi ti obbediranno. I
venti non resteranno sordi al tuo richiamo e il mare riconoscerà la tua voce e
tu potrai dire all’uno od all’altro dei monti: “Levati e scagliati nel mare”,
ed avverrà come gli avrai comandato.
4. Ma se qualcuno, per credere, vorrà domandarti dei segni, non
concederglieli. Chi non vuole riconoscere la verità per amore della verità
stessa e questa non gli è una prova sufficiente, è meglio che rimanga nella sua
cecità, poiché, se è costretto ad accettare la verità per la potenza di un
segno, ma poi non conforma le proprie azioni alla dottrina, allora il segno
torna a doppio giudizio per lui. Infatti, in primo luogo, il segno è un duplice
giudizio per lui, perché egli è costretto ad accogliere la verità quale verità
per la forza del segno, e non fa differenza se egli la riconosce o no nel suo
stato di accecamento e, in secondo luogo, egli deve evidentemente incorrere in
sé in una condanna più aspra, secondo l’Ordine divino, qualora egli dopo non
agisca secondo la verità imposta per forza di segni, non importa che egli
riconosca pienamente la verità per tale oppure no, poiché la riuscita del segno
gli ha fornito una prova che lo vincola. E questo è già abbastanza, perché il
discernimento od il non discernimento in tal caso non giustifica nessuno.
5. Infatti se qualcuno domanda un segno a conferma della verità appresa
e dice: «Veramente tramite le tue parole non mi riesce ancora di giungere al
fondo della verità, ma qualora ti sia possibile fornirmi un segno quale una
prova di fatto da operare in conformità all’essenza di tale dottrina
propostami, io accetterò questa dottrina quale piena verità», ebbene al
richiedente viene concesso il segno! Dopo di ciò egli non può più fare a meno
di accettare la verità della dottrina, la riconosca esso per tale fino in fondo
oppure no, poiché il segno gli sta di fronte come una prova inconfutabile.
6. Ma siccome a causa della sua cecità non è gli possibile giungere al
fondo della verità e siccome a causa dell’osservanza della dottrina di verità
gli deriverebbe, secondo i suoi concetti, una considerevole diminuzione nelle
comodità della vita, egli fa questo ragionamento: “Ci sarà ben qualcosa di vero
in tutto ciò altrimenti il miracolo non sarebbe stato possibile, ma tuttavia la
cosa, in fondo, non mi riesce ben chiara e se io volessi operare in conformità
ad essa mi costerebbe una spaventosa abnegazione. Per questa ragione preferisco
non farlo e proseguo nel mio antico tenore di vita, che è veramente privo di
segni straordinari, ma nonostante ciò mi è molto gradito!”
7. Ecco, in ciò sta già appunto la condanna che colui che richiede il
segno si è preparato da se stesso per mezzo del segno operato su sua stessa
richiesta e che gli ha fornito la prova inoppugnabile contro cui egli non può
presentare nessuna controprova; e così egli, continuando nel suo sistema
sbagliato di vita, diventa un avversario della verità eterna e di fatto la
rigetta assolutamente, quantunque egli in eterno non possa considerare come non
avvenuto il segno incancellabile – che gli venne fornito per corroborare la
verità – quale conseguenza della verità rivelata. Perciò è incomparabilmente
meglio non fare nessun segno a riprova della verità!
8. Però, qualora si tratti di giovare veramente agli uomini e di
illuminarli, puoi operare tacitamente, senza che te ne venga in qualche modo
fatta richiesta, quanti segni tu vuoi e allora ciò non trarrà nessuno in
peccato né, ancora meno, costituirà per nessuno un giudizio. E quando per
giovare all’uomo hai operato anticipatamente qualche segno, tu puoi ben fare
seguire degli insegnamenti, se la persona per cui hai operato il segno te ne fa
richiesta. Se essa però non te ne fa richiesta, fa’ seguire soltanto una seria
ammonizione a guardarsi dal peccato, ma non iniziare ad esporre la dottrina,
perché in tal caso coloro che saranno stati beneficati dal tuo segno riterranno
che tu sia un medico esperto anche nelle arti magiche e il segno stesso non
avrà per loro alcun ulteriore effetto costrittivo.
9. Tutti coloro ai quali, però, viene impartita la facoltà di operare
segni e miracoli, qualora se ne presenti la necessità, tutti devono seguire
fedelmente questo Mio consiglio, se vogliono veramente fare il bene.
10. Soprattutto ognuno si guardi dall’operare segni essendo in uno stato
di eccitazione o di ira! Infatti ogni segno può e deve avere come fondamento
soltanto la mansuetudine e l’amore più veri e puri, perché se esso è compiuto
in uno stato di rabbia e di ira, ciò che è anche possibile, allora vi ha parte
pure l’inferno, e un tale segno non solo non porta benedizione, ma al contrario
è causa di maledizione.
11. Ora, se Io già ripetute volte vi ho insegnato che voi dovete
benedire perfino coloro che vi maledicono, quanto meno dovete fare oggetto
della vostra maledizione i ciechi nello spirito che non vi vengono incontro con
la maledizione, ma soltanto con la vana cecità del loro cuore!
12. Dunque ponderate bene quanto ora vi ho detto ed operate
conformemente a ciò, in questo modo voi spargerete ovunque benedizione, se
anche non sempre spiritualmente almeno corporalmente, come ho fatto Io finora e
come faccio tuttora, poiché avendo dinanzi qualcuno oppresso da ogni miseria,
spesse volte un beneficio puramente corporale influisce sul suo cuore e sul suo
spirito molto di più che non cento dei migliori insegnamenti. Perciò sta anche
nel buon ordine delle cose, propagando il Vangelo, che si debba prima appianare
la via al cuore dei miseri mediante benefici corporali e soltanto dopo esporre
il Vangelo al loro animo risanato, piuttosto che far precedere la predica del
Vangelo e soltanto dopo colpire la mente dei miseri ascoltatori con un
miracolo, preparando loro così manifestamente un giudizio in una miseria
spirituale più grande ancora di quella che concerne unicamente il corpo da cui
erano prima afflitti.
13. Quando tu sarai chiamato al letto di un infermo, va’ e prima della
predica imponigli le mani affinché egli ne ottenga un miglioramento e se poi ti
chiede: “Amico, come ti è stata possibile una simile cosa?”. Soltanto allora
digli: “Per la forza della viva fede nel Nome di Colui che Dio ha mandato dal
Cielo per la beatitudine vera degli uomini!”. Se poi egli ti domanderà qual è
questo Nome, dagli, secondo la sua capacità d’intelletto, quel tanto di
spiegazioni preliminari che basteranno a fargli intravedere la possibilità di
un simile fenomeno.
14. E quando sarà arrivato a questo punto, istruiscilo in adeguata
misura sempre di più. Se poi tu dovessi accorgerti di un’attività sempre
maggiore che si manifesta nel suo cuore, allora digli infine tutto ed egli
certamente accoglierà ciascuna delle tue parole e ci crederà. Se però tu
volessi dirgli troppo in una sola volta, questo lo opprimerebbe, ed in questo
caso dovresti compiere una bella fatica per ristabilire l’equilibrio in lui.
15. Dunque, come al neonato non si porge subito un cibo che è
confacente all’uomo maturo poiché con questo lo si ucciderebbe, così pure non
si deve concedere all’uomo ancora bambino nello spirito già dall’inizio un cibo
spirituale virile, ma solo un cibo che sia adeguato al grado di sviluppo
spirituale di un simile uomo-bambino, altrimenti lo si ucciderà e sarà poi cosa
difficilissima il rianimarlo nuovamente nello spirito. Avete tutti voi ben
compreso quanto vi ho ora esposto?»
16. Esclamano tutti con il cuore commosso: «Sì, o Signore! Ogni cosa ci
è ormai chiara come il Sole di mezzogiorno e noi l’osserveremo anche
fedelmente»
17. Ed Io concludo: «Sta bene, ma adesso andiamocene alla caverna,
perché questa non è la sola caverna, ma ce n’è anche un’altra alla quale si
accede dalla prima e noi vogliamo esplorarle. Provvedetevi però di una buona
quantità di fiaccole nonché di pane e vino: noi troveremo là degli esseri che
avranno grande fame».
Visita e descrizione
di una caverna stalattitica
1. Kisjonah allora ordina che si appronti ogni cosa e Baram, che non
aveva potuto ancora separarsi da noi, dal canto suo, fa mettere assieme dalla sua
gente quanto gli era rimasto delle sue provvigioni di pane e vino, così pure
Jonaele e Jairuth, al quale pure non è possibile allontanarsi da Me, e Mi
pregano di concedere loro di partecipare alla spedizione.
2. Ed Io dico: «Certamente, perché la vostra presenza sarà anzi
necessaria ed anche Archiele ci presterà buoni servizi nel suo genere. Io però
devo avvertirvi ancora di una cosa e cioè che in questo istante una delegazione
composta di vostri acerrimi nemici è in procinto di abbandonare Sichar per venir
qui, allo scopo di indurvi a fare prontamente ritorno alla vostra città, poiché
il popolo si è sollevato contro di loro e già l’altro ieri è stato deposto il
nuovo sacerdote insediato di recente. Quest’ultimo fa anche parte della
deputazione. Essi arriveranno qui ancora questa sera e noi avremo alquanto da
discutere con loro, ora però mettiamoci in cammino! Allora anche le donne e le
ragazze manifestarono il desiderio di accompagnarci e Mi pregarono per questo.
3. Io però risposi loro: «Mie care figliole, questa non è un’escursione
per voi, restate quindi a casa per oggi ed abbiate cura che questa sera, al
nostro ritorno, sia pronta una discreta cena! Le donne si adeguarono al Mio
consiglio, così pure Maria e tutte si diedero ad accudire alle faccende di
casa. Ed anche Lidia, la quale particolarmente sarebbe stata lieta di venire
con noi, visto che ciò era contro la Mia Volontà, non insistette e se ne restò
a casa per aiutare le altre donne nel loro lavoro.
4. Noi frattanto c’eravamo incamminati ed in un paio d’ore raggiungemmo
la grotta o caverna, che dir si voglia, e vi penetrammo subito, muniti di
fiaccole accese. La meraviglia di Kisjonah fu grande quando poté persuadersi
della vastità di quella caverna e delle formazioni stalattitiche quanto mai interessanti
di cui era ricca, tanto anzi che di simili non si possono riscontrare in nessun
punto dell’Asia anteriore, dove di tali caverne pure se ne conta in gran
numero: figure gigantesche d’ogni tipo si presentavano ogni qual tratto
all’occhio timido dell’esploratore.
5. E Fausto stesso, che, sempre memore delle gesta eroiche dei romani,
era poco accessibile al timore, non poté sottrarsi ad un certo senso di
sgomento e mormorò: «Davvero qui, anche senza volerlo, si potrebbe venir
indotti a credere che dentro la terra abbia dimora una specie di deità le
quali, con la loro potenza enorme, mandano a compimento opere colossali di
questa specie! Ecco qui delle immagini di uomini, di animali e di alberi, ma in
che proporzioni! Che figura farebbero qui i templi giganteschi e le statue di
Roma? Vedi quest’Arabo com’è ben disegnato! In verità, se si volesse e potesse
salire fino al suo capo, ci sarebbero da fare gradini per un’ora buona, per di
più è raffigurato seduto e, nonostante ciò, mi viene il capogiro se il mio
occhio vuole arrivare alla sommità della figura. Ah, tutto ciò è sul serio una
cosa straordinariamente meravigliosa e degna di essere vista! Non è possibile
che queste opere siano il prodotto del puro caso! Ecco nuovamente un gruppo di
guerrieri armati di spada e di lancia e là, proprio in fondo, ci viene incontro
barrendo un elefante di proporzioni colossali ed anche questo è disegnato alla
perfezione! O Signore, in qual maniera meravigliosa hanno avuto origine tutte
queste cose?»
6. Rispondo Io: «Amico Mio, accontentati per ora di ammirare quello che
si presenta al tuo sguardo e non fare molte domande, non mancherà poi la
naturale spiegazione di tutto ciò. Qui avrai occasione di vedere ancora ben
altre cose che susciteranno in te meraviglia molto maggiore, ma anche allora
non domandare nulla! Quando noi saremo usciti all’aperto, fuor da questa
grotta, Io vi darò spiegazioni riguardo a tutte queste cose».
7. Noi proseguiamo dunque e perveniamo ad una caverna vastissima ed
alta, che non era oscura come l’altra, anche se discretamente illuminata,
siccome vi facevano capo diverse piccole sorgenti di petrolio già molti anni
prima accese da uomini cui la caverna aveva servito di ricovero e che da quella
volta avevano continuato ad ardere senza interruzione, qual più, qual meno,
fornendo luce ad una gran parte di quella spaziosa cavità. Oltre a ciò, in un
punto dell’enorme cupola, un’apertura abbastanza grande dava accesso all’aria
ed alla luce esterna, cosicché ci si poteva muovere discretamente a proprio agio
per quanto concerneva l’illuminazione.
8. Sul suolo di questa grotta, o meglio sala sotterranea, apparivano,
come scolpite, numerose e svariatissime figure: qui serpenti, là gigantesche
lucertole ed ogni altro genere di figure animali, parte molto bene e parte
incompletamente disegnate, c’era altresì una quantità grandiosa di formazioni
cristalline dai più svariati colori e dalle dimensioni che andavano dal
minutissimo al colossale e tutto ciò conferiva all’ambiente un’imponenza ed una
bellezza sorprendenti.
9. E Fausto non poté trattenersi dall’esclamare: «Signore, qui ci sono
ornamenti imperiali in grande abbondanza, quale certamente nessun regnante ha
mai potuto nemmeno sognarli! Ma, d’altro canto, ci sarebbe davvero da credere
all’esistenza del profondo Tartaro com’è descritto dalla mitologia greca! Non
vi mancano che lo Stige, il vecchio Caronte, i tre ben noti giudici inesorabili
delle anime: Minosse, Eaco, Radamante ed infine Cerbero, il cane dalle tre
teste, alcune delle Furie e poi forse Plutone con la bella Proserpina, dopo di
che il Tartaro, con i suoi tormenti, sarebbe completo! Tutte queste numerose
fiamme provenienti dal suolo e dalle pareti, le migliaia di raccapriccianti
figure animalesche sul suolo, per quanto morte e pietrificate, ed una quantità
di altre cose mi sembrano quasi giustificare la supposizione che, se non
proprio nel Tartaro stesso, noi siamo almeno sulla via che più direttamente vi
conduce, oppure, ciò che mi sembra più probabile, che dall’esistenza di questa
o di una qualche altra grotta simile abbia tratto origine il mito greco del
Tartaro!»
10. Dico Io: «Nella tua ultima supposizione, benché non tutto, c’è però
molto di vero, perché le caste sacerdotali, per lo più sempre astutissime,
presso tutti i popoli ed in ogni tempo hanno saputo sfruttare a loro vantaggio
e nel più raffinato dei modi simili fenomeni della natura. In maniera non
differente sono continuate le cose anche in Grecia ed a Roma, con l’aggravante
che la fantasia male inspirata dei sacerdoti non conobbe più freno, cosicché
fino ad oggi popoli e popoli sono stati precipitati nelle tenebre della
superstizione e lo saranno ugualmente, ora più ora meno, fino alla fine del
mondo.
11. Fino a tanto che la Terra, nella sua necessaria costituzione molto
svariata, dovrà presentare all’occhio umano delle formazioni o figure simili, i
suoi uomini, che per diverse ragioni sono in spirito ciechi e schivi della
luce, sempre si creeranno nella loro fantasia ogni specie di forme sconnesse ed
attribuiranno loro facoltà straordinarie e forze divine e ciò per il motivo che
nella loro cecità non possono vedere la ragione di questi fenomeni.
12. Guarda qui! Ecco anche il tuo Stige, il nocchiere Caronte ed al di
là del fiume, largo circa dodici tese e profondo al massimo un braccio, il
quale è veramente una specie di stagno molto facilmente guadabile nel punto più
basso, puoi vedere in mezza luce altresì i tuoi tre giudici, alcune Furie,
Cerbero ed infine Plutone assieme a Proserpina! Tutte figure, queste, che
soltanto ad una certa distanza ti appaiono tali, mentre osservate da vicino e
in piena luce somigliano a qualsivoglia altra cosa che non sia appunto quello
che la fantasia degli uomini ha voluto immaginare. Ora però andiamocene a piedi
oltre lo Stige e non ci sarà bisogno di pagare tributi a Caronte, giunti al di
là ci occuperemo di esaminare un pochino anche il Tartaro!»
13. Noi passiamo dunque a guado oltre il cosiddetto Stige nel punto
meno profondo ed attraverso un corridoio piuttosto stretto penetriamo nel
Tartaro, il quale, illuminato dalle nostre fiaccole, ci rivela ben presto la
presenza di altri considerevoli tesori, dei quali nessuno dei farisei aveva
ancora rivelato l’esistenza, e così grazie a Me ritorna alla luce tutto quello
che era stato nascosto, per quanto accuratamente.
1. Fausto a quella vista arretra strabiliato e poi chiama a sé Pilah e
gli dice: «Di tutto ciò non ne sapevi proprio niente, dato che non me ne hai
fatto assolutamente parola? Parla, altrimenti si mette male per te!»
2. E Pilah risponde: «Signore, davvero io non ne sapevo niente! Oggi è
la prima volta che ho avuto occasione di penetrare così dentro in questa
caverna; i miei vecchi colleghi saranno stati certo a conoscenza della cosa, ma
non avranno voluto rivelarla per avere almeno un’ultima risorsa nel caso in cui
fosse loro occorso trarsi da qualche grave impiccio. Ma ormai prendi in
consegna ogni cosa, perché, grazie al cielo, è a te che appartiene»
3. Fausto Mi domanda se Pilah ha detto la verità ed Io glielo confermo
ed aggiungo: «Amico Mio, quando qualcuno si prende in moglie una giovane di
famiglia ragguardevole, egli ha il diritto di aspettarsi una dote. Finora tu
hai avuto moltissimo da fare e, nonostante ciò, nella ripartizione degli altri
beni non ti è toccata nessuna parte, di conseguenza prendi ora in tuo legittimo
possesso tutto intero questo tesoro che secondo la valutazione di questo mondo
ha un valore di 1000 volte 1000 libbre.
4. Il maggior valore però è rappresentato da perle, ciascuna delle
quali ha la grossezza di un uovo di gallina. Un’intera cassetta di ferro, da
1000 dramme di volume, è ricolma di queste perle straordinarie, già una sola
delle quali ha veramente un valore inestimabile. Perle simili non si trovano
più, quali nuove formazioni, in nessun luogo di questa Terra, poiché le
speciali conchiglie nelle quali erano contenute, nonché una grande quantità di
altri animali che vivevano nelle epoche primordiali di questo pianeta, ora non
esistono più. Veramente queste perle non vennero neppure tratte dal mare, bensì
furono rinvenute nella terra ai tempi del re Ninia, detto anche Nino, durante
gli scavi fatti per la costruzione della città di Ninive ordinata da questo re.
Dopo moltissime vicende esse furono portate a Gerusalemme, in parte già ai
tempi di Davide, ma il maggior numero durante l’epoca di Salomone, però in
questa caverna giunsero appena al tempo della conquista dei romani, quando
questi ebbero preso possesso di quasi metà dell’Asia.
5. I principali fra i sacerdoti, ai quali era nota già da molto tempo
prima l’esistenza della caverna, quando ebbero sentore dell’imminente invasione
romana, misero assieme in fretta tutti i maggiori tesori mobili del Tempio e
riuscì loro di portarli felicemente qui dentro in salvo. I leoni d’oro, che
portavano il trono di Salomone e che in parte ne sorvegliavano i gradini,
rimasero sepolti sotto le macerie, quando i babilonesi distrussero Gerusalemme,
ma in seguito, durante la riedificazione, furono ritrovati e ripresi in
consegna dai sacerdoti per il Tempio. Ora anche questi leoni si trovano per la
maggior parte qui, perché al tempo della conquista romana tutto quello di più
prezioso che si poté ammassare in fretta fu portato in questo luogo, come pure,
al tempo della conquista dei babilonesi, allora potenti, una considerevolissima
quantità di tesori del Tempio venne trasportata nella ormai conosciuta caverna
presso Corazin, quantunque nel Tempio stesso ne fossero rimasti abbastanza
anche per i babilonesi, che si impossessarono specialmente dei vasellami degli
arredi consacrati in perpetuo al servizio del Tempio e li trasportarono a
Babilonia. Dà quindi ordine alla tua gente di togliere tutto ciò e di portarlo
fuori, dopodiché Archiele sbarrerà l’ingresso di questa grotta in modo che
piede umano non potrà mai più accedervi»
6. Allora Fausto dà immediatamente ordine ai servitori di trasportare
fuori tutti quei tesori, ma quando essi si accingono a sollevare le numerose
casse di ferro che giacciono là, si accorgono che le loro forze non bastano e
si rivolgono a Me con la preghiera di infondere loro il vigore necessario per
venirne a capo.
7. Io però chiamo Archiele e gli dico: «Ebbene, porta fuori tutta
questa immondizia e depositala addirittura a Chis, nel magazzino grande!».
Nello stesso istante tutte quelle pesanti casse sparirono, però Archiele fu di
ritorno immediatamente, cosicché nessuno poté accorgersi, quando veramente egli
fosse stato assente.
8. E Fausto stupefatto esclama: «Questa cosa non ha oramai più del
favoloso, ma dell’incredibile! I miei servitori avrebbero dovuto impiegare
certo almeno tre giorni per compiere un lavoro simile ed ecco che in un attimo
assolutamente non percettibile non c’è più nemmeno una delle casse che avevamo sott’occhio!
È però inutile che io domandi come una cosa tale sia possibile, poiché, per
comprendere ed apprezzare al loro giusto valore dei fenomeni di questa specie,
si esige un senso divino che io non possiedo!»
9. Gli dico Io: «Sì, certamente tu hai ragione; d’altro canto non
sarebbe affatto vantaggioso all’uomo se gli riuscisse di comprendere in una
sola volta il come e il perché di tutti i fenomeni che si manifestano ai suoi
sensi. Infatti sta scritto: “Se tu mangerai dell’albero della conoscenza, certamente
tu morirai!”. È meglio dunque prendere qualsiasi fatto, per quanto miracoloso,
così come esso si manifesta ai sensi e rendere in pari tempo sempre più viva
nella propria mente l’idea che nulla vi è di impossibile a Dio, piuttosto che
voler esplorare il fatto stesso nelle sue intime origini, nel qual caso l’uomo
ne sa, dopo la spiegazione, altrettanto poco quanto prima.
10. È abbastanza che tu veda come la Terra sia atta a portare ed a
nutrire l’uomo! Se tu volessi penetrare il mistero della sua origine e del suo
processo di formazione, essa perderebbe per te ogni attrattiva e non ne avresti
più alcun compiacimento, non ti rimarrebbe invece che una brama ardente di
esplorare le origini di un qualche altro mondo. E, qualora tu avessi infine
constatato essere state ed essere identiche le cause nel processo di formazione
e di manutenzione per questo secondo mondo e così pure per un terzo, quarto e
quinto mondo, non saresti più invogliato ad esplorarne ulteriormente un sesto
ed un settimo; la conseguenza sarebbe che tu diverresti pigro e svogliato, la
noia e l’ira ti farebbero disprezzare la vita e finiresti con il maledire l’ora
che ha segnato per il tuo intelletto l’inizio in tanta scienza! Ed ecco che un
tale stato di cose sarebbe veramente una morte per la tua anima.
11. Siccome però, secondo gli ordinamenti divini, è disposto che tanto
l’uomo quanto altresì ogni spirito angelico possano concepire gli elementi
della natura divina in sé, come pure in tutte le cose create, soltanto a gradi
ed anche ciò solamente fino ad un punto determinato, gli viene conservato
l’intangibile tesoro della gioia sempre crescente del vivere, dell’amore a Dio
e dell’amore verso il prossimo, cose queste che da sole possono renderlo e lo
rendono anche beato per l’eternità. Comprendi questa verità?»
12. Risponde Fausto: «Sì, o Signore ed amico mio, la comprendo
perfettamente, e perciò non Ti farò più alcuna domanda riguardo alle origini
delle formazioni di questa grotta».
Origine e
crollo della caverna stalattitica
1. Dico Io: «Del resto, la cosa non ha grande importanza. Che tu lo
sappia o no, ciò non può rendere la tua vita né più ricca né più povera. Questo
tuttavia posso dirti, che mano d’uomo non ha mai contribuito al prodursi di
tali formazioni, ma esse sono dovute unicamente al lavorio, per così dire
causale, delle forze naturali. Le montagne assorbono sempre un’umidità
dissolvente dall’aria, a ciò bisogna aggiungere l’azione delle frequenti piogge
e delle nevi e nebbie che molto spesso avvolgono le sommità delle montagne.
Tutta questa umidità, che si deposita sui monti, in gran parte penetra
attraverso terra e rocce e qualora giunga al di sopra di qualche cavità interna
della montagna, allora si raccoglie in gocce composte quasi per metà di calce
disciolta. Queste gocce cadono nella cavità e il contenuto acqueo, se il
terreno lo concede, penetra ancora più in fondo, oppure evapora nella cavità
stessa, mentre il limo calcareo si solidifica e con il sovrapporsi delle gocce
vengono formandosi ogni tipo di figure che, più o meno, somigliano all’una od
all’altra di quelle che appaiono sulla terra. E così, anche in questa grotta,
tutte le formazioni che ti sono cadute sott’occhio ebbero la loro origine nella
stessa maniera naturale, quantunque, però, è bene ammettere che allo scopo di
accecare gli uomini deboli anche i servitori di Satana abbiano, e non poco,
contribuito a perfezionare il disegno di svariatissime figure umane.
2. Di conseguenza sarà anche meglio che una simile grotta, tanto atta a
dare alimento alla più tenebrosa superstizione, venga resa per tutti i tempi
inaccessibile. Ritorniamo dunque ormai all’aperto, affinché Archiele possa
compiere il suo incarico nei riguardi di questa caverna»
3. Fausto Mi ringrazia caldamente per i chiarimenti dati e dice:
«Questa spiegazione mi riesce tanto più comprensibile, poiché quasi la stessa
cosa, benché in forma di ipotesi, io l’ho intesa asserire a Roma da più di uno
scienziato. Però il fatto della occulta cooperazione di Satana ha anch’esso un
grande significato, perché il nemico della vita non si è certo mai lasciato
scappare simili occasioni a lui favorevoli e le relative conseguenze maligne ci
stanno del resto sott’occhio in tutte e tre le parti del mondo! Tutto ciò mi è
dunque ormai chiaro come la luce del Sole, ma di una cosa sola non posso
formarmi ancora un concetto ben preciso e questa è la beatitudine di Dio!
4. Dimmi! Quale gioia può avere Dio della Propria vita indistruttibile,
Egli a Cui dalle eternità e per le eternità in maniera sempre uguale e con la
chiarezza più evidente devono essere note nella loro più intima essenza le
ragioni di ogni essere? Come può essere per Lui una fonte perenne di
beatitudine questa necessaria perpetua visione sempre ugualmente perfetta,
senza poter provocare mai in Se stesso un cambiamento qualsiasi, stato questo
di cose che dovrebbe finire con l’uccidere dalla noia qualsiasi uomo?»
5. Gli rispondo Io: «Guarda qui gli uomini. Questi sono la gioia di
Dio, quando essi nell’Ordine divino diventano quello che sono chiamati a
diventare, in essi Egli ritrova il Suo simile, e il loro continuo assurgere a
sempre maggiore perfezione in ogni campo della conoscenza e con ciò nell’amore,
sapienza e bellezza, costituisce la Sua gioia più pura e la felicita
indistruttibile! Infatti tutto quello che l’Infinito comprende, esiste soltanto
per amore del piccolo uomo e nell’Eternità non c’è nulla che non sia per amore
del piccolo uomo. Ecco che tu ora conosci anche questo. Ma adesso usciamo da
questa caverna, perché Archiele possa quanto prima adempiere il suo compito!»
6. Noi ci affrettiamo ad abbandonare la grotta ed in breve tempo
raggiungiamo l’uscita e quando ci troviamo tutti all’aperto Io faccio un cenno
ad Archiele. Si ode nello stesso istante uno scoppio violento e, dove prima
c’era l’ingresso molto ampio, non si vede più ormai che un’alta parete di
granito, attraverso la quale per qualunque mortale sarebbe difficilissima cosa
penetrare dentro la caverna, per quanto si proponesse seriamente di farne il
tentativo, tuttavia, allo scopo di rendere la caverna per così dire del tutto
inaccessibile, dopo che noi fummo a circa 3000 passi dal punto dove essa si
apriva, Io feci provocare là uno sprofondamento del terreno, cosicché il punto
di accesso venne a trovarsi ad oltre 100 altezze d’uomo dal terreno e si
sarebbe quindi dovuta usare una scala alta più di 100 uomini per arrivare alla
sommità della parete verticale, dove prima c’era stato l’ingresso della caverna,
fatica questa tuttavia vana, essendo, come detto, ormai ostruito anch’esso
dalla parete granitica più ripida e solida.
7. Quando Fausto e tutti gli altri presenti si accorgono del
cambiamento avvenuto in quel luogo della montagna, Fausto esclama: «Signore ed
amico. In verità io non posso più raccapezzarmi! Questi fenomeni mi inducono a
credere che noi siamo ritornati ai periodi della Creazione, essi sono ormai
distanti già un’eternità dal mio orizzonte conoscitivo! Io non so proprio
davvero se vivo ancora oppure se sogno! Qui succedono cose tanto strane,
enigmatiche e meravigliose che, pur essendo perfettamente sobri, si rimane come
ubriachi fradici che nella loro incoscienza non sanno giurare se sono maschi o
femmine. Guardate un po’ questa formidabile parete di roccia! Dove era essa
prima, quando noi percorrevamo comodamente il viottolo a gradini tracciato
nella caverna?
8. Ma quello che mi appare più sorprendente ancora è che, nonostante
questo improvviso mutamento verificatosi su di uno spazio di parecchie migliaia
di iugeri, non si può riscontrare la benché minima traccia di una distruzione
violenta. Sembra veramente come se qui dai tempi preistorici della Terra non vi
fosse proprio niente di cambiato. Davvero, se 1000 uomini avessero lavorato qui
per 100 anni, sarebbe tuttavia ancora lecito il dubbio che in questo tempo
fosse stato possibile allontanare dal posto una tale massa di materiale da
mettere soltanto a nudo una simile parete di roccia alta 150 lunghezze d’uomo e
larga più di un’ora di cammino, come ci sta davanti agli occhi, laddove pochi istanti prima non ce n’era
nemmeno la traccia, per non parlare poi del fatto che tutto ciò è avvenuto
senza lasciar dietro di sé alcun segno di distruzione! È una cosa assolutamente
inaudita! Io sono in verità curioso di sapere che faccia faranno i molti
barcaioli quando si accorgeranno che al posto della rigogliosa zona boschiva
non c’è qui più che questa parete colossale. È certo che molti non ne capiranno
nulla affatto e che si guarderanno intorno sbalorditi, come fa il bue davanti
ad una nuova porta attraverso la quale non è ancora abituato a passare!»
9. Ed Io osservo: «Per questo motivo Io dico a voi tutti che di quanto
è avvenuto è necessario che non facciate parola con nessuno, nemmeno con le
vostre donne, poiché appunto per questo non ho concesso loro questa volta di
accompagnarci, essendo ben noto che in caso di avvenimenti molto straordinari,
nonostante qualsiasi divieto di parlare, non è possibile ottenere che le loro
lingue obbediscano. Dunque, vi ripeto che non dovete raccontare alle vostre
donne assolutamente nulla riguardo ai fatti meravigliosi qui capitati; voi
potete bensì parlare loro della grotta, come essa era formata ed anche dei
tesori ora ritrovati, ma all’infuori di ciò non una parola!». Tutti promettono
solennemente di attenersi alla Mia raccomandazione e dopo noi continuiamo il
nostro cammino verso Chis, dove arriviamo appunto al tramontare del Sole.
Naturalmente, appena scorti da lontano, le donne e le ragazze rimaste in casa
ci corrono prontamente incontro e ci fu subito un gran domandare da parte loro
riguardo a cosa noi avessimo visto di notevole. Esse però ebbero in risposta
che non era allora il momento di diffondersi in particolari e che in fondo non
si era veramente trattato che di asportare ancora un tesoro la cui esistenza
era stata sottaciuta da parte dei farisei. Con ciò fu intanto soddisfatta la
curiosità delle donne che non fecero più molte altre domande.
10. Noi però ci affrettiamo a cena, perché tutti coloro che avevano
partecipato alla spedizione avevano dovuto rinunciare al pranzo e siccome la
fame si faceva sentire più del solito, ciascuno non desiderava di meglio che
prendersi la rivincita con una buona cena.
Fausto trova i
tesori, nel deposito, ben ordinati e custoditi
1. Soltanto dopo aver terminato la cena Fausto se ne andò, dietro Mio
invito, al grande magazzino per constatare se i tesori, trasportati grazie ad
Archiele dalla grotta fino a Chis, si trovassero in buon ordine. Tutto fu
trovato in piena regola; era già pronta anche una grande lista con
l’indicazione dettagliata dei diversi tesori, nonché del loro valore, tali e
quali erano stati ritrovati nella grotta. Fausto domandò ai sorveglianti chi
avesse approntato la lista.
2. Ed essi gli risposero: «Signore, noi l’abbiamo trovata già quando
fummo mandati qui di guardia. Chi abbia potuto farla, non potremmo dunque
davvero dirtelo»
3. Dice poi Fausto: «Raccontatemi allora come sono capitati qui questi
tesori e chi li ha portati»
4. Rispondono i sorveglianti: «Anche a questo riguardo non sappiamo
niente, semplicemente è venuto qui un giovane che già da qualche giorno si
trova in compagnia del medico miracoloso di Nazaret ed ordinò che i tesori
venissero costantemente sorvegliati. Allora, da parte del sottogiudice romano,
noi fummo comandati qui e come vedi sono già due buone ore che facciamo la
guardia. Questo è tutto quello che noi sappiamo circa il tesoro stesso e il suo
trasporto qui, ma più di tanto non potremmo davvero raccontarti».
5. Fausto prende allora con sé la lista e va a trovare il suo collega
subalterno, per tentare di ottenere qualche informazione, ma anche l’altro non
sa niente di più dei sorveglianti interrogati prima di tutta la questione e Fausto,
persuasosi che a Chis tutti ignoravano l’avvenuto trasporto dei tesori, pensa
fra sé che considerato che nessuno ne sa nulla, non vuole essere già lui a
destare l’attenzione altrui con altre ricerche e a diffondere inutilmente fra
il popolo la notizia di questo avvenimento.
6. Dopo questo soliloquio Fausto se ne va alla propria abitazione, dove
l’aspetta a braccia aperte la sua giovane sposa. Ma prima di coricarsi egli
ritorna nuovamente da Me, per parlare di questioni importanti. Però Io gli dico
di rimandare il colloquio a domani e lo consiglio di andare a prendersi il
riposo che anzitutto gli è necessario per il corpo e per l’anima. Fausto allora
parte e va a chiedere al sonno quel ristoro di cui, come tutti gli altri, ha
estremo bisogno.
7. Dormendo profondamente, la notte trascorre molto veloce e anche qui
fu così; pareva di essersi addormentati appena da pochi minuti che già la luce
mattutina invitò ciascuno a lasciare le coltri amiche ed a riprendere il lavoro
giornaliero. La colazione preparata molto di buon’ora attirò tutti gli ospiti
fuori dalle diverse stanze nella grande sala e, come i giorni precedenti, noi
vi facemmo onore. Terminata poi la colazione, per la prima volta tutti gli
ospiti, per renderMi in nome di Jehova onore e grazie, intonarono il Salmo (33)
di Davide, che dice:
8. «Voi giusti giubilate nel Signore: “I devoti lo devono lodare con
belle parole. Celebrate il Signore con arpe e salmeggiateGli con il salterio a
dieci corde. CantateGli un nuovo cantico, suonate maestrevolmente con giubilo,
perché la Parola del Signore è diritta e tutte le sue opere sono fatte con
verità. Egli ama la giustizia e la rettitudine, la terra è piena della
benevolenza del Signore. I cieli sono stati fatti per la Parola del Signore e
tutto il loro esercito per il soffio della sua Bocca. Egli ha adunato le acque
del mare come in un mucchio. Egli ha disposto gli abissi come in tesori. Tutta
la terra tema il Signore, abbiano spavento tutti gli abitanti del mondo, perché
Egli disse la Parola e la cosa fu; Egli comandò e la cosa sorse. Il Signore
dissipa il consiglio delle genti e annulla i pensieri dei popoli. Il consiglio
del Signore dimora in eterno, i pensieri del Suo Cuore dimorano per ogni età.
Beata la gente di cui il Signore è l’Iddio; beato il popolo il quale Egli ha
eletto per Sua eredità. Il Signore riguarda dal Cielo, Egli vede tutti i figli
degli uomini. Egli guarda, dalla stanza del suo seggio, tutti gli abitanti
della Terra. Egli è quel che ha formato il cuore di tutti loro, che considera
tutte le loro opere. Un re non si salva grazie alla grandezza dell’esercito, un
gigante non si salva grazie alla sua grande forza. I cavalli non sono d’aiuto e
la loro grande forza non dà la salvezza. Ecco, l’occhio del Signore è sopra
quelli che lo temono; sopra quelli che sperano nella sua benignità, per
riscuotere l’anima loro dalla morte e per conservarli in vita in tempo di fame.
L’anima nostra attende il Signore; Egli è il nostro aiuto e il nostro scudo.
Certo il nostro cuore si rallegra in lui, perché noi ci siamo confidati nel
Nome della Sua Santità. La Tua Benignità, o Signore, sia sopra noi, dato che
noi abbiamo sperato in Te”».
1. Dopo che tutti Mi ebbero reso omaggio con quest’inno mattutino,
Fausto, che era stato naturalmente pure presente alla colazione ed aveva udito
l’inno di lode, Mi domanda subito: «Dove mai attinsero i Tuoi discepoli parole
tanto elevate, veritiere e tanto degne di Te? Davvero non mi è stato mai dato
di udire un’allocuzione così nobile e così eccellente!»
2. Ed Io gli rispondo: «Fatti dare da qualcuno, tra i farisei, la
Scrittura di Dio e leggi i Salmi di Davide che vi sono contenuti; tutte queste
cose le troverai scritte là. Il capo della sinagoga, Giairo, del quale dovremo
ancor oggi nuovamente occuparci, potrà procurarti facilmente questi scritti,
perché due giorni fa egli ha seppellito sua figlia: essa gli è morta! Egli è
amaramente pentito delle sue colpe verso di Me e perciò gli verrà inviato
soccorso ed egli non andrà perduto per il Regno dei Cieli!»
3. Chiede Fausto: «Signore! Che cosa è questo Regno e dove si trova?»
4. Gli dico Io: «Ecco, Mio caro amico, il proprio e vero Regno divino
dei Cieli si trova dappertutto, per chi è veramente amico di Dio, ma per chi
Gli è nemico, in nessun luogo, poiché, per quest’ultimo, tutto è inferno,
dovunque tu possa o voglia volgere i tuoi occhi o gli altri sensi, sopra o
sotto è tutt’uno. Non contemplare le stelle lassù, perché esse sono dei mondi
come quello sul quale tu vivi, e non guardare la terra all’ingiù, poiché essa
sottostà al giudizio come la tua carne, che un giorno dovrà morire ed
imputridire! Esplora invece e cerca con tutta diligenza nel tuo cuore, là
troverai ciò che vai cercando. Infatti nel cuore di ciascun uomo è posto il
seme vivente, dal quale può germogliare l’aurora eterna di una vita senza fine.
5. Osserva lo spazio nel quale si libra questa Terra, nonché il Sole
immenso, la Luna e le stelle innumerevoli che pure non sono che altrettanti
soli e mondi: questo spazio è infinito. Tu potresti lasciare questa Terra con
la velocità del pensiero e solcare in linea retta gli spazi sempre con la
stessa velocità, ma per quante eternità di eternità di tempo tu impiegassi nel
tuo volo fulmineo, pure non ti sarebbe mai possibile avvicinarti alla fine!
Dappertutto invece troveresti creazioni delle specie più straordinarie e
meravigliose che in tutte le direzioni popolano ed animano lo spazio senza
confini.
6. Un giorno tu pure, dopo la morte del tuo corpo, uscirai attraverso
il tuo cuore nell’infinito spazio di Dio e, secondo la qualità del tuo cuore,
quello stesso spazio sarà per te o Cielo od inferno!
7. Infatti non esistono in nessun luogo né un Cielo né un inferno
appositamente creati, ma tanto l’uno che l’altro traggono le loro origini nel
cuore stesso dell’uomo, cosicché ciascun uomo si crea nel proprio cuore il
Cielo o l’inferno a seconda che egli operi il bene od il male; ed a seconda di
come egli creda, voglia ed operi, così anche vivrà della propria fede, la quale
ne avrà nutrita la volontà, che si traduce poi nell’azione.
8. Di conseguenza ognuno esamini le inclinazioni del proprio cuore,
così gli sarà facile rilevare di quale spirito esso è ricolmo. Se il cuore e
l’amor suo tendono al mondo, se egli sente una brama di diventare, nei riguardi
di questo, qualcosa di grande e di ragguardevole, se il cuore che inclina
all’orgoglio ha in sdegno il proprio fratello povero e sente in sé lo stimolo a
signoreggiare sul proprio simile senza essere egli a ciò eletto e consacrato da
Dio, allora è segno che nel cuore c’è già il seme infernale che, se non è
combattuto e soffocato in tempo, non potrà evidentemente preparare all’uomo che
l’inferno dopo la morte del suo corpo.
9. Ma se, invece, il cuore dell’uomo è pieno di umiltà e si sente
felice di essere il minimo fra i suoi simili, di servire tutti, di non badare
affatto a se stesso per amore dei propri fratelli e sorelle e di obbedire
volonterosamente ai propri superiori in tutte le cose buone ed in un modo o
nell’altro utili ai fratelli e se oltre a ciò ama Dio sopra ogni cosa, allora
la semente divina nel cuore dell’uomo cresce rigogliosa; diventa un vero Cielo
eterno e vivente, e l’uomo, che in questo modo custodisce nel proprio cuore già
l’intero Cielo in tutta la sua pienezza, Cielo ricolmo di vera fede e della
speranza ed amore più puri, dopo la morte del corpo non può giungere
assolutamente in nessun altro luogo che non sia lo stesso Regno divino dei Cieli,
che egli ha portato già da molto tempo in tutta la sua integrità nel proprio
cuore! Se tu consideri bene quello che ti ho detto, non ti sarà difficile
comprendere come veramente vadano intese le cose tanto nei riguardi del Regno
dei Cieli quanto in quelli dell’inferno».
10. Dice Fausto: «O Signore e mio caro Maestro ed amico, davvero le Tue
parole suonano supremamente sagge, però questa volta non mi è riuscito di
comprenderle in tutta la loro profondità. Come Cielo ed inferno possano
trovarsi assieme, per così dire nello stesso tempo in uno stesso punto,
cosicché evidentemente l’uno dovrebbe penetrare nell’altro, questa cosa appare
pur sempre impossibile a me, abituato certo a pensare ancora troppo
materialmente! Ma quello che ancora di più non posso comprendere è infine come
dal mio cuore possa fiorire un’eternità supremamente beata od infinitamente
infelice! Perciò io Ti prego affinché Tu voglia fornirmi a questo riguardo
qualche chiarimento più accessibile al mio intelletto, altrimenti, nonostante tutta
la luce di questo mezzogiorno spirituale, dovrei far ritorno alla cieca a casa
mia!»
Il Signore
illustra con esempi quale sia l’essenza del Cielo e dell’inferno
1. Gli dico Io: «Ebbene, fa attenzione a quello che ti dirò, perché ho
piacere che tu faccia ritorno a casa tua vedendo!
2. In una stessa casa dimorano due uomini. L’uno si accontenta di quel
che gli rende il terreno con il sudore della propria fronte e con la
benedizione di Dio, sempre soddisfatto e sereno si gode il frutto, sia pure
parco, del suo diligente lavoro e la sua gioia più grande è quella di dividere
con i fratelli più poveri il suo poco bene faticosamente raccolto. Se viene da
lui un affamato, è lietissimo di poterlo saziare e non gli chiede mai con voce
irosa la ragione della sua povertà e non gli proibisce affatto di ritornare,
qualora la fame dovesse farsi di nuovo sentire.
3. Egli non mormora né impreca mai contro le istituzioni terrene dello
Stato e quando deve pagare qualche imposta egli esclama sempre come Giobbe:
“Signore, Tu me l’hai dato, ma tutto appartiene a Te. Ciò che Tu hai dato, puoi
sempre riprenderlo; sia fatta sempre unicamente la Tua santa Volontà!”
4. In breve, niente può turbare quest’uomo nella sua serenità d’animo
né nel suo amore e nella sua fiducia in Dio né, di conseguenza, nel suo amore
verso i propri fratelli terreni: l’ira, l’invidia, il litigio, l’odio e
l’orgoglio sono tutti concetti a lui estranei.
5. Ma, al contrario, suo fratello è l’uomo più scontento; egli non
crede in Dio e dice: “Dio è una parola vuota con la quale gli uomini
classificano il più alto grado dell’eroismo terreno; soltanto il più sciocco
fra gli uomini può essere felice nella miseria, come sono felici gli animali
privi di ragione e di intelletto, quando trovano il poco che il loro istinto
naturale domanda. Ma un uomo che tramite la ragione si è elevato molto al di
sopra del regno animale, non deve più accontentarsi del comune cibo animalesco,
non deve impiegare le proprie mani destinate ad altre e migliori opere nello
smuovere e sconvolgere il terreno – ciò che si addice soltanto alle bestie ed
agli schiavi –, ma deve in vece impugnare la spada ed alla testa di potenti
eserciti entrare sotto archi trionfali nelle grandi città del mondo
conquistate. La terra deve tremare sotto i passi poderosi del destriero che,
scintillante d’oro e di pietre preziose, porta superbo il signore delle potenti
schiere.
6. Con tali sentimenti in cuore un tale uomo impreca poi contro la
propria misera esistenza, maledice la povertà e si arrovella la mente per
escogitare il modo con il quale procurarsi grandi tesori e ricchezze per poter
per mezzo loro realizzare i propri ideali di ambizione.
7. Egli ha in spregio suo fratello che è contento del proprio stato ed
ha in abominio chiunque sia ancora più povero di lui. In lui non c’è affatto
traccia di misericordia; per lui essa non significa che una qualità ridicola
degna di un vile schiavo o di un commediante; all’uomo si addice tutt’al più la
generosità, ma anche questa il più raramente possibile! Se un povero gli si
presenta dinanzi, lo accoglie con le parole più aspre e gli dice: “Vai via,
pigra bestiaccia, mostro vorace camuffato cenciosamente da uomo, lavora,
animale, se vuoi avere di che ruminare! Va’ dal fratello snaturato del mio
corpo, ma mai del mio spirito superiore: quello sì, come bestia da soma egli
stesso, lavora per il proprio simile ed è misericordioso come uno schiavo! Io
che non sono generoso, per questa volta ancora ti lascio in dono la tua
volgarissima vita da verme della terra”.
8. Ed ora intendi: questi due fratelli, figli dello stesso padre e
della stessa madre, vivono assieme in una stessa casa; il primo è un angelo,
mentre il secondo è quasi un compiuto demonio. Per il primo la misera capanna
che lo ricovera è un Cielo, per il secondo la stessa capanna, senza cambiare
nulla, è un vero inferno pieno del più amaro tormento; vedi, dunque, adesso
come Cielo ed inferno possano trovarsi assieme in uno stesso luogo?
9. Certamente tu dirai fra te e te: “Ebbene, perché ciò? Lasciamo che
l’ambizioso raggiunga il suo trono, così egli sarà perfettamente atto a
proteggere i popoli e ad annientarne i nemici!”. Sì, certo, questo potrebbe ben
essere possibile! Ma dov’è la misura che gli prescrive fino a quale punto egli
debba perseguire i piani suggeritigli dalla sua ambizione? Cosa farà egli degli
uomini che non vorranno inchinarsi fino a terra dinanzi a lui? Ecco, egli li
farà martoriare nella maniera più crudele possibile e della vita umana egli si
curerà tanto quanto di un fuscello di paglia che ogni viandante calpesta. Ma
che cosa è allora un tale uomo? Vedi, egli è simile a Satana!
10. Devono esserci certo anche dei reggenti e dei condottieri, ma,
intendi bene, questi devono in origine essere scelti e chiamati da Dio a tali
compiti e in seguito devono essere discendenti di re anticamente già
consacrati. Questi, allora, sono chiamati a reggere, ma guai a qualsiasi altro
che abbandoni la sua povera capanna ed esca fuori per conquistarsi, usando ogni
mezzo, uno scettro od una insegna di comando! In verità, sarebbe meglio per lui
non essere mai nato!
11. Io però voglio esporti ancora un’immagine del Regno divino dei
Cieli. Esso è del tutto simile ad un buon terreno, sul quale crescono e
maturano tanto le viti più nobili, quanto, vicino a queste, i cespugli delle
spine e dei cardi, eppure si tratta sempre di uno e dello stesso buon terreno.
La differenza sta unicamente nel modo in cui viene utilizzato: la vite lo
converte nel bene, la pianta delle spine e dei cardi invece nel male,
nell’inutile e in tutto ciò che per l’uomo è immaginabile.
12. Così anche il Cielo manda il suo alito tanto sul demone quanto
sull’angelo di Dio, ma ciascuno dei due lo impiega altrimenti!
13. Ed ancora il Cielo è simile ad un albero da frutto, che produce
frutta buona e dolcissima, ma se avviene che sotto ai suoi rami ben forniti si
raduni della gente per mangiare tali frutti, alcuni modesti e parchi prendono
riconoscenti solo quel tanto di cui loro hanno bisogno e ne mangiano; altri
invece, poiché la frutta piace loro molto, non vogliono che rimanga niente
sull’albero e per un sentimento di invidia verso i modesti che – pensano essi –
potrebbero ritornare per veder se qualcosa è rimasto ancora, consumano e
mangiano finché non c’è più frutta. Questi però si ammalano e devono morire,
mentre i parchi e modesti dal moderato uso della frutta dell’albero traggono
forza e ristoro! E tuttavia sia gli uni che gli altri hanno mangiato dallo
stesso albero!
14. Così pure il Cielo è simile ad un buon vino che rafforza il sobrio,
mentre rovina ed uccide chi ne beve smodatamente e così lo stesso vino è per il
primo un Cielo, mentre per l’altro è un puro inferno, eppure esso viene preso
sempre dal medesimo otre!
15. Dimmi, amico Mio, se ora comprendi cosa sia veramente il Cielo e
cosa sia l’inferno!»
1. Dice Fausto: «Signore, ora comincia a farsi chiaro nella mia mente.
In tutta l’immensità non c’è che un Dio, una forza ed una legge, quella cioè
dell’Ordine eterno. Chi fra gli uomini fa propria questa legge, per lui tutto e
dappertutto è Cielo; chi invece, per proprio libero volere, la ripudia e la
contrasta, per lui dappertutto c’è l’inferno, il tormento e il martirio!»
2. Dico Io: «Sì, è così! Il fuoco è certamente un elemento quanto mai
utile; chi l’adopera con ordine, saggezza e con senso di opportunità, ne ritrae
un vantaggio incalcolabile. Si andrebbe troppo per le lunghe volendo enumerare tutti
i vantaggi che possono derivare all’uomo che giustamente, saviamente ed
opportunamente sa mettere a profitto l’energia del fuoco, ma se invece qualcuno
volesse adoperare il fuoco alla leggera, quindi molto stoltamente, unicamente
per proprio diletto, così da accenderlo sui tetti delle case o nel punto più
fitto del bosco, quell’uno e stesso fuoco distruggerebbe ed annienterebbe ogni
cosa.
3. Quando d’inverno gela, ognuno si avvicina volentieri al camino e
gode nel riscaldarsi al fuoco scoppiettante che lancia nel solido camino le
allegre fiammate che riscaldano, ma chi invece cadesse nel fuoco, costui
resterebbe ucciso e ne verrebbe consumato.
4. Però Io ti dico ancora: “Gli uomini di questo mondo, per diventare
veramente figli di Dio, devono venire condotti attraverso l’acqua e il fuoco:
il Cielo nella sua essenza prima è acqua e fuoco; quello che non è affine
all’acqua, viene ucciso dall’acqua e ugualmente quello che non è in se stesso
fuoco, non può resistere nel fuoco”»
5. Dice Fausto: «Signore, questa è di nuovo una cosa che io non posso
comprendere! Com’è da intendere ciò? In qual modo si può diventare
contemporaneamente acqua e fuoco? Infatti è noto che l’acqua e il fuoco sono
gli elementi più impari e più in opposizione fra loro: l’uno distrugge ed
annienta l’altro. Se il fuoco è potente e vi si versa sopra dell’acqua, questa
si converte rapidamente in vapore e in aria, se invece l’acqua è più potente
del fuoco, questo si spegne quando viene inondato dall’acqua. Dunque, se per
rendersi simili al Cielo si deve essere acqua e fuoco nello stesso tempo,
bisognerebbe alla fine, per così dire, disciogliersi. E che ne sarebbe allora
della consistenza eterna della vita?»
6. Rispondo Io: «Oh, la cosa si accomoda molto bene! Presi ambedue
nella giusta proporzione, ognuno produce e mantiene l’altro reciprocamente e
continuamente. Infatti, vedi, se nella Terra ed intorno ad essa non vi fosse
fuoco, non vi sarebbe neppure acqua e, d’altro canto, se nella Terra ed intorno
ad essa non vi fosse acqua, non vi potrebbe essere neppure il fuoco, perché
l’uno genera l’altro senza interruzione»
7. Domanda Fausto: «Come è ciò possibile e come va inteso?»
8. Gli dico Io: «Togli via dalla Terra tutto il fuoco che da solo
genera il calore e tutta la Terra diverrà un masso di ghiaccio duro come il
diamante, completamente inadatto a qualsiasi manifestazione vitale. Porta via
invece dalla Terra tutta l’acqua ed essa ben presto si convertirà in un ammasso
di polvere inutile! Infatti senza l’acqua il fuoco non potrà mantenersi, ed
esso è supremamente necessario alle nuove formazioni sulla Terra, perché,
qualora la serie sempre susseguente delle neoformazioni si arrestasse,
subentrerebbero la morte e la putrefazione.
9. Osserva come esempio un albero che ha perduto i propri succhi e ti
accorgerai che in breve tempo l’albero imputridirà e andrà in rovina. Comprendi
tu adesso?»
10. Risponde Fausto: «Sì, o Signore, noi tutti comprendiamo ora anche
questo e riconosciamo che Tu sei pieno dello Spirito di Dio e che Tu stesso sei
il Creatore di tutte le cose. Infatti, qual è l’uomo che può capire in se
stesso e che può enunciare fuori da se stesso la ragione, il come e il perché
dell’intera Creazione e delle leggi che la governano? Tale cosa può essere
chiara e nota in tutte le profondità più recondite soltanto a Colui che
possiede in Sé quello Spirito, per la forza del Quale tutte le cose sono state
fatte e come tali continuano ad esistere anche adesso. E per tutti i benefici
inestimabili, sia materiali che spirituali elargiti da Te, io non posso
offrirTi che dei ringraziamenti dal profondo del mio cuore pieno del più
sincero amore per Te! Infatti cos’altro potrei mai offrire io, povero e debole
peccatore, a Te che sei il Signore dell’Infinità?»
11. Gli dico Io: «Tu hai ragione; però, per il momento tieni per te
tutto quello che sai e che hai visto ed udito qui, non Mi rendere di pubblico
dominio prima del tempo e nella tua attuale felicità terrena non ti dimenticare
dei poveri! Infatti tutto quello che avrai fatto ai poveri nel Mio Nome,
l’avrai fatto a Me, e ne riceverai la ricompensa nel Cielo. Ora però, dato che
qui a Chis noi abbiamo terminato tutto ciò che c’era da fare e da spianare, ci
disporremo per il viaggio verso Nazaret».
Partenza del
Signore e dei Suoi discepoli verso Nazaret
(Matt.13,53)
1. Dice Fausto: «Allora bisogna che io dia ordine di trasportare tutte
le mie cose sulle navi?»
2. Gli rispondo Io: «Tutto è ormai già fatto” Siccome i tuoi battelli non
sarebbero bastati, Baram e Kisjonah hanno messo a disposizione le loro due
grandi navi, cosicché tutto è in pieno ordine ed altro non ci resta che
partire»
3. Dice Fausto: «Davvero più non mi meraviglia che sia certamente così,
perché cosa c’è di impossibile per l’Onnipotente?».
4. A questo punto si fanno avanti anche Jonaele e Jairuth assieme ad
Archiele, Mi ringraziano di tutto e quando, dopo essersi congedati da Me con
parole di ossequio e di gratitudine, si sono appena accinti a ritornare a
Sichar, ecco farsi loro incontro, come da Me predetto, la deputazione dei
sichariti i quali li accolgono con tutti gli onori ed in particolare pregano
Jonaele di voler accettare la dignità di capo dei sacerdoti: allora, tanto
Jonaele quanto Jairuth si ricordarono di quello che Io già prima avevo loro
annunciato.
5. In quanto a noi, quando Io ebbi finito di esporre le nuove parabole
del Regno dei Cieli e quando ebbi congedato i sichariti e Mi fui congedato da
Kisjonah che questa volta, dietro Mio consiglio, rimase a casa senza
accompagnare nemmeno Fausto – il quale ebbe però da Me la promessa di un Mio
non lontano ritorno –, ci recammo, quando mancavano due ore a mezzogiorno, su
di un grosso battello ed assieme a Fausto, che aveva preso posto sulla Mia nave
con la sua giovane moglie, ci dirigemmo verso un luogo vicino a Cafarnao, dove
c’era l’usuale punto d’approdo tanto per questa città quanto per Nazaret che,
com’è noto, non era situata lontano da Cafarnao.
6. E quando fummo sbarcati, Fausto disse: «Signore, io verrò con Te a
Nazaret, affinché a Tua madre, nonché ai Tuoi fratelli e sorelle terreni,
vengano restituite le loro proprietà»
7. Ma Io gli dico: «Anche questo è già avvenuto, così pure sia a casa
tua che fuori, nel tuo interno ed esteso distretto giudiziario, troverai tutto
nel migliore ordine possibile, perché il Mio Archiele ha già sbrigato fino ad
ora al tuo posto tutti gli affari. Tu dunque va’ a Cafarnao e qualora dovessi
incontrare Giairo, ciò che certo accadrà ed egli ti narrerà le sue dolorose vicende,
digli che Io ora mi tratterò qui a Nazaret per un po’ di tempo! Se egli vuole
qualcosa, che venga da Me personalmente, però egli solo!»
8. Dice Fausto: «Non potrei forse accompagnarlo io?»
9. Ed Io rispondo: «Oh, certo, ma vieni tu solo con lui!». Con queste
parole ci separammo.
10. Io M’incammino assieme ai Miei numerosi discepoli verso la Mia
patria terrena, Nazaret, mentre Fausto, fatti venire in fretta dei portatori e
dei carri, vi carica su i tesori che aveva portato con sé e la carovana parte
verso casa sua, a Cafarnao. È superfluo rilevare come l’arrivo del giudice
superiore, scortato da tutte quelle ricchezze ed al fianco di una bellissima
consorte, suscitasse nella città grande scalpore e non deve d’altra parte
meravigliare se, in quella occasione, per varie ragioni, venne incontro al
giudice superiore anche il capo dei farisei che dimoravano là, di nome Giairo,
perché egli pure aveva avuto qualche sentore della famosa spedizione dei dodici
farisei a Gerusalemme ed aveva saputo che Fausto era stato chiamato a Chis a
causa loro.
11. Fausto lo accolse con il dovuto onore e gli disse: «Un galantuomo è
stato salvato e tutte le cose, che i farisei di nascosto avevano ingiustamente
sequestrato ed estorto ai poveri ebrei, sono state restituite a questi ultimi
fino all’ultimo statere, gli altri undici poi sono ormai a Gerusalemme, nel
Tempio, dove riceveranno la ricompensa adeguata agl’inganni inauditi ed alle
ruberie commesse da loro ovunque. Andrei troppo per le lunghe, se volessi
raccontarti tutte le male cose perpetrate dagli undici, ma se un giorno avrai
tempo, vieni da me a prendere visione dei numerosi atti che ho portato con me e
vedrai che ti si rizzeranno i capelli sulla testa! Ma ora parliamo d’altro!
Cosa ne è della tua cara figliola? Vive essa ancora, oppure è morta?»
12. Risponde Giairo, afflittissimo e scoppiando subito in pianto: «Oh,
amico mio! Perché richiamarmi questa cosa alla memoria? Ahimè, essa purtroppo è
morta! Nessun medico ha potuto trovare rimedio al suo male. Soltanto Boro, il
medico di Nazaret, disse che egli avrebbe potuto bensì darle aiuto, ma che non
voleva perché ho peccato troppo gravemente contro il suo amico Gesù che è stato
il suo Maestro. E così mia figlia, che io tanto amavo, è morta. Straziava
davvero il cuore sentire come la poveretta invocava Gesù affinché l’aiutasse e
come in punto di morte mi rivolse parole aspre, perché io avevo offeso Gesù, il
più grande benefattore della povera umanità sofferente, in modo tanto grave da
doverne essa morire senza più alcuna speranza di soccorso! Io feci il possibile
e l’impossibile per trovare Gesù, affinché l’aiutasse! Ma Gesù non ha voluto
ascoltare il messo che gli avevo mandato incontro, quantunque io abbia ormai
deplorato mille volte amaramente le mie mancanze verso di Lui! E adesso ahimè –
è troppo tardi! Essa già da quattro giorni giace nella tomba e puzza
orribilmente! Ormai Jehova usi grazia e misericordia alla sua bella
anima!»
13. Dice Fausto: «Amico, io deploro di tutto cuore la disgrazia che ti
ha colpito, però, comunque sia, devo avvertirti che Gesù, il Signore
onnipotente, si trova adesso a Nazaret. Ora, secondo le mie molteplici
esperienze fatte di persona, per Lui non c’è niente di impossibile! Che ne dici
di rivolgerti a Lui? Io posso assicurartelo: Egli certo ha potere sufficiente
per richiamare in vita tua figlia e per ridonartela!»
14. Osserva Giairo: «Anche se ciò non fosse più possibile, io voglio
ugualmente recarmi da Lui e domandarGli mille volte perdono per averLo, certo
non di mia volontà, ma costretto dalle circostanze, offeso e conturbato!»
15. Dice Fausto: «Ebbene, vieni allora con me; noi Lo troveremo a
Nazaret, in casa di Sua madre. Però, in ossequio alla sua decisione, nessuno
deve accompagnarci!» Giairo, animato da una vaga speranza che lo fa sussultare
dalla gioia, accoglie subito la proposta di Fausto e, fatti sellare velocemente
due robusti muli, ambedue partono di buon trotto per Nazaret. Già due ore prima
del tramonto essi arrivano, lasciano le cavalcature in uno stallaggio ed a
piedi si recano alla casa di Mia madre Maria. Là trovano Me, assieme a Boro, il
quale era stato fra i primi a venirMi incontro a braccia aperte, avendo avuto
notizie che Io sarei venuto in quei giorni a Nazaret.
16. Quando dunque Fausto e con lui Giairo entrarono nella stanza dove
Io Mi trovavo, il secondo scoppiò in un pianto dirotto e prostratosi ai Miei
piedi Mi supplicò ad alta voce di perdonargli il grave peccato di ingratitudine
commesso contro di Me!
17. Io però gli dissi: «Alzati! Il tuo peccato ti è perdonato, ma
guardati bene dal caderci una seconda volta. Dove è sepolta tua figlia?»
18. Risponde Giairo: «Signore, Tu sai che non lontano da qui ho fatto
erigere una scuola per i figli del paese, con vicino un piccolo oratorio. In
questo oratorio ho fatto costruire una tomba per me, ma, poiché mia figlia mi
ha preceduto, io la feci portare lì e la feci deporre nella tomba nuova, dove
prima di lei nessuno ancora era stato accolto. Questa tomba dista appena 2000
passi da qui, se Tu, o Signore, volessi vederla, sarebbe per me una
consolazione grandissima, poiché io sono conturbato fino alla morte!»
19. Gli dico Io: «Ebbene conduciMi lì, però nessuno deve accompagnarMi
all’infuori di te e di Fausto!»
20. E gli apostoli domandarono se potevano essere presenti anche loro.
21. Risposi Io: «Questa volta, tranne i due nominati, non deve venire
nessuno!»
22. E Boro a sua volta chiese: «Signore, Tu mi conosci e sai che io, se
voglio, sono muto come un pesce, non sarebbe bene che io, nella mia qualità di
medico, vi accompagnassi?»
23. Ma Io non acconsentii e gli dissi: «Questa volta no. Rimanga perciò
valida la Mia prima decisione: noi tre soli e nessun altro!»
Il secondo
risveglio di Sara dalla morte
1. Poi nessuno si azzardò a domandare altro o a pregare. Noi ce ne
andammo alla tomba ed Io contemplai il cadavere già fortemente putrefatto e
chiesi a Giairo se egli ormai pensasse, o addirittura credesse, che sua figlia
fosse morta soltanto in apparenza.
2. E Giairo rispose: «Signore, in cuor mio neppure la prima volta ho
creduto una cosa simile, perché sapevo troppo bene che Sara, la mia cara
figlia, era proprio morta davvero! Quando si trattò di testimoniare il falso
contro di Te, io vi fui tirato per i capelli e se io non avessi firmato il
perfido documento, Tu saresti stato perseguito ancora più ferocemente, ciò che,
lo dichiaro solennemente, io non volevo avvenisse in nessun caso, ma, avendo
firmato la falsa testimonianza, Tu fosti considerato piuttosto come un semplice
vagabondo cui è a noia il lavoro, il quale opera qua e là qualche guarigione e
che ambisce a crearsi in Israele una fama di profeta suscitato da Dio, più che
non quella dello stesso Messia, il quale è temuto più di qualsiasi altro dalla
casta sacerdotale, ben provvista di agi e di ricchezze, poiché sta scritto che
quando il Gran Sacerdote nell’ordine di Melchisedek scenderà dall’eternità su
questa Terra, la casta di tutti gli altri sacerdoti avrà completa fine e il
nuovo Melchisedek regnerà poi in eterno con i suoi angeli sopra a tutte le
nazioni della Terra.
3. Io Te lo dico: “Tutti i sacerdoti, dai più alti agli infimi, non
temono né il fuoco né la tempesta che passò davanti alla grotta dove stava
nascosto Elia, il grande profeta, ma quello che soprattutto li spaventa è il
dolce alitare del vento intorno alla stessa grotta del grande profeta, perché
dicono sempre: Il Messia nell’ordine di Melchisedek verrà nel profondo silenzio
della notte come un ladro e toglierà loro tutto quello che essi si sono
acquistati! Per questa ragione nessuno fra i sacerdoti vuole attendere in
questa vita la venuta dell’Unto del Signore fin dall’eternità, ma brama invece
ardentemente di vederla rimandata ad un futuro, il più possibile lontano”.
4. Ora, siccome tutta la casta sacerdotale, particolarmente la parte
anziana, deve rilevare senza dubbio possibile, desumendolo dalle opere e dai
Tuoi straordinari insegnamenti che in Te vanno avverandosi tali profezie, essa
fa i maggiori sforzi allo scopo di provocare, se mai possibile, la Tua rovina!
Se ciò non fosse possibile, dato il caso che Tu fossi nella piena realtà quello
che temono che Tu sia, essi faranno più tardi penitenza con sacco e cenere per
le loro malvagie fatiche ed aspetteranno tremanti il colpo fatale, per il quale
essi temono di dover perdere tutto, come in ogni tempo, del resto, lo hanno
temuto; altrimenti essi non avrebbero lapidato quasi tutti i profeti. Ecco,
questo è il motivo per il quale io fui indotto a dichiararTi piuttosto un
vagabondo che non quello che certamente Tu sei. Infatti gli uomini non possono
mai richiamare in vita i loro morti; tale cosa non la può fare che lo Spirito
di Dio che, secondo la mia opinione, dimora e opera in Te, in tutta la Sua
Pienezza.
5. Gli dico Io: «Sì, poiché a Me in segreto era ben nota la ragione per
cui tu veramente Mi hai rinnegato ed Io sono venuto anche nuovamente da te,
nella tua grande angoscia, per portarti aiuto per un lungo periodo di tempo. Ed
appunto per questa stessa ragione, all’infuori di voi due, non ho concesso a
nessuno di accompagnarMi qui. Quando però il tempo sarà venuto, tale ragione
sarà resa nota anche agli altri. Ed ora ti si manifesteranno la Potenza e la
Magnificenza di Dio!»
6. Così dicendo, Io Mi chino sulla bara, nella quale giaceva il
cadavere della giovane Sara, avvolto in finissimi lini e dissi a Giairo: «Ecco,
ormai è notte fatta e la lampada qui nella tomba non dà che una misera luce,
va’ dunque dal custode di questa scuola e di questo oratorio e fatti dare una
lampada più grande, perché quando essa avrà recuperato la vita, dovrà
naturalmente vedere per uscire dalla bara»
7. Esclama Giairo: «O Signore, ma sarà proprio possibile che ciò
avvenga? La putrefazione del corpo è già molto avanzata! Però credo che a Dio
sono possibili tutte le cose e perciò io sarò presto di ritorno con una luce
migliore».
8. Giairo si affretta ad uscire, ma la cosa non procede così sollecita,
perché al custode è venuto a mancare il fuoco, ed egli dovette perdere qualche
tempo per procurarsene dell’altro mediante l’energico sfregamento di due
pezzetti di legno, che allora si usavano a questo scopo.
9. Ma Io, appena uscito Giairo, risuscitai subito la giovinetta e la
sollevai dalla bara.
10. La risuscitata, allora, come fosse appena uscita da un lungo sonno,
Mi domanda: «Per l’amor di Dio! Dove mai mi trovo? Cosa è successo di me? Io
poco fa ero in un magnifico giardino, con altre compagne di gioco e adesso,
invece, mi trovo in questa stanza stretta e oscura!»
11. Le dico Io: «Sara, sii tranquilla e lieta, poiché Io, il tuo Gesù,
che appena poche settimane fa ti richiamai una prima volta dalla morte alla
vita, ti ho risuscitata nuovamente dalla morte e ti ho dato ormai una vita
forte; d’ora innanzi nessuna malattia tormenterà il tuo corpo e, quando dopo
molti anni il tuo tempo sarà venuto, scenderò Io stesso giù dai Cieli, per
prenderti e condurti nel Mio Regno, che non avrà mai fine»
12. E come Sara ode la Mia voce, soltanto allora si sente completamente
rinata ed esclama con voce dolcissima e tremante per l’emozione d’amore: «O
unico amore, amore del mio cuore e della mia giovane vita! Io ben sapevo che
non deve temere la morte chi sopra ogni cosa Ti ama! Il mio immenso amore per
Te, che già una prima volta mi ridonasti la Vita, mi fece ricadere ammalata,
perché io non potevo apprendere dove Tu fossi andato e, quando nell’ardore del
mio cuore domandai dove Tu fossi, mi si rispose, per tranquillizzarmi, che tu
eri stato gettato in carcere e condotto davanti ad un tribunale severo, come
reo di delitto contro lo stato! Questa notizia mi spezzò il cuore nel petto; io
mi ammalai gravemente e morii per la seconda volta! Ma quanto immensa è la mia
felicità per aver ritrovato Te, il mio solo ed unico amore!
13. Io dissi già sul mio letto di morte: “Se l’unico amor mio Gesù vive
ancora, Egli non mi lascerà dissolvere nella gelida tomba!” Ed ecco che è
avvenuto appunto quello che il mio cuore mi aveva suggerito! Io vivo una vita
nuova e completa, dalle braccia del mio amato Gesù. Ma, d’ora innanzi, nulla
avrà il potere di separarmi dal Tuo fianco divino, e come la più umile delle
Tue ancelle io Ti seguirò ovunque andrai»
14. E mentre Sara mi svela in tale maniera il suo cuore, Giairo è
finalmente in procinto di ritornare alla tomba, munito di una torcia di resina.
Ed Io allora le dico: «Ecco, ora viene tuo padre Giairo, nasconditi perciò
dietro le spalle di Fausto, affinché non si accorga subito della tua presenza,
cosa che sarebbe nociva alla sua salute. Però, quando Io ti chiamerò, allora
fatti immediatamente avanti con aspetto allegro e sereno, così la tua comparsa
non gli recherà alcun danno». Sara segue senza indugio questo consiglio e
Giairo rientra nella camera mortuaria appunto quando essa ha già avuto il tempo
di nascondere la propria persona dietro a quella di Fausto.
15. Giairo si scusa per aver tardato tanto a ritornare con il lume
richiesto!
16. Ma Io gli dico: «Non farci caso, perché nessuno può peccare più di
quanto sia possibile, e chi una volta è morto, nel breve spazio di un quarto d’ora
non diviene ancora più morto, ma piuttosto più vivo, se le condizioni
favorevoli alla vita sono ancora presenti!»
17. Dice Giairo: «Ebbene, o Signore, se ad un povero peccatore come me
è concesso di fartene preghiera, venga la Tua grazia non già per me, che non ne
sono affatto degno, ma per la povera Sara che certo Ti ama sopra ogni cosa»
18. Però gli dico Io: «Una ragione ed a una condizione Io ti metto,
dichiarandoti che non la risuscito per te, bensì unicamente e pienamente per
Me! D’ora innanzi essa seguirà Me e non te, ma se tu pure vorrai seguirMi di
quando in quando, allora sarai contemporaneamente vicino a tua figlia!»
19. Risponde Giairo: «Sia fatto tutto secondo la Tua Volontà, purché la
mia unica figlia possa ritornare in vita!»
20. Dico Io: «Orbene, accostati e rischiara un po’ con il tuo lume la
fossa che è aperta!»
21. Giairo, sospirando, avanza fino all’orlo della fossa e guarda
ansiosamente, ma non vede altro che dei panni e delle bende ammucchiate! E,
poiché non gli riesce di scoprire la figlia morta, si rattrista e domanda
rivolto a Me: «Signore, che cosa mai è avvenuto? Il fetore c’è bensì ancora, ma
altro non si vede! Che qualcuno abbia trafugato il cadavere? Ma perché non ha
preso con sé anche le bende e le fasce?»
22. Ed Io gli dico: «Perché colei che ormai vive non ha bisogno di
simili cose»
23. Giairo, strappato improvvisamente al suo dolore, dà in un grido di
gioia e chiede: «Come? Dov’è dunque la mia Sara che vive di nuovo?»
24.Ed Io chiamo: «Sara, fatti avanti!»
25. Sara immediatamente e meravigliosamente bella si trasse da dietro
la spalla di Fausto e disse con voce alta e chiara: «Eccomi qui, viva e del
tutto sana! Ma ormai non più tua, bensì di Gesù, il Signore; perché si voleva
ad ogni costo imputarmi a terribile peccato l’amore del mio cuore per Gesù, e
questo uccise il mio debole corpo! Ma ora appunto questo possente amore mi ha
ridonato nuovamente la vita. Ora vedi, o Giairo, padre mio! Tu mi chiami tua
figlia, perché mi hai dato la vita una sola volta! Ma cos’è per me Costui e
cosa sono io per Lui, se mi ha ridato la vita già due volte? Chi di voi due è
ormai il mio vero padre?»
26. Risponde Giairo: «Tu hai ragione! Evidentemente lo è Colui che ti
ha ridato la vita già due volte ed io non potrò mai oppormi alla tua volontà;
perciò, d’ora innanzi, segui l’impulso del tuo cuore ed io pure dal canto mio
seguirò, di tempo in tempo, te e il tuo amore. Dimmi Sara se sei contenta così,
tu che sei stata sempre per me tutto il mio mondo e resti pur ora tutto per me
in unione a Gesù, il Signore!»
27. Dice Sara: «Sì, padre mio Giairo, così sono veramente contenta di
te»
28. Io aggiungo: «Ed Io pure! Ma adesso rechiamoci a casa Mia, dove una
buona cena ci attende. Sara, Mia figlia, ha bisogno anzitutto di un buon
ristoro, perché al suo corpo rianimato è sicuramente necessario un nutrimento
vero e buono; dunque, andiamocene velocemente da qui!»
1. Giairo allora ricopre la fossa, richiude dietro di noi le porte che
davano accesso alla camera mortuaria ed alla fossa stessa e poi procede con
noi. Però, a circa settanta passi da questa scuola-oratorio c’era la piccola
abitazione del custode, al quale Giairo era ricorso per prendere la fiaccola.
2. E poiché la Luna nella sua fase crescente mitigava alquanto
l’oscurità della sera, il custode si accorse benissimo della presenza della
figlia di Giairo, che, avvolta in una bianca veste a strascico, camminava
spigliata al Mio fianco. Tutto sgomento egli chiese a Giairo: «Cosa vedo? Che
cosa vuol dir ciò? Non è questa Sara, la vostra figlioletta che era morta? Si è
forse trattato di una morte apparente anche questa volta?»
3. Risponde Giairo: «Lascia stare le cose come sono, per te non c’è
niente da domandare, bensì da tacere completamente riguardo a quanto hai visto,
altrimenti ne va del tuo posto! Una cosa devi per altro imprimerti bene nella
mente e devi pensare e comprendere bene che a Dio ogni cosa è possibile molto
facilmente. Ma per questo ci vuole una fede piena e una fiducia vivente! Hai
compreso ciò?»
4. Dice il custode: «Sì, alto e onorevolissimo signore!»
5. Poi Giairo osserva: «Per l’avvenire puoi anzitutto esimerti, per
quanto riguarda me, da simili frasi onorifiche e parlare invece con me come se
tu parlassi ad un tuo fratello. Ma ora,
visto che non hai più da fare la guardia a nessun cadavere, va sollecitamente a
Cafarnao e di tutto quello che hai visto qui non raccontare niente a nessuno,
neppure a mia moglie. A questa dì, però, se le è possibile venire con te a
Nazaret, in casa di Giuseppe, poiché io ho delle questioni molto importanti da
trattare con lei. Prendete un paio di buoni muli, affinché possiate al più
presto essere di ritorno a Nazaret nella casa del carpentiere.
6. Il custode, il quale possedeva egli stesso un asinello robusto e
svelto, va, e scioglie in fretta l’animale, lo sella e si dirige rapidamente
verso Cafarnao, là giunto fa l’ambasciata alla moglie di Giairo. La donna,
ancora tutta rattristata, si alza velocemente e segue il messaggero. Gli asini
vanno a buon trotto e quasi in meno di un’ora giungono con i due a Nazaret,
alla casa di Maria, la madre del Mio corpo, che è di nuovo perfettamente
rasserenata, dopo essere rientrata in possesso della vecchia casetta di
Giuseppe. E come la moglie di Giairo entra nella stanza dove appunto noi ci
trovavamo radunati a cena, alla quale aveva provveduto questa volta l’amico Boro,
essa scorge subito sua figlia Sara seduta al Mio fianco, tutta lieta e di
aspetto eccellente ed intenta, con il migliore appetito del mondo, a fare onore
ad un pesce senza lische, che le sta dinanzi condito con sale, olio e un po’ di
aceto di vino.
7. La donna non riesce a credere ai propri occhi e dopo un po’ dice a
Giairo, battendogli la spalla: «Giairo, marito mio, ecco qui la tua moglie
infelice, che, per mezzo del tuo messaggero, hai mandato a chiamare,
avvertendomi che dovevi parlarmi di cose importanti. Ma a me pare di vedere già
ora una cosa che è della massima importanza! Dimmi, marito mio, è un sogno il
mio od è realtà? Questa giovinetta, che siede presso Gesù e che è d’aspetto
tanto bello, non è l’immagine vivente della nostra carissima defunta Sara? Oh
Jehova, perché mi hai tolto la mia cara figlia?»
8. Risponde Giairo, anch’egli molto commosso, alla moglie: «Consolati,
o moglie mia diletta, questa giovinetta non soltanto assomiglia alla perfezione
alla nostra cara figlia, ma è essa stessa, in tutta verità! Il Signore Gesù,
che è ricolmo del divino Spirito, l’ha ora risuscitata da morte per la seconda
volta come Lui l’aveva risvegliata da morte poche settimane prima! Che però
appaia tanto bella e fiorente, è dovuto alla Sua incomprensibile ma evidente
Potenza divina, ma ora non distoglierla dal soddisfare il suo appetito, essendo
essa rimasta a digiuno da ben lungo tempo»
9. Dice la donna, che può a mala pena capire in sé a causa della
meraviglia e della gioia: «Dimmi dunque tu, che sei fra i sapienti maestri di
Israele: cosa ne pensi tu di questo Gesù? In me si fa sempre più strada il
convincimento che, nonostante i Suoi umili natali, Egli sia veramente il
promesso Messia; perché simili opere non le ha mai finora compiute nessun
profeta, per non parlar poi di altri uomini!»
10. Disse Giairo: «Sì, certo, così è, per l’appunto, però è bene
conservare la massima discrezione, volendo Egli stesso che sia così, perché, se
una voce simile si diffondesse troppo, tutta Gerusalemme e Roma ci sarebbero
ben presto addosso e se Egli vi contrapponesse la Sua Potenza divina, le cose
si metterebbero molto male per tutti noi! Perciò, o donna, sii segreta come una
tomba! Sara dovrà restare almeno per un anno intero sotto la sorveglianza e la
guida di Gesù stesso o della carissima e saggia madre Maria e noi potremo
visitarla soltanto di tanto in tanto, alternativamente. Questo al duplice scopo
di non palesare con la sua presenza il divino Maestro e di permettere al suo
corpo di acquistare consistenza e permanente salute. In fondo, considerate bene
le cose, noi due abbiamo oramai ben poco diritto particolare su di lei, perché,
nel nostro muto godimento, non le abbiamo procurato che una misera vita
malaticcia, perfettamente ignari com’eravamo di cosa sarebbe potuto risultare
dal nostro amplesso. Ci è toccata in sorte quest’angelica Sara che Dio ha bensì
dotato di un’anima sanissima, alla quale però non abbiamo aggiunto che un corpo
debole e malato! Essa è per noi morta due volte e quindi in questo mondo per
noi sarebbe stata irrimediabilmente perduta! Ma Egli le donò tutte e due le
volte una nuova vita, piena di salute! Bisogna, dopo ciò, domandarsi chi è
oramai più di suo padre e di sua madre, se Egli o noi due poveri peccatori»
11. Dice la madre di Sara: «Certamente tu sei saggio, conosci la legge
e tutti i profeti ed hai dunque sempre ragione in tutte le cose, ma per me è
già una felicità sovrumana sapere che essa è di nuovo in vita e che potremo, di
quando in quando, vederla e parlarle!»
12. Osserva Giairo: «Ebbene, ora stiamo tranquilli. La cena è finita ed
Egli forse vorrà dirci ancora qualche cosa!»
13. Allora Io chiamo a Me Fausto e gli dico: «Amico e fratello Mio, Mi
duole molto che oggi tu non possa passare la notte con Me. Gravi incombenze ti
attendono a casa tua e perciò ti devo congedare per un paio di giorni, però,
trascorsi questi, vedi di far ritorno qui. Se per caso si venisse a parlare di
Me, tu sai oramai bene cosa dovrai dire.
14. Risponde Fausto: «Signore, Tu mi conosci meglio di quanto io conosca
me stesso e puoi dunque ben fidarti di me, perché uno che è nato romano non è
come una debole canna che il vento scuote di qua e di là. Quando io dico sì
neppure la morte può strapparmi un no! Ed ora me ne vado, il mio mulo è tuttora
sellato e pronto, cosicché in una breve ora sarò sul posto. Nel Nome Tuo, o mio
grande amico Gesù, gli affari che mi attendono saranno certo condotti a buon
fine. Ed io mi raccomando interamente solo all’Amore ed alla Sapienza Tua ed
alla Tua divina Potenza!». Con queste parole Fausto si congeda e si affretta ad
uscire.
15. Poi la madre di Sara si avvicina a Me e con commosse parole Mi
esprime la sua riconoscenza, confessandosi indegna di tanta immensa grazia.
16. Io però la conforto e dico a Sara: «Figlioletta Mia, ecco qui tua
madre».
17. Allora Sara si alza con movimento rapido e saluta la madre con
affettuose parole, ma aggiunge subito che essa vuol rimanere presso di Me,
perché il suo amore è troppo grande e non le concede di separarsi da Me! La madre e così pure il capo della Sinagoga
lodano molto la cara figlia per il suo proponimento, ma in pari tempo la
pregano di non dimenticarsi del tutto di loro! E Sara, dal profondo del suo
cuore, assicura i genitori dicendo che il suo amore per loro ora è ancora molto
più grande di prima! Questa assicurazione di Sara colmò di gioia entrambi i
genitori ed essi si tranquillizzarono e strinsero al cuore la loro figlia,
colmandola di carezze.
Della
differenza tra potere umano e divino
1. Ed il greco, di nome Filopoldo da Cana in Samaria, venne a Me e
disse: «Signore, io sono qui già da tre giorni e non ho finora potuto trovare
il momento opportuno per parlare con Te riguardo agli scopi che, secondo le Tue
istruzioni e la Tua Volontà, io mi ero prefissi ed ai risultati ottenuti con le
mie prediche dopo la Tua partenza da Cana, per le quali tutti hanno finito con
il credere in Te! Ora, siccome pare che Tu abbia un po’ di tempo libero, Ti
prego di porgere ascolto a quanto anch’io ho da riferirTi!»
2. Osservo Io: «Mio stimato amico Filopoldo, puoi davvero pensare che
Io avrei omesso di chiederti notizia riguardo a questa o quella cosa
concernente Cana, se già non fossi perfettamente a conoscenza di tutto quanto è
avvenuto? Guarda qui tutti i Miei fratelli! Quante parole Io scambio con loro?
Per molti giorni Io non scambio esteriormente una parola con loro, ma tanto più
spesso lo faccio interiormente attraverso il loro cuore; eppure, vedi, non c’è
nessuno che si alzi e chieda: “Signore, perché dunque non parli con me?”. Io
dico ora a te, come già da lungo tempo ho detto a tutti: “Io non accolgo
discepoli perché dicano parole vuote, ma perché ascoltino i Miei insegnamenti e
siano testimoni delle Mie opere!”. Quello che essi sanno, Io lo so già da molto
prima e quello che essi vogliono sapere, Io lo annuncio a loro nel momento del
bisogno per mezzo del loro cuore. Ma se le cose stanno in questo modo, chiedi a
te stesso quale scopo potrebbe avere, per i Miei discepoli già iniziati, un
ulteriore scambio di parole giornaliero! Anche tu però sei ormai un Mio
discepolo ed è necessario che ti adatti a simili ordinamenti della Mia scuola.
3. Con altre persone, che non sono Miei più vicini discepoli, Io devo
certamente far uso della parola esteriore, perché esse, nel loro cuore mondano,
non percepirebbero la Mia Voce né, meno ancora, Mi comprenderebbero. Tuttavia,
quando il tempo e le circostanze lo richiedono, Io parlo esteriormente pure con
i Miei discepoli, ma questo avviene sempre, non a causa dei discepoli stessi,
bensì a motivo di coloro che tali ancora non lo sono! DimMi se hai compreso!»
4. Rispose Filopoldo: «Sì, o Signore, la Tua Grazia mi è tanto chiara
come il Sole a mezzogiorno ed io Ti ringrazio per tale Tua amorevole
spiegazione! Ma, o Signore, se io considero ora Sara, questo splendore di
fanciulla, che certo può gareggiare in bellezza con qualsiasi angelo del Cielo,
mi sembra quasi impossibile che sia giaciuta anche un solo secondo in una
tomba, perché un simile fervore di vita ed una freschezza tale io non li ho
ancora mai visti! Pur è vero che Tu l’hai risuscitata due volte dalla morte! Ed
ora urge potente la domanda: In che modo Ti è possibile compiere un tale
prodigio?»
5. Io gli dico sottovoce: «Io credo che a Cana tu abbia avuto
sufficiente occasione di apprendere chi veramente sono Io! Ma se tu sai questo,
sorge altrettanto potente la domanda su come tu possa meravigliarti e chiederMi
in quale modo Mi sia stato possibile ridonare la vita ad un corpo morto! Il
Sole, la Luna e le stelle non sono procedute da Me e non sono stato Io a
popolare questa Terra di innumerevoli esseri viventi? Dunque, se ho potuto
originariamente donare loro una consistenza ed una vita indipendente, perché
dovrebbe risultarMi impossibile, nei riguardi di una fanciulla, quello che da
tutte le eternità mi è stato sempre possibile nei riguardi di innumerevoli
altre creature? Ma, poiché tu tali cose devi certamente saperle, poiché te ne
ha parlato perfino un angelo, come puoi fare ancora altre domande a tale
proposito?
6. Ascolta, perfino ogni pietra in cui tu camminando puoi urtare con il
piede, quale piccola cosa, è la Mia Volontà che deve mantenerla. Se Io anche
per un solo istante ritirassi la Mia Volontà da essa, nel medesimo istante essa
cesserebbe di esistere.
7. Tu puoi, è vero, frantumare la pietra e poi, sottoponendola ad un
forte fuoco, scioglierla e convertirla in una specie di fluido simile all’aria,
come insegna l’arte occulta dell’alchimia. Ma tutto ciò si può fare della pietra
e di qualsiasi altra materia soltanto in quanto Io lo permetto al fine di
giovare all’uomo e per la sua esperienza. Se Io non lo permettessi, tu non
potresti sollevare da terra neanche la minima pietruccia, così come non puoi
sollevare una montagna. Tu puoi anche lanciare una pietra in alto e questa, a
seconda della tua forza e della tua abilità nel lancio, potrà anche salire ad
un’altezza considerevole, ma appena avrà raggiunto quella certa altezza,
corrispondente alla potenza di lancio impiegata, essa ricadrà immediatamente a
terra. Ora, vedi, tutto dipende dalla Mia Volontà e della Mia concessione, che
arriva fino a quel certo punto, dove sta scritto: “Fino a qui e non più oltre!”
8. Il lancio di una pietra ti dimostra in maniera evidente fino a dove
giungono la forza e la volontà dell’uomo. Alcuni istanti di tempo e il debole
volere umano viene afferrato dal Mio e costretto entro quei limiti imposti
nell’eternità, i quali costituiscono il Mio Ordine, che è esattamente pesato e
calcolato fino all’infinitesimale grano di pulviscolo solare, in tutta
l’immensità dell’Universo. Ma se tutto ciò dipende unicamente dalla Mia Volontà
e dal Mio beneplacito, perché dovrebbe essere per Me impossibile richiamare in
vita una fanciulla morta!?
9. Ora però va’ fuori e portaMi un pezzo di legno ed una pietra ed Io
ti dimostrerò come a Me siano possibili tutte le cose, per la Potenza del Padre
in Me»
10. Filopoldo esegue e ritorna con una pietra ed un pezzo di legno
imputridito. Ed Io gli dico, sempre a mezza voce: «Osserva bene: Io alzo la
pietra e la scaglio libera nell’aria, ed ecco, essa non cade! Prova ora a
smuoverla da questo suo posto!». Filopoldo prova, ma inutilmente, perché questa
non si sposta nemmeno di un capello.
11. Ed Io aggiungo poi: «Ora Io concederò che tu possa smuovere la
pietra qua e là, a tuo piacere, ma non appena tu l’avrai abbandonata, essa
riprenderà subito questo suo posto, dopo qualche oscillazione od anche di colpo
vi si manterrà immobile!»
12. Dice Filopoldo: «Signore, tralascia pure questa prova, perché la
Tua santa Parola mi è più che sufficiente!»
13. Gli dico Io: «E sia. Ma ora voglio che questa pietra si dissolva e
scompaia e che questo legno rinverdisca e produca foglie, fiori e frutta in
base alla propria specie!». La pietra subito sparisce, e il pezzo di legno si
rinnova, rinverdisce e mette rapidamente foglie e fiori, e da ultimo alcuni
frutti già matura e precisamente dei fichi, essendo il legno in questione,
appunto, un pezzo di ramo vecchio di fico.
14. A questo punto, però, l’attenzione di tutta la gente radunata si
rivolge a Me ed a Filopoldo. La maggior parte dei vecchi discepoli aveva
frattanto cominciato a sonnecchiare, mentre Giairo e sua moglie non potevano
saziarsi di ammirare ed accarezzare la loro figlia. Gli esperimenti con
Filopoldo Io li avevo fatti ad un piccolo tavolo a parte, al lume già alquanto
debole di una lampada e non erano stati osservati dall’altra gente, ma quando
Filopoldo ebbe cominciato a meravigliarsi in un tono di voce un po’ più alto,
allora certamente l’attenzione di molti si destò. Io, per altro, raccomandai a
tutti la quiete e così tutto ritornò nel silenzio.
15. Io comandai alla pietra di ricomparire ed all’istante essa fece
mostra di sé sul tavolo; il ramo di fico, invece, con la sua frutta, rimase
com’era, avendo Io riservato quella frutta per il giorno seguente per la Mia
Sara.
16. Poi domandai a Filopoldo se egli avesse completamente capito. Ed
egli, inchinandosi profondamente, rispose: «Signore, certo, oramai so cosa
pensare!»
17. Ed Io conclusi: «Sta bene! Ed ora dedichiamoci al riposo».
Filopoldo
testimonia della Divinità di Gesù
1. Come Io avevo consigliato, anche Filopoldo pensò a riposarsi, ma, com’è
naturale, di un vero sonno non si può propriamente parlare, poiché gli
avvenimenti della giornata avevano troppo tenuto in agitazione il suo animo;
d’altro canto, anche i giacigli non erano troppo comodi, avendo gl’incaricati
del sequestro asportato quasi tutto, eccezion fatta per qualche mucchio di
paglia, cosicché al nostro arrivo noi avevamo trovato la casa letteralmente
vuota. È vero che Boro, i Miei fratelli e molti altri fra i Miei discepoli,
durante il tempo occorso per la risurrezione di Sara, si erano dati da fare per
rifornire la casa di un adeguato numero di giacigli, tavoli, panche ed arnesi
da cucina e da tavola, ma da questo al provvedere in poco tempo e con mezzi
naturali soltanto allo stretto necessario per circa un centinaio di persone ce
ne correva molto, nonostante molti avessero ottenuto ricovero in altre case ed
altri fossero rimasti all’aperto.
2. E così avvenne che Io stesso passai quella notte su una panca con un
po’ di paglia sotto il capo e Filopoldo addirittura sul nudo terreno, senza un
filo di paglia. Anche per questa ragione fu uno dei primi a trovarsi in piedi
all’alba. Giairo, al quale insieme alla moglie ed a Sara era toccato un
giaciglio discretamente soffice, gli chiese come avesse passato la notte sul
suolo duro.
3. Filopoldo rispose: «Come può concederlo la qualità del suolo. Del
resto, tutto sta ad abituarsi, solo che ci vorrebbe per lo meno un anno e non
una sola notte!»
4. Disse allora Giairo: «Se tu mi avessi almeno detto qualcosa, dato
che noi avevamo della paglia in abbondanza!»
5. Disse Filopoldo: «Guarda qui il Signore! Tutti i Cieli e tutti i
mondi gli obbediscono e tutti gli angeli sono in attesa dei Suoi ordini! Eppure
il Suo giaciglio non è affatto migliore di quanto lo sia stato il mio!»
6. Osserva Giairo, nel quale le massime farisaiche hanno lasciato
ancora considerevoli tracce: «Amico, non ti sembra forse di esagerare un
pochino? Va bene che non si può negare che questo Gesù sia pieno del divino
Spirito in misura molto maggiore di quanto lo sia stato qualunque altro
profeta, poiché le Sue opere sorpassano senza alcun paragone tutto quanto si
legge su Mosè, su Elia e su tutti gli altri maggiori e minori profeti, ma che
in Lui debba albergare senz’altro la Divinità in tutta la pienezza mi sembra
tuttavia una supposizione un po’ troppo azzardata! Anche i profeti hanno
richiamato in vita i morti, per la forza dello Spirito di Dio che era in loro,
però essi non hanno mai osato attribuire a se stessi il miracolo, ma lo hanno
sempre attribuito soltanto a Dio. Se lo avessero attribuito a se stessi, si
sarebbero macchiati di grave peccato contro Dio e Questi avrebbe tolto loro il
Suo Spirito! Gesù, invece, fa tutto da Sé, come se Egli fosse un Signore.
Questa circostanza milita veramente a favore della tua azzardata ipotesi ed
anch’io sono in certo modo quasi perfettamente della tua opinione, però, come
detto, con la debita precauzione! Infatti potrebbe, fra l’altro, trattarsi di
una prova nella quale il Cielo concede che noi ci troviamo implicati, affinché
risulti se noi crediamo veramente in un solo Dio! Se poi in Gesù dovesse
davvero albergare la Divinità in tutta la Sua pienezza, allora certo noi
dovremmo accogliere a qualsiasi condizione la Sua testimonianza come
eternamente vera! Cosa ne pensi tu?»
7. Dice Filopoldo: «Io sono completamente d’accordo con questa tua
ultima opinione e credo che la Sua testimonianza della pienezza della Divinità
in Lui sia assolutamente vera! Essa è in Lui e, all’infuori di Lui, in nessun
altro!
8. Particolarmente in questo nostro tempo ricco di avvenimenti
meravigliosi la cosa non si può facilmente spiegare, perché qualcuno può sempre
dire: “Io ho visto qua o là dei maghi che facevano cose veramente straordinarie
e gli antichi profeti hanno pure essi risuscitato dei morti, anzi, uno ha
perfino ottenuto che un mucchio d’ossa si ricoprissero di carne e il nuovo
corpo riacquistasse vita. Miracoli di questa specie non possono considerarsi
ancora una prova sufficiente per attribuire un rango divino a chi li compie!”
9. Ma qui, nel caso di Gesù, il Signore, si tratta di ben altro! Tutti
i profeti, prima che Dio li avesse ritenuti degni di compiere un’azione
miracolosa tramite il Suo Potere, dovettero prepararsi con lunghe preghiere e
con digiuni! I maghi devono fare ricorso alla loro bacchetta ed ad una quantità
d’altre formule, segni e scongiuri ed inoltre si servono di svariatissimi
balsami, oli, acque, metalli, pietre, erbe e radici di cui conoscono bene le
misteriose proprietà e che impiegano nelle loro esibizioni. Ma, dico io, chi ha
mai visto Gesù, il Signore, ricorrere a mezzi e ad artifici di questo genere?
Di preghiere e di digiuni nessuna traccia, almeno nel breve tempo in cui ebbi
la somma Grazia di conoscerLo; meno che meno poi si può parlare di bacchette
magiche o di altri magici artifici!
10. Oltre a ciò, tutti i profeti hanno sempre avuto lo stesso
misterioso linguaggio simbolico, sia parlato che scritto e chi non fosse stato
della loro scuola nulla avrebbe potuto comprendere. Io sono bensì greco, ma
tuttavia non ignoro le vostre scritture, conosco Mosè e tutti i profeti! Chi li
comprende a fondo, deve discendere, in verità, da genitori speciali!
11. Gesù invece parla anche delle cose più misteriose con una chiarezza
tale che non di rado perfino un fanciullo deve poterle afferrare! Egli ha
spiegato, per esempio, la Creazione, ed io credo quasi quasi di poter io stesso
creare un mondo! Dov’è il profeta e il principe di tutti i maghi che possa
avere il linguaggio che ha Gesù?
12. Chi ha mai compreso una sola sillaba di quello che va blaterando il
mago durante le sue esibizioni? Nei discorsi di questi tali regnano le tenebre
più fitte, in quelli dei profeti brilla sì qualche pallido raggio di luce, ma
questo è troppo debole e nessuno riesce a distinguere quello che sta lontano
trenta passi, mentre qui, invece, tutto è piena luce meridiana! Quanto Egli
dice, ha sempre in sé l’impronta della più profonda divina Sapienza e le Sue
parole sono limpide e chiarissime quasi per ogni mente umana e ciò che Egli
vuole avviene all’istante!
13. Ora, se le cose con Gesù stanno esattamente come ho detto e così è
anche in realtà, io vorrei sapere davvero per quale ragione dovrei avere ancora
qualche scrupolo, per riconoscere in Lui innegabilmente il Signore del Cielo e
della Terra e per rendere solo a Lui ogni onore!
14. Guarda qui su questo tavolo: questo freschissimo ramo di fico con
una quantità di frutta ben matura è la spiegazione più vera e viva che Egli mi
diede, ieri, mentre voi dormivate, in seguito alla richiesta fattaGli di come
Gli fosse possibile risuscitare completamente un morto. Allora mi disse di portarGli un pezzo di
legno già fradicio, dunque completamente morto. Io feci così e nell’oscurità
presi il primo pezzo di legno che mi capitò sotto mano. Egli non toccò affatto
il ramo già morto, ma comandò soltanto e il legno fradicio cominciò subito a
gettare foglie e fiori e qui tu vedi la frutta già matura! Prendila e dalla
alla tua diletta Sara; essa ne avrà un’eccellente ristoro!».
(Matt.13,54)
1. Allora Giairo sveglia Sara, che, del resto, aveva già cominciato a
riaprire gli occhi e le porge il ramo già ben fornito, che essa accetta con
grande gioia e mangia subito tutti i frutti maturi e dolcissimi, fino
all’ultimo. E quando ha terminato di mangiare, Io Mi desto sulla Mia panca.
2. Sara è la prima a farMi un cordiale saluto mattutino ed Io le
domando se le sono piaciuti i fichi. Ed essa rispose allegramente: «Signore,
erano di sapore celestiale e dolci come il miele! Il Tuo amico Filopoldo me li
ha dati in Tuo Nome ed io li ho mangiati tutti, perché erano davvero squisiti!
Tu li hai fatti portare certo per me!»
3. Le dico Io: «Sì, certamente per te, Mia carissima Sara, poiché tu
fosti la causa per la quale Io questa notte, per dimostrare all’amico Filopoldo
come risuscito i morti, reinfusi la vita in un ramo di fico già marcio, perché
ancora una volta producesse dolcissimi frutti per te, Mia Sara diletta, e tu,
avendoli mangiati, hai fatto molto bene; essi contribuiranno a rafforzare la
tua salute fisica! Ed ora andiamocene tutti all’aria aperta, fino a quando le
stanze saranno sgomberate e pulite e poi faremo colazione ed in seguito vedremo
che faccende ci porterà la giornata di oggi!»
4. A queste Mie parole tutti escono e si ricreano e gioiscono allo
spettacolo della serenità e della purezza cristallina di quel mattino!
5. E poi Giairo si avvicinò a Me e disse: «Signore, la mia gratitudine
non potrà mai avere fine! Piuttosto di rischiare di essere indotto ad
intraprendere qualcosa contro di Te, io voglio deporre la mia carica e poi
sarò, con ogni zelo possibile, un seguace della Tua santa dottrina e, fino a
quando avrò vita, Filopoldo resterà il mio caro amico, al quale io debbo il
fatto che in me si è fatta veramente luce a Tuo riguardo. Egli è bensì un greco
di nascita, ma conosce le nostre Scritture meglio di me e di tutti i dottori
della Legge messi insieme. In poche parole io so oramai cosa pensare sul Tuo
conto, ciò che, del resto, corrisponde del tutto alle idee che già spesso erano
sorte in segreto nel mio cuore. Ma ora devo recarmi a Cafarnao, dove ho delle
questioni da risolvere. A Te io raccomando, per il tempo che a Te piacerà, mia
moglie e Sara, mia figlia! Meglio che da Te non potrebbero certo essere
guardate neppure in Cielo! Se mi sarà possibile ripartire già stasera, io farò
ritorno probabilmente con Fausto e Cornelio e forse anche con il vecchio
Cirenio, che dovrebbe arrivare, si crede, oggi ancora a Cafarnao! E così siano
con me il Tuo amore, la Tua pazienza e la Tua grazia». Dopo egli prende congedo
da sua moglie e da Sara, si fa condurre i suoi muli che erano buoni trottatori,
monta sul più robusto e parte subito di buon passo.
6. Io, però, faccio radunare tutti per il pasto mattutino e la
compagnia prende posto nelle stanze ormai sgomberate e pulite, dove, a cura di
Boro, ci attendeva una buona colazione.
7. Terminata la colazione, Boro mi chiama da parte e Mi dice: «Mio
carissimo amico, Io so bene che a Te è possibile sapere già prima quello che
vorrei dirTi in segreto, ma fra i Tuoi discepoli ce ne sono alcuni che, secondo
me, non hanno bisogno di sapere quello che abbiamo ora da discutere fra noi ed
è soltanto perciò che Ti ho pregato di venire qui da parte!»
8. Ed Io gli dico: «La cosa non è veramente affatto necessaria, perché
tutto quello che tu vuoi esporMi adesso, Io l’ho già raccontato
dettagliatamente ai discepoli quando eravamo a Chis. In quella occasione ho
anche espresso apertamente la Mia lode a tale proposito. Essi sono a conoscenza
di tutto e perciò non c’è bisogno di farne mistero dinanzi a loro!»
9. Dice Boro: «Ebbene se è così, posso parlare apertamente»
10. Noi allora ci riavviciniamo alla compagnia ed Io dico a Boro: «Mio
carissimo amico, quello che tu vuoi dirMi, Io lo so già, come pure tutti i Miei
discepoli, e noi consideriamo perciò la cosa come definita. A te però, che sei
un greco che professa liberamente il giudaismo, ma che non sei sottoposto alla
legge degli ebrei, riesce facile disputare con qualsiasi fariseo, ma se tu
fossi veramente un ebreo circonciso e secondo la legge, avresti avuto un bel da
fare a tenere a freno la tua lingua. Però è stato bene così come hai parlato;
consideriamo perciò la questione come scritta sulla sabbia. Ed ora conduciMi
alla scuola di Nazaret! Io intendo insegnare al popolo, affinché riconosca il
tempo attuale!» (Matt.13, 54).
11. A questo punto Mia madre chiede se Io farò ritorno a casa per il
mezzogiorno.
12. Ed Io le rispondo: «Non darti pensiero se verrò o meno, è
sufficiente che Io prenda ogni cura su di Me. Ad ogni modo per questa sera sarò
certo di ritorno»
13. E Sara intervenne e domandò se avesse potuto anch’essa venire con
Me alla scuola.
14. Le risposi Io: «Certamente, vieni pure, quantunque la legge
prescriva che la donna non debba visitare alcuna sinagoga in compagnia di
uomini. Ma, d’ora in avanti, ciò dovrà mutare, poiché la donna ugualmente come
l’uomo, ha pieno diritto al Mio Amore ed alla Mia Grazia, che provengono dal
Padre per mezzo Mio. Vieni dunque, con animo lieto, sereno e pieno di assoluta
fiducia; là potrai pure apprendere quale sia il tempo in cui ora si vive. Ed
ora andiamo! Ma tu, Sara, resta al Mio fianco, poiché dovrai rendere buona
testimonianza di Me. Perciò conserva anche questa veste funeraria, destinata
pure ad aver forza di prova in Mio favore! Ora però andiamocene».
15. A queste Mie parole tutti sono pronti e c’incamminiamo verso la
sinagoga.
Il Signore
spiega un testo di Isaia.
1. Quando entrammo nella scuola, una decina di anziani di Nazaret, con
parecchi farisei e scribi radunati intorno ad un gran tavolo, stavano
consultando i versi di Isaia e precisamente in quel punto dove è detto:
«Lavatevi, pulitevi, rimuovete la malvagità delle vostre opere dinanzi ai miei
occhi; evitate di far male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia,
aiutate l’oppresso, fate valere i diritti degli orfani, mantenete il diritto
delle vedove! Venite pure ora, dice il Signore, e discutiamo insieme. Se i
vostri peccati fossero rosso sangue, saranno imbiancati come la neve, se
fossero rossi come il colore dell’uva passa, diventeranno come la lana bianca.
Se voi volete ubbidire, mangerete i beni della Terra, ma se ricusate e siete
ribelli, sarete consumati dalla spada, perché la bocca del Signore ha parlato.
Come la città fedele è divenuta meretrice! Ella era piena di rettitudine, la
giustizia dimorava in essa, ma ora vi abitano assassini. Il tuo argento è
divenuto schiuma, la tua bevanda è mescolata con acqua. I tuoi prìncipi sono
ribelli e compagni di ladri; si prendono volentieri i regali e procacciano le
ricompense. Non fanno valere il diritto degli orfani e la causa delle vedove
non viene davanti a loro. Perciò il Signore degli eserciti, il Possente
d’Israele dice: “Oh, Io Mi consolerò attraverso i Miei nemici e Mi vendicherò
attraverso i Miei avversari!” (Isaia 1,16-24)». Di questi versetti essi tentavano
di penetrare il senso, ma non poterono venirne in chiaro.
2. Allora Mi feci avanti Io e dissi loro: «Com’è che vi rompete tanto
il capo per interpretare quello che, come la luce meridiana, sta già svelato e
compiuto dinanzi ai vostri occhi? Guardate un po’ le vostre vedove ed i vostri
orfani, come sono trattati essi? Invece di aver cura delle vedove, voi portate
via a loro ancora quel poco che hanno, ed i poveri orfani li vendete, quali
schiavi, ai pagani, come intendevate fare non molti giorni fa per vie nascoste
e come anche avreste fatto, se il pubblicano Kisjonah non ve lo avesse
energicamente impedito!
3. Certo, così dice il Signore: “Venite e discutiamo insieme! Se i
vostri peccati fossero come lo scarlatto, saranno imbiancati come la neve e se
fossero come l’uva passa, diventeranno come la lana!”. Ma Io domando, quando e
a che condizione? Come stanno le cose riguardo a voi e alla città fedele, che
voi chiamate la “città di Dio”? Quanti peccati della peggiore specie e che
gridano vendetta al Cielo sono già stati commessi e tuttora vi si commettono!
4. “Lavatevi, pulitevi e rimuovete la malvagità delle vostre opere
dinanzi ai Miei occhi!”, così parlò Jehova per bocca del profeta. Ed ecco che
voi lavate sì il vostro corpo sette volte al giorno, voi pulite certo le vostre
vesti e fate imbiancare le tombe dei vostri morti due o tre volte all’anno, ma
i vostri cuori sono induriti e ricolmi di immondizia ed è perciò che voi siete
simili ai vostri sepolcri imbiancati, che sono ornati e puliti di fuori, mentre
nell’interno sono pieni di ossame fradicio e puzzolente.
5. Il profeta parlò della purificazione dei vostri cuori e vi ammonì a
rimuovere i vostri peccati innanzi agli occhi onniveggenti di Dio. Ma voi
questo senso non l’avete ancora mai accolto nel vostro cuore e perciò avete
sempre lavato e continuate ancora a lavare la vostra pelle, mentre lasciate il
vostro cuore immerso nella più infernale immondizia! O immondizia dell’inferno,
chi ti ha mai insegnato una tale cosa?”
6. Voi certamente dite: “Come Mosè ed Aronne hanno ordinato, oggi
ancora, anno per anno, il caprone viene caricato dei peccati di tutta Israele e
poi ucciso e gettato nel Giordano!”. O ciechi che siete! Che colpa ha il
caprone se voi continuate a peccare e non volete rendere migliori i vostri
cuori?
7. Questo fatto del caprone non era che un’immagine, dalla quale voi
già da molto tempo avreste dovuto apprendere come il caprone non rappresenti
altro che le vostre perfide voglie mondane, come il vostro orgoglio, che dà
cornate ed è puzzolente oltre misura proprio come il caprone, e la vostra
immondizia in tutte le cose, la vostra ambizione ed invidia! Per uccidere
veramente il caprone del peccato, voi avreste dovuto annientare il caprone
delle vostre male passioni dentro il vostro cuore, così avreste dato
adempimento vivente al comandamento di Mosè e di Aronne e ne avreste ottenuto
immancabilmente la benedizione! Voi avete ucciso bensì i caproni, ciò che non
poteva assolutamente giovarvi, ma i vostri cuori saturi di peccati vi sono
rimasti, ed è perciò che Jehova ha realizzato la Sua minaccia e ancor più la
realizzerà d’ora innanzi, quando la vostra perfidia sarà giunta al colmo.
8. Bella cosa davvero è che i pagani debbano ormai tutelare i diritti
del popolo ed aver cura delle vedove e degli orfani! Ma appunto perciò è anche
vero quello che dice il profeta: “Io Mi consolerò con i nemici, che sono
pagani, ed Io Mi vendicherò per mezzo loro!”. Dove se n’è andata la vostra
potenza e dove si è persa la vostra forza? Un piccolo gruppo di pagani
signoreggia sul popolo di Dio, una volta tanto potente! Vergogna, vergogna ed
obbrobrio eterni! I figli del serpente sono più saggi e più onesti di voi,
figli della luce.
9. E per queste ragioni anche avverrà tra breve che questo sacro suolo
sarà dato ai gentili e d’ora innanzi voi non avrete più patria e non avrete più
re. Come schiavi dovrete servire tiranni stranieri, le vostre belle figlie
dovranno essere di sollazzo ai pagani ed ai loro servitori e la loro progenie
sarà odiata come quella dei serpenti e delle vipere!
10. Voi vi consultate continuamente sulla scorta dei libri del profeta,
il quale ha scritto per il vostro cuore, su come invece potreste rendere ancora
più solenne la cerimonia durante l’azione, che nulla significa, del lavare e del
mondare i vostri corpi e le vesti e le sepolture, affinché la cerimonia stessa
debba essere incentivo a tanto più ricche offerte; ma quello che soltanto
sarebbe gradito a Dio, voi non lo volete comprendere! O perversi servitori del
demonio! Questo è colui che servite con le vostre cerimonie ed è da lui che un
giorno riceverete la ricompensa nel pantano dove l’avete sempre meritata.
11. Il corpo lo si monda, a seconda del bisogno, una o due volte al
giorno, e le vesti si puliscono quando sono sudice: queste cose le ha ordinate
Mosè per la salute del corpo. E così pure i sepolcri si ricoprono di uno strato
di argilla spessa una spanna e quando l’argilla è secca vi si applicano alcuni
strati lievi di buona calce sciolta, allo scopo di otturare le crepe che si
possono formare ed evitare così che attraverso queste si propaghino con
facilità, specialmente nei primi anni della decomposizione, le esalazioni
malefiche che sono causa di svariatissime malattie tra gli uomini, gli animali
e le piante.
12. Ecco qual è il vero motivo per l’imbiancatura dei sepolcri, ciò che
del resto è più che evidente! Ora, come mai volete farne un servizio divino?
Oh, insensati e pazzi che non siete altro! Che vantaggio può mai derivarne
all’anima del defunto?».
Dell’Essenza
di Dio e della Sua vera adorazione.
1. Prosegue il Signore: «Quando l’uomo muore, l’anima, che è uscita dal
corpo e che costituisce un uomo spirituale a sé ed indipendente, perviene in un
luogo che corrisponde perfettamente alle sue condizioni di vita ed allora non
può giovarle nulla all’infuori del proprio libero volere e del proprio amore.
Se la volontà e l’amore sono buoni, sarà buono anche il luogo o l’ambiente che
l’anima stessa si foggerà secondo le proprie tendenze e tramite la forza e la
potenza concessale da Dio; se, invece, volontà ed amore sono perversi, perversa
sarà pure l’opera od il loro prodotto, ugualmente come avviene sulla Terra,
dove un albero cattivo non può dare frutta buona, né un albero buono può darne
di cattiva. Andate e provate ad ornare d’oro e di pietre preziose un arbusto di
spine e vedrete poi se questo vi frutterà dei grappoli gustosi. Una vite, che
la orniate o no di oro, vi darà quello che per sua natura è destinata a darvi,
cioè dei dolci grappoli gustosissimi.
2. Se la cosa sta così, come altrimenti non può stare, domandate a voi
stessi come dovrebbe o potrebbe giovare alle anime dei defunti un’imbiancatura
dei sepolcri, nei quali non albergano altro che resti putrefatti e nauseanti.
3. Credete proprio sul serio che Dio sia così debole di intelletto,
sciocco e vano da ritenersi ben servito ed onorato da una quanto mai vana,
assurda e insignificante esaltazione della materia, per mezzo di altra materia?
4. Io ve lo dico: “Dio è uno Spirito e chi vuole servirLo ed onorarLo
deve fare ciò in spirito e nella piena e vivente verità del suo cuore e non già
nella materia e per mezzo di questa, la quale altro non è che l’espressione
materialmente tangibile, per un tempo determinato, della Volontà del Padre
onnipotente!”
5. Cosa direste ad un tale che venisse da voi, chiedendo una ricompensa
per aver semplicemente devastato le vostre seminagioni e che sostenesse per di
più di avervi reso con ciò un eccellente servizio? Ecco quello che voi rispondereste ad un
simile pazzo e sfacciato, quello che ugualmente vi risponderà un giorno il
Padre nell’aldilà e voi dovrete allontanarvi dal Suo cospetto e sarete cacciati
nelle tenebre più profonde, dove pianto e stridor di denti saranno la vostra
ricompensa!
6. Ed in che modo voi vi occupiate del diritto delle vedove può darne
prova in primo luogo Mia madre Maria, alla quale avete tolto ogni cosa e dopo
di lei a mille altre, con le quali non vi siete comportati meglio né vi state
comportando meglio nemmeno ora!
7. Non grida forse vendetta al Cielo il fatto che delle figlie
d’Israele debbano cercare giustizia presso i pagani e anche la ottengono?
Veramente non deve essere assai lusinghiero per Satana che i suoi figli si
dimostrino di gran lunga superiori in rettitudine e giustizia rispetto ai figli
di Dio! Sì, Io ve lo dico: “D’ora innanzi i figli del mondo diverranno figli di
Dio!”. Ma voi, per la stessa ragione, diverrete figli di colui che avete sempre
servito con tutta fedeltà!
8. Come mai voi che leggete Isaia non avete trovato il punto dove è
detto:
9. “Io provo compiacimento nella misericordia e non nel sacrificio!”.
Ed ancora: “Questo popolo Mi onora con le labbra, mentre il cuor suo è ben
lontano da Me!”
10. Se voi dite: “Così ha parlato Dio per bocca dei profeti”, che
specie di stima e rispetto dovete avere di Lui, voi che preferite sempre le
vostre massime miserabili al posto dei Suoi santi Comandamenti, per il fatto
che i vostri precetti vi danno un vantaggio mondano e perciò preferite
calpestare quelli di Dio? O malvagi e perfidi servitori del demonio! Come
vorreste reggere un giorno dinanzi al Giudizio di Dio? Io vi dico, in verità,
che i sodomiti saranno trattati meglio di voi! Infatti se a Sodoma all’epoca
fossero avvenuti tali segni, com’è già accaduto presso di voi, essi avrebbero
fatto penitenza con sacco e cenere e Dio non li avrebbe giudicati mandando
fuoco e zolfo dal cielo! Guai a voi, il tempo si avvicina e di voi accadrà come
Io vi ho predetto!»
L’arroganza e
la confusione dei farisei spiritualmente ciechi.
1. A questo punto gli anziani, i farisei e gli scribi si alzano
infuriati ed esclamano: «Come ti permetti Tu, sbarbatello, di discutere con
noi? Che segni sono avvenuti qui?»
2. Rispondo Io, presentando Sara, che tutti quegli eroi della sinagoga
e della Scrittura conoscevano molto bene: «Conoscete questa fanciulla e sapete
quello che è accaduto a lei, per la seconda volta?».
3. A quella vista tutti restano sbalorditi e smarriti e borbottano fra
di loro: «Per il Cielo, questa è in persona la figlia del nostro preside, tale
e quale noi l’abbiamo conosciuta! Che l’abbia risuscitata di nuovo? Com’è
accaduto? Ma se Egli l’ha richiamata in vita questa seconda volta essa era
veramente morta! Cosa dobbiamo fare adesso? Giairo sembra essere dalla sua
parte, altrimenti non gli avrebbe certo affidato la figlia che egli ama sopra
ogni altra cosa. Oppure egli è ancora all’oscuro di tutto? Che il figlio di
Giuseppe l’abbia risuscitata in segreto, e che voglia ricondurla a Giairo in
qualche prossima occasione? Dobbiamo noi darne notizia a Giairo? Questo fatto è
troppo evidente! È proprio così, si tratta, senza alcun dubbio, veramente di
lei! Eppure noi tutti siamo stati presenti alla sua sepoltura, come pure la
prima volta a Cafarnao, quando morì! Che cosa si deve fare? Cosa succederà se
questo uomo-Dio continuerà a manifestarsi con queste incredibili
manifestazioni, sia pure valendosi di artifizi o poteri di qualsiasi genere?».
E qui ammutolirono.
4. Io però, fissandoli severamente, dico loro: «Ebbene, cosa vi
suggerisce il vostro malvagio cuore? È sufficiente questo segno per fornirvi la
prova che tutto quello che avete udito ora da Me non è che la pura verità?»
5. Rispondono gli anziani: «Noi non siamo né medici né speziali che
scrutano le forze naturali a profitto delle loro professioni e così pure non
abbiamo nessuna confidenza con le arti magiche che si possono imparare a scuola
del demonio, perché questo sarebbe un gravissimo peccato agli occhi di Dio e
perciò non possiamo sapere quali arti Tu abbia usato per ridestarla. Resta
quindi bene inteso che questa specie di segni non sono tali da poterci
assolutamente far deviare di una linea dalla nostra fede in Mosè ed in tutti i
profeti, come pure dall’interpretazione delle Scritture autorizzata dal Tempio,
secondo il solenne e sacro giuramento prestato. Di segni, in questi tempi, ne
fanno diversi maghi che capitano qui, parte dall’Oriente e molti dall’Egitto.
Tutti operano cose meravigliose che nessun giudeo comprende e che non vuole e
non deve comprendere, perché tutte le produzioni magiche di questo tipo
provengono dal demonio. E con ciò noi intendiamo contemporaneamente dichiarare
che i tuoi segni, siccome possono appartenere pure essi all’ambito della magia,
non hanno per noi alcun valore e possono al massimo dimostrarci che Tu sei
bravo a compierli con successo e che sei, in questa Tua specialità, un perfetto
maestro, ma che noi, a causa dei Tuoi segni, dobbiamo accettare anche la Tua
dottrina che ci ispira orrore, una tale cosa sia lontano da noi! Perché tra un
medico ed un sacerdote c’è molta distanza e molta di più da un profeta;
rispetto a Te poi, che conosciamo già da trenta anni, come abbiamo conosciuto Tuo
padre, il divario è ancora maggiore. Bada dunque di sgomberare senza indugio la
scuola, assieme alla Tua comitiva di vagabondi, altrimenti dovremo impiegare la
forza!»
6. Esclama allora Sara: «Te ne prego, o Signore, lascia questi
miserabili al loro destino, perché sono più induriti delle pietre, più
tenebrosi della notte più profonda e senza una briciola d’amore nel loro petto!
Due volte Tu mi hai ridonato la vita e ciò non è nulla per questi sciagurati!
Anzi, essi ritengono il prodigio una magia e una bestemmia e nella loro
grossolana cecità non esitano a cacciarti dalla scuola! Signore, questo è
troppo! Oh, andiamo via di qui, perché vicino a questi miserabili figuri mi
sembra di vedere Satana dinanzi a noi!»
7. Dico Io: «Mia diletta Sara! Stai pure tranquilla, perché fino a
tanto che Io lo voglio noi rimarremo qui, perché Io sono il Signore! Si dicono
pure signori i potenti della Terra, che ben spesso dispongono di scarsissima
forza; a Me però sono dati tutti i poteri nel Cielo, sull’inferno e su tutta la
Terra! Allora, essendo Io un perfetto Signore, mai dall’eternità nessuno Mi ha
comandato! E quello che Io faccio, lo faccio di Mia spontanea Volontà, ora e
sempre!»
8. Dopo che gli anziani odono queste parole, si stracciano le vesti ed
urlano: «Fuori di qui! Ormai abbiamo inteso bene che sei un bestemmiatore!
Quello che tu fai, avviene con l’aiuto di Belzebù e vorresti con questi mezzi
fare allontanare i popoli da Mosè e da Dio, per dare loro in cambio la tua
nuova dottrina! Altro non ci resta che finirla con te una buona volta e
toglierti dal mondo lapidandoti con le pietre!
La paura dei
templari del tribunale romano.
1. Ora, in tutte le scuole, come pure anche nel Tempio, c’era sempre
una provvista di pietre per la lapidazione e non altrimenti andavano le cose in
questa scuola di Nazaret, e così avvenne che gli anziani, i farisei e gli
scribi, nel loro cieco furore, si diedero a raccogliere pietre per lanciarMele
addosso. Ma allora tutti i discepoli si alzarono e ammonendoli invitarono quei
furibondi alla quiete, i quali però ripresero a gridare ed assunsero un
atteggiamento ancor più minaccioso, pronti a scagliare le pietre che ancora
tenevano in mano. Quand’ecco che improvvisamente apparvero nella grande sala
della scuola Fausto, Cornelio, Giairo, nonché il vecchio Cirenio.
2. Come quei furenti si accorsero della presenza di questi personaggi,
per loro terribilmente eccelsi, che essi conoscevano molto bene, deposero
all’istante i loro micidiali strumenti e cominciarono a fare profondissimi
inchini.
3. Giairo si avvicina a Me ed a Sara, ci abbraccia e dice ad alta voce,
rivolto a Cirenio: «Eccolo qui il grande Uomo fra tutti gli uomini e qui c’è
pure Sara, la mia amata figlia che Egli per due volte ha risuscitato dalla
morte più completa!».
4. Allora il vecchio Cirenio si avvicina pure egli a Me, con le lacrime
agli occhi e dice: «O mio Signore e mio Dio, con quali parole posso io, povero
e debole uomo, esprimerTi la mia gratitudine per tutte le immense grazie di cui
mi hai colmato? Oh, come sono felice che i miei occhi possano ancora una volta
godere dell’inesprimibile gioia di contemplare la Tua faccia, o mio santo
Amico. Da più di venti anni non mi fu possibile apprendere niente di Te,
quantunque il mio pensiero ricorresse ogni giorno alla Tua persona ed avessi
tentato molto spesso di ottenere informazioni sul Tuo conto!
5. Fino a pochi giorni fa, quale non era il mio turbamento, poiché
l’imperatore aveva cominciato sul serio a chiedermi ragione del mancato invio
dei denari delle imposte dal Ponto e dall’Asia Minore ed io non potevo
comprendere affatto dove fossero finiti! Ma quale fu poi la mia gioia immensa,
quando, circa tre giorni fa, ricevetti non solo l’ammontare delle imposte
andate smarrite, ma anche un ulteriore tesoro inestimabile in oro, argento,
perle e pietre preziose, che i miei fidi e buoni amici Fausto e Cornelio
avevano recuperato; e tutto ciò per il Tuo santo intervento!
6. O Signore, massimo e santo amico mio Gesù! DimMi, dimMi Tu cosa
posso fare per compensare almeno in piccola parte l’immenso debito che ho verso
di Te? Se Tu volessi accettare di porre sul Tuo capo la mia corona di
governatore – oh con che gioia indicibile la deporrei ai Tuoi santi piedi!
7. In verità, o mio Signore e Vita mia, come Tu certamente saprai,
tengo assai poco ai vari tesori di questa Terra; se fosse tutto mio quello che
ho fatto già inviare a Roma, molte migliaia di poveri avrebbero già da lungo
tempo potuto averne soccorso, ma quelle somme appartenevano all’imperatore ed
era mio dovere curare in ogni senso che si potesse mettere assieme quanto da
lui richiesto! Ora, come sarebbe mai stato possibile ciò senza di Te ed in
secondo luogo senza il mio caro Fausto e mio fratello Cornelio? Ora voi avete liberato
il mio petto da un peso immenso! Però, ora si tratta di premiare e ricompensare
come e quanto è in mio potere! Oh, parla Tu, o grande e santo amico degli
uomini e dimmi cosa debbo fare ora?
8. A questa splendida allocuzione rivolta a Me da Cirenio, coloro che
prima si erano disposti a lapidarMi, diventarono di un pallore cadaverico e
cominciarono a tremare, come se fossero stati colpiti da una forte febbre,
perché essi pensavano che Io avrei voluto trarre piena vendetta su di loro,
accusandoli presso Cirenio, che essi temevano più della morte, ben sapendo che
con lui c’era poco da scherzare! Notoriamente i giudici romani erano oltre ogni
dire severi nell’esecuzione dei loro verdetti giudiziari e delle loro sentenze,
perciò incutevano anche agli ebrei un indicibile terrore, particolarmente poi a
questi anziani farisei e scribi di Nazaret, alcuni dei quali erano consapevoli
della rapina delle imposte perpetrata a danno dei romani.
9. Però Io risposi in tono amichevolissimo a Cirenio: «Credi che l’Uomo
possa aver dimenticato quello che hai fatto al Bambino, quando, perseguitato da
Erode, dovette da Betlemme fuggirsene in Egitto? Vedi, l’Uomo si ricorda di
tutto ciò molto bene! Ma quello che tu hai fatto per Me l’hai fatto del tutto
disinteressatamente, perché Mi amavi; ma allora come potrei Io ora chiederti un
compenso? No, tale cosa sia ben lontano da Me per tutte le eternità! Però
vorrei chiedere una cosa a te che, nella tua qualità di luogotenente
dell’imperatore, detieni il comando sull’Asia: “Ordina a questi ribelli
servitori non di Dio, ma di Satana, che mantengano il più assoluto silenzio su
tutto quello che Io ho operato; nel caso contrario verranno puniti con la pena
più severa! Infatti chiunque levi una pietra contro il suo prossimo, deve
venire punito con estrema severità!»
10. Chiede Cirenio: «Hanno forse questi miserabili osato levare pietre
contro di Te?»
11. Esclama Sara: «Sì, sì, nobile Cirenio! Questi sciagurati volevano
lapidare il Signore, perché Egli ha detto loro la verità in faccia! Essi si
fanno chiamare servitori di Dio, mentre sono l’assoluta negazione di Dio,
perché osservano soltanto le massime che il proprio egoismo e la superbia
suggeriscono loro e usando la violenza si sforzano di dare ad esse un’apparenza
divina!
12. Chi non è disposto a prendere per buone queste apparenze
ingannatrici, è condannato in modo abominevole alla cecità e non ha più alcuna
libertà su questa Terra di Dio! Se si leggono un po’ Mosè ed i profeti e poi si
considerano le loro massime, si troverà con non molta fatica quello che già da
tempo ho trovato io, che sono una ragazza non ancora sedicenne! In verità, chi
osserva Mosè ed i profeti è il loro più grande nemico! Accade a questi come ai
samaritani che sono tuttora mosaisti puri e seguaci dei profeti, e questi
vengono giornalmente considerati maledetti, e i templari hanno un tale odio per
loro che il loro nome, e quello di chi gli somiglia, debba suonare come una
maledizione atroce in bocca ad un giudeo!
13. Ma io domando ancora, per quanto sia una bambina: “È questa la
parola di Dio; è questo un servizio divino?”. Gesù ha dimostrato loro
chiaramente che qui si tratta solo di parole dell’inferno e di un servizio tale
per cui Satana non può desiderarne uno di migliore, ed è perciò che essi volevano
lapidarLo, perché Egli ha detto loro troppe verità in presenza del popolo e
questo poteva aver l’effetto di pregiudicare le loro ricche entrate!
14. O nobile e rispettabilissimo signore! Già due volte mi sono trovata
completamente nell’aldilà ed io so quello che la mia anima ha visto. Io vidi
Mosè e tutti i buoni profeti; la pace era con loro e la loro gioia è il tempo
attuale che essi chiamano “il grande Giorno del Signore”. Ma fra i santi
d’Israele non ho scorto neppure un fariseo o un dottore della Legge, perciò io
domandai dove questi si trovassero.
15. Allora comparve un angelo splendente e mi disse di seguirlo. Ed io
andai con lui! Dopo poco noi ci trovammo in un luogo quanto mai deserto e
fosco. C’era appena un lieve barlume, come in una notte nuvolosa. In grande
lontananza appariva una luce rossastra, come di fuoco e l’angelo mi disse:
“Guarda lì in fondo; quello è il baratro dove dimorano coloro di cui hai
domandato!”. Ed io guardai, ma non mi fu dato di vedere altro che demoni.
Allora io chiesi all’angelo: “Come mai, non vedo che diavoli e nient’altro!
Dunque, dove sono coloro dei quali io ho chiesto notizie?”. Allora l’angelo
rispose: “Ebbene, quelli che tu vedi sono appunto essi!”
16. Ed io fui presa da grande spavento al pensiero che mio padre è
addirittura un capo dei farisei, ma l’angelo, avendo osservato ciò che mi
faceva tremare, mi consolò e mi disse: “Non aver timore, tuo padre è sulla
buona via e tu stessa gli sarai ancora da guida sulla Terra”.
17. Queste cose io le ho viste e udite e questa è una mia esperienza!
Io dunque non ho affatto bisogno di imparare niente da questi stolti e perfidi
servitori di Satana, perché ho visto ed imparato la verità in maniera viva e
quindi, come quella che dall’aldilà è ritornata, posso testimoniare a prova
della verità eterna ciò che Gesù, il Signore dall’eternità, insegna, mentre
tutto quello che questi loschi individui insegnano non è altro che una completa
menzogna! Così io ho finito!».
1. Dice Cirenio: «Avete inteso come una risuscitata porti una tale
testimonianza contro di voi che vi incrimina più gravemente di qualunque rapina
od omicidio? Cosa dovrò fare di voi, visto che queste imputazioni poggiano
sull’assoluta verità? Farvi appendere sulla croce sarebbe troppo poco! Farvi
flagellare una giornata intera fino alle ossa e poi decapitare, ma anche questa
sarebbe una punizione troppo mite. Io però so bene cosa farò e posso dirvi pure
che sarete perfettamente contenti di me!». A queste parole di Cirenio, essi
impallidiscono ancora di più e cominciano a urlare ed implorare.
2. Cirenio frattanto Mi domanda se in seguito egli debba sul serio
prescrivere una punizione per quei maligni, oltre all’imposizione di conservare
silenzio eterno sui fatti là accaduti.
3. Ed Io gli rispondo: «Imponi loro soltanto il silenzio più assoluto
con una seria minaccia della punizione che dovrà attenderli senza speranza di
grazia alla prima trasgressione! Poi congedali»
4. Cirenio avanza di alcuni passi, intima silenzio e poi dice: «Fate
bene attenzione, o torvi individui! È unicamente Costui, che voi avreste voluto
lapidare a causa della santa verità uscita per voi dalla Sua bocca, che voi
dovete ringraziare se io non vi faccio cacciare tutti assieme nel deserto e non
vi faccio strappare gli occhi, per poi abbandonarvi sulle rupi, circondate
tutt’intorno da precipizi! Ma se qualcuno di voi si azzardasse a comunicare ad
altri, fuori dalla sinagoga, anche una sola parola di quanto è avvenuto qui,
sia a voce che per iscritto, sia mediante gesti, cenni o atteggiamenti, la
gravissima pena comminata sarà applicata inesorabilmente nei suoi confronti!
5. E così pure io non intendo lasciarvi impuniti, qualora venissi a
conoscenza di tentativi da parte vostra di tormentare il popolo con estorsioni
e contribuzioni illegali e di perseguitare la verità divina a favore delle
vostre ignominiose egoistiche massime; insegnate invece al popolo a conoscere
Dio e le Sue Leggi e a conformarvi a queste attraverso le opere, solo così
potrete acquistarvi quella considerazione e quella stima di cui gode questo
divino Uomo Gesù, il Quale non annuncia nulla di nuovo ai popoli che voi avete,
con la vostra dottrina, immersi nelle tenebre più fitte, poiché Egli annuncia
semplicemente l’antica dottrina di Dio! E con tanta maggiore verità e facoltà
Egli può farlo, dato che nello Spirito è Quel Medesimo che secondo i vostri
insegnamenti, circa mille anni fa, vi diede, tramite Mosè sul Sinai, le tavole
della Legge. Questo, certo, voi non lo comprendete, però io lo comprendo
perfettamente bene, nonostante per voi sia un perfetto pagano! Dunque,
guardatevi bene dal perseguitare questo Santo, perché una cosa simile vi
costerebbe doppiamente la vita: quella corporale in questo mondo e quella
spirituale nell’altro! Mi avete compreso?
6. Tutti gli interessati esclamano: «Sì, o potente signore, faremo
tutto quello che esigi da noi. Però tu sai già che noi uomini non siamo dei e
che in noi c’è ogni genere di manchevolezza; perciò, se qualcuno di noi dovesse
eventualmente errare in una cosa o nell’altra, chiamaci umanamente a
responsabilità ed umanamente commisura la pena!»
7. Rispose Cirenio: «I mercanti e trafficanti greci ammettono che si
contratti con loro, ma non i romani! Pensate bene a quel che vi dico e fate in
modo che le vostre opere siano conformi, così non avrete bisogno di indulgenza!
Perché gli uomini divengano forti, necessitano leggi rigide e inesorabili: in
questo modo si formano i maestri dell’ordine, incrollabili e costanti
nell’animo ed esuberanti di zelo in ogni attività concessa dalla legge!
8. Se il soldato non avesse leggi ferree, sarebbe un vile e quando si
tratta di perseguire, combattere e vincere il nemico, questi potrebbe darsi il
bel tempo e la patria avrebbe un bel attendere che qualcuno pensasse alla sua
difesa! Ma quando una legge di ferro prescrive al soldato per la vita e per la
morte, passo per passo, quello che egli deve fare di fronte al nemico,
certamente lo farà! Infatti se non lo facesse, il suo destino certamente
sarebbe la morte, ma se egli invece fa come gli viene comandato, la sua morte
per mano del suo nemico è incerta e, se ritorna dalla battaglia, ritorna da
vincitore e da eroe!
9. La regola severa di Roma è questa: una rigida legge plasma anche
rigidi diritti ed ordinati uomini! Abbandonate dunque ogni velleità di
contrattare con noi e ciascuno abbia dinanzi a sé la Legge senza distinzione di
rango! Voi sapete ormai come io concepisco la legge: se obbedite, siete liberi
nella legge, se non obbedite, la legge vi giudicherà senza alcun riguardo,
appunto perché è legge.
10. Tutta la Terra e tutto quello che in essa e su di essa esiste,
esiste soltanto per l’inflessibilità del Volere divino. Se Dio ad un dato momento
ammettesse a questo riguardo anche la minima delle discussioni, cosa ne sarebbe
in un batter d’occhio della Terra e di noi tutti? Tutto si convertirebbe nel
caos!
11. E ugualmente accadrebbe di un complesso statale di popoli; se
soltanto il rigore di una legge venisse mitigato, anche tutte le altre
perderebbero la loro forza e la loro irremovibilità e il grande edificio dello
stato sarebbe in breve tempo ridotto ad una rovina! Dunque, tutto fermo resta
quello che vi ho detto e irremovibile la minaccia che vi ho fatto!».
12. A questa energica replica del governatore, le facce dei farisei e
degli anziani assunsero una cera alquanto desolata ed amara ed uno fra loro
esclamò in tono di dolorosa esaltazione: «O Roma, o Roma! Come sono terribili
la tua durezza e la tua oppressione! O Jehova, Tu hai liberato i Tuoi figli
dalla cattività di Babilonia, quando essi ebbero fatto penitenza ed innalzato a
Te le loro orazioni, mai Tu ci redimerai, dunque, da questa schiavitù mille
volte peggiore?»
13. E qui dico Io: «Se voi vi ostinate a rimanere come siete e se non
vi correggete dalla radice, non soltanto resterete sudditi di Roma, ma sarete
del tutto divorati da essa, come la putredine dalle aquile! Ancora per breve
tempo durerà la pazienza di Dio, ma poi il vostro destino si compirà e si
rovescerà su di voi, così come poco fa. Io ve l’ho predetto, sarete
perseguitati fino alla fine del mondo. Ora però andatevene e non
scandalizzatevi mai più!
14. Quando ebbi terminato di parlare, essi si allontanarono tutti e si
ritirarono nelle loro stanze; noi invece ci fermammo nella scuola, dove ben
presto si radunarono numerosi nazareni venuti per ammirare le alte personalità
romane e noi dovemmo anzi ritirarci e prendere posto sulle panche e sui tavoli,
per liberarci un po’ dalla calca del popolo avido di spettacoli.
Guarigione di
un infermo. Testimonianza dei nazareni su Gesù.
(Matt.13,55-56)
1. Frattanto Boro aveva condotto egli stesso un paralitico nella
sinagoga, le cui mani e i cui piedi erano completamente disseccati, contorti e
rattrappiti, in maniera che nessun medico sarebbe certamente stato in grado di
guarire.
2. Boro però, quando il paralitico, che era stato trasportato di peso
da due portatori dentro ad una grande cesta attraverso la calca, fu posto a
giacere davanti a Me, disse ad alta voce dinanzi al popolo: «Dio soltanto può
aiutare questo infermo e non altri! Io certamente sono uno dei primi medici in
tutta la Galilea ed al medico Boro vengono ammalati da Gerusalemme e da
Betlemme ed egli li cura e li guarisce, ma per questo ammalato tutta la sua
arte non giova. Io Ti supplico, o mio santo amico Gesù, poiché so e fermamente
credo che a Te nessuna cosa sia impossibile, affinché Tu ridoni a quest’uomo le
sue membra diritte, sempre se tale cosa è in consonanza con la Tua santa
Volontà!»
3. Gli dico Io: «Amico mio, qui c’è troppa gente a cui manca la fede ed
in queste condizioni una guarigione è sempre una cosa difficile! Io però lo
guarirò presso di te, quando saremo soli»
4. All’udire queste parole, alcuni fra il popolo cominciarono a
mormorare e dissero: «Furbo il figlio del falegname! Visto che questo ammalato
è in condizioni troppo gravi per Lui, Egli preferisce guarirlo in segreto, se
gli è possibile, lontano dalla nostra presenza»
5. Ma Io, che udii questi discorsi, dissi a quei maldicenti: «O pazzi e
insensati che siete! Conoscete questa fanciulla che è vicino a Giairo, non è
essa sua figlia e non morì per il mondo già due volte? Chi è che l’ha richiamata
in vita? O stolti! Ma se il Figlio dell’uomo ha il potere di ridonare la vita
ai morti, come non potrà avere il potere di dire a questo ammalato: “Alzati e
cammina!”. Ma affinché vi convinciate che Io effettivamente ho questo potere,
allora ordino a te, che sei paralitico, di alzarti e camminare con le tue
membra, ora completamente sane!»
6. Nello stesso tempo come un’energia di fiamma attraversò le membra di
questo ammalato ed egli si sentì completamente in forze; si levò e cominciò a
muoversi. Le sue membra erano fresche e piene di vigore, carne e muscoli erano
del tutto fortificati ed egli camminava con il cuore lieto e pieno di
gratitudine e dopo qualche tempo quando, si fu ripreso dal suo immenso stupore,
esclamò: «Una cosa simile soltanto Dio può farla! Senza medicamenti, senza
imposizione di mani, ottenere in un attimo una simile guarigione unicamente per
la potenza della parola, questa è una cosa che non si è mai vista! O Signore
Gesù, io credo oramai e confesso apertamente che Tu sei o il Figlio di Dio o
addirittura Dio stesso che ha assunto forma umana! A me sembra come se dovessi
cadere ai Tuoi Piedi e adorarTi!»
7. Gli dico Io: «Lasciamo stare ciò e vedi di non suscitare rumore per
questo, però, quello che senti nel tuo cuore, serbalo con tutta fedeltà. Verrà
il giorno in cui tu ne avrai bisogno e allora potrai rivolgere la tua preghiera
al Padre che è nei Cieli, il Quale solamente è stato a conferire tale potenza a
Suo Figlio! A queste parole il guarito ammutolisce».
8. Ma il popolo inorridì e disse: «Da dove viene a costui tanta
sapienza e tanta potenza nell’azione? (Matt.13,55). Non è costui il figlio del
falegname? Sua madre non si chiama Maria? Ed i suoi fratelli Giacomo, Giosé,
Simone e Giuda? E non sono le sue sorelle tutte presso di noi? Da dove vengono
a costui, per amor del Cielo, tutte queste cose?».
9. E come essi andavano così chiedendosi e discutendo, molti si
scandalizzarono e dissero: «Questa è una cosa che fa davvero ammattire! I nostri
figli hanno studiato a Gerusalemme e si sono acquistati cognizioni in vari rami
delle arti e delle scienze; hanno altresì frequentato le scuole dei profeti che
esistono tuttora ed hanno imparato a fondo la sapienza egiziana
nell’interpretazione dei segni e delle scritture! Ed ora ecco qui questo
falegname, il quale non ha mai frequentato una scuola e che noi stessi abbiamo
visto solo maneggiare l’ascia e la sega, ora svergogna noi ed i nostri figli in
maniera tale che perfino le più alte personalità di governo ne sono sbalordite
e ritengono quasi un Dio il falegname! Ciò è veramente da pazzi! Egli è tutto
in tutto; parla tutte le lingue come se fosse nato in tutti i paesi; Egli è un
profeta di primo rango ed opera segni e cose tali che nessun Dio si vergognerebbe
di aver fatto; i nostri figli invece, assieme a noi che al nostro tempo abbiamo
pure imparato qualche cosa, fanno qui la figura di quelli che non hanno
imparato neppure a contare le dita di una mano. Non c’è dunque nessuno di noi
che sappia come questo falegname sia riuscito ad acquisire tutto questo?»
10. E gli altri dicono: «Dove dovrebbe aver acquisito qualcosa? Egli,
salvo singole assenze di qualche mese, è rimasto sempre a casa ed assieme al
padre ed ai suoi fratelli ha esercitato il suo mestiere presso di noi ed anche
qui nei dintorni; non abbiamo osservato mai in lui neppure la traccia di
qualcosa di particolare! Oltre a ciò, egli era molto parco di parole e se
qualcuno gli domandava qualcosa, o egli non rispondeva affatto, oppure rispondeva
a monosillabi, in modo che si cominciò a ritenerlo un babbeo; ed eccolo qui ora
che, fattosi uomo, attira su di sé gli sguardi di tutto il mondo! Questa cosa
per noi è tanto umiliante e scandalosa che nessuna mente che sia veramente sana
può comprenderla!
11. Cosa mai non è accaduto con quest’uomo? Già dal tempo della sua
primissima giovinezza ci è noto veramente che, essendo egli ancora un
fanciullino appena balbettante, pare avesse dimostrato di avere qualche
capacità per la magia e il padre e la madre quella volta avevano creduto che in
quel fanciullo si sarebbe un giorno maturato qualcosa di grande. Però con gli
anni tutte le capacità, per quanto promettenti, erano andate dileguandosi a tal
punto che in nessuna occasione poi fu dato mai di riscontrarne la benché minima
traccia. Di andare a scuola, egli già da ragazzo non ha mai voluto saperne e di
conseguenza è rimasto un semplice artigiano, senza alcuna cultura scientifica.
Spesse volte ho domandato al vecchio Giuseppe come andasse con Gesù e se egli
fosse anche a casa così taciturno, e la risposta era: “A casa egli è più
taciturno che in qualsiasi altro luogo fuori!”. Ed i suoi fratelli confermavano
pienamente la cosa! Ma allora, come sono saltate fuori tutte queste capacità
straordinarie?».
(Matt.13,57)
1. Ma poiché a causa dei fatti a cui avevano assistito, Io apparivo ai
loro occhi come un profeta, allora un vecchio nazareno cominciò a narrare: «Mi
è accaduto una volta di avvicinare un babilonese, di quelli che spesso usano
venir di passaggio nei nostri dintorni e che per qualche statere si esibiscono
in svariate magie e vaticini ed ho udito come egli facesse una predizione ad un
mio vicino con queste parole:
2. «O Nazaret! Entro le tue mura vive un uomo che tu non conosci, Egli
è quieto e parco di parole, ma quando il Suo tempo sarà venuto, dinanzi a Lui
ed alla Sua Parola si inchineranno le montagne, i venti e il mare gli
ubbidiranno e la morte tremerà al Suo cospetto e non avrà nessun potere dinanzi
a Lui! Allora tutto il popolo di questa città sarà pervaso da uno stupore
stizzoso, ma nessuno potrà per niente opporsi alla Sua forza e la morte fuggirà
dinanzi a Lui come la timida gazzella dinanzi al leone che la insegue. Però,
allorquando Egli vorrà trapassare da questo mondo ai Cieli, Egli permetterà che
i Suoi nemici Lo uccidano e che per tre giorni Lo ritengano morto, ma il terzo
giorno, per Suo proprio potere, Egli respingerà da Sé la morte e risusciterà in
tutta la Sua potenza e gloria e salirà con la Sua carne e con il Suo sangue ai
Cieli. Ma dopo ciò, guai a tutti coloro che Lo avranno perseguitato! La loro sorte sarà un tremendo giudizio del
fuoco, quale mai ancora è stato su questa Terra! Guai a tutti gli ebrei
orgogliosi! D’allora in poi, fino alla fine del mondo, essi non avranno più
patria, ma se ne andranno dispersi e raminghi per tutta la Terra come gli
animali selvaggi e maledetti nel deserto. Triboli e spine dovranno raccogliere
per farne un pane ributtante e calmare così la loro fame e di tal cibo
morranno!
3. Ecco, di queste cose ha ragionato quel babilonese, circa tre anni
fa; ed è enormemente strano che nella nostra città sia sorto ora in questo Gesù
un uomo tale, le cui opere e le parole sembrano dare conferma completa a tutto
quello che è stato predetto dal babilonese anzidetto! Ma che cosa si può fare?
Se si è avverata l’una cosa, dovrebbe avverarsi anche l’altra, cioè il
giudizio! Perciò io sono dell’opinione che dobbiamo lasciarlo fare quello che
Egli vuole e può, perché per noi sarebbe alquanto difficile entrare in lotta
con Lui! Perché chi può risuscitare i morti, deve anche poter fare molto di
più. Noi potremo malamente resistere a chi comanda i venti e il mare ed alle
cui parole i monti s’inchinano! LasciamoLo dunque andare e fare tanto più che,
come voi stessi vedete, già parecchie centinaia sono corpo e anima con Lui e
con la Sua dottrina, ritenendoLo il promesso Messia».
4. Questa narrazione del vecchio nazareno fece sì che molti si scandalizzassero
ancora di più, ma nessuno si azzardò a dire una parola di più.
5. Io però Mi convinsi bene che con quel popolo non c’era niente da
fare, perché non aveva né fede né confidenza alcuna e perciò anche obiettai
molto brevemente, ma a voce alta, affinché tutti Mi potessero intendere:
«Perché vi scandalizzate tanto? Non avete mai inteso quello che fino dai primi
tempi è sempre stato detto: «Non c’è nessun posto dove un profeta abbia meno
valore che non nella sua patria e nella sua casa! (Matt.13,57) Ma se è così,
come l’antica esperienza ha sempre insegnato, perché dunque vi scandalizzate?
Voi pretendete di essere prudenti e sapienti, ma Io vi dico che siete ciechi,
sordi e scarsissimi di intendimento! Se Io sono Quello che veramente devo
essere e se le Mie parole e le Mie opere ne danno testimonianza, perché non
potete credere? Deve un profeta venire da molto lontano, per poter essere
creduto? Deve il suo luogo natale essere sempre sconosciuto e il suo linguaggio
forestiero?
6. Se Io fossi venuto dalla Persia o addirittura dall’India e facessi i
segni che Io faccio ora, dei quali prima di Me nessuno ha mai compiuti, voi
giacereste prostrati a terra con le vostre facce e gridereste: «Dio ci ha
visitati e noi siamo pieni di peccati e di difetti! Chi potrà nasconderci e
proteggerci dinanzi alla Sua ira?» Ma siccome Io sono il figliolo di Giuseppe,
a voi ben noto, voi domandate: «Da dove gli vengono tutte queste cose?». O
ciechi e stolti che siete, questo suolo che ci porta non è esso terra di Dio
altrettanto quanto lo sono la Persia e l’India? Non risplende qui il medesimo
Sole e non cresce e non matura qui come in Persia ed in India ogni tipo di
frutta per la forza e la potenza di Dio, che qui come là regna sovrana? E la
Luna e le stelle assieme al Sole ed a questa Terra sono esse forse meno divine
qui che in quegli altri paesi?
7. Dunque, non ci può essere alcun dubbio che qui, come in tutti gli
altri paesi stranieri, tutto è divino, perché poi non dovrebbe esserlo per
l’uomo? Quindi, se Io mando a compimento opere quali nessun persiano o indiano
si è neppure mai sognato di pensare, perché non dovrei aspirare ad ottenere la
vostra stima e la vostra fede, almeno in quella misura che voi certo sareste
disposti ad accordare a qualunque sciocco persiano o indiano? In verità, se Io
oggi Mi rivolgessi ai greci ed ai romani essi Mi erigerebbero templi ed altari.
8. Voi, invece, siccome sono cresciuto fra di voi e Mi conoscete già da
bambino, vi chiedete scandalizzati e stupiti: «Da dove viene tutto ad un tratto
a questo falegname tutto ciò, a lui che abbiamo sempre conosciuto come un
babbeo?». Oh, aspettate un po’, il babbeo ha cessato di essere tale e vi ha
fatto molto bene, prima come babbeo ed ora ancora di più come maestro e medico,
ma d’ora in poi si guarderà bene dal farlo!
9. A tali Mie parole i nazareni si scandalizzarono ancora di più ed
abbandonarono la scuola.
Discorso di
Cirenio sui nazareni.
1. Allora Cirenio disse: «Signore e Maestro, a quanto mi sembra, qui si
tratta più di stupidità che di cattiveria, poiché i nazareni, salvo rare
eccezioni, sono conosciuti come degli stolti ed è molto difficile illuminare
tali esseri! Poca scuola, nessuna esperienza, per lo più poveri, poca attività
fra di loro e pochi contatti con gli altri. In gran parte vivono di una scarsa
agricoltura, di un misero allevamento di bestiame e fuori che a Gerusalemme non
vanno mai in altri luoghi. E se a Gerusalemme vanno una volta all’anno, che
cosa ci guadagnano per il proprio spirito, sebbene poco ci sia anche lì da
guadagnare? Dove dunque possono essi acquistarsi migliore intelletto, per poter
poi con discernimento giudicare la Tua santa dottrina e comprendere le Tue sante
opere? E, per di più, gli sciocchi sono di solito anche invidiosi e, come ho
osservato, quello che maggiormente li ha scandalizzati è il fatto che i loro
figli, che hanno frequentato tutte le possibili scuole, Ti sono infinitamente
inferiori per quanto riguarda ogni genere di sapienza, scienza e perfettissima
potenza d’azione! Io dunque non vorrei imputare loro tutto ciò a cattiveria, ma
unicamente a pura e semplice stupidità, la quale può degenerare in perfidia,
però mai certamente troppo dannosa, poiché lo sciocco, quando vuole nuocere,
procede da sciocco ed è difficile che possa riuscire veramente dannoso.
Lasciamoli stare come sono!
2. Dato il caso anche che qualcuno tentasse di recare danno al Tuo
corpo, ebbene, ciò non mi preoccupa, trattandosi appunto particolarmente di Te!
In primo luogo Tu stesso possiedi, in misura più che sufficiente, così tanta
innegabile divina potenza da far volgere in fuga disastrosa tutto un intero
esercito perfettamente armato e perciò tanto più facilmente poi questi genuini
imbecilli ed in secondo luogo poi hai completamente dalla Tua parte le nostre
persone, come i più alti esponenti dell’autorità di Roma su tutta l’Asia e di
conseguenza non potrà mancarti mai una giusta protezione! Se Tu dovessi venire
fatto qui oggetto di persecuzioni, sai già bene dove sono Tiro e Sidone? Non
hai che da venire e Tu sarai perfettamente al sicuro da qualsiasi persecuzione.
3. Che però questi cittadini di Nazaret siano quasi senza alcuna
educazione e cultura, lo ha dimostrato il fatto che pressoché tutti sono
accorsi alla sinagoga più come scimmie che non come uomini, spinti unicamente
da una specie di curiosità animalesca e nessuno si è sognato di salutare
nemmeno con un gesto né me né nessuna delle altre personalità che sono con me e
che detengono il comando del paese. Come un branco di asini, buoi o stupide
pecore sono piombati dentro e si sono comportati come se fossero stati i soli
padroni del mondo! Io non posso ritenerli colpevoli, perché sono troppo rozzi,
sciocchi e ineducati e so che Tu, o Signore, che li conosci mille volte meglio
di me, Tu pure non imputerai loro questa cosa a peccato!
4. Dico Io: «Oh, puoi ben esserne certo! Io, di sicuro, meno di
qualsiasi altro. Ma l’importante è che essi, nel loro cuore, Mi riconoscano per
quello che sono, perché la loro vita eterna dipende unicamente da ciò! Se essi
non riconoscono Me, è altrettanto impossibile che riconoscano Colui che Mi ha
mandato in questo mondo e meno ancora che Io e Colui che Mi ha mandato siamo
sempre Uno e lo stesso Essere. Fino a tanto che i loro cuori non riconoscono
ciò, non possono accogliere Me in loro stessi e di conseguenza neppure la vita
eterna e perciò sono morti nello Spirito! Dato che Io stesso sono per l’appunto
la Vita eterna stessa e per mezzo della Mia dottrina sono la Via che a tale
Vita conduce!
5. E perciò, chi non accoglie Me e la Mia dottrina, costui non accoglie
neppure la Vita eterna, mentre la morte eterna deve necessariamente essere ciò
che gli spetta.
6. Ma Io non posso tuttavia costringere nessuno alla fede, perché
qualunque costrizione sarebbe un giudizio dello spirito, il quale è causa di
morte, così come lo è la mancanza di fede ed è perciò cosa difficile per Dio
stesso disporre, in questi casi, che l’uomo non abbia un danno all’anima! Se
egli viene costretto da una qualche forza, per quanto agente di nascosto, egli
si muove nell’ambito di un giudizio; se d’altro canto non viene costretto da
alcuna forza, egli resta senza fede, dubita di tutto e con ciò dimostra appunto
di essere del tutto morto nello spirito. Chi e cosa può allora vivificare il
suo spirito?
7. Egli non accetta la Mia parola vivificante e di conseguenza non
accetta neppure Me, che sono in tutta l’infinità, l’unica e sola sorgente di
ogni vita. Considerato ciò, chiedi a te stesso dove allora potrà attingere la
Vita che Io ho portato e che voglio donare a tutti gli uomini.
8. Dice Cirenio: «Sì, certo, quanto Tu dici è perfettamente chiaro per
me e non potrebbe essere altrimenti, poiché io già da trent’anni so chi Tu sei,
però lasciamo stare questo argomento, perché sarà mio compito indurre questa
gente a credere in qualche cosa. E adesso procediamo innanzi e vediamo dove si
potrà trovare qualcosa da mangiare. Il pomeriggio è abbastanza inoltrato.
Dopodiché, noi lasciammo la sinagoga e la città e facemmo ritorno a casa Mia,
dove un buon pasto ci aspettava. Noi mangiammo e bevemmo di lieto umore, mentre
la giornata si avviava alla sua fine.
(Matt.13,58)
1. I discorsi a tavola si aggirarono principalmente sulle passate
vicende e sugli avvenimenti ad Ostracina, dove Io avevo passato la Mia prima
giovinezza; e Mia madre prese spesso parte alla conversazione ed ascoltò con
gran gioia le narrazioni del viceré d’Asia, come si usava spesso designare
Cirenio, il quale rievocò l’uno e l’altro dei fatti accaduti allora.
2. Giacomo, figlio di Giuseppe, che sapeva scrivere molto bene, prese
dal suo armadio un rotolo abbastanza voluminoso e lo offerse a Cirenio,
dicendogli:
«Nobile signore, in queste carte sono narrate, come io mi ero proposto
di scrivere, tutte le cose e gli avvenimenti concernenti il Signore, svoltisi
dalla Sua nascita fino al Suo quindicesimo anno, anzi veramente fino al dodicesimo
anno, perché poi le Sue manifestazioni divine ebbero luogo soltanto molto
raramente, e consistevano più in qualche saggia parola pronunciata al momento
opportuno che non ho elencato, e così il tredicesimo, il quattordicesimo e il
quindicesimo anno sono rimasti completamente vuoti. Cosicché, trascorso il
quindicesimo anno, non ho ritenuto opportuno prendere ulteriormente nota delle
comunissime vicende umane che Lo riguardavano e perciò la narrazione dei tempi
della Sua giovinezza è da considerarsi completamente chiusa.
3. Certo, accanto a questa mia narrazione esistono ed hanno corso una
quantità di leggende e false dicerie, opera di qualche fannullone e ciarliero,
ma io prego per questo di considerare soltanto questa mia descrizione come la
sola vera, esattissima e completa. Se ciò, o eccelso signore, può riuscirti
gradito, io ti prego di voler accettare, in grazia, questo mio piccolo lavoro
come riconoscimento da parte mia di tutti i benefici che ci hai elargito!
4. Cirenio con grande soddisfazione prende in mano il rotolo, lo
sfoglia e ne legge qua e là qualche brano ad alta voce, ascoltato da tutti con
attenzione e grandissima letizia. Ma chi ne prova una gioia particolare è la
Mia piccola Sara, come pure sua madre.
5. E Sara, la quale commossa nell’udire quelle vecchie storie non aveva
potuto ogni qual tratto trattenere le lacrime, esclamò infine, quasi in stato
di esaltazione: «Ma cosa si vuol domandare ancora, per credere quello che si
può afferrare con mano, quello che io ho già afferrato al tempo della mia prima
guarigione? Oh, mio Dio! Simili opere, tanti prodigi ed ancora nessuna fede,
nessuna intuizione, nessuna conoscenza di tutto il divino che fino all’evidenza
si manifesta in tutto ciò? O Signore! Io che sono al Tuo cospetto una povera e
debole peccatrice, Te ne prego, non fare più qui nessun segno! Infatti questo
popolo di Nazaret, salvo rarissime eccezioni, non è degno nemmeno di uno sputo,
per non parlar poi delle Tue sante opere e parole! Io dico apertamente quello
che sento! Se io avessi un potere, questo popolo lo farei digiunare e frustare
così a lungo fino a che arrivasse ad accorgersi di quanto ha peccato non
riconoscendo questa santa epoca della sua prova e dell’immensa grazia!».
6. Dico Io a Sara: (Matt.13,58) «Non conturbare la tua anima, o Mia
diletta, a causa degli stolti e dei ciechi. Io li conosco bene, come pure
conosco il loro scetticismo sciocco e come tu desideri, Io non farò più per
queste ragioni che pochi segni o non ne farò affatto, e tu Matteo che sei il
Mio scrivano, prendi nota del fatto che a causa della nulla fede incontrata qui
nella Mia patria corporale, Io ho tralasciato di fare ulteriori miracoli,
affinché perfino nelle tarde epoche tutto il mondo sappia quanto increduli e di
dura cervice fossero stati questi cittadini di Nazaret al Mio tempo! Noi
tuttavia ci tratterremo in questo luogo ancora per qualche giorno e ce la
spasseremo a dovere, visto che l’opinione di questa gente è che noi siamo dei
fannulloni! Infatti, poiché si sono scandalizzati, che si scandalizzino ancora
di più a sazietà, così si renderanno tanto più maturi per Satana e per il suo
regno maledetto!»
7. Osserva Cirenio: «Io sono molto dolente di non poter trattenermi qui
più di una giornata, in considerazione delle mie gravi cure di governo, ma se,
con riguardo al vergognosissimo scetticismo di questo popolo, io posso
giovarTi, o Signore, in uno o nell’altro modo, non hai che da comandare e da
chiedermelo ed io mi metto immediatamente all’opera! Se Tu lo vuoi, io faccio
flagellare tutta quanta la città all’istante con le verghe!»
8. Gli rispondo Io: «Lasciamo stare ora queste cose! CrediMi, questa
gente è già flagellata e punita più che a sufficienza, dato che essa non crede
in Me, poiché la mancanza di fede sarà un giorno il giudice più inesorabile,
dinanzi al quale non potranno mai giustificarsi! In verità Io ti dico: “Prima e
più facilmente entreranno tutti i principi della lussuria, gli adulteri ed i
ladri nel Regno di Dio di questi non credenti, caproni e zoticoni!”. Ed ancora
in più ti dico quello che so fin troppo bene: “Questi caproni non sono proprio
tanto increduli come mostrano di essere, ma essi non vogliono credere per poter
tanto più liberamente peccare!”. Infatti se, costretti dai segni, accettassero
la Mia dottrina, si affermerebbe in loro necessariamente una coscienza che
sarebbe di impedimento alla loro perversa attività. Per tale ragione essi
preferiscono non voler credere a nulla e con dispute e sofismi verbali cercano
di sbarazzarsi reciprocamente l’animo da qualsiasi verità, anche la più
evidente, pur di poter fare liberamente tutto quello che suggerisce loro il
cattivo istinto ed i desideri perversi. Amico Mio, molto sarebbe da dire a
questo riguardo, ma è meglio tacerne. Lasciamoli stare come sono, perché,
quando una cosa è ormai del demonio, è difficilissimo con mezzi ordinari
riconvertirla in divina!»
1. Dice Cirenio: «Anche questo è buono a sapersi, il resto però si
potrà ben trovare. Poiché essi non accolgono la Tua dottrina, io avrò cura di
pronunciarne un’altra. Per mezzo di Fausto e dei suoi dipendenti io farò
promulgare per loro delle ordinanze imperiali che già da mezzo anno mi sono
pervenute già sanzionate! Forse il Vangelo di Roma incuterà loro più rispetto
del Tuo Vangelo dei Cieli! L’ordinanza contiene cento articoli di legge, dietro
ciascuno dei quali sta la sanzione della croce e della flagellazione! La
poligamia è abolita, la scostumatezza e le manifestazioni della lussuria sono punite
severamente con la sferza, l’adulterio con la croce, il furto e la truffa pure
con la croce, il contrabbando con la flagellazione e con l’ammenda di cento
libbre d’argento e poi una quantità di altre leggi sulla proprietà, la cui
violazione avrà di conseguenza pure la flagellazione e l’ammenda di cento
libbre d’argento! Così pure verrà loro interdetto severissimamente ogni viaggio
senza passaporto, documento che potranno ottenere soltanto con l’esborso di
cento libbre d’argento! Sì, così voglio fare, anzi di queste nuove leggi io mi
varrò specialmente per questa città della Galilea e nel modo più rigoroso, per
vedere se in questo popolo non ci sia proprio più un briciolo di coscienza da
scoprire e da ridestare».
2. Gli dico Io: «Questa cosa rientra nella cerchia delle tue
attribuzioni di governo ed Io non posso al riguardo risponderti né sì né no.
Procedi come vuoi; vedi però che con tali misure non venga resa difficoltosa a
Me ed ai Miei la necessaria libertà di movimento!».
3. Dice Cirenio: «Oh, no assolutamente, poiché l’ordinanza non riguarda
gli artisti, i medici, i saggi ed i profeti. I loro certificati sono le loro
opere e le loro orazioni hanno un valore pieno, come l’avrebbe un lasciapassare
e nessuno può a loro impedire di andare, venire e fare, pena la morte. Io sono
pronto a rilasciarti anche subito un certificato, presentando il quale nessuno
oserebbe farTi nessuna difficoltà alcuna!»
4. Dico Io: «La tua volontà sempre ben disposta Mi è causa di
compiacimento, ma nonostante tutto risparmiati questa fatica! Infatti fino a
tanto che Io vorrò andarmene di qua e di là, nessuna potenza al mondo potrà
impedirMelo, quando però la Mia Volontà sarà un giorno di sacrificarMi per
tutta intera l’umanità, anche allora nessuna potenza al mondo potrà offrirMi
difesa e se pur venisse offerta, tuttavia non l’accetterò! Amico Mio, considera
questo: Colui al Quale Cielo e Terra obbediscono, deve essere certamente più
potente di tutti gli uomini di questa Terra, che possono appena servire da
sgabello ai Miei piedi! Dunque, fa’ tu pure come credi, ma poco frutto ne
ricaverai! Anche se emanerai una legge perfetta, ben presto ti accorgerai con
quanta abilità gli uomini sapranno eluderla e tu non potrai farci niente
contro.
5. I Comandamenti di Dio, che mediante Mosè sono stati dati al popolo,
sono certamente tanto esaurienti quanto lo può essere qualcosa di sommamente
perfetto, ma gli uomini, come lo dimostra il tempo attuale, hanno saputo così
abilmente trasformare i comandamenti di Dio nelle loro proprie massime perfide,
che l’umanità di oggi non è più assolutamente conscia di violare i precetti di
Dio, purché abbia adempiuto ai propri precetti umani e mondani!
6. Ora, se gli uomini fanno già tanto fuor da un legno verde e ricolmo
di umori, cosa non faranno fuori da un ceppo secco e arido venuto da Roma!?
Perciò, tu fa’ pure come vuoi ed Io non avrò nulla in contrario, però ti dico
ancora:
7. “Quante più leggi, tanti più delinquenti, per i quali con il tempo
le vostre croci ed i vostri flagelli non basteranno più!”»
8. Dice Cirenio: «Tutto quello che Tu mi hai detto ora è verità
indiscutibile, pure mi permetto di chiederTi ancora, per mia propria
istruzione, a che cosa si può ricorrere, per combattere lo spirito di ribellione
degli uomini, i quali, in primo luogo come questi nazareni, non credono più né
in un Dio né in una rivelazione superiore e che con ogni loro azione irridono
apertamente ai Comandamenti di Dio! Si deve dunque lasciarli andare senza
alcuna legge terrena rigorosamente sanzionata e facendo così in modo che essi
godano, senza alcun timore, secondo le loro sfrenate voglie, dato che già da
lungo tempo hanno posto al bando ogni legge divina e che i rapporti tra di loro
come con i loro vicini cominciano ad assumere un aspetto molto più maligno e
feroce delle selvagge fiere del deserto e dei boschi? In questi casi
particolari, io penso che delle rigorose leggi terrene sono perfettamente utili
allo scopo di ricondurre ad un certo ordine, e da questa al riconoscimento di
Dio, questa umanità diventata completamente selvaggia?
9. Osservo Io: «Certamente in tali casi non è possibile né pensabile
altro rimedio all’infuori della costrizione tramite leggi terrene, ma ora si
tratta semplicemente di esaminare quali specie di leggi debbano essere date
agli uomini.
10. Per fare ciò si richiede una conoscenza molto profonda della natura
umana e il legislatore non deve mai perdere di vista il vero motivo che ha
provocato la degenerazione dell’umanità, altrimenti assomiglierà ad un medico
che con una sola medicina pretende di guarire indistintamente tutte le malattie
che possono affliggere l’uomo, mentre non pensa affatto che malattie tanto
diverse devono essere, di conseguenza, di natura differente e che ciascuna è
l’effetto di una differente causa. Un medico di questa specie certo che troverà
di quando in quando un ammalato per il quale la sua unica medicina avrà buone
conseguenze e che in seguito guarirà, mentre altri cento ammalati, i cui mali
siano d’altro genere e d’altra natura, non solo non risentiranno alcun
giovamento da quest’unica medicina, ma peggioreranno di molto, se addirittura
non morranno!
11. Ora se già per un corpo ammalato, che pure ogni medico può
esaminare e toccare, è difficile stabilire quale medicina sia la buona, tanto
più difficile deve essere il trovare e lo stabilire una efficace cura per
un’anima umana veramente ammalata.
12. La legge è bensì una medicina, qualora vi si associ un’ordinanza
esplicativa del come e del perché sia da osservare la legge stessa, ora però
pensaci tu stesso un po’!
13. Qui tu hai da fare con un’anima irosa, là con una timida, più in là
con una vendicativa, poi ne troverai una invidiosa, poi un’avara tendente agli
inganni, poi troverai una attiva e avida di sapere, ma di fronte a questa ne
troverai una di indolente e dormigliona, in una casa troverai quattro anime
umili e obbedienti, in un’altra invece cinque orgogliose e ribelli e così di
seguito tante e tante caratterizzate dagli innumerevoli generi e gradi delle
peculiarità animiche, dalle debolezze e dalle passioni.
14. Ora ecco che tu, per tutti questi svariatissimi caratteri delle
anime, prescrivi una legge uguale ed unica, ma che effetto avrà essa? Il timido
sarà trascinato alla disperazione, l’iroso coverà in sé propositi di vendetta e
di ribellione, il tiepido e fiacco rimarrà tale e quale e lo spirito indagatore
perderà ogni coraggio e diverrà passivo, l’avaro diventerà ancora più avaro,
l’orgoglioso farà lega con l’iroso e l’astuto tenderà le mani a tutti e due!
15. Considera adesso bene la cosa e pensa a queste ed alle mille altre
tristissime conseguenze che certamente devono risultare da una legge dettata a
precipizio e grezza. In questo modo appunto rileverai la necessità che una
legge debba venire esattissimamente ed acutamente esaminata, per accertarsi se
possa o no corrispondere nei riguardi correttivi o curativi a tutte le
possibili varietà dei caratteri!
16. Quando una legge progettata non sia prima stata assoggettata ad un
simile profondo esame, non deve essere promulgata agli uomini per l’osservanza,
perché in tale forma essa sarebbe, in generale, più causa di danno che di
vantaggio.
17. Vedi, Dio onnisciente Creatore ha trovato, per così dire, nella Sua
infinita Sapienza, soltanto dieci leggi, che si adattano a tutti i caratteri
delle anime e ciascuna può anche osservarle molto facilmente, sempreché lo
voglia, se però Dio stesso non trova più di dieci comandamenti che rispondano
in maniera piena e veramente efficace alla natura ed alle proprietà di ogni anima
umana, com’è possibile che un imperatore pagano a Roma escogiti addirittura
cento leggi, dall’osservanza delle quali le anime umane debbano trarre la loro
salvezza?».
Cattivo uso
della natura animica da parte delle leggi umane.
1. (Il Signore:) Io ti dico: «Fino a tanto che il popolo ebreo era
retto dai giudici, che soli mantenevano le leggi di Dio e ne curavano il
rispetto, per lungo tempo la vita ed i rapporti civili fra il popolo, salvo
pochissime eccezioni, furono del tutto conformi agli ordinamenti di Dio, ma
quando più tardi il popolo ebbe occasione di osservare lo splendore dei
regnanti pagani e come questi risiedevano in sontuosi palazzi e come i popoli
rispettosi s’inchinavano loro dinanzi fin nella polvere, queste cose piacquero
immensamente ai ciechi e pazzi del popolo ebreo e siccome essi si ritenevano la
nazione più potente del mondo, richiesero che Dio concedesse anche a loro un
re, ma Dio non volle esaudire subito la stolta domanda del popolo ed anzi lo
ammonì e gli dimostrò tutte le cattive conseguenze che esso avrebbe dovuto
sobbarcarsi con il dominio di un re! Purtroppo, Dio, per mezzo dei profeti,
ebbe a predicare a orecchie sorde e le parole a nulla giovarono, poiché il
popolo voleva un re ad ogni costo!
2. Dio diede in Saul il primo re al popolo e lo fece ungere dal Suo
vecchio e fedele servitore Samuele. Ora, quando il popolo ebbe il re che aveva
voluto, che poi non tardò ad imporgli leggi difficili da osservare, soltanto
allora cominciò a decadere sempre più, fino al suo attuale punto di estrema
abiezione.
3. Ma quale ne fu veramente la causa principale? Vedi, essa è
costituita dalle leggi inadatte, dettate dagli uomini, i quali non hanno
conosciuto né la propria natura e meno ancora quella del loro prossimo e con le
loro leggi goffe e commisurate al proprio particolare interesse hanno corrotto
e rovinato completamente ogni interiore vita dell’anima.
4. Io ti citerò un esempio, tu riflettici bene e poi giudica:
ammettiamo che in qualche luogo esista un’opera finissima dell’arte meccanica,
che per lungo tempo funzionò benissimo in corrispondenza alla volontà del suo
artefice, ma che un bel giorno tuttavia ebbe ad arrestarsi a causa di un guasto
verificatosi in qualche sua parte. Ora, ecco presentarsi un tale, pieno di
boria e di presunzione, il quale dice al possessore della macchina: «Affida a
me questo meccanismo ed io vi farò le necessarie riparazioni!» L’altro,
ritenendo capace l’operaio, acconsente e gli dà l’incarico di riparare la
macchina. Ora, cosa potrà accadere della macchina, quando il ciarlatano avrà
posto le mani incapaci su tale lavoro? Questo ciarlatano, completamente a
digiuno di nozioni meccaniche, la cui intenzione altra non era che quella di
estorcere alcune monete d’oro al possessore della macchina, cieco anche lui,
non danneggerà la macchina più di quanto potrebbe giovarle? Oppure non gli
avverrà, infine, di rovinarla interamente, cosicché perfino il vero artefice
che l’ha costruita sarà a mala pena in grado di ridarle del tutto le sue
funzioni?
5. Ma già trattandosi di una macchina tozza e in fondo semplicissima,
le cui parti sono visibili, facilmente maneggiabili e completamente comprensibili,
il caso non può essere necessariamente
che questo: quando un ciarlatano si
propone un lavoro che non è di sua competenza, non fa che portare rovina e
danno; tanto più danno arreca colui che per il suo orgoglio e la sua vana
gloria vuole ripristinare l’ordine nel mondo senza averne la debita capacità,
così da guastare l’uomo che in tutte le sue parti è l’opera d’arte più
sapientemente perfetta e artisticamente formata, della cui costituzione totale
soltanto Dio ha una conoscenza ed una visione perfette e tanto più – ripeto –
viene rovinato l’uomo quando un legislatore, stolto ed egoista, non sciente né
cosciente, si propone di migliorare l’uomo, prescrivendogli delle leggi che
portano il marchio dell’infamia e della degradazione più avvilente, mentre egli
stesso non possiede la benché minima traccia di qualche nozione, tramite la
quale egli potrebbe scorgere, sia pure in una millesima parte, quante e quante
cose si richiedano, anche soltanto per far crescere un solo capello sul capo di
un uomo!
6. E perciò, Mio carissimo amico Cirenio, è meglio che tu lasci stare
le tue cento leggi, perché con queste non potresti procurare un vero
miglioramento a nessuno. Fa’ invece che il dominio l’abbiano le leggi di Dio e
tu sanzionale; con l’osservanza di queste tu farai assurgere queste macchine
umane alla dignità di veri uomini.
7. Quando essi saranno diventati veramente uomini, soltanto allora
esponi loro le necessità dello stato ed essi, quali uomini veri, faranno poi
spontaneamente molto di più di quanto avrebbero potuto fare essendo schiavi
legati da leggi disumane, goffe ed aspre.
8. Io te lo dico: «Quello che un uomo opera di suo libero volere,
secondo la propria concezione libera e perciò ben costituita, ciò soltanto è
veramente ben fatto ed è utile in un modo come nell’altro, invece, ogni azione
ed ogni lavoro che traggono origine dalla costrizione, non valgono uno statere,
perché, per ogni azione ed ogni lavoro imposti dalla forza impositrice, ci sono
sempre dei collaboratori (che si potrebbero chiamare intralciatori) di nome ira
e vendetta contro l’impositore e con ciò non si potrà mai giungere
compiutamente a nessuna opera ed a nessun lavoro.
9. Se tu, carissimo il Mio Cirenio, mediterai bene su queste Mie
parole, dovrà riuscirti perfettamente chiaro che quanto Io ti ho detto
corrisponde alla pura verità!»
10. Risponde Cirenio: «O nobilissimo e divino amico, a me certo non
occorre pensare molto, perché le Tue parole sono tanto vere e chiare quanto il
Sole in pieno mezzogiorno ed io farò tutto come Tu mi hai consigliato. Io darò
nuove sanzioni alla legge mosaica e saprò obbligare il popolo all’osservanza!
Se potesse riuscirTi gradito, tramite il Tuo recondito aiuto spirituale, io
vorrei prescrivere una severa osservanza della legge mosaica, che io bene conosco,
anche ai greci. Né a tale scopo potrebbe mancarmi perfino una ragione politica,
poiché, come è noto, tra ebrei e greci vi sono continuamente degli antagonismi
che per lo più traggono origine dalla diversa fede in Dio, nonché dalla
differente concezione della Divinità. Gli ebrei sostengono per la vita e per la
morte la loro concezione; dall’altro canto i greci, i quali, per quanto riguarda la dialettica,
superano di molto i loro avversari, oppongono con la loro sciolta e pronta
loquela agli ebrei, irrigiditi nelle loro idee, argomenti tali che questi
ultimi non sanno trovare parole per ribattere ai greci e perciò, non di rado,
si verificano tra i due partiti dei conflitti anche sanguinosi, la qual cosa è
una conseguenza certo non desiderabile delle divergenze esistenti in fatto di
fede e di leggi divine.
11. Ora, se io impongo anche ai greci una severa osservanza alla legge
divina mosaica e se, come detto, la sanziono per ragioni politiche di Stato,
sicuramente questi attriti cesseranno. O Signore e Maestro, ho ragione se
faccio così? E se è buona cosa che io faccia così, dichiarami Tu, dal profondo
della Tua immensa sapienza, come devo agire, affinché il buon scopo che mi
propongo venga raggiunto».
1. Dico Io: «Amico, la tua volontà è buona, ma la tua carne è debole!
Il tuo buon proponimento troverà bensì effettuazione completa entro il corso di
un secolo ed a questo scopo potrai tu stesso mandare a compimento ancora
diverse buone cose, come azioni preparatorie; però, trattandosi di cose dello
spirito, è necessario che ti guardi dal tuo romano “dovere costrittivo”, poiché
questo arreca all’uomo più danno che utilità! Ogni costrizione è un giudizio e
non ammette alcuna libertà, la quale nei momenti puro-divini della vita
costituisce l’unico campo bene concimato, sul quale il seme della vita può
germogliare, crescere e maturare, quale un frutto benedetto!
2. Se tu prendi un uccellino appena uscito dall’uovo e cominci a nutrirlo
bene, perché possa quanto prima rendersi capace di volare, ma pur dandogli un
nutrimento di per sé buono ed opportuno tu vai continuamente mozzandogli le ali
che tendono a crescere, dimmi tu, a che cosa potrà servire all’uccellino, in
simili condizioni, anche il nutrimento più ideale? Certo, l’uccello crescerà,
ma di un volo libero non se ne potrà affatto parlare finché ti ostinerai a
raccorciargli le ali!
3. Ma come l’uccello con le ali mozzate non può lanciarsi in volo,
altrettanto lo spirito dell’uomo non può giungere ad una libera attività,
qualora il “dovere imposto e sanzionato” venga a tarpargli le ali del libero
riconoscimento. Ora uno spirito senza libertà d’azione è già morto, dato che
non possiede quello che per considerazione fondamentale costituisce e
condiziona la sua vita.
4. Tu puoi prescrivere all’uomo mille leggi che riguardano unicamente
la sua sfera vitale terrena e puoi imporgliele tutte come un dovere sanzionato,
ma con questo tu danneggerai molto meno lo spirito dell’uomo che se tu fissassi
delle sanzioni terrene anche per un solo Comandamento divino.
5. È bene che lo spirituale resti libero per poter liberamente fissare
la sanzione in se stesso, così come il giudizio ad essa connesso, e solo così
può raggiungere, in sé e di per sé, la perfezione della vita!
6. Il libero riconoscimento del buono e del vero è la luce vitale dello
spirito; è in base a questo riconoscimento che lo spirito stabilisce da sé e
per sé le leggi che gli si confanno. Queste leggi sono allora veramente delle
libere leggi e sono le sole che in eterno si accordano alla libertà della vita.
La volontà dello spirito, secondo il riconoscimento, è la libera legge nello
spirito stesso, e la necessità eterna di operare secondo la libera volontà è
l’eterna sanzione in forza della quale pure nessun spirito può certo operare
altrimenti da come egli liberamente appunto vuol operare.
7. Ora, vedi, in ciò consiste anche quell’Ordine che dalle eternità si
stabilisce da se stesso e che è l’Ordine in Dio, il Quale, come non vi è
dubbio, non ha sopra di Sé nessuno che detti legge.
8. La liberissima Volontà di Dio stabilisce in Se stessa la Legge
secondo conoscenze eternamente perfettissime e criteri eternamente sapientissimi,
e sanziona la Legge mediante la propria personalissima Necessità, sebbene tale
Necessità sia comunque ancora libera. E questa Necessità è poi la base di tutte
le cose terrene create e della loro consistenza, fin dove tale consistenza è
necessaria per la interiore formazione, consolidamento e infine libero
isolamento dello spirito.
9. Lo spirito dell’uomo è chiamato a diventare in sé e di per sé
precisamente altrettanto perfetto quanto in Sé e da per Sé è perfetto lo
Spirito originario di Dio, altrimenti lo spirito non può essere spirito, bensì
resta una morte assoggettata al giudizio.
10. Ma affinché lo spirito dell’uomo possa giungere a tanto, deve
essergli offerta l’occasione di svilupparsi nel tempo, così come lo Spirito di
Dio in Dio stesso si è, fin dall’eternità, formato in Sé e di per Sé e per
potere di Se stesso.
11. Vedi, Io avrei certamente, dalle eternità, sufficiente potenza per
costringere con un’energia interiore irresistibile tutti gli uomini ad operare
secondo una qualche determinata legge, con una precisione tale che essi non
potrebbero deviare nemmeno di una linea dalla direzione prescritta, ma allora
l’uomo cesserebbe di essere uomo e sarebbe invece semplicemente un animale così
come tanti altri annoverati da questo grande regno della natura. Egli allora
compirebbe certamente il suo lavoro con assoluta precisione, ma nel lavoro da
lui compiuto, tu non potresti scoprire mai alcuna differenza, come non è mai
differente il procedimento nella costruzione delle celle da parte delle api né
nel lavoro sistematico di innumerevoli altri animali grandi o piccoli che
siano.
12. Se poi, con il tuo libero discernimento, tu volessi elevare tali
uomini-animali a qualcosa di superiore, avresti nella tua impresa quello stesso
scarso successo che otterresti qualora tu volessi mandare a scuola le api,
perché possano imparare una buona volta a costruire le loro celle in un modo
migliore e più funzionale.
13.Per tali ragioni non devi classificare troppo inferiore e troppo
dannosa e criminosa nell’uomo la facoltà di peccare, perché, senza la facoltà
di poter agire contrariamente alle leggi date, l’uomo non sarebbe uomo, ma un
animale!
14. Anzi, Io ti dico ancora qualcosa di più: “È solo il peccato che dà
la coscienza all’uomo di essere un uomo; senza il peccato l’uomo sarebbe un
animale”».
Della
benedizione della libera evoluzione.
1. (Il Signore:) «Dunque è certamente opportuno e buono punire i
peccatori, quando troppo si scostino dall’Ordine fissato da Dio stesso, agli
scopi di un perfezionamento certo e possibilmente raggiungibile in breve tempo,
ma nessuno deve venir trattenuto dalla possibilità di peccare a causa di una
legge di ferro, perché Io ti dico in verità: “Ai Miei occhi vale più un
peccatore che spontaneamente fa penitenza, che non novantanove giusti secondo
la misura della legge che non hanno mai avuto bisogno di penitenza; il primo è
uomo del tutto, i secondi soltanto per metà”.
2. Con ciò naturalmente io non voglio certo sostenere di preferire in
generale il peccatore al giusto, forse per la ragione che il primo è sempre un
peccatore, perché l’indurire nel peccato non significa altro che diventare un
animale vivente di vita oscura e immonda, fondata esclusivamente sugli stimoli
dell’istinto animalesco. Qui si tratta invece unicamente del peccatore che
liberamente confessa il torto di aver agito contro la legge e che comincia a
prescriversi nuove norme di vita in conformità all’Ordine di Dio da lui oramai
riconosciuto e che diventa un uomo tale cui non è rimasta estranea nessuna
scuola della vita.
3. Un simile spirito sarà un giorno in grado di fare nel Mio Regno cose
infinitamente più grandi di quanto le potrà fare un altro, il quale, dominato
da una specie di timore da schiavo, non avrà mai osato trasgredire la legge
neppure di una virgola e che in questa forzata osservanza della legge, sotto la
pressione del terrore, si sarà degradato allo stato di macchina, incapace di
una volontà propria, e della macchina avrà corporalmente e spiritualmente
assunto le proprietà.
4. Prova a prendere una pietra e a gettarla in alto, non passerà molto
che essa in brevissimo tempo ridiscenderà e cadrà a terra secondo la legge costrittiva
che è insita in essa, come in tutta la Terra. Ma è forse saggio lodare la
pietra per aver obbedito con tanta precisione alla legge? Tu puoi bensì fare
con la pietra ogni cosa possibile, quando si tratta di costruire un fondamento
solido, ma procura alla pietra una qualche attività libera e vedrai che essa
non abbandonerà mai il suo stato di riposo!
5. E perciò tu non devi ridurre gli uomini a delle pietre, imponendo
leggi costrittive, ma devi in questa vece soltanto contribuire a che si educhino
nella loro libertà, allora tu avrai agito in modo pienamente conforme
all’Ordine divino.
6. Vedi, se gli uomini che hanno una posizione altolocata sulla Terra
non fossero tanto pigri, salvo rare eccezioni, quanto veramente sono,
potrebbero anche con un barlume solo di spirito di osservazione accorgersi
molto facilmente che l’uomo, qualora abbia raggiunto un certo grado di cultura,
non si accontenta mai più dell’uniformità e della monotonia propria degli
animali; egli non si costruisce più una capanna con paglia ed argilla per
abitazione, ma taglia invece delle pietre, con l’argilla fa i mattoni e con la
calce si costruisce poi la casa bella, ben disposta, con mura di cinta e con
solide torri, dall’alto delle quali egli può scrutare poi a distanza, se si avvicina
alla sua casa un qualche nemico!
7. E così mille uomini colti si costruiscono certo anche mille
abitazioni, delle quali nessuna si rassomiglia perfettamente né nella forma né
della disposizione interna. Invece, osserva i nidi degli uccelli e le tane
degli animali: non potrai scoprirvi mai qualcosa di diverso. Considera il nido
della rondine e del fringuello, guarda la tela del ragno, l’alveare dell’ape ed
i mille altri prodotti e costruzioni animali, tu non potrai mai constatarvi un
miglioramento o variazione e neppure un peggioramento. Ma vedi in confronto a
ciò quanta infinita varietà tu potrai riscontrare nell’opera degli uomini!?
Eppure sono sempre quegli stessi uomini che spesso con grandi fatiche mandano a
compimento tutto ciò.
8. Ma la conclusione evidentissima cui si deve arrivare è questa: che
Dio, il Quale ha donato all’uomo uno spirito simile a Lui, non l’ha creato
affinché esso scenda allo stato dell’animale, ma affinché s’innalzi, del tutto
liberamente, alla dignità di creatura umana, simile al suo Creatore».
1. (Il Signore:) «Se però l’uomo, senza distinzione di sesso, di colore
della pelle e di condizione sociale terrena, è stato creato da Dio per tale supremo
destino – ciò che ora tu puoi certo afferrare con le mani – così alla sua parte
spirituale non può venir data in eterno alcuna legge costrittiva, per il fatto
che egli, infine, deve divenire ciò per cui Dio l’ha destinato; perciò ciascuna
legge deve essere data con il “dovresti”, e soltanto per gli evidentemente
malintenzionati avversari della libera legge si stabilisca una punizione
opportuna, sempre calcolata considerando il libero miglioramento dell’uomo. La
punizione, però, è bene che sia applicata sempre così da apparire non come una
conseguenza di un atto arbitrario, bensì soltanto come una necessaria
conseguenza della trasgressione della legge dell’ordine. In questo modo lo
spirito umano arriverà in primo luogo all’indipendenza del proprio pensiero e
poi, molto prima che in altri modi, farà sua la legge data e vi agirà di
conseguenza, mentre una punizione – per una mancanza applicata del tutto arbitrariamente –
indurisce, in ogni tempo, ed amareggia
l’animo umano e forma dall’uomo un demonio, la cui sete di vendetta non si
estinguerà prima che egli – o ancora in questo o invece del tutto sicuramente
nell’altro mondo – si sia vendicato nel modo più inaudito, il che deve venirgli
concesso altrimenti nell’inferno del proprio cuore non si potrebbe più
migliorare in eterno!
2. Il legislatore che infligge una punizione non deve mai dimenticare
che lo spirito dell’uomo, sia esso buono o malvagio, non può venir ucciso e
perciò esso continua a vivere! Fino a tanto che peregrina su questa Terra,
visibile nella sua forma umana, puoi ancora in un certo modo tenerlo lontano se
è intenzionato a perseguitarti, ma quando esso è fuori dal corpo materiale,
allora egli ti si può avvicinare in mille maniere per nuocerti ad ogni tuo
passo, senza essere visto né avvertito in nessun modo. Dimmi allora, quali armi
avresti tu per difenderti?
3. Vedi, adesso è il momento di rivelartelo: la tua grande disgrazia,
che senza di Me ti avrebbe annientato del tutto, devi attribuirla unicamente a
quegli spiriti che con l’applicazione spesso troppo aspra delle leggi romane di
stato ti sei resi nemici inesorabili! Fa’ dunque in modo che questi Miei
insegnamenti completi diano i loro frutti nel tuo animo e così diverrai tu
stesso un buon lavoratore nella Vigna di Dio, poiché non ti mancano né forza né
mezzi né una volontà sempre ugualmente buona; quello che ti è mancato, ora lo
hai ricevuto da Me. Tu non hai che da applicare fedelmente quanto hai appreso,
e il premio e la benedizione che ne deriveranno non si arresteranno certamente
a mezza strada»
4. Dice Cirenio, grandemente commosso dalla grande sapienza di questi
Miei insegnamenti: «Oh, mio primo santissimo ed immenso Amico, Maestro e Dio
del cuor mio! Ora soltanto si è fatta in me completa luce e mille e mille
vicende della mia vita mi si riaffacciano alla memoria ed ora soltanto vedo
che, nonostante il mio retto e buon volere sempre vigile, io stesso ho peccato
contro l’Ordine divino molto di più e più gravemente di quelli che ho fatto
condannare in base al rigore della legge! Ma chi mai potrà cancellare dinanzi a
Te, o Signore, questi miei gravissimi peccati?»
5. Gli dico Io: «Amico, sii tranquillo. A Dio sono possibili tutte le
cose ed Io già da lungo tempo ho riscattato tutti i tuoi errori, altrimenti tu
ora non saresti qui, presso di Me!».
Discorso di
Giairo sugli effetti dei miracoli.
1. A questo punto Giairo interviene e dice: «Sì, sì caro Cirenio, tu hai
perfettamente ragione quando asserisci di te stesso che ora vedi tutte le cose
in modo chiaro, perché anch’io sono ora in chiaro, come certamente ognuno di
noi lo è e può constatare in base alla verità incontrovertibile la necessità
eterna del come il tutto è costituito ed altresì come deve essere costituito
l’uomo, però, cosa si può fare in tal caso?
L’umanità è scesa troppo in basso, e una dottrina di dolcezza e di
libertà essa non la comprende e, a dirla francamente, si dovrebbe impiegare
molto tempo per fargliela comprendere, e col rischio che potrebbe essere una
fatica inutilmente sprecata, i cui frutti sarebbero solamente spine e cardi!
Dunque, usando la dolcezza, non c’è da ripromettersi nulla affatto, almeno con
gli ebrei, che io conosco molto bene!
2. Insegnare al popolo usando segni miracolosi è un doppio male; in
primo luogo, perché l’uomo, indotto ad accogliere la verità per la forza di un
miracolo, non è più libero e soggiace al giudizio e non crede alla parola
corroborata dal miracolo, in virtù della verità da poco riconosciuta, ma grazie
alla potenza del miracolo stesso e non diventa operoso secondo la parola udita,
grazie ad un’intima convinzione e all’autodeterminazione che scaturisce dalla
convinzione, ma unicamente spinto dal servile timore di un qualche improvviso
castigo. Se poi ci sarà qualcuno capace di far sorgere in lui dei dubbi circa
il miracolo e di contrastarlo, egli sarà di sicuro il primo a dire allegramente
addio alla parola ed alla fede! In secondo luogo poi, una dottrina, confermata
attraverso il miracolo, non avendo niente di permanente in sé, non può venir
trasmessa alle generazioni future. Ora, un prodigio, di cui si sente parlare e
di cui non ci sono stati testimoni, non ha né può avere di per sé altro valore
che quello dalla favola che si narra ai bambini.
3. Ma ammesso pure che al miracolo si potesse dare un carattere
durevole e che a tutti i maestri della verità si conferisse la capacità di
operare miracoli in qualunque momento e perciò permanentemente, la ragione umana
dopo poco tempo lo classificherebbe tra i fenomeni naturali giornalieri ed esso
perderebbe la sua potenza probatoria e d’altro canto poi avrebbe il valore, né
più né meno, delle solite esibizioni magiche dei giocolieri da strada,
esibizioni anche queste che io non sono capace di imitare e che non so
spiegarmi come e con quali mezzi vengano attuate; ma siccome se ne vedono
troppo spesso, allora perdono quello che di meraviglioso hanno in sé e
finiscono con il cadere nell’usuale quotidiano.
4. Non è già di per sé meraviglioso tutto quello che ogni giorno ci
circonda? Tutto quello che noi udiamo, vediamo e percepiamo, non è già questo
un prodigio? Ma, poiché tutto ciò ha un carattere permanente e si manifesta
progressivamente secondo un ordine sempre uguale, perde la caratteristica del
prodigio e non esercita più sull’animo di nessuno una costrizione alla fede,
come potrebbe farlo un giudizio, che tutt’al più induce all’attività qualche
scienziato o qualche studioso della natura. Questi accostano l’orecchio a terra
e si affaticano ad ascoltare se, forse, l’erba cresce. Però, siccome nonostante
tutte le loro fatiche poco o niente possono ricavare, né possono comprendere
come l’erba cresca, così essi finiscono per assumere una espressione da
sapienti, dandosi l’aria di averlo compreso, ma poiché non possono far crescere
l’erba, allora propinano qualche altro misero artificio magico già vecchio e
molto usato allo scopo di ingannare i ciechi, mentre i vedenti si fanno delle
risate, constatando in quale ingenua maniera i ciechi si lasciano turlupinare
da loro.
5. Dunque è cosa certa che i miracoli, agli scopi del miglioramento
degli uomini, hanno poco valore o, ciò che per lo più è il caso, non ne hanno
affatto, perché quello che io ho detto dei miracoli è purtroppo vero. Essi di
sicuro eccitano comunemente la curiosità anche morbosa dello spettatore, però,
malgrado tutta l’angoscia che possono suscitare nell’anima, non sciolgono i
tenebrosi lacci del cuore ed i curiosi del miracolo rimangono sempre quello che
erano prima, tutt’al più vanno interrogandosi fra di loro nella maniera più
sciocca possibile e dicono: «Ma come mai egli, l’uomo dei miracoli, riesce a
fare queste cose?» Mentre chi è ancor più corto di intelletto non dice niente,
ma vede intorno l’esibitore di prodigi nient’altro che diavoli e diavolerie.
6. Ora, constatato che sul campo del miracoloso ci sono da raccogliere
tanto pochi e affatto desiderabili frutti e che, secondo la Tua chiarissima
esposizione, o Signore e Maestro, ancor meno e peggior frutta c’è d’aspettarsi
che maturi dall’impiego della forza esteriore della legge e considerato infine
che fra mille uomini ce ne saranno sì e no cinque suscettibili di un libero
insegnamento, credo di non aver torto se ora propongo nuovamente l’interessante
problema: Avendo da insegnare come si deve veramente procedere e cosa si può
fare? Perché se il miracolo nuoce, la severità dalla legge nuoce ancor di più;
una dottrina libera, sgorgante dalle profondità della divina Sapienza, è del
tutto accessibile ad un uomo soltanto in casi eccezionalissimi! Come ci si può
trarre da questo dilemma e poi agire? Come si può passare con una nave tra i
famosi gorghi di Scilla e Cariddi[1], senza essere
inghiottiti né dall’uno né dall’altro?».
Tratti
fondamentali dell’Essenza di Dio.
1. Rispondo Io: «Amico, tu hai giudicato molto bene, solamente hai dimenticato
una cosa e questa consiste in ciò, che a Dio sono possibili tante e tante cose,
le quali sono ritenute impossibili agli occhi degli uomini. Considera i Miei
discepoli e poi contali; pochi ce ne sono che abbiano frequentato una scuola.
Ma Io li ho destati in primo luogo per mezzo della Parola e li ho attratti a
Me, e soltanto dopo ho fatto in modo che facessero esperienze riguardo alla
nota potenza della Parola divina. Un atto prodigioso che segua l’enunciazione
della Parola pura non è più un giudizio o una costrizione, ma bensì un rinforzo
della Parola stessa.
2. E perciò Io non intendo che le prove stiano negli atti prodigiosi
che Io vado compiendo, bensì nella Luce della Parola stessa e dico: “Solo chi
vivrà del tutto conformemente alla Mia Parola, avrà in sé la convinzione
vivente del fatto che le Mie parole non sono vuote parole umane, ma sono parole
di Dio!”
3. In verità Io ti dico: “Chi nel proprio cuore non riterrà essere
prova sufficiente quanto ora ho detto, a costui poco o niente gioveranno tutte
le altre prove! Infatti le Mie parole sono di per sé, Luce, Verità e Vita”.
4. Chi di conseguenza ode la Mia Parola, la accoglie e vi conforma le
proprie opere, costui ha già accolto Me stesso; ma chi accoglie Me, costui
accoglie pure Colui il quale Mi ha mandato in questo mondo e che tuttavia è una
cosa con Me. Perché quello che Io voglio, lo vuole anche Lui! Ed Egli non è
altra persona da Me né Io altra persona da Lui, all’infuori della pelle che ci
circonda entrambi. Colui però in cui, come in Me, l’amore e la sapienza,
dimorano in un solo cuore, quegli è come sono Io e come Colui che Mi ha mandato
a questo mondo per la salvezza e la beatitudine di tutti coloro che crederanno
nel Figlio dell’uomo! Avete compreso quello che vi ho detto?»
5. Molti rispondono: «Sì, o Signore!». Però alcuni osservano: «Signore,
questa è, per la prima volta, una dottrina alquanto dura e non si riesce a
comprenderne il senso. Come puoi Tu essere una cosa sola con la Tua Parola?»
6. Dico Io: «Se voi non comprendete i concetti terreni, come potrete
poi comprendere qualcosa di più grande? Chi e che cosa dunque è il Padre?».
Udite bene: «L’eterno Amore in Dio è il Padre! Chi e che cosa dunque è il
Figlio? Il Figlio è ciò che è sorto dalla Fiamma dell’Amore, cioè la Luce, la
quale è la Sapienza in Dio! Ma siccome Amore e Sapienza sono una cosa sola,
così anche Padre e Figlio sono una cosa sola!
7. Chi c’è mai fra di voi che non ha in sé un qualche amore ed anche
qualche grado corrispondente di intelletto? Ed è egli perciò duplice nel suo
essere? Ovvero, se uno ha una lampada che arde e che dà una fiamma chiara, che
è certamente un fuoco, per rischiarare una stanza, è forse necessario che vada
ad accendere del fuoco intorno alla casa, per aver chiaro nella stanza, oppure
basta la lampada accesa in mezzo alla stanza per rischiarare sufficientemente
la medesima? Se la luce che proviene dalla fiamma è un fuoco, perché proviene
da un fuoco, esso è forse qualcosa di differente dalla fiamma stessa? O ciechi
che siete! Se voi non riuscite a farvi un concetto di simili cose del tutto
naturali, come volete comprendere poi le cose del Cielo?
8. E perciò chi di voi si scandalizza di Me, costui ritorni a casa
propria e faccia e creda come più gli pare buono e giusto! Infatti verrà il
giorno in cui ciascuno vivrà della propria fede e delle opere che avrà fatto,
secondo la fede nutrita dal proprio cuore, e quelle saranno poi i suoi giudici!
9. Io infatti non giudicherò nessuno, ma il giudice di ciascun uomo
sarà il suo stesso amore, secondo questa Mia Parola che ora vi ho dato!»
10. Dopo questa spiegazione, coloro che prima non Mi avevano compreso,
vengono vicino a Me e Mi pregano di poter restare, poiché in loro cominciava a
farsi maggior luce e si sarebbero dati maggior pena di quanto non fosse stato
il caso fino ad allora, pur di poter afferrare la Mia Parola più
chiaramente!
11. Però Io dico loro: «Io non vi ho mai cacciati via, però ho soltanto
consigliato tutti coloro che dovessero scandalizzarsi di Me che per la loro
stessa salvezza sarebbe meglio che se ne andassero, piuttosto di continuare a
scandalizzarsi anche in avvenire! Considerato dunque che Io non vi ho mandati
via, perché non dovrebbe esservi concesso di rimanere? Perciò, se il vostro
cuore è privo di scandali, restate!». Dopo questa chiarificazione essi
ritornarono soddisfatti ai loro posti.
Guarigione dei
parenti ammalati di un vecchio ebreo.
1. Ed ecco d’improvviso presentarsi nella sala un vecchio ebreo dei dintorni
di Nazaret e domandare di Me con voce angosciata. I discepoli Mi indicano a lui
ed egli si avvicina, piega le ginocchia e dice con voce di pianto:
2. «O caro Maestro, figlio del mio vecchio amico Giuseppe. Io ho udito
parlare del modo meraviglioso in cui Tu guarisci gli ammalati e perciò, nella
mia grande angoscia, sono venuto da Te, avendo appreso che Ti trovavi a
Nazaret.
3. Ascoltami Maestro, io ho già raggiunto i 90 anni e mi trovo oramai
molto infiacchito, però ho dei figli e dei nipoti che si sono presi cura di me
con tutto l’amore e con ogni attenzione. Ed ecco che una malattia sconosciuta
ed ostinata è scoppiata da poco in casa mia, cosicché ora sono tutti costretti
a letto ed io, l’unico che il male ha risparmiato, sono vecchio e debole e non
so come fare per aiutarli. Nessuno dei vicini si azzarda ad entrare in casa mia
per timore di venire egli stesso colpito dal male, cosicché sono rimasto solo
nella mia disperazione, senza saper dove rivolgermi per aiuto e consiglio! Io
ho pregato Dio il Signore affinché mi aiutasse, magari facendomi morire, se
tale fosse la Sua Volontà!
4. Ma mentre pregavo così, un uomo si affacciò alla finestra della mia
stanza e disse: “Perché dubiti, quando il soccorso ti sta tanto vicino? Alzati
e va’ a casa di Giuseppe! Là si trova il Salvatore Gesù, Quegli soltanto può
aiutarti ed anche ti aiuterà!”. Udito questo, chiamai a raccolta tutte le mie
poche forze, affidai i miei ammalati, che io comunque non posso aiutare in
nessun modo, nelle mani del Signore Dio e mi trascinai, per quanto la strada
non fosse molto lunga, fino qui da Te! E poiché sono stato tanto fortunato a
trovarTi, o caro e buon Salvatore, io Ti prego ora con tutte le mie forze,
affinché Tu ti degni di recarTi in casa mia per soccorrere i miei diciassette
ammalati, che quel male sconosciuto va tormentando tanto orribilmente!»
5. Gli dico Io: «Veramente Io Mi ero proposto, considerata la troppa
mancanza di fede, di non fare alcun prodigio in questa regione, però se tu
davvero puoi credere che sia in Mio potere aiutarti, ritorna in pace a casa tua
e ti sia fatto così come hai creduto!»
6. A queste parole il vecchio Mi ringraziò profondamente commosso e si
rimise in cammino verso casa sua, egli stesso del tutto rinvigorito. Quando fu
vicino a casa, vide venirgli incontro allegramente tutti i suoi diciassette
congiunti, come non avessero avuto nessun male; essi lo salutarono molto
amichevolmente come nel passato e gli raccontarono come mezz’ora prima s’erano
d’improvviso sentiti risanati e, dopo aver provato ad alzarsi, avevano
constatato di non essere mai stati tanto sani e vigorosi, neanche prima di
essere stati colpiti dal male! Essi erano già andati dappertutto in cerca di
lui ed erano già in pensiero, dato che non lo trovavano in nessun luogo.
7. Quando il vecchio ebbe udito questo, allora si rese conto che la
grave malattia aveva abbandonato i suoi nello stesso momento in cui Io a casa
Mia gli avevo detto: “Ti sia fatto così come hai creduto!”
8. Solo dopo essere entrati in casa, i suoi lo pregarono di dire loro
dove fosse stato; e allora il vecchio cominciò a narrare e disse: «Io avevo
saputo che il Guaritore Gesù, la cui fama corre ormai per tutto il mondo, aveva
fatto la Sua ricomparsa a Nazaret. Allora mi misi in cammino e mi recai da Lui,
ed ecco, Egli ha esaudito le mie preghiere, pronunciando le seguenti parole:
“Ti sia fatto così come hai creduto!”. Ed a questa Sua parola voi siete stati
risanati all’istante! Dite ora voi stessi se una cosa simile è mai accaduta in
Israele!»
9. Dicono i sanati: «Ascolta, o padre, se è così, allora Egli deve
essere più che un guaritore miracoloso! Padre, può essere che alla fine Costui
sia magari nuovamente un grande profeta, più grande di Isaia, Geremia,
Ezechiele e Daniele, sì, forse grande come Mosè, Aronne ed Elia! Solo a quelli
era possibile, con l’aiuto di Jehova, fare miracoli tali che tutti gli spiriti
dovevano stare loro completamente sottomessi, sia sotto la terra che sulla
terra, nell’acqua e nell’aria! Ma quando tutti questi spiriti sono sottomessi a
un così grandioso profeta, allora ovviamente Egli deve essere certo in grado di
effettuare all’istante tutto ciò che vuole!
10. Ma come mai è pervenuto il figlio del falegname a tanta
inestimabile grazia di Dio? Noi tutti lo conosciamo molto bene, saranno appena
tre anni da quando Egli ha lavorato qui da noi assieme ai Suoi fratelli! Ed
allora nulla poteva far supporre in Lui qualcosa di simile! Un tale dono
dovrebbe averlo ricevuto soltanto da poco tempo. È ben vero che Egli si è
sempre dimostrato persona quanto mai pia e che il Suo comportamento è stato
sempre esemplarmente corretto. Lavoratore tranquillo e silenzioso, non parlava
mai se non vi era assoluta necessità. Non Lo si vide quasi mai ridere né tanto
mai a fare cordoglio, e così è ben possibile che Jehova abbia avuto riguardo
per la Sua virtù o che gli abbia concesso una simile grazia, perché Jehova non
prende mai in considerazione la reputazione che uno ha sulla Terra, ma
unicamente l’integrità e la purezza del cuore!»
11. Osserva il vecchio: «Sì, è veramente possibile che voi abbiate
ragione, anzi, così deve essere, ma se la cosa, come io più non dubito, sta
veramente in questi termini, bisogna che domani di buon mattino noi andiamo da
Lui, per offrirGli le nostre lodi, la nostra gratitudine ed i nostri
ringraziamenti! Dinanzi ad un profeta visibilmente chiamato da Dio ed unto dal
Suo Spirito è bene che ognuno di noi pieghi le ginocchia! Infatti non è il
profeta, ma è Dio stesso che parla ed agisce per mezzo del cuore e della bocca
del profeta!»
12. Allora tutti concludono: «E così sia, questo dovrà essere il nostro
primo e supremo dovere!». Quella gente poi rientrò in casa ed i giovani si
accinsero a preparare la cena, visto che l’appetito aveva cominciato a farsi
sentire.
Scena tra i
farisei avidi di eredità e il genero del vecchio.
1. Ora i farisei di Nazaret, avendo appreso che gli abitanti di quella
casa erano tanto gravemente ammalati da far pensare che non potessero guarire,
si recarono là per prendere in anticipo tutte le disposizioni circa i funerali
e la decima ereditaria; perché a morte avvenuta essi non avevano più nessun
diritto da far valere sull’eredità, essendo l’ammalato trapassato senza la loro
assistenza, nel qual caso subentrava poi quale erede lo Stato. Quando dunque,
spinti da tale motivo, i farisei arrivarono a notte già inoltrata e mentre la
gente di casa, finita la cena, si disponeva a coricarsi, quegli avidissimi
ricercatori di anime defunte fecero un viso disperatamente lungo, allorché
poterono sincerarsi che gli abitanti di quella casa, supposti per lo meno mezzo
morti, si trovavano nel miglior stato di salute desiderabile!
2. Il primo dei farisei, entrato con tutta circospezione e trattenendo
il respiro, disse: «Oh, oh, che cosa mai è questo? Siete ancora vivi? Noi
ritenevamo che per lo meno voi foste per la metà già trapassati e siamo perciò
venuti per benedire le vostre anime e seppellire i vostri corpi secondo
l’usanza dei nostri padri! Chi dunque vi ha guariti? Boro non è stato di certo,
perché sappiamo che non è venuto da voi quando fu chiamato; è da credersi che
egli abbia avuto come noi una grande paura del vostro male che era
assolutamente grave. Allora, chi mai è stato il vostro medico?»
3. Risponde il genero del vecchio, persona energica e robusta tanto
nella parola che nell’azione: «Che scopo avete voi di farci simili domande,
dato che non siete stati voi a guarirci? Credo che neppure vi dobbiamo qualche
cosa, come pure voi non dovete qualche cosa a noi! Siccome per la nostra salute
non ci siete venuti affatto e se non ci fosse di mezzo la decima ereditaria
nessuno vi avrebbe visti, perciò io vi dico: “In questo caso potete restare
lontani, per l’eternità, da questa nostra casa! Perché, se voi non potete, non
volete o non vi fidate di portare aiuto in una casa che è in estremo pericolo,
allora ricorra a voi chi vuole! Per quanto concerne la nostra casa, vi posso
assicurare che non verrà mai in cerca di voi! In verità, in tutto il vostro
agire, voi siete peggiori dei vermi della terra che non esistono che per
divorare, non fanno niente di buono e soffocano e guastano ogni buon frutto
della terra! Levatevi dunque presto fuori dai piedi, altrimenti avrete a che
fare con noi!
4. Dice uno degli anziani: «Eh via, per andarcene ce ne andremo bene
anche noi, però non vi costa già niente se fate il favore di dirci chi vi ha
guariti! Noi abbiamo pregato per sette ore al giorno e vorremmo perciò sapere
se, forse, la guarigione è avvenuta miracolosamente grazie alle nostre
preghiere, perché con mezzi naturali certo nessuno avrebbe in nessun caso
potuto aiutarvi! Allora ditelo, considerato che le parole non vi costano
nulla».
5. Dice il genero: «Ed io vi dico di andarvene, mentitori che non siete
altro! È ben possibile che voi abbiate pregato sette ore al giorno per invocare
la nostra morte e guadagnare quindi la decima ereditaria e non perché noi
restassimo in vita. Voi non siete venuti qui per il piacere di salutarci come
dei risanati, ma per commisurare su noi, presunti moribondi, la vostra famosa
decima e per mettervi su le vostre aride mani, dopo che saremmo morti! Oh,
vecchi volponi, io conosco molto bene voi e le vostre sante preghiere, perciò
vi ripeto con le buone di andarvene, altrimenti si sarà costretti a far uso del
diritto che abbiamo di star tranquilli a casa nostra! Però voi non sarete mai
più degni di pronunciare il Nome di Colui che ci ha guariti!»
6. Insiste l’anziano: «Ebbene, ammettiamo pure di essere come tu dici;
però non è escluso che noi possiamo essere o diventare anche altro da quello
che credi! È evidente che qui è successo un miracolo e questo fatto può
contribuire molto facilmente a farci cambiare del tutto il nostro modo di
pensare e di agire! Dateci dunque l’informazione che vi chiediamo!»
7. Risponde il genero, quasi fuor di sé: «Niente e nessuno potrà mai
cambiarvi in questo mondo, neppure Dio in persona! Se voi foste passibili di un
cambiamento, sareste cambiati già da lungo tempo, perché vi sono Mosè e tutti i
profeti che rendono testimonianza contro di voi! Il vostro vero Dio è Mammone
ed esso consiste in oro e argento! Questo è il Dio che voi servite nei vostri
cuori e soltanto in apparenza vi ravvolgete esteriormente nella veste di Mosè e
di Aronne, per poter voi, lupi rapaci, sotto le spoglie della pecora, con tanto
maggiore facilità insinuarvi tra il gregge degli agnelli e per sbranarli e
divorarli con le vostre mortifere zanne!
8. Però Jehova vi conosce e non mancherà certamente di darvi quanto
prima la ricompensa che da ben lungo tempo vi siete meritati! Dio ha ormai
suscitato Gesù, il figlio del falegname Giuseppe, come nei tempi passati ha
suscitato Mosè! E questo Gesù, il Quale mediante la Sua potente Parola ha
ridonato istantaneamente a noi tutti la salute senza neppure venirci vicino,
questo Gesù vi dirà anche senza alcun dubbio quali e quanti siano i vostri
meriti innanzi a Dio, perché Egli è pieno dello Spirito di Dio, come voi lo
siete di quello di Belzebù! Dunque, sia per l’ultima volta che io vi dico di
andarvene e di non ricomparire mai più dinanzi a questa casa, in caso diverso
ve ne pentirete!».
9. Dopo queste parole i farisei non attendono altro e se ne vanno
pensando agli strani casi di Gesù che di nuovo si era parato attraverso le loro
vie e si consigliano sul come avrebbero potuto sbarazzarsi di Lui, per evitare
il tremendo pericolo che Egli avesse a sobillare in breve tempo tutti gli ebrei
contro di loro, come era già avvenuto in quella casa.
10. Ma mentre essi stanno con tutto fervore accarezzando tali pensieri,
succede dietro di loro uno scoppio violentissimo, come di tuono, per la qual
cosa essi con grandissimo spavento accelerano il passo e ammutoliti si
affrettano a rientrare in città.
I farisei
leggono il salmo 37. Il saggio consiglio di Roban.
1. I farisei appena arrivati a casa prendono il libro dei salmi di
Davide, lo aprono a caso e cade loro sott’occhio il salmo 37 e l’anziano
comincia subito a leggere. Ora questo salmo diceva:
2. «Non crucciarti a causa dei maligni, non invidiare quelli che
operano perversamente, perché saranno subito recisi come fieno e si
appassiranno come erbetta verde. Confida nel Signore e fai del bene, tu
abiterai nella terra e vi pasturerai in confidenza. E prendi il tuo diletto nel
Signore ed Egli ti darà quello che il tuo cuore desidera. Rimetti la tua via
nel Signore e confidati in Lui ed Egli farà ciò che bisogna fare e susciterà la
tua giustizia come una luce e il tuo diritto come il mezzogiorno.
3. Attendi il Signore in silenzio; non crucciarti per colui che
prospera nella sua via, per l’uomo che opera scelleratezza. Astieniti dall’ira
e lascia il cruccio, non avere invidia per fare il male. Perché i maligni
saranno sterminati, ma coloro che sperano nel Signore possederanno la Terra.
4. Fra breve tempo l’empio non ci sarà più e se tu poni attenzione al
suo luogo, questo non vi sarà più. Ma i mansueti possederanno la Terra e
gioiranno in gran pace. L’empio fa delle macchinazioni contro il giusto e
digrigna i denti contro di lui, perché egli vede che viene il suo giorno. Gli
empi hanno tratto la spada ed hanno teso il loro arco, per abbattere l’afflitto
e il bisognoso, per ammazzare quelli che camminano rettamente. La loro spada
entrerà nel loro cuore e i loro archi saranno rotti.
5. Il poco del giusto vale di più dell’abbondanza dei molti empi.
Perché le braccia degli empi saranno rotte; ma il Signore sostiene i giusti. Il
Signore conosce i giorni degli uomini giusti e devoti e la loro eredità rimarrà
in eterno. Essi non saranno confusi nel tempo dell’angustia e saranno saziati
nel tempo della fame. Ma gli empi periranno ed i nemici del Signore
appassiranno come il verde splendore dei prati e si disperderanno, come si
disperde il fumo. L’empio prende in prestito e non ritorna, ma il giusto
elargisce e dona».
6. Dopo questi versetti uno dei farisei si leva e dice all’anziano che
legge: «Cosa sono queste sciocchezze che ci vai leggendo? Non vedi dunque che
tutto ciò si riferisce dal lato cattivo a noi, mentre dal lato buono non può
riguardare che il figlio del falegname? Questo ha maledettamente l’aspetto di
una testimonianza contro di noi e tu vai leggendo la cosa con tutta scioltezza
e tranquillità, come se si trattasse di un messaggio di lode del sommo sacerdote
a Gerusalemme, diretto a noi!»
7. Risponde l’anziano: «Amico, non fa affatto male se ciò contribuisce
a farci vedere le cose che ci riguardano in una luce più chiara di quanto sia
avvenuto finora! È meglio che noi ci riconosciamo prima fra noi stessi, piuttosto
che rischiare un po’ più tardi, svelati e nudi davanti al mondo, come
ingannatori del popolo e sprezzati ed abbandonati da tutti! Infatti non può
infine dipendere che da Dio soltanto lo stabilire quanto tempo noi possiamo
durare nella maniera usata fino adesso senza essere scoperti, e perciò io
voglio continuare a leggere questo salmo interessantissimo!»
8. Dicono parecchi altri: «Hai ragione, prosegui pure!»
9. L’anziano continua la sua lettura:
10. «Perché i benedetti del Signore erediteranno la Terra, ma quelli
maledetti da Lui saranno sterminati!»
11. A questo punto il fariseo domanda tutto ansioso: «Veramente chi
possono essere i benedetti e chi i maledetti?»
12. Dice l’anziano: «Che i benedetti non siamo noi, mi pare che ormai
ci voglia poco a capirlo, basta considerare la sempre crescente persecuzione
dei romani contro di noi! Infatti se noi fossimo invece i benedetti, Dio non
avrebbe certo mandato questa inaudita piaga sulla nostra benedetta Terra! Tutto
il resto puoi tu stesso decifrarlo facilmente. Ora però continuo a leggere:
13. “I passi dell’uomo, la cui via il Signore gradisce, sono
indirizzati da Lui. Se cade, però, non rimarrà a terra, perché il Signore gli
sostiene la mano. Io sono stato fanciullo e sono anche divenuto vecchio e non
ho mai visto il giusto abbandonato, né la sua progenie accattare il pane. Egli
tutto ti dona e presta e la sua progenie è benedetta.
14. Desisti dal male e fai il bene! Rimani giusto sempre; poiché il
Signore ha cara la giustizia e mai abbandona i Suoi santi. In eterno essi
vengono custoditi; ma il seme degli empi sarà sterminato. Soltanto i giusti
ereditano il Paese e vi rimangono in eterno.
15. La bocca del giusto risuona di sapienza e la sua lingua pronuncia
rettitudine. La legge di Dio è nel suo cuore ed i suoi passi non vacilleranno.
L’empio spia il giusto e cerca di ucciderlo; il Signore non glielo lascerà
nelle mani e non permetterà che sia condannato quando sarà giudicato.
16. Aspetta il Signore e mantieni la Sua via ed Egli t’innalzerà affinché
tu erediti la Terra, e tu vedrai che gli empi saranno sterminati.
17. Io ho visto un empio molto possente che si distendeva come un lauro
verde, ma egli è passato via, ed ecco, egli non è più ed io l’ho cercato e non
l’ho trovato.
18. Guarda l’integrità e guarda alla rettitudine, perché vi è
ricompensa per l’uomo di pace, ma i trasgressori della Legge di Dio saranno
tutti quanti distrutti. Ogni ricompensa è recisa agli empi, ma ai giusti ogni
aiuto è dal Signore. Egli è la loro fortezza nel tempo dell’afflizione e il
Signore li aiuta e li libera dagli empi e li salva, perché hanno confidato in
Lui”».
19. E come l’anziano è giunto alla fine del salmo, il fariseo tutto
infuriato gli si fa contro e grida: «O vecchio testone! Non vedi che con questo
salmo risulta che siamo noi gli empi e che i giusti sono coloro che parteggiano
per Gesù? Non capisci che così noi rappresentiamo coloro che distruggono e che
gli altri dovrebbero ereditare la Terra? Non siamo appunto noi che tentiamo di
distruggere Lui, il presunto giusto, mentre Dio lo mantiene? Hai scelto proprio
un bel salmo per noi!»
20. Dice l’anziano: «Non sono stato io a prescriverlo, è il libro che
parla chiaro e se noi restiamo come siamo ora, bisognerà bene che lo digeriamo
fino alla fine! Comprendi questo, nonché la Potenza di Dio?»
21. Interviene un altro e dice: «Io comprendo questa cosa meglio di voi
tutti! Il nostro amico Roban ha dovuto leggere questo salmo perché l’ha indotto
il figlio del falegname con il suo potere magico, che a noi riesce certamente
del tutto incomprensibile! Infatti se egli ha potuto guarire con una sola
parola tutta la famiglia presso la quale noi abbiamo cercato invano la nostra
salute d’oro e d’argento, non v’è dubbio che egli deve altresì poter
costringerci a leggere quei salmi, soltanto che è evidentissimo che oggi
testimoniano contro di noi, come l’hanno fatto a suo tempo contro i nemici di
Davide.
22. Oltre a ciò pare che il vecchio Giuseppe sia stato veramente in
linea diretta un discendente di Davide e poi anche Maria, la seconda moglie di
Giuseppe, dovrebbe discendere dalla stessa linea, così Gesù ora viene chiamato
“figlio di Davide” e per questa ragione è probabile che il vecchio Giuseppe,
che era sempre stato una volpe astutissima, abbia di nascosto fatto imparare a
suo figlio ogni arte magica possibile, perché questi facesse valere le
medesime, per strabiliare romani e greci superstiziosi, presentandosi come
figlio di Giove o di Apollo e inducesse poi senza alcun dubbio i romani a
proclamarlo loro re! Infatti se i personaggi che risiedono a Roma sono così
ciechi come questi qui che tengono il comando dell’Asia, e Gesù, per così dire,
li ha già messi nel sacco, non occorrerà che passi molto ed egli potrà dettare
legge ai romani, ma allora saremo ben conciati anche noi!»
23. Dice un altro: «Questa è un’impresa che si potrà ben far
procrastinare forse per mezzo di una missiva segreta all’imperatore?»
24. Dice il primo: «Ti sarà assai difficile far procrastinare qualcosa
a lui che per virtù delle sue facoltà magiche può scrutare tutto quello che di
più nascosto tu puoi pensare! Chi, se non lui, è stato a spaventarci con lo
scoppio di tuono quando ritornavamo a casa? Perché egli certamente avrà
percepito quello che abbiamo detto fra di noi contro di lui! E perciò chi se
non lui ci ha fatto leggere un salmo che si presenta quale una severa
testimonianza contro di noi?
E perché questo? Perché egli di sicuro ha saputo quello che intendevamo
concludere a suo danno! Se non lo credi, va’, mettiti al tavolo e tenta di
stilare una missiva segreta per l’imperatore ed io ti garantisco che tu o non
sarai in grado di scrivere nemmeno una parola oppure sarai costretto a firmare
qualche terribile testimonianza contro te stesso e tutto ciò in virtù della sua
incomprensibile e misteriosa potenza magica!
25. Poi bisogna considerare che perfino il nostro preside Giairo è
ormai tutto, anima e corpo, per lui, avendo risuscitato per ben due volte da
morte la figlia e lo aiuta in tutto quanto egli possa desiderare; dunque, io
penso che neppure a Gerusalemme si potrebbe intraprendere nulla contro di lui!
A dirla breve, siamo inchiodati e legati da tutte le parti e non possiamo
opporci a lui in nessuna maniera! Perciò il meglio che si possa fare, secondo
me, per ora è fare buon viso a cattivo gioco, oppure dichiararci completamente
suoi discepoli, perché non possiamo intraprendere con qualche efficacia niente
contro di lui, in quanto noi non possiamo neppure cominciare a pensare qualcosa
senza che egli giunga a saperlo all’istante»
26. Dice il vecchio Roban: «Di questa opinione sono anch’io, infatti a
noi non resta altro da scegliere: o ci manteniamo del tutto indifferenti,
oppure abbracciamo la Sua dottrina e facciamo come Egli ci consiglia e ci
invita, poiché un simile ostacolo per il momento non si può né infrangere né
girare!»
27. Concludono tutti: «Meglio di tutto è che noi stiamo semplicemente a
guardare, così non ci immischiamo né con Roma né con Gerusalemme e in questo
modo solo può consistere la prudenza che deve esserci ora di guida».
28. E dopo ciò tutti si ritirano a riposare, mentre ognuno ponderava in
segreto che cosa doveva fare da parte sua.
Roban,
l’anziano dei farisei, da Gesù
1. La mattina seguente Roban tuttavia si presenta in casa da Me e
chiede se gli è concesso di parlarMi.
2. Io però gli rispondo: «Io so già quello che Mi vuoi dire, ma quello
che Io ho da dirti, tu non lo sai e perciò ascoltaMi».
3. Dice Roban: «Se Tu vuoi parlare, parla, ed io Ti ascolterò!».
4. Dico Io: «Tu ieri hai letto il salmo, era proprio il 37°. Questa
lettura ha profondamente colpito te ed i tuoi colleghi, questo vi ha fatto
meditare un po’ e poi vi siete consigliati se dovevate mantenervi passivi di
fronte a Me o se sarebbe stato meglio dichiararvi Miei discepoli. Voi vi siete
decisi per l’indifferentismo! Tu, però, durante la notte hai riflettuto ancora
se era forse il caso di farti Mio discepolo ed ora sei venuto qui per
chiederMelo direttamente.
5. Ma Io non posso dirti né sì né no e se tu vuoi restare, resta, ma se
vuoi andartene, va’ pure! Perché, vedi, di discepoli ne ho abbastanza! Qui in
casa Mia ci sono parecchie stanze e sono piene tutte di discepoli. Fuori
all’aperto tu puoi veder rizzate delle tende e queste sono pure occupate dai
Miei discepoli. Qui, vicino a questa Mia stanzetta, c’è la grande sala da
lavoro e da pranzo, dove, poiché è ancora mattino molto presto, riposano gli
alti detentori del potere temporale di Roma ed anch’essi sono Miei discepoli,
in un’altra stanzetta qui vicino abita il preside Giairo con la moglie e la
figlia, che Io ho risuscitato per due volte da morte; ed ecco, egli pure è un
Mio discepolo. Dunque, se Io annovero tali uomini fra i Miei discepoli, tu pure
puoi diventarlo come loro, però, come vedi, Io non vengo in cerca di te!
Perciò, se vuoi, rimani e se non vuoi, vattene, perché entrambe queste vie ti
sono aperte»
6. Dice Roban: «Signore, io resto ed è molto probabile che dei miei
colleghi molti ancora, a pari mio, verranno e resteranno, perché comincio a
comprendere che in Te ci deve essere qualcosa di più dell’arte misteriosa di un
mago dell’Oriente! Tu sei un profeta unto da Dio del tutto speciale, tale quale
prima di Te non ce ne fu mai un altro e per questo io resto!
7. È vero che sta scritto che in Galilea non può sorgere alcun profeta,
ma io non ci tengo ormai più un granché a queste cose, perché per me vale
l’azione effettiva ed evidente più dell’enigmatica lettera della Scrittura che
nessuno è capace di comprendere secondo la profonda e vera sapienza. Bisogna
aggiungere che, a quanto mi consta, Tu non sei neppure nativo della Galilea,
bensì di Betlemme e quindi anche per ragione di nascita puoi benissimo essere
un profeta. Mi sento molto attratto da Te e mi trovo molto bene in Tua
compagnia, dunque, io resto. Io non posseggo grandi sostanze, ma tuttavia
quello che posseggo può bastare per tutti noi per il tempo di interi 30 anni!
Se ci sono degli onorari da pagare, la metà dei miei beni sono a Tua disposizione!»
8. Gli dico Io: «Va’ là dai Miei discepoli e chiedi loro quanto Mi
versano per l’istruzione e per il mantenimento, altrettanto pagherai tu pure!».
9. Allora Roban chiese subito a diversi dei discepoli là presenti
qualche particolare in proposito, ma questi gli risposero: «Il nostro santo
Maestro non ci ha mai chiesto neanche uno statere, quantunque Egli sempre
provveda a tutto per tutti noi. Certamente Egli non chiederà a te più di quanto
richiede a noi. Fede ed amore, questo soltanto Egli ci ha sempre domandato»
10. Roban continua ad interrogare: «Anche voi potete operare qualcosa
di speciale che sia incomprensibile per l’intelletto umano? E se lo potete,
riuscite a capire come ciò sia possibile?»
11. Risponde Pietro: «Se si rende necessario, possiamo anche noi fare
cose simili, mediante la Forza del Maestro in noi e comprendiamo perfettamente
bene come esse siano molto facilmente possibili. Se tu vuoi diventare veramente
un Suo discepolo, allora potrai anche tu operare tali cose e potrai benissimo
comprendere quello che opererai! Infatti qui è l’Amore che detta la legge ed è
la Sapienza che l’adempie»
12. Chiese ancora Roban: «Ma non ti è mai accaduto di pensare se in
questi fatti straordinari non abbia forse anche Satana la sua parte?»
13. E Pietro risponde: «O povero cieco che sei, perché fai questa
perfida domanda?
Come può aver parte Satana in una cosa nella quale agisce l’influenza
suprema e onnipotente di tutti i Cieli? Io e tutti gli altri discepoli con me
abbiamo visto i Cieli aperti e le innumerevoli schiere degli angeli di Dio
scendere in terra e ci fu dato ancora di vedere come essi servivano Lui e noi
tutti assieme! Ma se è così, come si può parlare di una partecipazione di
Satana?
14. Ma se tu non puoi credere a quanto ti dico, va’ a Sichar e là
informati presso il capo dei sacerdoti Jonaele e presso il ricco mercante
Jairuth, il quale abita fuori Sichar, nel castello di Esaù, che è ben
conosciuto. Questi amici nostri potranno raccontarti fedelmente Chi è Colui del
Quale ci è stata concessa l’immeritata suprema grazia di essere Suoi discepoli!
Tanto da Jonaele che da Jairuth tu troverai degli angeli in forma corporea
visibile che sono ancora al loro servizio».
15. Quando Roban ebbe udito queste cose, si avvicinò impetuosamente a
Me e Mi domandò se Io non avessi niente in contrario che egli intraprendesse un
viaggio a Sichar.
16. Ed Io gli dissi: «Assolutamente no! Va’ pure ed informati di tutto
e quando sarai di ritorno, riferisci ai tuoi fratelli e colleghi tutto ciò che
avrai udito e visto. Quando avrai compiuto questo incarico, il cui buon effetto
non potrà mancare, allora vieni nuovamente da Me e seguiMi! Tu là avrai già la
possibilità di apprendere da che parte, nel frattempo, Mi sarò recato. Se tu
però, passando per Sibarah, la prima stazione delle gabelle da qui e poi per la
strada di Chis e di Cana e passi per la Samaria e ti si domanda qual è la meta
del tuo viaggio ed in nome di chi lo compi, dì che viaggi nel Mio Nome e allora
sarai lasciato passare liberamente dappertutto. Ma non andare con la tua veste
d’anziano dei farisei, perché con questa non potresti andare molto lontano.
Indossa invece una veste semplice e comune e non incontrerai nessun ostacolo in
Samaria».
17. E quando Roban ebbe udito queste cose da Me, si dispose subito a
mettersi in viaggio e così egli andò in terra straniera, per cercare e
conoscere quello che già gli stava così vicino nella propria terra.
18. Vi sono sempre degli uomini che credono che fra gli estranei si
possa vedere, sentire ed imparare più cose che in casa propria. Eppure un unico
Sole splende per tutte le parti del mondo. Certo, in terra straniera si possono
conoscere altre regioni, altri uomini altri costumi e lingue, ma che il cuore ne
guadagni qualcosa, questa è un’altra questione!
19. Chi se ne va tra gente straniere per procurarsi là migliori
distrazioni e piaceri, costui scarso profitto ne ritrarrà per l’educazione del
proprio cuore, ma chi invece si reca in terra straniera per rendersi utile a
quegli uomini e per portare loro una nuova luce, costui vada pure ed operi, che
in questo caso il viaggio gli procurerà lauti guadagni.
20. Ciascun profeta maggior vantaggio trova in terra straniera che non
nella propria patria e nella propria casa.
Giosa,
l’anziano, ringrazia il Signore.
1. Quando Roban fu partito, ecco presentarsi il vecchio che si chiamava
Giosa, con i suoi figli e nipoti in quella notte guariti, il quale era venuto per
renderMi grazie lode e onore e che Mi pregò che Io gli permettessi di
trattenersi con i suoi tutta la giornata in Mia compagnia.
2. Ed Io gli dissi: «Fai pure come desideri. Ieri notte tu hai dovuto
sostenere ancora una lotta con i farisei per causa Mia e voi tutti vi siete
comportati bene nel Mio Nome. Ma proprio per questo motivo in futuro sarete
liberati da ogni piaga di questo genere e nessun avido zelota varcherà mai più
la soglia di casa vostra! Ed ora andate dai Miei discepoli ed essi vi spiegheranno
tutto quello che dovrete credere e fare da oggi in poi!».
3. A queste parole avanza Pietro e conduce l’intera compagnia da Matteo
lo scrivano e questi dà loro da leggere tutto ciò che riguarda le esperienze
fatte dai discepoli e quello che Io ho insegnato.
4. E quando in questo modo si è provveduto per il loro spirito, escono
dalle loro stanze Cirenio, Cornelio, Fausto e il preside Giairo con la moglie e
sua figlia, i quali con parole amichevolissime Mi salutano e Mi rendono grazie
per il buon sonno ristoratore e per i bellissimi sogni avuti in quella notte.
Ed Io ricambio i loro saluti e li rendo attenti della nuova compagnia appena
arrivata, composta da coloro che erano stati guariti.
5. E Cirenio va loro vicino e s’informa dettagliatamente delle loro
vicende. Ma quando egli ebbe udito le inqualificabili gesta dei farisei, non
poté trattenersi ed al colmo dell’ira esclamò: «O Signore! No! per il Tuo
santissimo Nome questo non deve essere tollerato! Io non posso più indulgere
con questi discepoli di Satana! Io devo punirli, anche se ciò dovesse costarmi
la vita! Ma si possono forse immaginare dei lupi, delle iene, delle volpi
peggiori di queste? Delle belve simili non si possono trovare in tutta la
Palestina, né in tutta l’Asia! Che differenza c’è fra loro ed i più rapaci
ladri e predoni da strada? O perfidi, o bestie ferocissime! Si fanno chiamare
servi di Dio e perciò esigono dappertutto lode ed onori quando è giorno, ma
calata la notte escono ignominiosamente per aggredire e predare! Ebbene, aspettate
un po’ ed io vi farò passare la voglia delle scorrerie notturne in modo che ve
ne ricorderete per un bel pezzo!»
6. Dico Io all’adirato governatore: «Amico Mio, lascia andare! Infatti
quello che tu vorresti fare adesso, l’ho già fatto Io la scorsa notte in un
modo che loro possano avvertirlo molto più facilmente e la conseguenza sarà che
tutti accoglieranno ben presto la Mia dottrina. L’anziano tra loro, di nome
Roban, è stato qui già oggi ed ha già accolto la Mia Dottrina e perciò l’ho già
inviato, quale già Mio discepolo, a Sichar, dove avrà occasione di vedere e di
imparare molte cose. In due giorni egli sarà di ritorno e certamente riuscirà a
portare anche i suoi colleghi dalla Mia parte! Ora vedi, questo è meglio della
sferza, della croce e della scure!»
7. Dice Cirenio, molto più calmo: «Se è così, io ritiro molto
volentieri la mia parola e non farò emanare contro di loro alcuna sentenza né
aspra né dolorosa, però bisognerà che mi rendano conto delle loro azioni!»
8. Osservo Io: «E sia pure, ma non già stamani, bensì nel pomeriggio,
poiché noi intendiamo occupare con qualche cosa di meglio questo magnifico
tempo. Ma ora andiamocene anzitutto a colazione.
9. Infatti Boro aveva fatto nel frattempo costruire all’aperto una
quantità di tavoli. In questo lavoro i Miei fratelli, che erano falegnami, gli
erano stati di grande aiuto e così si trattava di fare colazione all’aperto in
quella giornata che era vigilia di Sabato, quindi giorno di festa. C’erano
circa cinquanta grandi tavoli con le rispettive panche, provvisti di cibi e
bevande ed era davvero una scena quanto mai piacevole quella offerta dalle
centinaia di ospiti di ogni classe, i quali già al loro posto e qua e là
intonando dei salmi facevano onore alla ricca imbandigione. Nel mezzo, fra le
numerose tavole, era eretta una specie di tribuna, sulla quale ci attendeva una
grande mensa adorna con molto buon gusto, fornita di cibi. E Noi, cioè Io,
Cirenio, Cornelio, Fausto, Giairo con la moglie e la figlia, Mia madre ed i
dodici apostoli vi prendemmo posto e là, tra edificanti e serene conversazioni,
consumammo la colazione che Fausto e Boro avevano fatto così preparare.
10. Alla nostra compagnia mancava però Lidia, la giovane sposa di
Fausto, che quest’ultimo aveva lasciato a casa sua a Cafarnao, a causa delle
molte faccende domestiche cui c’era d’accudire, anche se essa lo avrebbe quanto
mai volentieri accompagnato a Nazaret. Mia madre gli mosse perciò qualche dolce
rimprovero ed egli, spiacente d’aver lasciato a casa la sua moglie carissima,
prese la decisione di andar egli stesso senza indugio a prenderla.
11. Ma Io gli dissi: «Non preoccuparti; se Io voglio, lei sarà qui sana
e salva prima che sia mezzogiorno!». Fausto Me ne fece preghiera ed Io gli
promisi che così sarebbe stato fatto.
12. In quell’istante apparvero ai Miei fianchi due bellissimi
giovinetti avvolti in toghe azzurro chiare; essi s’inchinarono fino a terra
dinanzi a Me e dissero:
«Signore! I Tuoi servitori attendono con il massimo rispetto i Tuoi santissimi
comandi!»
13. Ed Io dissi loro: «Andate e conducete qui Lidia, affinché possa
anche essa trovarsi fra noi!»
14. Alle Mie parole i due scompaiono e Cirenio Mi chiede stupefatto:
«Amico mio! Chi erano quei due giovani adorni di tanta grazia e bellezza? Per
il cielo! L’occhio mio non ha mai visto tanta magnificenza di figure!»
15. Ed Io gli rispondo: «Vedi, chi è signore ha i suoi servitori e
quando egli li chiama, essi devono comparire al suo cospetto e devono servirlo.
Ora, siccome anch’Io sono un Signore, così anch’Io ho i Miei servitori, i quali
hanno il compito di annunciare i Miei ordini a tutto l’Infinito. A te certo
essi non sono visibili, ma lo sono molto bene a Me e dove tu nemmeno sospetti
che ci sia qualcosa, vi sono tuttavia continuamente legioni innumerevoli che
attendono i Miei comandi! E questi Miei servitori, per quanto delicati e
gentili nell’aspetto, sono dotati di una tale forza che potrebbero in un
istante annientare questa Terra, solo se Io glielo comandassi! Ma ora osservate,
ecco che ambedue sono già di ritorno assieme a Lidia».
16. A quella vista, un’impressione di spavento si manifesta in quasi
tutti i convitati alla Mia mensa e Cirenio esclama: «Come mai è possibile
questa cosa? I due non possono essersi allontanati da qui neanche di 500 passi!
Per arrivare a Cafarnao ci sono quasi due ore di cammino ed ecco che essi sono
già di ritorno! Oh, questo va molto oltre ogni fatto che possa toccare ad una
povera creatura umana su questa Terra!».
17. E quando Lidia, accolta con tutta tenerezza dal meravigliato
Fausto, fu condotta alla nostra mensa, Cirenio subito le domandò: «O
graziosissima Lidia, come hai fatto a venire così presto da Cafarnao? Eri forse
già per la via, oppure come si spiega questo fatto?».
18. Risponde Lidia: «Non vedi qui i due angeli di Dio? Sono stati loro
a portarmi qui con una velocità maggiore della freccia. Io, durante il
tragitto, non vidi né terra né aria, ma da lì a qui non è stato che un momento
solo ed ora sono qui. Però, se vuoi domandare ai due angeli, essi saranno certo
più in grado di me di darti in proposito dei chiarimenti».
Dell’umano e
del divino nel Signore.
1. Cirenio allora si rivolge subito ai due angeli e chiede loro come
ciò fosse stato possibile. Ma questi, con le loro mani celestialmente perfette,
accennando a Me, dicono con voce armoniosa e purissima: «La Sua Volontà
costituisce il nostro essere, la nostra forza e la nostra rapidità. Da noi
stessi nulla possiamo, ma quando Egli lo vuole, noi accogliamo la Sua Volontà
in noi e tutto allora grazie ad essa ci è possibile. La nostra bellezza che ora
abbaglia i tuoi occhi è il nostro amore per Lui e questo amore, a sua volta,
non è altro che la Sua Volontà in noi! Ma se voi volete diventare pari a noi,
accogliete la Sua Vivente Parola nei vostri cuori e operate volonterosamente
secondo Questa, allora anche voi, come noi, possederete in voi tale onnipotente
forza della Sua Parola e quando Egli vi chiamerà all’azione, secondo la Sua Volontà,
allora anche a voi saranno possibili tutte le cose, anzi voi potrete fare molto
più di noi, perché voi derivate unicamente dal Suo Amore, mentre noi proveniamo
piuttosto dalla Sua Sapienza. Ora tu sai cosa sia quello che ti ha reso tanto
perplesso, come cioè una cosa simile sia molto facile per noi; opera in
avvenire secondo la Sua Parola e tu pure sarai in grado di fare cose
assolutamente meravigliose!
2. Cirenio a queste parole dice, con crescente stupore: «Ma allora ho
ragione, se ritengo essere Gesù l’unico Dio e il Creatore di tutto il
mondo?».
3. Rispondono gli angeli: «Sì, tu hai perfettamente ragione, soltanto è
bene che tu non parli troppo ad alta voce, e quanto scorgi in Lui quello che c’è
di umano, non scandalizzartene, poiché tutto l’umano non sarebbe umano se prima
esso dall’eternità non fosse stato divino. E di conseguenza, quando talvolta
Egli si manifesta in forme che a te sono conosciute e abituali, tuttavia non si
manifesta in nessuna forma che sia indegna di Lui, perché ogni forma ed ogni
pensiero erano già in Lui prima che essi, in virtù del Voler Suo, avessero
cominciato a costituire ed a definire una Volontà libera fuor da Lui.
Nell’Infinito non c’è alcuna cosa né alcun essere che non abbia attinto le sue
origini da Lui. Questa Terra e quello che in essa e su di essa vive, altro non
è che il Suo Pensiero tenuto fisso in maniera eternamente uguale e divenuto
Verità grazie alla potenza della Sua Parola. Se ora Egli – cosa che per Lui
sarebbe oltremodo facile – abbandonasse nel Suo Animo e nella Sua Volontà
questi Pensieri aventi essenza, nello stesso istante questa Terra più non
esisterebbe e tutto quello che essa contiene e regge la seguirebbe
nell’annientamento.
4. Però la Volontà del Signore non è come quella dell’uomo che vuole in
modo imperfetto oggi e domani in un modo differente. La Volontà del Signore è
nell’eternità sempre una e non vi è forza che possa piegarla dall’Ordine
fondato dall’eternità. Ma entro i limiti di quest’Ordine regna tuttavia la più
ampia libertà e il Signore può fare quello che vuole, così come lo può fare
qualunque angelo e ciascun uomo. Che però i fatti siano veramente tali, lo puoi
rilevare considerando l’essere tuo assolutamente proprio e mille altri
fenomeni.
5. Nella tua forma personale, tu puoi fare ciò che vuoi e nulla può
impedirtelo, all’infuori del tuo stesso volere. Ma la forma
personale-essenziale di per sé non ammette assolutamente alcun cambiamento,
perché sottostà al rigido Ordine divino.
6. Così pure tu puoi apportare considerevoli modifiche alla Terra, puoi
fare spianare i monti, puoi imporre nuove vie ai torrenti ed ai fiumi, puoi
prosciugare laghi e scavare letti per laghi nuovi, puoi costruire ponti sui
mari e puoi, con diligente e tenace lavoro, convertire il deserto in terra
benedetta e fruttifera, in una parola tu puoi sulla Terra operare una quantità
innumerevole di cambiamenti, ma non puoi neppure di un secondo rendere più
lungo il giorno, né più breve la notte e non puoi comandare al vento ed
all’uragano.
7. Tu devi sopportare l’inverno e tollerare gli ardori dell’estate ed a
tutte le creature, per quanto tu tenda lo sforzo della tua volontà, non puoi
prescrivere altra figura ed altra proprietà diverse da quelle che hanno. Di un
agnello non potrai mai fare un leone, né mai più trasformare un leone in
agnello. Ed ecco, tutto questo rientra nell’immutabile Ordine di Dio, entro
l’ambito del quale certamente è concessa una grande libertà d’azione, mentre
l’Ordine divino vero e proprio non lo puoi rimuovere neppure di una linea
soltanto.
8. Ora qui dinanzi a te sta Colui il Quale ha fondato quest’Ordine
dall’eternità e che solo può scioglierlo, purché lo voglia. Ma come tu sei
tuttavia libero di pensare, volere ed agire nell’ambito di quest’Ordine divino
che in primo luogo condiziona il tuo essere e tutto quello che ti circonda,
così tanto più libero è il Signore ed Egli può fare ciò che vuole.
9. Noi ancora una volta ti diciamo: “Non ti scandalizzare mai, perché
il Signore dinanzi a voi si muove in forma d’uomo, poiché ciascuna forma è
supremamente Sua opera”».
Dell’influsso
degli angeli sugli uomini.
1. Quando Cirenio ebbe udito dai due angeli questi insegnamenti, tutto
gli apparve come assoluta certezza e non continuò più a rimuginare tra sé quale
essere superiore Io fossi, ma disse convinto: «Sì, è Lui!». Ed avvicinatosi a
Me con il più profondo rispetto, Mi disse: «Signore, tutto mi è chiarissimo
ormai! Tu Lo sei!
2. Il mio cuore me lo diceva già da lungo tempo, ma la considerazione
della Tua forma e del Tuo procedere umani facevano sempre sorgere in me, di
tanto in tanto, argomenti di dubbio in opposizione alla mia fede. Ora però
tutte le mie segrete esitazioni sono scomparse dall’anima e può accadere
qualsiasi cosa, ma io resterò incrollabile come una roccia nella mia fede. Oh,
com’è immensa ora la mia felicità, dato che perfino il mio occhio di carne può
contemplare Colui che mi ha creato, che adesso mi mantiene e che mi manterrà
per tutte le eternità!»
3. Gli dico Io: «Mio carissimo amico! Quello che tu ora possiedi sarà
tuo per l’eternità! Però intanto vedi di tenerlo soltanto per te e per
pochissimi dei tuoi amici già iniziati, poiché, se tu ne parlassi apertamente,
ciò sarebbe più di danno che di vantaggio alla Mia Causa ed agli uomini!
Inoltre ricordati anche di non scandalizzarti di Me, qualora ogni tanto ti
avvenga di constatare l’elemento umano in Me, poiché prima che tutti gli angeli
e gli uomini esistessero, ero Io dalle eternità il primo Uomo ed ho dunque
certamente anche il diritto di continuare ad essere Uomo fra i Miei uomini
creati!»
4. Dice Cirenio: «Tu, o Signore, fa come vuoi, tuttavia per me resti
eternamente ed immutabilmente quello che senza alcun dubbio Tu sei ora per me!
Ma questi due angeli, quanto desidererei che restassero con me fino alla fine
dei miei giorni terreni! Quanta bellezza, amore e sapienza si irradiano da
tutto il loro essere!»
5. Osservo Io: «Questo non può esserti concesso, perché tu non
sopporteresti la loro personale presenza visibile e questa non sarebbe di alcun
giovamento per la tua anima. Però, invisibili per i tuoi occhi e sensi terreni,
essi continueranno a fungere da tuoi protettori, come lo erano già prima, fin
dal tempo della tua nascita. In quanto al tempo presente, poiché essi devono
rimanere qui visibilmente oggi per tutto il giorno, tu potrai intrattenerti con
loro ancora riguardo a molte cose.
6. Del resto, anche quando non ti saranno visibili, tu potrai parlare
con loro e potrai interrogarli riguardo a qualsiasi cosa ed essi ti daranno la
risposta nel tuo cuore, risposta che tu percepirai come un pensiero chiaramente
espresso nel cuore. E questo genere di comunicazione è migliore di quella
esteriore. Io te lo dico: “Una parola che il tuo angelo ha posto nel tuo cuore
è per la tua anima più salutare di mille parole percepite esteriormente dal tuo
orecchio! Infatti quello che percepisci nel tuo cuore è già tua proprietà,
mentre quello che apprendi dall’esterno devi fartelo proprio a mezzo
dell’azione, conforme alla parola appresa e compresa”.
7. Quando tu hai la parola nel cuore e tuttavia, di quando in quando
pecchi nel tuo essere esteriore, allora il tuo cuore non è connivente e ti
costringe subito al riconoscimento del peccato ed al pentimento e già per ciò
non sei più peccatore, ma se non hai la parola nel cuore, bensì essa ti è
giunta solamente al cervello attraverso l’orecchio ed in questa condizione
pecchi, allora il cuore vuoto diventa complice e non ti costringe né al
riconoscimento del peccato né al pentimento; il peccato rimane e tu ti rendi
colpevole dinanzi a Dio ed agli uomini.
8. Così dunque, amico Mio, è meglio per te non vedere i tuoi protettori
spirituali finché devi rimanere nella tua forma corporea, ma quando un giorno
dovrai abbandonare il corpo, allora tu stesso quale spirito, potrai senz’altro
vedere ed avvicinare per tutta l’eternità non solo questi due, ma anche
innumerevoli altri»
9. Dice Cirenio: «Io sono ugualmente contento, però oggi voglio
intrattenermi spiritualmente con loro a sazietà!».
10. Dico Io: «Ma come si farà? Tu hai promesso nel Mio Nome a quei
farisei duri e rapaci una buona lavata di capo: ciò ti priverà nel pomeriggio della
lieta compagnia dei due angeli!»
11. Dice Cirenio: «Oh, è vero, quasi quasi me ne dimenticavo! Che
peccato, la cosa capita proprio a sproposito! Cosa devo fare?»
12. Gli dico Io: «Che ne diresti se Io ti sciogliessi dal giuramento e
se tu risparmiassi del tutto ai farisei la lavata di capo che avevi intenzione
di fare a loro, visto che hanno abbastanza da pensare a fatti loro, dopo le tue
minacce di ieri?»
13. Risponde Cirenio: «Signore, se aggrada a Te, io risparmio a loro
ormai molto volentieri la lavata di capo e affido ogni cosa a Te ed al vecchio
Roban, che in un paio di giorni metterà comunque la faccenda a posto»
14. Dico Io: «Oh, in questo caso, Io certamente meno che altri ho
qualcosa in contrario! Perché ti ho suggerito di rimandare al pomeriggio il tuo
proposito riguardo ai farisei, appunto avendo previsto benissimo che avresti
presto cambiato idea. Ma ora, considerato che il tempo si è fatto così bello,
ce ne andremo tutti al mare, perché vogliamo provvederci di qualche pesce per
il pranzo e per la cena. Chi vuol venire, si disponga a mettersi in
cammino».
1. Allora Pietro e Natanaele domandano: «Ma Signore, noi qui non
abbiamo gli arnesi per la pesca, come si potrà fare? Dobbiamo forse precedere
in fretta la compagnia e farci prestare qualche rete dai pescatori alla
prossima riva?».
2. Ed Io rispondo: «Ciò non è necessario, ma un’altra cosa è necessaria
e questa è che voi poniate attenzione alla vostra memoria, la quale sembra ad
ogni momento dimenticare che Io sono il Signore Cui non è impossibile nessuna
cosa. Non precedeteci dunque, ma restate assieme a noi e pescando poi spiegate
al vecchio Giosa ed alla sua famiglia che cosa sono la Forza e la Potenza di Dio
anche nell’uomo». A queste Mie parole i due si ritirano ed iniziano a pensare a
come avevano potuto essere così ciechi da fare una domanda tanto mondana! Lo
stesso Giosa osserva che non comprende come abbiano potuto rivolgerMi una
domanda simile!
3. Risponde Natanaele: «Noi due siamo, come te, ancora uomini e come
tali siamo troppo abituati alle condizioni di questo mondo, perché non debba di
quando in quando manifestarsi in noi qualche genuina sciocchezza, ma per
l’avvenire faremo in modo che l’errore non si ripeta! È dalla nostra gioventù
che noi siamo pescatori e, quando sentiamo parlare di pesca, ricadiamo
facilmente nel nostro antico modo di vedere e ci riprendono le nostre antiche
preoccupazioni, dimenticando un po’ lo spirituale. Ma ora è di nuovo tutto in
regola».
4. Ed anche Sara allora viene vicino a Me e Mi prega di permetterle di
venire anche lei con noi.
5. Ed Io le dico: «Ma certamente, ed è appunto per te che Io organizzo
questa pesca! Non sei tu sempre ancora la Mia innamorata? E perché non ti sei
messa a sedere vicino a Me durante la colazione?»
6. Risponde Sara, tutta tremante d’amore: «O Signore! Non ne ho avuto
il coraggio; pensa, c’erano al Tuo fianco i tre rappresentanti più alti di Roma
ed io, una povera fanciulla, dove andavo a prendere il coraggio?».
7. Le dico Io: «Sì, sì, Mia cara piccina, Mi sono accorto benissimo che
saresti stata molto più volentieri vicino a Me che in qualsiasi altro luogo.
Oh, a Me non sfugge niente di tutto quanto passa nel cuore degli uomini ed
anche per ciò è molto grande il Mio amore per te!
8. Ma dimMi un po’, Mia carissima Sara, ti piacciono quei due
giovinetti? Non ti sentiresti di amare l’uno o l’altro ancora più di Me?
Infatti, come vedi, il Mio aspetto non è certo così bello come quello dei due
giovani».
9. Risponde Sara: «Oh, Signore, unico ed eterno amore mio! Come puoi
pensare questo di me? Io non prenderei tutto un Cielo pieno di angeli mille
volte ancora più belli per un capello solo del Tuo capo, quanto meno poi uno
dei due giovani al Tuo posto, che sei la pienezza d’amore nel mio cuore. Se
anche sono belli, io domando: “Chi è stato a dare loro tanta bellezza?”. Ecco,
sei certo stato Tu! Ma come avresti potuto donarla a loro se questa bellezza
non fosse già stata prima in Te?
10. Oh, Te l’assicuro, Tu sei per me il compendio di Tutto ed io non Ti
lascerò mai più, anche se per rinunciare a Te riavessi in dono tutti i cieli
colmi dei Tuoi più mirabili angeli!»
11. Ed Io le dico: «Così va bene e così mi piace che sia! Chi Mi ama,
deve amarMi nella Mia integrità e sopra ogni cosa, se vuole essere anche da Me
amato sopra ogni cosa. Vedi, i due angeli sono certo oltremodo belli, ma ora tu
mi sei più cara delle innumerevoli schiere degli angeli i più puri e perciò
rimani pur ben stretta vicino a Me! Io te lo dico: “Fra le molte tu sei una
vera Mia sposa!”. Comprendi questa cosa?»
12. Risponde Sara: «Signore, questo veramente non lo comprendo, come
potrei essere la Tua sposa? Posso davvero diventare per Te quello che è mia
madre per mio padre? Tu sei il Signore del Cielo e della Terra, ma io non sono
che una Tua creatura, come può avvenire che l’infimo si congiunga con il
sommo?»
13. Dico Io: «Vedi, questa cosa può avvenire molto facilmente e
precisamente per la semplicissima ragione che l’infimo, da te supposto tale, è
esso pure derivato dal sommo ed è per conseguenza sommo esso pure.
14. Io sono l’Albero della vita e tu il suo frutto. Il frutto
all’apparenza è certamente più piccolo e più mutevole dell’albero, ma nel suo
mezzo sta nascosto un seme che nel frutto si è nutrito e maturato e nel seme vi
sono nuovamente altri alberi della medesima specie, atti da se stessi a
produrre gli stessi frutti che portano altri semi viventi identici a quel
singolo, dal quale i frutti sono provenuti.
15. Ma da tutto ciò puoi anche molto facilmente rilevare che il divario
fra Creatore e creatura non è poi, sotto certi aspetti, tanto grande quanto te
lo raffiguri tu, perché la creatura stessa è in sé e di per sé la Volontà del
Creatore, la quale è certo buona e maestosa quanto mai. Ora, se questa volontà
proceduta dal Creatore, nella forma del Creatore stesso, è resa libera, si
riconosce nel suo stato di libertà e di indipendenza per quello che essa
veramente è ed opera secondo tale riconoscimento, allora essa è simile al
Creatore ed è, nella sua piccola misura, perfettamente quello che è il Creatore
nella Sua misura infinita; se però la volontà parziale resa libera dal Creatore
non si riconosce per quello che è, non cessa già per questo di essere quello
che è, ma non può giungere alla sua suprema destinazione finché non si sia
riconosciuta per quello che veramente essa è.
16. Ma per rendere meno grave a queste particelle di volontà rese
libere, che portano il nome di uomini, la fatica del riconoscimento di se
stessi, il Creatore ha dato agli uomini, in tutti i tempi, rivelazioni, leggi e
Dottrine dai cieli, ed in questo tempo Egli stesso è disceso sulla Terra e si è
fatto carne allo scopo di portare aiuto agli uomini nel travaglio del
riconoscimento di se stessi e per dare a loro in avvenire maggior luce,
affinché le loro fatiche siano alleviate più di quanto non sia successo
finora.
17. Ora certo tu comprenderai bene quali siano i rapporti che intercorrono
fra Creatore e creatura e ti riuscirà altresì facilmente chiaro come tu,
perfettamente Mia pari, possa essere senz’altro sposa e moglie Mia, unita per
l’eternità a Me in forza del tuo grande amore! Dunque, comprendi ora tu ciò che
Io ti ho rivelato?».
1. Risponde la bellissima e graziosa fanciulla: «Sì, ora io ne capisco
già di più; ma allora tutte le figlie di Eva hanno come me lo stesso diritto su
di Te?».
2. Dico Io: «Certamente, sempreché siano come ora sei tu, ma se non
sono così, esse possono diventare bensì Mie ancelle, spose anche, però non del
tutto Mie mogli. Non ha avuto Davide, il Mio antenato, nei riguardi del corpo
anch’egli molte mogli? Eppure egli fu un uomo del tutto secondo il cuor di Dio!
Perché non dovrebbe essere concesso a Me, che pur sono molto più di Davide di
aver molte mogli? Ma Io aggiungo ancora che ho facoltà sufficienti per
mantenere nello stato della più completa felicità tante mogli quanti sono i
granelli di sabbia nel mare e i fili d’erba sulla terra e che ciascuna sarà
così ben provveduta che non potrà mai in eterno avere alcun desiderio che non
possa essere soddisfatto nella maniera più premurosa e se sarà così può forse
riuscirti molesto che Io voglia concedere a molte quella felicità che concedo a
te in tanta abbondanza?»
3. Dice Sara: «Tu solo sei il Signore e sei Tu stesso l’immenso Amore e
la sconfinata Sapienza e quello che fai è saviamente fatto, ma io non ho colpa,
se il mio amore per Te è tale che mi sembra di doverne morire e se vorrei, per
così dire, averTi per me sola! Tu però devi usare indulgenza al mio cuore
infantile che è forse ancora un po’ ingenuo in fatto di amore!»
4. Io te lo dico: «Questo è invece quello che ci vuole! Chi, come te,
non Mi ama con tutta la gelosia e non vuole possederMi quasi esclusivamente nel
proprio cuore, costui non ha affatto ancora il vero amore vivificante per Me.
Ma se non ha questo amore, non ha neppure la pienezza della vita, perché sono
Io la Vera vita nell’uomo, in forza dell’amore per Me nella sua anima e questo
amore è lo Spirito Mio in ciascun uomo.
5. Chi in questo modo ridesta l’amore per Me, costui suscita in sé lo Spirito
che Io gli ho dato e siccome sono Io stesso questo Spirito – come ed altrimenti
non può essere, perché all’infuori di Me non c’è in eterno altro Spirito
vivente – così costui ridesta con ciò Me stesso in lui e diviene un rinato
nella vita eterna e non può più morire, né essere annientato nemmeno dalla Mia
onnipotenza, perché egli è diventato una cosa con Me. Dunque, Io non posso
annientare Me stesso, poiché il Mio infinito Essere non si può mai in eterno
tramutare nel non essere. E perciò non credere affatto che il tuo amore per Me
sia ingenuo e sciocco, ma invece è precisamente così come deve essere.
Persevera in questo amore e tu non vedrai né assaporerai in eterno la morte!
6. Questa Mia spiegazione rese Sara tanto contenta e beata che essa Mi
abbracciò con tutte le sue forze e cominciò teneramente ad accarezzarMi.
7. Ma sua madre volle perciò sgridarla e le disse: «Ma mia cara Sara!
Questo non va! Tu sei proprio screanzata!»
8. Sara rispose: «Eh, che c’entra quello che va o quello che non va! Anche
morire e trovarsi sotto terra non va, ma se poi viene il Signore, che risuscita
il morto e lo trae fuori dalla tomba, ciò è certamente un fatto supremamente
insolito; com’è allora che questa cosa “va” di fronte al mondo? Oh, madre mia,
amare il Signore sopra tutto e dinanzi a tutto il mondo, è una cosa che “va”
certo meglio di tutto per ogni uomo! Non è vero, Signore Gesù, che io ho
giudicato bene?»
9. Rispondo Io: «Hai detto benissimo e hai giudicato secondo piena
verità! Chi nel mondo si vergogna ad amarMi apertamente e sopra ogni cosa,
anch’Io Mi vergognerò ad amarlo dinanzi a tutti i Cieli ed a ridestarlo a vita
eterna nel Nuovissimo Giorno!».
1. Allora parecchi dei presenti domandarono quando sarebbe venuto il
“Nuovissimo Giorno”.
2. Ma Io risposi: «Quando è passato il giorno vecchio, a questo succede
sempre un giorno nuovissimo, e poiché Io non posso ridestare nessuno in un
giorno che è già passato, ciò deve naturalmente accadere in un giorno
nuovissimo, perché a questo scopo non si può impiegare più un giorno vecchio e
già passato. Non è ogni giorno, in cui si entra e che voi vivete, un giorno
nuovissimo? Oppure, può forse qualcuno vivere un giorno ancora più nuovo di quello
che sta appunto vivendo? Vedete, noi tutti certamente viviamo oggi un giorno
che è il più nuovo possibile! Infatti quello di ieri non può più essere nuovo e
quello di domani non è ancora giunto. Ma da ciò risulta, con tutta evidenza,
che per ciascun uomo esistono, anzi devono esistere, tanti giorni nuovissimi
quanti sono quelli da lui vissuti! Perciò Io vi dico che voi tutti morirete nel
giorno nuovissimo e verrete anche ridestati dalla morte alla vita in un giorno
nuovissimo, perché non può essere altrimenti. E quando questo passaggio deve
aver luogo per un uomo oppure anche per tutti gli uomini, ciò non potrà
accadere in un giorno vecchio trascorso, ma in un qualche giorno futuro, dunque
evidentemente nuovissimo! Però quale sarà questo giorno, è una cosa che non è
stabilita in precedenza né da Me né da nessun altro spirito angelico, poiché a
questo scopo ogni giorno che viene è immensamente buono e perfettamente adatto.
Avete compreso ciò?»
3. A questa risposta gli interroganti si ritirano molto sconcertati e
dicono: «Davvero la cosa è tanto chiara come un’aria mattutina, eppure la
nostra stoltezza ci ha indotti a far domande. È una verità da poter essere
afferrata con mano!
Se parliamo tanto spesso dei giorni vecchi, è segno che ce ne devono
essere anche di nuovi e di nuovissimi! Infatti, è stata una cosa stupidissima
quella che noi abbiamo fatto! In verità, da parte della Tua infinita Sapienza,
ci vuole poi un’altrettanta infinita Pazienza per tollerarci!»
4. Dice Sara, con un leggero sorriso: «Oh, certo! Il Signore ha la
massima pazienza con tutti noi! Ma che cosa sia un giorno nuovissimo e quando
debba venire, io lo sapevo già quand’ero nella culla, e se qualcuno mi
interrogava in proposito, rispondevo sempre: “Domani verrà il giorno
nuovissimo!”. Ma voi sul serio non lo sapevate?»
5. Dicono coloro che prima avevano posto la domanda: «Eh sì, noi siamo
stati veramente tanto corti di intelletto da non saperlo ed anzi abbiamo sempre
avuto una terribile paura di questo giorno che doveva venire; ora certamente la
cosa è chiara ma con tutta ragione ci vergogniamo, poiché ci è sfuggita una
cosa che evidentemente sta proprio davanti agli occhi ed alle orecchie di
tutti!»
6. Dico Io: «Ciò non vi turbi, perché questa cosa è tuttavia una pietra
nella quale in avvenire ancora molte migliaia di migliaia inciamperanno e
riguardo la quale molte predizioni si faranno e molti scriveranno e
predicheranno al popolo cieco.
7. Ed ora vediamo come potremo regolarci per la pesca. Perché, come
vedete, siamo già giunti alla riva e di battelli ce ne sono qui molti a nostra
disposizione; come pure non c’è penuria di reti ed altri attrezzi necessari
alla pesca e perciò possiamo metterci subito al lavoro. I due giovinetti, con i
quali Cirenio s’intrattiene ancora animatamente, potranno anch’essi renderci
dei buoni servizi. Mettiamoci dunque subito all’opera!».
Il Signore
Gesù e i Suoi durante la pesca.
1. Tutti allora cominciarono a meravigliarsi, perché non riuscivano a comprendere
come potessero trovarsi così improvvisamente alla riva del mare.
2. Io però dissi: «Come mai potete meravigliarvi ancora? Non vi è già
accaduto altre volte di vedere simili cose, stando con Me? È comprensibile che
il vecchio Giosa con i suoi figli e suoi nipoti possano meravigliarsi ma,
trattandosi di voi, Miei discepoli, ormai già molto più ricchi d’esperienza, è
veramente incomprensibile come possiate ancora meravigliarvi, mentre dovrebbe
già esservi chiaro perfettamente che a Me non è e non può essere nessuna cosa
impossibile.
3. Vedete, non per nulla Io ho detto incomprensibile, perché ogni
meraviglia, sorta in seguito a qualche atto straordinario da Me compiuto,
presuppone anche l’esistenza di una piccola incredulità annidata in qualche punto
dell’anima. L’uomo dubita in precedenza della possibilità di un qualche atto o
fenomeno straordinario, ma quando l’atto, nonostante il suo dubbio, viene
tuttavia mandato a compimento, allora il testimone che dubitava del successo
resta sconcertato, si meraviglia e chiede: “Come mai è stato possibile ciò?”.
Ma che cosa ammette egli con tale domanda? Io ve lo dico niente altro che
questo: “Io dubitavo della possibilità della riuscita, perciò, questo è
veramente strano e meraviglioso!”
4. Se un profano fa delle meraviglie simili, la cosa si comprende bene,
ma, se coloro che non sono più soltanto superficialmente iniziati si
meravigliano, danno a vedere che essi stessi appartengono ancora molto al
numero di coloro che a buon diritto vengono chiamati profani! Per l’avvenire,
dunque, vedete di non meravigliarvi più, specialmente in presenza di estranei,
qualora Io trovi opportuno compiere una qualche azione straordinaria, affinché
l’estraneo non consideri pure voi degli estranei!»
5. I discepoli dicono: «Signore, Tu ben sai che noi tutti Ti amiamo
sopra ogni cosa e che conosciamo molto bene Chi e che cosa Tu sei, ma
nonostante tutto ciò, spesse volte non possiamo fare a meno di meravigliarci
nuovamente dinanzi ad un nuovo miracolo, perché i Tuoi miracoli più evidenti
avvengono per lo più tanto inaspettatamente da coglierci impreparati e, per
quanta padronanza di sé e per quanta fede si abbia, si deve pure un po’
rimanere sbalorditi. Vedi, tutti hanno certo visto abbastanza spesso il Sole
sorgere e tramontare, ma dov’è o dove vive l’uomo che, per quanto poco sia
incline al sentimento, non si sente quasi forzato a meravigliarsi di fronte
allo spettacolo di ogni nuova aurora? Ed ecco, o Signore, così succede anche a
noi! Ma Tu sei infinitamente di più di innumerevoli meraviglie ancora e Ti
preghiamo perciò di volerci usare indulgenza per simili errori ai quali
veramente quasi Tu stesso ci costringi e che noi commettiamo sempre di nuovo
nei nostri cuori, perché Ti amiamo sopra ogni cosa.
6. «Suvvia», dico Io, «siamo di nuovo d’accordo, ma in avvenire seguite
questo Mio consiglio per gli estranei, affinché questi riconoscano in voi i
Miei veri discepoli. Ed ora dedichiamoci alla pesca! In questa occasione
accadranno ancora altri piccoli prodigi, ma voi comportatevi come se non
fossero tali. Gli estranei devono da se stessi indagare e giudicare se si
tratta di fatti del tutto comuni oppure straordinari!».
7. Dopo queste necessarie istruzioni i discepoli montarono in fretta
nei battelli, distesero le reti e le gettarono nell’acqua, secondo tutte le
regole dell’arte e fecero l’una dopo l’altra parecchie retate, ma il risultato
fu assai poco soddisfacente.
8. Pietro osservò che il vento abbastanza forte era sfavorevole e
spingeva le barche alla riva.
9. Un altro disse che prima di sera non si sarebbe potuto ottenere
granché, perché il Sole, non mitigato da nessuna nuvola, aveva troppo
splendore, essendo risaputo che i pesci tendono a portarsi verso il fondo,
quando la luce è troppo violenta!
10. Allora anche i due giovinetti salirono in due battelli, distesero
una grande rete e si sospinsero molto lontano sull’acqua.
11. E Andrea, il quale era pure maestro in fatto di pesca, disse
allora: «Se essi non spingono i pesci nella rete con qualche mezzo miracoloso,
valendosi della loro potenza spirituale, essi possono pescare in alto mare
anche dieci anni di seguito, ma non porteranno a terra neppure un solo pesce!».
12. Ma frattanto i due giovinetti fanno una retata consistente ed in
breve sono di ritorno a riva portando una trentina di bei esemplari.
13. Ed Andrea dice: «Questo non è certo un miracolo, però è ugualmente
una bella impresa pescare in alto mare trenta esemplari di siluri d’Europa».
14. Finalmente salii anch’Io in un battello e contemporaneamente Sara,
che era coraggiosa, salì su un altro. Noi distendemmo una rete abbastanza
grande e la calammo nell’acqua. Poco dopo, al primo leggero strappo, non molto
lontano dalla riva la rete si trovò già riempita da cinquecento pesci tra
lucci, salmoni e siluri, cosicché i due giovinetti dovettero affrettarsi in
aiuto di Sara, perché altrimenti lei non avrebbe potuto trattenere la rete. I
pesci vennero subito portati a terra e posti in barilotti, dei quali c’era lì
sufficiente provvista.
15. I discepoli vollero fare ancora una retata, ma quando trassero la
rete a terra vi trovarono nuovamente soltanto pochi pesci ed anche quelli molto
piccoli.
16. E Pietro disse: «Non merita davvero la fatica che procura il gettare
la rete e tirarla per un vecchio e sperimentato pescatore». Ed era in procinto
di gettare nuovamente i pesciolini nell’acqua.
17. Ma Io gli osservai: «Tieniti quello che hai pescato, perché i pesci
piccoli sono spesso pesci buonissimi e Mi sono più cari dei grandi, che non di
rado hanno una carne tignosa e di difficile digestione. E prendi ben nota della
rispondenza che si cela in questo avvenimento!
18. Quando uscirai fuori a pesca di uomini, non ti dia noia se nella
rete del Vangelo si lasceranno cogliere dei piccoli pesci, perché in verità ti
dico che essi Mi sono più graditi dei grandi. Tutto quello che è grande agli
occhi del mondo, è invece, sotto certi riguardi, un abominio per i Miei occhi!
Ed ora lasciamo stare la pesca e ritorniamo a casa, per oggi e domani siamo
provveduti; per il giorno di sabato, se sarà necessario, si provvederà poi!».
19. Allora vennero ritirate tutte le reti e si portò a terra ancora una
quantità di pesce assortito, che, posto nei barilotti e caricato su carri e barelle
portatili, venne trasportato nei serbatoi discretamente vasti che Giuseppe a
suo tempo aveva costruito presso casa nostra.
Note personali
sul conto di Boro.
1. Quando noi di ritorno dalla pesca ci riunimmo in casa – ed era circa
un’ora dopo mezzogiorno – trovammo già pronto per noi un eccellente pranzo che
Boro, ancora lui, aveva fatto preparare; per questa ragione egli non aveva
partecipato alla partita di pesca. Era per lui una delle soddisfazioni più
grandi, quando poteva trovare molti convitati ai quali offrire un banchetto, e
aveva l’abitudine, in tali occasioni, di cucinare egli stesso all’aperto,
coadiuvato dai suoi cuochi e dalle sue cuoche. Inoltre era anche abbastanza
ricco come Kisjonah per poter fornire ogni giorno da mangiare e da bere i
migliori vini ad almeno dalle sei alle settemila persone, essendo egli figlio
di un greco ateniese ricchissimo che aveva anche in Asia vasti possedimenti,
nonché parecchie piccole isole in proprio, in secondo luogo era l’unico erede
di questi immensi possedimenti ed infine, poi, era il medico di gran lunga più
abile di tutta la Palestina e la sua professione gli fruttava grosse somme
d’oro e d’argento, specialmente con la cura delle persone altolocate e ricche.
Viceversa, poi, una gran quantità di ammalati poveri ottenevano le sue cure e i
suoi soccorsi del tutto gratuitamente, e per questo era decantato da questi
come il più grande benefattore del paese.
2. Bisogna aggiungere che egli era celibe, non aveva né moglie né
figli, però era una gran gioia per lui promuovere l’unione di giovani poveri
con ragazze pure giovani e sane, largendo in tali occasioni oltre che parole di
benedizione anche aiuti materiali. Ed è per questo che in quelle giornate egli era
nello stato d’animo più splendido possibile, essendo intimamente persuaso che
Io intendevo sposare sul serio la bellissima e tenerissima Sara.
3. Dunque, mentre noi tutti sedevamo, facendo lietamente onore alla
mensa, egli Mi venne vicino e Mi domandò molto discretamente se a questo
riguardo si sarebbe davvero addivenuti ad una felice conclusione.
4. Ma Io gli risposi: «Carissimo amico e fratello Mio! Io conosco molto
bene il tuo eccellente e nobile cuore e so altresì benissimo che tu sei
veramente e pienamente felice nella tua anima, soltanto allora quando hai
potuto rendere felici gli altri. A te stesso non hai quasi mai pensato e poiché
hai osservato che tra Me e la bellissima Sara c’è di mezzo un amore veramente
notevole ed hai anche inteso stamani come si parlava di sposa e di moglie,
nella tua anima lieta ha messo radice l’opinione che potesse essere imminente
il matrimonio tra Me e Sara, la bellissima. Però devo dirti che sei lievemente
in errore, poiché, vedi, quante donne vivono, sono vissute e vivranno su questa
Terra, qualora conducano una vita pura e pia, sono tutte più o meno Mie spose e
per la stessa ragione anche Mie mogli. Però una tale unione, con Me, per quanto
intima, non è mai un ostacolo al loro divenire compagne di uomini onesti ed un
rapporto del tutto necessariamente uguale corre appunto fra Me e la
deliziosissima Sara. E così dunque essa può benissimo diventare tua moglie, pur
restando in spirito, ora e per sempre, anche veramente Mia moglie!
5. Ma Io la penso così: siccome tu hai già aiutato tanti galantuomini,
per quanto poveri fossero stati, ad accasarsi con buone e brave ragazze, ciò
che i giovani, com’è proprio della loro ardente età, hanno sempre ritenuto
felicità somma, così Io intendo aiutare te, a Mia volta, nel raggiungimento di
tale totale felicità! Ecco appunto Sara, questa bellezza veramente celestiale,
Io l’ho destinata in moglie a te. Tu Mi hai difeso dopo la sua prima
risurrezione e quando giaceva per la seconda volta sul suo letto di morte ed Io
l’ho risuscitata la seconda volta e per te l’ho destinata quale meritato
premio. Come essa è ora, tale essa sarà anche nel suo settantesimo anno, questa
fanciulla non invecchierà mai su questa Terra. Guarda un po’ i due angeli con i
quali Cirenio sta parlando, se sono così belli come essa. E dimMi sinceramente
se non hai già più di una volta ammirato molto significativamente questa
carissima fanciulla e se, facendo ciò, il tuo cuore non ha manifestato alcuna
impressione!?»
6. Risponde Boro, alquanto imbarazzato: «Signore! Nascondere simili
cose al Tuo cospetto, sarebbe un’assoluta impossibilità e per questo preferisco
confessare apertamente, sì, Sara è l’unico essere sulla Terra che bramerei di
possedere io stesso, piuttosto che aiutare qualcun altro a possederla. Io
certamente ho più di trent’anni ed ella può forse avere sedici anni, ma il mio
cuore sembra aver appena raggiunto questa ultima bellissima età. Tuttavia, se
fosse possibile che essa diventasse mia moglie, io l’amerei molte volte di più
della mia stessa vita!».
7. Sara, senza darlo a vedere, aveva seguito molto attentamente il
colloquio e, quando questo fu terminato, Io la guardai e le chiesi se le
fossero piaciute le parole scambiate tra Me e Boro, che era un uomo di bella
presenza; lei arrossì molto, abbassò gli occhi e dopo un po’ disse: «Oh, ma Tu
osservi proprio tutto! È vero che ho guardato il buon Boro, ma una volta sola,
così, alla sfuggita, perché egli è tanto buono e servizievole con tutti»
8. Le dico Io, in tono un po’ più scherzoso: «Però, se non Mi sbaglio,
nel tuo cuore tu l’hai guardato già più di una volta!»
9. Dice Sara, sempre più vergognosa e coprendosi la faccia con le mani:
«Oh, Signore, Tu cominci davvero a diventare un po’ cattivello! Ma Tu sai
sempre tutto, proprio tutto!»
10. Dico Io: «Suvvia Sara, vediamo. Se si trattasse di venire al
concreto ed egli con tutto l’amore si presentasse e ti chiedesse di concedergli
la tua bellissima mano, gliela rifiuteresti?»
11. Risponde Sara a questa domanda, gradevolmente confusa: «Ma se facessi
così, come potrei poi diventare Tua moglie? Amare propriamente io non posso che
Te, quantunque debba ammettere al Tuo cospetto che io ammiro ed apprezzo quanto
mai il buon Boro, perché ritengo che dopo di Te egli sia senz’altro l’uomo
migliore di tutta la Palestina e questo nonostante egli sia greco di nascita e
sia soltanto da poco diventato ebreo, secondo la sapienza e non secondo la
circoncisione»
12. Dico Io: «Orsù, la cosa si potrà però appianare! Riflettici su un
po’ e guarda di fronte a noi Lidia, che è per sempre spiritualmente Mia moglie,
ma tuttavia nel corpo è la moglie dell’onesto Fausto. La nostra relazione non è
dunque di nessun ostacolo, perché tu resti come prima la Mia sposa e la Mia
rispettiva moglie celeste»
13. Dice Sara, dopo un momento di riflessione: «Ma se anche mi piacesse
concedere la mia mano al buon Boro, non so ancora cosa direbbero i miei
genitori terreni. Bisognerebbe pure che io domandassi a loro il consenso! È ben
vero che vorrei diventare la compagna del buon Boro già solo perché Tu vedi la
cosa di buon occhio, ma è bene sapere anche quello che dicono mio padre e mia
madre!»
14. Dico Io: «Ebbene, guarda un po’ lì, essi sono già stati
interpellati e sono perfettamente d’accordo con Me. Bada però che Io non ti
costringo assolutamente, la tua libera volontà resta integra!».
15. E Sara, sempre più imbarazzata, balbetta: «Signore! Questo sì che
lo so! Ma ...vorrei certo, però... anche non vorrei...!»
16. Gli chiedo: «Che cos’è che non vorresti?»
17. Risponde Sara: «Ahimè, Tu mi metti ormai in un terribile imbarazzo!
Oh, almeno non avessi mai guardato Boro, che pure è tanto buono!».
18. Le dico: «Ma tu non Mi hai ancora detto cos’è che veramente non
vorresti? Andiamo dunque, Mia diletta Sara, fatti coraggio e dì questa cosa che
propriamente non vorresti»
19. Risponde Sara: «Ma Signore, come puoi ancora domandarmelo? Tu lo
sai già senza che Te lo dica, quello che non vorrei! Giochiamo agli indovinelli
ed io Ti farò conoscere con un cenno leggero del capo cos’è quello che non
vorrei».
20. Dico Io: «E va bene! Poiché lo vuoi, lascerò che tu indovini ciò
che Io credo sia la cosa che tu non vorresti. Ascolta, dunque: tu certamente
non vorresti che il buon Boro, qualora tu non gli concedessi la tua mano, se ne
affliggesse tanto da farne una malattia!»
21. Allora Sara si alza di scatto, Mi batte con la mano sulla spalla e
dice, con voce all’apparenza dolcemente in collera: «Eh, si chiama questo forse
lasciare che uno indovini, quando subito . . . oh, quasi mi sfuggiva uno strafalcione!»
22. Dico Io: «Ebbene, sentiamola dunque questa verità!»
23. Rispose Sara: «Ebbene sia! L’hai già detto Tu: “Sentiamola questa
verità”, ma è vero anche che non si chiama indovinare, quando con la verità si
viene fuori subito!»
24. Dico Io: «Ecco, a Me non era sfuggito che per il Mio carissimo
amico Boro i tuoi sentimenti sono un po’ differenti da quello che esteriormente
volevi che noi potessimo osservare. Ma questa cosa è perfettamente nell’ordine
voluto, poiché una giovinetta non deve lasciare trapelare che pochissimo dei
suoi sentimenti, fino all’ultimo momento, quando scorge nel proprio cuore una
inclinazione particolare per un uomo e soltanto allorché si tratti di una cosa assolutamente seria, può
rivelare lo stato del suo cuore all’uomo che vuole prenderla in moglie,
altrimenti lo alletta prima del tempo e, qualora poi, com’è possibile, sorgano
degli ostacoli, essa procura tristezza al cuore e turbamento all’animo
dell’uomo! E tutto ciò è causa di grandi mali»
25. Dice Sara: «Ma, Signore! Così non ho già fatto io?»
26. Le dico Io: «No, carissima Mia Sara! E perciò anch’Io ho fatto le
tue lodi e ti ho citata a modello. Ora però puoi ben far conoscere gradatamente
al buon Boro quello che tieni nascosto nel tuo cuore, e che lo riguarda!»
27. Dice Sara: «Oh, io non glielo dico ancora! Ne avrò ben il tempo
anche dopo, quando egli sarà il mio marito!»
28. Dico Io: «Ma se per esempio, per quanto posso entrare Io nella
questione, potessi quasi dichiarare che egli è già tuo marito, cosa ci sarebbe da
dire allora?».
29. Risponde Sara, lietamente sorpresa in cuor suo: «Oh allora, allora
cosa ci sarebbe da dire? Ma allora, certo dovrei rivelargli tutto il mio
cuore!»
30. Ed Io dico a Boro: «Vedi, com’è indescrivibilmente cara! Prendila,
amala molto ed abbi cura di lei come di una delicatissima pianta, perché Io te
la do come un meritato premio dai Cieli. Ed ora andate assieme dai genitori per
riceverne la benedizione, poi ritornate qui da Me, che voglio pure benedirvi a
Mia volta».
31. Boro, che dall’emozione e dalla gioia può appena articolare parola,
Mi ringrazia come può e Sara si alza dal suo posto con tutta modestia ed
esclama in tono lieto e commosso ad un tempo: «Signore! Soltanto perché Tu lo
vuoi, io lo faccio, perché, se tale non fosse il Tuo volere, io avrei lottato
contro il mio cuore, ma, poiché è così, anch’io Ti ringrazio per avermi
concessa al miglior uomo che ci sia in tutta la Palestina!».
32. Poi ambedue si recano dai genitori della fanciulla, invocano la
benedizione che viene loro impartita con grande gioia e ritornano subito da Me.
Io allora benedico a Mia volta la loro vera unione valida anche per tutti i
Cieli ed essi, con commosse parole, Mi rendono grazie.
33. E così avvenne che in questa occasione fu concluso un matrimonio tra
i più felici che siano mai stati conclusi su tutta questa Terra, e da tutto ciò
si può rilevare che quando qualcuno Mi offre qualcosa completamente in
sacrificio, non la perde mai, perché Io gliela ridono invece accresciuta della
suprema benedizione e ciò sempre quando meno se lo attende. Boro era
perdutamente innamorato di Sara e per lei avrebbe dato tutti i tesori del
mondo, qualora gli fossero stati richiesti, perché la sua meravigliosa
bellezza, specialmente dopo la seconda risurrezione, era per Boro qualcosa di
indicibile. E tuttavia egli l’aveva del tutto sacrificata a Me ed avrebbe
voluto fare tutto ciò che era umanamente in suo potere per celebrare degnamente
le Mie presunte nozze. E così altrettanto Sara provava un grandissimo affetto
per Boro, eppure anch’essa Me ne faceva completo sacrificio ed era fermamente
decisa ad appartenere a Me solo. Ma ad un tratto Io mutai la situazione e
restituii ad ambedue quello che essi con tutto il cuore Mi avevano donato. Chi
opera come questi due, lo tratterò come ho trattato quei due!
34. Questo ad istruzione di tutti coloro che leggeranno o udranno
queste cose, perché, percorrendo queste vie, si può ottenere tutto da Me. Chi
Mi sacrifica tutto, anch’Io gli sacrifico tutto, ma chi sacrifica in abbondanza
e continua a tenere ancora molto per sé, a lui verrà ridonato soltanto ciò che
avrà sacrificato. Ed ora ritorniamo all’argomento!
L’essenza
interiore degli angeli.
1. Dopo questo solenne avvenimento, Cirenio venne nuovamente da Me e
disse: «Signore! Io ho parlato riguardo a molte cose con i due angeli, però da
tutto quello che ebbi occasione di udire da loro, non ho appreso niente di più
di quanto ne avessi saputo già prima per la Tua grazia e bontà! Dunque, non ne
è venuto fuori niente di nuovo. Ma quello che mi ha a dir poco meravigliato, è
che i due giovinetti indicibilmente belli si mostrino in certo qual modo
perfettamente freddi ed insensibili per tutto ciò che succede loro intorno! La
loro bocca pronuncia bensì parole di profondissima sapienza, e il suono della
loro voce supera in dolcezza la pura armonia di un’arpa eolica, dalla loro
faccia sembra sorridere e irradiarsi una perfetta e fulgida aurora, il loro alito
ha il profumo della rosa, del gelsomino e dell’ambra, i loro capelli sembrano
oro purissimo e le loro mani, di un candore alabastrino, sono così
armonicamente e graziosamente sviluppate che su questa Terra non saprei davvero
a cosa paragonarle, il loro petto è, in proporzione perfettissima, simile a
quello di una fiorente vergine e quale mi è stato di vedere una volta sola in
una regione del Ponto ed altrettanto belli, formosi e splendidi sono i loro
piedi; in breve, sarebbe da delirare d’amore dinanzi a questi due esseri! Però,
malgrado tutte queste doti eccellenti che formano intorno a loro come
un’aureola di gloria e che spirano amichevolmente amore, un amore che sembra ad
ogni istante centuplicarsi, così da poter far sciogliere anche la pietra più dura,
malgrado tutto ciò, essi sono così freddi e indifferenti come non lo è una
statua di marmo nel pieno inverno! E questa constatazione mi rende quasi
altrettanto freddo, come lo sono questi due angeli.
2. Certo essi non hanno assolutamente niente di ripugnante né nel
discorso né nel gesto, però nulla li commuove né può rimuoverli dalla loro
stoica indifferenza di fronte a tutto ciò che è e che avviene. Perfino sul Tuo
conto essi esternano con profondità di sapienza, ma il loro parlare mi da la
stessa impressione che mi darebbe l’udire leggere una lettera in una lingua che
non si conosce.
3. Dimmi dunque come si spiega una cosa simile in questi due purissimi
esseri celesti? È tale veramente il costume degli spiriti nei Tuoi Cieli?»
4. Gli rispondo Io: «Oh, no, questo assolutamente no! Ma questi si
comportano qui in tale maniera per la ragione soltanto che in tale maniera si
devono comportare. Essi del resto hanno per sé una volontà perfettamente libera
ed un cuore riboccante di u amore tanto ardente che tu ne saresti consunto
all’istante, qualora essi ti si rivelassero nella pienezza della loro fiamma
d’amore!
5. L’uomo terreno può sì sopportare anche le supreme altezze della
sapienza degli angeli, ma non già l’ardore del loro fuoco d’amore, a meno che
egli, nel suo cuore, non sia giunto ad una tale potenza d’amore da eguagliare
la loro.
6. Che la cosa sia veramente così, lo puoi già desumere molto
facilmente dal rapporto naturalissimo esistente tra il fuoco terreno e la luce.
Tu puoi ben sopportare la luce che si sprigiona dalla fiamma, ma puoi tu perciò
sopportare anche la fiamma stessa da cui sprigiona la luce?
7. Il Sole è, per questo mondo, certamente il corpo che dà la maggior
luce sopportabile ancora con tutto agio; quando con l’aumentare della luce si
accresce anche il calore, allora sicuramente sarà più difficile tollerare la
luce; ma potresti, con il tuo corpo, resistere come può fare un angelo dentro
l’atmosfera solare luminosa e rovente ad un grado tale che non puoi nemmeno
concepire? Io te lo dico: «Questa atmosfera solare distruggerebbe in un attimo
tutta la Terra assieme ad ogni cosa che essa porta, così come il ferro
riscaldato al calore bianco distrugge la goccia d’acqua che vi cade sopra!»
8. Chi vuol resistere in una tale luce ed in un tale fuoco, deve prima
essere egli stesso luce e fuoco in pari grado! Ed ecco, appunto questa è la
ragione per cui i due angeli non si possono rivelare a te nel loro amore,
perché esso è troppo potente e ti distruggerebbe! Comprendi ciò?»
9. Risponde Cirenio: «Quasi quasi lo comprendo, ma qui a questo
riguardo non vedo ancora proprio del tutto chiaro! Non riesco ancora a
comprendere bene come un amore troppo intenso possa arrivare ad uccidermi!»
10. Dico Io: «Ebbene, anche questa cosa ti sarà, per quanto possibile,
resa chiara; ascoltaMi dunque. Tu hai pure un figlio ed una figlia
leggiadrissima. L’amore che provi per questi due figli ha in sé qualcosa di
favoloso, anzi, il tuo cuore è pervaso da tanto amore che esso stesso non è in
grado di giudicare il grado di potenza con cui ama le due creature, poiché è da
esse a sua volta ardentemente riamato. Ora però forza la tua immaginazione e
rappresentati come realtà l’eventualità tremenda che i due figli fossero morti
e poi chiedi al tuo cuore se sarebbe capace di sopportare il dolore causato da
una perdita simile. Vedi, soltanto per averti Io, come esempio, richiamato alla
mente la possibilità di un tale fatto, già ora un terribile brivido di febbre
ti scuote tutto. Ma cosa accadrebbe se questa supposizione divenisse realtà?
Oh, Io ti dico, in verità, che da come Io conosco il tuo cuore, non reggeresti
tre ore ad un simile strazio e ne morresti immancabilmente!
11. Ora ascoltaMi ancora: che cosa sono l’amore e la bellezza e la
grazia dei tuoi figli, paragonati all’amore ed all’ineffabile dolcezza e
bellezza e grazia di questi due messaggeri celesti!? Se dinanzi a te sfuggisse
ai loro occhi anche un solo e lieve sguardo d’amore e ti dessero anche un solo
dito da accarezzare, l’amore nel tuo cuore si potenzierebbe talmente che non
potresti sopportarlo più di qualche istante e se poi gli angeli ti
abbandonassero, sia pure apparentemente, il tuo cuore ne avrebbe tanta
tristezza che dovresti morirne!
12. Infatti vedi, per quanto grande sia la bellezza di questi Miei due
angeli prediletti, come essi appaiono dinanzi a te, essa è un nulla in
confronto al fulgore inesprimibile di bellezza che rivelano essi quando sono
interamente compenetrati dal Mio Amore nei loro cuori. Allora tutto quanto di
leggiadro e di amore può offrire il mondo resta distanziato di eternità e
letteralmente scompare! Ora credo che tu Mi avrai compreso bene!».
Del fattivo
amore dei medici per il prossimo.
1. Dice Cirenio: «Sì, o Mio Signore e manifestamente mio Dio! Anche
questa cosa mi è del tutto chiara: la loro apparente freddezza ed impassibilità
sono sempre soltanto amore!
2. A questo riguardo mi torna alla memoria il mito di una vergine che
per strane disposizioni delle forze naturali era di una bellezza e di una
grazia indicibili. E subito quando la videro, sia giovani che vecchi scesero in
lotta per decidere a chi essa avrebbe dovuto appartenere. Ma la schiera dei
combattenti aumentava di giorno in giorno per la rovina dei combattenti stessi.
E quando tutti si accorsero che con la lotta per la vita e per la morte non
avrebbero mai potuto venirne a capo, i combattenti presero consiglio, per
venire ad una decisione: questa creatura non è di questa Terra, bensì una dea
del Cielo! Perciò qui dovranno decidere i sacrifici! A colui tra i molti
offerenti al quale essa porgerà la sua mano bellissima, egli l’avrà, senza
ulteriore contestazione, in sposa! E dopo aver concluso questo patto, furono
recati tesori inestimabili da tutte le parti in sacrificio e si resero alla
vergine onori divini. Ora l’adorazione di questa beltà andò alla fine tanto
oltre che la venerazione e l’adorazione degli dèi fu completamente trascurata.
Per questa ragione gli dèi si adirarono e conferirono alla bella vergine
un’attraenza ancora maggiore, ma invece resero velenoso il suo alito, cosicché
chiunque essa avesse colpito con il suo alito anche a distanza sarebbe caduto
privo di sensi al suolo e sarebbe restato a giacere stordito per lunghe ore,
oltre a ciò le posero sulla lingua un aculeo avvelenato e micidiale, con il
quale essa poteva a volontà uccidere chiunque, a lei sgradito, si fosse
avvicinato alla sua bocca.
3. Ma quando un giorno si presentò un giovane dalla figura bellissima e
fiorente, allora improvvisamente il cuore della vergine si animò; ma cosa
avrebbe dovuto fare lei per poterlo amare, poiché era certa di essere
ardentemente amata dal giovane? Se avesse rivolto a lui la faccia, il suo amato
sarebbe caduto stordito a terra; se l’avesse baciato, egli sarebbe morto!
Essa perciò distolse per amore il suo sguardo dall’amato e si mantenne
fredda verso di lui, affinché egli non si avvicinasse alla sua bocca. Dunque,
affinché il suo diletto sfuggisse dalla morte, essa dovette amarlo con la
maggior possibile apparente freddezza.
4. E così, similmente alla vergine di questo mito, anche questi due
giovani amano gli uomini di questa misera Terra con la maggior possibile
apparente freddezza; perché essi sanno molto bene che gli uomini non
sopporterebbero l’ardente fiamma d’amore dei loro cuori celestiali?
5. Gli dico Io: «Sì, è appunto così, soltanto che naturalmente il loro
alito non è velenoso e la loro lingua non ha nessun aculeo micidiale, bensì il
loro alito rianima e la loro lingua è una benedizione per la Terra!»
6. Boro allora, assieme a Sara, Mi venne nuovamente vicino e Mi domandò
che cosa avrebbe dovuto fare per dimostrarsi più grato, per l’immensa grazia
concessagli, di quanto avesse fatto fino a quel momento per lui felicissimo.
7. Ed Io gli risposi: «DimMi tu, amico e fratello Mio, dov’è l’uomo che
più di te Mi sia stato affezionato fino dalla sua fanciullezza? Già da ragazzo
tu fosti il Mio compagno d’ogni giorno e facesti soltanto e sempre quello che
leggevi nei Miei occhi esserMi gradito. Quando ogni anno andavi con i tuoi
genitori nei loro possedimenti in Grecia e dopo alcune settimane facevi
ritorno, ero sempre Io il Primo che tu visitavi e Mi portavi in dono ogni tipo
di cose buone e belle e spesso anche preziose, e non ti adirasti il giorno che
Io con un martello ruppi un piccolo tempio di Diana in argento, ricevuto in
dono, e proibendoti per sempre di portarMi qualcosa di simile!
8. Quando divenni grandicello, e quasi nessuno badava più a Me, tu
fosti l’unico a rimanere sempre uguale e, come tu sempre fosti, così sei oggi
ancora e così resterai. E per questa ragione Io intendo con ciò di non averti
fatto altro se non ricambiare un servizio di amicizia di cui ti ero debitore
già da molti anni. Non farne dunque un gran caso; certo tu hai ricevuto in
sposa la donna più bella, giovane e affettuosa e più desta nello spirito che vi
sia, e Sara, dal canto suo, ha trovato in te l’uomo migliore, il più fedele e
sotto ogni riguardo il più ricco e ragguardevole. Da parte Mia, non verrà mai
in eterno a mancarvi la benedizione in ogni buona cosa e tu resti oltre a ciò
come prima il medico migliore, non solo di questo paese, ma di tutto il mondo!
E Io penso che così voi potrete vivere bene e felicemente.
9. Però non dimenticatevi mai di chi è veramente povero, e tu la tua
arte di guarire tutte le malattie, che non può essere acquisita da nessuno su
questa Terra con le proprie forze, non fartela pagare mai da nessun povero
cittadino né meno ancora da nessun servo, e in nessun modo, né con denaro né
facendoti rendere dei servizi né con cereali o bestiame!
10. Ma ai ricchi, invece, ai sensali e cambiavalute, ai mercanti e
grossi possidenti, fatti pagare la tua arte secondo come si conviene, perché,
chi possiede e vuole vivere, è giusto che di quando in quando faccia qualche
sacrificio per la propria vita. Ci sono poi già a sufficienza poveri, a favore
dei quali tu puoi devolvere quello che il ricco ha pagato per comperarsi la
vita.
11. Un medico come sei tu vende agli uomini la vita, che
particolarmente per gli uomini del mondo è il bene più grande! E perciò è anche
giusto che essi debbano comperarla sempre soltanto per denaro sonante e debbano
in pari tempo essere lieti oltremodo che ci sia sulla Terra qualcuno dal quale
si possa comperare la vita»
12. Infatti Io ti dico: «A questo mondo è arte veramente pura, un’arte
veramente grande che nessun uomo del mondo può mai imparare, quella di guarire
in un istante, in forza della parola della volontà e soltanto qualche volta con
l’imposizione delle mani, tutte le malattie, dalla più acuta ossessione e da
ogni genere di pestilenza fino al leggero raffreddore, e di mondare tutti i
lebbrosi, di rendere la vista ai ciechi e l’udito ai sordi, di far camminare
gli zoppi e gli storpi e oltre a ciò di annunciare ai poveri il Regno di Dio!
Amico Mio, va’ e percorri il mondo intero e cerca, vedrai se ti sarà possibile
trovare uno che sia pari a te! Io te lo dico: “All’infuori di te e di Me, non
ce ne sono altri”.
13. Anche a Sichar Io ho suscitato un medico che può effettuare
guarigioni importanti, ma egli non è capace di dire completamente addio ai suoi
infusi di erbe e perciò ti è notevolmente inferiore.
14. Anche i Miei discepoli arriveranno tra qualche anno al tuo grado,
non però tutti quelli che vedi qui.
15. Ma anche la Mia diletta Sara bisogna che faccia sua un’arte e
precisamente quella di assistente al parto, poiché dinanzi a Dio è un servizio
quanto mai apprezzato quello di assistere le donne durante il parto, che è sempre
congiunto a molti dolori! E così voi due siete certamente tanto ben provveduti
quanto non lo fu mai nessuna coppia reale.
16. E questo consiglio Io ti do ancora: quando un ammalato viene a te o
quando tu vieni chiamato da lui, domandagli sempre con tutta serietà: “Credi
che io posso aiutarti nel Nome di Gesù, il Salvatore dei Cieli?”. Se l’ammalato
ti dice con pari serietà: “Sì, lo credo”, allora guariscilo, ma se egli dubita,
non guarirlo finché non crederà che tu puoi guarire nel Mio Nome! Ora Io devo
dire una parola anche a te, Giairo!».
Proposta a
Giairo. Sulle cerimonie esteriori.
1. Dice Giairo: «Signore, parla, io udirò e farò anche secondo la Tua
Parola!»
2. Gli dico Io: «Sì, così va bene, se farai come Io ti dirò, sarai
felice ora ed in eterno. Dunque ascoltaMi:
3. “Tu attualmente sei un preside dei farisei e delle loro scuole in
tutta questa regione di Nazaret, Cafarnao, di Cana in Galilea e di molte altre
località, borgate e villaggi. Per questo motivo tu godi in Galilea di
moltissima considerazione, addirittura non molto meno dello stesso sommo
sacerdote a Gerusalemme. Ma, vedi, tutta
questa considerazione di cui godi non ha potuto salvare tua figlia dalla morte
nessuna delle due volte, né meno ancora ha potuto risuscitarla, quando lei era
completamente morta!
4. Dunque, deve esserti infinitamente chiaro che un simile alto ufficio
non giova pressoché a nient’altro se non ad accrescere maggiormente l’orgoglio
del detentore della carica e a rendergli una necessità gli agi della vita che
sempre aumentano, ma, d’altra parte, a renderlo sempre più debole ed impotente
nell’azione di vera utilità e di aiuto agli uomini, ed infine a farlo restare
lui stesso senza consiglio e senza capacità di aiuto di fronte a chi ha bisogno
dell’aiuto, poiché, se qualcuno non può o non vuole recare aiuto ad un altro
che ha bisogno di un qualche aiuto, dimostra di essere egli stesso altrettanto
derelitto quanto lo è colui che attende di essere soccorso.
5. Di conseguenza un alto incarico, e particolarmente il tuo, ha
un’importanza assolutamente insignificante. Che diresti, dunque, se tu lo
rimettessi nelle mani del sommo sacerdote di Gerusalemme e poi ti ritirassi
presso il tuo nuovo genero, che certamente provvederebbe a te molto meglio e
con maggior considerazione di quanto tu sia provveduto ora da parte della cieca
Gerusalemme? Tu potresti gradatamente far familiarizzare sempre di più Boro con
le Scritture in cui sei molto versato, ciò che sarebbe per lui di grande
vantaggio ed egli in cambio potrebbe esserti di guida nella disciplina
dell’arte medica. Io, però, non intendo darti con ciò un comandamento, e ti
lascio libero di agire come vuoi. Se credi di non dover seguire questo Mio
consiglio, la cosa non ti sarà imputata a peccato per questo”»
6. Dice Giairo: «Signore! In verità Tu non hai fatto che prevenire il
mio intimo desiderio! Non è da adesso, ma è già da molto tempo che io desidero
deporre il mio incarico oneroso; visto dunque che per quanto riguarda me, tutto
appare tanto meravigliosamente disposto a mio favore, è mia intenzione mandare
già domani un messo a Gerusalemme con la domanda di esonero dal mio incarico e
con la contemporanea preghiera di volerlo conferire ad un altro! Di aspiranti a
tali incarichi a Gerusalemme ce ne sono sempre in grande quantità, visto che
per ottenerlo devono pagare al Tempio una decupla tassa, e così una simile
domanda sarà senza alcun dubbio quanto mai gradita ai signori del Tempio,
perché essi stessi fanno di solito la proposta, per chi abbia un qualche alto
incarico, di rinunciarvi, visto che, appunto in questo modo, può venir offerta
occasione ad un nuovo aspirante di rendere il Tempio più ricco di qualche
centinaio di libbre d’argento o d’oro! Con gli incarichi, oggigiorno, a
Gerusalemme viene fatto addirittura un commercio lucroso!»
7. Dico Io: «Oh, Io lo so meglio di qualsiasi altro che cosa succede
ora a Gerusalemme! Là non si prende in considerazione che il peso dell’argento,
dell’oro, delle pietre preziose e delle perle e mai dello spirito dell’uomo. Se
tu fossi un profeta anche più importante di Mosè e di Elia e andassi nel Tempio
e là cominciassi, quale profeta, a predicare, dopo poco tempo ti verrebbero
assai presto mostrate le pietre maledette con le quali è stata lapidata la
maggior parte dei profeti, ma se invece tu andassi fornito di diecimila libbre
d’oro, saresti fatto oggetto di massimi onori! Porta davanti al Tempio un paio
di buoi grassi e puoi essere più che sicuro che questi animali saranno loro più
graditi di Mosè e di Elia. Ma ora lasciamo stare tutto ciò. Ormai non è più
lontano il tempo che sarà apportatore della ben meritata ricompensa alla gente
del Tempio ed a Gerusalemme tutta, poiché non molto più a lungo ancora si
assisterà a questo abominio. Ed ora parliamo d’altro!
8. Che cosa si sente dire di Giovanni! È egli ancora tenuto prigioniero
da Erode?»
9. Risponde Giairo: «Io non ho assolutamente sentito per nulla che egli
sia stato rimesso in libertà! Però se Tu, o Signore, lo gradisci, domani sulla
nota questione farò prendere esatte informazioni dal messo che invierò a
Gerusalemme»
10. Dico Io: «Non farci nulla, perché Erode è una vecchia volpe, e il
tuo messo potrebbe incontrare delle difficoltà, essendo galileo. Ma Io in
spirito vedo ormai già qual è la situazione di Giovanni: dopodomani riceveremo
notizie tristi che non saranno motivo di gioia né per Me né per nessun altro»
11. Allora Cirenio e Cornelio Mi domandarono se Io desideravo che
anch’essi deponessero i loro alti incarichi.
12. Ed Io dissi: «Oh, per nulla affatto! I vostri incarichi sono di
tutt’altra specie e sono necessari e di grande importanza! Fate in modo però
che l’equità ispiri ogni atto nell’amministrazione dei vostri importanti ed
alti in carichi e che ciascuno sia uguale dinanzi alla legge! E, come avete già
appreso dalla Mia bocca, fate in modo che l’amore preceda sempre la legge e
tenete sempre presente che il peccatore, perfettamente ignaro delle molte e
complicate leggi dello Stato e indotto perciò fin troppo facilmente a
trasgredirle, è egli pure un uomo che, come voi, è destinato alla vita eterna
nel Regno di Dio. Se applicherete sempre in tal modo la legge, voi agirete come
fanno gli angeli, che sono servitori di Dio appunto così come voi lo siete
dell’imperatore»
13. Dice Cirenio: «Così vogliamo fare e così faremo! Ed ora dovremmo
fare ancora una domanda estremamente importante e sarebbe questa: “Noi siamo,
come Ti è ben noto, dei romani e per conseguenza, come voi dite, dei pagani (eretici).
Dobbiamo noi, per quanto concerne l’esteriore, restare quello che siamo, cioè
pagani, oppure dobbiamo abiurare pubblicamente il paganesimo e farci
circoncidere?”»
14. Dico Io: «Né l’uno né l’altro, perché, chi come voi è già
circonciso nello spirito per mezzo della fede e dell’amore a Dio, costui non ha
bisogno d’altro e questo è del tutto sufficiente per il raggiungimento della
vita eterna. Del resto, fra alcuni anni, verranno a voi i Miei discepoli colmi
dello Spirito di Dio ed essi vi battezzeranno con lo Spirito di Dio e con ciò
voi riceverete tutto quello di cui avete bisogno. Ora voi sapete tutto; la sera
è ormai vicina e noi, essendo oggi una vigilia di Sabato, ci ritireremo a
riposare un po’ prima del solito, per rispetto alle usanze dei giudei. E così
oggi non avremo più nulla da discutere dopo cena».
15. A questo punto i due angeli Mi si avvicinarono con il più profondo
rispetto, pregandoMi di poter rimanere ancora un paio di giorni visibilmente in
Mia soave compagnia, essendo questa la beatitudine maggiore che essi abbiano
mai provato!
16. Ed Io, rispondendo ad alta voce: «Voi avete da tempo immemorabile
la più completa libertà e perciò potete fare ciò che vi aggrada, ma non
dimenticate perciò la mansione che siete stati chiamati a compiere. I
soli-centrali hanno bisogno di grandi cure e voi sapete bene quanti ce ne sono
nell’infinito spazio di Dio!».
17. Rispondono i due angeli: «Signore! A tutto ciò è provveduto e lo
sarà altrettanto continuamente in avvenire»
18. Dico Io: «Sì, certamente, Io lo so e perciò voi potete anche
rimanere qui come desiderate, poiché il minimo di questi uomini che Mi stanno
qui intorno vale di più di innumerevoli soli-centrali, secondari e planetari! I
soli però sono fatti per amore degli uomini ed è per tale amore che essi devono
essere sempre sorvegliati con la massima cura!». Allora gli angeli s’inchinano
felicissimi, ritornano presso i Miei discepoli, con i quali continuano ad
intrattenersi, fornendo loro spiegazioni molto importanti su svariatissime cose
e questioni del mondo.
19. Boro frattanto si affretta a casa e dispone affinché una buona e
ricca cena venga sollecitamente preparata.
Le questioni
ereditarie di Giairo.
1. Terminata la cena che era durata una buona ora, Cornelio domandò a
Cirenio: «Illustre fratello, cosa pensi? Dobbiamo restare qui ancora oggi o
dobbiamo partire, forse per qualche eventuale affare importante che potrebbe
attenderci? Io sono ligio ai tuoi ordini e obbedirò alla tua parola»
2. Rispose Cirenio: «Veramente io avrei dovuto partire già oggi di buon
mattino, perché sicuramente vi sarà qualche faccenda urgente da sbrigare. Ma
dimmi, chi mai potrebbe allontanarsi, sapendo chi c’è qui? Sarebbe già
difficile staccarsi da un imperatore che ti dicesse amichevolmente: “Se vuoi
restare, resta!”. Ma che cos’è un imperatore al paragone di Colui che è
innegabilmente il Creatore del Cielo e della Terra e che sotto forma umana si
trattiene fra i Suoi figli ed i Suoi angeli! Del resto una dilazione alla
partenza hanno avuto anche i Suoi angeli, dai quali noi possiamo udire ed
imparare moltissimo ancora! Per tutto l’impero romano io non vorrei lasciare
questo luogo, venga quello che deve venire! Resta dunque anche tu, da parte mia
hai tutto il permesso e se caso mai saltasse fuori qualche questione, la Terra
non andrà di certo in rovina per due giorni di più o di meno! Inoltre, penso
che presso questo Signore siamo molto meglio provveduti che non da parte di
Roma. E se anche dovesse capitare qualcosa di urgente, l’Onnipotente ha nelle
Sue mani mezzi sufficienti per appianare in un attimo anche le cose
urgentissime»
3. Dice Cornelio: «Illustre fratello! Io sono senz’altro oltremodo
contento di questa decisione e mi auguro di abbandonare questo luogo il più
tardi possibile! Questa domanda l’ho posta se non per considerazioni d’ordine
politico statale. Però, sotto certi riguardi, sarebbe forse buono e opportuno
disporre per questa notte in città un servizio di spionaggio segreto, per mezzo
delle guardie che abbiamo con noi, allo scopo di sapere che cosa eventualmente
la gente pensi e che cosa dica riguardo alla nostra presenza qui»
4. Dice Cirenio: «Ammesso che al Signore sia gradito, possiamo sempre
dare gli ordini necessari. Per mio conto però questa volta sono dell’opinione
che anzitutto nel Signore e poi anche nei due angeli, noi abbiamo la fonte più
fidata e più segreta d’ogni più esatta informazione e che non dovrebbe essere
necessario ricorrere altrove finché siamo qui. Venuto il giorno che saremo
nuovamente lontani da questa sacra Compagnia dei Cieli, allora purtroppo
dovremo di nuovo far ricorso al servizio informativo segreto, per essere a
conoscenza dei sentimenti della popolazione e per poter prendere le misure
necessarie là dove si cominciasse ad avere sentore di cospirazioni contro lo
Stato. Ma, come già detto, se al Signore è gradito ed Egli lo desidera, io sono
pronto ad ordinare all’istante tutto quello che è necessario»
5. Allora dico Io a Cirenio: «Non dartene affatto pensiero, perché in
primo luogo Io so già, dall’alfa all’omega, tutto ciò che in città si dice a
nostro favore, oppure contro di noi. Considerata però la cosa nel suo insieme,
non c’è pericolo di sorta, poiché questo popolo è anche per certe malignità fin
troppo cieco e corto di intelletto. Dunque, potete essere pur tranquilli, dato
che a Nazaret non avrà mai origine una qualche sommossa. Del resto il Mio amico
Boro può egli stesso fungere da polizia segreta e fidatissima, perché non è
facile che a lui sfugga qualche cosa, ciò che, del resto, non presenta
certamente difficoltà, visto poi che la città non è tanto grande. Io potrei
inoltre dire ai Miei angeli di incaricarsi dello spionaggio e voi potreste, per
mezzo loro, apprendere in un momento più di quanto potrebbero apprendere e
riferirvi in dieci anni i più astuti informatori, però, come ho già detto, qui
non c’è bisogno né di una cosa né dell’altra e per conseguenza ce ne andremo a
riposare senza pensieri di sorta. Soltanto Giairo dovrà ancora inviare a Gerusalemme
un messo con la sua lettera di dimissione, perché domani avremmo da sbrigare
tutt’altre questioni»
6. Dice Giairo, tutto rattristato di dover abbandonare la compagnia:
«Signore! Non sarebbe possibile forse preparare qui il documento e mandarlo a
Gerusalemme addirittura da qui, mediante un messo? Già la casa a Cafarnao, con
tutto quello che contiene, è di mia proprietà; a noi sacerdoti non è concesso
avere campi e terreni e così tutto quello che ho è in casa mia, come già Tu sai
benissimo. Dunque per il momento non ho proprio nulla da fare a Cafarnao, né
probabilmente avrò qualcosa da fare là neanche dopo; la mia casa con tutto
quello che vi è contenuto la dono senz’altro al mio caro genero. Munito di un
mio scritto, egli andrà lì e con l’assistenza degli organi giudiziari dello
Stato prenderà tutto in suo pieno possesso, come farebbe un legittimo erede
dopo la mia morte e in questo caso sia la mia presenza che quella di mia moglie
sono perfettamente superflue. Per quello che riguarda i miei amici di Cafarnao,
essi sono già qui e quelli che si dicono amici miei e non lo sono non valgono
davvero una visita di congedo, perché sono soltanto amici di facciata, mentre
nel loro cuore sono indifferenti completamente!»
7. Gli dico lo: «E va bene, rimani anche tu qui e così manderò al posto
tuo a Gerusalemme uno dei Miei messaggeri che sono qui presenti; egli sbrigherà
questa ambasciata prima di quanto potrebbe fare un tuo messo. Ma non più oggi,
bensì domani che è Sabato»
8. Dice Giairo: «Vedi, la giornata di Sabato sarà di certo la meno
adatta, specialmente nel Tempio, perché i sommi sacerdoti e gli altri
principali sacerdoti a niente tengono tanto rigidamente quanto alla
celebrazione del Sabato!»
9. Dico Io: «Lascia andare amico! Essi danno tanta importanza alla
celebrazione del Sabato e sono così rigidi appunto perché così si presenta e
necessariamente si deve presentare il più spesso possibile l’occasione di agire
contro le disposizioni fissate. A ciascuno deve pur succedere spesso di dover
fare una qualche cosa di Sabato e così i farisei hanno tanto maggiore occasione
di prescrivere gravi penitenze ai profanatori del Sabato.
10. Porta però a quei tali, di Sabato, dell’oro o dell’argento quanto
ne vuoi e vedrai come essi profaneranno il Sabato nel Tempio e con quale
piacere accetteranno il tuo oro e il tuo argento. Dunque, non darti alcun
pensiero per il Sabato del Tempio; il Mio messo sarà benissimo in grado di
compiere la missione che gli affideremo.
11. Credi che sarebbe gradito ai farisei, se non ci fosse qualcuno che
a causa di una qualche stringente necessità non profanasse di quando in quando
il presunto giorno del Signore? Oh, noi possiamo essere più che tranquilli!
Quante più profanazioni del Sabato si verificano, specialmente da parte dei
ricchi, tanto più giubilano in segreto quei signori del Tempio!
12. Dunque, sia detto ancora una volta: “Non preoccuparti per questo!”.
Il Mio messaggero sarà accolto domani a braccia aperte e perfino durante
l’offertorio che ha luogo ogni Sabato, perché egli farà il suo ingresso nel
Tempio con un lasciapassare consistente in buon oro sonante ed i farisei lo
riceveranno perciò con l’espressione più amichevole e con le braccia più aperte
di questo mondo, senza contare poi che ci sono già dieci aspiranti ad un posto
di preside, per il quale offrono somme considerevoli. Così a questi, ma
particolarmente alla gente del Tempio, le tue dimissioni saranno quanto mai
gradite.
13. Ed il Sabato nel Tempio, durante la nota cerimonia, sarà dunque
profanato e subito dopo si procederà alla assegnazione della carica di preside
a Cafarnao, in modo che tu, al ritorno del messo, arriverai perfino a conoscere
il nome del tuo successore.
14. Ecco, così stanno ora le cose nella casa di Dio a Gerusalemme,
città che viene anche chiamata la città di Dio, ma che oramai veramente non è
che la casa di Satana. E adesso, poiché tutto è in buon ordine, andiamo a
riposare, perché domani per noi farà giorno molto di buon’ora!».
Il congedo di
Giairo. Il Signore nella sinagoga.
1. A questo Mio invito tutti vanno a riposare, soltanto i Miei
fratelli, la madre Maria e Boro sono occupati in cucina a preparare tutto il
necessario per l’imminente Sabato. Anche Sara e Lidia si danno molto da fare
per aiutare Maria in cucina. Quando tutto è disposto in buon ordine, se ne
vanno anche loro a riposare, però al mattino Maria, come al solito, è la prima
ad alzarsi e, molto tempo prima dell’alba, sveglia coloro che devono aiutarla a
preparare, prima che cominci il Sabato secondo l’usanza israelita, tutto quello
che occorrerà per l’intera giornata. Boro è anch’egli occupatissimo e così,
quando noi ci alziamo dai nostri giacigli, tutte le tavole sono già preparate
per la colazione.
2. All’aperto c’è già chi saluta il mattino con il canto di salmi e ci
sono pure numerose mense ben provviste di pesce, pane e vino in attesa dei
convitati.
3. Allora noi ci rechiamo a colazione e, finita questa, Io mando il Mio
messaggero a Gerusalemme per la nota faccenda. Frattanto Giairo aspetta con
grande ansia il ritorno del messo, il quale naturalmente resta assente per quel
tanto che è umanamente necessario, cioè il tempo occorrente a condurre a
termine le trattative con la gente del Tempio. Ma siccome queste trattative
erano durate circa due ore, il messo fu di ritorno appena dopo due ore circa,
con grande soddisfazione di Giairo, portando, oltre alla notizia che la sua
lettera di dimissione era stata lietamente accolta, anche un indirizzo di lode
e di ringraziamento per i servizi fedelmente prestati nella carica fino allora
tenuta e gli indicava contemporaneamente anche il nome del suo successore, con
la preghiera di voler accordare a questi il suo aiuto e il suo consiglio,
qualora venisse richiesto.
4. Giairo, lieto quanto mai per la pronta soluzione, Mi dice allora:
«Signore, io ti ringrazio dal profondo del mio cuore per avermi così
meravigliosamente salvato da un incarico, permanendo nel quale avrei dovuto
finire con il diventare manifestamente preda di Satana, date le condizioni
attuali in cui viene celebrato il servizio divino che sono assolutamente
contrarie a Dio!»
5. Gli dico Io: «Ebbene, non ti avevo detto che, quando si tratta di
affari brillanti per la gente del Tempio, il Sabato ormai può essere profanato
anche durante l’offertorio ed a qualunque ora del giorno! Da ciò dunque puoi
facilmente rilevare quanto quella gente ci tenga a Dio ed alle Sue sante leggi!
6. Ma adesso noi andremo, a causa del popolo, a visitare la sinagoga e
là staremo a vedere cosa fanno e cosa insegnano i farisei. Però sceglieremo il
nostro posto del tutto in fondo, affinché i superbi farisei e gli anziani del
popolo non si accorgano tanto presto della nostra presenza»
7. Dice Giairo: «Io per altro non vi entrerò, perché ogni ragazzo mi
conosce. Se, trovandomi nella sinagoga, io dovessi prendere il posto del
preside nel presbiterio innanzi a tutti, la vostra presenza verrebbe svelata!»
8. Dico Io: «Non darti per questo alcun affanno, poiché, quando Io consiglio
come si deve fare una cosa, tu puoi senz’altro procedere così come dico e
tuttavia non ti verrà torto neppure un capello! Dunque, incamminiamoci tutti
assieme». Dopo ciò ci mettiamo in cammino ed in breve tempo arriviamo alla
sinagoga.
9. Quando vi entriamo, troviamo che è pressoché vuota e soltanto i
farisei officianti riempiono il presbiterio. Poi, poco a poco, arrivano alcuni
vecchi ebrei che si mettono a sedere nei loro banchi, per schiacciare là di
tutto gusto il loro sonnellino antimeridiano.
10. Dopo l’offertorio e dopo un piatto borbottamento freddo e stantio
delle leggi, di alcuni salmi in uso e del cantico di Salomone, un oratore sale
in cattedra e comincia, con una voce molto roca, la seguente predica: «Miei
diletti fratelli in Abramo, Isacco e Giacobbe! Noi ora viviamo in un’epoca di
grande angoscia, quasi simile a quella durante la quale Noè costruì l’arca,
nella quale egli, infine, per ordine di Jehova si rinchiuse assieme alla sua
famiglia. Noi siamo ora sul luogo sacro del quale Daniele ha profetizzato ed
assistiamo all’abominio della desolazione da lui predetta come gli schiavi
incatenati di Megara, la strega pagana, dovettero assistere ai tormenti dei
loro fratelli nell’atroce attesa di essere gettati pure essi nel metallo bollente
e non possiamo muoverci né a sinistra né a destra! Noi ci troviamo qui così
abbandonati, come un qualche tronco d’albero morto già da lungo tempo sulla
vetta di un monte, prova evidente che pure in quell’alta regione un giorno
esistevano dei boschi lussureggianti! Ma che cosa ci si può fare? Questa è la
grande domanda! Una corona di diamanti a colui che è capace di trovare una
risposta soddisfacente! Egli però deve ben riflettere sul nostro stato di
prigionia aggravato da tutte le catene del mondo!
11. Da una parte ci sono i romani a pesarci sul collo, come tutto il
monte Sinai e dall’altra c’è adesso il figlio del falegname, che da un rozzo
qualunque quale era, cade ora giù come piovuto dal cielo, trasformato in un
profeta di una potenza tale che nessuno di noi ne ha mai visto di simili dai
tempi di Abramo in qua. Tutti gli corrono dietro, grandi e piccoli, giovani e
vecchi! Se oggi Jehova scendesse di Persona sulla Terra, c’è veramente da
domandarsi se Egli vorrebbe o potrebbe far cose più grandi! Egli guarisce ogni
malattia a distanza in forza della sola Parola, Egli risuscita i morti dalle
tombe e ridona loro una vita sana e perfetta! E così pure Egli comanda ai venti
ed alle onde del mare ed è subito obbedito come il padrone dai suoi schiavi!
Quando Egli parla, riluce dappertutto una sapienza profondissima e divina e
ciascuno è soggiogato dalla potenza della Sua Parola e lo segue da una città
all’altra. Bisogna ancora aggiungere che con Lui si sono schierati anche i
potenti di Roma che sono pronti a servirlo con tutte le loro legioni, qualora
ne avesse bisogno. Noi invece siamo proprio sull’orlo del più terribile abisso,
cosicché possiamo da un momento all’altro esserne inghiottiti e non abbiamo più
un solo mortale dalla nostra parte, ad eccezione di questi vecchi dormiglioni
della sinagoga. Io domando ancora una volta: “Cosa ci resta da fare?”.
12. A che cosa ormai ci servono Mosè e tutti i profeti ed a che cosa
Jehova stesso che ha parlato con Mosè e con i profeti, quando, da più di un
secolo, ci lascia qui impantanati nella più profonda palude? E per quanto noi
si gridi tanto forte anche da farci sentire fin sulle stelle, tuttavia non si
fa vivo più nessun Jehova ed Egli ci lascia nella melma abietta, peggio di
quanto possa fare uno sposo del tutto sventato con la sua sposa dieci volte
sedotta! Noi per altro abbiamo in cambio ancora il diritto al titolo onorifico
di “popolo di Dio”, mentre i presunti pagani, che in Dio non credono, godono
tutta la considerazione e detengono tutto il potere e tutte le ricchezze del
mondo, così come, secondo la Scrittura, era stato promesso da Jehova al Suo
Davide, ciò che non ha mai trovato adempimento!
13. E con parole grandi e divine sta scritto: “Ed il tuo regno non avrà
mai fine!”. Guardiamoci un po’ intorno e contempliamo il regno eterno di
Davide! Oh, che bella menzogna di un profeta che lusingava il re Davide! Quante
volte il regno di Davide ha già visto la sua fine! Egli stesso ebbe quasi
l’occasione di persuadersene a fianco di suo figlio e se una quercia non fosse
stata così compiacente da catturare suo figlio, il buon Davide avrebbe potuto
strimpellare ancora 10.000 salmi al suo caro Jehova, e Assalonne sarebbe
comunque assiso al trono! Però lasciamo da parte il passato e consideriamo
com’è oggi il promesso regno eterno di Davide: Oh tu, bel regno, forse l’anima
di Davide si è trasferita nei Cesari di Roma, il regno dei quali ha, almeno per
ora in quanto a consistenza eterna, un aspetto di gran lunga migliore di quanto
lo avesse il regno da lumache del grande uomo secondo il cuore di Dio!?
Fratelli miei! Non vi è ancora chiaro fino all’evidenza che tutta la nostra
vecchia dottrina è una pura favola nella quale non c’entrano altro che fantasie
e finzioni dei tempi passati? E noi siamo ancora pazzi e ce le teniamo strette
come se davvero ci fosse da acquistarne una qualche salvezza! Qual è
quell’asino o quel bue d’uomo che vorrà tenersi ancora sul corpo un mantello
vecchio e lacero, quando in cambio del vecchio può averne dieci nuovi
confezionati con la miglior stoffa?
14. La storia e la stessa nostra esperienza ci dimostrano in modo così
chiaro com’è la luce del Sole che in tutta la dottrina mosaica ed in tutti i
profeti non vi è una qualche reale importanza, niente di più che un guscio di
noce vuoto, eppure vi restiamo appiccicati con la nostra fame come ad una cosa
perfettamente calcolata e sicura e per la nostra inveterata stoltezza non ci
muoviamo dal posto, anche se ci sentiamo
già scorrere dentro l’acqua da tutte le aperture del nostro corpo, come il
Giordano entro il Mar Morto!
15. Coraggio dunque, o fratelli, schieriamoci anche noi con il figlio
del falegname e così saremo al sicuro, perché Egli fa, dinanzi ai nostri occhi,
quello che gli antichi non hanno mai favoleggiato di Jehova e che, come noi,
essi non hanno mai visto! Io credo di aver dato contemporaneamente una risposta
alla mia grande domanda con questa mia esposizione delle cose; se voi farete
così, allora ne avremo tutti immediatamente un vantaggio fisico e morale!
16. Roban, il nostro anziano, ci ha preceduti con un buon esempio,
facciamo come lui e non sarà un errore per nessuno di noi! Forse è proprio
questo falegname Gesù, finora poco considerato, la persona perfettamente adatta
a ripristinare almeno per qualche tempo il regno di Davide, che altrimenti
veramente pare destinato all’infelicità eterna! Infatti, data la sua
incomprensibile potenza magica, con la quale nessuna altra forza al mondo può
misurarsi, egli dovrebbe essere prima di ogni altro in grado di ispirare ai
romani, molto superstiziosi, un tale rispetto da far spuntare ben presto alle
loro potenti legioni le ali ai piedi, per fuggire!»
17. A questo punto insorgono gli anziani, gli scribi, i farisei ed i
leviti e dicono: «Tu comprendi molto male la Scrittura se osi pronunciare un
discorso così eretico nel quale, sotto un certo punto di vista terreno, sembra
certo esservi qualcosa di valido, ma che nei riguardi dello spirito costituisce
un vero delitto contro l’innegabile Maestà di Dio e noi, di conseguenza, ci
vediamo costretti per la nostra salvezza a respingerti via dal nostro gruppo,
fra i pagani!»
18. Risponde l’oratore: «Credete voi forse di punirmi con ciò? Oh, vi
sbagliate di grosso! Se volete restare i soliti pazzi e come tali morire di
fame, accomodatevi pure e restate nella vostra antica notte e nelle tenebre! O
vecchi stolti, citatemi voi un esempio di un qualche predicatore che abbia mai
richiamato in vita un morto nella sua tomba, come ha fatto questo nostro
falegname!
19. Dicono gli anziani: «Questo lo farà Dio il giorno del Giudizio!»
20. Dice l’oratore: «Il vostro Dio ve ne farà vedere delle belle il
giorno del Giudizio! Nessuno ha mai inteso che Jehova, come noi Lo conosciamo
dalle scritture, abbia mai risuscitato un uomo da morte! Infatti l’uomo, giunto
al limite della sua breve vita terrena, non ha altra visione che quella della
morte certa ed eterna, l’angoscia s’impadronisce di lui e con l’anima triste
comincia affannosamente a domandarsi: “Cosa sono io e dove vado, quando questa
mia vita è terminata?”, Ora, siccome dei cosiddetti servitori di Dio, quali noi
abbiamo il pessimo onore di essere e dei quali non c’è stata mai penuria, a
consolazione dei molti che si facevano domande, e per i propri scopi dovettero
pure escogitare qualcosa che infondesse un po’ di tranquillità a coloro che
facevano domande con insistenza, si ricorse allo stratagemma della risurrezione
nel giorno del Giudizio, giorno che molto probabilmente non sorgerà mai negli
ampi cieli! E noi pazzi ragionanti continuiamo a farci abbindolare da simili speranze
e restiamo perciò insensibili ai fatti ed agli avvenimenti reali e meravigliosi
che si verificano davanti ai nostri occhi, al nostro naso ed alle nostre
orecchie! Ma che debba proprio essere di tanta dignità per l’uomo il non
potersi separare da vecchio da un simile poppatoio già tanto ammuffito?
21. Ma che cosa volete tentare di ottenere ancora con questo vecchio
ciarpame israelita che, dato il presente sviluppo intellettuale dei popoli, non
potrà reggersi nemmeno per mezzo secolo ancora? Non sarò certo io il pazzo che
starà lì ad aspettare la fine di questa cieca dottrina, in cui non c’è altro
che qualche storiella vuota di sostanza, oppure qualche nome o qualche favola,
tutte improvvisazioni di balie per far star quieti i lattanti, che poi, divenuti
adulti, hanno rafforzato il tutto e ne hanno fatto una favolosa dottrina di
Dio, in cui non c’è affatto alcun sistema né una traccia sola di un qualche
ordine logico, come usano dire i greci!
22. Come mai si può ammettere che Jehova non sia in grado di parlare e
di insegnare almeno con tanta logica quanta ne può sfoggiare un qualunque
disperato filosofo greco? Che se così dovesse proprio essere, bisogna allora
che vada Lui a scuola dai greci prima di mettersi ad insegnare la verità,
l’ordine e la sapienza ai Suoi popoli, che in fondo non sono poi tanto
sciocchi!
23. Sia però lontana da me in eterno la supposizione che Jehova non
possa essere più saggio di un profeta educato dalla propria bambinaia, il
quale, nonostante tutta la sua stupidità, ha precisamente ancora tanto ingegno
naturale da enunciare una dottrina talmente oscura che egli stesso per primo
non comprende né può comprenderlo, ciò che veramente corrisponde appunto ai
suoi piani, perché così, tanto meno, possono comprenderla gli altri! Dunque,
non venitemi più fuori con il vostro Jehova! In verità, da uomo onesto quale
sono, dovrei appena adesso cominciare a vergognarmi sul serio di essere stato
seguace di una dottrina tanto disumanamente sciocca!
24. Se pure in origine c’era qualcosa di vero e di buono negli
insegnamenti di Mosè, questo qualcosa è ormai tanto deformato e contorto dalla
più abietta cialtroneria umana, che di tutto ciò a noi non resta altro che un
nome, forse anche questo del tutto falsamente espresso 25. Di conseguenza io ho
deciso ed oggi stesso io mi dichiaro discepolo di Gesù il falegname! Egli è
buono e sicuramente non respingerà da sé un galantuomo, come fate voi!».
Discorso degli
anziani sulle condizioni dell’ebraismo.
1. E gli anziani, pervasi da stupore per questa sortita dell’oratore,
esclamano incolleriti: «Tu sei un negatore e un bestemmiatore di Dio! Non sai
che, proprio secondo i comandamenti di Mosè, tu meriti di venire immediatamente
lapidato qui nella sinagoga per queste tue gravissime bestemmie contro
Dio?
Come puoi osare di scuotere altri nella loro ferma fede e fomentare il
dubbio sul conto di Dio e di Mosè solo perché tu questa fede non la possiedi?
2. Sei tu davvero di così poco intelletto da non poter comprendere che
non c’è nessuna età alla quale possa giungere un uomo, la quale conceda a
questi di acquistare di per sé un’esperienza che richiede migliaia d’anni e che
così tutta la fede dell’uomo sarebbe limitata a quel poco di cui egli può
essere testimone durante la sua vita? E perciò Dio, per mezzo del Suo Spirito,
ha insegnato agli uomini i segni della Scrittura, affinché essi possano
perpetuare con questi segni la storia di quello che hanno udito e che i loro
successori difficilmente udranno e vedranno. Ciò andrà a vantaggio ed a guida
di questi successori ai quali viene fornito così un corredo di salutari
cognizioni che altrimenti non potrebbero acquisire da soli durante il breve
periodo della vita, perché ogni tempo è apportatore di qualcosa di nuovo, come
ce lo dimostra in maniera evidente l’esperienza dei pochi giorni che noi siamo
destinati a vivere su questa terra, perché non vi è anno, né mese, né settimana
e neppure giorno che sia perfettamente uguale ad un altro per quanto riguarda
quello che vi accade! Indaga accuratamente nelle Cronache e noi ti diamo tutto
quello che abbiamo se sei capace di indicarci un’epoca in cui si sia verificato
esattamente quello che succede ora dinanzi ai nostri occhi ed ai nostri orecchi!
3. Ma se, come non si può negare, le cose su questa Terra si presentano
così e non altrimenti, dove vuoi tu arrivare con le tue insensate e grossolane
insinuazioni contro la Scrittura, che è patrimonio sacro dei nostri antichi
padri lasciato a noi, quali loro successori e che ci narra in tratti
chiarissimi tutto quello di cui essi, da uomini pii e devoti a Dio, hanno fatto
esperienza e quali misure siano state prese in quel tempo affinché i loro
discendenti potessero condurre una vita gradita a Dio più facilmente e con più
ordine di quanto sia stato probabilmente il caso al loro tempo?
4. Credi che siamo proprio tanto stolti da non poter giudicare quello
che avviene ora davanti ai nostri occhi? Oh, tu ti sbagli di grosso! Noi
infatti mettiamo a profitto la sapienza dei nostri padri, che per molti anni
hanno sottoposto ad un acuto esame ogni cosa prima di accettarla per come si è
presentata!
5. Se i nostri antenati fossero stati tanto creduloni come te, essi non
avrebbero lapidato i profeti. Ma quando vedevano che un vero profeta, anche
sotto la micidiale pioggia di pietre, non smentiva minimamente le proprie
enunciazioni, allora queste certamente assumevano un altro aspetto ed i padri
le accoglievano come provenienti da Dio!
6. Ma se dunque i nostri padri procedettero con tanto rigore
nell’accettazione di nuove proclamazioni della Volontà di Dio agli uomini
mediante i profeti, è forse in qualche modo ragionevole ammettere che la nostra
dottrina di Dio non sia altro che un abbellimento dovuto a dei giovincelli
precoci, bonaccioni e burloni che si dilettavano all’idea di prendere in giro
le generazioni future?
7. Tu ci hai dichiarati pazzi e stolti, ma veramente è da porsi la
domanda se eventualmente non sia proprio tu il vero pazzo fra tutti noi, perché
il giudicare con tanto poco amore i propri fratelli, come tu hai fatto, non si
addice ad un uomo della famiglia di Levi!
8. Se però con le tue pessime parole hai semplicemente voluto metterci
alla prova per vedere se, in considerazione degli attuali straordinari
avvenimenti, siamo rimasti ancora quello che da veri israeliti dobbiamo essere,
in questo caso hai scelto un brutto modo ed hai finito tu stesso con il
rivelarti profondamente dinanzi a noi come sei nel tuo cuore!
9. Infatti quando l’uomo è trascinato da un cieco zelo, è il momento in
cui egli maggiormente si tradisce, allora egli rende testimonianza di quello
che c’è nel suo animo e lascia libero corso alle sue idee favorite, ai suoi
sentimenti ed alle sue passioni!
10. Invece l’ascoltatore tranquillo e sobrio pensa per conto suo ed ha
con ciò il vantaggio di imparare e conoscere a fondo l’amico che ha di fronte.
11. Credi forse che noi non sappiamo come nella nostra dottrina divina,
specialmente nella sua parte pratica, si siano annidati dei gravi abusi, che
purtroppo velano Mosè ed i profeti non di rado in maniera molto peggiore di
quanto una fitta nube temporalesca possa velare il Sole? Ma la Scrittura
incorrotta e pura non può venire offuscata da simili nubi ed un vero studioso
della legge conoscerà tuttavia sempre com’è o dov’è la verità pura.
12. Noi vediamo benissimo, come vedi anche tu, che questi abusi
finiranno con l’uccidere negli uomini la pura dottrina di Dio, come il tarlo
maligno corrode l’albero robusto, ma questo succederà soltanto negli uomini che
ti somigliano, mentre la dottrina, in se stessa tuttavia pura, troverà in tutti
i tempi i suoi seguaci puri e fedeli.
13. Non hai mai visto un albero sui cui rami abbiano posto radice una
quantità di piante parassite e maligne, che traggono dall’albero stesso il loro
nutrimento, per la rovina dell’albero e per il danno degli uomini? Ma il vero
albero cessa per questo di essere quello che in realtà è?
14. Noi uomini, con i nostri sensi ottusi, non possiamo certamente
penetrare i motivi di tali degenerazioni, eppure questo comprendiamo che queste
non potrebbero sorgere se Dio onnipotente ed onnisciente non lo volesse. Per
quale ragione devono esserci il leone, l’orso, la tigre la iena e tutti gli
altri animali rapaci e feroci e perché accanto alla colomba mansueta deve
esistere l’aquila vorace? Ecco, questi sono per noi, uomini della vista corta,
dei misteri imperscrutabili e non possono da noi essere chiariti!
15. Un agricoltore lavora il proprio campo, tutto è prospero e ricco di
buone promesse. Egli già si accinge ad ampliare i propri granai, affinché
possano accogliere la benedizione del nuovo raccolto, ma ecco venire un giorno
in cui d’improvviso si scatena un furioso uragano che in breve tempo distrugge
tutto! Non si potrebbe in questo caso, ragionevolmente porre la domanda e dire:
«O Dio, se Tu volevi che questo campo non desse il suo frutto al contadino,
perché egli è forse un peccatore, tu avevi potere sufficiente in ogni caso per
annientare già nel germe la benedizione della terra e così il coltivatore
avrebbe risparmiato le spese e la fatica! Ora vedi, simili fatti accadono
spesso dinanzi i nostri occhi, ma nessuno è capace di darne una spiegazione
anche poco ragionevole!
16. Noi constatiamo ugualmente in pratica delle deviazioni nella pura
dottrina di Mosè, tanto nel Tempio quanto fra gli aderenti a questo, dove più e
dove meno vediamo i viandanti incamminarsi per false strade e vediamo altresì
un’enorme quantità di vegetazione parassita abbarbicata all’antico albero della
vita. Ma che colpa abbiamo noi, e che cosa possiamo fare? Noi certo non abbiamo
fatto tutto questo, né abbiamo voluto che fosse così, invece l’abbiamo trovato
così com’è e dobbiamo tollerarlo per quanta amarezza debba causare al nostro
palato.
17. Ma non per questo al nostro spirito è posta qualche limitazione e
non sussiste per noi alcun obbligo di accettare l’albero della vita assieme ai
parassiti che vi sono appiccicati, come se fossero una e la stessa cosa. A noi
resta l’albero nella sua originalità genuina e le formazioni postume vanno
considerate per quello che sono e noi crediamo che a questo genere di sapienza
della vita non ci sia Dio che possa fare obiezione. Dio sarebbe alquanto
sempliciotto, se dicesse a ciascuno di noi singolarmente: “Va’ e distruggi il Tempio
che ora è colmo di immondizia, perché Io, il Signore, ho in orrore i suoi
abomini!”. Non avrebbe il singolo e debole uomo il diritto di replicare al suo
Dio e dire: “Signore! Che cosa insensata chiedi mai a me, la Tua miserevole e
debole creatura! Se la mia esistenza Ti dà noia, a Te non costa che un pensiero
solo ed io non esisto più, ma domandare l’impossibile a me equivale al
comandare ad una mosca di caricarsi sulla schiena un elefante e di portarselo
via con la sola propria forza naturale!”.
18. Noi però crediamo che Dio sia troppo saggio per non vedere che non
c’è uomo che possa nuotare contro corrente in un torrente in piena!
19. Ora dì pure se ti risulta chiaro che queste nostre parole sono
ispirate alla piena verità e noi siamo disposti a perdonarti tutto quello che
ciecamente e stoltamente hai detto contro di noi!».
Testimonianza
di un oratore riguardo all’Arca dell’Alleanza.
1. Dice l’oratore, il quale, durante questo lungo rimprovero davvero
molto opportuno, non aveva perduto un istante la sua calma veramente stoica:
«Miei cari amici e fratelli! Tutto quello che mi avete ora esposto, lo so bene
anch’io come voi, tuttavia devo per la prima volta in vita mia, stando fra voi,
rallegrarmi per aver in questa occasione avuto la grande fortuna di apprendere
che voi, appunto come me, non siete proprio degli stolti! Quello che avete
detto è vero, ma non per questo è stata data ancora una risposta alla mia
domanda.
2. La cosa è precisamente così come voi avete detto, ciò che per mio
conto vedo benissimo, nonostante io, con le mie motivazioni di apparente
opposizione e con l’aria di provocarvi, abbia voluto solamente ottenere di
farvi aprire la bocca. Ed ecco che infatti mi è riuscito di sentirvi parlare
con me in tutta franchezza, per la prima volta dopo vent’anni che ci troviamo e
che lavoriamo assieme.
3. Però né la mia né la vostra chiara visione delle cose attutiscono il
male in cui manifestamente ci troviamo. Dunque c’è e resta l’importante e grave
domanda: che cosa dobbiamo fare a cominciare da adesso?
4. Io, che sono il figlio di uno dei capi dei sacerdoti di Gerusalemme,
cresciuto ed educato nel Tempio, so fin troppo bene cosa si debba pensare
dell’Arca dell’Alleanza. Legno, argento e oro sono sempre quelli vecchi, ma la
verga di Aronne, che dovrebbe essere sempre verdeggiante, è secca tanto da
poter essere ridotta in polvere, le tavole della legge sono rotte, la manna
esiste soltanto nella fantasia! E la colonna di fuoco dove se n’è andata? Dagli
annali della Scrittura si sa che ad ogni profano sarebbe costata la vita,
qualora avesse toccato l’Arca con mani non consacrate; ora invece si può girare
intorno all’Arca e si può toccarla come si vuole, ma nessun fuoco distruttore
esce da essa.
5. Se dei viaggiatori stranieri desiderano visitare l’antico miracolo,
previo molto denaro e giuramento della discrezione, questo viene concesso, però
sempre il giorno seguente a quello del permesso. Allora viene inscenata la
colonna di fuoco, ma, nota bene, non sopra la vera Arca, ma sopra ad una simile
fatta in metallo!
A quest’arca, nella parte superiore, nel mezzo, è applicata una tazza
nera, però in maniera tale che, fissata nel coperchio superiore ed incassata in
questo a perfetto livello, non può essere scorta così facilmente, tanto più che
il sacro ambiente è tenuto completamente al buio e che la fiamma chiara e
spessa favorisce l’illusione. In questa tazza viene versato del finissimo olio
etereo-minerale, frammisto ad altri oli balsamici preziosi; la miscela viene
accesa all’incirca un’ora prima e così arde con una fiamma alta sei spanne e
rappresenta la colonna di fuoco.
6. Quando poi i curiosi hanno ammirato a loro piacimento questa interessantissima
colonna di fuoco e manifestano il desiderio di vedere l’interno della arca,
allora, sempre con accompagnamento di cerimonie e di vuote preghiere, il
coperchio superiore, assieme all’alta colonna di fuoco, viene con ogni
precauzione levato giù e posto su di un piedistallo dorato ed ai curiosi
vengono mostrate le tavole mosaiche, naturalmente le nuove, come se fossero le
antiche e così pure la manna, anche freschissima, una verga d’Aronne
verdeggiante e tutte le altre cose che l’arca contiene.
7. Qualcuno fra gli spettatori ne riceve una grandissima impressione,
altri invece, particolarmente i greci, escono dal Santissimo sogghignando di
nascosto e infine dicono: «È uno spettacolo davvero ben presentato!» Soltanto
che la grande maggioranza deplora che il rimanente del Tempio sia così sudicio.
Io vi dico che sarei disposto a scommettere una grossa somma sul fatto
che mentre noi parliamo l’antica Arca è stata fatta sgomberare per sempre e
oramai la nuova di metallo ha preso definitivamente il suo posto e la sua
funzione.
8. Se voi però non volete credermi, travestiamoci per esempio da
romani, andiamo a Gerusalemme, entriamo nel Tempio e comportiamoci da
stranieri; vedrete come presto si troverà un’anima servizievole che ci
domanderà minutamente da dove veniamo, cosa siamo venuti a cercare a
Gerusalemme, quanto tempo abbiamo intenzione di fermarci nella “ Città di Dio”,
dove poi ce ne andremo, se abbiamo oro o argento da vendere e se per caso
desideriamo visitare il Santissimo in cambio del pagamento di una somma quanto
mai modica! Allora noi domandiamo semplicemente il prezzo e si parlerà di
qualcosa come cento libbre d’argento. Noi però rispondiamo che è troppo e che
in generale non ci teniamo granché a vedere simili cose, ma che trattandosi di spendere
forse una decina di libbre la cosa potrebbe andare. E così per dieci magre
libbre d’argento entriamo tutti nel Santissimo, avendo prima fatto al
rispettivo capo guardiano la solenne promessa di non rivelare mai, per
nessunissima ragione a questo mondo, a nessuno mai, né nel paese dei giudei né
in altro paese straniero per quanto lontano, di essere stati nel Santissimo!
Questa promessa la facciamo senz’altro, e noi, quali pseudo-romani, veniamo
introdotti nel Santissimo ed allora potrete persuadervi con i vostri occhi se
una parola sola è menzogna di tutto quello che vi ho detto riguardo all’Arca
dell’Alleanza!
9. E così, cari amici e fratelli, se come uomo di intelligenza un po’
più chiara uno ha visto tali cose con i suoi occhi nel Santissimo, luogo dove
lui stesso in tali occasioni ha servito da aiutante scaltramente adoperato,
allora per una persona onesta diventa certo poi una cosa amara per sempre
quella di fare il mentitore e l’ingannatore vergognosamente prezzolato del
popolo! Quante volte io riflettevo allora in me stesso e dicevo tra me: «Se
quello che dovrebbe essere in modo assolutamente vivo il Santissimo – sul quale
si basano l’intera dottrina di Dio e tutte le leggi – è una pura fandonia
tenuta segreta, che cosa mai si deve ritenere allora di tutta la dottrina e di
tutte le leggi? Io ora ho parlato, adesso parlate nuovamente voi; sono disposto
ad ascoltarvi»
10. Dicono gli anziani: «Hai avuto il permesso di rivelare un simile
segreto? E prima che tu venissi congedato dal Tempio come iniziato, non hai
dovuto prestare giuramento di serbare in eterno il segreto su tutto ciò che
avevi visto?»
11. Risponde l’oratore: «Certamente, ma ora mi prendo la libertà di non
osservare più il giuramento sciocco, che per me non ha né può avere nessun
valore ed anzi intendo rivelare a voce alta a tutto il mondo in qual modo esso
viene ingannato! Del resto qui a Nazaret non guardiamo simili cose tanto per il
sottile e così ci si può senz’altro arrischiare di violare un giuramento di
questa specie, fondato sull’inganno, senza farsi degli scrupoli
eccessivi».
Il discorso di
difesa degli anziani.
1. Dicono gli anziani: «Noi comprendiamo bene che sotto certi punti di vista
tu hai ragione, ma in generale tuttavia no, e a questo riguardo ti manca
un’esperienza di almeno vent’anni. È bensì vero che le cose nel Tempio stanno
come ora tu dici, ma così non è sempre stato. Infatti, vedi, se il tuo pensiero
non è superficiale ed inconseguente, devi necessariamente ammettere la verità
di questo principio: se non vi fosse stata mai una verità ed una realtà,
nessuno avrebbe mai potuto sognarsi di costruire il falso e l’irreale. Perché
nel nostro tempo, ricco di manifestazioni di ogni genere d’arte, si vedono
tanto spesso diamanti e perle false e così pure oro e argento falsi?
2. Sappiamo che i persiani tessono scialli finissimi e fabbricano le
migliori stoffe che essi pure tingono, secondo un processo segreto, in colori
che hanno una durata grandissima e perciò i loro prodotti sono quanto mai
apprezzati. Se tu però te ne vai oggi al mercato a Gerusalemme, a Sichar o
addirittura a Damasco, devi essere un abilissimo conoscitore di merci se vuoi
evitare di comperare delle stoffe imitate e fabbricate certamente nei nostri
paesi, dunque cattive e false, pagandole l’alto prezzo che si usa pagare per le
stoffe persiane genuine. Ma che cosa se ne può dedurre?
3. Ecco, se non vi fossero mai stati un diamante ed una perla veri, mai
oro e argento veri e puri e mai un’artistica stoffa persiana genuina, a nessuno
sarebbe mai venuto in mente di farne delle imitazioni o delle falsificazioni! E
se il vero e il genuino non avessero un così grande valore, anche in questo
caso l’imitazione e la falsificazione non avrebbero alcun scopo, perché a
nessuno salterà mai in testa di riprodurre un pezzo di calce, considerato che
di calce genuina ce n’è in tanta abbondanza. Tu puoi dunque molto facilmente
venire alla conclusione che mai sarebbe stata fatta un’arca falsa con una
colonna posticcia di fuoco, se prima non fosse effettivamente esistita un’Arca
vera, genuina e meravigliosa»
4. Dice l’oratore, che aveva nome Chivar: «Perfettamente, tutto questo
è chiaro. Qui però sorge la domanda: “Ma cos’è mai accaduto che l’antica Arca
dell’Alleanza è ora, per così dire, morta?”. Certo, essa esiste ancora e fa di
quando in quando ancora la sua comparsa al posto della falsa nel recinto del
Santissimo, vero è, per altro, che nel nostro tempo questo non avviene quasi mai,
a motivo delle visite molto frequenti che vengono fatte nel noto recinto,
perché, come si sa benissimo, ancora meno di trent’anni fa non era concesso a
nessuno entrare nel Santissimo, eccettuato al sommo sacerdote, cui spettava la
facoltà di sedere alla cattedra di Aronne ed anche a questi soltanto due volte
all’anno, secondo la prescrizione di rito, soltanto in casi straordinari gli
era lecito entrare nel Santissimo da tre fino a quattro volte in un anno.
5. Come mai è successo che il Santissimo sia rimasto tale ormai
soltanto di nome, perché, a volerla dire giusta, è in fondo così poco
Santissimo come lo è questa nostra sinagoga?».
6. Dice un anziano, più esperto degli altri: «Quale possa essere stata
la vera causa, non lo sappiamo né io né alcun altro iniziato in tutta Israele,
soltanto questo è effettivamente certo: che, dopo l’assassinio del sacerdote
Zaccaria avvenuto fra l’altare dei sacrifici e il Santissimo, la colonna di
fuoco improvvisamente si spense e più non comparve, malgrado tutte le preghiere
e le invocazioni.
7. Sperabilmente tu non avrai difficoltà a comprendere che però un
fatto simile non lo si poté rendere noto al popolo, perché l’avvenimento non
avrebbe mancato di suscitare appunto fra il popolo un’agitazione enorme, se si
aggiunge anche la presenza dei romani nel paese! Un bagno di sangue e una
devastazione sarebbero state le immancabili conseguenze!
8. Invece così, all’infuori di noi iniziati, nessuno in tutta Israele
ne sa qualcosa, e questi galilei, che sono qui a sonnecchiare e che
difficilmente possono udire quello che noi bisbigliamo anche se non dormissero
e comprendessero, non farebbero niente, perché loro, dal primo all’ultimo, ci
credono poco; essi sono più greci che giudei, e nella pratica già da lungo
tempo si attengono al principio secondo cui una religione ci deve essere,
almeno per tenere a bada il popolino, del quale così una minoranza più colta
può con tanto maggiore facilità servirsi a proprio vantaggio ed è del tutto
indifferente quale sia il mistero posto a fondamento di una religione.
9. Che cosa interessa ad un qualunque galileo se l’Arca è autentica o
meno, se essa non perde il suo prestigio di fronte al popolo minuto che è molto
superstizioso e facile ad essere illuso? Perciò qui a Nazaret, come a Cafarnao
od a Corazin, si può parlare fra buoni conoscenti ed amici già più apertamente
senza con ciò creare problemi; per quello poi che riguarda greci e romani, noi
sappiamo bene con chi abbiamo a che fare!
10. E particolarmente per questi motivi è finito in prigione anche
Giovanni che suscitava confusione a Bethabara, perché si temeva che egli,
essendo figlio di Zaccaria ed incline a rendere assai poco buona testimonianza
dei sacerdoti di Gerusalemme, potesse probabilmente sapere qualcosa dell’arca
falsa e fosse tentato di rivelare tale cosa al popolo!
11. Per la stessa ragione viene perseguitato anche il falegname,
perché, viste le sue evidenti facoltà profetiche, è senz’altro da temere che
egli renda pubblica la cosa! Di conseguenza è meglio che tutto ciò continui a
restare un segreto fra noi e non c’è bisogno che procediamo ad una liquidazione
a così buon mercato!».
12. Dice Chivar: Questa è certamente una faccenda imbrogliatissima; se
almeno non avessero sentito niente dei nostri discorsi quelli che stanno lì
sotto l’ingresso principale!».
13. Dice l’anziano: «Oh, noi veramente abbiamo fra noi più borbottato
che parlato e quelli laggiù avranno inteso ben poco od affatto niente! E poi,
anche se avessero inteso, si tratta quasi esclusivamente di greci e di romani e
non avranno compreso veramente di cosa si tratti».
14. Osserva Chivar: «Ma io ho visto fra di loro il figlio del
falegname, Gesù, il Governatore Cirenio, Fausto ed altre persone conosciute!».
15. Risponde l’anziano: «Questa è gente contro la quale noi comunque
non possiamo difenderci, è tutt’uno che essi l’abbiano inteso o no. Se vogliano
rivelare al popolo i nostri malanni, non hanno affatto bisogno dei nostri
discorsi, perché, senza alcun dubbio, già da lungo tempo, essi conosceranno
anche senza di noi, quali siano le condizioni dell’arca nel Tempio, se poi non
lo vogliono, non sarà di sicuro la nostra discussione a spingerveli e non
occorre dunque che noi ci procuriamo affanni a questo riguardo. Soltanto sarà
necessario fare attenzione che noi, quali iniziati, non ci lasciamo sfuggire
niente della faccenda trattata in nessun luogo; se la cosa un giorno poi dovrà
accadere, bisognerà prendere tutte le precauzioni possibili».
Chivar rende testimonianza
delle opere e della vita di Gesù.
1. Dice Chivar: «In verità, io devo lodare la vostra saggezza. È già
molto tempo che noi viviamo e lavoriamo assieme, ma finora non mi si è mai
presentata l’occasione di conoscere bene voi, miei compagni, come è accaduto
oggi ed è per me causa di speciale compiacimento il sapere che ho al mio fianco
degli uomini e non degli ottusi servitori del Tempio. Nonostante tutto ciò
l’apparizione del falegname è e resta il fenomeno più straordinario che il
senso umano abbia mai potuto percepire da che l’uomo è comparso sulla Terra!
Adamo, con tutte le sue esperienze e le sue storie, scompare! Enoc si
classifica tra i poveri in spirito; Abramo, Isacco e Giacobbe, Mosè, Aronne ed
Elia sono dei poveracci rispetto a noi! Un giorno solo è ora apportatore di più
cose meravigliose ed inaudite di quante ne abbiano potute sperimentare tutti i
nostri progenitori e padri!
2. Io stesso mi sono assunto la funzione di osservatore segreto e ieri,
come pure oggi, ho potuto vedere un po’ alla larga tutto quello che si è svolto
dentro e fuori della casa del vecchio Giuseppe. Io ve lo dico: “Niente altro
che miracoli uno dopo l’altro!”. Due angeli perfetti ed in forma visibile Lo
servono! La moglie di Fausto si trova a Cafarnao, il falegname vuole che
anch’essa sia presente alla mensa, però ci sarebbero volute quattro ore per
farla venire da Cafarnao a Nazaret. Ma cosa succede invece? Il falegname fece
un cenno ai due, che non possono essere che degli angeli, allora essi
scomparvero e dopo poco tempo ricomparvero conducendo con loro la bella Lidia,
felice e serena, moglie di Fausto! Cosa ne dite voi? Questo è certamente molto
di più di quanto noi possiamo comprendere!».
3. Chiedono gli anziani: «Che altra cosa hai visto ancora?»
4. Risponde Chivar: «Voi conoscete bene la figlia di Giairo e sapete
pure che essa morì due volte e la seconda volta rimase perfino sepolta per
qualche giorno, ma quello che non sapete è che la bellissima figlia di Giairo è
diventata la moglie di Boro. Non è veramente una cosa inaudita che una giovane
morta due volte vada sposa ad un uomo e che lo sposalizio avvenga in
circostanze tali quali mai si sono verificate a questo mondo? Infatti, quando
il figlio del falegname si accinse ad impartire loro la benedizione, essi
videro i cieli aperti ed innumerevoli schiere di angeli apparvero inneggiando a
Dio affinché concedesse tanta grazia ed onore agli uomini di questa Terra!
Quando poi la coppia fu benedetta ad un cenno visibile del falegname si
richiusero i cieli e non rimasero che i due angeli, com’erano prima e come
potete vederli qui nella sinagoga in piedi, vicino alla porta, nella figura di
due giovinetti di celestiale bellezza! Osservateli e dite voi se la loro patria
può essere un’altra che non sia unicamente il Cielo!
5. Ma se le cose non si possono vedere da un altro lato che non sia
questo, meraviglioso, ciò che nessuno di voi può negare, perché non dovremmo
considerare il figlio del falegname per qualcosa di superiore al solito
discepolo degli esseni, che Egli non può mai aver frequentato per la ragione
che, a quanto mi consta, non si è mai allontanato da questi dintorni, tranne un
paio di volte per recarsi con il padre e con i fratelli a Gerusalemme e, così
credo, una volta a Sidone per costruirvi una casa, mentre del resto non si è
mosso mai dalla sua città.
6. Benché si sappia che Egli fu sempre un lavoratore silenzioso e
solitario e che talvolta Lo si ritenne perfino un po’ scemo, si sa però anche
che dalla Sua nascita, fino circa il Suo dodicesimo anno, Egli fu il
protagonista di avvenimenti straordinari, pare che pure la Sua nascita sia
stata accompagnata da manifestazioni del tutto meravigliose, secondo quanto
ebbi, non molto tempo fa, occasione di apprendere dal centurione romano
Cornelio, durante una festività a Cafarnao!
7. Ora, se le cose stanno in questi termini, io domando seriamente se
si debba ancora esitare a considerare questo Gesù, almeno un Figlio di Dio.
Infatti le cose quali sono quelle che Egli compie e gli ordini che Egli
impartisce agli angeli che obbediscono ad un solo Suo cenno, inducono
evidentemente a dedurre che dietro a questo Gesù debba celarsi una pienezza
dell’originario Spirito di Dio!
8. Ma se è così, come lo dimostrano le Sue opere ed i Suoi
insegnamenti, io non posso fare a meno di domandarmi per quale ragione noi
persistiamo nel nostro attaccamento all’arca morta, mentre quella vivente si
manifesta e opera qui dinanzi ai nostri occhi? Noi possiamo, apparentemente,
restare quello che siamo di fronte al popolo, per non dar troppo nell’occhio,
però nel nostro cuore dovremmo noi tutti fermamente confessarci Suoi seguaci!»
9. Dice l’anziano sapiente: «O in tutto o in nulla! Infatti se la
Divinità è in Lui, questa aborrà qualsiasi mezza misura, e se questo non
dovesse essere il caso, è sempre meglio restare presso l’arca morta con almeno
il ricordo vivente del suo precedente miglior stato, piuttosto di accettare
qualcosa di cui non si conosce la ragione!»
10. Dice Chivar: «Di conseguenza, dunque, esamineremo la questione per
riguardo a voi, per quanto mi riguarda, non c’è più bisogno di esaminarla. A me
è tutto perfettamente chiaro e so con tutta esattezza quello che faccio
seguendoLo»
11. Osserva l’anziano: «Ma credi tu che il Tempio lascerà fare, quando
vedrà una località dopo l’altra staccarsi da esso, come la frutta matura da un
albero? Io sono dell’opinione che il Tempio non attenderà a lungo e poi si
vedranno i suoi sacerdoti andare dappertutto in missione punitiva! Ed allora
guai a tutti coloro che l’avranno abbandonato; essi saranno aspramente
tormentati in ogni maniera! Più a buon mercato ancora dovrebbero cavarsela
coloro che hanno accolto le dottrine dei sapienti della Grecia, mentre i
discepoli di Gesù non sono né completamente ebrei né meno ancora greci, una
parte di essi però dovrebbe essere a conoscenza delle condizioni pessime ed
anzi del tutto vuote del Tempio e dei suoi sacri misteri!
12. Io ve lo dico: “Niente contribuirà tanto a suscitare nella gente
del Tempio un’agitazione maggiore, naturalmente celata e perciò tanto più
pericolosa per noi, quanto la comparsa profetica di Gesù e dei Suoi discepoli!
E questa agitazione sarà poi un incentivo a ricorrere a tutti gli artifici di
Satana per combattere e guastare una dottrina che evidentemente non può mancare
di portare il Tempio a completa rovina”.
13. O non avete voi saputo come i templari l’anno scorso hanno agito
con un greco, che aveva divulgato fra il popolo la voce che essi oramai
accettavano come offerta nel Tempio anche monete d’argento e d’oro di conio
romano, mentre a tale scopo sono destinate unicamente le monete di Aronne e,
all’infuori di queste, non dovrebbe venir mai accettato altro denaro? Ecco, lo
hanno adescato nel Tempio con la promessa di lauti guadagni e quando in questo
modo lo ebbero nelle mani, dentro il recinto del Tempio, venne spedito
all’altro mondo in una maniera di cui la cronaca non ebbe a citare finora
esempi! È necessario dunque usare estrema prudenza e dobbiamo perciò diventare
addirittura greci e soltanto dopo, come tali, unirci ai discepoli di Gesù con
il corpo e con l’anima, oppure dobbiamo restare interamente quello che siamo,
perché facendo le cose a metà in nessun caso ne avremo vantaggio!»
14. Risponde Chivar: «Ancora una volta hai ragione, nella misura in cui
c’entrano le considerazioni dell’accortezza mondana, però, detto schiettamente
fra noi, se Costui, che all’apparenza è un falegname, fosse appunto il promesso
Messia e quindi – come Lo chiama Davide con la più profonda venerazione –
Jehova stesso, dovremo forse anche in questo caso diventare Suoi discepoli per
vie contorte e giocando d’astuzia, oppure non dovremo piuttosto schierarci
subito sotto la Sua celestiale insegna, gettando dietro di noi ogni timore di
qualsiasi artificio di Satana, già per la ragione che noi possiamo, per mezzo
Suo, essere perfettamente certi di una vita eterna, anche se ciò dovesse
costarci questa misera vita terrena che ha così poco significato e che è di
tanto breve durata!?».
15. A questa proposta di Chivar tutti restano interdetti e non sanno
più quale decisione prendere.
Il consiglio
degli angeli ai templari convertiti.
1. Allora i due angeli si avvicinano a loro e dicono: «Chivar ha parlato
bene da una parte e tu anziano hai pure ragione, in quanto si deve essere di
Dio interamente, poiché Dio aborre qualsiasi mezza misura! Noi però, quali Suoi
testimoni dai Cieli, vi diciamo: «Non temete coloro che non possono nuocere
alle vostre anime, ma temete piuttosto Colui che è il Signore di ogni vita nel
Cielo e sulla Terra! Senza di Lui non esiste vita alcuna né in Cielo né in
Terra e perciò da parte nostra, Suoi veri testimoni dai Cieli, vi sia dato il
consiglio di fare così come vi ha suggerito l’amico Chivar»
2. Dice l’anziano: «Chi mai siete voi, o soavi creature, che dinanzi a
noi vi dichiarate “testimoni dai Cieli”?»
3. Rispondono i due: «Chiedi a Chivar, che ha visto come noi abbiamo
condotto da Cafarnao la moglie di Fausto ed egli vi dirà chi siamo noi!».
4. Esclama l’anziano: «Se è davvero così, non c’è più niente da pensare
e da discutere e nient’altro da fare che voltare le spalle al Tempio!»
5. Dicono i due: «Non così, cari amici, perché il Signore è l’equità
stessa in tutte le cose. Se voi Lo seguite nel vostro cuore, se avete una fede
viva in Lui e se credete fermamente che soltanto in Lui trova adempimento la
Scrittura ed in gran parte lo ha già trovato, voi fate abbastanza. Però, per
quanto riguarda tutto il rimanente, potete restare quello che siete, affinché i
servitori del mondo e del demonio, dei quali il Tempio è zeppo, non vengano
destati innanzi tempo! Insegnate al popolo Mosè ed i profeti e promuovete
l’osservanza dei veri comandamenti di Dio, ma nell’osservanza dei mondani
precetti del Tempio, comportatevi come l’acqua tiepida: così facendo voi sarete
qui Suoi veri discepoli, come lo sono coloro che Egli ha chiamato e scelto fra
i pescatori».
6. Fra due giorni vi sarà destinato da Gerusalemme un nuovo preside, il
quale da principio vorrà farsi vedere ligio quanto mai al Tempio, più tardi
però si mostrerà facilmente trattabile e per denari accorderà dispense, una
dietro l’altra, perché egli stesso non crede affatto nel Tempio e voi avrete
con lui facile gioco. Giairo, però, si è già messo a riposo e vivrà in casa di
suo genero. Badate però di non raccontare al nuovo preside tutte le meraviglie
che sono accadute qui!
7. Dice Chivar in tono profondamente rispettoso: «O servitori di Dio,
dal Regno della Luce e della Vita eterna, è certo molto bene fare così come
voi, secondo la grazia del Signore, ci avete consigliato, ma per quanto
riguarda me, io vorrei pure andare un po’ più avanti. Come sarebbe se io
personalmente passassi del tutto fra i discepoli come discepolo io stesso?».
8. Rispondono i due: «Ogni uomo di questa Terra è libero e può fare
quello che vuole e può credere e parlare secondo la sua volontà, ma se a
qualcuno, com’è ora il vostro caso, viene da parte del Cielo concessa la grazia
di un consiglio, egli fa bene se lo ascolta, poiché per i discepoli che ora
stanno sempre presso il Signore verranno ancora i tempi aspri della tentazione
ed essi, come nello spirito, così anche
nel fuoco dovranno affermarsi ed allora molti diventeranno deboli e si
allontaneranno. Voi però percorrerete la via più facile e potrete raggiungere
in piena pace quella Meta cui i discepoli non perverranno che fra grandi
angosce e persecuzioni. Ora tu, o Chivar, puoi fare come vuoi, ma per te
tuttavia è meglio se resti quello che attualmente sei!»
9. Dice Chivar: «Ebbene, io resterò quello che sono, ma finché il
Signore si fermerà qui sarebbe mio desiderio stare presso di Lui per udire e
vedere l’una o l’altra cosa! Posso fare ciò?»
10. Dicono i due: «Oh, questo certo puoi farlo, quantunque il Signore
non parlerà molto più qui né ancor meno farà qui cose particolari, perché in
questo luogo gli uomini in generale non hanno nessuna fede e considerano il
Signore un maestro di magia. Ma voi avrete sufficiente occasione di suscitare
man mano in questa gente migliori idee e sentimenti a tale riguardo, e il
Signore non vi riterrà certo la ricompensa per le vostre fatiche. Questa sera
anche Roban sarà di ritorno fra voi e vi recherà testimonianze importanti sul
conto di Gesù, il Signore. Voi avrete in lui una guida molto prudente e saggia,
perché Roban è fra voi uno degli spiriti più forti». Dopo queste parole i due
angeli si allontanarono e si riunirono alla nostra compagnia.
Il rapporto dei
popoli con i loro governanti.
1. Allora prende la parola Cirenio e Mi chiede se fosse ormai
consigliabile sciogliere quei farisei, anziani leviti e scribi, secondo la sua
opinione completamente convertiti, dai vincoli delle dure leggi da lui emanate
nei loro confronti.
2. Gli rispondo Io: «Quando si ha l’autorità di fare le leggi, mai si
deve emanarne una nuova troppo precipitosamente, ma quando una legge è emanata,
ancora meno affrettatamente è bene che la legge emanata venga abrogata, poiché
in questo caso il consiglio dell’esperienza deve indicare cos’è giusto e
opportuno. Vedi, se tu emani una legge nuova, ti rendi nemici tutti coloro a
carico dei quali la legge è data, ma se tu abroghi la legge stessa, nessuno te
ne sarà grato, ti si taccerà di debolezza e si andrà dicendo con aria di
trionfo: “Eccolo qui il tiranno! Siccome ha visto l’immenso numero dei suoi
nemici, egli ora vorrebbe rientrare nel favore del popolo, abrogando
d’improvviso la dura legge con cui aveva voluto colpirlo!”. Ma di amici ne
troverà pochi, se non affatto, fra il popolo, perché quando uno ha la stoffa
del tiranno, se egli una seconda volta giunge al potere, diventa per la seconda
volta un doppio tiranno!
3. E perciò, volendosi abrogare una legge data, è meglio lasciarla cadere
il più silenziosamente possibile e se si verificano delle trasgressioni, si usi
indulgenza e non eccessiva severità nelle sentenze, se poi un altro reggente
assume il potere, allora questi è libero
di abrogare del tutto le leggi emanate dal suo predecessore e di prescrivere
altre leggi più miti, conformemente allo spirito del popolo, a meno che non
accadesse che essi stessi venissero e te ne pregassero; in questo caso certo tu
puoi dichiarare fuori vigore la parte più rigida della legge emanata, sempre
però con la riserva di reintegrare la legge nella sua piena severità
originaria, qualora dovessero manifestarsi dei sintomi maligni, precursori di
ostilità alla buona causa che con la legge si aveva in animo di tutelare.
4. Ecco, questa è la prudenza cui ogni reggente deve ispirarsi nel
guidare i popoli a lui dipendenti, se egli davvero vuole che il suo regno sia
felice! Ed un reggente docile e fiacco dovrà ben presto venire alla
constatazione sempre triste che egli non avrebbe dovuto, per troppa condiscendenza,
lasciarsi sopraffare dal popolo!
5. Infatti i popoli stanno al loro reggente nello stesso rapporto in
cui i figli stanno ai genitori. Genitori severi ed in pari tempo saggi avranno
anche figli buoni, obbedienti e premurosi che li ameranno ed onoreranno, mentre
i genitori deboli e troppo condiscendenti saranno ben presto sopraffatti dai
loro figli, i quali poi finiranno un bel momento con il cacciarli fuori di
casa.
6. L’amore congiunto a serietà e saggezza è una legge eterna; chi così
agisce non sbaglia mai ed un giorno raccoglierà i frutti squisiti e preziosi
della sua opera. Mi hai compreso perfettamente?»
7. Dice Cirenio: «Sì, o Signore, proprio perfettamente e tale cosa si è
verificata sempre in questo mondo. Un reggente troppo buono e condiscendente è
ben presto spacciato, però anche un reggente troppo severo e dispotico non dura
troppo a lungo, dunque io concludo che nel mezzo, fra i due sistemi, stanno la
sapienza, la felicità e la sua durata!»
8. Dico Io: «Sì, certamente così è, e come Io ti ho già detto la via di
mezzo è sempre la migliore. Ora però facciamo ritorno a casa, perché il
pomeriggio è già molto inoltrato»
9. Domanda Cornelio: «Ma Signore! Questi vecchi non accennano qui a
finirla con la loro dormita; ma non potrebbero piuttosto restare a casa loro
per festeggiare in questo lodevole modo il Sabato? Almeno non annoierebbero gli
altri presenti con il loro russare così fragoroso, come fanno! In verità c’è da
scappare via in tutta fretta dinanzi a questo fenomeno sgraditissimo fra i tanti!
Io sono capace di sopportare qualunque rumore o schiamazzo, ma quando uno
dormendo russa, per me è una cosa disperante!»
10. Gli dico Io: «Via via, lascia andare, fintanto che russano, non
peccano, anzi, è perfino meglio che essi abbiano russato finora, perché, se
fossero stati svegli, avrebbero udito più di una cosa atta ad attizzare lo
scandalo nei loro animi, e ciò non sarebbe stato buono, ma siccome hanno
dormito molto profondamente, così non hanno né visto né udito niente e perciò
non si sono scandalizzati. Ora, vedi, questo è molto buono. Ma adesso
andiamocene e lasciamo che questa gente seguiti a dormire.
11. Allora accennammo a dirigerci verso l’uscita della sinagoga, però i
farisei e gli anziani ci precedettero in fretta e, giunti alla gran porta che
era aperta a metà, spalancarono completamente il gran portone ed esclamarono:
“Signore, così sta scritto: ‘Alzate le porte ed allargate i portoni, affinché
il Re di gloria entri!’.
Ma Chi è questo Re? Egli è Jehova Zebaot, il Quale sia da noi tutti
lodato, celebrato e onorato da eternità in eternità!”»
12. E Cirenio dice loro in tono amichevole: «Sì, così è e così sia in
eterno! Sia il Signore sempre con voi!»
13. Ed essi esclamano: «E con lo spirito tuo pure, affinché, come Egli,
tu voglia usarci grazia, perché le tue leggi ci hanno oppressi gravemente più
della morte, ma, essendo noi stessi oramai diventati interamente Suoi discepoli
e considerato che noi stessi volonterosamente e fattivamente ci addossiamo le
tue leggi, queste stesse dure leggi per noi è come se non esistessero.
Tuttavia, appunto per queste leggi, noi dobbiamo ringraziarti, perché senza di
esse saremmo potuti arrivare con facilità al punto di tradire questa causa
santissima! E perciò, anche, non ti preghiamo più di abolire le tue leggi
severe, perché ormai uguali a te siamo nel pensiero, nella fede e nell’azione,
e perciò noi ora le aboliamo per tutti i tempi dei tempi fino all’ultima
lettera, in forza della nostra libera volontà d’azione secondo la legge
stessa!»
14. Dice Cirenio: «Questo è anche il pensiero che mi ha guidato
nell’emanare la legge nei vostri confronti ed io nutro sicura speranza di non
dover mai più rinnovarla in forma così dura. Non lasciatevi dunque mai più
trarre in errore e seguite rigorosamente i consigli che i due angeli di Dio vi
hanno dato; in questo modo noi resteremo i migliori amici in Dio, il Signore, e
il mio governo non vi sarà affatto di peso. E se in seguito all’assunzione
della nuova carica di preside della vostra sinagoga da parte di una nuova
persona dovesse risultare che questa tentasse di perseguitarvi in qualsiasi
modo, per il fatto che siete amici di Gesù, il Signore dall’eternità, ed in
pari tempo amico pure dei romani di cui godete la benevolenza, in questo caso
non vi sarà difficile trovare la via fino a me ed allora verranno ben presi
tutti i provvedimenti atti a tutelare nel miglior modo possibile i vostri
diritti fisici, nonché, in maniera particolare, quelli spirituali! Ed ora
nuovamente io vi dico: “Il Signore sia con voi!”»
15. Ed essi tutti rispondono ad alta voce: «E con lo spirito tuo, in
eterno!».
16. Dopo ciò essi s’inchinano profondamente dinanzi a noi e per la
grande porta già spalancata usciamo e ci dirigiamo verso casa, dove troviamo
già pronta la cena, consistente in pane vino e svariatissime qualità di frutta
dolcissima e matura. Noi prendiamo posto alle mense e dopo il ringraziamento la
compagnia fa onore a quanto le è stato offerto. Terminato il pasto noi però ci
fermiamo ancora a tavola fino al tramonto, intrattenendoci in liete ed
edificanti conversazioni.
Roban e
Kisjonah narrano le loro avventure.
1. Poco prima del tramonto, ecco giungere a casa Mia Roban accompagnato
da Kisjonah i quali già a distanza avevano cominciato a salutare tutti coloro
che incontravano e Kisjonah si affretta verso di Me a braccia aperte e Mi porge
prima che ad altri il saluto di vera amicizia, commosso fino alle lacrime e
dopo poco tempo rivolge la parola alla figlia, che quando era arrivato lo aveva
preso per mano, che andava coprendo di baci; saluta poi suo genero e Cornelio e
quando apprende che lo splendente romano che sedeva presso di Me è il
governatore Cirenio, gli chiede perdono di non averlo riconosciuto!
2. Ma Cirenio profondamente commosso, gli prende la mano e posandola
sul proprio petto dice a voce alta: «Non tu a me, ma io a te devo chiedere
perdono per non averti fino ad oggi conosciuto di persona! Infatti oltre che a
Gesù, il Signore, al quale certo solamente spetta ogni lode ed onore, è anche a
te, o fedele e onesto Kisjonah, che io debbo una gratitudine illimitata, poiché
fra tutta la gente dei tuoi dintorni, sei tu, senza alcun dubbio, quello che
più di tutti ha contribuito a salvarmi da un guaio che altrimenti mi sarebbe
certo costato la vita! Dunque, o pregiatissimo amico mio, è per me una gioia
davvero grande averti potuto conoscere ora anche personalmente.
3. Allora Kisjonah, oltremodo lieto per l’accoglienza avuta, si dà a
raccontare di molti avvenimenti e di molte cose accadute nel frattempo ed
infine pure di una visita da lui fatta a Sichar assieme al vecchio ed onesto
Roban, dove ha avuto occasione di intrattenersi con Jonaele, Jairuth e più
ancora con Archiele, il quale ormai viveva e agiva perfettamente come qualunque
altro uomo, in modo che ad un estraneo non sarebbe potuto venire in mente,
neppure in sogno, che dentro di lui si celasse un essere puramente spirituale.
4. E così egli aveva pure fatto visita al medico Joram ed alla sua cara
e gentile moglie ed in quella occasione aveva ammirato le magnificenze della
loro meravigliosa casa, tutti e due poi lo avevano aggiornato delle cose
straordinarie là accadute e Roban, dal canto suo, non aveva fatto che osservare
ed ascoltare avidamente tutto, non celando la sua immensa meraviglia e dicendo
fra sé, nei momenti di più intensa commozione: «Sì, certo, il mio sangue e la
mia vita per il divino Maestro di Nazaret! Infatti Egli non può essere un uomo
comune, ma deve essere Dio in Persona, altrimenti non gli sarebbero possibili
tali cose!».
5. E mentre Kisjonah è ancora intento al suo racconto, Roban Mi viene
vicino e dice semplicemente: «Signore! Io sono con Te e nessuna potenza al
mondo, all’infuori della Tua Volontà, potrà separarmi da Te!»
6. Gli dico Io: «Avevo ben saputo già prima che saresti venuto da Me,
però tu non sai ancora che tutti i tuoi fratelli e colleghi sono ormai
diventati Miei sostenitori, senza perciò cessare di essere dinanzi al mondo
quello che erano prima. Del resto anche tu resterai frattanto così come sei
stato finora e ciò finché il nuovo preside della scuola, il quale dopodomani
assume il posto di Giairo, si sarà raffreddato alquanto nella sua baldanza.
7. I tuoi fratelli già ti istruiranno in tutto ciò che avrai da dire e
da fare e avrai da contenerti al cospetto del nuovo preside, il quale da
principio vorrà bensì affermare la propria autorità, ma non passerà mezzo anno
che per qualche po’ di denaro voi potrete ottenere da lui quello che vorrete, perché
egli non ha nessuna fede nel Tempio e quello che c’è in lui non riguarda per
ora che il denaro, gradatamente poi anch’egli arriverà al punto di poter
credere in qualche cosa di meglio. Adesso però puoi recarti dai tuoi fratelli e
riferire a loro tutto ciò che hai visto ed udito».
8. Dopo queste Mie parole, Roban si congeda da Kisjonah ringraziandolo
per tutto il bene che gli aveva fatto e dice infine: «Di uomini come Kisjonah,
purtroppo, ce ne saranno davvero ben pochi sulla Terra e, rivolgendosi a lui,
tu sei l’unico che abbia saputo trovare le vie del mio cuore! Il Signore ti
benedica per tutto il bene che hai procurato a me ed a mille altri!». Poi egli
fa un profondo inchino davanti a noi e si affretta a raggiungere i fratelli che
sono ancora radunati nella sinagoga, senza però la compagnia dei dormienti, che
erano stati allontanati subito dopo la nostra partenza. Egli viene accolto con
sorprendente amicizia, ed in letizia e serenità di spirito tutti si scambiano
le loro impressioni e fra reciproche meraviglie si narrano l’un l’altro tutto
quello che a ciascuno è successo e quanto hanno udito e visto.
9. Però anche da noi quella sera regnava un ottimo umore, perché
Kisjonah non era arrivato da solo, ma con parecchie bestie da soma ben cariche,
con i rispettivi guidatori, ed avevano portato vino, farina, formaggi, pane,
miele ed una buona quantità di eccellente pesce affumicato, cosicché la madre
Maria non poté trovare tutto lo spazio necessario per accogliere le provviste.
10. Allora si pregò un vicino di mettere a disposizione le sue vaste
dispense per custodirvi con una certa cura l’eccedenza che non poteva trovare
posto ed egli acconsentì, sebbene per pura compiacenza e non troppo volentieri,
perché era un individuo notoriamente sordido e avido, ma siccome Kisjonah gli
offrì per la sua fatica e per i suoi buoni uffici due monete d’oro, allora egli
si dimostrò subito ben disposto e divenne molto servizievole, tanto anzi che
nella foga del trasportare i sacchi, essendo il crepuscolo già inoltrato, urtò
una volta con violenza il discepolo Giovanni e questi ebbe in quell’occasione a
dirgli: «Amico, vedi di essere più prudente nel tuo zelo pagato, altrimenti non
mancherai di causare qualche danno a te ed agli altri. Saresti invece felice se
per il Regno di Dio, che ti è giunto così vicino, avessi lo stesso zelo che hai
per questi due pezzi d’oro di nessun valore e, comportandoti così, non
urteresti nessuno! Oh, la cecità immensa degli uomini che non può e non vuole
mai riconoscere l’Altissimo!»
11. Il vicino però non si lasciò confondere, compì il suo lavoro
secondo quanto era stato convenuto e non si curò d’altro.
12. Allora Giovanni Mi domandò: «Signore, ma è davvero possibile che un
uomo abbia nel corpo e nella sua anima tanta insensibilità ed apatia?»
13. Ed Io gli rispondo: «Lascialo stare, di questa specie ve ne sono in
terra d’Israele ormai molte migliaia, che in fatto di ottusità e di
cocciutaggine non hanno niente da invidiare gli asini e perciò anche loro
compete non altro che la ricompensa dell’asino!».
14. Questo scambio di parole provocò nella compagnia una risata un po’
rumorosa, accresciuta poi ancora da alcune felici ed acute osservazioni di
Filopoldo, che dimostrò che di solito l’uomo vede ogni cosa meglio di quanto
vede precisamente quella che gli sta sotto il naso! E tutti ammirarono la sua
perfetta dialettica.
15. Dopo questa scena noi ci levammo da mensa e ce ne andammo a
riposare.
Il servizio
reso ai mondi dagli angeli – Un Globo-involucro
1. Tutti ebbero presto trovato il posto loro assegnato e dormirono fino
al mattino. Anch’Io mi ritirai e dormii un paio d’ore; i due angeli però
durante la notte accudirono al loro ufficio direttivo dell’Universo e con il
levar del Sole furono già di ritorno presso di noi. Si avvicinarono a Me e,
dopo aver ringraziato, dissero: «Signore, l’ordine più perfetto regna in tutto
l’intero ed immenso Uomo cosmico. I soli-centrali-primordiali sono al loro
posto e le loro rotazioni sono regolari, le orbite dei soli-centrali
primordiali sono invariate, quelle dei soli-centrali-secondari intorno ai
precedenti sono pure al massimo ordine ed altrettanto si dica dei soli-centrali
di terzo ordine, con i loro dieci volte centomila soli-planetari, dove più e
dove meno, come Tu, o Signore, hai fin dai primordi stabilito la misura! Gli
innumerevoli soli-planetari poi, con i piccoli pianeti e le loro lune, privi
per lo più di luce propria, dipendono ad ogni modo dall’ordine dei grandi soli-centrali
e così in questo Globo-involucro[2] che è
affidato a noi due per la sorveglianza, tutto procede nel migliore e massimo
ordine. Noi potremmo dunque, com’è nostro desiderio, passare ancora una
giornata serena presso di Te, o Padre santo, e presso i Tuoi figli che tanto
amiamo?».
2. Dico Io: «Va benissimo, però impiegate a dovere ogni minuto in
svariatissimi ed utili insegnamenti, perché i Miei figli ne hanno ancora molto
bisogno».
3. I due angeli allora si ritirano tutti lieti e felicissimi, salutano
Maria e dopo di lei i discepoli e Cirenio, Cornelio, Fausto, Giairo, Kisjonah e
Boro, ma Cirenio, che aveva udito parlar di molti soli, domanda senza indugio
ai due di che soli si fosse trattato nel colloquio da essi avuto con Me,
considerato che di soli egli non ne conosceva che uno soltanto.
4. I due però gli rispondono in tono affettuoso: «Carissimo amico e
nostro fratello nel Signore, non voler conoscere quello che per ora ti è
impossibile comprendere e dal quale non dipende affatto la salvezza della tua
anima, perché quello di cui abbiamo trattato con il Signore ti ucciderebbe,
qualora tu lo comprendessi e lo conoscessi nella misura in cui noi lo dobbiamo
comprendere e conoscere in ogni tempo. Ad ogni modo sappi che tutte le stelle
che tu puoi ammirare in una notte chiara ed ancora moltissime altre, che a
causa della loro enorme distanza il tuo occhio non può percepire, sono
altrettanti mondi solari di una grandezza incalcolabile per la tua capacità
intellettiva. Il Sole che tu vedi è uno fra i più piccoli soli-planetari, ma
tuttavia corrisponde in grandezza già ad oltre mille volte mille questa Terra;
immaginati ora soltanto un Sole-centrale appena della quarta categoria, intorno
al quale ruotano, percorrendo orbite immense, centinaia di migliaia di
soli-planetari unitamente ai loro pianeti o piccole Terre non luminose, qual è
quella su cui voi vivete! La capacità di quest’astro è di per sé tale che in
esso troverebbero posto mille volte tutti i soli-planetari che gli girano
intorno con tutti i rispettivi pianeti e lune. Dicci ora, o amico, se puoi
adesso farti un qualche concetto di una grandezza simile»
5. Risponde Cirenio: «O carissimi servitori di Dio, non ditemi altro a
questo riguardo, ve ne prego, perché sento che mi prende la vertigine! Chi
avrebbe potuto neppure in sogno pensare ad una cosa simile? E voi potete
sorvegliare tutto ciò, per così dire, con uno sguardo? Che potenza e che
profondità di sapienza divina deve esserci in voi! Ma, poiché oggi sono tanto
ansioso di sapere, ditemi ancora, così in generale, che cosa c’è veramente su
questi immensi e innumerevoli soli?»
6. Dicono i due: «Tutto quello che vedi sulla Terra, queste ed altre
simili cose tu le trovi anche su di un grande mondo solare, certamente in forme
molto più elevate e nobili ed in proporzioni talvolta non soltanto più grandi,
ma addirittura gigantesche. Là, come qui, ci sono uomini, animali e piante ed
inoltre dimore immense, di una magnificenza indescrivibile, in confronto alle
quali il Tempio di Gerusalemme e il palazzo imperiale di Roma devono sembrare
dei poverissimi gusci di lumaca ed in tutto c’è quest’Uno, dall’eternità e per
l’eternità il solo Signore e il solo continuo Creatore».
Il rapporto
degli uomini della Terra con il Padre Celeste.
1. Nell’apprendere queste cose Cirenio, preso da grandissima
venerazione, esclama: «O amici e servitori di Dio! Ora soltanto scorgo Chi
veramente è il Signore e chi sono io! Io sono un nulla assoluto, mentre Egli è
infinitamente Tutto! Soltanto non comprendo la nostra umana audacia nel parlare
con Lui con tanta facilità, come se ci trovassimo di fronte a un nostro
pari».
2. Dicono i due angeli: «Egli stesso vuole che sia così, perché i figli
hanno dall’eternità il diritto di conversare con il Padre a loro piacimento!
Dunque non fare domande circa cose e rapporti insulsi, poiché non è colpa tua
se tu sei un uomo, ma la ragione di ciò sta soltanto in Colui che ti ha creato
così come tu sei, fuori da Se stesso e per Volontà e Potere Suoi, senza essere
vincolato al consiglio di nessun altro, se non a quello assolutamente Suo. E in
verità chi avrebbe potuto Egli interrogare se non unicamente Se stesso, dato
che prima di Lui non esisteva alcun essere in tutta l’immensità?
3. Dunque, quando tu parli con Lui come con un tuo pari, fai benissimo,
perché Dio, all’infuori di Se stesso, non ha nessuno con cui poter scambiare
parola. Ma le Sue creature, che da Lui procedono, godono per Suo volere di una
tale libertà che esse possono parlare con Dio e Dio con loro così come può
parlare un uomo ad un altro uomo e, per conseguenza, il fatto che tu parli con
Lui come con un altro tuo simile resta perfettamente nell’ambito dell’Ordine,
poiché la creatura è degna del suo Creatore, e il Creatore è degno della Sua
creatura.
4. Ogni creatura è certo un testimone dell’Onnipotenza, della Sapienza
e dell’Amore di Dio e senza il Suo Potere non c’è nessun spirito, per quanto
forte, che sia capace di creare qualcosa da se stesso, perché ciò lo può fare
solo Dio! Ma poiché ogni creatura è un testimone dell’Onnipotenza, Sapienza ed
Amore divini, perché non dovrebbe la creatura essere degna del suo Creatore?
Comprendi questa cosa?»
5. Risponde Cirenio: «O sapientissimi servitori di Dio l’Onnipotente!
Come sono ben chiari e comprensibili e riboccanti di sapienza i vostri
insegnamenti! Sì, questa è certamente la verità! L’uomo davvero non deve
vergognarsi di quello che è, perché egli è senza dubbio il capolavoro massimo
del Creatore, qualora viva secondo la Volontà divina da lui liberamente
riconosciuta. Ma se un uomo agisce contrariamente alla Volontà di Dio, credo
che egli rovini se stesso e non possa più corrispondere a ciò che in origine
era e che dovrebbe essere e restare in eterno.
6. E così il peccato deve essere una azione contraria all’Ordine
originario di Dio, in conseguenza della quale l’uomo, che nella sua parte
perfezionabile è egli stesso il creatore della propria natura destinata a
diventare simile a Dio, si rovina e si rende con ciò da se stesso indegno di
essere una creatura dell’eterno ed onnipotente Artefice!»
7. Dicono gli angeli: «Qui tu hai pienamente ragione! Ciascun uomo
resta certo un capolavoro degno di Dio, in quanto egli nella forma, nelle
attitudini, nella capacità e nella vivente libertà è, per così dire, una pura
macchina in cui lo spirito può manifestarsi libero e fattivo.
8. Ma invece, per quanto riguarda lo sviluppo morale del suo cuore,
l’uomo può degradare se stesso al livello di un orrore dell’inferno ed appunto
con ciò commette il peccato più grave, poiché egli converte in se stesso, per
propria volontà, il capolavoro supremo di Dio in una mostruosa e miserabile
rovina quanto mai indegna della Divinità, la Quale poi deve dedicare una fatica
immensa ed una pazienza incalcolabile per restituire l’opera rovinata alla
dignità di capolavoro.
9. Ora appunto, a causa delle innumerevoli opere che si sono rovinate
da sole, questa volta è venuto nel mondo il Sommo Artefice stesso, allo scopo
di riordinare per tutti i tempi queste molte opere che si sono rovinate! Però
anche in seguito le opere si rovineranno, e per ovviare a questo male Egli
fonderà su questo mondo un nuovo istituto, nel quale tutte le opere che si sono
rovinate potranno ripararsi e riordinarsi da sole. Ma chi, per propria libera
volontà, non vorrà utilizzare questa istituzione, rimarrà rovinato in eterno se
alla sua volontà non darà un’altra direzione! Comprendi tale cosa?»
10. Dice Cirenio: «Anche questo lo comprendo perfettamente, ed appunto
per questo sono dell’opinione che sarà necessario, mediante leggi scelte e
severe, costringere gli uomini a fruire completamente della nuova istituzione»
11. Dicono gli angeli: «Questa cosa certo accadrà, ma all’umanità
gioverà poco, perché all’uomo è utile veramente soltanto quello che egli fa per
atto proprio, libero e spontaneo, tutto il resto è per lui di gravissimo danno.
12. Infatti se l’uomo potesse venire perfezionato usando una qualche
costrizione sia esteriore che interiore, noi avremmo ad esuberanza il potere di
legare e costringere tutti gli uomini in maniera tale che essi sarebbero del
tutto impossibilitati ad agire contro qualsiasi legge. Ma con ciò noi verremmo
a ridurre l’uomo, che dovrebbe divenire perfettamente simile a Dio in piena
libertà, ad una macchina animata, ad un automa altrettanto incapace di
decidersi ad un’attività libera ed efficace, quanto lo è la spada, per quanto
acuta, della giustizia senza essere brandita da una mano esperta.
13. Da tutto ciò puoi rilevare molto chiaramente che con qualunque
genere di costrizione non c’è mai in eterno niente da ottenere, ma unicamente
con il vero insegnamento, come prima cosa, e poi con la libera autodecisione di
vivere o di agire secondo l’insegnamento appreso, per mezzo del quale a
ciascuno vengono in ogni senso rese manifeste le vie ben rischiarate
dell’Ordine divino. Comprendi anche questo?».
1. Dice Cirenio: «Sì, lo comprendo, purtroppo, perché poco buon
successo ci si può ripromettere da questo! Dove e quanti sono gli uomini capaci
solo di intendere e di accogliere una dottrina e quanti ce ne sono poi fra gli
illuminati stessi che abbiano una forza di volontà tanto preponderante da
tradurre completamente nell’azione la dottrina proclamata e da loro ben
compresa? Io faccio venire qui mille ben convertiti e sono pronto a rimetterci
quel che si vuole se fra questi se ne possono trovare dieci che abbiano la
ferma volontà ed anche il necessario coraggio di mettere in pratica la dottrina
appresa e ben compresa, specialmente fra masse di popolo fanatico e
superstizioso! Infatti, a che cosa servirebbe loro mettere in pratica la
dottrina dell’eterna e chiarissima verità se già il giorno successivo venissero
strangolati fra atroci dolori dai fanatici egoisti e crudeli a causa di ciò?
2. Voi certo siete dei servitori dell’Altissimo immensamente saggi e
potenti, però da quella esperienza che ho, quale uomo di governo, dico:
«Assolutamente senza una qualche costrizione, questa dottrina della Vita, per
quanto veramente divina, non troverà mai un accesso particolarmente ampio!
Almeno è bene che la superstizione fanatica ed eccessivamente orrida venga
ricacciata, usando al massimo grado il potere coercitivo, altrimenti la
dottrina sarebbe eternamente peccato annunciarla anche ad una sola giornata di
viaggio distante da qui!»
3. Noi che siamo qui, crediamo certo fermissimamente alla purissima
verità eterna che ci viene in tanta abbondanza rivelata, ma tuttavia non
interamente senza una qualche costrizione, perché sia voi due che il Signore e
le Sue opere, questi sono per l’appunto anche degli elementi di costrizione per
niente troppo meschini, senza dei quali in questo luogo non si potrebbero
mettere assieme un migliaio tra ascoltatori e seguaci della dottrina. Se dunque
questo mezzo coercitivo, molto notevole, non ha ancora ridotto noi a vere
macchine già del tutto morte, come lo manifestano a sufficienza queste mie
obiezioni forse non del tutto prive di fondamento, io ritengo che un mezzo
coercitivo puramente esteriore non dovrebbe risultare proprio tanto nocivo agli
uomini che, seguendo questa nuova dottrina dai Cieli, sono destinati a
diventare dei veri figli di Dio!».
4. Dicono gli angeli: «Sotto certi riguardi tu hai certamente ragione,
ed anche i mezzi coercitivi esteriori non mancheranno di venire adottati, ma
accanto a questo tu arriverai alla convinzione che una costrizione esteriore è
in fondo ancora peggiore di una interiore impercettibile, poiché dei mezzi
coercitivi esteriori si serve anche Satana per mantenere viva la mala
superstizione! Se noi dunque, nel diffondere la dottrina dei Cieli, ci troviamo
addirittura a far ricorso a mezzi spregevoli usati da Satana, vale a dire se
noi ricalchiamo le sue orme, si domanda: “Che vantaggio possiamo trarre per il
bene eterno dell’uomo?”.
5. La mala superstizione si è in ogni tempo affacciata al mondo e si è
aperta la sua via bagnata di sangue con il fuoco e con la spada, dunque, se ora
anche il purissimo Verbo di Dio dovesse procedere per questa stessa via,
potrebbe mai un uomo, anche per poco desto nello spirito, accoglierlo come un
Verbo divino di pace dai Cieli? Non sarebbe invece egli indotto ad esclamare:
«Dio mio, non Ti basta che l’umanità sia tormentata in modo raccapricciante già
da Satana, perché Tu, l’Onnipotente, debba venire a noi, poveri e deboli
uomini, percorrendo la sua medesima via?»
6. Ora vedi, carissimo amico e fratello, sotto quale assurdo aspetto si
presenterebbe la cosa qualora Dio, il Signore, nella diffusione della Sua
dottrina fra gli uomini per la loro felicità eterna, volesse fare uso di quei
mezzi di cui l’inferno si è sempre servito per poter offrire agli uomini di questo
mondo i suoi acerbi frutti, i suoi aspri cibi!
7. Purtroppo un giorno arriveranno quei tempi in cui la dottrina
profanata di Gesù, il Signore, verrà predicata ai popoli con il fuoco e con la
spada, ma questo sarà un male gravissimo per gli uomini! Ed ora comprendi tutto
ciò?».
8. Risponde Cirenio: «Ahimè, sì certo che lo comprendo e mi domando
sempre ancora perché da parte dei Cieli onnipotenti non si vogliano impedire
tali estreme calamità e perché mai si dovette o si volle, in generale,
cominciare a concedere libero accesso al male in questo mondo!».
9. Dicono i due: «Carissimo amico e fratello! Se non ti è estranea una
qualche sapienza, giudica tu stesso se senza un contrario possa esservi un
vantaggio! Quando mai un uomo è diventato un eroe senza combattere? Ma gli
uomini sarebbero venuti ad una lotta se fra di loro fossero stati soltanto dei
mansueti agnellini? Ovvero, potresti tu mai misurare la tua forza se non ci
fosse qualcosa capace di opporti una certa resistenza? E come potrebbe esistere
un Alto se non ci fosse un Basso? Oppure come potresti fare del bene a qualcuno
se non ci fosse nessuno che ha bisogno di aiuto? Che cosa sarebbe allora una
buona azione se nessuno ci fosse ad averne vantaggio? O potresti tu insegnare
ad un onnisciente qualcosa che prima non sapesse?
10. Vedi, in un mondo dove l’uomo deve da se stesso plasmarsi a vero
figlio di Dio è conveniente che gli vengano offerte anche tutte le possibili
occasioni, sia buone che cattive, di poter mettere in pratica, nell’estensione
massima, la dottrina di Dio.
11. Devono esserci il freddo e il caldo, affinché il ricco abbia
occasione di provvedere di vestiti i suoi fratelli poveri e nudi. E così pure
ci devono essere dei poveri, perché nuovamente i ricchi possano esercitarsi
nella misericordia ed i poveri nella gratitudine; così pure è necessario che vi
siano dei forti e dei deboli, affinché ai forti sia offerta occasione di
soccorrere i deboli ed ai deboli invece l’occasione di riconoscere nell’umiltà
del loro cuore che essi sono veramente deboli. Ed infine, in certo qual modo,
devono esserci anche gli stolti, come pure dei saggi, perché altrimenti a che
cosa servirebbe ai saggi il lume del loro intelletto?
12. Se non ci fossero i cattivi, dove troverebbero i buoni il paragone
per giudicare se e fino a quale punto essi sono veramente buoni?
13. Dunque, per riassumere quanto detto, in questo istituto di
autoformazione degli uomini a liberissimi figli di Dio deve anche essere dato
agli uomini il maggior numero possibile di occasioni pro e contro, allo scopo
che i figli possano radicalmente esercitarsi in tutto e completamente
perfezionarsi, poiché altrimenti non potrebbero mai diventare dei veri ed
onnipotenti figli dell’Altissimo!
14. Perciò noi ti diciamo: “Fintanto che un uomo, per potere
assolutamente suo proprio, non arriva a respingere Satana fuori dal campo della
lotta, in ogni evenienza ed in ogni circostanza, egli è ben lontano ancora
dall’essere un perfetto figlio di Dio. Ora, come mai potrebbe egli uscire
vincitore su questo nemico se gli si togliessero tutte le occasioni di venire,
sia pur lievemente, in contatto con lui?”. Una cosa è certa: il vero Regno di
Dio si acquista unicamente al prezzo di dure lotte, perché la vita eterna
fiorisce soltanto nella più assoluta libertà e perciò deve essere anche offerta
occasione al combattimento fra Cielo ed inferno!».
1. Dicono gli angeli: «Così pure tu osserverai che gli uomini sono
dominati da svariate passioni, come per esempio: uno sente in sé il bisogno di
possedere tutto quanto ha un qualche valore, questa è evidentemente avidità,
dunque un vizio. Ebbene, a questo vizio tu devi la navigazione, perché soltanto
in uomini sfrenatamente avidi di proprietà o di guadagni poteva sorgere la
pericolosissima brama di cercare i mezzi per varcare le distese immense dei
mari allo scopo di cercare al di là del mare una qualche altra eventuale terra,
forse rigurgitante di tesori. Dopo aver sopportate molte fatiche e dopo aver
rischiato cento volte la vita, essi approdarono alla nuova terra, ma il loro
ardore si spense e le fatiche ed i pericoli corsi avevano tolto loro il
coraggio per il ritorno; allora essi si stabilirono là, dove il vento li aveva
portati: si costruirono capanne e case e così popolarono un paese ancora del
tutto inabitato. Giudica ora tu stesso se gli uomini, senza la passione
dell’avidità e dell’avarizia, avrebbero mai scoperto un paese straniero!
2. Consideriamo ancora la passione della sensualità carnale. Considera
per un momento che questa passione non ci fosse ed immaginati una umanità
celestialmente casta al massimo grado possibile e tu potrai, fino nella più
tarda età, trovare lodevole compiacimento nella vita di una purissima vergine e
di un castissimo uomo che regna sul mondo. Ora però supponi che tutti gli
uomini vivessero in questo stato di castità suprema e poi dì a te stesso: “Che
cosa ne sarà della propagazione della specie umana in queste condizioni,
stabilita nell’Ordine di Dio?”. Da ciò dunque puoi rilevare che anche questa
passione deve essere insita nell’uomo, altrimenti la Terra dovrebbe in breve
tempo apparire spopolata! Che l’uno o l’altro uomo, nei riguardi di questa
passione, si lasci trascinare purtroppo molto spesso a degenerazioni, come
l’esperienza giornaliera insegna, questo è certamente vero, ed una simile
degenerazione è sempre contro l’Ordine di Dio e perciò è un peccato, ma
tuttavia anche il frequente deviare di questa passione dall’Ordine divino è
preferibile sempre e di molto all’estirpazione totale della passione stessa.
3. Ora, tutte le forze di cui è dotato l’uomo, e che da principio si
manifestano come passioni difficili da tenersi a freno, devono essere
suscettibili del massimo sviluppo tanto verso l’Alto quanto verso il Basso,
altrimenti l’uomo finirebbe con il diventare in ogni caso simile ad un’acqua
tiepida ed insipida e sprofondare nella più stagnante pigrizia.
4. Noi te lo diciamo: “Niente ti può rendere una testimonianza tanto
valida dell’alta e divina destinazione dell’uomo quanto i massimi vizi di
fronte alle più eccelse virtù degli uomini”, perché appunto questo fatto sta a
dimostrare quali capacità ed attitudini infinite siano concesse agli uomini di
questa Terra! La via che l’uomo può percorrere è immensa e sale da un lato ai
supremi abitacoli di Dio nei Cieli, che perfino a noi angeli non sono
accessibili, mentre dall’altro lato scende all’inferno più profondo e, se così
non fosse, l’uomo non potrebbe mai raggiungere la dignità di figlio di Dio.
5. Noi angeli abbiamo a che fare con uomini di infiniti altri mondi, ma
che differenza c’è fra qui e là! Sugli altri mondi, tanto nei riguardi
spirituali quanto nei naturali, agli uomini sono posti dei limiti oltre ai
quali essi ben difficilmente possono muovere un passo; voi invece, uomini di
questa Terra, non avete, per quanto concerne lo spirito, assolutamente alcun
limite, come non lo ha il Signore in Persona e potete fare quello che volete.
Voi potete innalzarvi fino agli abitacoli più intimi di Dio, ma appunto anche
per questa ragione potete scendere fino alle infime profondità di Satana, il
quale un giorno fu anch’egli il più libero spirito proceduto da Dio, ma siccome
cadde, dovette precipitare necessariamente negli abissi più profondi di ogni
perdizione, dai quali egli forse e soltanto a gran stento troverà la via del
ritorno, perché da parte di Dio è concesso appunto al vizio una capacità di
perfezionamento altrettanto sconfinata quanto alla virtù!».
Del valore
della libera volontà
1. Parlano i due angeli: «Dunque, riguardo all’uomo su questa Terra,
tutto dipende unicamente dal libero volere e dall’insegnamento, il più
possibile privo da costrizione, il quale è da Dio dato in modo che, per quanto
concerne l’azione conseguente, esso sia sufficientemente accessibile ad ogni
grado di intelligenza umana già alla prima enunciazione, cosicché nessuno può
scusarsi con il dire di non aver compreso la dottrina, perché “Ama Dio sopra
ogni cosa e il prossimo come te stesso” è tanto universalmente comprensibile,
da poter essere afferrato con mano da ogni cieco e se qualcuno effettivamente
segue questa dottrina breve, semplice e facilissima, eppure che contiene tutto
in sé, egli solo per questo fatto, verrà, auspice il proprio cuore, già guidato
dal Signore stesso in ogni immaginabile sapienza e potrà poi a sua volta
diventare guida del proprio simile e così allora l’uno può istruire ed educare
l’altro fino a che il Signore stesso viene, lo prende e lo alleva a vero figlio
di Dio.
2. Questa però è anche la giusta diffusione della santa dottrina
nell’ordine dei Cieli; tutto quello che possa essere in più o in meno, proviene
dal male ed arreca poco o nulla di benedizione alle piante dei Cieli di Dio.
Hai ben compreso tutto ciò?».
3. Risponde Cirenio: «Sì, ho compreso tutto! Io vedo ormai
perfettamente a quali grandi cose Dio abbia destinato questa Terra e gli uomini
che vi dimorano, però, l’unica fatalità a tale riguardo è che, accanto ai figli
di Dio, per così dire nella stessa scuola, vengono allevati anche i figli
dell’inferno e precisamente ciascuno nella propria sfera! Ma ora devo anche
veramente ammettere che, considerata la cosa dal punto di vista della profondissima
Sapienza divina, la cosa non può essere altrimenti. Per altro il Signore è
saggio, buono e potente più che a sufficienza per indurre un giorno anche
l’inferno a mutare direzione! L’eternità è certamente abbastanza grande per
poter, nel corso della sua infinita durata, prendere ogni tipo di disposizioni
e stabilire le modalità sotto le quali, alla fine, anche i figli dell’abisso
abbiano a dichiararsi vinti assieme al loro seduttore e maestro!»
4. Dicono i due angeli: «Questa tua supposizione si trova già molto
oltre l’orizzonte della nostra sapienza! Tu, però, quale figlio del Signore, ti
trovi evidentemente più vicino al Signore e Padre tuo che non noi, sue semplici
creature, e di conseguenza puoi percepire anche prima di noi nel tuo cuore un
bisogno divino-puro; ma che a Dio nessuna cosa è impossibile, questo certo lo
sappiamo anche noi. Oltre a quanto già ti dicemmo circa a tale argomento, non
possiamo dirti neanche una sillaba di più.
5. Se vuoi avere chiarimenti più profondi in questo riguardo, rivolgiti
al Signore stesso; gli infiniti soli dell’Universo presi assieme non eguagliano
la chiarezza con cui ai Suoi occhi si mostra tutto quello che le eternità
future tengono celato tra fittissimi veli. Noi però crediamo che difficilmente
Egli vorrà rivelare una tal cosa ad un mortale, a causa dell’orecchio quanto
mai acuto di Satana. Infatti il nemico ha mille volte mille orecchie, è bene
usare un’estrema prudenza quando si parla di lui, se non lo si vuole rendere
ancor più perverso di quanto esso già sia».
6. Dice Cirenio: «Sta bene. Per questo motivo anch’io non ne farò
menzione al Signore!».
7. Dico Io: «Oh, non occorre che tu parli ad alta voce, perché Io so
intendere anche quello che dici e che chiedi nel segreto del tuo cuore».
1. Dice Cirenio: «Signore, per quello che concerne me, la questione di
pensare con il cuore non va assolutamente, perché già fino dalla mia giovinezza
io fui abituato a pensare con la testa e mi pare quasi impossibile poter
pensare con il cuore! Che cosa si deve fare per poter arrivare ad un simile
risultato?».
2. Rispondo Io: «Questa è una cosa molto facile da comprendere ed è del
tutto naturale, poiché, tutto quello che tu mai possa, puoi o che tu voglia
pensare nel grande cervello, spinto dal tuo sentimento, si matura prima nel
cuore e, per quanto piccolo sia il pensiero, deve evidentemente precedere un
incitamento in virtù del quale il pensiero stesso viene suscitato come una
necessità. Quando il pensiero, sotto la spinta di un qualche bisogno o di una
qualche aspirazione, è suscitato o si è prodotto nel cuore, appena dopo esso
sale al cervello, per esservi contemplato ed interpretato dall’anima, affinché
questa imprima infine alle membra del corpo quell’adeguato movimento atto a
tradurre nella parola o nell’azione il pensiero sorto nel cuore, ma che un uomo
possa pensare soltanto con il capo, questo è davvero impossibile! Perché il
pensiero è una creazione spirituale e di conseguenza non può sorgere in nessun
altro luogo che non sia dove c’è lo spirito dell’uomo, il quale ha la sua
dimora nel cuore dell’anima e da dove conferisce vita all’uomo tutto intero. E
come mai sarebbe possibile ad una creazione svilupparsi da una materia, per
quanto sottile, considerato che ogni materia, dunque anche il cervello
dell’uomo, non è altro che effettiva materia e non può, conseguentemente, che
essere il prodotto della potenza creatrice, ma mai la Potenza creatrice stessa!
Comprendi ora bene questa cosa e cominci forse già a sentire che non vi è uomo
che possa pensare qualcosa soltanto con la testa?»
3. Dice Cirenio: «Oh Signore, ora io lo sento in maniera assolutamente
viva! Ma che cosa mai succede in me? Adesso ho l’impressione di non aver mai
altrimenti pensato che con il cuore! È meraviglioso! Ma come si può spiegare un
fatto simile? Certo, io percepisco nel mio cuore vere parole e precisamente
come parole pronunciate e non mi pare più assolutamente che sia possibile
concepire un pensiero nel capo».
4. Gli dico Io: «Questa è la conseguenza del tutto naturale del
ridestarsi sempre maggiore dal tuo spirito nel cuore, spirito che è l’amore per
Me e con Me a tutti gli uomini.
5. Negli uomini però, nei quali tale amore non si è ridestato ancora, i
pensieri si formano bensì sempre nel cuore, ma, poiché questo è troppo
materiale, essi non vengono percepiti qui, ma soltanto nel cervello, dove i
pensieri del cuore, quantunque più materiali, per effetto dell’impulso all’azione,
assumono un’immagine e si amalgamano alle immagini tratte dal mondo esteriore
tramite i sensi più esteriori del corpo, le quali si sono impresse nelle
tavolette del cervello ed in tal modo i pensieri si presentano dinanzi agli
occhi dell’anima e diventano essi stessi materiali e cattivi, cosicché essi
devono venir considerati necessariamente anche quale causa del malvagio operare
degli uomini!
6. E perciò ciascun uomo deve prima rinascere nel cuore e quindi nello
spirito, altrimenti non può entrare nel Regno di Dio!
7. Dice Cirenio a Pietro che gli sta accanto: «Comprendi bene questa
cosa della rinascita dello spirito nel cuore e che cosa e dove veramente sia il
Regno di Dio, del quale Egli e i due angeli parlano continuamente come di un
premio futuro per la nostra fede?».
8. Dice Pietro: «Certamente che lo comprendo! E se non lo comprendessi
non resterei qui, ma ritornerei alle cure della mia casa. Tu però, o nobile
signore, cerca nel tuo cuore e la troverai in breve tempo molto di più di
quanto io potrei spiegarti con le mie parole in cento anni.
9. Guarda noi che siamo i Suoi primi discepoli e testimoni, se parliamo
esteriormente molto con Lui! Eppure noi parliamo con Lui di più che non tu e
molti altri mediante la parola esteriore. Noi comunichiamo con Lui
semplicemente nel cuore e gli facciamo ogni tipo di domande ed Egli ci risponde
con pensieri chiari e bene espressi, con ciò noi veniamo doppiamente a
guadagnare, perché una risposta del Signore nel cuore dell’uomo è per l’uomo,
in certo modo, già direttamente un contributo di vita, mentre la parola
esteriore può tradursi in contributo di vita, soltanto mediante il continuo
esercizio dell’anima nell’azione.
10. Di conseguenza, o illustre signore, puoi formulare nel tuo cuore
anche una domanda riguardo alla nota questione che concerne Satana e poi il
Signore porrà ben la risposta nel tuo cuore tanto silenziosamente ed in segreto
che a Satana, malgrado il suo udito finissimo, riuscirà impossibile intenderla!
Nella stessa maniera tu puoi chiedere in cuor tuo al Signore notizie anche
circa la rinascita dello spirito nel cuore e circa il Regno di Dio e vedrai che
la risposta chiarissima non si farà attendere a lungo»
11. Dice Cirenio: «Oh, appena adesso comprendo perché voi non scambiate
quasi mai una parola con il Signore, ciò mi ha meravigliato non poco già
parecchie volte! Ebbene, io voglio provare se il Signore, essendo così
misteriosamente indulgente con voi, potrà esserLo certamente anche con me!
Infatti che io Lo ami sopra ogni cosa, lo dimostra il fatto che in questo
frattempo io lascio, per così dire da parte, le mie molteplici e gravi cure di
governo e che mi trattengo presso di Lui, per rafforzare la mia anima con
ciascuna parola che esce dalla Sua bocca santissima!
12. E credo altresì che per puro amore verso di Lui io faccio ed ho
fatto più di tutti voi, perché l’ho conosciuto quand’era ancora un tenero
bambino ed in terra pagana e straniera io ho provveduto a Lui, ai Suoi genitori
e fratelli e mentre voi non gli avete sacrificato che le vostre reti, io sarei
pronto, qualora Egli lo gradisse, a deporre all’istante tutte le mie cariche
mondane, per seguirLo poi in tutta fedeltà quale il minimo fra di voi e ad
esporre, quando occorresse, la vita per Lui e per voi tutti, come ho già fatto
un paio di volte, senza considerare tutte le tempeste che a causa di ciò, con
molta facilità, avrebbero potuto scatenarsi sul mio capo da parte di Roma.
13. Ma se io faccio tutto questo per vero amore verso di Lui, penso che
vorrà ritenere me pure degno di questa grazia che elargisce a voi con tanta
abbondanza.
14. Gli dico Io: «Tu l’hai già, o Mio carissimo amico e fratello, però
quello che hai, non ti è più necessario cercarlo e non è più necessario
affannarti come se tu non l’avessi ancora! Sii dunque perfettamente tranquillo
e prova ad interrogarMi nella quiete della tua anima riguardo ad una qualsiasi
cosa ed Io metterò una risposta chiara, precisa e intelligibilissima nel tuo
cuore, che davvero Mi ama sopra a tutto».
1. In seguito a questo Mio consiglio, Cirenio domanda riguardo a
Satana: «Cosa succederà un giorno di lui? Ed è ammissibile l’idea di un ritorno
da parte sua in un’epoca quanto mai lontana?»
2. Ed Io gl’ispiro nel cuore la seguente risposta: «Tutto quanto ora
accade, accade a causa sua: quello che è perduto, viene cercato ed al
gravemente malato viene offerto il rimedio, ma la sua volontà resta libera e
tale deve restare, perché sopprimere la sua volontà significherebbe convertire
tutta l’immensa Creazione materiale che quasi non ha confini e tutti gli
elementi di essa in durissima pietra inadatta del tutto a qualsiasi
manifestazione vitale. Tutta intera la Creazione materiale è costituita da
questo grande spirito sottoposto a giudizio fino al limite massimo possibile ed
esso viene suddiviso in innumerevoli mondi, i quali, nel loro numero quasi
senza fine, costituiscono tuttavia il suo completo essere. Però da questo Unico
Essere vengono tratti innumerevoli miriadi di miriadi di esseri, come sono
nella maggior parte gli uomini di questa Terra, i quali per la Potenza, l’Amore
e la Sapienza di Dio vengono trasformati a loro volta in esseri completi e
perfettamente simili a Dio. Ora questo è già un ritorno certo dell’Unico grande
Spirito.
3. Ma quando tutte le terre e tutti i soli saranno disciolti e
convertiti esclusivamente in esseri umani, allora anche di quell’Uno non
resterà più che solamente ed unicamente il proprio Io, il quale, nello stato di
assoluto abbandono e di perfetta solitudine in cui verrà a trovarsi, dovrà con
il succedersi dei tempi piuttosto disporsi al ritorno che non condannarsi a
languire senza speranza per l’eternità. In quel tempo nessun sole e nessuna
Terra materiale ruoterà più nell’immensità degli spazi, ma in sua vece gli
spazi eterni, che non hanno confini, saranno tutti e dappertutto popolati da
una nuova creazione spirituale di esseri liberi e beati, di una magnificenza e
bellezza supreme ed Io sarò e rimarrò per l’eternità delle eternità
continuamente Dio e Padre a tutti gli esseri. Ora questo stato di beatitudine
suprema non avrà mai fine e vi sarà un solo gregge, un solo ovile e un solo
Pastore.
4. Però, quando questo avverrà, secondo la misura degli anni terrestri,
non potrà mai essere stabilito! E se Io anche volessi rivelartene il numero,
non ti sarebbe possibile concepirlo, perché se ti dicessi che fino a
quell’epoca dovranno trascorrere mille volte mille periodi di mille volte mille
anni, quanti granelli di sabbia vi sono nel mare e su tutta la Terra e quanti
fili d’erba vi sono su tutti i paesi della Terra e quante gocce d’acqua vi sono
in tutti i mari, laghi, torrenti, fiumi, sorgenti e ruscelli della Terra, tu
non potresti affatto contare il tempo per determinare con ciò l’epoca della
soluzione finale!
5. Perciò accantona pazientemente questa cosa, per la quale c’è tanto
tempo, e vedi invece prima di tutto di conquistarti il Regno di Dio e la sua
vera Giustizia. Così facendo, dopo la morte del tuo corpo tu sarai
immediatamente ridestato da Me a vita eterna e nel Regno dei puri spiriti mille
anni terrestri passeranno come un giorno!
6. Ora, amico Mio, nel Mio Regno Spirituale, ricolmo di ogni più
suprema beatitudine, di tutto quello che qui ti appare senza fine potrà essere
atteso il compimento con estrema facilità e in letizia perfetta. Per ora né tu
né nessuno dei Miei discepoli può venir iniziato in tutta la sapienza dai
Cieli, ma quando, fra pochi anni, tu sarai battezzato con lo Spirito Santo di
Dio, allora questo Spirito guiderà te e tutti gli altri in ogni verità e
sapienza dai Cieli ed allora soltanto contemplerai in chiarissima luce tutto
ciò che ora deve apparirti ancora oscuro e confuso! Ma questo che ti è stato
rivelato adesso, tienilo strettamente per te e fa’ che nessuno ne venga neppure
in minima parte a conoscenza, perché tali cose conviene che vengano tenute
segrete per lungo tempo ancora!
7. Quando Cirenio ebbe inteso in sé tutto ciò, ne fu estremamente
sorpreso e dopo qualche istante di intensa meditazione disse: «Certo, è stata
senz’altro la Tua Parola quella che ho inteso scorrere fedele e chiara come un
limpidissimo filo d’acqua nel mio cuore; ma l’esortazione finale è proprio
necessario che venga tanto rigorosamente osservata? Avendo a che fare con
persone fidate, assolutamente oneste nel pensiero e nella fede, credo che si
potrebbe pur rivelare qualcosa, fosse pure mediante piccoli cenni intercalati
qua e là? Io credo che ciò non potrebbe nuocere a nessuno!
8. Gli dico Io allora, ad alta voce: «Amico Mio, ad un uomo che come te
può apprendere per la via interiore, certamente queste cose non nuocciono,
altrimenti Io non te le avrei rivelate, ma se molti uomini le udissero
esteriormente per la via naturale dell’orecchio materiale, sarebbero loro di
gravissimo danno, il come e il perché te l’hanno spiegato a sufficienza i Miei
angeli e così ora lasciamo stare questo argomento, perché noi dobbiamo trattare
ancora molte altre questioni di grandissima importanza che per il momento sono
molto più urgenti di questa tua domanda, la cui risposta deve appena maturarsi
attraverso le eternità delle eternità!».
Sull’essenza,
vita e lavoro degli spiriti naturali.
1. Cirenio si dimostra soddisfatto di questa decisione, ma poi a sua
volta si leva Kisjonah e Mi prega di poter egli pure fare una domanda circa una
disposizione da Me presa, che aveva avuto una soluzione non chiara.
2. Gli dico Io: «Parla pure, o amico degli amici e dei nemici!».
3. Dice Kisjonah: «Ecco, quando ci siamo recati per ritirare gli ultimi
tesori dalla grotta nella montagna di mia proprietà, Tu avevi ordinato che noi
dovessimo provvederci di pane e vino in buona quantità, perché avremmo trovato
molti esseri affamati ed assetati! Io subito feci portare del pane e del vino
in abbondanza e stetti ad aspettare tanto nella grotta che fuori che si
annunciasse qualcuno bisognoso delle provviste stesse. Ma vedi, o Signore, non
si fece vedere nessuno cui poterlo offrire!
4. Però, quando fummo usciti dalla grotta e Tu con la Tua Potenza la
facesti sbarrare per tutti i tempi, mediante Archiele, non si trovò più né pane
né vino e nessuno dei portatori si trovò in grado di spiegarmi chi veramente se
li fosse presi. Io però tra il succedersi degli avvenimenti meravigliosi non
avevo rimarcato la cosa, ma il giorno dopo, quando Tu fosti partito da Chis,
tutta la mia casa naturalmente non fece che parlare di Te e come di solito
avviene con la gente, trattandosi di cose tanto meravigliose, corse sulle
diverse bocche il racconto di almeno il doppio delle mirabili cose che, quanto
consta a me, Tu effettivamente operasti. Molti di tali narratori li rimproverai
per la loro riscaldata fantasia, ciò che in fondo si riduce ad una pia
menzogna, ma dalla scomparsa del pane e del vino che avevamo portato con noi,
confesso che rimasi io stesso colpito e sorpreso davvero, poiché non potevo
proprio ricordarmi cosa fosse successo del molto pane e vino portato con noi,
dato che non ne avevamo assaggiato per nulla?».
5. Dico Io: «Io ben sapevo che questo fatto ti avrebbe indotto a
ritornare in argomento, però la cosa per se stessa non è tanto particolarmente
importante come tu immagini. Ma, poiché hai sollevato la questione per venirne
in chiaro, Io nondimeno ti devo dare la spiegazione del caso, ascoltaMi dunque.
6. Nei monti, come pure nell’aria, nella terra, nell’acqua e nel fuoco
vi sono certi spiriti naturali, che non hanno ancora percorso la via
dell’incarnazione, perché non si è ancora presentata l’occasione di poter
trovare accesso nella carne durante un atto procreativo umano, per poi venire
partoriti al mondo mediante il corpo di una donna. In tutti gli elementi
esistono masse di simili spiriti allo stato pre-umano.
7. Ebbene, quelli fra questi spiriti che sono attivi nei monti, hanno
tratto dall’aria già una qualche maggiore consistenza, essi non sentono nessun
particolare bisogno di venire generati nella carne e di venir poi partoriti
incarnati fuori da un corpo, ma preferiscono invece, poiché sono dotati di
intelligenza, talvolta discretamente acuta, di rimanere il più a lungo
possibile nel loro stato di libertà e di indipendenza. Perfino un certo senso
di giustizia non è loro estraneo e temono lo Spirito di Dio, del Quale hanno,
non di rado, una nozione abbastanza chiara, certamente sempre soltanto alcuni
fra loro, che hanno già raggiunto una certa età. I giovani che vengono accolti
in questa società sono di solito ancora molto tenebrosi e qualcuno perfino
cattivo e potrebbero arrecare molti danni, se non fossero tenuti a freno dai
più anziani. Il loro compito principale è di formare ogni tipo di metalli, di
ordinarli e farli prosperare in filoni e strati nelle fenditure dei monti.
8. Questi spiriti prendono talvolta anche il nutrimento naturale
precisamente dal regno naturale vegetale; a tale cibo ricorrono quando sono
chiamati a lavori grevi nel regno della montagna, come sarebbe la
trasformazione delle rocce, il sezionamento o lo scavo di porzioni grandi di
montagna, lo svuotamento di caverne interne troppo piene d’acqua e molti altri
lavori di questo genere; lavori nei quali questi spiriti vengono occupati
spesso fino al massimo limite possibile delle loro forze, allo scopo di fare
loro perdere l’eccessivo amore per le loro montagne con l’oppressione talvolta
fortissima del lavoro e di indurli a cercare di venire generati nella carne,
perché, particolarmente d’ora innanzi, nessuno spirito può giungere alla piena
beatitudine vivente e libera, se non per la via dell’incarnazione.
9. Questi spiriti, Mio caro Kisjonah, e particolarmente quelli che
curano l’assetto dei tuoi monti, dovevano compiere un lavoro quanto mai aspro
nello sbarramento della grotta infame e perciò dovette venire loro infusa la
forza necessaria mediante il pane e il vino! Ed ecco, questi sono quelli a cui
Io avevo accennato, quando dissi: “Noi troveremo molti che avranno fame e sete
e che avranno bisogno di questo ristoro” e così è anche avvenuto che tutto è
stato consumato senza che ne rimanesse una briciola o una goccia; dopo di che
essi al comando del Mio angelo compirono alla perfezione il gravissimo lavoro.
Ed in ciò consiste la chiara risposta alla tua domanda. L’hai tu ben
compresa?».
Leggende sugli
spiriti della montagna. Sulla magia.
1. Dice Kisjonah: «Sì, o Signore, ora ho compreso tutto e ciò tanto più
in quanto, da parte dei minatori che sono occupati a scavare ogni tipo di
minerale nelle mie montagne, ho moltissime volte udito raccontare storie di
questo genere, come cioè talvolta sparisse il pane e il vino che portavano con
loro ed essi non riuscivano a comprendere chi fra di loro avesse forse potuto
fare un simile scherzo ladresco. Quando poi i minatori adirati cominciavano a
dar sfogo alla loro rabbia, essi udivano non di rado una risata squillante ed
alcuni sostengono perfino di aver visto saltellare loro incontro delle figure
umane della grandezza di un bambino e di colori differenti, chi azzurro, chi
rosa, verde, giallo e qualcuno anche del tutto nero.
2. Così pure non è molto tempo che il mio più vecchio minatore mi ha
raccontato di aver incontrato uno di questi ometti azzurri, che pare lo abbia
consigliato di portare per l’avvenire pane e vino dentro ad una tasca di cuoio
da tenersi sospesa addosso e così gli affamati compagni della montagna non
avrebbero potuto impadronirsene. Si dice ancora che nelle gallerie scavate nel
monte non sia troppo consigliabile parlare ad alta voce né assolutamente
fischiare e addirittura imprecare e bestemmiare, perché sembra che i geni della
montagna non possano tollerare queste cose ed essi sarebbero capaci di fare del
male a tutti coloro i quali non volessero osservare questo divieto! Inoltre
anche il ridere dovrebbe essere una cosa proibita, perché insopportabile a
questi gnomi. Se però i miei minatori volessero qualche volta offrire pane e
vino agli gnomi, questi, in cambio, potrebbero essere loro di aiuto nella
ricerca di ricchi giacimenti di minerale.
3. Io di solito ho ritenuto che questi racconti non fossero altro che
delle favole, perché di persona non ho avuto mai occasione di far esperienze a
tale riguardo, quantunque io abbia abbastanza spesso visitato gli scavi nelle
mie montagne; ma adesso, dopo la spiegazione che Tu mi hai benignamente dato,
mi è tutto perfettamente chiaro! Una cosa sola, però, non posso almeno per il
momento ancora comprendere e cioè come questi geni della montagna, che sono
propriamente degli spiriti, possano consumare un cibo naturale. Come mangiano e
come bevono questi esseri, a dire il vero un po’ sinistri?».
4. Rispondo Io: «All’incirca nel modo come il fuoco consuma le cose che
ne divengono preda; getta nel fuoco una goccia di vino o una briciola di pane e
vedrai ben presto svanire ambedue. Ora, vedi, questi spiriti o geni della
montagna consumano il cibo naturale pressappoco così: essi disciolgono
rapidamente l’elemento materiale ed invertono i principi spirituali-sostanziali
esistenti nella materia ad integrazione del loro essere animico, assimilandoli
in loro stessi, ciò che avviene in un momento. Ed ora conosci anche questo e
non occorre che tu faccia altre indagini a tale riguardo»
5. Dice Kisjonah: «Signore, io Ti ringrazio per questi chiarimenti che
hanno rasserenato e rallegrato contemporaneamente la mia anima ed ora riconosco
in maniera ancora più evidente che tutto quello che mi circonda da ogni parte
non è che vita, sempre e dappertutto vita!»
6. Gli dico Io: «Molto bene, amico Mio. Però di una cosa soltanto debbo
pregarti e cioè che quanto tu e chiunque altro avrete ormai cognizione di ciò,
vogliate tenerlo per voi; perché simili cognizioni non sono salutari per tutti.
Tutti i maghi egiziani e persiani stanno, non di rado, in diretto contatto con
simile genere di spiriti e con il loro aiuto compiono ogni tipo di incantesimi.
Ma tutte queste specie di magia sono dinanzi a Dio un abominio e chi le
esercita davvero mai, o molto difficilmente, troverà accesso al Regno dei
Cieli! Infatti questi incantatori precludono agli spiriti già menzionati la via
dell’incarnazione e quando muoiono divengono prigionieri di quelle anime
immature e soltanto con grandissima difficoltà ne possono venir liberati,
perché essi vanno continuamente assimilando elementi naturali dalle immature e
nude anime naturali! Io lo dico a tutti voi: “Maledetto sia l’operatore di
incantesimi!”. Nessuno può mai aver visto che un vero incantatore abbia voluto
con la sua magia raggiungere un qualche scopo anche soltanto buono a metà! In
ogni occasione invece si rivela evidentissimamente la più smaccata avidità di
lucro accanto alla più spudorata brama di dominio, ora a tali spiriti conviene
venga riservata nel più profondo inferno una ricompensa mortificante!»
7. Esclama a sua volta Fausto: «O Signore, Signore, per i molti
incantatori e indovini che vivono nel vasto impero di Roma le cose si
metteranno male! Infatti gli uomini di questa specie godono, appunto a Roma, di
una considerazione quasi divina e possono con la loro parola paralizzare la
volontà dell’imperatore e di qualsiasi altro eroe, per quanto grande e
valoroso. D’altro canto, però, con una parola possono certo anche animarli ed
infondere tanto coraggio da far tremare le montagne!».
8. Gli dico Io: «Certamente, o amico Mio, verrà il giorno in cui la
migliore delle sorti non arriderà a questi uomini che vogliono fare da semidei,
poiché essi sanno ingannare, nel modo più vergognoso, quelli che non sono
iniziati nella loro arte e li spingono, con i loro inganni, non di rado a
commettere i più neri abomini. Per questo motivo questi miserabili non avranno
bene; perché essi sono veramente coloro che vendono vento a carissimo prezzo e
che generano orrori infiniti e peccati per la rovina dell’umanità!»
9. Dice qualcuno: «Ma se si convertissero, non potrebbero anch’essi
divenire beati?»
10. Gli rispondo Io: «Sì, se si convertissero certo anch’essi
potrebbero essere beati, ma questa è la cosa triste: appunto questa specie di
uomini è la meno incline a convertirsi! Voi potrete indurre a convertirsi un
assassino, un brigante, un ladro, un frequentatore di prostitute e un adultero;
un re ed un imperatore potranno deporre facilmente la propria corona, ma un
incantatore non si separa dalla propria bacchetta magica, perché i suoi
invisibili compagni non glielo consentono e gli dimostrerebbero di essere
sempre loro i veri padroni, qualora egli volesse abbandonarli»
11. E perciò Io ripeto: «Maledetti siano i vili incantesimi, perché per
causa loro sono venuti sul mondo tutti i peccati!
12. Chi vuole operare miracoli, deve ottenere da Dio la conveniente
potenza interiore ed anche quando questo è il caso e avverrà il miracolo
soltanto là dove l’estrema necessità lo richieda.
13. Ma chi opera falsi miracoli e con scongiuri e segni cabalistici
vuole fare l’indovino, costui non occorre più che venga condannato, poiché lo è
del tutto per sua propria volontà. E perciò guardatevi tutti dagli abominevoli
incantesimi come pure dal profetizzare, perché tutto ciò è di gravissimo danno
allo spirito dell’uomo!».
14. Queste Mie parole avevano incusso profondo timore in tutti coloro
che le avevano intese ed essi domandarono se bisognasse rinunciare anche ai
pronostici del tempo, poiché antichissime esperienze parevano essersi rese
degne di fede.
15. Dico Io: «Oh no, purché questi presagi siano dedotti in base ad
osservazioni e calcoli scientifici puri; ma se così non è, anche il pronostico
è un peccato, perché in questo modo l’uomo accoglie una seconda fede che non
può fare a meno di indebolire la fede pura ed esclusiva nella Provvidenza
divina, per cui avviene infine che egli crede più ai segni che non a Dio, il
solo vero ed onnipotente.
16. Chi si affida alla pura fede, può pregare e gli sarà dato secondo
quanto avrà pregato, anche se i segni pessimi della terra e dell’aria, dedotti
dall’esperienza, dovessero essere in contrasto stridente con la sua preghiera.
Chi però ha maggior fede nei segni, a lui anche accadrà secondo l’indicazione
dei segni. I farisei ci tengono molto ai segni e per denaro sonante lasciano
che gli uomini l’interroghino su questo, ma verrà il giorno in cui avranno
tanto maggiore condanna!
17. Non è stato Dio a creare tutto ciò che serve di segno all’uomo? Ma
se Dio ha creato tutto ciò, sarà ben egli permanentemente il Signore anche dei
segni e tutto guiderà e dirigerà; e se è solo Dio che domina e governa ogni
cosa creata ed ogni fenomeno, come possono fenomeni e cose aver qualcosa da
indicare, senza di Lui? Dunque, se una tal cosa non è mai possibile che sia,
allora ricorra l’uomo con la preghiera a Dio, l’Unico che può tutto, ed
appaiano pure i segni in qualunque modo si voglia! Non è forse questo più
consolante di mille fra le più accreditate interpretazioni di segni?»
18. Dicono tutti coloro che siedono alla Mia tavola: «Signore, quello
che hai detto è certo e vero e se Tu volessi anche disporre in modo che tutto
il mondo così pensasse e così facesse, o certo, questo assumerebbe tutto un
altro aspetto rispetto a quello che ha presentemente! Ma per noi che siamo qui
radunati intorno a Te la cosa è sicuramente facile, appunto perché vicini a Te,
vale a dire vicini alla Ragione prima di ogni essere e di ogni fenomeno; ora in
ben altre condizioni vengono a trovarsi le molte migliaia di centinaia di
migliaia che non hanno l’inestimabile ed immensa fortuna di essere nella Tua
compagnia santissima e di apprendere le parole della vita direttamente dalla
Tua bocca! Tutti costoro aspirano certo ugualmente come noi a Quello di cui
tutta la Creazione rende sicura testimonianza. Ma gli sguardi loro rivolti alle
stelle non riescono a scoprirTi mai e la loro intensa brama non viene
soddisfatta. Perché meravigliarsi, dunque, se presso tali uomini sorgono – e
trovino anche troppo facilmente seguito – gli operatori di incantesimi, nonché
i segni e i loro interpreti, dato che essi offrono agli uomini, che desiderano
le cose di Dio, qualcosa che, seppure falso, ha tuttavia sempre una certa
vernice che lo fa sembrare divino?».
1. A questo punto Cirenio prende nuovamente la parola e dice in tono
piuttosto serio: «Signore! è perfettamente vero che Tu sei certamente Colui per
il Quale noi già da lungo tempo Ti abbiamo riconosciuto e nessuno di noi lo può
contestare! Nonostante ciò io devo confessare apertamente dinanzi Te che nella
Tua presente dichiarazione circa gli incantesimi gli interpreti di segni e gli
indovini non ho trovato traccia della Tua Misericordia e del Tuo Amore, che in
ogni altra occasione si sono sempre rivelati! Date tali condizioni e tali circostanze
sei pure Tu il solo da cui tutto dipende, perché sei Tu stesso ad inferire
colpi tremendi e dolorosissimi all’uomo, ma poi guai al colpito, se a causa
delle battiture poderose comincia a gridare! Ora, se alla fine questo sia
giusto, io non lo posso vedere ancora!
2. Ecco, gli uomini di questa Terra sono senza dubbio per la maggior
parte ciechi e ottusi di intelletto e con ciò anche cattivi. Ma io domando, a
che cosa se ne può far risalire la causa e dov’è la ragione del male? E la
domanda che io faccio ora la fanno pure molte centinaia di migliaia di romani
che non sono certamente del tutto immaturi!
3. Non si può affatto ammettere che l’uomo, nella sua prima origine,
sia uscito cattivo fuori dalle mani Tue, come si deve escludere che un bambino
che non ha mai visto la luce di questo mondo sia già un demonio. Ma se il primo
uomo era buono, com’è che il secondo e il terzo sono diventati cattivi? Era Tua
Volontà o di colui che li ha poi generati che fosse così? Tutto dunque deve
essere avvenuto così com’è avvenuto, ad ogni modo, secondo il Tuo volere! Ma se
tutto questo è proceduto per Tuo volere, perché allora la terribile condanna
pronunciata contro tali uomini, che non hanno veramente fatto altro che salvare
la disgraziata umanità da sicura disperazione, poiché Tu non hai voluto
manifestarTi, quando essa Ti chiamava! Io Ti supplico dunque di essere giusto
sì, ma non duro nei Tuoi giudizi, perché la creatura di fronte al suo Creatore
è disarmata; essa non può che pregare, tollerare, soffrire e disperarsi!»
4. Dico Io: «Oh, amico Mio Cirenio! Hai dunque nuovamente dimenticato
tutto quanto finora hai appreso tanto da Me quanto dai due angeli? Ho detto
forse che sarò Io stesso a giudicare e condannare tali uomini? Non eri tu che
pochi giorni fa volevi immediatamente far punire i farisei, perché avevano
voluto lapidarMi e non fui Io a non permettertelo? Ora invece sembra che tu Mi
voglia accusare! O forse sei tu meglio di altri capace di creare intorno
all’uomo condizioni tali che gli rendano possibile il diventare figlio di Dio,
purché lo voglia? Vedi quanto sei ancora debole!
5. Sei davvero tanto magistralmente esperto dell’universale storia
dell’umanità da poter, in base alle tue cognizioni, rimproverarMi che soltanto
adesso comincio a curarMi di chi Mi chiama e Mi cerca, quasi che prima d’ora Io
non lo avessi mai fatto!?
6. Non hanno avuto i primi uomini sempre rapporti con Me? Chi era, dai
tempi di Noè fino a Mosè, il Sommo Sacerdote di Salem, che si chiamava
Melchisedek e che, quale vero Re dei re, abitava appunto a Salem e chi era
ancora lo Spirito che aleggiava sull’Arca dell’Alleanza? E poiché lo Spirito
dell’Arca dell’Alleanza trapassò in Me, si domanda: “Chi sono Io?”.
7. Coloro che Mi chiamavano volevano naturalmente che Io fossi sceso
dalle stelle, perché quando fui tra loro, ero per loro troppo comune e troppo
poco divino, non volendo brillare come le stelle!
8. Dunque, vedi, quello che ora ha mosso il tuo animo è del tutto
falso, ma Satana, il quale si è accorto lievemente che tu porti in te il suo
segreto, ha voluto fare con te una piccola prova solamente per vedere se tu eri
capace ad cominciare a litigare con Me! Dunque, ora pensaci su e scruta se può
esservi una qualche ragione in quanto tu hai detto!
9. Posso Io essere mai duro ed ingiusto con qualcuno? O non faccio
secondo giustizia quando offro oro genuino e purissimo per l’artefatto e il
falso? Oppure, devo Io infine lasciarvi marcire nell’antica, maligna ed inutile
superstizione? Non avrei avuto Io, che sono il Signore, maggior diritto di te
di mandare in perdizione i perfidi farisei recalcitranti? Invece, li ho Io
giudicati? Oh, certo, essi avrebbero dovuto lasciar gravare su di loro la mano
del giudice interiore, che è la loro coscienza, se Io non li avessi
miracolosamente salvati!
10. Vedi, vedi quanto poco lontano tu vedi ancora! Oh, amico Mio! Tutto
quello che finora hai già visto ed udito avrebbe pur dovuto abituare il tuo
occhio a spaziare un po’ più lontano!».
11. Cirenio allora invoca da Me il perdono e così pure tutti gli altri
ed ognuno vede ormai chiaramente la falsità dell’opinione nutrita a questo
riguardo. Io però do loro parole di consolazione e dico: «Oh, ancora più spesso
e più forti prove verranno sopra di voi, ma allora rammentatevi di quanto è
avvenuto oggi e non dimenticate l’insegnamento che oggi vi ho dato, altrimenti,
malgrado voi tutti Mi abbiate visto ed udito, potreste cadere in tentazioni
ancora maggiori ed essere indotti voi pure a volgerMi le spalle, per far
ritorno al mondo, alle sue menzogne ed ai suoi inganni e per schierarvi nel
numero di coloro di cui voi diceste che Mi hanno cercato e chiamato ed ai quali
Io ho mandato, al posto Mio, degli incantatori e degli indovini per poterli più
facilmente condannare!». Allora essi Mi chiedono nuovamente perdono, ed Io do a
tutti la Mia benedizione!
Il Signore
guarisce un idrofobo.
1. Subito dopo ecco presentarsi una moltitudine venuta dalla città,
portando la notizia che un uomo era stato preso da un eccesso di furore.
2. Io, però, domandai che cosa avrei potuto fare!
3. Ed i cittadini dissero: «Noi sappiamo che Tu sei un medico che fa
prodigi, perché ce l’hanno detto oggi i farisei, che ci hanno anche raccontato
come Tu abbia guarito completamente la casa del vecchio Giosa, per la forza
della Tua Volontà e come Tu debba essere di più del semplice falegname Gesù che
noi tutti abbiamo finora conosciuto! E perciò siamo venuti a pregare in Te il
nostro ben noto compaesano, affinché Tu voglia risanare quest’uomo invaso dal
furore».
4. Allora Io domando: «E com’è che egli è stato preso da questa
frenesia?».
5. Rispondono i cittadini: Oh, caro Maestro! Gli è stata comunicata da
un cane affetto da rabbia il quale lo ha morso e questo è un male davvero
terribile e pericoloso che finora nessun medico è stato capace di guarire. Se
egli muore, dovrà essere bruciato con tutta la sua casa, perché, chi soltanto
lo toccasse, sarebbe in breve a sua volta colpito da tale spaventosa malattia!
Per questa ragione noi l’abbiamo ben chiuso in casa sua, perché non possa
fuggire all’aperto ed evitare che altri ne abbiano ad aver grave danno. Oh,
caro Maestro, liberaci Tu da questa piaga!»
6. Dico Io: «Ebbene, andate e conducetelo fuori, perché sia risanato
assieme a tutti coloro che egli ha già contaminato, quando l’hanno preso e
rinchiuso in casa!».
7. Osservano i cittadini: «Oh Maestro! Chi è colui che potrà condurlo
fuori? Bisognerà toccarlo e chi lo tocca è già votato ad una morte
spaventosa!».
8. Dico Io: «Se voi non credete e non avete alcuna fiducia, non Mi è
possibile aiutare né lui né voi!».
9. Esclamano i cittadini: «Se Tu hai potuto guarire la casa di Giosa
che era stata colpita da un male pressoché uguale senza che gli ammalati Ti
fossero vicini, dovrebbe esserTi altresì possibile aiutare questo frenetico
senza che sia necessario condurteLo qui dinanzi!».
10. Rispondo Io: «Giosa credette, mentre voi non credete, e nella
vostra fede monca e tentennante siete venuti qui piuttosto per provarMi e per
vedere che cosa avrei fatto di questo furioso inguaribile! Perciò Io nuovamente
vi dico: “Conducetelo fuori e sarà dato aiuto tanto a lui quanto a voi!”,
poiché tutti quanti siete qui, avete già in voi il germe dello stesso male che
non tarderà molto a manifestarsi, ma se avete fede e portate fuori l’ammalato,
appunto con ciò sarà annientato in voi il veleno di Satana!».
11. A queste Mie parole allora essi se ne vanno e ritornano poco dopo
conducendo con loro il frenetico che aveva un aspetto terribile e selvaggio, e
con le bave alla bocca ruggiva come un leone affamato. Quando i Miei numerosi
ospiti scorsero quello sciagurato, furono colti da grande orrore ed angoscia e
le donne si rifugiarono tutte in casa, non avendo assolutamente il coraggio di
assistere allo spettacolo di quell’essere spaventosamente contratto che
emetteva urla orribili, perfino Maria, Mia madre, si nascose in casa ed i Miei
discepoli arretrarono, allargando il semicerchio che facevano intorno a Me.
Giuda corse addirittura a nascondersi dietro un albero e soltanto Cirenio,
Fausto, Cornelio, Kisjonah e Boro rimasero imperterriti vicino a Me.
12. Allora Io dissi a quei cittadini: «Scioglietelo e lasciatelo
libero!»
13. Ma tutti, allibiti dallo spavento, gridarono: «Signore! Noi siamo
perduti!». Ed i cittadini non si fidarono di fare come Io avevo ordinato,
perché tutto il resto del popolo, compresi i discepoli, li intimorirono
maggiormente con le loro grida.
14. Per questo Mi rivolsi a Boro e gli dissi: «Va’ tu là e scioglilo,
perché egli è già guarito e non può nuocere più a nessuno!»
15. Allora Boro, del tutto rincuorato, andò dall’idrofobo e disse: «Il
Signore Gesù sia con te e sii guarito nel Suo Nome!».
16. In quello stesso istante il frenetico si calmò; la sua faccia
sconvolta ed annerita riprese il suo colorito abituale e con uno sguardo di
gratitudine pregò Boro affinché lo sciogliesse dai lacci solidi che lo
avvincevano e Boro lo sciolse subito, liberandolo dalle corde che apparvero ora
del tutto pulite e prive di bava. Il risanato poi si avvicinò a Me e con grande
fervore Mi ringraziò per quell’inaudito beneficio elargitogli, pregandoMi in
pari tempo di poter in avvenire venire risparmiato da una simile sciagura.
17. Ed Io gli dissi: «Tu e tutti coloro che per mezzo tuo sono stati
colpiti infallibilmente dal tuo male ormai siete completamente guariti; in
avvenire però siate amici degli uomini e non dei cani! A che scopo dovete
tenere dei cani a dismisura? I cani li tengano coloro ai quali sono necessari
per la caccia di animali feroci e selvaggi e li tengano i pastori dei grandi
greggi come difesa contro i lupi, gli orsi e le iene, ma, all’infuori di
questi, nessuno ha bisogno di un cane. E se qualcuno vuole proprio tenerne uno
presso di sé, allora lo tenga ben legato alla catena, affinché i poveri, per
timore dell’animale, non evitino di entrare in casa vostra a chiedere
l’elemosina. Chi di voi per il futuro non seguirà questo consiglio, avrà dai
cani lo stesso premio che è toccato a te.
18. Accogliete invece nelle vostre ricche case i figli di genitori
poveri e lasciate dove sono i cani inutili e facilmente pericolosi, così non
cadrete mai preda del tremendo furore che ha origine dal veleno di Satana che i
cani portano con sé!»
19. Dopo ciò tutti Mi promettono che si sarebbero in quello stesso
giorno ancora sbarazzati dei loro cani; alcuni deboli di fede però Mi
domandarono nuovamente se fossero davvero perfettamente guariti dal male e se
non avessero niente da temere per l’avvenire a tale riguardo.
20. Ed Io dissi loro: «O uomini di poca fede! Non vedete che colui che
voi Mi avete condotto qui è perfettamente guarito? Ma se è guarito lui, sarete
ben guariti pure voi, per quanto il male non vi abbia ridotti al punto in cui
egli era! Se Io posso richiamare i morti che sono nella tomba, i vostri mali di
certo non saranno stati peggiori della morte stessa! Il tempo, però, vi fornirà
la prova che siete veramente guariti. Ed ora andate e presentatevi agli anziani
ed ai farisei, dimostrate loro che siete del tutto risanati ed offrite sull’altare
l’offerta che Mosè ha comandato ai lebbrosi di fare quando fossero stati
purificati».
21. Allora tutti Mi ringraziarono con il massimo fervore e Mi chiedono
cosa avrebbero potuto fare per Me per ricambiare l’immenso beneficio avuto.
22. Ed Io dico: «Credete e operate così come vi insegneranno i farisei
ed i dottori della legge!».
23. Ed essi, udito questo, se ne vanno rassicurati e si presentano
immediatamente ai farisei nella sinagoga, ai quali raccontano tutto quello che
era accaduto e fanno una ricca offerta per l’ottenuta guarigione.
24. Ma i farisei, che prima non avevano saputo niente di quel caso di
rabbia, cominciarono a meravigliarsi grandemente e dicono: «In verità questa è
una guarigione quale soltanto Dio può fare! Una cosa simile non è avvenuta in
tutta Israele! Davvero quest’Uomo compie cose che non si verificarono mai,
neppure da parte dei massimi profeti! Dunque non esiste male che Egli non sia
in grado di guarire e non c’è morto nella tomba che Egli non possa richiamare
in vita! Certo un Uomo simile non è mai esistito sulla Terra! Andatevene per
ora alle vostre case e ritornate qui domani; bisognerà che tra noi si discuta
anche parecchio sul Suo conto».
1. I cittadini ormai fanno ritorno a casa e ridonano ai figli del
guarito, al padre ed alla moglie, immersa nel più profondo dolore, il marito
perfettamente sano. La donna inizialmente può appena credere ai propri occhi,
ma ben presto, convinta della verità e pervasa da immensa gioia e gratitudine,
scoppia in un pianto dirotto e, radunati i suoi dieci figli, si affretta fuori
verso di Me e si prostra ai Miei piedi assieme ai suoi figli e si profonde in
ringraziamenti per l’inaudito beneficio elargito a lei ed alla sua famiglia; in
pari tempo Mi supplica di concederle di poter essere utile, per quanto sta
nelle sue forze, alla Mia casa ed a chiunque altro Mi sarei compiaciuto di
raccomandarle!
2. Io le dico: «Tutto quello che tu farai ai poveri per amore del Mio
Nome sarà considerato come fatto a Me! La Mia casa però è ora già provveduta
per il breve tempo che Io ci rimarrò ancora, quando Io non vi sarò più, tu
verrai a saperlo!».
3. La donna, fra nuove lacrime di gioia e di gratitudine, esclama: «Oh
Signore, Vero Maestro venuto a noi dai Cieli! Io possiedo una grande sostanza,
ma intendo distribuirne subito la metà fra coloro che sono veramente poveri,
mentre l’altra metà la amministrerò a loro vantaggio, affinché possano sempre
trovare presso di me un aiuto, poiché penso che così sia ben fatto, essendomi
noto che i poveri, quando hanno più del necessario, non sanno procedere con la
dovuta economia, di solito spendono troppo in una volta e poi nel momento del
bisogno si trovano di nuovo a mani vuote!».
4. Gli dico Io: «Fa’ pure così come ti sei proposta, o cara donna, ma
similmente dorrebbero fare tutti i ricchi, perché così neanche i poveri
soffrirebbero mai la vera miseria. Ora la miseria è una cosa terribile e più
della ricchezza induce non di rado l’uomo a vizi maggiori. Il ricco almeno
resta pubblicamente in onore davanti al popolo e raramente è causa di scandalo
al mondo, così come lo è il povero, che dal bisogno è anche troppo facilmente
spinto alle azioni peggiori, però il ricco spietato che approfitta dei poveri
per dar sfogo ai propri vizi è tuttavia, nonostante il suo onore mondano, mille
volte peggiore del povero vizioso. Infatti il povero cade nel vizio spinto
dalla miseria, ma è il ricco che crea il vizio nella sua inconsumabile
abbondanza!
5. Però la ricchezza, impiegata così come tu adesso Mia cara donna
intendi e come anche farai, è una vera benedizione dai Cieli e chi a tale scopo
amministra la propria ricchezza ne avrà per il presente e per l’eternità un
guadagno immenso! E perciò chi vuole veramente operare secondo virtù sia sempre
parco ed economo, per poter, nel momento del bisogno, essere d’aiuto ed ausilio
al povero e al debole.
6. Io dico a voi tutti: «Il vostro amore per i vostri figli risplenda
come una gran luce, ma il vostro amore per i fanciulli estranei di genitori
poveri arda come un immenso fuoco! Perché nessuno in questo mondo è più povero
e derelitto di un misero bimbo abbandonato, maschio o femmina che sia; chi nel
Mio Nome accoglie un simile povero fanciullo ed ha cura di lui sia nel corpo
che nello spirito come uno del proprio sangue, costui Mi accoglie e chi
accoglie Me, accoglie altresì Colui che Mi ha mandato a questo mondo e che è
perfettamente Una cosa sola con Me!
7. Se volete che la benedizione di Dio rimanga quale una dolce
prigioniera nelle vostre case e che come un campo ben coltivato sia la premessa
di abbondante ed eccellente raccolto, istituite nelle vostre case degli asili
per allevare ed educare i bimbi poveri, allora su di esse si riverserà ogni
tipo di benedizione con quella potenza che il torrente rigonfio manifesta
scendendo dalla montagna al piano, ma se voi respingete dal vostro cospetto i
poveri bimbi affamati o, peggio ancora, se con occhio torvo li cacciate via,
quasi vi avessero causato un danno difficilmente risarcibile già con la loro
sola presenza, allora la benedizione fuggirà dalle vostre case come fa il
giorno morente inseguito dalla notte che a rapidi passi avanza. Ma guai a
quelle case che saranno raggiunte da una simile notte! In verità Io vi dico che
in esse mai più la mite aurora annuncerà un giorno radioso! Ed ora, Mia cara
donna, ritorna pure a casa tua e fai così come hai deciso di fare e ricordati
specialmente delle povere vedove e dei poveri orfani!»
8. Dopo questi Miei insegnamenti, la donna ed i suoi figli con essa si
alzano, Mi ringraziano ancora una volta e la donna infine esclama con fervore e
ad alta voce: «O Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe! Quanto sei grande,
buono e santo e quanto sono immense la Tua potenza e la Tua sapienza poiché hai
mandato a noi, poveri peccatori, un Uomo, secondo il Tuo cuore, capace di
guarire tutti i mali che affliggono il nostro corpo e il nostro spirito! A Te
solo, o Padre santo, vadano ogni lode, ogni amore, ogni onore e ogni gloria in
eterno!
O caro Padre nostro, com’è grande la Tua bontà verso coloro che
confidano solo in Te! Tu punisci con durezza chiunque non osservi i Tuoi
comandamenti, ma se poi il peccatore pentito a Te si rivolge di nuovo
implorando e dicendo: “O caro e santo Padre mio, perdona me che sono debole”,
allora il Padre santo e buono sicuramente lo esaudisce di nuovo e con il Suo
braccio onnipotente lo aiuta a tirarsi fuori da qualsiasi tipo di miseria!
9. O uomini, abbiate voi tutti un esempio in me! Anch’io sono stata una
peccatrice e Dio mi ha fatto potentemente sentire quanto è pesante la Sua mano
santa quando castiga, ma la mia fiducia non vacillò. Io mi pentii dei miei
peccati e pregai con tutto il fervore il Padre celeste, ed ecco, Egli solo ha
accolto la mia preghiera e mi ha soccorso miracolosamente nel momento del
bisogno più grande e più terribile!
10. E perciò voi tutti confidate soltanto in Lui! Infatti quando
l’aiuto dell’uomo non vale più niente, allora Egli viene e soccorre l’afflitto!
Dunque ogni creatura non si stanchi mai di lodare Lui solo, perché Egli solo
può veramente portare a tutti soccorso! Ma a Te, caro inviato dai Cieli, vada
ancora una volta il mio ringraziamento, perché Tu stesso devi essere uno
strumento santo nelle mani del Dio onnipotente!»
11. Questa ardente perorazione che, all’insaputa della donna,
riguardava Me solo, fece salire ai Miei occhi qualche lacrima di intimissima
commozione, tanto che Io per un momento dovetti distogliere il Mio volto da
lei.
12. E Cirenio, che se ne accorse, esclamò: «Signore, perché Tu piangi?»
13. Ed Io risposi: «Amico Mio, di figliolette come questa ce ne sono
ben poche su questa Terra! Come dunque non dovrei Io, che sono il Padre, non
versare una lacrima di commozione e di gioia nell’udire le sincere parole di lode
che l’amore le ha ispirato? Oh, Io te lo dico: “Più di qualsiasi altro Padre!”.
Vedi, questa è una donna come dovrebbero essere tutte, e il Mio compiacimento
in lei è immenso! A lei però sarà anche dato di accorgersi cosa significhi che
Io abbia pianto di grande gioia a causa sua!»
14. Dopo aver detto queste parole, asciugai le lacrime dai Miei occhi e
dissi alla donna, tutta immersa quasi in un’estasi d’amore a Dio: «Mia cara
donna, poi ché il tuo amore e la tua fede in Dio sono tanto grandi quali raramente
si sono visti a questo mondo, Io non posso congedarti così semplicemente come
ora sei. Manda dunque il tuo figlio maggiore da tuo marito, perché venga anche
lui qui, poiché Io devo parlagli ancora di cose molto importanti.
15. Il ragazzo allora va di corsa fino a casa, in città, ed in breve
tempo è di ritorno assieme al padre guarito.
16. E dopo che sono arrivati, Io dico all’uomo: «Amico Mio, affinché tu
sia completamente risanato non soltanto nel corpo, ma soprattutto nell’anima
che vivrà in eterno e perché tu sappia farti una ragione di tutto quello che
qui è avvenuto, Io ti ho fatto ora chiamare. In primo luogo tu, per tutta
questa serata, sarai Mio ospite assieme alle tue care creature ed a tua moglie,
ed in secondo luogo assisterai qui a qualche altro avvenimento ed udrai tante
altre cose dalle quali potrai poi rilevare con facilità Chi è Colui che ti ha
guarito! Dopo che tu e tua moglie Lo avrete riconosciuto, ne avrete l’animo
sollevato mille volte di più e ti convincerai pure che veramente la tua
guarigione è un’assoluta realtà.
17. Prima però che venga l’ora della cena noi faremo una piccola
escursione fino alla nuova sinagoga che Giairo ha fatto costruire e Giairo
stesso, sua moglie, sua figlia con il marito Boro, Cirenio, Cornelio, Fausto,
Kisjonah, tua moglie ed i tuoi figli ci accompagneranno. Là sarai testimone di
cose che ti rafforzeranno molto nella fede».
18. Dice il guarito, il cui nome era Bab: «Maestro, sia fatto quello
che Tu vuoi e come Tu vuoi! Io sono pronto a seguirti anche in capo al mondo».
19. Dopo questa risposta di Bab, ci mettiamo subito in cammino verso la
sinagoga, che poteva essere raggiunta, passeggiando in un quarto d’ora con
un’andatura discreta e con tutta comodità in mezz’ora.
1. Noi dunque vi arrivammo anche in breve, entrammo nella sinagoga e
penetrammo nel sepolcro dove per più di quattro giorni era giaciuta Sara e nel
quale ancora si trovavano i lini e le bende in cui essa da morta era stata
avvolta. In quella stessa tomba però giaceva ancora un altro cadavere di un
membro di una famiglia amica di Giairo. Si trattava di un ragazzo dodicenne, il
quale un anno e mezzo prima era morto di malattia acuta. Esso giaceva in una
bara di cedro; e il corpo, ad eccezione delle ossa, era già completamente
decomposto e consunto.
2. Alla vista di quella bara a Giairo vennero le lacrime agli occhi e
con voce piangente disse: «Che triste cosa è il mondo! Sul suo terreno fa
sorgere i fiori più delicati e qual è il loro destino? Scomparire e morire! Il
profumo della rosa si converte ben presto in odore nauseabondo, e il tenero e
candido giglio diffonde intorno a sé un fetore putrido, quando si decompone!
L’azzurro-celeste del giacinto diventa il cereo-grigio della morte, ed il
garofano trapassa come mille altri dei suoi deliziosi fratelli!
3. Questo ragazzo era, per così dire, un angelo, il timore di Dio
l’aveva accompagnato fin dalla culla e nel suo decimo anno già comprendeva le
Scritture ed osservava i comandamenti come un pio israelita adulto. In breve la
sua condotta davvero esemplare nella sua ingenuità fanciullesca e le sue doti
spirituali meravigliosamente sviluppate giustificavano in noi le più belle
speranze. Ma un terribile male venne e non vi fu medico che fosse capace di
vincerlo e così con questo fanciullo morì anche tutto quello che in breve tempo
ci si sarebbe potuti a buon diritto aspettare da lui!
4. E qui deve pure sorgere in noi la domanda: “Perché mai Dio, il
Signore dell’amore e della misericordia, permette che avvenga questo ad uomini
che sperano e confidano in Lui?”. Migliaia di bimbi poveri vagabondano di qua e
di là senza tetto e senza una qualche educazione e Dio non li richiama da
questa Terra, invece i figli di genitori che hanno tutte le possibilità di
allevarli così come soltanto può riuscire gradito a Dio, devono di solito
finire sottoterra! Ma perché questo?
5. Se a Dio piace che sulla Terra non vi siano che selvaggi capaci di
mettere assieme appena quattro parole, allora certo fa bene se toglie via da
questo mondo ogni fanciullo che dimostri di essere un po’ più sveglio di
spirito e lascia che i soli deficienti continuino a vivere accanto alle
scimmie! Ma se invece Dio ha un qualche interesse che su questa Terra
prosperino uomini pii ed a Lui devoti, che Lo riconoscano e Lo amino, io credo
che Dio dovrebbe avere cura della vita di simili fanciulli più di quanto sia
sempre stato il triste caso finora!
6. Dico Io: «Mio caro amico Giairo, tu parli così come ti suggerisce la
tua interiorità umana, ma Dio invece fa nel Suo criterio divino così come Egli
dall’eternità vede e comprende e come deve vedere e comprendere, altrimenti tu
e tutto quello che esiste non avrebbe esistenza! Però, anche all’infuori di
queste considerazioni, la tua disputa con Dio è una dichiarazione di
ingiustizia!
7. Se Dio richiamasse dal mondo già nell’infanzia tutti i fanciulli che
in quella prima età rivelano un acuto spirito e dei talenti, voi tutti, che ora
vi trovate presso di Me, sareste da lungo tempo dissolti nella terra! Siccome,
invece, voi siete ancora qui, avendo già raggiunto un’età abbastanza avanzata,
il rimprovero che tu muovi a Dio è ingiusto, perché anche voi nella vostra
fanciullezza avete dimostrato di essere in modo non comune desti nello spirito.
Anche voi eravate figli di genitori facoltosi sotto ogni riguardo, eppure Dio
vi ha lasciato vivere, mentre lontano da qui, fra i pagani, Egli ha preso via
da questa Terra molte migliaia di poveri bimbi colpiti da svariate incurabili
malattie ed i loro miseri genitori ne hanno provato altrettanto dolore quanto
quelli di questo ragazzo, i quali vivono ancora e al posto di questo hanno
adottato tre altri fanciulli poveri. Ora questi tre fanciulli sono oramai
diventati successori del tutto degni di quest’uno, il quale con il tempo, a
causa dei suoi spiccati talenti, sarebbe stato troppo viziato e troppo abituato
alla vita comoda dai suoi genitori, che nel loro amore l’anteponevano a Dio, ed
avrebbe finito in seguito con il non corrispondere affatto alle alte speranze
da loro concepite; infatti il risultato finale per lui sarebbe stato quello di
diventare un babbeo vanitoso, superbo e cocciuto, dal quale nessun sommo
sacerdote avrebbe potuto ottenere qualcosa!
8. Dio però vide già prima tutto ciò, lo richiamò a tempo debito da
questo mondo e nell’aldilà lo affidò agli angeli, allo scopo di una educazione
migliore, affinché potesse rendersi tanto prima maturo per quella destinazione
che a lui, come ad ogni altro uomo da parte di Dio, è in modo particolare
fissata.
9. Ma oltre a tutto ciò Dio previde pure che sarebbe venuto il tempo,
che è oggi, in cui per voi pochi il Suo Nome dovesse venire glorificato e,
vedete, Dio lasciò morire questo ragazzo un anno e mezzo fa affinché egli si
trovasse già decomposto quando Dio, il Signore, lo avesse richiamato alla vita
terrena. Dunque estraete la bara ed apritela!».
1. Dopo queste Mie parole, Boro e Kisjonah discesero nella tomba e
tentarono di alzare la bara, ma non poterono affatto smuoverla per l’eccessivo
peso che aveva, poiché era fatta di legno di cedro massiccio ed era resa più
greve ancora da una quantità di fregi in bronzo, oro e argento. Dopo ripetuti
tentativi inutili, Boro disse: «Signore! La bara è troppo pesante e noi non
possiamo assolutamente venirne a capo! Mi pare che essa sia stata messa al suo
posto con l’ausilio di qualche macchina e in via naturale non può essere
rimossa, se non ricorrendo ad un mezzo meccanico».
2. Dico Io: «Allora salite fuori dalla tomba. I due giovinetti che sono
qui la leveranno essi come necessita!». Boro e Kisjonah risalgono rapidamente,
mentre i due giovani prendono il loro posto e sollevano all’istante la bara con
una tale facilità come se fosse stata fatta di piume.
3. Bab, assieme a sua moglie ed ai suoi figli, fece tanto d’occhi a
quella dimostrazione di forza da parte dei due giovani e poi disse, con accento
molto meravigliato: «Oh, questa è davvero una forza che ha dell’incredibile!
Questi due teneri giovinetti che possono avere al massimo 15 anni hanno giocato
con questo peso come fa il turbine con una piuma, mentre due uomini robusti non
sono stati capaci prima neanche di smuoverla! In verità, una cosa simile non è
ancora mai stata vista!»
4. Dico Io: «Lascia stare questo argomento, poiché tu sarai testimone
d’avvenimenti più grandi e più importanti ancora! Però a tutti voi Io devo
mettere seriamente a cuore una cosa, e cioè che di tutto quello che vedrete non
direte niente a nessuno, nemmeno ai Miei discepoli, poiché per loro il tempo
non è giunto ancora, né presto verrà, ma quando questo tempo sarà venuto, essi
ad ogni modo risapranno tutto. Ed ora aprite la bara per constatare a che punto
è già arrivata la decomposizione!».
5. La bara venne aperta immediatamente, e il cadavere del ragazzo, che
ad eccezione delle ossa più resistenti era totalmente consunto, dopo essere
stato liberato dalle esperte mani di Boro dalle bende e dai lini che lo
avvolgevano, apparve agli occhi dei presenti. Tutti contemplarono con visibile
ribrezzo il lugubre spettacolo offerto da quel misero scheletro.
6. E Fausto esclamò: «Ecce homo!».(Ecco
l’uomo!) Anche questo era un uomo! Ecco la bella sorte riservata alla
florida carne umana: un teschio orrendo munito ancora di pochi capelli
appiccicati, qualche rimasuglio di pelle bruno-verdastra afflosciata sul petto,
perforata qua e là dalle costole semicorrose, una colonna vertebrale nerastra da
cui pendono viscere decomposte e coperte di muffa. E infine i piedi
orrendamente sformati; nient’altro che muffa e putredine! E le nostre narici
percepiscono esse pure che noi ora non ci troviamo affatto in un negozio di
profumi e di balsami, perché il fetore è più grande di quanto me lo fossi
immaginato! No davvero, questo è lo
spettacolo più adatto a rendere all’uomo il proprio essere il più spregevole
possibile, perché, infine, ognuno di noi a sua volta bisogna che si aspetti un
simile destino! E per questa ragione anch’io preferisco di gran lunga la
cremazione dei cadaveri alla sepoltura.
7. Dico Io: «Ma se il Figlio dell’uomo ha il potere di ridestare e di
richiamare in vita anche simili corpi, come pure tutti quelli che dai tempi di
Adamo riposano completamente dissolti nella Terra, rimane ancora un tale
spettacolo la personificazione dell’orrore per gli uomini di questo mondo? Può
la morte avere in sé qualcosa di più terribile ancora, quando su di essa si è
innalzato un padrone? Ma, affinché voi tutti che siete qui vi convinciate che
Io, quale un Figlio d’uomo su questa Terra, ho ampio potere di richiamare alla
vita anche tali corpi e di rianimarli per l’immortalità, questo ragazzo appunto
dovrà renderne testimonianza!».
8. Dopo di che Io dico al ragazzo: «Giosoe, Io te lo dico: «Alzati e
vivi, e testimonia che la Mia Potenza giunge a risuscitare anche quei morti che
sono come tu sei!»
9. Nello stesso istante si produsse come una poderosa corrente d’aria e
la muffa della putrefazione scomparve, sulle ossa si completò rapidamente la
pelle ed entro di questa il corpo cominciò a formarsi, fino a raggiungere la
perfetta figura umana, gonfiandosi come fa la pasta del pane quand’è lievitata!
Così in pochi momenti il ragazzo si sollevò completamente e perfettamente vivo,
riconobbe subito Giairo, Fausto e Cornelio, che aveva già visto a Nazaret, e
rivolto a Giairo gli chiese: «Ma, mio caro zio, come mai mi trovo in questa
bara? Cosa è successo di me? Fino poco fa, io mi trovavo in una bellissima
compagnia e non posso spiegarmi proprio come d’improvviso io sia venuto qui!»
10. Risponde Giairo: «Mio caro Giosoe, guarda Colui che ti sta vicino:
Egli è il Signore della Vita e della morte! Per il corpo tu eri morto, e per un
anno e mezzo giacesti qui in questa bara; nessuna forza procedente da uomo
avrebbe mai più potuto ridarti vita su questa Terra, ma Questi, che ha bensì
l’aspetto d’uomo, ma che è da molto più di un uomo, ti ha risuscitato da morte
a vita e perciò tu devi ringraziare solo Lui per questa nuova vita che ti ha
donato!».
11. Il ragazzo Mi guardò con sorpresa, Mi osservò da capo a piedi e
dopo qualche istante di riflessione, per coordinare le idee e la memoria,
disse: «Questi è appunto Colui il Quale mi richiamò dalla bella compagnia in
cui mi trovavo e che mi disse: “Giosoe vieni, perché tu Mi sarai testimone
sulla Terra che a Me è dato ogni potere, tanto in Cielo che sulla Terra!”.
12. Ed io lo segui volentieri, perché ho subito compreso che Egli è
proceduto da Dio e che in Sé porta, in tutta la loro pienezza, la forza e la
potenza divina sopra tutte le cose nel Cielo e sulla Terra. Infatti, così come
Egli è qui, Io L’ho visto prima nel mondo degli spiriti, in cui certamente mi
trovavo quando fui da Lui chiamato, per far ritorno a questo mondo.
13. Soltanto adesso si fa chiaro nella mia mente e ricordo pure di
essere vissuto su questa Terra e di essere poi anche morto, ma come la morte
sia seguita, io non lo so, come pure non so in quale maniera io possa aver
abbandonato questo mondo. Neppure so spiegarmi in che modo mi sia trovato in
una bella casa ed in carissima compagnia, nella quale mi trovavo molto bene. Io
vedevo, di quando in quando, i miei genitori, i miei fratelli e le mie sorelle,
e mi intrattenevo con loro riguardo a questioni divine che i miei compagni,
molto più esperti, mi avevano insegnato e spiegato. Ma questo Santo dei Santi
io non lo vidi mai prima di pochi istanti fa, prima di ritornare a questo
mondo».
14. A questo punto Io dico ai due giovinetti: «Procurategli una veste e
un po’ di pane e di vino, affinché la sua carne sia rafforzata e perché possa
venire con noi a Nazaret! E come ebbi dato a questi due quest’ordine, essi
apparirono immediatamente già forniti delle cose richieste.
Lo stupore di
Bab e della moglie per tale miracolo.
Promessa
a Giosoe di immortalità.
1. La cosa aveva assunto per il nostro Bab e sua moglie un aspetto
troppo meraviglioso e la donna disse al marito: «Mio caro Bab, non senti tu che
noi siamo dei gran peccatori, mentre in quest’Uomo Gesù regna la pienezza della
divinità? Non è già Egli Colui del Quale tutti i profeti, fino a Zaccaria ed a
suo figlio Giovanni, hanno profetizzato? Non è Egli Colui che Davide chiamava
il suo Signore, quando disse: «Il Signore parlò al mio Signore!». Non è Egli
Colui del Quale appunto il grande Davide parla, quando dice: «Alzate le porte
della città e spalancate i portoni, affinché entri il Re della gloria. Ma chi è
questo Re della gloria? Egli è il Signore Jehova Zebaot! Marito mio, qui è
Jehova in persona! Ma noi siamo dei peccatori indegni di rimanere al Suo
cospetto! Vieni, andiamo a purificarci, secondo il comandamento di Mosè, e
soltanto dopo potremo ritornare ed avvicinarci a Lui!»
2. Dico Io ai due, un po’ smarriti e profondamente commossi: «Colui che
risuscita i morti può purificare anche senza Mosè! Dunque restate, perché Mosè
non è più di Me né di Colui che lo ebbe a suscitare agli scopi di quel tempo!
Dunque Io vi dico: “I vostri peccati vi sono perdonati!”, e così voi siete
purificati e di conseguenza non avete più bisogno di Mosè, perché Mosè senza di
Me non è niente»
3. Dice Bab: «Quand’è così, come del resto ormai non ho il più minimo
dubbio, noi restiamo, perché certo Mosè non potrà mai renderci più puri di
quanto possa fare l’Onnipotente stesso!
4. Dice la donna: «Io resto sempre l’ancella del mio Signore; sia fatto
dunque così come vuoi e come vedi essere buono e giusto. Però questa santissima
presenza di Dio è quasi un’oppressione per la mia anima!»
5. Le dico Io: «O donna, Io ho udito a Nazaret come tu magnificavi e
glorificavi Dio ed ora Io ho fatto quello che hai visto per amore tuo
innanzitutto. Dunque non ti dovrebbe essere difficile resistere presso di Me!
Però ora Io devo dire e raccomandare a tutti voi di non raccontare a nessuno
una sillaba di quanto è capitato qui e ciò non per motivi che concernono Me e
neppure voi, ma soltanto a causa dei molti increduli, affinché questi non
abbiano a credere nel Figlio dell’uomo per la costrizione, ovvero per il
Giudizio insito nel prodigio operato, bensì liberamente, quando verrà loro
predicato il Vangelo!
6. Infatti gli uomini di oggi, per la forza di una tale testimonianza,
sarebbero costretti a credere a Me come in dure catene, ciò che sarebbe di
grave danno alla loro libera vita. Inoltre le successive generazioni comunque
non accoglierebbero tali testimonianze narrate o scritte, trovandole delle
esagerazioni, e le considererebbero pure invenzioni della fantasia umana e così
si scandalizzerebbero della dottrina pura e dell’eterna verità; dunque è
miglior cosa che venga del tutto conservato il silenzio riguardo ad opere
simili da Me compiute, particolarmente in questi primi periodi del Mio
insegnamento.
7. E tu, o Giairo, che dopo qualche tempo, durante il quale Mi riservo
di plasmare favorevolmente le circostanze, dovrai ricondurre ai suoi genitori
il giovinetto Giosoe e dovrai con tutta coscienza e fedeltà ammaestrarlo sul
come egli debba considerare la cosa per se stessa. È bene che egli creda in Me,
ma non deve voler suscitare chiasso o sensazione davanti agli uomini! Però
questo ragazzo, ridonato ora alla vita del mondo, essendosi compiuto nei suoi
confronti il processo del dissolvimento materiale, non morrà più nel corpo, ma,
quando il suo tempo sarà venuto, un angelo verrà e lo chiamerà ed egli seguirà
liberamente la chiamata e nessun occhio mortale poi lo vedrà più peregrinare su
questa Terra in nessun luogo.
8. Ed oramai, poiché il ragazzo ha finito il suo pane e il suo vino e
il crepuscolo accenna già ad avanzare, faremo ritorno a casa!».
9. Noi uscimmo subito fuori dalla sinagoga, mentre Giairo e Boro
chiusero la porta del sepolcro, dopo aver pregato i due giovinetti di rimettere
la bara al suo posto nella fossa, cosa che questi anche fecero immediatamente.
1. Giunti all’aperto, Cirenio Mi dice: «Signore, se una cosa simile
accadesse a Roma, perfino le pietre si prostrerebbero ai Tuoi piedi e Ti adorerebbero
ad alta voce e noi qui ci comportiamo come si trattasse di fatti assolutamente
comuni! O Signore, abbi pazienza con la nostra debolezza o stoltezza che sia»
2. Gli dico Io: «Se Io l’avessi voluto, certo sarei venuto al mondo
nascendo a Roma invece che a Nazaret. Fate dunque soltanto quello che Io a voi
richiedo, tutto ciò che va oltre questo segno rientra nella cerchia del
paganesimo ed è peccato. Ancora non lo sai tu, che amare Dio sopra ogni cosa e
il prossimo come se stessi è cosa inesprimibilmente maggiore dell’edificare
templi di pietra e di legno al Dio del Cielo e della Terra?
3. Se già, come disse Salomone, Cielo e Terra sono troppo poca cosa per
capire la maestà di Dio, come mai la potrà capire un misero edificio fatto di
pietre tagliate e argilla cotta, considerato ancora che tutta la Terra, quanto
tutto l’Universo, sono stati creati da Lui?
4. DimMi: “Che cosa direbbe un padre ai suoi figli, se questi fossero
tanto stolti da costruire con i suoi escrementi una casupola grande quanto una
mosca od anche un po’ più grande e si facessero poi, con lo stesso materiale,
un’immagine che dovesse rappresentare il padre e quando tutto fosse pronto si
prostrassero dinanzi a questo Tempio di immondizia ed onorassero ed adorassero
così il loro padre?”. Cosa faresti tu se i tuoi figli ti facessero una cosa
simile e se essi, nel caso in cui tu li rimproverassi facendo rilevare la
stoltezza, la sozzura e la perfetta indegnità del loro procedimento, si
ostinassero con ancora maggior zelo a trascinarsi in ginocchio intorno al
Tempio di sterco e ad adorare la tua immagine fatta della stessa immondizia?
Che faresti se contro la tua stessa volontà volessero costringere, con minaccia
di morte, i loro fratelli, forse di più sano e chiaro intelletto, a fare la
stessa cosa ed esigessero da loro per questo bel servizio un pio contributo?
DimMi, che faresti in questo caso? Potrebbe una tale onoranza, oltre ogni
misura sudicia e stupida da parte dei tuoi figli, rallegrare il tuo cuore?
5. Ecco, Io leggo nel tuo cuore una protesta quanto mai energica contro
questa supposizione, ma Io ti dico che una simile specie di venerazione degli
stolti figli di fronte al loro padre terreno sarebbe migliore ancora di quella
degli uomini nei templi da loro costruiti di fronte a Dio! Perché i figli, così
facendo, adopererebbero, per erigere il loro tempio almeno i residui di ciò che
ha dato nutrimento al padre, mentre gli uomini si servono degli escrementi di
Satana per edificare i templi dove essi presumono di adorare Dio e loro Padre!
DimMi! Cosa ne pensi dunque di una simile venerazione od adorazione di Dio?»
6. Risponde Cirenio: «Signore! Ora io vorrei semplicemente che una
pioggia di fulmini scendesse ad incenerire tutti i templi della Terra! O forse
basterebbe ai Tuoi due angeli un istante solo per ridurli tutti in polvere!»
7. Gli dico Io: «Amico Mio! Questo è avvenuto, avviene attualmente ed
avverrà molto spesso ancora nei tempi futuri, ma tuttavia gli uomini non
cesseranno dall’edificare dei templi. Quello di Gerusalemme sarà distrutto e
dei templi degli idoli non sarà dato scorgere più nulla. Però, in luogo dei
pochi scomparsi, ne seguiranno poi delle migliaia e finché uomini dimoreranno
sopra la Terra essi sempre edificheranno templi, grandi e piccoli, ed in essi
cercheranno la loro salvezza. Ma pochi soltanto saranno coloro che si
accingeranno ad erigere a Dio un tempio vivente nel loro cuore, là solamente
dove Egli può e deve venire riconosciuto in maniera degna, onorato ed adorato,
perché questa è l’unica condizione della vita eterna dell’anima!
8. Fintanto che gli uomini dimoreranno in palazzi, e a causa di questi
cercheranno onori e lodi presso coloro che palazzi non possono avere, si
erigerà un tempio per un qualche Dio accanto ai palazzi e là lo si onorerà,
anche se non in verità, almeno ad esaltazione ed onore di chi il palazzo e il
tempio avrà edificato.
9. E così avverrà che gli uomini della Terra attribuiranno a se stessi
l’onore che essi devono a Dio. Ma il premio per le loro opere verrà poi anche
limitato e si troverà anche esaurito in quello che essi stessi si saranno
presi. Però nell’aldilà essi non saranno riconosciuti e saranno cacciati nelle
tenebre estreme, dove li attenderà il pianto e lo stridor di denti, che sono la
contesa e la guerra eterne, a causa delle tenebre tremende! E perciò lasciamo
frattanto tutto così come si trova, perché tutti i nodi soltanto nell’aldilà
troveranno il pieno scioglimento».
1. (Il Signore:) «Com’ebbi fornito queste Mie comunicazioni a Cirenio,
noi ci trovammo già ad aver raggiunto la casa di Maria, dove ci attendeva
un’abbondante cena, consistente, come si usava, in pane, vino e in buon pesce
preparato a dovere. Il giovane Giosoe si dimostrava molto lieto nel vedere la
bella imbandigione e guardava con particolare bramosia il pesce.
2. Ma Giairo osservò: «Mio caro nipote, non devi consumare la tua cena
con tanta avidità, perché io penso che il tuo stomaco, creato per così dire di
nuovo, non dovrebbe essere capace di sopportare una quantità troppo grande di
questi cibi terreni!»
3. Ed il ragazzo gli disse: «Oh, caro zio, non darti pensiero per
questo. Colui che mi ha ridestato da morte non avrebbe certo dotato il mio
stomaco di un appetito così grande se esso dovesse risentire danno
dall’ingerimento di cibo in quantità un po’ maggiore di quanto usa prenderne
uno stomaco normale in stato di relativa continua sazietà, poiché per l’uomo
non è affatto uno scherzo essere giaciuto, per un anno e mezzo, morto e senza
nutrimento! Se fosse toccato a te il mio caso ed avessi in te uno stomaco
rinnovellato come l’ho io comprenderesti molto facilmente la mia bramosia di
cibo. Non però ogni uomo si è trovato nella mia posizione e di conseguenza non
è pensabile una qualsiasi discussione con me a questo riguardo. Dopo Colui Che
mi ha ridestato, so io, meglio di tutti, come ora mi trovo! Dunque, non aver
alcun timore che un paio di pesci, un pezzo di pane ed un bicchiere di vino
possano essermi minimamente nocivi!»
4. Dice Giairo: «Da parte mia ti sia concesso quello che vuoi, di tutto
cuore; io ho parlato con te con la migliore intenzione di questo mondo».
5. Dopo questo breve scambio di parole tra Giairo e suo nipote, noi ci
sedemmo a mensa ed in serenità ed allegria facemmo onore alla cena. In questa
occasione poi la conversazione si aggirò su quanto era finora accaduto a
Nazaret e su quello che eventualmente si sarebbe detto a Gerusalemme!
6. Ma i discepoli vollero informarsi sul conto del ragazzo e su chi
egli fosse e non sapevano cosa pensarne. Ora interrogavano il ragazzo stesso,
ora Giairo, ora i due giovinetti che pure sedevano con noi alla mensa
principale, per tentare d’avere qualche spiegazione in proposito; pensavano
infatti che in lui doveva certo esserci qualcosa di straordinariamente diverso,
perché essi sapevano molto bene che il Signore non era solito trattare oltre
certi limiti con dei ragazzi comuni! Ma questa volta l’inchiesta dei discepoli
fu vana, perché non riuscirono a ricevere una risposta soddisfacente da
nessuno.
7. E quando Maria si accorse dell’impazienza dei discepoli, così disse
loro: «Quello che vi è necessario sapere, non vi viene nascosto, ma siccome
evidentemente questa cosa non è necessaria, a che persistere nelle vostre
inchieste? Fate quello che Egli vi dice e non vogliate mai sapere di più di
quanto Egli reputa necessario che vi venga rivelato. Così facendo vivrete ed
opererete conformemente alla Sua Volontà, ed il premio eterno vi sarà
assicurato. Tutto quello che voi volete contro la Sua Volontà è peccato contro
Questa e contro il Maestro, che è il vostro Salvatore nel corpo e nello
spirito! Non dimenticate queste parole!».
8. A questa ammonizione molto saggia della madre Maria, i discepoli
desistettero dalle loro ricerche sul conto del ragazzo e si limitarono a
parlarne soltanto fra di loro e Pietro, rivolgendosi a Giovanni, il Mio
prediletto, gli domandò cosa ne pensasse lui.
9. Ma Giovanni gli rispose: «Non hai fatto dunque attenzione alle care
parole della mirabile madre, che ancora ti prude sapere quello che per ora il
Signore per motivi certamente saggissimi non ritiene opportuno rivelarci? Vedi,
da parte mia invece non sento alcun desiderio; noi sappiamo quel che sappiamo e
questo ci basta. Ma se volessimo sapere anche tutte le infinite cose che il
Signore sa oltre i confini della nostra conoscenza, una simile pretesa da parte
nostra sarebbe senza alcun dubbio la massima delle stoltezze e noi tutti
meriteremmo di essere tutt’altro che Suoi discepoli!»
10. Dice Pietro: «Sì, sì, anche tu hai ragione, però la grande brama di
sapere è pur essa un grande bene che il Signore ha posto nel cuore dell’uomo e,
se questo non sentisse questo nobilissimo impulso, sarebbe simile ad un animale
che, a quanto ne so io, non ha nella sua anima ottusa certo alcuna traccia di
un qualche stimolo di questo genere. Almeno a me pare che il divino-puro
dell’impulso si riveli al conoscere già in ciò che esso rassomiglia alla
sensazione della sete durante il sogno per calmare la quale non di rado l’anima
sognante consuma recipienti enormi d’acqua o di vino e nonostante ciò non
arriva ad estinguere la sua sete e l’anima tuttavia conserva continuamente ed
inesausto il suo stimolo. La nostra insaziabile brama di sapere ci mostra ben
chiaro e preciso che in Dio deve trovarsi una pienezza infinita di Sapienza che
mai in eterno nessun spirito indagatore potrà approfondire! E così, mio caro
fratello, ritengo che anche la mia presente bramosia di conoscere non sarà
peccato!
11. Vedi, a questo riguardo accade a me ed a diversi dei nostri
fratelli, come accade ai fanciulli golosi, che non sentono alcun desiderio
delle svariate leccornie che ci sono e si possono avere finché non hanno
l’opportunità di vederle, ma se tu provi a mettergliele sulla tavola, con il
divieto di mangiarne, vedrai che ben presto avranno molte lacrime negli occhi e
più ancora l’acquolina in bocca. Però, nonostante tutto questo, tu hai ragione,
perché come un saggio padre, allo scopo di conseguire che i suoi figli si esercitino
nella virtù importantissima dell’abnegazione, presenterà loro di quando in
quando dei cibi delicati che sarà loro vietato di mangiare, così pure sembra
procedere il nostro Padre celeste, quando ogni qual tratto ci ammannisce dei
cibi spirituali, dall’uso dei quali noi dovremmo astenerci fino a tanto non si
abbia raggiunto stabilmente in noi un certo grado d’abnegazione. Arrivati che
saremo, secondo i Suoi ordinamenti, a questo grado da Lui prescritto come
necessario alle anime nostre, Egli ci concederà di gustare quel cibo che è la
nostra brama. Dunque noi vogliamo, per oggi e fino a quando a Lui piacerà,
accontentarci perfettamente di ciò che abbiamo e che sappiamo e sia fatta
sempre e soltanto la Sua Volontà»
12. Dico Io: «Mio caro fratello Simon Giuda, così è giusto e vero! Non
tutto il sapere e tutte le esperienze sono adatte a destare lo spirito e a
vivificare l’anima, perché, vedi, così sta scritto: “E Dio parlò ad Adamo:
‘Quando tu mangerai dall’albero della conoscenza, tu morirai!’”. E così è
effettivamente!
13. Nella conoscenza stanno la legge e il giudizio, perché, fino a
tanto che una legge non ti è data o non è promulgata, non esiste neppure il
giudizio che segue immediatamente la legge. Perciò ti sia sufficiente sapere
quello che ti rivelo, e con ciò ora tu sai abbastanza per l’eternità. Quando
però sarà giunto il tempo, allora ti sarà reso tutto manifesto».
1. All’infuori di Giuda, tutti i discepoli si mostrarono soddisfatti di
questa decisione e lodarono la Mia bontà e sapienza, nonché la potenza di Dio
che era in Me. Giuda, che appariva imbronciato, borbottò fra sé, ma abbastanza
a voce alta: «Contro i farisei, i quali per buon denaro concedono nascostamente
agli stranieri di visitare il Santissimo, Egli non manifesta il Suo zelo fino
ad invocare il fuoco celeste, ma quando Egli mostra il Suo Santuario agli
stranieri ed esclude noi, figli del paese, allora questo è bene e perfettamente
in consonanza con l’Ordine divino! Chi di noi ha mai visto una cosa simile? Se
lo fanno quelli di Gerusalemme è sbagliato per il Cielo e per la Terra, ma
quando Egli, da parte Sua, fa pressoché l’identica cosa, allora tutto va bene
ed è interamente nell’ordine di Melchisedek? Certo, niente si può fare né
intraprendere contro, ma tuttavia la cosa non può fare a meno di arrabbiarsi»
2. Dice Tommaso, colui che fra i discepoli non perdeva mai d’occhio
Giuda Iscariota: «Ebbene, c’è di nuovo qualcosa che non ti sta bene? Mi
meraviglia molto che tu non abbia già da lungo tempo cominciato a disputare con
il Signore, perché Egli ha collocato il Sole così lontano dalla Terra, in modo
che tu non puoi approfittare della sua vicinanza certamente caldissima per
cuocere le tue pentole più a buon mercato di quanto lo possa fare con il solito
fuoco di legna!
3. Oh, che bello sarebbe poter volare come gli uccelli. Anzi, perfino a
me diverse volte cominciarono a prudere le ascelle e mi immaginavo di essere lì
per lì in procinto di innalzarmi a fare compagnia a qualche schiera di gru che
si libravano allegramente per l’aria, provai a saltare, ma il corpo pesante non
volle innalzarsi assolutamente neppure di un braccio da terra.
4. Però mi misi ben presto il cuore in pace, perché dissi fra me: “Se
Dio avesse voluto che gli uomini potessero volare come gli uccelli, Egli
avrebbe dato loro, come appunto ha dato agli uccelli, un buon paio d’ali, ma
Dio vide che una tale capacità sarebbe stata all’uomo più di danno che di
vantaggio e perciò gli diede invece un paio di piedi robusti, con i quali egli
può portarsi benissimo da un luogo all’altro e, oltre ai due robusti piedi, gli
fece dono anche di un paio di abili mani e lo dotò dell’intelletto che spazia oltre
tutte le stelle, cose queste con le quali egli può procacciarsi, in luogo di un
paio d’ali, mille altre comodità, che evidentemente devono essere per lui di
maggior soddisfazione di quanto lo possano essere le ali per l’uccello, perché
è una cosa molto dubbia se gli uccelli sanno apprezzare le loro ali così come
l’uomo apprezza i suoi piedi, le sue mani ed il suo intelletto!”.
5. Vedi, l’uomo anche nell’acqua non può che procedere a stento, perché
non ha né pinne né membrane natatorie tra le dita delle sue estremità, ma
l’intelletto concessogli da Dio gli insegnò a costruirsi delle navi per mezzo
delle quali ora può fare sul mare viaggi più lunghi di quanto possa farne un
pesce, per il quale un’acqua paludosa è un’abitazione da cui esso non si
allontana mai troppo. E possiamo supporre con assoluta certezza che i nostri
tardi successori faranno ancora straordinari progressi nell’arte di costruire
le navi. E chissà che un giorno qualche sapiente non riesca di nuovo ad
innalzarsi nell’aria per mezzo di un paio di ali artificiali come fecero gli
antichi indiani!».
6. A questo punto Giuda interrompe Tommaso e gli dice, alquanto
arrabbiato: «Ti ho forse assunto come mio precettore, che tu in ogni occasione
mi fai delle prediche!? Tieni la tua sapienza per te e per i tuoi figli e
lasciami in pace, altrimenti mi costringerai, prima o poi, a risponderti per le
rime! Infatti quando voglio, a rispondere per le rime sono molto bravo. Durante
tutti i nostri rapporti, tanto nelle parole che nei fatti in cui io sono perfettamente
libero come lo sei tu, tu non hai mai ricevuto da me una parola scortese; non
so proprio capire perché tu debba trovare sempre in me qualcosa di sbagliato da
sistemare! Tu scopa davanti alla tua porta, che alla mia ci penso io! Se
qualcosa non la trovi in ordine, essa è tale per me solo e non occorre che sia
in ordine anche per te; da oggi in poi e per sempre puoi far finta che io non
ci sia più. Hai compreso?
7. Pensa solo a quanto è successo a Chis, come il Signore ha appianato
il litigio che appunto è sorto tra me e te, questo sia sufficiente ad ambedue,
altro non serve che ci sia tra noi. Quando ti domanderò qualcosa, allora potrai
dare alla mia domanda una buona risposta, sempre che tu ne sia capace! Però
credo che passerà molto tempo prima che io ti faccia questo onore!».
8. Dice Tommaso: «Oh, fratello mio Giuda, dimmi cosa mai di perfido e
di offensivo ti ho detto, perché tu debba essere tanto adirato con me? Non
corrisponde forse al vero che, a quanto ne so io, tu hai molto di frequente litigato
con Dio, il Signore, perché Egli ha posto il Sole così lontano dalla Terra e
perché non ti ha dato delle ali per volare come fanno tutte le mute creature
dell’aria?».
9. E, poiché vide che Giuda non voleva più replicare niente, Tommaso
prosegui: «Se tu vuoi proprio averla con me, abbila, però sarà senza motivo né
ragione! Un comportamento così poco fraterno non è affatto lodevole né si
addice alla presenza del Signore; un animo come il tuo non figura affatto bene
tra i discepoli del Signore e tu faresti mille volte meglio a ritornare al tuo
vecchio mestiere, piuttosto che restare qui ad annoiare per niente la compagnia
di Dio ed a contaminarla con il tuo animo assolutamente contrario ad ogni
Ordine divino. Hai dimenticato il sermone tenuto dal Signore sul monte, presso
Sichar in Samaria, nel quale il Signore ha comandato di amare perfino i nemici
e di benedire chi ci maledice e di fare del bene a coloro che ci fanno del
male?
10. Ma se tu non vuoi seguire la parola di Dio e non vuoi esercitarti
in ogni occasione nell’abnegazione, chiedi in nome del Signore a te stesso a
che scopo resti qui ad importunare la nostra compagnia con la tua presenza?
11. Passano giorni interi che tu non scambi una parola sola con nessuno
di noi e se qualcuno ti domanda una cosa, tu non gli dai o affatto risposta
oppure lo apostrofi in modo aspro e rozzo quant’è possibile, cosicché certo gli
passa la voglia di chiederti qualcosa una seconda volta! È questo il
comportamento di un discepolo del Signore? Dovresti vergognarti! Cerca dunque
di diventare un altro uomo, in caso diverso farai meglio a ritornare al tuo
vecchio ciarpame!
12. In verità mi pento di essere stato io ad introdurti in questa
compagnia, più che se avessi commesso un assassinio! E mi propongo di pregare
in ginocchio il Signore, che voglia Egli, per la Sua Onnipotenza, tenerti
lontano da noi se non fosse possibile indurti ad andartene con le buone!»
13. Risponde Giuda con espressione sorridente, ma che tradiva un’ira
soffocata: «Né tu né il Signore potete comandarmi di andare o di restare,
perché io sono, come ogni altro di voi, un uomo perfettamente libero e posso
fare quello che voglio! Vedi, se io sapessi di esserti una spina nell’occhio un
po’ meno di quanto certamente lo sono, avrei già da lungo tempo abbandonato la
vostra compagnia e me ne sarei cercato un’altra, ma per farti arrabbiare proprio per bene io
rimango e voglio esserti da pietra di paragone, affinché tu possa continuamente
mettere alla prova la tua pazienza, la tua tolleranza e il tuo amore per i
nemici, e voglio che tu abbia occasione di mettere in pratica la predica di
Gesù del monte, per poterla poi imparare da te e metterla poi in pratica a mia
volta. Mi hai capito, o saggio Tommaso?»
14. Dice allora Tommaso, rivolto a Me: «Signore, io e tutti noi Ti
preghiamo di voler allontanare questa pecora rognosa! Infatti con lui vicino
non è immaginabile una convivenza fraterna e non ci è possibile mettere in
pratica la Tua santa dottrina; egli è e resta un incorreggibile sobillatore e
un traditore! Per quale ragione deve rimanere qui fra noi, quando egli non solo
non vuole mettere affatto in pratica la Tua dottrina santa, ma deride anche
noi, se ci sforziamo di vivere e di operare secondo la Tua Parola?».
L’ammonizione
del Signore a Giuda.
1. Allora Io dico a Giuda Iscariota: «Il fratello Tommaso presenta una
giusta lagnanza contro di te! Io te lo dico: “Vedi di ritrovarti nel tuo cuore e
diventare un uomo, poiché come demonio tu Mi ripugni e puoi andartene! Infatti
la Mia compagnia è santa, perché è pervasa dallo Spirito di Dio ed in tale
compagnia nessun demonio può né deve essere tollerato!»
2. Queste Mie parole hanno l’effetto di far cadere Giuda subito ai
piedi di Tommaso e Giuda supplica Tommaso di perdonarlo.
3. Ma Tommaso gli dice: «Amico, non a me spettano le scuse, ma a Colui
contro la Cui santa dottrina tu hai peccato e non per come tu hai agito nei
miei confronti!».
4. Allora Giuda si leva ed immediatamente viene a Me e Mi si prostra
dinanzi, invocando il perdono.
5. Ma Io gli dico: «Cerca di ritrovare te stesso nel tuo cuore, perché
la preghiera delle tue labbra, senza il vero miglioramento interiore, non ha il
benché minimo valore ai Miei occhi. Ora che Io scruto il tuo cuore trovo che
esso è assolutamente cattivo e la forma amichevole unicamente esteriore è
simile ad un serpente che con le sue voluttuose spire incanta e seduce gli
uccelletti del cielo, perché gli volino tra le fauci e divengano sua preda. Io
te lo dico: bada bene a te, affinché tu non divenga in breve preda di Satana!
Infatti egli non si lascia volentieri sfuggire quello che ha cominciato a
chiamare suo!»
6. Giuda allora sorge di nuovo in piedi ed esclama: «Signore! Tu chiami
i morti fuori dalle loro tombe ed essi vivono! Perché allora permetti che il
mio cuore rovini dentro la tomba della perdizione? Io voglio diventare un uomo
migliore, eppure non lo posso perché non sono capace di cambiare il mio cuore, convertilo
dunque Tu il cuor mio ed io divento tutto un altro uomo!»
7. Gli dico Io: «Qui sta appunto il grande mistero della libera
autoformazione dell’uomo! Io posso fare ogni cosa all’uomo ed egli anche tale
rimane; ma il cuore invece è sua proprietà assoluta ed egli esclusivamente è
chiamato a plasmarlo per poter da se stesso spianarsi la via alla vita eterna.
Poiché, se Io dovessi per primo por mano al cuore umano per iniziarne la
formazione, l’uomo diverrebbe una macchina e non potrebbe mai più raggiungere
l’indipendenza, ma quando all’uomo viene data la dottrina ed egli sa quello che
deve fare affinché il suo cuore si renda degno di Dio, egli deve anche seguire,
per spontaneo volere, la dottrina ricevuta e deve plasmare il suo cuore, così
come la dottrina gli ha suggerito.
8. E quando egli ha così formato il proprio cuore e l’ha curato e
mondato, soltanto allora vengo Io nello Spirito e prendo dimora nel cuore e
allora tutto l’uomo è rinato nello Spirito e non può più in eterno andare
perduto, perché con ciò egli è diventato una cosa sola con Me, così come Io
stesso sono una cosa sola con il Padre, dal Quale Io sono proceduto e sono
venuto in questo mondo per mostrare ed appianare a tutti i figli degli uomini
la via che essi devono percorrere in spirito e verità, attraverso la quale,
nella pienezza di Questa, poter giungere a Dio!
9. Dunque, tu devi da te stesso por mano alla formazione del tuo cuore,
altrimenti sei perduto, anche se Io ti avessi chiamato, fuor dalle tombe mille
volte, alla vita della carne!».
10. Dice Giuda Iscariota: «Signore, allora io sono di certo perduto!
Infatti io ho un cuore indomabile e non posso farcela da solo!»
11. Gli faccio osservare Io: «Se è così, allora non sdegnare le parole
dei fratelli e non ti arrabbiare quando ti ammoniscono in amicizia e con amore,
perché ti aiutano con ciò a formare il tuo cuore!
12. Guarda qui Tommaso, al quale le tue rozze maniere non sono di
ostacolo nell’ammonirti opportunamente quando cominci a sciogliere troppo i
freni al tuo cuore cattivo! Dà dunque ascolto alle parole di ammonizione che
egli ti rivolge per il tuo bene; in questo modo vi sarà di certo un graduale
miglioramento nel tuo cuore! Ma se tu, com’è stato finora il caso, continui a
non permettere che nessuno ti dica niente, la tua rovina non si farà attendere
molto e, come detto, diventerai preda di Satana, perché allora non sarò Io,
sebbene Satana a prendere dimora nel tuo cuore.
13. Guardati innanzitutto dall’ira e dalla avidità, altrimenti avrai
quello che attende i figli della morte eterna. Poiché il pentimento e la
penitenza oltre la tomba non hanno che un minimo valore e non possono granché
giovare ad un’anima nera e impura. Vattene ora e rifletti bene a queste Mie
parole».
14. Giuda allora si ritira pensoso, prende così una mezza decisione di
tentare di migliorarsi secondo i Miei insegnamenti e dice a Tommaso: «Ebbene
fratello, vedrai come Iscariota saprà diventare tutto un altro uomo e come
giungerà infine a servire da modello a tutti voi! Infatti Iscariota può molto, quando
vuole, ma oramai egli lo vuole e quindi anche molto potrà!
15. Dice Tommaso: «Fratello mio, se già ora anticipatamente ti glori a
parole, è probabile che l’azione segua con molto ritardo e con ciò tu potrai sì
erigerti ad esempio, non però ad esempio incoraggiante, ma deprimente e così ti
sarà molto difficile renderti migliore a questo modo.
16. Infatti, vedi, se vuoi davvero diventare migliore di quanto lo
siamo noi tutti che, anche senza aver te per modello, siamo consci dei nostri
grossi difetti e che fin troppo chiaramente vediamo quanto miseri e di nessun
valore noi siamo al cospetto del Signore, tu devi allora per tutti i tempi dei
tempi stimarti dinanzi al Signore, minore dei tuoi fratelli e non devi mai
pensare affatto ad erigerti a modello degno di essere da noi imitato, ma invece
devi reputarti sempre l’ultimo e l’infimo, così soltanto, senza volerlo essere,
sarai in verità di fronte a noi quello che adesso, nel tuo modo ancora molto
orgoglioso, ti proponi di diventare. Fa’ dunque in modo di vivere secondo
questa norma che non è cresciuta per te sul mio terreno, ma su quello santo del
Signore e il cui fondamento è costituito dalla vera umiltà ed abnegazione. In
questa sola maniera arriverai nell’Ordine di Dio, là dove vuoi arrivare. Va’
però dal Signore e chiedi a Lui se le mie parole non siano giuste e veritiere».
Sull’umiltà e
sull’abnegazione di se stessi.
1. Giuda allora si rivolge di nuovo a Me e domanda: «Signore! È proprio
così come ha detto ora Tommaso in tono molto imperativo?»
2. Rispondo Io: «Sì, è così. Chi di voi più si abbassa dinanzi ai suoi
fratelli, costui è il primo nel Regno di Dio ed ogni presunzione di essere
migliore degli altri lo fa invece retrocedere nel Regno di Dio ad uno degli
ultimi posti.
3. Se alcuno di voi percepisce in sé ancora un qualche sentimento di
elevatezza, per cui è indotto a credersi migliore degli altri, egli non è
ancora libero dall’influsso dell’inferno che tutto avidamente consuma e molto
gli manca ancora ad essere maturo per il Regno di Dio, perché un tale uomo non
è di spirito libero.
4. Ma se qualcuno si è abbassato di fronte a tutti i suoi fratelli ed è
pronto a servire tutti nella misura delle proprie forze e delle proprie capacità,
costui è il primo nel Regno dei Cieli e tutti gli altri conviene che si
plasmino secondo il suo modello. Infatti dà prova di essere in sé uno spirito
veramente grande e divino soltanto colui il quale è capace di umiliarsi al di
sotto di ogni creatura umana»
5. Dice Giuda: «Allora un uomo solo può essere il primo nel Regno di
Dio e cioè quello che più degli altri è capace di abbassarsi! Perché, se egli è
sollecito a servire tutti secondo le sue forze e capacità, è necessario prima
che gli altri evidentemente gli usino la cortesia di lasciarsi servire da lui,
per aiutarlo così nel raggiungimento di questa celeste priorità? Ma cosa
succede poi se gli altri non vogliono affatto saperne dei suoi servizi oppure
offrono essi stessi i loro servizi, aspirando alla priorità nel Regno dei
Cieli? Chi sarà allora il primo nel Regno di Dio?»
6. Dico Io: «Tutti coloro che di cuore retto si danno la pena di agire
così; gli uomini invece che, spinti per così dire da un certo egoismo, non
accettassero i servizi del loro fratello allo scopo di togliergli ogni
occasione di essere fra i primi nel Regno di Dio, per voler essi stessi
aspirare a tale priorità, quelli saranno gli ultimi, mentre l’altro sarà il
primo, perché la sua volontà era quella di essere utile ai suoi fratelli per
puro amore e per genuina umiltà!
7. Certo tutt’altra cosa sarebbe se a questo mondo qualcuno volesse
essere il minimo fra tutti e volesse servire tutti, avendo soltanto di mira
l’acquisto della futura priorità celeste. Oh, egli, senza dubbio, sarà anche
uno degli ultimi nel Mio Regno! Vedi, nell’aldilà tutto verrà pesato con
bilance perfettissime e misurato con misure esattissime. Anche là dove si
mostrerà una lieve traccia di egoismo, la bilancia non tracollerà né coprirà la
misura dei Cieli! Perciò è bene che in te vi sia la piena verità, senza alcuna
finzione, altrimenti non puoi entrare nel Regno di Dio. Soltanto la verità
purissima, senza falsità o inganno nascosto, può rendervi liberi davanti a Dio
e a tutte le Sue creature! Puoi capire questo?»
8. Risponde Giuda Iscariota: «Sì, questo lo comprendo, ma nello stesso
tempo vedo che una cosa simile non è possibile compierla, perché l’uomo non
riuscirà mai ad eliminare in sé tutto l’amore di se stesso, dovendo pur egli
mangiare e bere e provvedersi di un tetto e di una veste! Ora tutto ciò è pure
la conseguenza di una minima fra le specie di egoismo! Qualcuno, avendo preso
in moglie un’amabile fanciulla, vuole tenerla esclusivamente per sé e guai a
chi osasse desiderarla! Ma questa è pur sempre una delle tante forme di
egoismo!
9. Un altro possiede un terreno ben coltivato e quando sarà giunto il
tempo della raccolta vorrà forse, per assoluto disprezzo di se stesso e per
totale assenza di egoismo, andare dai suoi vicini e dire loro: “Amici miei! Andate
a raccogliere quello che è cresciuto sui miei campi, perché io, quale il minimo
fra voi e vostro servitore senza valore alcuno dinanzi i vostri occhi, ho
lavorato soltanto per voi!”. Io penso, dunque, che l’abnegazione e il disprezzo
di se stessi, che vengono tanto altolocati, dovrebbero pure avere certi limiti,
senza i quali sarebbe addirittura impossibile annunciare perfino la Tua
dottrina agli uomini, perché, così facendo, si farebbe apertamente notare di
considerare i propri fratelli come più stolti e ciechi di se stessi! Infatti
ritenersi superiori nello spirito ai propri fratelli rivela pure questo una
certa dose di superbia! Ma se le cose dovessero stare proprio in questi
termini, allora basterebbe guardare l’umanità fra cento anni per vedere gli uomini
mangiar l’erba come i buoi al pascolo, veder scomparire qualsiasi traccia di un
linguaggio, e lo stesso dicasi per qualsiasi casa e città! Dunque, fino a che
punto può nell’uomo arrivare l’amore di se stesso?».
Una misura
delle tre specie di amore.
1. Dico Io: «Ebbene, Io voglio darti una misura secondo la quale tu e
chiunque altro possiate sapere come devono stare le cose riguardo l’amore di se
stessi, l’amore verso il prossimo e l’amore per Dio.
2. Prendi il numero 666, il quale in un buono e in un cattivo rapporto
definisce o un uomo perfetto oppure un perfetto demonio.
3. Dividi l’amore nell’uomo in 666 parti precise; di queste danne a Dio
600, al prossimo 60 e a te stesso 6. Se tu però vuoi essere un perfetto
demonio, allora danne a Dio 6, al prossimo 60 e a te stesso 600!
4. Vedi, gli onesti servitori e serve sono coloro che coltivano i campi
del loro padrone. Secondo la tua opinione essi dovrebbero tenere per sé il
raccolto, perché esso è sorto grazie alle loro fatiche e alle loro cure; invece
essi lo radunano nei granai del loro padrone e provano una grande gioia quando
possono dire al loro signore: “Signore! Tutti i tuoi granai sono colmi oramai
ed ancora la metà del raccolto è sui campi! Cosa dobbiamo fare?”. E la loro
gioia diventerà ancora maggiore, quando il padrone dirà loro: “Io apprezzo e
lodo molto la diligenza e il vostro grande e disinteressato zelo; andate quindi
e conducete qui degli operai che mi costruiscano nel più breve tempo possibile
delle nuove dispense, affinché io possa mettere in serbo la benedizione dei
campi per gli anni futuri, i quali saranno forse meno ricchi di ogni tipo di
frutto al paragone di questo”. Ora vedi, i servitori non possiedono nulla; non
hanno granai e non hanno dispense, eppure lavorano per un piccolo salario come
se si trattasse di lavorare per riempire i propri granai e le proprie dispense,
perché essi sanno che non hanno da temere la miseria, quando tutte le dispense
del padrone sono colme.
5. Ecco, in un simile agire di un onesto servitore consiste tutto il
rapporto fra sé e se stesso, fra sé e il prossimo, fra sé e Dio. Il vero
servitore pensa sei volte per sé, per il suo prossimo 60 volte, al fine di
acquistarsi la loro benevolenza e 600 volte per il suo padrone, ma così
facendo, senza affatto volerlo, pensa 666 volte per sé, poiché gli altri
servitori, vedendo il suo grande disinteresse, avranno per lui il massimo amore
e la massima stima, e il padrone lo metterà in breve a capo di tutti. Invece un
servitore che pensa solamente al proprio sacco e che al lavoro è volentieri
l’ultimo e che mette mano al lavoro più leggero che trova, i suoi compagni lo
guarderanno con occhio bieco, e il padrone non tarderà ad accorgersi di aver a
che fare con un egoista e con un fannullone. Egli perciò non lo porrà affatto a
capo di tutta la servitù, ma gli diminuirà la ricompensa ed avrà l’ultimo posto
alla mensa comune e se un tal servitore pigro ed egoista non si ravvedrà, verrà
infine licenziato con pessimi certificati e referenze, cosicché difficilmente
poi potrà ottenere di venir ingaggiato in qualche nuovo servizio. Qualora però
gli fosse rimasto pure un solo amico ancora, di fronte al quale il suo agire sia
stato disinteressato, questo amico può accoglierlo in casa sua, e il padrone
perciò non ne sarà sdegnato. Comprendi ora queste cose?
6. Ogni uomo ha e deve anche avere un certo grado di amor di se stesso,
altrimenti non potrebbe vivere, ma, come dimostrato, un minimo grado possibile
soltanto, perché un grado soltanto di più turba già l’equilibrio nel rapporto
umano-puro e la bilancia dell’Ordine divino è tanto sensibile che anche il
minimo granellino ha il suo effetto. Ecco che ora Io ti ho segnato il limite
richiesto e noi staremo a vedere come ti atterrai con i fatti!»
7. Dice Giuda: «Per poter giudicare se si è raggiunta l’esatta misura
prescritta per l’amor di se stessi, ci vuole molta profondità e sapienza! Come
può il tardo criterio umano formarsi in questo riguardo un giudizio?».
8. Dico Io: «Faccia l’uomo con rettitudine di cuore e con buona volontà
quello che egli può, quello che eventualmente manca verrà aggiunto da Dio. Già,
per meno di 6 parti per sé, non è necessario essere eccessivamente preoccupati
nei riguardi di nessun uomo, meno che meno quando si tratta di uomini della tua
specie!».
9. Allora Giuda ammutolisce, si leva meditabondo da tavola e va a
prepararsi il giaciglio per la notte che era già abbastanza avanzata.
10. A questo punto però interviene il ragazzo Giosoe, il quale esclama:
Davvero la stoltezza di quest’uomo mi ha fatto arrabbiare oltre ogni misura!
Egli è un discepolo ed è rimasto tuttavia stupido come un gufo sorpreso alla
luce del giorno! Io ho immediatamente compreso tutto quello che Tu gli hai
dichiarato, ma egli pare che non abbia compreso niente, perché non faceva altro
che mettere sempre innanzi domande ed obiezioni e infine se ne andò poi sempre
così ottuso come se Tu, o Signore, non gli avessi detto neanche una parola! Se
un fanciullo fa domande quando non occorrono è perdonabile, ma se una persona
anziana la quale, d’altra parte, pretende di essere più saggia del suo prossimo
fa domande senza bisogno ed evidentemente non in buona fede, ma con malizia,
allora c’è davvero di che arrabbiarsi! Che io possa morire tre volte ancora, se
quest’uomo potrà migliorarsi mai a questo mondo! Tutto fa ritenere che egli sia
un avaraccio e certamente vagheggia le montagne d’oro e d’argento che
indubbiamente farebbe sue, se egli avesse la potenza che hai Tu, o Signore! Ed
io, quant’è vero che mi chiamo Giosoe, mi impegnerei a dare tutto quello che ho
e sopporterei tutto quello che uomo può sopportare, se questo individuo fosse
mai suscettibile di un miglioramento!».
11. Gli dico Io: «Mio caro Giosoe, lasciamo stare questo argomento,
perché a noi occorrono svariatissime specie di operai nel nostro lavoro di
edificazione per un nuovo Cielo ed una nuova Terra ed appunto Giuda è uno di
quelli che noi possiamo adoperare! Ma ora raccontami cosa dirai ai tuoi
genitori, quando t’incontrerai nuovamente con loro; quali saranno le tue
parole?».
1. Dice Giosoe, allegro e sorridente: «Signore! Io credo che il problema
non sarà difficile da risolvere! Accompagnato dallo zio Giairo io vado in casa
dei miei genitori, i quali certo fanno ancora cordoglio di me. Questi, senza
dubbio, si meraviglieranno, scorgendo in me un ragazzo che assomiglia al loro
Giosoe quanto un occhio all’altro occhio. Allora Giairo può esporre il caso e
dire che io sono un trovatello e che per combinazione porto perfino il nome del
defunto ed i miei genitori senz’altro mi adotteranno e mi ameranno anche più
del loro Giosoe. Più tardi poi, gradatamente, approfittando delle circostanze e
con un po’ di diplomazia, si potrà far trasparire loro la verità ed essi infine
non avranno difficoltà a credere che io sono il loro figlio Giosoe, quindi in
un tempo ulteriore che Tu, o Signore, potrai destinare, se non nuocerà ad essi,
apprendere tutta la verità. Ti pare bene così, o Signore?».
2. Gli dico Io: «La cosa non è tanto mal pensata, Mio caro Giosoe. C’è
però un punto soltanto che non suona bene, e precisamente che nel tuo piano fa
manifestamente la sua comparsa una bugia. Ora, ogni bugia deriva dal male ed è
a sua volta causa di nuovo male. Vedi, è certo che tu non sei un trovatello,
come dunque farai a giustificare questo trovatello agli occhi dei tuoi genitori
ed a quelli di Dio?».
3. Risponde il ragazzo: «Signore, quando Tu sorridi, è sicuramente un
buon segno ed io mi sento già giustificato dinanzi a Te, come lo fu un giorno
Giacobbe con le mani avvolte in peli di capretto, dinanzi al suo cieco padre
Isacco! Vedi, o Signore, questa fu anche una menzogna e più grande anzi della
mia, qualora venissi presentato ai miei genitori come un trovatello, eppure la
benedizione del primogenito impartita a Giacobbe trovò dinanzi a Dio
giustificazione, ma se dunque Dio considerò con occhio benigno e benedicente un
inganno manifesto, che corrispondeva di fatto ad una menzogna, non potrà
suscitare ripugnanza ai Suoi occhi neppure il trovatello di oggi, Giosoe, tanto
più che, in fondo, quest’ultimo è in tutta la portata del significato veramente
un trovatello, quale non se ne può trovare un altro su tutta la grande Terra di
Dio! Io credo, o mio Signore e mio Dio, che per questo mondo non dovrebbe
esserci niente di tanto perduto quanto uno che è morto e così pure non dovrebbe
esserci nel senso più proprio della parola niente di più trovato di un tale
che, Signore, Tu sai già a chi io voglio alludere!»
4. Dico Io: «La questione l’hai risolta bene. Io già sapevo che avresti
trovato delle buone ragioni. Ma Io vorrei ancora sentire da te come farai a
rivelarti ai tuoi genitori come il loro vero figlio Giosoe, approfittando di
certe circostanze ed usando una certa tattica, come tu hai detto»
5. Dice Giosoe: «O Signore, questa è una cosa molto facile! Quando una
volta io sarò in casa loro, cercherò di comportarmi, cosa che per me non sarà
difficile, così come prima, io chiederò man mano di questa od altra cosa,
come facevo prima, riprenderò i miei
giochi e vedrò di disporre le cose in modo che i miei genitori ne restino
ripetutamente colpiti e debbano infine dire: “Ma questo è tale quale il nostro
Giosoe, che forse Boro, valendosi dei suoi segreti mezzi, ha risuscitato e che
durante il tempo trascorso fino ad oggi ha completamente guarito!”. Io,
frattanto, li lascio in questa opinione, quando poi sarà venuto il momento
buono, allora si potrà dir loro la piena verità; io penso che a questo modo la
cosa potrà svolgersi benissimo»
6. Dico Io: «Ma qui fa capolino di nuovo una menzogna. Lasciare
qualcuno di proposito in errore, equivale sicuramente a mentire a qualcuno!
Come farai poi a lavarti via questa seconda macchia?»
7. Risponde Giosoe: «Signore! Fino a tanto che Tu sorridi quando
esamini, è sempre ed in eterno un buon segno; io però intendo che la menzogna
può essere anche di due specie molto differenti tra di loro. Ammannire a
qualcuno una menzogna, facendola apparire una verità genuina deliberatamente e
per mal volere, è e resta indubbiamente una perfidia satanica! Ma invece una
menzogna apparente, con la quale si intende velare la nuda verità solo finché questa
sarebbe insopportabile all’uomo che vi è interessato, perché riuscirebbe
all’uomo in maniera evidente più di danno che di vantaggio, una simile
apparente menzogna non può avere le sue origini nel male, perché deriva da una
volontà e da un cuore nobili, buoni e bene intenzionati!
8. È chiaro che, considerata a questa stregua, anche ogni parabola, che
può celare in sé la più sublime verità, dovrebbe essere dichiarata una pura
menzogna; eppure la sapienza degli antichi padri e dei profeti si è per lo più
manifestata soltanto mediante parabole. Ed il fatto che qui Boro, il famoso
medico conosciuto da tutti per le qualità di medico, figura come Tuo
rappresentante, non è veramente dissimile dall’altro evento, verificatosi ai
tempi di Abramo, quando a questo patriarca vennero i tre angeli in
rappresentanza di Jehova, né è dissimile da quello, sempre difficile per me da
considerarsi, del comportamento di Giuseppe in Egitto verso i suoi fratelli
venuti ad acquistare del grano! Ma Dio volle che fosse così ed a Giuseppe non
imputò a peccato il suo modo di procedere verso i suoi fratelli. E così,
secondo me, una tale menzogna apparente non è che una prudenza dai Cieli,
mentre la vera menzogna è da assegnarsi al regno dell’astuzia più atroce e
infernale!»
9. Dico Io: «Ebbene, vieni qui da Me, Mio caro Giosoe, che ti do un
bacio, perché, da quel tenero giovinetto che sei, hai in te più sapienza di un
vecchio dottor della Legge!».
10. A queste Mie parole Giosoe si affretta a fare il giro di tutta la
mensa, Mi abbraccia e bacia ed esclama poi con entusiastica letizia, ma pur
sempre composto e saggio: «O voi, antichi spiriti, potenze ed energie del
Cielo, mirate e ricoprite le vostre facce, perché quello che qui è avvenuto voi
non l’avete mai visto ancora! Il Padre santo ed eterno, pienamente qui presente
ai vostri occhi, nel Figlio Suo Gesù, concede che una delle Sue creature
corporeamente Lo accarezzi e Lo abbracci!
11. E così Colui che era dalle eternità ora attira al Suo petto quello
che è sorto nel tempo, lo abbraccia e lo accarezza e lo rende con ciò per
l’eternità simile a lui! Oh, Tu vero e solo Padre di tutti gli uomini, com’è
dolce il Tuo amore!».
I due angeli
offrono a Giosoe i loro servizi.
1. A questo punto i due angeli avvicinandosi a Giosoe, gli dicono: «Sì,
o dolce giovinetto, tu hai detto il vero. Questo i nostri occhi non l’hanno
ancora visto, anche se pure hanno scrutato lo spazio infinito di Dio molto
tempo prima che alcun sole irradiasse per esso la sua luce a manifestare così
la propria esistenza! Ma tu rimani sempre in questo spirito che ora ti anima
così puro e sublime e noi saremo in eterno tuoi fratelli!»
2. Dice Giosoe: «Chi siete voi, che vi potete esprimere con parole
tanto nobili e sagge? Non siete voi pure uomini come lo sono io?»
3. Rispondono i due: «Carissimo fratello nostro, in spirito siamo certo
del tutto quello che tu sei e quello che sempre ancora di più diventerai, ma
noi non abbiamo mai portato carne e sangue! Noi siamo angeli del Signore e
siamo qui per servire a Lui solo in perpetuo, ma quando un giorno Egli ci
concederà in grazia di percorrere, come Lui, la via della carne, allora noi ti
uguaglieremo completamente anche a questo riguardo. Per ora tu hai, in
confronto a noi, un considerevole vantaggio, tuttavia infinitamente lunga è
l’eternità ed in essa gradatamente tutti i divari si appianeranno. E noi ora
offriamo anche a te i nostri servizi; se tu desideri qualcosa, ordina e noi ti
serviremo»
4. Osserva Giosoe: «In che cosa potrei io dirvi di servirmi? Noi tutti
abbiamo un Dio, Signore e Padre dall’eternità. A Lui solo spetta il diritto di
comandare così a me come a voi, ma noi che tutti, senza distinzione, siamo
stati creati da Lui, non dobbiamo comandarci l’un l’altro, ma dobbiamo sempre,
con amore che previene ogni richiesta, aiutarci reciprocamente quando qualcuno
di noi, angelo o uomo che sia, ha bisogno di aiuto!
5. Io ritengo già non perfetto colui che, per quanto volonteroso, corre
in soccorso del fratello bisognoso che invoca assistenza, perché in tal caso
l’aiuto può averlo soltanto colui che trova l’occasione, il coraggio e la forza
di esporre la propria miseria a suo fratello dotato di mezzi nell’uno o
nell’altro campo e di invocarne il corrispondente soccorso. Ma chi aiuterà
allora colui che non ha né l’occasione né il coraggio di invocare aiuto dal
fratello dotato di mezzi? Ora, se io non ritengo del tutto perfetto già l’aiuto
concesso in seguito ad una preghiera, quanto meno lo sarà l’aiuto da prestare
in seguito ad un comando!
6. E perciò io vi dico qui, in presenza di Colui che è un Signore sopra
la Vita e sopra la morte: quando voi vedrete che io ho bisogno di assistenza,
aiutatemi senza che io ve ne preghi o addirittura che ve lo ordini, come se io fossi
un padrone ed io, dal canto mio, farò la stessa cosa qualora venissi a sapere
di potervi essere utile in uno o nell’altro modo. In altra maniera non potrebbe
occorrermi da voi alcun aiuto né servizio, tanto meno poi un servizio
comandato, il quale è peggiore di non ricevere nessun servizio!
7. Io penso che chi è dotato di mezzi nell’uno o l’altro campo,
dovrebbe guardarsi attorno con tutta diligenza per valutare le condizioni dei
propri fratelli bisognosi e vedere se all’uno o all’altro necessiti aiuto ora
in questa, ora in quella cosa, e quando ne ha trovato uno, gli offra subito
assistenza! Così facendo egli riuscirà, secondo il mio parere, certamente
gradito al Signore e Padre, il Quale, in questo modo, fin dall’eternità
ugualmente opera e così anche giustificherà la sacra somiglianza a Dio, secondo
la Quale è stato creato. Ma chi invece soccorre il prossimo solo quando ne
viene pregato, oh, quanto lontano ancora è un tale soccorritore dalla piena
somiglianza a Dio, per non parlare poi di chi, per prestare soccorso, attende
che questo gli venga comandato!
8. Ecco dunque, miei cari amici, se la vostra sapienza giunge soltanto
fino al punto di suggerire agli uomini che vi comandino, quando hanno bisogno
del vostro aiuto, allora io, da ragazzo che sono, non vorrei davvero cambiarmi
con voi; se però avete voluto solamente sottopormi ad una prova, credo di avere
superato l’esame dinanzi a voi proprio non tanto male. E dato che avete appreso
dalla mia bocca forse qualcosa che poteva suonare un po’ troppo aspra e dura al
vostro orecchio, non vogliatemene male, perché non ho parlato per fare da
maestro a voi, ma unicamente per amore della verità, essendo che l’offerta da
voi fatta non era conforme a verità. Da perfetti spiriti celesti quali siete,
voi avreste dovuto scrutare già prima nell’intimità dell’animo mio, fino a
riconoscere che alla vostra offerta io avrei dato certamente una simile
risposta, per la quale non posso davvero farvi i miei ringraziamenti»
9. I due giovani arretrano di qualche passo, un po’ umiliati e dicono:
«In verità! Nessun angelo avrebbe potuto supporre tanto alta, pura e divina
sapienza in questo ragazzo!»
10. Allora dico Io: «Così è, miei cari! L’occhio di Dio scruta e vede
le cose più profonde e più sottili e scopre delle macchie perfino negli angeli
più perfetti, ma lo stesso fa pure il cuore purissimo dell’uomo, che è come una
pupilla dell’occhio di Dio! Io però ho fatto in modo che questo avvenisse non
già a vostro vantaggio, ma a causa degli ospiti che sono qui, affinché potessero
apprendere, dalla pura bocca di un giovinetto risuscitato, quanto ad essi
manchi ancora al raggiungimento della somiglianza con Dio! Del resto il ragazzo
già dalla nascita ha uno spirito straordinariamente acuto e perciò nessuno
creda che nella presente occasione sia stato Io a mettergli le parole nel cuore
ed infine sulle labbra. Esse sono cresciute su un terreno assolutamente suo
proprio e perciò anche egli Mi sarà a suo tempo un valido strumento».
1. Dice Cirenio: «Signore! Questo giovinetto io lo prenderei molto
volentieri con me e se egli fosse d’accordo, non solo sarebbe per me come uno
dei miei figli, ma lo anteporrei in tutto agli altri. Davvero, io stimerei la
maggiore delle felicità poter chiamare mio figlio questo caro ragazzo, il quale
è più un angelo che un ragazzo-uomo. In ogni caso già penso che egli si troverà
in una situazione alquanto difficile, presso i suoi genitori di una volta, e
non è fuori luogo la domanda se essi saranno ancora disposti di accoglierlo in
casa loro. Io so come accomodare il tutto e con il tempo potrò disporre le cose
in modo che i suoi genitori, che mi risulta siano molto ligi alle idee del
Tempio, abbiano a riconoscere senza difficoltà il loro Giosoe. Se vorranno
riconoscerlo, saranno certo liberi di farlo, tuttavia alla condizione che egli
abbia a rimanere in casa mia, restando presso di me ovunque io dovessi andare,
sia in Asia, sia in Europa od in Africa, dato che la sua sapienza mi sta a
cuore più di qualsiasi altra cosa!».
2. Dico Io: «Ebbene, vedi di trattare la questione con Giairo e con il
ragazzo stesso, per Me qualunque soluzione sarà buona, poiché il giovinetto, il
Mio caro Giosoe, Mi resterà fedele ovunque egli si trovi!
3. Disse il ragazzo: «Oh, Padre mio! Non sarai già Tu a dubitare di
ciò, perché dovresti Tu stesso ispirare nel mio cuore un altro sentimento. Ma
Tu certamente in eterno non lo farai e così anch’io in eterno Ti rimarrò
fedele! Se io dovessi fare una scelta circa la mia futura esistenza su questa
Terra, preferirei restare immediatamente presso di Te! Infatti in tutta
l’immensità e in tutti gli antichi e i nuovi Cieli cosa ci può essere di più
sublime, di migliore e di ancora più beato del restare presso di Te, la
Sorgente Prima dell’Amore, della Sapienza e di ogni Vita? Però questo certo non
è che il desiderio proprio ed intimissimo del mio cuore e del resto io so anche
obbedire e saprò adattarmi volonterosamente a quella qualsiasi destinazione che
la Tua santa Volontà riterrà opportuno di prescrivermi! Io vado volentieri con
Cirenio, che stimo ed apprezzo moltissimo e così anche volentieri ritorno dai
miei genitori terreni che pure apprezzo ed amo, ma senza la Tua Volontà non
intraprenderò facilmente alcuna cosa».
4. Gli dico Io: «Che tu voglia rimanere presso di Me, come con il tempo
anche rimarrai, di questo rende testimonianza tutto il tuo essere, ma per ora
hai bisogno ancora di qualche riposo ed a tale scopo c’è necessità per te di
restare per un po’ di tempo esteriormente lontano da Me, perché ne sia
rafforzata la consistenza tra l’anima e il tuo nuovo corpo. Quando questo,
forse nel corso di un anno, sarà avvenuto, tu potrai allora far ritorno a Me e
potrai così reggere benissimo presso di Me senza che vi sia per Me, come ora,
la necessità di trattenere con la potenza della Mia Volontà la tua anima nel
corpo. Ecco, questa è la ragione per la quale Io lascio che tu te ne vada per
un certo breve tempo lontano da Me e ciò per il tuo bene! Consulta ora, dunque,
i tuoi sentimenti e decidi se vuoi andartene con il supremo governatore di
Roma, Cirenio, o se preferisci ritornare a casa dei tuoi genitori terreni. Per
Me le due soluzioni si eguagliano, è vero però che, dal tuo lato, presso
Cirenio avresti più elementi a tuo vantaggio che non in casa dei tuoi genitori,
dove saresti in apparenza uno straniero, perché passerà molto tempo prima che
essi sappiano cosa veramente pensare di te».
5. Dice Giosoe: «Considerato che oramai so questo, sta bene che me ne
vada con il supremo governatore Cirenio. Tuttavia avrei il desiderio di vedere
i miei genitori e di sapere quali impressioni susciterà in loro la mia
presenza!».
6. Dice Cirenio: «Questo si potrà fare con tutta facilità già domani,
quando ce ne andremo a Sidone e Tiro, passando per Cafarnao, in occasione del
pranzo che ci verrà offerto in casa di questo mio fratello che vedi qui e il
cui nome è Cornelio. Faremo in modo che, oltre ad alcuni notabili della città,
vengano invitati anche i tuoi genitori e così avrai più che sufficiente
possibilità di vederli, ascoltarli ed osservare quello che eventualmente
troveranno da dire sul conto tuo! Però tu devi fare molta attenzione, perché tu
non abbia forse a tradirti con qualche parola che potrebbe sfuggirti! Del resto
non potranno riconoscerti, perché domani subito ti farò indossare una toga alla
foggia romana, che ti fornirò dal mio guardaroba. Ma, come detto, devi bene
badare alla tua lingua per non rivelarti prima del tempo»
7. Dice il ragazzo: «Non aver assolutamente timore a questo riguardo,
io conosco discretamente la lingua romana, come pure la greca e se verrò
interrogato, risponderò in una di queste. Certamente, anche i miei genitori le
conoscono, però questo non fa niente e spero, con l’aiuto del Signore che mi ha
ridonato alla vita di questo mondo, di cavarmela nel migliore possibile dei
modi»
8. Allora Cirenio stringe al suo petto il ragazzo, lo bacia e dice:
«Devo dirti senza preamboli che tu mi sei quanto mai caro e che da ora in poi
ti considero come un mio figliolo cui io voglio più bene ancora che a tutti i
miei figli corporali, dei quali, come ora per te, sono diventato spontaneamente
padre. Perché con il tuo spirito potrai essere di grande vantaggio a tutti»
9. Dice il ragazzo: «La mia gioia è pur essa molto grande, perché la
mia allegria più grande è sempre stata quella di poter essere utile a qualcuno
in qualche cosa»
10. Dico Io allora: «Molto bene Mio caro Giosoe e quando Io vedrò che tu
sarai rimasto coerente e fedele ai tuoi propositi, da parte Mia verrà elargita
anche a te una forza particolare dai Cieli, tramite la quale sarai posto in
grado di fare maggiormente del bene. In che cosa però consisterà questa forza,
tu lo saprai quando ti verrà conferita. Ed ora ci ritireremo a riposare, perché
siamo già arrivati alla mezzanotte. Domani è un giorno come oggi ed Io non
voglio indagare già adesso quello che esso ci porterà, ma quello che porterà,
noi tutti lo accoglieremo. Il bene lo terremo con noi e noi sapremo bene
separarlo dal male. Andiamocene dunque a riposare». E dopo queste Mie parole,
tutti si ritirano a cercare ristoro nel sonno.
LA
MORTE DI GIOVANNI IL BATTISTA
GESÙ NEL
DESERTO E SUL LAGO GENEZARET
(Matt.cap.14)
Il racconto di
Roban sul nuovo sommo capo.
1. Il mattino del giorno seguente fu anch’esso fra i più sereni e molti
degli ospiti presenti che si erano ritirati a dormire prima di noi, se la
godevano già all’aperto quando Io, i discepoli, gli ospiti romani e Kisjonah
uscimmo fuori di casa.
2. Ma eravamo soltanto da poco tempo anche noi all’aperto, quando
comparve Bab con la sua famiglia, reduce dalla città, poiché a tarda sera egli
era ritornato a casa propria, per non essere d’incomodo in casa Mia. Ed appena
giunto, egli raccontò, concitatamente, che in città e particolarmente nella
sinagoga, regnava una grande agitazione, tale anzi che egli non si era
azzardato a domandare a nessuno cosa fosse accaduto, certo però doveva essere
successo qualcosa di molto grave, perché egli non aveva mai ancora avuto
occasione di notare tale turbamento fra i servitori ed i signori della
sinagoga!
3. Dico Io: «Questa sarà certamente la conseguenza del nuovo modo di
agire che è stato mandato da Gerusalemme dopo l’abbandono della carica da parte
di Giairo e che probabilmente intende fare qui a Nazaret un giro di ispezione
già oggi. Ma questo a noi interessa pochissimo ed intendiamo, malgrado tutto,
fare onore alla nostra colazione che è già pronta».
4. E così dicendo Io Mi rivolsi ai due giovinetti ancora presenti e
dissi loro: «Affrettatevi alla sinagoga e conduceteMi qui Roban, l’anziano,
devo parlare con lui! Andate però a passo d’uomo, affinché non abbiate a
rivelarvi con una comparsa improvvisa». I due angeli eseguono subito l’ordine
ricevuto, mentre noi ci occupiamo di far colazione, cosa che facciamo di animo
lieto.
5. E come ci accingiamo a levarci da mensa, ecco già apparire Roban con
i due angeli. Egli fa un profondo inchino dinanzi a Me ed alle altre
personalità di Roma là presenti e con voce desolata e stanca prorompe in queste
parole: «Oh, Signore, qui è il Cielo, ma lì nella sinagoga si è scatenato
l’inferno! Signore! È vero che a Te non occorre che lo dica, perché so benissimo
che a Te non può essere ignoto niente di quello che succede in tutto il mondo,
ma è oramai una cosa disperante per come briga ed infuria il nostro nuovo
preside!
6. Se quell’individuo non è un fratello corporale di Satana, io sono
pronto a rinunciare alla mia dignità di uomo! In primo luogo egli ha cominciato
a depredarci completamente, non solo per quanto riguarda il denaro, ma anche
tutti i nostri averi, cosicché noi non sappiamo neppure come in avvenire
potremo vivere assieme alle nostre famiglie. Egli si prende tutta la farina, i
legumi, i grani, tutto il pesce affumicato, dice che i nostri buoi, vacche,
vitelli, le pecore e gli asini sono proprietà del Tempio e così si prenderà
anche questi, senza grazia e pietà. E non basta, ma egli ci ha dichiarato che
siamo dei rinnegati di fronte al Tempio e minaccia punizioni da tutte le parti,
perché a Gerusalemme si ha notizia di tutto quanto succede qui ed egli dice di
avere il preciso incarico di farTi arrestare come seduttore e sobillatore del
popolo e di farTi consegnare ai tribunali! Cosa ne dici di queste bestialità?
7. Pare che Erode sia perfettamente a conoscenza di ogni Tuo passo ed
azione ed egli avrebbe già preso da lungo tempo delle misure serie contro di Te,
se non vi fosse trattenuto dall’erronea opinione ispiratagli dal suo indovino –
che era in segreto un discepolo di Giovanni – che Tu sia Giovanni stesso
resuscitato da morte, perché a richiesta di quella donnaccia di Erodiade egli
lo ha fatto decapitare nel carcere, facendo poi presentare ad essa la sua testa
su di un vassoio e ciò per provarle di aver mantenuto il giuramento fatto!
8. Da questo poco che Ti ho detto, Tu, o Signore, puoi farti già
un’idea dello stato delle cose! Io Ti dico che, se non vi opponi tutta la Tua
potenza, Tu e tutti coloro che sono presso di Te siete, per quanto riguarda al
corpo, perduti! Infatti non posso dirTi altro di più che l’inferno intero si è
scatenato; solo sulla Tua testa è stata messa una taglia di nientemeno che diecimila
libbre d’oro!».
9. Allora Io chiamo Matteo e gli dico: «Quello che udrai adesso,
scrivilo!».
10. Matteo va subito a prendere l’occorrente e si dispone a scrivere.
11. Mentre Io, nuovamente rivolto a Roban, dico: «Amico, tu hai ora
accennato di sfuggita alla triste storia di Giovanni, però abbi la compiacenza
di narrarla precisamente così come ve l’ha esposta il nuovo preside, perché io
ho un grande interesse che della cosa venga presa notizia in questo modo!».
12. Dice Roban: «Io lo farò con la maggior buona volontà di questo
mondo, soltanto temo che si accorgano della mia assenza e noi siamo in pericolo
se quel fratello di Satana di un preside ci capita qui e fa un chiasso
tremendo!»
13. Gli osservo Io: «Non temere, perché qui abbiamo tanto potere ancora
per fargli capire ragione!»
14. Dice Roban: «Quand’è così, io ripeterò la storia di Giovanni
letteralmente così come ce l’ha raccontata il nuovo preside!» Le sue parole
furono queste».
Storia e fine
di Giovanni il Battista
(Matteo 14,
1-12)
1. Parla Roban: «Poco tempo fa i servitori del tetrarca Erode,
incaricati dell’esazione delle imposte, ebbero a rapportare al loro signore le
voci che correvano riguardo alla Tua Persona ed alle cose da Te operate e gli
raccontarono come, essendosi essi trovati nell’esercizio delle loro funzioni,
Tu li avessi scacciati e volti in fuga e come nulla avessero potuto opporre
alla Tua potenza! Allora Erode fece subito chiamare il suo indovino. Questi,
però, che anzitutto è una vecchia volpe ed è poi un occulto discepolo di
Giovanni, che non ha potuto perdonare ad Erode l’assassinio di questo profeta,
colse l’occasione che gli si offriva di vendicarsi duramente di Erode e gli
dichiarò energicamente: “Costui altri non è che Giovanni il quale è risuscitato
da morte e opera in questo modo ai tuoi danni!”
2. Tali parole spaventarono Erode (vers.2), il quale ritornò dai suoi
servitori e disse loro: “Costui non è il falegname Gesù, che io conosco e che
non saranno ora neppure cinque anni che è stato qui con suo padre Giuseppe per
costruire un nuovo trono, nella quale occasione, malgrado dimostrasse
un’assoluta semplicità di modi, ha dato prova di non comune abilità nella
falegnameria artistica, bensì Giovanni che io ho fatto decapitare, che è
risuscitato dai morti ed ora come un spirito indistruttibile fa contro di me
cose che nessun uomo è capace di fare. Astenetevi dunque dall’intraprendere
oltre alcuna cosa contro di lui, perché ciò potrebbe recare a me ed a voi le
peggiori sventure!”.
3. A questa dichiarazione sembra che i servitori siano rimasti assai
meravigliati e che se ne siano andati addirittura sbalorditi, poiché essi
sapevano benissimo che Tu non sei Giovanni, ma non osarono ribattere niente al
terrorizzato Erode.
4. E dopo questo racconto del preside, noi gli domandammo come
veramente fossero andate le cose riguardo all’uccisione di Giovanni. Infatti
noi sapevamo con certezza che Erode l’aveva fatto gettare in carcere, ma che
l’avesse fatto anche morire a noi non constava assolutamente. Allora il preside
con poche parole ci raccontò: “Da principio Erode (vers.3) era egli stesso un
discepolo di Giovanni, certo assai tiepido e lo stimava come un saggio di
particolare valore, perciò lo accolse alla sua corte con l’intenzione di
imparare da lui la sapienza occulta. Ma poiché d’altra parte egli non voleva
rinunciare al cattivo amore per Erodiade, moglie di suo fratello Filippo,
Giovanni, pieno di corruccio, (vers.4) così parlò ad Erode: “Innanzi a Dio ed a
tuo fratello non ti è lecito tenere costei, poiché sta scritto: ‘Non desiderare
la donna del tuo prossimo’. Allora il superbo Erode si adirò (vers.5), fece
gettare Giovanni in carcere e l’avrebbe anche fatto morire subito se non avesse
avuto timore del popolo, il quale considerava Giovanni un grande profeta”.
5. Pochi giorni dopo accadde però (vers.6) che Erode festeggiasse il
suo compleanno ed in quella occasione la bella figlia di Erodiade si presentò e
danzò dinanzi a lui ed ai nobili suoi ospiti, la qual cosa (vers.7) piacque
moltissimo ad Erode. Egli perciò fece con giuramento promessa alla bella
danzatrice che le avrebbe dato tutto quello che essa avesse voluto chiedergli!
Ma la figlia (vers.8) si rivolse prima a sua madre, che aveva giurato vendetta
a Giovanni perché voleva allontanarla da Erode, e la madre le suggerì di
chiedere la testa di Giovanni!
6. La figlia allora si presentò ad Erode e gli disse: “Dammi qui in un
piatto la testa di Giovanni Battista”. A quella richiesta (vers.9) il re si rattristò,
non tanto per la sorte di Giovanni, quanto piuttosto a motivo del popolo che
egli temeva si sarebbe poi vendicato. Tuttavia, avendo giurato e per rispetto
di coloro che erano con lui a tavola, comandò ai suoi servitori (vers.10) di
portare alla figlia ciò che era stato da lei richiesto! Ed i servitori
andarono, decapitarono Giovanni nella prigione, dopo aver prima fatto
allontanare da lui con qualche pretesto alcuni dei suoi discepoli e portarono
poi (vers.11) la sua testa su di un piatto nella sala del banchetto, per
presentarla alla figlia e questa la consegnò poi alla sua perfida madre!
7. Quando più tardi i suoi discepoli furono di ritorno, con loro
immenso spavento e dolore (vers.12), non trovarono che un cadavere! Essi
tolsero il corpo di Giovanni, lo portarono fuori e lo seppellirono in presenza
di molte migliaia di popolani che facevano cordoglio e scagliavano maledizioni
atroci contro Erode e la sua casa. Si dice inoltre che Erodiade, alla vista del
capo di Giovanni, sia caduta immediatamente in terra, dove morì fra orribili
convulsioni e con la faccia contratta, e la stessa sorte pare sia toccata pochi
momenti dopo a sua figlia! Erode e tutti i suoi ospiti inorriditi sarebbero poi
fuggiti dalla sala del banchetto.
8. Signore! Questa è parola per parola la dolorosissima storia di
Giovanni che battezzava al Giordano, non lontano dal deserto di Bethabara, dove
questo fiume si versa nel lago, lo attraversa ed infine si volge al Mar Morto.
Cosa ne dici Tu? È davvero ammissibile che degli uomini possano diventare tanto
demoni, specialmente in un tempo in cui Tu stesso, al quale obbediscono Cielo e
Terra, calchi, in forma umana, il suolo di questo mondo? Oh, Tu non hai più
tuoni e fulmini per simili orrori?
9. Allora Cirenio e Cornelio si rivolgono a Me, sopraffatti dalla
collera, ed esclamano: «Signore! Ogni indugio è ormai un pericolo! Noi non
possiamo più attendere che si esaurisca la Tua immensa pazienza e indulgenza,
qui si tratta di porre mano immediatamente all’opera! È necessario che, al massimo
entro dieci giorni, tutta questa progenie dell’inferno, compresa Gerusalemme e
il Tempio, sia fatta scomparire dalla faccia della Terra!».
10. Ed Io gli dico: «Guardate qui questi due giovinetti, essi soli
bastano per fare in un istante quello che tutta la potenza di Roma non potrebbe
fare in cento anni! Ma se tutto ciò non dovesse accadere a motivo dell’Ordine
di Dio, potete crederMi se vi dico che per Me sarebbe cosa facilissima
distruggere tali orrori in un batter d’occhio! Ma queste cose estreme è bene
che avvengano per la formazione di un nuovo Cielo e di una nuova Terra.
11. Ma ora vedete di allontanarvi da qui, perché questo nuovo preside è
un uomo cattivo e Satana è pronto a mostrargli mille vie per le quali potervi
fare moltissimo male, perciò fate in modo di andarvene al più presto.
12. Anch’Io Me ne andrò oggi stesso da qui e non farò ritorno così
presto in questi paraggi, perché è meglio tenersi ad una certa distanza da un
cane rabbioso. Costui è uno il quale dispone di molto oro ed argento,
altrimenti non avrebbe potuto comperarsi la carica che occupa e con molto oro
ed argento alla mano si possono ottenere molte cose presso gli uomini del
mondo, particolarmente poi non ci si può assolutamente fidare di un tale che,
come lui, si è acquistato un simile posto sotto la spinta dell’avidità di lucro
e dell’ambizione.
Di conseguenza tutti voi preparatevi ed allontanatevi da qui e tu pure,
Roban, ritorna a casa tua, perché finora la tua assenza non è stata notata!»
13. Dice Roban: «Ma se vengo interrogato riguardo ai fatti Tuoi, cosa
dovrò dire?»
14. Gli dico Io: «Quello che dovrai dire ti verrà posto nel cuore e
nella bocca al momento opportuno».
Scena con il
nuovo preside del Tempio a Nazaret.
1. Udite queste parole, Roban si mette sollecito in cammino verso casa
sua e vi è appena giunto quando un messo gli si presenta e lo obbliga ad andare
immediatamente alla sinagoga, dove il nuovo preside vuol parlare appunto con
lui dei fatti Miei, perché era venuto a sapere che Roban era stato a Sichar per
cose che Mi concernevano. Roban comparve poco dopo davanti al preside e subito
questi lo investe aspramente.
2. Ma Roban gli dice: «Io sono uno degli anziani di Nazaret e sto fra i
70 e gli 80 anni, mentre tu per i 30 hai ancora molto da correre! Il fatto però
che in forza del tuo denaro ti sia innalzato sopra di noi a preside, non ti
autorizza minimamente a fare da Mosè o da Aronne ed io non potrò imparare da te
niente che non abbia già saputo prima che tu fossi nato! Noi tutti abbiamo
sempre adempiuto ai doveri del nostro ufficio a piena soddisfazione del tuo
degnissimo predecessore e di tutto il Tempio, abbiamo scrutato ogni fenomeno
con occhio sincero e diritto, come si addice ad israeliti devoti a Dio ed
abbiamo posto argini là dov’erano necessari; se tu però credi di comprendere
meglio le cose e se pensi di convertire forse così di colpo tutti i greci e i
romani per farli diventare ebrei, allora procedi pure a modo tuo ed io ti
garantisco che in breve tempo sarai tu, oltre a noi, l’unico ebreo in tutta la
Galilea!
3. La borgata abbastanza importante di Gesaira, a questo riguardo e per
lo stesso motivo, è già passata all’ellenismo e tutti i farisei, gli scribi e i
sacerdoti hanno dovuto andarsene! Va’ tu ora lì e comincia pure a fare, secondo
i tuoi sistemi, ricerche e inquisizioni, e quelli di Gesaira cominceranno a
loro volta a suonarti una tale musica che certamente non avrai gambe abbastanza
lunghe per scappare con la dovuta velocità! Ma a che cosa si deve lo scisma
della gente di Gesaira? Ecco: all’eccessivo rigore ed all’avidità dei sacerdoti
locali, e Gesaira ormai professa Pitagora al posto di Mosè!
4. E precisamente succederà la stessa cosa qui in brevissimo tempo e tu
e noi tutti potremo allora cercarci un altro asilo! Non persistere nella tua
cecità e riconosci quello che purtroppo è vero.
5. I supremi detentori del potere sono romani e greci e vedono di buon occhio
quando gli ebrei si convertono alla loro credenza. Come puoi tu impedire queste
defezioni, quando in tutta la Galilea è una cosa molto nota che ormai le
condizioni del Tempio sono tali da far assomigliare questo ad un guscio di noce
vuoto? Ma di chi è la colpa, se non degli stessi avidi dirigenti del Tempio, i
quali per denari ne rivelano i misteri agli stranieri facoltosi, i quali, a
dispetto di qualsiasi giuramento, divulgano fra il popolo tutte queste storie
con grande corredo di grasse risate e di scherni? Va’ pure a domandare loro,
agli abitanti di questa città, e sentirai anche tu quello che hanno detto a
noi».
6. Dice il preside: «Cosa dici? Tutte queste cose il popolo le sa?».
7. Risponde Roban: «Sì, il popolo è a conoscenza di tutto! Se credi,
prova ad andare a togliergli la conoscenza!».
8. Il preside, arrabbiato e serio, misura a passi concitati la sinagoga
e dice, dopo qualche tempo: «Qui ci avrà posto in buona parte lo zampino quel
profeta di Nazaret! Di conseguenza sarà tempo che tocchi a lui quello che è
toccato a Giovanni per mano di Erode!»
9. Dice Roban: «Eh, sì, tutto dipende dal fare un tentativo per mettere
le mani su quel medico meraviglioso e il popolo, romani, greci, ebrei che
siano, che lo venerano come un Dio, intoneranno anche in questo caso una musica
particolare! Io, che sono un anziano di Nazaret, ti do un consiglio fedele e
più conforme alle circostanze e ti dico: “Segui le orme modeste del tuo degno
predecessore Giairo e potrai, almeno per qualche tempo ancora, campare qui
tranquillo! Ma se continui a fare come fino ad ora e vuoi sconvolgere tutto
mettendo di sotto quello che deve stare sopra e viceversa, potrai presto
cercarti una buona occasione per ritornare a Gerusalemme!”. Giairo stesso è
nelle mani dei greci. Boro è suo genero ed è il secondo medico meraviglioso e
potente per le sue ricchezze d’ogni specie; egli pure saprà anche troppo presto
raccontarti qualcosa. In una parola, prova e dopo mi dirai se ti ho dato un
consiglio falso!»
10. Il preside infuriato pesta i piedi in terra e prorompe: «Voi siete
già tutti alleati del demonio e sembra propendiate più per i nostri avversari
che per noi e siete seguaci della dottrina dell’ingannatore del popolo! Perciò
io vi caccerò dalla sinagoga, farò venire da Gerusalemme gente nuova in luogo
vostro e vi metterò nelle mani dei tribunali! Io ti domando ancora una volta:
“Che cosa sei andato a cercare o fare a Sichar, presso i samaritani?”»
11. Risponde Roban: «Io ho 79 anni e so perfettamente quello che faccio
e che devo fare! Le tue minacce non spaventano né me né nessun altro, ma se
vuoi consegnarci ai tribunali, non devi che provare e vedremo poi chi veramente
finirà nelle mani di questi: se noi o tu!
12. Fortunatamente noi siamo molto in buona vista presso il supremo Governatore,
che è fratello dell’imperatore Augusto e a Roma ha grandissima influenza;
perciò non sarà né così facile né così veloce come tu credi mandarci in
prigione! Ma Gesù, che il Tempio odia unicamente per puro e semplice egoismo e
per avidità di dominio, appunto Gesù è Colui che il Tempio deve ringraziare se
già a quest’ora non è stato raso al suolo!
13. Tu certamente avrai udito qualcosa della famosa rapina delle
imposte perpetrata, saranno ora cinque settimane, dagli agenti del Tempio
travestiti e mascherati e dall’ignominioso trasporto di quei tesori, nonché di
molte altre cose letteralmente rubate od estorte con abominevole violenza,
trasporto che è stato fermato a Chis dai sorveglianti dello straricco Kisjonah!
Vedi, è stato appunto quel Gesù, che il Tempio odia senza nessuna ragione e che
le alte autorità e personalità di Roma stesse venerano più del loro Giove, Lui
solo, con la Sua Parola e con le Sue opere inaudite, è stato a deviare da
Gerusalemme il rovinosissimo uragano. Ma il pericolo non è ancora scongiurato
del tutto e basterà che vi ostiniate ancora un pochino nei vostri vecchi
sistemi, perché scoppi la tempesta!
14. Del resto basta anche solo una denuncia da parte di Boro, di Giairo
e rispettivamente anche la mia e dopo potrai rimirare la tua Gerusalemme e il
suo Tempio 3 volte entro 7 giorni e mi saprai dire se avrai trovato il posto
dove una volta sarebbe esistito il Tempio! Hai ben compreso le mie parole?»
15. Allora il preside, al colmo dell’ira e del dispetto, batte di nuovo
con i piedi in terra ed esclama: «Chi può confermare una cosa simile con un
giuramento? Perché quelli che si dice siano implicati nel fatto sono ora
rinchiusi nel Tempio!»
16. Dice Roban: «Secondo la legge romana l’imputato non viene mai
ammesso al giuramento, bensì soltanto gli altri testimoni ed in caso di bisogno
essi ne metteranno assieme diecimila i quali, quanto pare a me, saranno
sufficienti contro 10 accusati o giù di lì!»
17. Dice il preside, completamente annichilito: «Dunque è inutile
credere in Jehova, Mosè e nei profeti e non è più lecito a nessuno osservare i
comandamenti a causa dei romani?»
18. Risponde Roban: «Fammi il piacere di non tirare in ballo Jehova né
Mosè ed i profeti! Di tutto ciò non vi è più alcuna traccia né in te né meno
ancora negli alti ed altissimi signori del Tempio, perché tutto il Tempio è già
da 30 anni che è trasformato in un luogo di mercato e di cambio e già da lungo
tempo là non vi sono più né un autentico servizio divino né una giusta
osservanza dei precetti del vero Jehova e di Mosè! Quello che c’è ancora, si
riduce tutto all’apparenza, all’ombra e alla maschera ed i lupi rapaci vanno
intorno ricoperti di false e placide spoglie per poter, con tanto maggiore
facilità, assalire le povere pecore. Se tu agissi conformemente alle leggi di
Mosè, non ti sarebbe mai venuta la voglia di comperarti il posto che occupi
ora! Ed io sono pronto a giocarci la vita, se Mosè ha mai comandato che la
carica di capo di una sinagoga la si debba acquistare con l’oro e l’argento!».
19. A questa replica di Roban il nuovo preside esclamò furente: «Tutto
ciò non ha niente a che fare, ma saprò io ben trovare per voi un padrone tale
di cui non potrete mai meravigliarvi abbastanza, perché io so ancora qualche
altra cosa che voi non sapete e conosco altre vie che probabilmente voi non
conoscete!».
20. Dice Roban: «Questo è ben possibile; ma è pure possibile che tutte
le tue vie, grandi e piccole, noi le conosciamo forse meglio di te ed è
eventualmente il caso di domandarsi se non ti abbiamo già sbarrato tutte le
strade per le quali hai segretamente pensato di colpirci alle spalle. Come ho
detto, basta che tu faccia una sola prova e non tarderai a sentire quello che
sapremo raccontarti noi!».
21. Gli altri allora dicono a Roban: «Ma fratello, perché vuoi tentare
di salvare quest’inumano dalla rovina? Egli è nelle nostre mani e potrà
cercarsi un aiuto anche in Cielo, quando ci prenderemo la singolare libertà di
fargli assaggiare le pietre di Nazaret!». E poi, rivolti al preside: «Noi siamo
farisei e scribi come te, anzi meglio di te, perché siamo discendenti di Levi,
mentre tu, come sappiamo benissimo, la discendenza l’hai pagata a caro prezzo,
come, del resto, oggigiorno tutto si compera, non escluso il Cielo! Dunque, tu
sei un intruso nel Santissimo ed un ingannatore di Dio e per questo crimine
saresti a ragione passibile di venir lapidato all’istante, vedi per questo di
non spingere le cose troppo oltre, altrimenti ci metteremo senza indugio
all’opera!»
22. Questa minaccia energica e risoluta ebbe l’effetto di rendere il
sommo capo almeno in apparenza, più sopportabile, quantunque nel suo interno
fremesse ancora di più e dopo una pausa, egli disse: «Anche voi però non dovete
prendermi per quello che non sono, perché sono noti, a me come a voi, i grandi
difetti del Tempio ed ora si tratta soltanto di vedere come si potrebbe fare
per occultarli e per ridonare al Tempio il suo antico significato e il suo
primitivo valore».
Testimonianza di
Chivar su Giovanni e Gesù
1. Allora prende la parola l’oratore Chivar e dice: «A che scopo usare
verso di noi iniziati simili insensatissime angherie? Io sono stato, dal mio
undicesimo fino al venticinquesimo anno di età, un servitore del Tempio e dunque
so anche troppo bene come stiano là le cose. Se avessi voluto essere cattivo,
quante e quante cose avrei potuto rivelare già da molto tempo in qua! Ma mi
sono sempre detto: “Il popolo cieco tiene tuttavia al Tempio come prima”.
2. Perché avrei dovuto togliere al popolo la sua fede nella quale,
secondo me, esso ripone tutte le sue illimitate speranze, mentre noi sacerdoti
possiamo in certo modo contare almeno su di una discreta vita a questo mondo?
Ma se ora, che non abbiamo un fondamento reale, tendiamo troppo le nostre
corde, si spezzeranno ed allora sarà finita con i nostri canti, così potremo
provvederci di reti per andar a pescare là dove il mare è più profondo.
3. Cosa possiamo fare noi contro la potenza dei nostri nemici che
diventano di giorno in giorno più numerosi? Credi che poi il Tempio ci
proteggerà? È inutile che te lo aspetti, perché a Roma si sono già stabiliti
molti ebrei, i quali tengono delle case signorili con dei tesori considerevoli
ammassati illecitamente nel Tempio!
Questi non si affanneranno a farsi nostri patrocinatori, come non è
d’aspettarsi che questa cosa la faccia la gente attuale del Tempio che, come le
rondini, tiene già adesso pronte le ali con le quali, alla prima e miglior
occasione, spiccare il volo oltre il grande mare, verso l’Italia e verso
l’Europa, per non fare mai più ritorno in Asia.
4. E perciò ora dovrebbe essere per noi ambito consiglio in primo luogo
dedicarci nel modo più degno possibile al nostro ministero di sacerdoti, con
tutta tranquillità, moderazione e pazienza ed in secondo luogo osservare
scrupolosamente il proverbio romano: «In medio beati» (Il giusto sta nel mezzo), altrimenti già entro pochi anni potremo
chiedere di essere ammessi nella casta dei pescatori!
5. In aggiunta a tutto ciò, ecco che, precisamente in questo tempo,
sono comparsi due uomini, la cui potenza assolutamente incomparabile, sarebbe
capace di guadagnare in pochi anni alla loro dottrina tutte le genti di questo
mondo! Giovanni, il quale, benché non si trovi più corporalmente fra i mortali,
è il primo, alla cui dottrina hanno aderito mezza Giudea e Galilea, dottrina
che presentemente viene professata ancora più tenacemente di quando era vivo
Giovanni. Erode nella sua lussuria poté far levare il capo di chi era profeta,
ma sarà egli capace di stroncare anche il suo spirito e quello della sua divina
dottrina? Io non potrò mai crederlo, perché appunto con le persecuzioni ogni
buona dottrina diventa grande ed invincibile!
6. Ora Giovanni, nei riguardi del corpo, è bensì tolto di mezzo, ma in
sua vece è sorto il ben noto Gesù, di fronte al quale Giovanni sta a mala pena
come una tana di talpa paragonata al poderoso monte Ararat! Il Suo aspetto e il
Suo modo di trattare sono di una dolcezza e di una liberalità sovrumane ed
emanano uno straordinario senso di umanità; la sapienza profondissima cui
s’informa ogni più piccola parte del Suo discorso sempre denso e purissimo di
verità divinamente pie, e talmente chiare ed accessibili, che non vi può essere
uomo avente anche un solo grano di intelletto nel cuore, che possa un solo
istante dubitare della celeste provenienza delle parole che giungono al suo
orecchio; ed infine le Sue opere dalle quali ciascuno è indotto ad esclamare:
Cose simili soltanto Dio le può fare!
7. Cosa vogliamo o cosa possiamo intraprendere di più contro di Lui?
Possiamo sì renderci più odiosi ed intolleranti di fronte a tali apparizioni
straordinarie, ma certo non a nostro vantaggio, bensì a nostro massimo danno.
8. Perciò a noi conviene comportarci con la maggior prudenza possibile
e non porre mai eccessiva attenzione al presente, ma badare piuttosto
all’avvenire; altrimenti in breve tempo è finita per noi!»
9. Dice il preside: «Dunque la tua opinione è che noi non dobbiamo
tentare di impadronirci di questo Gesù, ma che dobbiamo invece aspettare
tranquillamente fino a che egli ci avrà ridotto completamente in rovina!»
10. Risponde Chivar: «Tenta di impadronirtene tu, se ti è possibile!
Che cosa abbiamo provato a far contro di Lui ed a che cosa è giovato? Io te lo
dico: “A niente altro che ad aumentare di un paio di migliaia il numero dei
Suoi discepoli ed a diminuire in confronto di altrettanto il numero dei nostri
seguaci e, oltre a ciò, a procurarci la probabilissima prossima felicità di
dover fare i conti con i romani, i quali lo considerano un verissimo Dio!”.
11. E bisogna aggiungere inoltre quello che non è mai stato visto
ancora da che mondo è mondo che Egli ha sempre al Suo seguito un paio d’angeli
i quali, nonostante la loro apparente delicatezza di forme e la fanciullesca
fragilità, sono in possesso di una forza tale che la nostra miope sapienza non
potrebbe mai immaginare, neppure in sogno! E su di un tale Uomo tu vorresti
mettere le mani per impadronirti di Lui! Io ti dico: “Sii quello che vuoi, ma
non essere pazzo! Prima che tu abbia fatto un solo passo con cattiva intenzione
verso di Lui, sei già completamente paralizzato! O credi forse tu che Egli non
sappia nulla di quanto si discute ora fra di noi?”. Io te lo ripeto: “Tu sei in
grandissimo errore! Tutti quanti si trovano qui sono testimoni di come Egli,
due giorni fa, abbia risaputo fin nei minimi particolari tutto quello che noi
avevamo trattato qui a mezzanotte al Suo riguardo e che avevamo per quanto
segretamente deciso!”
12. È certamente piacevole udire raccontare di un uragano scatenatosi
sul mare, ma ben altra cosa è l’esservi stati esposti. Ascolta bene le mie
parole: “Accudisci in tutta pace e senza eccessivi rumori alle mansioni del tuo
ufficio e da nessuna parte te ne verranno conseguenze spiacevoli, ma se vorrai
agire da tiranno, noi tutti che siamo qui possiamo garantirti che non solo tu e
la tua Cafarnao, ma tutta Gerusalemme sarà messa a soqquadro!”. Usando grande
prudenza, noi possiamo ancora fare in modo che Gerusalemme sia mantenuta ancora
forse per cinquant’anni, ma possiamo provocarne la rovina anche in poche
settimane, seguendo i suggerimenti sommamente inopportuni della nostra
stoltezza!
13. E adesso sei libero di fare come credi, noi non abbiamo a fare che
un passo e siamo con i romani. Essi sono grazie a Dio amici nostri, ma per te
la strada potrebbe diventare assai più lunga! Pure la prudenza umana esige che
si debba dare sempre una noce vuota per una piena, ora, cosa puoi sperare di
cavare fuori dal Tempio avido ed egoista, considerato che già da lungo tempo è
diventato una noce completamente vuota? Io ti dico francamente che oramai tutti
i signori, anche i più grandi e potenti di Roma, si lasciano guidare da Gesù
come degli agnelli! Ma se Egli ha costoro dalla Sua parte grazie alla Sua dottrina
veramente divina e pura, cosa possiamo fare noi contro di Lui? Dopo che tu
accennerai soltanto a volerlo attaccare, sarai tu stesso afferrato per primo e
non si troverà nessuno disposto a fare neanche un solo passo a tuo vantaggio,
ma, se ti comporti con la dovuta cautela e prudenza, i romani diverranno anche
tuoi amici e come Giairo potrai vivere in pace! Però, come detto, fa’ come
vuoi, ciò che avverrà in seguito ti fornirà la prova se noi ti abbiamo dato un
consiglio da amico o da nemico!».
14. Questo discorso di Chivar non mancò di produrre il suo effetto, il
preside si fece più mite e cominciò a persuadersi che tanto Roban quanto Chivar
avevano perfettamente ragione, tanto che promise loro di seguire fedelmente il
consiglio ricevuto. E così la prima tempesta nella sinagoga ebbe un decorso
felice.
Il Signore
loda Roban e Chivar.
1. Dopo un’ora da questi avvenimenti, Chivar, uscì dalla città per venire
a trovarMi, e voleva accingersi a raccontare tutto quello che nella sinagoga
era stato discusso con il nuovo preside.
2. Però Io gli dissi: «Amico, risparmiatene la fatica, perché già sai
che per Me non può esservi niente di sconosciuto. Del resto devo dirti che tu e
Roban vi siete comportati benissimo, perché il preside non avrebbe altrimenti
mancato di cacciarsi in qualche pazza impresa. Così egli invece è ormai
convinto che sarebbe cosa assurda l’intraprendere qualcosa contro i romani e,
almeno per un certo tempo, resterà tranquillo, d’altro canto però sarebbe
quanto mai prematuro per voi fidarvi interamente di lui e dovete continuamente
stare in guardia e non perderlo mai di vista. A te, poi, siccome sei stato ed
ancora sei il Mio più zelante difensore, Io voglio conferire il potere di
guarire gli ammalati con una giusta preghiera e mediante l’imposizione delle
mani, inoltre la facoltà di poter leggere nel tuo cuore tutte le intenzioni ed
i piani del nuovo preside, nonché le opportune misure da prendere per
opporvisi, però devi fare come ti ho detto, ogni volta ugualmente, altrimenti
non avrebbe efficacia. Quali saranno le misure opportune, ti verrà indicato a
tempo e luogo! E adesso dunque ricevi la Mia benedizione».
3. A queste parole Chivar si prostrò dinanzi a Me e Mi pregò
ferventemente di concedergli le grazie promesse. Ed Io posai la Mia mano destra
sul suo cuore e la mano sinistra sul suo capo e nello stesso istante la sua
anima fu rischiarata ed egli esclamò: «Signore ogni tenebra è fuggita da me,
tutto in me è luce e tutto il mio corpo mi sembra essere diventato trasparente
come un diamante, cosicché la luce del giorno può trapassarlo senza alcun
impedimento. Oh Signore, concedi che questa benedizione resti con me per sempre
ed io saprò certo conservarla e con animo gratissimo cercherò di rendermene
degno!».
4. Gli dico Io: «Sii tu sempre operoso secondo la Mia dottrina e non
avrai mai più ragione di far cordoglio per la perdita di questa luce!».
5. Allora Chivar si alza e si accorge che all’infuori di Boro e Giairo,
Maria ed i Miei fratelli, nessun altro ospite è più presente; anche i dodici
discepoli principali sono spariti ed egli Mi domanda che cosa sia accaduto.
6. Gli dico Io: «Era necessario che fosse così! Vedi, presto verrà
l’autunno e poi l’inverno. Il tempo della raccolta è prossimo ed Io devo andare
fuori a cercare lavoratori per il campo e per la vigna! Quando per quest’anno
tutto sarà messo in serbo, allora sarà dolce riposare d’inverno; quando poi si
annuncerà l’anno nuovo, ci ritroveremo dinanzi ad un gran lavoro che
affronteremo con forze rinnovate.
7. Oggi stesso anch’Io Mi allontanerò da questi paraggi, poiché Erode è
una vecchia volpe e il nuovo preside è alle sue dipendenze, perciò è bene che
la Mia casa non divenga un campo di battaglia per Satana. I Miei discepoli li ho fatti già partire da
un paio d’ore. Essi se ne sono andati con Mio fratello Kisjonah ed attenderanno
presso di lui a Chis la venuta dei discepoli di Giovanni, per annunciare a loro
che il Regno di Dio è vicino. Essi, però, ancora entro oggi saranno qui di
ritorno assieme ai discepoli di Giovanni e poi, venuta la sera, lasceranno con
Me questa località. Ma dove ce ne andremo, questo lo percepirai bene, come
molti altri, in te stesso.
8. E tu vedi di praticare di frequente Boro e Giairo, perché essi sono
ora le due persone più degne in tutta Nazaret, essi possiedono tutto il Mio
Amore e, per mezzo Mio, anche la piena Grazia di Dio! Finora non Mi conosce e
non Mi ama neppure uno dei Miei discepoli, come questi due Mi amano e Mi
conoscono.
9. Tutti i Miei discepoli, in un certo tempo che non si farà ancora
molto attendere, troveranno ancora occasione di scandalizzarsi abbastanza di
Me. Ma nessuna cosa e nessuna apparizione in Me potrà mai più fare vacillare o
indurre in errore questi due, perché essi Mi conoscono interamente del tutto.
Segui dunque le loro tracce e così anche tu potrai raggiungere quello che hanno
raggiunto essi stessi!».
10. Con ciò Chivar è perfettamente soddisfatto e Mi chiede ancora cosa
sia accaduto ai due angeli che si erano pur essi resi invisibili.
11. Ed Io gli rispondo: «Alza i tuoi occhi e potrai vedere non soltanto
quei due, ma anche altre innumerevoli schiere intorno a loro!».
12. Allora Chivar leva gli occhi al Cielo e contempla in un mare di
luce i due arcangeli circondati da miriadi innumerevoli di altri angeli, i
quali sono tutti sempre pronti al Mio minimo cenno.
13. Chivar però china subito il suo sguardo a terra e dice: «Signore,
io sono un uomo peccatore e i miei occhi non possono perciò sopportare questa
visione per me troppo santa, ma tutte le mie forze voglio dedicarle al fine di
potermi rendere degno!»
14. Gli dico Io: «Fa’ tutto secondo rettitudine e giustizia ed in quei
Cieli, dei quali tu hai ora visto un lembo, il tuo premio sarà grande! Ora però
ritorna alla sinagoga, perché il preside, che si tratterrà ancora qualche
giorno qui a Nazaret, ha bisogno di te, siccome tiene oramai in gran conto il
tuo consiglio!».
Il nuovo
preside Core e Chivar nella sinagoga.
1. Dopo ciò l’onesto Chivar se ne va ed in breve è di ritorno nella
sinagoga, ma subito si accorge che il preside l’aspettava con ansia e infatti,
appena entrato, l’altro gli va incontro e gli domanda dove fosse stato e cosa
avesse fatto per tutto quel tempo.
2. Chivar rispose; «Signore! Io ho in cura un ammalato grave ed ho
dovuto correre in suo aiuto. Ora, vedi, egli è guarito e, essendo un
viaggiatore, può proseguire il suo cammino oramai consolato».
3. Chiede il preside: «Dove va, quando parte e da dove è venuto qui?
Posso vederlo ancora e parlargli?».
4. Dice Chivar: «Egli è un israelita, è venuto qui dall’alto ed ora è
già partito verso il basso. Tu non puoi più vederlo e parlargli, a meno che
egli non torni da queste parti! Ma quando potrà avvenire ciò? Probabilmente
passeranno molti giorni!»
5. Dice il preside: «Questa tua informazione di tono furbesco non può
affatto bastarmi! Dov’è l’albergo, affinché ci vada io stesso per procurarmi
delle informazioni circa questo viaggiatore da te guarito e che è diretto al
basso? Infatti una simile guarigione meravigliosa da parte di un fariseo è una
questione molto importante e deve venire confermata da quanti più testimoni è
possibile, altrimenti non può trovare credito, né di conseguenza può avere
alcun valore»
6. Risponde Chivar: «Se tu vuoi sapere di più di quanto so io,
rivolgiti allora a chi ne sa più di me! Quello che io sapevo, te l’ho anche
raccontato fedelissimamente. Come avrei potuto dirti di più di quanto io stesso
so? L’albergo però è lì fuori, in casa del falegname Giuseppe. Se tu vuoi
informazioni più estese in proposito, vacci tu stesso! Non dimenticare però di
proteggerti la schiena, perché lì di bastonate non ci sarà assolutamente mancanza!
Credi forse che la gente abbia proprio un rispetto tanto straordinario per le
persone del nostro rango? Io posso dirti che non c’è affatto traccia di
qualcosa di simile! Alla più piccola sbadataggine ci si procurano legnate in
serie, a cominciare dalla prima lettera dell’alfabeto, senza interruzione, fino
all’ultima e poi non c’è Dio che te le cavi di dosso! Ti ripeto: “Tutto sta nel
fare una prova e poi si potrà parlare per propria esperienza!”»
7. Dice il preside: «Da queste parole, che esprimono tanta sicurezza,
devo assolutamente dedurre che voi, assieme a tutta la cittadinanza di Nazaret,
avete congiurato contro di me. Ma questo non fa niente e noi sapremo ben
mettere le cose al suo posto! Oramai so, all’incirca bene, cosa devo pensarne!
Spero che fra breve riuscirò a smascherare questo complotto del tutto, ma poi
guai a voi e tutta la città! Qual è la via che conduce fuori verso la casa del
falegname?
8. Risponde Chivar: «Guarda qui, fuori da questa finestra, là, alla
distanza di circa duemila passi, puoi vedere benissimo la proprietà del
falegname, nonché la strada che vi conduce. Va’ pure e persuaditi di tutto ciò
con i tuoi occhi – nota bene, anche delle immancabili bastonate!»
9. Dice il preside: «Ma voi mi accompagnerete, per servirmi da protezione!».
10. Dicono tutti: «Fossimo matti! Ce ne guarderemo bene! Chi ne ha così
tanta voglia, che vada lui fuori con la sua pelle!»
11. Dice il preside: «Ebbene, nel Nome di Jehova andrò io stesso fuori
e vedremo se qualcuno si azzarderà a toccare me, un unto del Signore, poiché
sta scritto: “A nessuno è lecito levarsi contro l’unto del Signore e guai a
colui che alzerà la sua mano contro il capo di un unto!”»
12. Osserva Chivar: «Eh sì, quello che tu sai, lo sappiamo anche noi
già da lungo tempo. Ma gli unti come noi, la cui consacrazione non è che una
miserabile artificiosa illusione, non hanno più nessun valore dinanzi a Dio ed
Egli non proteggerà affatto le nostre teste, per quanto consacrate da una
pseudo unzione, quando saranno, secondo tutta giustizia, esposte ai colpi dei
nostri nemici! Infatti, come ho avuto occasione di dire più volte, il popolo
conosce ormai anche troppo bene quello che si cela dietro a noi e dietro al
Tempio!»
13. Dice il preside: «Sia come si voglia, io vado fuori, ma guai a voi
tutti, se io trovo che le cose non stanno così come tu, Chivar, mi hai detto
quando ti ho domandato dove tu fossi stato!»
14. Dice Chivar: «Ti sarà piuttosto difficile sapere quello di cui tu
vuoi avere notizia ed arriverai a conoscere invece qualcosa di differente che
ti causerà, tutt’al più, un dolore considerevole, mentre noi di dolori non ne
sentiremo per niente affatto!».
15. A queste parole di Chivar, il preside si affretta ad uscire.
16. Ma quando si trova in strada e viene notata la sua presenza, dei
giovanotti e delle ragazze che erano là, si mettono a gridare: «Questi è il
nuovo preside, il malvagio che ci vuole rovinare tutti! Fuori di qui!». Da
tutte le parti accorre la popolazione, armata di pietre e randelli e già
qualche sasso l’ha raggiunto, lasciando sul corpo qualche ammaccatura.
17. Il preside si persuade ben presto che la gente di Nazaret non
scherza, si volta di furia e rientra di corsa nella sinagoga, chiudendo
violentemente la porta dietro di sé, mentre un’ultima scarica di pietre lascia
qualche impronta, a testimonianza dei sentimenti che i nazareni nutrono per il
nuovo preside!
18. Quando il preside è di nuovo in presenza dei farisei, esclama
furibondo: «Questa è opera vostra, ma io saprò ben vendicarmi!».
19. Dice Chivar, molto arrabbiato: «Cosa vai blaterando, pazzo che non
sei altro! Come può essere opera nostra, se ti abbiamo noi tutti ammonito
dall’uscire fuori? Soltanto quando sarai stato raccomandato da noi al popolo,
potrai parlare e trattare con esso, ma finché ciò non succede, ti toccheranno
dei maltrattamenti ogni qualvolta ti azzarderai di mostrarti al popolo, solo
attraverso le vie della città, perché il popolo ti è ostile per la ragione che
ti sei acquistato la tua carica con i denari ed oltre a ciò anche per l’altra
ragione che tu, appena arrivato, hai voluto tiranneggiare noi assieme a tutto
il popolo, intendendo ristabilire un equilibrio mediante atti di terrorismo,
cosicché ti si odia come l’inferno ed io ti dico che faresti meglio a cedere il
tuo posto a qualcuno più degno di te, poiché io non darei uno statere per il
tuo avvenire!
20. Tu dovresti addirittura diventare un altro uomo da quello che sei,
se volessi mantenerti in posizione favorevole tra di noi. Ma sembra che non ti
sia assolutamente possibile. Infatti assumere solo esteriormente un’espressione
amichevole, restando tuttavia nel proprio cuore un lupo rapace, è una cosa che
con noi non va affatto, poiché in noi tutti c’è, per meravigliosa combinazione,
tanto spirito profetico da poterti dire con esattezza assoluta i pensieri che
covano nel tuo pessimo cuore!
21. Se però tu vorrai convertire il tuo cuore e lascerai che la pura
sapienza e la verità divine vi prendano posto, allora certo non mancheremo di
dartene lode dinanzi al popolo e tu potrai poi vivertene qui in pace ed
allegria, ma il tuo sommo sacerdote, il tuo Pilato e meno ancora il tuo Erode,
da queste parti non ti serviranno a niente»
22. Dice il preside: «Come mai puoi sapere che io ho pensato sul serio
a questi tre appoggi?»
23. Risponde Chivar: «La cosa si spiega così: anch’io posseggo un certo
spirito profetico il quale scruta tutto quello che si cela nel tuo animo e non
vi è niente in te che possa restarci nascosto, che tu sia qui o a Cafarnao e la
stessa cosa anche se tu fossi a mille giornate da qui, noi leggeremo ugualmente
nel tuo cuore! Dunque, sarà difficile che tu possa intraprendere qualcosa
contro di noi senza che, dal canto nostro, si possano già anticipatamente prendere
le contromisure più opportune ed efficaci! Sei tu così contento di noi?
24. Infatti, vedi, noi siamo dei sacerdoti ancora del buon stampo
antico! Lo Spirito di Jehova è ancora in noi, per quanto abbia già da lungo
tempo abbandonato Gerusalemme. Ma, se tu vuoi reggere vicino a noi, è bene che
tu pure sia un vero sacerdote, perché, come sacerdote soltanto in apparenza,
non potrai mai più rimanertene in compagnia nostra ed in questo caso farai
meglio a trasferire la tua carica ad uno che ne sia più degno, come già prima
ebbi occasione di menzionarti!».
25. Esclama il preside: «Oh, maledetti servitori del bordello nel
Tempio di Gerusalemme! Voi vi siete presi il mio buon oro ed argento, ma non
avete pensato affatto a quello che mi davate in cambio ed ora, invece di un
posto ragguardevole redditizio, mi trovo fra le mani un vero vespaio! Oh,
aspettate! Dovete accorgervi ben presto che Core non vi ha gettato tra le fauci
il suo oro e il suo argento invano!». E, dopo aver riflettuto qualche tempo,
chiede nuovamente a Chivar: «Cosa dunque devo fare per avere la vostra amicizia
e quella del popolo?».
26. Risponde Chivar: «Io e Roban pure te ne abbiamo già dato le
direttive e qui, su questo tavolo, c’è la Scrittura che t’indica esattamente il
Volere di Jehova. Agisci di conseguenza e non secondo i condannabili precetti
umani che regolano le azioni del Tempio; così facendo avrai una vita facile e
serena fra noi! Tu devi conquistarti la benevolenza di Dio e poi tutte le altre
cose buone si presenteranno da sé».
27. Dice Core: «Sì, d’ora innanzi anch’io voglio fare così, per quanto
le mie forze lo concederanno, però non vi sia sgradito se io trasferisco almeno
per la durata di un anno la mia residenza qui a Nazaret, perché qui con voi
posso davvero imparare qualcosa, mentre a Cafarnao e certamente anche a Corazin
e nelle altre città minori sul mare di Galilea non si trovano che persone
miserevoli, adulatrici e servili».
28. Dicono tutti: «Tu farai molto bene, facendo così come dici e per
noi tutti sarà una grande gioia poterti veramente servire e salutare come
nostro preside! Infatti qui non si tramano più inganni, non si vende più letame
benedetto, né si contrattano più buoi, vacche, vitelli e pecore, bensì la
nostra piccola scuola è tuttora ciò che deve essere e nella nostra sinagoga non
si fanno affari di cambio!
29. È vero che nel nostro piccolo tempio non arde nessuna fiamma su di
una qualche arca dell’alleanza, ma in compenso arde, tanto più vera e vivente,
una fiamma nei nostri cuori e questo è a Dio più gradito di tutto il letame del
Tempio a Gerusalemme, dietro al quale non brilla più una sola scintilla di
verità e nei riguardi del Tempio stesso vanno adempiendosi le parole
pronunciate da Dio per bocca del profeta Isaia: “Ecco, questo popolo Mi onora
con le labbra, mentre il suo cuore è ben lontano da Me!”. La falsità di
Gerusalemme è così evidente che si può afferrare con le mani! I sacerdoti ogni
anno non si affannano ad adornare le tombe dei profeti molto spesso false,
quando sono stati i loro padri a lapidarli? E agiscono forse differentemente i
sacerdoti di oggigiorno? Niente affatto, anzi, essi calcano esattamente le orme
dei loro perfidi predecessori: essi hanno ucciso Zaccaria fra l’altare e il
Santissimo ed Erode, da parte sua, ha fatto decapitare Giovanni! Dimmi tu che
razza di servitori di Dio sono questi? Però noi te lo diciamo apertamente:
“Questi sono servitori di Satana e mai più di Dio!”. Per fortuna li abbiamo in
pugno, la qual cosa che non è loro sconosciuta e anche per questo ci lasciano
in pace!
30. Ma se ad essi venisse in mente di invitare (in dubbia amicizia) uno
o l’altro di noi a qualche festa a Gerusalemme, noi troveremmo sempre l’ardire
di non accettare l’invito a nessun prezzo e preferiremmo attendere qui la morte
naturale, piuttosto che andare a cercarne una artificiale, sia pure con tutti
gli onori, nei misteriosi meandri del Tempio! Tu puoi credere che anche noi
siamo tanto scaltri quanto quei signori del Tempio e fiutiamo l’arrosto già
molto tempo prima che essi l’abbiano messo sul fuoco! Tieniti dunque fermamente
stretto a noi e con noi e non ti mancherà assolutamente nulla»
31. Dice Core: «Ormai con voi mi sono completamente chiarito, cosa che
mi ha fatto molto piacere, però il Tempio avrà motivo di rallegrarsi per le
svariate prove di amicizia che, quando ci sarà la buona occasione, noi sapremo
dargli!»
32. Osserva Chivar: «Sai, del male per deliberato proposito noi non
gliene faremo, ma se pensasse di attaccarci, allora guai a lui, perché non è
davvero il materiale per difenderci quello che ci manca!».
33. Dopo questa conclusione di Chivar, si presenta il cuoco ad
annunciare che il pranzo è pronto.
Chivar e Core
sul risveglio di Sara dalla morte.
1. Mentre tutti sono seduti lietamente a mensa e mentre la
conversazione si svolge animata riguardo a svariati argomenti spirituali, ecco
entrare nel refettorio Boro, che saluta tutti e presenta la sua sposa Sara,
pregando di iscriverla nei registri della sinagoga quale sua moglie legittima e
ciò per il fatto che essa professava la fede giudaica!
2. E Chivar va subito a prendere il gran libro dei matrimoni ed iscrive
senza indugio ambedue quali coniugi perfettamente legittimi dinanzi a Dio ed a
tutto il mondo.
3. Il preside però domanda a Chivar se la cosa sia ammissibile,
considerato che notoriamente Boro è greco.
4. E Chivar risponde: «Amico mio! Qui da noi molte cose sono ammesse,
del resto sarebbe cosa stolta non voler riconoscere l’unione di due coniugi che
già da lungo tempo furono uniti da Dio»
5. Dice il preside: «Come puoi sapere questa cosa?»
6. Dice Chivar: «Come so parecchie altre cose che non ti saranno note
tanto presto, questa cosa la so, anche se tu non la sai. Datti pace per ora,
perché il procedimento da noi è ben differente da quello usato nel Tempio!».
7. Il preside sorride ed appare soddisfatto!
8. Frattanto Boro trae di tasca una borsa d’oro discretamente pesante,
intendendo così pagare le tasse per l’iscrizione, tasse che, però, secondo la
prescrizione, non erano di gran lunga così considerevoli come egli
spontaneamente aveva voluto versare, dopodiché egli saluta e se ne va.
9. E quando Boro ha abbandonato la sala, il preside prende in mano la
borsa e dice: «Ma qui ci sono più di cinque libbre d’oro in pezzi finissimi con
il conio di Augusto ed alcuni anche con il conio di Tiberio! È questa l’usanza
qui da voi? Nel Tempio già una libbra d’oro sarebbe un’offerta superba!».
10. Risponde Chivar: «Offerte simili qui da noi non sono tanto rare,
del resto Boro, che dopo Gesù è certo il miglior medico del mondo, è troppo
gentiluomo ed oltre a ciò troppo ricco per mostrarsi taccagno in una simile
occasione!».
11. Il preside continua a domandare: «E chi è la sua bellissima e
gentile moglie?
12. Dice Chivar: «Essa è figlia del preside Giairo, della quale ti ho
già raccontato che è stata due volte di seguito risuscitata da morte per opera
del miracoloso salvatore Gesù».
13. Dice il preside: «Essa probabilmente si sarà trovata in uno stato di
persistente deliquio, ciò che non è cosa nuova, trattandosi di una creatura
così delicata!».
14. Dice Chivar: «E no! Quando uno è già avviato alla putrefazione
nella fossa da quattro giorni e quando l’odore di cadavere viene a colpire
anche le narici più ottuse, com’è accaduto, nonostante tutti i balsami, anche
con troppa realtà a noi stessi che l’abbiamo accompagnata all’ultima dimora e
vi abbiamo cantate le lamentazioni, in casi simili non c’è traccia affatto di
deliquio! Ma a Gesù, il buon Salvatore, è stato tuttavia possibile
miracolosamente quello che è possibile soltanto a Dio, cioè ridonarle in un
istante una vita fiorentissima, pronunciando una sola parola e senza ricorrere
ad alcun altro mezzo ed ora essa è più viva e sana di quanto lo sia mai stata
in tutta la sua vita, perché essa è molto giovane e conta appena sedici anni!».
15. Domanda il preside: «Da quanto tempo e da quando è stata
risuscitata da morte?».
16. Risponde Chivar: «Saranno circa al massimo sei o sette giorni; ma è
certo che all’inizio della scorsa settimana è stata richiamata da morte a vita»
17. Esclama il preside, quasi fuori di sé per la meraviglia: «Questa è
in verità una cosa che nessuno ancora a questo mondo ha visto: prima quattro
giorni già cadavere nella tomba e adesso ridonata alla vita in tutta la sua
fiorente giovinezza di leggiadrissima fanciulla! Davvero la cosa è inaudita,
ammesso che voi mi raccontiate la piena verità, ciò che non voglio più mettere
in dubbio, perché questo luogo sembra vivere in un’atmosfera di miracoli!»
18. Dice Chivar: «Sì, è proprio così! Ma particolarmente e innanzitutto
è il noto Salvatore Gesù che attrae su di Sé l’attenzione generale, perché
quello che Egli fa, supera incalcolabilmente tutto ciò che è stato scritto
riguardo ai patriarchi per mezzo di Mosè e tutto ciò che noi sappiamo sui
massimi fra i profeti!
Cose simili non sono assolutamente mai state constatate! Non c’è male a
questo mondo, per quanto grave ed ostinato, che Egli non possa guarire in un
attimo, mediante la sola parola, senza toccare e nemmeno senza vedere
l’ammalato e se Egli vuole che avvenga qualsiasi altra cosa, questa cosa accade
nello stesso istante!
19. Così, per esempio, bisogna considerare quasi più di un miracolo il
fatto della dimissione di Giairo seguita circa quattro giorni fa e notificata
quasi nello stesso momento al sommo sacerdote nel Tempio di Gerusalemme in un
documento autentico! Procedendo per vie naturali, la dimissione scritta sarebbe
potuta giungere nelle mani del sommo sacerdote a mala pena oggi, invece tu sei
arrivato già due giorni fa a Cafarnao e oggi di buon mattino qui da noi e,
nonostante ciò, nella procedura non c’è stato niente di errato e le antiche
forme e tradizioni sono state rispettate. Per questo verificarsi di momenti
meravigliosi, tu sei ora pienamente il capo del sacerdozio di tutta la Galilea
e, d’altro canto, la dimissione di Giairo si trova completa, con tutte le
motivazioni necessarie e gli allegati, nelle mani del sommo sacerdote nel
Tempio e per ottenere tutto ciò è bastato un istante! E così pure, da parte di
testimoni degni di fede, ci è stato raccontato che appunto questo Gesù, saranno
poche settimane fa, comandò ad un tremendo uragano, scatenatosi sul mare, di
cessare; e il mare e il vento ubbidirono immediatamente alla Sua Parola. Di
fatti simili io potrei raccontartene ancora una quantità, ma il tempo ora non è
opportuno.
Qualcuno potrebbe anzi essere indotto a credere che quest’Uomo sia alle
dipendenze di Satana, se a far cambiare opinione non ci fossero le Sue parole,
gli insegnamenti e le Sue esortazioni serie e ricolme di amorevolezza.
20. Io ti confesso apertamente e fedelmente: le Sue opere sono davvero
meravigliose fino all’incomprensibile, però tutto scompare come un vuoto
accessorio di fronte all’incredibile potenza dei Suoi discorsi e dei Suoi
insegnamenti. Tu apprendi delle verità che a nessun profeta mai è venuto in
mente di enunciare; Egli ti rappresenta e ti analizza la vita di un uomo in
maniera tale che in nessuno può restare assolutamente il benché minimo dubbio
se l’anima sia mortale oppure immortale. L’immortalità dell’anima ti viene
rappresentata in modo tanto chiaro, evidente e convincente che tu non puoi più,
nemmeno per un istante solo, dubitare che dopo la morte del corpo l’anima non
continui a vivere nell’eternità grazie al potere dello spirito divino che è in
essa.
21. A dirla breve, questo Gesù ti appare come un uomo di capacità
talmente fuori dell’ordinario che con la migliore delle coscienze si deve dire:
“Dai tempi di Adamo fino ad oggi la Terra non ha mai ospitato un simile
Cittadino!”. Tutti gli elementi Gli ubbidiscono, miriadi di spiriti sono sempre
pronti ai Suoi ordini e così pure io ho appreso da parecchi dei Suoi discepoli
che, durante un viaggio da Sichar a Cana di Galilea, Egli in pieno mezzogiorno
ha fatto oscurare con un Suo cenno il Sole e dopo alcuni istanti lo ha fatto
risplendere come prima!
22. Inoltre ci hanno riferito Roban e cento altri testimoni che noi
abbiamo interrogato, che Egli a Sichar, con una semplice parola di comando, ha
restaurato due vecchi castelli caduti in rovina e cioè la vecchia casa di
Giuseppe e di Beniamino e l’antico castello di Esaù che attualmente appartiene
al ricco mercante Jairuth. Ma li ha restaurati in modo tale che tutti gli
architetti di quella regione hanno dovuto ampiamente confessare che, se fosse
stato dato loro l’incarico di ricostruire in quel modo i due vecchi castelli,
ci sarebbero voluti, con i mezzi ordinari e naturali, almeno dieci anni di
intero lavoro! Però, non solo il vastissimo edificio di per sé si trovò
immediatamente rifatto in materiale solidissimo, ma anche provvisto di ogni
possibile requisito e il tutto così opportunamente ed artisticamente
predisposto come certo in nessun luogo di questo mondo è possibile ammirare
quale prodotto di artefici umani.
23. Così pure un certo greco di Cana in Samaria, che si chiama
Filopoldo, mi ha raccontato delle cose quasi incredibili, alle quali io ho
dovuto prestare fede, poiché egli mi ha citato migliaia di testimoni!
24. Ora, e questa è una mia opinione personale, quando un uomo può
compiere simili cose, io devo considerarlo più di un uomo e più del massimo dei
profeti avuti finora! Egli disse bensì, pochi giorni fa – credo quando si
trovava al mare e partecipò ad una partita di pesca, che fu anch’essa da
considerare assolutamente meravigliosa – che simili cose le potrebbe fare
ciascun uomo, purché fosse armato di una fede fermissima, incrollabile e priva
del benché minimo dubbio! Ma a questo riguardo io penso che un tal genere di
fede sarebbe appunto altrettanto meravigliosa quanto lo strabiliante miracolo,
perché una fede simile non può essere che l’evidente conseguenza dell’essere
chiaramente coscienti e certi della propria capacità di conseguire un dato e
determinato effetto, ciò che implica anche in sé ogni immaginabile riuscita.
25. Chi conosce le proprie forze deve fare affidamento anche su di esse
nella misura in cui, in seguito a una vasta esperienza, ha già da lungo tempo
acquisito la chiara coscienza che queste forze bastano all’effettuazione di una
cosa o, in generale, di un’opera. Infatti, se la fede nella riuscita di una
cosa l’uomo dovesse estenderla oltre il limite della coscienza delle proprie
forze, io credo che ad una simile fede comincerebbe ad accompagnarsi il dubbio,
proprio come se egli si trovasse dinanzi ad un peso da dover sollevare, avendo
in sé la chiara coscienza di non essere di gran lunga in possesso della forza
sufficiente per ottenere tale effetto.
26. Per esempio: se io scorgo davanti a me, sulla strada, una pietra di
poche libbre che mi ingombra il cammino, certo non dubiterò neanche per un
momento che, se voglio, posso alzarla e gettarla da parte; ma se, invece, mi
trovo in mezzo alla strada un blocco di forse centomila libbre mi pare che
l’incrollabile fede sarà assolutamente fuori posto. Per quanto io ci mettessi
tutta la mia forza di volontà, probabilmente non gioverebbe a nulla, perché mi
verrebbe totalmente a mancare la convinzione soggettiva di poter dominare, con
una forza di duecento libbre al massimo, anche un peso di centomila libbre.
27. Ed invece a questo Gesù tutto è possibile, come a Dio. Per Sua
Volontà una montagna è così poca cosa come un granello di polvere. Terra,
acqua, vento e fuoco obbediscono a Lui come le pecore al loro pastore. Egli dirige
il fulmine con sicurezza mille volte maggiore di quanta ne possa sfoggiare il
miglior arciere, lanciando la sua freccia con il suo arco! Ma che cosa se ne
può dedurre? Io lo domando a te e ti prego di voler esporci, quale nostro
preside, la tua opinione».
L’opinione di
Chivar sul Tempio.
1. Dice il preside: «Se le cose stanno veramente in questi termini, ciò
che non voglio affatto mettere in dubbio, è certo che Egli deve essere, in
qualche maniera incomprensibile, senz’altro in strettissimi rapporti con
l’onnipotente Spirito di Jehova, forse con un Mosè od un Elia; anche a quest’
ultimo era dato di poter invocare il fuoco dal Cielo e questo gli obbediva. Poi
forse è anche possibile che Elia abbia compiuto tante altre cose meravigliose,
la cui storia non ci è stata tramandata per iscritto, però è rimasta nella
leggenda popolare e che, pur non essendo segnate in modo particolareggiate,
potrebbero, nonostante ciò, essere degne di fede e portare le impronte di molte
verità.
2. E così, se la mia memoria non m’inganna, si dice che occasionalmente
su di un campo di battaglia appunto Elia abbia richiamato in vita un intero
gruppo di scheletri, ridonando loro carne e cute e tutto quanto occorre a
reintegrare un corpo umano! Così pure sembra che in un’altra occasione egli
abbia fatto inaridire tutte le fonti principali del gran fiume Eufrate per la
durata di tre anni e che abbia inoltre comandato alle nubi di ritrarsi per tre
anni da quelle zone di cielo e soltanto quando gli uomini ebbero fatto adeguata
penitenza, liberò le sorgenti del fiume e comandò alle nubi di riapparire e di
ridonare l’acqua alla terra inaridita! E così si raccontano ancora moltissime
altre cose di questo profeta più degno di nota fra tutti i profeti, racconti
che è probabile siano arrivati fino a noi molto storpiati. Si dice infine che
appunto questo Elia prima della fine del mondo riapparirà ancora una volta su
questa Terra, per incitare, mediante grandi segni gli uomini a penitenza,
poiché questo enigmatico profeta notoriamente non è mai morto, bensì è salito
al cielo in un carro di fuoco. Dunque è facilmente possibile che questo Gesù
sia il portatore dello spirito del grande profeta ed essendo come tale in
stretto rapporto con la Forza di Jehova, compie cose che sono appunto possibili
a Dio soltanto!»
3. Dice Chivar: «La tua opinione non è affatto cattiva e quasi quasi
sarei disposto ad associarmi se io non avessi con i miei occhi constatato in
questo Gesù certe particolarità che fanno restare indietro tutta l’intera
personalità di Elia ad una distanza infinita! Tu certo saresti portato a
domandare: “Come e che cosa sono queste particolarità?”. Ma in questo caso io
dovrei confessarti candidamente che per dire ciò mi mancano le parole adatte.
Infatti, vedi, certe cose come questa bisogna averle udite, viste e percepite
da se stessi, altrimenti come ci si può formarsene un’idea. E perciò io sono
del parere, condiviso ormai da migliaia d’altri uomini, che questo Gesù è
veramente il Messia promesso! Infatti io domando a chiunque: “Se anche questo
Messia dovesse venire in un altro tempo, potrebbe compiere segni più grandi?”.
Oltre a ciò, poiché la cronaca arriva fino al nonno di Giuseppe, Egli discende
in linea diretta da Davide. Achin fu padre di Eliud, Eliud fu padre di Eleazar,
questi fu il padre di Mattan che generò Giacobbe, padre di Giuseppe, di cui è
figlio il nostro Gesù. Tu non hai che da risalire questa cronaca ed arriverai
per linea diretta a Davide; ora sta scritto che il Messia appunto discenderà da
Davide e che ognuno Lo riconoscerà dalle Sue opere.
4. A questo Gesù, dunque, a quanto penso io, non manca ormai proprio
niente: la discendenza è autenticamente certa e le opere ci sono in misura più
che abbondante e tali che la Terra non ne ha mai viste di uguali da quando essa
esiste! Dunque, assolutamente non vedo che cosa dovrebbe impedirci di
riconoscerLo per Quello che Egli con tutta evidenza è.
5. È cosa certa che l’avidità di potere del Tempio, con la sua grande
ambizione, non si lascerà facilmente indurre a fare altrettanto, ma noi non
dovremmo più regolarci secondo i sistemi e le procedure del Tempio, il quale,
secondo me, è una cosa
perfettamente morta e che non potrà più in avvenire offrirci né protezione né
sapienza né, meno ancora, un sostentamento permanente, a meno che noi non
paghiamo anticipatamente, per ottenere un posto, tanto quanto potrebbe bastare
a dieci uomini per fare una vita comoda anche per cento anni.
6. Fai tu il conto dell’importo che hai pagato in oro e argento al
Tempio per la tua carica di preside e troverai con grande facilità che con quel
denaro avresti potuto condurre una vita principesca anche se avessi ancora da
vivere cent’anni! Ma renditi ostili i romani e va’ poi a chiedere protezione al
Tempio ed io ti dico che non solo esso non potrà accordartela, ma neppure vorrà
accordartela e tutt’al più, dietro alcune manciate di denari, ti congederà con
delle parole di consolazione a doppio senso, né più né meno come fa il famoso
oracolo di Delfo, il quale certamente in cambio di molto oro ed argento
appioppa all’interrogante un responso tale che l’oracolo finisce con l’avere
sempre ragione, sia che al disperato cliente ne avvenga bene sia che ne avvenga
male!
7. Io conosco, grazie a Dio, in tutta la sua estensione, l’attuale
cialtroneria del Tempio e per questo motivo non mi faccio assolutamente alcuno
scrupolo ad imbrogliarlo ad ogni buona occasione in qualunque modo possibile!
Infatti, amico mio, chi oggigiorno non vuole venire imbrogliato dal Tempio nel
modo più grossolano, deve darsi la fatica previdente di imbrogliare egli stesso
il Tempio nel modo più opportuno che può! O credi forse che con anima e faccia
oneste e giuste puoi ottenere dal Tempio qualche cosa di buono? Oh, nessuno si
vanti di poter arrivare a questo, ma vai invece con la faccia e l’anima ben
provvedute d’astuzia ed io ti garantisco che quei signori li puoi far cantare e
ballare a tuo piacimento.
8. Mi ricordo ancora benissimo di un certo Bar, che era un greco
circonciso; egli doveva già allora essere in possesso di una grande sostanza,
perché era pieno di diamanti e di perle. Questo tale aveva una vera faccia di
volpe, parlava poco, ma tutto quello che diceva era la più raffinata bugia,
tanto sicuramente quanto è sicuro che io mi chiamo Chivar. Egli chiese
“solamente” mille libbre d’oro ed offrì in cambio un rotolo di pergamena che
valeva al massimo mezzo statere. Il sommo sacerdote scrollò bensì fortemente le
spalle, ma Bar cominciò a fare una smorfia quale difficilmente io ne potrò
scorgere una seconda in tutta la mia vita e beffardamente disse: “Hem, aut
Caesar, aut nihil!” (O Cesare o niente!) Dopodiché il sommo sacerdote, Dio sa
per quale ragione, diventò pallidissimo e fece sborsare immediatamente a Bar le
mille libbre d’oro richieste, delle quali il Tempio non ha mai più ricevuto di
ritorno l’oro, neanche quanto pesa un capello, perché, appena un anno dopo,
risultò che questo Bar non era altro che un imbroglione matricolato e consacrato
con l’unguento magico di Satana in modo tale da essere capace di estorcere,
intimorendo, mille libbre d’oro perfino al sommo sacerdote.
9. Dall’altra parte, invece, si presentarono spesso degli onestissimi
israeliti che avrebbero voluto ottenere nel Tempio un prestito in cambio di
pegni solidi, ma questi non ottennero mai nulla, perché parlavano con troppa
rettitudine ed avevano facce troppo da galantuomini! E così il mio principio è
già stabilito ormai: “Il Tempio bisogna imbrogliarlo, se non si vuole essere
imbrogliati da lui!”. E per questa ragione io non domanderò mai più al Tempio
se Gesù sia o no il promesso Messia, perché, per quanto riguarda la mia
persona, Egli lo è anche al di sopra al Tempio e senza il Tempio! Che cosa ne
dici tu di questa mia opinione?».
Conversazione di Core e Chivar
sul Messia. Satana sfida Chivar alla lotta.
1. Dice il preside: «Amico, tu hai tutta la mia stima, perché un’anima
così onesta come la tua non ho ancora mai avuto l’occasione di incontrarla! Tu
hai davvero perfettamente ragione. Questo Gesù io lo conosco ancora troppo poco
per poter condividere senza riserve la tua opinione! Ma questo devo dire
anch’io: se la profezia non è del tutto campata in aria, considerato che essa
da Davide in qua, almeno nel senso terreno, non si è certamente ancora mai
verificata – perché la signoria dei romani è ora una dimostrazione contraria
del Regno eterno di Davide, assai più della cattività di Babilonia che è durata
quarant’anni –, non sono contrario ad associarmi alla tua fede. Però adesso si
presenta la domanda: “Cosa ne dite voi di tutto ciò e cosa ne dicono i
sacerdoti e farisei delle altre città?”»
2. Risponde Chivar: «Quello che io ti ho detto, corrisponde al sentimento
di tutti noi in questa città; quelli di Cafarnao, in seguito a più di una aspra
lezione toccata loro in diverse occasioni, non devono essere molto lontani dal
pensarla come noi, in quanto poi a quelli delle altre città, lasciamo stare per
ora le cose come sono e che restino nella loro antica illusione fino ad una
prossima occasione favorevole a far cambiare loro idea.
3. Se tu la tua residenza per il futuro vuoi stabilirla qui, lascia che
me ne incarichi io e la Galilea sarà in pochi anni isolata dal Tempio e del
tutto indipendente. La Galilea, comunque, già nel libro del Tempio è
classificata nell’ultima pagina, cosa importa ormai anche se noi laceriamo
quest’ultimo foglio? Romani e greci sono dalla nostra parte e abbiamo anche un
po’ della Grazia onnipotente e vivente di Dio cosicché al Tempio non basterà lo
stomaco che ha per digerirci!»
4. Dice Core: «Io sono d’accordo con te sotto ogni aspetto e sono
convinto ora più di prima, che tu hai ragione, però è bene non dimenticare che
l’arcangelo Michele, il più potente degli spiriti celesti dopo Dio, ebbe a
sostenere, nonostante la sua forza, una lotta durissima per tre giorni e tre
notti con Satana per il corpo di Mosè! Ebbene, se Satana volesse misurarsi con
noi, come potremmo sostenere la lotta?»
5. Dice Chivar: «Non da uno, ma da mille Satana io accetterei da solo
una sfida, anche se non sono neppure lontanamente un Michele! Basta avere
coraggio e sbarrare tutte le vie al losco figuro e fare in modo che esso non
possa approdare a niente con tutto il suo inferno pieno di demoni, ma se una
volta gli si mostrano i punti deboli, dove egli può facilmente far presa,
allora la lotta – certo – deve diventare cento volte più difficile!
6. Però, come è vero che un Dio mi ha creato, io non mi adatterò mai ad
edificare templi a Satana, né ad ardergli incensi affinché mi lasci in pace!
Che egli venga pure, se ha voglia di misurarsi con Chivar e voi sarete
testimoni che io potrò sbrigarmela con lui in giorni!
7. Dice il preside: «Amico, tu che sei una mosca, pretendi troppo dalle
tue forze, volendoti misurare con lui che è un leone o addirittura lanciandogli
una sfida regolare, mentre dovresti solamente limitarti a pregare Dio affinché
ti protegga sempre contro le insidie di Satana».
8. Dice Chivar: «Amico mio, io però conosco un Nome e questo basta per
legioni di Satana e per demoni! Se egli ha coraggio di impegnarsi con me in un
combattimento, che venga pure!
9. La mosca, per quanto concerne la forza, è certo un nulla di fronte ad
un leone, ma se la mosca vuole, può mettere in fuga anche il più fiero leone,
se essa, volando, penetra nel suo orecchio e vi fa un ronzio tale che, infine,
il leone comincia a credere che imperversi il più furioso uragano, e il re
degli animali prende ben presto ignominiosamente la fuga!
10. E così non è proprio necessario essere più potente del potente che
si ha di fronte, ma in questi casi la vera astuzia ha il sopravvento! Ecco, tu
stesso sei venuto a noi con una buona dose di satanismo genuino, ma la mia
accortezza lo ha debellato ed ora tu sei, di fronte a noi tutti, un uomo libero
e da noi riconosciuto quale il nostro preside, e anche Satana non ha potuto
recarci danno alcuno, né lo potrà fare in avvenire!
11. Io so quello che so e posso quello che posso, ma una cosa posso
garantirti e cioè che Satana non diventerà mai in eterno né mio maestro e
neppure il mio padrone!»
12. Dice Core: «Amico, non parlare così forte, perché si dice che il
maligno abbia occhi ed orecchie dappertutto! Con l’aiuto di Jehova e del tuo
Messia, che io non conosco ancor bene, egli non potrà certo nulla contro di
noi, ma sfidarlo poi, questo non vogliamo assolutamente! Dio ci guardi da una
sua visita in qualsiasi forma ciò possa accadere!»
13. Dice Chivar: «Oh, certamente, nemmeno io mi augurerei una lotta,
ma, se si rendesse necessaria od inevitabile, non avrò il benché minimo
timore!».
14. Appena Chivar ebbe finito di parlare, apparve d’improvviso nella
sala da pranzo un gigante enorme, si piantò in atteggiamento di ira e di
scherno dinanzi a Chivar e domandò con voce tonante cosicché i pilastri della
sala tremarono: «Sei tu la mosca sciolta che vuol suscitare un rumore di
tempesta nell’orecchio del leone? O verme miserabile che strisci nella polvere
della terra, prova e vedi come te la caverai in una lotta con me! Anch’io posso
fare qualcosa che dovrebbe ancora esserti del tutto ignota! Sappi che la sorte
del tuo Messia dipende dalla mia magnanimità, perché non può essere per me cosa
troppo onorifica l’impegnarmi in una lotta con una mosca, ma se Egli comincia a
fare troppi scherzi, lo faccio senz’altro stendere sulla croce e lì potrai
adorare a tuo piacere il tuo Messia. Ma cosa farai tu adesso, se in un solo
istante ti riduco in polvere?».
15. Allora Chivar si alza lentamente dal suo posto, domina con lo
sguardo il gigante, vale a dire Satana, ed esclama: «Oh miserabile, come sei
entrato, così vedi anche di andartene e precisamente con il fermo proponimento
di non mettere mai più piede in questo luogo sacro, altrimenti ti giudichi
Gesù, il Signore!».
16. All’udire il Nome di Gesù, il gigante arretra subito di alcuni
passi e, ardente d’ira, prorompe in minacce ammonendo di non pronunciare mai
più in eterno in sua presenza questo odiatissimo Nome!
17. Ma Chivar ribatte: «Io devo pur farti rintronare le orecchie,
perché tu impari come il ronzio della mosca possa far fuggire il leone!». E poi
ricomincia: «Gesù, il Figlio dell’Altissimo, ti giudichi e ti punisca! Gesù, il
Figlio dell’Altissimo, ti cacci per l’eternità via da qui! Gesù, il Figlio
dell’Altissimo, ti faccia scontare i tuoi innumerevoli delitti!».
18. Satana però non attese l’ultima invocazione, ma si allontanò fra
urla laceranti.
19. Dopo di che Chivar disse a Core, il quale per lo spavento tremava
ancora come una foglia: «Hai visto come si può mettere in fuga anche il leone?
Perché, secondo la sua minaccia, non mi ha ridotto subito in polvere? Ecco,
questo dimostra la sua impotenza, che egli venga pure di nuovo se ne ha voglia
e nel Nome del mio Gesù ti assicuro che una seconda volta egli se ne andrà
ancora più velocemente della prima!».
20. Dice il preside: «Ascolta, amico mio! Io ammiro il tuo coraggio
incomprensibile oltre ogni misura e per tutti i patriarchi io giuro di sentirmi
quasi trasportato nelle loro epoche meravigliose! Però mi sia lecito darti il
consiglio di non sfidare più Satana, perché le sue doti inventive sono infinite
e si dice che può assumere qualsiasi forma, perfino quella di un angelo di luce
ed io penso che sotto una veste mite e celestiale egli possa essere molto più
pericoloso che non sotto quella con la quale abbiamo ora avuto l’onore davvero
infernale di vederlo!».
21. Dice Chivar: «La pietra di paragone noi l’abbiamo già e perciò è
facile riconoscere di quale spirito sia il prodotto di qualunque fenomeno che
ci si presenti! Del resto noi possiamo essere perfettamente tranquilli, perché
con questa prima volta, egli dovrebbe averne abbastanza per parecchio tempo!».
Core si
ricorda del Signore dal tempo della purificazione del Tempio.
1. Dopo ciò Core domandò a Chivar se Io Mi trovassi ancora in quel
luogo e se gli fosse stato possibile conoscerMi più da vicino. E poi,
proseguendo il suo discorso, disse: «Io sento ormai profondamente che nel tuo
Messia vi deve essere pure qualcosa di straordinariamente divino, perché Egli
non sta in nessun caso nelle buone grazie di Satana, anzi, il Suo Nome pare
costituisca per Satana il più grave tormento. Però, questi sono due fatti,
constatati in base all’esperienza acquisita, in via certo meravigliosa e
straordinaria quanto mai, che non potrò mai più negare a me stesso e adesso che
ho l’anima più tranquilla, mi viene in mente che tu con la tua invocazione del
Figliolo dell’Altissimo potresti avere perfettamente ragione e se fosse
possibile io avrei un gran desiderio di fare la Sua conoscenza! Dunque,
conducimi fuori da Lui!».
2. Dice Chivar: «Tutto sarebbe bene ed io sarei senza dubbio per primo predisposto
a presentarti a Lui, però c’è ancora qualche difficoltà da parte del popolo e
noi correremmo il rischio, data l’ostilità della plebe, di venir accolti con
dei getti di pietre. D’altro canto in questo momento Egli si disporrà alla
partenza, cosicché probabilmente non gli sarebbe troppo gradito che noi ci
presentassimo inopportunamente a Lui. Però all’inizio dell’inverno Egli farà
certo ritorno o qui od a Chis per passarvi la brutta stagione ed allora noi
avremo sufficiente occasione di avvicinarlo e di fare la Sua conoscenza, per
queste ragioni io ritengo consigliabile che tu rinunci fino al prossimo inverno
al tuo proposito di vederlo e di parlarGli».
3. Dice Core: «È giustissimo tutto quello che hai detto, eppure io
posso a mala pena frenare la mia brama di conoscere personalmente quest’Uomo
davvero straordinariamente magnifico, tramite il Quale si manifestano, in tutta
la loro pienezza, la forza, la potenza e la magnificenza divine! Ma aspetta,
ora mi torna in mente la storia di una certa Festa di Pasqua a Gerusalemme nel
Tempio! Deve essere stato appunto questo stesso Gesù che, se non mi sbaglio,
era passato il Sabato, cacciò fuori dal Tempio tutti i mercanti ed i loro
clienti e rovesciò con gran furia tutti i banchi dei cambiavalute. Tutti gli
animali si misero ad urlare in modo terribile e si precipitarono, fuggendo
selvaggiamente fra gli atri del Tempio!
4. Quell’uomo, al quale io stesso ho parlato, allora certo in tono non
molto amichevole, era pure un galileo e si chiamava anche egli Gesù e con lui
c’era una quantità di gente, uomini e donne, dall’aspetto molto comune, che si
sarebbe giudicata una delle solite compagnie di vagabondi galilei, però il loro
condottiero Gesù aveva veramente l’aspetto di un uomo che aveva in sé qualcosa
di straordinario.
5. Egli non parlava molto, ma quello che diceva era profondo, vero e
pieno di significato! Quella volta Egli guarì anche a Gerusalemme una
moltitudine di ammalati, però, quando la cosa venne, credo, alle orecchie di
Erode, che questo Gesù sembra temere molto, l’uomo miracoloso si dileguò
improvvisamente da Gerusalemme e noi non potemmo più sapere da che parte Egli
si fosse rivolto. Egli non deve essere venuto in Galilea, perché si sarebbero
avute, in un modo o nell’altro, notizie di Lui, poiché erano stati mandati
sulle Sue tracce molti informatori.
6. Dopo un paio di settimane arrivò bensì a noi qualche voce che
concerneva Gesù, il figlio del falegname, ma noi non avremmo potuto supporre
che quell’Uomo, conosciuto per semplice operaio, senza nessuna cultura
scientifica e che non sapeva nemmeno scrivere né leggere, fosse appunto quello
stesso Gesù dinanzi al quale, nel Tempio di Gerusalemme, migliaia avevano
tremato come dinanzi al Giudizio di Dio! Ma se qui è il ben noto falegname Gesù
quello che opera simili cose divine, Egli sarà senza alcun dubbio quello stesso
Gesù che, durante la Pasqua di cui ho parlato, ebbe a mettere lo spavento in
tutta Gerusalemme! Orbene, se Egli è costui, io Lo conosco già da Gerusalemme e
non occorre più che io gli dia fastidio!»
7. Dice Chivar: «Sì, si tratta proprio di Lui! Io Lo conosco già da
parecchi anni, come pure ho conosciuto il vecchio Giuseppe, che sarà morto
circa un anno fa. Prima d’ora io non ho mai constatato in Lui la benché minima
traccia di qualcosa di straordinario, anche se pure, come qua e là si andava
raccontando, nell’occasione della Sua nascita, avvenuta a Betlemme in una
stalla di pecore, si sono avute delle manifestazioni assolutamente
meravigliose, le quali posteriormente si ripeterono fino al dodicesimo anno
d’età, però dopo quest’epoca ogni straordinaria manifestazione in Lui svanì e
le grandi speranze nutrite dai Suoi genitori tramontarono ed Egli rimase fino
al Suo trentesimo anno, che è il tempo attuale, un semplicissimo ed ignorato
falegname!
8. Egli è stato quanto mai e sempre parco di parole e in dieci domande
che gli venivano rivolte dava sì e no una risposta sola ed anche questa più
concisamente possibile, invece si dimostrò in ogni occasione amoroso e benefico
verso i bimbi ed i poveri. Lo si è spesso visto pregare e anche piangere,
sempre però in silenzio e mai nessuno Lo ha visto ridere, fuggiva le compagnie
allegre e rumorose, mentre prediligeva anzitutto la solitudine; la cosa più
notabile di tutte fu però che Egli non comparve che rarissime volte in una
sinagoga o in una scuola, dove si faceva vedere un paio di volte all’anno,
indotto dalle frequenti esortazioni dei genitori, ma anche queste poche volte
ne usciva sempre dopo una breve sosta e visibilmente indignato. In un luogo di
preghiera poi nessuno può dire di averLo mai visto ed appunto per queste Sue
stranezze avvenne che da molti Egli fu ritenuto anche un po’ scemo.
9. Ma, come fu entrato nel Suo trentesimo anno, Egli scomparve
improvvisamente dalla casa paterna e pare si sia trattenuto per qualche tempo
nel deserto presso Bethabara, dove presso il piccolo Giordano viveva ed operava
il famoso Giovanni e dove si dice si sia fatto battezzare da questi. Da lì poi
Egli se ne partì e cominciò tale quale come adesso la Sua peregrinazione, pieno
di potenza celeste, predicando al popolo il Regno di Dio, risanando gli
ammalati e cacciando i demoni dagli ossessi. Questa è all’incirca ed in brevi
tratti la storia della Sua vita terrena, storia che in piccola parte ho appreso
io stesso da Lui, mentre la maggior parte la conosco per averla udita qua e là
narrare»
10. Dice Core: «Sì, sì, tu avrai certo ragione! Questa storia di
Betlemme aveva, trenta anni fa, suscitato grande rumore e, se non mi sbaglio,
fu allora che il vecchio Erode ordinò, appunto per causa Sua, la feroce strage
degli innocenti. Allora si diceva che Egli poi fosse stato portato di nascosto
in Egitto! Ecco, ora sono in chiaro di tutto. Guarda, guarda, questo è dunque
sempre lo stesso Gesù! Allora certamente, in Costui senza dubbio vi può essere
dello straordinario e con la tua supposizione non andrai molto lontano dalla
verità! Ma allora io vorrei pure parlare con Lui prima che Egli pensi di
abbandonare questi luoghi!».
11. Dice Chivar: «Fa’ come vuoi, per me è indifferente. Però prima è
necessario che da parte nostra venga mandato in città un araldo che faccia
davanti al popolo un’attestazione di lode e di raccomandazione a tuo favore,
altrimenti non ci sarebbe da essere troppo sicuri, azzardandosi a comparire
sulla pubblica piazza o via, perché i miei nazareni io li conosco molto bene!».
12. Dice Core: «Ebbene, manda fuori presto parecchi araldi e fa che il
mio nome venga annunciato al popolo come a lui favorevole, altrimenti Egli
partirà prima che noi arriviamo da Lui!».
13. Chivar dà il conforme incarico a dodici araldi e questi descrivono
il nuovo preside con parole tanto favorevoli al cospetto del popolo che questi
prorompe in esclamazioni e grida di giubilo, le quali si protraggono per
qualche tempo e tutti si dispongono a preparare ogni tipo di cose preziose da
offrire alla prossima vigilia di Sabato come dono di benvenuto al nuovo
preside.
14. E quando gli araldi sono di ritorno nella sinagoga, il preside dice
a Chivar: «Ed ora andiamocene subito e svelti, altrimenti finirà che non saremo
ricevuti, mentre io vorrei ad ogni modo parlarGli!».
15. E Chivar risponde: «Io sono già pronto. Veramente sarebbe doveroso
che tutti noi Gli facessimo una visita di congedo, ma andiamo pure noi due
soli».
16. Allora Chivar e il nuovo preside si avviano solleciti, ma hanno
fatto appena pochi passi fuori della porta della città, quando vedono venire
loro incontro Boro, Giairo, la moglie di questi con Sara e la Madre Maria e
danno ai due la poco lieta notizia per loro che il Signore è già partito da una
mezz’ora, assieme ai dodici discepoli ed ai sette discepoli di Giovanni che li
avevano raggiunti.
Gli amici di
Gesù in casa di Boro.
1. Questa notizia rattrista il preside, il quale, poi, su invito di
Boro, si reca insieme a Chivar a casa o meglio al grande palazzo abitato dal
medico, dove Boro si dà ogni cura e premura perché il nuovo preside sia accolto
il più signorilmente possibile.
2. Più tardi vengono anche Bab e Roban e tutta la sera trascorse così
in conversazioni il cui oggetto esclusivo è naturalmente Gesù, il Signore.
3. Infine il preside pone una domanda e dice: «Ma ditemi un po’ quale
può veramente essere stato il motivo che Lo ha indotto a non fidarsi più di
restare qui? Infatti dopo tutto quello che mi è stato raccontato di Lui, la
cosa non può non far meraviglia! Ben altro sarebbe se Egli avesse dovuto
andarsene per un certo tempo, simulando magari i veri motivi con delle ragioni
che si riferiscono al Suo alto ministero che avrebbe potuto richiedere la Sua
presenza altrove, ma sembra invece che ad allontanarLo da qui abbia concorso
unicamente il timore di Erode! Ora io dico che un uomo come Egli è, se ho ben
compreso tutto ciò che mi è stato riferito riguardo al Suo Essere, a Cui
obbediscono Cielo e Terra e che, in aggiunta, conta fra i Suoi amici intimi
addirittura il supremo governatore di Roma, io dico che un Uomo tale non
avrebbe evidentemente in eterno dovuto avere alcun motivo di fuggirsene dinanzi
al debole e vassallo re di Gerusalemme!
4. In verità, si prenda pure la cosa come si vuole, ma questo è certo
che per gli abitanti della Terra le cose non si mettono assolutamente bene
quando un Dio comincia ad avere timore dei demoni ed a prendere la fuga dinanzi
a loro! Ehm, ehm, quanto più ci penso, tanto più enigmatica mi sembra tutta la
questione!
5. Datemi dunque maggiori chiarimenti a questo riguardo, altrimenti,
per quanta stima io abbia di voi tutti, dovrei apertamente dichiararvi essere
ammissibile che tanto in voi quanto in me ci sia stato qualche grave errore di
valutazione per quel che concerne quest’Uomo, perché l’Onnipotente non dovrebbe
certo avere la necessità di temere un Erode, il quale, forse, non ha mai
neppure pensato di farsi Suo persecutore! Perché io, che sto nelle buone grazie
di questo re vassallo, lo conosco meglio di ognuno di voi e posso dirvi che in
questo breve tempo egli è già mille volte pentito di avere fatto uccidere
Giovanni, avendo, dall’improvvisa morte di Erodiade e di sua figlia, riportato
una tale impressione ed un tale spavento che egli certamente non s’indurrà mai
più a far morire un altro profeta!
6. Dunque, bisogna arguire che Gesù debba essere partito da qui con
tanta sollecitudine per ben differenti motivi e per quanto anche i sette
discepoli di Giovanni, nella loro agitazione d’animo, possano averGli
raccontato le cose più orribili di Erode, io domando se un Uomo onnisciente,
proceduto da Dio, il Quale certo è a conoscenza di quello che discutiamo ora
fra noi, può prestare fede a coloro che evidentemente gli avranno spiattellato
delle menzogne. Se qualcuno di voi può, a mia tranquillità, addurre qualche
altro motivo per la sua partenza tanto precipitosa, lo faccia ed io l’ascolterò!».
7. Dice Boro: «Mio caro amico! La cosa ha certo del misterioso, perché
la Sua partenza è apparsa strana a noi quanto a te, quantunque noi siamo tutti
perfettamente convinti che Egli è e resta tuttavia Colui che abbiamo
riconosciuto ed accolto. A dirla chiara Egli ha dato a vedere di aver timore
anche di te e anche per questa ragione Egli ha congedato già oggi di buona ora
tutti i Suoi molti discepoli, nonché le alte personalità romane che erano
rimaste presso di Lui durante questi ultimi giorni. Ma ora vedo che Egli non
avrebbe dovuto aver alcuna ragione di temere la tua persona, poiché tu sei per
Lui e non affatto contro di Lui; dunque deve essere stata in Lui una
preoccupazione di tutt’altro genere che Lo ha spinto a questa improvvisa
partenza e non il timore di cui abbiamo parlato ora e la cui idea si presenta
come apparentemente logica alla nostra mente».
8. Dice il preside: «Ma raccontatemi almeno come si presentarono le
cose e cosa è avvenuto prima che Egli si decidesse a partire. Forse dopo riuscirà
a me o prima ancora all’amico Chivar trovare una spiegazione ragionevole del
fatto!».
9. Dice Boro: «Le cose si svolsero in questo modo: già nel pomeriggio
Egli mandò fuori i Suoi dodici discepoli, da Lui chiamati apostoli, verso il
mare, affinché approntassero un qualche battello per Lui e nello stesso tempo
probabilmente anche per avere delle informazioni se forse da quelle parti si
trovassero degli spioni o dei sicari prezzolati da Gerusalemme. A Sibarah, dove
c’è una stazione delle gabelle tenuta da un certo Matteo, il quale è pure un
discepolo di Gesù, essi s’incontrarono con i sette discepoli di Giovanni, con i
quali si erano già trovati un’altra volta, precedentemente a quanto mi pare, in
occasione della permanenza in carcere di Giovanni ed avevano udito le parole di
Gesù. Questi sette discepoli raccontarono tutti i fatti svoltisi a Gerusalemme,
relativamente al loro maestro e contemporaneamente narrarono agli apostoli che
Erode, quantunque a coloro che gli avevano portate le notizie di Gesù avesse
apertamente confessato di aver mandato fuori spie e sicari, pure questa cosa
egli l’aveva fatta del tutto in segreto e precisamente con queste istruzioni:
se essi avessero potuto constatare che il supposto Gesù era veramente il
risuscitato Giovanni, essi dovevano ritornarsene pacificamente senza fargli
nulla, ma se si fosse seriamente trattato di Gesù, dovevano tentare di
ucciderLo senz’altro. Se il tentativo di assassinio riusciva, allora sarebbe
spettata loro da parte di Erode una buona ricompensa, ma se invece non riusciva
e cioè per la ragione che eventualmente Gesù fosse pure Egli davvero una
personalità divina e quindi insopprimibile, allora la ricompensa sarebbe
toccata loro ugualmente ed Erode, con tutta la sua corte, avrebbe abbracciato
le dottrine di Gesù! Queste notizie vennero riferite a Gesù, il Signore, dai
discepoli di Giovanni arrivati qui a Nazaret assieme ai discepoli di Gesù!
10. Ma quando Egli apprese tali cose, disse: “Ricorrendo a simili
infami prove Erode non diverrà mai più in eterno un Mio discepolo e la Terra è
grande abbastanza ed Io saprò ben trovare ancora su di essa un posticino dove
non potranno raggiungerMi i suoi vili apostoli. È dunque venuto il Figlio
dell’uomo qui per diventare quello che Egli è con la consacrazione da parte di
prezzolati assassini? No, mai e poi mai, in eterno! Chi con strumenti di morte
alla mano Mi domanda chi Io sia, costui non avrà mai in eterno la Mia risposta!
Ma ora è senz’altro venuto il tempo per noi di partircene da qui. Andiamo
dunque e vediamo di guadagnare alla nostra causa, in terra straniera, uomini
che anche senza strumenti di morte in mano vogliano credere che noi siamo
quello che siamo!”.
11. E dopo queste parole di Gesù, avvenne subito la partenza, perché
Egli aveva aggiunto: “Andiamo, adesso lo voglio Io, poiché Io vedo come e dove
si trovano già seicento di questi apostoli erodiani della morte, mandati contro
di Me, ed essi sono già molto vicini, dunque, andiamocene subito via da qui!”.
Allora gli apostoli ed i discepoli di Giovanni si misero con Lui in cammino in
direzioni di Sibarah ed ora saranno già in alto mare».
La Grazia del
Signore verso l’umanità
1. Avendo inteso tutto ciò, il preside dice: «Ah, ma in questo modo la
cosa assume tutto un altro aspetto! Non è affatto per paura che Egli è partito,
bensì per un’ammirabile prudenza, allo scopo di togliere a Erode, quale un
meritato castigo, ogni occasione di diventare ancora peggiore, da un lato, e,
dall’altro, di diventare troppo a buon mercato migliore! Oh, certo, Egli ha
agito molto bene, io non posso che darGliene lode.
2. Questo Erode è davvero un uomo strano in tutto il senso della
parola, con il quale nessuno mai riesce a raccapezzarsi! Egli è per metà un
buon uomo, qualche volta anche molto benefico, ma per un’altra metà subito dopo
un demonio di primo rango! Egli ti fa oggi, sotto una specie di impulso di
bontà e di generosità, le migliori promesse e resta fedele ad esse quando
l’interessato si presenta a lui subito dopo la promessa, ma guai a colui che
gliela rammentasse il giorno seguente! Costui, non solo non riceverebbe niente
di quanto promessogli, ma verrebbe anche congedato in maniera aspra, maligna ed
offensiva così da fargli passare assolutamente ogni coraggio di avvicinarglisi
una seconda volta e tanto meno di ricordargli la promessa fatta.
3. Per queste ragioni anche è perfettamente inutile stringere con lui
un qualche patto speciale di amicizia, perché, se poi c’è uno che non lo
mantiene, questo è sempre Erode! Ora il nostro illustre Salvatore Gesù sarà
certo come noi a conoscenza di tali particolari e perciò a tutto buon diritto
lo ha evitato, poiché, anche se Erode si fosse convinto dell’intangibilità di
Gesù, questo per lui non significherebbe ancora niente. Per lui quello che
succede oggi non ha più forza di prova domani e non si può altro concludere
che, o quell’uomo non ha affatto memoria, o la sua vita è circoscritta dentro
principi e norme tali da rendere possibile la vita bensì a lui, ma a
nessun’altra persona accanto a lui!
4. Che del resto egli sia un volpone astutissimo, ciò non ha bisogno di
ulteriori dimostrazioni, perché egli si intende magnificamente dello spremere
le imposte, nonché del restare ai romani in debito del tributo. Io sì che
conosco i suoi procedimenti, ma ne parleremo un’altra volta.
5. Ed ora io vorrei pure sapere dalla vostra bocca se il nostro
Salvatore Gesù farà o no ritorno ancora una volta a Nazaret. Non vi ha detto
Egli proprio niente in proposito?»
6. Risponde Boro: «Di preciso noi non sappiamo niente, ma io spero che
Egli passerà l’inverno presso di noi. Certo è pure possibile che Egli intenda
trascorrere l’inverno a Sidone oppure a Tiro, ma in questi casi noi ne
riceveremo già notizia e potremo, di quando in quando, recarci da Lui!».
7. Osserva in tono rattristato Maria: «Oh, credo bene che ritornerà
Egli qui, ma certamente per un paio di giorni soltanto».
8. Dice il preside: «Oh cara madre! Non esserne afflitta, perché Egli
non si dimenticherà di noi, certo di te, poi, meno ancora!»
9. Dice la madre: «Oh, questo no, ma tuttavia per me è cosa assai
triste quando devo vedere e sentire come della gente cattiva e cieca
perfidamente misconosce il benefattore più grande che l’eternità potrà mai
darle e come Egli viene perseguitato e quasi dappertutto ricompensato con la
più nera ingratitudine!»
10. Dice il preside: «Vedi, cara madre, gli uomini sono quello che sono
e Davide, nel momento del bisogno, non invano ebbe da esclamare: “Oh, come non
vale niente l’aiuto di tutti gli uomini, poiché nessuno di loro può aiutare chi
si trova nella tribolazione! Del resto questa fu sempre la sorte dolorosa di
tutti i grandi uomini dotati da Dio di capacità superiori e misteriose, perché
essi sono stati sempre perseguitati dagli altri uomini, poveri vermiciattoli
della terra, così come l’aquila possente viene perseguitata dalle piccole
rondini. Infatti gli uomini piccoli, nonostante la loro pochezza, vogliono
tuttavia essere grandi e non possono tollerare che tra di loro sorga un uomo
veramente grande, paragonati al quale essi dovrebbero evidentemente confessare
la loro perfetta nullità!
11. Considera tutti i grandi profeti! Qual è stato il loro destino?
Nient’altro che povertà fin dalla nascita, ogni tipo di rinunce e di
privazioni, invidia e rancore, persecuzioni ed infine una morte violenta per
mano dei vermi della Terra, saturi d’egoismo! Perché Dio abbia voluto che così
fosse, è stato per me, fin dall’infanzia, un enigma, ad ogni modo l’esperienza
universale ci insegna che così purtroppo è sempre stato e noi non possiamo
opporvi nulla, come niente possiamo fare per allungare la durata del giorno,
noiosamente breve nell’inverno. Dio ha stabilito una volta per sempre così e
noi non possiamo apportarvi nessun cambiamento, speriamo però che un giorno,
nell’altra vita, ci sarà dato veder le cose sotto un aspetto migliore!
12. Il tuo divino Figlio, secondo quanto ho inteso di Lui, avrebbe più
che sufficiente potere per mettere fine di un colpo solo a tutto questo andazzo
degli uomini del mondo, che però Egli non voglia farlo, noi possiamo rilevarlo
facilmente dal fatto che Egli preferisce, per così dire, fuggire davanti a quel
verme che è Erode, piuttosto che annientarlo con un soffio! Egli, che con tutta
facilità lo potrebbe, non lo fa e noi non lo possiamo fare e così l’antica mala
questione resta sempre aperta! Se Egli dovesse ritornare qui, io intendo avere
con Lui un colloquio molto serio a questo riguardo».
13. Dice Boro: «Ma non approderà a nulla, perché io fui testimone di
tutte le svariate offerte e proposte fatte, in relazione ad un possibile
miglioramento del mondo, da parte del supremo governatore, il quale è per di
più uno zio dell’imperatore, ma tutto fu inutile! Egli dimostrò in maniera
chiarissima che cos’è l’umanità e com’è necessario che essa venga condotta e
guidata senza particolari giudizi e punizioni, qualora voglia raggiungere la
futura destinazione eterna fissata da Dio, unicamente a mezzo dell’insegnamento
puro e per decisione spontanea ed assolutamente libera all’azione secondo
l’insegnamento stesso, e così fu che, sia il governatore che tutti noi, dovemmo
darGli senza riserve pienamente ragione, e il procedimento violento più volte
proposto e quasi concretato fu lasciato cadere del tutto. Io posso già in
precedenza assicurarti che il colloquio che ti proponi di fare con Lui si
concluderà anch’esso con una giustificata e motivata risposta!».
Boro parla
dell’essenza dell’uomo.
1. Dice il preside: «In quanto a questo, ci sarà da discutere, perché,
dal punto di vista delle condizioni terrene, l’umanità non ha fatto finora che
regredire, anziché progredire! Cosa contano oramai Mosè e tutti i sommi
profeti? Io posso dirvelo: “Nei cosiddetti alti circoli se ne ride e tutto
viene considerato una favola, pia quanto si vuole, ma come non avente scopo
alcuno per lo spirito umano e le dottrine di un Pitagora o di un Aristotele
vengono collocate molto, ma molto più in alto di quelle di qualsiasi profeta!”.
Questa è una prova vivente che gli ordinamenti di Jehova, per quanto sublimi e
veri siano nella realtà, pur trattandosi degli uomini, non raggiungono affatto
lo scopo che si prefiggono secondo il loro tenore letterale!
2. A che giova tutta la rivelazione, se accanto a questa non si
lasciano sussistere per sempre i mezzi materialmente persuasivi con i quali
soltanto è possibile mantenere gli uomini sempre ugualmente rispettosi di
fronte alla rivelazione divina? Che provino, ad esempio, i genitori ad educare i
loro figli senza il sussidio della verga e noi ci persuaderemo anche troppo
presto che rispetto avranno i piccoli fanciulli degli insegnamenti, per quanto
savi e buoni dei loro genitori!
3. Perciò io non posso attribuire agli insegnamenti ed alle stesse leggi
alcuna importanza, se vengono affidate agli uomini senza verga e senza spada,
poiché l’uomo, in fondo, è cattivo e deve venire indirizzato al bene soltanto a
suon di sferza»
4. Dice Boro: «Io sono a questo riguardo perfettamente d’accordo con te,
però c’è tuttavia un grande “Ma”, che tu potrai conoscere soltanto quando un
giorno lo sentirai dalla Sua bocca!»
5. Ascolta quello che ti dico ora: «Se ci troviamo davanti ad un
congegno meccanico, mediante il quale viene compiuto un qualche lavoro, noi
cominceremo con lo stupirci, ma, quando potremo esaminare con maggior
attenzione questo congegno nei suoi dettagli, vi scopriremo ben presto i
diversi difetti e ci verrà subito una voglia pressante di portare riparo alla
macchina stessa. Allora ce ne andremo dall’artefice e gli esporremo i nostri
punti di vista ed i difetti rilevati.
6. Ma l’artefice, da principio, sorriderà e poi ci risponderà
immancabilmente all’incirca nel seguente modo: “Cari amici! La cosa si potrebbe
fare, ma tuttavia non ha senso farla. Questa macchina nelle sue funzioni
presuppone molti e notevolissimi punti di vista! Chi l’ha fatta costruire, si è
ispirato soltanto alle sue necessità ed agli scopi che vi erano congiunti ed in
simile caso qualsiasi correzione equivarrebbe ad una imperfezione della
macchina stessa! Il congegno non ha da superare che una data resistenza e per
tale ragione non deve poter sviluppare una forza maggiore di quanto gli occorre
per ottenere l’effetto voluto, perché se la macchina ci fornisce una potenza superiore,
il tessitore, adoperandola, straccerebbe ad ogni mossa i suoi fili ed in questa
maniera non riuscirebbe a produrre nemmeno un braccio di tela. Dunque la
macchina, per corrispondere al suo scopo, deve essere congegnata precisamente
così com’è ora e l’aggiungerci od il levarvi qualcosa la renderebbe inadatta al
suo lavoro! Quando la macchina per il lungo uso si sarà logorata, oh allora sì
che sarà venuto il momento di ripararla e di rimetterla nello stato in cui si
trovava in origine, affinché possa corrispondere allo scopo per il quale è
stata creata”.
7. Ecco, questa sarà la risposta che ci darà l’artefice assennato e noi
due alla fine non potremo far altro che confessarci a vicenda e dirci che
l’artefice ha ragione, perché è chiaro che esso deve senz’altro conoscere il
suo mestiere meglio di un paio di pseudo-artefici come siamo noi! Ed
all’incirca una simile risposta dovremmo aspettarcela anche noi da Gesù, il
Signore, qualora Gli chiedessimo com’è possibile che gli uomini possano
diventare tanto diabolici e malvagi nonostante la divina sapienza.
8. Cosa ne sappiamo noi dell’intima struttura e costituzione dell’uomo?
Noi molte volte vogliamo maledire là dove il Signore sparge invece la Sua
benedizione! E questo accade perché noi non abbiamo una nozione assolutamente
esatta né del bene, né del male.
9. Ciascun uomo, per quanto buono sia, nasconde nel suo animo più o
meno un qualche egoismo. In questa sua disposizione d’animo egli è poi sempre
pronto ad ergersi a giudice del suo prossimo e innanzitutto e di preferenza
tende ad imputargli a peccato quelle azioni che non concordano con l’idea del
proprio vantaggio. Ora, siccome ciascuno pensa per sé, sia pure un po’
egoisticamente, ne consegue che su questa Terra, nei confronti del prossimo,
non vengono emessi che giudizi più o meno contorti. Questi giudizi contorti
generano poi il reciproco malcontento, gradatamente la diffidenza, gli
scandali, l’invidia, l’ira e altre simili “piacevolezze” morali.
10. Dunque, chi è che ha la colpa, nel peggioramento dell’umanità, se
non gli uomini stessi? La macchina vitale si logora anch’essa nel corso degli
anni e di conseguenza deve anch’essa venire, di quando in quando, riparata dal
Suo sommo Artefice e forse pure, data la necessità, rinnovata da cima a fondo!
11. Ora un simile periodo di completa riparazione sembra che sia, dopo
un’aspettativa di quasi dieci secoli, appunto quello in cui viviamo. Dopo
questo periodo gli uomini, per la maggior parte, procederanno nell’ordine
voluto per un’ulteriore periodo, ma più di altri duemila anni non
trascorreranno che gli uomini, già migliorati prima, non reggeranno e noi
nell’aldilà saremo testimoni ed i nostri sensi percepiranno potentemente che
accadrà così come ora ti ho detto!»
12. Dice il preside: «Orbene, io ti faccio le mie congratulazioni! Tu
sei davvero un degno discepolo del tuo Maestro! Io vedo che per il momento in
fatto di vera sapienza non posso rivaleggiare con te. Però voglio darmi ogni
cura a questo scopo, per arrivare tra breve, a fianco del mio caro amico Chivar,
a potermi intrattenere con te su simili argomenti, poiché la sapienza di cui è
fornito oggigiorno il Tempio di Gerusalemme non ha niente a che fare con voi,
ciò che del resto non può far meraviglia, dato che l’attuale sapienza del
Tempio non arriva troppo lontano».
La convivenza
degli amici del Signore a Nazaret.
1. Il preside aveva appena finito quest’osservazione, concludendola con
un sorriso, quando si presentarono due cittadini, conducendo con loro un
ammalato che già da molti anni era stato colto da frenesia, ma, siccome si
trattava di un povero, i suoi non si erano mai azzardati a ricorrere ad un
medico né, d’altro canto, nessuno si era fidato di rivolgersi a Me, poiché da
parte della popolazione circolava la diceria infamante che, chi fosse ricorso a
Me per guarire, avrebbe consacrato la propria anima a Belzebù! Ed all’incirca
la stessa opinione la si aveva anche riguardo a Boro, che si diceva avesse
appreso simili artifici del demonio appunto da Me!
2. Perciò, quando Boro vide quel famoso frenetico che egli ben
conosceva, nonché i suoi amici deboli di intelletto che lo portavano, disse
loro: «Ebbene, che mai vi è saltato in mente di portarmi qui questo ammalato!
Cosa vi ha fatto egli di male che voi volete adesso darlo nelle mani di
Belzebù?»
3. Risposero i due: «Signore, questo era prima, ma ora abbiamo dovuto
ricrederci e perciò l’abbiamo portato a te!»
4. Dice Boro: «E chi è stato a farvi ricredere?»
5. Dicono i due: «Signore, appunto coloro che per tanto tempo ci hanno
nutriti con simili sciocchezze e ci hanno tenuti prigionieri come in
catene»
6. Dice Boro, con un leggero sorriso: «Capisco, capisco! Ma che cosa posso
fare io con questo frenetico? Il suo male si è indurito a causa della vostra
grande stoltezza ed ormai, data la vostra debole fede, sarà difficile venirgli
in aiuto!».
7. Dicono i due: «Signore, se noi fossimo deboli di fede, non ti
avremmo portato l’ammalato!»
8. Dice Boro: «Orsù, noi vogliamo vedere quello che può la forza divina
nell’uomo!». E Boro, avvicinatosi a capo scoperto dinanzi all’ammalato, esclamò
ad alta voce: «Nel Nome di Gesù, il Signore dall’eternità, io voglio che tu sia
risanato. Sii dunque sano e procedi d’ora innanzi, libero per la tua via!»
9. Nello stesso momento il frenetico si trovò completamente guarito e
rese onore a Dio che aveva conferito all’uomo tale potenza!
10. E Boro stesso si associò apertamente alle lodi al Signore, soccorse
riccamente il guarito ed i due suoi amici e fece subito offrire loro quello che
era ancora rimasto sulle mense degli ospiti da mangiare e da bere.
11. Allora il preside, rivolto a Boro, gli disse: «In verità, una cosa
tale io non avrei mai supposto di trovarla qui, presso di te! Che nel Nome di
Gesù sia riposta una forza speciale, della quale, secondo la mia esperienza
anche le potenze infernali hanno un assoluto rispetto, di questo mi sono
convinto oggi nella sinagoga, ma che dinanzi a questo Nome, anche i difetti del
corpo, di qualunque specie essi siano, debbano cedere, questo i miei occhi
l’hanno appena visto qui! In verità, in questo Gesù deve essere celato ben
altro che un semplice profeta com’era Elia, perché, a quanto almeno io ne so, in
forza del nome di questo profeta non è mai stato ancora guarito alcun ammalato!
E, riguardo a questo nome, noi avremo ancora molto da discutere!».
12. Poi il preside interpellò il guarito e gli chiese se egli si
sentiva proprio risanato del tutto.
13. Ed il guarito rispose: «Così sano come sono ora, io non lo fui mai
in vita mia, ora io di anni ne ho cinquanta, dunque questo si chiamerà essere
ben guarito!».
14. Il preside allora gli fa delle lodi e vuol regalargli una grossa
moneta.
15. Ma il guarito la rifiuta e dice: «Signore! Qui a Nazaret ce ne sono
di più poveri di me, perciò ti ringrazio e serbala per loro! Ora io posso
lavorare e questo è per me sufficiente ricchezza!».
16. Osserva il preside: «Questo si chiama davvero essere disinteressati
e non mi sarei mai immaginato di trovare in te tanta virtù! Ebbene, io sono il
preside della sinagoga qui a Nazaret, nonché in tutta la Galilea e stabilirò la
mia residenza qui e non a Cafarnao, se dunque tu dovessi un giorno aver bisogno
di qualcosa, saprai dove trovarmi!».
17. Risponde il guarito: «Di gente buona ce n’è poca e così ogni povero
fa bene se tiene a memoria i pochi buoni, per poter ricorrere a loro nel
momento del bisogno! Io ti ringrazio dell’offerta; se le circostanze mi
costringeranno, non mancherò di venire da te».
18. Dopo queste parole i tre, cioè il guarito ed i suoi due compagni,
si congedano, ringraziano Boro e il preside, e se ne vanno a casa loro di buon
umore. L’abitazione che essi avevano in affitto era situata a qualche centinaio
di passi fuori della città, com’era il caso anche di casa Mia la quale, com’è
noto, era situata fuori di Nazaret, soltanto dalla parte dell’uscita opposta.
19. Questo avvenimento contribuisce a tenere tutti desti in casa di
Boro e molto se ne parla ancora. Verso la mezzanotte, però, appena si scioglie
la compagnia, la madre Maria si ferma ancora un po’ di tempo con la famiglia di
Boro, che ha la massima cura di lei, mentre essa ne trae molto conforto. In
casa Mia sono rimasti i Miei due fratelli più anziani, i quali ne sorvegliano
il buon andamento e la cosa è molto facilitata da Boro che amorevolmente
fornisce ai Miei fratelli tutto quanto possa loro occorrere e così i Miei amici
di Nazaret durante la Mia assenza personale vivono nella miglior concordia e Mi
hanno sempre in mente discorrendo dei Miei insegnamenti e delle Mie opere di
cui essi stessi sono i testimoni.
20. Il nuovo preside, dal canto suo, continuava le sue inchieste ed
esaminava tutto sempre con crescente acutezza, ma finiva ogni qualvolta con il
venir convinto del contrario, perché anch’egli apparteneva a quella categoria
di uomini i quali accolgono il giorno seguente con tutta facilità quello che
hanno udito e visto il giorno prima, ma che però si dimenticano di ciò che
hanno promesso. E così Chivar e Roban avevano giornalmente la loro piccola pena
con quell’uomo che, del resto, non era cattivo e che faceva sempre il
proponimento di agire secondo giustizia, però, facendo ciò, si dibatteva
continuamente fra i vari principi del giusto e dell’ingiusto, perché egli non
riusciva mai a spiegarsi cosa veramente fosse stato “giusto”.
21. Ed anche se gli si dimostrava migliaia di volte che il vero giusto
in altro non può consistere per l’uomo se non nel vivere secondo i precetti di
Dio, ebbene, per quel giorno egli comprendeva benissimo ed a fondo la cosa, ma
il giorno dopo traeva dal suo razionalismo intellettuale tante ragioni
contrarie che a Chivar riusciva non di rado difficile quanto mai confutare
tutte le obiezioni del preside. E Chivar in quella occasione comprese il perché
della Mia raccomandazione di tenerlo sempre attentamente d’occhio, visto che ci
sarebbe voluto ancora molto tempo per fidarsi completamente di lui.
22. Però, quello che più di tutto teneva occupato il preside, era la
potenza del Mio Nome e quantunque diventasse spesso insopportabile, Chivar lo
faceva tornare sulla retta via usando il Mio Nome, meglio che con qualsiasi
altra cosa. Ma era Boro che aveva sempre su di lui la massima influenza e
riusciva sempre a ottenere che, almeno per qualche giorno, la fede del preside
nel Mio Nome si mantenesse ferma.
23. Con ciò, per sommi capi, è narrato quello che fecero i nazareni
dopo la Mia partenza ed ora è tempo di ritornare a Me stesso e di considerare
gli avvenimenti svoltisi immediatamente riguardo a Me la sera della Mia
partenza da Nazaret e quello che ho ulteriormente fatto ed insegnato e dove Me
ne sono andato.
Miracolo della
guarigione e del cibo ai 5.000 uomini nel deserto.
(Matteo
14,13-24)
1. Quando Io, com’è risaputo, ebbi appreso dai discepoli di Giovanni,
da poco arrivati, quello che certissimamente sapevo già prima – altrimenti non
avrei congedato già entro la mattina, a tempo debito, tutta la grande comitiva
– lasciai subito Nazaret e Me ne andai con i dodici discepoli in direzione di
Sibarah, verso il mare, dove, saliti su di una nave, ci dirigemmo verso una
regione al di sopra di Bethabara. Durante il percorso i discepoli finirono
anche di raccontarMi tutto ciò che durante la giornata avevano fatto ed
insegnato e ne ebbero da Me la dovuta lode.
2. Ma arrivati che fummo al luogo stabilito, Io ordinai ai discepoli di
non abbandonare la navicella e scesi a terra, accompagnato solamente da due di
loro, per cercare e stabilire in quei dintorni deserti un posticino di fermata,
dove poterMi trattenere alcuni giorni al sicuro dalle insidie che, com’è noto,
Mi tendeva Erode.
3. Sennonché era avvenuto che la nostra navicella era stata seguita a
qualche distanza da molte altre più piccole cariche di gente, la quale ebbe
così modo di apprendere facilmente il luogo del Mio soggiorno, tanto più che
poi Io non avevo avuto affatto l’intenzione di nasconderMi completamente agli
occhi dell’umanità bisognosa di soccorso.
4. Accadde dunque che la Mia permanenza in quel luogo deserto non era
durata neppure un giorno intero che già affluiva una grande quantità di popolo
da tutte le città, borgate e villaggi di quella regione, non esclusi i Miei già
vecchi discepoli, che erano in numero di oltre ottocento, discepoli che si
erano uniti a Me nelle località che Io avevo visitato tempo prima e che la
mattina del giorno precedente erano stati invitati da Me a ritornarsene alle
loro case.
5. Alcuni di questi erano di Cana in Galilea e di Cana in Samaria,
altri di Gesaira, altri ancora da Chis e Sibarah, di Cafarnao, Corazin,
Cesarea, Genezaret e Bethabara e tutti questi avevano divulgato la Mia fama
anche in molte altre località, per la qual cosa da tutti i luoghi una gran
massa di popolo venne a Me nel deserto per la via del mare e parte a piedi per
terra, conducendo naturalmente con sé numerosissimi ammalati ed invalidi. Come
già menzionato prima, era appena spuntato il nuovo giorno che già circa un
migliaio di pellegrini si trovò sul luogo dove Io Mi trovavo, pronti ad
accamparsi lì intorno!
6. Ora, il luogo che Io avevo scelto nel deserto consisteva in una
caverna spaziosa senza alcuna apertura dissimulata e che era situata ad una
discreta altezza. La caverna era circondata da fitti alberi e c’era davanti ad
essa una spianata molto vasta sulla quale avrebbero trovato posto più che
sufficiente parecchie migliaia di persone ed appunto su questa spianata s’erano
anche accampate le turbe con i loro ammalati.
7. Ma quando i discepoli, i quali conoscevano il Mio ritiro, si
accorsero che da tutte le parti continuava a salire una quantità di popolo, il
quale sempre di più andava assediando il luogo dove Io Mi trovavo, cominciarono
a temere per Me e perciò affidarono la nave ai loro otto barcaioli e salirono
su da Me, per informarMi della massa di popolo, il quale sempre più andava
radunandosi, di modo che non avrebbero più potuto garantire che fra i tanti non
si celassero anche gli emissari di Erode!
8. E quando i discepoli, buoni e solleciti, Mi ebbero dato notizia di
ciò che certamente doveva già essere a Mia conoscenza, Io uscii dalla grotta e
rimirai (Matt.14,14) la moltitudine veramente grande e ne ebbi immensa pietà,
allorquando, con le lacrime agli occhi, la massa Mi supplicò di aiutare gli
ammalati che erano stati accompagnati o portati là!
9. Ed Io in un medesimo istante risanai tutti gli ammalati presenti,
nonché tutti gli altri che erano ancora per la via e che faticavano per
giungere a Me. Allora naturalmente fra la folla si levò un coro unanime di lode
e di glorificazione che sembrava non voler più cessare. Fino all’imbrunire
continuò così ad affluire la moltitudine, quantunque gli ammalati fossero stati
guariti anche strada facendo, perché tutti volevano renderMi grazie e onore. Il
posto davanti alla grotta si trovò ben presto tanto zeppo di gente che i
discepoli cominciarono davvero ad averne timore; alcuni giovani si
arrampicarono perfino sugli alberi per poterMi vedere meglio.
10. E quando cominciò a farsi sera, i discepoli Mi vennero vicino e
dissero: «Signore! Questo è un luogo deserto, la notte avanza e come abbiamo in
generale osservato nessuno fra tanta gente che è qui ha con sé qualcosa da
mangiare. Congeda dunque il popolo, affinché vada nei mercati più vicini e
prenda lì del pane ed altri viveri». (Matt.14,15).
11. Dissi allora Io ai discepoli: «Non è necessario che questa gente se
ne vada per i mercati, ma date invece voi da mangiare a loro (Matt.14,16). Per
quanto concerne il bere, essi non hanno bisogno che di acqua e questa è qui
abbondante in molte sorgenti».
12. Osservano i discepoli, alquanto meravigliati della Mia richiesta:
«Signore! Qui con noi non abbiamo altro che cinque pani d’orzo e due pesci
arrostiti (Matt.14,17) Ma che cosa è questo per tante persone?»
13. Dico Io allora ai discepoli: «RecateMeli qui!».(Matt.14,18)
14. E quando essi ebbero fatto così, io ordinai a tutto il popolo di
accamparsi sull’erba, presi poi i cinque pani ed i due pesci, levai gli occhi
al cielo e resi grazie al Padre! Poi spezzai i pani e li diedi ai discepoli,
affinché li distribuissero fra il popolo. I due pesci però ed un po’ di pane
restarono questa volta per i soli discepoli.
15. E tutti coloro che erano presenti mangiarono in pace di quel pane e
si saziarono, ma siccome non lo poterono mangiare tutto, raccolsero gli avanzi
dentro a dei corbelli molto grandi, che il popolo, viaggiando, soleva portare
sospesi sulle spalle con delle stringhe ascellari e di questi capaci corbelli
se ne poterono riempire ben dodici! (Matt.14,20). Ora il numero di coloro che
si erano saziati fu, senza tenere conto delle donne e dei fanciulli, intorno a
cinquemila uomini (Matt.14,21).
16. Che questa imbandigione, che era durata un’ora buona, avesse
suscitato in tutti uno stupore grandissimo, sarà, si spera, facile da
comprendere, come lo sarà anche il fatto che quella gente subito dopo
deliberasse segretamente di acclamarMi loro Re.
17. Ma Io, che Mi accorsi di quel progetto, ordinai ai discepoli di
salire senza indugi sulla navicella e dirigersi prima di Me verso l’altra
sponda, fino a che Io avessi congedato il popolo (Matt.14,22). Questo lo feci
per impedire al popolo con questa mossa di compiere il suo progetto, perché
alcuni fra il popolo avevano appunto cominciato ad esporre ai discepoli quello
che era stato escogitato di fare per dimostrarMi la loro immensa gratitudine.
Però nessuno aveva osato avvicinarsi a Me!
18. E così, allontanati immediatamente i discepoli, Io tolsi al popolo
il mezzo che avrebbe dovuto servire loro per raggiungere lo scopo e quando i
discepoli, eseguendo solleciti il Mio ordine, furono saliti sulla nave, dato
che era un bel chiaro di Luna, anche il popolo desistette subito dal suo
proposito e dopo la partenza dei discepoli (Matt.14,23), mentre essi si
trovavano già molte pertiche lontano dalla riva, Io congedai subito il popolo,
il quale anche docilmente si allontanò.
19. Dopo ciò salii tutto solo su di una montagna nuda lì vicina e
pregai per congiungere i Miei elementi corporeo-umani più intimamente con il
Padre. Sulla vetta di questo monte Io dimorai perfettamente solo, potei, già
perfino con gli occhi del corpo, distinguere al chiarore della Luna la
navicella dei discepoli (Matt.14,24), già inoltratisi fin nel mezzo del lago, che
non era proprio tanto largo, mentre con gran fatica resisteva alle onde, che un
vento contrario, abbastanza violento, sollevava intorno.
I discepoli
sul mare tempestoso.
1. È facile immaginare che i discepoli, in conseguenza a ciò, non
fossero precisamente molto di buon umore: essi facevano sul Mio conto le più
svariate osservazioni e critiche e perfino Pietro finì con il dire: «Non aveva
Egli da scegliere per questa notte a nostro riguardo proprio niente di meglio
che esporci a morte sicura fra le onde? Davvero la cosa è un po’ strana da
parte Sua! Io mi fido appena appena a far continuare la voga, perché ad una
distanza di qualche pertica da qui c’imbatteremmo in un fondale basso, in
scogli e in banchi di sabbia ed io che sono diventato si può dire grigio sul
mare, non potrei più allora garantire nulla! Perciò è meglio che ci teniamo,
sia pure fino a quando farà giorno, qui al largo!».
2. Dice Tommaso: «A me poi interesserebbe sapere cosa Egli abbia voluto
ottenere con l’allontanarci da Lui così d’improvviso, comandandoci
perentoriamente di fare la traversata prima di Lui!»
3. Osserva Andrea: «Per quanto ne so io, lungo quella costa deserta non
è possibile trovare una nave, mi chiedo dunque come farà Egli a raggiungerci!
Se eventualmente vuole percorrere la via di terra, avrà bisogno di quattordici
ore buone per arrivare là dove noi avevamo intenzione di approdare e
precisamente tenendo lungo la riva meridionale per la via di Sibarah e Chis, e
se intendesse arrivarvi lungo la riva settentrionale Gli ci vorrebbero due
giornate di viaggio, perché là il nostro mare ha la sua maggiore ampiezza ed
oltre a ciò è pieno di insenature e tratti paludosi molto estesi».
4. Qui interviene Giuda Iscariota a dice: «Voi tutti quanti insieme non
ne capite niente! È già da lungo tempo che io ho osservato come noi Gli siamo
venuti a noia, ma finora non Gli si era presentata nessuna occasione favorevole
per liberarsi di noi con le buone maniere. Ed ecco, l’occasione è venuta ed
Egli può sbarazzarsi di noi e noi di Lui. Ora possiamo andarLo a cercare con
tutte le lanterne possibili, ma è molto difficile riuscire a rivederlo! Se poi
da parte Sua, detto fra noi, questo sia stato lodevole, è un altro paio di
maniche!»
5. Dice Giovanni, il Mio prediletto: «No! Una cosa simile Egli non la
farà mai più! Io Lo conosco da troppo tempo e troppo bene! Non la farebbe
neppure se fosse un uomo comune, tanto meno poi quale Figlio di Dio, come Egli
ormai senza alcun dubbio è in possesso dello Spirito divino in tutta la Sua
pienezza! Tutto quello che Egli ha fatto finora, aveva sempre i suoi eccellenti
motivi, e così anche all’odierno avvenimento non mancheranno certamente le sue
saggissime ragioni! Ed io sento in me vivo il presentimento che noi potremo
convincercene tra breve!
6. Dio mio, se Egli, a cui obbediscono Cielo e Terra, avesse voluto
sbarazzarsi di noi, sarebbe bastato il più leggero soffio della Sua bocca per
mandarci all’altra estremità del mondo, com’è accaduto saranno appena tre o
quattro settimane fa sulle alte montagne di Chis, che si possono vedere da qui
ancora molto bene, quando bastò pure una semplice parola dalla Sua bocca per
trasportarci attraverso l’aria in un baleno sulla montagna presso di Lui!
Dunque, mio caro fratello Giuda, non venire fuori con queste idee assolutamente
ridicole e sciocche a Suo riguardo, perché con ciò rendi sempre testimonianza
della tua incredulità!»
7. Dice allora Natanaele, il quale si trovava pure egli sulla navicella:
«Io sono in tutto e per tutto dell’opinione del caro fratello Giovanni, però
penso questo: che, forse, nonostante tutta la nostra coscienziosità scrupolosa,
sia possibile che abbiamo peccato in qualche luogo ed in qualche maniera ed
Egli non ha voluto dircelo, ma ha lasciato che noi stessi ci esaminassimo e
scrutassimo più intimamente! Ed Egli poi farà di nuovo ritorno a noi, quando ci
saremo interamente purificati!
8. Io, certo, ho già sottoposto la mia coscienza ad un esame
scrupolosissimo, ma purtroppo non ho potuto trovare niente che potesse
apparirmi come un torto od una mancanza! In verità, l’essere conscio di un
peccato sarebbe ora per me un vero beneficio, perché questa coscienza
diverrebbe per me una luce, la quale mi dimostrerebbe che io ho meritato di
venir allontanato dal cospetto del Signore ed un sincero pentimento sarebbe poi
un balsamo per il mio cuore! Invece vado cercando ansiosamente in me un peccato
e non posso trovarne nessuno per scontare il quale fosse necessaria una penitenza
in sacco e cenere! Io dico la verità: “Adesso comincio ad invidiare un
peccatore!”. Ad ogni modo sia lontano da me il pensiero di diventare tale per
questo motivo, ma se lo fossi, mi sentirei il cuore più alleggerito! Oh, come
deve essere dolce il fare vera penitenza dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini!
Ma come può un uomo, che è sempre giusto, indossare l’abito della più rigida
penitenza senza rendersi ridicolo agli occhi di Dio?»
9. Dice Bartolomeo: «Ma che strane idee ti passano qualche volta per la
mente! A chi mai potrebbe venire in mente di decantare più felice un peccatore
di un giusto?»
10. Osserva Giovanni: «Proprio del tutto torto egli non ha! Certo, qui
va inteso sempre un peccatore per debolezza o talvolta per passioni
sconsiderate, mai però un raffinato servitore dell’inferno; poste dunque le
cose in questo modo, il fratello Natanaele potrebbe anche non aver
completamente torto»
11. Esclama Giacomo: «Sì, sì, fratelli miei! Il nostro Natanaele è un
uomo tale che, per quanto riguarda profondità di sapienza ed acutezza di
pensiero, tutti noi possiamo offrirgli poca acqua, avendone egli già a dovizia!
Egli è sempre il più taciturno, ma, quando parla, merita d’essere ascoltato,
perché le sue parole sono sempre dense di contenuto!»
12. Dice Natanaele: «Ma, caro fratello Giacomo, non lodarmi sempre, le
poche volte che io apro bocca! Il Signore conosce certamente meglio di tutti
quanta sostanza c’è in me e nella mia povera sapienza, perché, se ci fosse
qualcosa, sarei, già anch’io da lungo tempo come te, un messaggero, mentre
invece sono ancora un allievo, e il Signore saprà ben Lui quello che ancora mi
manca. C’è davvero in me un po’ di spirito poetico, ma da questo a quello
profetico ci vuole molto ancora! Guarda qui il fratello Giovanni! Noi siamo
vecchi, se ci confrontiamo con Lui, eppure egli è profeta già dalla culla;
questo il Signore lo sa e perciò ne ha fatto il Suo scrivano segreto!»
13. Dice Giovanni: «Ah, questo poi! Cosa sarebbe allora il fratello
Matteo?»
14. Risponde Natanaele: «Egli sarebbe lo scrivano ufficiale del Signore
e tu solo ne sei lo scrivano segreto!»
15. Dice Giovanni: «Ammettiamo anche che sia così, ma se pure è così,
vuol dire che il Signore ha disposto le cose in questo modo e noi dobbiamo accettarle
secondo il Suo beneplacito!»
16. E Giuda interrompe brontolando: «È probabile che da ora in poi non
disponga più né in un senso né nell’altro! La clessidra si è già vuotata
quattro volte mentre noi siamo sospesi qui fra l’acqua e l’aria, che è quanto
dire tra vita e morte! Io non vedo ancora nessun battello che ci viene
dietro!».
17. Dice Giovanni: «Questo non vuol dire niente, perché Egli non ci ha
affatto precisamente detto quando ci raggiungerà!»
18. Dice Giuda: «E sia! Per fare ciò Egli avrà i Suoi eccellenti
motivi! Questo lo sappiamo già!»
19. Dice Giovanni: «Amico, dimmi una buona volta con assoluta sincerità
se tu, dopo tutto quello che hai udito con le tue orecchie, visto con i tuoi
occhi e certamente percepito con tutti gli altri tuoi sensi, non credi davvero
ancora che il nostro Signore Gesù sia tanto indubbiamente, quanto io mi chiamo
Giovanni, lo stesso Dio e che in Lui risieda ogni potere, sui Cieli infiniti e
su questa Terra, di comandare, di governare e disporre a Suo piacimento! Io ti
prego di darmi in proposito una risposta sincera!».
Giuda loda i
miracoli degli esseni.
1. Dice Giuda: «Se io credessi una cosa così alla cieca, senza alcuna
riflessione, dovrei essere debole come lo sei tu e lo sono parecchi altri di
voi! Sarà in tutto mezzo anno al massimo che ci troviamo con Lui ed abbiamo
udito e visto più di una cosa con Lui che bisogna innegabilmente chiamare
straordinaria, e voi che siete della gente semplice e che non avete in vita
vostra mai udito e visto nient’altro all’infuori di questo Gesù, il Quale
certamente sta molto al di sopra di noi, è spiegabile che dobbiate attribuirGli
la Divinità assoluta. Per voi sicuramente bastano queste Sue opere e parole, ma
a me, invece, la questione si presenta altrimenti, perché ho girato e viaggiato
abbastanza ed ho avuto occasione di vedere e sentire qua e là delle cose
altrettanto meravigliose! Andate dagli esseni e vedete quello che essi sanno
fare ed io scommetto che poi finirete con il dire che sono altrettanti dei,
come fanno i romani ed i greci, i quali fanno loro perfino delle grosse offerte
pensando di avere a che fare con delle divinità.
2. Vedete, tutto quello che fa il nostro Gesù e qualche volta anche
cose più straordinarie ancora, voi potete trovare tutto ciò ugualmente presso
gli esseni. Ma se, dunque, sulla Terra ci sono ancora molti altri che fanno le
cose che noi abbiamo visto fare dal nostro maestro Gesù, io non vedo proprio
come e perché noi dovremmo riconoscerGli, per dirla chiara, l’indiscussa ed
esclusiva prerogativa di una perfetta divinità!
3. Oh, se Egli fosse il solo a questo mondo al quale obbediscono gli
elementi, allora sarebbe facile credere alla Sua divinità, ma se, come mi
risulta per mia viva esperienza, su questa cara Terra c’è più di uno di tali
uomini che porta una veste senza cuciture, è bene che il nostro Gesù faccia
cose molto più grandi ancora prima che noi Gli si attribuisca l’esclusiva
prerogativa divina e che si possa poi credere fermamente e dire: “Costui è
Jehova, tale quale è esistito dall’eternità!”.
4. Voi chiamate miracolo divino il richiamo dei morti in vita, la
moltiplicazione di cibi e bevande, il restauro di un edificio, il provocare
segni nella Luna e nel Sole, ma tutto questo non basta affatto ancora a provare
la divinità di un tale che sia in grado di fare simili cose, perché a questi e
ad altri spettacoli io ho assistito diverse volte presso gli esseni. La
guarigione degli ammalati viene praticata lì soltanto come cosa secondaria, ma
io stesso fui testimone di come il principale fra gli esseni ha scritto sulla
Luna in tre lingue e di come lo stesso una volta ha fatto oscurare di giorno il
Sole! Prima egli aveva fatto certi suoi segni ed un calcolo e poi disse: “Da
qui ad un’ora io farò venire una piaga sull’umanità. Io oscurerò per parecchi
istanti completamente il Sole e le tenebre saranno su tutta la Terra!”.
5. Udendo questa promessa, a dire il vero non troppo piacevole, noi
restammo sbalorditi ed aspettammo non senza una certa tensione angosciosa
d’animo che la predizione si compisse ed infatti ad ogni momento che passava,
sempre più la promessa si dimostrava veritiera, perché a poco a poco la luce
cominciò a diminuire! E quando la sabbia nel misuratore del tempo fu quasi tutta
passata, il capo degli esseni stese le mani e disse con lentezza e in tono
solenne: “O Sole, oscurati! Io lo voglio!”. Allora infatti calarono le tenebre
come di notte e poi, dopo alcuni istanti, mosso più di tutto dalle nostre
insistenti parole di preghiera, egli distese nuovamente le mani, le cui dita
apparivano come roventi e così parlò al Sole: “La piaga per l’umanità è
sufficiente; accendi perciò gradatamente la tua luce ed illumina e riscalda
nuovamente il globo terrestre!”. Ed ecco, a questo comando il Sole ricominciò
man mano a risplendere e nel giro di mezz’ora riacquistò tutto il suo potere di
luce e di calore!
6. Così pure, non lontano dal grande castello che serviva d’abitazione
agli esseni, entro il complesso di terreni coltivati a giardino e circondati da
un’alta muraglia c’era una grande collina alta due buone volte il castello
stesso. Io andavo dagli esseni quattro volte all’anno con ogni tipo di
recipienti da cucina ed una volta uno di loro mi disse: “Se tu vuoi assistere
di nuovo a qualche operazione meravigliosa dovuta alla potenza di volontà del
nostro capo, per esempio, come anche i monti devono piegarsi al suo comando,
fermati oggi qui. Osserva quel monte là, che ci sta dinanzi, oggi tu lo vedi
ancora come monte, ma domani al suo posto ci sarà uno splendido palazzo!”.
7. Io esaminai attentamente il monte che non distava neppure
quattrocento passi, e i miei occhi non m’ingannano, e vidi che era una massa
rocciosa quasi nuda, ricoperta soltanto qua e là da pochi muschi e sterpi.
Allora dissi, sorridendo, a quell’esseno: “Se questo è davvero un gruppo
roccioso, cosa della quale non dubito, allora il vostro capo deve possedere
veramente una forza divina, se è capace di convertire durante la notte questo
ammasso di marmo in un palazzo!”.
8. L’esseno disse allora: “Dubiti forse che il monte non sia un’enorme
blocco di pietra? Se hai qualche dubbio, vieni con me e persuaditi da te
stesso!”. Però io gli dissi: “Amico, quello che i miei occhi eccellentissimi
vedono, non occorre che io vada a toccarlo con le mani, perché a quattrocento
passi di distanza distinguo anche i più piccoli oggetti!”. Allora l’esseno
disse: “Sta bene, allora resta qui ed io ti farò vedere fenomeni meravigliosi
in quantità”. Io sono ancora pervaso da stupore, pensando a tutto ciò che ebbi
occasione di vedere!
9. L’esseno mi condusse in una grande sala oscura nella quale ci
saranno stati almeno cento cadaveri deposti su appositi letti, ed il forte
odore particolare che vi era diffuso era prova più che sufficiente e convincente
che tra i corpi che li giacevano allineati in un’ampia fila, non c’era più
nessuno di loro vivo. Mentre andavamo intorno tra i molti cadaveri, toccandone
anche qualcuno, quattro incaricati entrarono portandone altri due che
collocarono su dei letti ancora vuoti e poi uscirono dalla sala.
10. Allora io domandai alla mia guida se provasse ribrezzo trovandosi
fra tanti morti. Ma egli mi rispose: “E perché poi? Fino a tanto che sono
morti, essi non possono farci nulla, ma quando saranno ritornati in vita, non
potranno che ringraziarmi per averli io risuscitati da morte certa e sicura. Ma
come vedi, ci sono degli uomini, delle donne e delle ragazze, ma è proprio un
peccato che questa volta non ci sia alcun fanciulletto. Adesso però vedi di
essere forte d’animo e vedi di non spaventarti quando, alla mia parola, tutti
si alzeranno dai loro giacigli!”.
11. Allora io mi misi vicino alla porta della sala, per poter, in caso
di bisogno, prendere subito il largo.
12. E l’esseno, levate in alto le mani, con voce possente disse: “O voi
morti, sorgete, vivete e ricominciate a guadagnarvi onestamente il pane con le
vostre mani! Però anzitutto rendete onore e gloria al supremo Spirito di Dio
che ha infuso in noi tale saggezza e forza!”.
13. A queste parole dell’esseno tutti i morti si levarono e lo
ringraziarono della vita recuperata, essi apparivano completamente sani e
ripieni di amorevolezza. L’esseno allora ricambiò i loro saluti, e poi li
congedò!
14. Io penso che questa sia stata pure una bella prestazione, quando
centodue cadaveri furono in pochi istanti richiamati in vita! Io infine domando
a quell’uomo meraviglioso se cose del genere venivano effettuate più di una
volta all’anno. Ed egli mi disse: “Questo succede una volta alla settimana. Il
nostro capo però può ridonare la vita perfino agli scheletri completamente
spogli della carne, in modo che essi rivivono completamente come questi qui che
ho risuscitato io! Ma a me manca ancora molto per guarire con una simile
forza!”.
15. Dopo questo fatto egli mi condusse in un’altra sala ancora più
oscura e mi mostrò un gran numero di scheletri assolutamente nudi, i quali
erano pure collocati su di una fila di panche. Questa lugubre camera era
malamente rischiarata da una luce fiochissima, però gli scheletri si potevano
distinguere abbastanza bene!
16. Noi contemplammo per qualche tempo quelle povere ossa inanimate;
poi entrò il capo degli esseni, solenne e serissimo nell’aspetto e chiese alla
mia guida se la risurrezione dei cadaveri fosse di nuovo perfettamente
riuscita. E l’altro rispose con un rispettosissimo: “Sì, o alto e sapiente
maestro!”. Poi, così parlò il capo: “Ebbene, fa’ attenzione a tutto quello che
accadrà ora. Io voglio, dinanzi a questo straniero, iniziare ulteriormente pure
te, cosicché in avvenire possa anche tu richiamare in vita perfino le ossa
prive di carne! Avvicinati e tocca con il pollice e il medio di entrambe le
mani solamente il petto e la testa degli scheletri, conta poi lentamente fino a
sette e pronuncia poi ad alta voce la seguente formula: ‘Rivestitevi di carne e
pelle, e il fuoco vitale sgorghi dalle pareti e vi vivifichi finché diventiate
degli uomini in carne ed ossa!’”
17. Allora, così fece la mia guida e, com’ebbe ultimato il suo
richiamo, delle fiamme grandi e chiarissime sprizzarono qua e là ed in un
attimo, in luogo degli scheletri, dei quali non c’era ormai più nessuna
traccia, apparvero altrettanti uomini perfetti, pieni di vitalità. Poi questi,
che erano pure in numero di circa cento, ci salutarono e per l’ottenuta grazia
esternarono la loro viva gratitudine al principale degli esseni, il quale
invitò ad uscire all’aria libera, di cui avevano bisogno più di qualsiasi altra
cosa!
18. Cosa ne dite voi? Il nostro Maestro a tanto non è ancora arrivato!
19. In seguito io venni invitato a mensa e prendemmo posto ad un lungo
tavolo ancora sparecchiato. Il capo si mise a pregare in una lingua straniera,
volse gli occhi al Cielo e noi tutti lo imitammo. D’improvviso si fece udire
uno scoppio fortissimo, quasi come se il soffitto della casa fosse crollato, ed
ecco, senza che né io né certamente nessun altro avesse potuto spiegarsi come,
noi ci trovammo ancora a sedere allo stesso tavolo, ma questo non era più vuoto
e lo vedemmo invece ben fornito dei migliori cibi e bevande come solo se ne
potrebbero trovare ad una mensa principesca. Dopo la cena esaminai ancora una
volta il monte che durante la notte doveva venire trasformato in un palazzo e
poi mi ritirai, secondo le indicazioni degli esseni, in una stanza separata per
riposare.
20. La mattina dopo, di buon’ora, comparve la mia guida e mi disse:
“Vieni a vedere!”. Ed io andai con lui pieno di curiosità ed in effetti non vi
era più la benché minima traccia dei massi di roccia! Sullo stesso posto
sorgeva invece un lussuoso palazzo ed io vi fui condotto dentro e ne visitai le
camere e le sale spaziose, in modo che potei assolutamente convincermi che si
trattava proprio di un miracolo e non di un’illusione.
21. Ma ora vi domando se il nostro maestro Gesù ha finora prodotto
qualcosa di più grande e di più prodigioso, voi che lo dichiarate già Jehova in
Persona!
22. Per questi motivi, qualora avessimo di nuovo la fortuna di
incontrarLo, non dovreste sempre arrabbiarvi se io, ogni tanto, venissi fuori
con qualche domanda forse non sempre molto ben accetta né a voi né a Lui,
perché io ho visto ed udito cose prodigiose prima di incontrare Gesù, e se ci
pensate su bene ed avete in voi un po’ di energia vitale, non deve mai
sorprendervi il fatto che io talvolta mi atteggio in un modo forse alquanto
strano!».
Giovanni e
Bartolomeo spiegano a Giuda i miracoli truffaldini degli esseni.
1. Dice Giovanni: «Quello che tu hai raccontato adesso degli esseni, io
ed ancora qualcun altro di noi lo sappiamo già da lungo tempo! Ma noi sappiamo
ancora qualcosa più di te e questo di più consiste in ciò: a noi è noto che i
tuoi famosissimi esseni sono degli imbroglioni e dei birbanti ancora più grandi
dei ben conosciuti veggenti dell’oracolo di Delfi, i quali hanno ormai perduto
quasi ogni credito!
2. Perciò questa gente, ultimi rimasugli dell’antica casta sacerdotale
egiziana, provveduti di grandi tesori consistenti in oro, argento, pietre preziosissime
e perle, si è edificata, al confine tra la nostra Terra promessa e l’Egitto,
una vera fabbrica di miracoli ed ora ne possiedono una seconda ancora nelle
vicinanze di Gerusalemme, con la quale fanno già eccellenti affari! Ecco,
questo lo sappiamo noi e ci meraviglia davvero assai che tu, che pure non sei
uno sciocco, non sia arrivato a saperlo!»
3. Risponde Giuda: «Eppure, quando ho visto ed udito quel che ho detto,
io avevo sempre i miei buoni cinque sensi a posto!»
4. Dice Giovanni: «E malgrado ciò tu non hai visto né udito niente e
non hai inteso, né compreso niente! Credi forse che i morti che tu hai visto
resuscitare fossero veri morti?»
5. Dice Giuda: «E che altro può essere?»
6. Dice Giovanni: «Vedi che tu non hai scorto niente nella camera resa
oscura a questo scopo! Quelli che ti sono stati indicati come morti, erano vivi
come te e la chiamata di risurrezione non era altro che un segnale dato loro
per avvertirli quando avrebbero dovuto levarsi dai loro apparenti letti di
morte. Tu non hai che a domandare qui al buon fratello Bartolomeo, il quale ha
fatto la parte del morto presso gli esseni per due anni buoni, ma che dopo due
anni, trovò finalmente una buona occasione per fuggirsene di nascosto da quello
spaventoso chiostro di imbroglioni. Egli potrà raccontarti in che modo e in che
maniera gli esseni risvegliano i loro morti!
7. Come più di una volta egli mi ha raccontato, rappresentava la sua
parte di morto quattro volte alla settimana! Dapprima nella sala dei morti
recenti e poi una volta ancora nella sala degli scheletri, nella quale ci sono
bene allineati i catafalchi neri che portano sul coperchio gli scheletri in
gran parte semplicemente dipinti e soltanto sui primi sono fissate le
rispettive figure intagliate nel legno, affinché gli stranieri, che assistono
allo spettacolo, possano convincersene toccando i presunti scheletri. Questi
catafalchi sono delle panche munite di coperchi semiricurvi, i quali sono
congiunti con le panche sottostanti per mezzo di cerniere di cuoio per poter
venire aperti o chiusi a piacere. Il finto morto deve coricarsi supino sulla
panca e poi vengono sollevate le due bande laterali che formano il coperchio,
sulla faccia esteriore delle quali la figura dello scheletro è per lo più
dipinta e quando vengono uno o più forestieri li si conduce nella sala
scarsamente illuminata e la risurrezione ha luogo. Anche in questo caso
l’invocazione ai morti non è altro che un segnale, in primo luogo per i dodici
addetti, che si trovano dietro le pareti delle camere mortuarie, dinanzi a
certe aperture che vi sono appositamente praticate. Essi hanno appunto il
compito, appena udito il segnale, di soffiare della resina, ridotta in polvere
finissima, entro ed attraverso le dette aperture mediante dei tubi di cui sono
muniti, la quale, venendo in contatto con la fiamma di certe piccole fiaccole
tenute ben celate, provoca il fenomeno delle fiamme grandi e del fumo.
8. Ora, nel momento della chiamata, quasi contemporaneamente le fiamme
sprizzano fuori delle pareti, alla vista improvvisa delle quali i forestieri si
spaventano ed è precisamente in questo breve periodo di tempo e di confusione,
molto bene calcolato, che gli pseudo-morti coricati sulle panche rovesciano
rapidamente i coperchi, poi lentamente sorgono dalle loro panche e per coronare
lo spettacolo rendono con simulata compunzione, grazie e lode al loro
risuscitatore. Ecco, così procede la risurrezione dei morti nella sala degli
scheletri e qui c’è il fratello Bartolomeo che può darne fede!»
9. E Giuda che si rende conto del trucco, rimane sbalordito e poi
esclama: «Davvero non è pensata male! L’imbroglio è architettato benissimo e
deve rendere bene assai a quei cialtroni! Ma com’è che hanno fatto un palazzo
fuori da una montagna?»
10. Risponde Bartolomeo: «Oh, il palazzo è già bello e pronto! Non hai
osservato alla sua sommità una grande cupola che poggia su di un pilastro alto
e robusto?»
11. Dice Giuda: «Certamente, io l’ho vista bene e l’ho anzi ammirata!»
12. Dice allora Bartolomeo: «Vedi, in quella cupola sta nascosto il
mistero costituito da rotoli di tela, con la quale gli esseni possono
trasformare in non più di mezz’ora quel palazzo in una apparente montagna, in
un tempo uguale l’apparente montagna di nuovo nel palazzo, che è quello che
veramente esiste! Mi comprendi o devo spiegarmi ancora più chiaramente?»
13. Risponde Giuda: «Oh, ti comprendo anche troppo! Ma chi avrebbe mai
pensato che questi tipi dall’aspetto così onesto e saggio potessero essere
tanto impregnati di una birbanteria così raffinata? Ma come si spiega poi la
scrittura sulla Luna piena e il completo oscuramento del Sole?»
14. Dice Bartolomeo: «Questa poi è una cosa che va addirittura nel
ridicolo. Molte volte, assieme ad altri cinquanta robusti compagni, io ho
dovuto sostenere questa luna artificiale, in cima ad una lunghissima pertica,
tenendola obliquamente in alto, fuor da uno dei balconi del castello! La
supposta luna, di per se stessa, consiste in un cerchio da setaccio largo due
spanne, sul quale, da entrambe le parti vengono tesi dei dischi di pergamena.
Il cerchio ha un diametro di dieci spanne buone ed internamente, tra i due
dischi di pergamena, sono fissate nel mezzo, quattro lampade ad olio, le quali
una volta accese diffondono attraverso la pergamena una chiara luce diffusa. La
parte rivolta verso il castello porta in lettere abbastanza grandi e nere una
scritta in tre lingue.
Ora, quando un forestiero viene velocemente condotto ad una determinata
finestra, può vedere la famosa luna stare in apparenza sul firmamento con la
famosa scritta che, come detto, viene sostenuta in alto, di traverso, da
cinquanta uomini robusti, per mezzo di una pertica lunga più di dodici tese, la
quale però non può essere vista dal forestiero che viene fatto affacciare a
quella finestra opportunamente a ciò destinata. Orbene, come ti piace l’affare
della luna?»
15. Risponde Giuda: «Ah, cosa mi tocca sentire! Ma questo è un
imbroglio abominevole! E cosa si deve pensare dell’altra storia
dell’oscuramento del vero Sole?»
16. Dice Bartolomeo: «Questo è tutto basato su di un certo calcolo
molto complicato, con il quale si può esattamente stabilire il momento in cui
dovrà verificarsi una eclissi solare naturale, fenomeno questo, a quanto una
volta mi è stato spiegato, che si manifesta quando la Luna, durante il giorno,
viene a passare davanti al disco solare. Ed in questo calcolo soltanto c’è del
vero, perché esso resta nell’ambito della pura scienza e conoscenza umana, e
gli esseni l’hanno imparato dagli egiziani. Per quanto poi riguarda la mensa
inizialmente vuota e più tardi colma di vivande, l’effetto viene ottenuto per
mezzo di una macchina molto semplice che funziona all’incirca come le panche
degli scheletri nella sala oscura!
17. Ecco, questo è il segreto dei miracoli degli esseni dei quali
miracoli però tu non hai assistito neanche alla centesima parte e sono così
presentati da costituire un inganno bello e buono per qualunque non iniziato,
per quanto sia ragionevole ed esperto.
18. Per citarti un esempio: in un angolo più remoto del grande
giardino, che è circondato da mura molto alte, vi è un boschetto nel quale il
forestiero sente parlare gli alberi, in un altro punto del giardino ci sono
perfino le pietre che parlano e in un terzo posto puoi udire parlare anche
l’acqua che sgorga dalla terra! In un bacino costituito da pietre squadrate e
profondo più di dieci tese, si trova una quantità di serpenti addomesticati che
vengono giornalmente nutriti di latte; questi pure parlano, quando se ne
presenta l’occasione! In un altro punto del giardino parla perfino l’erba! Ci
sarebbe ancora molto da dire se si volesse esporre tutto dettagliatamente; ma
ti basti questo che ti dico ora: “Non passa quasi giorno che dai 30 ai 40
stranieri in cambio di molto argento ed oro non ne escano strabiliati e
naturalmente truffati!».
1. Continua Bartolomeo: «Il più bello di tutto è però che di quando in
quando dei bimbi veramente morti, di genitori ricchi, vengono accolti per la risurrezione,
ma in questi casi il figlio o la figlia risorti non vengono restituiti ai
genitori prima di un anno e qualche volta anche non prima di due anni.
Quando, dopo molte preghiere in cambio di buone offerte d’oro e
d’argento, un figlio defunto viene accolto nello stabilimento di risurrezione
degli esseni, una specie di guaritore esseno si porta solennemente dai genitori
addolorati e lì procede ad un’inchiesta minuziosissima riguardo a tutto ciò che
possa riguardare il figlio defunto. Bisogna che gli vengano indicati con tutta
precisione l’età, così pure tutto quello che il defunto aveva avuto occasione
di sentire, di vedere e di imparare, se e quali preferenze abbia avuto nel
mangiare e nel bere, quale aspetto abbia avuto il suo letto e la sua stanza,
chi e di quale carattere siano stati i suoi amici e compagni di gioco, cosa
abbiano fatto tra di loro ed in quali luoghi. In breve non deve venirgli
sottaciuto il più piccolo dettaglio, perché – così dice l’esseno – altrimenti
la risurrezione non può compiersi!
2. Gli ingenui genitori, allora, raccontano tutto in ogni suo minimo
particolare, ritenendo fermamente che il pseudo operatore di miracoli esseno ne
abbia bisogno veramente per la risurrezione del loro amatissimo figlio. Solo
che all’esseno tornano utili le sue indagini in un senso ben differente!
3. Al confine verso l’Egitto gli esseni hanno un grande istituto di
“allevamento umano” di tutti i tipi e figure possibili; essi si preparano con
grande abilità una effigie del defunto e quest’ultimo viene poi seppellito
profondamente nella terra. Muniti di questa effigie, essi vanno nel loro grande
istituto e, fra le molte migliaia di fanciulli di ogni età che si trovano là,
scelgono quello che più di tutti assomiglia all’effigie del defunto, lo conducono
con loro e lo educano con tutta attenzione sulla base di quanto essi sanno sul
conto del morto. Lo conducono spesso, ma di nascosto, in quei luoghi che ad
essi consta essere stati frequentati dal defunto e pian piano cominciano ad
invitare i suoi amici e compagni nel loro chiostro, affinché il neo risuscitato
faccia una conoscenza vantaggiosa con i nuovi compagni. Essi lo istruiscono nel
modo il più meticoloso, circa la disposizione e gli usi della casa dei suoi
futuri genitori, gli descrivono minutamente tutti gli ambienti e le cose che vi
hanno attinenza, affinché egli più tardi possa rivolgere con cognizione di
causa qualsiasi domanda ai genitori e che questi si sentano veramente contenti
e felici di aver riacquistato il figlio o la figlia. A dirla breve, l’affare
viene condotto con tanta sottile perspicacia e prudenza che i genitori poi non
hanno nemmeno il più lontano dubbio che il figlio o figlia restituiti loro
dall’istituto di risurrezione come ridonati alla vita non siano proprio i veri
e genuini. Naturalmente all’atto della restituzione la somma che viene pagata
in tutta allegrezza è enorme.
4. Ai genitori, che sono poveri, certo non è quasi mai dato di
assaporare tali miracoli, ma in compenso vengono consolati con molte buone
parole e, con il sussidio di svariatissimi piccoli miracoli di poco costo,
vengono rafforzati nella fede che il loro bimbo morto se ne sia volato dritto
dritto nell’Elisio[3],
e questo allora riesce di qualche conforto ai genitori poveri.
5. In fondo, però, i principi di vita di questi esseni non sono proprio
cattivi, perché essi ritengono che tra gli uomini deve esserci una associazione
di uomini di profonda cultura, che si propone di concorrere a rendere felice
l’umanità, qualunque sia il mezzo che venga reputato perfettamente idoneo al
raggiungimento di un simile scopo. Questa associazione di gente superiore, dopo
lunghi anni di studi, di indagini e meditazioni, ha constatato che la morte è
l’ultimo confine di tutte le cose e che dopo la morte non c’è più coscienza e
non c’è più vita sotto nessuna forma. Ora, i membri dell’associazione hanno la
filosofia che basta per disprezzare la vita e per non ritenere questa quale il
supremo dei beni. Però, allo scopo di rendere felice la vita all’umanità che
sta al di fuori della loro cerchia, è necessario che le venga predicata una
vita dell’anima ancora più perfetta da ottenere dopo la morte del corpo, ma per
rendere ben comprensibile questa asserzione presso le masse, è bene ricorrere
ai miracoli, per quanto apparenti. Quanto più straordinari sono questi
miracoli, tanto più sono efficaci!
6. Il regolare funzionamento del sistema viene fatto dipendere dalla
più assoluta discrezione da parte dei membri iniziati e ciascuno ha il dovere,
assolutamente rigoroso, di evitare la verità più della peste con gli uomini
fuori dalla loro cerchia, perché ogni verità, dicono loro, rende l’uomo schiavo
della morte. E perciò anche Mosè nella sua Genesi ebbe ad accennare, in un
unico breve versetto, a questa circostanza con un’enunciazione fondata sulla
verità pura, quando disse: “Perché se tu mangerai dell’albero della conoscenza,
il che equivale a dire l’albero della verità, di certo tu morrai!”. E così
accade a ciascun uomo che va cercando dappertutto la verità e che finisce con
il trovarsi fra le sue braccia, cioè tra le braccia della morte. Perciò anche
Mosè, quale iniziato in ogni sapienza e verità della casta sacerdotale
egiziana, ha per tali motivi, secondo loro, fondato l’istituto sacerdotale per
gli ebrei, il quale, sebbene già quasi totalmente degenerato, si è mantenuto
fino al nostro tempo.
7. L’amore è l’assioma capitale che deve presiedere alla convivenza
degli uomini, stretti fra di loro in un vincolo immutabile, quasi in
adempimento di un loro dovere verso Dio, e perciò gli uomini devono essere
tenuti a praticare rigidamente queste virtù e, per richiamare al loro pensiero
con sempre maggior intensità l’idea della Divinità loro predicata, deve
innanzitutto venir messo nel loro cuore il più possibile l’amore per Dio, e la
Divinità stessa deve venire presentata alla loro immaginazione come, da un
lato, un buon Padre ricolmo del più ardente amore e, dall’altro, come un
rigidissimo Giudice verso coloro che rigettano la Legge divina, e si deve
insegnare che il Padre concede il premio eterno al bene ed a quanti agiscono
conformemente all’amore predicato, ma punisce nel tempo e nell’eternità il
male, perché contrario a questo stesso amore. Con ciò l’umanità, nella maniera
più facile, può venire tenuta a freno e può venire indotta ad essere attiva in
tutti i campi del buono e dell’utile.
8. E se dovesse un giorno sorgere un uomo che cominciasse a predicare
la verità ai suoi simili ed a rendere sospette i loro istituti, verrebbe fatto
ogni sforzo da parte dell’istituto stesso per sbarazzare il mondo da un simile
individuo mostruoso, apportatore di morte con le sue dottrine di verità per
milioni di uomini, oppure, ancora meglio, verrebbe fatto di tutto per
conquistarlo, se mai possibile, alla causa dell’istituto! Infatti niente è più
deleterio per i non iniziati di una qualsiasi spiegazione nell’ambito della
fede in un Dio ed in una vita eterna.
9. Vedi, o fratello Giuda, questi sono i principi di vita propugnati
dai tuoi famosi esseni! Tali principi, considerati dal punto di vista terreno,
non si possono troppo biasimare, ma visti con gli occhi dello spirito, secondo
la luce che abbiamo ora, sono condannabili al massimo grado! Infatti un non
iniziato non ode dalla loro bocca mai neppure una sillaba sola che sia conforme
al vero, e se egli vuole dire la verità dinanzi a loro, egli sottoscrive con
ciò la propria sentenza di morte!»
10.Esclama Giuda: «Oh, che birbanti! In verità, se non fossi tu a
dirmelo, non avrei mai potuto credere che la simile furfanteria di questi
bricconi arrivasse a tal punto, ma, poiché tu stesso fosti a suo tempo un
esseno e ci racconti adesso questo, devo prestare fede! Ma come facesti a
svignartela indenne dal chiostro?»
11. Risponde Bartolomeo: «Io completai la mia iniziazione, mi sottoposi
agli esami ed alle prove richieste e venni poi qui per ragioni del servizio
esterno. Ora, essendo che io godevo piena fiducia, mi fu concesso anche di
rimanere fuori, perché la congregazione accorda molto volentieri un tale
privilegio, siccome da questo essa non può attendersi che vantaggi e mai dei
danni.
12. Visto però che in luogo della menzogna ho imparato ormai a
conoscere la verità, io rimango tanto più sicuramente e per sempre fuori! Ma
quelli che sono dentro il chiostro non sapranno per parte mia mai più quello
che io so; quelli che sono fuori, invece, bisogna che un giorno sappiano quello
che fanno gli esseni entro il loro chiostro!».
I discepoli in
difficoltà sul mare.
1. Dice Pietro: «Ma ora è già la terza veglia (circa l’una dopo
mezzanotte) ed ancora non si vede da nessuna parte alcun battello sopra il
mare!».
2. Dice Andrea, che ha la vista acutissima: «Per quanto guardi intorno,
neppure io posso scoprire niente!».
3. Osserva Matteo, il gabelliere: «Se almeno si calmasse questo vento
indiavolato che ci soffia contro! I battellieri sono già quasi del tutto
esausti dal forzare la voga, quantunque noi li si abbia già a più riprese
aiutati efficacemente! Solo a costo di sforzi poderosi ci riesce di tenerci a
galla! Se almeno cominciasse a far chiaro! Allora il vento certo
cambierebbe!»
4. Dice Natanaele: «Tutto il resto poco mi interesserebbe se il Signore
ci seguisse. Chissà che non fosse consigliabile rifare il percorso per andare a
cercarLo? Possibile che Egli sia davvero caduto nelle mani degli sgherri di
Erode?»
5. Dice Simon Pietro: «Ah, che cosa ancora poi? Egli, al quale
obbediscono il Cielo e gli elementi tutti, prigioniero di quei miserabili
sgherri di Erode! Macché! Egli ha pur detto che ci avrebbe seguito una volta
finito di congedare tutto il popolo e che noi partissimo prima di Lui! Quello
che Egli dice è sacro e perciò supremamente vero! Con questo vento contrario
noi non avremo di gran lunga raggiunto il punto d’approdo che Egli sarà
nuovamente con noi! Infatti chi può comandare i venti, viene anche facilmente e
celermente sul mare!
6. Dice Giovanni: «Io sono perfettamente della tua opinione! Dunque,
basta che tutti abbiano ferma fiducia in Lui ed Egli non ci abbandonerà per
l’eternità! Guardate, con questa furia di vento che già da cinque ore ci
tormenta, assai poco effetto avrebbero avuto i nostri remi, se l’azione Sua,
dominatrice degli elementi non ci avesse aiutati a sostenerci in alto mare!
Senza questo Suo potere noi saremmo stati respinti là da dove siamo partiti già
da parecchio tempo! Del resto, come vedi benissimo, la nostra barca sta come
inchiodata in un punto ed io penso che, rafforzando la nostra fiducia in Lui,
sarebbe opportuno che facessimo cessare del tutto la voga ai barcaioli ormai
completamente sfiniti e vedrete che il nostro battello, nonostante ciò, non si
muoverà dal posto, e probabilmente è qui che il Signore vorrà raggiungerci,
altrimenti Dio sa dove già noi saremmo finiti con questo uragano!»
7. Esclama Pietro: «Sì, sì, tu hai certamente ragione! Anch’io vado
persuadendomi che il vento, per quanto forte, non può nulla contro di noi e che
tutti i nostri remi non potrebbero affatto aver ragione di questa furia, se con
tutta evidenza non ci soccorresse invisibilmente il Suo divino Potere! Ed io
dirò senz’altro ai barcaioli di non affannarsi tanto nel remare.
8. Pietro allora si rivolse ai rematori e disse loro che era inutile
affaticarsi troppo!
9. Ma i rematori risposero: «Noi vediamo com’è bianca di schiuma la
costa lungo il deserto e la risacca deve essere fortissima! Se non ci
manteniamo a galla fin che fa giorno, rischiamo di fare tutti una brutta fine!»
10. Dice Pietro ai rematori: «Ma se fosse così, noi non dovremmo essere
discepoli dell’onnipotente Signore Gesù! Ma poiché noi davvero lo siamo, allora
la tempesta non avrà che poco o nessun potere contro di noi anche senza il
continuo ed infruttuoso vogare! Non ci manca più tanto che faccia mattina e di
giorno le cose miglioreranno di certo!».
11. A queste parole di Pietro i rematori smettono gradatamente di
vogare ed osservano anch’essi che la navicella si mantiene a galla anche senza
i loro sforzi e così anche gli otto rematori cominciano a credere che veramente
la barca venga tenuta fuori pericolo per l’influenza del Mio potere.
(Matt.14,25).
(Matteo
14,25-33)
1. Frattanto il tempo era entrato nella quarta veglia, e il vento si era
alquanto calmato, quando Andrea, che stava esplorando con i suoi occhi
eccellenti tutto intorno il mare ancora molto agitato, (Matt.14, 26) scorse
improvvisamente un uomo che si avvicinava sulle onde del mare, come si
trattasse di terra asciutta.
2. Allora egli chiamò i fratelli e li rese attenti di quella figura che
si vedeva procedere sulle onde, dicendo: «Fratelli miei, questo non è un buon
segno: è uno spettro dall’acqua! E quando questi spettri si mostrano, i
naviganti non possono attendersi niente di buono!»
3. Questa opinione di Andrea fu subito condivisa da tutti e il fatto
contribuì ad aumentare lo spavento, cosicché sorse un coro di grida di
invocazione: «Oh, Gesù, perché ci hai abbandonati e perché lasci che noi si
corra irrimediabilmente incontro alla rovina! Oh, se Tu sei ancora in qualche
luogo, ricordati di noi e salvaci dal certo naufragio!»
4. E mentre i discepoli gridavano ancora ed imploravano aiuto, Io Mi
avvicinai a dieci passi dalla navicella e dissi a quei terrorizzati: «Rassicuratevi!
Sono Io, non temete!». Allora i discepoli tacquero. (Matt.14, 27)
5. Ed Andrea esclamò: «Per il cielo! Questi è Gesù, il nostro Signore e
Maestro!».
6. Ma Pietro, agitato ancora da qualche dubbio, disse: «Se veramente è
Lui, bisogna che mi comandi di scendere sull’acqua, affinché provi anch’io se i
miei piedi vi si sostengono come i Suoi!»
7. Dice Andrea: «Ma se Egli ti chiamasse a Lui sul mare ancora
sconvolto, avresti tu il coraggio di scendere sul mare agitato?»
8. Risponde Pietro: «Certamente! Io so bene che in questo punto il mare
ha la sua maggiore profondità, ma se è Lui, nulla potrà accadermi di male, se
invece non è Lui, allora si tratta di uno spirito burlone e noi saremo così
perduti. Allora io non faccio che precedervi nell’abisso di qualche istante e
potrò preparare per voi una nuova dimora!»
9. Detto questo, Pietro andò nel mezzo della navicella, sul punto più
basso della fiancata e, sportosi fuori, gridò verso di Me: «Signore, se sei Tu,
dimmi di scendere sull’acqua e di venire a Te! (Matt.14, 28).
10. Allora Io gli dico: «Vieni e persuaditi!».
11. E Pietro, fra le grida di spavento dei fratelli scese dal battello
sull’acqua. Ma quando si accorsero che Pietro non affondava, ma che, invece,
come Me, vi si sosteneva e muoveva dei passi, ogni dubbio dall’animo loro svanì
ed ognuno credette che ero veramente Io.
12. Pietro però si era affrettato a venirMi vicino (Matt.14, 29). Ma,
quando non si trovò che a sette passi da Me, osservò che il vento nuovamente si
rinforzava, spingendo dinanzi a sé alte onde. Allora fu di nuovo colto da
grande timore, cominciò a pensare che le onde avrebbero potuto sommergerlo, la
sua forte fede lo abbandonò per un po’ e subito sentì che i suoi piedi
affondavano e che l’acqua gli stava lambendo le caviglie. Allora, tutto
angosciato, si mise a gridare: «Signore, salvami!». (Matt.14, 30).
13. Ed Io Mi avvicinai sollecito a lui, gli stesi la mano, lo trassi
fuori e lo rimisi alla superficie dell’acqua che nuovamente lo sostenne, però
subito dopo gli dissi: «O uomo di poca fede! Perché hai dubitato? (Matt.14,
31). Non sai tu ancora che la fede incrollabile può dominare tutti gli
elementi?»
14. E Pietro rispose: «Signore, perdonami! Tu già vedi che io continuo
ad essere un uomo debole; il vento e le onde che venivano verso di noi mi hanno
fatto paura!»
15. Io dissi allora: «Tutto è di nuovo in ordine. Eccoci oramai al
battello; saliamovi dunque»
16. Dopodiché salimmo sul battello e nello stesso istante l’uragano
cessò. (Matt.14, 32).
17. E tutti coloro che erano a bordo, discepoli e battellieri, si
precipitarono verso di Me e vi fu un coro unanime di lode e di gloria e tutti
dissero: «Soltanto ora ci siamo resi conto che Tu sei veramente il Figlio di
Dio!». (Matt.14, 33).
18. Ed il Mio diletto Giovanni Mi abbracciò e Mi strinse al cuore con
grande effusione ed esclamò: «Oh, mio caro Gesù! EccoTi di nuovo finalmente con
noi! Ora tutto il nostro spavento è svanito! Ma Tu non lasciarci mai più,
perché la cosa più terribile è essere senza di Te! In verità, io non ho mai
provato tanta angoscia e spavento quanto questa notte e non potrò mai più in
vita mia dimenticarmi di questa traversata notturna! L’uragano ora può
sbizzarrirsi come vuole intorno a noi, perché il Suo padrone si trova in mezzo
a noi ed Egli può comandargli di cessare, ed esso deve obbedire alla voce
dell’Onnipotente!».
Arrivo nella
città libera di Genezaret.
(Matteo 14,34)
1. Allora dico Io: «Che voi Mi vediate o che non Mi vediate, Io tuttavia
sono sempre presso di voi, poiché se voi credete in Me e confidate e sperate
nel Nome Mio e veramente Mi amate, Io dimoro continuamente presso di voi e Mi
trovo sempre in mezzo a voi; ma se qualcuno dubita di Me, allora Io non sono
presso di lui, anche se egli Mi vedesse saldamente al suo fianco.
2. Venendo però agli avvenimenti di questa notte, il fratello
Bartolomeo ha fatto molto bene ad aprire gli occhi, particolarmente a Giuda,
riguardo all’essenza degli esseni. È vero per lui ne risulterà poca salvezza,
ma tanto più invece per voi altri! Infatti Giuda si compiace di tali esibizioni
fraudolente e pensa: «Se non mi riesce di imparare l’arte dei miracoli da Gesù,
allora io me ne vado dagli esseni! Infatti egli è e resta un avaro e 10 libbre
d’oro per lui hanno maggiore valore di tutte le verità più celesti e, per
giunta, della vita eterna! Se oggi Erode gli facesse una cospicua offerta, egli
ci tradirebbe e ci venderebbe tutti! È molto difficile che questa Terra lo
correggerà un giorno!
3. Dunque, per l’uomo, rispetto alla vita eterna, non vi è niente di
più pericoloso dei grandi tesori di questo mondo! E perciò può forse giovare
all’uomo anche il possesso di tutti i tesori di questo mondo, quando ne viene
danneggiata completamente la sua anima? Quando meno se lo aspetterà, la sua
anima già sarà tolta e sarà confinata fra le tenebre, dove non c’è che pianto e
stridore di denti! A che cosa gli gioveranno poi tutti i suoi tesori?
4. Dunque, ognuno di voi faccia invece tesoro dei beni dello Spirito, i
quali né la ruggine né le tignole possono intaccare: così facendo voi avete per
l’eternità delle ricchezze vere a profusione!
5. Guardate: qui in fondo al mare giace sepolta già più di una nave ben
carica, assieme al proprio padrone ed ai marinai! Quale guadagno hanno fatto
coloro che volevano realizzare grosse somme sui mercati? Una tempesta ha
segnato la fine di tutte le loro fatiche e del loro vano arrabattarsi e le loro
anime sono state sepolte insieme nell’abisso!
6. Voi, invece, sul vostro battello, che durante tutta quanta la notte
ha dovuto lottare con una terribile tempesta, non avete fatto altro che
caricare i tesori indistruttibili per lo spirito e per la vita da Dio ed ecco,
la tempesta, nonostante tutta la sua violenza scatenata, non ha avuto il potere
di precipitarvi nell’abisso ed Io sono venuto a voi camminando con i piedi Miei
sulle onde infuriate appunto per dimostrarvi con i fatti che colui il quale
porta in sé solo i tesori eterni del Cielo si solleva facilmente al di sopra
dalle furiose tempeste e dell’ondeggiare pazzo del mondo e può procedere
incolume e sicuro per la sua via, restando pur sempre un dominatore di tutti i
tumulti e delle avversità mondane.
7. Ma se qualcuno carica invece la navicella della propria vita con i
tesori del mondo e la tempesta lo sorprende sull’ondeggiare delle sue
preoccupazioni mondane, allora nave e barcaiolo periranno assieme! Avete voi
ora ben compreso tutto ciò che vi ho detto?»
8. Tutti rispondono: «Sì Signore! Tutto quanto ci hai detto è chiaro, comprensibilissimo
e quanto mai vero!»
9. Dico Io, per concludere: «Orbene, allora adesso navighiamo verso la
cittadella di Genezaret e verso il piccolo territorio libero che dalla città
prende il nome!».
10. I rematori allora si rimisero all’opera e noi approdammo a circa
mezz’ora da Genezaret. (Matt.14, 34). Verso la città il mare formava una grande
insenatura ed era congiunto con questa solamente da una specie di canale largo
appena dieci tese e perciò anche questa insenatura veniva designata espressamente
come il “mare di Genezaret”. Noi scendemmo a terra a sinistra dello stretto,
presso l’imboccatura, perché i battelli che volevano inoltrarsi per entrare nel
mare di Genezaret erano tenuti a sborsare una tassa d’entrata.
Dunque, noi ormeggiammo lì la nostra barca e vi lasciammo soltanto due
marinai per custodirla, mentre gli altri sei vennero con noi in città, dove
comperarono pane, sale e un po’ di vino, di cui avevano molto bisogno dopo le
fatiche della nottata.
11. Io però benedii le poche provvigioni acquistate, affinché potessero
bastare per tutti per diversi giorni.
12. A Genezaret Io mi trattenni parecchio tempo, essendo questa città
libera si poteva essere sicuri contro qualunque attacco tanto da parte di
Gerusalemme che del Tempio e tanto di più da parte di Erode, perché questa
località si trovava sotto l’immediato e severo controllo dei romani, i quali vi
tenevano un campo militare permanente, sottoposto al comando di Cafarnao.
Queste cose non appaiono narrate in nessuna Scrittura, perché di secondaria
importanza; nonostante ciò se ne fa menzione qui per essere precisi nella
narrazione.
Il Signore con
i Suoi presso l’albergatore Ebal.
1. Giunti che fummo in città, entrammo in un albergo che era tenuto da
un galantuomo di nome Ebal.
2. Questi ci fece un’accoglienza quanto mai amichevole e disse: «A
giudicare dall’aspetto e dal vestito, voi siete dei galilei dei dintorni di
Nazaret!». Noi gli confermammo ciò ed egli ci fece allora portare subito del
pane, del vino e della pescagione ed aggiunse: «Per tre giorni e per tre notti
siete miei liberi ospiti, senza alcuna spesa! Ma se voi siete nazareni, potrete
allora darmi qualche precisa informazione sul conto del famoso medico Gesù, che
si dice guarisca miracolosamente tutte le malattie, ed io vi offrirò ospitalità
finché vivrete e potrete mangiare e bere da me quanto e come volete!
3. Se nei riguardi del famoso Gesù le cose stanno veramente così, io
voglio fare ogni sforzo possibile per trovarLo e portarLo qui, magari
accompagnandoLo ginocchioni! Infatti il nostro piccolo, ma libero territorio
che ha tanto del buono, ha tuttavia continuamente l’inconveniente che vi
regnano ogni specie di malattie maligne. Queste malattie non sono in genere
tanto di natura mortale quanto piuttosto tenaci e fastidiose e non si può
liberarsene!
4. Oh, se fosse possibile far venire qui questo guaritore, per Jehova,
io non so davvero cosa sarei disposto a dare e a fare! Io stesso ho qui un
grande caseggiato adibito ad albergo, il quale è pieno di forestieri ammalati,
che non possono muovere passo dai dolori e molti sono di paesi ben lontani; ce
ne sono perfino di egiziani, persiani ed indiani e non è neppure il caso di
pensare a rimettersi in viaggio! Così pure si trovano da me dei farisei e degli
scribi di Gerusalemme e due fratelli esseni, anch’essi infermi e per quanti
medici siano venuti da tutte le parti ed abbiano provato ogni cura, non è stato
possibile liberarli dal male!
5. Dunque, se vi è possibile far venire qui questo Gesù di Nazaret, o
se potete almeno dirmi dove posso trovarLo, allora, come vi ho detto, voi
sarete miei ospiti fino a che vivrete!»
6. Gli dico Io: «Ma perché non hai mandato già da tempo qualche messo a
Lui, poiché sapevi che Egli si era fermato a Nazaret?»
7. Risponde Ebal: «Questo l’ho fatto, non una, ma parecchie volte, ma
finora purtroppo non ho avuto ancora mai la fortuna di udire i messi ritornati
ad annunciarmi: “Lo abbiamo trovato!”. Essi riferirono bensì sempre
innumerevoli meraviglie su di Lui, per averle intese a raccontare da altri, ma
essi stessi non hanno ancora mai avuto la buona sorte di fare la Sua personale
conoscenza»
8. Allora dico Io: «Ebbene, poiché Io vedo che nei riguardi del medico
e Salvatore Gesù non ti anima alcun interesse egoistico e che in te c’è
veramente soltanto la brama di procurare aiuto ai sofferenti di qualunque
nazione essi siano, ciò che, del resto, Mi ha indotto anche a venire da te,
sappi a tua consolazione e gioia che sono appunto Io quello stesso Gesù, il
Quale hai tante volte cercato invano e che in questo stesso istante tutti i
sofferenti che sono presso di te sono liberati dai loro mali! Manda ora i tuoi
servitori all’albergo e dì loro di riferirti se vi è là ancora qualche
ammalato!
9. Ed Ebal, quasi fuori dalla gioia, esclamò: «Maestro, se Tu Lo sei,
lo credo alla Tua Parola e non mi occorre di informarmi più oltre! Oh, Tu Lo
sarai senz’alcun dubbio e non so proprio come già ora ringraziare e glorificare
Dio abbastanza per questa inaspettata e immensa benedizione che Egli ha
riservato alla mia casa! O Maestro, grande e divino Maestro! Comanda come vuoi
per Te e per i Tuoi, perché ormai sei Tu l’assoluto Signore in questa casa!
Tutto quello che è qui deve adeguarsi alla Tua Volontà!».
10. E mentre ancora parlava così, dal suo grande albergo venne già la
notizia che gli ammalati, in numero di duemila circa, si erano d’improvviso
trovati perfettamente guariti! Certamente doveva essersi verificato un
miracolo, altrimenti la cosa non sarebbe stata né possibile né spiegabile! I
guariti sarebbero venuti fra breve in persona dal padrone dell’albergo, per
manifestargli con parole e con fatti la loro sentitissima gratitudine!
11. Ebal però dice: «Andate e dite loro che anzitutto non c’è bisogno
di tutto questo e che poi a me non compete nessunissimo ringraziamento, ma che
ogni gratitudine e lode spetta a Dio soltanto, il Quale nella Sua grazia ha
mandato nel nostro paese il meraviglioso Salvatore! Chiedete ai ricchi un
modesto compenso per voi quale spesa dell’alloggio, ma non siate eccessivamente
esigenti con nessuno! Quelli del paese, però, siano esenti da ogni spesa!».
12. A queste parole coloro che hanno portato la notizia si allontanano
e fanno come il loro padrone ha ordinato.
13. Poi Ebal si rivolge a Me, si prostra ai Miei piedi e fra copiose
lacrime di gioia Mi ringrazia per il beneficio miracoloso elargito alla sua
casa.
14. Io però lo invito ad alzarsi ed a presentarMi le sue mogli ed i suoi
figli!
15. Ed egli va subito e fa secondo la Mia richiesta.
16. E quando egli fu di ritorno con le sue due mogli ed i suoi sedici
figli, di cui dieci maschi e sei femmine, disse: «Ecco, Tu vedi in me ancora un
vero israelita! Come Giacobbe, il nostro progenitore, si prese un giorno Lea e
Rachele per mogli e generò figlioli con entrambe, così mi sono preso anch’io
due mogli, le quali però non sono sorelle ed ho avuto con la più anziana i
dieci ragazzi e con la più giovane sei fanciulle, ma, come vedi, ormai i dieci
ragazzi sono diventati uomini robusti, mentre le sei fanciulle, anch’esse tutte
oltre i dieci anni, saranno presto giovinette in pieno fiore. Io ora, però,
conto settant’anni.
17. Tutti questi figli sono stati allevati secondo la Scrittura, e il
mio figlio più anziano è un dottore della Legge, ma non già per stare al
servizio del Tempio, bensì soltanto per se stesso ed un giorno per i suoi
discendenti. Però, anche tutti gli altri miei figli conoscono bene le
Scritture, sanno qual è la Volontà pura di Dio e sono stati sempre tenuti a
vivere secondo quanto essa prescrive. Essi amano Dio, ma in pari tempo Lo
temono, perché il timore di Dio è il principio di ogni sapienza. Da me le vere
massime di sapienza di Gesù di Sirach vengono rigidamente applicate. Sei Tu, o
grande Maestro, contento degli ordinamenti di casa mia?».
18. Dico Io: «Secondo le usanze finora vigenti gli ordinamenti di casa
tua non sono passibili di alcuna critica ed io non proibisco a nessuno di
prendersi due, tre ed anche più mogli, perché la donna è stata creata per la
procreazione degli uomini ed una donna sterile agli occhi di Dio non è gradita,
a meno che essa non sia sterile di sua natura, cosa questa che non può essere
imputata a colpa di nessuno.
19. Però, d’ora in poi, ciascun uomo non prenda in moglie che una sola
vergine od una vedova ancora in stato di poter concepire, poiché, se fosse
stata Volontà di Dio che l’uomo dovesse avere più di una donna certo Egli
avrebbe creato ad Adamo più di una sola donna. La Volontà di Dio invece fu che
ciascun uomo avesse una donna soltanto, quindi pure ad Adamo non diede che una
sola donna.
20. Che gli uomini poi si siano scostati da questa prima legge – ciò
che particolarmente fra i pagani è degenerato spesso nel male e nel vizio, visto
che qualche principe si è preso in moglie addirittura tutte le più belle
fanciulle del suo regno e ne ha comprato in aggiunta molte altre ancora da
principi stranieri –, tutto ciò non fu mai Volontà di Dio, ma quella degli
uomini sensuali, perché molte delle mogli di un principe o di un altro ricco
non erano certo donne destinate alla procreazione, ma unicamente al sollazzo
dei sensi, per tentare di ridestare la virilità decaduta e il piacere che
potevano provare. Ma a questo modo l’uomo non vive più del tutto conformemente
all’Ordine divino, poiché non rispetta la legge originaria di Dio.
21. Ora tutt’altro sarebbe se la donna fosse sterile, come un giorno fu
il caso di Rachele, allora, certo, l’uomo può prendersi anche una seconda
moglie e suscitare in lei la propria discendenza. Tuttavia, nel tuo caso, tutto
è in pieno ordine, la tua volontà ed i tuoi intendimenti sono stati sempre
onesti e perciò graditi a Dio, dunque, tu sei giusto dinanzi a Dio ed a gli
uomini, altrimenti Io non sarei venuto in casa tua!».
Il Signore
benedice la famiglia di Ebal e rimprovera gli esseni.
1. Dopodiché Io benedii i figli e le due mogli di Ebal come una donna
sola, perché ambedue erano di un sentimento e di un cuore soli e né litigi né
discordie erano mai venute a turbare l’armonia che regnava tra di loro. E dopo
la benedizione congedai le due donne ed i sedici figli e dissi ad Ebal: «Tu
puoi essere davvero contento dei tuoi figli, perché non ce n’è uno che sia né
spiritualmente né fisicamente guastato. Tutti scoppiano di salute ed i loro
cuori, ancora limpidi come il cristallo, sono traboccanti di rettitudine e di
obbedienza; le tue due mogli poi hanno un aspetto ancora assolutamente
giovanile! Sembra che sulla tua casa l’aria perniciosa di questa regione non
abbia alcuna influenza!».
2. Risponde Ebal: «È vero, per coloro che nascono qui, l’aria e l’acqua
sono del tutto innocue, ma non così per gli stranieri, perché basta che
qualcuno si trattenga qui talvolta anche due giorni soli, perché poi cada
ammalato così gravemente da non poter abbandonare il letto non di rado per un
anno intero! Però, una volta superata la malattia, egli può continuare a
restarsene qui quanto vuole, senza temere ricadute.
3. Ma, tutto sommato, è una vera sciagura per questo paese! Soltanto
con grave stento si possono avere qui dei lavoratori, mentre i viaggiatori
forestieri, se proprio non hanno affari particolari, evitano questa località
come la peste! Di quelli poi che assolutamente devono venirci, più della metà
di sicuro si ammala. Così pure due terzi buoni dei soldati romani qui di
guarnigione sono infermi e non c’è medico che sia capace di guarirli! Dopo uno
e qualche volta anche appena dopo due anni, il male svanisce da sé, e poi rimangono
sani.
4. Ma la cosa più strana di tutte è che non ne vengono colpiti mai due
dallo stesso male! Ad uno viene la febbre, ad un altro un’eruzione maligna, un
terzo viene colto da dissenteria, un quarto ancora da una tosse acuta e così,
di seguito, in ciascun dei colpiti il male assume un differente aspetto e
nessun medico riesce a vederci chiaro! Infatti, nel nostro piccolo paese c’è un
numero assai grande di tormentati dalle più svariate malattie e non si può
aiutarne alcuno. La mortalità, nonostante ciò, è minima, a dire il vero, ma
tanto più grande è il numero dei sofferenti.
5. Forse a Te sarebbe anche possibile guarire tutti gli ammalati, e
indicarmi poi qualche rimedio per tutto il paese, che, impiegato
opportunamente, potrebbe difendere le persone dagli attacchi delle malattie che
affliggono questa regione?».
6. Gli dico Io: «Siccome Io Mi tratterò qui ad ogni modo per diversi
giorni, gli ammalati che ci sono in paese verranno bene informati che Io Mi
trovo qui e di ciò s’incaricheranno senza dubbio i guariti di oggi! Coloro che
verranno, saranno anche aiutati, a coloro però che non verranno, l’aiuto non
sarà dato, poiché in tutto il paese non c’è nessuno che sia così tanto ammalato
da non poter fare la strada fino a Me!»
7. Dice Ebal: «Se a Te fosse gradito, o mio divino Maestro, io potrei
anche inviare dei messi per tutto il paese»
8. Gli dico Io: «Non darti alcuna pena, essi verranno a saperlo
dappertutto abbastanza presto!»
9. Poco dopo ecco presentarsi parecchi dei guariti, tra i quali dei
farisei e degli scribi da Gerusalemme e due fratelli esseni, per renderMi
grazie per la guarigione e possibilmente per apprendere da Me come riuscivo a
sanare gli ammalati così immediatamente, grazie alla sola parola!
10. Ma Io non feci con loro troppi ragionamenti e dissi semplicemente:
«Cosa andate cercando? Le vostre aspirazioni si concentrano esclusivamente nel
mondo e nella sua materia, che sola è da voi ritenuta preziosa, qui invece si
tratta di cosa spirituale pura! Ora voi non avete ancora mai compreso che cosa
sia la materia, come volete, dunque, comprendere ciò che è spirituale puro, e
del tutto particolarmente voi esseni, che andate predicando ai vostri seguaci
la fede in un Dio e nella risurrezione e che con il sacrificio di molto oro
operate pretesi miracoli, per guadagnare con ciò aderenti alla vostra cieca
dottrina! La massima vostra è: “È bene ingannare e mentire all’umanità con
buone intenzioni se la si vuole rendere felice, perché la verità uccide il
benessere degli uomini di questa Terra!”.
11. Ma se il vostro mezzo per rendere felice l’umanità è la menzogna,
che senso ha che voi ora sentiate da Me la verità? Per la conoscenza del Regno
di Dio sulla Terra vi manca tutto e siete gli ultimissimi, mentre invece
dovreste essere assolutamente i primi! In verità vi dico che se voi restate
come ora siete, non avrete in eterno mai parte alcuna al Regno di Dio!
12. A che vi giova la vostra buona volontà di procurare agli uomini una
felicità terrena mediante l’inganno e la menzogna, quando con ciò recate morte
alle anime dei ciechi?
13. La Mia massima invece è questa: “Salvare l’anima anche con il
sacrificio del proprio corpo e di tutta quanta la sua felicità terrena ed a
questa preparare una vita vera ed eterna!”.
14. Ora quali saranno e dovranno anche infallibilmente essere le
condizioni della vostra anima nell’aldilà, quando tra i vostri giudici
siederanno anche tutti coloro che avrete ingannato? Voi certo non credete che
questo accadrà, eppure tutto accadrà precisamente così come ora Io vi ho detto.
15. Ma se voi non volete credere alle Mie parole, credete almeno alle
Mie opere che vado facendo e che prima di Me non sono state fatte da nessun
uomo!
16. Però, se le Mie opere sono buone e vere e rendono testimonianza
delle Mie parole, dovranno pur essere buone e vere anche le Mie parole!
17. Nessuno può raccontarvi quello che avviene nell’India, se non colui
che vi è stato e che da là è ritornato a voi e così pure nessuno può, con
cognizione di causa, dirvi cosa c’è nell’aldilà, se non Colui che vi era e che
da lì se ne è venuto a voi; ora questo Colui sono Io!
18. Chi crede alle Mie parole, costui avrà la vita eterna, ma chi non
vi crede trapasserà nella morte eterna! Infatti le Mie parole non sono come
quelle di un uomo di questa Terra; esse sono Vita e danno Vita a chi le
accoglie nel proprio cuore e che ad esse conforma le proprie opere, secondo il
suono della parola e secondo il suo spirito che tutto vivifica!
19. Le vostre parole, invece, che voi esseni andate predicando al
popolo, non sono che menzogna e inganno, perché voi stessi non credete a quello
che insegnate! Sono due le dottrine che voi avete: una per il popolo, ed una
molto differente per uso vostro, della quale fra di voi sostenete che è la
vera, ma di cui il popolo non deve sapere niente, affinché possa restare
tranquillo e felice in quella che voi ritenete sia una menzogna.
20. Ma Io vi dico che con la supposta menzogna da voi propinata al
popolo date a questo molta più verità che non a voi stessi! Infatti quello che
voi ritenete essere verità è completa menzogna, mentre quello che insegnate al
popolo è invece menzogna soltanto a metà ed è anche per questa ragione che voi
siete stati tollerati da parte di Dio.
21. Insegnate, dunque, in avvenire la verità e credeteci voi stessi;
così sarete lavoratori degni di ricompensa nella vigna di Dio, ma è necessario
che la menzogna e l’inganno siano banditi da voi per tutti i tempi e non dovete
mai più farne uso, altrimenti sarete sottoposti a una dura sentenza il giorno
del Giudizio!»
22. Dicono i due esseni: «Maestro! Noi dobbiamo riconoscere che le tue
parole sono giuste e, per quanto riguarda noi due, faremo ogni tentativo ed
ogni sforzo possibile, perché possano trovare accoglienza nella nostra grande
compagnia, ma un successo non possiamo garantirlo. I nostri fratelli non sono
affatto dei barbari, a porte chiuse si può parlare in tutta libertà con la
sicurezza di essere benevolmente ascoltati, però che una suscitata discussione
possa anche avere qualche effetto, questo è tutto un altro problema! Noi due
parleremo e siamo già fin d’ora più che sicuri che le nostre parole saranno
ascoltate con la massima attenzione!».
23. Allora dico Io: «Fate voi quanto è in vostro potere e Dio non
mancherà di fare, da parte Sua, la Sua parte. Accogliete la verità intera e
questa vi renderà liberi per l’eternità!».
24. Dicono i due esseni: «Signore e Maestro, voglia Tu permetterci di
trattenerci qui finché Tu vi rimarrai!».
25. Ed Io rispondo: «Voi siete del tutto liberi e potete rimanere qui
quanto vi piace».
Il Signore dà
al comandante romano suggerimenti vitali.
1. I due furono soddisfatti di questa decisione ed Ebal venne ed invitò
Me ed i Miei discepoli al pranzo che egli aveva fatto preparare abbondantemente
per noi, ma, all’infuori della sua famiglia, nessun altro ospite straniero era
stato invitato alla sua mensa. Questo fatto indispettì i farisei che si
trovavano là, perché nella loro boria erano abituati a venir considerati i
primi dappertutto e come tali ad essere riveriti da tutti. Essi erano stati
bensì serviti molto propriamente in un’altra sala, ma tuttavia non erano
contenti, essendosi accorti che Ebal dedicava molto più premure a Me, che non a
loro. Perciò, finito il pranzo, essi interpellarono uno dei servitori di casa e
gli chiesero se forse il padrone avesse ritenuto la loro compagnia troppo poco
rispettabile, dato che non aveva invitato anch’essi alla sua mensa.
2. Però il servitore era prudente e rispose: «Il padrone aveva molte
cose ancora da trattare con il medico miracoloso, in rapporto ai numerosi
ammalati e per questo ha voluto restare solo con Lui!».
3. Osservano i farisei e gli scribi: «Non sapete, forse, tu e il tuo
padrone, che in ogni casa dove noi entriamo ogni segreto deve esserci svelato?
Infatti siamo noi coloro che sono chiamati a purificarvi, qualora voi vi siate
resi impuri, e così pure siamo noi che vi guariamo quando una malattia maligna
vi tormenta!»
4. Risponde il servitore: «Ma se voi siete effettivamente tali
apportatori di salute, perché non avete potuto aiutare voi stessi? Se il medico
miracoloso da Nazaret non fosse stato portato da un buon vento qui, come per
combinazione, la vostra violenta artrite non vi avrebbe affatto abbandonato e
voi dovete soltanto al Suo potere di operare miracoli se adesso siete qui, in
questa sala da pranzo, perfettamente sani! Ora mi pare che quando Uno ha un
potere simile, spetti a quest’Uno, prima che a voi, ogni possibile
distinzione!»
5. A questa risposta alquanto pepata del servitore, i farisei e gli
scribi non replicarono alcuna parola e si dimostrano soddisfatti, non però per
convinzione, ma costretti dalla necessità ferrea della logica!
6. All’approssimarsi della sera, dalle abitazioni della città e delle
immediate vicinanze si presentarono davanti alla casa di Ebal più di un
centinaio di persone, che erano sofferenti di svariatissime malattie e
mandarono a supplicarMi che Io li guarissi ed Io uscii a loro e con la semplice
parola li risanai tutti!
7. Ed essi proruppero in esclamazioni di lode e di benedizione a Dio,
che aveva concesso all’uomo una tale potenza e poi con grande letizia fecero
ritorno guariti alle loro case.
8. Ma a sera fatta venne anche un capo militare che in quella località
comandava la guarnigione e, presentatosi a Me, Mi chiese se potevo venire in
soccorso anche dei molti suoi soldati che giacevano infermi!
9. Io gli dissi: «Va’ pure e sia fatto secondo la tua fede!».
10. Ed il comandante ritornò all’accampamento e trovò che non c’era più
un solo soldato che fosse ancora ammalato. Allora egli tutto lieto, rifece la
strada e venne di nuove a Me, portando con sé dell’oro e dell’argento che volle
offrirMi come compenso delle Mie prestazioni!».
11. Però Io Mi rifiutai di accettare quel denaro e dissi al comandante:
«Amico Mio, Io non curo nessuno per i tesori di questo mondo, bensì soltanto
per quelli che sono del Cielo e questi si chiamano in primo luogo una viva fede
ed in secondo luogo un vero e disinteressato amore a Dio ed al prossimo, di
qualunque condizione quest’ultimo sia!
12. Tratta amorevolmente i tuoi subordinati, come se fossero i tuoi
veri fratelli e non essere troppo duro con loro, così facendo tu Mi avrai dato
la ricompensa più preziosa che Io possa attenderMi da te! Ma l’oro e l’argento
che volevi offrire a Me dalli ad Ebal, perché il suo albergo è causa per lui di
forti spese ed è buona cosa che esso sia mantenuto.
13. Sarebbe però soprattutto una cosa buona se voi romani in avvenire
voleste erigere, al posto dei molti templi agli idoli, degli alloggi per i
poveri, poiché i vostri dèi di legno, di metallo e di pietra sono figure morte,
fatte da mani umane. E voi potete giacere in ginocchio davanti ad essi per
anni, e tuttavia essi non potranno aiutarvi, perché sono morti. Se invece
mantenete i molti poveri, malati, invalidi, storpi, paralitici, ciechi e sordi
in alloggi ben attrezzati, e cercate di procurare la guarigione a tali malati,
allora l’unico, vero e vivente Dio guarderà le vostre buone opere, e per esse
vi benedirà molte volte. Ma i vostri dèi morti non vi benediranno per il bene
che fate, e non vi puniranno per il male.
14. E quando voi vi date gran pena per mantenere fermi nel vostro
Impero il diritto e l’ordine, dovete fare ricorso alla spada ed alla lancia, ma
allora siete costretti a fare, con le armi alla mano, quello che farebbe Dio
per voi, qualora Lo riconosceste ed osservaste i Suoi comandamenti».
L’esperienza
del mondo del comandante romano.
1. Dice il comandante: «Caro amico! Io riconosco molto bene che Tu dici
il vero e che dovrebbe essere così come Tu, con tutta sapienza e profondo senso
di umanità, mi hai detto, ma il mondo degli uomini è come un torrente
impetuoso, dove è molto difficile nuotare contro corrente. Chi mai vi ha
provato in qualche luogo, è stato travolto dai vortici poderosi. Una cosa
simile può essere provata e tentata soltanto in quei luoghi piccoli e
tranquilli dove il torrente non arriva con la sua furia devastatrice, ma chi
volesse gettarsi nel mezzo della corrente sarebbe perduto!
2. E così, amico mio, Ti è facile predicare la verità in una pacifica
cittadella dove la gente è malleabile e docile e non ha ancora respirato l’alito
pestilenziale dei grandi raggruppamenti di uomini del mondo sontuoso, ma va’ a
Roma od a Gerusalemme e se Tu non sei assolutamente un Dio, dovrai quanto prima
aspettarti e vedere quanto affilata è la spada dei potenti della Terra, com’è
toccato a Giovanni di Bethabara, che il re Erode ha fatto decapitare nella
prigione.
3. Vedi, questo Giovanni era certo un uomo il quale, a prescindere
assolutamente da qualsiasi mira di utile terreno e vivendo di una vita di
continue rinunce, diceva in faccia agli uomini, con eloquenza irruente, le
verità più nude e gli uomini a migliaia accoglievano la sua dottrina davvero
infiammata da uno spirito divino, facevano spontaneamente penitenza e si
convertivano al bene. Ma quando egli, saranno ora circa due lune, abbandonò
Bethabara, come mi venne raccontato e cominciò a predicare ed a battezzare al
grande Giordano, nelle vicinanze di Gerusalemme, non passarono che pochi giorni
e già gli sgherri di Erode gli furono addosso e lo gettarono in prigione, nella
quale soltanto pochi suoi discepoli, i più abbienti, poterono qualche volta
andarlo a visitare in cambio del pagamento di una certa tassa, prima della sua
decapitazione, di cui ho avuto notizia un paio di giorni fa. Adesso i suoi
discepoli certamente possono bensì, in segreto, diffondere la dottrina ricevuta
da lui fra i loro conoscenti e parenti e questi potranno a loro volta
diffonderla ai loro figli, ma, in verità, è un problema arduo quello di sapere
se entro due secoli la sua dottrina si sarà mantenuta genuina come è uscita
dalla sua bocca!
4. La nostra religione romana ha, senza alcun dubbio, l’identica
origine di quella degli ebrei; anch’essa si fonda sull’idea di un solo Essere
primordiale, al quale sono soggetti perfino tutti gli dèi, senza alcuna
distinzione. Il mito ha conferito a questo Essere diversi nomi: i greci lo
chiamano tuttora il Dio sconosciuto di tutti gli dèi, i romani lo chiamano
invece il Fato, al quale sottostà ogni altra potenza.
5. Considera un po’ l’attuale patrimonio dottrinario-religioso dei greci
e dei romani e non potrai trovarvi che un rafforzamento di storielle e di
favole quanto mai insulse e che ad un uomo ragionevole non dicono proprio
niente, tutte imbastite, qualche volta, con le briciole delle umane virtù, ma
per la maggior parte con quelle delle passioni, delle debolezze e dai vizi
umani e tutto questo viene inculcato all’umanità con la spada e con il fuoco,
come una dottrina di Dio. Ma prova a fare altrimenti, se Ti è possibile! Da
parte mia almeno non Ti verrà frapposto alcun ostacolo!
6. Ma il più bell’esempio lo hai nella Tua stessa legge mosaica. Leggi
Mosè e considera il Tempio com’è ora e poi mi dirai se hai trovato ancora un
rimasuglio della dottrina e della sapienza antiche! Si dice che Dio stesso, al
popolo radunato nel deserto presso il Mar Rosso, abbia annunciato dall’alto del
monte Sinai, tra tuoni e fulmini, le note leggi davvero salutari e che le abbia
incise su tavole di pietra, suggellando l’antico patto fra Lui e il Suo popolo;
coloro che osavano divenire dei rinnegati venivano immediatamente puniti in
tutti i modi, perfino con la morte! Ma domando io, a che cosa è servito tutto
ciò? Considera i misteri del Tempio che oramai si possono considerare
senz’altro abominevoli ed essi stessi Ti forniranno la prova più evidente dalla
loro perfetta nullità.
7. Dov’è la meravigliosa Arca dell’Alleanza, sulla quale la Divinità si
posava, sotto forma di una colonna di fuoco?
Adesso, se sei cittadino romano ed hai voglia di offrire un po’ d’oro o
argento al Tempio, potrai contemplare come arde una fiamma d’olio minerale, ma
della miracolosa Arca dell’Alleanza non si trova più traccia.
8. Dunque, la mia opinione, per quanto non autorevole, è che non
bisogna fare eccessivo calcolo di nessuna dottrina né della rivelazione divina.
Per quanto nella sua origine possa essere pura, quando è nelle mani degli
uomini viene ben presto tanto deturpata da assomigliare così poco
all’originale, come un vegliardo di cent’anni può assomigliare alla propria
immagine di quando era bambino appena nato. Il tempo e le molteplici passioni e
necessità degli uomini convertono anche il più puro nell’impuro assoluto e la
prova grande, inconfutabile a conferma di questa verità l’abbiamo nella storia
di tutti i tempi e di tutti i popoli, cosa questa che non può venire negata da
nessuno!
9. Ascolta ancora, amico mio, quantunque non mi passi affatto per la
mente di sopravalutare tanto le mie esperienze da avere l’aria di farTi da
maestro, tuttavia, ad esclusione delle Tue cognizioni certo profondissime nel
campo delle misteriose forze naturali, credo di comprendere anch’io qualcosa
nei riguardi migliori dell’umanità e perciò, da amico dell’uomo che certo sono,
come Tu stesso lo sei, io Ti consiglio di fuggire più ancora della peste più
micidiale le grandi città, dove l’umanità è già troppo corrotta fino nelle
intimissime fibre, altrimenti i Tuoi piedi, apportatori della salute, non
calcheranno per lungo tempo ancora il suolo di questa Terra!
10. Non Ti fidare dei farisei e dei sacerdoti della Tua religione e non
farTi vedere che raramente in quelle contrade, dato che Erode esercita la sua
signoria da vassallo, così Tu potrai a lungo operare a beneficio della povera
gente! Ma se non tieni conto di tutto ciò, Ti troverai ben presto a dover
condividere il duro destino di Giovanni! Infatti io sono in grado di conoscere
dalle sue radici tutto il male indescrivibile di cui sono impastati oggi gli
uomini del mondo! Togli oggi al governo di Roma la spada fuor di mano ed abroga
le leggi più severe e già domani vedrai gli uomini, nei rapporti fra loro,
ridursi peggio di un branco di tigri, orsi, lupi e iene! Gli uomini
diventeranno tanti demoni e le donne altrettante furie!».
Cenni del
Signore al comandante riguardo al Suo Essere ed alla Sua missione.
1. Dico Io: «Tu sei davvero una cara persona ed un sincero amico e
tutto quello che hai detto corrisponde purtroppo a verità, cosicché, se Io
fossi un unto della specie alla quale appartengono gli uomini della Terra,
seguirei senz’altro il tuo consiglio, perché nel tuo petto batte un cuore
onesto e virile. Ma Io invece sono tutto un altro uomo e tutto un altro essere
da quello che tu pensi! Vedi, a Me devono ubbidire tutte le potenze del Cielo e
della Terra e di conseguenza Io non ho nulla da temere! È bensì vero che la
Scrittura troverà in Me amarissimo e penosissimo adempimento, non già però
secondo la volontà di questo mondo, ma secondo la Volontà del Padre che è nel
Cielo, il Quale ora è in Me, come Io sono, dall’eternità, in Lui! Ma non perciò
il Mio potere sul Cielo e sulla Terra ne verrà minimamente diminuito! Infatti,
se Io volessi, questa Terra, assieme a tutto che in essa e su di essa è,
respira, vive e travaglia, si ridurrebbe in un attimo solo in polvere, ma, poiché
il Mio principio è conservare, allora questa cosa non avviene!
2. Può certo accadere che per l’ira, l’astio e l’invidia del Tempio, Io
venga accusato come sobillatore del popolo e come bestemmiatore di Dio e che di
conseguenza venga appeso alla croce, ma tutto ciò non tocca la Mia potenza, che
non potrà essere minimamente pregiudicata, né potrà essere di pregiudizio alla
Mia dottrina fino alla fine di questo mondo.
3. È vero che gli uomini del mondo propriamente detti con l’andare del
tempo faranno per lo più della Mia dottrina precisamente quello che gli
egiziani, i greci e i romani hanno fatto della dottrina primordiale data ad
Adamo ed ai suoi primi discendenti, però, accanto ai cultori delle diverse
forme di idolatria, molti saranno che manterranno e coltiveranno la Mia
dottrina e la Mia forza nello stesso grado di purezza, come ora escono dalla
Mia bocca e con ciò possederanno anche la potenza che per la viva fede nella
Mia parola sarà loro conferita nel tempo e nell’aldilà per l’eternità! Dunque,
pure Io sono un Signore e perciò non temo nessun altro signore, né alcuna sua
legge».
4. Dice il comandante: «Amico! Questo si chiama parlare molto in poche
parole! Dopo quello di cui hai dato prova nella nostra città, potrei quasi
credere che dovrebbe esserTi possibile quanto Tu dici, quantunque simili
guarigioni, a parte le proporzioni senza paragone più grandiose dall’opera Tua,
si siano, a quanto mi consta, già verificate qualche altra volta, perché è noto
che certi fenomeni straordinari hanno una decisa influenza tanto nella salute
fisica, quanto su quella animica dell’uomo, a seconda del suo temperamento.
Così, per esempio, è già accaduto che un grande spavento abbia ridonato a
qualche sordomuto tanto l’udito che la parola; potrei citarti un gran numero di
tali casi, ma ora me ne manca il tempo.
5. Con ciò, per altro, a tagliare corto, voglio semplicemente dirTi che
il Tuo modo di guarire, per quanto fuori dall’ordinario sia e per quanta
gratitudine doverosissima esiga da parte nostra, non può tuttavia darmi la
convinzione assoluta che perciò ogni potenza dei Cieli e del mondo non possano
assolutamente nuocerTi! Io certo non intendo contestartene la possibilità,
perché a Dio tutte le cose devono essere possibili, ma questo mi preme di
accentuare, amico mio: “C’è un grande abisso tra la possibilità e la realtà!”.
Quando avrò avuto modo di conoscerTi meglio, diverrò forse anch’io più forte
nella fede.
6. Ma ora, o carissimo amico mio, devo pregarTi di non prendertela per
le mie parole forse un po’ troppo presuntuose, perché io ho parlato così come
comprendo, non con il cuore cattivo, bensì con un cuore di certo buono! Ed ora
le mie incombenze d’ufficio mi chiamano altrove e non posso esimermi da tali
doveri; però domani sono per tutta la giornata a Tua disposizione»
7. Gli dico Io: «Se vuoi, puoi anche restare, poiché tutte le tue
incombenze sono già state sbrigate a nome tuo!»
8. Dice il comandante: «Veramente la sera è abbastanza inoltrata e se
non ci fosse chiaro di Luna, sarebbe già quasi notte. Io sarò subito di
ritorno, prima, però, ad ogni modo bisogna che faccia una capatina al campo per
vedere se le guardie notturne sono disposte in ordine».
9. Con queste parole il comandante abbandona in fretta la sala ed Ebal
si dà a tesserne l’elogio, dicendo che funzionari simili se ne potrebbe trovare
ben pochi e che Genezaret doveva stimarsi davvero fortunata di avere quale capo
militare una persona tanto buona, ricca d’esperienza, avveduta quanto mai nella
cerchia delle sue attribuzioni ed animata da un alto senso di rettitudine e di
equità!
10. Dico Io: «Certo egli è come tu dici, ma ciò a grande vergogna degli
ebrei, i quali posseggono la parola e le leggi di Dio, eppure hanno il cuore
tutto colmo di menzogna, di inganno, di litigio, di ira, di adulterio e di ogni
altra sozzura! E perciò accadrà che il Regno promesso a Davide, secondo la
predizione di Daniele, sarà tolto ai giudei e sarà dato invece ai gentili e i
discendenti del figlio di Agar signoreggeranno sui discendenti di Isacco,
quantunque in questo tempo ogni salvezza a tutta la Terra provenga dal ceppo di
Giuda»
11. Dice Ebal: «Maestro, come guaritore Tu sei migliore che come
profeta! Io, in generale, non ho mai potuto comprendere e tuttora non comprendo
la ragione per cui i profeti, senza eccezione, abbiano sempre nettamente
predetto soltanto il male e proprio mai niente di bene! È questa una cosa che
non può essere altrimenti, oppure i profeti credono di mantenere il prestigio
della loro figura misteriosa solamente così, non facendo altro che annunciare
agli uomini un castigo divino dopo l’altro?
12. Caro ed illustre Maestro, dai Tuoi discorsi io ho rilevato che Tu,
oltre ad essere un medico meraviglioso, sei pure qualcosa d’altro e cioè un
profeta pari ad uno dei quattro grandi, cosicché a Te sarebbe ben possibile
fornirmi qualche chiarimento riguardo allo strano essere dei profeti! Come ho
detto, i profeti sono sempre stati per me un enigma e perciò bramerei di
apprendere da Te qualche cosa di più preciso sul loro conto!».
I rapporti di
un profeta con Dio e con gli uomini.
1. Gli dico Io: «Un profeta è precisamente un uomo del tutto semplice e
naturale ed afflitto da ogni genere di debolezze, come lo sei tu, ma siccome ha
un cuore che comprende, nel quale né l’ira, né la vendetta, né l’invidia, né la
superbia né l’adulterio o altre svariate forme di lussuria giungono a mettere
salde radici, avviene che lo Spirito divino monda il suo cuore dalle multiformi
scorie del mondo e quando questo cuore è così purificato, Dio vi riversa una
Luce dai Cieli.
2. Ora, poiché il profeta facilmente riconosce che una tal Luce è una
Luce dai Cieli, la quale si manifesta sempre in parole chiaramente
percettibili, egli allora, ormai perfetto profeta, può enunciare esteriormente,
per mezzo della voce della sua bocca, quello che in cuor suo sente in maniera
precisa ed egli allora profetizza già a completa misura di profeta!
3. E quando la necessità si presenta, Dio incita la volontà del profeta
a parlare e ad operare dinanzi al popolo, secondo quello che egli percepisce
sempre nel proprio cuore e questa è allora una profezia o una predizione del
tutto vera e genuina ed ha perfettamente il valore della parola divina pura, come
se fosse stata annunciata direttamente agli uomini dalla bocca stessa di Dio.
4. Ma non perciò un simile profeta è dinanzi a Dio qualcosa di maggiore
di qualunque altro uomo a cui questo dono manca del tutto, perché il profeta deve
poi di suo proprio ed in modo assolutamente spontaneo voler fare pure lui
quello che lo Spirito di Dio ha manifestato agli uomini per mezzo del suo cuore
e della sua bocca; in caso contrario il giudizio viene anche su di lui
precisamente così come viene su qualsiasi altro uomo, il quale intende sì la
Volontà di Dio, ma conformemente non vi si attiene, e allora il profeta viene a
trovarsi in condizioni peggiori di coloro che non sono profeti. Se un altro
uomo, nella debolezza e nelle tenebre della propria anima, difficilmente crede
a ciò che il profeta gli annuncia, egli avrà a sottostare ad un più mite
giudizio, per non aver voluto credere a quello che il profeta gli ha detto, ma
per il profeta non c’è alcuna scusa, come non c’è per colui che gli ha creduto,
ma tuttavia per amore del mondo e dei suoi tesori non ha fatto come il profeta
gli aveva ingiunto di fare.
5. Però anche il premio di un profeta sarà un giorno più grande di
quello di un altro uomo, poiché un profeta deve sempre portare un carico sette
volte maggiore in confronto a qualsiasi altro uomo preso a sé. Tutti coloro ai
quali un profeta avrà parlato, tanto i buoni che i perversi, gli saranno
nell’aldilà consegnati ed egli nel Mio Nome li giudicherà riguardo a ciascuna
parola che egli avrà annunciato invano!
6. Ma chi nel Mio Nome ed in nome del profeta stesso accoglie un vero
profeta ed ha cura di lui e gli è amico, costui un giorno riceverà anche premio
di profeta e chi soccorre ed aiuta un profeta, così da rendergli meno grave il
suo duro lavoro, costui ne avrà pure il premio di profeta. Infatti nell’aldilà
i servitori del profeta saranno posti nello stesso gradino accanto al profeta e
di conseguenza egli giudicherà pure gli spiriti soggetti al profeta e
signoreggerà su di loro in eterno e il suo regno non avrà mai fine!
7. Guai a coloro però che abbandonano un profeta a causa del mondo e lo
sospettano per questo o quello che ha detto o fatto! E ancora più guai a coloro
che perseguitano un profeta, perché costoro difficilmente in eterno vedranno il
volto di Dio! Perciò, chi mette le mani su un profeta, sia punito con il fuoco
eterno nell’inferno più profondo! Infatti il cuore di un profeta è il cuore di
Dio, e la bocca del profeta è la bocca di Dio, e così pure le sue mani, i suoi
piedi, i suoi occhi e i suoi orecchi! Dove c’è un profeta, là c’è anche Dio, e
perciò voi dovete varcare con reverenza profonda la soglia della sua dimora,
poiché il luogo dove egli sta è santo. Tutto ciò è bene che venga osservato nel
cuore, non già a causa del profeta, il quale non è che un uomo, ma a causa di
Dio, il Quale dimora nel cuore del profeta ed in esso parla e rende
testimonianza.
8. Che però un vero profeta sia per il mondo soltanto un annunciatore
di continui giudizi, si spiega semplicissimamente con il fatto che Dio suscita
un profeta soltanto quando l’umanità si è dimenticata di Dio e si è immersa
nella palude di ogni vizio del mondo!
9. Ed ora, o Ebal, dimMi se sei in chiaro circa l’essenza del vero
profeta!»
10. Dice Ebal: «Perfettamente, o insigne Maestro mio! Ma Tu stesso sei
pure un profeta?».
11. Ed Io gli rispondo: «No, Io non sono profeta, poiché sta scritto
che dalla Galilea non sorgerà mai alcun profeta! Ma Io sono di più di un
profeta! Infatti nel Mio petto dimora appunto quello stesso Spirito il Quale
per bocca dei profeti ha parlato e d’ora innanzi di più parlerà ancora. E in
avvenire coloro che con sicura e seria fede porteranno il Mio Nome nel loro
cuore in quei tali sarà anche insito lo Spirito profetico! Comprendi questa
cosa?»
12. Dice Ebal: «Signore e Maestro! Io ho certo l’impressione che così
come Tu parli non può parlare nessun uomo comune! In Te si cela qualcun Altro,
che il Tuo mantello e la Tua epidermide non ci consentono di vedere!».
I profeti
quali inviati di Dio e il divario tra la loro essenza e quella del Signore.
1. Mentre Ebal, nella cui mente cominciava a farsi una nuova luce, è
ancora intento a mettere ordine nelle sue impressioni ed idee, ecco capitare di
ritorno il comandante, il quale, tutto lieto e meravigliato, racconta come egli
aveva trovato ogni cosa in perfetto ordine e come i suoi ufficiali subalterni
erano rimasti stupiti di vederlo per la seconda volta, secondo quanto essi
avevano detto, nonché di sentirsi domandare se tutto fosse in ordine,
considerato che una mezz’ora prima egli stesso era stato lì per prendere le
disposizioni opportune e per impartire gli ordini! Egli però si era tolto
dall’imbarazzo dicendo che aveva voluto fare un’altra ispezione, per
convincersi dell’esecuzione perfetta dei suoi ordini. Con ciò tutti erano
rimasti soddisfatti, e non vennero più fatte altre domande.
2. Finito che ebbe il suo racconto, punto da grande curiosità per la
stranezza del fatto, egli Mi chiese chi poteva essere stato quel suo secondo
io, il quale aveva compiuto il lavoro al posto suo in maniera tanto lodevole!
3. Ed Io gli rispondo: «Ti ho pure detto prima che tutte le potenze dei
cieli e tutte le energie della Terra sono ad ogni istante pronte ai Miei
comandi! Tu però non potesti crederlo, ma ora sperabilmente crederai che Io non
ho mai da temere in eterno la morte e che anch’Io sono un Signore il Quale ha
qualche cosa da dire e da comandare!»
4. Risponde il comandante: «Signore e Maestro! Tu devi essere un Dio e
la nostra teoria romana degli dèi non mi appare più tanto favolosa come prima,
perché adesso io trovo in Te la prova più perfetta e vivente che ogni tanto un
qualche Dio ha pur lasciato il Suo Cielo e per qualche tempo, ora in un modo,
ora nell’altro, Si è rivelato ai Suoi figli e li ha arricchiti con ogni tipo di
tesori spirituali e terreni affinché i mortali coltivassero la Terra,
altrimenti desolata, così da poter essere resa atta ad offrire dimora anche
agli dèi immortali! Ho ragione o no?»
5. Dico Io: «Questo che hai detto non è che un vano prodotto della
fantasia, che si ammanta bensì di una certa veste poetica strettamente pagana,
ma che non ha in sé nemmeno un barlume di qualche verità nel senso in cui tu
comprendi la cosa.
6. Oh, se con la parola “Terra” tu volessi intendere le cognizioni e la
volontà degli uomini, allora potresti aver ragione almeno in un modo ben
corrispondente alla verità, ma le divinità, che non sono niente e non sono in
nessun luogo, non hanno mai calcato la Terra in nessun luogo. Quegli uomini –
attraverso la cui bocca lo Spirito di Dio ha parlato agli uomini della Terra e
per mezzo della cui volontà molto spesso furono compiuti svariati miracoli –
non sono dèi, ma profeti, dunque in sé e per sé dei semplici uomini come te e
sono anche morti secondo la carne, certamente non però secondo l’anima e lo
spirito.
7. Ma ora questo Spirito di Dio, per la prima volta, fa in Me la Sua
apparizione esteriormente visibile su questa Terra! E questo è lo stesso
Spirito del Quale tutti i patriarchi, tutti gli antichi saggi e tutti i profeti
hanno ben spesso vaticinato nelle loro chiare visioni!»
8. Mentre Io rivelavo tali cose al comandante attonito, un servitore
della casa entrò ed avvertì che fuori all’aperto c’era già di nuovo radunata
una quantità di altri ammalati, i quali attendevano con ansia e chiese se Io
volessi aiutarli.
9. Ed Io dissi al servitore: «Ebbene, va’ allora fuori e dì loro che
facciano in pace ritorno alla loro patria!».
10. Ed il servitore uscì in fretta e non fu poca la sua sorpresa,
quando scorse tutti coloro che prima si lamentavano ed imploravano davanti alla
porta di casa muoversi allegri e sani fra grandi esclamazioni di gioia e
rendimenti di grazie e di lode a Dio! Solo dopo qualche tempo egli poté
annunciare ai guariti quello che Io gli avevo detto ed essi si ritirarono
subito, dirigendosi nella loro patria.
11. Di questo fatto in casa si fece un gran parlare per due buone ore,
però i particolari della conversazione possono qui venir omessi, essendo stati,
nello spirito, del tutto simili a quelli dei discorsi seguiti al precedente
atto di guarigione. Nel frattempo noi ci ristorammo con del pane e del vino e
poi ci ritirammo a riposare.
Il prato
benedetto. La passeggiata sul mare.
1. Il giorno seguente, già di buon mattino, lo spazio davanti alla casa
si trovò nuovamente tutto occupato da ogni genere di infermi.
2. Ed Ebal venne a Me e Mi pregò che Io volessi aiutarli, perché essi
si accalcavano già così presso la porta di casa che nessuno avrebbe potuto né
entrare né uscire. Egli aveva già scorto a qualche distanza il comandante, che
tentava di farsi largo per entrare, ma la calca degli ammalati fittamente
stipati glielo impediva!
3. Allora Io Mi recai nel vestibolo, levai le mani Mie sopra agli
infermi e tutti, in un istante, furono risanati e proruppero in esclamazioni di
giubilo, glorificando e lodando Dio nell’alto dei Cieli, che aveva concesso
all’uomo tale potenza. (Matt.14, 35).
4. Io, però, imposi loro di tacere, di ritornare alle loro case e di
evitare per il futuro il peccato! E tutti subito ubbidirono e si ritirarono.
5. Poi dissi ad Ebal: «Se durante la giornata venissero ancora molti in
cerca di aiuto, che non si accampino sulla strada, bensì sul vasto prato oltre
la strada e là troveranno la salute; ma coloro che si fermeranno sulla strada,
non saranno soccorsi!». Io benedii poi il prato, affinché chiunque fosse
ammalato e vi posasse il piede venisse subito risanato.
6. Ed infatti quel giorno da tutte le città, le borgate e i villaggi
vennero parecchie centinaia d’infermi e non ce ne fu uno solo che non
riacquistasse la salute.
7. I due esseni passavano di meraviglia in meraviglia ed i pochi
farisei e scribi sentivano d’ora in ora crescere l’ira da cui venivano
divorati, vedendo che tutta la loro considerazione diminuiva di ora in ora,
fino a ridursi a niente, perché nessuno si curava più di loro ed i domestici di
Ebal fecero perfino intendere loro a più riprese che la loro presenza in casa
era completamente superflua e che sarebbe stato opportuno che ritornassero a
Gerusalemme. Però essi non vollero accettare tale consiglio e così rimasero.
8. Dopo un po’ di tempo uno dei farisei Mi si avvicinò, per chiederMi
se quel prato avrebbe conservato anche in seguito il suo potere salutare.
9. Ed Io risposi: «Soltanto per la giornata di oggi, fino al tramonto!»
10.Osserva allora il fariseo: «Perché non per sempre?»
11. Ed Io: «Perché vi sono certi uomini i quali anche troppo presto
circonderebbero d’alte siepi e mura un simile prato e poi chiederebbero molto
oro e molto argento a chi venisse per essere guarito, ma, siccome Io non voglio
questo, così il prato manterrà la sua virtù fino a stasera, per il tempo cioè
in cui la ressa degl’infermi sarà troppo grande. Domani, che ne verranno pochi
per essere guariti, lasceremo che operi la sola fede per dare loro soccorso!»
12. A questa dichiarazione gli interroganti, pieni di livore, Mi
voltarono le spalle e non Mi domandarono più niente durante tutta la giornata,
in compenso con tanto maggior zelo si occupavano di Me i due esseni.
13. Il comandante per questo fatto era già alquanto arrabbiato contro
gli esseni ed avrebbe molto volentieri detto loro che avevano già abbastanza
discusso con Me, tuttavia per amor Mio si fece forza e si trattenne.
14. Io però, al pomeriggio, indirizzai i due a Matteo ed ai Miei altri
discepoli, fra i quali essi ben presto trovarono Bartolomeo ed essi ne furono
particolarmente lieti, avendo ritrovato in lui un antico loro compagno. E fra i
due ed i discepoli vi fu, fino alla mezzanotte, un grande discorrere riguardo
alla Mia dottrina, alle Mie opere ed alla Mia Essenza divina.
15. Ma durante il pomeriggio Io feci, assieme al comandante, ad Ebal e
la sua famiglia, una grande escursione al mare, dove gli otto barcaioli erano
di tutta lena intenti a riparare la loro navicella, perché qua e là era
alquanto malconcia. E quando fummo giunti da loro, ci accolsero con grande
letizia e narrarono fra l’altro al comandante come Io avessi camminato
sull’acqua durante la tempesta, poiché questo fenomeno non poteva cancellarsi
dalla memoria e dall’animo degli otto.
16. E quando il comandante ebbe udito questo, Mi domandò come ciò fosse
stato possibile!
17. Ed Io gli risposi: «Te l’ho già detto ieri quali forze sono a Me
soggette e come esse devono obbedirMi; come dunque puoi tu ancora domandare?
Del resto se ti fidi di posare i tuoi piedi sull’acqua ed Io lo voglio, vi
potrai passeggiare sopra anche tu, a tuo gradimento, finché Io vorrò! Se a voi
tutti piace la cosa, possiamo fare subito l’esperimento! Però, voi dovete
bandire ogni dubbio dal vostro animo ed ora seguiteMi con fermezza e
coraggio!».
18. Dice il comandante: «Andrebbe tutto bene, se almeno qui a riva il
mare non fosse tanto profondo! Ma il terreno invece si inabissa immediatamente
in linea perpendicolare, a profondità che quasi non si possono misurare! E se a
qualcuno, per combinazione, riesce male il primo passo, c’è il pericolo che
vada a finire lì sotto dove hanno dimorano i grandi tritoni e salamandre!»
19. Gli dico Io: «Oh uomo di poca fede, credi forse che Io Mi
azzarderei a fare il temerario, se non sapessi Chi Io sono e quante cose devono
essere soggette alla Mia Volontà? Chi di voi ha coraggio e fede, Mi segua!».
20. Detto ciò, Io salii sulla superficie del mare e l’acqua Mi sostenne
come fosse stata terreno solido. Così Mi allontanai di dieci passi dalla riva,
Mi volsi ed invitai la compagnia a venire da Me, ma nessuno si fidava.
21. Allora chiamai la più giovane delle figlie di Ebal, che aveva
dodici anni e la fanciulla si fece coraggio e posò da principio un piede solo
sull’acqua, con molta prudenza, ma poi, convintasi che l’acqua non cedeva, anzi
offriva resistenza come il terreno, cominciò subito, allegra e vivace, a
saltellare fino a che Mi ebbe raggiunto e la sua gioia fu grande, vedendo che
l’acqua la sosteneva.
22. Dopo la fanciulla, anche gli altri provarono, eccezion fatta per il
comandante, e tutti si trovarono ottimamente sulla superficie dell’acqua che
certamente in quel momento era tranquillissima.
23. Allora il comandante, al colmo della meraviglia, ma tuttavia già
alquanto incoraggiato, Mi domandò: «E come andrebbe, se scoppiasse un
temporale?».
24. Gli dico Io: «Vieni e persuaditi!».
25. Finalmente anch’egli decise di tentare l’avventura e posò un piede
sull’acqua ed essendosi persuaso che questa non cedeva, con molte cautele vi
mise su anche il secondo, poi, cercando di farsi leggero con il trattenere
perfino il respiro, fece dieci passi fino a Me e fu quanto mai felice di
trovarMisi accanto su quel suolo che prima d’allora non era stato calcato in
quella maniera.
26. Io però dissi: «Orsù, poiché siete convinti che per chi crede
fermamente anche l’acqua può divenire un terreno solido, proseguiamo la nostra
passeggiata!».
27. Il comandante avrebbe preferito veramente ritornare sulla riva, che
sapeva essere sempre più solida, ma le sei vispe figlie di Ebal, con il loro
allegro scorrazzare di qua e di là, gli infusero tanto coraggio che venne
anch’egli con noi inoltrandosi per cinquemila passi buoni fuori in alto mare.
28. In quel mentre si levò un vento abbastanza forte che cominciò a
sollevare delle onde. Tutti allora ne furono intimoriti, chi più chi meno, e il
comandante Mi pregò che Io volessi ritornare a riva.
29. Però Io gli dissi: «Non temere. Le onde sono venute solamente per
provarti che anch’esse, assieme al vento che le spinge, devono obbedire a Me!».
30. Ma dopo un po’, quando le onde accennarono sempre più a rinforzare,
il comandante si volse, si mise a correre a perdifiato, raggiunse ben presto
senza incidenti la riva e dopo qualche energico e febbrile scuotimento del
corpo fu soddisfatto di trovarsi nuovamente sotto i piedi un terreno solido e
non trasparente. Noi pure poi non tardammo a ritornare a terra e raggiungemmo
lo stupefatto comandante.
1. Ed il comandante allora confessò: «Signore, ormai io ho prove a
profusione che Tu sei o l’altissimo Dio in persona od un Suo Figlio, poiché
quello che Tu fai, non lo può fare nessun mortale!».
2. E tutti si prostrarono dinanzi a Me e volevano adorarMi.
3. Ma Io dissi loro di alzarsi ed aggiunsi: «Ascoltate! Tutto ciò Dio
non lo chiede, né lo chiedo Io; la vera preghiera invece consiste nel puro e
sincero amore a Dio, il Padre che è nei Cieli e nello stesso amore per i vostri
simili che sono il vostro prossimo. Ogni altra preghiera non ha alcun valore,
né dinanzi a Dio né dinanzi a Me.
4. Dio non ha mai insegnato agli uomini di onorarLo con le labbra,
mantenendo gelidi i cuori. Ma, poiché un Samuele e molti altri profeti hanno
fatto orazione a voce alta davanti al popolo e poiché Davide ha intonato i suoi
salmi e Salomone il suo cantico al Signore, anche il popolo fu indotto alla
vana preghiera delle labbra ed al freddo sacrificio.
5. Però una simile preghiera ed un tale sacrificio sono dinanzi a Dio
un vero abominio, così colui che non è capace di pregare con il cuore, costui
allora non preghi affatto, per evitare un atteggiamento sconveniente. Dio non
ha dato all’uomo i piedi, le mani, gli orecchi e le labbra perché ne faccia
degli strumenti di vuote e vane preghiere, ma Egli ha donato all’uomo solo il
cuore per la preghiera.
6. Ciononostante l’uomo può pregare anche con i piedi, con le mani, con
gli occhi, gli orecchi e con la labbra: con i piedi può farlo, quando va
visitare i poveri, per portare loro aiuto e conforto; con le mani, quando le
usa a soccorrere i sofferenti ed i bisognosi; con gli occhi, quando guarda
pietosamente e volentieri ai poveri; con gli orecchi, quando egli ascolta di
buon grado e con fattiva volontà la Parola di Dio e non li chiude alle
suppliche dei poveri e miseri, ed infine con le labbra quando non sdegna di
dare parole di consolazione alle vedove ed agli orfani e di intervenire, nella
misura delle proprie forze, a favore dei prigionieri i quali, quando sono
poveri, sono spesso trattenuti anche se sono innocenti, affinché venga ridata
loro la libertà.
7. E così pure l’uomo prega con le labbra, quando istruisce il suo
prossimo su cose che esso ignora e gli insegna cose utili, quando lo illumina
sulla vera fede e lo avvia al giusto riconoscimento di Dio e quando lo incita a
praticare le virtù. Tutto ciò è certo pure una preghiera quanto mai gradita a
Dio.
8. Ma se voi ora sapete questo e agite a seconda di quel che sapete, le
benedizioni di Dio non vi mancheranno mai più! Infatti questo veramente si
chiama adorare Dio in spirito ed in ogni verità.
9. Certamente sta scritto che l’uomo deve incessantemente pregare, per
non cadere in tentazione. Ma non sarebbe forse una cosa sciocca e del tutto
pazza da parte di Dio se Egli intendesse esigere dall’uomo un’incessante
preghiera dalle sue labbra? In tal caso gli uomini, per rendersi graditi a Dio,
dovrebbero, giorno e notte, senza interruzione, starsene ginocchioni,
biascicando senza posa, come gli uccelli nell’aria, preghiere vuote, morte e
senza senso, prive di sentimento? Ma quando potrebbero costoro allora fare uno
dei tanti lavori necessari alla vita? Se voi, invece, fate uso delle mani, dei
piedi, degli occhi, delle orecchie e delle labbra per essere incessantemente
attivi, come prima vi ho detto, e coltivate nei vostri cuori del continuo
l’amore a Dio ed ai poveri vostri simili, voi, così facendo, innalzate
un’ininterrotta, vera ed effettiva preghiera a Dio la quale è davvero quanto
mai gradita al Suo cuore ed Egli vi sarà perciò anche sempre largo di
benedizione ed un giorno nell’aldilà vi farà partecipi di una vita di immenso
gaudio che non avrà mai fine. Avete voi ben compreso tutto ciò?»
10. Rispondono tutti: «Sì, o Signore e Maestro! Tutto ciò è vero e
chiaro come la luce del Sole! E noi faremo come ci hai detto, Tu, o Signore!»
11. Dico Io allora: «Sta bene, Miei cari amici e adesso facciamo
ritorno in città».
12. Gli otto rematori dissero a Ebal che alcuni di loro dovevano andare
con lui e che egli desse loro pane, vino, pesce e frutta per il loro
sostentamento. Allora sei di loro si misero in cammino, seguendo la compagnia
ed Ebal poi diede loro le provviste promesse in grande abbondanza.
Ordinamenti domestici
e amore.
1. Quando noi fummo arrivati a casa, i figli di Ebal avrebbero voluto
pur essi restarsene in Mia compagnia.
2. Ebal però, il quale in fatto di ordinamenti domestici era molto
severo, rimproverò specialmente le fanciulle e le due mogli e disse: «Ora voi
avete visto, inteso ed appreso abbastanza; fatene tesoro e mettete in pratica
gli insegnamenti avuti e la benedizione non mancherà neppure a voi, come il
Signore stesso ha annunciato poco fa. Ma adesso andate e ritornate al vostro
lavoro!».
3. Le fanciulle e le due mogli allora si congedarono mestamente e si
ritirarono nelle loro stanze, che erano numerose nella casa di Ebal, essendo
questa la maggiore di tutta Genezaret.
4. Ma Io subito dopo osservai ad Ebal: «Amico Mio, perché poi le hai
mandate via? Vedi, buona cosa è il mantenere una sana e severa disciplina in
casa propria, con riguardo ai figli ed è pure lodevole preservare le fanciulle
dai contatti con il mondo, però, Mio caro, qui, dove Io sono, non c’è alcun
mondo che minaccia pericoli, bensì un Cielo stillante perpetua benedizione;
questo non devi negarlo ai tuoi figlioletti!»
5. E quando Ebal ebbe inteso queste Mie parole, esclamò: «Oh, se non Ti
danno fastidio, io li faccio richiamare qui senza indugio! Tu sai che i miei
figlioli sono piuttosto curiosi e chiacchierano volentieri ed io li ho fatti
allontanare appunto perché non Ti importunino»
6. Ed Io gli dico: «Cosa c’è al mondo che possa riuscirMi molesto ed
importuno all’infuori della grande malvagità degli uomini? Va’ dunque e
riconducili tutti qui!».
7. Ebal subito si mosse e fu in breve di ritorno con tutti i congedati
e la ragazzina più giovane si precipitò verso di Me e cominciò ad accarezzarMi
e a stringerMi al cuore!
8. Ma Ebal la rimproverò, osservando che tale cosa non era conforme
alle regole della convenienza!
9. Io però gli dissi: «Amico, lasciale pure quello che essa si è presa,
perché si è già scelta la parte assolutamente migliore! Anzi, Io dico a te ed a
voi tutti: “Chi non viene a Me com’è venuta questa fanciulletta, costui non
troverà la via che conduce al Regno di Dio!”. Ma questa qui la via l’ha già
trovata! Con l’amore più ardente voi dovete venire a Me, se volete aver parte
alla vita eterna!
10. Questa fanciulletta mostra con i fatti ciò che lei sente nel cuore;
voi invece fate assennati discorsi e mantenete freddo il vostro cuore! Non
balena ancora alla vostra mente nessuna idea riguardo a Chi potrei essere Io e
anche in effetti sono?»
11. Tutti allora si prostrarono a terra ed Ebal, afferrati i Miei
piedi, li ricopre di baci e tutto confuso e compreso di profonda venerazione e
rispetto esclamò: «Signore! L’anima mia me lo diceva già da lungo tempo, ma mi
è mancato il coraggio di confessarlo!»
12. Allora Io gli dico: «Ebbene, perciò non punire la tua figlioletta
che ha infuso in tutti voi il coraggio di seguirMi sull’acqua! Ora, però, essa
nuovamente vi ha insegnato un altro coraggio: Quello di amarMi. Oh, ma questa
fanciulletta perciò Mi è anche cara oltre ogni dire. Ella già possiede quello
che voi dovete ancora cercare e che così presto non troverete, esercitatevi
dunque con tutto fervore nell’amore vivente a Dio ed al prossimo, così la
grazia e la benedizione abbonderanno per voi»
13. Dice il comandante: «Signore! Ad eccezione di mia moglie e dei miei
figli, che dimorano a Roma, io non ho finora mai provato veramente amore per
nessuno; tuttavia ho sempre agito secondo diritto e giustizia. Io non ho mai
applicato la legge con severità, bensì con mitezza e mi sono sempre trovato
bene. Ma ora sento che si possono amare gli uomini e che per amore si può far
loro del bene, vale a dire si può volere spontaneamente che, nel limite delle
proprie forze e possibilità, sia fatto e dato agli uomini quello che si
riconosce come giusto e necessario per sé e questo è l’amore verso il prossimo.
14. Ora, se in tale maniera si ama il prossimo, con ciò si ama
contemporaneamente anche Dio. Se si riflette poi, nell’ambito dell’amore verso
Dio, che Dio stesso deve essere il primo e più perfetto Amore, per il quale
Amore soltanto Egli ha creato il mondo sensibile e quello spirituale, questo
chiaro pensiero deve necessariamente suscitare nell’uomo creato il più intenso
amore verso Dio il Creatore e l’uomo allora non può più fare a meno di amare
sopra ogni cosa e con tutte le proprie forze che lo animano il Dio che è
l’amorosissimo Creatore di tutte le cose!
15. Così, dunque, poiché dopo tutto quello che in questi due giorni io
ho visto ed udito da Te, devo senza esitazione alcuna ammettere che Tu sei o il
Primo Creatore stesso o certissimamente il Suo Figlio dall’eternità e che Ti
mostri a noi qui sulla Terra nella nostra forma, per insegnarci a riconoscere
Te e Dio; ne consegue certamente che anch’io devo amarTi sopra ogni cosa. E se
anche non ho il coraggio di dimostrarTelo esteriormente con il fervore di
questa davvero soavissima fanciulletta, pure in cuore mio io Ti abbraccio
teneramente e Ti glorifico sopra ogni cosa! Ora, penso che così sia pure ben
fatto!».
16. Dico Io: «Così è bene senz’altro, però miglior cosa è quando
l’amore divampa come in questa fanciulla! Guardatela e dite se il suo amore per
Me non è come una bianca fiamma ardentissima!».
La giusta lode
e i pericoli della lode stessa.
1. Esclama la sorella più anziana, la quale cominciava a sentire un po’
il morso della gelosia: «Giara è stata sempre una innamoratissima per natura e
si accende facilmente per qualunque motivo. Quale meraviglia, dunque, che si
sia innamorata perdutamente di un uomo tanto bello come sei Tu? Questa non è
davvero un’arte tanto difficile! Anch’io lo potrei, ma a cosa mi gioverebbe
ormai, visto che la piccola Giara Ti ha preso tutto per sé?»
2. Ma Io le dico: «O gelosa sorella, ascolta: se tu avessi mai avuto un
qualche vero amore nel tuo cuore, non avresti parlato così! Infatti nel tuo
cuore viziato non ha finora potuto sorgere un amore vero e proprio, e allora tu
non puoi fare a meno di parlare appunto così come ora hai fatto!
3. Vedi, Giara ama, ma non chiede affatto se è riamata! Amico e nemico,
per lei è tutt’uno. Lei è immensamente felice già solo perché può abbracciare
tutto con il suo amore; però di pensare se è amata a sua volta, non le è venuto
mai in mente! Lei ama te e tutte le tue sorelle ed i fratelli, come pure i suoi
genitori, molto di più di quanto l’amiate tutti voi presi assieme! Nel vostro
cuore lei sta all’ultimo posto; questo però non ha mai avuto nessuna influenza
sul suo grande amore per voi! Vedi, questo si chiama veramente amare!
4. Quando tu ami, vuoi essere riamata dieci volte di più! E se l’amore
non ti viene corrisposto in questa misura, il tuo cuore, in cui domina l’amore
di te stessa, si riempie di sospetti e di tristezze!
5. Guarda invece la buona Giara, se lei ha mai avuto ancora una
qualsiasi pretesa di venire corrisposta dell’amore che lei dona! Ma questo è
anche il motivo per cui le è concesso ora di amarMi, secondo tutto l’ardore di
cui è capace il suo cuore! Infatti solo per amor suo Io sono venuto qui e per
amor suo Io dimorerò ancora qualche giorno presso di voi e così è merito di
questa figlioletta se Io sono venuto ed ho guarito i vostri ammalati e quelli
di tutto il paese e se ancora parecchi ne guarirò nei prossimi giorni.
6. Infatti là dove Io vengo, cerco sempre quello che è il più umiliato
e il più oppresso! Ma invece, tutto quello che è grande ed illustre agli occhi
del mondo, è un abominio dinanzi a Dio! Dunque, procurate di diventare così
com’è la buona Giara e voi vi troverete allora appunto così vicini a Me come
ella lo è ora, umanamente e spiritualmente nel tempo adesso e un giorno per
l’eternità.
7. E se voi volete lodare qualcuno, lodate colui che veramente merita
una lode! Ma se nel lodato si desta la vanità a causa della lode, non lodatelo
più, poiché la vanità è la semente da cui germoglia l’orgoglio e questo è lo
spirito di Satana»
8. Dice Ebal: «Ma Signore, se Tu innalzi la mia Giara tanto al di sopra
delle sue sorelle, non c’è da temere che appunto la vanità si desti in lei?»
9. Ed Io gli rispondo: «Oh, non darti alcun pensiero per questo! Quando
qualcuno Mi tiene così abbracciato, di certo ogni vanità è lontana in eterno da
lui! Giara, dimMi se tu ti consideri qualcosa di meglio di tutte le tue sorelle
e fratelli, per il fatto che ora Mi sei così esclusivamente cara!»
10. Giara risponde timidamente e con tutta modestia: «O Signore! O solo
amore mio! La cosa non dipende da me e neppure le mie sorelle hanno colpa, io
però vorrei che le mie cinque sorelle Ti fossero ancora più care di me, perché
esse sono molto più belle e più brave di me. A me hanno sempre detto che sono
brutta e sciocchina, ma me lo sono anche meritata, perché certo non sono bella
come loro e, bisogna pur dirlo, che sono anche un po’ sciocca. Ma sono ancora
giovane e quando avrò l’età che esse hanno ora, sarò bene anch’io giudiziosa!
11. Oh, io non permetto che vengano usati dei torti alle mie care
sorelle, perché esse m’insegnano molte cose utili e tutte mi vogliono bene
assai ed anch’io poi le amo con tutte le forze dell’anima mia. Signore! Bisogna
che Tu sia buono anche con loro! Infatti, vedi, mi fa subito male al cuore,
quando vedo sminuite in qualche cosa le mie buone sorelle, allora io vorrei
poter dare ogni cosa pur di vederle contente ed allegre.
12. Io soffro molto, quando vedo qualcuno triste od infelice, vorrei
piuttosto prendere su di me ogni tristezza ed ogni sciagura, se con ciò fosse
possibile ridonare contentezza e letizia a tutti gli afflitti e agli infelici!
Perciò, o mio adorato Signore Gesù, sii verso le mie sorelle buono come lo sei
con me, perché esse se lo meritano!»
13. Dico Io: «Oh, a te, Mia diletta Giara, non posso certo rifiutare
nulla. Ma le tue sorelle vedono ora molto bene il perché tu Mi sei tanto
particolarmente cara e quando esse ti rassomiglieranno perfettamente nei loro
cuori, allora Io le amerò anche quanto amo te, di questo puoi essere
certissima!
14. Infatti, vedi, come tu non puoi vedere nessun infelice e nessun afflitto
senza che sorga in te il desiderio vivo di aiutarlo, precisamente così,
soltanto in misura molto più grande, un simile desiderio è sempre anche in Me
congiunto alla ferma volontà di aiutare ciascun uomo nel tempo e per
l’eternità!
15. Cercare il perduto, guarire ciò che è ammalato e redimere tutto
quello che è prigioniero, questo è il Mio sentimento, la Mia intenzione ed il
Mio volere, ma tuttavia è necessario che in ciascun uomo venga lasciata la
propria liberissima volontà, la quale è assolutamente intangibile! DimMi
adesso, Giara, Mia dilettissima, se ti piacciono le Mie intenzioni!».
Giara sulle
sue esperienze nella preghiera.
1. Risponde Giara: «Oh! Come non dovrebbero piacermi? Anch’io vorrei
fare così, se lo potessi! Ma a cosa mi giova la mia buona volontà, quando le
mie forze non mi permettono sempre di portare aiuto? Se si tratta di piccole
cose soltanto, allora sì che posso pregare i miei genitori perché vengano in
soccorso dei poverelli e finora sono stata quasi sempre esaudita; certo qualche
volta mi hanno anche un po’ sgridata, perché pare che io abbia un cuore un po’
troppo scioccamente tenero, ma io non me ne sono mai offesa, purché il povero
ricevesse qualche aiuto.
2. Invece con la preghiera a Dio, il Signore onnipotente, non mi è
andata sempre così bene, perché io ho pregato anche spesso e quando già credevo
che Dio mi avesse certamente esaudita ed andavo a vedere il risultato della mia
ingenua preghiera, ecco, non trovavo niente ancora! Il vecchio male non era
ancora scomparso.
3. Allora io ritornavo da mio padre e gli domandavo perché Dio,
l’Onnipotente, fosse talvolta così duro d’orecchio!
4. Ed egli mi diceva sempre: “Dio sa perché manda a questo e a quello
una sofferenza più lunga per la salvezza della sua anima e misura molto bene
all’uno e all’altro il tempo della penitenza, ed in questo caso nessuna
preghiera ha un particolare valore, a meno che un simile peccatore non si
converta del tutto prima del tempo previsto!”. E queste considerazioni mi
rendevano di nuovo tranquilla, ma non perciò io smisi di pregare per i poveri.
5. Ma più di una volta l’Onnipotente grande e buono mi ha esaudita
anche molto presto e questa è stata sempre la gioia più grande per me! Infatti
a questo mondo per un cuore compassionevole non vi è certo felicità maggiore
del sapere che il buon Dio ascolta la preghiera anche di una fanciulletta, per
quanto piccola sia!
6. E che Tu, o Signore, sei venuto qui da noi, mi pare che questo sia
quasi anch’esso l’esaudimento delle preghiere da me rivolte al grande Dio!
Infatti noi tutti avevamo inteso, da molti che venivano qui, come a Nazaret e
nei dintorni di quella città un certo falegname di Nome Gesù andasse operando
guarigioni più che straordinarie, addirittura inaudite! Perfino i morti erano
restituiti alla vita, i ciechi vedevano, i sordi riacquistavano l’udito ed i
muti la parola, gli zoppi e gli storpi camminavano nuovamente diritti, in una
parola non c’era una malattia che Egli non guarisse all’istante!
7. Da principio noi ritenemmo trattarsi di favole, ma quando sempre
nuovamente altra gente venne raccontandoci tante meraviglie e fra tanti anche
taluni che erano essi stessi stati guariti da Gesù, allora cominciammo a
credere che la cosa stesse proprio così!
8. A quel punto fui presa anche da un prepotente amore per quest’Uomo,
Cui erano possibili tali e tante cose; allora mi misi a pregare il buon Dio
giornalmente con tutta la fiducia e il fervore di cui il mio cuore era capace,
perché Egli volesse condurTi a noi con la Sua Onnipotenza! Ed ecco, Dio mi ha
davvero esaudita e Ti ha guidato fino a noi!
9. Quando intesi che Tu eri arrivato, – oh – non potrò mai dire con
parole l’immensa felicità che ho provato in quel momento! Oh, se ne avessi
avuto soltanto il coraggio, come Ti sarei saltata volentieri al collo! Ma per
riguardo ai miei fratelli, alle mie sorelle ed ai miei genitori, io dovetti far
grande violenza al mio cuore. Ma oggi è venuto per me il giorno della felicità
indicibile, quello di poter restare vicina a Te, il Maestro e Signore, vicino a
Colui che io ho intensamente già amato da quando ho inteso parlare di Lui!
10. Oh, Tu sei ormai qui, io Ti sono vicina e, oh beatitudine suprema,
Mi è concesso di amarTi e Tu pure mi ami. Oh, nemmeno i più perfetti angeli del
Cielo dovrebbero certo essere più felici di quanto io lo sono ora! Ma adesso Tu
non devi più abbandonarmi, perché io ne sarei afflitta tanto da morirne!».
11. Le dico Io: «Oh, no, no, cuoricino Mio! In eterno Io non ti lascerò
mai più e ti dico ancora che non vedrai né sentirai mai più la morte! Quando il
tempo sarà venuto, Io manderò i Miei angeli a prenderti da questo mondo, per
condurti a Me, il Padre tuo dall’eternità! Infatti, vedi, o Mia dilettissima
Giara, Colui al Quale il tuo cuore ha rivolto tante ferventi preghiere affinché
Io venissi qui, Quegli si trova ora nella Mia Persona seduto vicino a te e ti
ama con tutta la purissima fiamma d’Amore di tutti i Cieli, e tu hai avuto
ragione di dire che non vi è in tutti i Cieli un angelo solo, per quanto
perfetto, che sia più beato di te! Leva in alto i tuoi occhi e vedrai che
veramente è così come ora ti ho detto!»
Giara
contempla il Cielo aperto.
1. Allora la carissima fanciulla alza i suoi bei occhi azzurri al Cielo
e, rapita in un’estasi suprema, contempla, come trasfigurata, nelle profondità
dei Cieli apertisi dinanzi al suo sguardo! Solo dopo una certa pausa abbastanza
prolungata essa comincia con voce celestialmente pura e dolce, più balbettando
che parlando, a dire: «Oh, oh, Dio grande e santissimo! Quale immenso,
indicibile e sublime spettacolo vedono i miei occhi! I Cieli sconfinati
traboccano di angeli beatissimi, oh, come deve essere grande la loro felicità, ma
tuttavia la povera Giara è più felice ancora, perché il trono eterno nel mezzo
dei Cieli infiniti, intorno al quale le innumerevoli schiere degli angeli
posanti le loro ginocchia su nuvole splendenti vanno del continuo acclamando:
“Santo è Colui al Quale è qui eretto il trono! O eternità, rallegratevi! Egli
ben presto avrà compiuto sulla Terra l’opera immensa che nessuna creatura potrà
mai concepire e verrà e prenderà possesso di questo trono della magnificenza di
Dio! Ora questo trono è vuoto! Ma Colui che solo ha il diritto eterno di
occuparlo siede ora in figura di Uomo accanto alla povera Giara! Oh, lodateLo
dunque e glorificateLo, perché Suo è il trono eterno di ogni potenza e di ogni
magnificenza divina!”»
2. Dopo queste parole, essendole stata tolta la visione, essa si
abbandonò sul Mio petto e disse: «O Signore, grande e santissimo! La Tua povera
Giara non è degna di starTi vicina, poiché si azzarda ancora ad amarTi dopo
tutto quello che ha visto ora! Eppure io non ho colpa se il mio cuore chiede di
amarTi sempre più!»
3. Le dico Io: «Oh, cuoricino Mio, vedi, se Io ti ho mostrato la Mia
gloria e il Mio Regno, l’ho fatto appunto perché voglio che tu abbia ad amarMi
ancora di più e poi ancora sempre di più. AmaMi pure sempre con ardore
crescente, poiché un simile amore non ti sarà mai in eterno di danno»
4. Allora Giara Mi abbraccia con tutte le due mani e Mi stringe al suo
cuore con quanta forza può, mentre Io, rivolto ai presenti ammutoliti dallo
stupore, dico: «Ammirate e serva a voi tutti quale esempio! Questa fanciulla di
appena dodici anni Mi dimostra un amore quale Io non ho trovato ancora in tutto
Israele, ma a chi Mi ama così, Io darò a piene mani quello che il mondo non ha
ancora mai avuto e quello che Israele non ha mai ancora visto né gustato».
5. Una buona ora era durata questa scena quanto mai edificante, che
aveva suscitato commozione in tutti, e di li a poco vennero i servitori di Ebal
per domandare se fosse venuta l’ora di servire la cena.
6. Ed Ebal dice: «Se è gradito al nostro Signore Gesù, servitela!»
7. Dico allora Io: «Portate quello che avete! Infatti l’amore dona e
gusta ed Io pure voglio gustare quello che ho donato! Ma il Mio cibo prediletto
Io l’ho qui in questa fanciulletta, perché essa Mi dà quello che l’eternità non
Mi ha dato ancora, né poteva darMi!».
8. I servitori allora escono, per portare le vivande già pronte. Ma
qual è il loro sbalordimento, quando, giunti alle dispense, constatano che dei
cibi da loro preparati non c’è più traccia, ma al loro posto le dispense stesse
sono ricolme di vivande fra le migliori e le più scelte, delle frutta più rara
e del vino più pregiato! Essi ritornano in fretta e raccontano con grande foga
e parole di meraviglia quello che era accaduto in cucina, mentre essi erano
intenti a prendere gli ordini. Domandano infine se devono servire le nuove
vivande trovate o se devono prepararne delle altre!
9. Ed Io dico a loro: «Quello che c’è nella dispensa, portatelo qui,
poiché oggi voi tutti siete Miei ospiti. Le vivande da voi già preparate sono
nel frattempo già state servite ai Miei discepoli, ai due esseni ed ai farisei.
Non disturbateli, perché essi hanno oggi da sbrigare nel Nome Mio un’incombenza
importante che li terrà occupati moltissimo fin oltre alla mezzanotte».
Dopodiché i servitori escono, per prendere le vivande celesti.
10. Allora, tanto Ebal che il comandante esclamano con grande letizia:
«Signore, ormai tali apparizioni non ci fanno quasi più meraviglia, perché
abbiamo la percezione chiarissima che Tu sei il Signore cui niente è
impossibile. A noi non resta che una grande domanda: “Come, o Signore, abbiamo
potuto renderci degni di tanta grazia?”. Ma ecco che sono già qui le vivande
del Cielo! Dopo la cena ritorneremo sull’argomento».
11. I cibi vengono portati sulla mensa e dopo il rendimento di grazie,
al Mio invito, tutti si servono e mangiano e bevono di buon animo e mentre il
comandante sostiene che quella era la prima volta che gli capitava di gustare
tali vivande dal sapore veramente celestiale e del vino talmente squisito, dal
canto suo anche la Mia Giara dà libero corso al suo appetito e conviene anche
essa che mai un sapore tanto delizioso aveva fino allora solleticato e
soddisfatto il suo palato! In breve, ciascuno non trova parole sufficienti per
lodare la squisitezza dei cibi e tutti ringraziano e glorificano ad alta voce
Me e il buon Padre nel Cielo.
Gli
insegnamenti di Gesù devono essere un bene comune.
1. Ed Io dico loro: «Beati siete voi che credete che il Figlio
dell’uomo è proceduto ed è venuto dal Padre che è nel Cielo a raddrizzare su
questo mondo quel che è caduto ed a redimere quello che è prigioniero! Però,
fate bene attenzione a non rivelare a nessuno niente di tutto ciò che avete
visto da Me, appunto per il suo carattere particolare e meraviglioso, poiché
tale cosa provocherebbe un doppio male!
2. La metà di coloro che ne venissero a cognizione, in primo luogo non
crederebbe a quello che avreste raccontato loro, ma vi dichiarerebbe pazzi e
spargerebbe dappertutto brutte voci sul vostro conto, perché un cieco è, nel
suo furore, molto più pericoloso di cento veggenti! L’altra metà, invece,
presterebbe troppo facilmente fede alle vostre asserzioni e di conseguenza si
metterebbe infine da se stessa tali ceppi nel suo operare, così da non essere
poi più capace di una libera azione. E questo corrisponderebbe all’uccidere il
libero spirito nell’uomo!
3. Gli insegnamenti, però, che avete avuto da Me, di questi sì fate
partecipi i vostri conoscenti ed amici, perché le Mie parole sono verità
eterna, la quale sola può rendere libero ciascun uomo il quale l’accolga in sé
e ne faccia norma della sua vita e che con ciò riconosca che essa è una verità
eterna da Dio, la quale è, è stata e sempre sarà l’esistenza e l’eterna vita di
ciascun uomo che tale verità possiede in sé in maniera vivente.
4. Ma, purtroppo, molti vi saranno che non vorranno né ascoltare né
accogliere tale verità e la perseguiteranno, altri, poi, per timore dei potenti
della Terra la fuggiranno come la peste nera. Ma coloro che così si
comporteranno, non avranno in sé la vita eterna, anzi il loro retaggio sarà la
morte!
5. Chi ama la vita del proprio corpo e ad ogni costo si sforza di
mantenerla, costui, con la fine della breve vita corporale, perderà anche la
vita eterna dell’anima. Invece, chi non ama la vita del corpo, costui
acquisterà la vita eterna dell’anima! Queste Mie parole ponderatele molto bene!
Ed ora, chi ha ancora qualcosa da domandare, domandi ed Io gli risponderò!».
6. Dice il comandante: «Signore e Maestro! Cosa mai potremmo chiederTi
ancora? Chi sei Tu, noi lo sappiamo e lo sentiamo profondamente; quello che
dobbiamo fare, lo sappiamo pure e ci rendiamo conto della necessità di fare
così; noi, inoltre, sappiamo e percepiamo intimamente che in Te c’è la vita
eterna e che Tu puoi donarla a ciascun uomo o donna che sia, se egli vivrà ed
opererà secondo la Tua Parola. Per noi uomini il sapere di più sarebbe inutile
e ciò tanto più, in quanto che noi, come me lo ha assicurato con estrema
vivacità uno dei Tuoi discepoli, possiamo con la fede viva, nel Nome Tuo,
perfino guarire gli ammalati.
7. Noi non potremo in eterno ringraziarTi abbastanza per tale grazia
inattesa ed assolutamente immeritata e Ti diamo la più fedele assicurazione che
nei nostri cuori, ricolmi di gratitudine, Tu Ti sei eretto un monumento
imperituro che, né le potenze dell’inferno, né le tempeste di tutti i tempi,
potranno mai più distruggere ed ora io credo che, essendo ormai la notte
discretamente avanzata, dovremmo pensare al riposo! Però io non intendo fare
alcuna urgenza, quantunque, per quel che riguarda la mia persona, sarà
nuovamente necessario che io vada a vedere cosa ne è della mia gente!»
8. Gli dico Io: «Non darti alcuna pena, perché, come già ieri anche
oggi, tutto è in perfettissimo ordine. Però questa sera Io intendo vegliare
fino oltre la mezzanotte e voi avrete modo di persuadervi che il nostro
vegliare non sarà stato inutile. Infatti in serata arriveranno ancora dei
viaggiatori da Gerusalemme e fra gli altri anche dei farisei e degli scribi i
quali ci daranno ancora un bel po’ da fare!»
9. Esclama allora Ebal: «Oh, questo è spiacevole davvero! Molto meglio
sarebbe che non venissero. Ospiti di questo genere sono stati sempre per me i
più sgraditi, perché uno solo di questi tali pretende tanta attenzione per sé,
quanta ne basta per cento forestieri di qualsiasi altra specie e che pagano
quanto si fa per loro, mentre questa razza di gente vuole avere tutto
gratuitamente ed alla resa dei conti non si mostra mai soddisfatta,
specialmente quando possono provare che viaggiano per conto del Tempio e per
ragioni d’ufficio! Oh, Signore, questa volta non mi hai annunciato proprio
niente di allegro. E che cosa si deve fare adesso e che cosa preparare?»
10. Dico Io: «Non darti eccessivo pensiero! Le dispense e la cantina
sono al completo, in casa tua c’è posto per dormire per circa un centinaio di
persone ed altro non occorre. Essi sono stati inviati per causa Mia da
Gerusalemme a Nazaret, ma, siccome Mi troveranno qui, non proseguiranno più
fino a Nazaret. Essi domani saranno causa di indignazione per voi, però da
parte Mia dovranno intendere aspre ma schiette verità, tali anzi che essi, per
l’ira e la collera, si indurranno a lasciar questo luogo domani stesso!»
11. Dice Ebal: «Ma poi ci si scatenerà addosso il demonio! Infatti
quella gente, una volta ritornata al Tempio, farà sul nostro conto rapporti
talmente vergognosi che sarà una vera disperazione»
12. Gli dico Io: «Non dubitare che verranno prese delle misure,
affinché a casa loro non abbiano troppo a chiacchierare!». Dopo questa Mia
dichiarazione subentrò una pausa, durante la quale tutti coloro che si
trovavano nella sala si mantennero tranquilli e silenziosi, restando solamente
occupati con assiduità nei loro cuori.
Arrivo di
ammalati in casa di Ebal.
Gli ospiti di
Gerusalemme e la loro missione.
1. Però, dopo qualche istante, si manifestò una certa agitazione
davanti alla casa, s’intese un vocio in diverse lingue e contemporaneamente i
cani del vicino, che era un greco, cominciarono ad abbaiare fortemente. Ed Ebal
esclamò: «Ora stiamo freschi! Dovrebbero essere già qui quei figuri che ci hai
preavvisato!»
2. Dico Io: «Non ancora. Questi sono degli ammalati, ma non tarderà
molto che anche quegli altri arriveranno. Gli ammalati, però, è bene che
attendano fino a domani, perché oggi ne sono stati guariti già abbastanza. Ora
va pure fuori ed abbi cura che a tutti coloro che sono ora arrivati venga dato
un ricovero e che sia offerto qualcosa da mangiare e da bere a chi ne avesse
bisogno”».
3. A queste Mie parole Ebal si reca, assieme ai suoi servitori, da lui
fatti chiamare, nel grande cortile di casa sua e lo trova quasi zeppo di ogni
genere di ammalati, fra i quali molti greci, romani ed egizi, tutti questi
chiesero di essere ammessi alla Mia presenza affinché li risanassi.
4. Ebal però indicò loro gli alloggi, fece servire ciascuno, secondo le
proprie necessità. Fatto questo, egli ritornò nella nostra sala e disse: «Sia
lodato Dio! Per oggi questi qui sono a posto e mi hanno causato poca fatica e
lavoro, se almeno tali furfanti da Gerusalemme fossero stati provvisti in
uguale misura! Non sarà così facile venirne a capo!».
5. Mentre Ebal, dopo che in vista dell’imminente arrivo dei farisei e
degli scribi, ebbe disposto qua e là delle sentinelle per annunciarne l’arrivo,
stava ancora così fantasticando assai poco di buon umore, ecco già presentarsi
un servitore, il quale, con grande spavento di Ebal, avverte che la carovana
preavvisata è ormai giunta. Ebal si affretta ad uscir fuori, per ricevere i
nuovi arrivati e le due mogli e le figlie anziane lo seguono per dargli una
mano; i figli di Ebal se ne vanno essi pure e la Mia diletta Giara resta sola
presso di Me.
6. Il comandante, che è pure seduto presso di Me, dice: «Se fossi io al
posto di Ebal, saprei bene cosa fare adesso! Ordinerei ai miei servitori di
pigliare questa genia e di frustarla di santa ragione, dato che non sarebbe
sicuramente la prima volta che tocca a loro questa specie di accoglienza,
perché non sarei affatto disposto a far molte parole con loro! E se venisse
loro la malinconica idea di entrare dove siamo noi, mi riservo in ogni caso di
giocare loro un tiro da farli tremare nel corpo e nell’anima più che con una
febbre maligna. Io domanderò a questi bricconi per ordine di chi si sono
permessi di avvicinarsi, mentre è notte profonda, ad una località dove si trova
una guarnigione romana e dimostrerò loro come, in tali casi, ogni comandante di
presidio abbia il diritto di arrestare e di deferire ad un severo tribunale
chiunque, a prescindere dal ceto o dalla religione che professa, se non è in
grado di dare delle giustificazioni ben valide! Io non intendo affatto attuare
tutto ciò nei loro riguardi, ma voglio tuttavia suscitare nelle loro perfide
teste uno spavento tale per cui il sudore d’angoscia dovrà scorrere loro giù
fino alle calcagna!»
7. Gli dico Io: «Amico, fa’ pure come vuoi, poiché da parte Mia non ti
verrà posto alcun limite, ma se tu vuoi iniziare qui una procedura, è
necessario che te ne vada fuori e che tratti con loro direttamente la cosa, in
presenza di alcuni dei tuoi ufficiali in sott’ordine!»
8. Dice il comandante: «Lascia, o Signore, che me ne curi io, perché le
mie leggi e i miei diritti so applicarli e farli valere in ogni occasione!».
9. Detto questo, egli chiama subito il suo attendente, che faceva
guardia nell’atrio. Questi si presentò prontamente nella sala, in attesa degli
ordini del comandante.
10. E questi così gli parlò: «Fa’ che il corriere si rechi
immediatamente al campo, per trasmettere al sottocomandante l’ordine di mandare
senza indugi qui 30 uomini! Va’!». A queste parole la sentinella parte
all’istante ed entro dieci minuti ecco già annunciarsi al comandante il
sottufficiale con i trenta soldati, la cui venuta non era stata affatto
avvertita dai farisei, ancora vocianti sulla via, i quali, come al solito, non
intendevano rinunciare alle cerimonie, alle lodi ed agli omaggi. Ed il
sottufficiale chiese al comandante quali fossero gli ordini e che cosa si
avrebbe dovuto intraprendere.
11. Ora il comandante rispose: «Per il momento, niente di importante, si
tratta, più che altro, di mantenere il prestigio di fronte ai forestieri, i
quali, dato che ignorano la legge romana circa i campi militari, dovranno
venirne edotti da noi come si deve. Tenete qui, dunque, un contegno tranquillo
e serio e fate attenzione al mio minimo cenno! Così sia fatto!».
12. Dopo poco Ebal spalanca la porta della sala e fa entrare una
ventina tra farisei e scribi. È inutile menzionare che i venti erano
accompagnati da numerosi servitori e conducenti d’asini ed altre bestie da soma
per il trasporto del bagaglio e delle persone. I servitori, gli animali ed i
bagagli vennero alloggiati, mentre i farisei e scribi, quando furono
definitivamente entrati nella sala, passarono sommariamente in rassegna coloro
che già vi si trovavano e domandarono all’albergatore cosa stessero a fare lì i
militi romani.
13. Ed Ebal rispose: «Probabilmente avranno avuto sentore che voi
sareste arrivati e saranno venuti per rendervi il dovuto onore!»
14. Dice uno dei farisei: «Questa non è veramente l’usanza dei romani!
Però, comunque stiano le cose, noi abbiamo fame e sete; facci dunque portare da
mangiare e da bere!».
15. Ebal subito requisisce tutta la gente che c’è in casa, ad eccezione
di Giara, ed in poco tempo una grande mensa è ben che preparata per i suoi
ospiti.
16. I farisei si lavano le mani e poi si precipitano sulle vivande; in
breve tutto è consumato e buone sessanta coppe di vino sono vuotate. Il vino
però scioglie loro la lingua e cominciano a chiacchierare e a domandare di una
cosa e dell’altra, e non passa molto che rivelano qual è veramente lo scopo del
loro viaggio e tentano di avere delle informazioni sul Mio conto, dicendo: «Qui
voi ne sapete qualcosa di un certo vagabondo che dovrebbe essere nativo di
Nazaret? Quest’uomo, a quanto si dice, falegname di professione, pare che si
aggiri praticando magie inaudite, diffondendo una nuova religione, risanando
gli ammalati, evocando gli spiriti e sobillando il popolo contro il Tempio e
contro l’imperatore! Per queste ragioni noi siamo diretti a Nazaret per
procedere là ad una minuziosa inchiesta riguardo a tali fatti, ma siccome corre
voce che si vada aggirando per tutta la Galilea, voi dovreste forse esserne al
corrente e saperne qualcosa di più esatto!».
Scena fra il
comandante ed i templari.
1. Allora interviene il comandante, il quale dice: «L’Uomo di Cui vi
preme avere informazioni, io lo conosco molto bene e sono a conoscenza di tutti
i fatti Suoi, non escluso quello da Lui compiuto saranno appena poche settimane
fa nella località di Chis, dove appunto Egli, tramite il Suo Spirito
divinamente profetico, ha rivelato al giudice superiore Fausto che i prodotti
delle imposte imperiali ed altri tesori provenienti dal Ponto e dall’Asia Minore
fossero stati sottratti da gente del vostro stampo, nella maniera più astuta e
vergognosa, alla carovana romana incaricata del trasporto, cosa questa che ha
messo il governatore Cirenio nel più grave imbarazzo ed in gravissimo pericolo
tutta la Galilea, anzi tutto il Regno della Giudea.
2. Ed appunto a questo Gesù tanto il governatore quanto il Regno della
Giudea devono e voi pure dovete, se oggi voi stessi siete ancora in vita!
Infatti, se i denari dell’erario imperiale rapinati dai vostri pari non fossero
stati, per l’intervento di Gesù, scoperti, tutto il paese sarebbe stato posto a
contribuzione di guerra e tutti i tesori della Giudea non sarebbero bastati a
scontare il crimine perpetrato! E se la cosa è passata sotto silenzio e così
bene, per voi e per i vostri pari a Gerusalemme, nonché in tutta la Giudea, voi
dovete esserne grati unicamente a Gesù, il più grande e saggio e potente
profeta; ed è supremamente ingiusto ed iniquo il vostro affannarvi a
perseguitare un uomo al Quale voi tutto ormai dovete, anche la vita.
3. Però, quello che ora avete asserito, che cioè intendete andare a
Nazaret per inquisire riguardo alla persona di Gesù e per eventualmente
impossessarvi di Lui come del più grande malfattore, io vi dico che tutto ciò
si basa su false premesse e che Egli è tutt’altro che un delinquente e non
sobilla nessuno né contro di voi né, meno ancora contro l’imperatore,
altrimenti, come a me in segreto consta con tutta certezza, Cirenio non sarebbe
Suo amico!
4. Ma adesso passiamo ad altro, miei cari signori del Tempio! Voi molto
probabilmente saprete che qui a Genezaret si trova già da alcuni anni, senza
interruzione, un campo militare romano e che per conseguenza ogni persona,
indistintamente, di qualunque condizione o paese sia, deve aver con sé un
lasciapassare ben vidimato da un’autorità romana, qualora voglia attraversare
senza incidenti la località di guarnigione. Dunque, io vi prego, tanto più che
siete arrivati qui di notte, di mostrare i vostri documenti, in mancanza dei
quali io, nella mia carica di capo e comandante militare di questa località,
come pure di tutta questa regione, dovrei dichiararvi prigionieri; domani poi
sareste pubblicamente flagellati e verreste infine rimandati a Gerusalemme con
le precauzioni prescritte! Fatemi dunque il favore di esibire i vostri
lasciapassare e ciò in ossequio alla legge!»
5. Dice il capo dei farisei: «Signore, io stesso, che sono uno fra i
principali di Gerusalemme, sono un lasciapassare vivente per tutti e di altri
documenti noi non abbiamo bisogno! Infatti come tu sei un capo, altrettanto lo
sono anch’io e, grazie al privilegio imperiale, posso viaggiare di giorno e di
notte per tutta Israele! Noi siamo degli unti del Signore e guai a chi osasse
mettere le mani su di noi!»
6. Dice il comandante: «Il privilegio imperiale contempla solo il caso
delle località dove non c’è un presidio, ma dove, come nel nostro caso, esiste
un campo militare aperto, il privilegio imperiale non è più valido!».
7. Dice il fariseo: «Una legge simile non è stata mai ancora portata a
nostra conoscenza e perciò non potevamo neppure osservarla, perché non siamo
tanto idioti da trascurare, prima di metterci in viaggio, di provvederci di
tutto quello che è necessario alla nostra sicurezza. Però, se questi documenti
proprio qui occorrono, noi mandiamo subito dei messaggeri a Gerusalemme e
domani, a quest’ora circa, i lasciapassare che richiedi saranno nelle tue mani»
8. Dice il comandante: «Non c’è bisogno che vi prendiate questo
disturbo, perché sta a me credere o meno alle vostre asserzioni. Io mi limiterò
a tenervi bene d’occhio e qualora dovessi accorgermi di una minima cosa
sospetta da parte vostra, vi faccio immediatamente arrestare. Per ora,
frattanto, fino a quando vi tratterrete qui, siete sottoposti a rigida sorveglianza
militare, il drappello di guardia vi scorterà poi fino al confine di questo
territorio e voi sarete tenuti a sborsare le spese fissate in cento denari
d’argento. Se invece voi aveste con voi i documenti prescritti, sareste esenti
da qualsiasi spesa!»
9. Dice il capo dei farisei: «Siccome a noi non è permesso portare
denari, allora pagherà per noi il padrone dell’albergo, perché, vedi, la Terra
è di Dio e noi ne siamo i servitori diretti ed abbiamo da parte di Dio il
diritto di considerare nostra tutta la Terra e di mietere dappertutto, anche là
dove non abbiamo seminato! Questo lo sa ogni israelita, che tutto ciò che egli
possiede è un possesso che egli detiene quale un prestito da parte nostra, il
quale gli può venire ritolto in ogni momento. E per tale semplicissima ragione
anche, in tutta Israele, là dove andiamo noi, non possiamo mai essere
forestieri, ma siamo invece, per autorizzazione divina, i soli e veri
proprietari di ogni casa, terreno o campo e di ogni danaro o tesoro che sia e
noi possiamo quindi benissimo ordinare ad Ebal di pagare per noi i cento
denari, perché egli, in fondo, li ha raccolti sul nostro terreno e sul nostro
possesso! E se egli non volesse farlo, potremo dare tutte le sue proprietà ad
un altro il quale non baderà ai cento denari!»
10. Ma, poiché Ebal si sente interessato molto da vicino dalla cosa,
apre infine anch’egli la sua bocca ed osserva: «Signore mio! A questo riguardo
voi siete un po’ in errore, perché, in primo luogo, questa località è da tempo
immemorabile un territorio franco, dove, all’infuori di Dio e dell’imperatore,
nessuno ha il diritto di esigere qualche cosa; in secondo luogo, poi, quello
che qui figura mio è invece di proprietà della mia seconda moglie, la quale era
figlia unica e greca di nazionalità ed è diventata ebrea in seguito al suo
matrimonio con me. Dunque, tutti i grandi possessi che figurano miei
appartengono di fatto alla mia seconda moglie e, dopo di lei, alle sue figlie.
Perciò io non ho nulla di mio e da me non può venir preteso niente; ne consegue
che i cento denari dovrete ben pagarli voi stessi. E se a me non volete
credere, domandate qui al capitano, il quale rappresenta per me l’unica
autorità ed egli non potrà che confermarvelo».
11. Il comandante, accennando a confermare questa asserzione,
interviene subito: «Sì, sì, le cose stanno precisamente così! Voi stessi
pagherete i cento denari d’argento. Qui non servono né preghiere né ulteriori
discussioni, perché io solo sono chiamato ad ordinare e ad esigere!»
12. Dice il fariseo: «Ma se mandiamo immediatamente a Gerusalemme un
messo, che è nello stesso tempo anche un buon cavaliere, egli potrà essere qui
di ritorno domani verso mezzogiorno con i documenti necessari!»
13. Obietta il comandante: «Questo è indifferente! Infatti i cento
denari dovete pagarli già per il fatto di essere arrivati qui senza i
lasciapassare prescritti, perciò qualunque altra parola sull’argomento è
inutile e superflua»
14. Dice il capo dei farisei: «Ma noi non abbiamo denaro con noi,
perché non ne portiamo mai quando siamo in viaggio. Questo modo di procedere è
legge per noi! Perciò, dove dobbiamo prenderli ora i denari?»
15. Risponde il comandante: «Non vi preoccupate, sarà mia cura il farli
saltare fuori! Dove non c’è denaro, subentra il diritto di pegno. Le vostre
cose che, come ho inteso, viaggiano con voi, varranno bene i cento denari!»
16. Dice il capo dei farisei: «Oh, valgono anche mille volte tanto, ma
si tratta di cose tutte consacrate a Dio e Dio darebbe morte immediata a chi
osasse toccarle! Di conseguenza tu non potrai toccare tali cose e meno ancora
appropriartene!».
17. Dice il comandante: «Eh, via, la cosa non sarà tanto terribile! Noi
faremmo una prova e ci persuaderemo se le vostre cose consacrate a Dio sono
davvero tanto pericolose»
18. Allora tutti i farisei si mettono a gridare; «No, no, no! Noi
vedremo di mettere assieme i cento denari, la nostra gente dovrebbe avere
qualcosa con sé!».
19. Detto fatto, uno dei farisei esce subito e rientra portando con sé
una borsa con i cento denari, la consegna al comandante il quale la consegna al
sottufficiale; questi poi conta il denaro. Dopo aver constatato che l’importo è
giusto, il comandante ordina al sottufficiale di mettere il denaro nella cassa
dei poveri peccatori, cosa che il sottufficiale esegue subito.
20. Ma il capo dei farisei dice: «È qui un’usanza singolare, quella di
mettere il denaro consacrato nella cassa dei poveri peccatori, mentre noi dopo
tutto siamo servitori di Dio! Non sai tu, dunque, che colui che offende un
servitore di Dio, offende anche Dio?».
21. Risponde il comandante: «Che mi importa del vostro Dio? Io sono
romano e so quello che so e quello che credo, però il Dio cui ora voi servite
non è e non sarà mai il mio Dio! Per me voi siete fra i peccatori i più
grossolani e perciò è anche giusto che il denaro da voi consacrato al vostro
Dio vada a finire nella cassetta dei poveri peccatori! Avete capito?»
22. Risponde il capo dei farisei: «Sì, o signore, noi lo comprendiamo,
come pure comprendiamo che abbiamo a che fare con un pagano ostinato, il quale
come tutti i tenaci romani ha il più profondo disprezzo per noi e per la nostra
religione!»
23. Dice il comandante: «Non tanto profondo come voi supponete, perché
anche noi conosciamo la bontà dell’antica, vera religione mosaica, ma i vostri
nuovi principi e la vostra stessa mancanza di fede ed i vostri molteplici
inganni, che gridano vendetta al Cielo, noi li disprezziamo tre volte più della
morte stessa! Infatti presso di voi non c’è più la benché minima traccia del
vecchio giudaismo; a voi non sono rimasti che i nomi. Ma dove sono ora le opere
eccellenti di coloro dei quali voi siete i discendenti ed i quali hanno dato al
popolo la dottrina e le leggi savie? Io so molto bene quale aspetto un giorno
aveva la vostra Arca dell’Alleanza, ma come è essa al giorno d’oggi? Dov’è lo
Spirito di Dio che un giorno si librava sopra di essa?»
24. Dice il fariseo: «Tutto è sempre così com’era ai tempi di Aronne!»
25. Dice il comandante: «Eccome no! Ascoltate: saranno appena tre anni
che io stesso sono stato nel vostro cosiddetto Santissimo e, per essere più
precisi, dietro esborso di settecento denari d’argento; ma che cosa hanno
percepito i miei occhi e il mio naso? Una cassa di ferro posata su di un
piedistallo, dal cui mezzo divampava una fiamma molto chiara d’olio minerale e
l’odore piuttosto ripugnante che esalava non ha quella volta troppo stimolato
gradevolmente le mie narici! I ben noti amministratori della cosiddetta arca
dell’alleanza erano certamente molto più giovani di Mosè e di Aronne e il mio
borsellino ne fu non poco rattristato per averlo io alleggerito a motivo della
vostra stoltezza e dei vostri imbrogli! Dunque, è perfettamente inutile che voi
perdiate altro fiato con me a questo riguardo, perché io sono uno di quelli che
vedono molto lontano e molto profondamente nei vostri inganni!
Sappiatelo bene voi, se con quanto oggi è a mia conoscenza io fossi
l’imperatore, farei già domani mettere a ferro e fuoco tutto il Tempio! Ed è
appunto una vostra fortuna che io non sia l’imperatore, ma quello che non vi
farà l’imperatore, non mancherà di farvelo sentire il suo prossimo successore!»
26. Dice il fariseo: «Signore, se tu sai queste cose, io ti prego di
tacere a causa del popolo, perché, se tali notizie si divulgassero fra il
popolo, noi avremmo da temere l’insurrezione più incontrollata!»
27.Dice il comandante: «Non c’è niente da temere per questo motivo,
poiché non c’è quasi più un galileo che non sia a conoscenza di simili
condizioni del Tempio e non c’è di conseguenza neppure da parlare lontanamente
di una insurrezione popolare! Del resto siamo già noi romani abbastanza forti
qui per soffocare già alla radice qualsiasi tentativo del genere!»
28. Ed il capo dei farisei, volendo concludere, dice: «Dunque, signor
mio, noi abbiamo ormai pagato e tutto è pareggiato, perciò lasciamo stare
questo argomento. Se tu però conosci qualche particolare circa il famigerato
mago Gesù, facci il favore di dirci cosa si debba pensare di lui, della sua
discutibile dottrina e delle sue opere, affinché noi si possa fare qualche
comunicazione in proposito al Tempio!»
29. Risponde il comandante: «Vi ho già detto prima che Lo conosco
benissimo e che già da lungo tempo Lo avrei fatto arrestare, se fosse trapelata
la benché minima cosa che desse adito a sospettare un’insurrezione; invece ho
attinto la convinzione che si tratti di una cosa diametralmente opposta e non
posso che rendere di Lui la più bella testimonianza. Se foste voi come Lui è,
Gerusalemme sarebbe per tutti i tempi la prima ed eterna città di Dio e lo
Spirito dell’Onnipotente aleggerebbe ancora sull’arca come al tempo di Aronne,
invece voi siete il Suo esatto opposto, e perciò né la vostra città né il
vostro Tempio potranno sostenersi ancora per lungo tempo! Questo riferite ai
vostri colleghi, affinché sappiano su quali fondamenta sabbiose poggiano la
loro città e il loro Tempio! Domani, tuttavia, avrete occasione di vedere e di
udire altro ancora su questo argomento, per oggi intanto fareste meglio ad
andare a dormire!»
30. Osserva il fariseo: «Noi resteremo qui seduti a tavola, perché le
tue parole molto significative ci hanno per molti giorni levato il sonno. Chi
può chiudere occhio, lo faccia pure; io, per mio conto, resterò certamente più
che sveglio! Là, in quell’angolo della tavola, vedo che c’è ancora un’ospite
con una fanciulla! Chi è? Dobbiamo avere considerazione, oppure è un tuo
prigioniero assieme alla fanciulla? Forse anche lui è arrivato qui senza
lasciapassare?»
31. Risponde il comandante: «È inutile che vi informiate sul Suo conto;
Egli sta sotto la mia protezione! Spero tuttavia che domani potrete conoscerLo
un po’ più da vicino».
1. Allora nessuno dei farisei apre bocca.
2. Io però Mi alzo da mensa, saluto il comandante e questi ricambia con
grande calore il Mio saluto e Mi accompagna assieme a Giara, ad Ebal e alle sue
mogli ed agli altri figli in un’altra stanza dov’è preparato per Me un
eccellente giaciglio.
3. Ma Io dico al comandante: «Se voi tutti volete restarvene presso di
Me l’intera notte, rimanete; se però volete andare a riposare, potete pure fare
così. Ma chi rimane, non perciò sentirà domani la mancanza del sonno. Del resto
tu, da vero amico Mio, hai molto bene impostata la discussione con i farisei,
essi sono ora dominati da un grande timore e la tensione d’animo in cui si
trovano farà sì che essi conteranno i granelli della loro clessidra ed
attenderanno con grande impazienza il giorno che sta per venire!
4. È stato bene che il vocio abbastanza forte non abbia attirato nella
sala da pranzo i Miei discepoli, i quali sono tuttora occupati con i due esseni
ed i pochi farisei, ormai già quasi del tutto propensi a schierarsi dalla parte
loro! Altrimenti la cosa avrebbe troppo inopportunamente dato nell’occhio! Però
così ho voluto Io che fosse e dunque altrimenti non poteva essere! Ma cosa poi
farò della Mia carissima Giara? Questa fanciulletta non Mi abbandona mai!»
5.Dice la piccola: «Signore, fino a tanto che Tu rimarrai qui da noi,
Giara non si scosterà dal Tuo fianco e se fosse possibile che Tu morissi, essa
morirebbe con Te! Ma quando Tu lascerai la nostra casa e Giara non potrà venire
con Te, essa rimarrà qui sospirando e pregherà tanto il Padre, che dimora nel
Tuo cuore, affinché Egli Ti riconduca a lei, perché ormai senza di Te Giara non
può più vivere!»
6. Allora dico Io: «Ecco! Quest’è davvero un bel esempio del come si
deve amare Dio, per venir da Lui riamati con uguale fervore! Certo, l’Amore
divino abbraccia tutto ed in questo Amore non c’è in eterno né ira né vendetta,
però vi è sempre una grande differenza nel modo in cui una creatura umana è
amata da Dio. Fino a tanto che l’uomo respira e vive, quest’è la prova che Dio
gli dona vita in forza del Suo Amore, altrimenti egli sarebbe completamente
morto già da lungo tempo.
7. Ma chi ama Dio come questa fanciulla, costui costringe Dio a venire
a lui ed a prendere dimora nel cuore amoroso dell’uomo! E Dio infatti viene e
mediante il Suo Spirito prende dimora nel cuore che Lo ama sopra ogni cosa ed
un tale uomo ha con ciò la vita eterna già in sé ed è compiutamente una cosa
sola con Dio!
8. Certo, non a tutti è dato di poter amare Dio con tanta intensità,
com’è il caso di questa Mia dilettissima Giara, tuttavia ciascun uomo può amare
Dio con tutte le sue forze e Dio perciò anche ne ricolmerà il cuore con il Suo
Spirito e con la Sua grazia e non lo lascerà mai in eterno precipitare
nell’abisso.
E se anche incespicherà, gli verrà sempre dato soccorso e la vita
eterna sarà in lui e vi rimarrà per sempre.
9. Ed ora, Mia carissima Giara, poiché tanto Mi ami, bisogna che tu ci
racconti qualche piccola e bella storiella, perché Io so che di storielle belle
e buone tu ne conosci in gran numero!».
10. Dice Giara, con un grazioso sorriso infantile: «Oh Signore, Ti
prego di risparmiarmi questo! Infatti, accanto alla Tua infinita sapienza, il
mio racconto dovrebbe certo apparire troppo sciocco!»
11. Le dico Io: «No, no, Mia diletta Giara, ciò non deve renderti
perplessa, perché da Me soltanto puoi attenderti ora e sempre la massima
indulgenza! Pensa che Io comprendo il pianto dei bambini nella culla, per non
parlare del loro linguaggio! Tu talvolta fai dei sogni strani, dunque sii buona
e raccontami uno di questi tuoi sogni!».
I sogni di
Giara in rapporto alla crocifissione e risurrezione del Signore.
1. Dice Giara: «Oh, a questo riguardo io posso certamente raccontare
qualcosa, ma di solito i miei sogni sono terribili e mi mostrano gli uomini del
mondo in tutto il massimo orrore del loro essere, allora invece di uomini io
vedo altrettanti demoni! Così ora non è molto che io ho avuto un sogno. Io vidi
una magnifica figura di uomo, il quale somigliava molto a Te, o Signore, e
quest’uomo era legato con delle corde come un malfattore.
2. Io domandai a coloro che lo seguivano piangendo che cosa avesse
potuto mai fare di male quel bellissimo uomo per venire così maltrattato dagli
uomini del mondo. E coloro che piangevano mi risposero tutti ugualmente: “Egli
era un potente benefattore dell’umanità, mai Egli commise un’ingiustizia e la
più pura verità fluiva come il miele dalla Sua bocca. Ma troppe verità Egli ha
detto ai farisei avidi di dominio e di beni mondani ed essi Lo hanno fatto
condannare a morte sulla croce dal debole prefetto di Roma. Ora essi Lo
conducono al luogo del supplizio. Vieni con noi e vedi con quale ricompensa
viene ripagato dagli uomini perfidi e saturi di egoismo il maggiore e più
sincero benefattore che l’umanità abbia mai avuto!”.
3. Ed io andai con coloro che facevano cordoglio su di un monte basso e
scorsi quell’Uomo tutto sanguinante per i colpi di flagello ricevuti e sul Suo
capo gli posero una corona di spine per accrescerGli il martirio, e poi Lo vidi
trascinare una pesante croce. Giunti al luogo del supplizio, Egli venne
denudato e come una bestia selvaggia fu gettato senza misericordia sulla croce
e presero dei chiodi acutissimi e, con questi, venne inchiodato sulla dura
croce, per le mani ed i piedi, nella maniera più crudele! Oh Signore, questo fu
per Te uno spettacolo ben terribile! Quando io solo penso a questo sogno, mi
pare di perdere i sensi! Poi la croce venne rizzata entro una buca già pronta e
fu fissata solidamente.
4. La cosa più singolare fu però che quell’Uomo, oltre ogni dire
perfetto, nonostante il martirio tanto atroce, non fece udire un solo lamento,
mentre altri due, che erano stati pure crocifissi, ma in modo molto meno
crudele, emettevano urla e lamenti spaventosi!
5. A questo punto io mi destai, ma il mio corpo tremava tutto! Signore,
un sogno simile non è uno scherzo per un cuore di fanciulla tanto sensibile
come il mio! Allora mi misi subito a pregare il buon Padre nel Cielo che non mi
mandasse più di tali sogni tanto cupi e tormentosi, ed infatti fino ad ora non
ho più fatto sogni così cupi! È vero che mio padre mi ha sempre detto che i
sogni sono soltanto dei fantasmi vani e che dipendono dal sangue pesante. È
possibile che sia davvero così! Ma se avessi un sangue tanto pesante, dovrei
pure io essere più lenta di quanto sono, invece di solito sono una ragazza
vispa ed allegra. Come posso perciò avere un sangue pesante e guasto?»
6. Ed Io, al racconto della fanciulla che era rimasta alquanto turbata,
le dissi: «No, no, Mia dilettissima Giara, il tuo sangue è lieve come l’etere,
però il tuo sogno ha un significato immenso! Ed ora non parliamone più; il
tempo ti sarà maestro a tale riguardo. Ma beata sei tu, che hai visto in sogno
tutte queste cose, perché ben pochi sono stati i profeti a cui fu concesso di
vedere qualcosa di simile nelle loro visioni.
7. Molte cose sono nascoste agli uomini di questa Terra. Il grande
“Perché” lo sapranno solo nell’aldilà. Ed ora raccontaMi ancora un altro sogno
che tu hai fatto tre giorni dopo il primo e che riguardava sempre lo stesso
Uomo»
8. Dice Giara: «Oh, questo lo racconto molto più volentieri, perché è
infinite volte più bello. Io mi ritrovai d’improvviso, apparentemente molto di
buon mattino, in un giardino bellissimo, dal quale purtroppo potevo
distintamente vedere il luogo del supplizio apparsomi nel sogno precedente.
Quella vista riempì la mia anima d’angoscia grande, così che in sogno cominciai
a supplicare il buon Padre nel Cielo che mi risparmiasse una seconda volta una
simile visione, perché malauguratamente distinguevo ancora le tre ben note
croci rizzate sul luogo del supplizio!
9. Ma ecco che tutto di un tratto mi si avvicinò un giovinetto di
meravigliosa bellezza, il quale mi confortò e mi consolò con delle parole che
mi sono rimaste molto bene impresse nella mente e sono: “Non temere, o anima
buona e pura! Quello che tu hai visto tre giorni fa, doveva così avvenire,
secondo il consiglio di Dio, altrimenti nessuno avrebbe mai potuto giungere a
beatitudine, né mai più alla contemplazione di Dio. Quegli che fu crocifisso
era il Figlio di Dio e Dio era in Lui. Ma ora, dopo tre giorni, questo Figlio
di Dio, per Sua propria ed assoluta potenza, risorgerà dalla morte della Sua
carne divina e prenderà poi a regnare su tutto l’Infinito e la Sua Signoria e
il Suo Regno non avranno mai più fine e, dinanzi al Suo Nome, si piegheranno
ogni potenza e forza, e ciò che non vorrà piegarsi, sarà lasciato andare in
perdizione da Lui. Però adesso l’ultimo e beatificante istante si avvicina,
perciò fa’ attenzione alla pesante pietra sepolcrale suggellata!”.
10. E quando il giovinetto ebbe finito il suo discorso, ecco, la grande
pietra del sepolcro si sollevò da se stessa, e dal sepolcro io vidi sorgere
sereno, ma tuttavia pieno di maestà nell’aspetto, precisamente quello stesso
Uomo che io avevo visto tre giorni prima crocifiggere in maniera tanto crudele.
Io scorsi perfino le stimmate sulle Sue mani ed ai Suoi piedi e non dubitai
neppure un istante solo che fosse veramente Lui.
11. E quell’Uomo mi si avvicinò e mi disse, con voce dolcissima: “Ciò
che tu hai visto in sogno, non è che un’immagine di quanto accadrà ben presto
nella realtà. Però tu Mi vedrai nella realtà, prima ancora che tutto ciò
avvenga e più spesso, poi, dopo la Mia risurrezione”. Dopo aver inteso queste
parole, io mi ridestai e molto ho pensato poi riguardo a questa visione. Ma
finora, ad eccezione della Tua Persona, io nella realtà non ho visto ancora
nessuno che somigliasse a quell’Uomo!»
12. Dico Io: «Chissà, forse Io stesso Lo sono! Ma ora lasciamo stare
questo argomento e vediamo di disporre le cose per il giorno che viene».
Conversazione tra il comandante
Giulio e il Signore sulla malvagità dei templari.
1. (Il Signore:) «I farisei che per causa Mia hanno intrapreso il
viaggio fino a qui e che il nostro amico ha indotto a più miti consigli in una maniera
saggia davvero, tenteranno domani di metterMi alle strette, quando Mi avranno
riconosciuto, ma Io per la prima volta dirò loro in faccia tutta la verità.
2. Gli ammalati che sono qui e gli altri che ancora verranno, non
dovranno che toccare il lembo del Mio mantello per venire guariti. I Miei
discepoli poi dovranno prendere la colazione senza lavarsi le mani e questo
basterà per far uscire dai gangheri questi farisei e scribi veramente
irriducibili. In seguito a ciò essi inizieranno subito con le loro solite
domande inquisitorie, ma allora sentiranno da Me delle risposte che riusciranno
loro molto più acide ed amare dell’aceto e del fiele che essi usano dare ai
condannati per spegnerne la sete. E adesso le due ore che mancano ancora al
mattino le passeremo in silenzio.
3. I Miei discepoli sono ormai anch’essi andati a riposare assieme ai
due esseni, che però non sono più tali, ed ai pochi farisei e scribi; essi
hanno compiuto un bel lavoro, perché li hanno guadagnati tutti alla Mia causa.
I due altri giovani farisei, Pilah e Acheb, il primo da Chis e il secondo da
Gesaira, ambedue oratori scelti e persone calme e prudenti, sono già da tempo
Miei discepoli. Questi due, arrivati qui appena ieri mattina, si sono subito
uniti ai Miei discepoli, tutti pescatori all’infuori di tre, e non hanno ancora
la necessaria scioltezza di linguaggio; e così i due giovani farisei prestano
eccellenti servizi.
4. E tu, Ebal, va’ adesso di là e dì ai Miei discepoli di non lavarsi
le mani domattina prima di toccare il pane della colazione ed agli altri
farisei e scribi convertiti ed ai due esseni che si tengano frattanto nascosti
finché quelli di Gerusalemme non saranno di nuovo partiti, soltanto dopo
potranno uscire fuori ed Io impartirò loro la Mia benedizione. Se poi vorranno
cambiare la veste e rimanere presso di Me, oppure se preferiranno restare
esteriormente quello che sono stati finora di fronte agli uomini, è una scelta
che devono fare loro. Va’ dunque, e riferisci questo ai discepoli e agli
altri!». Ed Ebal immediatamente si allontana e procede esattamente come Io gli
ho indicato. Tutti gl’interessati si dimostrano lieti di avere notizie da Me e
promettono di osservare puntualmente tutto secondo le istruzioni fatte loro
pervenire.
5. Poco dopo Ebal è di ritorno e riferisce della buona accoglienza
avendo trovato il suo incarico, ed anche qui sono tutti soddisfatti, e il
comandante esclama: «Io mi rallegro oltremodo di quello che ci porterà la
giornata di domani, però aggiungo pure – ed a ciò m’induce del tutto particolarmente
anche il sogno straordinario avuto della nostra carissima Giara – che con quei
figuri io non intendo scherzare. Qualora volessero ricorrere alle frottole, io
li faccio frustare, così da far scorrere a rigagnoli il pessimo sangue sulle
loro schiene. Infatti la frusta della parola è troppo poca cosa per questa
gente inumana e non fa che maggiormente incitarli alla vendetta, mentre una
flagellazione effettiva ed energica contribuirà molto a smorzare il loro ardore
malvagio. Non è certo che ancora lo farò, ma neppure del tutto escluso!
6. Potrebbe accadere molto facilmente, se ci fosse anche un solo lieve
barlume di possibilità che quei figuri, assieme ai loro aiutanti, tentassero
davvero di procedere verso di Te, o Signore ed amico, per filo e per segno così
come ha visto nel suo primo sogno questa fanciulla! Io dico che basta una
scintillina di possibilità che si verifichi quanto detto sopra e oltre a ciò
aggiungiamoci anche il prefetto Ponzio Pilato che ha un’estrema debolezza
femminea – e loro Ti inchiodano come se niente fosse alla traversa [della
croce]!
7. Ah, se fossi io il prefetto di Gerusalemme, vorrei vedere se
qualcuno si azzardasse a mettere le mani su di Te! Lo appenderei dieci volte
sulla traversa di legno e solo alla decima gli farei spezzare le gambe! Ma io
purtroppo ho l’ordine di stazionare qui e non potrei venire in Tuo aiuto, né lo
potrebbero i Tuoi amici, Cirenio e Cornelio! Si deve cominciare dunque, in
tempo, a mitigare la perversa arroganza in questa genia, perché ne sia intimorita
a dovere ed affinché, se le si presentasse l’occasione in seguito, non le
riesca così facile levare le orribili zampe contro uomini divini, quale Tu ne
sei uno al massimo grado!
8. Oh, aspettate, aspettate, razza di cialtroni; il giorno che viene
farà per voi tanto caldo, che dovrete sudare sangue! Quando quei figuri avranno
ricevuto qualche dura lezione di tale genere, io sarei tentato di scommettere
quasi la metà dell’Impero romano che essi si dimostreranno più remissivi nel
loro perfido agire, almeno nei momenti più crudeli di esso, ma prima conviene
che la loro lurida e vecchia pelle venga conciata a dovere! Dixi!». (Ho detto!)
9. Dico Io: «Tu certamente puoi fare quello che vuoi, né Io ti dirò di
non fare così, poiché tu sei uno degli amici più cari e più saggi che Io abbia
mai incontrato. Tu dimostri un tatto non comune, quando parli ed agisci, però
devo dirti che tutto ciò non gioverà a nulla a questa razza perversa, ma invece
la renderà più perfida e più scaltra. Infatti, una volta che uno appartiene a
Satana, costui gli appartiene del tutto; certo si può qua e là giungere ancora
a qualche migliore risultato usando appunto la sferza della parola, come ora
hanno fatto i Miei discepoli e come è già accaduto a Nazaret, dove il preside
della sinagoga, assieme ai farisei ed agli scribi, ha accolto la Mia dottrina.
Molte volte, per altro, neppure con questo sistema si ottiene qualcosa, e con
il tuo sistema, poi, meno che meno! Infatti con la sferza tu cacci sì fuori un
demonio, ma al suo posto ne entrano altri dieci, ciascuno dei quali, poi, è
molto peggiore di quello di prima»
10. Dice il comandante: «Com’è vero che il mio nome è Giulio, io non
alzerò la sferza e il flagello contro nessuno prima che non vi sia costretto da
una assoluta necessità; ma se comincio, allora guai a chi tocca!»
11. Dico Io: «Qui hai nuovamente ragione! Bisogna che la pazienza sia
esercitata fino agli estremi limiti del possibile, ma quando questi limiti sono
raggiunti, è bene allora concedere libera azione al tuono ed al fulmine senza
ulteriore indugio e risparmio, altrimenti i peccatori potrebbero pensare che si
voglia scherzare e giocare con loro come con i piccoli fanciulli!».
12. Dice il comandante Giulio: «Questo è assolutamente il mio
principio! Prima che io infligga una punizione a qualcuno, ci vuole molto, ma
se un incorreggibile mi costringe, costui si ricorderà bene di essere stato
punito da me. Ma adesso sono del parere che il paio d’orette che ci restano le
potremmo dedicare al riposo, perché il grigiore dell’alba comincia già a
mostrarsi!»
13. Dico Io: «Sì, facciamo così, però ciascuno rimanga qui al suo
posticino».
14. Allora si fa silenzio e tutti gli occhi si chiudono sotto
l’influenza di un sonno breve sì, ma dolcissimo e quando è l’ora del risveglio,
ciascuno si sente tanto ristorato che gli pare di aver comodamente dormito e
sognato tutta la notte su qualche soffice giaciglio.
Grande
guarigione di malati con il semplice tocco del mantello del Signore,
(Matt.14,36)
1. Tutti si meravigliano per l’efficacia di quel breve sonno
ristoratore ed intanto il Sole già comincia ad illuminare le vette dei monti
circostanti. Ebal dà subito l’ordine alle proprie mogli di far preparare una
buona colazione e le due donne, allora, assieme alle figlie più anziane, si
affrettano ad eseguire l’incarico ricevuto, ciò che riesce loro tanto più
facile poiché le loro dispense si trovano ricolme da cima a fondo.
2. Nel frattempo i farisei hanno già completamente occupato la loro
mensa, cosicché nessuno avrebbe più potuto trovarvi posto ed Ebal fece loro
anche immediatamente servire la colazione consistente in pane, vino, alcuni
pesci arrostiti e miele vergine. Appena essi furono sbrigati, Ebal fece
preparare un’altra mensa destinata per Me, i discepoli, il comandante e per
Ebal e la sua famiglia.
3. Ma, prima di entrare nella sala, Io incaricai Ebal di far radunare
tutti gli infermi che erano in Mia attesa nella vasta camera dei forestieri e
di comunicare loro che essi non avrebbero dovuto fare altro che toccare il Mio
mantello per venire risanati all’istante. Allora Ebal uscì fuori ed eseguì il
Mio ordine.
4. Dopo di che Io feci il Mio ingresso nella sala da pranzo,
accompagnato dal comandante, dai Miei discepoli e dalla piccola Giara che non
voleva allontanarsi mai neanche di un passo da Me e Mi sedetti a mensa senza
badare affatto ai farisei e senza salutarli, cose queste alle quali essi
tenevano moltissimo.
5. E quando Io, il comandante ed i discepoli fummo tutti a posto, ecco
già entrare nella sala da pranzo circa duecento ammalati, i quali Mi pregarono
di poter toccare il lembo del Mio mantello (Matt.14,36). Ed Io permisi loro di
fare quanto Mi avevano chiesto, mentre Io, i Miei discepoli e tutti gli altri
facevaMo colazione. Allora tutti gli ammalati si accalcarono intorno a Me e
toccarono esteriormente il Mio mantello e tutti quelli che giunsero a toccarlo
furono guariti.
6. Però dietro a certi infermi si erano insinuati i farisei e gli
scribi rosi dalla gelosia, i quali dissero loro di nascosto: «Non toccate la
veste di questo nazareno, che ormai sappiamo chi è e voi ugualmente guarirete»,
ed avvenne che quelli che seguirono il consiglio dei farisei e non toccarono la
Mia veste, restarono con le loro infermità.
7. E come si furono accorti che il male non li aveva abbandonati, si
rivolsero di nuovo a Me e Mi pregarono di permettere loro di toccare la Mia
veste. Ma Io li rimproverai e dissi: «Siete venuti qui per cercare Me o
piuttosto per quei farisei che vi hanno distolto dal toccare il Mio mantello?
Che vi aiutino coloro nei quali voi avete creduto; rivolgetevi dunque a loro!».
8. Tali parole, manco a dirlo, non sfuggirono alle orecchie dei
farisei, i quali divennero infuocati per l’ira (Matt.15,1). Questi avanzarono
allora subito verso di Me e il loro capo esclamò: «Sei tu, dunque, colui a
causa del quale noi abbiamo dovuto scomodarci da Gerusalemme per venire a
Nazaret?».
9. Io non gli do affatto risposta, ma il comandante, che sedeva alla
mensa vicino a Me, e precisamente alla Mia destra, risponde con voce tonante:
«Sì, Costui Lo è, e voi miserabili non sarete mai in eterno degni di guardarlo
in faccia! Perché avete distolto questi poveretti dal toccare la Sua veste?
Anch’essi, come i loro compagni, avrebbero potuto riacquistare la salute! O
cani rognosi, ma non sapete proprio fare altro a questo mondo che seminare la
sventura fra gli uomini, quando se ne presenti l’occasione?».
10. Allora Io faccio cenno al comandante di moderarsi, per evitare
scenate spiacevoli!
11. Ed il comandante si frena, ma tuttavia impone al capo dei farisei,
con tutta serietà, di dichiarargli con tutta sincerità il motivo per cui ha
sconsigliato alcuni fra gli ammalati dal toccare la veste del divino Maestro,
in modo che anch’essi, come gli altri, avrebbero potuto venir guariti!
12. Ed il capo risponde, non senza imbarazzo: «Con ciò noi non abbiamo
voluto altro che attingere l’assoluta convinzione che veramente sarebbero stati
guariti soltanto quelli che avessero toccato la veste. Ma oramai siamo davvero
persuasi che soltanto coloro che hanno toccato la veste del Maestro hanno
riacquistata la salute e noi non ci opponiamo più al fatto che essi facciano
quello che può liberarli dai loro mali!».
13. Allora quelli che erano rimasti infermi si levano e dicono: «Oh, se
non fossimo tanto ammalati, miseri e deboli, per la vostra prova fatta a nostre
spese, per constatare se anche senza toccare la veste del divino Salvatore noi
saremmo guariti, noi vi daremmo una tale ricompensa da potervene ricordare per
tutta l’eternità! Ma differire non vuole dire ancora revocare, con l’aiuto di
Dio verrà bene il giorno in cui anche noi ritorneremo sani ed avremo ancora
occasione di incontrarci in qualche luogo. State bene attenti a quello che
faremo di voi!».
14. Io però dico agli ammalati: «Sia lontano da voi ogni proposito di
vendetta! Se volete che Io vi aiuti, bandite ogni sentimento di ira e di
rancore dal cuore!».
15. Esclamano allora gli ammalati: «Maestro, per amor Tuo faremo tutto
quello che mai potrai domandarci, soltanto, o Signore, libera anche noi, poveri
di spirito, dai nostri mali!».
16. Ed Io dico loro: «Ebbene, avvicinatevi e toccate anche voi la Mia
veste!».
17. Essi Mi si avvicinano subito e toccano il lembo del Mio mantello e
si trovano d’improvviso completamente guariti.
18. Ed il comandante, eccitato in sommo grado, così tuonò: «Dunque, o
ciechi veggenti della cosiddetta santa città di Dio, siete adesso ben persuasi
che l’Uomo, riguardo al Quale andate spargendo le peggiori voci e per inquisire
il Quale ed impadronirveNe voi siete usciti fuori, sia proprio quel pessimo
soggetto che vi davate ieri la pena di descrivermi?».
19. Risponde il capo ed anche gli altri farisei: «Che da lui proceda
una influenza o potenza curativa eccezionale, ce ne siamo ora convinti più che
a sufficienza, ma dalla constatazione di tale fatto al dedurre che tutto ciò
avvenga per una specie di potere divino, molto ci corre, perché noi osserviamo
in lui ed in coloro che siedono con lui a mensa che essi non osservano la tradizione
degli anziani e, dove questo manca, è quanto mai prematuro parlare di un
influsso divino!».
20. Dice il comandante: «Di simili cose io non me ne intendo affatto,
perciò chiedetene a Lui stesso!».
Il Signore e
il capo dei farisei.
(Matt.15,1-9)
1. Allora soltanto il capo dei farisei si presenta dinanzi a Me e
domanda (Matt.15,1): «Maestro! Chi sono coloro che siedono con te a mensa?».
2. Dico Io: «Sono i Miei discepoli!»
3. Chiede ancora il capo: «Perché i Tuoi discepoli trasgrediscono la
tradizione degli anziani? Infatti non si lavano le mani quando prendono il
pane!»
4. Ed Io, levatoMi in piedi, Mi volsi bruscamente di fronte al capo dei
farisei e con voce sonora gli domandai a Mia volta: «E voi, perché trasgredite
il comandamento di Dio per amor della vostra tradizione? (Matt.15,3). Dio ha
comandato in questa maniera: “Onora il padre e la madre! Ma chi maledice il
padre o la madre sia punito con la morte!” (Matt.15,4). Invece voi insegnate ai
figli a dire così ai loro genitori: “Quando io faccio un’offerta al Tempio per
te, o padre, o per te, o madre, questo è un vantaggio superiore che non se io
ti onorassi continuamente secondo il vecchio costume”. E voi dite ad un simile
figlio o figlia che così è ben fatto! (Matt.15,5). Ma quale ne è la
conseguenza? Ecco, questa è la conseguenza: ormai quasi nessuno onora più il
proprio padre e la propria madre! E così avete annullato il comandamento di Dio
per la vostra (opportuna) tradizione! (Matt.15,6). Chi ve ne ha dato il
diritto? Voi sì che potete procedere in tal modo, perché non avete ancora mai
creduto in Dio, perché chi è morto spiritualmente non ha più coscienza!»
5. Qui interviene di nuovo il comandante e dice: «Ah, ah, a questo
punto dunque siamo arrivati? Oh, questa è una cosa di cui devo particolarmente
prendere nota! Una bella razza di servitori di Dio siete voi! Ed è perciò che
voi non potete riconoscere quanto vi è di puro e divino nel nostro Maestro e
Salvatore. Il vostro Dio, dunque, si limita in primo luogo alla vostra pancia
ed ai sacchetti d’oro e d’argento, sempre per la vostra pancia! Bene, bene,
ormai vi conosco a fondo; continuate pure la vostra discussione»
6. Dice il capo dei farisei: «Noi siamo servitori di Dio nell’ordine di
Aronne!».
7. Allora Io esclamo: «O miserabili ipocriti! Di voi scrisse e
profetizzò bene Isaia, (Matt.15,7) quando disse: “Questo popolo si accosta a Me
con la bocca e Mi onora con le labbra, però il suo cuore è ben lontano da Me!
Ma invano Mi onorano, insegnando dottrine che non sono che comandamenti di
uomini!”»
8. Dice il capo dei farisei: «Con le nostre massime, le quali pur esse
sono salutari agli uomini, noi non annulliamo affatto i comandamenti di Dio!»
9. Dico Io: «Io ve l’ho già dimostrato in rapporto a quel comandamento
di Dio, volete ancora sentire come voi calpestate nella polvere tutti gli altri
comandamenti di Dio e come al di sopra di questi innalzate fino al Cielo i
vostri precetti umani?»
10. Dice il capo dei farisei: «Lascia stare, perché la gente qui è
molta!»
11. Dice il comandante: «Allora in presenza del popolo rendete al
Maestro testimonianza che Egli vive ed opera in modo del tutto giusto secondo
la Legge di Dio!»
12. Risponde il capo: «In questo momento non lo possiamo fare, una cosa
simile può essere fatta unicamente di iniziativa del Tempio per mezzo del sommo
sacerdote, l’unto del Signore!».
13. Dice il comandante: «Questo è quello che noi romani definiamo con
il detto: “Ars longa, vita brevis”, vale a dire che si vuole, per certe
ragioni, tirare più a lungo che sia possibile, per poi non farne nulla, ma io
vi dico, senza alcun riguardo, davanti a tutto il popolo, che per un Maestro
come Lo è Gesù di Nazaret, la vostra testimonianza, per quanto la stimaste la
migliore, sarebbe sempre troppo povera e cattiva. Ed io vi dico che, qualora
arrivati a casa vostra, nel Tempio, vi azzardaste a fare ai vostri ipocriti
colleghi qualche rapporto anche in minima parte equivoco o falso sul conto di
Gesù, nello stesso istante anch’io manderò all’imperatore a Roma un rapporto
nel quale gli esporrò, per filo e per segno e con l’appoggio di cento
testimoni, in quale modo voi ed i vostri colleghi avete organizzato e
perpetrato la famosa rapina delle imposte! Dopo ciò calcolate che non passerà
un anno e il vostro covo infernale sarà distrutto cosicché, poi, riuscirà
difficile rilevare dove una volta sarà esistito! Tenetevi tutto questo bene a
mente, perché quello che un romano promette, anche lo mantiene, dovessero
andare in rovina Cielo e Terra. Fiat justitia, pereat mundus! (Sia fatta giustizia, perisca pure il
mondo!). Mi avete compreso?».
Severo
discorso di Giulio sulla benedizione del Signore.
1. A queste parole del comandante Giulio, i farisei si ritirano
completamente storditi e si consigliano tra di loro riguardo di quello che
sarebbe stato opportuno fare. L’uno è dell’opinione che infine bisognava
rilasciarMi la testimonianza richiesta dal comandante.
2. Ma il capo obietta: «Come possiamo farlo, se egli disprezza e
calpesta le leggi del Tempio? Ma se anche lo facessimo per salvare le apparenze
e il resto non ci gioverà a nulla, perché, a tempo debito, salterebbe fuori la
testimonianza resa da noi e tutta la colpa e la pena allora cadrebbero su di
noi! Risolviamoci piuttosto a mantenere la promessa che il comandante ci
richiede, perché, se anche poi venisse qualche imbroglio, avremmo una buona
ragione per scusarci di fronte ai nostri superiori!». Tutti i farisei accettano
questo consiglio e finiscono con il restarsene quieti e silenziosi.
3. Allora Io Mi alzai di nuovo e, rivoltoMi al capo dei farisei, gli
dissi in tono severissimo: «Dunque, per l’inosservanza dei vostri precetti
umani dimentichi di Dio, tu non puoi e non vuoi rendere testimonianza di Me, e
ciò per timore che possa succedere qualcosa al tuo corpo sciagurato!
Oh, se tu Mi avessi reso questa testimonianza, come saresti stato beato
nel tempo e nell’eternità, ma ormai il tempo è passato! Il Figlio dell’uomo non
avrà mai più bisogno di una testimonianza da te, poiché le Sue opere e le Sue
parole già rendono vera testimonianza di Lui! E affinché tu ed i tuoi compagni
vi convinciate che il Figlio dell’uomo non ha alcun timore degli uomini, Io
dichiarerò ora, dinanzi a tutto il popolo, in tua presenza, che l’osservanza
dei vostri precetti non ha nessun valore e che colui che li osserva secondo i
vostri intendimenti commette un grave peccato di fronte a Dio!»
4. Dice il capo dei farisei: «Non farlo, altrimenti ti potrebbe
capitare del male!»
5. Dice il comandante: «Egli lo farà e non Gli capiterà nulla di male!
Notatelo bene, o voi miseri adoratori del dio denaro! Qui voi siete in mio
potere; al minimo atto sospetto da parte vostra, io vi faccio tagliare a pezzi
e gettare in pasto ai draghi del mare quant’è vero che Giulio è il mio nome! Ma
guardate un po’ questa razza sciagurata! Dalla storia si apprende che la gente
del Tempio, già da più di trecento anni, non ha fatto niente di buono a
nessuno. E se mai fra di essa è sorta, di quando in quando, un’anima nobile,
questa è sempre stata trattata così com’è toccato, secondo quanto mi è noto,
all’onesto e pio Zaccaria, saranno ora trent’anni appena e così, se qualcuno
dei loro correligionari comincia ad elevarsi sugli altri, ricolmo d’amore per
la verità, di rettitudine e di forza divina, questi figuri sono sempre pronti a
trarlo in rovina! Oh, questo miserabile mestiere è bene che vi venga ben presto
impedito!
6. Ecco qui: quest’Uomo veramente divino è venuto in questa regione,
che è universalmente conosciuta per la sua insalubrità, dove, in tutto il
circondario, si trovavano parecchie migliaia di infermi, gente del luogo e
forestiera; anche i miei soldati erano per metà travagliati da febbri moleste e
ostinate e qualcuno già da oltre un anno; un bel giorno però è venuto qui
questo puro Uomo di Dio ed ha guarito tutti coloro che hanno richiesto aiuto a
Lui. Non sarebbe dunque doveroso erigere ad un Uomo simile un altare e sacrificarGli
come ad un Dio e renderGli ogni possibile onore? Ma voi cosa avete fatto di
bene agli uomini da quando siete venuti qui? Solo questo avete fatto: la
cantina e la dispensa di Ebal saranno tra poco alleggerite per un centinaio di
denari di valore!
7. È per gratitudine che voi, come fanno i lupi, divorate dappertutto
per niente, e volete ancora causare la rovina del nostro maggiore benefattore!
È solo merito di quest’Uomo, se Cirenio non ha immediatamente radunato tutte le
forze che ci sono in Asia e non ha distrutto fino alle fondamenta il vostro
immondo covo di rapina e fornicazione! No! Fa solo orrore pensare alle vostre
infamie! Infatti, affinché gli imbrogli, che voi vendete al popolo a caro
prezzo come fossero cose divine, non vengano scoperti, ebbene voi, con tutta
l’astuzia che Satana vi suggerisce, tentate di sbarazzarvi perfino dei vostri
migliori uomini e benefattori, quando scorgete in loro qualcosa di una luce
superiore! Ditelo voi stessi se non siete molto più malvagi di Satana in persona!»
8. Ed il comandante, rivoltosi poi a Me, disse: «Signore e Maestro
dalla scuola di Dio, insegnaci senza alcun timore la verità e dichiara pure al
popolo quello che in seguito dovrà pensare e fare riguardo ai precetti umani.
Io so che a Te obbediscono Cielo, Terra e tutti gli elementi e che Tu, con il
semplice alito della Tua bocca, puoi, con altrettanta certezza, disperdere come
polvere al vento questi furfanti, quanto certo fu che Tu potesti comandare al
mare di sostenerci e portarci come fosse solido terreno, tuttavia, da debole
uomo che sono in Tuo confronto, io mi metto completamente ai Tuoi ordini con
tutto il mio potere umano-militare, che poi non è affatto insignificante, fino
all’ultimo uomo e fino all’ultima goccia di sangue! Bisogna che questi
miserabili figuri imparino che tipo di luogo è Genezaret!»
9. Dice il capo dei farisei, con voce tremante: «Signor comandante! Ma
dove hai tu una prova contro di noi, così da poter sostenere che siamo venuti
qui unicamente per mandare in rovina quest’Uomo? Noi siamo bensì venuti per
esaminarlo ed osservarlo, cosa di cui non è possibile farci un carico, ma, nel
Nome di Dio, non si può ancora parlare di rovinare qualcuno! Per te è facile
dire e valutare le cose, perché hai avuto sufficiente occasione di conoscerlo
attraverso le sue opere e le sue parole, noi, invece, tranne l’odierna
meravigliosa guarigione, abbiamo visto ed appreso ancora poco, all’infuori
delle tue minacce per niente molto umane; ed io credo che a noi, che in un
certo modo siamo quasi completamente estranei a questa faccenda, dovrebbe pur
essere lecito osservare un po’ da vicino quest’uomo meraviglioso!
10. Non ignoriamo certamente di trovarci noi, gente del Tempio, su un
terreno già molto cedevole, ma, nonostante ciò, anche questo è meglio di niente
e lo Stato è tenuto a tutelarlo finché a Dio forse piacerà crearne uno di più
solido! Perciò io ti prego di non ricorrere subito alla spada contro di noi, se
scambiamo qualche parola con il miracoloso Gesù! Che Egli faccia pure quello
che vuole e che insegni e predichi pure a suo piacimento, affinché sia dato
anche a noi di intendere a questo riguardo qualcosa di migliore di quanto
abbiamo finora appreso soltanto in base a racconti di terze persone ed ai molti
rapporti certamente falsi. Se noi vedremo che nella cosa c’è veramente
qualcosa, anche noi ci faremo altre idee, diverse da quelle che ci siamo fatte
finora attraverso gli altri! Infatti neppure noi siamo tanto ottusi, e il
nostro cuore è ancora capace di un equo giudizio».
11. Dice il comandante: «Il vostro rifiuto di fare la testimonianza
richiesta non depone a favore dell’equità del vostro cuore, anzi, tutto al
contrario! Ex trunco non quidem Mercurius (Non
si può ottenere un Dio da un tronco); però vedremo il seguito!».
Tre documenti (Matteo 15,10-14)
1. Allora Io feci chiamare presso di Me tutto il popolo, cioè la gente
che avevo guarita, nonché gli abitanti della città che erano abbastanza
numerosi e che, per essere quella una vigilia di sabato, facevano festa.
2. E quando il popolo si trovò radunato, così che la sala ne fu quasi
zeppa, Io dissi: «Ascoltate ed intendeteMi bene! (Matt.15,10). Non ciò che
entra nella bocca contamina l’uomo, ma lo contamina ciò che esce dalla bocca.
(Matt.15,11). Mangiare il pane con le mani non lavate non contamina nessuno. Io
lo dico a voi tutti e da parte Mia resta per l’eternità abrogata tale
prescrizione fatta dagli uomini!». Ed il popolo tutto proruppe in grida di
giubilo ed in esclamazioni di lode al Mio indirizzo.
3. Ma i discepoli, accostatisi a Me, dissero: «Hai Tu osservato come i
farisei, frementi d’ira, si sono scandalizzati udendo le Tue parole?».
(Matt.15,12).
4. Ed Io ad alta voce dissi ai discepoli: «Ogni pianta che il Padre Mio
non ha piantato, sarà sradicata! (Matt.15,13). Lasciateli partire! Essi sono
guide cieche per ciechi. Ora, se un cieco guida un altro cieco, ambedue
cadranno certamente nella fossa! (Matt.15,14). Perciò costoro possono scandalizzarsi
quanto vogliono, perché il loro padre è diverso dal nostro. Il padre nostro è
dall’Alto, mentre il loro padre è dal basso!
5. Udendo tali parole, i farisei diventarono prima lividi, e poi
infuocati dall’ira e dal furore che li rodeva, e il loro capo, sebbene sempre
con voce tremante, esclamò: «Ormai ne abbiamo inteso abbastanza! Egli ha
proferito bestemmia contro Dio e contro di noi. Ora noi sappiamo con chi
abbiamo a che fare e chi veramente è questo Gesù da Nazaret. Andiamocene via da
qui, ed il sommo sacerdote sappia dalla nostra viva voce che specie di uomo è
questo nazareno!»
6. Dice il comandante: «Si può bensì sempre entrare in una città, a
seconda della propria volontà, come avete fatto voi, ma uscire dipende dalla
volontà di colui che ha il potere sulla città! Si fa presto a dire:
“Andiamocene!”, ma allora si fa avanti il detentore del potere che dice: “Voi
restate!”».
Le ultime parole furono pronunciate con voce tonante.
7. Alle ultime parole “voi restate!” i farisei furono colti da tale spavento
che diventarono terrei, cominciarono a tremare e non furono più capaci di
articolare una parola.
8. E quando il comandante si fu accorto dell’effetto disastroso in loro
dalla sua intonazione, così continuò: «Prima di lasciarvi partire, noi avremo ancora
parecchio da discorrere e voi dovrete prima firmarmi di vostro proprio pugno ed
alla presenza del popolo due contratti ed una dichiarazione, ma sia i contratti
che la dichiarazione vanno firmati per la vita e per la morte! Tenetevelo bene
a mente! Perché, non appena fossi avvertito per mezzo dei miei spioni, che
hanno le orecchie molto buone, che voi non avete mantenuto neanche un solo
articolo dei contratti, lo stesso giorno piomberebbe su di voi la morte e non
vi gioverebbe affatto il nascondervi, neanche dietro a mille Templi!».
9. Dopo ciò il comandante si fece portare dai suoi addetti l’occorrente
per scrivere e stilò i documenti con le seguenti parole: Contratto n°1: se
qualcuno di voi si azzarderà a pronunciare sul conto di Gesù da Nazaret anche
una sola parola calunniosa, sia fra di voi, sia davanti a qualche estraneo, ciò
che verrà scoperto immediatamente, costui sottostarà al giudizio ed alla
morte!
Contratto n°2: chi di voi, riferirà al Tempio di Gerusalemme, sia pure
una sola parola di tutto ciò che qui è accaduto e di cui si è parlato e renderà
di Gesù, il Signore, una mala testimonianza, sia nel Tempio che fuori, costui
sarà sottoposto ad atroce giudizio e poi alla morte fra i tormenti e nessuno
s’illuda pensando che nessuno arriverà a saperne niente! Come già detto, nello
stesso momento, dove e quando è indifferente, direte una sola parola di quello
che i due contratti vi obbligano a tacere, i miei emissari lo sapranno ed
accadrà di voi secondo quanto è stato stabilito nei contratti stessi.
10. Poi il comandante si accinse a scrivere una dichiarazione del
seguente tenore: “Noi tutti quanti insieme, confessiamo con le firme apposte di
nostro proprio pugno in calce alla presente e ciò a conferma della verità pro
memoria aeterna (a eterno ricordo)
che siamo stati noi gli autori della nota rapina ai danni dell’erario
imperiale, perpetrata prendendo in illegittima consegna, perché sottratti
mediante ignominiose astuzie e raggiri ai rispettivi portatori, le imposte ed
altri tesori provenienti dal Ponto e dall’Asia Minore. Dichiariamo inoltre che
durante il trasporto e precisamente a Chis, il fatto incriminabile è stato
rivelato da Gesù da Nazaret, anche se non direttamente e verbalmente, tuttavia
sempre per il Suo influsso. Riconosciamo infine che da parte del giudice Fausto
sarebbe stata pronunciata contro di noi tutti, senza eccezione, sentenza di
morte, però il nominato Gesù di Nazaret s’interpose in nostro favore e perciò
fummo salvi! Questa è una verità che noi siamo disposti a sostenere anche a
prezzo della nostra vita!”».
11. Quando il comandante ebbe approntato i tre documenti, ne diede
tranquilla lettura ai farisei ed agli scribi; man mano che la lettura
procedeva, le loro facce si facevano sempre più lunghe, ma quando udirono il
testo della dichiarazione, soltanto allora si presero il capo disperatamente
fra le mani, e gridarono: «Cosa, dobbiamo sottoscrivere una cosa simile?»
12. Dice il comandante: «Appunto! Si tratta della pura verità! Ma se
non volete firmare, là sono pronti già gli aiutanti del carnefice muniti di
verghe, sferze e scuri ben taglienti!». Allora i farisei si volsero ed infatti
scorsero quei terribili ministri della giustizia! A quella vista essi non
aprirono più bocca e chiesero che venisse loro dato l’occorrente per firmare!
Il comandante però fece notare loro che dovevano firmare con i loro veri nomi,
perché qualunque falsa dichiarazione e indicazione avrebbe avuto come
conseguenza la morte. Essi firmarono dunque con i loro veri nomi e chi fra il
popolo sapeva scrivere, dovette pure apporre la firma in qualità di testimone.
13. Quando i tre documenti così regolarizzati si trovarono nelle mani
del comandante, questi aggiunse: «Ecco che ormai possiedo quello che già da
lungo tempo ci tenevo ad avere da voi e così sapete bene ciò che si trova in
mia mano. Quello che siete tenuti a mantenere, lo sapete pure e così non c’è
più altro da dire, né da fare. Adesso potete andarvene dove più vi piace, fino
al confine vi sarà data buona scorta!».
14. I farisei non se lo fecero dire due volte: misero insieme la loro
roba, e non era passata neanche mezz’ora che essi si lasciarono Genezaret ad
una bella distanza dietro le spalle, tutti mogi e silenziosi.
L’ammonizione
del Signore a guardarsi dalla perfida astuzia dei templari.
1. Quando quegli osservatori ed esaminatori furono già ben lontani,
disse il comandante: «Signore! È da sperare che questi qui se ne stiano zitti,
perché i tre uncini, ai quali si sono impigliati, dovrebbero tener bene! Del
resto corrisponde al vero che io al più tardi entro otto giorni, saprò quello
che ognuno di loro potrà aver detto in qualsiasi luogo, per quanto
segretamente; questo essi lo sanno bene e la loro convinzione è più forte
ancora dei miei informatori sparsi dappertutto e la grande paura da cui sono
dominati è la loro grande maestra di disciplina. Io garantisco che nessuno di
loro dirà neppure una sillaba sola di tutto ciò che gli è accaduto qui!»
2. Dico Io: «Certo, essi serberanno il silenzio, ma tanto più rovente
diventerà la loro ira, poiché quello che è toccato loro qui in misura
abbondantissima, nessuno lo dimenticherà mai più. Dunque, state tutti bene in
guardia, perché la loro segreta perfidia è grande e non ha confini! Nei loro
cuori albergano demoni e per questi nessun mezzo è troppo cattivo, pur di
vendicarsi di colui che li ha offesi! Badate dunque a voi! Essi cercheranno ora
di tessere ogni possibile e fosca trama! Però la dichiarazione che hanno dovuto
firmare è ancora il vincolo migliore che impedisce loro una certa libertà
d’azione! E perciò se ne staranno quieti, ma essi manderanno intorno a voi dei
maligni spioni in numero più grande di quanti ne manderete voi intorno a loro e
prezzoleranno dei falsi testimoni contro di voi; perciò badate bene a voi; è
per questo che Io vi avverto prima»
3. Dice il comandante: «Signore, io ti ringrazio dal profondo del cuore
per questo avvertimento! Ma poiché ora so questo, ogni forestiere, specialmente
se si tratterà di un gerusalemita, d’ora innanzi bisognerà che si senta in uno
stato d’animo del tutto particolare quando varcherà i confini di questa
regione! In verità ad un tale verranno attizzati carboni ardenti sul capo!
Basterà che ne venga pigliato uno ed al secondo passerà la voglia di fare
l’informatore per conto del demonio!»
4. Dico Io: «Sì, certo, così succederà e perciò state bene attenti,
perché questa razza appare esteriormente mansueta come le colombe, mentre nel
suo interno è più velenosa e micidiale di un crotalo egiziano. Essi si
presenteranno sotto tutte le forme e parleranno tutte le lingue, ora camuffati
da mercanti persiani, ora travestiti da greci, da egiziani ed anche da romani e
sarà difficile distinguerli dai veri appartenenti alle dette nazioni. Ma se voi
li esaminerete rigorosamente, potrete ben rilevare a grandi linee quel che
terranno celato in fondo al loro pensiero!».
5. Dice il comandante: «O Signore! Maggiori grazie Ti siano ancora
rese! Ora conosco perfettamente quello che dovrò fare in futuro; e se mai si
dovesse presentare qualche caso particolarmente oscuro ed impenetrabile, Tu ben
mi permetterai di invocare il Tuo Nome potente e santo sopra ogni cosa e di
chiedere: «O altissimo ed onnipotente Spirito del mio Signore e Maestro Gesù!
Rischiara il mio cuore, cosicché sia fatta luce in esso!». E Tu certo udrai
questa mia invocazione anche agli estremi confini dell’Universo!».
6. Gli dico: «O amico Mio e fratello, resta tu in Me così e lo Spirito
Mio rimarrà a sua volta in te, pronto a soccorrerti in ogni tempo e ad ogni ora
del giorno e della notte».
7. A questo punto Giara, la quale si trova sempre con Me, interviene e
dice: «Ma Signore! Tu parli come se dovessi ben presto lasciarci! Io Te ne
prego, resta, resta ancora qualche giorno con noi perché certo Tu sei la mia
vita! Ora, come potrei io vivere senza di Te? Oh, Tu devi restare, io non Ti
lascerò partire, no! Senza di Te io sento che certamente morrei!».
8. Ed Io le dico amorevolmente: «Oh, Giara, Mia dilettissima! Io non Ti
abbandonerò mai più in eterno! E se anch’Io, quale Persona Umana, dopo essere
rimasto qualche giorno ancora con voi, dovrò allontanarMi per un certo tempo,
per ragioni della Mia Missione, tuttavia in Spirito Io rimango presso di te e
tu potrai parlare sempre con Me ed Io darò sempre una risposta chiarissima ad
ogni tua domanda; di ciò puoi essere assolutamente più che sicura! Mi comprendi
tu?»
9.Risponde la piccola Giara: «Oh, sì, mio amatissimo Signore Gesù, io
Ti comprendo molto bene e so che per Te non c’è niente di impossibile, eppure
avrei tanto caro che Tu restassi anche di persona ancora qualche tempo con noi.
Infatti, vedi, da quando Tu ti trovi qui presso di noi, mi appare come
trasfigurato e celestiale tutto quello che mi vedo intorno, sì, io non posso
raffigurarmi più bello e maestoso di così nemmeno il Cielo. Resta dunque, o
Signore, resta per amore mio anche personalmente qualche giorno ancora qui con
noi».
10. Ed Io le dico: «Ebbene, sia fatto come tu vuoi e brami! Ad un amore
come il tuo non è possibile negare nessuna cosa, specialmente quando esso si è
scelto la parte migliore! Sta dunque di buon animo! Il tuo amore non resterà
mai più solo!»
11. Questo annuncio riempie Giara di tanta letizia che essa corre a
braccia aperte da Ebal ed esclama: «Padre Ebal, hai udito? Il Signore resta da
noi ancora, anzi per sempre!»
12. Ed Ebal dice: «Mia cara figliola! Questa è una grazia immensa, che
tutti noi insieme non meritiamo, perché Egli è un Signore del Cielo e di questa
Terra! Quello che Egli vuole fare e fa, giace nascosto nei Suoi decreti eterni
e imperscrutabili, per i quali ogni capello del nostro capo è contato così come
sono contati i granelli di sabbia nel mare e noi uomini non possiamo portarvi
alcun cambiamento. Ma di questa opinione sono io pure, che cioè per Lui, di
fronte al Quale mille anni sono come un giorno, non avrà capitale importanza il
trattenersi presso di noi un giorno di più o di meno. Dunque, tieniLo pure
stretto e non lasciarLo scappare, perché tu Gli sei cara più di tutti noi»
13. Dice Giara: «Oh! Saprò ben io tenerLo stretto stretto, e non mi
fuggirà».
Il Signore
parla dello spirito d’amore.
1. Allora vengo Io in silenzio alle spalle di Giara, sollevo la
fanciulla da terra e le dico: «Ma fanciulletta Mia carissima, come farai tu a
tenerMi stretto, stretto? Non vedi che sono molto più forte di te?»
2. Risponde la piccola, dopo che Io l’ebbi rimessa giù: «Oh, io so bene
che Tu sei infinitamente più forte di me, povero moscerino in Tuo confronto,
perché Tu, con la Tua onnipotente Volontà, reggi Cielo e Terra e trattieni il
mare nelle sue profondità, come potrei io rivaleggiare mai con Te in forza? Ma
io così intendo che Tu, poiché il mio amore per Te è tanto indicibilmente
grande, per amore del mio amore Ti lascerai trattenere ancora un poco oltre il
tempo in origine stabilito!
3. Dico Io: «Oh, sì, ancora una volta hai ragione tu, perché con
l’amore tutto si può ottenere da Me ed è appunto l’amore per voi uomini, che Mi
ha indotto a scendere su questa Terra! Ma chi ama come tu ami, costui certo può
fare quanto vuole con Me, poiché un simile amore è appunto il Mio Spirito nel
cuore dell’uomo e quello che un simile amore domanda e vuole è in perfetta
armonia con l’Ordine divino fin nelle sue più remote profondità; perciò tu puoi
sicuramente ben tenerMi stretto nel tuo cuore ed Io dal tuo cuore mai in eterno
Mi separerò.
4. Tuttavia, per quanto concerne la Mia Persona visibile, essa non ha
particolare importanza, mentre quello che veramente vale ed assolutamente ha
valore è il Mio Spirito; tutto quanto da Me viene fatto, non lo fa la Mia
Persona, bensì soltanto il Mio Spirito, ma per amor tuo Io Mi tratterrò qui
ancora un paio di giorni anche personalmente, perché domani è un sabato e
dopodomani è simile al sabato. Questi due giorni ancora Io li trascorrerò qui
con voi, ma poi Io me ne andrò verso Sidone e Tiro, però più tardi farò ben
ritorno e forse passerò con voi la metà dell’inverno».
5. E la fanciulla, tutta giubilante, esclama: «Oh, Dio, il santissimo
Padre ne sia ringraziato e lodato! Ora sono proprio contenta!»
6. Tutti furono allora compresi di ammirazione per quella fanciulletta
dodicenne e si meravigliarono per la sua intelligenza! Ed un vecchio là
presente disse: «Oh, questa è una particolare grazia del Signore! In questa
delicata e fragile personcina certo si nasconde un angelo del Signore! La sua
figura e il suo spirito ne fanno testimonianza!»
7. Dice un altro: «Senza alcun dubbio! La fanciulla conta al massimo
dodici anni e mezzo, ma essa ha l’aspetto di una di sedici! Il suo corpo è
perfettamente formato e la sua anima non lascia niente a desiderare! Questa ha,
in verità, testa e cuore al loro vero posto! Felice colui che la condurrà come
moglie in casa sua!».
8. Queste considerazioni vengono all’orecchio di Giara, la quale dice:
«Un’anima che ama Dio non ha bisogno dell’amore di uno sposo egoista, perché
essa è già accolta quale sposa nella dimora di Dio! Io so amare gli uomini nella
loro miseria e so far del bene ai poveri ad ogni ora del giorno e della notte,
ma quel certo amore di un giovane io non lo conosco e non lo conoscerò mai, a
meno che il suo cuore non sarà come il mio, ricolmo dell’amore più puro al
Signore!»
9. Osserva un terzo vecchio israelita: «Oh, oh, fanciulla cara! Le tue
parole suonano bensì sagge e belle come venissero fuori dalla bocca di un
angelo, ma sei fatta di sangue e di carne anche tu e quando sarà venuto il tuo
tempo, vedrai bene pure tu, se carne e sangue non hanno nell’uomo le loro
esigenze!»
10. Risponde Giara: «Che l’uomo non è un Dio, questo lo so già dai miei
primi anni, ma l’uomo, in forza del suo giusto amore a Dio, può giungere a
dominare la propria carne e il proprio sangue, non senza l’immancabile aiuto di
Dio. Però l’aiuto che Dio dà non viene mai a metà, bensì è completo, ciò che
voi stessi avete sperimentato stamani sulla vostra carne e sul vostro sangue
ammalati! Infatti, questo è stato l’aiuto di Dio e non dell’uomo!». Dopo questa
risposta di Giara i vecchi ammutoliscono e nessuno si azzarda a ribatterle
niente!
11. Io allora, prendendo Giara per mano, le dico: «Brava! Tu parli già
come un completo profeta!».
12. Giara, sorridendo dolcemente, osserva a mezza voce: «È facile
parlare da profeta, quando si è vicini a Te e quando sei Tu che metti le parole
sul cuore e sulla bocca! Se avessi parlato di per me stessa, certo si sarebbe
udita più di una sciocchezza!»
13. Le dico Io più sottovoce: «Potrebbe anche essere, Mia diletta
Giara! Ma da oggi in poi tu sarai sempre in grado di far sentire parole
altrettanto sagge, soltanto bisogna che tu non Mi divenga infedele un giorno,
quando sarai più grande!».
14. Dice Giara: «Signore! Se tale cosa dovesse essere possibile, fa’
piuttosto che io muoia!»
15. Le dico Io: «Suvvia, questa cosa sarà ben impossibile!»
16. E Giara, cingendoMi forte per la vita e stingendoMi al suo petto,
esclama: “Oh, no! Questa cosa non deve essere in eterno possibile! Infatti
bisognerebbe essere proprio insensati per dare una libbra d’oro purissimo in
cambio di una libbra di putridume fetente!”.
17. Le dico Io: «Dunque, tieni anche tu all’oro?»
18. Risponde Giara: «Sì, io ci tengo, ma all’oro dell’anima, e di
quello terreno ho parlato solo per trarne un esempio»
19. Dico Io: «Bene, bene, Ti ho già compresa, ma poiché Io ti amo,
allora Io devo anche punzecchiarti un po’!»
20. Dice Giara: «Oh, punzecchiami pure come Ti piace, non perciò io Ti
amerò di meno! Infatti già da lungo tempo mi è noto che Dio visita e affligge
con ogni genere di sofferenza coloro che Egli particolarmente ama! Quando Tu, o
Signore, comincerai a punzecchiarmi proprio a dovere, allora sarà proprio
quello il momento in cui mi amerai di più!»
21. Le dico Io: «Oh, tu, Mia carissima figlioletta! Simili cuori
purissimi com’è il tuo, Dio non li punzecchia, bensì solo quelli che, pur
amando molto Dio, tuttavia di tanto in tanto fanno l’occhiolino anche al mondo;
questi vengono poi visitati da Dio il Quale, attraverso ogni genere di
punzecchiamento, spazza via dai loro cuori l’amore del mondo, affinché i cuori
stessi diventino perfettamente puri! Comprendi tu queste cose?»
22. E Giara risponde: «Oh Signore, Tu delizia del mio cuore! Io le
comprendo certo molto bene!».
Conversazione
tra i templari e gli esseni.
1. Pietro, allora, che raramente interloquiva, parlando quasi a se
stesso si lasciò sfuggire: «Non capisco davvero come questa ragazzina sia
sempre così pronta ad intendere tutto! Io, che sono vecchio abbastanza e che ho
pure dell’esperienza, quando si tratta di afferrare rapidamente le cose, non ci
riesco per niente! E così ancora adesso non mi riesce di comprendere proprio
ben chiaramente cosa Egli ha voluto intendere con le parole: “Quello che entra
nella bocca non contamina l’uomo, ma lo si contamina da quello che esce dalla
bocca!”. Se un uomo è costretto a vomitare o, se colpito dalla tosse, deve
sputare, come può questa cosa contaminarlo? E neanche Mosè ne ha fatto nessuna
menzione!»
2. Osservano anche gli altri discepoli: «A questo riguardo succede a te
come a noi; neanche noi possiamo raccapezzarci; va’ dunque e chiediGli, a nome
di tutti, com’è da intendersi questa parabola»
3. Soltanto allora Pietro viene da Me e Mi domanda: «Signore! Come si
deve intendere la parabola di quel che entra e di quel che esce dalla bocca?
Nessuno di noi riesce a comprenderlo!»
4. Dico Io: «Siete voi ancora privi d’intelletto? (Matt.15,16). Per
quanto tempo ancora dovrò sopportarvi così? Non intendete voi che tutto ciò che
entra nella bocca se ne va nel ventre e poi alla fine è gettato fuori nella
latrina? (Matt.15,17). Ma le cose che escono dalla bocca, procedendo dal cuore,
quelle sì che contaminano l’uomo! (Matt.15.18). Infatti dal cuore procedono pensieri
malvagi: omicidi, adulteri, fornicazioni, furti, false testimonianze e
maldicenze. (Matt.15,19).
5. Queste sono le cose che contaminano l’uomo, ma mangiare il pane con
le mani non lavate non contamina l’uomo! (Matt.15,20). Comprendete ora?»
6. Rispondono i discepoli: «Sì, o Signore! E noi Ti ringraziamo per
questa Luce santa elargitaci!»
7. Dopo ciò Io dico a Matteo, lo scrivano: «Dunque; bisogna che tu
prenda nota del pasto nel deserto e poi del viaggio notturno fin qui e di ciò
che in questa occasione si è verificato di particolare; subito dopo però
narrerai ciò che è accaduto oggi, in poche ma chiare parole, tutto il restante
di quanto è qui avvenuto lascialo fuori, per ora. In seguito si potranno
aggiungere ancora parecchie altre cose, però quello che ho detto prima è una
parte essenziale del Vangelo».
8. I discepoli allora rientrano nella loro stanza, dove sono attesi già
con impazienza dai pochi farisei e scribi convertiti e dai due esseni.
Naturalmente essi vengono subito minutamente interrogati sul modo in cui
s’erano svolte le cose con i farisei e gli scribi di Gerusalemme. Ed i
discepoli espongono loro tutto dettagliatamente e questi, udito il racconto,
dicono: «Ci vogliono davvero molta tenebra e molta astuzia per persistere con
tanta tenacia in un contegno così perfidamente stolto! Ed a che cosa avrà
giovato loro, infine, tutta l’astuzia di cui hanno fatto sfoggio? Oramai, in
forza dei tre documenti dovuti sottoscrivere, si trovano legati in tale maniera
che non possono neppure scambiarsi fra di loro i propri pensieri! Che razza di
bestie e di caproni!».
9. Dicono gli esseni: «Tutto quello che concerne Gesù, è tanto
immensamente chiaro che più chiara non può essere alcuna altra cosa! E,
nonostante ciò, abbiamo l’esempio di una caparbietà che non può avere uguale!
In fatto di coscienza e scienza, intese nel senso di questo mondo, noi abbiamo
tutta la cultura di cui ci si può appropriare frequentando tutte le scuole
della Persia e dell’Egitto e studiando a fondo la sapienza dei greci, nonché
quella degli antichi ebrei, ma noi vogliamo prescindere dalle molteplici e
inaudite meravigliose Sue opere e ci limitiamo a meditare sulla Sua eloquenza e
sulla profondissima sapienza che questa ci rivela, sapienza di cui finora non
si è assolutamente mai avuta nessuna traccia su questa Terra e dobbiamo finire
con il concludere che questo fatto solo deve essere per noi più che sufficiente
prova che questo Gesù è un Dio perfettissimo. Poi, in aggiunta, vengono ancora
appunto le Sue opere, in circostanze e forme tali quali mai si sono presentate
a mente umana neppure in sogno, opere che soltanto un Dio ha il potere di
mandare a compimento, all’effettuazione delle quali convergono tutte le potenze
del mondo, delle stelle, del Sole e della Luna, chiamate all’esistenza in una
maniera per noi inspiegabile, in forza della Sua meravigliosa, onnipotente
Volontà!
10. Noi abbiamo constatato come in Lui il volere, la parola e l’azione
compiuta vengano a fondersi in un momento solo. A un Suo cenno si aprono i
Cieli ed innumerevoli schiere di leggiadrissime creature stanno pronte ai Suoi
comandi; Egli ordina e le dispense vuote traboccano delle vivande più squisite,
mentre gli otri e le brocche prima vuoti si colmano del vino più prelibato! Ma
che questo non debba proprio significare niente?
11. Egli comanda al mare e questo rende solida la sua superficie pur
senza diventare di ghiaccio e gli uomini vi camminano su come fosse un
pavimento di marmo, là dove ciascuno troverebbe la morte! E tutto ciò è stato
dimostrato e fedelmente raccontato a quegli amici delle tenebre e, dove ciò non
bastasse, essi hanno assistito con i propri occhi, oggi stesso, alla miracolosa
guarigione di qualche centinaio di infermi, ma tuttavia sono rimasti più
ostinatamente duri di una roccia, sulla quale, da migliaia d’anni, almeno
centomila fulmini ogni anno vanno saggiando la loro potenza distruttrice!
Fratelli, questo è troppo davvero e bisogna dire che talvolta nell’uomo non c’è
più nulla di umano! Esso diventa o una bestia maligna oppure addirittura un
demonio! Ditelo voi, o fratelli! Abbiamo ragione oppure torto?»
12. Dicono i farisei e gli scribi: «Voi avete più ancora che perfetta
ragione! Infatti quando dinanzi a simili fatti e fenomeni si può ancora restare
induriti ostinatamente, vuol dire che probabilmente si è demoni e non più
uomini!»
13. Continuano i due esseni: «Considerato che noi oramai crediamo che
nelle regioni di questo mondo vi siano veramente degli spiriti molto maligni, i
quali non di rado tormentano gli uomini e molto spesso, senza un dolore
sensibile, li incitano ad opere malvagie, noi condividiamo assolutamente la
vostra opinione! Infatti uomini senza alcun sentimento di compassione per il
loro prossimo, i quali come le tigri rivolgono tutte le cure loro unicamente a
soddisfare le proprie fauci e il proprio stomaco, non sono più degli uomini,
bensì dei demoni! Essi non hanno nessuna altra aspirazione all’infuori di
quella che è costituita dal proprio benessere materiale; per raggiungere
quest’unico scopo, nessun mezzo è troppo cattivo per loro! Quale Dio, quale
spirito! Basta che sia ben provvista la loro pancia, tutto il resto non ha
alcun significato! L’arte e la scienza hanno per loro un certo valore solamente
nel caso che possano contribuire anch’esse a riempire il loro ventre mai sazio!
Oh, Signore! Sono forse questi degli uomini? No, no, questi sono dei genuini e
veri demoni!»
14. A questo punto interviene anche Giuda Iscariota, il quale dice: «Se
io non fossi interamente convinto della Sua onnipotenza divina, senz’altro
comincerei davvero a temere per Lui! Infatti questa gente, se le fosse
possibile, strapperebbe Dio stesso giù dal Suo Trono eterno per insediarvisi al
posto Suo, perché i templari – i quali, dopo la cacciata dei samaritani che si
opponevano spesso a loro con forza e asprezza, sono ora in condizioni
eccellenti – sarebbero capaci di spingere le cose agli estremi e di rischiare
tutto pur di non vedere pregiudicata la loro vita di godimenti!»
15. Dice Pietro: «Credi tu che il nostro Signore, con tutto il Suo
potere meraviglioso, sia proprio al sicuro dalla perfidia della gente del
Tempio? Se Egli, di fronte a questa razza parricida e matricida non si
atteggerà a giudice inesorabile, armato del fuoco devastatore dal Cielo,
nonostante la Sua potenza e sapienza cadrà in breve tempo vittima
dell’insaziabile brama di vendetta! Certo un israelita è chiamato a grandi cose
e può essere un angelo, ma quando un israelita è pervertito e corrotto, non c’è
alcun demonio che sia più maligno di lui!
16. Perciò Egli dovrebbe guardarsi bene da Gerusalemme! Infatti se Egli
si presenta loro da uomo cortese e arrendevole, Egli è perduto come Giovanni,
il predicatore! Fino a tanto che quest’ultimo si limitò ad insegnare e
battezzare nelle nostre vicinanze, presso il piccolo Giordano e nel piccolo
deserto di Bethabara, si trovò al sicuro, ma quando egli, saranno ora passati
appena tre mesi, se ne andò al grande Giordano ed al grande deserto di
Bethabara, in poco tempo rimase vittima della gente del Tempio, i quali, con
grandissima astuzia, riuscirono a nascondersi dietro a Erode. Erode però, come
è noto, ha già mandato a cercare il nostro Signore e Maestro, e se gli fosse
riuscito di impadronirsi di Lui, chissà che cosa gli sarebbe capitato! Ma il
Signore scruta anche a distanza i cuori degli uomini e vede i loro piani e
perciò sa evitarli! Infatti chi è più accorto e più saggio di Lui?»
17. Dice un fariseo: «Se Egli comincia ad evitare cose e persone, già
questo non è un buon indizio per quanto riguarda la Sua piena sicurezza! Può
darsi che Egli voglia impedire, finché è possibile, ogni sensazionalismo
riguardo alla Sua Persona e questo giustificherebbe allora il Suo scansare cose
e persone, ma se in tutto ciò dovesse esserci anche una minima traccia di
timore, non potrei dare troppe garanzie per la Sua sicurezza! Infatti io
conosco fin troppo bene come e quanto vasta sia la rete micidiale che il Tempio
usa tendere, cosicché diventa quasi una cosa impossibile fuggire con la pelle
intatta! Ma Egli ora non intenderà suscitare troppo sensazionalismo e perciò
cercherà di schivare il più a lungo possibile tali occasioni, per evitare un
conseguente urto violento che scuoterebbe Cielo e Terra. L’immensa perfidia
degli uomini Egli l’affronterà solo quando la misura sarà del tutto colma! Io
credo di comprendere tutto ciò, considerando il Suo carattere!»
18. Dicono gli esseni: «Questa è anche la nostra opinione! Infatti con
tanta sapienza puramente divina e con tanta pienezza di celata divina potenza,
uno saprà bene quello che deve fare di fronte al mondo malvagio. Se noi
avessimo soltanto la centomillesima parte del Suo potere e della Sua sapienza,
saremmo entro tre anni i signori di tutto il mondo! Dunque, noi per Lui non
abbiamo alcun timore! Bisognerebbe che Egli stesso volontariamente si
consegnasse tra le mani dei rappresentanti del perfido mondo e che dicesse:
“EccoMi qui! Compiete in Me, il vostro Creatore stesso, il colmo della misura
della vostra perversità, affinché tanto prima discenda il giudizio dall’Alto su
di voi!”. E tuttavia Egli non ci perderebbe niente! Egli potrebbe anche
consentire che i malvagi, affinché la loro misura si colmasse, recassero danno
al Suo corpo, chissà, forse anche ucciderlo; ma chi mai potrà recare danno al
Suo Spirito onnipotente ed eternamente indistruttibile? Come detto, noi non
dubitiamo affatto che Egli potrebbe aver in mente di far pure qualcosa di
simile, ma questa cosa poco gioverà ai Suoi nemici, poiché, prima che nessuno
possa immaginarselo, Egli risorgerà per loro in veste di giudice indistruttibile
e li giudicherà con la spada e con il fuoco dal Cielo! Ma allora guai a tutti i
Suoi nemici e a tutti i demoni! Questi giungeranno soltanto allora alla
tormentosa constatazione di Chi sarà stato veramente Colui che essi avranno per
ogni via e per ogni sentiero perseguitato! Cosa ne dite voi di queste nostre
idee?».
19. Rispondono i discepoli: «Oh, almeno a Lui non accadrà niente di
simile, quantunque noi non vogliamo, da incompetenti, schierarci affatto contro
questa vostra opinione, poiché presso Dio sono possibili moltissime cose che un
uomo non potrebbe né vorrebbe ritenere mai possibili!».
1. Mentre fra i discepoli, i farisei ed i due esseni si svolge questa
discussione e Matteo è intento al suo compito di scrivano, Ebal fa annunciare
che la mensa è pronta ed i discepoli ed i suoi nuovi proseliti vengono pur essi
invitati e si presentano con faccia abbastanza lieta nella sala da pranzo.
2. Io allora domando di che cosa avessero ragionato con tanto calore
nella loro stanza.
3. Rispondono i due esseni: «Signore, Tu hai un bel domandare, quando
di tutto quello che noi abbiamo ora ragionato assieme era dall’eternità, con
tanta chiarezza presente al Tuo Spirito quanto ne ha il Sole nel pieno
mezzogiorno! Però sai meglio di noi che non abbiamo detto niente di male sul
Tuo conto!».
4. Dico Io: «Questo è certo e vero, specialmente poi da come sono stati
improntati i vostri discorsi, perché non il vostro sangue e la vostra carne,
bensì lo Spirito di Dio vi ha ispirato tali cose. Tuttavia meglio sarà che non
riferiate a nessun altro niente di tutto ciò, perché gli uomini sono ciechi,
stolti e perversi! Ma ora sediamoci a mensa».
5. La mensa era bene imbandita, perché i nostri rematori, cioè gli otto
barcaioli, avevano impiegato il loro tempo pescando ed avevano portato in casa
ad Ebal, in dono, una bella quantità di pesce sceltissimo, dono che Ebal aveva
ricambiato, provvedendoli riccamente di vino e pane! Quel pesce era stato molto
ben preparato e noi tutti facemmo molto onore all’imbandigione in grande
letizia e con eccellente appetito. I due esseni, il cui palato era buon giudice
in fatto di raffinatezze, perché come discepoli di Aristotele ed Epicuro davano
grande importanza alla cucina e non potevano trovare parole sufficienti per
lodare la squisitezza di quel vero banchetto di pesce. Anche il comandante,
pure presente con tre dei suoi subalterni, sentì bisogno di far eco al coro di
lode che da ogni parte si levava e fece molto onore ad un paio di bellissimi
esemplari ben grossi, tanto che alla fine cominciò a temere se tutto questo
cibo non gli avesse nociuto!
6. Ma Io gli osservai: «Non temere, Mio caro amico Giulio, perché in
presenza del medico non ti può nuocere niente!».
7. Queste parole ridonarono al buon Giulio la sua serenità d’animo e di
questo Mio detto se n’è fatto poi un proverbio il quale si è conservato,
specialmente fra i medici, fino al tempo presente in cui questo viene scritto.
8. Quando il pranzo fu terminato, il comandante interloquì e disse:
«Signore! Oggi è una splendida giornata! Cosa ne pensi se nel pomeriggio ce ne
andassimo un po’ all’aperto?»
9. Dico Io: «Questa era appunto la Mia intenzione, però questa volta
vogliamo fare un’escursione su di un qualche monte qui vicino!»
10. Osserva il comandante: «Eh, proprio qui vicino c’è un monte che
viene chiamato “La vetta del mattino”, o come credo, “Juitergli”, nella lingua
del paese; ma esso è, oltre che il più vicino, contemporaneamente anche uno dei
più alti e da tutte le parti estremamente ripido, un vero colosso di pietra,
quasi del tutto spoglio e nudo. Se Tu avessi l’intenzione di salirvi, non si
potrebbe raggiungere la cima prima di notte ed in quanto al ritorno non ci
sarebbe nemmeno lontanamente da parlarne. Passare poi lassù la notte, mi pare
che non dovrebbe essere piacevole per nessuno di noi, perché a quell’altezza,
fra i crepacci, ci saranno certo neve e ghiaccio ad ogni stagione, però la
vista lassù dovrebbe essere qualcosa di meraviglioso!»
11. Dico Io: «Amico! Tutto ciò non ci impedirà di salire sulla vetta
del mattino. Chi conosce il sentiero, costui arriva su molto prima di chi deve
anzitutto faticosamente cercarlo. Mettiamoci dunque in cammino, prima che siano
passate due piccole ore, noi tutti ci troveremo in cima al monte, naturalmente
quelli che hanno voglia di fare la salita con noi!».
12. Dice il comandante: «Signore, sulla Tua parola io vado con gioia non
solo su questo monte, ma fino agli estremi limiti del mondo! Se poi Tu ci fai
da guida, ogni idea di pericolo svanisce del tutto! Io pregusto già il piacere
di questa escursione! Ma, ora che ci penso, sarebbe buona cosa che portassimo
del pane e del vino con noi, perché so molto bene che dopo la salita di un
monte così rilevante la fame e la sete si fanno sentire in maniera
straordinaria»
13. Dico Io: «Oh, certo, potete fare senz’altro così! Ma che cosa ne
faremo della Mia carissima Giara? Per essa il monte sarà forse un po’ troppo
difficile e faticoso da salire?»
14. Dice Giara: «Assieme a Te, o Signore, niente può essermi troppo
difficile, così come senza di Te nessuno può far nulla ed io, poi, meno di
tutti! Basta che sia gradito a Te ed io non vado fino in cima a questo monte,
ma letteralmente nel fuoco con Te, così come prima sono andata con Te
sull’acqua!»
15. Le dico Io: «Tu sai sempre trarre una buona risposta dal tuo cuore
che arde di verità e d’amore per Me, perciò disponiti pure a far l’escursione
con noi e vedrai che niente ti riuscirà troppo difficile, né faticoso». È
facile immaginare che nessuno fu tanto sollecito nel disporsi alla partenza
quanto la nostra Giara, la quale in brevissimo tempo Mi ritornò vicino, dopo
essersi cambiata la veste e Mi disse: «Signore, se per Te vado bene così, io
sono già pronta alla partenza!».
La
meravigliosa ascesa del monte.
1. La fanciulla aveva indossato una veste a pieghe azzurra, ai piedi portava
dei sandali leggeri ed in capo un cappellino di paglia artisticamente
intrecciato. Essa Mi prese per mano e siccome Io non le avevo prontamente dato
la risposta, Mi domandò nuovamente: «Ma Signore! O vita mia, Te ne prego, dimmi
dunque se Ti piaccio così?»
2. Le dico Io: «Tu lo vedi bene, Mia carissima Giara, come Mi piaci
immensamente! Oh, se tutti gli uomini Mi piacessero altrettanto, quanto sarebbe
tutto bello e buono! Ma purtroppo a questo mondo vi sono molte migliaia e poi
ancora delle altre migliaia i quali non Mi piacciono come Mi piaci tu. Questi
sono gli uomini puramente del mondo, mentre tu sei un angelo! Ma ora è bene
partire, perché siamo giunti già alla terza parte del giorno!».
3. A queste Mie parole, tutti di casa, eccettuata la servitù, si alzano
e si mettono con Me in cammino. Va da sé che la piccola Giara procedeva sempre
al Mio fianco e così pure il comandante ed Ebal.
4. Quando fummo giunti alle prime pareti del monte, fra le cui
spaccature non si presentavano che dei canaloni strettissimi e quanto mai erti,
il comandante esclamò: «Signore! Con le sole forze naturali qui non c’è nemmeno
da pensare ad un’arrampicata, perché i canaloni sono terribilmente ripidi e qua
e là coperti di cespugli spinosi! Se non c’è un’altra via per salire, temo che
con le nostre forze naturali non raggiungeremo la cima neppure in dieci
giorni!»
5. Gli dico Io: «Sei già così stanco? Eppure, vedi, abbiamo già
percorso più di un terzo del cammino. Volgiti un momento e poi vedrai bene
quanto in alto siamo già dalla valle!». Allora il comandante si volse e fu
colto da spavento quando s’accorse che ci trovavamo già quasi a metà della
montagna, fra pareti nude di roccia a strapiombo.
6. Dopo qualche esclamazione di meraviglia frammista a paura, egli dice
in tono che tradiva un po’ di febbrile spavento: «No, davvero, questa cosa la
comprenda chi può e chi vuole! Come noi tutti si sia arrivati fino qui oltre
questi burroni è e resta per me un enigma! Noi siamo saliti ben alti lungo
queste pareti ripidissime, eppure non ho percepito nessun particolare disturbo!
Ora, però, se guardo in alto, non vedo altro che rocce scendenti a picco e mi
domando come faremo a superarle»
7. Dico Io: «Non vedi che non stiamo fermi e che andiamo sempre
avanti?».
8. Risponde il comandante: «Sì, lo vedo bene, ma se alzo gli occhi,
ogni possibilità di salire più in alto svanisce del tutto nella mia mente!»
9. Dico Io: «Vedi, bisogna essere guide molto buone e ricche
d’esperienza, allora si trova la via diritta anche attraverso tutti gli
apparenti ostacoli! Guarda, il crepaccio che ci sta davanti segna già l’accesso
all’ultima e più alta cupola della montagna»
10. Dice il comandante: «È vero, verissimo, ma pure, come è mai
possibile una cosa simile? Come abbiamo potuto salire così presto fin qui su
per tutte queste pareti quasi perpendicolari? È appena meno di un’ora che ci
siamo messi in cammino ed ormai siamo così vicini alle ultime cupole, che ci
basteranno ancora pochi passi per arrivare in cima al monte!»
11. Qui interviene Giara, la quale non può stare in sé dall’allegria ed
esclama: «Oh, Giulio! Come puoi fare queste domande, quando c’è Dio, il
Signore, che ci fa da guida? Come Egli ci ha portati quassù al di sopra di
queste pareti, sulle quali piede umano non si è mai posato, con altrettanta
facilità avrebbe potuto sollevarci fin qui attraverso l’aria! Quando noi
sappiamo che l’Onnipotente ci è vicino, ogni domanda è vana e non possiamo che
struggerci d’amore e di ammirazione dinanzi a Lui e ringraziarLo in eterno dal
più profondo della nostra vita per averci resi degni di una simile grazia! Ma
il chiederGli come alla Sua onnipotenza e sapienza siano possibili tali cose,
io lo ritengo vano! E se Egli ce lo spiegasse bene, resta poi da vedere come
noi e in che misura lo comprenderemmo, o se in seguito gioverebbe a renderci
onnipotenti! Certo, se Egli lo vuole, allora anche noi possiamo fare delle cose
meravigliose, ma oltre la Sua Volontà, la sola santa ed onnipotente, in eterno
mai più!»
12. Dico Io: «Oh, Mia cara saggia! Chi si sognerebbe di cercare in te
tanta abbondanza di chiarissima luce?
Io te lo dico: “Come te ce ne sono pochi su questa Terra”; però una
cosa devo osservarti per l’immenso amore che ti porto e questa consiste in ciò
che tu per l’avvenire devi procedere molto più cauta e parsimoniosa con la tua
pura saggezza e devi aprire bocca soltanto quando sul serio ve n’è la
necessità, ma qui tale cosa non è necessaria, perché, come vedi, sono presente
Io stesso e so ben dare a ciascuna domanda una risposta adeguata e fondata!»
13. Ecco, se il nostro amico Giulio non fosse quel saggio uomo che in
effetti è, il suo cuore ne avrebbe risentito una punta dolorosa, ma egli è un
uomo saggio che ha intenzioni buone e oneste riguardo a qualsiasi cosa e perciò
prova gioia per la tua lezioncina ingenuamente sapiente. In avvenire, però, tu
devi, verso chiunque, comportarti con la maggior modestia possibile e solo così
tu sarai veramente la Mia diletta sposa!
Hai ben compreso queste Mie parole nel tuo cuore?»
14. Risponde Giara un po’ turbata: «Oh sì, mio Signore; solo che adesso
io temo che Tu non mi vorrai più così bene come prima, e questo rende triste il
mio cuore!»
15. Le dico Io: «Riserva queste cure per un’altra cosa, dato che ora Io
ti voglio molto più bene di prima!»
16. Dice Giara: «Ma il buon comandante me ne serberà rancore?»
17. Dice il comandante: «Oh, no affatto, mia deliziosa Giara. Anzi, io
ti sono molto grato per avermi, dal tuo puro cuore celestiale, donato una
verità altrettanto pura e celestiale! Oh Giara, noi due avremo ancora molto da
parlare assieme, poiché io scorgo benissimo come il tuo cuore sia ricolmo di
saggezza celeste e perciò noi restiamo i migliori amici!»
18. Dico Io: «Ebbene, Mia diletta Giara, sei contenta di questa
soluzione?»
19. Risponde Giara: «Oh sì, certo, ora sono veramente contenta; ma
d’ora in poi dovrò raccogliere tutte le mie forze per non ricadere in errore.
Infatti l’impertinenza è stata a volte una mia piccola debolezza, ma questo non
dovrà più accadere, perché le Tue parole sono per me sacre sopra ogni cosa!»
20. Dico Io: «Bene, anche questo incidente è accomodato! Ed ora
facciamo i pochi passi che ci mancano per essere sulla cima più alta del
monte!».
Sulla sommità
della Vetta del Mattino.
1. Fatti pochi passi noi ci trovammo già sulla sommità, la quale però
era quanto mai lacerata e frastagliata ed appena sufficiente a concedere posto
ad una trentina di persone che non soffrissero di vertigini.
2. La cosa non piacque affatto al nostro comandante, il quale uscì a
dire: «La vista è bensì qualcosa di meraviglioso, ma questa pessima
piattaforma, quanto mai irregolare, che confina da tutti i lati con delle
pareti quasi a precipizio, mi guasta tutto il godimento»
3. Dico Io: «Amico, siediti, qualora ti sentissi colto dalla vertigine
e voi altri fate altrettanto, dal canto Mio Me ne starò in piedi»
4. Osserva il comandante: «Sarebbe bello sedersi, ma dove? Il panorama
è davvero incantevole, si domina tutta la Galilea ed una buona parte della
Giudea ed anche la Samaria è ben visibile; ma ora questa inospitale altezza e
il timore di una possibile caduta nel precipizio mi tolgono in maniera orribile
tutta la gioia che uno spettacolo simile deve suscitare! Io so bene che non può
accadere niente di male, eppure non riesco a padroneggiare il timore! Ma perché
accade questo?»
5. Dico Io: «Perché tu non comprendi l’attuale impossibilità di una
caduta! In ciò sta la ragione e la spiegazione del tuo timore. Guarda qui la Mia
carissima Giara, che piena di vivacità va intorno saltando come un piccolo
camoscio, mentre i suoi fratelli e le sue sorelle e il Mio buon Ebal stesso, se
ne stanno lì pallidi ed impauriti, eppure nessuna voragine l’ha ancora
inghiottita! Ma ciò avviene perché essa è ricolma della fermissima fede che
vicino a Me nulla le può accadere di male. Abbiate anche voi tutti la stessa
fede salda, e la stessa letizia che ha lei sarà pure vostra!»
6. Dice il comandante, il quale appunto in quel momento si sentì mancare
una pietra su cui poggiava il piede destro: «Eh, per avere una fede vera e
ferma, qui ci vorrebbe un’aquila, perché essa ha un paio d’ali che la
garantiscono contro le cadute; ma un uomo come me, con sotto i piedi un paio di
pietre che vanno muovendosi l’una dopo l’altra, con tutta la migliore buona
volontà non può arrivare ad una saldezza di fede del tipo di quella di Giara!
Su questa scogliera larga appena due altezze di uomo e lunga al massimo
cinquanta, basterebbe che io provassi a fare un solo salto di camoscio, come ne
fa tanti Giara, e mi troverei dopo brevi istanti ridotto in piccoli pezzi in
qualche luogo più basso di qui! Oh Dio volesse che mi trovassi già di ritorno
al piano!»
7. Allora Giara, sempre saltando, si avvicina al comandante e gli dice:
«Oh, mio caro Giulio, te ne prego, non essere così timoroso, è impossibile che
ti succeda qualcosa di male! Il Signore ci ha guidati fin quassù oltre le
pareti più ripide, anzi, veramente noi siamo stati trasportati attraverso
l’aria lungo il fianco della montagna, perché una via simile non è stata mai
percorsa da piede umano. Ma a chi di noi è accaduto qualcosa durante la salita
meravigliosa su questo colosso di roccia dalle pareti a precipizio e da tutte
le parti nudo? Ma se siamo arrivati sani e salvi fin quassù, passando per
luoghi più pericolosi, come può sorgere adesso improvvisamente fra di noi un
timore, come se fosse possibile cadere giù in qualche precipizio? Dunque, mio
buon Giulio, sii per amor mio un po’ più allegro! Vedi, mi fa male al cuore
quando vedo una faccia così triste ed impaurita!»
8. Dicendo ciò, la fanciulla fa cenno di prendere per mano il
comandante con l’intenzione di condurlo un po’ intorno, ma egli si schernisce
vivamente e strilla: «Indietro! Sempre tre passi lontano da me, piccola strega!
Già prima poco è mancato che tu con uno dei tuoi salti temerari mi urtassi,
facendomi precipitare giù! Oh, io ti conosco! Tu sei di solito una ragazzina di
rara bontà, quanto mai cara e saggia perfino! Ma qualche volta ti salta qualche
grillo di malizia sottile come ai fauni ed allora io dico: “Sempre tre passi
lontano da me!”. In qualunque altra circostanza, io ti voglio molto bene, ma
qui, a quest’altezza di almeno duemila uomini, tu devi starmi lontana di tre
passi come ti ho detto. Tutte le tue parole sono buone e savie, ma non è colpa
mia se a quest’altezza mi viene la vertigine. Io so bene e credo che a nessuno
di noi può accadere nulla, ma nonostante tutto ciò non posso dominare in me
questa fastidiosa e penosa impressione, e perciò bisogna che tu ti astenga dal
farmi simili scherzi!»
9. Dice Giara: «Oh, cosa ti viene in mente! Come puoi neanche
sospettare che io abbia voluto prendermi gioco di te? Vedi, io sono troppo
certa del fatto mio e so che né a te né a me può accadere nulla di male e sono
venuta con tanto coraggio a te, che sei ora timoroso, unicamente per
sollevarti, per quanto è possibile! Come puoi perciò volermene male e chiamarmi
una piccola strega? Oh, mio carissimo Giulio, questo non è gentile da parte
tua!»
10. Mentre così parla, le si riempiono gli occhi di lacrime. Ed il
comandante che se ne accorge, si pente di aver attaccato tanto aspramente la
fanciulla, che le dice: «Suvvia, facciamo la pace! Quando saremo giù,
riprenderemo ben le nostre passeggiate sui bei prati soffici, ma qui ci manca
lo spazio necessario e, come ho detto, io non ho colpa se questa fastidiosa
vertigine mi opprime!».
11. Dice Giara: «Ma la vertigine è pur essa una malattia e qui c’è con
noi il medico di tutti i medici! Se Egli ha potuto guarire tante centinaia di
persone dai mali i più svariati, Gli sarà pur possibile liberare anche te dalla
tua vertigine! Dunque pregaLo ed Egli certo ti guarirà!»
12. Dice il comandante: «Ecco, mia buona Giara, questa sì che è una
frase riuscita molto più delle precedenti ed è anche un salto migliore di
quello di prima, con il quale non è mancato molto che io me ne andassi rotoloni
giù da qualche parte. Vedi, questo tuo consiglio lo seguirò anche subito!».
13. Allora il comandante, rivoltosi a Me, Mi prega dicendo: «Signore!
Liberami dal mio timore e dalle mie vertigini!»
14. Ed Io dico ad Ebal: «Dà qui una tazza di vino!»
15. Ed Ebal Mi porse subito un piccolo otre pieno e una tazza.
16. Io riempii la tazza e la diedi al comandante, dicendogli: «Ecco,
prendi e bevi e le cose miglioreranno con la tua vertigine»
17. Allora il comandante afferrò la tazza e la vuotò. E come ebbe
bevuto il vino, immediatamente ogni timore ed ogni senso di vertigine
l’abbandonò, cosicché ne fu tutto rallegrato, si lasciò condurre da Giara tutto
intorno alla piattaforma frastagliata del monte e poté guardare tutto a suo
agio giù per le scoscese pareti.
18. Ma quando tutti gli altri ebbero visto il cambiamento operatosi nel
comandante, Mi pregarono essi pure di liberarli dal loro molesto timore. Ed Io
feci dare a tutti del vino e poco dopo quell’altura fu tanto animata da
sembrare un giardino ospitante qualche lieta brigata di amici.
19. Alcuni si diedero ad ammirare il vasto panorama, altri avevano
perfino intonato dei salmi, infine altri ancora scrutavano giù per i pendii
rocciosi, in cerca possibilmente di qualche sentiero che avesse consentito il
ritorno. Ma siccome sentieri di tal genere non c’erano ed il Sole cominciava a
declinare all’orizzonte, alcuni, specialmente fra i discepoli, vennero da Me e
Mi domandarono: «Signore! Ancora mezz’ora e il Sole sarà tramontato. Cosa
faremo poi qui in alto?».
20. Ed Io dico loro: «Non occorre che vi diate pensiero di ciò! Chi ha
fede, vedrà stanotte risplendere su questa altura la gloria di Dio! Noi
restiamo qui!».
21. E quando i discepoli intesero ciò, tacquero ed andarono in cerca di
qualche sito, per poter riposare con una certa sicurezza.
22. Anche il comandante Mi chiese se si sarebbe presto iniziato il
ritorno, visto che il Sole era prossimo al tramonto.
23. Ed Io dissi a lui quello che avevo detto già ai discepoli; egli
allora si adagiò volentieri alla Mia decisione e si distese su di una rupe ben
solida ed abbastanza piana.
24. Soltanto Giara, quando il Sole ebbe già cominciato a toccare
l’orizzonte, esclamò: «Signore! O amore mio! Noi non ce ne andremo già così
presto da questa incantevole altura per far ritorno a casa? Sarei tanto
contenta di assistere da qui al levar del Sole!»
25. Le dico Io: «Noi ci fermeremo qui tutta la notte e soltanto domani
che è sabato ce ne andremo giù al piano; però, durante la notte, a te, come
agli altri, sarà manifestata la Gloria di Dio!»
26. A queste parole, la fanciulla sopraffatta da una gioia intensa e da
rapimento, si lasciò lentamente cadere sulle ginocchia, come fosse colta da
deliquio, ma si riebbe ben presto».
1. Quando il Sole fu già tramontato, cominciò a levarsi da Settentrione
un vento gelido molto violento, cosicché in tutti fece di nuovo capolino il
timore, e il comandante disse: «Oh, oh, se questo vento continua in questo modo
a crescere in forza, esso finirà con lo spazzarci giù in qualche burrone ed
anche l’eccessiva frescura che porta non è proprio gradevole»
2. Dico Io: «Lascia che il vento soffi, perché ora è il suo tempo, ma
pensa pure che esso non è il padrone di Colui che l’ha creato in forza della
Sua Volontà, che lo trattiene o che lo fa spirare secondo il Suo discernimento»
3. Il comandante si accontentò della spiegazione, ma tuttavia si coricò
il più solidamente possibile sul terreno e gli altri imitarono il suo esempio.
4. Soltanto Giara rimase imperterrita al Mio fianco e disse: «Ma
Signore! Come si spiega che questi uomini si lascino tanto dominare dal timore,
pur dovendo riconoscere ed essere convinti dalle moltissime prove avute, che Tu
sei un Signore anche di tutti gli elementi? Particolarmente questa cosa mi fa
meraviglia nei Tuoi discepoli! Oh, se Tu non fossi qui, la questione
assumerebbe un altro aspetto, ma poiché qui Tu ci sei, la mia meraviglia mi
sembra giustificata! Signore, se Tu voi, puoi dirmi la ragione di un tale
fenomeno?»
5. Dico Io: «Vedi, questo è il prodotto del vecchio mondo in loro, il
quale non è ancora del tutto stato scacciato dalle loro viscere! Infatti se
esso, com’è il tuo caso, fosse stato già completamente scacciato ed eliminato
da loro, allora essi come te non avrebbero alcun timore, né potrebbero neanche
averne, perché lo spirito è abbastanza forte da rendersi soggetta ogni natura.
6. Vedi, noi ci troviamo ora sulla vetta di un monte, che non è stata
mai ancora calcata da piede umano! Infatti, come tu vedi, le pareti di roccia
sono tanto erte da tutte le parti che, disponendo solo di mezzi naturali, non è
possibile intraprendervi una salita né, meno ancora, una discesa, tu hai visto
poi, quando noi raggiungemmo, con la forza naturale, la metà d’altezza del monte,
ogni possibilità di un’arrampicata su per le pareti perpendicolari interamente
svaniva. Il comandante e tutti gli altri si domandarono: “E adesso cosa si
farà?”. Ma Io salii con te per primo anche sulle pareti erte del monte e tutti
gli altri ci seguirono senza minimamente risentirne stanchezza. Com’è stata
possibile una simile cosa?
7. Ecco, questa è stata l’opera dello spirito nell’uomo. Io ridestai
per quel tempo che era necessario lo spirito negli individui ed esso portò le
loro spoglie materiali fin su questa altura. Ma poiché i loro spiriti non sono
ancora abituati a questo genere di attività, avvenne che, non appena per poco
Io rallentai la Mia azione ridestatrice, essi ritornarono nei rispettivi corpi
allo stato di riposo e l’anima del corpo allora si riempì di timore. Se invece
lo spirito nei loro cuori fosse rimasto desto completamente, essi non avrebbero
più timore di sorta, perché allora lo spirito stesso avrebbe permeato le anime
della più chiara ed assoluta fiducia ed avrebbe suscitato nei cuori la
convinzione vivissima che a lui, spirito, ogni natura deve restare soggetta!
Visto però che, a causa del vecchio mondo, di cui una parte ancora si cela
entro le anime loro, questo processo non poteva per ora avere un effetto
permanente, avviene pure che le loro anime risentano ancora qualcosa del timore
del mondo, come ne hai fatto qui adesso esperienza.
8. L’anima umana o può crescere insieme con la sua carne in seguito a
tendenza od educazione falsa, oppure, in seguito a tendenza od educazione giusta
e vera, con il suo spirito, il quale è sempre Una cosa sola con Dio, così come
la luce del Sole è una cosa sola con il Sole stesso. Se ora un’anima cresce
insieme con la propria carne, la quale di per sé è cosa morta e non ha vita se
non in quanto questa le viene per un tempo determinato conferita dall’anima, in
tal caso l’anima diventa in tutto una cosa sola con la sua carne.
9. Ma quando l’anima va sempre più crescendo con la propria carne, così
da diventare infine perfettamente carne essa stessa, allora in essa si
manifesta il senso dell’annientamento che è una proprietà peculiare della carne
e questo senso poi corrisponde al timore, il quale finisce col rendere l’uomo
impotente del tutto ed incapace di qualsiasi cosa!
10. In modo affatto differente si presenta invece il caso dell’uomo, la
cui anima, in conseguenza di una buona e giusta tendenza od educazione, sia già
fin dalla prima gioventù cresciuta con il proprio spirito. Allora l’anima non
vede in eterno dinanzi a sé più alcuna possibilità di annientamento, e il suo
sentimento è uguale alla proprietà peculiare del suo spirito che è
indistruttibile in eterno. Essa non può né percepire né concepire la morte,
perché essa è una cosa sola con il proprio spirito sempre vivente in eterno, il
quale è il dominatore di tutto il mondo naturale visibile e, anche se l’uomo
vive nella carne, la conseguenza facilmente comprensibile ne è che per lui non
esiste più il timore, poiché dove non c’è più morte, non c’è più nemmeno
timore!
11. E perciò anche gli uomini devono curarsi il meno possibile delle
cose del mondo, ma devono invece badare soltanto che la loro anima divenga una
cosa sola con lo spirito e non con la carne, perché come può giovare all’uomo
acquistarsi anche il mondo intero per la sua carne, quando la sua anima ne
riporta invece gravissimo danno? In verità Io vi dico che tutto questo mondo,
che da quassù noi contempliamo in un circuito abbastanza vasto, con tutte le
sue bolle d’acqua simili a fuggevoli splendori, tutto questo mondo passerà e
tutto questo cielo, con le sue innumerevoli stelle, giunto il suo tempo
anch’esso passerà, ma lo spirito rimarrà in eterno come in eterno rimarrà
ciascuna delle Mie parole.
12. È enormemente difficile aiutare gli uomini quando si sono
tenacemente unificati e materializzati con il mondo, perché essi mettono e
vedono la loro vita soltanto nelle vane cose del mondo, vivono in un perpetuo
stato di timore e diventano infine inaccessibili del tutto per le vie dello
spirito! Se poi si tenta di avvicinarli attraverso le vie naturali o tramite
quelle del mondo, non solo non si arreca loro nessun giovamento, ma non si fa
altro che promuovere il loro giudizio e con ciò la morte della loro anima!
13. Colui, dunque, fra gli uomini del mondo che vuole salvare la
propria anima, deve agire sul proprio essere con grande violenza e deve con la
maggiore energia possibile cominciare a percorrere la via del sacrificio e
della rinuncia alle cose del mondo; se egli fa così con tutta diligenza e zelo,
egli si salverà ed avrà la vita, ma se non lo fa, non gli può venire dato
nessun aiuto se non attraverso le gravi sofferenze del mondo, affinché impari a
disprezzare il mondo stesso ed i suoi splendori e affinché poi si converta a
Dio ed in tal modo cominci a cercare in sé il Suo spirito, procedendo sempre di
più alla propria unificazione con Lui. Io te lo dico: “La felicità del mondo è
la morte dell’anima!”.
DimMi ora, Mia dilettissima Giara, se tutte queste cose tu le hai
comprese bene».
Cristo, il
tramite fra Cielo e Terra.
1. Risponde Giara: «O Signore, amore mio e mia vita! Per la Tua grazia
in me, io ho ben compreso tutto ciò, ma è triste assai che gli uomini non
possano o non vogliano vederlo e comprenderlo! Oh, un giorno, purtroppo, vi
saranno molte anime morte! Oh Signore, fa’ Tu che gli uomini possano un giorno
ascoltare questa santa verità e poi convertirsi, perché altrimenti mi riuscirà
ben presto molto noioso vivere a questo mondo fra tanti morti!»
2. Le dico Io: «Stai tranquilla, perché a questo scopo appunto sono
venuto Io stesso in questo mondo! Finora le vie ben praticabili sono mancate ed
i Cieli erano separati dalla Terra, ora però viene spianata una via diritta e
molto solida ed i Cieli sono in procinto di essere congiunti con la Terra,
cosicché per ciascuno sarà reso facile l’incamminarsi per questa Via e
raggiungere i Cieli vicini, tuttavia nessuno deve essere fuorviato nella
libertà della propria libera volontà!
3. D’ora innanzi chiunque fermamente vorrà, potrà raggiungere i Cieli,
ciò che finora non era possibile, perché l’abisso che separava la Terra dai
Cieli era troppo grande.
4. Ma, d’altro canto, guai a tutti coloro che verranno a conoscenza del
nuovo ordine di cose, e ugualmente non si convertiranno! Costoro, d’ora in poi,
si troveranno in condizioni peggiori degli antichi, i quali ben spesso hanno
voluto, ma non hanno potuto! Comprendi tu?»
5. Dice Giara: «Signore, io ho compreso tutto. La possibilità è buona,
però tutto è rimesso nella libera volontà degli uomini! Essi vedono il mondo e
questo è il loro compiacimento, ma i Cieli essi non li vedono, né se ne
compiacciono ed avverrà che molti non vorranno percorrere la nuova via spianata
e per questi poi andrà peggio di quanto è andata finora! Credimi, o Signore,
pochi saranno quelli che s’incammineranno per la via da Te preparata, perché
per l’uomo la cosa più difficile è l’abnegazione di se stesso!»
6. Dico Io: «Non darti alcuna pena a tale riguardo. I provvedimenti
atti ad ottenere il miglioramento avranno una grande estensione ed
abbracceranno tanto l’aldiquà quanto l’aldilà. Ma ecco che, mentre noi
parlavamo, tutta la compagnia, non escluso il nostro comandante, si è
addormentata. Ed ora cosa faremo noi?»
7. «Signore!» Esclama Giara, «Tu lo saprai meglio di ogni altro!»
8. Ed Io le dico: «Sì, certo, tu hai ragione! Io feci appositamente
venire il sonno su di loro ed essi vedranno in sogno quello che tu invece
vedrai nella realtà! Ecco, ben presto tu vedrai i Cieli aperti e tutti gli
angeli ci serviranno! Domani questa montagna, verso Levante, sarà provveduta di
un declivio accessibile con facilità e tutti noi potremo discendere e far
ritorno a Genezaret per una nuova via naturale! E adesso fa’ attenzione alla
scena che si svolgerà dinanzi ai tuoi occhi»
9. Dopo queste Mie parole, Giara levò gli occhi in alto e li fissò per
qualche tempo nel cielo cosparso di stelle lucentissime, ma, poiché nonostante
l’intenso rimirare, niente d’insolito ancora si voleva mostrare al suo sguardo,
Mi disse con accento di immensa dolcezza: «Signore! O vita mia, o mio amore!
Niente ancora mi è possibile vedere! Puoi dirmi che aspetto avrà, affinché se
qua o là dovesse mostrarsi qualche cosa, io possa almeno giudicare se
l’apparizione sia quella da Te annunciata oppure no!»
10. Le dico Io: «Mia diletta Giara, tu devi guardare in alto piuttosto
con il tuo cuore che non con i tuoi occhi, ed allora cose meravigliose
cominceranno a farsi vedere in una maestà grandiosa di luce! Fanne una prova e
ti convincerai ben presto che Io ho sempre ragione e che dico sempre la piena
verità»
11. Udite da Me queste spiegazioni, Giara eleva più il suo animo che
non gli occhi, ed ecco all’istante aprirsi tutti i Cieli, e innumerevoli schiere
di angeli di Dio scendono a terra librandosi nello splendore più magnifico e
cantano: «O Cieli, stillate tutte le vostre rugiade di grazia sui giusti di
questa Terra! Infatti santo è Colui che vi ha posato il piede per la salvezza
di coloro che sono caduti, prima ancora che un solo sole brillasse nella divina
luce di grazia nel profondo infinito!
12. I figli degli uomini, che Satana ha generato, Egli li accoglie e li
converte in figli del Suo Amore!
13. Siano resi dunque a Lui solo ogni onore ed ogni gloria, perché
tutto quello che Lui fa è eccellente e il Suo Ordine è Amore congiunto a
suprema Sapienza. E perciò solo Lui è santo, santissimo e dinanzi al Nome Suo
tutto s’inchina nel Cielo e sulla Terra e sotto la Terra. Amen».
Il
sollevamento del mare di Galilea.
1. E come Giara ebbe udito il cantico celestiale, tutta rapita chiese:
«Signore! Qui è davvero difficile giudicare cosa sia più bello e più splendido:
se il canto, le parole, il fulgore incomparabile delle luci dai mille colori,
oppure le meravigliose figure di questi innumerevoli cantori eterei! Oh,
soltanto ora posso farmi un concetto di ciò che veramente sono i Cieli di Dio!
Oh, vorrei morire subito e andarmene da questi dolcissimi interpreti delle
celesti armonie! Ma, Signore, se a Te piace così, dimmi cosa e chi sono
propriamente in se stessi questi meravigliosi cantori? Sono davvero quello che
sembrano essere, oppure sono soltanto delle creature da Te chiamate a vita solo
per questo istante?»
2. Ed Io le dico: «Questi sono angeli e furono creati immensità di
tempi prima che nell’Universo vi fosse traccia alcuna di una creazione
materiale! Chiamane uno e ti convincerai che egli, come tutti i suoi compagni,
è un essere vero e supremamente perfetto. Però Io devo, oltre a ciò, renderti
attenta che, per quanto lieve ed etereo sia il loro aspetto, in ciascuno sono
insite una tale forza e potenza che il minimo e il più debole fra di loro
potrebbe distruggere in un baleno tutta la Terra, così da non lasciarne neanche
il più piccolo granello! Ed ora, poiché sai questo, chiamane uno e fa’ con lui
qualche prova!»
3. Dice Giara: «Signore! Io non ne ho il coraggio, poiché, per quanto
indicibile sia la loro bellezza, pure la loro presenza m’incute un leggero
timore!»
4. Dico Io: «Ma bambina Mia, non ti ho spiegato poco fa cosa sia
veramente il timore? Dunque, non bisogna che tu abbia timore alcuno, altrimenti
dovrei pensare che nel tuo cuore si nasconda ancora qualcosa di mondano! Tu ti
trovi pur presso il Signore, dinanzi al Cui Nome tutti questi esseri si
prostrano. Dunque, da dove potrebbe venire il tuo timore?»
5. Risponde Giara: «Ahimè, questo è certamente più che vero, ma
l’insolito spettacolo di una simile scena, mai neanche sognata, non può fare a
meno di scuotere profondamente un povero e debole cuore di fanciulla! Ma ora
voglio raccogliere le mie forze e il mio coraggio e vedrai che la Tua Giara può
essere anche senza timore»
6. E detto ciò, ella fece subito cenno ad uno degli angeli che era più
vicino e questi venne a lei prontamente librandosi nell’aria e le chiese con
voce dolcissima: «Giara, o dolcissima figliola del mio Dio e mio Signore
dall’eternità, che cosa brama da me il tuo tenero e puro cuore?»
7. Risponde Giara, un po’ confusa davanti allo splendore ed alla maestà
di quel messaggero celeste: «Ah, sì, sì, sì è vero, il Signore, che tu vedi
qui, mi dice che ciascuno di voi è dotato di una potenza meravigliosa e che
dovrei persuadermene facendo una prova; ma quale prova potrei dirti di
fornirmi, se io non so niente altro all’infuori di ciò che ho udito in questi
pochi giorni dal Signore Gesù?»
8. Dice l’angelo: «Ascolta, o bel fiore dei Cieli! Nel Nome del Signore
ti aiuterò io a trarti d’imbarazzo! Vedi
laggiù il mare di Galilea molto vasto e profondo? Cosa penseresti se io lo
levassi fuori dal suo ampio bacino e lo facessi rimanere sospeso per circa
un’ora intera dinanzi ai tuoi occhi, libero nell’aria, nella forma di un grande
globo d’acqua?»
9. Dice Giara: «Oh, questo sarebbe immensamente meraviglioso! Ma, nel
frattempo, cosa ne sarebbe dei poveri pesciolini e poi delle molte navicelle
che, in parte, riposano a riva e molte di più si muovono di qua e di là sul
mare?»
10. Risponde l’angelo: «Sarà certo mia cura che nessun pesce, né alcuna
navicella abbia a soffrirne danno! Se desideri la prova che ti ho proposto, in
un momento l’opera si troverà sospesa dinanzi a te!».
11. Dice Giara: «Ebbene, se nessuna creatura può venirne danneggiata,
tu puoi eseguire quello che hai detto!»
12. Dice l’angelo: «Guardati intorno! Ecco che il lago è vuoto e tutta
l’acqua che vi era contenuta, fino all’ultima goccia, sta ora sospesa
liberamente nell’aria, come possono convincersene i tuoi occhi!»
13. Allora Giara volle chinarsi un po’, per guardare in profondità, ma
subito urlò con la fronte sulla superficie umida e fredda dell’enorme sfera
liquida che si librava libera, immediatamente vicino alle pareti rocciose del
monte il cui diametro complessivo misurava poco meno di quattromila tese.
Quando Giara ebbe visto ciò, rimase quasi senza fiato e domandò a mezza voce:
«Ma per l’amor di Dio, come ti è stato possibile un lavoro di questo genere nel
tempo di un istante appena percettibile? Ed il mare è adesso proprio vuoto del
tutto?»
14. Dice l’angelo: «Giara, vieni con me e convincetene!»
15. Giara osserva: «Come sarà possibile questo?»
16. Dice l’angelo: «Se mi è stato possibile sollevare fino quassù in un
attimo la pesante massa d’acqua, mi sarà ben possibile portare anche te giù,
fino al fondo del mare in un attimo solo e riportarti qui poi con la stessa
velocità! Bisogna però che tale sia la tua volontà, altrimenti nulla posso
fare, perché una scintilla sola del libero volere umano noi tutti la
rispettiamo più di tutta la forza e potenza che Dio ci conferisce, perciò tu
devi prima volere ed al tuo volere poi seguirà la mia azione»
17. Dice Giara: «Allora sta bene! Conducimi!»
18. Nello stesso istante ella si trovò nel punto più basso del fondo
marino completamente asciutto e l’angelo levò dal suolo una bellissima
conchiglia e la diede a Giara per ricordo e ad ammaestramento degli altri, che
corporalmente erano immersi in profondo sonno, ma avevano in sogno le visioni
di tutto ciò che stava succedendo.
19. E quando ebbe appena riposta la conchiglia nell’ampia tasca del suo
grembiule, l’angelo le domanda: «Credi ora che tutta l’acqua di questo mare si
trovi in quel globo che si libra al di sopra di noi e che il suo vasto letto è
completamente all’asciutto?»
20. Risponde Giara: «Oh, sì, io lo avrei creduto anche se non mi avessi
portata quaggiù! Ma ora ti prego, riportami lassù dal Signore, perché senza di
Lui sento che morirei il prossimo istante!»
21. Non appena ebbe pronunciato l’ultima parola, la buona Giara si
ritrovò già al Mio fianco, in cima al monte ed Io le chiesi se le fosse
piaciuta la cosa e che giudizio se ne fosse fatta.
22. Ed ella disse: «Signore, che a Te siano possibili tutte le cose, lo
so perfettamente, ma come nella Tua Volontà e per influsso di questa anche
nella volontà dell’angelo possa esservi un tale grado di potenza, questo penso
che forse l’angelo stesso non lo saprà, quanto meno io potrei darTi una qualche
spiegazione di un simile fenomeno. È una cosa meravigliosa in sommo grado, ma
non posso comprenderla!»
23. Le dico Io: «La tua risposta è molto buona e giusta, ma con il
tempo troverai nel tuo cuore anche la spiegazione del come a Dio siano
possibili tali cose. Ed ora dimmi un po’, come ti pare quest’angelo?».
1. Dice Giara: «Oh, egli certo è un uomo indicibilmente bello, perché
ha veramente tutto l’aspetto di un uomo, ma vicino a Te, o Signore, tutti gli angeli
e tutti i Cieli, con tutta la loro luce e le loro forme di suprema bellezza,
sono un nulla rispetto a te! Infatti tutta la loro bellezza sei Tu e solo Tu!
Dunque io non potrei amarne nessuno!»
2. Dico Io: «Ma sono Io, come tu mi vedi qui, proprio più bello di
quest’angelo? Guarda le Mie mani, che il lavoro ha rese ruvide, la Mia
epidermide già parecchio bruciata dal Sole e la Mia età, tutto ciò non ha
davvero niente di attraente, mentre quest’angelo è dotato di tutto
l’immaginabile che i Cieli possono chiamare bello!»
3. Dice Giara: «Signore! L’esteriorità non ha per me alcun valore,
quando l’interiore non eguaglia perfettamente il Tuo cuore, perché Tu solo sei
il Signore!».
4. Dico Io: «Ma pure, da queste creature angeliche si emanano
dappertutto manifestamente, senza alcun velo, il Mio Amore e la Mia Sapienza
che sono in tutto completamente uguali a Me; se tu dunque Mi ami soltanto per
il Mio Amore e tuttavia Io sono il Signore, non vedo perché tu non possa amare
così, come ami Me, quest’angelo dalla bellezza sovrumana, il quale certo esiste
quale risultante dell’azione combinata puramente del Mio Amore e della Mia
Sapienza!»
5. Dice Giara: «O Signore, Amore mio e mia vita, da questi due elementi
vitali sono costituiti anche tutti gli uomini, eppure io non sento di poterli
amare sopra ogni cosa con quella potenza con cui amo Te! Oh, sì, io certo amo
tutti gli uomini e più di tutti chi è bisognoso e faccio ogni cosa possibile,
nei limiti delle mie poche forze, per venire in soccorso ai poveri; ma pure non
mi è possibile amarli come io amo Te; così io amo anche questo carissimo
angelo, ma il mio cuore e la mia vita non appartengono tuttavia che a Te solo!
Soltanto se Tu, o Signore, respingessi duramente da Te il mio amore certamente
puro, allora la mia tristezza sarebbe assai grande, ma comunque direi a me
stessa: “Egli, il purissimo e santissimo, non ha potuto ritenere degno di Lui
il tuo amore ancora troppo impuro e perciò lo ha tenuto lontano da Sé!”»
6. Dicendo queste parole la fanciulla prorompe in pianto ed aggiunge
fra i singhiozzi: «E così anche sarà! Io mi sono azzardata un po’ troppo oltre
con il mio amore e nella mia ingenuità non ho pensato abbastanza Chi è Colui
che il mio cuore ha afferrato con tanta veemenza; perciò il Tuo Amore santissimo
respinge dolcemente da Sé il mio amore ancora troppo poco santo e mi affida ad
un angelo perché prima purifichi il mio cuore ed educhi a maggior santità il
mio amore. Oh, questo mi addolora assai, ma io so bene che Tu solo sei il
Signore e sopporterò dunque con pazienza tutto quello che a Te piacerà
decretare nei miei confronti»
7. Allora le dico lo: «O Mia diletta, perché fare questi vani
rimproveri all’amor tuo? Chi non Mi ama così come tu Mi ami ed ha a questo
mondo qualche cosa che gli è più cara di Me, costui non è affatto degno del Mio
amore. Tu, invece, il cui cuore tutti gli angeli del Cielo sono incapaci di
allontanare da Me, ami Me, il Tuo Signore e tuo Dio appunto così come Mi amano
gli angeli dei Cieli e sei tu stessa, già da lungo tempo dunque, un bellissimo
angelo del quale Io stesso sono immensamente innamorato! Vieni qui sul Mio
cuore e prenditi in esso il pieno risarcimento per questa piccola prova!».
8. A queste parole la piccola sembra come rinata e si stringe quanto
più può contro il Mio petto.
9. E l’angelo esclama: «O beatitudine suprema fra tutte! Che cos’è
tutto il complesso dei Cieli, paragonato alla vista di tanto amore? Noi,
spiriti perfetti, nel corso infinito dei tempi abbiamo già gustato gioie in
tale numero che nessuna lingua è capace di pronunciare, ma pure tutte le
infinite gioie e delizie di cui fummo partecipi non sono che povera rugiada
dinanzi all’onda di letizia che intorno a Te, o Padre santissimo, si innalza
mentre accogli fra le Tue braccia la Tua figlioletta e con manifesto immenso
amore la stringi al santissimo cuore Tuo! Oh, davvero inesprimibile deve essere
la beatitudine di cui questa creatura ora gioisce!»
10. Dico lo: «Sì, immensa è la letizia di questa figlioletta, ma anche
per Me essa non è meno grande, a voi pure, però, tale gioia sarà riservata
quando sarà compiuto e quando tutti voi avrete mangiato alla mensa dei Miei
figlioli! Ed ora fa che l’acqua ritorni nel suo bacino! Poi questa Mia piccina
ti ordinerà un altro lavoro.
11. E avvicinando la Mia bocca alla testolina di Giara immersa
nell’estasi, dico: “Vero, Mia buona Giara, tu Mi aiuterai a procacciare ancora
qualche bel lavoro ai Miei angeli?»
12. Risponde la fanciulletta con amoroso e ingenuo slancio e con la sua
voce infantile e dolcissima: «Oh sì! Per amor Tuo sono pronta a far ogni cosa
con tutta la mia anima! Tu non hai che d a dire, ed io mi getto per amor Tuo in
qualunque fuoco e mi precipito anche da questo monte giù nel mare, se l’acqua è
già ritornata»
13. Dico Io: «E tuttavia nessuna fiamma di questa Terra potrebbe ormai
più bruciarti, né distruggerti, perché tu stessa sei ricolma del fuoco più
ardente! E così pure né la roccia né l’acqua riuscirebbero più a recarti danno,
perché il tuo carattere nell’ordine Mio è più solido di un diamante, e il tuo
animo è più dolce di tutte le acque dei Cieli! Insomma, tu Mi sei oramai tanto
intimamente penetrata nel cuore che Io ti concedo la libertà di poter chiedere
agli angeli direttamente il compimento di qualche opera ed essi eseguiranno il
tuo incarico come eseguirebbero un ordine partito da Me stesso. Pensa dunque a
un qualche lavoro ed esponi la tua idea all’angelo, il quale attende già con
ansiosa gioia di ricevere dal tuo cuore un incarico ed in un attimo tutto sarà
compiuto, secondo il tuo desiderio!».
14. Dice allora Giara: «Mio buon messaggero dei Cieli! Se può avvenire
senza recare danno a nessuno, poiché questo monte con mezzi naturali è troppo
difficile da salire, fa’, nel Nome del Signore, che esso abbia un sentiero per
salirvi e discendere, praticabile facilmente e senza pericoli, anche dalla
parte del mare, dove ora è accessibile assolutamente soltanto agli uccelli!».
15. L’angelo fa semplicemente un graziosissimo inchino davanti alla
piccola Giara e dice: «O maestosa dominatrice nel Nome del Signore! Osserva il
monte tutto intorno e tu sarai certo contenta di me! Vedi, noi alle volte siamo
lenti nelle nostre azioni, però, quando occorre siamo anche più veloci del
lampo».
La potenza
degli angeli. Visita di una stella.
1. Detto ciò, l’angelo prende Giara per mano e la conduce tutto intorno
al cocuzzolo del monte ed essa si convince che il monte, pur non avendo perduto
niente della sua altezza, è diventato accessibile da tutte le parti senza
pericolo, specialmente dalla parte opposta al mare, dove il declivio è ora
dolcissimo.
2. E quando Giara si fu ben persuasa del cambiamento avvenuto, disse:
«La cosa è talmente prodigiosa che io quasi comincio a non fidarmi più dei miei
sensi e devo chiedermi davvero se forse non sto dormendo e sognando! Dammi,
dunque, almeno qualche piccola indicazione riguardo al come ti è stata
possibile questa meraviglia. Prima tu hai tratto fuori dal suo bacino tutto il
mare e l’hai mantenuto libero e sospeso nell’aria, come una goccia immensa; ora
hai costruito intorno a questo monte ripido delle strade praticabilissime e
tutto questo in un solo batter di ciglia! Qual è il segreto della tua potenza?
Tu non hai abbandonato un solo istante il tuo posto, eppure tutte queste opere
sono state compiute! Per me, povero vermiciattolo della terra, quale io sono,
questo è troppo!».
3. Risponde l’angelo: «Tu certamente non puoi ancora concepire simili
cose, ma ben presto verrà il tempo in cui tutto ti sarà chiaro come il Sole.
Però già fin d’ora posso dirti questo: “Noi angeli non possiamo fare niente per
nostro proprio potere, ma tutto invece esclusivamente tramite l’onnipotente
Volontà del Signore che tu tanto ami.
4. Vedi, l’Universo intero ed i Cieli tutti altro non sono che Pensieri
ed Idee di Dio tenute fisse dall’onnipotente, fermissima Volontà del tutto
incrollabile di Dio stesso. Basta che Egli abbandoni le Sue Idee e sciolga i
Suoi Pensieri e nello stesso istante la Creazione visibile ha cessato di
essere, ma se il Signore forma un nuovo Pensiero e con la Sua onnipotente
Volontà lo fissa, allora la nuova Creazione nello stesso istante è già
esistente e visibile per ciascuno”»
5. Chiede Giara: «Ma allora cosa resta da fare a voi?»
6. Risponde l’angelo: «In primo luogo devi sapere che noi siamo
semplicemente gli organi accoglitori della Volontà divina e poi i diffusori
della stessa! Vedi, noi siamo, in certo qual modo, le ali della Volontà divina
e siamo di conseguenza propriamente la Volontà divina stessa. Basta anche il
più lieve pensiero nostro, quando lo congiungiamo con la potenza della divina
Volontà e l’opera è immediatamente compiuta; ecco da cosa dipende tale rapidità
nel nostro agire!
7. Vedi tu là quella stella lucente che sta sorgendo? Ebbene, se da qui
fino ad essa fosse tracciata una strada, in verità la Terra non ha tanti
minutissimi granelli di sabbia quanti anni impiegherebbe un uccello per
giungervi in volo, per non parlare di quanti ne occorrerebbero ad un uomo per
arrivarci anche al più veloce passo di corsa, eppure a me è possibile
raggiungere quella stella e far ritorno qui in un solo attimo! Tu non noteresti
affatto la mia assenza e malgrado ciò io sarò stato là e poi di nuovo qui! Puoi
crederlo?».
8. Dice Giara: «Perché non dovrei crederti? Ma naturalmente di una
convinzione da parte mia non c’è da parlare, poiché fino lì io non posso, né
d’altronde vorrei, fare con te un viaggio, così come l’ho fatto ora sul fondo
del mare!»
9.Osserva l’angelo: «E perché no? Non sono possibili a Dio tutte le
cose? Se ciò è gradito al Signore, per me non fa differenza! Che a te niente di
male potrà accadere, mi rendo garante io e tutti gli innumerevoli angeli che
vedi risplendere da tutte le parti qui intorno!»
10. Dice Giara rivolta a Me: «Signore, è davvero possibile questo?»
11. Le dico Io: «Nelle mani di quest’angelo, sì. Se vuoi affidarti a
lui in pochi istanti sarai di ritorno sana e salva qui, presso di Me. Prenditi
però anche di lì un ricordo!»
12. E udito questo da Me, Giara si affidò all’angelo, dicendo: «Ecco,
io ho coraggio; se tu puoi farlo, allora portami là dove hai detto!»
13. Allora l’angelo sollevò Giara da terra, la strinse forte al suo
petto e scomparve. Dopo dieci secondi
egli fu di ritorno assieme a Giara, la quale conservava nel suo grembiule una
pietra che all’aperto riluceva come la stella del mattino quand’è al colmo del
suo splendore.
14. Quando Giara si fu un po’ riavuta dal suo stupore, Mi domandò: «Oh,
Signore, sono davvero tutte queste stelle innumerevoli quello che è la stella
che davvero con i miei stessi occhi di carne oppure con gli occhi del mio animo
ho contemplato adesso? Infatti è un mondo immenso! Il nostro, rispetto a
quello, mi sembra un guscio di una chiocciola rispetto a questa montagna! Dei
veri uomini popolano quel mondo enorme e meraviglioso e le loro dimore sono
altrettanti templi dalle proporzioni colossali e magnificamente costruiti, ma
quegli uomini sono talmente grandi che, se posassero i piedi qui giù sulla riva
del lago, supererebbero almeno tre volte in altezza tutta questa montagna. E
così quel mondo è mille volte più grande del nostro!
15. Noi ci trovavamo in cima ad un monte altissimo, dal quale si vedeva
da tutte le parti una pianura sconfinata. Questa era percorsa in ogni direzione
da bellissime correnti, le cui onde, muovendosi, avevano dei giochi
brillantissimi di luce cangiante in tutti i colori dell’arcobaleno. Il terreno
poi era tutto coltivato per formare magnifici giardini, e vi erano splendidi
templi. L’istante successivo ci trovammo già in pianura, vicino ai templi e
vedemmo quegli uomini colossali e le loro abitazioni ancora più colossali.
Visti ad una certa distanza, questi uomini sono davvero di bellissimo aspetto,
ma osservati da vicino, sembrano delle montagne semoventi; io avrei dovuto adoperare
una scala molto alta se avessi voluto salire anche soltanto sul dito mignolo
del piede di uno di loro!
16. Insomma, avrei per tutta la vita da raccontare se volessi dire tutto
quello che ho visto in questi soli pochi momenti, ma questo vorrebbe dire
sprecare in inutili chiacchiere il tempo che Tu, o Signore, hai destinato a
qualche cosa di meglio. Tuttavia io bramerei ancora di apprendere da Te se
tutte queste innumerevoli stelle sono proprio altrettanti mondi simili a quello
che ora ho visto!»
17. Dico Io: «Sì, bambina Mia, anzi molto più grandi e abbondanti in
magnificenza, ma credi tu davvero e fermamente di essere stata in questi pochi
istanti su quella stella, così come sei qui con il tuo corpo e anima?
DimMelo!».
18. Risponde Giara: «Signore! Amore mio e mia vita! Il volo di andata
l’abbiamo compiuto in quattro brevissimi tempi e fino al quarto tempo la stella
che io distinguo benissimo ancora mi apparì sempre invariata come stella, ma,
all’inizio del quarto tempo, essa divenne grande come il nostro Sole, poi, dopo
brevissimo tempo ancora, ci trovammo già su quello splendido mondo. Sul monte,
dove al nostro arrivo ci trovammo, raccolsi, dietro consiglio dell’angelo, una
pietruzza dal terreno, che è appunto questo sassolino rilucente che ho portato
con me come prova che io sono veramente stata anche là. Dunque, riguardo alla
mia presenza reale là io non potrei fornirTi altre prove».
La maniera
interiore di contemplare la Creazione.
1. Dico Io: «Questo basta pienamente! Ma ora Io voglio indicarti
un’altra maniera, nella quale un uomo perfetto nel suo cuore può viaggiare
attraverso gli spazi e visitare le stelle anche senza scostarsi materialmente
di una linea sola da questa Terra; però in questo caso non è certo facile
portare con sé una pietruzza lucente a prova del raggiungimento della meta.
Dunque, hai ben presente la stella che hai visitato poco fa?»
2. Risponde Giara: «Sì, o Signore!»
3. Dico Io: «Ebbene, ora vedi di rappresentartela in cuor tuo con la
maggior intensità di vita di cui sei capace e fissala per qualche tempo
incessantemente con gli occhi tuoi e dimmi poi come ti apparirà dopo pochi
istanti»
4. Giara allora fa secondo il Mio suggerimento e subito dopo esclama:
«Signore, Signore! O mio Dio, o mio amore! Io vedo la stella come l’ho vista
prima nel quarto periodo. Essa diventa sempre più grande e la sua luce è a
malapena sopportabile! Ah, che luce straordinaria, per fortuna che non fa male
agli occhi! Oh, oh, ora tutto il firmamento non è che un immenso mare di luce
terribilmente sconvolto da enormi ondate! Mio Dio, mio Dio, come sono grandi e
meravigliose le Tue opere! E dire che Tu vai peregrinando nella carne come un
semplice e modesto uomo fra questi vermi che sono gli uomini della nostra
Terra!
5. Oh, oh! Adesso mi trovo nuovamente su quel monte di prima e vedo
tutto intorno gli stessi paesaggi sovrabbondanti di ogni magnificenza, gli
stessi templi e gli stessi uomini ed i loro bellissimi giardini, vedo anche dei
fiori meravigliosi, ma il più piccolo fra questi è più grande di una casa sulla
nostra Terra. Certo non potrei coglierne nessuno per ricordo! Ah, ecco, adesso
vedo anche ogni specie di animali e anche degli uccelli che sono una meraviglia
di bellezza, ma sono tutti immensamente grandi! Dagli alberi giganteschi pende
della frutta curiosa ma di una grandezza enorme! E noto anche come due uomini
in un giardino stendono le mani verso un albero, ne colgono della frutta e la
portano alla bocca! Oh, con una pera o simile frutto, un migliaio di uomini su
questa Terra avrebbero abbastanza da saziarsi per un anno intero!»
6. Le dico Io: «Ora fa’ attenzione! Adesso arriverai in una specie di
città di quel mondo, Mi dirai poi se ti sarà piaciuta!»
7. Subito dopo Giara si prende il capo tra le mani come sbalordita e lo
splendore della visione pare ora tanto grande da strapparle grida di meraviglia
e di rapimento: «Oh, per l’amore del Nome Tuo santissimo! Questa è una
magnificenza quale un cuore di uomo non ha mai potuto neppure lontanamente
sognarla! Oh, è una cosa che non si può descrivere! Serie complete di templi
immensi! Che colonnati, che cupole! Mio Dio, quale sontuosità, che proporzioni
immense e che indicibile splendore! Signore, Te ne prego, fammi ritornare,
perché questa profusione di magnificenze, che uomo non potrà mai descrivere,
finirebbe con l’uccidermi!»
8. Le dico Io: «Ebbene, chiudi gli occhi e pensa a Me ed alla Terra e
tutto poi sarà di nuovo a posto!» Giara allora esegue e può ormai guardare la
sua stella nuovamente come stella.
9. E quando un po’ di calma e di raccoglimento si fece nel suo animo,
essa subito Mi domanda: «Signore! L’angelo mi ha forse mostrato prima quella
stella anche in questa maniera come me l’hai mostrata Tu ora? Adesso io l’ho
vista molto meglio della prima volta, quantunque vi sia stata, per così dire,
soltanto spiritualmente. La mia idea è questa: il buon angelo, per mantenere le
apparenze, mi ha forse allontanato solamente un breve tratto da qui e mi ha poi
fatto vedere la stella anche lui nella seconda maniera!»
10. Dico Io: «No, no, l’angelo ha corrisposto pienamente al tuo
desiderio! Però tale cosa è stata possibile soltanto con te, perché il tuo cuore
è saturo d’amore; con qualsiasi altro uomo una cosa simile non sarebbe stata
possibile. E se anche un angelo facesse questo con un comune uomo del mondo,
ciò che certo egli potrebbe, già la sola vicinanza di un tale angelo
ucciderebbe l’uomo del mondo sull’istante!
11. Però tu poco fa Mi hai chiesto se tutte le stelle sono altrettanti
mondi simili a quello che hai visto. Ed Io ti ho risposto di sì. Dunque, se tu,
Mia Giara diletta, lo desideri, puoi convincertene nell’identico modo! Vedi,
quando un giovane del mondo chiede la mano di una fanciulla e vuol farla sua
sposa, egli apre i suoi forzieri e mostra tutti i suoi tesori, per rendersi
propizia colei che il suo cuore ama, affinché, se anche non per la sua persona,
essa voglia accettarlo in sposo per i suoi grandi tesori. Ed ecco, Io faccio
ora lo stesso dinanzi a te, affinché un giorno, quando la tentazione verrà da
parte del mondo, tu non abbia ad allontanarti dal Mio cuore. Perciò ora Io ti
rivelo l’esistenza dei Miei tesori, perché tu possa convincerti che Io poi non
sono tanto povero come il Mio esteriore sembra annunciare agli uomini. Vedi, Io
sono oramai il tuo innamorato ed è dunque opportuno che ti mostri anche una
parte, sia pure piccola, dei Miei grandi possedimenti e tesori»
12. Dice Giara: «Signore, o vita mia, se la mia volontà fosse mossa a
contemplare ancora un’altra stella soltanto per preservarmi con ciò da
un’infedeltà nel mio amore per Te, mi dispiacerebbe molto aver guardato già
quell’una! Infatti Tu solo sei per me infinite volte di più di tutte le stelle
con tutti i loro splendori! In verità, per amarTi sopra ogni cosa, io in eterno
non ho bisogno d’altro che di Te solo, ma per amor Tuo, poiché Tu lo desideri,
ammiro con grande diletto pure le meraviglie della Tua potenza e sapienza»
13. Dico Io: «Ascolta, o Mia carissima Giara, Io vedo bene fino in
fondo al cuor tuo ed entro vi leggo quanto è grande il tuo amore per Me e
conosco anche la tua fedeltà, però tu sei ancora più una bambina che una
ragazza matura. Finora tu fosti continuamente sotto la tutela dei Miei angeli
ed i mali spiriti del mondo non hanno potuto avvicinarsi a te, ma più tardi
dovrai per forza tua propria resistere al mondo perfido ed ai suoi
allettamenti, per poter con ciò, secondo il Mio immutabile Ordine stabilito per
tutti gli esseri, creare da te stessa quel solido terreno sul quale appena ti
sarà dato di avvicinarti a Me davvero in spirito ed in tutta verità. Ed ecco
qui il mondo ha un potere assai grande sugli uomini, perché il mondo in
grandissima parte è dominato dall’inferno e l’anima deve sostenere più di una
aspra lotta, per non venire tratta nell’abisso dalla propria carne e dal
proprio sangue e per conseguenza anche dal mondo!
14. La tua persona è molto bella; ben presto i giovani del mondo
getteranno gli occhi su di te e ti offriranno il loro cuore e la mano e dovrai
combattere per non cedere alle loro insistenze. Ma quando questo tempo sarà
venuto, suscita allora nel tuo cuore il ricordo di Me e di tutto quello che hai
visto ed udito su questo monte e così riuscirai vincitrice del mondo con molta
facilità!»
15. Dice Giara, un po’ rattristata: «Oh, ma a Te deve pur essere
dall’eternità già chiaro se un giorno potrei o no diventarTi infedele! E se Tu
vedi in me una futura infedele, come puoi amarmi? E come puoi permettere ad una
futura peccatrice di avvicinarsi a Te?».
16. Ed Io le dico: «Questi concetti, Mia diletta Giara, sono troppo
alti per te! Tuttavia, per il particolare immenso amore che ti porto, qualche
cosa voglio pur dirti. Vedi, Io bensì posso già dalle eternità sapere quello
che sarà di un uomo, purché Io lo voglia sapere, ma, affinché l’uomo nella
maturità degli anni suoi possa agire senza influenza alcuna, fermamente ed in
piena assoluta libertà, Io distolgo per un determinato tempo i Miei occhi da
lui e non prendo nessuna informazione sul suo libero operare, a meno che egli
non Mi rivolga la fervida preghiera di aiutarlo nella lotta da lui liberamente
intrapresa con il mondo, allora il Mio sguardo di nuovo si volge a lui, lo
aiuto a mantenersi sulla retta via e gli infondo il necessario vigore nella sua
lotta con il mondo!
17. Ora, vedi, così neppure nel tuo caso Io voglio scrutare il futuro e
ciò perché tu abbia a restare libera nel tuo operare; vedi, Io vado ora
istruendoti, affinché tu ne sia rafforzata e perché nel tempo della tentazione
tu possa ricordarti fattivamente di tutto ciò. Anche l’angelo protettore, una
volta giunto quel tempo, ti lascerà sola, ma quando avrai riportato la
definitiva vittoria sul mondo, egli ritornerà a te e ti servirà in ogni cosa.
Hai tu, Mia carissima Giara, afferrato così, almeno un po’, il senso delle Mie
parole?».
Un mondo in
funzione di scuola dell’abnegazione di se stessi nell’aldilà
1. Dice Giara: «L’ho compreso abbastanza, o Signore! Però la cosa resta
ben triste per me e per tutti gli altri uomini, perché fra migliaia forse
appena uno troverà la forza necessaria per affrontare il mondo da solo, così
come a Te sarebbe gradito!»
2. Dico Io: «Appunto per ciò Io sono venuto al mondo, allo scopo, con
gli insegnamenti Miei e con le Mie opere, di fornire a ciascuno i mezzi
sufficienti per vincere il mondo con lieve fatica»
3. Dice Giara: «Certo, sarebbe tutto bello e buono, ma sulla Terra c’è
una quantità di persone, al cui orecchio le Tue parole cominceranno ad arrivare
forse appena in un migliaio d’anni; come potranno queste persone, entro così
lungo tempo, difendersi dall’assedio del mondo? Eppure sono tutti altrettanti
uomini come lo siamo noi ebrei!»
4. Dico Io: «Ecco, i popoli della Terra, in rapporto a Me, devi
raffigurarteli come dei singoli figli in rapporto all’unico padre loro. Alcuni,
che sono venuti prima nel mondo, vengono educati dal padre in differente
maniera da altri, che hanno visto la luce appena da due, tre, quattro o fino a
cinque anni. Il figlio più anziano è già un uomo robustissimo ed una figlia è
già da marito, ma accanto a questi vi sono ancora un paio di figli della tua
età e poi tre sono ancora in fasce. Dimmi tu se farebbe cosa saggia il padre,
qualora volesse usare lo stesso sistema di educazione tanto per i piccoli bimbi
in culla, quanto per il figlio divenuto già uomo adulto?»
5. Risponde Giara: «Oh, sarebbe una cosa quanto mai insensata se il
padre facesse così!»
6. Dico Io: «Orbene, appunto qui sta la spiegazione del perché alcuni
popoli arriveranno solo più tardi ad intendere la Mia dottrina. Essi
attualmente non sono ancora maturi, ma ben verrà il tempo giusto in cui lo
saranno ed allora anche la Mia dottrina giungerà fino a loro. Mi comprendi?»
7. Dice Giara: «Oh, sì, Ti comprendo benissimo, ma poi qual è il
destino che nel grande aldilà attende i popoli che su questa Terra non sono
giunti ancora a maturità?».
8. E dico Io: «Questo ti verrà indicato immediatamente. Vedi là, nel
settore settentrionale del cielo, vi è una stella che manda una luce piuttosto
rossastra. Fissala bene, come hai fatto con la prima, con gli occhi del tuo
animo ed in pari tempo guardala anche con i tuoi occhi terreni e su quella
stella tu troverai la risposta alla tua domanda».
9. Giara fa subito come le ho detto Io e già dopo brevi momenti
esclama: «O Signore, o creatore onnipotente dei Cieli e dell’Universo intero!
Questo è un mondo molto più grande di quello che ho visto prima ed una luce
meravigliosa lo circonda! Ma la sua luce è rosa con tendenza al giallo d’oro,
mentre quella dell’altro mondo era di un bianco purissimo. La luce di questo
mondo, però, diventa anch’essa tanto intensa da riuscire insopportabile! Ma
ecco che oramai sono già arrivata sul suolo animato di questo mondo! Oh, anche
qui la magnificenza è indescrivibile, quanta varietà di cose! Dei monti
bellissimi dal dolce declivio racchiudono valli splendide quanto mai fertili.
Nelle valli si possono vedere anche delle specie di capanne, le quali
consistono unicamente di un tetto sostenuto per bene da colonne scintillanti
come il rubino, ma sul dosso dei monti tali capanne si susseguono senza
interruzione a perdita d’occhio in file lunghissime e per quanto immensamente
lontano giunga il mio sguardo, tuttavia non riesco a vedere altro, ed una
capanna somiglia all’altra quanto nell’uomo un occhio somiglia l’altro. Come osservo, i tetti dalla forma circolare
un po’ allungata poggiano tutti su colonne di rubino alte circa come sette
uomini; ma anche qui una colonna è del tutto uguale all’altra! Uomini ed altri
esseri viventi non mi è stato ancora possibile di vederne, però devono esserci
anche qui, perché la straordinaria coltura di queste immense regioni ne
fornisce la prova!
10. Ma, cosa strana, è che tuttavia su questo mondo, sotto altri
aspetti ricco di ogni magnificenza, tutto sia di tipo uniforme; un albero
fruttifero è precisamente come l’altro ed un fiore è assolutamente identico
all’altro, tutto disposto in lunghe file e non si può trovare niente che non
rientri in quest’ordine.
11. Certo, tutto ciò si presenta meravigliosamente bene, e l’occhio ne
ha un grande diletto, ma con il tempo questa eterna uniformità dovrebbe pur
finire con lo suscitare noia in un uomo della nostra specie! Ma ecco che adesso
sono arrivata davanti ad una capanna e qui sì che vedo degli uomini simili a
noi. Uno di loro è in piedi, un po’ elevato da terra e sta predicando e diverse
centinaia d’altri uomini ascoltano con gran devozione questo predicatore.
12. Nella capanna immediatamente vicina vedo parecchi uomini avvolti in
abiti a pieghe, i quali mangiano ad una mensa bene imbandita, ma intorno ai
convitati ce ne sono molti altri i quali sembrano soffrire la fame e questi non
ricevono niente da mangiare! Oh, oh, qui in una terza capanna vedo adesso
alcune prostitute di meravigliosa bellezza! Queste sono completamente nude e si
sollazzano con degli uomini di pochissimo conto, passeggiando di qua e di là;
in fondo si vedono però una quantità di giovani, i quali sembrano seguirle con
occhio avido ed essi fanno cenni alle belle prostitute perché se ne vengano
anche da loro e se la spassino un po’ anche con loro, ma i giovani non
ottengono ascolto e pare che ciò non li renda troppo soddisfatti.
13. Oh, queste sono delle istituzioni domestiche molto strane! Quanto
esteriormente una capanna è perfettamente uguale all’altra, altrettanto variate
invece appaiono le occupazioni degli uomini, e pure questa è certo una cosa da
segnalare! Ma se su questo mondo enormemente grande dappertutto è così come in
questa regione da me vista ora, preferisco la nostra piccola Terra, esclusi
certamente gli uomini malvagi!»
14. Le dico Io: «Tutto quello che adesso il tuo occhio vede, non è che
un piccolo istituto scolastico ed una palestra per l’educazione all’esercizio
dell’abnegazione di se stessi e del superamento del proprio io. Procedi ora
innanzi con gli occhi del tuo animo, e ti si mostrerà qualcos’altro!»
15. Giara fa così, ma il nuovo spettacolo le strappa un grido tale che
tutti gli altri, immersi nel sonno, ne sarebbero stati svegliati se la Mia
Volontà non li avesse riaddormentati.
16. Io poi domandai a Giara che cosa mai fosse accaduto per gridare a
quel modo.
17. Ed essa esclamò: «O Signore! Lo splendore e le maestosità che si
offrono alla mia vista, sorpassano di nuovo tutto ciò che mente umana abbia mai
potuto immaginare! Qui c’è un palazzo di tanta mole e tanto alto da gareggiare
con il più grande ed alto monte della Terra! Le mura sono fatte di pietre
preziose, mille e mille scaloni e gallerie dorate adornano esteriormente
quest’immenso palazzo, il quale alla sua sommità, finisce in un vero pinnacolo
altissimo. Tutto intorno a questo palazzo vi sono lussureggianti giardini, in
cui una varietà straordinaria rivela ad ogni volger d’occhio nuove meraviglie,
ma entro i giardini si trovano ancora dei laghi bellissimi, sulla cui
superficie vedo nuotare intorno una quantità grande di oggetti meravigliosi,
fatti con grande arte e destinati probabilmente al diporto, strano è però che
nessuno li guidi, né meno ancora che li sorvegli.
18. Signore! Che cosa vuol dire tutto ciò? Chi sono gli abitanti di
questo enorme palazzo ed a che cosa servono questi svariati oggetti artistici
che si muovono liberamente sull’acqua dei laghi grandiosi?».
Uno sguardo
nell’ordinamento stellare universo.
1. Dico Io: «Vedi, questo palazzo è l’abitazione di un maestro
superiore preposto alla regione che tu hai già visitata, tutte quelle capanne,
o meglio scuole che hai visto prima, sono sottoposte alla sua sorveglianza e
gli oggetti, che vedi galleggiare qua e là sui laghi, vengono in periodi
determinati di tempo utilizzati per l’ulteriore istruzione nella sapienza
superiore. Ma di abitazioni come questa qui ce ne sono ancora molte centinaia
di migliaia soltanto nella zona centrale di questo mondo luminoso, oltre poi
una quantità di città quanto mai grandiose. Accanto però a questa zona centrale,
della quale non vedi ora che una piccolissima parte, vi sono ancora, su questo
mondo, settantasei zone secondarie, delle quali ciascuna ha una organizzazione
propria e differente dalle altre. Questo mondo, come pure quello visto prima, è
in effetti un Sole come il vostro che illumina la Terra, con la sola differenza
che quello visto da te per primo è circa mille volte più grande, e questo che
tu contempli ora è circa quattromila volte più grande del Sole della vostra
Terra; il vostro Sole però è mille volte mille più grande di tutta la Terra.
2. Gli uomini di questo astro solare hanno ancora un concetto del tutto
erroneo del loro astro, come pure dei soli, delle lune e delle stelle; ma
quando un giorno saranno capaci di calcolare meglio, potranno farsi delle idee
più giuste e più esatte riguardo ai corpi roteanti negli spazi sterminati della
Creazione.
3. Ma intanto tu puoi già sapere che intorno a ciascuno di tali soli
orbitano, a distanze differenti, un’appropriata quantità di tali Terre, come lo
è questa sulla quale stiamo noi, e che parecchie di queste Terre hanno ancora
dei satelliti, i quali ruotano intorno ad esse come costanti accompagnatori,
come la Luna orbita intorno alla nostra Terra! Ma tante quante sono le vere e
proprie Terre a cui provvede un sole, altrettante fasce proprie, corrispondenti
alle Terre che orbitano intorno ad un tale sole, ha appunto ogni sole, ad
eccezione dei Soli-centrali, che sono destinati a reggere e a guidare i
Soli-planetari e sono un milione di volte più grandi di dieci milioni di tali
soli, di cui tu ora ne hai visto due.
4. Un tale Sole-centrale non ha più la sua superficie ripartita in
tante zone, bensì in altrettanti territori quanti sono i soli-planetari; ed
allora ciascun territorio che corrisponde ad un Sole-planetario è in superficie
da mille fino a diecimila volte più grande della superficie di ogni singolo
sole-planetario stesso assieme a quella di tutti i pianeti che lo circondano.
Intorno ad un Sole-centrale ruotano almeno mille migliaia di soli-planetari.
5. Ma poi vi sono ancora dei soli-centrali, intorno ai quali si muovono
a loro volta mille migliaia di soli-centrali ora menzionati, unitamente a tutti
i loro soli-planetari ed ancora vi sono soli-centrali intorno a cui si muovono
i soli-centrali di secondo tipo, ed infine nelle incommensurabili profondità di
un complesso di soli-centrali sta un corpo-mondiale-solare-centrale comune, il
quale ha il solo movimento rotatorio intorno al proprio asse. Questo corpo
centrale è pure un sole, ma è tanto grande che tutti gli innumerevoli
soli-planetari, i soli-centrali di primo, secondo e terzo ordine e tutti i
pianeti con le loro lune orbitanti intorno agli innumerevoli soli-planetari,
nonché le molte migliaia di svariatissime grandi e piccole comete che ruotano
quali terre in formazione, in orbite incostanti intorno ai soli-planetari,
tutto questo immenso complesso non corrisponderebbe in volume neppure alla
centomillesima parte di quel Sole-centrale-primordiale, se esso stesso fosse
una sfera cava con entro tutti questi corpi celesti in numero incalcolabile.
DimMi, Giara, puoi ora farti un’idea di quanto ti ho detto?»
6. Risponde Giara: «Signore! Chi mai potrebbe concepire tanta
grandiosità? Una piccola idea certo posso farmela, ma così facendo sono colta
da vertigine! Ecco però che i miei occhi sono ormai sazi di questo sole, non so
comunque che risposta dare alla domanda riguardo alla sorte riservata nel
grande aldilà ai popoli immaturi della Terra!»
7. Le dico Io: «Ebbene, distogli anzitutto il tuo sguardo dal Sole che
hai contemplato e poi ascoltaMi!»
8. Dice Giara: «Signore, ecco, l’ho già fatto!».
Periodi di sviluppo nell’aldilà
1. Dico Io: «OdiMi dunque! Vedi, tutti questi uomini immaturi giungono
per lo più in quel Sole che tu hai visto ora ed in estesissime scuole vengono
istruiti in tutto ciò che concerne la vita. Così pure i fanciulli morti
immaturamente vengono educati ed allevati nella zona centrale del medesimo
Sole, ma più che altro nella sua sfera spirituale.
2. Alle anime immature, nel Sole, viene dato nuovamente un corpo, ma
tuttavia senza che vi concorra la funzione mediatrice della generazione e del
parto e questo corpo poi diventa spirituale con l’anima stessa e può trapassare
nello spirituale puro. Però come tali anime vengano portate da qui fino a quel
Sole e da chi, questo lo hai tu stessa appreso quando visitasti il primo Sole.
Quest’angelo che è ora presso di noi, è la guida e il reggente di tutti i mondi
e di tutti i soli dei quali Io ti ho appena parlato. Da ciò tu puoi comprendere
quale potenza e quale sapienza siano riunite in lui.
3. Però, dello sterminato numero degli angeli che adesso il tuo occhio
contempla, allineati in ampie schiere intorno a te, ciascuno di essi ha un’identica
incombenza, poiché nelle profondità eterne dello spazio esistono in numero
incalcolabile per ogni mente umana i complessi solari, di cui uno è quello,
come prima ti ho detto, che è retto da un Sole-centrale-primordiale, com’è
quello che regge il sistema in cui ci troviamo, ed ogni simile complesso solare
è governato da uno di questi angeli! Tu di angeli ora ne vedi un numero
grandissimo, ma questa che tu vedi non è nemmeno dieci volte la centomillesima
parte soltanto dei grandi angeli reggenti, non menzionando poi gli angeli
inferiori, ai quali è affidata la particolare sorveglianza e direzione di
singoli soli e pianeti e di singoli territori di un mondo. Ora vedi! Io devo
tuttavia, nel Mio eterno Spirito, avere cura di tutto in ogni istante e se Io
per un solo istante distogliessi la Mia costante attenzione da tutte le cose
che hai visto e di cui Io ti ho parlato, nello stesso momento tutto, sia il
grande come il piccolo, svanirebbe! DimMi, saresti capace con il tuo spirito di
venirne a capo?»
4. Dice Giara: «Oh, Signore! Come puoi farmi una domanda simile? Io, un
povero granello di polvere su questa Terra e Tu, nel Tuo Spirito, il solo Dio
eterno ed onnipotente! Oh, se i ciechi farisei di Gerusalemme potessero vedere
quello che io ho visto, dovrebbero certamente pensare altrimenti! Ma essi non
lo possono vedere e neppure lo vedranno, e perciò nella loro ostinazione e
perfidia cadranno in perdizione! Le loro anime, nell’aldilà, saranno anch’esse
trasferite nella scuola di quel Sole»
5. Dico Io: «Che così avvenga, è ben poco probabile, Mia cara diletta!
Infatti essi non appartengono ad un popolo immaturo, ma anzi ad un popolo
pienamente maturo! E le anime di un popolo maturo, quando si sono indurite in
ogni perfidia, giungono, spinte dall’autocostrizione, nelle profondità della
Terra, perché, essendo diventate pura materia, questa allora è il loro elemento
ed esse non vogliono né possono separarsene. Certamente viene fatto ogni sforzo
e si ricorre a mezzi estremi: si permette che sofferenze e tormenti di ogni
specie si riversino sul loro capo, per indurle ad abbandonare l’influsso della
materia. E se una riesce a liberarsene, allora passa alle scuole che esistono
nelle zone spirituali di questa Terra; da qui essa viene trasferita sulla Luna
e quando là si è affermata attraverso tutti i gradi dell’abnegazione e si è
fortificata, allora viene trasportata su un pianeta più perfetto e là viene
ammaestrata nella vera sapienza.
6. Quando poi una simile anima è pervenuta ad una giusta e vera luce e
questa va sempre più aumentando in potenza, soltanto allora, grazie alla luce,
viene generato il calore della vita spirituale e l’anima comincia ad unificarsi
con il proprio spirito, in modo che gradatamente tutta la sua vita si trasforma
in amore. Quando poi l’amore ha raggiunto il necessario grado di consistenza e
di forza ed è diventato la vera fiamma interiore vitale, dall’interno si fa
luminoso e chiaro in tutta l’anima e soltanto allora una tale anima viene a
trovarsi in quello stato che la rende atta ad essere accolta nel mondo libero
degli spiriti beati propriamente detto, dove poi viene, come un’anima bambina,
ulteriormente guidata ed educata.
7. Ma prima che un’anima, diventata materiale sulla Terra, pervenga,
nel più favorevole dei casi, fino a questo punto, possono sempre passare
parecchie centinaia di anni terrestri. Ora però Io leggo nel tuo cuore che tu
vorresti chiederMi ancora qualcosa ed Io ti dico: “Chiedi pure, perché le tue
domande sono ben fondate! Sennonché questa volta esporrai il tuo desiderio
all’angelo che ci sta vicino ed egli ti darà anche la giusta risposta».
Della
grandezza dello spirito dell’uomo.
Sulla
velocità degli angeli o spiriti puri.
1. Allora Giara si rivolge all’angelo e gli chiede: «O caro e
soavissimo giovinetto, il tuo e il mio Signore mi ha indirizzato a te e mi ha
detto di farti delle precise domande e che tu mi darai anche delle risposte
giuste. Dimmi, dunque, perché questi miei congiunti terreni, come pure i
discepoli del Signore, devono dormire, mentre io sono desta; e dimmi anche
perché io posso vedere con gli occhi del mio corpo tutto quello che agli altri,
secondo quanto ha detto il Signore, è permesso e sono in grado di vedere ed
udire soltanto in sogno!»
2. Risponde l’angelo, con accento amorevolissimo: «In te, o deliziosa e
beata figlia del Signore, l’anima si è trasfusa del tutto nello spirito e tu
non hai quassù più niente in comune con la materia del mondo. Il tuo occhio
terreno è diventato l’occhio della tua anima e poi, a sua volta, esso è
diventato l’occhio del tuo spirito eternamente immortale. Perciò ti trovi
situata nella tua sfera di vita perfettamente così come veramente dovrebbe
trovarsi ogni vero uomo.
3. Ma lo spirito di ogni uomo è costituito in modo tale che esso,
ugualmente come lo Spirito di Dio, abbraccia in sé l’Universo intero. Dunque,
quando tu nel tuo animo purissimo, che è come un occhio dello spirito,
concentri l’attenzione su una stella, per quanto lontana, o su un’altra cosa e
se contemporaneamente rivolgi all’oggetto fissato, con l’occhio dello spirito,
l’occhio della tua anima tramite il tuo occhio di carne, allora si produce un
conflitto fra l’immagine interiore esistente nel tuo spirito e la corrispondente
forma esteriore dell’immagine stessa. Da questo conflitto poi risulta nella tua
anima una luce perfetta sull’oggetto contemplato e questo ti si presenta allora
veramente così come esso è nella sua specie.
4. Ed io ti dico, in tutta verità e fedeltà, che tutti gli uomini
sarebbero capaci di ciò, purché essi, nella loro anima, fossero altrettanto
maturi ed appunto così costituiti come lo sei tu, ma ora ben pochi ce ne sono
che possano uguagliarti. Costoro che dormono invece fanno parte dei molti ed
appunto non ti somigliano né nella tua anima né nel tuo animo; la loro anima è
ben lontana dal poter guardare con l’occhio di carne, e l’occhio dello spirito
è ancora solidamente chiuso; per conseguenza la loro anima deve prima venirne
resa capace in sé e per sé. Con il sonno dell’occhio materiale viene tolta ogni
visione del mondo e solo così essa, tramite i suoi sensi più sottili ed acuti,
può giungere alla percezione ed alla contemplazione del soprasensibile che
trapassa nello spirituale.
5. Certamente, però, il sonno di questi dormienti è un sonno del tutto
speciale al quale, in maniera del tutto naturale, l’uomo non può arrivare che
soltanto in rarissimi casi.
6. Certi uomini forti nell’anima e nello spirito possono provocare un
forte sonno nei loro fratelli più deboli mediante la frequente imposizione
delle mani, ma i deboli assolutamente non possono conseguire un tale risultato
con i loro fratelli e sorelle altrettanto deboli. Del fatto però che il Signore
possa fare tutto mediante la Sua Volontà, di certo in te non può sorgere, in
eterno, nessun dubbio!»
7. Dice Giara: «Il Signore ti benedica per questi chiarimenti che mi
hai dato e che io ho molto ben compreso! Ma adesso una domanda ancora: dimmi,
dolce e carissimo giovinetto, come faccio a spiegarmi la tua incomprensibile
velocità?»
8. Risponde l’angelo: «O dilettissima figliola di Dio! Questa è una
cosa che non può venire compresa se non da un puro spirito, per il quale tempo
e spazio non hanno né significato né nessun valore. Noi, per noi stessi, non
siamo nulla, ma quello che tu vedi di noi con gli occhi del tuo spirito è un
Pensiero di Dio, un’Idea di Dio, una Parola di Dio. Noi perciò siamo spiriti
assolutamente puri e non vi è materia che possa esserci di ostacolo.
9. Se dunque per uno spirito in cui la vita è potenziata al sommo, non
possono esservi ostacoli, ne consegue che per esso il di qua e il di là devono
necessariamente essere la stessa cosa. Non vi è materia dunque che possa
raggiungere la velocità che abbiamo noi spiriti, perché essa, anche muovendosi
nell’etere imponderabile, vi trova sempre e comunque un impedimento che tende a
rallentarne il moto.
10. Nello spazio immenso e sconfinato della Creazione particolarmente
degni di nota sono i soli-centrali di terza categoria, immediatamente
dipendenti dal Sole-centrale-primordiale. Questi soli si muovono, descrivendo
differenti e immense orbite intorno al Sole-centrale-primordiale, con una
velocità che, per i tuoi concetti, può definirsi infinita e ciò affinché
possano restare alla debita distanza dal Sole-centrale-primordiale. Le loro
orbite, a causa della loro grandissima distanza da questo Sole principale, sono
di un’estensione per te inimmaginabile.
11. Ora, per esempio, pensa a questa Terra quale una palla – come è
veramente – di una grandezza di molte centinaia di migliaia di volte maggiore
di quanto tu possa vedere adesso ed immagina che questa enorme palla consista
tutta di granelli di sabbia, come ne avrai di frequente visti in riva al mare.
Fatti poi un’idea del numero di minutissimi granelli di sabbia che sarebbero
necessari per formare una simile Terra. Ora, per ciascuno di questi piccoli
granelli, immagina una distanza come da qui fino a quella stella che abbiamo
visitato per prima e la somma di tutte queste distanze ti darà quasi il
diametro di una simile orbita. Uno dei soli-centrali di terza classe, che ho
menzionato, impiega di certo per percorrere una simile orbita, nelle migliori
delle ipotesi, dieci volte centomila anni, ma poiché l’orbita stessa è tanto
enormemente estesa, un Sole di questa specie deve percorrere già in un attimo
una distanza mille volte superiore a quella che c’è tra qui e la stella da noi
visitata per prima!
12. Tu qui penserai e dirai: “Ma se è così, un simile Sole si muove pur
sempre mille volte più rapidamente di te, che sei un puro spirito! Infatti se
nel tragitto da qui fino a quella stella fossimo proceduti con la velocità di
quel Sole, noi avremmo evidentemente dovuto avvicinarci mille volte prima che
non con la tua velocità spirituale”.
13. Ma io ti dico invece che l’immensa velocità di quel Sole,
paragonata alla mia velocità spirituale, appare una vera marcia da lumache,
poiché, vedi, per quanto la sua velocità sia, secondo i tuoi concetti,
assolutamente enorme, quel Sole, tuttavia, impiega dieci volte centomila anni
per compiere il suo percorso lungo l’orbita immensa intorno al suo
Sole-centrale-primordiale, mentre io, od un altro spirito della mia specie,
possiamo compiere lo stesso percorso in un attimo così impercettibile che per
te non sarebbe possibile neppure accorgerti dell’intervallo di tempo che
intercorre tra la mia partenza e il mio ritorno. Anzi ti dico di più: nello
stesso impercettibile istante io potrei volare lungo un’orbita anche di molte
migliaia di centinaia di migliaia di volte maggiore.
14. Dunque, tra questa velocità di uno spirito e quella di una materia
dotata di un moto rapido quanto si vuole, e che possa anche essere aumentato
quanto si vuole, esiste un divario infinito, perché se una materia che si muove
con una velocità quanto grande si vuole, adopera anche un solo istante per
compiere il tragitto da qui fino a quella stella, per compiere un ulteriore
tragitto uguale ci vorranno in tutto già due istanti e, ammesso pure che la
materia percorra in un istante solo centomila di tali distanze, avrà bisogno di
ben dieci istanti per coprire dieci distanze di questo tipo, mentre io posso
giungere a qualsiasi distanza immaginabile in un solo e stesso attimo.
15. Ed ecco, questa cosa la posso fare io e qualunque altro spirito
della mia specie, per la ragione che per noi in tutta l’eterna immensità non
esiste assolutamente alcun impedimento immaginabile, per quanto lieve, mentre
alla materia si oppongono, perfino nei liberissimi spazi dell’etere, ogni tipo
di ostacoli e essa non può perciò mai raggiungere la velocità di uno spirito.
Dimmi ora, soavissima figliola di Dio, se hai compreso un po’ queste cose».
Sulla vera
grandezza spirituale.
1. Dice Giara: «Con l’aiuto del Signore io credo che le avrei ben
comprese, ma le tue spiegazioni hanno di nuovo cominciato a darmi le vertigini!
Infatti io mi sono fatta l’assoluta convinzione che uno spirito creato deve
impiegare già un’eternità per conoscere da cima a fondo uno solo di quei
soli-centrali principali quasi infinitamente grandi, dei quali tu hai detto che
il loro numero, nell’immensità eterna degli spazi, è incalcolabile per la mente
umana e di cui ciascuno è la guida o, meglio ancora, il reggente di altri
soli-centrali delle tre classi ed i soli-planetari circolano intorno ad esso in
orbite sterminate e il loro numero è tale che nessuno spirito mortale potrebbe
concepirlo! Dunque, se già uno solo di quegli enormi soli-centrali primordiali
richiede un’eternità per essere visitato da un qualsiasi spirito creato, si
domanda quando questo spirito potrà esaurire il suo compito, se si sarà
proposto di visitare tutti gli altri, il cui numero non si può esprimere!
2. Io però preferisco rimanere strettamente fedele al mio amore, perché
così ragiono: “Un simile Sole è certamente qualcosa di immensamente grande e di
meraviglioso ed è una testimonianza importante ed imponente dell’infinita
sapienza e della potenza eterna del Signore, ma pur esso non può, come invece
posso io, vedere il suo Signore, suo Dio e Creatore, né può, come io posso,
comprenderLo ed amarLo sopra ogni cosa!”. Ora, vedi, questa è, secondo la mia
opinione, una cosa ben più grande dell’essere un Sole, per quanto infinitamente
grande in qualche profondità degli spazi senza confini della Creazione,
profondità che la mente umana non può mai calcolare! E chissà che io non sia
cara al Signore, quanto Gli è caro un simile Sole grandioso!
3. E vedi, o dolcissimo giovinetto, questa nostra Terra, se fosse
trasportata su quel Sole di smisurata grandezza, farebbe probabilmente la
figura di un granellino di polvere appena percettibile. Eppure su di essa ora
posa i Suoi piedi Colui dal Cui più lieve alito dipende l’esistenza di tutti
gli innumerevoli soli-centrali. E perciò credo che dinanzi agli occhi del
Signore non sia precisamente il più grande ciò che, data l’infinità degli spazi
della Creazione, ne occupa pur sempre una porzione appena degna di misura, ma
ciò che è interiormente grande!
4. Che cosa sono io, povera fanciulla, nei riguardi della grandezza
fisica, se mi paragono soltanto a questa piccolissima Terra? Eppure io sento
nel mio petto un’immensità, nella quale c’è una tale profusione di spazio che
ci possono stare tutti i tuoi soli-centrali primordiali, secondari e terziari
con tutti i loro pianeti! Il mio piccolo occhio abbraccia con uno sguardo solo
mille volte mille stelle; sarebbe da vedere se una tale capacità è insita in
tutti i grandi soli! Ho ragione oppure ho torto?»
5. Riprendo allora a parlare Io e dico: «Tu hai perfettamente ragione e
così è realmente. Tu sola vali mille di
quei complessi stellari che riempiono lo spazio infinito della Creazione, però
è sempre buona cosa per l’uomo imparare a conoscere le Mie opere, in modo che
aumenti in lui l’amore per Me, Suo Padre.
6. Ma ora comincia ad albeggiare e dovremmo svegliare i nostri amici!
Però è necessario che non vengano svegliati tutti in una volta e tu non devi
raccontare niente di tutto quello che hai visto a nessuno prima che ti venga
fatto cenno da parte del Mio ed ora anche tuo angelo, perché Io intendo
lasciarlo visibilmente al tuo fianco fino alla tua maturità, certamente sotto
altre vesti. Gli altri angeli però devono ora rendersi di nuovo invisibili.
Così sia!».
7. Nello stesso istante tutti gli angeli scomparvero, eccettuato
quell’uno che si chiamava Raffaele e che apparve vestito così come si usava
allora a Genezaret.
8. E quando Giara ebbe visto Raffaele sotto i nuovi panni, esclamò:
«Oh, così sì che mi piaci più di prima nella tua gloria celeste, perché ora hai
perfettamente l’aspetto di un uomo ed io ti vorrò tanto bene, soltanto resta da
vedere chi nel frattempo assumerà la tua grande mansione nel governo dei
mondi».
9. Risponde allora l’angelo: «Non darti alcun pensiero per questo, o
soavissima figliola di Dio, poiché io posso essere sempre qua, là e
dappertutto, senza che tu abbia a notare affatto la mia assenza, tranne ogni
tanto e solo per alcuni istanti. Del resto tutto rimane com’era prima e perciò
sarò sempre io stesso che mi affretterò il più possibile a ritornare a te,
perché oramai tu mi sei già più cara di tutti i miei innumerevoli soli, dei
quali, data la buona occasione, ci riserviamo di visitarne assieme più di uno
ancora. Ma ora il Signore vuole svegliare dal sonno i fratelli, perciò adesso
dobbiamo fare silenzio!»
10. Dice Giara: «Sì, sì, hai ragione; eccomi zitta, zitta».
I discepoli
vengono destati dal sonno.
1. Dico Io a Raffaele: «Va’ e sveglia per primo il Mio Simon Giuda
(Pietro)!».
2. Raffaele desta Pietro e questi si guarda intorno più volte pieno di
meraviglia, e dopo un po’ dice: «Ma, ho dormito davvero? Ho l’impressione di
essere rimasto sveglio tutta la notte! Eppure devo constatare di aver dormito
assai bene; però ho fatto dei sogni tanto meravigliosi quali non ricordo
assolutamente di averne mai fatti! In verità, o Signore! Questi sogni non
possono essere stati fantasie vane!»
3. Dico Io: «Guardati un po’ intorno! Forse ti cadrà sott’occhio
qualche modifica che si è operata nella montagna, della quale sicuramente avrai
visto qualcosa in sogno!»
4. Pietro guarda subito da tutte le parti ed esclama: «Oh, Signore! È
vero, è vero! Questa cosa l’ho vista in sogno, ed ecco, come mi guardo intorno,
trovo che il mio vivido sogno è diventato perfetta realtà!»
5. Pietro avrebbe voluto parlare ancora, ma Io gli dissi: «Prima che tu
riprenda a parlare, sveglia gli altri discepoli!». E Pietro fece così come gli avevo
detto.
6. I discepoli si levano tutti ed essi pure si meravigliano
accorgendosi soltanto ora di aver dormito, mentre nella loro anima hanno la
sensazione di essere stati completamente desti durante tutta la notte e di aver
assistito ad avvenimenti miracolosi e inauditi.
7. Ma Giuda disse: «Io non riesco ancora a credere di aver dormito! Ho
parlato con te, Simon Giuda, di questo e di quello e tu non eri mai d’accordo
con me e non mi hai detto anche: “Tutti questi miracoli non impediranno che tu
ci tradisca tutti per pochi denari d’argento!”? A questa tua uscita mi sono
infuriato e ho tentato di farti precipitare giù da queste rupi nel mare, se non
che Tommaso mi afferrò e mi respinse gettandomi a terra! Dimmi, fratello
Pietro, tu non sai proprio nulla di questo?»
8. Risponde Pietro: «Neanche una sola parola! Io non ricordo affatto di
essermi sognato di te!».
9. Dico Io: «Guardatevi un po’ intorno se non trovate che qualche parte
di ciò che avete sognato, esiste effettivamente ancora!».
10. I discepoli si portano ai margini della vetta, osservano da tutte
le parti e subito un coro di esclamazioni si leva ad attestare lo stupore
generale suscitato dal nuovo spettacolo e Andrea dice: «In questo breve
periodo, di circa mezzo anno, abbiamo udito e visto tali e tante cose
meravigliose che a stento si dovrebbe ammettere di potersi immaginare qualcosa
d’altro o qualche fatto che fosse ancora più meraviglioso, eppure viene il
momento in cui tutti noi ci sentiamo mancare nuovamente il fiato e ci tocca
restare a bocca aperta e muti! Le visioni dei nostri sogni sono realtà!
11. Io ho visto l’angelo prescelto da Giara, il quale dapprima sollevò
tutta l’acqua del mare, formandone una goccia enorme trattenuta libera
nell’aria e con i miei occhi ho visto ancora il fondo del mare perfettamente
asciutto e la bella conchiglia perlifera che Giara vi raccolse quale ricordo e
mise in serbo nel suo grembiule ed infine ho assistito alla fulminea
trasformazione di questo monte, che, dietro richiesta della soavissima figliola
di Dio, venne reso da tutte le parti facilmente praticabile! Ed ecco, tutto ciò
esiste veramente!
12. Con quali parole e con quali pure azioni dobbiamo noi ora lodare il
nostro Signore e Maestro? Dove si può trovare l’angelo che metta pensieri di
fiamma nei nostri cuori degni di essere espressi al Suo cospetto? Oh, come
appare nullo il nostro essere nei confronti Suoi, del Dio onnipotente ed
eterno!
13. I nostri padri, raccolti ai piedi del Sinai, tremavano mentre Egli,
sulla cima ardente del monte, dettava fra tuoni e fulmini a Mosè le sante leggi
d’amore! E quando Mosè discese dal monte, per il riflesso della Maestà divina,
la sua faccia risplendeva più del Sole a mezzogiorno ed egli dovette ricoprirsi
con un triplice velo la faccia, perché il popolo potesse avvicinarglisi. Per
lungo tempo ancora, poi, i veggenti consacrati del Signore profetizzarono
ricoprendosi per breve tempo solo il capo con il velo di Mosè, dopo un adeguato
periodo di preparazione, e ancora oggi non ci stupiamo della loro elevata sapienza.
E ora Egli stesso è qui, Colui che si manifestò sul Sinai fra i tuoni! Il monte
allora divenne rovente sotto i Suoi passi, mentre noi restiamo qui, dinanzi a
Lui, l’Onnipotente, freddi, come una triste notte d’inverno! Oh, affrettiamoci
dunque ad andare d a Lui, perché Egli solo è santo, santissimo! A Lui solo
spettano ogni onore e gloria e tutto l’amore e l’adorazione!».
14. A questo discorso di Andrea, tutti i discepoli, ad eccezione di
Giuda, che definiva Andrea uno stravagante esaltato, si sentirono pervasi da un
infiammato zelo d’amore, si precipitarono verso di Me ed intonarono un
entusiastico “Osanna” che fu come un saluto mattutino rivolto a Me.
1. Il canto e gli inni ebbero come effetto di ridestare anche tutti gli
altri dormenti, i quali si associarono subito anch’essi ai discepoli ed Io
lasciai che tutti dessero libero corso all’entusiasmo che traboccava loro dal
cuore e Giara, gettatasi ai Miei piedi, li abbracciò fortemente e vi pianse
sopra tutte le sue lacrime di intensissima gioia e beatitudine! E quando essa
ebbe pianto di felicità ai Miei piedi per circa mezz’ora ed i discepoli furono
giunti al termine del loro saluto, la fanciulla si levò ed esclamò, con accento
molto espressivo: «O Terra, quando, quando mai si rinnoverà per te la gioia di
venire calcata da questi piedi? O madre muta del vizio, senti tu bene chi è
Colui che si lascia portare da te?
No, no! Tu non lo senti, tu non lo puoi sentire, perché tu sei troppo
morta e troppo piccola! Come potresti capire Quello che è troppo grande e santo
oltre ogni pensiero per lo spazio infinito e per le innumerevoli miriadi di
esseri che ci vivono? Dove debbo cominciare e dove finire, per cantare la Sua
gloria in una goccia di rugiada soltanto? Infatti Egli è Dio dalle eternità, il
quale ha creato la goccia di rugiada brillante nella sua piccolezza, come ha
creato quei mondi sfolgoranti di luce nella loro immensità sconfinata! O
Signore, Dio mio, annientami, perché il mio cuore più non sopporta l’ardente
fiamma del mio amore per Te!
2. Quando ancora non conoscevo la Tua gloria, io Ti amavo come si può
amare un uomo perfettissimo; intuivo sì in Te il purissimo Spirito di Dio e il
mio cuore ardeva di indicibile amore per questo Spirito santissimo in Te, ma
credevo tuttavia che Tu fossi un figlio dell’Altissimo! Ma ora tutto assume un
aspetto differente! Tu stesso sei l’Altissimo! All’infuori di Te non vi è
altro! Oh, perdona a me, povero verme della polvere, di aver osato, nella mia
innata cecità, di amarTi come Uomo!»
3. Dico Io: «Oh, bambina Mia! Nel tuo caso non c’è niente da perdonare,
anzi, tieniti ben stretta al tuo amore, perché ora Io lo dico a tutti: “Chi non
Mi ama come Mi hai amato tu, dilettissima Giara, e come tuttora Mi ami, il suo
amore sarà considerato da Me come non esistente!”.
4. Chi non ama Dio come l’uomo più perfetto, costui ancora meno può
amare il suo prossimo, che è un uomo quanto mai ancora imperfetto! Ma se sta
scritto che Dio ha creato l’uomo a Sua immagine, che cos’altro può essere
dunque Dio – considerato che l’uomo è la Sua immagine – se non appunto
anch’Egli un Uomo, però certamente perfettissimo? O forse ho Io adesso un altro
aspetto che non sia di uomo, soltanto perché tu, figlioletta Mia, hai potuto
ammirare due piccolissime gocce della Mia gloria?»
5. Dice Giara: «Oh, no, Tu sei sempre uguale e nel mio cuore non c’è
niente di cambiato! Anzi, se volessi seguire l’impulso del mio amore, vorrei
piuttosto racchiuderTi tutto nel mio cuore, vorrei poterTi tenere abbracciato
con tanta forza da spezzarmi le vene, per non lasciarTi sfuggire mai più e
vorrei coprire di innumerevoli baci la Tua faccia e mai più cessare dal
baciarla! Insomma, non posso affatto esprimere tutto quello che vorrei fare per
il solo amore che sento per Te! Ma ora mi trovo di fronte all’Essere divino
santissimo e supremo, e perciò in cuor mio sento che sono troppo indegna di
amarTi, così come se Tu fossi solamente un uomo, ma, nonostante ciò, per quanto
voglia o possa pensare, il mio cuore non ne prende nota alcuna, e Ti ama ora
con un fervore maggiore di prima!»
6. Dico Io: «E così va bene! Lascia pure che la tua anima segua sempre
il puro impulso del cuore e che vi susciti dentro una potente fiamma chiarissima,
così tutta l’anima sarà ben presto inondata di luce e lo Spirito di Dio sorgerà
in essa come un Sole e nella sua luce e nel suo calore vitale il seme di Dio
germoglierà e donerà all’anima i frutti della vita per l’eternità!
7. Ma lo Spirito di Dio nell’uomo non può venire destato se non per
mezzo dell’amore per Dio e, tramite questo amore, per mezzo dell’amore per il
prossimo.
8. Resta costantemente e sempre più stretta al tuo amore, perché questo
ha per Me, come anche per te, un valore molto maggiore di tutte le magnificenze
e di tutti gli splendori che l’occhio tuo ha contemplato!
9. Ma adesso vogliamo sentire anche gli altri e farci narrare le
impressioni che questa notte ha prodotto su di loro».
1. Il comandante comincia con tutte le precauzioni possibili, a levarsi
da terra e dice: «Signore e Maestro! Anzitutto siano resi a Te i miei ringraziamenti
per il fatto di trovarmi ancora vivo qui a questa altezza! Con che facilità
avrei potuto, voltandomi solo tre volte con il corpo, precipitare giù
nell’abisso ed allora sarebbe stata una volta per sempre finita per la mia
povera vita a questo mondo, ma, invece, vivo ancora e precisamente nello stesso
posto dove ieri ho preso sonno, di ciò devo essere grato a Te soltanto ed io
anche Ti ringrazio dal profondo del mio cuore. Però nello stesso tempo io Ti
prego caldamente di concedere a me ed a tutti gli altri di poter scendere giù a
Genezaret, da queste paurose altitudini sani e salvi. Quanto prima sarà tanto
meglio, perché fino a tanto che il mio animo sarà tormentato dal pensiero del
ritorno, non vedo per me la possibilità di stare sereno!»
2. Gli dico Io: «Mio caro amico, non ti sei sognato proprio niente
questa notte?»
3. Dice il comandante: «Sì, sì, hai ragione! Quasi, quasi dalla paura
dimenticavo il mio bellissimo sogno! Ehm, sì, se questo monte fosse così come
l’ho visto ieri in sogno, sarebbe certamente una gioia salirci mille volte
ancora, ma un sogno resta sempre un sogno!»
4. Dice Ebal, che gli sta accanto: «Oh, niente affatto, amico mio! Io
ti dico questa volta che noi tutti abbiamo sognato nella stessa maniera e che
questo sogno ha forma e consistenza reali! Alzati e vai sull’orlo della vetta e
ti persuaderai che il nostro monte, perfino dalla parte del mare, è provveduto
di un dolce declivio ed è oramai accessibile senza alcun pericolo da ogni
parte, tanto in salita che in discesa! Io ho già constatato tutto di persona,
ne sono convinto e quello che ti dico è la pura verità! Vieni e vedi tu
stesso!»
5. Dice il comandante: «Che non sia forse un’illusione dei tuoi occhi?»
6. Risponde Ebal: «Se io, le mie mogli ed i miei figli abbiamo già
posato i nostri piedi su questa illusione della vista in tutti i suoi punti, è
ben vero che l’illusione stessa deve avere il suo buon fondamento! Alzati,
vieni e persuaditi tu stesso di ogni cosa!»
7. A queste parole il comandante finalmente si alza, si guarda intorno
da tutte le parti e trova in primo luogo che la vetta del monte si è molto
ampliata e dice poi: «Sì, è vero! Devo constatare sul serio che durante la
notte sono avvenuti, in maniera miracolosissima, dei grandi cambiamenti, però
va’ tu per primo sul nuovo terreno, affinché possa veramente convincermi che è
veramente solido!»
8. Esclama Ebal: «Oh, amico mio, per quanto riguarda il resto, tu sei
una persona quanto mai rispettabile, ma questa tua eterna mania del dubbio mi
ripugna! Ma come, la mia parola non ha proprio più nessun valore per te? Quando
mai hai inteso da me qualcosa che non fosse vera così da giustificare il tuo
non voler credermi sulla parola? Vieni dunque, esamina tu stesso e poi liberati
da tutti questi dubbi per sempre!»
9. Dice il comandante: «Amico mio, è vero, hai ragione tu! Ora voglio
convincermene da me stesso»
10. Allora il comandante si decide a muoversi, si avvicina con passo
prudente all’orlo del versante che dà su Genezaret e, quando si accorge del
leggero pendio del monte, resta sbalordito e dice: «Oh, oh, sì, è vero! Tutta
la montagna è stata trasformata! Quando ieri guardavo da quassù verso
Genezaret, la città mi pareva così vicina da poterla raggiungere con un lancio
di pietra, mentre ora è distante buoni cento tratti di campo e ne avremo per
circa sei ore, prima di raggiungere la nostra cara cittadella!
11. No, davvero! Colui che può ancora dubitare che questo nostro Gesù
sia Dio e Uomo nello stesso tempo, non può più essere aiutato da nessun Dio al
mondo! Sì, fratello mio Ebal, tu hai avuto ragione a dire prima che il mio
continuo dubitare era ripugnante, perché in effetti lo era, ma ora ogni dubbio
è svanito in me ed io credo e sono pronto a professare dinanzi a tutti voi,
sotto giuramento, che il nostro Maestro e Salvatore Gesù è assolutamente un Dio
e che fuori di Lui non può esservene un altro in eterno, perché, se quello che
io ho sognato è vero, sarà vero anche tutto il resto! Ed Egli è qui, l’Unico
Dio e Signore in tutta l’infinità!
12. Ma ora andiamocene da Giara; bisogna che essa mi mostri i suoi due
ricordi, perché, dopo che uno spirito celeste ebbe sollevato fino all’ultima
goccia tutta l’acqua, io la vidi raccogliere sul fondo del mare una magnifica
conchiglia perlifera che poi mise nella tasca del suo grembiule ed ho inoltre
visto anche la pietra lucente che essa ha portato con sé da un mondo solare sul
quale lo spirito celeste l’aveva trasportata. Se i due oggetti in questione
effettivamente esistono per i nostri sensi, come esiste questa montagna
trasformata, allora di prove ne abbiamo più di quante ce ne occorrono!».
1. Dopo ciò il comandante ed Ebal vanno da Giara e la pregano di mostrare
loro i due oggetti che essa tiene per ricordo!
2. E la buona Giara mette subito la mano nell’ampia tasca del suo
grembiule, va loro incontro e dice: «Ecco, mio caro Giulio, guarda qui,
visibili e palpabili, entrambi i ricordi della scorsa notte! Credi adesso e ti
libererai una buona volta della tua eterna paura?»
3. Dice il comandante: «Oh, mia carissima e dolcissima Giara! La mia
fede è ormai più salda di questa montagna ed anche il mio fastidioso timore,
con l’aiuto del Signore onnipotente, se ne è andato per sempre; puoi esserne
più che certa! Ma, come vedo, i tuoi due ricordi sono anche dal punto di vista
terreno di un valore inestimabile; la conchiglia con il suo contenuto vale di
per sé sola tutta Gerusalemme, perché essa racchiude ventiquattro perle della
grandezza di un piccolo uovo di gallina, delle quali ciascuna deve valere
centomila libbre d’oro. Per quanto poi riguarda il valore da attribuire alla
bellissima pietra di estrema durezza, trasparente e splendente più della stella
mattutina, non c’è veramente sulla Terra nessuna misura. Insomma, ora tu sei
non solo spiritualmente, ma anche materialmente la fanciulla più ricca di
questo mondo! Davvero! Tu sei ora più ricca di tutti i re e di tutti gli
imperatori della Terra presi assieme! Che impressione ti fa questo pensiero?»
4. Risponde Giara con tutta modestia: «A me fa la stessa impressione
come se non avessi niente e questi due oggetti non hanno per me altro valore se
non quello per il quale io li ho presi, cioè un ricordo delle opere indicibilmente
meravigliose di Dio a beneficio di noi, poveri e deboli abitanti della città e
dintorni di Genezaret, che siamo macchiati dal peccato.
5. Il Signore non resterà sempre corporalmente fra noi, come Egli mi ha
già detto ben chiaramente ieri, ma questi muti testimoni susciteranno sempre
nei nostri cuori il ricordo vivente di Lui ed infonderanno sempre nuovo ardore
alla fiamma del nostro amore per Lui! Questa è la mia opinione.
6. Però il Signore ha voluto lasciarmi ancora un ricordo di questa meravigliosa
notte, che veramente è stata per me il giorno più radioso della mia vita!
Questo ricordo resterà frattanto pure visibilmente presso di me, più tardi
diverrà invisibile, fino a che, dopo un certo tempo, se io me ne sarò mantenuta
degna, esso ritornerà in forma visibile presso di me»
7. Chiede allora suo padre Ebal: «Ebbene, dov’è questo ricordo? Non ce
lo vuoi far vedere?»
8. Dice Giara, vicino alla quale se ne stava l’angelo Raffaele: «Egli è
qui presso di me, se tu non hai niente in contrario!»
9. Ebal osserva attentamente l’angelo dal capo alla pianta dei piedi e
poi dice: «Oh, certo, questo è un ricordo ancora più prezioso! Ma io temo che
fin troppo presto tu ti sia innamorata perdutamente di questo giovinetto di una
bellezza mai vista ancora e quando egli diverrà invisibile per te, come potrai
consolartene e cosa sarà di te, sola con la tua tristezza?»
10. Dice Giara: «Oh, non darti alcun pensiero di ciò! Quando qualcuno
ama Dio così come io Lo amo, per lui tutte le bellezze dei Cieli sono come non
ci fossero affatto! Però anche il giovinetto mi è assai caro, perché è molto
saggio e straordinariamente forte e potentemente veloce!»
11. Domanda il comandante: «Da dove è venuto? Io non posso davvero
ricordarmi di averlo mai visto a Genezaret, eppure egli è vestito perfettamente
secondo la foggia di quella località! I suoi lineamenti purissimi sono di una
soavità meravigliosa e da tutto il suo essere emanano una grazia e un fascino
che conquista! Guardate i suoi piedi, come sono delicati e squisiti nella
forma!
12. I calzoni che gli giungono fino al ginocchio, la camicetta di un
bianco abbagliante e la mantellina a pieghe, di stoffa azzurra, gettata
negligentemente sulle spalle gli stanno così bene che davvero non si potrebbe
immaginare qualcosa di più grazioso. Il cappellino rotondo, poi, posato sul
capo, accresce maggiormente l’incanto del suo viso meravigliosamente bello! In
verità a questo delizioso giovinetto io non saprei rifiutare niente ed egli
potrebbe togliermi impunito anche un regno, purché egli solo mi amasse!
13. Ah! Quanto più io contemplo questa creatura tanto bella e tanto più
attraente essa mi appare. I suoi genitori devono davvero ritenersi felici di
avere un simile figlio e tu, mia carissima Giara, puoi a tua volta chiamarti davvero
felicissima per un dono di questo tipo! Se fosse possibile a questo mondo
trovare ancora un giovane come questo, in verità io darei tutti i miei tesori e
tutti i miei beni, pur di averlo vicino!
14. Ma cosa farai tu ora con questo graziosissimo giovinetto? Anche tu,
non c’è dubbio, sei una fanciulla cara e leggiadra quanto mai, però il giovane
ti supera tuttavia, e di molto, in bellezza. Tu stai adesso per entrare nel tuo
tredicesimo anno, ed il giovane ne avrà, mettiamo, sedici. Se egli è destinato
a diventare tuo sposo, ebbene, allora non ci trovo più niente da ridire, ma se
egli resta con te soltanto come compagno ed amico c’è da temere che il tuo
cuoricino facilmente infiammabile venga ben presto a trovarsi in qualche grave
imbarazzo! Però, comunque stiano le cose, vorrai pur dirci che cosa sarà egli
per te!»
15. Risponde Giara: «Voi parlate secondo il vostro intendimento, perché
non conoscete le cose dello spirito. Questo giovinetto sarà fino al mio
sedicesimo anno il mio protettore e la mia guida, ed ammaestrerà me, nonché voi
pure se vorrete ascoltarlo, nella sapienza dei Cieli di Dio!»
16. Dice il comandante: «Ma dopo il tuo sedicesimo anno, egli diverrà
senza dubbio il tuo sposo!»
17. Dice Giara: «Oh, mio caro Giulio! Questa è di nuovo, da parte tua,
una domanda per la quale io di certo non posso farti i miei complimenti! Non ho
già detto subito, dall’inizio, che questo giovinetto, dopo il mio sedicesimo
anno, mi abbandonerà per un certo tempo, secondo quanto il Signore ha
stabilito, ciò che, però, non avrà nei miei riguardi un grave significato,
perché il mio cuore appartiene interamente al Signore, il Quale mi resta per
sempre! Ma se il mio cuore è ormai proprietà di Dio, non può perciò diventare
anche proprietà di un altro!»
18. Osserva Ebal: «Eh sì, mia carissima figliola, qui hai certamente
ragione tu, ma non devi dimenticare che il tuo tempo non è ancora venuto;
allora dovrai sostenere una dura lotta con la tua carne. Beata te se sarai
capace di dominarla!»
19. Aggiunge il comandante: «Sì, sì, tuo padre ha ragione! Tu sei
adesso ancora una bambina e già il tuo cuoricino arde talvolta così da fare
invidia ad una fornace di calce. Esso ora ha ottenuto certamente il massimo di
quanto poteva chiedere, per cui non aspira, con la sua brama, a mete inferiori,
ma quando questo massimo, a scopo della necessaria prova della tua fermezza, si
ritirerà dal tuo cuore, allora questo comincerà a tendere avidamente le sue
braccia lunghe verso altri oggetti per potersi saziare, poiché, per quanto
dolorosa sia la fame dello stomaco, quella amorosa del cuore è tuttavia mille
volte più dolorosa!
20. Supponiamo che ci sia un generale che tiranneggi senza pietà i suoi
subordinati; questi si troveranno tutti ridotti alla disperazione e, quando
saranno chiamati a combattere per lui, essi preferiranno arrendersi al nemico,
per liberarsi con ciò dal loro spietato tiranno. Ma se un saggio generale
mostra di aver cura dei suoi subordinati e di amarli come un padre ama i propri
figlioli, allora qualunque nemico potrà venire ed essi gli si lanceranno contro
come leoni e con assoluta dedizione si batteranno fino all’ultima goccia di
sangue per il loro amato signore, e il nemico verrà anche annientato!
21. Oh, mia carissima Giara, l’amore è un elemento di una potenza grandiosa
e vi è sempre necessità di una guida molto saggia per evitare che finisca poi
con il divorare se stesso!»
22. Dice Giara, dopo qualche istante di meditazione: «Sì, è possibile
che tu non abbia del tutto torto, però bisogna pur ammettere, trattandosi del
Signore, che Egli non vorrà comportarsi da tiranno verso un cuore che Lo ama
sopra ogni cosa!»
23. Dice Giulio: «Non dico questo, però mi ritorna in mente quello che
Egli ti ha detto la notte passata. Egli è e resta il Dio, al Quale lo spirito
umano può certamente avvicinarsi soltanto quando, tramite le forze di cui è
stato dotato, esso è arrivato da se stesso a formarsi, a rafforzarsi ed a
consolidarsi. Durante questo periodo di autoformazione ogni attenzione di Dio
viene distolta da esso! Ma se è così, durante tutto questo tempo Dio
necessariamente diventa un tiranno dagli occhi bendati e dagli orecchi
solidamente chiusi! E quando verrà per te un tale periodo, da Lui stesso
preconizzato, allora, mia cara Giara, ne parleremo nuovamente!»
24. Dice Giara: «Io ho piena fiducia e credo fermamente che Egli
neanche allora mi abbandonerà proprio del tutto!»
25. Osserva il comandante: «Oh, è probabile che Egli non farà questo,
tanto più in quanto tu hai già molti vantaggi rispetto a noi, ma, considerato
il tuo grande amore per Lui, anche il minimo e più breve abbandono diverrà un
grave fardello di passione per te! Ora però andiamocene da Lui, perché mi
sembra che Egli intenda intraprendere qualcosa!».
La
comunicazione dei fedeli con il Signore nel cuore.
1. Allora i tre se ne vengono a Me e domandano: «Signore! Cosa si farà
adesso? A noi pare che Tu abbia qualche nuovo progetto!»
2. Dico Io: «Non vedete i primi bagliori che annunciano il nuovo giorno!?
Fate attenzione voi tutti, perché vi sarà dato di contemplare una fulgidissima
aurora! Si tratta bensì solamente del Sole naturale che sta per levarsi, ma
l’aurora ha tuttavia un profondo significato spirituale che è bene vi venga
chiarito, perché qui è un’aurora che viene incontro ad un’altra aurora»
3. Chiede Pietro: «Signore! Come dobbiamo intendere questo?»
4. Dico Io: «Oh, fino a quando dovrò sopportarvi così! Noi siamo già da
parecchio tempo assieme, eppure non ti accorgi ancora che per le vostre anime,
per mezzo Mio, va di giorno in giorno sempre più sorgendo un Sole dai Cieli?»
5. Dice Pietro: «Signore, non esserne sdegnato! Tu sai che noi siamo
degli uomini semplici, i quali, oltre alle indispensabili nozioni di lettura e
un po’ di scrittura, non siamo mai andati oltre! Se Ti avessimo compreso,
questa domanda sarebbe stata da rimproverare come una spavalderia. Ma non
abbiamo compreso quello che hai detto e perciò te ne abbiamo chiesto la
spiegazione!»
6. Dico Io: «Quando non si sa, è buona e giusta cosa che Mi si
interpelli nel silenzio del proprio cuore, ma se questo si sa, allora non è un
errore la domanda in se stessa, ma lo sconsiderato modo di domandare, e
soltanto questo Io ho voluto rimproverare in voi. Guardate là quanto si
meravigliano i due esseni ed i pochi farisei del fatto che voi abbiate potuto
domandarMi ad alta voce una cosa, mentre voi, che siete i loro maestri, dovete
ben sapere che a ciascuno che chiede Io posso mettere silenziosamente nel cuore
una esauriente risposta!
7. Certo nel vostro caso la colpa non è da attribuirsi né a
inesperienza né a caparbietà, bensì alla vostra antica abitudine; dunque,
vedete per l’avvenire di raccogliervi maggiormente, affinché gli uomini possano
riconoscere che voi siete veramente i Miei discepoli ed affinché, dinanzi al
mondo, non perdiate quella stima che prima di ogni cosa vi è necessaria per la
vostra nuova missione.
8. Ed ora andate dai vostri discepoli e spiegate loro l’accaduto,
altrimenti essi cominceranno a domandarvi riguardo al cosa ed al perché voi Mi
avete interpellato ad alta voce»
9. Dice Pietro: «Signore, allora noi non dobbiamo scambiare con Te una
parola ad alta voce?»
10. Ed Io: «Oh sì, però ogni cosa al tempo opportuno e quando Io ve ne
faccio cenno. Ma ora andate e fate così come Io vi ho ordinato di fare!»
11. A queste Mie parole i discepoli si avvicinano ai due esseni ed ai
farisei e dicono loro: «Non vi meravigli se noi talvolta chiediamo ancora ad
alta voce l’una o l’altra cosa al Signore, perché anche noi non siamo tuttora
che uomini e ricadiamo, di quando in quando, nelle nostre abitudini antiche!»
12. Ed i due esseni dicono: «Noi ce lo siamo già immaginati, perché,
secondo le nostre dottrine, abbiamo interrogato nei nostri cuori il Signore
riguardo allo stesso argomento e nello stesso istante percepimmo una risposta
chiarissima pure nel nostro cuore. E perciò ci è sembrato appunto strano che
voi abbiate fatto la vostra domanda ad alta voce. Ma ci è venuta subito l’idea
che una cosa simile, trattandosi di voi, possa accadere la maggior parte delle
volte unicamente in seguito ad un’antica consuetudine e così non abbiamo fatto tanto caso alla cosa, soprattutto perché questa notte abbiamo fatto dei sogni
talmente straordinari che non possiamo ricordarci di averne avuti mai di simili
e quello che è più strano ancora è che ciascuno di noi ha fatto sogni
assolutamente identici e tutto ciò che abbiamo visto in questi meravigliosi
sogni, lo troviamo in pieno giorno convertito in realtà! No, davvero, un fatto
simile non si è verificato mai ancora!
13. Ed ora noi crediamo fermamente che questo Nazareno è molto di più
un uomo semplice e perfettissimo. Per quanto riguarda il corpo, Egli è bensì un
uomo come noi, ma nelle Sue viscere e nel Suo cuore dimora tutta la pienezza della
forza e potenza divine, alle quali obbedisce tutto l’Universo! Adesso, però,
secondo la Sua Parola, facciamo attenzione al sorgere del Sole, perché certo
assisteremo ad altre meraviglie!»
14. Dice Pietro: «Se proprio si vedranno delle particolari meraviglie,
è difficile da dire; ad ogni modo, come ci annunciano già ora le nuvolette dai
margini rosei all’orizzonte, assisteremo da questa altezza al più bello fra gli
spettacoli della Creazione di Dio e potremo trarne l’insegnamento di come una
simile aurora sia venuta ad allietare ora e per l’eternità le nostre anime!»
15. Dice uno degli esseni: «Sì, certo, un’aurora, ma non per noi
soltanto, bensì per tutta la Terra, anzi, per tutta l’immensità, perché ci sembra
che il rivelarsi del supremo Spirito di Dio sotto forma umana debba valere non
soltanto per questa Terra e per le sue creature, ma anche per tutto l’Universo!
16. Che lo Spirito di Dio abbia scelto particolarmente questa Terra
come teatro dei propri prodigi, è certo una cosa inesplicabile per il nostro
intendimento, in quanto, come ormai sappiamo, Egli ha innumerevoli miliardi di
immensi mondi sfolgoranti, sui quali avrebbe potuto compiere la propria
incarnazione sotto forma umana. Però Egli sicuramente saprà meglio di qualsiasi
altro il perché abbia scelto precisamente questa Terra!
17. Prima di oggi, quando ancora supponevamo che questa Terra fosse
l’unico mondo in tutto l’Universo, la cosa sarebbe stata sufficientemente
comprensibile, perché in questo caso, dato l’andamento e lo stato naturale
delle cose, non sarebbe rimasta altra possibilità. Secondo il vecchio concetto
questa Terra era l’unico grande e sconfinato mondo, le cui acque si
congiungevano con quelle del cielo e credevano che il Sole, la Luna e le stelle
non avessero altra funzione tranne quella di illuminare il mondo con la loro
luce! Ma ora tutto di un tratto la cosa si presenta sotto un altro aspetto,
dato che noi ora sappiamo cosa sono le stelle, la Luna e il Sole e sappiamo
anche quant’è piccola la nostra Terra se paragonata al Sole.
18. Tutt’al più dunque sarebbe ormai legittima la domanda: “Come ha
potuto questo granellino di sabbia, chiamato Terra, venir reputato degno di
tanta grazia?”. In verità questa domanda assumerà un giorno un’importanza
grandissima e per molti diverrà motivo di grande scandalo! Di conseguenza,
secondo il nostro parere, non sarebbe del tutto superfluo avere, anche riguardo
a questo punto, un chiarimento sufficiente! Cosa pensate voi? È opportuno
domandarlo a Lui?»
19. Dice Pietro: «Provate a chiederlo nel vostro cuore! Se viene una
risposta, sarà certo la benvenuta, ma se la risposta non viene, sarà questo un
segno che noi non siamo abbastanza maturi ancora per una simile rivelazione. Ma
intanto osservate; il Sole è molto vicino a sorgere, perché le nuvolette del
mattino sono già tanto splendenti che si può a mala pena fissarle con
l’occhio!»
20. Dice l’esseno: «Sì, davvero! Oh, questo è uno spettacolo
indescrivibilmente bello! Ma non vedete voi là, al di sopra delle nuvole? C’è
qualcosa che si muove? Parrebbe quasi come se sopra le nuvole ci fossero delle
stelle di singolare splendore, guizzanti di qua e di là! Che cosa potrà mai
essere?»
21. Dice Pietro: «Cosa sia veramente, lo saprà soltanto il Signore. Noi
pescatori, però, chiamiamo questo fenomeno, che non è proprio tanto raro, i
“pesciolini dell’alba”. Quando questi si mostrano, allora la pesca è
favorevole, però verso sera si scatena certamente una burrasca, oppure un forte
vento. Quantunque debba ammettere sul serio di non aver io stesso mai visto
simili pesciolini così splendenti e vivaci, tuttavia questo fenomeno non mi è
nuovo, soltanto che forse a questa altezza esso si vede meglio che non giù in
pianura!»
22. Dice l’esseno: «Sapete cosa possiamo fare? Avviciniamoci al
Signore! Vedo che Egli sta parlando con Ebal ed i suoi figli. Certo vi saranno
delle altre rivelazioni che noi non dobbiamo mancare di ascoltare!».
Osservazioni
naturali e la loro rispondenza spirituale
1. A tale proposta dell’esseno tutti si fanno più vicini a Me ed Io
chiamo i due esseni e dico loro di prestare molta attenzione a tutto quello che
si manifesterà durante il sorgere del Sole, perché ci saranno da trarre molti
insegnamenti!
2. I due esseni si avvicinano a Me e dicono: «Signore e Maestro! Sarà
certo una verità eterna che da tutto ciò si potrebbero imparare infinite cose!
Ma sarà la nostra anima capace di intendere una così alta dottrina? Gli avidi
occhi nostri tentano di penetrare le profondità raggianti delle Tue creazioni
meravigliose e il nostro animo ne rimane stupefatto! Ma noi siamo troppo ciechi
per contemplare già degnamente e per comprendere i miracoli di una goccia di
rugiada, per non parlare di quelli dei mondi luminosi che, immensi per
grandezza e ad incommensurabili distanze, sorgono e tramontano dinanzi a noi
sul firmamento! Noi abbiamo già parlato con il discepolo Pietro, anche riguardo
a quei punti luminosi guizzanti al di sopra delle nuvolette, ma egli non ha
saputo darcene una spiegazione sufficiente. Qualora piacesse a Te, o Signore,
noi saremmo lietissimi di avere un qualche Tuo cenno in proposito!».
3. Dico Io: «La cosa ha un significato ben piccolo ed è un fenomeno del
tutto naturale, come quello del mare quando è mosso. Se il mare è increspato e
tu ti trovi in qualche punto appropriato, dove colpiscono i raggi riflessi del
Sole, assisterai anche là ad un simile gioco di luci.
4. L’aria, che è necessaria per la respirazione degli uomini e degli
animali, non arriva affatto fino alle stelle, ma, allo stato massimo, giunge
dalla superficie terrestre solamente alla quadruplice altezza di questa
montagna misurata dalla superficie del mare; a questa altezza l’aria terrestre
ha poi un netto e preciso confine, così come esso esiste fra l’acqua e l’aria
ed ha come l’acqua una superficie quanto mai risplendente e liscia, la quale,
similmente a quella del mare, si trova in uno stato di continuo ondeggiamento.
5. Ora, quando la luce del Sole viene a cadere su queste onde
atmosferiche, essa viene riflessa come sulla superficie dell’acqua, se questo
ondeggiare di un mare d’aria è molto forte, la luce che vi cade viene di quando
in quando riflessa anche sulla superficie terrestre e questo succede più facilmente
quando il Sole si trova apparentemente ancora sotto l’orizzonte, quando cioè i
suoi raggi colpiscono la superficie del mare d’aria, per così dire, dal basso
all’alto. E così queste luci, guizzanti allegramente qua e là, non sono altro
che prodotti della luce solare riflessa, mentre la loro mobilità deriva dalla
mobilità delle onde d’aria stesse.
6. Il fatto però che ora, essendo il Sole a mala pena, in apparenza,
una spanna ancora sotto l’orizzonte, le dette luci si mostrano particolarmente
sopra le nuvolette molto leggere, si spiega con ciò che le onde dell’aria sono
in questo momento colpite piuttosto dai raggi che mandano loro le nuvolette già
fortemente illuminate dal Sole, così che in certo qual modo sembrano quasi
trastullarsi con le nuvole stesse. Ecco, questa è la spiegazione naturale di un
tale fenomeno.
7. Ma oltre a tutto ciò questo fenomeno ha pure un significato
spirituale, accessibile al vostro intelletto e questo sarebbe il seguente:
8. Immaginatevi e rappresentatevi dunque mentalmente il Sole
spirituale! La luce che da esso irradia, viene accolta dalla superficie sempre
ondeggiante del creato mare della vita e questo va scherzando con la luce, in
modo che da questo gioco risultano poi delle immagini strane e contorte, le
quali rimandano bensì ancora un pallido chiarore, ma nel contempo annientano
ogni traccia della forma primordiale divina, così tutto il paganesimo ed ora
anche il giudaismo corrispondono ad un simile annientamento di quanto è
puramente divino.
9. Quando invece scorgete una superficie d’acqua perfettamente
tranquilla, e il Sole vi si specchia dentro, esso rifletterà la sua immagine
con quella stessa maestà e verità come voi lo vedete in cielo. Ed appunto una
cosa simile avviene nell’uomo, al quale, affinché l’immagine di Dio si rifletta
nel suo spirito con quella purezza e verità come fa il Sole su di una
superficie d’acqua tranquilla, si richiede un animo in pace e privo di
passioni, il che può essere raggiunto soltanto tramite una totale abnegazione,
umiltà, pazienza e purissimo amore.
10. Quando questo caso si avvera nell’uomo, allora tutto in lui rientra
nel piano della verità e la sua anima è in tale stato capace di approfondire lo
sguardo entro le creazioni di Dio e di vedere tutto nella pienezza della verità
più pura. Ma non appena l’ondeggiare riprende in lui, le immagini primordiali
vengono distrutte e l’anima si trova allora necessariamente già sul piano
dell’inganno e delle illusioni d’ogni specie e qualità e non può giungere alla
visione pura finché in lei non sia ristabilita l’assoluta pace in Dio.
11. Questo è il vero riposo del sabato in Dio ed è perciò anche che la
celebrazione del sabato è stata da Dio comandata. In tale giorno l’uomo deve
astenersi da ogni lavoro pesante e faticoso, perché ogni lavoro pesante obbliga
l’anima a mettere le proprie forze a disposizione della carne, cosicché tanto
essa quanto la carne vengono a trovarsi in uno stato di eccitazione, ma questo
poi si traduce nell’anima in un possente ondeggiamento dello specchio della
propria acqua vitale e la conseguenza è che essa non può più riconoscere con
tutta chiarezza in sé la verità puramente divina.
12. Il vero riposo del sabato consiste dunque in una ragionevole
astensione da qualsiasi lavoro pesante, al quale senza necessità non si debba
porre mano; però, in caso di bisogno, ogni uomo è tenuto a soccorrere il
proprio fratello!
13. Ma più che astenersi da ogni forma di lavoro pesante, ciascuna
anima deve allontanare ogni passione da sé, poiché le passioni sono tempeste
dell’anima; esse ne sconvolgono l’acqua vitale ed allora l’immagine di Dio
nell’anima viene così deturpata come accade all’immagine del Sole sulle onde
del mare in tempesta. L’immagine del Sole si riflette dalle onde, ma com’è
deformata! E se la tempesta dura a lungo, dal mare in tumulto cominciano a
salire ben presto pesanti vapori che riempiono di fosche nubi l’aria celestiale
dell’anima. Queste sbarrano poi il passo ai raggi del Sole spirituale, che non
possono più specchiarsi sul piano delle acque vitali dell’anima e l’anima
stessa diviene tenebrosa, non può più distinguere il vero dal falso e considera
luce celeste l’opera ingannatrice dell’inferno.
14. In tale stato l’anima può dirsi perduta, a meno che non vengano dei
forti venti, cioè delle dure prove dall’Alto, grazie alle quali il denso velo
delle nuvole maligne dell’anima sia lacerato e l’anima stessa si abbandoni alla
vera pace del sabato, riconducendo così la tranquillità sul mare della propria
vita, altrimenti per lei non c’è salvezza!
15. Ecco, questo è il significato spirituale che vale per tutti e che
risponde a quest’alba radiosa nella sua apparizione perfettamente naturale! Chi
in sé considererà praticamente questo significato, costui rimarrà nella verità
e nella piena luce e la vita eterna sarà il suo retaggio, ma colui, invece, che
non osserverà questa dottrina e non la considererà, costui sarà nella morte in
eterno!».
Osservazione
dell’alba e dei fenomeni mattutini.
1. Ed ora fate bene attenzione! Il Sole comincia appunto a mostrare il
suo disco, o meglio, la parte più occidentale della sua superficie sferica
sull’orizzonte; che cosa osservate ora?
2. Dicono gli esseni: «Veramente niente altro all’infuori della sua
superficie luminosa, che va salendo abbastanza rapidamente dalle chiare
profondità; il gioco dei pesciolini lucenti è svanito improvvisamente, le
nuvolette divengono sempre più tenui e vanno perdendosi l’una dopo l’altra.
Ecco che ormai già tutto il disco emerge sull’orizzonte e dalla parte di
mezzogiorno spira verso di noi una brezza alquanto fresca. Ma questo è anche
tutto quello che possiamo scoprire»
3. Dico Io: «Volgete lo sguardo alle pianure ed alle valli della Terra
e dite cosa vi vedete»
4. I due esseni guardano allora le valli della Terra e poi dicono: «Noi
vediamo le valli invase da nebbie grigiastre, anche la superficie del mare è
tutta ricoperta da una massa grigia di vapori, ma dalle valli la nebbia va
innalzandosi e già copre, qui e là, le colline più basse. Che abbiano anche
questi fenomeni un qualche significato spirituale?»
5. Dico Io: «Senza alcun dubbio! Sulla Terra non c’è niente che accada
invano e senza un impulso spirituale. Noi però ora vedremo qual è il significato
da attribuire a tali fenomeni!
6. Il Sole corrisponde interamente all’Essere divino; la Terra, con le
sue valli, pianure, colline, monti, fiumi, laghi e mari, corrisponde del tutto
all’uomo esteriore.
7. La nebbia che si frappone tra il Sole e la Terra significa le
molteplici cure vane e meschine degli uomini, attraverso le quali la luce del
Sole può soltanto qua e là scarsamente penetrare e la nebbia sale e ricopre
perfino le montagne, ora le colline ed i monti corrispondono ad una visione migliore
negli uomini di questa Terra. Questa visione migliore viene essa pure turbata
dalle meschine e inutili cure degli uomini semiciechi.
8. Ma perciò si muovono anche ora i venti mattutini e scacciano la
nebbia dai monti e dai campi e la disperdono così che il Sole può liberamente
riversare i suoi raggi per illuminare e riscaldare i monti e i campi e per far
giungere a maturazione i frutti della vita. E così Io penso che voi
comprenderete bene anche questa rispondenza!»
9. Dicono i due esseni: «Sì, o Signore, essa è chiara come il Sole che
là risplende. Oh, quanta magnificenza racchiude questa sublime e santissima
Dottrina! Oh quante sono le cose che gli uomini non conoscono e che pur
dovrebbero conoscere, così come a mala pena sanno vivere! Signore, questo
insegnamento che ci hai dato riguardo al vero riposo del sabato in Te, sarà
nostra cura diffonderlo tra gli uomini. Esso supera tutto quello che Tu finora
hai detto ed insegnato, perché in tutti gli insegnamenti che precedettero noi
non scorgiamo che una preparazione alla più facile osservanza di questa
santissima Dottrina! In verità tutti i Cieli dovrebbero aprirsi, quando viene
annunciata agli uomini tale Dottrina santissima fra tutte! Ma ora si affaccia
tutta un’altra domanda e questa riguarda noi.
10. Come possiamo noi degnamente ringraziarTi, o Signore, per questa
pura luce del Cielo che ci hai elargito? Noi sentiamo, dal più profondo del
cuore che veramente non l’abbiamo affatto meritata; solo la Tua grazia e il Tuo
amore hanno potuto farcene dono! O Signore! Dacci Tu un comandamento su come
noi possiamo degnamente lodarTi e glorificarTi?»
11. Ed Io, posando le Mie mani sulle loro spalle, dico: «Miei cari
amici! Fate così come vi siete proposti di fare e con ciò Mi preparate una
gioia non minore di quella che Io adesso ho procurato a voi. Ed il vostro
premio non sarà già piccolo, se smuoverete anche gli altri uomini a mettere in
pratica il Mio insegnamento».
Gli esseni vengono
incaricati dal Signore di costruire delle scuole.
1. (Il Signore:) «Erigete in conformità a questi principi una scuola ed
insegnate ai discepoli l’osservanza del sabato, e voi stessi celebrate in
questa maniera il sabato, ogni giorno, per un paio d’ore: ben presto vi
accorgerete della grande benedizione che andrà maturando in voi!
2. Ma quando fondate una scuola ed a tale scopo costruite un edificio,
siano le sue mura libere da qualsiasi chiusura e non abbiano né serrature né
chiavistelli; siate dei veri frammassoni delle vostre scuole e così la vostra
nuova opera sarà la scuola dei profeti. Però la vostra cura principale sia
quella di conservare con tutta fedeltà la Dottrina che avete già appreso da Me
e che ancora apprenderete e di non mescolarvi, come fanno i farisei e gli
anziani, le vostre massime! È bene che i vostri attuali statuti vengano
estirpati alla radice ed al loro posto deve, in tutto e per tutto, subentrare
la Mia Parola, tradotta però nella libera azione; altrimenti il Mio Spirito non
potrebbe operare secondo la promessa che fu data agli uomini per bocca dei
profeti!»
3. Gli esseni ringraziano allora dell’insegnamento ricevuto e Mi
promettono in tutta serietà che l’avrebbero osservato alla lettera; soltanto Mi
pregano di non mancare di accordare loro, nell’assolvimento del compito che si
sono assunti, un’adeguata protezione e di infondere loro le forze necessarie
per poter attuare la loro opera salvifica con vantaggio, per tutti i tempi, non
solo per sé, ma anche per molti altri uomini che avranno il desiderio di
conoscerle.
4. Dico Io: «Tutto ciò da parte Mia non mancherà mai, voi sì, però,
dovete badare che in seguito non sorgano fra di voi discordie per ragioni di
rango!
Il più esperto fra di voi sa certo bene di essere chiamato a fungere da
dirigente e da guida nella vostra causa, ma per questo non si immagini egli già
di essere più di un altro, anche del minimo che è fra voi; con questo però non
è detto che gli inferiori e più deboli debbano rifiutarsi di tributargli il
dovuto rispetto. Sia egli amato e stimato, e il suo consiglio venga eseguito
così come fosse legge. Guai a colui che dovesse insorgere contro di lui! In
verità costui sarà guardato da Me con occhio d’ira!
5. E quando dovete scegliere un preside e un dirigente della vostra
causa pregate allora ed esaminate bene, affinché l’ufficio non venga conferito
ad un indegno, perché una guida cattiva o malaccorta è in una società quello
che è un cattivo pastore per il suo gregge. Quando vede venire il lupo, la
prima cosa per lui è scappare, abbandonando le pecore al lupo, oppure, infine,
diventa egli stesso un lupo e quindi uno sterminatore, in senso spirituale, dei
propri agnelli, così come attualmente lo sono i farisei ed i loro alti
sacerdoti. Essi vanno ammantati in pelli di pecora, ma al loro interno sono
lupi rapaci! A malapena essi nutrono un moscerino, ma per quello che hanno
donato al moscerino, essi richiedono per sé addirittura tutto un cammello!
6. Dunque guardate di non diventare simili a questi. Essi dimorano in
stanze fatte di solida pietra e le tengono continuamente ben custodite e chiuse
e nessuno può né deve entrarvi, affinché nessuno riesca a scoprirvi i loro
inganni e se anche qualche coraggioso si azzardasse a penetrare in una simile
camera del Tempio, egli verrebbe dichiarato profanatore del luogo santo e come
tale subito dopo lapidato!
7. E perciò Io vi dico che voi dovete tenere le vostre scuole libere ed
aperte, affinché ciascuno possa entrare ed uscire quando vuole! Ogni traccia di
mistero sia ben lontano dalla vostra scuola! Chi vuole, venga iniziato, nella
misura in cui è capace di comprendere, perché con la Mia Dottrina Io non vi
vendo niente a scatola chiusa; Io vi dico tutto apertamente, alla luce del
Sole, e non faccio mistero di niente, a meno che non lo esiga l’avvedutezza per
il bene di ciascuno. Siate dunque voi pure aperti verso chiunque dimostri di
avere una buona volontà. Tuttavia siate anche voi avveduti, poiché la
franchezza non richiede che si arrivi fino al punto di gettare le perle nobili
e preziose in pasto ai porci!
8. Io stesso dovrei dire a voi tutti moltissime cose ancora, soltanto
che non potreste ancora comprenderle né sopportarle. Quando però lo Spirito
della piena verità si desterà in voi, egli stesso vi farà da guida in ogni
campo della sapienza. Ora questo Spirito è l’immagine divina nei vostri cuori e
voi stessi lo desterete mediante la vera celebrazione del sabato! DiteMi adesso
se avete compreso tutto quello che vi ho esposto!»
9. Dicono gli esseni, con il cuore contrito: «Sì, o Signore! E chi non
dovrebbe comprendere le Tue sante parole? Queste non sono comuni parole d’uomo.
Le Tue parole sono vera essenza e pura sostanza, sono assolutamente luce,
calore e vita! Quando Tu, o Signore, parli, sentiamo in noi un reale divenire,
cosicché ci appare come se a ciascuna parola della Tua bocca sorga una qualche
nuova creazione smisurata e percepiamo in noi un divenire nuovo ed infinito!
10. Tuttavia comprendiamo il senso per noi necessario delle Tue
santissime parole, quantunque non si potrà in eterno mai arrivare alla
comprensione della loro efficacia finale, perché percepiamo e sentiamo in
maniera vivente in noi che le parole da Te pronunciate non hanno valore
soltanto per noi, ma per tutta l’infinità eterna! E tu, o Terra, esulta dunque,
perché fra tutti gli innumerevoli mondi sei stata scelta dal Signore
dell’eternità per sostenere con il tuo suolo i Suoi piedi ed a far risuonare
nella tua aria la Sua voce santissima!
Oh, Signore! Quanti esseri sorgono ad ogni Tua parola e ad ogni alito
dalla Tua bocca? Oh, concedici di lodarTi, amarTi, glorificarTi e adorarTi,
perché tutto ciò spetta solo a Te!».
La colazione
benedetta sul monte.
1. Dico Io: «Sta bene, Miei cari amici e fratelli! Ed ora, dopo questa
colazione dell’anima, vedremo di procurarcene una anche per il corpo! Ebal, hai
in serbo ancora qualche provvista?»
2. Risponde Ebal: «Signore! Qualche cosa c’è ancora, ma non molto. Ieri
sera è stato consumato già quasi tutto, tuttavia è rimasto un po’ di pane e un
po’ di vino!»
3. Dico Io: «Porta qui tutto quello che hai, affinché Io lo benedica e
noi avremo tutti a sufficienza da mangiare e da bere!». Ebal Mi fece subito
portare dinanzi una mezza pagnotta di pane e circa tre tazze piene di vino che
era rimasto in un otre ed Io benedii il tutto e dissi: «Distribuisci ora il
tutto e se avanzerà qualcosa, lo terremo pure per il pasto di mezzogiorno che
faremo qui!».
4. Ebal si dispone a distribuire il pane e, per poterne dare a tutti,
spezza da principio soltanto dei piccoli bocconi dalla mezza pagnotta, ma
questa non accenna a diminuire di volume. E, poiché egli se ne accorge,
nonostante tutti i convenuti sulla montagna avessero già ricevuto una razione,
egli ricomincia ad offrire dei pezzi più grandi, ma neanche questa volta la
mezza pagnotta diminuisce. Quando poi osserva che gli ospiti sono di buon
appetito, riprende la distribuzione con pezzi ancora più grandi e, finito il
suo giro, avendo offerto il pane a trenta persone circa, che erano salite sul
monte con noi, si trova in mano ancora una buona porzione della pagnotta e Mi
chiede: «Signore! Ecco quello che mi resta! Sarà abbastanza per Te, per
Raffaele, per Giara e per me?».
5. Gli dico Io: «Dà questo residuo a Giara; essa lo distribuirà e
vedrai che ce ne sarà abbastanza per tutti!». Ebal esegue e Giara dà prima un
pezzo a Me, poi al suo Raffaele, quindi ad Ebal e l’ultimo pezzo di pane lo
tiene per sé e così, infatti, del pane ne ebbero a sufficienza tutti.
6. Il comandante, però, che aveva osservato la cosa, disse: «Ebal,
amico mio, perché non hai compreso anche me in quest’ultima distribuzione; mi
hai forse ritenuto poco degno?»
7. Dico Io: «Amico Mio, non offenderti per questa ragione, perché, vedi,
Ebal calcolava che non ne sarebbe rimasto niente e perciò ha cominciato la
distribuzione con quanta più parsimonia gli fu possibile, egli non voleva che
fossi anche tu fra quelli che infine avrebbero potuto non ricevere niente! Ma
siccome per Mia Volontà qualcosa pure rimase, la seconda distribuzione è stata
effettuata solo dopo con questa rimanenza. Se però ci tieni tanto alla seconda
ripartizione, che non è per niente migliore della prima, dillo, ed Io ti cedo
volentieri la Mia parte!»
8. Dice il comandante: «Oh, no, questo no, tutto è in perfetto ordine;
ma la mia mente è stata attraversata dal ricordo di un’antica e vuota formalità
romana di rango; ma ormai sono anch’io del tutto in regola. Quello però che mi
meraviglia di più, è constatare che il celestiale Raffaele mangia il pane con
tanto appetito come se fosse il più affamato di noi tutti! Questa è una cosa
strana davvero! Egli è certo più uno spirito che un uomo di carne, eppure
mangia così come se veramente fosse nato su questa Terra alla maniera degli
altri uomini! Questo mi piace immensamente! Ma io ora sento che il pane solo,
per quanto sia squisito, eccita la sete e mi piacerebbe perciò avere qualcosa
da bere»
9. Dico Io ad Ebal: «Distribuisci ora il vino e comincia dal nostro amico
Giulio!»
10. Dice il comandante: «Signore, Ti prego; bevi Tu per primo, perché
un certo rango bisogna bene che venga osservato anche a mensa!»
11. Dico Io: «Oh, sì, a questo riguardo sono d’accordo anch’Io, però,
dato che qui veramente non c’è mensa e noi non facciamo la parte degli
invitati, prendiamo il vino secondo il bisogno naturale, chi ha più sete beva
per primo e coloro che ne hanno di meno, seguano poi, ciascuno secondo la
propria necessità».
12. Il comandante fu soddisfatto di tale decisione, vuotò la tazza
offertagli fino all’ultima goccia e poi disse: «Signore, Io Ti ringrazio!
Questo è stato un ristoro davvero celestiale e non ho mai gustato tanto il vino
di mattina come mi è accaduto qui oggi; bisogna però dire che si tratta di un
vino quale non ce n’è uno uguale sulla Terra»
13. Dico Io: «Siamo tutti lieti che il soggiorno su quest’altura ti sia
così gradito!»
14. Dice il comandante: «Signore, mi perdonerai se, ben disposto
d’umore come sono, vengo fuori con un’idea forse poco opportuna! Ma a me sembra
che perfino Satana dovrebbe trovarsi di buon animo quassù!»
15. Dico Io: «Se tu proprio vuoi vederlo e parlargli, lo si può far
chiamare! Ti convincerai poi subito se il permanere quassù gli sarà stato
piacevole!»
16. Dice il comandante: «Se davvero la persona di Satana esiste, che
appaia pure qui!».
1. Non appena il comandante ha finito di parlare, un lampo accecante
solca l’aria, accompagnato da un fortissimo tuono e Satana gli appare dinanzi
sotto la forma di un gigante, avvolto entro un’aureola di fuoco. Egli pesta
violentemente con il piede a terra, in modo che il monte trema tutto intorno e
così apostrofa il comandante: «Cosa vuoi tu da me, miserabile violatore di tua
madre? Perché mi hai fatto chiamare su questa vetta che per me è mille volte
più tormentosa di tutte le fiamme infernali?».
2. Il comandante, colpito in pieno ed irritato per tali parole,
ribatte: «Oh, oh, vedi di moderarti, o nemico degli uomini e di Dio stesso,
perché non spetta a te giudicare al cospetto di Dio, tuo Signore! Se io nel
sonno, nello stordimento completo dei miei sensi, ho peccato, non ho recato
danno che a me stesso e non a te. Io credo, però, che Dio sia più di te ed Egli
non mi ha porto ancora un saluto di questo genere, mentitore infame! È bensì
vero che una volta mi è accaduto di giacere con mia madre quando avevo
quattordici anni, ma fui indotto con l’inganno da mia madre stessa, perché
quella volta essa si travestì, assumendo le sembianze di una voluttuosa greca,
si nascose il viso ancora bellissimo sotto una leggiadra maschera e venne da me
di notte, mi svelò tutti i suoi irresistibili vezzi e volle che io la
possedessi! Mia madre allora aveva appena ventotto anni e quando io, come
primogenito, nacqui da lei, aveva tredici anni e mezzo. Io ero conosciuto a
Roma come uno dei giovani più belli ed attraenti; che meraviglia dunque che la
mia stessa madre si fosse accesa per me ed avesse fatto ricorso ad un
travestimento per raggiungere il suo scopo! Miserabile! Se io, da romano dal
sangue bollente come ero allora, sono giaciuto con mia madre, che ritenevo
invece una formosa e seducentissima greca, merito forse per questo il nome di
violatore di mia madre? Puoi tu, cieco animale dell’inferno, chiamare assassino
e omicida colui che, cadendo giù dal tetto, precipita sul prossimo e lo uccide?
Parla adesso, vecchia bestia infernale!»
3. Furibondo per le ingiurie dette dal comandante, Satana allora grida:
«Io non guardo che all’azione e non alle cause per le quali fu commessa; con me
non esistono circostanze attenuanti, e da parte mia tu sei già giudicato e
perciò appartieni all’inferno e non potrai sottrarti al mio potere!»
4. Dice il comandante: «Guarda qui, vecchio e cieco bestione! Chi è
Colui che sta alla mia destra? Lo conosci? Non ti è noto chi sia Gesù di
Nazaret?»
5. E come il comandante ebbe proferito il Mio Nome, Satana si abbatté
con tutta violenza a terra e uscì con minacce terribili contro il comandante, proibendogli
di pronunciare quel Nome odiatissimo! Sostenne di conoscere bene il Nazareno e
di maledirlo, perché intendeva strappare il potere alla Divinità e non mancava
molto ancora che Egli sarebbe assurto a Signore del Cielo e dell’Universo!
6. Dice il comandante: «O cieco animale d’inferno! Quello che Egli
dall’eternità era, oggi Lo è ancora e Lo sarà in eterno ed Egli soltanto
giudicherà me e te, ma tu in eterno non giudicherai niente, nera e
testardissima bestia. Visto che pretendi di essere tanto potente, perché il
solo Nome del santo Nazareno ha la virtù di atterrarti così malamente da far
credere che tu non sia stato mai ritto? Guarda qui quanto è tutto bello e
quanta letizia e pace regnano fra noi! Se tu non fossi uno stoltissimo animale
dell’inferno, con quanta facilità potresti anche tu bearti di quello che fa la
nostra gioia! Ravvediti e riconosci in cuore tuo, se ne hai ancora uno, che
Gesù è il Signore del Cielo e della Terra e sicuramente avrai quello che noi
abbiamo!»
7. Con un ghigno feroce, Satana dice: «Quel nome odiato non puoi
proprio tenerlo nella tua bocca? Se non sei capace di parlare d’altro,
pronuncialo usando almeno una circonlocuzione, perché esso mi tormenta più di
diecimila inferni nel massimo del loro furore di fuoco! Inoltre io sono uno
spirito e devo restare quello che sono per la vostra salvezza e perciò non
posso mai più ritornare dal vostro Dio e Signore! Una volta per sempre io sono
dannato in eterno e per me non c’è più grazia e salvezza!»
8. Dice il comandante: «Se una cosa simile me la dicesse qualcun altro
e non tu, io la crederei, ma di te non posso credere niente all’infuori di
questo: cioè che tu sei e resti il vecchio e sciocco animale dell’inferno. Se
tu volessi ravvederti, io so benissimo che tu verresti accettato dal Signore
assieme a tutti i tuoi seguaci, ma in te non c’è che una ostinatissima
perfidia, a causa della quale tu stesso vai eternamente alimentando la tua
volontà di non ravvederti, perché a te procura una gioia infernale poter
sfidare caparbiamente Dio, il Signore, grazie al tuo libero volere, ma io ti
dico che il Signore non ha ancora chiuso – né per lungo tempo ancora chiuderà –
del tutto il Suo cuore dinanzi a te e che Egli non ti ha affatto ancora
giudicato! Ravvediti, dunque, e ritorna a Lui ed Egli ti accoglierà e ti
perdonerà tutti i tuoi peccati e misfatti che si contano a miliardi!
9. Io sono un pagano e nella mia gioventù ho adorato la natura e le
sculture fatte dalle mani degli uomini, sorte dalla loro fantasia, ma io,
debole e cieco uomo di carne, mi sono tuttavia accorto ben presto che io mi
trovavo su una falsa via, percorrendo la quale non c’era nessuna meta da
raggiungere.
10. Tu invece dai primordi, quale uno spirito puro, sei stato creato da
Colui che ha ora preso dimora nel Cuore di questo santo Nazareno ed al quale
sono del tutto visibilmente soggetti Cielo e Terra. Per te è facile il puro
riconoscimento della verità eterna, mentre io dovetti brancolare per lungo
tempo fra tenebre e nebbia. Dunque, basta che tu lo voglia e ti troverai
nuovamente nell’antica luce primordiale. Perciò rivolgiti al Signore, che in
maniera prodigiosa dimora corporalmente qui fra di noi ed io ti garantisco con
la mia vita e con tutto ciò che ho di sacro che tu sarai accettato»
11. Dice Satana: «Non posso farlo!»
12. Osserva il comandante: «E perché no?»
13. E Satana urla: «Perché non lo voglio!»
14. Il comandante alza egli pure la voce e dice in tono molto
concitato: «Allora togliti da qui, in Nome di Gesù, perché l’orrore e lo schifo
che ispiri non hanno più limite! Tu sei per tua propria ed assoluta volontà un
incorreggibile animale dell’inferno ed in me è scomparsa ogni traccia di pietà
per le tue pene e per il tuo eterno tormento. Il Signore ti giudichi, vecchio
asino infernale!»
15. A queste parole del comandante, Satana, come colpito dal fulmine,
precipitò a terra, emettendo urla e ruggiti formidabili come un leone affamato.
Io però feci cenno all’angelo Raffaele che si disponesse a farlo sgomberare!
16. Allora l’angelo avanzò velocemente fra il comandante e Satana e
disse: «Satana! Io, uno fra i minimi servitori del Signore Gesù Jehova Zebaot,
ti ordino, in forma assoluta e perentoria, di allontanarti immediatamente da
questo luogo e da questa regione poiché con il tuo alito venefico hai reso micidiali
per lungo tempo gli animali e gli uomini!»
17. Dice Satana, infiammato di represso furore: «Dove devo andare?»
18. Risponde l’angelo: «Là dove i tuoi servitori ti attendono e ti
maledicono! Va’ e sparisci! Amen!».
19. A questa intimazione dell’angelo, Satana si levò, simile ad un
globo fiammeggiante da tutte le parti, e fuggì, tra un assordante rimbombo di
scoppi, verso Settentrione con la velocità del baleno.
20. Ma l’angelo strappò dal terreno il macigno sul quale Satana si era
posato ed era giaciuto (era un blocco di pietra del peso di una cinquantina di
quintali) e lo lanciò lontano, verso il mare, oltre tutta la montagna, con
tanta violenza che esso, per la resistenza opposta dall’aria, si disciolse in
polvere minutissima già quand’era ancora in aria.
21. Tutti si meravigliarono per tale straordinaria potenza rivelatasi
nell’angelo, e il comandante esclamò: «Capperi! Questo sì che sarebbe un
fromboliere! Egli solo basterebbe ad avere più effetto di dieci legioni romane!
Del resto, o Signore, io Ti ringrazio anche per questa rivelazione, perché ora
ho avuto l’occasione di fare, per così dire, la conoscenza personale anche
dell’eterno nemico di ogni amore e di ogni luce e di ogni cosa vera e buona, e
mi sono assai presto convinto di ciò che veramente se ne può pensare. Per
quello lì non c’è eternità né fuoco che possa indurlo al ravvedimento!
22. A Dio sono certamente possibili tutte le cose, però in questo caso
io credo che pure l’Onnipotenza divina difficilmente riuscirà a condurre questo
spirito sulla via del pentimento e della penitenza, perché, se gli viene
lasciata la libera volontà, egli non cambia più in eterno, ma se gliela si
toglie, allora ha cessato di essere lui e Satana non c’è più in tutto
l’Universo. In quanto poi a tentare di indurlo a migliorare, ricorrendo alle
maggiori possibili pene e tormenti, questo vorrebbe dire voler versare acqua
con un vaso bucato! La cosa più saggia, secondo me, sarebbe di tenerlo
rinchiuso in qualche prigione, per tutti i tempi dei tempi, e ciò senza
tormento, così almeno non potrebbe esercitare alcun influsso sugli uomini
viventi!».
23. Dico Io: «Amico, queste sono cose che ora non potresti comprendere
in nessun modo, ma verrà il giorno in cui ti saranno chiare pur esse! Il tempo
terrestre non ha per questo sicuramente nessuna misura, ma certo ce l’ha però
tutto un Sole-centrale-primordiale. Una volta poi che questo si avvicinerà alla
sua fine, allora anche il ritorno di Satana, sempre ancora possibile, non sarà
più lontano. Ma allora dove saranno già questa Terra e questo Sole? Infatti, un
corpo come il Sole-centrale-primordiale impiega un tempo che è impensabile per
la tua mente, prima che tutta la vita giudicata che è in esso, sotto la forma
apparentemente morta della materia, si sia disciolta fino all’ultimo atomo
nella libera vita spirituale!
24. Ma ci vorrà ancora molto tempo, come ho detto, prima che tu possa
concepire una simile cosa, che per ora non possono comprendere nemmeno gli
angeli; però ben presto verrà un tempo in cui non dubiterai affatto di quello
che hai appreso adesso e crederai a cose delle quali non hai la minima idea! Ma
ora lasciamo stare questo argomento. Disponetevi ormai alla partenza, perché
inizieremo con una certa comodità il viaggio di ritorno!».
1. Dice Giara, la quale durante la visibile permanenza di Satana si era
tenuta la faccia coperta: «Signore, io ora faccio molto volentieri ritorno in città,
perché la presenza di quell’essere mi ha reso intollerabile questa montagna,
quantunque, d’altro canto, ad essa restino collegati ricordi per me
incancellabili! I miei piedi non ne calcheranno mai più la vetta!»
2. Dico Io: «Suvvia, ormai egli è stato cacciato da qui e il tuo
Raffaele ha levato l’immondizia dal posto dove egli si era posato; del resto
non ti sarà né di danno né di particolare vantaggio, se vorrai oppure se non
vorrai mettere più piede su questa altura. La migliore altura sulla quale si
può salire, resta sempre il proprio cuore. Chi riesce a penetrare nell’intimo
del cuore, ha raggiunto l’altezza massima dalla quale può godere il più bel
panorama della vita. Ma ora andiamocene, perché è già trascorsa l’ora terza
dell’odierno Sabato. Ora tutti voi seguiteMi, poiché seguendo il primo sentiero
che troveremo, arriveremo benissimo a Genezaret!»
3. Dice allora il comandante: «Signore, se non sbaglio, mi pareva di
aver capito, da quanto si disse prima, che noi avessimo l’intenzione di restare
eventualmente qui ancora tutta la giornata»
4. Gli dico Io: «Questa volta tu Mi hai compreso un po’ male; con
quelle parole si era accennato soltanto alle altezze della celebrazione del
sabato nei cuori! Ma ora tutto questo non c’entra, è necessario che noi
partiamo, perché giù ci attendono ancora parecchi sofferenti. Bisognerà aiutare
anche quelli, affinché, quando sarò partito, non vi sia in questa regione più
nessun ammalato».
5. Dopo ciò, l’intera comitiva si mise in cammino ed Io, la piccola
Giara e Raffaele facemmo così da guide, e il ritorno procedette con facilità e
sollecitudine giù dal monte fino alla valle in direzione di Genezaret. Dopo
circa due ore e mezza di cammino noi ci trovammo già quasi vicino alla
cittadella.
6. Allora Io radunai tutti i partecipanti alla gita e dissi:
«AscoltateMi voi tutti, adesso! Come ve l’ho spiegato una volta sul monte, così
ve lo ripeto ora: “Tutti gli avvenimenti di cui foste testimoni sul monte e
tutto ciò che avete avuto occasione di vedere e di sentire, tenetelo per il
momento per voi! Quando però un gran segno dai Cieli vi farà capire che il
tempo sarà venuto, allora tali cose predicatele giù dai tetti agli uomini di
buona volontà, ma al mondo maligno esse restino continuamente nascoste così
com’è nascosta l’intima parte della Terra, cioè il suo centro! Infatti cose
simili l’intendimento esteriore mondano non le comprenderà mai e voi verreste
giudicati da pazzi e insensati! E questo sarebbe poi anche la morte eterna
delle rispettive anime”.
7. E soprattutto tenete presente questo: “Le Mie parole, i Miei
insegnamenti ed opere sono molto più preziosi delle grossissime perle di Giara
che non hanno uguale sulla Terra, e perle simili non vanno gettate in pasto ai
porci; perciò state sempre in guardia, poiché tutto ciò che proviene dall’Alto
è anche soltanto per coloro che provengono dall’Alto! Ai cani ed ai porci non
spetta che l’immondizia del mondo, perché un cane ritorna sempre al suo vomito,
e il porco torna ad avvoltolarsi nello stesso fango nel quale pochi istanti
prima si era già avvoltolato, insudiciato e contaminato del tutto. Dunque,
prendetevi bene a cuore questo Mio consiglio!”».
8. Dice il comandante: «Signore, ma se dei curiosi ci domandassero cosa
è accaduto o cosa abbiamo visto lassù, che risposta dovremo dare?».
9. Dico Io: «In questo caso dite la verità e cioè che Io ho vietato a
voi tutti di rivelare tali cose al mondo, in tal caso i curiosi non
insisteranno più oltre e si accontenteranno».
10. Questa Mia decisione soddisfò pienamente il nostro comandante e noi
riprendemmo l’ormai breve cammino fino alla città e rientrammo di lì a poco in
casa di Ebal.
Una guarigione
miracolosa nell’albergo di Ebal a Genezaret.
1. Quando fummo entrati in casa di Ebal, ci vennero subito incontro i
domestici ed i servitori ed annunciarono che all’albergo erano giunti circa
cento ammalati, che avevano chiesto del Signore e Salvatore Gesù da Nazaret.
2. Dico Io ai servitori: «Andate e dite loro che essi possono ormai
fare ritorno alle loro case in pace e di buon animo e ciò senza riguardo al
sabato, poiché la loro fede nella potenza della Mia Parola li ha guariti!».
3. Udito questo, i servitori si allontanarono, si recarono dagli infermi
all’albergo e la loro meraviglia non fu poca quando si accorsero che di infermi
non ce n’era più uno, perché tutti coloro che erano prima ammalati si erano
trovati nel medesimo istante guariti, ebrei o pagani che fossero. Quando furono
loro vicino, sentirono solo un unanime coro di lodi per la riacquistata salute
corporale ed i guariti manifestarono il desiderio di vederMi!
4. Ma i servitori risposero: «Non sta a noi concedervi tale cosa, però
manderemo da Lui un messo. Se Egli lo permette, voi potete andare da Lui e
parlarGli, ma in caso diverso, sarà cosa buona che voi, secondo la Sua Parola,
ve ne andiate da qui di buon animo ed in pace, perché non sempre Egli è
disposto ad accogliere visite, né meno ancora a voler fare discorsi». Con ciò
uno dei servitori fu mandato da Me per esporMi la richiesta.
5. Io però così parlai: «Io ve l’ho già detto: che essi facciano
ritorno alle loro case in pace e di buon animo e così resti deciso! Quello a
cui essi miravano lo hanno ottenuto; per qualcosa di più elevato e nobile essi
non hanno alcun sentimento, né intelletto sufficiente. Fate dunque che se ne
vadano alle loro case!».
6. Udita questa decisione, il messo se ne va e la riferisce ai guariti.
Ma questi dicono: «Quando si vuol rendere onore e lode a qualcuno, non è il
caso di domandarlo prima! Si va e in piena verità e decoro gli si tributa la
lode e gli si porgono i ringraziamenti che gli spettano; così il congedo è
quale deve essere! Andiamo dunque senza timori e considerato che noi ci
presentiamo a Lui con le migliori intenzioni di questo mondo, Egli non vorrà
precluderci l’accesso!».
7. Detto questo, essi vengono tutti da Me in casa. Venuti che sono,
bussano alla porta della nostra grande sala da pranzo, ma nessuno risponde per
farli entrare. Essi però insistono e bussano ripetutamente, per cui Io dico ad
Ebal: «Poiché dimostrano tanta fede importuna, lasciali entrare!». Ebal andò ed
aprì loro la porta; nella sala entrarono quanti questa poteva contenerne, e
cominciarono a glorificarMi ed a ringraziarMi ad alta voce.
8. Ma Io li invitai a tacere e dissi loro: «La lode della bocca e il
ringraziamento delle labbra non hanno alcun valore presso Dio e neanche dinanzi
a Me! Chi Mi vuole avvicinare, lo faccia con il suo cuore ed allora Io lo
guarderò, ma un vano borbottare della bocca, mentre il cuore non pensa niente,
né meno ancora sente, ha lo stesso effetto per i Miei occhi che il putridume ha
per le narici. Quello che voi cercavate, vi fu concesso ed altro a voi non
interessa e le vostre vuote lodi non Mi sono gradite! Fate dunque ritorno ai
vostri luoghi e non recate ulteriori molestie a questa casa! In avvenire, però,
guardatevi bene dalla libidine, dalla fornicazione, dall’ingordigia e dalla
crapula; altrimenti ricadrete ben presto in mali ancora peggiori di quelli che
vi hanno tormentato finora».
9. Queste parole colpirono profondamente i guariti ed essi si
domandarono tra di loro come Io avessi potuto sapere che le loro malattie erano
in maggioranza dovute alle pratiche della lussuria! Io cominciai ad incutere
loro paura, perché sorse in loro il pensiero: “Chissà che Egli non venga fuori
a spiattellare altri particolari riguardo ai nostri costumi veramente non molto
lodevoli! È meglio che ce ne andiamo!”. Ed infatti essi si allontanarono e
fecero ritorno al luogo da dove erano venuti.
10. La cosa però diede nell’occhio al comandante, che Mi domandò: «Come
mai, così improvvisamente, si sono dileguati tutti? Bastò che Tu semplicemente
facessi menzione dei loro peccati, perché si sentissero spinti, come da una
forza irresistibile, fuori dalla porta!»
11. Dico Io: «Essi sono dediti ad ogni più svariata pratica libidinosa
e l’adulterio è per loro già una cosa assolutamente usuale. Presso di loro le
donne sono in comune, e il violentare una ragazza vergine, presso questa gente,
è uno scherzo senza valore! Ma fra di loro ce ne sono di quelli che non
rifuggono neppure da atti pederasti a danno di ragazzi, ed altri invece sono
soliti divertirsi con fanciulle in maniera innaturale, muta[4]
sodomitica, perché credono così di preservarsi dalle malattie, mentre in questo
modo essi incorrono in infezioni ancora più maligne. È per questo che Io ho
così duramente accolto e congedato tali individui, perché con loro qualche
miglioramento è possibile unicamente attraverso un trattamento duro»
12. Domanda il comandante: «Di che regione sono?»
13. Gli dico Io: «Dei dintorni della Gadarena, più verso occidente ci
sono un paio di borgate e quattro villaggi. Gli abitanti sono una mescolanza di
ebrei, greci, egiziani e romani. Essi non hanno che qualche scarsa, anzi in
effetti quasi nessuna idea di una religione, e la loro professione consiste per
lo più nell’allevamento di maiali, di cui fanno commercio con la Grecia e
l’Europa, dove le carni di questi animali vengono mangiate ed il rispettivo
grasso viene adoperato come condimento per i cibi. Dunque, già per riflesso del
loro mestiere sono gente quanto mai immonda, però la loro impurità esteriore
non sarebbe proprio peccato, se nel loro ulteriore agire nella vita non fossero
peggiori, e di molto, degli stessi maiali che allevano. Tutta la loro attività
li pone molto al di sotto dei maiali stessi e perciò con questa gente sarà
difficile ottenere qualcosa di buono!»
14. Dice il comandante: «Oh, è molto bene che io abbia saputo di questa
faccenda. Quelle comunità stanno ancora sotto la mia giurisdizione ed io certo
non mancherò di istituire per quella gente un censore dei costumi, il quale
anche al minimo atto sconveniente saprà dar loro una dovuta lezione, secondo le
istruzioni che riceverà da me. Aspettate, aspettate! Bisognerà che già domani
la vostra vita di libidine cominci ad annoiarvi in modo tale da farvi passare
per sempre la voglia di accarezzare brame impure nel cuore e di dar loro sfogo
poi senza ombra di coscienza!
15. Signore! Io sono davvero niente altro che un uomo, però, dalle
molte e svariate esperienze fatte durante la mia vita sempre dedicata alle cure
del governo, sono giunto infine alla chiara conclusione che per l’uomo comune
la miglior cosa è essere comandato con uno scettro di ferro ed essere spronato
al bene, di quando in quando, mediante la sferza. Se questo non avviene in una
grande comunità di uomini, tutto in breve tempo crolla e va in rovina!».
16. Dico Io: «Certo, qui hai ragione di procedere come pensi, ma
soltanto nelle comunità e località che ti furono indicate, perché se tu volessi
applicare dappertutto tale sistema, ne ricaveresti più danno che vantaggio! La
medicina deve sempre venire regolata secondo la malattia e non viceversa. Ma,
come detto, nei riguardi di quelle località la tua medicina avrà almeno di
buono il fatto che agli abitanti farà perdere il gusto della libidine; però è
bene che il flagello non venga posto in mano all’ira, bensì in mano al vero
amore!».
1. Dice il comandante: «Signore, ora vedo bene che questo è giusto;
eppure, scrutando tra le varie vicende della mia vita, mi torna in mente un caso
particolare, nel quale tutto l’amore non fu capace di approdare a niente ed il
caso fu il seguente: tra i molti soldati che stanno al nostro comando c’era in
servizio anche un giovane illirio robustissimo, un vero gigante. La sua spada
pesava cinquanta libbre ed egli, tuttavia, la maneggiava come se tenesse in
pugno una piuma. Questo guerriero assoldato, che portava corazza e scudo,
valeva in battaglia più di cento altri guerrieri. In guerra, dunque, egli
riusciva utilissimo, ma non così in tempo di pace. Egli diventava allora
prepotente e non passava settimana senza che egli non provocasse qualche nuovo
increscioso incidente. Io lo trattavo sempre amorevolmente e molte volte cercai
di fargli ben presente, per quanto possibile, il male e l’ignominia degli
scandali da lui suscitati e gli rimproverai la maliziosa mania di dar
continuamente spettacolo della sua prepotenza. Egli allora prometteva sempre di
migliorarsi e per qualche giorno dopo il rimbrotto restava calmo e moderato, ma
oltre i dieci giorni la calma non durava e subito dopo non erano che nuove
lagnanze da tutte le parti, mentre noi dovevamo alla fine risarcire i danni
causati da lui. Se poi gli si domandava perché persistesse in quel suo
incredibile modo di procedere, egli dava sempre la stessa risposta e diceva:
“Io mi esercito nell’arte della guerra ed allora non mi sento di poter
risparmiare niente, all’infuori della vita umana, perché bisogna che la mia
spada si provi sui vari oggetti che incontra!”.
2. Questi suoi esercizi guerreschi lo portavano non di rado ad andare
in cerca di qualche mandria di buoi, tori, vacche e vitelli ed a tagliare la
testa a questi animali di un colpo solo. Una volta gli accade di incontrare una
mandria di cento buoi, i quali ci rimisero tutti la testa e poi egli andò
vantandosi della sua azione eroica, senza tanto pensare che a noi essa era
costata mille denari buoni d’argento, dovuti sborsare quale indennizzo! Ma
quella volta fui preso da tanta ira contro quell’uomo che nell’impeto del
furore l’avrei fatto io stesso volentieri a pezzi.
3. Allora lo feci attaccare ad un albero con pesanti catene, mani e
piedi legati da solide funi e lo feci flagellare per un’ora intera, fino a che
egli ne risultò prostrato. Quindi lo feci ricoverare e curare, cosicché in
venti giorni fu completamente ristabilito. Ed ecco, quest’uomo, dal quale tutto
l’amore non era stato capace di ottenere nulla, con un simile trattamento si
trovò cambiato come d’incanto. Dopo questo trattamento egli diventò l’uomo più
tranquillo e moderato di questo mondo, tanto che dopo un anno io lo nominai
sottufficiale ed egli oggi ancora mi ringrazia per la punizione esemplare
inflittagli, senza la quale non sarebbe mai arrivato al suo grado. Ma per
concludere dirò che ad una simile punizione non mi avrebbe potuto mai indurre
l’amore, ma soltanto una giusta collera contro quell’uomo, e perciò credo che
di fronte all’uomo, molto spesso, una giusta ira sia più salutare di un
eccessivo amore, per quanto puro!»
4. Dico Io: «Oh, certamente, ma qui non si tratta più di ira nel vero
senso della parola, bensì di un fervore particolare che si manifesta nel cuore
e che ha in sé un potere salutare. Con questo fervore agisco anch’Io quando è
necessario: se l’amore non possedesse questo fervore, l’Infinito sarebbe ancora
oggi del tutto privo di esseri; perciò tutte le creature devono la loro
esistenza soltanto all’immenso zelo dell’Amore divino.
5. E così il sentimento, che quella volta incitò il tuo cuore ad
infliggere una giusta punizione al soldato prepotente e malizioso, non fu
l’ira, né la sete di vendetta che da questa deriva, ma un fervore particolare
del tuo amore per quel guerriero, il quale per delle sue capacità ti stava
molto a cuore. Infatti, se quell’uomo avesse suscitato in te una vera e propria
ira, tu l’avresti fatto uccidere, ma lo zelo d’amore contò i colpi reputati
necessari, e tu lo facesti flagellare finché reputasti fosse sopportabile per
lui.
6. Dunque, nella stessa maniera, qualora fosse necessario, tu potrai
procedere anche rispetto a quelle comunità, ma il primo tentativo avvenga
tuttavia per opera dell’amore puro e per mezzo di un adeguato insegnamento,
poiché, quando gli uomini arrivano a comprendere che vengono loro prescritte
leggi severe e stabiliti giudizi inesorabili soltanto per il loro bene, allora
essi accettano tutto, ma se le leggi severe assumono invece l’aspetto di un
atto tirannico del detentore del potere, allora le leggi non solo non
migliorano nessuno, ma alla fine hanno il solo risultato di convertire anche
gli angeli della comunità in altrettanti demoni, che poi non faranno altro che cercare il modo e la maniera di potersi vendicare di colui che per niente, o
senza apparenti ragioni, li va opprimendo e tormentando senza posa. Comprendi
questo?»
7. Dice il comandante: «Sì, o Signore, anche questa cosa mi è chiara
come il Sole ed io invierò oggi stesso un messo all’ufficiale là residente con
gli ordini che devono venire notificati in quelle comunità già domani perché
comincino subito a eseguirli. Ma a questo scopo bisognerà che me ne vada per un
po’ dalla mia gente, affinché siano prese le disposizioni del caso».
Sul rapporto
sessuale degli angeli della Creazione primordiale.
1. Detto ciò il comandante si accinge ad andarsene a casa propria, ma
Ebal lo prega di non restare assente troppo a lungo, perché il pranzo sarebbe
stato pronto fra breve. Ed il comandante dice, mentre già si avvia: «Se non è
accaduto niente di importante, sarò subito di ritorno; in caso diverso manderò
qui senza indugio un messo».
2. Il comandante allora si affretta e, giunto a casa sua, la sua
meraviglia non è poca, quando dopo aver inteso il rapporto dei suoi ufficiali,
trova che gli ordini che egli intendeva dettare per le note comunità apparivano
già scritti di sua mano su pergamena e giacevano sul suo tavolo da lavoro. Egli
vi dà rapidamente una scorsa e riscontra che tutto è concepito precisamente
così come egli aveva abbozzato mentalmente. Fa poi chiamare immediatamente un
messo veloce ed ecco presentarglisi dinanzi, in veste di soldato romano,
appunto il nostro angelo Raffaele il quale si mette ai suoi ordini.
3. Da principio il comandante non riconosce l’angelo e pensa che si
tratti di qualche giovane guerriero, assegnatogli forse da Cornelio, fra quelli
della guarnigione di Cafarnao. Egli allora gli domanda se se la sente di
recapitare quegli ordini per il sottocomandante della località di Gadarena che
è abbastanza lontana!
4. Dice l’angelo: «Signore della tua potestà! Dallo a me ed io lo
porterò a destinazione con la velocità di una freccia, tra pochi istanti la
risposta sarà nelle tue mani!».
5. Soltanto allora il comandante esaminò con più attenzione il suo
uomo, riconobbe in lui l’angelo Raffaele e poi disse: «Oh, certamente a te è
possibile anche questo, ma guarda, solo adesso ti ho riconosciuto!».
6. Il comandante poi consegnò il documento a Raffaele e questi già in
un quarto d’ora fu di ritorno con la risposta, nella quale l’ufficiale al comando
di Gadarena confermava di aver ricevuto l’ordine per mezzo di un giovane
guerriero, ordine che egli avrebbe immediatamente eseguito secondo lo spirito.
7. Allora non fu più la velocità di Raffaele a suscitare la meraviglia
del comandante, ma fu invece il fatto che egli avesse comunque impiegato un
quarto d’ora per fare questa ambasciata.
8. Ma Raffaele rispose: «Questo è stato il tempo necessario al tuo
ufficiale di Gadarena per preparare il suo scritto. La cosa non deve farti
meraviglia, perché sai che io non ho bisogno di tempo. Ma ora andiamocene da
Ebal, perché il pranzo è già pronto e gli ospiti, in seguito alla camminata giù
dal monte, hanno molto appetito».
9. Il comandante si avvia subito assieme all’angelo, ma costui, quando
è vicino alla casa di Ebal, appare nuovamente sotto la veste d’abitante di
Genezaret da lui inizialmente assunta, e il comandante gli domanda dove avesse
con tanta rapidità deposto la sua divisa da soldato.
10. L’angelo però rispose sorridendo: «Vedi, la cosa è per noi molto
più facile che non per voi, perché il nostro guardaroba, quanto mai riccamente
provveduto, lo portiamo nella nostra volontà: basta che noi vogliamo essere
abbigliati in una data maniera ed effettivamente anche lo siamo. Se tu però mi
vedessi nella mia veste di luce, ne saresti accecato e la tua carne si
dissolverebbe dinanzi a me, poiché la luce del Sole terrestre paragonata alla
mia veste è pura tenebra»
11. Dice il comandante: «Amico degli uomini di questa Terra! Questa tua
prima facoltà, cioè di poterti vestire a tuo piacimento grazie alla sola
volontà, senza disporre di stoffa, mi piace molto e sarebbe davvero utilissima
alla povera gente, particolarmente d’inverno; ma l’altra tua facoltà di
indossare una veste dallo splendore accecante, dinanzi alla quale la vita umana
non potrebbe reggere, questa non mi piace, almeno non in questo mondo e perciò
non è opportuno insistere più oltre su tale argomento. Ma io vorrei, tuttavia,
apprendere ancora una cosa da te: considerato che noi ci troviamo qui soli e
non c’è da imbarazzarci di fronte a nessuno, potresti ben rivelarmela. Ecco
dunque la mia domanda: esiste anche fra voi una distinzione di sesso?»
12. Dice l’angelo: «La questione che tu poni è piuttosto materiale ed
inopportuna, però siccome in te è suggerita unicamente dalla brama di
conoscere, allora io ti risponderò anche nettamente con un no! Dato che siamo
spiriti della Creazione primordiale, c’è in noi – e siamo innumerevoli – un
unico e solo essere, il positivo maschile quale primo ed esclusivo agente, ma
tuttavia in ciascuno di noi vi è perfettamente presente anche il principio
femminile negativo, cosicché ciascun angelo rappresenta in sé il perfettissimo
matrimonio dei Cieli di Dio. Dipende assolutamente da noi se vogliamo mostrarci
nella forma maschile oppure femminile, e ciò sempre entro lo stesso involucro
spirituale.
13. Poiché però noi stessi siamo un doppio essere, in questo sta
appunto la ragione per cui noi non possiamo mai invecchiare, perché in noi le
due polarità si sostengono vicendevolmente nell’eternità, invece in voi uomini
i poli sono separati ciascuno in una personalità sessuale distinta e divisa e
come tali, esistendo di per sé soli, non trovano in sé alcun appoggio.
14. Quando le polarità personali separate vengono esteriormente a
contatto, non fanno che perdere del proprio e sono simili ad un otre di vino
che sempre più raggrinzisce quanto più gli si sottrae il suo contenuto
alcolico. Ma se tu potessi immaginare un
otre capace di riprodurre continuamente in sé quanto gli viene levato, allora
non ti sarebbe più possibile vedere sulla sua superficie le pieghe e le grinze
che danno alla sua forma l’aspetto della cosa vecchia. Comprendi bene questo?»
15. Dice il comandante: «La cosa non mi riesce ancora proprio chiara
del tutto, tuttavia una vaga idea me la sono potuto fare. Ad una prossima
occasione favorevole potremo ben riprendere questo discorso, ma ora sarà bene
che entriamo in casa, perché certamente saremo attesi!»
16. Dice l’angelo: «Sì, questo senz’altro. Del resto anch’io sento già
quello che voi definite fame»
17. Osserva il comandante: «Oh, oh, ma se tu sei uno spirito purissimo,
come potrai gustare un cibo materiale?»
18. Risponde Raffaele sorridendo: «Lo posso fare meglio di te! Infatti
tutto quello che io prendo come cibo viene in me completamente consumato e
trasformato in elemento visibile di vita, mentre in te ciò avviene soltanto di
quella parte che corrisponde alla tua isolata polarità vitale; invece quanto
non si confà a questa polarità, viene poi eliminato per le vie naturali;
dunque, per quel che riguarda il mangiare e il bere io sto molto meglio di te!»
19. Dice il comandante: «Ma allora, si mangia e si beve anche in
Cielo?»
20. Risponde l’angelo: «Oh, senza dubbio, ma non così come si fa sulla
Terra, ma in maniera spirituale! Abbiamo la Parola di Dio dall’eternità anche
in noi, così come appunto da questa stessa Parola sono costituiti sia il Cielo
che tutta la Creazione, i quali sono compenetrati in ogni luogo da questa
Parola.
Ora questa Parola costituisce anzitutto la sostanzialità del nostro
essere, e per questo essere Essa è anche l’unico e verissimo Pane di Vita,
nonché il vero Vino della Vita. Nelle nostre vene questo Vino scorre come il
sangue nelle vostre e le nostre viscere sono ricolme del Pane di Dio»
21. Dice il comandante: «Oh, questi sono concetti ispirati da una
sapienza immensa ed io non posso comprenderli! Cose simili è bene che il
Signore stesso me le chiarisca più da vicino! Ma ora è davvero tempo che
entriamo in casa ed è meglio che non si riprenda né questo né altri argomenti».
Sul dare
l’elemosina e sulle solennità commemorative.
1. Mentre il comandante è in procinto di chiudere la porta, la nostra buona
Giara gli viene incontro e dice: «Oh quanto vi fate aspettare! E tu, mio caro
Raffaele, sembri volerti regolare secondo il pigro tempo di questo mondo!
Davvero questa volta non è andata così presto come durante il nostro viaggio su
quel Sole lontano! Ma ora entrate senza indugi, perché il pranzo è già servito
in tavola!». I due allora entrano solleciti e Mi salutano con gran cortesia e
calore.
2. Il comandante avrebbe voluto ringraziarMi per le premure da Me
dimostrategli anche nell’ultima circostanza, però Io gli dissi: «Amico, Mi
basta quello che ti leggo nel cuore! Il pranzo vi attende già da qualche tempo,
perciò ora si tratta di concedere il necessario ristoro al corpo e soltanto
dopo di volgersi di nuovo allo spirito».
3. Tutti allora ringraziano e cominciano a fare onore ai cibi e alle
bevande, e il comandante non può distogliere la sua attenzione dall’angelo, che
dal canto suo mostra di essere molto occupato con le pietanze e con il suo
bicchiere di vino.
4. Alla fine il nostro comandante non può più trattenersi ed esclama un
po’ scherzosamente: «Oh, oh, mi accorgo adesso che gli spiriti puri godono
davvero di un appetito invidiabile! Il mio buon Raffaele sta mangiando per tre!
Io penso che a questo mondo una cosa simile non è stata ancora mai vista!»
5. Dice Ebal: «Anch’io ne sono quanto mai meravigliato, ma ho osservato
ancora un’altra cosa che mi stupisce più del suo eccellente appetito. Se tu
guardi bene, la porzione non diminuisce mai nel suo piatto! Qui in verità
appare visibilmente confermato il detto: “Quello che il Cielo prende, lo
restituisce già il successivo istante!”. Ma io intendo che questa mensa, alla
quale noi sediamo, sia conservata in onore presso i miei successori, come un
permanente sacro ricordo per tutti i tempi e che ogni anno venga stabilito un
giorno di festa nel quale ad essa dovranno venire invitati tutti i poveri di
questa città!»
6. Dico Io: «Oh, lascia che la mensa resti mensa come è adesso e tu
resta quello che sei stato finora”. E quando viene da te un povero ed hai
qualcosa, aiutalo in qualsiasi giorno egli si presenta, ma un banchetto festivo
annuale non giova per niente né ai poveri né a te stesso ed Io non ne ho alcun
compiacimento! Chi vuole ricordarsi di Me, lo faccia in tutte le ore del
giorno, perché il ricordarsi di Me una volta all’anno a Me non serve!
7. Se tu stabilissi un giorno commemorativo, non faresti che imitare i
farisei ed i templari di Gerusalemme, che pure celebrano tre volte all’anno
feste della commemorazione, durante le quali usano distribuire del pane ai
poveri, come se, con quel boccone di pane che ricevono, i poveri potessero poi
vivere senza prenderne altro durante tutto il tempo che passa da una festa
all’altra! Chi non vede l’insensatezza di tali ridicole feste? Certo che i
farisei, in queste giornate solenni, guadagnano tanto con le offerte abbondanti
da poter vivere molto bene per altri cent’anni con il ricavato di una sola
festa, mentre il povero deve accontentarsi di ricevere tre volte all’anno un
pezzo di pane che non supera mai un ottavo di libbra in peso. Oh, quanta
follia, quanta stoltezza, cecità ed egoistica perfidia! Tu, dunque, lascia
questa tavola così com’è e celebrerai la festa più gradita quando giornalmente,
a seconda delle tue forze, ti darai la premura più amorosa di saziare l’uno o
l’altro povero, sia a questa o in qualsiasi altra mensa!
8. E se l’uno e stesso povero si presentasse a te anche ogni giorno,
non chiedergli se altrove non gli sia possibile ottenere qualcosa, perché il
povero ne avrebbe il cuore pieno di paura, cosicché poi per lungo tempo non si
azzarderebbe più a venir da te e con ciò la tua opera buona perderebbe ogni
valore al Mio cospetto.
9. Però Io neppure intendo che tu abbia a dividere il pane dei poveri
anche fra gli eventuali oziosi robusti che sono ancora idonei per lavorare: a
questi tali, quando vengono, procura un lavoro adeguato alle loro forze! Se
sbrigano un lavoro, dà loro anche da mangiare e da bere, ma se non acconsentono
a lavorare, allora che non mangino neppure! Infatti chi ha forze ma non vuole
lavorare, allora che neanche mangi!
10. Ecco, se il tuo agire sarà conforme a queste norme, tu celebrerai
sempre una festa commemorativa quanto mai a Me gradita, ma lascia andare del
tutto le tue intenzionali feste annuali! Infatti una simile festa annuale è la
maggiore insensatezza che un uomo possa commettere, per la ragione che con ciò
non ha giovato a nessuno, tranne che ad un banditore della festa che, per suoi
fini egoistici, in tale occasione può realizzare un qualche utile con le offerte
che gli vengono fatte!
11. In che cosa il tempo di un anno è migliore in confronto a quello di
un giorno? Chi per esempio festeggia il compleanno del proprio padre una volta
all’anno, costui dovrebbe, per le identiche ragioni, festeggiarne anche ogni giorno
l’ora di nascita, il che sarebbe sicuramente meglio del compleanno annuale!
12. Io te lo dico: “Ogni simile celebrazione commemorativa da parte
degli uomini non ha alcun valore ai Miei occhi, a meno che essa non avvenga
giornalmente, anzi ad ogni ora in maniera vivente nei loro cuori! E così i
noviluni, i giubilei, la festa della liberazione di Gerusalemme dal dominio
babilonese, le solennità per la riedificazione della città e del Tempio e così
pure le feste di Mosè, Aronne, Samuele, Davide e Salomone sono cose
perfettamente vuote e senza senso, che in tutta verità hanno appena tanta
importanza quanta può averne la pioggia caduta nel mare mille anni fa”.
13. Da principio tali feste vengono certo solennizzate con una specie
di religioso entusiasmo ed i partecipanti ad una simile occasione hanno molto
vivo un ricordo della persona o di qualche fatto importante a cui la festa si
riferisce e di cui essi sono stati testimoni, ma nella seconda, terza e quarta
generazione, per non dire poi della decima generazione, tutto si riduce ad una
vuota cerimonia e la maggioranza poi non sa neppure perché viene allestita; più
tardi ancora, poi, il tutto è già degenerato in un vano paganesimo.
14. Del resto, con ciò Io non intendo che vengano abolite le vere feste
commemorative; però bisogna che esse siano caratterizzate, oltre che dalla loro
periodicità annuale, anche da quella giornaliera nei propri cuori, altrimenti
anche quelle possono considerarsi completamente morte e quindi senza alcuna
efficacia. Per quanto poi concerne questa mensa, che le cose rimangano come ti
ho detto e mostrato Io!»
15. Dice Ebal: «Tutto verrà esattamente osservato così come Tu, o
Signore, in tutta benignità e verità ci hai indicato, ma tanto più invece ci
daremo cura di celebrare giornalmente la festa nei nostri cuori con il maggior
possibile fervore e di esercitarci con tutte le nostre forze nell’amore del
prossimo, per poter così commemorare, nella maniera più bella e più degna,
queste giornate!»
16. Ed Io concludo: «Se voi vi atterrete fermamente a queste massime,
Io sarò in voi, e da questo la gente riconoscerà che voi siete veramente i Miei
discepoli.
17. Ma ora noi abbiamo mangiato e bevuto a sufficienza; alziamoci
dunque da tavola e usciamo fuori per andare a trovare i nostri barcaioli; essi
potranno narrarvi ancora più di qualche storia interessante e strana. Qui ci
sarebbe da stare poco in pace, perché entro un’ora arriverà da Betlemme
un’altra carovana della quale fanno parte alcuni giovani farisei ortodossi, con
i quali Io non ho assolutamente l’intenzione di venire a contatto. Vedete di
destreggiarvi voi in modo che essi si trovino indotti a proseguire già oggi
fino a Sibarah!»
18. Dice il comandante: «A questo verrà provveduto nel migliore dei
modi! Oramai anche per me non vi è persona al mondo che mi riesca così
ripugnante come uno di questi arcifarisei!». E detto ciò, ci alziamo e ci
affrettiamo verso il mare in cerca dei nostri barcaioli.
1. Noi trovammo gli otto barcaioli proprio mentre stavano leggendo i
salmi di Davide. Quando ci videro, si alzarono da terra, ci salutarono e il
loro capo avanzò verso di Me e disse: «Signore, Tu solo potresti toglierci
dall’imbarazzo! Ieri, verso sera, sono venuti qui alcuni farisei e scribi, i
quali pretesero che li trasportassimo dalla parte di Zabulon e Corazin. Noi ci
rifiutammo, adducendo il fatto che non eravamo i padroni della barca, bensì
soltanto i barcaioli e inoltre che, essendo vigilia di sabato, eravamo occupati
nella lettura dei salmi. Allora un giovane scriba si fece dare il rotolo dei
salmi, l’aprì al Salmo 47 e lesse:
2. “Applaudite, o popoli tutti, e giubilate a Dio con voce di trionfo,
perché il Signore, l’Altissimo, è tremendo, un gran Re su tutto il suolo
terrestre. Egli obbligherà i popoli a sottomettersi a noi e le nazioni sotto a
i nostri piedi! Egli ci ha scelti quale eredità, la gloria di Giacobbe, il
quale Egli ama. Dio è salito con giubilo, il Signore è salito con suono di trombe.
Salmeggiate a Dio, salmeggiate, salmeggiate al nostro Re! Infatti Dio è il Re
di tutto il suolo terrestre, salmeggiate magistralmente! Dio regna sopra tutti
i pagani. Dio siede sopra il trono della Sua santità. I principi dei popoli si
sono radunati insieme in un solo popolo davanti al Dio di Abramo, poiché Dio è
molto innalzato sugli scudi della Terra!”.
3. E quando ebbe finito la lettura, lo scriba domandò tutto serio:
“Comprendete voi questo salmo?”. Ma noi dovemmo rispondere negativamente alla
sua domanda. Oggi già di buon’ora abbiamo cominciato a stillarci il cervello e
tuttavia non ne sappiamo più di ieri. Mille volte abbiamo pensato a Te: se Tu,
o Signore, lo volessi, potresti fornirci un po’ di luce a questo riguardo!»
4. Dico Io: «Guardate qui questa fanciulla che io tengo per mano.
Chiedete a lei e saprà ben essa farvi luce riguardo a tale argomento!»
5. Dice il capo dei barcaioli: «Questa fanciulla conta al massimo
quattordici anni! Come può esserle venuta la sapienza di Salomone?»
6. Dico Io: «Eppure è così! E non solo la sapienza di Salomone, ma
anche quella di tutti i sapienti della Terra e molto di più ancora alberga nel
suo purissimo cuore! A nessun uomo è mai riuscito a vedere che cosa si cela
dietro le stelle, ma domandatelo a lei ed essa ve lo rivelerà! Ella porta nella
tasca del suo grembiule la famosa “pietra filosofale”, perciò sarà bene in
grado di spiegare anche il salmo, breve sì, ma tuttavia importantissimo, da voi
citato! Fate una prova e vi convincerete!»
7. Osserva allora il mastro barcaiolo ai suoi compagni: «Tutta la sua
figura rivela davvero una tremenda intelligenza! Solamente la sua bellezza
esteriore, davvero angelica, non milita troppo a favore della sua sapienza,
perché finora io ho sempre sperimentato che le fanciulle più belle sono le più
sciocche, ciò che del resto è anche del tutto naturale. I figli più belli
vengono troppo vezzeggiati, così essi diventano dei presuntuosi e non imparano
che poco e niente, invece con un figlio meno bello di solito non si fanno tante
storie, lo si punisce facilmente per qualsiasi fallo e per qualunque
sgarbatezza, in modo che il fanciullo diventa umile e modesto, si fa ubbidiente
e tollerante e impara molte cose. Ma nonostante tutto vogliamo sentire quello
che riguardo al nostro salmo saprà dirci questa ragazzina, che è in tutta
verità di una bellezza celestiale!».
8. Allora il capo dei barcaioli si rivolge a Giara e le fa la sua
richiesta e la fanciulla, con l’espressione più amorevole di questo mondo,
risponde: «Cari amici, non perché io l’abbia imparato in qualche modo, né di
conseguenza perché io lo sappia come un dottore della legge, ma perché lo sento
in maniera molto viva in me, dico che tutto quello che lo spirito profetico di
Davide ha profetizzato parecchie centinaia di anni fa, va ora trovando
perfettissimo compimento dinanzi ai nostri occhi. Ma questa cosa l’avreste pur
dovuta concepire anche voi di primo acchito!
9. Non avete voi visto come Egli, del Quale parla Davide e che adesso
dimora tra di noi corporalmente, ha camminato sul mare come se questo fosse
terra asciutta? E non vi siete accorti come Egli in pochi giorni e per la forza
della Sua sola Parola ha guarito migliaia di persone affette da ogni specie di
infermità? I ciechi hanno recuperato la vista, i sordi l’udito, i lebbrosi sono
stati mondati e gli zoppi e gli storpi si sono ritrovati con le membra diritte!
E guardate poi qui il monte che vi sta davanti; guardate come è cambiato in una
sola notte! Ma chi può trasportare le montagne e sollevare i mari dai loro abissi?
Chi è Colui al Quale tutti gli angeli e tutti gli elementi obbediscono? Ecco,
Quegli che sotto sembianze corporeo-umane sta dinanzi a noi è quello; Questi è
Colui del Quale Davide ha parlato nei suoi salmi!
10. È per Lui che dobbiamo applaudire mediante opere di vero e sincero
amore del prossimo ed è a Lui che dobbiamo giubilare con la voce pura della
verità senza inganni, insidie e falsità! Infatti guai a chiunque volesse
dimostrargli giubilo con l’impuro accento dalla menzogna! Come amoroso e dolce
Egli è con i giusti, altrettanto tremendo Egli è con coloro che nascondono nel
cuore la menzogna, l’inganno e la falsità, poiché sta scritto: “È terribile
cadere nelle mani di Dio, perché Dio è il Re onnipotente di tutto il suolo
terrestre e nessuno può nascondersi in alcun luogo dinanzi a Lui!”.
11. Ora Egli è venuto qui per costringere tutti i popoli a mettersi
sotto di noi, tramite la potenza della Sua Dottrina, affinché siano resi
partecipi della nostra salvezza, in modo che le genti, cioè i figli del mondo,
vengano posti sotto i nostri piedi per essere giudicati! Infatti noi soli Egli
ha scelto ad eredi della vita eterna, anzi, noi siamo la sua eredità! Egli è
Colui del Quale Giacobbe disse: “Oh Signore, Tu solo sei la mia gloria!”. E
poiché Giacobbe professò questa cosa nel suo cuore, divenne un prediletto di
Dio, di Colui che dimora qui fra di noi!
12. Ma Egli non dimorerà sempre così fra di noi, bensì Egli risalirà
ben presto ai Suoi Cieli eterni e precisamente con la voce giubilante della
verità eterna con la quale Egli ha creato una nuova Terra ed un nuovo Cielo per
tutte le eternità delle eternità ed Egli è e sarà il Signore, e il puro squillo
delle Sue trombe, cioè della Parola che ci fu annunciata, proclamerà
l’avvenimento a tutte le creature sopra ed entro la Terra e sopra ed oltre
tutte le stelle, spiritualmente e materialmente.
13. È a Costui che noi dobbiamo salmeggiare secondo l’esortazione di
Davide, perché Costui è il nostro Dio e il nostro unico Re per l’eternità!
14. Ma poiché noi sappiamo cosa Egli è, dobbiamo anche onorarLo con un
cuore saggio e puro e non alla maniera dei farisei ipocriti, che solamente con
le labbra si accostano ad un falso Jehova, mentre chiudono i loro cuori al
cospetto del vero e vivente Jehova e si allontanano da Lui.
15. Però Egli non è soltanto il nostro Dio e Re, bensì anche dei pagani
che abitano su tutto il suolo terrestre, perché Egli solo regna sopra tutti gli
uomini e sopra tutta l’infinita Creazione, dal trono eterno della Sua
illimitata potenza e gloria. Dinanzi a Lui si devono radunare tutti i principi
della Terra, come i loro popoli dinanzi a loro, perché è Egli il solo Dio di
Abramo, Isacco e Giacobbe. Egli soltanto è da sé innalzato ed esaltato sopra
ogni cosa, anche sopra gli scudi di tutti i potenti della nostra vasta Terra!
16. È una grazia inconcepibile perfino agli angeli che Egli sia venuto
a noi, ma poiché è venuto, Egli non è venuto senza essere annunciato, poiché
tutti i profeti hanno annunciato la Sua venuta.
Ma molte delle profezie non poterono essere comprese dagli uomini a
causa del sempre crescente indurimento dei loro cuori. Ora però è venuto Quello
stesso, di Cui i profeti hanno profetizzato, ed Egli stesso si rivela a tutti
gli uomini di buona volontà.
17. Ma per coloro che hanno il cuore colmo di perfidia e di superbia
Egli altro non può essere che il Tremendo, poiché la perfidia ha continuamente
come giudice inesorabile su di sé la Giustizia onnipotente ed eterna! E come
una buona bilancia sensibile pende visibilmente già se da una parte si aggiunge
solo un capello, così dinanzi a Colui che è qui non può affatto reggere la
benché minima falsità, follia, perversità, ingiustizia e qualsiasi altra
grossolanità del cuore! E perciò Egli deve essere terribile per ogni peccatore
nel cui petto alberga un cuore duro, tenebroso e malvagio.
Comprendete ora voi il Salmo 47 di Davide?».
1. Dice il mastro barcaiolo: «O incantevole fanciulla! Da chi hai avuta
tanta sapienza? In verità, tu sei più saggia di Abramo, di Isacco e di
Giacobbe!».
2. Dice Giara: «Vi ho pure detto ora Chi è Colui che dimora adesso fra
noi! Ma se è così ed incontestabilmente è così, come potete domandare e dire:
“Da dove mi è venuta tale sapienza o chi me l’ha data?”. Qui dinanzi a noi
tutti sta il grande e santo Datore di ogni buon dono! Egli solo è saggio ed
Egli solo è assolutamente buono. Chi Lo ama e nel suo cuore crede che Egli è in
Sé e per Sé il Signore Jehova Zebaot dall’eternità, nel suo cuore Egli farà
risplendere la Sua Luce eterna e increata ed allora tutto l’uomo ne sarà
illuminato e verrà completamente compenetrato dalla vera Sapienza divina. Se
voi avete un po’ d’intelletto, deve esservi ormai chiaro come stiano le cose
rispetto a noi!»
3. Risponde il mastro barcaiolo: «Oh sì, mio carissimo angioletto!
Adesso noi comprendiamo e sarà proprio così come tu ci hai spiegato, ma quelli
che ieri sera ci domandarono di venire trasportati a Zabulon e Corazin non
vorranno accogliere questa spiegazione, né potranno quindi nemmeno
comprenderla. Noi siamo della gente semplice ed a noi quasi non occorre far
vedere delle meraviglie perché ci crediamo, ma con quei tali un miracolo avrà
effetti peggiori di nessun miracolo»
4. Dice Giara: «Ma questa è anche la ragione per cui Egli diverrà
terribile per loro, poiché i venti spargeranno per tutta la Terra la Sua
Parola! Guai a chi la udrà, la comprenderà e malgrado ciò infine la rigetterà!»
5. Dico Io ai barcaioli: «Ebbene, cosa ve ne pare dell’intelligenza di
questa Mia figliola?»
6. Ed essi rispondono: «Signore e Maestro! Se Tu sei veramente Quello
che secondo la savissima spiegazione di questo adorabile angioletto di
fanciulla dovresti essere, non può meravigliare che ella sia tanto saggia,
perché Colui che ai tempi di Balaam poté sciogliere la lingua all’asino
affinché profetizzasse a Balaam, potrà con facilità tanto maggiore rendere atta
a profetizzare la lingua già sciolta di una fanciulla quattordicenne!
7. Ma noi ora crediamo tutti che Tu sia Quello del Quale questa
fanciulla ha apertamente testimoniato dinanzi agli occhi ed alle nostre
orecchie e non vi è più bisogno di nessun altro miracolo! Ma poiché Tu, o
Signore, sei Tale, guarda alla nostra debolezza e convertila in un’adeguata
forza, affinché possiamo difenderci dai perpetui nemici della luce e della
verità! Infatti è triste cosa davvero che noi ebrei dobbiamo cercare sia la
luce che la verità presso i pagani! Gerusalemme, invece di essere un faro luminosissimo
per tutta l’umanità, è diventata un putrido pantano della notte e della tenebra
più rozza ed una spelonca d’assassini dell’antico spirito di Israele! E se noi
vogliamo ora luce e verità, è bene che andiamo a cercarle a Sidone ed a Tiro,
presso i greci ed i romani. Dunque, o Signore e Maestro, poiché Ti sono
possibili tutte le cose, concedici luce e forza, cosicché noi possiamo giungere
a distinguere la verità e la possiamo poi difendere dai nemici!»
8. Dico Io: «La pace sia con voi e fra di voi! Nessuno si creda
superiore agli altri! Voi siete tutti ugualmente fratelli, ma colui che si
crede e ritiene il minimo fra tutti e ambisce soltanto ad aiutare e servire
tutti, costui è tuttavia il primo e il più grande! Ma se Io vi chiamo ad essere
Miei servitori, allora voi siete in piena verità anche la Mia potenza. E così
ciascun servitore rappresenta la forza del suo Signore, ma per questo anche il
Signore rappresenta la giustizia del Suo servitore! Amatevi l’un l’altro, fate
del bene ai vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono e pregate per
coloro che vi odiano! Rendete bene per male e non prestate il vostro denaro a
chi vi può rendere alto interesse; così facendo la benedizione e la grazia di
Dio saranno in tutta la loro pienezza in voi! Ma in conseguenza di ciò vi
saranno poi date in brevissimo tempo anche la luce e la verità ed ogni potenza
e forza, poiché, come voi misurerete gli altri, così sarete misurati voi!»
9. Dice uno dei barcaioli: «Signore, noi vediamo e comprendiamo bene
che la Tua dottrina è vera e giusta, ma sentiamo anche che sarà difficile
osservarla! È certamente bello e celestiale fare del bene a coloro che sempre
cercano di farci del male, ma chi può mai affrontare sempre con uguale pazienza
la perfidia spesso troppo infame degli uomini? E viene spontaneo chiedersi se
così facendo la cattiva volontà degli uomini non venga favorita maggiormente
che non con la punizione inflitta per il male commesso. Se i ladri e gli
assassini venissero ricompensati per le loro cattive azioni, in breve tempo si
ridurrebbero a ben pochi gli abitanti della Terra! Dunque è necessario che io
tenga sempre testa al nemico e che tenda una barriera di spine intorno alla mia
casa, affinché al nemico passi una volta per sempre la voglia di recarmi danno;
credo che così il sentimento del nemico inclinerebbe all’amicizia ed
all’amorevolezza prima certo che non se gli volessi ricambiare il male fattomi
addirittura con un beneficio!»
10. Dico Io: «Sì, è vero, secondo il concetto umano questo ragionamento
non fa una piega, ma in esso non c’è alcuna traccia di divino. Tramite la
punizione distoglierai certo l’uomo che ti ha fatto del male dal tentare così
facilmente di arrecarti danno una seconda volta, però egli non diverrà mai tuo
amico! Se tu invece, di fronte al male ricevuto da lui, gli rendi, al tempo
opportuno e nel momento del bisogno, un beneficio, allora il peccato commesso
contro di te gli si affaccerà alla memoria, se ne pentirà amaramente e da quel
momento in poi diverrà il tuo più fervente amico!
11. E così il beneficio con il quale si vedrà ricambiata la sua cattiva
azione, avrà l’effetto di migliorarlo per sempre, ma la punizione inflittagli
per la sua stessa cattiva azione lo inciterà invece ad esserti sessanta volte
ancora più nemico di prima!
12. Infatti se il primo peccato commesso contro di te ha la sua origine
piuttosto in una specie di dispetto e di gioia per il male altrui, il secondo
scaturirà certo dal sentimento dell’ira e della vendetta e perciò Io ve lo
ripeto: “Fate così come Io prima vi ho detto e la grazia di Dio e la Sua
benedizione saranno vostre in abbondanza”.
13. Infatti chi vuole essere veramente benedetto da Me, deve accogliere
nei fatti la Mia Parola, nella quale risiedono ogni grazia, ogni luce, ogni verità
ed ogni potenza, altrimenti non sarebbe possibile farlo partecipe di una
qualsiasi grazia.
14. E voi tutti prendete esempio da Me, che sono di tutto cuore
mansueto e umile ed uso con ciascuno la maggiore pazienza! Non splende il Sole
ugualmente sul buono e sul cattivo e sopra il giusto e l’ingiusto? E la pioggia
benefica e feconda non cade tanto sul campo del peccatore che su quello del
giusto? Siate dunque perfetti com’è perfetto il Padre che è nel Cielo e la
grazia e la benedizione dai Cieli saranno vostre in abbondanza. Comprendete voi
queste cose?»
15. Dicono tutti: «Sì, o Signore, noi ora comprendiamo benissimo tutto!
Così tutto è vero e buono e di conseguenza in un ordine perfetto e noi ci
daremo la maggior cura possibile di osservare tutto alla lettera, ma nonostante
ciò, almeno da principio, la cosa ci costerà una grande fatica»
16. Dico Io: «È vero, Miei cari amici, in questo tempo il Regno dei
Cieli esige violenza! Coloro che non lo strapperanno a sé con violenza, non lo
possederanno! Ma chiunque si sobbarca una lotta a causa dal Regno del Cieli, è
un saggio e un costruttore accorto. Ora un costruttore accorto e saggio non
edifica la sua casa sulla mobile sabbia, ma la fissa sulla solida roccia e
quando poi viene la tempesta e l’inondazione, la casa non può risentirne nessun
danno, appunto perché le sue fondamenta poggiano sulla roccia.
17. E così altrettanto avviene nella lotta per il Regno del Cieli:
quando qualcuno lo ha bene conquistato in sé, lo possiede in modo
indistruttibile per l’eternità. Qualsiasi tempesta del mondo potrà scatenarsi
contro di lui; ma non sarà affatto possibile che egli ne abbia danno; ma chi
non lo ha conquistato in sé mediante tutta la sua forza e il suo coraggio,
quando verranno le tempeste del mondo sarà trascinato nei suoi vortici e
perderà per giunta quello che possedeva prima! Fate bene attenzione a tutte
queste cose, perché verranno tempi nei quali voi ne avrete molto bisogno»
18. Dicono allora i barcaioli: «Oh Signore, per tutto quello che ci hai
detto e fatto, noi non possiamo fare altro che ringraziarTi nella semplicità
del nostro cuore. Noi vediamo anche troppo bene che l’uomo, di per sé, non può
dare niente a Dio che egli non abbia già prima ricevuto da Lui, tuttavia
accogli, o Signore, questo nostro ringraziamento come se avesse un qualche
valore ai Tuoi occhi e comandaci quello che per amor Tuo ed in Tuo onore
dobbiamo fare»
19. Dico Io: «Io ve l’ho già detto. Fate così e di altro non c’è
affatto bisogno. Ma ora raccontateci tutto quello che avete visto e forse anche
udito la scorsa notte, dato che la gente di mare vede spesso nella notte cose
assai strane. Però siate brevi nel vostro racconto e badate di non aggiungere
niente né di omettere di proposito cosa alcuna riguardo a ciò che sapete».
Racconto dei
barcaioli riguardo agli avvenimenti della notte precedente.
1. Noi tutti prendiamo posto sul bellissimo prato, facendo circolo
intorno ai barcaioli, soltanto Raffaele rimane in piedi, ma uno dei barcaioli
gli dice: «Giovanotto, puoi sedere anche tu, il prato è ancora un bene comune e
non c’è bisogno che nessuno paghi niente per sdraiarvisi sopra!»
2. Ma l’angelo risponde: «Voi narrate intanto, io mi siederò quando
sarò stanco di starmene in piedi. Oltre tutto poi potrebbe accadere che l’uno o
l’altro di voi perdesse l’equilibrio ed allora sarei maggiormente pronto ad
aiutare qualcuno a rimettersi in piedi»
3. Dice il barcaiolo: «Ma guarda un po’ questo sbarbatello di quindici
anni! Non vedi che ti penzolano ancora le fasce giù dalle gambe e credi di
avere già la forza per alzare qualcuno di noi se dovesse cadere? Mio caro,
questo si chiama avere un po’ troppa fiducia nelle proprie forze!»
4. Dice l’angelo: «Cominciate una buona volta il racconto secondo il
desiderio del Signore, in quanto al resto, si vedrà poi quello che
eventualmente sarà necessario».
5. Con ciò, dato che il barcaiolo era una persona rozza, si quieta, e
il mastro barcaiolo comincia la seguente narrazione: “Era circa il tempo della
prima vigilia, quando improvvisamente ed in maniera quanto mai strana si fece
chiaro come se fosse stato giorno, però, non conoscendo la sua vera causa,
pensammo che forse, dietro le montagne, ci fosse qualche cosa che ardesse in
gran massa, in modo da diffondere tutta quella luce nell’atmosfera. Ma il
chiarore evidentemente arrivava da troppo lontano, perché noi lo potessimo
attribuire a qualche fuoco terreno; comunque stessero le cose, il chiarore
c’era e durò quasi tutta la notte, anzi, in qualche momento divenne tanto forte
da farci credere che fosse già giorno fatto. È facile immaginare che la strana
apparizione non mancò di destare in noi un po’ di inquietudine. Anche molti
cittadini vennero fuori da noi per informarci, pensando forse che il chiarore
provenisse dal mare.
6. Ma ben presto un altro fenomeno molto più meraviglioso ancora
richiamò l’attenzione di noi tutti! Noi dalla riva volevamo esplorare
maggiormente la vasta superficie del mare. Ed ecco – e noi vi preghiamo di non
ridere – non c’era più una goccia d’acqua dentro e la nostra navicella poggiava
sul fondo! Così noi avemmo occasione di ammirare tutto il fondo marino. Era una
cosa da far spavento! Il nostro battello era appoggiato su uno sperone di
roccia alto parecchie misure d’uomo. Ma qui, nella insenatura verso Genezaret,
l’acqua è quasi dappertutto poco profonda e noi potemmo camminare sul fondo del
mare e raccogliemmo una quantità di conchiglie e di chiocciole molto belle e
rare.
7. Ma mentre badavamo pacificamente soltanto alla nostra raccolta,
all’improvviso ci fu un gran lampo a cui seguì un fortissimo scoppio di tuono.
Allora ci rifugiammo in fretta e furia sulla riva, abbandonando le nostre belle
conchiglie, che non ci fidammo più di andare a riprendere, cosicché, salvo un paio
che io avevo riposto nella mia bisaccia, esse rimasero là dove le avevamo
trovate. Quando, circa verso la terza vigilia, l’acqua ricomparve e la vedemmo
bagnare nuovamente le rive, soltanto allora la stranezza del fenomeno ci
apparve in tutta la sua realtà e ci mettemmo a pensare cosa mai poteva essere
accaduto da far così scomparire interamente fino all’ultima goccia tutta
l’acqua di un mare che pure è abbastanza grande!
8. Un certo vecchio, che dovrebbe essere anch’egli di questo paese, ci disse
che apparizioni di questo genere sono, di quando in quando, provocate dagli
arrabbiati spiriti delle montagne e dell’aria, i quali vogliono così punire gli
spiriti dell’acqua! Noi ci facemmo su una risata, ma in mancanza d’altro anche
una spiegazione balorda è meglio che niente. Poi, alla quarta ed ultima
vigilia, si fece più buio e allora salimmo sul nostro battello e ci mettemmo un
po’ a dormire; quando ci svegliammo, il nostro bel Sole era abbastanza alto e
ci demmo da fare per procurarci la colazione. Questo è brevemente tutto quello
che ci è accaduto e che abbiamo osservato durante la scorsa notte».
1. Quando il mastro barcaiolo ebbe terminato questo racconto, l’altro
rozzo barcaiolo, che aveva prima questionato con Raffaele, volendo recarsi alla
navicella, per prendervi alcune conchiglie raccolte la notte sul fondo asciutto
del mare e che anch’egli era riuscito a salvare nella fretta della fuga, pose
camminando un piede in fallo e cadde lungo e disteso a terra. I suoi compagni
allora cominciarono a canzonarlo e dissero: «Ecco l’eterno uomo maldestro!». E
l’uomo che era ancora a terra si infuriò.
2. Ma Raffaele in un attimo gli fu vicino e lo aiutò sollecitamente a rimettersi
in piedi e disse: «Vedi che a qualcosa è servito il mio rimanere in piedi,
perché al mio spirito si era presentata la convinzione che tu oggi saresti
caduto, ed infatti sei caduto ed io, il debole sbarbatello, ho potuto – si
spera con sufficiente rapidità – sollevarti da terra e ridonarti così il libero
uso dei tuoi piedi un po’ maldestri!»
3. Il barbuto barcaiolo rispose borbottando: «Va bene, per questa volta
va bene, ma i giovanotti della tua specie sono spesso portati a giocare di
nascosto qualche tiro alla gente come noi e dispongono le cose in modo che poi
un qualche malanno succede davvero! Oh, io le conosco già bene queste burle!
Del resto tu mi sembri un buonissimo ragazzo, ma non sei un uomo ancora e
questo basta! Un giovanotto ha sempre qualche diavoletto della burla in corpo,
perciò è meglio che tu ti tenga un po’ alla larga, per lo meno di tre passi dal
corpo!».
4. Dice Raffaele: «Amico, ti sbagli di grosso sul conto mio, ma io ti
perdono, perché non sai chi hai dinanzi, nella mia persona!»
5. Dice il barcaiolo: «Suvvia, cosa si può essere in qualche modo a
quindici anni? Tutt’al più un qualche principe di Roma o di qualche altro
luogo! O saresti, forse, così un’appendice un po’ onnipotente del nostro buon
Signore Dio?»
6. Risponde Raffaele: «Sì, appunto, sono qualcosa di simile! Ma adesso
va’ sulla navicella e portaci le tue conchiglie!».
7. Il barcaiolo, sempre brontolando, se ne va e dopo pochi istanti è di
ritorno portando con sé un paio di conchiglie ed un nautilo che mostra a tutti.
8. I tre pezzi erano belli realmente, però naturalmente non avevano un
particolare valore e Raffaele gli disse: «Come ricordo sono abbastanza buoni,
ma un certo valore non l’hanno. Cosa ne farai?»
9. Dice il barcaiolo: «Oh, oh, giovanotto, i passeri si possono
pigliare a questo modo, ma non già un vecchio navigato come sono io! Tu
vorresti prenderti per niente le tre conchiglie, ma il vecchio Disma non è
tanto stolto quanto forse pare! I tre pezzi costano tre denari d’argento, non
un centesimo di meno, se hai i tre denari dalli qua ed i tre bei pezzi sono
tuoi!».
10. Dice Raffaele: «Il prezzo di tre denari sarebbe per me il meno, ma
non mi suona bene che tu voglia vendere una cosa che, a stretto rigore, non è
neppure tua piena proprietà! Vedi, in questo golfo il diritto di pesca spetta
da tempo immemorabile ai cittadini di Genezaret, oppure a colui cui essi
l’hanno ceduto in appalto. Queste tre conchiglie tu le hai raccolte nella zona
che dipende da Ebal, che ha appunto in appalto queste acque, quindi, a stretto
rigore, esse appartengono a lui; soltanto quando egli te le avrà donate,
saranno del tutto tue ed allora potrai anche disporne come di una tua
proprietà»
11. Esclama Disma: «Ma guarda qui di nuovo questo sbarbatello! Egli
parla come fosse un giudice di Roma! Saresti per me davvero un bell’avvocato!
State a vedere che finirà con il contestarmi il possesso anche degli stracci
che ho addosso! Caro mio, il mare costituisce dappertutto il mondo dove vive e
si muove un marinaio, ora tutto quello che gli fruisce l’acqua, sia in un
golfo, sia in mare aperto, non appartiene ad altri che a lui soltanto e con ciò
sono messe da parte tutte le massime del diritto che tu sembri aver imparato a
memoria, perché una certa infarinatura di diritto l’ha anche uno di noi! Dunque
dà qui i tre denari d’argento ed io ti consegnerò le tre conchiglie!»
12. Dice Raffaele: «Non ne faremo niente! Fino a tanto che il nostro
Ebal non dichiara che sono tue, io non posso comperarle da te».
13. Allora Disma si rivolge ad Ebal e gli domanda cosa egli pensi
dell’asserzione del giovane.
14. Ed Ebal risponde: «A stretto rigore, il nostro Raffaele è dalla
parte della ragione ed io certamente potrei reclamare questi tre pezzi in mio possesso,
ma se c’è uno che non ha fatto mai uso di questo diritto, né mai lo farà sono
precisamente io e di conseguenza le conchiglie appartengono ora materialmente a
te, spiritualmente, però, tutto il mondo appartiene comunque a Dio, il Signore,
e quindi anche queste tre conchiglie»
15. Di questa decisione anche il nostro Disma fu del tutto soddisfatto
ed egli, rivoltosi a Raffaele, gli chiese: «Ebbene, come stiamo con i tre
denari d’argento?»
16. Risponde Raffaele: «Eccoteli, ma ora consegna i tre pezzi ad Ebal,
che li conserverà quale ricordo di questi tempi!»
17. Disma prese i tre denari e mise le conchiglie davanti ad Ebal, ma
questi le diede a Giara dicendole: «Prendile e custodiscile assieme ai tuoi
altri ricordi! Esse saranno per noi di grande valore»
18. Giara accetta con grande gioia le tre conchiglie ed esclama: «Oh,
queste cose sono meravigliosamente belle! Quanta varietà e splendore di colori!
In verità, guardando queste magnificenze si può e si deve esclamare con Giobbe:
“Come sono belle, o Signore, le Tue opere! Chi le osserva con occhio d’amore
non ne ha una gioia vana!”. Chi ha insegnato alla chiocciola l’arte di
costruirsi una così bella casa? Eppure, senza travi e senza mattoni, essa
supera in magnificenza tutti gli splendori reali della maestà di Salomone!».
19. Dopodiché Giara, volgendosi a Raffaele, lo ringrazia per il bel
dono, però gli domanda pure, siccome tanto la chiocciola che le due conchiglie
erano vuote del loro contenuto vivente, che fine avessero fatto gli animali che
una volta avevano abitato in quelle belle dimore!
20. E Raffaele rispose: «Mia carissima Giara! I rispettivi animali sono
morti già da parecchie migliaia d’anni e quindi i loro corpi sono già da lungo
tempo andati in decomposizione, ma queste conchiglie, come sono ora, possono
esistere altre migliaia d’anni ancora, senza perdere quasi niente né della loro
forma né della loro bellezza. La loro materia è costituita da calce purissima e
questa in stato libero non si decompone mai, particolarmente se immersa nell’acqua!
Questo è quanto ti è concesso per ora di sapere, quello che va oltre a questa
nozione lo apprenderai un giorno nell’aldilà in tutti i suoi reconditi
significati».
Allora Giara rimase molto stupita, udendo parlare di simili età
attribuite a quelle conchiglie.
Accoglienza
dei farisei a Genezaret.
1. Ma in quello stesso momento giunge dalla città la notizia che la
preavvisata comitiva di farisei e scribi di fresca nomina è arrivata da
Betlemme e che ha presentato un ordine scritto firmato dal Tempio, diretto ai
cittadini di Genezaret, con il quale si intima, a scanso di severe sanzioni, di
trasportare con tutta sollecitudine gratuitamente la comitiva stessa a Nazaret
per terra o per mare!
2. Ed Ebal, indignato per tale esigenza da parte del Tempio, esclama:
«Signore! È da tempo che questa storia dura così, anno per anno, senza
interruzioni! Tu sei qui da cinque giorni ed è già la quarta carovana di questi
fannulloni che hai visto qui attraversare il paese, per andare di qua o di là
in ogni luogo, lasciando, dove capitano per disgrazia, le tracce della
devastazione, non di rado peggio di un nugolo di cavallette! Se il fatto si
verificasse una decina di volte all’anno, ci sarebbe ancora da chiudere un
occhio, ma tollerare due, tre e fino a quattro di simili scorrerie in una
settimana e, per di più, stare a loro disposizione e soddisfare ogni loro
pretesa, è una cosa da far perdere la pazienza anche ad un angelo, oltre a
ridurre il prossimo all’elemosina! Cosa devo fare adesso? In verità io rendo a
tutti i poveri ogni bene possibile, secondo le mie forze, tutti i giorni e
molto volentieri, ma a questi birbanti, a questi genuini maestri di tormento
della misera umanità, io vorrei augurare ogni morte e tutti i diavoli addosso a
loro!»
3. Dico Io: «Amico, non ti scaldare, con la pazienza ad ogni modo
arriverai sempre meglio e più lontano che non altrimenti! Del resto il disbrigo
di questa faccenda lascialo pure al nostro amico Giulio; egli sicuramente si incaricherà
di inoltrarli con molta sollecitudine a destinazione ed essi serberanno poi con
tutta precisione il ricordo delle sue prestazioni, cosicché in seguito le loro
visite alla città di Genezaret si faranno sempre più rare»
4. Dice il comandante al suo ufficiale: «Raduna presto venti uomini ed
affrettati in città! Dichiara a quelle birbe spudorate che questa località, a
causa del forte presidio militare che vi è stabilito, si trova in stato di
assedio permanente e che non può né essere visitata né attraversata impunemente
senza l’espresso ordine di qualche comandante superiore romano. E se qualcuno
vi è penetrato, è prescritto che dopo aver scontato la pena gli vengano bendati
gli occhi e turate le orecchie con l’argilla e poi legate le mani e i piedi,
così conciato deve venire portato poi su di una barca, là disteso su della
paglia ed immediatamente inoltrato al luogo che avrà prima indicato. Giunto a
destinazione, gli verranno sciolte mani e piedi e liberati occhi e orecchie e
sarà sbarcato con uno spintone, non senza prima averlo severamente ammonito,
pena un maggiore castigo, a non ripetere il tentativo di mettere il piede in
una località di presidio senza la legale autorizzazione di un qualche
comandante superiore romano. Se i betlemiti non sono in possesso di un tale
documento, trattateli così come vi ho detto, senza eccezione. Se hanno del
denaro con sé, pagando duecento libbre d’argento possono ottenere il condono
della punizione, altrimenti la quadruplice legatura o chiusura non può in
nessun caso essere evitata, ma se non hanno denaro o se non vogliono pagare,
siano inflitti a ciascuno, prima di venir legato, quindici colpi di verga sulla
schiena, denudata fino ai lombi. Dixi fiat!». (Come ho parlato, così accada!)
5. Udito l’ordine del comandante, l’ufficiale con i venti uomini si
diresse rapidamente verso la città, dove in casa di Ebal trovò quattordici
farisei e scribi scalmanati che coprivano di ingiurie e maledizioni i servitori
di Ebal, perché non volevano servirli pienamente secondo i loro sfrontatissimi
intendimenti!
6. E quando l’ufficiale chiese loro che esibissero il permesso di
passaggio, loro sfacciati risposero: «Noi siamo sacerdoti di Dio, qui sono le
firme del Tempio ed altro non ci occorre in nessuna parte del mondo!».
7. Osserva l’ufficiale: «Questa località si trova in permanente stato
d’assedio; e qui ha vigore una severissima legge imperiale, in forza della
quale a nessun forestiero, senza eccezioni, è lecito mettere piede, a meno che
non abbia con sé quel certo documento legalizzato! L’ignoranza della legge non
scusa nessuno! Siccome voi, a quanto vedo, questa carta non l’avete, o pagate
immediatamente duecento libbre d’argento a titolo d’ammenda o, se vi piace di
più, ciascuno di voi riceverà quindici colpi di verga sulla schiena nuda! Dopo
ciò, vi verrà applicato il ben noto quadruplice vincolo, secondo la
prescrizione di Roma, e sarete poi trasportati nel luogo che vorrete indicare.
Tutto ciò deve avere corso senza la minima discussione, perché ogni indugio ed
ogni tracotante obiezione porta con sé il raddoppio della pena!».
8. I farisei e gli scribi, nell’udire un simile discorso, fanno subito
chiamare il maestro di casa di Ebal e gli ordinano di prestare loro
immediatamente duecento libbre d’argento! Ma costui risponde: «Che io sappia,
il mio padrone non vi ha fatti mai chiamare qui, come potete pretendere che
egli paghi per voi? Infatti prestare a voi qualcosa sarebbe come gettare i
propri denari in mare! Voi avete pur fuori quattordici asini ben carichi! Basta
che alleggeriate il carico di quelle bestie di duecento libbre e garantirete
così le vostre schiene dalle carezze pesanti della verga. Dunque, per parte mia
non vi do uno statere!».
9. A questa risposta del buono e fedele maestro di casa Ebal, i farisei
e gli scribi fanno un viso molto arrabbiato, escono sotto la scorta, per loro
molto sgradita, dell’ufficiale e liberano subito i loro animali da soma dal
peso eccessivo di duecento libbre d’argento.
10. Preso in consegna il denaro, l’ufficiale applica loro i noti
vincoli e li fa trasportare su di una grande barca assieme ai loro animali da
soma, qui vengono messi a giacere sulla paglia come tanti vitelli e poi, sempre
accompagnati dalla scorta militare che fa buona guardia, vengono inoltrati per
via mare là dove avevano detto di essere diretti. I giovani farisei e scribi
gemono certamente e fanno grandi lamenti, ma una volta tanto tutte le loro
querele non servono a nulla. L’ufficiale, invece, dopo un’ora è di ritorno da
noi e ci racconta come egli abbia eseguito con assoluta esattezza tutti gli
ordini che il comandante gli aveva impartito.
11. Il comandante allora gli esprime la sua lode e poi gli chiede dove
ha messo il denaro incassato.
12. E il sottufficiale risponde: «Signore, io nel frattempo l’ho consegnato
al maestro di casa di Ebal, che è un perfetto galantuomo, perché lo custodisca.
Tu poi farai quello che vorrai delle duecento libbre d’argento».
13. Dice il comandante: «Benissimo! Così credo che quei figuri non si
dimenticheranno tanto presto della nostra Genezaret! Che strada faranno?
Faranno direttamente la traversata per di qua o passeranno per il piccolo
braccio di mare a settentrione, oppure addirittura prenderanno la via ancora
più a settentrione, separata dal piccolo braccio soltanto da una strettissima
lingua di terra fino al mare e che tuttavia è larga e profonda abbastanza da
concedere il passo ad una barca con una trentina di persone senza toccare la
melma del fondo?»
14. Dice l’ufficiale: «Considerato che oggi è il sabato degli ebrei, per
evitare che la cosa suscitasse inopportunamente rumore, ho disposto appunto che
venissero avviati per il passo menzionato da te per ultimo»
15. Dice il comandante: «Hai agito molto bene e saggiamente! Presto
otterrai la tua promozione, il comandante Giulio te lo assicura. Per adesso è
opportuno che questi si ricordino bene di Genezaret e che passi loro la voglia
di ritornare così presto da queste parti».
Il comandante
Giulio racconta alcuni episodi con i templari.
1. Dice il comandante: «Credete a me, con questa gente bisogna
procedere senza pietà, altrimenti non si ha un momento di pace. Io non sono di
certo l’uomo che ha provato piacere quando, costretto dalle circostanze, ho
dovuto far punire qualche peccatore indurito e maligno; ho sempre cercato di
vagliare tutte le circostanze che possono indurre un uomo a commettere un
crimine, ma a questi ebrei, servitori del Tempio, sarei capace io stesso e con
gioia di separare la testa dal tronco, perché essi sono veramente i peggiori ed
i più ostinati delinquenti contro la povera umanità. In verità, se li si
osserva rigorosamente, ci si persuade ben presto che, sotto quella veste assai
malamente colorita da una specie di moralità religiosa, si nasconde un essere
più che diabolicamente mostruoso!
2. Io stesso ho potuto convincermi con i miei occhi e con le mie
orecchie, quando ero di guarnigione a Gerusalemme, con che insistenza e con
quali argomenti sono riusciti ad infinocchiare un povero diavolo che aveva due
denari in tasca, così da indurlo a gettarli tutti e due nella cassetta delle
elemosine! Il poveraccio, buon uomo ma debolissimo, depose realmente un denaro
nella cassetta e si scusò di non potervi mettere anche il secondo, perché
doveva fare ancora un lungo cammino prima di arrivare a casa sua e la moneta
che gli restava gli era necessaria per sostentarsi durante il viaggio! Ma
questo non servì a nulla: i farisei gli fecero comprendere che sarebbe stato
salutare per la sua anima, anche se durante il viaggio fosse morto di fame, per
amore e per la gloria di Dio e del Tempio! Se invece egli avesse tenuto per sé
quel denaro che Dio per bocca loro gli chiedeva, la sua anima non sarebbe in
eterno mai più potuta giungere alla mai abbastanza vantata contemplazione di
Dio, ma invece gli sarebbe toccato in sorte di dover bruciare per l’eternità
entro le fiamme dell’Ira di Dio! Il poveretto a questo discorso divenne tutto
pallido, cominciò a tremare, prese con mano incerta la sua ultima moneta e
depose anche questa nella cassetta delle elemosine. Quei figuri poi si misero a
borbottare qualcosa che somigliava ad una preghiera a vantaggio di quel povero
diavolo e così lo congedarono.
3. Io però seguii quel disgraziato che se ne andava tutto melanconico
e, quando fummo totalmente fuori del Tempio, lo avvicinai e gli dissi, in tono
amichevole ma serio: “Mio buon amico, come mai potete voialtri essere così
deboli da lasciarvi spremere a suon di chiacchiere fino all’ultimo statere da
questi ladroni? Quanto quei loschi figuri del Tempio vi vanno raccontando, essi
stessi non lo hanno mai creduto, ma sanno che gli uomini deboli, nella loro
cecità, li considerano onniscienti semidei, perciò, incutendo spavento per
mezzo delle parole, estorcono loro quanto possiedono e poi se la spassano in
bagordi a spese del prossimo, lasciando che coloro che hanno spogliato muoiano
di fame per la strada. Eccovi qui altri due denari, prendeteli ed andate a casa
vostra, ma badate di non venire qui un’altra volta, perché state pur certi che
questa presunta casa di Dio non è ormai che una spelonca di assassini e un covo
di ladri, di cui un vero Dio non potrà assolutamente mai compiacersi!”.
4. Quell’uomo mi guardò allora alcuni istanti con la faccia stralunata,
prese le monete dalla mia mano e disse infine: «O nobile signore! Tu devi
saperne molto più di me ed avrai certamente ragione!». Dopo di che egli si
congedò e fece ritorno al suo paese.
5. Nel Tempio io ho assistito personalmente mille volte ad episodi di
questo genere, anzi, una volta mi accadde di essere presente al seguente fatto,
di cui il personaggio principale era, come al solito, uno di questi curatori di
anime.
Quel tale era intento a sfoggiare tutta la sua eloquenza allo scopo di persuadere
una giovane la cui madre era bensì ricca, ma, da donna ragionevole e più
intelligente di altre, non aveva ancora mai arricchito di un solo denaro la
famosa cassetta delle elemosine del Tempio. Il sacerdote dimostrava chiaro come
il Sole alla figlia che essa sarebbe stata perduta per l’eternità, qualora non
si fosse impegnata per derubare la madre di nascosto, gettando poi il denaro
nella cassetta delle elemosine! Per fortuna la figlia, come la madre, era di
sentimenti rigidamente samaritani, cosicché quell’ipocrita ed imbroglione non
riuscì a indurre la giovane al furto, ed io ne fui assai contento.
6. In simili occasioni io più di una volta ho pensato: “Se io fossi
prefetto di Gerusalemme, il Tempio sarebbe già da lungo tempo ripulito di tutta
questa ciurmaglia!”. Ma nella mia posizione di uomo assolutamente subordinato
ad un prefetto di Roma, altro non posso fare che eseguire gli ordini.
7. Ora con Ponzio Pilato non c’è e non ci sarà mai niente da fare ad un
simile riguardo; egli è uno che scruta la natura, un amico per la pelle degli
scienziati di Pompei e di Ercolano, e si cura assai poco degli affari del
governo; egli lascia che Erode ed i signori del Tempio facciano quello che a
loro piace, purché il tributo dovuto a Roma venga puntualmente pagato. Per mia
buona sorte io qui non sono sotto il comando di Ponzio Pilato, bensì sotto
quello di Cornelio e questi a sua volta è agli ordini del vecchio padre
Cirenio, savio e giusto quanto mai, il quale, al pari di me, è un nemico
giurato del Tempio. Per tale ragione, nella mia posizione libera e del tutto
indipendente da Gerusalemme, posso trattare come si meritano i farisei e quei
rinnegatori di Dio che sono gli scribi quando mi capitano sotto le mani ed io
penso che Tu, mio vero Dio e Signore, non imputerai certo tale cosa a
peccato!».
1. Gli dico Io: «Per Me tu sei puro; soltanto vedi di fare sempre
attenzione, in ogni tua azione diretta a guidare e governare l’umanità, a non
scordare mai che anche il peccatore è tuo fratello!
2. Quando senti che nel tuo cuore cova l’ira contro il peccatore che ha
meritato un giusto castigo, deponi subito la sferza punitrice, perché, a causa
della tua ira, essa non sarà una benefica correttrice, ma una serpe, che nel
ferire il viandante con il suo morso velenoso non gli versa un balsamo
salutare, bensì un veleno che spegne nel ferito la vita.
3. E non credere di esserti sbarazzato di un nemico quando lo hai
mandato a morte, poiché, se durante la vita terrena non ti fu che un semplice
nemico, dopo la morte del corpo, quale spirito libero, egli ti diverrà nemico
cento volte di più e ti tormenterà in cento modi per tutta la tua vita e non ti
sarà possibile trovare alcun mezzo per poterti liberare del tuo invisibile
nemico.
4. Dunque, quando punisci qualcuno, fallo con amore e mai con l’ira!
Perciò anche avendo a che fare con i farisei, non eccedere mai dai limiti. Non
devi in fondo dimenticare che essi sono delle cieche guide di ciechi! Però è il
mondo che li rende ciechi, ma il mondo è di Satana, che tu hai imparato a
conoscere.
5. Vedi, in Me risiedono ogni forza e potenza sopra il Cielo e sulla
Terra. Io solo con un pensiero potrei annientarli tutti, eppure li tollero
pazientemente e li sopporterò fino al tempo giusto in cui la loro misura sarà
diventata colma.
6. Gli uomini muovono anche Me a sdegno e la loro incorreggibilità
rende triste il Mio cuore, ma tuttavia li sopporto e li punisco sempre con
amore, affinché abbiano a migliorarsi e possano entrare nel regno della vita
eterna, per il quale soltanto sono stati creati. Dunque, se tu vuoi essere un
giudice giusto, Mi devi seguire in ogni cosa!
7. Certamente è più facile pronunciare una sentenza contro qualcuno che
emanarla a carico proprio, ma chi prende su di sé la sentenza di un uomo che è
stato condannato ed ha cura di lui e lo aiuta a risollevarsi, costui sarà un
giorno chiamato grande nel Regno di Dio. Prendete nota voi tutti di questo che
ho ora detto, poiché, se sono Io che così ordino e così voglio che sia, voi non
potete fare che sia altrimenti. Io sono il Signore della Vita e della morte! Ed
Io solo so cosa sia veramente la vita e cosa ci voglia per mantenerla
nell’eternità e per goderla in perfetta beatitudine.
8. Se voi vivrete secondo la Mia dottrina, manterrete la vita e ne
goderete in beatitudine perfetta, ma se opererete contrariamente ad essa, voi
perderete la vita ed entrerete nel regno della morte, che è lo stato più
infelice di ogni vita ed è un fuoco che mai si estingue ed un verme roditore
che non muore mai!».
9. Dice il comandante: «Signore! Io vedo fin troppo bene la necessità
di tutto ciò che hai detto, ma in pari tempo anche l’immensa difficoltà di
vivere rigorosamente secondo le Tue parole. Il livellare delle piccole colline
non è certo una grande arte, ma quando ci stanno contro montagne intere di
impedimento e di difficoltà, allora è già del tutto impossibile procedere per
una via diritta. E in ciò, o Signore, ci è necessario il Tuo aiuto!».
10. Dico Io: «Ma Io sono venuto a questo mondo appunto per portare a
tutti voi un aiuto, laddove da voi stessi non avreste trovato in eterno mai una
via d’uscita! Dunque, confidate sempre nel Nome Mio e su di Esso sempre
edificate ed in tal modo vi si renderà possibile anche quello che vi sembra
impossibile! Ora però faremo ritorno a casa, perché il Sole è già vicino al
tramonto».
11. Allora il mastro barcaiolo domanda fino a quando avrebbero dovuto
tenere pronta la barca per una eventuale partenza.
12. Ed Io gli dico: «È necessario che ad ogni ora voi siate pronti alla
partenza, affinché, se il padrone della navicella viene innanzi tempo, egli non
vi trovi pigri ed inattivi e non vi dia la ricompensa e vi licenzi! Eppure
servire Dio è facile, mentre molto difficile è servire gli uomini!»
13. Chiede ancora il mastro barcaiolo: «Signore, se i farisei che sono
partiti ieri per Gesaira, probabilmente in funzione di missionari, per tentare
di riguadagnare al Tempio la maggior parte degli ebrei che si sono convertiti
alla fede greca, ritornassero qui e volessero ingaggiare con noi una disputa
riguardo all’interpretazione del salmo 47, come anche ci hanno promesso, cosa
dobbiamo dire loro?»
14. Ed Io rispondo: «Promettete loro sette buoni denari se sono capaci
di spiegarvi bene il salmo. Se ve lo spiegano male non date loro nulla, ma se
non possono spiegarvelo affatto vi sia riservato il diritto di richiedere da
loro sette buoni denari e di prenderli per voi, sotto minaccia di far ricorso
all’assistenza militare qualora si rifiutassero al pagamento!»
15. Dice il comandante: «In questo caso basta che vi rivolgiate a me ed
essi dovranno pagare sette volte sette denari senza pietà e senza riguardi!»
16. Con ciò i barcaioli furono perfettamente rassicurati e noi facemmo
ritorno alla città e rientrammo in casa di Ebal dove, essendosi fatta già sera,
tutta la servitù era affaccendata al completo nei preparativi di una buona
cena. Il comandante, da parte sua, per prima cosa si fece dare le duecento
libbre d’argento e le consegnò poi ad Ebal con le parole: «Prendi questo denaro
in tuo possesso, quale un piccolo risarcimento per le molte centinaia di poveri
ed ammalati che hai assistito e dai quali non hai mai preteso neanche uno
statere! Tu però sei in questa città veramente l’unico uomo degno di questo
nome! Tutta l’altra gente di questo luogo non merita affatto l’onorifico nome
di uomo, perché sono tutti completamente morti e non si curano di niente e non
fanno né pensano a niente. Pensate forse che tutti i miracoli che sono stati
fatti qui in questi pochi giorni abbiano lasciato una qualche impressione su
questa gente? Oh, proprio nessuna! Questi fifoni vanno in giro come prima l’uno
intorno all’altro come se niente fosse accaduto. Certo, quelli che erano
ammalati si sono lasciati guarire ma a mala pena hanno ringraziato per questo e
oggi non ci pensano quasi più al fatto che erano malati e che sono stati
completamente guariti dalla loro malattia in modo estremamente meraviglioso!
Per queste ragioni il nostro buon Ebal è anche l’unico uomo che vi sia in
questa città; tutto il resto è senza esagerazione più bestia che uomo!».
17. Ebal allora prende in consegna il denaro, assicurando che sarà da
lui impiegato nel modo migliore e più utile per il prossimo.
1. Definita anche tale questione, i servitori portano subito vino e
pane e dei pesci ben preparati in buon numero e tutti prendono posto alla mensa.
Giara porta con sé Raffaele a tavola e gli mette davanti un pesce ben grande,
perché lo mangi, ma Raffaele osserva: «Mia diletta sorella, questo sarebbe in
verità un po’ troppo per una cena; offrimi dunque un pesce più piccolo!»
2. Dice Giara: «Oh, se ti ho visto oggi come hai mangiato a pranzo
diversi pesci! Perciò potrai ben arrivare a finire questo anche stasera!
Mangia, dunque! Guarda qui il mio Signore Gesù: è certamente uno Spirito
infinitamente più grande e sublime di te, eppure è il secondo pesce che mangia
con manifesta compiacenza, poi beve del vino e prende anche sempre un pezzo di
pane; dunque, fa’ così anche tu, dato che per il momento sei anche tu un uomo
fra noi, non devi tenere in poco conto la nostra umanità per la ragione che di solito
sei uno fra i primi angeli di Dio»
3. Risponde Raffaele: «Ebbene, se proprio lo vuoi, bisogna che mi
adegui alla tua volontà. Tu sei una fanciulla troppo gentile e buona e per
l’amore che ispiri non è possibile negarti niente». Detto ciò, Raffaele prese
in mano l’intero pesce che pesava cinque libbre, lo accostò alla bocca ed in un
attimo appena percettibile lo mangiò tutto.
4. E Giara, vista la cosa, esclamò sbalordita: «Ma come hai potuto
inghiottire, per l’amor di Dio, così presto quel pesce così grande! Oh, amico
mio! Con un simile appetito e con una simile capienza tu potresti mangiare
molto facilmente anche un mostro marino arrosto! E, infine, anche l’enorme
pesce, nel cui ventre Giona dovette languire per tre giorni, dovrebbe essere
per te uno scherzo mandarlo nello stomaco in un solo boccone!»
5. Dice Raffaele: «Per me sarebbe, per così dire, uno scherzo anche il
trovare posto a molte migliaia di tali pesci, però quello che oggi mi hai
offerto è più che sufficiente! Io l’ho davvero molto gustato. Avrei potuto
anche mangiarlo lentamente come te, ma allora ti saresti fatta l’idea che io
sia già completamente un uomo di questa Terra e ciò non sarebbe bene per te,
perché così la mia persona, precisamente la mia forma, potrebbe farti
innamorare di me! Ma siccome io, all’occasione, ti dimostro che non sono
completamente un uomo terreno, questa constatazione fa sì che tu sia trattenuta
da un lieve timore e in tal modo ti è facile restare nel tuo piano, come io
resto nel mio. Ti accadrà più di una volta ancora di dovermi vedere ideatore di
qualche piccola azione maliziosa di questo genere! Se voglio, posso anch’io
diventare proprio cattivo, ma in tali casi il mio essere cattivo ha sempre la
sua savia ragione».
6. Dice Giara: «Questo veramente non mi piace di te, cioè che tu debba
ricorrere a qualche cattiva azione anche per raggiungere uno scopo buono.
Guarda qui il Signore, che è tutto l’amor mio, Egli raggiunge soltanto nobili o
buoni scopi anche senza cattive azioni, allora perché non dovresti raggiungerle
pure tu? Io sono dell’opinione, e questa non me la lascio togliere, che il male
stesso suscita sempre dell’altro male e che soltanto il bene genera nuovamente
il bene. Secondo me dico il vero affermando che, se qualcuno vuole raggiungere
qualcosa di buono usando mezzi cattivi, costui si sbaglia di grosso, sia pure
egli mille volte un angelo. Dunque io ti chiedo di non venir fuori con niente
di cattivo, altrimenti puoi startene anche lontano da me. Io non sono che una
debole fanciulla, anzi un piccolo verme in confronto a te e tuttavia nel mio
cuore alberga l’amore di Dio e questo non può sopportare niente che sia anche
soltanto apparentemente cattivo. Mi hai compresa, mio caro Raffaele?»
7. Risponde Raffaele: «Oh, sì, questa è una cosa che si può ancora
comprendere e perciò anch’io la comprendo molto bene, però tu invece, per
quanto concerne la mia temporanea cattiveria, non mi hai compreso, e ciò
risulta chiaro dal fatto che tu me l’hai rimproverato! Ma solo quando mi avrai
compreso non sarai più indignata contro di me! Ma affinché tu ti convinca che
la cattiveria celeste è essa pure una mirabile virtù, io voglio renderti la
cosa chiarissima e palpabile mediante un breve esempio.
8. Vedi, noi spiriti del Cielo abbiamo un potere visivo molto vasto; il
tuo pensiero non giunge tanto lontano quanto a noi è dato di vedere con un solo
sguardo nella massima chiarezza. Ora accade molto spesso che qui e là,
particolarmente su questa Terra, gli uomini divengano proprio davvero
spavaldamente cattivi. Noi facciamo allora ogni sforzo possibile e tratteniamo
l’uomo cento volte dallo sfidare qualche grave pericolo, ma l’uomo sente sempre
di nuovo il prurito e la spinta ad esporsi al medesimo pericolo. E quando
vediamo che tutti i nostri sforzi non approdano a nulla, lasciamo che
finalmente l’uomo, nella sua spavalderia, cada pure nel pericolo che sembra
attrarlo e permettiamo che si riduca così male che per lungo tempo ha un bel da
fare a leccarsi le ferite. Poi avviene che, poiché ha imparato a proprie spese
ed è divenuto prudente grazie all’esperienza, egli abbandona la sua spavalderia
e la sua follia molto spesso maligna ed appare infine come un uomo che si è
migliorato da sé.
9. «Succede ad esempio molto spesso che dei genitori non arrivino mai
abbastanza in tempo e con sufficiente efficacia ad ammonire i figli e a
distoglierli da questo o quel gioco che è spesso congiunto a gravi pericoli,
allora interveniamo noi con la nostra celeste malizia e facciamo in modo che i
fanciulli si facciano male, ma proprio per bene, con i giochi che furono loro
proibiti, anzi qualche volta lasciamo che le cose giungano fino al punto che un
fanciullo o l’altro debba pagare la sua disobbedienza anche con la morte, per
intimorire e fare rinsavire gli altri. I fanciulli, poi, presi dallo spavento,
sentono allora un salutare orrore per i giochi pericolosi e proibiti e vi
rinunciano per sempre! In questi casi trova effettiva conferma il detto: “Un
fanciullo scottato ha paura del fuoco”.
10. Anche per te alcuni piccoli anni terrestri fa ho messo in pratica
un paio di volte una simile malizia celeste e questa ti ha reso dagli ottimi
servizi, tanto che poco dopo sei diventata una fanciulla veramente brava e
buona. Ebbene, dimmi ora: cosa ne pensi della mia cattiveria?».
Dell’amore,
mitezza e pazienza.
1. Giara, colpita dalle parole dell’angelo, dice a mezza voce: «Oh, se
le cose stanno a questo modo, certo che deve essere giusto così, se tu me lo
avessi detto prima, allora non ti avrei fatto nessuna obiezione! Ammettendo
come principio inviolabile la ben nota intangibilità del volere umano, laddove
tutti i possibili mezzi pacifici e miti non possono ottenere alcun risultato, è
evidente che altro non resta se non il ricorrere ai mezzi cattivi. Questo è
vero, sicuramente vero; noi finiremo bene con l’intenderci, soltanto non devi
diventare così presto troppo veemente. Tu mi piaci immensamente, quando parli
in maniera piana e dolce, ma quando il tuo discorso comincia a fluire con
irruenza davvero precipitosa, perfino la verità più pura non è buona da sentire
dalla tua bocca.
2. Io penso che, anche in avvenire, tutti gli spiriti celesti, per
quanto perfetti, debbano darsi la cura di parlare così come parla il Signore e
il Creatore di tutti gli spiriti e di tutti i soli, mondi ed uomini! La parola
del Signore, anche quando si tratta di argomenti serissimi, sgorga
costantemente morbida, come è morbida la lana di un agnello, e le Sue parole
scorrono come latte e miele. Dunque, è bene che anche ogni maestro ed ogni
guida imitino il Suo esempio, perché, secondo il mio giudizio, nelle parole
dette in tono dolce risiede sempre la massima forza! Chi grida e parla con
violenza molto spesso offende, laddove intendeva guarire! Considera
l’espressione sempre ugualmente amorevole del Signore nella Sua faccia, di
fronte a tutti, amico e nemico che sia! Chi può meravigliarsi se gli ammalati
riacquistano la salute solo perché Egli li ha guardati? Dunque, mio carissimo
Raffaele, così devi essere anche tu nella parola e nell’azione verso di me e
verso qualsiasi altro, allora sì che ogni tuo passo su questa Terra traboccherà
di benedizione!»
3. Dopo che Giara ebbe finito il suo discorso, Io la strinsi al Mio
petto e dissi a tutti coloro che erano presenti: «Ecco qui il più perfetto
discepolo che Io abbia avuto finora e che in verità può far lezione ai Miei
angeli, perché questa fanciulla Mi ha afferrato nel più profondo e così Mi ha
compreso più vivamente di ogni altro! Ma essa perciò, in compenso, possiede
anche in piena misura il Mio Amore.
4. In verità Io vi dico: quando voi ve ne andrete per il mondo ad
insegnare ai popoli nel Nome Mio, ricordatevi bene delle parole che questa
carissima e soave fanciulla ha ora detto al Mio angelo, e ogni vostro passo ed
ogni vostro atto saranno accompagnati da ogni benedizione. Siate pazienti ed in
ogni occasione pieni di mansuetudine e così spargerete in abbondanza le
benedizioni nei cuori degli uomini. Il Mio angelo Raffaele, però, ha dovuto
parlare così per attirare questa Mia dilettissima Giara all’enunciazione di
tale dottrina; per il resto è egli pure dolce e soave come un tiepido
venticello della sera e tenero come la morbidissima lana di un agnello».
5. Tutti s’impressero bene in mente queste Mie parole e convennero che
erano giuste e buone; soltanto il comandante trovò qualcosa da osservare e
disse: «Tutto ciò è divino, puro e vero, ma se io parlassi ai miei soldati in
un tono troppo dolce, farei una pessima figura ed essi a mala pena mi
starebbero a sentire; quando invece nel mio discorso energico fa capolino
qualche fulmine e qualche tuono, allora tutto procede sicuramente bene!»
6. Dico Io: «Ma qui non va tanto intesa una mansuetudine esteriore
quanto piuttosto la vera mansuetudine interiore; laddove è necessario fare
savio uso della cattiveria celeste, lo si faccia senz’altro, poiché la norma
propria di ogni sapienza è questa: “Essere accorti come i serpenti, ma nello
stesso tempo anche mansueti come sono le colombe”.
7. Dice il comandante, con la faccia rasserenata e con lieta voce:
«Signore, ormai io ho quello che veramente mi occorre; così l’azione di un
giusto è giustificata attraverso tutti i Cieli! Però è bene fare molta
attenzione nel calcolo, in modo da non sbagliare nella misurazione della
pretesa accortezza e qui, per dirla nel linguaggio scientifico di Euclide,
vorrei asserire che ad una data misura di accortezza bisognerà sommare un’altra
misura uguale d’amore, pazienza e mansuetudine, e si otterrà così un risultato
privo di errori!»
8. Dico Io: «Sì, certamente, così il problema sarà impostato nel
migliore dei modi, e il risultato pieno di benedizione sarà perfettamente
garantito, e ogni giustizia ed ogni giudizio troveranno la loro piena giustificazione
in ciò! Questo è il fondamento sul quale si può edificare, ma dove invece non
ci sono fondamenta, non si può costruire alcun edificio. Perciò, prima di
iniziare una costruzione, preparate dappertutto delle fondamenta di questo
genere, così le vostre fatiche non saranno mai vane.
9. Voi provenite da Dio e dunque dovete anche essere in tutto simili a
Dio. Ma Dio si prende tempo nel creare. Prima c’è il seme e fuori da esso il
germoglio, dal germoglio poi cresce l’albero; questo a sua volta mette prima le
gemme, poi le foglie e i fiori e per ultimo il frutto saporito, nel quale si
trova di nuovo il seme originale che viene maturato nel frutto e reso atto
all’ulteriore riproduzione.
10. Ma come in piccole proporzioni avviene della pianta, così è avvenuto
anche del mondo intero. Il Sole non sorge sopra l’orizzonte senza essere
annunciato e l’uragano è sempre preceduto da segni ammonitori che possono
benissimo essere riconosciuti da ognuno!
11. Dunque, se Dio stesso osserva in tutte le cose, con assoluto rigore
e con la più grande pazienza e costanza, un tale ordine nel succedersi delle
formazioni, potrete bene anche voi, quali Miei veri discepoli, seguire Me in
ogni cosa che vi ho mostrato e per la quale vi ho spianato la via, affinché non
abbiate a smarrirvi su quella via che avete costruito da voi stessi! Avete
tutti bene compreso quello che ho detto?»
12. Risponde il comandante: «Signore, per parte mia ho ben compreso
tutto e credo che fra di noi non ci sia proprio nessuno che non abbia compreso
queste verità celesti più chiare del Sole! A Te solo siano rese grazie e ogni
gloria e onore per questo!»
13. Dico Io: «Tu credi benissimo che queste Mie parole siano state
comprese da tutti i presenti qui. Certo, essi le hanno veramente comprese,
anche quello le ha comprese con il proprio cervello, ma non con il proprio
cuore!».
14. Questa Mia asserzione portò turbamento ed imbarazzo nell’animo di
tutti, ed i discepoli Mi chiesero chi fosse colui al quale Io avevo voluto
alludere.
15. Io però dissi: «Ancora non è il tempo di annunciare tale cosa giù
dai tetti, ma quando il tempo sarà venuto, voi vi ricorderete bene di queste
Mie parole. Chi di voi, però, nutre un qualche sospetto prima del tempo, lo
conservi in cuor suo, perché conviene che nessun albero venga abbattuto!»
16. Da tali parole i discepoli arguirono che Io avevo voluto parlare di
Giuda Iscariota, ma essi tacquero e non tradirono minimamente la supposizione
fondata, sorta nel loro animo.
17. Dopo ciò, Matteo e Giovanni Mi domandarono se non sarebbe stato
opportuno prendere nota per iscritto di un tale sublime insegnamento per il
bene dell’umanità.
18. Ed Io dissi: «Voi intanto potete mettere per iscritto la dottrina
dell’amore, della mansuetudine e della pazienza, però su un foglio separato,
senza aggiungerlo al fascicolo principale già in corso di lavoro, perché,
riguardo a questo argomento, Io avrò occasione di parlare ancora parecchie
volte ed Io ben vi dirò quando sarà necessario scrivere. Ed ora noi riposeremo
e ci dedicheremo nuovamente alla contemplazione interiore di noi stessi, che è
una vera celebrazione del sabato in Dio!»
19. A queste Mie parole si fece silenzio in casa e rimanemmo in tal
modo quieti e seduti per tre ore.
20. Trascorso questo tempo, Io dissi: «Ecco che ormai il sabato è
compiuto e noi possiamo offrire alle nostre membra il necessario riposo!».
Allora tutti si ritirarono per il riposo della carne. Il mattino era già
abbastanza inoltrato quando ci alzammo dai nostri giacigli.
Congedo del
Signore e partenza per Sidone e Tiro
(Matteo
15,21)
1. Dopo la colazione ci occupammo di svariatissime cose e, fra l’altro,
Io diedi ad Ebal diversi suggerimenti in materia di agricoltura, su come doveva
coltivare i campi e trattare i suoi frutteti e le sue vigne, affinché gli
dessero sempre un abbondante raccolto che egli di certo avrebbe impiegato nel
miglior modo possibile. Gli mostrai pure come si poteva nobilitare la frutta e
renderne più abbondante il raccolto e gli insegnai la coltivazione e l’uso di
molte erbe che da allora furono utilizzate in cucina. Io gli indicai anche
diverse radici e tuberi che ugualmente potevano sempre essere usati come buon
nutrimento e gli mostrai come si dovevano preparare tanto le erbe che le
radici. A dirla breve, nei due giorni seguenti da Me trascorsi a Genezaret Io
insegnai ad Ebal tante altre cose riguardanti la coltivazione del suolo che,
fino ad allora, non erano a conoscenza di nessun ebreo. Io gli dissi poi ancora
che le carni di lepre, di coniglio, di capriolo e di cervo, se preparate in un
determinato modo, potevano anche queste fornire un arrosto puro e gustoso,
senza che chi ne avesse mangiato diventasse perciò immondo, e gli indicai
contemporaneamente anche l’epoca in cui questi animali dovevano venire presi ed
uccisi. E così lo istruii riguardo a moltissime altre questioni e l’onesto Ebal
ne fu oltremodo contento.
2. Coadiuvato poi dai Miei discepoli, piantai un orticello per Giara,
vi seminai ogni tipo di piante utili, erbe e radici e le raccomandai di curarlo
con ogni attenzione. Essa fra molte lacrime di gioia Me lo promise e disse che
quando sarei ritornato avrei trovato l’orticello nel suo massimo sviluppo. E
così, dunque, in casa di Ebal tutto si trovò ben presto in perfettissimo
ordine.
3. In questo modo, fra queste utili e svariatissime occupazioni,
trascorsero la domenica, il lunedì e il martedì, poi Io volli dare disposizioni
per la continuazione del Mio viaggio, ma il comandante, Ebal con le mogli, le
figlie, i figli e particolarmente Giara Mi pregarono con tanta insistenza e
fervore di passare in casa loro ancora quella notte, ed Io accondiscesi e
rimasi là fino alla mattina del mercoledì.
4. L’indomani, di buon mattino, vennero però alcuni dei barcaioli e
raccontarono che i farisei erano bensì tornati il giorno prima da Gesaira ed
avevano parlato con loro, ma non avevano fatto neppure menzione del salmo 47;
ma in compenso, con tanta maggior diligenza, si erano informati di Me, perché
intendevano chiamarMi a rispondere per aver allontanato da Gerusalemme tutta
Gesaira! Ma i barcaioli a simili domande non avevano dato risposta, invece
avevano preso da loro i denari d’argento che i farisei avevano pagato con grave
indignazione ed accompagnamento di ingiurie; dopodiché erano risaliti sulla
loro barca ed avevano ripreso il viaggio in direzione di Cafarnao,
probabilmente per ottenere là informazioni più esatte sul Mio conto, sempre a
detta dei barcaioli, al quale scopo veramente pare che essi fossero stati
delegati tanto dal Tempio quanto da Erode.
5. E come Io ebbi appreso dai barcaioli questo fedele racconto, ordinai
loro di mettere in partenza entro un’ora la nave per riprendere il mare; essi
se ne andarono e fecero quanto da Me fu ordinato.
6. Ma quando Giara, che già di buon mattino era intenta a curare il suo
orticello, entrò nella stanza dove Io Mi trovavo e sentì che Io ero in procinto
di partire, cominciò a piangere amaramente e Mi supplicò di potermi fermare
ancora almeno un’ora! Si sentiva il cuore addirittura oppresso al solo pensiero
che essa – Dio sa per quanto tempo ancora – non Mi avrebbe più riveduto.
7. Io però la consolai e le diedi l’assicurazione che ben presto Mi
avrebbe riveduto anche corporalmente, mentre spiritualmente avrebbe potuto
parlare con Me quando le fosse piaciuto ed Io le avrei posto nel cuore sempre
una risposta perfetta e chiara; oltre a ciò l’angelo Raffaele restava
visibilmente presso di lei al posto Mio ed egli l’avrebbe guidata per la giusta
via. Con ciò la fanciulla in lacrime si calmò.
8. Allora Io benedii tutta la casa di Ebal e Mi misi in cammino verso
il mare dove la navicella ci attendeva. Va da sé che in questa occasione la
casa di Ebal al completo, il comandante ed una grande quantità di popolo Mi
accompagnarono fino alla riva.
9. I due esseni ed i pochi farisei e scribi convertiti Mi pregarono di
permettere loro di accompagnarMi in qualunque luogo dove Mi sarebbe piaciuto
andare.
10. Ma Io risposi: «È meglio che voi restiate qui, affinché il mondo
non ne sia anzitempo indignato! Infatti gli uccelli hanno i loro nidi e le
volpi le loro tane, ma il Figlio dell’uomo non ha qui una pietra da poter
prendere come Sua assoluta proprietà e posarvi sopra il Suo capo. Siccome Io
non possiedo beni su questa Terra e tuttavia conduco con Me una grande schiera
di uomini, si comincerebbe a dire: “In quale modo Egli li nutre? È certo che
Egli non ha né campi, né prati né greggi, dunque, o Egli è un ladro o è un imbroglione!”.
Perciò, per evitare una simile cosa, restatevene qui e voi esseni andate dai
vostri fratelli e raccontate loro tutto quello che avete udito e visto ed essi
tutti si convertiranno e diverranno di sentimenti migliori.
11. E se voi, farisei e scribi, doveste eventualmente venire richiamati
dal Tempio per dare informazioni o pareri sul Mio conto a coloro che insidiano
la Mia Vita, non parlate delle Mie opere, ma invece tanto più ed apertamente
della Mia dottrina! Non temete coloro che in caso estremo possono bensì
uccidere il vostro corpo, ma non possono recare ulteriormente danno all’anima
che sopravvive in eterno! Però essi non vi aggrediranno. E se vi respingono dal
loro seno, andate dagli esseni che vi accoglieranno a braccia aperte»
12. Dice il comandante: «Oh, voi potete anche rimanere con me, io vi
conferisco la cittadinanza di Roma e vi do delle vesti alla foggia romana ed
una spada ed allora sicuramente sarete in pace e pienamente garantiti contro le
trame del Tempio e dei suoi malvagi servitori»
13. Ed Io aggiungo: «Sì, certo, anche questo potete fare! Però siate
sempre accorti come i serpenti e così potrete, nel modo migliore, trarvi
d’impiccio di fronte al mondo».
14. Dopo ciò salii sulla navicella con i Miei circa venti discepoli in
tutto e, essendosi levato un vento favorevole, ci dirigemmo con grande velocità
verso la riva opposta, in direzione di Sidone e Tiro, città che si trovavano
sul mare Mediterraneo e perciò certamente ancora ad una bella distanza dal mare
di Galilea.
Scena con la
donna cananea a Tiro
(Matteo
15,22-29)
1. Quando noi abbandonammo la navicella all’altra riva, ci restava da
fare ancora una buona marcia sul territorio greco prima di raggiungere la
regione delle due città. (Matt.15, 22). Arrivati che fummo ai confini della
regione di Tiro, dopo averli oltrepassati mentre avanzava la sera, vedemmo
venirci dietro di corsa una donna che era nativa di Cana di Galilea, ma già da
quindici anni era sposata ad un greco, stabilitosi nei dintorni. Essa Mi aveva
riconosciuto mentre la comitiva passava e cominciò a gridare: «Abbi pietà di
me, o Signore, figlio di Davide! Mia figlia è malamente tormentata dal
demonio!». (Matt.15, 23). Io però lasciai che gridasse, non le risposi nulla e
proseguii il cammino.
2. Ma, poiché la donna gridava tanto forte da riuscire molesta ai
discepoli, questi si avvicinarono a Me, trattenendoMi e dissero: «Allontanala
da Te, dunque, perché essa va gridando già da mezz’ora, tanto che ne abbiamo
gli orecchi tutti intronati! Se Tu non vuoi o non puoi aiutarla, ordinale
almeno di lasciarci in pace, altrimenti la gente che passa qui per la strada
comincerà a credere che noi abbiamo fatto del male a questa donna e se saremo
fermati ci molesterà con domande di ogni specie!»
3. Ed Io in risposta dico ai discepoli: «Io non sono mandato, se non
per le pecore perdute della casa d’Israele». (Matt.15, 24).
4. A queste Mie parole i discepoli si guardarono l’un l’altro meravigliati,
non sapendo come avrebbero dovuto interpretarle e Giuda Iscariota Mi tacciò di
incongruenza grave dicendo a Tommaso: «Qualche volta c’è proprio da dare la
testa nel muro a certe Sue palesi contraddizioni tanto nel parlare che
nell’agire! Nel caso di questa donna che Gli chiede soccorso, Egli dice di
essere andato soltanto per le pecore della casa d’Israele, ma quando ha
concesso ogni aiuto possibile ai romani, che sono più pagani di questa
disgraziata mezza greca e mezza ebrea, Egli non ha pensato che era stato
mandato solo per le pecore della casa d’Israele!»
5. Tommaso gli risponde: «Questa volta certamente non posso darti del
tutto torto, però tuttavia io resto fermo nell’idea che in questo caso Egli
avrà qualche ragione particolare per cui non vuole affatto aiutare questa
donna!»
6. E mentre i discepoli così confabulavano tra di loro, la donna Mi
venne vicino, si gettò ai Miei piedi e ripeté: «Signore, aiutami!». (Matt.15,
25)
7. Ma Io guardai la donna e risposi: «Non è cosa onesta prendere il
pane dei figli e gettarlo ai cani!». (Matt.15, 26)
8. E la donna osservò umilmente: «Dici bene, o Signore, ma pure i
cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla mensa dei loro padroni!»
9. Questa risposta riempì tutti i discepoli di meraviglia e Pietro
osservò tra sé: «In verità è quasi incredibile! Assai di rado ho riscontrato
tanta sapienza in una ebrea; la donna però è greca di nascita, quantunque abbia
visto la luce a Cana di Galilea ed io la conosco per averle più volte venduto
del pesce; da allora però sono certo trascorsi già quindici o sedici anni»
10. Ma Io guardai la donna e le dissi: «O donna, grande è la tua fede;
ti sia fatto come tu vuoi!». (Matt.15, 28).
11. Allora la donna si alzò, Mi ringraziò e ritornò in fretta a casa
sua, dove trovò sua figlia guarita. La gente, però, che era a casa presso la
fanciulla, raccontò alla madre appena arrivata come il demonio fosse uscito
visibilmente da lei con grande violenza e fra terribili maledizioni mezz’ora
prima. E la donna riconobbe che ciò era avvenuto nello stesso momento in cui
Io, trovandoMi al confine della regione di Tiro, le avevo detto: «O donna,
grande è la tua fede; ti sia fatto come tu vuoi!».
12. Frattanto era scesa la sera ed i discepoli Mi domandarono se Io
intendevo proseguire immediatamente per Tiro, oppure se avrebbero dovuto andare
in cerca di un ricovero lì presso il confine, considerato che la città di Tiro
era distante ancora tre ore di cammino.
13. Ma Io dissi ai discepoli: «Sapete una cosa? Invece di andare da qui
verso occidente, dove si trova Tiro, noi volgeremo in direzione tra mezzogiorno
ed oriente, per portarci di nuovo al mare di Galilea. Lì, proprio alla riva,
s’innalza una bella montagna sulla cui cima completamente libera possiamo
arrivare da qui comodamente in due ore; là noi pernotteremo».
14. A queste Mie parole procedemmo a piedi nudi; dopo un’ora giungemmo
al mare di Galilea e contemporaneamente ai piedi del monte sulla cui cima
arrivammo con calma in un’ora.
15. Appena arrivati sulla cima, ci coricammo sulla molle e folta erba
alpestre e ci riposammo senza tuttavia prendere subito sonno.
1. Dopo aver riposato qualche tempo, Pietro disse: «Signore! Molte cose
mi sono ormai già chiare, ma la possessione da parte del demonio,
particolarmente di fanciulli piccoli ed innocenti ed il fatto che essi di
frequente vengono miseramente tormentati da un simile e pessimo abitante del
loro corpo, questo non lo capisco!
Io non comprendo come la Tua sapienza e il Tuo ordine possano
permettere un tale eccesso! La figlia della donna, che ci è corsa dietro oggi,
dovrebbe avere 14-15 anni e, a detta della madre, è già 7 anni che viene
tormentata ogni giorno per circa sette ore consecutive in modo
indescrivibilmente crudele e doloroso da uno spirito. demoniaco. Io ora mi
domando: perché è concesso che avvenga una cosa simile?»
2. Dico Io: «Queste cose il vostro intelletto non è in grado di
comprendere ancora dalla radice, ma considerato che siamo qui assieme
indisturbati, Io voglio tuttavia darvi qualche chiarimento a proposito; dunque,
ascoltateMi!
3. La Terra è la portatrice di due specie o qualità di uomini. Una
specie, la migliore, proviene già originariamente dall’Alto, e con questi sono
da intendersi i figli di Dio. L’altra, e propriamente la cattiva specie,
proviene unicamente da questa Terra; la loro anima è, in certo qual modo, un
complesso di singole particelle vitali, le quali, tratte dall’essere di Satana,
sono tenute prigioniere sotto forma di materia nella massa del corpo terrestre;
da questa massa esse passano attraverso il regno vegetale e poi nel regno
animale; e da qui, attraverso i molti gradini del regno animale, giungono
finalmente a costituirsi in una potenza consistente di innumerevoli particelle
animiche primordiali, che formano l’anima dell’uomo del mondo. Tali anime poi,
durante gli atti procreativi specialmente non benedetti, assumono la carne nei
corpi delle donne, e vengono poi messe al mondo esattamente come i figli della
Luce proveniente dalla sfera spirituale celeste.
4. Ebbene, questi figli del mondo, il cui essere è tratto
esclusivamente da quello di Satana, sono sempre più o meno esposti al pericolo
di venir posseduti da qualche spirito maligno, cioè dall’anima nera di un
qualche uomo-demonio già vissuto prima nella carne su questa Terra. Ora, questa
cosa può particolarmente verificarsi, prima che in altre circostanze, là dove
una simile giovane anima sorta dall’elemento satanico-terrestre cominci ad indirizzarsi
al bene e al celestiale. Siccome con ciò una parte vitale tenta di staccarsi
violentemente dalle sfere infernali, a tutto l’inferno ne deriva un dolore
insopportabile, e perciò anch’esso corre ai ripari e fa ogni sforzo possibile
per prevenire una tale ferita.
5. Tu certo domanderai ora come mai un fatto di questo genere possa
causare all’inferno un dolore, poiché una simile anima di fronte all’inferno
intero dovrebbe pur trovarsi in un rapporto ancora indicibilmente più piccolo e
meschino di un peluzzo qualsiasi del corpo umano di fronte a tutto il corpo
umano! Ed Io ti dico che la considerazione come tale è giusta; però afferra in
un modo qualunque anche il più piccolo peluzzo fra quelli che crescono sulla
tua epidermide e strappalo, e ti accorgerai se al momento dello strappo non
sentirai un dolore acuto ed intollerabile non solo nel punto insignificante
dove cresceva il peluzzo, ma bensì anche in tutto il tuo corpo; tale dolore ti
porterebbe alla disperazione se dovesse durare ininterrotto una sola ora.
6. Da questa spiegazione, che ora ti ho dato, ti sarà già possibile
ricavare una nozione un po’ più profonda del perché la possessione si manifesta
sulla Terra, e come pure si manifesterà finché la Terra avrà esistenza.
7. Ma la possessione ha anche il suo lato decisamente buono per
l’ossesso: infatti una simile anima, il cui corpo è posseduto da un qualche
demonio, per virtù dei tormenti della propria carne viene evidentemente
purificata e preservata dal maligno congiungimento con il proprio corpo. Al
momento opportuno poi viene l’aiuto dall’Alto, e così un’anima del mondo viene
completamente conquistata per il Cielo! DimMi ora se hai compreso in qualche
modo quello che ho detto!»
8. Risponde Pietro: «Si, o Signore, tutto mi è chiaro adesso; ma allora
sarebbe meglio non aiutare affatto un ossesso, per quanto grave possa essere il
suo male!»
9. Dico Io: «Se qualcuno si rivolge a te per avere aiuto, non devi
negarglielo, perché la Mia preveggenza già ha cura che l’eventuale soccorso non
giunga al richiedente prima che il tempo non sia perfettamente maturo ed utile
per lui! Dunque, ad uno che chiede aiuto, non bisogna negarglielo. Comprendi
ora questa spiegazione, anch’essa molto importante?»
10. Dice Pietro: «Si, o Signore, Tu solo sia ringraziato, e siano Tuoi
ogni amore ed ogni gloria. Chi ha qualche intelletto per le cose divine, in sé
deve anche riconoscere il supremo Amore e la suprema Sapienza di Dio!»
11. Dico Io: «Così, per l’appunto, voi non dovete perdervi d’animo
dinanzi a nessuna apparizione su questa Terra per quanto brutta e ripugnante
sia, poiché il Padre che è nei Cieli non le ignora, e meglio di ogni altro sa
per quali ragioni Egli permette che avvengano!
12. E così pure le varie malattie, di cui gli uomini sono afflitti, non
sono per lo più altro che impedimenti affinché l’anima non si unifichi con la
carne, la quale carne perfino nei figli della Luce è tratta dal prigioniero
essere di Satana; soltanto che nei riguardi dei figli della Luce vi è una
differenza, e cioè che le loro sofferenze, quando la loro anima inclina ad
unirsi alla carne, sono di iniziativa celeste. Anche le sofferenze dei figli
del mondo sono in certo modo disposte e permesse da parte dei Cieli, ma
sostanzialmente sono tuttavia sofferenze dell’inferno, delle quali il corpo del
figlio del mondo, nella sua qualità di parte completa dell’inferno, viene
ugualmente reso partecipe quando all’inferno s’infligge un acuto dolore,
perché, per la potente influenza dei Cieli, gli viene radicalmente strappata
una parte della sua vita complessiva! Hai compreso ora anche questa Mia
spiegazione?»
13. Dice Pietro: «Sì, o Signore! Anche questa la comprendo. Ora, come
sempre, la mia gratitudine e il mio amore vadano a Te in eterno!»
1. Dico Io: «Avete bene osservato come nessuno ci ha visti salire su
questo monte per farvi sosta?»
2. Rispondono i discepoli: «Signore, per tutta la strada, lunga due ore
buone di cammino, non abbiamo visto proprio nessuno, ma non per questo oseremmo
sostenere che nessuno ci abbia visto!»
3. Dico Io: «Certo, la donna tuttavia ci ha visto ed ha scoperto che
noi ci siamo accampati qui; ora questo basterà perché domani migliaia di
persone salgano fino a quassù!»
4. Dicono i discepoli: «Signore, tanto stanchi in realtà non siamo;
scendiamo dunque giù dal monte verso mezzanotte e rechiamoci in qualche altro
luogo, dove quella gente molesta non possa trovarci; così potremo prenderci
alcuni giorni di riposo».
5. Osservo Io: «E tuttavia noi ci fermeremo qui, perché la Volontà del
Padre è che Io liberi dalle loro sofferenze corporali tutti gli uomini che qui
sono oppressi da svariate malattie! Di conseguenza Io Mi tratterò tre giorni
interi su questo monte. Quando farà mattina, potrete scendere in qualche luogo
per prendere del pane in quantità moderata ma sufficiente per i tre giorni
della nostra sosta!».
6. Dice Giuda Iscariota: «Allora avremo un bel pezzo di strada da fare,
perché qui, come si vede, siamo in mezzo ad un deserto e a meno di far dalle
tre alle quattro ore di cammino non troveremo affatto una località dove ci sia
un fornaio!».
7. Dice Pietro: «Questa incombenza me l’assumo io, perché conosco bene
tutte le località situate sulla riva del mare e so dove bisogna rivolgersi per
avere del pane. Ci saranno da fare due ore di cammino all’andata ed altrettante
al ritorno!».
8. Allora dico Io: «Ebbene, abbi tu, Simon Giuda, cura della cosa! Chi
sceglierai, ti accompagnerà!».
9. Dice Pietro: «Signore, noi qui siamo una ventina; ora se ne vengono
con me dieci, possiamo portare del pane ed anche del pesce già arrostito in
quantità più che sufficiente per tre giorni».
10. Dico Io: «Così va bene. Ma ora dedichiamoci al riposo».
11. Allora ciascuno andò in cerca di un posticino che gli permettesse
di riposare con la massima comodità e così ben presto si fece silenzio sul
monte. Tutti i discepoli, in breve tempo, presero sonno, mentre soltanto Io
rimasi desto e Mi addormentai appena un po’ verso la mattina. Quando all’alba
fui sveglio, Pietro era già di ritorno sul posto con le provviste, poiché era
sceso dal monte già circa tre ore prima del levar del Sole e giù alla riva
aveva trovato una barca carica appunto di pane ed altri alimenti, che veniva da
Magdala ed era diretta a Gesaira. Pietro acquistò quasi la quarta parte del
pane che c’era nella barca e Matteo, il giovane pubblicano, pagò tutto il
conto. A bordo poi c’era una quantità di bel pesce arrostito da poco e il buon
Pietro ne prelevò pure una intera cassa piena, mentre Matteo s’incaricò del
pagamento, come aveva fatto con il pane. In cima alla montagna, dunque, noi
eravamo oramai provveduti di cibo; però una cosa mancava ancora e cioè una
buona sorgente. Non si poteva trovare nemmeno una goccia d’acqua su quel monte
e la piccola provvista di vino che avevamo con noi sarebbe bastata appena per
una mezza giornata.
12. Allora Pietro e il Mio Giovanni Mi vennero vicino e dissero:
«Signore! Tu sei ben più di Mosè! Se Tu comandassi a questo bel masso di pietra
bianca che c’è qui di dare dell’acqua fuori da sé, certamente ne sgorgherebbe
all’istante una sorgente purissima!»
13. Ed Io dico loro: «Se voi due avete abbastanza fede, posate le
vostre mani sul masso e comandategli nel Mio Nome di lasciar scorrere acqua e
dal punto in cui la pietra sarà stata toccata dalle vostre mani sgorgherà
subito un’acqua abbondante, eccellente e purissima!».
14. Udite da Me queste parole, essi scelsero un punto della pietra che
a loro sembrò adatto e vi posero le mani sopra. Ma malgrado ciò dalla pietra
non voleva stillare nemmeno una goccia! Però, quando fu trascorsa circa un’ora,
mentre tenevano ancora le mani sulla pietra, questa cominciò a muoversi ed in
breve tempo si spostò più di dieci passi dalla posizione iniziale, perché quel
masso era un meteorite precipitato dall’alto già migliaia d’anni prima sul
posto finora occupato e cadendo aveva ostruito l’unica sorgente della montagna,
in modo che non poteva sgorgare neppure una sola goccia d’acqua. Ma ora, poiché
la pietra era stata rimossa dal suo posto, com’è stato detto, ricomparve alla
luce una fra le migliori e più ricche sorgenti e precisamente in mezzo ad un
bacino profondo all’incirca cinque piedi, scavato nel terreno dal masso stesso al
momento della sua violenta caduta, verificatasi qualche migliaio d’anni prima.
15. E così questa montagna restò anche provveduta per sempre della
migliore acqua (e lo è ancora oggi). Ma né Pietro né Giovanni poterono
comprendere come la pietra si fosse mossa, per così dire, liberamente mediante
la semplice imposizione delle mani. Dopo di loro anche tutti gli altri
discepoli provarono a posare le mani sulla pietra per constatare se si sarebbe
ulteriormente spostata, ma i loro tentativi risultarono vani.
16. Però, come Pietro e Giovanni vi ebbero nuovamente posato sopra le
loro mani, essa ricominciò a muoversi. Allora gli altri discepoli Mi
domandarono:
«Signore, per quale motivo non possiamo anche noi ottenere lo stesso
risultato?»
17. Rispondo Io: «Perché la vostra fede è qua e là ancora un po’ bacata
e manca della forza necessaria. Però Io vi dico che, se voi avrete una ferma
fede e non nasconderete in voi nessun dubbio riguardo alla riuscita di quello
che intendete compiere, in verità potreste posare le vostre mani su di un monte
intero e comandargli, ed esso, come questa pietra discretamente pesante, si
muoverà pure dal proprio posto e si sposterà altrove. Ma per giungere ad un
simile risultato la vostra fede è ancora troppo debole! Anzi, Io vi dico di più!
Se voi aveste veramente una vera fede, potreste comandare, stando qui, a
quell’alta montagna sulla quale siamo saliti presso Genezaret e potreste dirle:
“Alzati e precipita in mare!” e la montagna immediatamente si solleverebbe e
cadrebbe nel mare, secondo la vostra parola e la vostra volontà! Pure quello
che voi non potete fare ancora, lo potrete fare tuttavia un giorno! Ora però
facciamo colazione, poiché non passerà molto tempo ancora e noi saremo stretti
letteralmente dalla massa del popolo che salirà quassù! La provvista di pane e
di pesce deponetela frattanto su quella pietra che, per mezzo vostro, è stata
spostata da qui».
18. Allora mangiammo del pane ed un po’ di pesce, mentre il considerevole
resto fu posto dai discepoli sul masso grande di pietra bianca, dopodiché
cominciammo a contemplare il bel panorama delle regioni che si estendevano a
perdita d’occhio intorno a noi. Dalla vetta di quel monte, con un tempo sereno,
si poteva qua e là benissimo distinguere la costa del grande mare Mediterraneo
e le torri di Sidone e di Tiro e un grande numero di altre città e borgate. In
poche parole la vista che si godeva era quanto mai incantevole e poteva
gareggiare con quella di diversi altri monti molto più alti, per salire i quali
si sarebbe dovuto impiegare non di rado un’intera giornata. L’altezza completa
sul livello del mare, secondo le misure del tempo attuale, comportava un po’
più di quattromila piedi. La spianata in cima al monte era tanto vasta e
spaziosa che vi si sarebbe potuta costruire una città discretamente grande;
soltanto gli accessi erano quasi da tutte le parti abbastanza ripidi ed in
parecchi punti bisognava sobbarcarsi una fatica non indifferente per poter
superare la forte pendenza. In qualche sito il monte era addirittura del tutto
inaccessibile, ma, dalla parte dove noi eravamo saliti, vi si poteva accedere
con relativa facilità. Ed appunto da questa parte, dopo aver impiegato un’ora
circa nella contemplazione del magnifico panorama, noi percepimmo il vocio di
una moltitudine, frammisto, ogni tanto a grida di dolore di giovani e di
vecchi, di uomini e di donne.
La grande
guarigione miracolosa sul monte.
(Matteo 15,30-31)
1. Quando Giuda Iscariota ebbe udito il mormorio indistinto della folla
che avanzava, si prese la testa fra le mani e disse: «In verità mi pare che
questa volta la faccenda voglia passare ogni limite! Qui ci sono non centinaia,
bensì addirittura migliaia di persone e si tratta certamente più di ammalati
che di gente sana! Addio, benigna pace di quest’altura! Qui ci sarà nuovamente
un tramestio terribile e di riposo non ci sarà nemmeno a parlare!»
2. Gli dico Io: «Cosa importa a te, se la gente viene? Per te certo non
viene un’anima sola e non occorrerà che tu sani nessun ammalato; se poi ti pare
che presso di Me ci sia troppo rumore o che sia minacciata la tua pace, ritorna
al tuo paese e va’ di nuovo per i mercati con le tue pentole. Fino a tanto che
vuoi rimanere con Me, devi adattarti ai Miei ordinamenti, perché delle Mie vie
sono soltanto Io il Signore! Se un giorno Io dovessi venire da te per
percorrere con te le tue vie, allora Mi adatterò ai tuoi ordinamenti e ti
riconoscerò come il signore delle tue cose! Qui, però, a Me sembra che sia bene
il caso opposto!»
3. Dice Giuda Iscariota, brontolando fra sé e sé: «Eh già, basta che io
apra bocca e tutto è sbagliato, altro non resta che restarsene muti come una
pietra per tutta l’eternità!»
4. Allora interviene in via eccezionale il poco loquace ma saggio
Natanaele e gli dice: «Questo sarebbe una volta tanto da parte tua un tratto
sapiente, che io, però, non ho ancora mai constatato in te. È certamente una
buona cosa il parlare al momento giusto per chi ha veramente qualcosa da dire e
sa come parlare, ma per uno sciocco il perfetto silenzio è ancora molto più
bello!».
5. Mentre Natanaele stava così richiamando alla memoria di Giuda
Iscariota ancora qualche altro fra i proverbi di Salomone, cominciarono ad
apparire da molte parti, sulla grande spianata che coronava il monte, delle
grandi masse di gente dai dintorni, i quali conducevano con sé zoppi, ciechi,
muti, storpi e un numero grande di uomini e donne travagliati da ogni
infermità. Gli ammalati saranno stati cinquecento e più; furono deposti in un
ampio cerchio intorno a Me ed ai Miei piedi e le turbe Mi pregarono che Io li
guarissi! Ed ecco, Io li guarii tutti con una sola parola e dissi loro: «Ora
alzatevi e camminate!». (Matt.15, 30).
6. Allora i ciechi, anzitutto, si accorsero di aver riacquistata bella
e limpida la vista, come se fossero nati da poco. Subito dopo anche i muti
provarono a parlare e videro che potevano rispondere a ciascuna domanda rivolta
loro; infine pure gli zoppi e gli storpi tentarono di muovere le membra
contratte ed in parte interamente disseccate e constatarono che funzionavano
alla perfezione! E non ci fu tra di loro uno solo che avesse potuto dire di non
essere completamente guarito. Così pure anche tutti gli altri ammalati si
ritrovarono del tutto risanati.
7. E quando il popolo vide che i muti parlavano, i ciechi vedevano, gli
zoppi camminavano diritti e lieti e gli storpi di ogni specie e tutti gli altri
infermi erano ridivenuti perfettamente sani, il suo stupore allora non ebbe più
limiti e tutti cominciarono a lodare ad alta voce il Dio di Israele e rimasero
con Me sul monte fino al terzo giorno, quantunque già al secondo essi avessero
già consumato fino all’ultima briciola tutte le provviste che avevano portato con
loro. (Matt.15, 31).
8. Ora si potrà ragionevolmente domandare che cosa avesse fatto questa
massa di popolo nei due ulteriori giorni trascorsi sul monte. A ciò si può, con
brevi parole, rispondere che tutte le diverse migliaia di persone d’ambo i
sessi si fecero iniziare nella Mia dottrina da Me e dai Miei discepoli. Però
era notevole il fatto che fra le diverse migliaia non ci fu nemmeno uno che
avesse preso la parte dei farisei e degli scribi. Al contrario invece si
affrettarono a raccontare una quantità di storielle per niente edificanti di
avvenimenti nei quali in diverse occasioni erano essi stessi stati coinvolti
con la gente del Tempio e delle amare esperienze anche troppo spesso fatte,
nonché infine del rammarico non meno amaro di essere venuti in contatto, per
loro sciagura, con quei ciechi zeloti.
Previsione del
Signore riguardo all’avvenire della Sua dottrina.
1. Fra il popolo vi era anche un gran numero di greci, i quali, apprendendo
la Mia dottrina, erano rimasti strabiliati; ed uno fra di loro disse: «Sì,
questa è veramente una dottrina che poggia sul fondamento della natura! Qui non
vi è un positivismo materiale o qualcosa di arbitrario che possa essere venuto
in mente ad un uomo, affinché egli, quale legislatore sopra milioni di uomini
che sono tenuti di osservare le sue leggi, abbia a trovarsi ad assoluto proprio
agio qualora le sue leggi vengano osservate. Questa dottrina invece contiene
leggi che anzitutto determinano e condizionano oggettivamente, fin dalle sue
prime origini e nei suoi principali elementi, la vita dell’uomo ed è perciò
anche supremamente atta a conservare in eterno la vita stessa nelle condizioni
migliori più pure e più gradevoli. Non vi è neppure un’ombra di egoismo, né
meno ancora di brama di dominio, ma in essa è provvisto tanto per il singolo
individuo in se stesso, quanto per un’innumerevole comunità! Davvero, se questa
dottrina fosse riconosciuta da tutti e poi venisse universalmente osservata, la
Terra stessa dovrebbe diventare un Cielo!
2. Ma c’è un grande ma: per arrivare a questa meta ci vorrà una
generazione del tutto nuova! Bisogna che il putridume dell’umanità
incorreggibile sia spazzato via dalla Terra, altrimenti non vi sarà in eterno
nessun miglioramento su di essa! Il senso del lusso, della mollezza e degli agi
ha raggiunto un grado troppo alto; chi è il più potente sa bene come sfruttare
la massa dei poveri e dei deboli e perciò soltanto pochi vivono felici, mentre
l’enorme maggioranza degli uomini deve languire nell’indigenza. La conseguenza
di tutto ciò è poi che il povero diavolo finisce con il disperare della
provvidenza di Dio, il ricco e potente, invece, immerso nel benessere e nelle
comodità della vita, si dimentica di Dio, cosicché infine ambedue devono
diventare del demonio!
3. Sì, o Signore e Maestro, la Tua dottrina abbraccia in sé la più pura
verità divina, anzi io oso dire che è in se stessa sostanzialmente vita; ma
purtroppo essa non sarà di certo accolta dal mondo altolocato che non crede a
niente, perché questo si è già creato sulla Terra, sul terreno del paganesimo,
una posizione tale che esso può sussistere terrenamente molto bene. Adamo,
malgrado il suo vantato Eden, farebbe la figura di un povero diavolo,
paragonandolo ad un Cesare Augusto, o ad un Lucullo od a cento altri personaggi
simili. “A questo si può arrivare per mezzo di Giove, Apollo, Mercurio e così
via. A lato di queste deità fantastiche si può vivere magnificamente bene, cosa
farne dunque della verità più pura, dell’amore, della mansuetudine, della
pazienza e della sapienza?”. Ecco, questa è la filosofia che i grandi ed i
potenti della Terra ammanniranno alle genti e la Tua santa dottrina
dell’amorevolezza verso ciascuno sarà da loro perseguitata com’è perseguitato
l’agnello dai lupi voraci.
4. Quando mai potrà adattarsi alla Tua dottrina dell’amicizia colui per
il quale la schiavitù del proprio simile è la premessa indispensabile al
proprio benessere? Sì, o Signore e Maestro ed unico Salvatore della misera
umanità sofferente, va’, opera pure miracoli, predica la schiavitù eterna e
dimostra al popolo che langue come solamente un Cesare ha il diritto di vivere
supremamente bene su questa Terra, mentre a tutto il popolo restante è concesso
unicamente quanto è gradito al Cesare! Dimostra poi apertamente che il Cesare
ha altresì incontestabilmente il diritto di disporre della vita e della morte
di ciascuno, secondo il proprio arbitrio, nonché quello di incamerare tutti i
tesori e i beni della Terra, allora sì che Ti offriranno vesti regali e potrai
incedere con grande sfarzo e maestà!
5. Ma siccome la Tua dottrina predica invece la fratellanza universale
e vuole vedere in ciascun uomo un figlio di Dio, Tu, o caro, ed a mio avviso
veramente santo Maestro, sarai perseguitato oltre ogni misura credibile assieme
alla Tua santa dottrina».
6. Dico Io: «Amico, quello che ora tu hai detto, è purtroppo vero;
dinanzi ai grandi e potenti pagani molte aspre lotte dovranno venire combattute
prima che la Mia dottrina possa trovare libero accesso del tutto! Ma verrà pure
il giorno in cui essa varcherà anche quelle soglie, però allora proprio i
Cesari ed i re diventeranno i Miei apostoli più fattivi e zelanti! Essi stessi
raderanno al suolo i templi degli idoli ed al loro posto edificheranno le case
di Dio, nelle quali tutti i fratelli si raduneranno per adorare l’uno, il solo
vero Dio, ed in quelle case i loro figli verranno istruiti nella dottrina che
Io ora vado annunciando per la salvezza degli uomini nel tempo e nell’eternità.
7. Tuttavia questo non accadrà dall’oggi al domani, bensì a seconda
dell’opportunità dei tempi e delle circostanze, perché è bene che prima venga
sparso il seme e che questo poi germogli e renda infine dei frutti abbondanti.
8. Mi è già noto fin dall’eternità che questa Mia dottrina, però, dovrà
contemporaneamente sempre affrontare le ostilità del mondo propriamente detto.
9. Anzi, questa Mia dolcissima dottrina giungerà con il tempo perfino a
scatenare le guerre più sanguinose, ma tali fatti purtroppo non possono essere
evitati, poiché è da un conflitto potente in Dio che poi sorse la Vita. Però
questa è e resta una lotta incessante e continua e non può essere mantenuta se
non a patto di uno sforzo combattivo adeguato! Comprendi questo?»
10. Risponde il greco: «Signore e Maestro, questi sono concetti troppo
profondi per uno di noi! Tu ed i Tuoi discepoli certamente li comprenderete, ma
per me sono concetti che giacciono in profondità troppo inesplorabili!»
11. Dico Io: «Sì, certo, lo credo anch’Io, ma tuttavia la cosa è e
resta eternamente così come ora te l’ho rivelata!».
12. Anche il resto del popolo fu preso da grandissima meraviglia
intendendo queste Mie parole e molti fecero tra di loro l’osservazione: «Il
nostro antico padre, il savio Greco nativo di Patmo, ha detto in verità parole
di molta sapienza, ma pure nel suo caso risultava ben chiaro che fuori
dall’uomo non era che un uomo che parlava. Ma questo giovane maestro, invece,
quando apre la bocca si ha l’impressione che non lui, ma Dio stesso parli per
bocca sua ed ogni sua parola va diretta al cuore e lo riscalda e lo rallegra
così come un buon vino rasserena l’animo». Queste e molte altre simili
considerazioni furono fatte fra il popolo, specialmente il terzo giorno, quando
cioè esso andò sempre più penetrando nello spirito della Mia dottrina.
Il
rifocillamento prodigioso di quattromila persone.
(Matteo
15,32-39)
1. Qui va ancora menzionato che il popolo, preso tra l’allegria per gli
avvenimenti di quelle giornate, il Mio amichevole procedere e la meraviglia per
i Miei nuovi insegnamenti, aveva completamente dimenticato che non gli rimaneva
più nessuna vettovaglia. Ora, verso sera, la fame si fece tuttavia sentire ed
essi cominciarono reciprocamente a chiedersi se qualcuno avesse ancora qualcosa
da mangiare. Ma il chiedere fu una fatica vana, perché già il giorno prima essi
avevano consumato fino all’ultima briciola di tutto quanto avevano portato con
loro.
2. E siccome Io avevo ben notato la cosa, chiamai a Me i discepoli e
dissi loro: «Udite! Io ho grande pietà della moltitudine, perché già da tre
giorni essa dimora presso di Me ed ora non ha di che mangiare. Io però non
voglio congedarli digiuni, affinché non vengano meno per la via, ritornando
alle loro case, perché ce ne sono alcuni che sono venuti da molto lontano. Date
dunque voi a loro da mangiare!». (Matt.15, 32)
3. Dicono i discepoli: «Signore, Tu già sai come la nostra provvista è
anch’essa ormai discretamente ridotta. Dove avremmo noi dunque, in un deserto,
tanti pani sufficienti a saziare una tale moltitudine?». (Matt.15, 33).
4. Allora Io domandai ai discepoli e dissi: «Quanti pani avete ancora
fra le vostre provviste?»
5. I discepoli risposero: «Sette pani e pochi pesciolini, che sono
ancora buoni». (Matt.15, 34)
6. Allora dissi Io ai discepoli: «Portate qui i pani ed i pesci!».
7. Ed i discepoli andarono e portarono i pani ed i pesci, Io benedissi
tanto il pane che i pesci. Poi comandai alla moltitudine che si sedessero a
terra. (Matt.15,35) Quando ebbero preso posto, presi i pani ed i pesci, resi
grazie al Padre, il Quale dimorava in cuor Mio in tutta la Sua pienezza, per la
benedizione concessa, spezzai tanto gli uni che gli altri e ne diedi i pezzi ai
discepoli e questi li distribuirono fra la moltitudine. (Matt.15,36). Ed ecco,
tutti ne mangiarono a loro piacimento e furono sazi. Oltre alla sazietà non
poterono più mangiarne e perciò avanzarono tanti pezzi ancora da poter riempire
sette grandi panieri. (Matt.15,37) Coloro che avevano mangiato erano
quattromila uomini, oltre ad altrettante donne e fanciulli non compresi nel
primo numero. (Matt.15,38)
8. E quando la moltitudine fu saziata così, Io li invitai a partire. E
tutti allora si alzarono ben presto, poiché era già abbastanza vicina l’ora del
tramonto; grandi furono i ringraziamenti che Mi vennero rivolti e poi il popolo
prese la via del ritorno.
9. Dopo mezz’ora, quando tutta la moltitudine si fu dileguata, anche
noi iniziammo la discesa del monte verso la riva del mare, dove appunto
trovammo un battello che aveva inaugurato i suoi viaggi e che era in attesa di
qualche cliente. Noi perciò fummo i benvenuti. Ma, quando i barcaioli Mi ebbero
riconosciuto, s’inchinarono profondamente dinanzi a Me, poiché Mi avevano già
visto a Cana di Galilea. Anche per tale ragione non Mi chiesero alcun prezzo
per il passaggio, ma Mi pregarono di concedere la Mia benedizione alla loro
nuova impresa!
10. Ed Io dissi ai barcaioli: «Se non vi fa deviare troppo dalla vostra
rotta consueta, dirigete la barca verso il confine di Magdala, dove Io ho
qualcosa da sbrigare!». Allora i barcaioli sciolsero gli ormeggi e ben presto
un vento favorevole si levò e spinse la navicella in breve tempo fino al
suddetto confine. (Matt.15,39)
GESÙ NELLA ZONA DI CESAREA DI FILIPPO
I farisei e i
sadducei tentano il Signore.
(Matteo
16,1-12)
1. Ora, presso il confine, c’era un grande albergo, dove sempre s’incontrava
una quantità di gente d’ogni ceto e condizione. Vi erano degli ebrei, greci,
romani, egiziani, samaritani, inoltre dei sadducei, degli esseni e non
mancavano pure i farisei e gli scribi e, quando Io fui arrivato con i Miei
discepoli, furono naturalmente i farisei e gli scribi i primi a cercare di
informarsi su chi Io fossi e su chi fossero i Miei discepoli! Ma per quella
sera nessuno poté avere le informazioni desiderate.
2. Sennonché in quell’ albergo c’era una serva che, come molta gente di
quei dintorni, era venuta pure sul monte ed era stata guarita da una maligna
eruzione cutanea; questa serva, avendoMi riconosciuto, si gettò ai Miei piedi e
Mi ringraziò nuovamente per la guarigione ottenuta. La cosa non sfuggì
all’occhio di alcuni farisei, i quali allora cominciarono a sospettare che Io
fossi il noto e per loro il tanto famigerato Gesù di Nazaret.
3. Durante la sera del Mio arrivo essi lasciarono Me ed i discepoli in
gran pace, però fra di loro si consigliarono, assieme ai sadducei, tutta la
notte, per vedere come avrebbero potuto il giorno seguente, che era
precisamente un sabato, tentare di intrappolarMi con le parole o con i fatti.
4. Ora, venuto il giorno seguente, mentre i Miei discepoli ed Io
eravamo intenti a far colazione all’aperto e contemporaneamente li avvertivo
che in quella località non ci sarebbe stato molto da fare, i farisei ed i
sadducei uscirono dall’albergo, si accostarono a Me con aria assai spavalda e
cominciarono a tentarMi con ogni tipo di domande, fatte certo sotto la maschera
dell’amicizia e lodavano perfino molte delle Mie opere che avevano riempito
della loro fama il paese. Essi naturalmente miravano ad eccitare la Mia
loquacità, ma a questo riguardo erano destinati a soffrire la più grande delle
disillusioni. Uno tra i sadducei giunse perfino a dirMi: «Maestro, vedi, noi
saremmo disposti a seguirTi ed a diventare Tuoi discepoli, se Tu, quale figlio
di Dio, come già molti Ti chiamano, volessi mostrarci un segno dai Cieli! Opera
dunque davanti ai nostri occhi un miracolo e puoi calcolare di averci con te!».
(Matt.16, 1).
5. Io però, che leggevo nei loro cuori, vidi che dietro non si celava
altro se non una vana perfidia; ogni parola che il loro labbro proferiva era
un’insidia e un’astutissima menzogna, e perciò Io dissi a quei scaltri
inquisitori: «Quando si fa sera voi dite: “Oh, domani farà tempo sereno, perché
il cielo è rosso!”. E la mattina dite: “Oggi sarà tempesta, perché il cielo è
rosso e torbido!”. O perfidi ipocriti! Ben sapete discernere l’aspetto del cielo,
ma perché non potete discernere anche i grandi segni del tempo attuale nella
sfera della vita spirituale dell’uomo? (Matt.16,3) Se voi, secondo la vostra
confessione, avete appreso cose tanto straordinarie e se dite di comprendere la
Scrittura, non dovreste esservi accorti che per mezzo Mio si compie tutto
quello di cui i profeti hanno profetizzato? Voi, senza dubbio, sapete bene
rendere la vostra faccia gradevole e dolce come il latte e il miele, ma il
vostro cuore è pieno di ira e di odio, di lussuria e di adulterio!».
6. A questa Mia decisiva risposta i tentatori si ritirarono, colpiti
aspramente e sconcertati, e non si azzardarono più a rivolgerMi la parola,
perché tutto il popolo, che si era radunato intorno a Me, non faceva che
rivolgere loro delle occhiate evidentemente interrogative, cosicché essi
reputarono consigliabile non entrare in ulteriori discussioni con Me.
7. E come i tentatori ebbero battuto in ritirata, il popolo si diede a
lodarMi, poiché Io avevo detto in faccia a quei zeloti con tanta energia la
verità nuda e cruda.
8. Io però non Mi rivolsi al popolo, che in fondo non era proprio da
annoverare tra i migliori, ma dissi, come di sfuggita, ai discepoli: «Questa
gente malvagia e adultera chiede un segno a Me, ma non sarà dato alcun segno se
non quello del profeta Giona!» (Matt.16, 4). Poi Io lasciai il popolo e tanto
più i templari tentatori alle loro faccende e Mi allontanai di là con i
discepoli in tutta fretta, salii quindi sul battello che ancora aspettava ed
ordinai di dirigerlo verso lo stesso posto da dove era partito la sera prima.
9. Faceva un tempo molto sereno e durante il tragitto varia fu la
conversazione, principalmente intorno alle località e alla gente che ci aveva
fatto buona accoglienza. Sbarcati che fummo, ci trovammo ai piedi dello stesso
monte sulla cui vetta il giorno prima erano state saziate tante migliaia di
persone con soli sette pani ed alcuni pesci e soltanto allora venne in mente ai
discepoli di aver dimenticato di comperare del pane ai confini di Magdala,
perché il pomeriggio era già inoltrato di parecchio e la sensazione di fame
aveva più che altro contribuito a richiamare la cosa alla memoria. Perciò
alcuni decisero di andare in cerca di pane in qualche luogo di quei dintorni,
oppure di ritornare addirittura per mare a Magdala che, con vento favorevole,
si sarebbe potuta raggiungere facilmente in un’ora. (Matt.16, 5)
10. E avendo i discepoli chiesto a Me il necessario consiglio, Io
risposi: «Fate come volete! Badate però bene e guardatevi dal lievito dei
farisei e dei sadducei!» (Matt.16,6). E come i discepoli ebbero udito da Me
queste parole, pensarono in segreto: «Ah, ah, ci siamo! Questo è un lieve
rimprovero perché non abbiamo preso con noi del pane!» (Matt.16,7).
11. Ma Io, che avevo immediatamente notato il loro imbarazzo e il loro
timore, dissi loro: «O uomini ancora di poca fede, perché vi preoccupate per il
fatto che non avete preso del pane? (Matt.16,8) Siete ancora senza intelletto?
Non vi ricordate dei cinque pani distribuiti ai cinquemila uomini prima del
viaggio a Genezaret e quanti panieri ne avanzarono? (Matt.16,9). Né vi
ricordate più dei sette pani di ieri, con i quali furono saziati quattromila
uomini senza contare le donne ed i fanciulli, né dei panieri che ne avanzarono?
(Matt.16,10). Come non potete comprendere voi che Io non intendo parlare del
pane che voi non avete preso, quando vi dico: “Guardatevi dal lievito dei
farisei e dei sadducei!”? (Matt.16,11). Per lievito è infatti da intendere la
falsa dottrina che questi tali seminano fra il popolo con parole e gesti dolci
e amichevoli in apparenza, con lusinghiere assicurazioni e promesse, mentre di
nascosto fanno delle grosse risate, quando riesce loro di trarre a sé qualche
buona retata di povere anime ottuse.
12. Chi va mai tanto predicando dell’immortalità dell’anima umana se
non appunto i sadducei e chi mai più di loro va esaltando le gioie eterne
dell’Eden e minacciando l’eterno tormento tra le fiamme dell’inferno? Eppure
loro stessi non credono a niente di quanto predicano, e sono dunque i più
grandi negatori di Dio! Comprendete ora quello che ho inteso dire, parlando di
lievito?». Soltanto dopo questa Mia spiegazione i discepoli capirono che Io
avevo loro detto di guardarsi non dal lievito del pane, bensì dalla perfida
dottrina dei farisei e dei sadducei (Matt.16,12). Noi però rimanemmo per quella
notte sul battello, dove fummo riforniti alla meno peggio di un po’ di pane e
di qualche pesce.
13. Il giorno seguente Io inviai alcuni fra i discepoli in esplorazione
verso Cesarea di Filippo, che era pure una cittadella un po’ fortificata,
situata nella parte greca del territorio di Galilea, alquanto entro terra dal
mar di Galilea. Secondo le Mie istruzioni, essi dovevano anticipatamente
informarsi su che cosa pensasse di Me la gente di quei luoghi e se, in
generale, avesse già appreso qualche cosa sul Mio conto!
14. E così, dopo aver consumato il pane mattutino, parecchi fra i
discepoli, che conoscevano bene quei dintorni, si affrettarono a recarsi da
quelle parti e si informarono con tutta diligenza riguardo all’opinione che la
gente di là aveva di Me e se e quanto eventualmente là si sapesse sul Mio
conto. Ma la meraviglia dei discepoli, mandati in esplorazione, non fu poca
quando si accorsero che tutta quella regione, dove Io non avevo ancora messo
piede, era addirittura piena del Mio Nome e ciascuno sapeva raccontare una
quantità di cose sul Mio conto. Infatti i discepoli si comportarono così da far
credere che anch’essi sapessero qualcosa soltanto per averne udito parlare, in
modo che gli interrogati ebbero tanto maggiormente modo di dilungarsi per bene
sui dettagli dei loro racconti.
15. È facile immaginare che in tale occasione non mancarono di venir a
galla, fra altro, delle esagerazioni madornali, per esempio, fra i molti episodi
fatti oggetto di narrazione, ce ne fu uno che indusse i discepoli a proibire
seriamente ai narratori di diffonderlo ulteriormente. E questo consisteva
niente di meno nel fatto che si raccontava che Io potessi dilatarMi fino a
diventare un essere gigantesco e, viceversa, subito dopo restringerMi e ridurMi
alle proporzioni di un nano non più grande di un dito. Si diceva anche che Io
apparivo ora molto vecchio, ora invece come un giovinetto. Inoltre si diceva
che una volta Io ero stato visto sotto la forma di una perfetta donna, anzi,
alcuni ne sapevano ancora di più, perché avevano sentito dire che Io potevo
assumere a piacere anche la forma di uno o dell’altro animale.
16. È cosa che ognuno, di sano intelletto, sarà in grado di giudicare
da se stesso come assolutamente doverosa, che a causa di simili dicerie i
discepoli muovessero rimprovero ai narratori, però come fosse possibile che
tali assurdità ed altre ancora venissero divulgate perfino nei luoghi dove Io
avevo insegnato ed operato guarigioni, questo è davvero un problema ancora
oggigiorno insoluto per più di un angelo del Cielo. Da qui ha origine anche la
confusione dei circa cinquanta Vangeli, che, nell’occasione della prima grande
assemblea orientale delle chiese, vennero dichiarati apocrifi e come tali
bruciati, ciò che è stato molto buono, perché veramente soltanto i due Vangeli
di Giovanni e di Matteo sono del tutto autentici, come pure gli Atti degli
Apostoli, le Epistole e l’Apocalisse di Giovanni. Gli altri due Vangeli di
Marco e di Luca hanno però anch’essi un deciso sacro valore, quantunque in
qualche piccola parte differiscano da quello di Matteo. Ed ora che sappiamo
anche questo, procederemo innanzi nella nostra peregrinazione evangelica.
Il Signore in
una povera capanna presso Cesarea di Filippo.
(Matteo 16,13)
1. Mentre i pochi discepoli mandati in esplorazione erano occupati ad
attingere informazioni dalla gente di Cesarea di Filippo e dintorni, Io rimasi,
pressoché fino a sera, vicino all’insenatura ai piedi del monte, però circa due
ore prima del tramonto lasciai quella località assieme ai rimanenti discepoli;
e verso sera giunsi pure Io nelle vicinanze di Cesarea, dove trovai i discepoli
inviati in missione presso una capanna di misero aspetto, i cui abitanti, gente
semplicissima, erano appunto tutti affaccendati nel preparare la cena ai
discepoli già stanchi e affamati. (Matt.16, 13).
2. La gente di casa domandò subito ai discepoli che erano già là chi
fossimo ed essi rivelarono senza esitazioni che Io ero per l’appunto quel Gesù
del quale avevano parlato prima abbastanza diffusamente.
3. E quando il padrone di casa ebbe notizia di ciò, piantò addirittura
ogni lavoro, si gettò ai Miei piedi e disse: «Che cosa ho mai fatto di bene io,
povero peccatore, per reputarmi degno di tanta inestimabile grazia? O Tu,
grande e santo Uomo mandato dai Cieli a noi, poveri peccatori su questa Terra!
Come posso io, quale un uomo povero ed assai semplice, onorarTi e glorificarTi
per questo? Cosa posso fare io affinché a Te sia gradito?».
4. Ed Io gli dico: «Mio caro amico, alzati e vedi di procurare anche
per noi qualcosa per la cena: del pane, del pesce ed un po’ di vino e poi
procuraci un discreto giaciglio e così avrai fatto tutto quello che Io desidero
da te!».
5. Allora il povero padrone di casa si alza e con un’espressione
alquanto triste dice: «O buon Maestro, quello che ho lo offro volentieri,
poiché alla mia capanna sono venuti simili grazie ed onori; infatti io so che
Tu sei un figlio di Davide ed oltre a ciò un grande profeta. Di pane e pesce
sono ancora provvisto per oggi e domani; ma riguardo al vino la cosa non va
tanto bene, non solo qui da me, ma in tutti questi dintorni. Anche nella città
di Cesarea di Filippo, che non è lontana da qui, si sta parecchio male in
quanto a vino. In casa ho bensì un po’ di sciroppo di lampone e di more, ma è
già alquanto vecchio e perciò acido; noi lo beviamo soltanto misto con acqua ed
un po’ di miele, per la sete.
6. Però io ho alcuni vasi pieni di latte di capra rappreso, se ciò
potesse forse esserTi gradito, ne porterei subito fuori qualcuno. Preso con il
pane, è davvero un buon cibo»
7. Io dico: «Ebbene, porta quello che hai! Ma adesso vedo che tu tieni
in casa diversi otri, se la tua terra non ti dà vino, a che scopo conservi gli
otri?»
8. Risponde il povero padrone della capanna: «Oh, sì, di otri certo ne
ho, perché sono io che li fabbrico, ma in nessuno c’è stata dentro neanche una
goccia di vino. Ne ho pronti ormai una cinquantina per il prossimo mercato in
città, dove vendo ogni pezzo per un buon prezzo»
9. Dico Io: «Allora va’, prendi gli otri e riempili tutti
d’acqua!»
10. Chiede il povero padrone: «Buon Maestro! A che cosa servirà poi
questo?».
11. Dico Io: Amico! Non domandare, ma fa’ così come Io ti dico e sarai
felice nel tempo e per l’eternità!».
12. A queste Mie parole il poveretto chiamò subito la moglie ed i suoi
otto figli già adulti – sei femmine e due maschi – e tutti andarono al pozzo
dove i cinquanta otri vennero ben presto colmati d’acqua. E quando gli otri
furono pieni, egli Mi domandò cosa avrebbe dovuto fare ora.
13. Ed Io gli dissi: «Portali tutti nella grotta fresca sul cui
ingresso poggia la parte posteriore della tua capanna».
14. Il povero padrone della casa, che nella grotta conservava la sua
provvista di paglia, distese questa sul suolo e vi collocò sopra in bell’ordine
gli otri pieni d’acqua e quando ebbe ultimato il lavoro, uscì di nuovo fuori e
Mi chiese:
«Signore e Maestro, tutto è stato eseguito come hai ordinato! C’è forse
da fare qualcos’altro ancora?»
15. Dico Io: «Ora è tutto in perfetto ordine. Ma adesso va’, prendi
alcune delle tue migliori brocche di pietra e riempile con uno qualunque dei
cinquanta otri, a tua scelta. Assaggia però il liquido delle brocche che avrai
riempito, portale poi qui e ci dirai infine se ti sarà piaciuta l’acqua così
preparata!».
16. Il poveretto se ne va all’istante, prende dodici brocche e le
riempie. Già durante il travaso uno squisito profumo di vino solletica
gradevolmente le sue narici; quando poi assaggia quel liquido, il suo
sbalordimento è tale che non sa cosa più pensare e dice ai suoi figli, che gli
sono vicini per aiutarlo: «Sentite, questa è una cosa che una mente umana non
potrà mai comprendere! L’acqua, di cui abbiamo riempito gli otri e che ho ora
travasato nelle brocche, è diventata il migliore e più squisito dei vini!
Assaggiatene e persuadetevene voi stessi!».
17. I figli assaggiarono e il loro stupore per l’avvenuto miracolo non
fu minore di quello del padre, ma uno dei figli più anziani disse: «Padre mio,
tu sai che io conosco bene le scritture. Io so di tutti i profeti e delle loro
opere, però una cosa simile non è stata fatta da alcun profeta! Quest’Uomo
straordinario deve evidentemente essere più di un profeta!»
18. E le figlie aggiungono: «Sì, certo, o padre, anche noi siamo di
questa opinione! Egli potrebbe essere forse Elia, che deve venire ancora una
volta sulla Terra per preparare l’umanità alla venuta del grande Messia, oppure
si tratta qui addirittura del grande Messia in Persona?»
19. Dice il padre: «È possibile sia una cosa che l’altra! Ehm, ehm, ma
come ci è capitata questa storia così all’improvviso e inaspettatamente?»
20. Mentre il povero padrone della capanna va così rimuginando, ecco
precipitarsi verso di lui sua moglie, quasi senza fiato e tutta gioiosa, che
esclama: «Venite, venite a vedere quello che è successo in casa! La nostra
dispensa è piena zeppa di ogni tipo di cibi squisiti e di pane eccellente! Ciò
non ha potuto farlo che quello stesso Maestro che un’ora fa è venuto nella
nostra capanna per chiederci un alloggio ed una cena»
21. Dice il marito: «La cosa non ammette alcun dubbio! Ma che mai
avviene? Chi può darci una spiegazione? Cosa o chi è Egli? Se diciamo: “Egli è
un profeta!”, diciamo evidentemente troppo poco e se diciamo: “Egli è un
angelo!”, non abbiamo detto davvero molto di più, però se diciamo: “Egli è un
Dio!” è probabile che si dica troppo, perché un Dio è anzitutto solamente
Spirito! Invece costui ha carne, sangue ed ossa ed infine sarebbe proprio da
domandarsi se Egli non sia, forse, un Giove greco od un Apollo? Ma, comunque
sia, il nostro dovere è adesso di portare fuori il vino, il pane e il pesce e
quanto altro mai noi possiamo offrire con tutta umiltà, amore e gratitudine,
perché il beneficio che ci è stato reso è immenso!».
22. E facendo seguire l’atto alle parole, il poveretto venne fuori con
le brocche piene di vino, mentre la moglie ed i figli portano pane, pesce e
altri cibi e, inchinandosi profondamente dinanzi a Me, l’uomo disse in tono
umilissimo: «O Signore e Maestro! Chi mai sei Tu, che Ti sono possibili tali
cose solo per la potenza della Tua Volontà? Il mio essere trema dal rispetto
dinanzi alla Tua Persona. Tu non puoi essere un uomo come uno di noi, ma allora
dimmi, di grazia, Chi e Cosa veramente Tu sei, affinché possiamo onorarTi
degnamente?»
23. Gli dico Io: «Ascolta, amico Mio, Io ti dirò qualcosa attraverso la
quale potrai farti un giudizio da solo! Quando di buon mattino osservi che
l’Oriente si rischiara e il cielo va gradatamente tingendosi di rosa, tu dici
che presto sorgerà il Sole. Però un chiarore all’orizzonte si osserva anche
quando sta per sorgere la Luna, se non che, dopo tale fioco chiarore, il cielo
non si ammanta di rosa e per quanto, infine, l’astro della notte del tutto si
levi e rischiari la Terra del suo languido e pallido lume, tuttavia non c’è
alcun fiorellino che schiuda il suo tenero calice per offrirlo alla carezza del
pallido e freddo raggio lunare privo del potere vivificante!
24. Le chiare nuvolette, già circonfuse di un pronunciato splendore,
annunciatrici del Sole che sta per nascere, sono già di per sé molto più
luminose della Luna anche quando essa si mostra nella pienezza della sua luce,
ma se a queste messaggere non seguisse il Sole, tutta la Terra ben presto
assumerebbe l’aspetto delle regioni propriamente rigide del profondo
Settentrione, dove, per l’intero tempo di nove lune, non giunge alcun raggio di
Sole. Ecco, così avviene in modo corrispondente nell’eterno mondo dello
Spirito, soltanto per mezzo del quale un giorno si formò e ora sussiste questo
mondo materiale.
25. Ogni tipo di maestri e di profeti sorgono ed insegnano agli uomini
in questo od in quel modo. Fra le molte cose che dicono c’è, qua e là, anche
qualcosa di vero, ma accanto ad una scintilla di verità procedono sempre
insieme migliaia di menzogne, le quali, vicino ad una scintilla di verità,
sembrano essere esse stesse verità. Ora, vedi, tutti i maestri e profeti
simili, nonché le loro dottrine, sono simili allo splendore della Luna che
sempre va mutando la sua luce e che spesso non splende affatto, quando, durante
la notte più oscura, la sua luce sarebbe necessaria.
26. Ma accanto ai falsi maestri e profeti ve ne sono anche di giusti e
veri, dai cui occhi, cuori e bocca si irradia la Luce di Dio. Questi sono
simili alle nuvolette circondate di luce che annunciano il prossimo sorgere del
Sole, ma se alle nuvolette, per quanto sfolgoranti, cioè ai veri e giusti
profeti, non seguisse nient’altro, allora, con il tempo, i cuori degli uomini
comincerebbero ad acquistare l’aspetto stesso che hanno le regioni
settentrionali della Terra propriamente dette: l’aspetto della rigidità, del
gelo e della morte. Alle genuine nuvolette della luce, annunciatrici del Sole,
segue poi il Sole stesso ed al primo raggio che esso invia ai monti grigi
ancora ed alle pianure della Terra, tutto si desta, gioisce e vive; gli
uccelletti cantano inni e salmi purissimi in onore della nascente madre della
luce e del calore, i moscerini e i coleotteri si innalzano nell’aria satura di
luce e con il loro ronzio fanno comprendere il loro entusiasmo alla splendida
madre del giorno, ed i fiori dei prati sollevano le loro corolle regalmente
ornate ed aprono le bocche balsamiche per inviare il saluto del loro squisito
profumo alla grande dispensatrice del calore del mondo.
27. Da questa esposizione supremamente vera che ti ho fatto, tu puoi
ormai già trarre quel tanto che ti basta per formarti di Me un chiaro concetto
e perché tu Mi possa collocare nel tuo cuore nel gradino che Mi spetta! Né la
luce delle stelle, né quella della Luna, né, meno ancora, di per sé il dorato
splendore delle nuvolette mattutine è capace di sciogliere i ceppi dai quali è
avvinta la vita nella materia della Terra e di incitare la vita stessa
all’attività libera ed indipendente, tali effetti non li può produrre che la
luce del Sole.
28. Ma chi può essere tra gli uomini Colui alla cui Voce e Volontà
tutti gli spiriti, costretti nella materia, obbediscono e si adeguano a tutto
ciò che Egli vuole? E che sarà Colui della cui venuta tutti i veri profeti
hanno profetizzato?».
29. A queste parole il povero uomo resta sorpreso e grandemente
perplesso e ritorna meditabondo con i suoi nella capanna, per non disturbarci
durante la cena.
La
testimonianza dei discepoli su Cristo.
(Matteo
16,13-20)
1. Mentre noi siamo intenti a cenare, la famiglia del padrone è tutta affaccendata
per prepararci un giaciglio il più possibile accogliente. Ma in casa egli dice
a sua moglie ed ai figli: «Udite! Costui deve essere senz’altro il promesso
Messia! Dunque, Jehova stesso in carne ed ossa, l’eterno Sole Primordiale del
mondo degli spiriti, il Quale, come splendenti nuvolette mattutine, tutti i
profeti illuminati dalla luce di Dio hanno preceduto! Sì, certo, ormai so bene
cosa pensare, ma che fare ora? Io non trovo quasi più il coraggio di scambiare
una parola con Lui, il Santissimo dall’eternità, al Quale sicuramente, in
maniera invisibile soltanto per noi, servono innumerevoli schiere di angeli,
che ad ogni istante ricevono da Lui ordini nuovi da portare su tutte le stelle
fino agli estremi confini del mondo! E Questi, al Quale tutti i Cieli eterni e
i loro eden sono sottoposti, resta oggi nella nostra misera capanna!
2. Oh, gioite dunque, ma anche tremate di gioia, perché Egli rimane
presso di noi questa notte! Di tale grazia suprema non è degna tutta la Terra,
per non parlare poi di questa poverissima capanna e di noi stessi che siamo
carichi di ogni peccato!».
3. Ora, mentre il padrone della capanna era così intento a parlare di
Me con la sua famiglia, durante la preparazione dei giacigli, Io
contemporaneamente domandavo ai Miei discepoli, specialmente a quelli che erano
stati inviati per avere informazioni, che cosa la gente di quei dintorni
pensava che Io fossi. (Matt.16, 13).
4. Allora quelli a cui la domanda era rivolta, risposero: «Alcuni
sostengono seriamente che Tu sia Giovanni Battista risuscitato da morte! Altri
dicono che Tu sia Elia, del quale sta scritto che scenderà ancora una volta
sulla Terra prima del grande Messia, per chiamare tutta l’umanità a fare
penitenza ed al vero ritorno a Dio; altri ancora pensano che Tu sia il profeta
Geremia, del quale pare sia diffusa fra il popolo la leggenda che egli debba
venire dai Cieli prima del Messia.
Poi si dice anche che Tu potresti essere l’uno o l’altro dei profeti,
perché quando verrà il grande Messia, tutti i profeti Lo precederanno! Queste
sono su per giù le voci accettabili che circolano rispetto alla Tua Persona, ma
dobbiamo aggiungere che di opinioni e voci sul Tuo conto ce ne sono anche altre
in quantità, però noi, dopo averle sentite, le abbiamo rimproverate ai loro
sostenitori e propagatori e li abbiamo indotti ad avere un’opinione migliore
nei Tuoi riguardi. Molti poi sono portati a pensare che Tu sia il Giove dei
greci travestito»
5. Dico Io: «Sta bene, voi Mi avete ora riferito quello che avete
sentito, ma adesso Io vorrei apprendere dalla vostra bocca quello che voi
effettivamente credete che Io sia. La Mia domanda non è vana, anzi è del tutto
seria, poiché Io ho osservato in più di una occasione che il Mio comportamento
può, qua e là, apparire ai vostri sensi come vicino a quello terreno, e che voi
subito Mi giudicate nei vostri cuori in maniera del tutto differente da prima,
e che ai vostri occhi non sembro più interamente ciò che sono ritenuto da voi
quando compio qualche opera meravigliosa! Perciò, diteMi una buona volta
sinceramente quello che, secondo uno spassionato e maturo giudizio del vostro
intelletto, voi credete chi veramente Io sia!»
6. Allora tutti i discepoli restarono perplessi e, ad eccezione di
Simon Giuda, non seppero che risposta dare alla Mia domanda. E Giuda Iscariota
osservò a Tommaso: «Parla tu adesso, che sei sempre avveduto e saggio; per te
non dovrebbe essere che uno scherzo dare una risposta valida alla strana
domanda del Maestro!»
7. Dice Tommaso: «Parla tu, se ne sai più di me! Io lo ritengo Colui
che Egli stesso già da tempo ha detto di essere! Di Sé Egli non ha mai detto
altro che: “Io sono Figlio dell’uomo e Dio è Mio Padre come è il Padre di voi
tutti!”. Se Egli rende di Se stesso una tale testimonianza, quale altra
possiamo noi rendere di Lui, in assoluta verità, fuori da noi stessi? Egli
certamente fa ed opera cose che dai tempi di Mosè e degli altri profeti non
furono mai fatte da uomo. Ma se noi osserviamo questi fatti nella loro vera
luce, troveremo che veramente è sempre lo Spirito di Dio che compie simili cose
mediante un uomo puro chiamato a fare ciò! Però allo Spirito di Dio deve essere
indifferente trasportare o annientare montagne tramite un uomo eletto, oppure
permettere la riuscita di un miracolo tramite la parola di un profeta!»
8. Dice Giuda Iscariota: «Dunque tu Lo ritieni un profeta?»
9. Risponde Tommaso: «Certamente, anzi il più grande che abbia mai
calcato il suolo di questa Terra, ciò che veramente non è merito Suo, bensì di
Dio! Infatti Dio soltanto può suscitare nell’uomo il profeta, come ha fatto con
Samuele quando era ancora fanciullo, e come Egli, cioè Dio soltanto, ha fatto
in modo che perfino l’asino del falso profeta Balaam profetizzasse veramente, e
per mezzo dell’asino poi anche Balaam stesso. Se noi afferriamo bene queste
cose e se consideriamo la testimonianza che Gesù fa di Se stesso, cioè che Egli
non è che un Figlio d’uomo, malgrado Egli, di quando in quando, definisca il
divino Io la meravigliosa potenza operatrice divina la quale dimora in Lui con
particolare pienezza, noi, secondo il mio modesto parere, non possiamo
assolutamente rendere di Lui altra testimonianza da quella che Egli sempre
rende di Se stesso; dunque, Egli è un eminentissimo Figlio d’uomo, come lo
siamo noi, però non nel grado in cui lo è Lui»
10. Dice Giuda Iscariota: «Ma come mai allora molti lo considerano come
il promesso Messia ed i romani migliori ed i greci lo credono addirittura il
solo vero Dio onnipotente?»
11. Dice Tommaso: «Hanno anch’essi ragione, perché la Potenza di Dio,
che è in Lui, è anche l’unico vero Messia, e senz’altro pure Jehova stesso»
12. Con ciò Giuda è soddisfatto ed Io, anche se avevo sentito questo,
tacqui.
13. Ma Pietro, che aveva notato il Mio silenzio, si alzò e disse:
«Signore, io scorgo che perfino tra i fratelli ci sono opinioni differenti
rispetto a Te! Permettimi dunque che, per amore dei fratelli, renda io pure ad
alta voce chiaramente la mia testimonianza su di Te!»
14. Gli dico Io: «Sì, fallo pure; come suonano le tue parole?»
15. Dice Pietro, cioè Simone Giuda: «Dal più profondo del mio cuore io
dico e professo a voce alta dinanzi a tutto il mondo: “Tu sei il Cristo, il
Figlio del Dio vivente!”» (Matt.16,16)
16. Ed Io dissi a Pietro: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona,
poiché la tua carne e il tuo sangue non ti hanno rivelato questo, bensì il
Padre Mio che è nel Cielo!» (Matt.16,17).
17. Ma Io ora ti dico che tu sei Pietro, una pietra e sopra questa
pietra io edificherò la Mia chiesa e le porte dell’inferno non la potranno
vincere! (Matt.16,18). Ed Io ti darò le chiavi del Regno dei Cieli! Tutto ciò
che avrai legato in terra sarà legato anche in Cielo e tutto ciò che avrai
sciolto in terra sarà sciolto anche in Cielo! (Matt.16,19).
18. Allora Pietro disse: «Signore, io ti ringrazio per questa grazia
altissima di cui mi reputo assolutamente indegno, perché sono sempre stato un
grande peccatore e purtroppo lo sono ancora, però, per quanto concerne il
legare e lo sciogliere, confesso pure apertamente che non lo comprendo e che
non so come sia da intendere la cosa. Se Tu volessi, potresti bene rendere la
cosa più chiara!»
19. Dico Io: «Tutte queste cose ti saranno rese del tutto chiare a
tempo debito, frattanto però Io proibisco a voi tutti severamente di dire a
chiunque prima del tempo che Io, Gesù, sono il vero Cristo!». (Matt.16, 20)
20. Dopo questa discussione importante Matteo, lo scrivano, chiede se
egli debba prendere nota degli altissimi avvenimenti.
21. Ed Io gli dico: «Del miracolo verificatosi qui e del dialogo fra Tommaso
e Giuda Iscariota non occorre che tu faccia menzione; invece sarà da citare
nelle sue linee principali la questione da Me trattata con Pietro. In generale
vedi di scrivere sempre così come Io ti metterò le parole nel cuore e in questo
modo tutto sarà buono e giusto!». Lo scrivano si trovò soddisfatto della
decisione e poco dopo si ritirò a riposare. Noi, invece, restammo seduti a
tavola fino quasi a mezzanotte, e la gente di casa venne pur essa fuori e ci
fece gradita compagnia.
Marco, il
padrone della capanna, racconta gli orrori del Tempio.
1. Il padrone della capanna, il cui nome era Marco, era a conoscenza di
molti fatti concernenti i farisei ed i sedicenti scribi. Tra le altre cose egli
raccontò delle crudeltà commesse in segreto dai templari e come questi
diventassero subito nemici implacabili di chiunque nel quale avessero anche
solo intuito una qualche disposizione spirituale e quindi profetica! Molte
persone simili, dotate di tali attitudini, pare che venissero soppresse di
nascosto! Il procedimento era semplice: li si invitava in maniera del tutto
amabile, li si colmava di attenzioni, di stima e di rispetto e le prove
d’amicizia fioccavano fino a soffocarli, ma una volta arrivati nelle stanze
interne dove dimoravano i capi dei farisei, allora là era finita per loro,
perché nessuno riappariva più alla luce del giorno! Marco disse che era
incomprensibile come Dio potesse assistere per tanto tempo indifferente a tanti
simili orrori. Le condizioni di Sodoma e Gomorra erano certo pessime, ma
paragonate alle attuali di Gerusalemme sembravano una goccia di pioggia
confrontata con il mare, eppure allora Dio, nonostante le reiterate suppliche
di Abramo, fece scendere il fuoco celeste sulle due città e le distrusse
assieme a tutte le località vicine! Ma oggi, invece, con tutto questo diluvio
di orrori d’ogni specie che a Gerusalemme venivano perpetrati giorno per
giorno, Dio, il Signore, sembrava facesse come se non sapesse niente e come se
le vicende di tutta l’umanità non Lo riguardassero più! E Marco si chiedeva
dove mai potesse trovare la sua spiegazione un procedimento simile.
2. A questa buona e ben fondata domanda gli risposi Io: «Amico, Dio
conosce già tutto ciò che avviene. A Lui sono ben noti tutti gli innumerevoli
abomini senza nome dei templari e degli scribi, ma Io sono venuto a questo
mondo appunto affinché questa razza di serpenti e di vipere abbiano a colmare
in Me stesso la misura dei loro orrori, ma quando la misura sarà colmata, allora
guai a questa perfida progenie!»
3. Dice Marco: «O Signore, Maestro carissimo e benefattore
dell’umanità! Se non Ti è propria anche la facoltà di spazzare via anche con un
soffio migliaia di uomini nell’altro mondo, saresti davvero da compiangere molto,
se dovesse venirTi un giorno in mente di farTi vedere a Gerusalemme per
compiere la Tua attività miracolosa! Io sono una persona certamente quanto mai
semplice, ma comprendo tuttavia più di una cosa che nessun fariseo di sicuro si
è mai immaginato. La questione è che a questo riguardo non mi manca la furberia
ed al cospetto dei farisei, con i quali ho spesso occasione di venire in
contatto, assumo un atteggiamento così stupido che in loro svanisce anche la
minima traccia di un sospetto che io possa avere qualche conoscenza segreta!
4. Ma poiché già da un certo tempo essi mi conoscono per un povero
stolto di prima qualità e credono fermamente che mi si possa mostrare una
lucciola ed una lanterna senza che io sia in grado di distinguerle, così
avviene che mi lasciano spesso gettare l’occhio senza difficoltà dietro i loro
più tenebrosi misteri! Ed è in questo modo che sono già venute a mia conoscenza
delle cose che, devo apertamente confessarTelo, mi hanno parecchie volte
indotto a dubitare assolutamente dell’esistenza di un Dio, perché in simili
occasioni ho fatto questo ragionamento: “Se veramente esiste un Dio
onnipotente, onnisciente, giusto e buono il Quale, secondo quanto la Scrittura
insegna, si interessa un po’ dell’umanità, è impossibile che stia lì ad
assistere a simili misfatti! Se Dio non esiste, allora l’uomo, secondo le
teorie di Platone, discende dalla scimmia per quanto riguarda il corpo, ed è
poi un discendente delle bestie feroci per quanto riguarda l’anima! E perciò
alla testa di una grande comunità deve mettersi una specie di Sansone forte e
saggio, affinché possa, con una sferza poderosa, spazzare via dall’animale
composto che si chiama uomo la sua doppia animalità e giunga dopo anni ad
addomesticarlo tanto da renderlo almeno un mezzo uomo!”.
5. Pensieri simili e spesso peggiori ancora hanno assillato il mio
animo quando ho dovuto accorgermi delle malefatte segrete ben spesso troppo
spaventosamente orribili di quella razza di serpenti, come Tu li hai del tutto
giustamente classificata! E perciò, come detto, o Signore e Maestro, se ci
tieni a venire mandato in poco tempo fuori da questo mondo nella maniera più
crudele e tormentosa, non hai che da recarTi a Gerusalemme e lì Ti persuaderai
che io Ti ho detto la piena e completa verità, pur senza essere uno speciale
profeta.
6. Ma per darTi così una piccola idea delle loro manovre segrete, Ti
racconterò con poche parole un fatto della cui realtà ho potuto sincerarmi io
stesso ora non è molto e che supera in orrore di almeno mille volte la nota santità
del letame del Tempio! Chi però abbia potuto ispirare a quella nera genia un
tale pensiero ultrasatanico, non mi è noto affatto. E Satana di certo non
c’entra, perché a tanto non può arrivare neppure con il suo sentimento più
perverso!».
1. Parla Marco: «Nella regione citeriore della cosiddetta Asia Minore
c’è un territorio abitato, nel quale le donne sono per lo più sterili, quale ne
sia la ragione io non saprei dirTelo; del resto è un fatto accertato che, se
quelle donne si congiungono con degli ebrei o samaritani, diventano altrettanto
feconde come le nostre. Ebbene, i farisei, i quali mandano dappertutto i loro
pessimi apostoli, hanno saputo già da molto tempo della condizione di quelle
donne sterili e non di rado sono andati là con le carovane allo scopo di
renderle feconde! In questi casi si trattava, in certo qual modo, sempre di un
servizio fatto in amicizia e ben pagato. Ma troppo a lungo non durò questo bel
servizio, essendosi gli uomini del luogo, a poco a poco, accorti che essi
venivano malamente turlupinati, poiché le loro donne non diventavano gravide
nello stabilimento di fecondazione che i missionari di Gerusalemme hanno già da
molti anni edificato al confine di quel territorio, bensì i missionari stessi
comperavano in questa regione ed anche nella Giudea dei neonati e li facevano
trasportare nello stabilimento già menzionato, nel quale quelle donne, del
resto molto belle e formose anche se sterili, dovevano soggiornare per il tempo
di dieci mesi. Trascorso tale tempo, durante il quale i libidinosi “apostoli”
del Tempio abusavano ignominiosamente di una donna del genere; a costei veniva
presentato uno di quei fanciulli che erano stati comperati e precisamente con
tanta arte ed astuzia che perfino la donna stessa finiva con il credere che il
bambino fosse suo! Ma, come detto, con il tempo i mariti delle donne belle e
formose scoprirono tuttavia l’inganno con l’aiuto di un onesto samaritano, che
rivelò agli abitanti di quella regione i sotterfugi di cui si avvalevano i
pretesi pii “apostoli” di Gerusalemme, la città di Dio.
2. Allora quegli uomini andarono in cerca degli “apostoli” nello
stabilimento di fecondazione e rinfacciarono loro aspramente ciò che essi
avevano appreso da un cittadino di Sichar e che le loro donne stesse avevano
confermato!
3. Sennonché gli “apostoli” del Tempio, rotti a tutti gli inganni,
trovarono ben presto una finissima scappatoia, descrivendo i samaritani, agli
ebrei che li rimproveravano, con tali colori che i reclamanti cominciarono
proprio seriamente a convincersi che appunto ai samaritani, quali ebrei
rinnegati e già da molti anni maledetti da Dio, era esclusivamente da
attribuire la causa della sterilità delle loro donne.
4. Ma in conseguenza di ciò i buoni samaritani furono presi fra due
giuramenti di vendetta e cioè il primo, da parte dei farisei, a causa della
denuncia e del sospetto suscitato contro di loro presso quegli abitanti
dell’Asia Minore citeriore e poi il secondo, da parte degli uomini stessi a cui
appartenevano le donne sterili, perché dopo le dichiarazioni fatte loro dai
farisei, cominciarono a credere fermamente che tutti i samaritani fossero dei
maligni stregoni e che già da molti anni avessero fatto venire loro addosso
quel malanno, perché una volta nel loro paese un samaritano era stato ammazzato
per essere giaciuto con una donna di quei luoghi. Però essi, i farisei
beninteso, conoscevano un rimedio che essi, in cambio di buon compenso,
avrebbero potuto consigliare ai mariti delle donne sterili e più facilmente
ancora procurare essi stessi! E soltanto allora, caro e buon Maestro, viene a
galla il vero e genuino elemento ultrasatanico di questa storia!»
5. Gli dico Io: «Procedi pure con il tuo racconto! Per Me non sarebbe
necessario, ma è tanto più necessario che questi Miei discepoli vengano a
conoscenza di queste cose».
6. E Marco allora riprende la narrazione e dice: «In che cosa
effettivamente consiste il mezzo raccomandato, in cambio di abbondante
compenso, dagli “apostoli” di Gerusalemme per ottenere la fecondità delle donne
dell’Asia Minore citeriore? Secondo il savio consiglio degli “apostoli” di
Gerusalemme consiste niente di meno che in questo: gli asiatici devono procurarsi
il sangue di fanciulli samaritani e che lo prendano o fresco oppure anche
disseccato e ridotto in polvere, quando hanno raggiunto l’epoca della pubertà;
e le donne lo devono prendere prima di giacere con un uomo. Questo procedimento
renderebbe nullo il potere magico dei samaritani e ridonerebbe completamente
fecondità alle donne! Ma come procurarsi il sangue di fanciulli samaritani? Di
ciò si incaricheranno ben gli “apostoli” del Tempio in cambio di un adeguato
compenso!
7. Detto fatto, il contratto fu accettato dagli interessati. Ma che
cosa avvenne poi e che cosa avviene ancora oggi, in proporzioni molto più
vaste? Ecco, i farisei organizzarono una vera caccia ai fanciulli samaritani
dappertutto, com’era loro possibile, e questa cosa dura ancora oggi.
8. I fanciulli da uno a dodici anni vengono condotti nell’ormai noto
stabilimento di fecondazione e là nutriti abbondantemente per qualche tempo,
particolarmente con cibi atti ad aumentare la produzione del sangue. Quando si
osserva che un fanciullo è diventato ricco di sangue, egli viene denudato e lo
si conduce nella camera della macellazione, dove i macellai, appositamente
prezzolati, lo prendono in consegna. Costoro stringono all’infelice creatura le
mani ed i piedi fortemente entro robusti lacci ed in tale stato la legano ad un
palo fissato nel mezzo di una vasca; infine al poveretto vengono bendati gli
occhi e recise le vene delle mani e dei piedi, cosa che grida vendetta al
Cielo. E mentre quegli sciagurati fanciulli così si dissanguano e, naturalmente
dopo pochi istanti, muoiono, gli “apostoli di Dio” di Gerusalemme, la città di
Dio, stanno belli e tranquilli come se niente fosse. I cadaveri dei fanciulli
così assassinati, vengono poi bruciati entro un grande forno appositamente
costruito, e il loro sangue viene venduto ai ben noti scopi, sia fresco oppure
disseccato! L’inferno dovrebbe avere benedetto questo specifico ultrainfernale,
perché le donne che usano questo sangue pare che ora siano diventate sul serio
feconde!
9. A orrori di questo genere il buon Dio, se Egli non è proprio
un’antica leggenda ebraica, dovrebbe pur trovare qualche mezzo da opporre, ma
fino ad ora, a tale proposito, non se ne è avuto alcun indizio dall’Alto. Dio
tollera ancora con tutta pazienza e comodità simili abomini che non hanno nome
nella stessa maniera come, circa trent’anni fa, ha potuto tollerare che dietro
comando di una potestà tirannica venissero uccisi a Betlemme centinaia di
fanciulli maschi da uno a dodici anni in un giorno e nel modo più crudele di
questo mondo!
10. Dio è sommamente buono, savio e pieno di misericordia, come ci
insegna la Scrittura, ma se io, che non ignoro tutti gli orrori che avvengono,
considero le cose come nella realtà si presentano, posso a mala pena
allontanare da me il pensiero che non esista affatto un Dio o, se ce n’è uno, è
da lungo tempo che non si cura più degli uomini di questo mondo! Ma c’è
qualcuno che possa rimproverarmi per questo? Certo nessuno che sia veramente
uomo e che come me sia animato da qualche senso di umanità e un Dio neppure!
Infatti nel mio petto batte ancora un cuore che è devoto con tutto amore alla
povera umanità!
11. Dunque, se in Te, o Signore e Maestro, si cela qualcosa di divino,
vedi di operare anche in questo campo un miracolo e distruggi e annienta simili
mostri infernali! Io non dubito minimamente che una tale cosa Ti sia possibile,
perché quello che oggi ho visto di Te mi è una garanzia più che sufficiente
che, se Tu vuoi, niente Ti può essere impossibile, poiché Tu sei evidentemente
più di tutti i profeti presi assieme!».
L’eccitazione
dei discepoli sulla storia del Tempio.
1. Gli dico Io: «Amico! Quello che ora Mi hai raccontato è appena una
pallida immagine di ciò che so e vedo Io; però a te manca completamente la vera
e profonda conoscenza dell’Ordine divino e così tu vai incolpando perfino con
apparente diritto quello che a te sembra una lentezza di Dio. Ma poiché tu hai
un cuore buono, onesto e sincero come ve ne sono pochi, Io intendo rimanere qui
presso di te e dei tuoi per sei giorni interi e darti in questo tempo
sufficienti spiegazioni su tutto quello che a te non riesce chiaro. Ed ora,
visto che siamo vicini alla mezzanotte, vedi di condurci là dove sono preparati
i giacigli per noi!»
2. Dicono i discepoli: «Signore! Oggi è ormai indifferente per noi
vegliare distesi su un giaciglio oppure qui all’aperto, perché il racconto
dell’amico Marco ci ha tolto completamente il sonno e per niente al mondo
saremmo capaci di addormentarci! In verità, ogni goccia di sangue nelle nostre
vene ribolle d’ira e di furore contro quelle ferocissime belve di uomini che
sono generati dal Tempio! Davvero in simili condizioni sarebbe certo mille
volte meglio non essere mai nati! Oh, Signore, fa’ che il fuoco celeste si
rovesci immediatamente su queste bestie! Infatti quello che abbiamo sentito
ora, supera di gran lunga tutto quanto di perfido noi abbiamo mai saputo sul
conto di questa umanità bestiale!»
3. Dico Io: «Appunto perciò è meglio che procuriate di smaltire un po’
la doppia ebbrezza con il sonno! Domani, quando la passione del vostro animo e
il vostro sangue saranno più calmi, sarete più facilmente in grado di ragionare
e giudicare a tale proposito». E seguendo il Mio consiglio tutti si ritirarono
senza obiettare altro e andarono a coricarsi.
4. Il mattino del giorno seguente non tardò ad annunciarsi ed Io e i
discepoli ci alzammo subito dai giacigli che avevamo trovato, per quanto era
possibile, comodi e buoni.
5. Giunti all’aperto, Simon Giuda disse: «Signore! Io ho bensì potuto
prendere sonno per qualche tempo, ma nel mio animo è sempre presente il
racconto del nostro albergatore Marco. È una cosa inaudita! Non c’è mai stato
niente di simile! In verità, qualche volta io stesso non riesco a comprendere
la Tua pazienza e la Tua indulgenza, se penso che Tu, con noi, che pur Ti siamo
attaccati per la vita, usi ben altri procedimenti e che prima che ce
l’aspettiamo Tu punisci uno di noi sia con una parola sia con un’occhiata,
cosicché dopo non ci si azzarda così facilmente a domandarTi di nuovo qualche
cosa ad alta voce, eppure Tu puoi tranquillamente assistere attraverso i secoli
a simili orrori e questi sembrano non darTi fastidio! Laddove uno di noi
uscirebbe dai gangheri, Tu stai a guardare con tutta pazienza, mentre quando il
nostro occhio e animo vedono e trovano poco o niente, Tu sì che allora sei ben
presente lì e procedi come se la salvezza di tutta la Creazione dipendesse da
quel piccolo fatto che a noi sfugge!
6. Vedi, o Signore, sono cose che noi non possiamo assolutamente
comprendere e Marco poi non ha tutti torti se proprio nei riguardi di Dio pensa
così come si è ieri fedelmente espresso. È certo, ed è vero, che Tu, o Signore,
puoi ed anche vorrai sicuramente ricompensare con gli interessi per l’eternità
tutti i martiri di queste acute sofferenze, imposte loro su questa Terra, ma
nonostante tali considerazioni, resta però sempre una cosa disperatamente amara
quella di venire martoriati spesso in
maniera spaventosamente atroce da
rappresentanti ferocissimi
dell’umanità di questo mondo, ed alcuni istanti di atroce tormento, o Signore,
hanno per il tormentato pur essi il valore di una piccola eternità!»
7. Dico Io: «Io l’ho già detto ieri a te ed a Marco che durante la Mia
permanenza tali questioni verranno qui più da vicino esaminate ed approfondite.
Aspettate dunque fino a che il tempo sia venuto e poi tutto vi sarà reso chiaro
a sufficienza. Ma ora andate piuttosto ed aiutate Marco a portare a riva il
prodotto della sua pesca, perché egli oggi si è accinto già di buon mattino al
lavoro ed Io gliel’ho benedetto, perciò andate anche voi ed aiutatelo a
trasportare a terra ed a mettere nei suoi vivai i molti e bei pesci presi».
La pesca
benedetta. Del letame del Tempio.
1. Udito ciò, tutti i discepoli si affrettarono ed aiutarono con tutte
le loro forze Marco ed i suoi figli. Di questi, i due maschi erano giovani, ma
robustissimi, mentre le quattro figlie più anziane non avevano tutte assieme
tanta forza quanto uno dei due giovani.
2. Quando con il valido aiuto dei discepoli il pesce fu tutto messo in
serbo, Marco venne da Me, che stavo seduto su di un sedile di zolle erbose
molto pulito e comodo e disse, ancora tutto grondate di sudore: «Signore e
Maestro! Tu potrai dire tutto quello che vuoi, ma pur io sostengo fermamente
che la mia odierna retata, magnifica e ricchissima, quale in vita mia non ne ho
viste di uguali, devo attribuirla a Te così come fosti Tu ieri sera a riempire
di vino finissimo i miei otri e perciò anche mi sono affrettato a venire prima
di tutto qui a dirTi grazie di tutto cuore. Accogli dunque, o Signore e
Maestro, dal più profondo del mio cuore grato e commosso i ringraziamenti che
Ti sono dovuti per tutti gli immensi e meravigliosi benefici che Ti è piaciuto
rendere a me ed ai miei in misura tanto generosa.
3. Oggi ho gettato la mia grande rete a strascico lunga centocinquanta
braccia e profonda proporzionalmente sette braccia e non ne è rimasta vuota una
sola maglia. La rete era zeppa di pesce bellissimo ed eccellentissimo! Ed ora i
miei dieci serbatoi, che sono abbastanza grandi, sono addirittura carichi di
tutto questo pesce che oggi abbiamo tirato a riva con la prima ed unica retata.
Se Ti è gradito, io ne faccio subito preparare alcuni per la colazione. Mia
moglie è una vera artista a questo riguardo»
4. Dico Io: «Fa pure così, perché ne mangerò volentieri. Ma dopo puoi
anche far portare dai tuoi figli altrettanti barili di pesce a Cesarea di
Filippo, dove ne ricaveranno un buon guadagno».
5. Marco fece un profondo inchino, andò in fretta in cucina, per
ordinare a sua moglie la colazione ed essa, unitamente alle figlie, si mise
senza indugio al lavoro. I due figli invece riempirono di pesce sceltissimo due
grossi barili e, siccome avevano già fatto colazione con del pane ed un po’ di
vino, caricarono il pesce su di un carro e partirono alla volta della città
distante un’ora circa di cammino.
6. E quando il carro, tirato da due asinelli, giunse sul posto dove
c’era il mercato, si presentarono subito i compratori in buon numero ed in
pochissimo tempo tutto il pesce fu venduto a buonissimi prezzi, perché il pesce
di quella specie si pagava già allora a un buon denaro al pezzo. Ora, avendone
i due giovani portato con sé circa duecento pezzi, l’incasso fatto fu circa di
duecento denari, ciò che allora rappresentava di più che non oggi duecento
talleri (nell’epoca di Jakob Lorber). Dopo un paio d’ore, i due fecero ritorno
a casa con il carro ed i barili vuoti, ma con le tasche piene di denaro che
essi consegnarono al padre Marco. Costui, fuori di sé dalla gioia, li prese e
non fu parco di lodi con i figli.
7. I due giovani però gli domandarono se dovevano forse ripetere il
viaggio, considerato che molta gente che avrebbe voluto acquistare del pesce
era rimasta a mani vuote. Allora il padre diede il suo assenso ed essi
riempirono di nuovo i barili e ritornarono a Cesarea, dove il secondo carico
trovò collocamento più rapidamente ed ancora a miglior prezzo del primo.
8. Marco alla fine non trovò più parole sufficienti per ringraziarMi,
vedendosi così improvvisamente tratto fuori dalle misere condizioni in cui
aveva versato per lunghi anni.
9. Ma mentre i due giovani erano in viaggio con il primo carico, a noi
erano stati serviti a colazione una ventina di pesci ben preparati ed anche di
pane e di vino non c’era stata penuria. In questa occasione noi ci eravamo
intrattenuti su diversi argomenti, ma tuttavia il principale restava sempre
quello dei servitori del Tempio, ed a tale proposito la figlia più anziana di
Marco, una giovinetta di diciannove anni, ci mostrò un vecchio recipiente,
pieno per metà, del famoso letame sacro e domandò se questo avesse proprio
l’incredibile potere fecondatore per le campagne ed i giardini che avrebbe
dovuto avere secondo gli importuni venditori.
10. Allora un coro di risate si levo fra i discepoli, ai quali questo
sistema di estorsione da parte del Tempio non era sconosciuto e Tommaso
esclamò: «Oh, vergogna immensa! È già da quasi cinquant’anni che i servitori di
Dio perseverano in questo imbroglio! Non si può negare che qualche sommo
sacerdote più degno si sia opposto ad un simile abuso, ma non ha potuto ottenere
che scarsi risultati, perché il sacro letame rende ora al Tempio almeno duemila
buoni denari. Gli uomini, dal canto loro, sono sempre abbastanza ciechi e
finiscono con il credere che questa immondizia sia veramente una benedizione
per i loro campi e prati e per i loro orti!»
11. La figlia maggiore però dice: «Oh, mio caro amico, non è proprio
così! La grande maggioranza non ci crede più di quanto ci creda io, ma cosa si
può fare? Se si rifiuta di comprare il letame, c’è da aspettarsi di veder
scatenarsi l’inferno; oltre a ciò i venditori di questa merce immonda sono
tanto impertinenti, insistenti e rozzi che si finisce con il comperare
volentieri un po’ della loro sozzura, pur di toglierseli dai piedi. Se poi si
getta via il letame nell’acqua in loro presenza, non ne prendono più affatto
nota e se ne vanno tranquillamente, poiché essi ben sanno che, passato un anno,
bisogna di nuovo rassegnarsi a comperare da loro il letame del Tempio»
12. Dice Pietro: «Sì, è vero. Inganno, menzogna e frode di ogni specie,
queste sono le virtù dei servitori del Tempio che si danno il nome di servi di
Dio. Hanno bensì delle sembianze umane, ma nella profondità delle loro anime
portano scolpito l’inferno! E perché poi Tu permetti e tolleri una cosa simile,
questo, o Signore, non puoi saperlo che Tu solo e nessun altro in tutto il
mondo»
13. Dico Io, rivolgendoMi a tutti: «Lasciamo stare ora questo
argomento; mezzogiorno è vicino! La giornata è bella e non troppo calda, perciò
noi ce ne andremo un po’ qui intorno in questa libera regione per vedere se non
si possa trovare in qualche luogo un posticino in cui si possa godere una bella
vista in lontananza. Un tale posticino noi poi ce lo adatteremo a nostro
piacere, per potervi tenere le nostre svariate conversazioni durante la nostra
permanenza qui»
14. Allora Marco interviene e dice: «Signore! Proprio circa duecento
passi più in su della mia capanna, ed esattamente della grotta alla quale essa
è addossata, c’è un luogo che figura ancora tra le mie scarse proprietà e che
dovrebbe corrispondere al Tuo desiderio. La sommità della collina è adorna di
un antico castagno ricco d’ombra, intorno al quale io ho disposto delle zolle
erbose a mo’ di panche molto comode. Da lì si gode una vista bellissima ed
ampia su tutti questi dintorni, Cesarea di Filippo si vede completamente e
dalla parte del mare il panorama è a perdita d’occhio. In giornate molto serene
si distingue facilmente il paese fino Genezaret ed anche oltre fino a Chis. C’è
qualcuno poi che sostiene di aver potuto vedere perfino Sibarah, ma per
arrivare fino là i miei occhi sono ormai troppo deboli e non riesco a
distinguere questa città, però ci vedo bene ancora fino a Gadarena e altri
luoghi ancora in gran numero»
15. Dico Io: «Allora noi sceglieremo questo posto e vi passeremo il
nostro tempo, impiegandolo il meglio possibile. Andiamo, dunque, e tu facci da
guida».
16. Marco si mise alla testa della comitiva e per un sentiero molto
stretto, però non scomodo, ci condusse al posto che ci aveva descritto e che
veramente non lasciava niente a desiderare; vi si distingueva bene Cesarea di
Filippo e così pure tutto il mare di Galilea, nonché una grande quantità di
altri paesi.
Marco ed i
farisei a caccia di decime.
1. Però, mentre eravamo intenti ad ammirare il paesaggio, scorgemmo
come alcuni farisei, usciti da Cesarea di Filippo, si erano avviati di buon
passo proprio in direzione della misera capanna di Marco. E Matteo, il giovane
pubblicano, osservò: «Questa genia deve aver avuto sentore che Tu Ti trovi
qui. Ma chi può averlo riferito loro?
Sono stati forse i figli di Marco, che fecero due viaggi in città per portarvi
il pesce, a rivelare la nostra presenza?»
2. Dice il vecchio Marco: «Questo non è impossibile, perché i miei
figli sono in generale buoni e bravi giovanotti, ma hanno questo difetto di
chiacchierare volentieri, cosa questa che ha già suscitato più di qualche
malanno. Io voglio interrogarli»
3. Dico Io: «Resta pure qui in pace, perché né i tuoi figli, né nessun
altro di questi dintorni ha rivelato la Mia presenza. Essi si sono messi in
moto unicamente a causa del pesce e intendono farsi regalare un centinaio di
pesci, dei quali hanno ammirato gli esemplari in città, ma che non hanno
comperato! Tu già sai che essi sono autorizzati a prelevare la decima dovunque
ci sia un raccolto, ora una bella retata come l’hai fatta oggi tu è anche un
raccolto ricco e perciò essi ritengono di avere anche il diritto di pretendere
la decima. Scendi dunque giù e dà loro un centinaio di pesci, tu ne otterrai
delle lodi e poi essi prenderanno il pesce e se lo porteranno subito e
pacificamente a casa loro»
4. Dice Marco: «Ma come faranno poi a trasportare i cento pesci?»
5. Dico Io: «Non darti pensiero per questo, poiché sarà affar loro. Se
tu guardi bene, ora che si sono avvicinati abbastanza, osserverai che in mezzo
a loro va trotterellando un animale da soma e questo porta già sulla schiena
quanto occorre per trasportare il pesce»
6. Marco allora guardò più attentamente dalla parte dove la piccola
carovana andava avvicinandosi alla sua dimora e si persuase facilmente di ciò
che Io gli avevo detto, poi esclamò: «Signore! È proprio così come Tu hai
asserito, ma adesso vado prontamente giù e bisogna che i cento pesci siano già
preparati per loro nella grande vasca, il che non mancherà certo di
sorprenderli un po’!»
7. Gli dico Io: «Va’ e fa’ come hai detto! Però se ti fanno delle
domande riguardo al come tu hai potuto sapere della loro venuta, vedi dunque di
essere prudente nella risposta e non bisogna che tu li congedi con una
menzogna!»
8. Marco se ne va, fa subito levare dai serbatoi cento pesci e li fa
deporre nella vasca grande. Ma il lavoro era appena finito quando già arrivò la
piccola comitiva di farisei, i quali domandarono del pescatore Marco. Questi
subito si annunciò e disse, mentre stava ancora presso la vasca del pesce:
«Eccomi qui! E così pure nella vasca c’è anche quello per cui probabilmente
siete venuti! Si tratta della decima commisurata con tutta coscienza per voi e
consiste in un centinaio di pesci sceltissimi, fra i più belli che siano mai
stati pescati nel nostro mare!»
9. I farisei rimangono del tutto sconcertati dalle parole di Marco ed
uno di loro dice: «Vecchio, sei forse un profeta che già prima di averci udito
sai la ragione per la quale siamo venuti qui dalla città?»
10. Risponde Marco: «Oh, per conoscere questo non occorre davvero
essere profeta, basta avere a posto i cinque sensi ed un po’ di intelletto in
aggiunta, che poi si riesce a comprendere alla perfezione perché siete venuti
dalla città!
Ecco qui, prendete il pesce e ritornatevene in città in pace. Io ho
molto da fare oggi e mezzogiorno non è lontano, l’odierna giornata ci ha
procurato molto lavori e dobbiamo quindi andare a prepararci il pranzo!»
11. Dice uno dei farisei: «Veramente tu dovresti aggiungere ai cento
pesci altri trenta ancora a titolo d’ammenda, perché non è stato un bel gesto,
da parte tua, non aver mandato in città, subito terminata la pesca e mediante i
tuoi figli, la primizia della tua pescagione a noi che siamo i servitori di Dio
e che continuamente preghiamo l’Altissimo per la tua salvezza!»
12. Dice Marco: «Eccoveli qui, non trenta ma quaranta ed ora credo che
sarete soddisfatti e che ve ne andrete lasciando in pace anche me!»
13. Dicono i farisei: «Noi abbiamo dalla parte di Dio il diritto di
venire quando vogliamo e così pure di andarcene quando ci piace! Tuttavia
deponi il pesce nei bariletti che abbiamo portato con noi e poi ce ne andremo
subito!».
14. Marco ordina subito ai suoi figli di fare secondo la volontà dei
farisei ed essi si mettono senza indugio al lavoro e riempiono i bariletti con
i centoquaranta pesci.
15. A lavoro compiuto, Marco dice: «Ecco fatto, come avete richiesto,
siete contenti ora?»
16. Risponde un giovane fariseo dall’aspetto molto altezzoso e
arrogante: «No, cento volte no! Infatti tu parli con noi come se fossimo la
gente più importuna di questo mondo e dimentichi che noi siamo dei servitori
del Dio onnipotente, che possono rovinarti per l’eternità con un solo cenno! Il
tuo comportamento insolente verso di noi non può essere dunque cancellato dalla
consegna dei centoquaranta pesci, ma merita di venir punito con la confisca di
tutti i tuoi averi!»
17. Allora Marco comincia a perdere la pazienza. Egli corre in casa e
ritorna subito fuori dai farisei con un rotolo di pergamena, sul quale stava
scritto a grandi caratteri che a lui era riconosciuta la cittadinanza di Roma e
che, come tale, poteva far pieno uso di tutti i diritti spettanti ad un libero
cittadino, purché lo volesse!
18. Domanda l’arrogante fariseo, ora alquanto sconcertato: «Oh, oh, da
quando siamo diventati pagani? Infatti, a quanto ben ci consta, ancora fino a
poco fa tu eri ebreo!»
19. Dice Marco: «Marco non fu mai un ebreo, bensì un romano di nascita
che ha servito per trent’anni Marte con spada, scudo ed elmo. Ma questo Marco
divenne, per un periodo di prova di tre anni, un ebreo non circonciso. Egli
però, a prescindere dalla più nobile dottrina religiosa degli ebrei, si
convinse fin troppo presto che tipo di sacerdoti fossero quelli di questa più
nobile dottrina di Dio: ipocriti malvagissimi e senza alcuna coscienza, senza
onore, mettono sotto i piedi in segreto il loro Dio e la loro dottrina, e ad
ogni occasione ingannano la povera umanità. Costoro servono apparentemente, di
fronte al popolo cieco, il loro Dio, ma tengono i loro cuori seppelliti in ogni
profondità dell’inferno, ed è per questo che, con la più assoluta mancanza di coscienza,
fanno il più orribile e vergognoso commercio col sangue degli innocentissimi
bambini samaritani. Perciò io sono ridiventato totalmente un romano, e come
tale anche morirò! Prendete ora il vostro bottino e con esso andatevene a casa!
E ve lo do soltanto perché fino a non molto tempo fa fui, per tre anni, un
ebreo non circonciso!»
20. Dicono i farisei: «Come è mai possibile che tu, o Marco, sia
diventato improvvisamente tanto avveduto? Noi ti abbiamo già da lungo tempo
conosciuto per un uomo di limitatissima intelligenza! Davanti a noi pareva
spesso che tu non sapessi se eri uomo o donna. Come ti è capitata così
d’improvviso questa chiarezza di idee?»
21. Risponde Marco: «Questa era solamente una maschera molto ben
applicata alla foggia romana, per poter, con l’apparenza dello stolto, scoprire
i vostri perfidi intrighi, i vostri scandalosi inganni e tutti gli altri vostri
abomini! Io vi garantisco, ad ogni modo, che conosco Mosè e tutti i profeti
meglio di voi e che in cuor mio sono già da lungo tempo un vero ebreo!».
22. Dicono i farisei: «Senza la circoncisione nessuno può essere un
ebreo, né può avvicinarsi a Dio»
23. Osserva Marco: «Io non ho mai ambito ad avvicinarmi a Dio secondo
la vostra maniera, bensì soltanto nel cuore, come insegna il profeta Isaia e
questo mi basta, perché, se anche dovessi venire condannato da Dio per non
essermi fatto circoncidere, questo importa assai poco a voi. Io invece penso
che, in generale, Dio è più saggio di tutti gli uomini ed in particolare
infinitamente più saggio, buono e giusto di voi e che Egli guarda solamente
alla circoncisione in purezza di cuore e non a quella del prepuzio, la quale
può aver sì uno scopo terreno, ma spiritualmente è, se ben consideriamo,
solamente una sciocchezza. Dunque, da ebreo nel cuore io vi do tuttavia la
decima, ma ve la do spontaneamente, mentre voi non avete neanche l’ombra del
diritto di esigerla da me che sono cittadino di Roma! Ed ora andatevene,
altrimenti riprendo il mio pesce e vi lascio andare a mani vuote. Mi avete capito
bene?».
24. A questa energica tirata del nostro Marco, i farisei non aprono più
bocca e se ne vanno per i fatti loro con il loro pesce.
La predizione del
Signore riguardo alla Sua morte ed alla Sua risurrezione.
1. Marco allora ordina che venga sollecitamente preparato il pranzo,
poi risale sulla collinetta dove ci trovavamo noi e ci racconta per filo e per
segno quello che egli aveva trattato con i farisei.
2. Io gliene do lode e così gli parlo: «Marco, Io te lo dico: già dal
principio a questo popolo fu dato, e la grande promessa che gli fu fatta ha
raggiunto ora il suo completo adempimento.
Ma siccome questo popolo è tanto indurito e non vuole riconoscere il
tempo supremo della sua prova, e invece va cercando la sua salvezza nella
palude di questo mondo, che passerà come passano le immagini di un sogno, sarà
concesso che esso colmi la misura dei propri abomini uccidendo il suo Dio e
Signore!
3. Ma allora gli saranno tolti ogni grazia, ogni luce ed ogni diritto e
saranno dati a voi pagani, perché siete di buona volontà e, da ciechi quali
siete, avete riconosciuto quello che gli ebrei vedenti hanno rigettato.
4. E perciò avviene che ora la luce scende a voi dall’Alto e fa sì che
voi diventiate vedenti nel cuore, ma i figli della luce saranno cacciati fuori
nelle più profonde tenebre. Essi dovranno andare a raccogliere le briciole tra
i popoli stranieri; perfino il nome popolo sarà loro tolto ed avranno per
sempre cessato di essere un popolo!»
5. Disse Marco: «Dovrebbe dunque davvero accadere che essi, nel loro
grande furore, si impadroniscano di Te ed uccidano il Tuo corpo, come hanno
fatto quasi a tutti i profeti?»
6. Dico Io: «Oh, sì! Essi non esiteranno a fare a Me come hanno fatto
agli altri! Ma allora il loro conto sarà giunto alla fine!»
7. Dice Marco: «Sì, certamente è così come ebbi a dire la scorsa notte.
Questa razza è capace di ogni delitto! Perciò, per quanto è possibile, guardati
dalla cosiddetta città di Dio. Essa Ti ucciderà, a meno che non Ti voglia
armare di tutta la Tua preveggenza e di tutta la Tua onnipotenza, perché i
servitori del Tempio io li conosco bene dentro e fuori! Chi si azzarda a
toccare la loro dottrina, che già da lungo tempo è proprietà dello spirito
maligno, costui deve prepararsi a lottare con tutto l’inferno. La loro amicizia
è una maledizione e la loro maledizione è la morte. La vita di un uomo per
questi tali non vale più della vita di un moscerino a cui nessuno fa attenzione
a causa della sua meschinità»
8. Dicono i discepoli: «Ma noi, che conosciamo il nostro Signore e
Maestro, possiamo sostenere che tutta la loro perfidia, per quanto astuta e
raffinata possa essere, dovrà spuntarsi contro la Sua sapienza, perché Egli,
che può comandare alla morte e che può richiamare i morti in vita, sarà
difficile che possa venire ucciso!»
9. Dico Io: «Certamente in eterno Egli non potrà essere ucciso e
tuttavia Egli sarà ucciso per testimonianza contro di loro e affinché la misura
data loro venga resa colma! Infatti, se hanno messo le mani sui santi di Dio,
non mancheranno di metterle anche su di Me e di diventare in tal modo autori
del loro proprio giudizio! Però a colui che vuole che così sia non viene fatto
alcun torto se viene rigettato! Ma se non hanno fatto altro che del male ai
molti messaggeri nel tempo passato – ciò che è stato un abominio indicibile –
non risparmieranno nemmeno Colui che ha mandato i Suoi messaggeri prima di Lui.
10. Però la circostanza supremamente fatale per loro sarà che l’Ucciso,
dopo appena tre giorni, risorgerà dalla tomba illeso, al colmo della propria
forza e potenza ed al sommo grado dell’energia vitale, quale un trionfatore
possente della morte e di tutti i suoi nemici ed a consolazione eterna dei Suoi
amici e fratelli! Allora, sopraffatti dallo spavento e disperatamente sgomenti,
essi terranno consiglio per vedere come poter di nuovo uccidere il Resuscitato
da morte, ma non saranno più in grado di escogitare alcuna trama per i loro
scopi e la loro caduta poi non sarà lontana.
11. Queste sono le cose che accadranno e la Mia predizione troverà in
esse il suo vero adempimento.
12. Voi ne avrete certo grande tristezza ed una angoscia grande vi è
riservata per causa Mia, ma la vostra tristezza, il timore e l’angoscia si
convertiranno ben presto in una gioia immensa, quando rivedrete fra voi, come
oggi lo vedete, l’Ucciso, in tutta la pienezza della Sua potenza sopra ogni
vita e sopra ogni morte!»
13. Disse Marco: «Se le cose stanno così, non è allora troppo difficile
il farsi uccidere, per così dire, pro forma! Date simili circostanze, Tu puoi
recarTi a Gerusalemme quando vuoi, perché a Te non può accadere nulla! Se Tu
sei un Signore della vita e della morte, chi mai potrà ucciderTi? E se anche Ti
uccidono, o si illudono di averTi ucciso e poi risorgi più forte e più potente
e vivente di prima e pronto alla lotta contro i nemici, in questo caso io non
vorrei certo trovarmi nella pelle dei Tuoi nemici. Essi allora saranno consunti
dal fuoco della loro angoscia e del proprio terrore. Tutti i loro consigli e le
loro trame non avranno più effetto né ora né in eterno, perché appunto in
questo modo tutti i loro spaventosi abomini si mostreranno in piena luce
dinanzi agli occhi dell’umanità e la loro effettiva esistenza avrà trovato per
l’eternità quella fine che gli uomini migliori stanno auspicando da molto
tempo. O Signore e Maestro! Fa’ che ciò si avveri quanto prima con tutta
certezza! Io certo sono ormai diventato vecchio ed i miei piedi non calcheranno
la Terra molto di più di quanto l’abbiano già calcata finora, ma pure a questi
avvenimenti io bramerei assistere e poi mi sarebbe più leggera la morte!»
14. Dico Io: «La cosa non è ancora completamente e precisamente
determinata che debba avvenire proprio così, ma ci sono più probabilità per il
sì che per il no. Ma ora il mezzogiorno è già passato da molto ed i nostri
corpi richiedono essi pure un ristoro, dunque, noi scenderemo e mangeremo
qualcosa!»
15. Dice Marco: «Anche in questo Tu hai perfettamente ragione, dunque
possiamo anche andare, perché il pranzo sarà ora già pronto. Dopo il pranzo, se
fa piacere a Te, o Signore, possiamo sempre ritornare quassù!»
16. Dico Io: «Il pomeriggio di oggi noi lo impiegheremo altrimenti, domani
invece questo posticino ci sarà di nuovo ben gradito. Ed ora andiamo».
Viene
annunciata la visita di Cirenio.
1. Quando dopo pochi istanti giungemmo in basso, il pranzo era già
preparato e noi ci sedemmo alla grande tavola che era stata apparecchiata
all’aperto sotto l’ombra di un rigoglioso castagno. Ci vennero serviti del buon
pesce, pane, vino e degli eccellenti fichi freschi in quantità abbondante, così
che ci fu da saziarsi più che a sufficienza per tutti noi che eravamo circa una
trentina. Il pranzo trascorse piacevolmente quanto mai e l’onesto Marco, il
vecchio e loquace soldato, ci raccontò molte delle vicende ed avventure da lui
vissute con un tono patetico innato, tutto suo particolare. Ed i Miei discepoli
ebbero così l’occasione di veder svelato ai loro occhi il mondo e di conoscere
più di una cosa per il bene dell’umanità, cui essi erano più tardi destinati a
fare da guide.
2. Dopo che furono passate due ore e più da che ci trovavamo seduti a
mensa, comparve dalla città un messo, il quale portò a Marco la notizia che il
venerando governatore Cirenio era arrivato verso mezzogiorno a Cesarea di
Filippo e che egli, Marco, ben conosciuto dal governatore come un vecchio
soldato, poteva recarsi da lui per esporgli le sue condizioni notoriamente
misere e che il governatore stesso avrebbe procurato di fare per lui qualcosa
secondo le possibilità.
3. E Marco così rispose al messo: «Ti piaccia di riferire al mio antico
compagno d’armi che io mi prostro ai suoi piedi e che lo ringrazio caldamente
del suo interessamento alle mie poverissime condizioni. Io però questa volta
non potrei approfittare della sua grazia, qualora a tale scopo dovessi recarmi
in città, perché ho degli ospiti, il principale dei quali, loro Signore e
Maestro, mi ha miracolosamente tolto dallo stato di indigenza in cui mi trovavo
prima. Questo Signore e Maestro mi ha promesso di rimanere presso di me per sei
giorni interi ed io perciò dovrei ritenere una grave mancanza abbandonarlo un
solo istante. Qualora però al mio vecchio compagno d’armi non dovesse sembrare
troppo al di sotto della sua dignità fare una passeggiata fin qui da me, tutta
la mia casa farà del suo meglio per accoglierlo nel modo più degno!»
4. Dice il messo: «Sta bene, io riferirò tutto fedelmente all’illustre
Governatore così come tu hai detto». Con ciò il messo si congeda, monta sulla
sua cavalcatura e si allontana rapidamente.
5. E quando il messo fu sparito, Marco disse: «Io non credo che il
Governatore ne avrà a male per questa mia risposta!»
6. Gli dico Io: «Non preoccuparti per ciò! Io posso dirti che quando
egli verrà a sapere che è evidente che qui Mi trovo Io, non esiterà neppure
dieci istanti a decidersi a venire qui, e solo allora avrai l’occasione di
farti un concetto della gloria di Dio, perché sii certo che Cirenio Mi conosce
fin dalla nascita!»
7. Dice Marco: «Sarà sicuramente così; ma nei riguardi del mondo egli è
persona troppo altolocata e di conseguenza deve anche evitare a causa dell’umanità
sciocca molte cose che altrimenti certo non eviterebbe, dunque resta abbastanza
forte il mio dubbio se egli potrà concedermi l’alto onore della sua visita»
8. Dico Io: «Prima che tu possa salire e scendere per tre volte sulla
tua collinetta, egli sarà qui. Il messo gli avrà appena recato la notizia, e
Cirenio, il quale non avrà avuto ancora il tempo di prendere il pranzo,
sospenderà tutto e si affretterà a venir qui, con tutto il suo seguito, per
vederMi e per parlarMi.
9. Dunque, ordina a tua moglie ed alle tue figlie di preparare
sollecitamente ancora un pasto per lui e per la sua gente, perché siccome non
vorrà perdere tempo per rifocillarsi in città, il pranzo qui gli sarà
sommamente gradito».
10. Allora Marco chiama subito la moglie e le sue sei figlie fuori
dalla capanna e dice loro di allestire subito un pranzo per il supremo
governatore Cirenio, il cui arrivo è imminente, nonché per la gente del suo
seguito, circa una trentina di persone!
11. La donna guarda Marco tutta sbalordita e non comprende se egli dice
sul serio oppure se sta scherzando. Marco però la manda subito in cucina e la
donna si accinge al lavoro ordinatole.
12. Contemporaneamente Marco ordina ai suoi due figlioli di andare di vedetta
dall’altra parte della collina e di avvertirlo immediatamente quando vedessero
avvicinarsi una splendente comitiva che proviene dalla città. I due giovanotti
andarono solleciti girando intorno alla collina fino al punto da dove si poteva
benissimo distinguere Cesarea di Filippo e subito scorsero una schiera
splendente di gente che, abbandonata la strada maestra, stava appunto per
imboccare lo stretto che in meno di un quarto d’ora li avrebbe rapidamente
condotti alla dimora del nostro Marco.
13. Non appena i due giovani si furono persuasi della cosa, ritornarono
correndo e, tutti ansimanti, la raccontarono al loro padre.
14. E Marco allora Mi domandò: «Signore e Maestro, bisognerà forse che
noi andiamo loro incontro secondo la deferenza cerimoniosa tipicamente romana?»
15. Dico Io: «Non occorre affatto! Chi dalla sua salvezza si sente
spinto verso di Me, costui viene ugualmente, anche se non gli si va incontro!
Cirenio è forte nello spirito e non ha bisogno che gli si vada incontro.
Soltanto laddove un debole nell’anima e nel corpo si è incamminato per la via
che conduce a noi, allora sì che dobbiamo andare ad incontrarlo, affinché non
si stanchi a mezza via e non resti lì a giacere e vada in perdizione».
Marco accoglie
e saluta Cirenio.
1. Noi avevamo appena finito di parlare, quando già udimmo un vocio
venire da dietro la collinetta: era appunto Cirenio con tutto il suo seguito ed
anche Giosoe, il ragazzo che Io avevo risuscitato da morte a Nazaret, nella
tomba nuova di Giairo. Procedeva egli pure accanto a Cirenio, vestito molto
bene alla foggia romana e montato su un cavallino da sella.
2. Cirenio, arrivato sullo spiazzo abbastanza vasto che si estendeva
davanti alla capanna, domandò ai due giovani se quella fosse la dimora del
vecchio soldato Marco.
3. Ed i due giovani, figli di Marco, facendo un profondo inchino,
risposero: «Sì, o potente signore e dominatore!».
4. Ma allora anche Marco in persona si presenta a Cirenio e con la
deferenza cerimoniosa abituale dei romani dice: «Illustre signore e dominatore,
nessuna cosa a questo mondo avrebbe potuto trattenermi dal rispondere al
momento della tua preziosissima chiamata, se non che attualmente dimora presso
di me un Ospite assieme ad alcuni Suoi discepoli. Egli deve essere certamente
un Dio, perché per la sola potenza della Sua Volontà fa cose che nessun mortale
su questa Terra ha mai potuto fare. Ora vedi, non mi era possibile lasciare
questo Ospite dai Cieli, tanto più che Egli mi ha colmato di benefici ed oramai
la mia capanna non è più povera, bensì invece molto ricca, poiché adesso
posseggo circa cinquanta otri di vino eccellente, i miei cinque vivai
rigurgitano di bellissimo pesce delle qualità più pregiate; le mie dispense
sono tutte colme dei migliori cibi ed ho anche in sovrabbondanza sale e legna
per tutta la mia vita. Cosa potrei io, che sono ormai vecchio, cercare e
desiderare di più? Ma non io solo, bensì anche i miei otto figli sono ben
provveduti, perché oggi ho ricavato già quattrocento denari, ciò che per me
significa molto e certamente potrò guadagnarne ancora parecchie centinaia a
quella stessa fonte alla quale ho attinto i quattrocento di oggi in maniera del
tutto onesta»
5. Dice Cirenio: «Allora va tutto bene ed io sono certamente più lieto
di te di ritrovare uno dei miei più vecchi compagni d’armi tanto contento. Ma
adesso conducimi dal tuo Ospite meraviglioso. La ragione principale per cui ho
lasciato la città e sono venuto qui da te va ricercata appunto in Lui, perché,
da quanto mi ha riferito il messo, debbo ritenere che il tuo Ospite miracoloso
altri non sia che il divino Gesù da Nazaret, il Quale io non potrò in eterno
mai ringraziare abbastanza per gli immensi benefici che mi ha elargito tanto
spiritualmente che materialmente. Conducimi dunque subito da Lui!».
6. Cirenio non aveva potuto scorgerMi appena arrivato, perché Io Mi
trovavo con i discepoli ancora seduto alla mensa allestita all’ombra di un
castagno molto grande e folto, i cui rami, carichi di fogliame, pendevano in
qualche punto fino a terra. Marco dunque condusse subito Cirenio assieme a
Giosoe da Me, sotto il castagno.
7. E quando Cirenio Mi ebbe scorto, ne fu tanto commosso che la gioia
nel vederMi gli fece salire le lacrime agli occhi ed egli esclamò: «Oh, il mio
presentimento non mi ha ingannato! Sei Tu, sei Tu! Oh, come sono immensamente
felice e beato che il Cielo mi abbia concesso ancora una volta la grazia
indicibile di poter, dopo molti giorni trascorsi, vedere Te, che sei il mio
Tutto, di parlarTi e di venire ribenedetto e vivificato per l’eternità
dall’alito della Tua bocca! O Signore, o mio Gesù, che io amo veramente e
fedelmente sopra ogni cosa, o Signore eterno di tutto il mondo e di tutti i
Cieli! Quanto grande è il mio debito verso di Te; in primo luogo, per ogni
minuto di vita che Tu mi concedi, e poi per l’immenso beneficio che grazie alla
Tua imperscrutabile sapienza mi venne largito a Chis facendomi recuperare i
denari delle imposte che erano stati rubati! Oh, Signore! Ogni giorno penso da
quale tremendo imbarazzo mi tirò fuori allora la Tua sapienza! E quando fra me
e me ci penso, sempre gli occhi mi si riempiono di lacrime di gratitudine e
devo adorarTi piangendo»
8. Gli dico Io: «Amico e fratello, vieni a prendere posto qui alla Mia destra
e che anche il tuo seguito si sieda all’altra mensa che è là sotto quel fico!
Tra breve sarà servito il pranzo che già in anticipo Io ho fatto preparare per
te ed i tuoi compagni, perché Io so che oggi vi siete ristorati poco. Ma come
sta il Mio Giosoe? Ed egli va d’accordo con l’angelo che di quando in quando
viene a trovarlo?».
Il metodo di
insegnamento dell’angelo.
1. Allora Giosoe, il cui aspetto è già più consistente e robusto, Mi si
presenta dinanzi e dice: «Signore, Vita di ogni vita, la mia salute non lascia
niente a desiderare ed io gusto cibo e bevande sempre ugualmente bene, però
devo dire, relativamente all’angelo il quale ogni tre giorni mi viene a far
visita da Sichar per qualche istante, che veramente non sono molto contento,
per la ragione che egli, qualunque cosa io gli dica, trova sempre qualcosa da
ribattere! Io certo accolgo ben volentieri ogni insegnamento che sia nei limiti
del buono, del vero e dell’utile, ma se qualcuno mi dice oggi che una pera e
ancora un’altra pera vicino fanno due pere, ma poi alla prossima occasione non
ritiene più valido il suo stesso ragionamento, quando sono io a volerlo
ritorcere contro di lui, quando cioè un’altra volta vuole darmi ad intendere
che una pera più un’altra pera ancora possono fare anche tre, quattro, cinque e
addirittura un numero infinito di pere e che, in generale, uno più uno non
fanno solamente due, ma possono rappresentare spiritualmente qualsiasi altro
numero, ne consegue poi che sempre devo arrabbiarmi un po’ e mi tocca ogni
volta bisticciare col mio maestro ed educatore spirituale, perché per lui, alla
prossima visita, non ha più valore come unica verità ben stabilita quello che
in una precedente visita mi aveva rappresentato come una solida verità. In
poche parole egli viene talvolta fuori con cose che fanno rizzare i capelli in
testa per essere accettate. E perciò io vorrei pregare Te, o Signore di tutti i
Cieli e di tutti i mondi, di suggerire al maestro spirituale di Sichar di
procedere con me in maniera più ragionevole, oppure di risparmiarmi le sue
visite per l’avvenire!»
2. Dico Io: «Oh, Mio caro Giosoe, vedi di sopportarlo così com’è! Egli
ti inizia nella vera sapienza dei Cieli, perché i calcoli degli spiriti hanno
tutto un altro aspetto rispetto a quelli di questo mondo! Se Io volessi usare
con te il linguaggio dei Cieli, tu non comprenderesti certamente nulla, ma ora
Io stesso, come uomo di carne e di sangue, parlo da uomo delle cose dello
spirito con gli uomini, secondo i concetti di questa Terra ed ecco che gli
uomini si scandalizzano perché non Mi comprendono e ci sono anche molti che non
Mi vogliono comprendere! Il tuo maestro spirituale però, tutte le volte che ti
insegna lo fa come veramente va fatto, ma i suoi insegnamenti cominceranno a
riuscirti più chiari su questa Terra quando sarai molto più avanti con gli
anni; in quanto a comprenderli interamente, questo ti sarà possibile un giorno
nell’aldilà, quando nessun turbamento salirà più dalla tua carne e dal tuo
sangue ad offuscare la purezza della tua anima. Mi hai compreso?»
3. Risponde Giosoe: «Oh sì, o Signore dell’Infinito! Molto più
facilmente Io comprendo Te che il mio maestro spirituale! Ma quando mi viene a
dire che alla fin fine ira e amore sono la stessa cosa, allora nella mia mente
trovo tutto rovesciato e quello che è in alto cade giù e viceversa; ugualmente
succede quando sostiene che, tutto ben considerato, anche Cielo ed inferno sono
una cosa sola! Tutto ciò lo comprenda chi vuole, perché per il mio intelletto
resta sempre una evidentissima contraddizione!»
4. Dico Io: «Eppure anche qui l’angelo ha perfettamente ragione, ed è
proprio così! A questo riguardo Io voglio citarti alcuni piccoli esempi, e tu
poi vedrai sicuramente la cosa in una luce un po’ più chiara. AscoltaMi dunque!
5. Considera un po’ il Sole d’inverno, quando in una giornata serena
risplende, diffondendo un gradevolissimo tepore. Come ti ristora il suo raggio!
Ma quando invece nei deserti dell’Africa lo stesso suo raggio infuoca l’aria e
scende rovente sulla sabbia così da cominciare a fonderla, ebbene, se tu
dovessi percorrere in simili condizioni il deserto, la luce del Sole diverrebbe
per te un inferno! Comprendi ciò?»
6. Risponde Giosoe: «Sì, lo comprendo!»
7. Ed Io proseguo: «Bene, odiMi ancora. La notte che segue ad una
giornata calda e affannosa è certamente una grande amica e benefattrice della
stanca umanità; lasciamo però che questa benefattrice duri una trentina di
giorni di seguito e vedrai che gli uomini cominceranno a disperarsi e a
maledirla, perché una notte che si protraesse per tanto tempo renderebbe la
Terra tanto gelida che, alla fine, qualsiasi manifestazione della vita organica
non sarebbe più possibile! Ed ecco la grande benefattrice dell’umanità convertita
in un vero e proprio inferno!
8. E se durante una giornata di grande calore ti trovi a dover
camminare e la sete comincia a tormentarti e tu arrivi ad una sorgente pura ed
abbondante, ebbene, com’è celestiale e delizioso un sorso di quell’acqua
limpida! Ma più sotto, nella valle, la stessa acqua si raccoglie in un bacino
vasto e profondo così da formarne un lago. Se tu vi cadessi dentro, troveresti
inevitabilmente la morte! Vedi, dunque, la stessa acqua che sulla strada
montana ti ha procurato una delizia celestiale, giù nel lago profondo ti
ucciderà e diventerà per te un temporaneo inferno.
9. Così pure tu bevi una tazza di buon vino e questo ti darà ristoro;
però prova a bere un otre intero in una volta, e il vino ti ucciderà, e di
conseguenza diverrà anch’esso un inferno!
10. Tu sali volentieri su un’alta montagna ed allora lo spettacolo
magnifico che si offre ai tuoi occhi rallegra il tuo cuore. Ma lascia che il
monte ti cada addosso e che tu perda la vita, ed ecco che pure il monte sarà
diventato un inferno!
11. Quando d’estate il vento spira dolcemente e ti accarezza dolcemente
la faccia, come ti solleva e ristora tutto il tuo animo! Ma lasciamo che
aumenti di forza e divenga uragano così da sradicare gli alberi: ne avrai tu
ancora ristoro? No certamente, anzi, dovrai darti alla fuga e cercare un riparo
dove l’uragano non può penetrare. E così lo stesso vento di prima, se aumenta
la sua forza, non è più una delizia per te, bensì un vero inferno!
12. Ne consegue che a ciascun uomo è data in tutte le cose una certa
misura, a seconda della sua costituzione naturale, capacità e forza. Se egli
resta entro i limiti di questa misura, si trova perfettamente nell’ordine in
cui Dio lo ha collocato e di conseguenza tutto quello che lo circonda è per lui
un Cielo, ma se invece in qualunque maniera oltrepassa i limiti di quest’ordine
e vuole caricare un mondo sulle sue deboli spalle, questo allora finirà con lo
schiacciarlo e con l’essere un “inferno”!
13. Dunque, una giusta misura in tutte le cose è un “Cielo” tanto per
gli uomini quanto per gli spiriti; l’eccedere invece nelle stesse cose, tanto
per gli uomini come per gli spiriti, trasforma il “Cielo” stesso in un
“inferno”! Ebbene, ti è chiara ora la cosa?»
14. Risponde Giosoe: «Sì, adesso comprendo benissimo e ne sono lieto
davvero! Ma, allora, perché il mio maestro spirituale non segue il Tuo stesso
metodo nell’insegnare, in modo che io possa subito comprendere come mi accade
ora?»
15. Dico Io: «Anche questo ha di nuovo la sua savia ragione! Se il tuo
maestro spirituale ti rendesse tutto evidente e chiarissimo di primo acchito,
non giungeresti mai all’indipendenza di pensiero ed infine a quella di
decisione; ma, così facendo, egli invece ti costringe a pensare ed a formulare
decisioni da te stesso e questa è già la vera celestiale maniera di insegnare.
Quando sarà necessario e tu avrai raggiunto la debita maturità, allora il
maestro spirituale saprà bene far seguire a ciascun insegnamento anche le più
limpide immagini integranti le dottrine stesse, ma conviene che prima tu
divenga intensamente attivo nello spirito; altrimenti non arriveresti a
concepire le ulteriori ed ancora più profonde verità della sapienza celeste! Ed
ora ti è chiara la cosa?»
16. Dice Giosoe: «Sì, o Signore, soltanto ora comprendo interamente
cosa devo pensare del mio maestro spirituale di Sichar e sento pure sorgere in
me un grande amore per lui!»
17. Dico Io: «E questo amore ti suggerirà anche gli esempi. Ma ecco che
ora viene qualcosa che interessa il corpo. La moglie, i figli e le figlie di
Marco sono già qui con le braccia cariche di cibi e bevande. Mangiate adesso e
bevete secondo il bisogno, affinché non abbiate né fame né sete, perché presso
di Me non c’è bisogno che si soffra la fame e la sete, ma ciascuno sia invece
corporalmente e spiritualmente saziato del tutto».
18. Cirenio e Giosoe sono ambedue benissimo disposti a tale riguardo e
perciò fanno vigorosamente onore alle vivande, mentre anche il seguito di Cirenio
non si fa molto pregare e fa a gara per imitarne l’esempio.
1. A pasto finito Cirenio fa chiamare Marco e sua moglie, ringrazia il
primo per il buon pranzo offertogli nonché per la sua cordiale ospitalità che
non si smentisce mai, ed è generoso di lodi anche con la donna per la sua
abilità nell’arte della cucina, perché cibi così squisiti e ben preparati egli
non li aveva ancora mai gustati, specialmente il pesce, il cui sapore
prelibatissimo superava ogni altra cosa del genere.
2. E dopo aver dato espressione alla sua lode, Cirenio dice a Marco:
«Tu, o vecchio mio compagno d’armi, guarda lì quella mula bianca, sul suo dorso
essa porta qualcosa che è destinata a te e alla la tua famiglia; va’ e
prendila. Tu hai sofferto abbastanza privazioni finora ed hai avuto la tua
parte di tribolazioni e d’angustie, ma a queste condizioni affatto invidiabili
è ora che venga posto termine. Tu troverai in due sacchetti tanto oro ed argento
quanto ti basta per costruirti una migliore dimora e per comperare, accanto a
questa, qualche campo e qualche prato, coltivando i quali potrai vivere
benissimo assieme alla tua famiglia. Quello che eventualmente potrebbe
avanzarti, tienilo come una buona riserva, perché fino a tanto che, secondo la
Volontà del Signore, dobbiamo vivere su questa Terra, è bene che non ci
manchino del tutto anche i mezzi per poter vivere.
3. Fino a tanto che non siamo dèi, dobbiamo lavorare e guadagnare il
pane con il sudore della fronte. Chi in un modo, chi in un altro, ognuno però
ha da lavorare abbastanza, perché non gli è lecito starsene con le mani in
mano. Ma chi, com’è il caso tuo, in vita sua ha già faticato abbastanza, è
giusto che i suoi ultimi anni li trascorra con un po’ di maggiore comodità. Va’
dunque e prendi in consegna il piccolo dono e che il Signore te lo
benedica!».
4. Con le lacrime agli occhi Marco ringraziò Cirenio, e oltre a Cirenio
soprattutto Me, perché egli pensava che, anche se il dono proveniva da Cirenio,
tuttavia egli era più che convinto che il movente di tutto fosse da ricercarsi
in Me; per questo egli ringraziò Me in primo luogo!
5. Io però gli dissi: «Prendi pure ciò che ti viene offerto e fanne
buon uso; ma non darci alcun particolare valore, perché, quanto è misurato ogni
dono terreno, altrettanto non misurata è la vita terrena degli uomini! Oggi tu
sei ancora padrone dei tuoi tesori e domani invece ti si domanda conto della
tua anima! Cosa poi potrai dare tu per salvare la tua anima dalla morte eterna?
6. Però ognuno cerchi anzitutto il Regno di Dio e tutto il resto gli
sarà dato in aggiunta, a seconda dei suoi bisogni!
7. Ma quello che egli riceve, non lo riceve per accumularlo, ma per
impiegarlo accortamente e con saggezza per il bene proprio ed anche del suo
prossimo. Di veri poveri tu ne troverai in gran quantità: sia la loro angustia
ragione di allegria per il tuo cuore, poiché ora ti sono dati spiritualmente e
materialmente i mezzi per lenire tale miseria e per rendere lieto il cuore
dolente del fratello povero!
8. Vedi, da ogni cuore che tu avrai ristorato e rinvigorito nel Mio
Nome, verrà il giorno in cui per te germoglierà un nuovo Cielo pieno di
beatitudini innumerevoli e immense, ma già su questa Terra avrai un conforto che
nessuna felicità terrena potrà mai darti ed in te sorgerà la vera pace, quella
pace che il mondo non conosce, né mai ha conosciuto. Dunque va’ ora e prendi in
consegna tutto ciò che ti è stato donato!».
9. Il vecchio allora andò con i suoi due figli, prese i sacchetti ben
grandi e pieni e li portò in un luogo dove sarebbero stati ben conservati. E
quando nuovamente comparve, rinnovò i suoi ringraziamenti e Mi domandò se ci
sarebbe stato qualcosa da disporre per il pomeriggio.
10. Ed Io gli dissi: «Fa’ preparare le tue barche e noi faremo una
piccola gita sul mare, considerato che la giornata è così bella, tranquilla e
senza vento. Oggi potrai gettare ancora una volta in mare la tua grande rete e
farai una seconda retata che sarà benedetta come la prima».
11. Marco allora ordina subito ai suoi figli ed alle figlie più anziane
di allestire per bene i battelli, come pure la grande rete e raccomanda loro
inoltre di esaminare se il vivaio grande, circondato da una grande staccionata,
sia ancora ben conservato e, caso mai vi riscontrasse qualche apertura, di
chiuderla quanto possibile mediante sterpi e pietre!
12. Dicono i figli: «Padre, quattro giorni fa abbiamo già ispezionato
tali cose e dovrebbe trovarsi dunque tutto ancora in perfettissimo ordine,
poiché non c’è stato cattivo tempo, ma pure noi andremo a vedere, per avere la
certezza assoluta che non vi sia niente di guasto». Poi i figli si
allontanarono, esaminarono tutto attentamente e furono presto di ritorno con la
notizia che tutto si trovava ancora in buonissimo stato ed era senz’altro
adoperabile.
13. Dico Io: «Allora andiamo fuori e saliamo sulle barche, ciascuna
delle quali può portare benissimo dodici persone!». Detto questo, tutti si
alzarono e Mi seguirono.
La compagnia
in gita sul mare.
1. Giunti che fummo sulla riva, i figli di Marco spinsero subito
davanti a noi il battello migliore e più grande e noi vi salimmo su prendendo
posto sulle panche già disposte allo scopo. I due giovinetti poi diedero di
piglio ai remi, e il nostro battello si allontanò abbastanza rapidamente dalla
riva. Sul Mio battello si trovavano vicino a Me Cirenio, il giovinetto Giosoe,
il vecchio Marco, Pietro, Giovanni e Giacomo, mentre tutti gli altri discepoli
ci seguivano sugli altri battelli e così pure le altre persone del seguito di
Cirenio. A bordo della nostra barca era però stata caricata la grande rete,
bene piegata secondo tutte le regole.
2. E quando fummo arrivati a circa cinque tratti di campo dalla riva,
Marco domandò: «Signore, ci dirai Tu dove dovremo gettare la rete»
3. Ma Io gli dico: «Questo lo farò al momento opportuno, ma qui, non
ancora né adesso. Non è passata neppure mezz’ora da quando ci troviamo in mare,
perciò non conviene così presto turbare la sua pace, né destare gli spiriti
delle acque, che infine potrebbero darci delle noie; quando saremo più verso
occidente, più vicini alla riva sicura, allora sarà il momento di gettare la
rete. Per ora non faremo che riposare come fa il mare stesso. Ma se qualcuno di
voi vuole sapere qualcosa, gli è lecito interpellarMi»
4. Dice Cirenio: «Quello che particolarmente mi colpisce in casa di
Marco è il constatare che le sue quattro figlie più anziane sono altrettanto
robuste al remo quanto i suoi due, si può ben dirlo, figli erculei! Pure tu,
Marco, avevi una volta una tempra un po’ atletica, ma i tuoi figli ti hanno
superato di molto».
5. Dice Marco: «Questo è ben vero, però oggi la loro robustezza mi pare
che abbia qualcosa di straordinario, perché i loro remi lavorano con tanta
assiduità ed energia che la barca sembra scivolare sulla superficie dell’acqua
come spinta dal vento. Davvero con una simile velocità si potrebbe arrivare a
Chis in mezza giornata o addirittura a Sibarah, mentre di solito si impiegano
due giornate buone. In questa forma poi si raggiungerebbe Genezaret in due ore
e Gesaira in quattro.
6. Se i miei vecchi occhi non m’ingannano, io scorgo già l’alta
montagna che, vista da qui, copre a sinistra la città di Genezaret. Essa appare
certo ancora molto bluastra e perciò ancora lontana, ma ciò non conta ed ogni
distanza, per quanto bluastra in apparenza, è vinta dalla rapidità di questa
marcia. Devo dire, per altro, che non posso fare a meno di ammirare sempre più
la resistenza e la forza dei miei due figli! Qui, o Signore, vi hai certo parte
anche Tu, con la Tua onnipotente e santa Volontà!»
7. Dico Io: «Caro Marco, amico Mio, con il Mio Volere Io, senza alcun
dubbio, devo avere parte, e infinitamente multiforme anche, sempre e dappertutto
quando c’è traccia di un qualche divenire, essere e conservare,
dall’immensamente grande al minutissimo, altrimenti lo spazio sconfinato ben
presto apparirebbe vuoto di ogni esistenza e così è ben possibile che ora la
Mia Volontà abbia Essa pure anche parte nell’attività dei tuoi figli»
8. Intanto i tre discepoli, che si trovano con noi sullo stesso
battello, osservano confidenzialmente fra di loro: «Talvolta però è stranissimo
il contegno del nostro Signore e Maestro! Ci sono dei momenti in cui Egli parla
assolutamente come l’unico Signore del Cielo e della Terra e anche agisce come
Tale, ma ci sono poi degli altri momenti in cui Egli appare come un semplice
uomo e da Lui non traspare più niente di divino! È bensì sempre ispirato ad una
sapienza irraggiungibile tutto quello che Egli dice e fa, ma che in tempo assai
vicini Egli debba lasciarsi maltrattare a morte dai farisei di Gerusalemme,
nonostante tutta la Sua potenza e sapienza divine, questa è una cosa che non si
potrebbe affatto chiamare saggia! Quale vantaggio può alla fine trarre
l’umanità da un simile maltrattamento? Essa finirà con il venire indotta in
errore e dirà: “Ecco il destino riservato al potente: quando trova un altro che
è ancora più potente, ne resta vittima anche Lui! Egli, che risuscita i morti e
che rimuove le montagne, dovrebbe pur essere in grado di annientare con una
parola sola tutta la genia del Tempio!”
9. Ai tempi di Noè tutta l’umanità dovette perire, ad eccezione di Noè
e della sua famiglia, eppure l’umanità non era allora di gran lunga tanto
cattiva, come in generale lo è adesso. Se gli uomini sono adesso, generalmente
parlando, così tanto perfidi e maligni che di più non si potrebbe difficilmente
immaginare, perché Egli stesso vuole farsi maltrattare da loro, invece di punirli
più aspramente ancora di quanto non sia accaduto ai tempi di Sodoma e di Noè? A
dirla breve, l’agire della Divinità in Lui assume, qualche volta, forme tali
che si possono comprendere meno ancora di una cosa che non sia mai esistita!».
L’apostolo
Giovanni parla del divario tra concezione naturale e spirituale.
1. Dice Giovanni, che si era limitato ad ascoltare con grande attenzione
la critica fatta da Simon Giuda: «Considerando le cose dal punto di vista del
mondo, io non posso certo obiettarti nulla, ma, osservate con gli occhi del
cuore, esse hanno tutte un aspetto del tutto differente, perché la Sapienza
divina non prende mai e poi mai norma da quella di un uomo, sia pure egli il
più saggio di tutti.
2. Puoi comprendere perché il suolo terrestre produca innumerevoli
specie di piante e di arbusti che non danno alcun frutto o, se ne danno, il
nostro intelletto non giunge a capire? Una uguale varietà si riscontra nel
regno animale. Dal minutissimo insettuccio al gigantesco leviatano che
signoreggia sui i mari, dimmi, vedi tu lo scopo, facendo eccezione per i nostri
pochi animali domestici?
A che scopo possono servire le bestie feroci? Di che utilità possono
essere per l’uomo gli orsi, i leoni, le tigri, le iene ed una quantità ancora
di animali feroci che noi non conosciamo? Chi, o mio buon amico, è in grado di
esporti il motivo per cui gli animali hanno una conformazione così varia? Che
cosa ci stanno a fare tante stelle in cielo? Perché non splende ogni notte la
Luna? Che significa il suo continuo mutare di luce e qual è il vero scopo
dell’esistenza della Luna? Ecco, tutto ciò e mille altre svariatissime cose noi
non le comprendiamo e, se le consideriamo con un certo senso critico, appaiono
al nostro intelletto come una pazzia, ma presso Dio, il Signore, ogni cosa ha
sicuramente la sua ragione supremamente buona e di conseguenza ora che ci è
offerta la straordinaria occasione di vedere il Signore in Persona operare
dinanzi a noi, non ci deve assolutamente meravigliare se non arriviamo a
comprendere tutto quello che Egli fa e che ancora farà in avvenire, poiché
evidentemente Egli avrà, senza alcun dubbio, per ogni cosa la Sua eccellente
ragione più saggia in Sé e per Sé! Non condividi tu la mia opinione?»
3. Risponde Simon Giuda: «Sì, certamente hai ragione e non ti si può
ribattere assolutamente nulla di quanto hai detto. Nonostante ciò resta pure
eternamente vero che all’uomo pensante più di uno degli ordinamenti divini deve
apparire così come se qualcuno volesse convincerlo sul serio che due pesci e
poi ancora una volta due pesci assieme fanno sette pesci!»
4. Allora intervengo Io e dico: «È così, o Simone! L’aspetto della cosa
è proprio questo, ma ciò che all’intelletto umano appare impossibile, può
benissimo ancora essere possibile a Dio. Dunque, prendi la piccola rete che
giace ai tuoi piedi e gettala in mare! (Simone esegue.) Adesso tirala fuori e
dimMi quanti pesci si trovano dentro»
5. Risponde Simone: «Signore, esattamente quattro»
6. Dico Io: «Guarda bene e contali di nuovo, perché ce ne sono sette»
7. Simone torna a contare di nuovo e trova che nella rete ci sono
effettivamente sette pesci. Egli perciò si meraviglia molto ed esclama: «Sì, è
vero, a Dio sono possibili tutte le cose!»
8. Ed Io gli osservo: «Dunque in avvenire non chiacchierare di cose
inutili, perché è meglio tacere che non consumare il fiato in chiacchiere vane
e senza alcun scopo! Vedi di comprendere bene questo Mio avvertimento,
altrimenti non sarai per niente migliore di un cieco fariseo!»
9. Dice Simon Giuda: «Signore, Tu sai quanto io Ti amo, eppure quando
dico qualcosa da solo, Tu mi rimproveri in maniera piuttosto amara riguardo a
quello che ho detto, e poi trovo a mala pena il coraggio di chiederTi
apertamente qualcos’altro! Io accolgo bensì tutto da Te con il massimo amore e
pazienza, eppure un certo piccolo, intimo e segreto senso di tristezza non
posso vincerlo in me, perché vedo che proprio io solo sono preso di mira dalla
Tua severità!». E detto ciò si volge verso il mare e lo contempla con uno
sguardo alquanto malinconico.
10. Ma Giovanni gli va vicino e gli dice: «Fratello mio, vedi, certo ti
addolora la dolce ammonizione da parte del Signore, ma il Suo amore e la Sua
sapienza sanno molto bene il perché ti hanno fatto così e se tu volessi gettare
uno sguardo ben profondo nel tuo cuore, potresti da te stesso scrutarne presto
e facilmente il motivo!»
11. Dice Simone: «Ebbene, cosa potrebbe essere? Dimmelo tu!»
12. Risponde Giovanni: «Ecco, fratello mio, per quanto riguarda la
conoscenza e la fede viva e incrollabile, tu sei fra noi evidentemente il più
forte e, secondo la testimonianza del Signore, una vera roccia; ma, d’altro
canto, hai dei momenti nei quali in te fa capolino un sentimento che lievemente
somiglia alla presunzione. Ora, vedi, una simile presunzione ha una certa
affinità abbastanza intima con quello che viene chiamato orgoglio e sarà questo
che probabilmente il Signore vorrà eliminare dalla tua anima mediante qualche
mortificazione. Io mi sono accorto della cosa già in parecchie altre occasioni
ed è già da lungo tempo che, mosso da vero e sincero amore fraterno, avrei
voluto parlartene, ma non mi si è mai presentato il momento veramente
opportuno. E così, considerato che una tale occasione oggi mi si è offerta, ho
riflettuto e mi sono deciso a dirti ciò che già da lungo tempo sentivo in
maniera vivissima nel mio cuore. Tu certo vorrai accogliere le mie parole dal
lato buono e amorevole, in corrispondenza al sentimento che le ha fatte sorgere
in me e che mi ha indotto a dirtele, e spero che perciò non me ne serberai
rancore!»
13. Dice Simon Giuda: «Sì, sì, anche in questo avrai del tutto
pienamente ragione; solo però non comprendo perché Egli non faccia rilevare una
cosa simile, almeno una volta, a quelli come noi, mentre per il resto Egli non
è affatto avaro di parole! Allora sì sarebbe molto più facile orientarsi in
base a quello che è perfettamente giusto secondo il Suo criterio puramente
divino!»
14. Dice Giovanni: «Egli potrebbe sicuramente fare così, ma tuttavia
ora non lo fa; anche qui ci deve essere una buona ragione!
15. Io ho l’impressione come se Egli volesse che ciascun uomo debba
anzitutto ritrovarsi completamente in se stesso, prima che il Signore
intervenga da ultimo presso di lui con la Sua mano perfezionatrice di ogni vita
e prenda con la Sua luce dimora nel cuore umano.
16. Per questa ragione, che a me risulta chiara e verissima, il Signore
anche non avverte mai direttamente nessuno degli errori che Egli scorge nella
vita dell’uomo, bensì soltanto indirettamente mediante certi scuotimenti
d’animo con i quali poi costringe l’anima ad esaminarsi attentamente più da
vicino e a riconoscere dinanzi alla Sua luce i propri difetti, a liberarsi da
questi e in tal modo a rientrare completamente nell’Ordine del Signore. Questa,
fratello mio, è all’incirca la mia modesta opinione e quasi quasi garantirei
che la cosa stia proprio in questi termini! Che ne pensi tu?»
17. Risponde Simone, un po’ pensoso: «Sì, è probabile che anche qui tu
abbia ragione, perché veramente fra tutti noi sei quello che più profondamente
ed acutamente discerne l’intenzione del Signore. È bene che per l’avvenire la
tua parola mi sia in larga misura di norma».
18. Dopo ciò Simone volge nuovamente verso di Me la sua faccia
rasserenata e tacitamente Mi esprime la sua gratitudine per aver rivelato al
suo cuore tali cose per mezzo del fratello Giovanni; Io però faccio cenno a Simone,
poiché ormai i figli di Marco hanno cominciato a stendere in mare la rete
grande, di aiutarli nelle loro necessità mettendo a profitto la propria buona
esperienza in materia.
19. E Simone subito vi si accinge con grandissima gioia, perché un Mio
sguardo d’amore vale per Simone più di tutti i tesori del mondo; e così
dovrebbe essere anche per tutti coloro che veramente intendono seguirMi e che
vogliono con ciò giungere alla vera vita eterna.
Una nave
militare si avvicina. La ricca pesca.
1. Mentre i figli di Marco, coadiuvati da Simone e da qualcun altro dei
discepoli che si trovavano sul nostro battello, erano tutti occupati a gettare
fuori la grande rete, una nave di gran mole, proveniente dalle parti di
Genezaret, avanzava a forza di remi proprio verso di noi. Essa andò sempre più
avvicinandosi e, quando non fu più distante di molte bracciate, uno dei figli
di Marco osservò che si trattava di una nave militare romana, sulla quale si
trovavano molti soldati.
2. Dice Cirenio: «Data la mia posizione nel mondo, sarebbe piuttosto
spiacevole che i miei soldati mi trovassero, nei riguardi mondani, qui su
questo battello davvero un po’ troppo meschino per un governatore generale! Se
si potesse almeno evitare che mi vedano!».
3. Gli dico Io: «Temi ciò che veramente è da temere; ma qui in verità
puoi assolutamente bandire ogni timore, perché, vedi, quando il Sole è alto in
cielo, egli appare molto più piccolo di quando si trova vicino all’orizzonte, e
così pure quando è alto nessuno lo può guardare, perché la sua luce intensa
offende la vista; quando invece è basso sull’orizzonte, ciascuno guarda con
animo lieto la madre del giorno che si annuncia o si congeda.
4. Per quanto questa nostra navicella fosse signorilmente adornata, ciò
non potrebbe per niente contribuire ad elevare la tua dignità. Tu sei quello
che sei; è indifferente se ti trovi sulla cima dell’Ararat oppure dentro la
tana di una talpa, ma la vera stima accoppiata all’amore ti sarà dato di
goderla, più che in altro luogo, soltanto laddove gli uomini possono
avvicinarti con maggiore facilità. Io ti dico ancora in aggiunta che questo
incontro appunto ti sarà di grande utilità, come avrai ben presto l’occasione
di convincertene».
5. A queste Mie parole Cirenio resta con l’animo sospeso e attende con
ansiosa curiosità di vedere quello che la nave militare romana avrebbe portato
di interessante, ma, siccome a causa del vento contrario è molto ostacolata
nella manovra di disporsi al nostro fianco, Cirenio pensa che forse sarebbe
stato consigliabile andarle incontro.
6. Ma Io gli dico: «Oh, niente affatto! Infatti comunque ci
incontreremo abbastanza per tempo e non ti mancherà l’occasione di apprendere,
secondo le circostanze tutto quello che può interessarti. Per ora badiamo
intanto tranquillamente alla pesca!».
7. Cirenio allora si diede pace e si mise ad osservare placidamente il
lavoro dei pescatori, la cui grande rete, dopo essere stata distesa in mare, si
era già riempita di pesci così grossi che fummo costretti a dirigerci verso
terra. Quando, dopo mezz’ora, fummo giunti a riva e precisamente nel luogo dove
si trovava il grande stagno, allora si poterono ammirare i pesci, che erano
delle qualità più grandi e prelibate e in quantità tale che tutti i Miei
discepoli, Marco assieme a tutti i suoi figli e perfino i servitori di Cirenio
ebbero un bel da fare per circa un’ora e mezza per togliere tutto il pesce
dalla rete e deporlo nello stagno.
8. E quando l’operazione fu condotta a termine, lo stagno brulicava di
pesci, perché ce ne saranno stati oltre settemila pezzi, ed il vivaio era così
pieno che altri mille non avrebbero potuto trovare posto. Il vecchio Marco poi
era tanto contento che non sapeva come fare per dar sfogo alla propria gioia e dovette
limitarsi a profondersi in ringraziamenti.
9. Ma Io gli dissi: «Amico, la tua gratitudine è grande per il
beneficio che ti ho reso; però oggi ti è riservato un altro dono ancora, in
occasione dell’approdo qui della nave romana! Il dono certo non consisterà in
pesce, né in oro od argento, bensì unicamente nelle Mie parole, che ti
appianeranno la via alla vita eterna. A quello che seguirà vedete di far
attenzione tu e tutta la tua casa e poi nella tua anima si sarà fatta luce per
ora e per l’eternità. Mi hai bene compreso?».
10. Risponde Marco: «Sì, o Signore! Il mio cuore mi dice: “O Marco,
vecchio soldato arrugginito! Oggi la tua vita sarà liberata dalla vecchia
ruggine. Il tuo orecchio sentirà una voce dai Cieli di Jehova e la tua anima
percepirà la vicinanza sublime della tua salvezza per l’eternità!”. Perciò
anche fermamente spero di vivere oggi ancora momenti fra i più meravigliosi».
1. I figli di Marco avevano appena finito di mettere ad asciugare la
rete, sospingendola ai pali fissati a tale scopo presso la riva, quando la nave
romana si trovò anch’essa già vicina a terra, così che si poteva parlare con la
ciurma. Questa allora invitò i figli di Marco ad accostarsi con qualche canotto
per sbarcare i passeggeri, non potendo la nave avvicinarsi del tutto alla riva
a causa del suo pescaggio troppo grande. I due giovanotti fecero subito come
era stato loro chiesto e la meraviglia dei Miei discepoli non fu poca quando,
tra i molti soldati romani ed altre persone borghesi che scendevano a terra,
scorsero anche il comandante Giulio ed infine pure Ebal assieme a Giara.
2. Oltre ai passeggeri però la nave aveva anche trasportato cinque
terribili ladroni che erano stati catturati mentre infestavano i pressi tra la
Giudea e la Samaria e che avevano già commesso parecchi assassinii. Essi erano
camuffati da rabbini ed avevano un aspetto molto pacifico, ma tuttavia nel
cuore di ciascuno di essi dimorava un’intera legione di demoni fra i più
maligni, che obbligavano quei cinque ladroni a depredare i viandanti nella
maniera più spietata di questo mondo e poi ad ammazzarli senza misericordia,
per non venire denunciati. Ora, tali atti di brigantaggio trovavano in segreto
il consenso dei farisei, perché con ciò in moltissime località veniva quasi
reso del tutto impossibile qualsiasi contatto fra i giudei e gli eretici
samaritani. Queste circostanze erano note anche ai romani, che tanto più erano
accaniti contro simili ladroni e, quando delinquenti di questa specie cadevano
nelle loro mani, veniva loro riservata una sorte spaventosa, che si concretava
sempre nella morte fra i più atroci tormenti.
3. Poi, accanto ai menzionati cinque briganti, si trovavano pure alcuni
delinquenti politici i quali, sempre per iniziativa segreta del Tempio,
giravano dappertutto facendo propaganda contro i romani; tutta questa gente
doveva essere trasportata a Sidone.
4. Ma per quanto Mi riguarda Mi tenni un po’ nascosto, affinché così
Ebal, Giara e Giulio non se ne accorgessero subito, perciò comandai ai
familiari di Marco e allo stesso Cirenio di non rivelare subito la Mia
presenza, poiché a bordo si trovavano alcuni farisei che erano stati inviati
fuori da Gerusalemme a causa Mia, quantunque apertamente dinanzi al mondo
giustificassero con altri motivi il loro viaggio.
5. Cirenio accolse Giulio con grandissima cortesia, ciò che riempì il
comandante Giulio della più lieta meraviglia, poiché anzitutto non aveva
affatto sospettato la presenza in quel luogo della suprema autorità di tutta
l’Asia e, in secondo luogo, perché il comportamento di Cirenio verso i suoi
subordinati era sempre molto severo, quantunque fosse in pari tempo
estremamente giusto.
6. Cirenio intrattenne immediatamente Giulio riguardo ai malfattori e
gli domandò se avesse già pronunciato qualche sentenza nei loro confronti.
Bisogna qui notare che presso i romani una sentenza, una volta emanata,
diventava inesorabilmente esecutiva; non c’era che l’imperatore soltanto che
avrebbe potuto revocarla. Ma in questo caso appunto Giulio non aveva
pronunciato ancora nessuna sentenza, perché aveva voluto che nei riguardi di
quei criminali la procedura si svolgesse a Sidone, per opera dello stesso
supremo governatore Cirenio; perciò, dopo aver esposto le malefatte che erano a
carico dei cinque briganti e degli altri delinquenti politici, pregò Cirenio di
voler pronunciare immediatamente una sentenza secondo giustizia.
7. Cirenio allora dice a Giulio: «Tu hai agito molto bene e saviamente
non pronunciando ancora un giudizio contro questi malfattori! Però nemmeno io
lo farò per ora, perché ormai qui vicino a noi si trova Uno che è ancora più
grande e più potente e noi lasceremo pronunciare a Lui il verdetto di questa
causa. Dà quindi ordine che i malfattori vengano rigorosamente sorvegliati fino
a che giunga il Potentissimo e Sapientissimo!»
8. Chiede Giulio: «O supremo reggitore di tutta l’Asia! Si trova forse
su questo suolo l’imperatore in persona?»
9. Risponde Cirenio: «Oh no, mio caro Giulio, però si trova Uno che ha
il dominio su tutti i regni ed imperi della Terra, dunque anche sul figlio in
coronato di Augusto, mio fratello. Egli è Giove in tutta la Sua divina potenza
scesa dai cieli fra di noi mortali, le Sue parole sono opere e la Sua Volontà è
azione compiuta!».
10. Cirenio però andava così parlando di Me a Giulio in lingua romana,
perché aveva cura di non renderMi manifesto, dato che non sospettava che Giulio
potesse anch’egli conoscerMi.
11. E Giulio disse: «Illustre governatore! Noi ora viviamo in un tempo
di miracoli e bisogna arguirne che gli dei debbano avere un compiacimento
grande nei mortali, poiché anch’io, pochi giorni fa, ebbi la più strana
occasione di questo mondo, cioè quella di conoscere un Uomo, al Quale per
essere Giove non sarebbero mancati che qualche migliaio di fulmini stretti in
pugno! Un anno sarebbe troppo breve per narrarti tutto ciò che quest’Uomo,
evidentemente un Giove, ha compiuto da me a Genezaret e specialmente in casa
dell’onesto albergatore Ebal!».
12. Cirenio poté celare a stento la propria meraviglia e si trovò
alquanto imbarazzato, non sapendo lì per lì cosa dire a Giulio o cosa
domandargli ancora, perché dal racconto fattogli si era accorto immediatamente
che si trattava di Me. Ma egli non voleva turbare Giulio nella sua fede, e
nella stessa situazione si trovava Giulio perché questi pure aveva avuto il
medesimo pensiero quando Cirenio gli ebbe parlato dell’onnipotente Giove.
13. Nessuno dei due, però, riteneva che l’altro fosse un romano
convertito e così avvenne che ambedue continuarono ad ingannarsi, finché non
comparvi Io stesso in scena, risolvendo così i reciproci dubbi; per fare ciò Io
indugiai però una buona ora.
Sul metodo di
insegnamento degli angeli e delle scuole del mondo.
1. Anche Ebal e Giara confermarono quanto Giulio aveva narrato e
dissero che avevano intrapreso il viaggio verso Sidone appunto per aver
possibilmente l’occasione di incontrarsi ancora una volta con quello
straordinario Uomo miracoloso, che particolarmente la figlioletta si struggeva
dalla brama di rivedere. Cirenio in apparenza si meravigliò molto che la
fanciulla, che aveva forse appena tredici o quattordici anni fosse tanto
innamorata, tanto più che egli vedeva già starsene sempre al suo fianco un
giovinetto meravigliosamente bello e gentile. Gli sembrava, di conseguenza,
stranissimo che una fanciulla tanto graziosa, trovandosi vicina ad un
giovinetto così idealmente bello, potesse ancora essere tanto perdutamente
innamorata di un Uomo già abbastanza adulto come doveva essere quel certo
Giove-uomo.
2. Chi dalla narrazione dei fatti accaduti in precedenza a Genezaret
conosce bene il carattere di Giara, può facilmente immaginare che appunto Giara
non volle restare debitrice di una buona risposta, e così parlò a Cirenio:
«Illustre signore e dominatore! Oh, come puoi rinnegare Colui dinanzi a noi e
come puoi metterLo nel rango delle divinità morte di Roma a causa di una
meschina ragione politica? Eppure da ciascuna parte del Suo essere si irradiano
dappertutto e sotto ogni forma veemente la Sua luce divina e la Sua grazia!
3. Ecco, io sento la Sua vicinanza, e tu pure la senti come me e
tuttavia in certo modo Lo rinneghi! Oh, questo da parte tua non è molto
lodevole, come pure da parte di Giulio non è molto lodevole aver anch’egli
rinnegato sotto certi rispetti, dinanzi a te, o illustre signore, il Santissimo
e il Giustissimo!
4. Del resto, poi, è ancora meno lodevole da parte tua imputarmi di essere
in certo qual modo volgarmente innamorata di Lui, mentre invece io Lo amo
soltanto così come ciascuno dovrebbe amarLo, cioè quale mio Creatore, quale mio
Dio e Signore ed in cuor mio Lo adoro con tutto il fervore e la purezza
possibili ad un cuore di fanciulla mortale. Ma allora, come posso essere presa
da volgare amore per Lui? Domanda qui a questo mio maestro che mi accompagna,
ed egli sarà in grado di spiegarti la cosa meglio di tutti i savi del mondo e
di tutti gli eroi d’ogni regno della Terra, eccezion fatta per Colui che sto
cercando qui. Interroga pure questo giovinetto ed egli ti darà una completa e
perfetta risposta»
5. Cirenio allora avrebbe voluto rivolgersi al giovinetto, ma Giosoe
glielo impedì, dicendogli sottovoce: «Non t’impegnare in discussioni con questo
giovane, poiché egli è pure un essere come quello che di quando in quando viene
a trovarmi! Le creature di questo genere non possono tollerare niente di
impuro, quindi neanche una domanda sconveniente; la vita e il loro essere non sono
altro che fiamma e luce di Dio!»
6. Allora Cirenio si volge ad Ebal e gli dice: «Questa è tua figlia e
tu sei un ebreo; deve dunque meravigliare che in lei si trovi celata tanta
profonda sapienza! Certo non è possibile che essa abbia imparato tutto ciò in
pochi giorni dal Maestro dei maestri né, meno ancora, da questo giovinetto,
poiché questa specie di insegnanti, quantunque ciò avvenga molto raramente a
questo mondo, non fanno, riguardo all’insegnamento proprio, progressi grandi
con noi uomini mortali. Questa cosa la so per l’esperienza fatta da mio figlio
Giosoe, che in realtà non ho generato io, ma che ho accolto per sempre presso
di me quale figlio. Anche lui talvolta riceve le visite di un rabbi di questo
genere, ma quando ben hanno discusso per qualche tempo, io non riesco infine
mai a comprendere chi veramente abbia ragione, perché, pur restando spesso di
opinione molto differente, finiscono poi moltissime volte con l’aver ragione
tutti e due! Tutta l’istruzione si riduce in fondo ad una competizione di
sapienza, dalla quale, alla resa dei conti, ambedue le parti risultano
vincitrici.
7. Il mio Giosoe si accalora molto spesso tanto contro il suo mistico
maestro, che quasi pare voglia mandarlo via, ma il maestro fa finta di niente e
continua a sostenere quello che a noi risulta, non di rado, come una
evidentissima assurdità. Soltanto alla fine del dibattito egli lascia
trasparire un po’ di luce e così io penso che un simile metodo lo userà anche
il bel rabbi con tua figlia!»
8. Dice Ebal: «Sì, sì, o illustre signore, è perfettamente come tu
dici. Io, per mio conto, confesso che non posso mai farmi un’idea ben chiara su
chi infine abbia del tutto ragione; il più delle volte la questione resta
indecisa. Non si può mai parlare di un insegnamento veramente positivo; il
maestro spirituale cerca in tutti i modi di provocare uno scompiglio nelle idee
dell’allievo e questi deve poi da se stesso ordinarle il meglio che può. Non
c’è nemmeno da pensare ad aiuti o suggerimenti e perciò alla fine la cosa resta
sempre in qualche punto indecisa. Se poi l’allievo vuole proprio eliminare
tutte le obiezioni del suo rabbi, bisogna che le ribatta con argomentazioni
contrarie tanto solide e valide da mettere il rabbi alle strette, così che non
possa muoversi né a destra né a sinistra e questa poi è la prova che l’allievo
ha completamente ragione, ma, senza le dimostrazioni contrarie ben solide e
valide di cui ho detto prima, l’allievo ha sempre torto, anche malgrado le sue
più giustificate asserzioni. Oh, la mia Giara ha già messo qualche volta il suo
rabbi terribilmente con le spalle al muro ed infine egli stesso si sarebbe a
mala pena raccapezzato, se la fanciulla non lo avesse aiutato a rimettersi in
carreggiata come egli stesso ebbe a confessare.
9. In verità, il metodo di insegnamento propriamente celeste è talvolta
quanto mai strano. Di solito è l’allievo che insegna al maestro, e quest’ultimo
è sempre molto soddisfatto quando ha imparato qualcosa dal suo discepolo. Ma la
cosa si svolge tutte le volte in un’atmosfera di amorevolezza veramente
celestiale e quando c’è scuola io vi assisto molto volentieri, perché lì si può
imparare in un’ora più di quanto si possa imparare da un rabbi di questo mondo
in un anno.
10. Con un rabbi di questo mondo l’allievo è e resta sempre
materialmente e spiritualmente uno schiavo del maestro, perché egli non può
imparare altro all’infuori di ciò che può e sa lo stesso maestro, non di rado
fisicamente storpio e più ancora spiritualmente. Che ciò sia vero o falso,
l’allievo, a scanso di una severa punizione, non deve curarsene. Che cosa
importano ad un simile paffuto rabbi di questo mondo le eventuali disposizioni
spirituali interiori che il suo allievo può avere? La conclusione è sempre
quella: “Uccellino mangia questo, oppure morrai di fame!”. A dirla breve, il
modo di insegnare del nostro tempo si può paragonare ad un elmo che sta bene su
tutte le teste o ad un letto dove uomini di qualunque statura devono poter
riposare comodamente! Resterebbe da vedere che faccia farebbe il gigante Golia
quando gli si assegnasse una culla per bambini per dormirvi dentro!
11. Io non di rado ho visto dei ragazzi che già nella loro più tenera
età manifestavano colossali capacità dello spirito. Che cosa non si avrebbe
potuto fare di loro, se fossero stati educati conformemente alle loro
inclinazioni? Invece si insegnò loro, come si fa con i deboli, ad intrecciare
panieri e si lasciò che lo spirito intristisse! Ora io ritengo che questo sia
un grave torto! Infatti quanti servizi non avrebbe potuto rendere all’umanità
uno spirito così, qualora si fosse sviluppato nella sua specie! E cosa fa di
utile, invece, nel suo stato di atrofia spirituale? Egli continua ad
intrecciare panieri e termina forse con il pescare pesci e raccogliere
conchiglie!
12. Ma appunto qui si può rilevare la differenza enorme fra il metodo
di insegnamento di un rabbi di questo mondo, vano e per lo più sciocco e quello
dei rabbi celesti che per concessione meravigliosa si trovano ora con noi.
Questi educano lo spirito liberamente e lo aiutano a muoversi da solo
destandolo mediante ogni tipo di domande in quel modo ed in quel campo che è
appunto affine allo spirito umano che vogliono destare. I rabbi di questo mondo
invece non cercano che di opprimere ed uccidere lo spirito e tutta la loro opera
si concreta nell’educare lo sterco nello sterco e intorno allo sterco! Dimmi
tu, o illustre governatore di tutta l’Asia, se io ho ragione o torto!»
13. Risponde Cirenio: «Tu hai perfettamente ragione, mio stimatissimo
Ebal. Questa è già da lungo tempo anche la mia opinione. Ma che cosa si è fatto
finora per ovviare a questo inconveniente? Io lo dico apertamente: “Nulla,
nulla affatto!”. Infatti a noi stessi finora è mancata una base sana; da dove
dunque avrebbero potuto prenderla i rabbi di questo mondo? Questi poveri
diavoli non possono insegnare a tutti i fanciulli altro all’infuori di ciò che,
in un certo modo, essi stessi hanno imparato prima da noi e perciò sono
necessariamente delle cieche guide di ciechi!
14. Noi però abbiamo imparato ora da quel noto Uno a conoscere la
grande e santa verità ed ora possiamo benissimo distinguere la luce dalle
tenebre, ma fino a che la luce che noi godiamo verrà resa nota a tutti gli
uomini di questa Terra, più di un paniere ancora sarà bene che venga intrecciato
da qualche spirito gigante! Dimmi un po’, cosa ne sarà della tua amabilissima
figlioletta? Essa pure è in verità uno spirito gigante e per di più viene
educata da un rabbi del Cielo. Dove si troverà al suo vero posto? Come donna di
casa è appena da crederlo!».
15. Risponde Ebal: «O illustre dominatore! Consideriamo le nostre
scuole femminili! Come sono esse rappresentate? In verità, o Signore, in un
modo che è un’assoluta vergogna per l’umanità! E perciò io sono dell’opinione
che una buona scuola per fanciulle sarebbe quanto mai da desiderare. Infatti
una madre, per quel qualcosa che si può sviluppare soltanto in una fanciulla, è
pur sempre la prima e migliore maestra dei bambini; se essa ha lo spirito, il
cuore e la testa al loro posto, come si suol dire, allora anche i loro figli
certamente non edificheranno le case sulla rena del mare e potranno
difficilmente venir indotti in errore. Ma se invece le madri, come purtroppo
accade adesso molto di frequente, sono spesso più sciocche di un lombrico, c’è
davvero assai poco od affatto niente da aspettarsi dall’educazione materna!
Dimmi, o illustre Signore, se anche qui ho ragione o no?».
Sui diritti
delle decime e dei tributi del Tempio.
1. Dice Cirenio: «Hai perfettamente ragione anche a questo riguardo; ma
io ormai riconosco in te una persona molto onesta e saggia e trovo opportuno
conferirti una qualche carica con molti poteri!»
2. Dice Ebal: «Sarà una cosa difficile da realizzare, perché io sono
ancora sempre un giudeo al quale, da parte del Tempio è severamente proibito
accettare uffici o dignità conferite da Roma!»
3. Dice Cirenio: «Ebbene, cosa diresti se io ti facessi cittadino
romano? Una volta che tu lo fossi, potresti accettare qualsiasi carica
onorifica da Roma e noi sapremmo mettere freni al Tempio in maniera del tutto
particolare, qualunque cosa volesse intraprendere in contrario! Dunque, se tu
vuoi, diventa immediatamente cittadino romano!»
4. Risponde Ebal: «Oh eccelso dominatore! Io non accetto la tua
proposta per la considerazione o l’alta dignità di cittadino romano, ma
soltanto per amore della libertà di cui può godere ogni onesto cittadino di
Roma. Io nel mio cuore resterò bensì per sempre un ebreo, perché non si può contrastare
in sé la convinzione viva che l’antico genuino Giudaismo sia pervenuto agli
uomini se non che dai Cieli e che in esso soltanto è da cercare e si può
trovare la salvezza, ma per quanto concerne il mondo esteriore, anch’io sarò
romano come può esserlo uno che sia nato nel mezzo di Roma da una
irreprensibile romana»
5. Dice Cirenio: «Sta bene, tu riceverai subito dalle mie mani, su
pergamena, la rispettiva lettera, per sempre valida, con cui ti verranno
conferiti tutti i diritti spettanti ad un cittadino di Roma. Quando poi
esibirai questo documento alla gente del Tempio, sarai senza alcun dubbio
lasciato in completa pace e così sarai messo in grado di giovare all’umanità
molto di più di quanto tu lo abbia potuto fare finora. Dunque così voglio, e così
sia!».
6. Dopodiché Cirenio fece un cenno al suo segretario privato, il quale
subito portò la lettera. Cirenio vi appose la propria firma e consegnò il
documento ad Ebal.
7. Questi, molto commosso per l’affabilità del supremo governatore,
ringraziò Cirenio di tutto cuore e così concluse il suo discorso di
ringraziamento: «In verità, un simile onore io non me lo sarei mai aspettato
qui, vicino alla città di Cesarea! Questo documento, per quanto dipende da me,
dovrà servire a raggiungere gli scopi migliori a vantaggio dell’umanità e ciò
tanto più in quanto con esso mi viene accordata la facoltà e l’autorizzazione
imperiale di conferire a mia volta la cittadinanza romana a qualsiasi onesto e
leale giudeo come me, con tutti i diritti ed i vantaggi che ne derivano. Certo,
bisognerà che il nostro territorio conti ben presto un buon numero di cittadini
romani e che i congedi dei farisei da queste regioni si accrescano come fa
l’erba a primavera! Oh, sarà una cosa magnifica!»
8. Dice allora il vecchio Marco, che gli sta vicino: «Fratello mio, tu
hai bensì ragione di rallegrarti, perché è grande cosa essere cittadino di
Roma, ma io sono tale fin dalla mia nascita e nonostante ciò devo, come gli
ebrei, pagare annualmente un certo tributo ai loschi sacerdoti del Tempio.
Dagli ebrei essi non prendono che la decima; da noi romani, in virtù di un
certo diritto carpito alla corte di Roma, essi percepiscono invece il tributo
ed è necessario sapersi destreggiare con loro, se si vuole ritornare a pagare
la vecchia decima invece del duro tributo. Ora è questo obbligo del tributo da
parte di cittadini romani al Tempio che lo Stato dovrebbe abolire senza
esitazione, perché in primo luogo il contributo è troppo aspro e
secondariamente contribuisce ad aumentare la potenza del Tempio. Ora, tutte e
due le cose non sono buone.
9. Tra i malfattori che attualmente vengono condotti a Sidone, si
trovano di nuovo appunto anche dei sobillatori, che senza dubbio sono stati
assoldati dal Tempio per fare il loro bel mestiere! È bensì vero che l’obbligo
al tributo sussiste come un carico straordinario soltanto in alcuni principati
di Canaan e che il Tempio deve far valere i suoi diritti solamente laddove
appaiono ancora mantenuti in vigore da Roma, ma i Templari non se ne
accontentano, commettono abusi mediante documenti falsi che essi esibiscono per
genuini e buoni provenienti da Roma e costringono così i cittadini romani a
venire con loro a patti almeno sulla decima. Non più tardi di questa mattina io
ho dovuto fornire loro la decima della pesca, altrimenti mi avrebbero fatto
certamente tutte le difficoltà immaginabili.
10. La mia opinione sarebbe dunque la seguente: si dovrebbe al più
presto revocare tutte le concessioni fatte da Roma al Tempio, senza eccezione
di sorta; in caso diverso Roma corre il pericolo di dover ben presto
fronteggiare in Asia un’insurrezione dietro l’altra e prima che siano trascorse
quaranta estati avrà l’onore molto spiacevole di dover conquistare per la
seconda volta Canaan e tutto il resto dell’Asia, dal principio alla fine! Così
la penso io e tengo molto alla mia opinione, perché conosco esattamente le
condizioni del Tempio e perciò le detesto profondamente».
11. Dice Cirenio: «Anche per questa scure si dovrà ben trovare un
manico adatto, ma se i Templari dovessero azzardarsi ad esigere anche da queste
parti il tributo per tirarne fuori la loro vecchia decima, non mancheremo di
intimare senza ritardo l’alto là al Tempio, poiché qui si tratta di nuovo di un
atto arbitrario da parte dei Templari, che col tempo potrebbe avere davvero le
peggiori conseguenze per Roma.
12. (Volgendosi poi al comandante Giulio): «E tu già oggi riceverai
alcuni pezzi bianchi di rotolo, muniti della mia firma, dove, secondo il tuo
buon discernimento, redigerai alcune brevi frasi per il Tempio! Mi comprendi
bene?».
13. Risponde Giulio: «Sarebbe tutto bello e giusto se il tetrarcato di
Giudea non fosse stato appaltato al vorace Erode quasi con tutti i diritti del
reggente, oltre a ciò a Gerusalemme risiede il pigro prefetto Ponzio Pilato, il
quale è soddisfatto solamente quando gli uomini gli lasciano la sua quiete e la
sua pace. Da lui dunque non c’è da sperare molto. Ma c’è ancora un’altra
circostanza fatale che va molto ben considerata. Tu prescrivi al Tempio mille
leggi severe ed esso sguscerà tra una e l’altra come un proteo. Ora io domando
che cosa si potrà fare poi.
14. Procedere contro il Tempio usando troppo apertamente la forza,
sarebbe quanto mai rischioso, perché il popolo ci tiene ancora e specialmente
nella Giudea, dove considerano i sacerdoti altrettanti semidei ed intermediari
fra il loro Dio e gli uomini. Dunque, qualunque atto di violenza evidente
contro il Tempio avrebbe come conseguenza immediata l’insurrezione più feroce
in tutta la Giudea, perciò è necessaria la massima prudenza, volendo
intraprendere proprio sul serio qualcosa contro il Tempio!
15. Certo, le cose sono diverse qui in Galilea e particolarmente a
Genezaret, dove vige continuamente lo stato d’ eccezione e dove il popolo è già
molto sveglio; qui certo si può con molta efficacia tenere a freno la nera
marmaglia, ma nella Giudea non si può assolutamente fare altrettanto. Dunque
bisogna concludere che se si vogliono prendere delle misure contro il Tempio,
si deve prima tenere consiglio.
16. Il Tempio ha saputo ottenere da Roma, per vie traverse, ogni specie
di privilegi che noi dobbiamo rispettare finché abbiamo la fortuna e l’onore di
essere romani! Ma stando le cose in questi termini, poco o niente mi serviranno
le CHARTAE ALBAE (documenti bianchi, cioè
ancora da scrivere). Ma per quanto riguarda il mio distretto, sono io
stesso che fungo a sufficienza da Carta alba! Del resto qualcuna può sempre
riuscire utile.
17. A Genezaret e nei suoi dintorni abbastanza estesi ho dunque già calmato
nei Templari la smania dei contributi e delle decime, in modo che sicuramente
essi hanno per sempre messo un freno alla loro avidità e, se sono bene
informato, altrettanto già da lungo tempo ha fatto il nostro onesto centurione
Cornelio a Cafarnao, cosicché la Galilea, ad eccezione di qualche angheria
erodiana, è discretamente libera dalle vessazioni del Tempio, ma per molto
tempo ancora non sarà possibile arrivare a questi risultati nella potente
Giudea. Questa è all’incirca la mia idea. Tu, però, o illustre Governatore,
puoi comandare secondo i tuoi criteri ed io sarò sempre il tuo servitore
obbediente e premuroso!».
Il trattamento
dei malfattori e degli ossessi.
1. Cirenio ebbe allora parole di lode per Giulio, però giustamente e
saviamente osservò: «Mio carissimo Giulio, tu sai che io faccio molto conto su
di te e che mi è sempre piaciuta la tua chiara e retta intelligenza, però
quello che hai detto adesso non mi pare che sia proprio farina del tuo sacco e
credo che ai concetti che hai espresso ora non debba essere estraneo quel certo
Uno del Quale si è fatto menzione prima!»
2. Dice Giulio: «Oh, certo, perché la verità non si trova nel fuoco,
bensì solamente nella sua mite luce, infatti, da quando Lo conosco, sono
divenuto anche molto più mansueto ed amorevole. Oh, se potessi almeno ancora
una volta in vita mia incontrarMi con Lui in qualche luogo!»
3. E Giara, la quale era rimasta lì vicino e faceva attenzione a tutto,
esclamò anch’essa: «Oh, questo è anche il mio solo ed unico desiderio!»
4. Mentre il gruppo era così infervorato in questa conversazione, Io
giunsi inosservato e Mi posi dietro a Giulio. Soltanto Cirenio Mi scorse e ad
un Mio cenno disse rivolto a Giulio: «Oh guarda, dietro a te c’è Qualcuno che
pare voglia parlarti!».
5. Giulio si volta sollecito e ritrovandoMi là viene quasi meno dalla
gioia, mentre Giara, con un grido di rapimento supremo, si precipita sul Mio
petto restandovi quasi esanime, ed Io dovetti lasciarla così riposare per una
mezz’ora, fino a che si riebbe dal suo estatico stordimento.
6. Ma siccome il giorno cominciava rapidamente a declinare, Io dissi al
vecchio Marco: «Tu avrai nuovamente cura che ci venga preparata una buona cena;
fa’ che non manchino pane, pesce e vino!»
7. Dice Marco: «Signore, e cosa ne faremo dei malfattori, che, legati
ai pali vicino alla riva e sorvegliati dai soldati, sono probabilmente in
attesa della sentenza fra mortali angosce?»
8. Dico Io: «Bisogna che quelli oggi siano lasciati languire sette
volte, a causa dei molti spiriti maligni da cui sono posseduti ed è bene che
nessuno dia loro né da mangiare né da bere, altrimenti non sarebbe possibile
guarirli. Tu Giulio, fratello Mio, pronuncia dinanzi a loro la sentenza secondo
la quale, nella giornata di domani, saranno messi a morte tormentosa sul rogo a
fuoco lento, mentre domani verrà fatta loro la grazia ed Io vedrò se sarà il
caso di ridonare loro la libertà. L’immenso terrore da cui saranno presi
ammorbidirà i loro pessimi inquilini e questi, man mano cominceranno ad
allontanarsi. Badate però di legarli molto solidamente ai pali, altrimenti vi
daranno molto da fare.
9. I sette sobillatori politici, non essendo imputabili di mancanze
assai gravi, siano trattati meno aspramente. Annunciate loro la condanna alla
fustigazione e poi sia dato loro un po’ di pane ed un po’ d’acqua. Domattina
poi si vedrà se sarà il caso di condonare la pena o no!».
10. Dopo queste Mie parole Cirenio disse a Giulio: «Dunque va’, rompi
la verga secondo la prescrizione ed annuncia loro quello che devono attendersi
per domani!».
11. Giulio allora si alza subito e se ne va con alcuni sottufficiali
verso la spiaggia, che era distante cinquecento passi dalla capanna di Marco.
Giunto sul posto dove i malfattori si trovavano saldamente legati ai pali
vicino alla riva, egli ordina ai soldati di rinforzare ancora di più i legami
da cui erano avvinti. E solo quando i soldati ebbero eseguito l’ordine,
utilizzando altre corde e catene, Giulio annunciò ai cinque briganti la
condanna cui avrebbero dovuto sottostare il giorno seguente! Così pure notificò
la loro sentenza ai sette delinquenti politici.
12. Ma quando i primi cinque briganti e assassini ebbero udito la terribile
sentenza a loro carico, cominciarono a tremare, ad urlare disperatamente e
gridarono supplicando di ucciderli in quel momento, perché non avrebbero potuto
sopportare un tal genere di morte così orribile! Così pure i sette si misero ad
urlare, invocando grazia e misericordia. Però Giulio si allontanò rapidamente
senza dare ascolto alle spaventose urla né dei cinque briganti né degli altri
sette delinquenti.
13. Quando Giulio è nuovamente giunto presso di noi dice: «Questa
davvero non è una cosa da poco! Tutte quelle urla, quegli scuotimenti, le facce
contratte dalla disperazione davanti alle quali ogni bestia anche feroce
dovrebbe inorridire! Mah, sono lieto di non essere più vicino a loro! Sembrerà
incredibile, ma la testa di Medusa non può avere un aspetto più terrificante.
Sono sul serio molto curioso di vedere che fisionomia avranno domani quei
figuri»
14. Dissi Io a Giulio: «Vedi, questa è opera dei maligni spiriti che
sono in loro; essi a mala pena potranno reggere alla tremenda angoscia fino a
domani e, come ho detto prima, in grandissima parte si congederanno e noi
domani avremo un semplice compito nel redimere facilmente quegli uomini»
15. Domanda Cirenio: «Ma che cosa bisognerà fare di loro dopo? Potremo
lasciarli del tutto in libertà o dovremo invece tenerli ancora qualche tempo
sotto sorveglianza?»
16. Ed Io dico: «Senza alcun dubbio sarà necessario custodirli ancora,
perché senza un ammaestramento, assolutamente necessario e adeguato, non
possono in nessun caso venir messi in piena libertà, neppure i sette, poiché
nessuno si libera dal peccato con quella rapidità con cui vi cade. Per i cinque
a mala pena basterà un anno intero e per i sette mezzo anno circa. Ed ora
vogliamo attendere in pace ed allegria che ci venga portata la cena».
1. Dopo ciò interviene il vecchio Marco e dice: «Signore e Maestro di
tutti i maestri del mondo! Tu mi dicesti prima che io avrei appreso oggi molte
e straordinarie cose riguardo ai destini dell’uomo, e che avrei imparato anche
a conoscere il Regno di Dio. Ora questo è meravigliosamente vero! Durante tutta
quanta la giornata io ho già udito, visto e vissuto tante cose come mai in
tutta la mia vita e così la Tua predizione risulta a mio riguardo pienamente
adempiuta»
2. Gli dico Io: «Ora però va’ pure a vedere se le cuoche hanno
terminato di preparare la cena. Dopo cena accadranno ancora parecchie cose che
più intimamente ti inizieranno al Regno di Dio»
3. Dice Marco: «Ma Signore, cosa fa questa cara fanciulla che Ti tiene
ancora sempre stretto a sé e bagna di lacrime il Tuo petto? Come pare, essa non
intende più lasciarTi»
4. Dico Io: «Chiedi alla fanciulla stessa. Non credo che ti lascerà
senza risposta!».
5. Marco allora rivolge la parola a Giara, tutta immersa ancora in un
languore di Cielo.
6. Ma essa si drizza all’istante e dice: «Ascolta, o mio caro vecchio
amico! Colui che ha afferrato Costui una volta, non deve lasciarLo mai più,
perché se Lo lascia anche un istante, nello stesso tempo perde anche la propria
vita eterna per sempre. Quello che io faccio esteriormente, voi tutti dovete
farlo interiormente nei vostri cuori, come anzitutto faccio anch’io.
7. Chi ama la propria vita, ma a causa del mondo abbandona spesso con
leggerezza il Signore della Vita, costui perderà la propria vita, perché ha
perduto il Signore della Vita. Chi invece non si cura del la propria vita e nel
cuore chiama “vita” soltanto il vivere per il Signore di ogni vita, costui
manterrà in eterno la vita, anche se dovrà morire mille volte nel corpo!
8. Vedi, quando il Signore venne da noi, io fui la prima a riconoscerLo
nel mio cuore. Sì, se Egli ora mi domandasse di morire per Lui, la morte
sarebbe un vero ristoro, perché io so e sento in me, nella maniera più evidente
e viva, che l’amore per Lui non può mai in eterno morire, perché questo amore è
incapace di commettere peccato, il quale solamente è la vera morte dell’anima.
Ma quando l’anima dell’uomo è morta, è morto pure tutto l’uomo. Di queste cose
prendi ben nota, o vecchio amico, poiché io sono della scuola del Cielo, il
quale è amore, verità e vita. Quello che ti ho detto è ammaestramento dai Cieli
e tu puoi bene imprimertelo nel cuore!»
9. Ed il vecchio Marco, profondamente commosso, esclama preso
dall’entusiasmo: «O figliola dai Cieli, troppo buona e pura per questa Terra!
In verità, se il Signore dovesse corporalmente abbandonare questa mia casa, io
verrò da te ad imparare la sapienza celeste! Oh, che differenza fra te e le mie
figlie. Tu sei già un Sole, mentre le mie figlie sono a mala pena un riflesso
del grande astro del cielo in una minima goccia di rugiada! O Ebal, come devi
essere felice, quale padre di un angioletto simile!»
10. E mentre così parlava, lacrime di beatitudine gli scorrevano dagli
occhi; poi si recò in fretta in cucina, per informarsi a che punto si fosse con
la preparazione della cena e raccontò alle sue figlie quali insegnamenti gli
aveva dato la fanciulla di Genezaret. Le figlie ne restarono meravigliate e lo
pregarono di procurare loro, dopo la cena, l’occasione di intrattenersi un po’
con la celestiale fanciulla.
11. Marco fu assai lieto della richiesta e promise loro di adoperarsi
in proposito, soltanto dovevano darsi ogni cura, affinché la cena venisse
sollecitamente approntata e le figlie risposero: «Padre, in un quarto d’ora
tutto sarà pronto e in buon ordine!».
12. Allora Marco uscì dalla cucina e diede ordine ai suoi figli di
provvedere intanto di vino e di pane le mense disposte davanti all’abitazione e
anche di fare in modo che non mancasse la luce: sulle mense dovevano venir
posti dei lumi e lo spazio tutt’intorno doveva essere tenuto illuminato durante
la notte mediante fiaccole da pescatore. Tutto ciò fu eseguito rapidamente e,
quando l’oscurità cominciò ad accentuarsi, su tutte le mense ardevano già una
quantità di lampade, mentre le fiaccole da pescatore rischiaravano lo spazio
abbastanza vasto davanti alla capanna. Subito dopo vennero portati cibi
squisitissimi, come ad esempio del pesce preparato a dovere, pane, vino e
frutta di varia specie.
13. Prima di porsi a tavola Giara recitò uno dei salmi di Davide; dopo
Mi pregò di benedire i cibi e le bevande ed Io li benedii; infine tutti ci
sedemmo alle mense, facemmo onore alle pietanze che erano state portate e con
maggior moderazione al vino, il quale certo non mancò di rendere lieta e serena
la compagnia. Io sedevo fra Cirenio e la soave Giara, il primo alla Mia
sinistra e Giara alla Mia destra; vicino a Giara c’era Raffaele e dirimpetto a
lui il vecchio Marco. Questi però fu colpito dal modo in cui Raffaele mangiava
e beveva, perché, quando Raffaele portava alla bocca sia un pesce, sia un pezzo
di pane che un frutto od una tazza di vino, tutto spariva prima che fosse
accostato alla bocca e Marco osservò che il giovinetto non masticava affatto né
inghiottiva il cibo.
14. A Giosoe, il figlio adottivo di Cirenio, il quale gli sedeva
vicino, non sfuggì la tacita meraviglia del vecchio Marco e perciò gli disse:
«O Marco, vecchio soldato! Cos’è che ti piace tanto nel rabbi Raffaele che non
riesci a distogliere gli occhi da lui?»
15. Risponde il vecchio: «O illustre figlio del mio signore e
comandante, è un fenomeno assolutamente straordinario! Questo giovinetto porta
il cibo e le bevande alla bocca, ma non la apre mai, non mastica e non
inghiottisce niente, ma tutto svanisce davanti alla sua bocca! Cosa vuol dire
ciò? Si tratta certamente di un altro miracolo! Che conclusione ne debbo
trarre?»
1. Dice Giosoe: «Da ciò puoi dedurre che nel Cielo non può entrare
niente di materiale, nello stesso modo come quest’angelo dissolve prima
nell’elemento spirituale ogni cibo materiale e di questo assimila poi solamente
la parte che è spiritualmente pura. Il giovinetto è un purissimo uomo-spirito
dai Cieli e dunque rappresenta anche in piccolissime proporzioni il Cielo. I
cibi invece rappresentano noi, uomini del mondo, che siamo ancora sepolti nella
nostra materia.
2. Questa nostra materia è certo stata ora, come questi cibi, già ben
preparata al focolaio di questo grande Maestro, il Quale ci ha insegnato simili
cose e che si trova ancora corporalmente fra di noi; tuttavia con questi nostri
corpi noi non possiamo entrare nel Regno dei Cieli. Ma quando un giorno saremo
chiamati da Dio a lasciare questo mondo, allora prima di ogni altra cosa un
angelo farà di noi così come quest’angelo fa del cibo, cioè egli renderà in un
istante libero fuori dalla materia tutto ciò che appartiene allo spirito,
lascerà stare la materia destinata al completo dissolvimento, mentre invece
l’anima e il suo spirito vitale, come pure tutto ciò che c’è nella materia di
appartenente all’anima, tutti questi elementi, riuniti in perfettissima forma
umana, saranno da lui guidati nel puro mondo degli spiriti, secondo l’eterna
immutabile Volontà di Dio! Ecco, questo è quello che puoi imparare e che è bene
che impari dal modo di mangiare di questo potente giovinetto celeste, modo che
a te è sembrato straordinario»
3. Dice Marco, quanto mai stupito dalla sapienza di Giosoe: «Io ho già
osservato prima che tu sei un giovane molto più saggio di quanto sarebbe
legittimo attendersi dalla tua età; eppure una simile sapienza non l’avrei mai
sospettata in te! L’insegnamento che mi hai dato ora è importantissimo ed io te
ne sarò grato per tutta la mia vita; però tu sai che la sete di sapere
nell’uomo, una volta destata, si manifesta poi sempre più forte e così adesso
ho una gran voglia di conoscere ancora, oltre a quanto già mi hai detto, come
viene effettuato questo dissolvimento della materia»
4. Risponde Giosoe: «Amico, veramente per l’uomo non è bene sapere
troppo; tuttavia una cosa posso dirti! Vedi, la materia in effetti non è altro
che l’elemento spirituale fissato dalla Volontà onnipotente di Dio. Un simile
angelo poi, dal canto suo, non è altro che l’espressione personificata della
Volontà onnipotente di Dio; egli non può affatto volere niente all’infuori di
quello soltanto che è voluto da Dio.
5. Dunque, quando Dio vuole dissolvere una qualche materia, questa
viene afferrata dal Suo onnipotente Volere, personificato in una simile figura
umana, viene tolto via il vincolo che la tiene fissa e stretta per la
coercizione del Giudizio divino e la materia allora, come tale, sparisce
immediatamente dall’esistenza e si riconverte nel proprio elemento spirituale
primitivo e resta poi corrispondentemente quello che era originariamente,
soltanto che è perfezionata e nobilitata.
6. Un gran numero di energie, che precedentemente erano isolate,
vengono riunite in una grande e perfetta individualità, e questa costituirà in
eterno uno spirito umano perfetto, secondo la Volontà di Dio! Mi hai compreso?»
7. Dice Marco: «Certamente, ho compreso, ma io non voglio farti più
altre domande, perché la tua sapienza sta ad altezze troppo vertiginose al di
sopra della mia intelligenza naturale! Ma quello che mi piacerebbe sarebbe
udirti ragionare con Giara, che ti è pari in sapienza. Dovrebbe essere veramente
un alto godimento spirituale quale nei Cieli a mala pena se ne potrà mai avere
di migliore»
8. Dice Giosoe: «Vedi, questo desiderio è già un po’ vano da parte tua.
Tu vedi qui due coppe colme di vino! Sarebbe saggio voler versare il contenuto
di una coppa colma nell’altra, pure colma, se, facendo ciò, il vino prezioso e
molto saporito andrebbe disperso inevitabilmente sul terreno? Ed a che cosa
servirebbe? Quello che io so, lo sa certamente anche la fanciulla, dunque, né
io potrei imparare qualcosa da lei né essa da me! E perciò sarà meglio che ci
risparmiamo una fatica inutile. Parla piuttosto tu con la deliziosa fanciulla
di Dio! Tu, le tue figlie, tua moglie ed i tuoi figli potrete imparare molto da
lei, poiché fino ad oggi nessuna fanciulla prescelta da Dio per questo ha mai
fatto su questa Terra le esperienze che appunto lei ha fatto. Lei conosce
molte, moltissime cose che, ad eccezione del Signore, non sono note né
immaginabili a nessun uomo di tutta questa Terra. Mi hai compreso ora?».
Giara scioglie
a Giosoe il nodo gordiano.
1. Dico Io a Giosoe: «Ma, Mio caro Giosoe, come sai poi tu che l’amore
della Mia Giara è in possesso di una sapienza così grande e che conosce cose
che non sono note a nessuno all’infuori di Me?»
2. Risponde Giosoe: «O Signore, come potrei non saperlo e perché mi fai
tale domanda, quando sei Tu Quello che ha messo nel mio cuore e da questo sulla
mia lingua ciò che io dovevo riconoscere ed esprimere?»
3. Dico Io: «Molto bene, Mio caro Giosoe, considerato che sai questo,
dacci anche una spiegazione sufficiente del perché Io ti ho fatto tale domanda,
benché Io ad ogni modo conosca e debba conoscere, perfino nelle loro più
riposte profondità, tutti i pensieri del tuo cuore già lungo tempo prima che tu
li abbia pensati!»
4. A questa domanda Giosoe resta interdetto e va cercando in sé una
buona risposta, ma di buona non riesce a trovarne nessuna; perciò, dopo qualche
istante di meditazione, dice un po’ imbarazzato: «Signore, nella ristrettezza
ancora molto grande della mia conoscenza non sono ancora capace di trovare una
risposta ragionevole alla Tua domanda o per lo meno io non ci riesco. Tu forse
mi hai rivolto la domanda così, pro forma, come un maestro domanda ai suoi
discepoli riguardo ad una cosa che egli, quale maestro, deve conoscere già
molto prima di loro. Ma pure a questo riguardo c’è un divario infinitamente
grande fra Te ed un rabbi che esamini uno dei suoi discepoli! Questi sa bene
quello che chiede, ma senza procedere ad un esame non sa se il suo discepolo lo
sa. Tu invece conosci altresì tutti i più riposti pensieri di tutti gli uomini
ed angeli e malgrado ciò tu fai a me una domanda? Ora ecco, appunto qui sta il
nodo gordiano per me inestricabile. Però, siccome mi manca molto ancora per
diventare un Alessandro, non sono capace di scioglierlo»
5. Dico Io: «DimMi, perché il giovinetto che veniva da te di quando in
quando da Sichar ti interrogava riguardo alle cose in maniera da far credere
che egli non ne sapesse niente, mentre è certo che quelle cose egli le
conoscesse benissimo, anzi egli si faceva addirittura istruire da te assumendo
la parte di tuo discepolo?»
6. Dice Giosoe: «Signore! Appunto questo è il motivo delle mie continue
lagnanze a suo riguardo, perché, nonostante la sua sapienza senza dubbio
immensa, è egli che vuole sempre imparare da me e quando gli domando qualcosa,
dice sempre: “Ecco, questo è quello che io, per l’appunto, ti volevo
chiedere!”. Ora io domando e Ti ho già domandato stamani che specie di
insegnamento è questo. Il padre di Giara ha ben esposto prima certe sue idee
molto sagge, a dire il vero, riguardo a simili metodi di istruzione, idee che
io potrei applicare alla soluzione del quesito che Tu mi hai proposto, però io
non sono troppo d’accordo con le sue vedute e perciò non posso giovarmene
interamente, per dare una chiara e motivata risposta alla Tua domanda gordiana.
7. Trattandosi di discepoli già esperti in ogni tipo di scienze e
discipline, questo metodo di insegnamento è di sicuro il migliore di questo
mondo, perché in questo modo il discepolo, pur limitato tuttavia nelle sue
cognizioni, viene indotto a meditare, a percepire ed a trovare con fervore da
solo; ma se si applicasse tale sistema a un discepolo ancora del tutto digiuno
di ogni elementare conoscenza scientifica, vorrei proprio vedere quando e come
riuscirebbe ad appropriarsi dell’alfabeto ed infine della capacità di lettura
di uno scritto per vie e con mezzi naturali e senza il contributo di qualche
atto miracoloso!
8. A questo riguardo l’opinione di Ebal, sotto ogni altro aspetto
buona, non può venire presa in considerazione e così non me ne posso giovare
nel caso mio. Dunque, o Signore, io devo dirTi sinceramente che non sono capace
di dare una risposta alla tua domanda fatta in stile gordiano e di conseguenza
Ti prego di voler fare a tutti noi la grazia di dare Tu stesso la risposta!»
9. Dico Io: «Cosa diresti se incaricassimo la nostra buona Giara di
trovare una soluzione al problema?».
10. Dice Giosoe un po’ confuso: «Se essa ne è in grado, potrà farlo
senz’altro. È certo che se Tu, o Signore, le porrai la risposta nel cuore, le
sarà facilissimo dare la risposta richiesta!».
11. Dico Io: «Ma appunto questa volta non lo farò e bisogna che essa
cerchi in se stessa la risposta»
12. Dice Giosoe: «Oh, allora è ben probabile che non riesca meglio di
me»
13. Ed Io, sorridendo, dico: «Ebbene, vedremo! Dicci, dunque, Mia Giara
diletta, perché Io ho fatto al nostro caro Giosoe una domanda in questa forma
riguardo a una cosa che certamente Mi era nota già molto tempo prima»
14. Risponde Giara, alquanto imbarazzata: «Signore, se mi è lecito
parlare e se in un certo modo ho il dovere di parlare, a me sembra che Tu abbia
posto al caro Giosoe questa domanda in stile gordiano, come egli l’ha chiamata,
all’unico scopo di mortificare un po’ la sua anima forse eccessivamente
esuberante. Infatti egli ha espresso prima l’opinione che non era necessario
per lui intrattenersi con me, poiché sa tutto quello che io so, cosicché tra di
noi ogni ragionamento sarebbe inutile ed ha aggiunto che l’addentrarsi in una
conversazione di questo genere corrisponderebbe al voler versare il contenuto
di una coppa colma in un’altra ugualmente colma. Ma il caro Giosoe ha
dimenticato di considerare che Tu hai ripartito perfino fra i Tuoi angeli, in
differente maniera, i doni dello spirito e che di conseguenza anche uno spirito
perfettissimo può sempre imparare molto da un altro spirito altrettanto
perfettissimo!
15. Ora io la penso così: se Tu, o Signore, poni una domanda simile,
non lo fai per altra ragione se non per quella di ricondurre un qualche animo,
forse un po’ troppo esuberante, ad una concezione più umile di se stesso. E
giudicando da ciò che con il mio limitato intendimento posso scorgere nel mio
cuore, Tu hai fatto appunto al caro Giosoe una simile domanda gordiana.
16. Egli, contraddicendosi un po’ parlando con Marco, osservò bensì
prima che io, in grazia Tua, ho fatto esperienze tali, quali nessuno su questa
vasta Terra ne ha fatte finora e tuttavia egli si considera una coppa piena
fino all’orlo. Ma se egli ammette davvero che io abbia fatto simili
straordinarie esperienze, non so capire assolutamente perché non voglia entrare
in conversazione con me. Io, da parte mia, credo invece che, nonostante le mie
esperienze certamente inaudite, potrei sempre ancora imparare qualcosa da lui e
non credo assolutamente che la mia coppa sia proprio tanto piena da non
concedere un po’ di spazio al contenuto della sua coppa molto più piena.
17. E, da quanto ho visto adesso, (prosegue Giara con un sorriso di
soddisfazione) pare che anche la sua coppa non sia proprio tanto
pericolosamente colma da non poter più contenere almeno qualche goccia del mio
vino!
18. Del resto con ciò io però non ho voluto affatto fare
un’osservazione neanche in qualche modo lontanamente ostile sulla
manifestazione un po’ troppo traboccante della concezione che Giosoe ha di se
stesso, bensì, avendo detto a me di parlare, ho parlato come sentivo nel mio
cuore; perciò non credo di aver commesso un peccato veramente troppo grave! Ma
se l’ho commesso, è mia intenzione riparare al male fatto con tutte le mie
forze»
19. Le dico Io: «Oh no, assolutamente no. Il tuo fedelissimo cuore è
troppo aperto dinanzi ai Miei occhi e tu anzi hai reso al Mio caro Giosoe un
servizio molto grande, perché egli era veramente un po’ debole nei punti da te
toccati con la tua ingenua sapienza e queste debolezze, con l’andare del tempo,
avrebbero davvero potuto attirarlo un po’ su qualche falsa strada, ma ora egli
è guarito anche in questa sfera e vedrai che acconsentirà adesso molto
volentieri ad iniziare con te una lieta conversazione. Infatti egli ha
un’eccellente maniera di esprimersi».
Sulla
limitatezza del sapere dell’uomo terreno.
1. Il Signore prosegue rivolto a Giosoe: «Che cosa ne dici della
riuscitissima risposta della carissima Giara?»
2. Risponde Giosoe: «O Signore di ogni vita, questa soave fanciulla non
è certo più già da molto tempo una creatura di questa Terra! L’incantevole
Giara è una luce celeste di prima grandezza fatto persona, mentre io di fronte
a lei non sono che una piccolissima stella. È bensì vero che in grazia Tua ho
fatto anch’io esperienze come finora pochi mortali hanno fatto, poiché non è
uno scherzo l’aver trascorso, secondo la mia sensazione, quasi due anni nel
mondo degli spiriti, mentre il corpo si decomponeva in una fossa e l’essere
stato, per Tua grazia e mirabilissima misericordia, restituito su questa Terra
con la piena coscienza! Eppure devo apertamente confessare che mi sento appena
degno di assumere verso questa fanciulla la parte di scolaro debole e privo di
talenti. Se essa dunque vorrà nel suo amore insegnarmi un po’ di una o di
un’altra cosa, io tutto accetterò con animo assai grato e con la migliore buona
volontà di questo mondo»
3. Dice Giara: «Andrebbe tutto bene, mio carissimo Giosoe, ma tu sei il
figlio di un re, mentre io sono la figlia di un ebreo, un semplice albergatore
di Genezaret; dunque, dal punto di vista terreno, sarebbe presunzione e audacia
eccessiva da parte mia volermi avvicinare a te; ma se vuoi degnarti di scendere
fino a me, povera come sono, tu troverai due braccia aperte ed una porta pure
essa aperta nella mia modesta casa!». A queste parole molto significative,
Giosoe resta imbarazzato e non sa cosa replicare alla fanciulla.
4. Ma Cirenio osserva: «Ebbene, Giosoe mio, questo vuole dire che tu
vai vicino a Giara e che cominci a discorrere con lei! Va’ dunque e fa’ così,
perché io stesso sono molto desideroso di ascoltare tutte le vostre
discussioni».
5. Dice Giosoe: «Oh, che io debba sedermi vicino a lei, la buona e
carissima Giara non ne ha fatto cenno nel suo discorso, invece scorgo un invito
a parlare qualora io, figlio di re, voglia degnarmi di scendere fino a lei.
Certamente sembra che Giara ancora non sappia che io, in primo luogo, non sono
affatto un figlio di re ed in secondo luogo che quel certo orgoglio della
nascita è estraneo alla mia natura e che un tale pensiero è da me più lontano
ancora che non il Cielo da questa Terra. Io tengo soltanto alla verità,
disprezzo profondamente quello che le sta al di sotto, ma adoro ciò che sta al
di sopra di essa come un mistero di Dio e non domando di avere la chiarezza di
ciò che non si addice ai vermi ed alla polvere di questa Terra!
6. In Dio vi è la pienezza assoluta dell’infinita verità, in noi invece
ce n’è appena quant’è un atomo di pulviscolo solare! Tutto quello che noi
sappiamo è una cosa minima e incompleta e noi non saremo mai capaci di trovare
la via che conduce l’Alfa fino al Beta, per non parlare di arrivare all’Omega.
Nel cielo scintillano miriadi di astri; chi mai li conosce? Noi non conosciamo neppure i due maggiori,
come dunque potremmo conoscere quelli piccolissimi che sono in un numero
sterminato? La Sapienza di Dio invece è dappertutto sempre così presente come
il senso della vista nell’occhio.
7. Sappiamo e conosciamo quello che Dio vuole rivelarci; tutto ciò che
va oltre, per l’anima umana è avvolto in una notte certo sacra, ma pur sempre
infinita, e l’uomo non deve mai azzardarsi a voler rischiarare la sacra
oscurità di questa notte senza confini, perché questa notte lo inghiottirebbe
come avviene della pietruzza scagliata nel mare da qualche ragazzo spavaldo.
8. Noi uomini siamo come dei vasi cui per ora è concessa una
determinata misura: quando essa è colma, non la si può rendere ancora più
colma, ma se un giorno avverrà che all’uomo venga data una misura maggiore,
allora egli vi potrà collaborare e versare ancora molte cose e tuttavia la
misura non traboccherà così facilmente come succede ora.
9. Certo è che agli uomini di questa Terra è stata data la misura in
gradi svariatissimi di capacità; la mia evidentemente è delle più piccole.
Invece è chiaro che la carissima Giara è stata provvista di una misura maggiore
e perciò io non posso presentarmi dinanzi a lei da pari a pari, perché se essa
vorrà elargirmi qualcosa di ciò che possiede in sovrabbondanza, io sempre
l’accetterò con animo assai grato. Però non mi sento di mettermi a sedere
vicino a lei, principalmente perché essa è più saggia di me e secondariamente
perché tale cosa non mi si addice!».
1. Allora intervengo nuovamente Io nel discorso e dico a Giosoe:
«Ascolta, Mio caro Giosoe! Tu ora hai parlato molto saggiamente e c’è molto di
vero e di buono in quello che hai detto; però Io devo richiamare la tua
attenzione su parecchie cose ancora! Vedi dunque di afferrare bene quanto ti
dirò, perché con un sapiente come tu sei, posso già anch’Io esprimerMi in
maniera un po’ più profonda!
2. Tu hai detto: “Io tengo soltanto alla verità, quello che le sta di
sotto lo disprezzo, ma ciò che sta al di sopra di essa come un mistero di Dio
io lo adoro e non domando di avere la chiarezza di ciò che non si addice ai
vermi ed alla polvere di questa Terra! In Dio c’è la pienezza di ogni sapienza,
in noi uomini invece ce n’è tanta quanta ce n’è in un atomo di pulviscolo
solare!”
3. Ora è certamente buono, puro e giusto quanto mai tenere soltanto
alla verità, ma ecco che una possente domanda taglia diritta diritta questo
principio fondamentale, formando così, con il tuo principio lodevolissimo in
sé, una croce perfetta! Se tu o qualcun altro per te è capace di risolvere il
problema che Io ti sottoporrò, allora le Mie spalle saranno libere da questa
croce.
4. Dimmi ora: “Che cos’è dunque la verità alla quale sola tu tieni? È
una verità forse quello che tu vedi?”. Ecco, tutto ciò è una fantasmagoria che
dura dall’oggi al domani, e quello che oggi appare una piena verità, può non
esserlo già domani! Guarda lì, nelle ultime luci crepuscolari del Sole già da
tempo tramontato, si libra una nuvoletta a forma di pesciolino! DimMi, fino a
quando la forma attuale di questa nuvoletta resterà una verità? Vedi, il
prossimo istante sarà già una smentita della sua attuale conformazione!
5. Io ti presento tre pere, di cui tu dici che sono una verità dinanzi
a te, perché veramente sono tre pere, ma Io ti dico che ciascuna delle tre
contiene parecchi semi, da ciascuno dei quali, con il susseguirsi dei tempi,
possono riprodursi in numero senza fine gli alberi, i quali finiranno tutti poi
con il produrre quantità incalcolabili di pere simili alle tre originali!
Dunque, stanno dinanzi a te veramente soltanto tre pere che formano già da sé
una quantità ben definita ed immutabile, oppure sono semplicemente tre qualità
apparenti dietro le quali, come i guerrieri nel ventre di legno del cavallo di
Troia, sono nascoste in numero imprecisabile altre quantità ancora di grandezza
uguale, oppure anche ben differente?
6. Dove comincia la verità e dove finisce? È l’uomo una verità come
egli è? Guarda un bambino e guarda infine un vecchio! Guarda una città
costruita dalle mani dell’uomo! È essa una verità assoluta? Essa oggi esiste
ancora e domani può essere già distrutta!
7. Vedi, per chi in se stesso è assoluta verità, per questi soltanto è
anche tutto verità, ma per chi non lo è, tutto quello che lo circonda è
necessariamente soltanto quello che egli stesso è in quel momento.
8. Una verità che è vera solamente per un certo tempo, già per questo
motivo non è una verità piena, poiché in essa non vi sono stabilità e
durevolezza. La verità assoluta invece deve essere per l’eternità
immutabilmente quello che è ad ogni singolo istante. Dunque, che cos’è allora
veramente la piena verità?».
Il mistero
della ragione prima di ogni sapienza.
1. Giosoe resta perplesso, pensa e ripensa, ma non sa cosa rispondere
alla Mia domanda.
2. E Cirenio esclama: «Però, Signore, questa domanda è davvero un tale problema,
che per risolverlo tutti i saggi e i filosofi ci avrebbero rimesso il cervello!
Permettimi, o mio divino Amico, ma allora, secondo le Tue parole, che ci sono
pur sempre quanto mai sacre, tutto quello che noi percepiamo con i nostri sensi
non è perfetta verità, ma è invece per una buona metà una menzogna? Dunque, chi
mai, poi, può prestare completa fede ad una parola data? Questa Tua domanda,
devo io stesso confessarlo, mi ha veramente turbato un po’, ma questa volta
bisognerà che Tu stesso abbia la bontà di dare anche la risposta, perché non
credo che ci sia sulla Terra un savio capace di sciogliere con le sue Sole
forze questo enigma!»
3. Dico Io: «Oh, non darti alcun pensiero! Infatti, vedi, qui a questo
tavolo siedono alcuni che sarebbero in grado di darti certamente, senza il Mio
particolare ausilio, una risposta del tutto sufficiente, quale soluzione del
problema da Me posto a Giosoe, perché essi già sanno approssimativamente da che
parte spira il vento. Ma Io voglio invece che nella soluzione del quesito da Me
prospettato in termini e proporzioni certamente un po’ superiori, intervenga la
Mia Giara ad aiutare Giosoe! Dunque (rivolgendoMi a Giara) prova tu, Mia Giara
carissima, se ci riesci, a trovare nel tuo cuore una buona risposta alla Mia domanda!»
4. Risponde la fanciulla, lievemente sorridendo: «In verità, mi
stupisce molto che Giosoe, a cui in generale non manca la sapienza, non abbia
potuto trovare immediatamente una risposta adatta ed esauriente a questa
facilissima domanda! Che cosa può essere la verità perfetta ed eterna, se non
Dio stesso, il Quale, comprendendo in Sé dall’eternità ogni perfezione, è in
Spirito sempre quell’Uno e stesso, ed è dunque in Sé e per Sé eternamente
immutabile, dato che in Lui, quale in Se stesso la perfezione assoluta, non è
immaginabile che possa operarsi in eterno nessun cambiamento. Dio è l’unica ed
eterna Causa Prima di ogni essere; tutto ciò che ha esistenza non è altro se
non la risultante delle Sue Idee da Lui fissate; di conseguenza l’essere e la vita
di ogni creatura sono pure Essere e Vita di Dio.
5. Perciò, dunque, solamente in Dio tutto è verità perfettissima ed
eterna, perché all’infuori di Lui niente può esistere in nessun luogo; ma in
noi uomini può esservi verità soltanto in quanto noi diventiamo Una cosa con il
Suo santissimo Spirito, per il potere del puro amore per Lui. Il puro amore a
Dio ci congiunge con Dio e fa in modo che noi diventiamo Una cosa sola con Lui;
ma quando siamo tali, allora per noi tutto è purissima Luce, da qualsiasi parte
ci volgiamo e ci muoviamo. E questa Luce primordiale, nella purezza dello
Spirito, è appunto Essa la verità eterna ed immutabile. Questa, secondo il mio
parere, è la sola giusta risposta che risolve il quesito proposto dal Signore
al caro Giosoe».
6. Dico Io a Cirenio: «Ebbene, che te ne pare di questa risposta data
alla Mia domanda a Giosoe? Non credere però che le abbia posto Io
miracolosamente tutto ciò nel cuore, bensì è lei che lo ha trovato su un
terreno assolutamente proprio. Ed Io lo dico a te ed a voi tutti che siete
seduti con Me a questa mensa: in quello che essa ha detto, non c’è né una
parola di troppo né una parola di meno e tutto è pienamente vero per
l’eternità.
7. Ma come avviene che lei sia giunta a tanto e Giosoe no, pur
essendosi egli proposto come unica meta la verità? Vedete, questa è l’opera del
suo sconfinato e purissimo amore per Me; questo amore congiunge il suo cuore
con il Mio e in tale modo lei è sempre in grado di acquistarsi, per la via più
breve, ogni luce e con ciò ogni sapienza, attingendole a quella che ella stessa
ha designato come la Sorgente primordiale di ogni luce, di ogni esistenza e di
ogni verità, la quale sempre è in Me Una e la stessa, immutabile per
l’eternità.
8. E tu, Mio caro Giosoe, fautore soltanto della verità, che cosa ne
dici di Giara, la quale in certo modo è devota unicamente e puramente
all’amore?»
9. Risponde Giosoe, con un po’ di imbarazzo: «O Signore, certo, scorgo
ora in me una macchia oscura, ma non so come fare per cancellarla! Io ho fatto
a Giara un grave torto a cui bisogna porre rimedio e se Tu, o Signore, non hai
niente in contrario, io vado subito a sedermi vicino a lei!»
10. Dico Io: «Oh, tutt’altro, anzi puoi persuaderti che la compagnia si
rallegrerà già in anticipo della conversazione fra voi due! Io te lo dico:
“Soltanto al fianco suo troverai quello al quale esclusivamente tieni!”». A
queste Mie parole Giosoe si alza sollecito e va a prendere posto fra Giara e il
suo angelo Raffaele.
1. Quando Giosoe si trova seduto presso di lei, le porge la mano
dicendole: «Mia carissima Giara, non serbarmi rancore, perché, vedi, io non
potevo neanche lontanamente pensare che in te, una fanciulla di forse appena quindici
anni, si celasse una sapienza maggiore di quanta ne abbiano avuta tutti i saggi
della Terra che sono vissuti prima di noi; ma nello stesso tempo ti prego ora
di volermi rivelare quanto più puoi dell’occulta sapienza che dimora in te!»
2. Risponde Giara: «Ed io, a mia volta, devo pregarti di rivelarmi la
tua, poiché tu pure saprai molte cose che a me probabilmente sono ancora poco
note!»
3. Dice Giosoe: «Le mie rivelazioni avranno un ben magro aspetto,
perché il vaso della mia sapienza mi pare che sia in primo luogo alquanto
piccolo e poi in aggiunta temo che sia bucherellato come un setaccio! A dirla
breve, da me ci sarà poco da spremere, perché appunto non c’è molto dentro e di
conseguenza è meglio che cominci tu! Io, del resto, sono talmente imbarazzato
che veramente non saprei dove trovare qualcosa di adatto ad essere anche un po’
discusso qui. Al cospetto della divina Sapienza è difficile per l’uomo parlare,
ma tanto più facile invece ascoltare e tacere. Tu però, soavissima Giara, hai
la libertà di varcare il ponte che conduce alla divina Sapienza, alla Quale
puoi attingere quanto e quando vuoi. Dunque piaccia a te cominciare ed io, come
ho già detto, ti ascolterò!»
4. Osserva Giara: «Ma, o nobile Giosoe, una cosa simile non sarebbe affatto
conveniente, perché una fanciulla non deve essere sfacciata. Tu puoi ben
interrogarmi ed io ti risponderò, e se io ti faccio delle domande, mi
risponderai a tua volta!»
5. Dice Giosoe: «Eh sì, sarebbe facile domandare, se almeno si sapesse
cosa! Fino a tanto che si è bambini, senza alcuna traccia di cultura, il cuore
è certamente colmo di domande d’ogni specie, ma quando si è risposto in più
maniere da se stessi a quasi a tutte le domande sorte in sé, allora una domanda
riesce più difficile di una risposta ad una domanda qualsiasi. Perciò io vorrei
pregarti di rivolgermi una domanda, perché tu sei iniziata in molte cose, e di
conseguenza riguardo a molte cose puoi anche interrogarmi»
6. Dice Giara: «E sia così, nel Nome del Mio Signore; altrimenti se non
vuoi, io ti farò subito una domanda: “Dimmi dunque perché Dio, il Signore,
quale il supremo Amore e suprema Sapienza permette che, particolarmente nel
tempo in cui noi viviamo, i cosiddetti servitori di Dio e dispensatori
privilegiati della parola divina siano in modo del tutto speciale essi stessi
fra gli uomini gli esponenti maggiori della perfidia senza coscienza,
dell’orgoglio e dell’ambizione e vadano senza alcuno riguardo commettendo,
solitamente di nascosto ed impuniti, le azioni più perverse? Perché non hanno
alcun timore al pensiero di Dio, la Cui potenza e gloria essi vanno
magnificando ad altissima voce dinanzi a tutti gli uomini tra il fasto di pompe
e cerimonie?”. Ecco, questa è una domanda importante quanto mai per il nostro
tempo!»
7. Dice Giosoe: «Oh, la domanda è importante senza dubbio, ma in quanto
alla risposta, non la trovo sul mio terreno e perciò bisognerà che ti prepari a
darla tu stessa»
8. Interviene Cirenio e dice: «Ma Giosoe, figlio mio carissimo, qualche
cosa potrai ben trovare da dire! In verità, il tuo continuo ricorrere a scuse
comincia a venirmi già un po’ a noia! Io so bene, e me ne sono ora più che mai
convinto, che per quanto concerne la sapienza, la graziosissima Giara ti supera
di molto, tuttavia, a quanto ne so, tanto privo di idee non sei neppure tu, da
non poter trovare proprio nessuna risposta ad una simile domanda. Cerca almeno
di dire qualcosa! Se anche sbaglierai, ebbene, qui intorno a questa mensa
siedono saggi in numero sufficiente da poterti rimettere sulla buona strada!»
9. Risponde Giosoe: «Oh, caro padre e illustre comandante! Comandare è
facile, ma obbedire porta invece con sé un’amarezza cocente, specialmente
quando, come ora è il caso mio, non si vede neanche a distanza la possibilità
di dimostrare obbedienza!
10. Immaginati da un lato la Bontà immensa, l’Amore e l’illimitata
Sapienza di Dio e dall’altro tutte le atrocità che i presunti servitori di Dio
commettono per lo più impunemente a danno della povera umanità di certo ad ogni
ora del giorno e della notte; tieni ben presente dinanzi agli occhi dell’anima
questi rapporti contraddittori e, come avviene a me, certamente ti risulterà in
maniera fin troppo chiara che dare una risposta ben ponderata ad una simile
domanda è molto più difficile dello stabilire qual è la somma di 3 ed ancora
una volta 3! Faccia qualcun altro il tentativo ed è probabile che si convinca
assai presto che la domanda posta da Giara non è assolutamente un quesito da
poco!»
11. Dice Cirenio: «Suvvia, sta bene. Io non metto in dubbio che ci
voglia un alto grado di sapienza per rispondere in maniera anche relativamente
soddisfacente alla domanda di Giara, ma ad ogni modo mi piacerebbe molto essere
un po’ illuminato a tale riguardo, perché appunto questo problema, più di
altri, è stato oggetto di intensa meditazione da parte mia, anche se non ho mai
ancora potuto trovare una spiegazione almeno mediocremente ragionevole. Io
penso dunque che se davvero nessuno fosse capace di rispondere alla domanda in
questione all’infuori del nostro amatissimo Signore e Maestro e della carissima
Giara, noi tutti dovremmo rivolgerci a Te, o Signore e Tu certo vorrai allora
rivelarci la precisa ragione del fenomeno discusso, come del resto, se la mia
memoria non m’inganna, ci avevi anche promesso»
12. Dico Io: «Sicuramente, purché la Mia Giara non riesca a venirne a
capo da sola; però Io ritengo che, se lei ci mette tutta la sua attenzione,
coglierà direttamente nel segno già di primo acchito! Prova dunque, Mia buona e
cara Giara, e rendi testimonianza del fatto che Io non ho piantato invano un
orticello per te a Genezaret».
Osservazioni
di Giara nel suo orticello.
1. A queste Mie parole Giara si alza e, tutta seria e ritta come un
oratore, così si esprime: «Ebbene sia! La benedizione dall’Alto è scesa
abbondante sul mio orticello ed io voglio offrire volentieri, per il bene di
tutti, il frutto della mia diligenza di fanciulla, nonostante che io abbia
avuto certamente modo di applicarla soltanto da pochi giorni. Di vantaggi
materiali l’orticello me ne ha certo arrecati ancora pochi, ciò che non si
sarebbe potuto affatto pretendere, dato il brevissimo tempo trascorso da quando
fu piantato, ma non di meno ne ho tratto tanto più vantaggio spirituale.
2. Sì, l’orticello è per me un vero libro di sapienza profondissima ed
io in pochi giorni, osservandolo bene, ho imparato di gran lunga più di quanto
avrebbe potuto rivelarmi Salomone in tutta la maestà della sua sapienza. Perciò
anche la risposta alla domanda da me ora rivolta a Giosoe è apparsa evidente e
brillante appunto nel mio orticello già un paio di giorni fa ed ora essa è mia
proprietà assoluta, quale dono del Signore stesso, perché, se la piena risposta
non fosse già stata in me, davvero io non avrei mai osato fare una domanda di
questo genere, affidandomi alla cieca sorte o forse sperando che qualcun altro
potesse trovare una risposta accessibile anche al mio intelletto!
3. Oh, la risposta di certo esauriente ce l’ho già in me ed essa è
valida non soltanto per il tempo presente, ma anche per tutti i tempi, finché
su questa madre terra ci sarà una qualche traccia della Parola di Dio e ci
saranno delle caste sacerdotali che più di altre si occupano della Parola. Ed
ecco la piena risposta alla domanda da me formulata al caro Giosoe:
4. “A casa io misi diversi semi nobili e buoni nel grasso terreno del
mio orticello. Alcuni germogliarono già il giorno seguente, il secondo giorno i
germogli erano cresciuti di circa quattro dita fuori del terreno.
5. Una fanciulla, e io in modo particolare, è sempre molto curiosa, e
così la mia insaziabile curiosità mi spinse ad esaminare bene almeno alcune
pianticelle fra quelle che maggiormente si erano sviluppate, per constatare che
cosa effettivamente avveniva infine dei granelli di semente quando questi hanno
prodotto dei germogli già così vigorosi. A questo scopo tolsi con cura alcune
pianticelle fuori dal terreno, osservai tutto con la maggior attenzione
possibile, ed ecco, come si suol dire in idioma romano: ‘Sapienti pauca
sufficiunt’ (Al saggio basta poco),
trovai che il granello di semente era imputridito e la terra che lo circondava
era frammista ad una specie di muffa putrida. Poi da questa fossetta germinava
la tenera pianticella, e della semente, come ho detto, non esisteva più niente,
ad eccezione di qualche rimasuglio del guscio duro e perciò difficilmente
soggetto alla putrefazione che circonda e protegge all’esterno il granello di
semente.
6. Ma accanto a questo fenomeno molto degno di nota, rilevai pure come
diversi grani di semente senza germogli fossero stati completamente consumati
dalla putrida muffa e non ci fu assolutamente modo di trovare alcuna traccia
che desse adito a sperare in una qualche manifestazione vegetativa. Eppure al
mio occhio acuto non sfuggì come appunto al di sopra di queste sementi
completamente marcite avessero fatto la loro comparsa, sbucando fuori dal
terreno, certe minute pianticelle che non avevano la benché minima analogia con
i germogli nobili e buoni. ‘Ah, ah’ – dissi io allora fra me – ‘ ci siamo;
questi germogli falsi sono certamente anch’essi un prodotto dei buoni semi
affidati al terreno grasso, ma il terreno, essendo avido, ha voluto saziarsene
per conto proprio e non ha permesso al germoglio veramente buono di
svilupparsi; ma a che gli giova questo, in ultima analisi? Al posto del
germoglio nobile ne crescono trenta di cattivi e sottraggono al terreno, forse
circa cento volte, tanta valida sostanza nutriente quanta ne occorre per dare
sviluppo ad una pianticella buona; infatti tutto ciò che è nobile e buono è
moderato sotto ogni aspetto, qualunque cosa esso sia’.
7. L’oro non ha bisogno, come il piombo, di venire continuamente pulito
per risplendere; lo si pulisce una volta a dovere e poi conserva la sua
lucentezza per sempre. Una vite prospera e fruttifica sul più aspro terreno, i
cardi e le spine invece si scelgono il terreno migliore. Le specie buone e
nobili di animali domestici sono di rado voraci, mentre il lupo, la iena e
simili altre bestie feroci non farebbero altro che divorare continuamente,
notte e giorno, così pure l’uomo veramente nobile e buono si accontenta
facilmente, laddove l’uomo del mondo, tenebroso e perfido, non ha mai
abbastanza di tutto. Gli si diano centomila libbre d’oro e subito dopo la sua
più ardente brama sarà quella di averne, quanto prima possibile, ancora una
volta tanto, essendo per lui del tutto indifferente che, pur di raggiungere
tale scopo, il prossimo si riduca alla miseria o che addirittura muoia di fame;
in questo modo un’avarizia genera sempre un’altra avarizia!
8. Vedete, il terreno del mio orticello era dunque ignobile e avaro in
parte e voleva ingrassarsi con le sementi nobili che io gli avevo affidato in
seno, ma quale ne fu l’amara conseguenza? Ecco, al posto di una pianticella
nobile e moderata è costretto a nutrirne cento di ignobili e voraci!
9. Ora, come succede al terreno sciocco, avaro ed egoista, non
altrimenti succede agli uomini sulla Terra, che già qui vogliono crearsi un
cielo pieno di godimenti e delizie. Infine viene il momento in cui devono
sicuramente abbandonare tutta la loro ricchezza accumulata a suon di aspre
fatiche, la quale poi viene da cento altri dilapidata in maniera non di rado
vergognosissima”. Questa è intanto un’immagine che ha relazione con la risposta
alla domanda da me formulata, risposta che sta ora per seguire. Considerate
intensamente quest’immagine nel vostro animo e la risposta vi balzerà quasi di
per se stessa alla mente!». Tutti allora si immersero in riflessioni e non
sapevano capacitarsi della grande sapienza che si era rivelata in quella
fanciulla.
Uso
dell’immagine di corrispondenza di Giara
1. La fanciulla però si rivolge frattanto a Giosoe e gli domanda, in
tono dolcissimo ed amorevole: «E tu, mio caro e nobile vicino, non puoi
scorgere ancora alcuna vera luce nel tuo cuore?»
2. Dice Giosoe: «O soave e saggissima Giara! Io ho come l’impressione
di vedere qualcosa attraverso un velo, steso dinanzi alla mia faccia, ma per
ora non si può parlare di chiarezza. Prosegui dunque tu e chiarisci la
questione; hai in me certamente il tuo più attento ascoltatore. La cosa è
troppo importante, perché ci si possa permettere di lasciar passare inosservata
anche una sola parola, e questa pare che sia anche l’opinione profondamente
sentita di tutti coloro che siedono a questa mensa e di tutti gli altri che ci
stanno attorno, perché ciascuno è visibilmente ansioso di ascoltare quello che
ancora verrà. Favorisci dunque di proseguire nella tua spiegazione e di
svolgere la tua risposta fino alla fine!».
3. Allora Giara riprende la sua dissertazione per dare la risposta
promessa e dice: «Se voi avete anche soltanto un po’ considerato le immagini
naturali che ho già presentato alla vostra mente, che costituiscono il primo
raccolto spirituale da me mietuto nel mio orticello, quello che ora seguirà
dovrebbe riuscirvi chiaramente e facilmente comprensibile. Dunque, fate bene
attenzione ed ascoltate!
4. Gli uomini di questa Terra sono da considerare, dal punto di vista
spirituale, simili al terreno del mio orticello, e la Parola di Dio – la Quale
anzitutto è venuta dai Cieli ed è stata sparsa fra gli uomini per mezzo dei
primi padri, a cominciare da Adamo e più tardi per mezzo dei patriarchi e dei
profeti suscitati da Dio stesso – è a sua volta simile alla buona e nobile
semente da me affidata al terreno del mio orticello. Ma così come avviene della semente, che
appena collocata nel terreno non dà subito frutti maturi in abbondanza,
altrettanto avviene anche per la Parola di Dio.
5. Quando la Parola di Dio, esteriormente percepita, viene accolta
nell’animo dell’uomo, essa deve venire vivificata tramite l’azione, che trova
la sua rispondenza nel potere nutritivo del terreno e precisamente, come
prescritto dalla stessa Parola di Dio, a vantaggio dei nostri fratelli e
sorelle, affinché possa, così nutrita, produrre germogli validi ed atti a
promuovere la crescita successiva di veri, sani e saporiti frutti della vita
spirituale in Dio e possa, per così dire, convertirsi essa stessa in frutto
benedetto e pienamente maturo! Ma se degli uomini – e fra questi sono da
intendersi in primo luogo coloro che per primi sono chiamati ad accogliere la
Parola, come sarebbero i profeti ed i sacerdoti, allo scopo, quando sia giunta
in essi la maturità, di spargerla ulteriormente in tutta la sua integrità e
purezza per tutti i tempi dei tempi sul grande campo dell’umanità di questa
Terra se tali uomini, dico, in corrispondenza a quanto fa il terreno materiale,
il quale divora la nobile semente, impiegano invece la Parola quale mezzo per
tentare di ingrassare solo se stessi, non deve apparire poi affatto come una
meraviglia troppo innaturale se sul campo dei profeti e dei sacerdoti, in tal
modo palesemente falsi, non germoglino infine, per la risemina, sul vasto campo
dell’umanità profana, altro che mala zizzania, spine e triboli che maturano
nella loro malvagità!
6. Però, nonostante accada così, il fatto tuttavia non è, né in
particolare né in generale, contrario all’Ordine divino ed alla divina
Sapienza, perché, vedete, quando il buon frutto è giunto a maturazione, tutta
la paglia ed i frutti vengono raccolti nei granai e nelle dispense; la zizzania
invece rimane sul campo e contribuisce involontariamente a concimare il
terreno, che così si irrobustisce per un prossima semina ed avidamente attende
che gli venga ormai affidata una semente buona per vivificarla.
7. Non diversamente stanno le cose con noi uomini! A tale riguardo, se
noi fossimo già stati saziati della verità purissima da sempre così come essa
proviene dalla bocca di Dio, in verità avremmo poco desiderio di un ulteriore
verità.
8. Ma Dio il Signore conosce anticipatamente tale condizione e perciò
lascia che all’umanità, diventata ottusa, venga per qualche tempo preparato un
pessimo cibo e che il suo terreno venga ben concimato dalla zizzania: soltanto
dopo l’umanità, immersa nelle tenebre e che desidera la luce, gusta il frutto
nobile e puro della pura Parola di Dio, così come ora avviene presso di noi e
fra noi evidentemente e beatamente».
Il
materialismo e i suoi rappresentanti.
1. Parla Giara: «Questo è vero: si verificano abomini inauditi, certamente
sempre originati dai cosiddetti servitori di Dio! Ma gli uomini che ne sono
informati con certezza e che non sono essi stessi proprio digiuni di quello che
si accenna nella Scrittura di Dio, cominciano a domandarsi tra di loro ogni
giorno con sempre maggiore insistenza: “Ma che cosa significa questo?”. Allora
cos’è la Parola di Dio? Può veramente essere Volontà di Dio, secondo il senso
della Sua Parola, che gli annunciatori della Parola di Dio, della Sua Volontà
d’Amore, della Sua Grazia, della Sua Mansuetudine e della Sua Pace debbano
diventare dei demoni fra i più avidi, ambiziosi, egoisti, spietati ed arroganti
per il loro prossimo?
2. E vedete, tutte queste domande sono buone, perché costituiscono il
primo impulso alla vera attività indipendente negli uomini, senza la quale essi
non possono trapassare nella vera libertà spirituale neppure in conseguenza di
una costrizione, seppure di carattere buono né, meno ancora, di carattere
maligno o in certo modo satanico; e senza questa vera libertà spirituale non
può esservi vita eterna per l’anima e per il suo spirito.
3. È verissimo: considerando l’agire delle caste sacerdotali, ci si
sente molto spesso sconvolgere da giusta ira e quasi lacerare, e molto spesso
un impulso prepotente ci spingerebbe a gridare a squarciagola: “Signore! Non
hai più fulmini, grandine, zolfo e pece da far piovere su queste tigri dalle
sembianze umane, per punirle con il massimo rigore di cui la Tua Ira divina è
capace?”. Ma allora dall’intimo del cuore una dolce voce si leva e dice: “Sii
accorto e saggio, e guarda dove posi il piede quando cammini! E se vi scorgi
sulla via una vipera in agguato, evitala, perché ce ne vuole prima che tutto il
suolo sia abitato solo da vipere”.
4. Deve esserci anche la notte accanto al giorno, affinché l’uomo possa
riconoscere il valore della luce. Nessuno di giorno sente il bisogno di
ricorrere alla luce di una lampada, ma quando cala la notte, ciascuno sente in
modo vivo e doloroso la mancanza della luce e se la procura meglio che può; anche
il più lieve bagliore gli rende più lieta la propria stanza di quanto non
faccia l’assenza, spesso totale, di luce.
5. Vedete, se il Signore provvede a profusione gli uomini di questa
Terra di beni terreni di ogni specie, essi diventano ben presto prepotenti,
cominciano a pensare troppo al loro corpo e la loro anima, in cui dimora lo
spirito divino, viene in breve consumata, come succede alla semente buona e
nobile sempre esposta al pericolo di venire divorata dal terreno avido che la
circonda, invece che sia l’anima a trarre dal corpo in equa misura gli elementi
di forza necessari a promuovere la germinazione dello spirito divino in lei per
la vita eterna, e tutto ciò a seconda delle divine prescrizioni, e perciò, per
il raggiungimento dello scopo finale, all’anima è stato dato propriamente da
Dio il corpo materiale. Ma quando l’anima viene consumata dal proprio corpo, è
naturale che allora al posto di nobile frutta debbano fare la loro comparsa
unicamente spine e cardi, ed ogni altra specie di mala erba da cui non è
certamente possibile raccogliere né grappoli d’uva, né fichi od altra specie di
frutta buona!
6. Ma un tale uomo poi è da considerare spiritualmente come morto! Egli
non conosce più niente di tutto ciò che anche lontanamente ha relazione con lo
spirito. Anzi, egli nega tutto lo spirituale e tende a materializzare tutto.
All’infuori della rozza materia non esiste più nulla per un uomo simile, il suo
ventre e la sua sensualissima pelle sono le sue due uniche divinità, alle quali
egli è giorno e notte sempre pronto ad offrire qualsiasi sacrificio. Per tali
individui, poi, Dio non esiste più e quando infine, come disgraziatamente ora
avviene anche troppo spesso, essi addirittura diventano sacerdoti e servitori
di Dio; allora si spera che ciascuno vedrà che è superfluo domandare più a
lungo, dicendo: “Ma perché e come sono diventati sacerdoti e servitori di Dio
questi adoratori della carne, per i quali l’anima, lo spirito, Dio e i Suoi
Cieli in fondo non sono altro che delle figure retoriche e dei prodotti della
fantasia antiquati, anche se poetici?”. Basta guardare i loro ventri enormi e
si ha così la più completa e vivente risposta dinanzi a sé!
7. A simili dispensatori della Parola di Dio, è di certo del tutto
indifferente saziare le comunità loro affidate con il pane dei Cieli oppure con
l’immondizia tolta dalle più schifose cloache; basta che essi vengano pagati
profumatamente bene! Dunque, non deve affatto meravigliarci troppo se non di
rado apprendiamo cose sul conto del Tempio che ci fanno restare molto spesso
quasi muti e irrigiditi dall’orrore.
8. Quando il solo uomo corporale è arrivato al punto in cui la
percezione della propria dignità di uomo non è in lui maggiore di quanto possa
esserlo in un fungo del bosco, sorto da qualche putridume della terra, che cosa
di nobile e che cosa di umano ci si può attendere da un tale agglomerato di
feci in sembianze di uomo? Lo si lasci ai suoi agguati ed ai suoi sibili come
una lurida vipera sulla strada e si cerchi su questa vasta madre terra un posto
che sia sgombro da serpenti, perché il Signore è con ciascuno che veramente Lo
cerca e non abbandona mai chi nella propria miseria si rivolge a Lui.
9. Noi tutti, che dimoriamo sulle rive del nostro mare interno, da
lungo tempo eravamo un trastullo nelle mani del Tempio. Risparmiavano quant’era
possibile la Giudea, ma in compenso noi galilei dovevamo servire al Tempio da
veri capri espiatori da un lato, e dall’altro da animali da mungere; e ciò è
durato per lunghissimi anni! Però per risarcirci di questi mali ora è avvenuto
questo di buono: per noi, molto prima che per altri, è sorta in tutto e su
tutto la più radiosa delle luci, mentre la Giudea si trova immersa ancora nelle
tenebre più profonde.
10. Noi per primi dovemmo sperimentare la voracità estremamente egoista
del terreno del Tempio – con ciò io naturalmente alludo alla casta sacerdotale
– e cercammo, per quanto era possibile, di liberarci da questa; e noi, quale un
grano buono e nobile di Dio, non disperdemmo la nostra forza vitale germinativa
interiore contribuendo a riempire l’enorme ventre del Tempio, ma ci
raccogliemmo invece in noi, secondo l’Ordine divino sempre maggiormente
riconosciuto in noi stessi, e
perciò ci troviamo già ora liberi
sull’immenso e rigoglioso campo di Dio
come un frutto molte volte benedetto. Ai giudei invece, quelli della
Mesopotamia e delle regioni più meridionali, ci vorrà ancora del tempo, e
molto, prima che comincino a vederci chiaro ed a convincersi che nei loro
rapporti con il Tempio essi sono i pazzi più tremendamente imbrogliati!
11. Da questa mia risposta abbastanza estesa data alla mia domanda, si
spera che ciascuno degli ospiti qui presenti riconoscerà che la fanciulla di
Genezaret sa già molto bene cosa pensare delle disposizioni che Dio prende e di
tutto ciò che Egli permette che avvenga! Ma Tu, o Signore, perdonami, di
grazia, se Io ho parlato di Te e per di più al Tuo santissimo fianco tanto a
lungo, dicendo forse, fra l’altro, anche delle cose perfettamente inutili. Io,
con ciò, non ho voluto assolutamente fare sfoggio della mia capacità
d’intendimento, bensì ho parlato perché mi si è presentata l’occasione di
esporre tutto fedelmente e chiaramente così come mi sentivo nel cuore».
1. Dico Io: «O diletta figliola del Mio cuore, Io ti dico che non una
parola di più, né una parola di meno di quanto era necessario ti è uscita dalla
bocca! Perciò Io dico anche a voi tutti e vi consiglio di ponderare con cura
tutto quello che questa fanciulla ha ora detto, di fissarvelo molto bene nella
mente e di conformarvi le vostre azioni. Se però qualcuno ha da fare qualche
osservazione in contrario, si levi e parli!».
2. A questo Mio invito si annunciò il nostro Giuda Iscariota, che disse:
«Io non sono d’accordo proprio in tutto, benché del resto non possa fare a meno
di ammirare la saggezza di questa fanciulla, perché essa parla veramente come
un libro scritto molto sapientemente». Dopo tacque.
3. Ma il ragazzo Giosoe, a questa sortita, lo apostrofò aspramente,
esclamando. «O insensato e stoltissimo individuo! Non hai udito la
testimonianza che il Signore in Persona ha dato della soavissima Giara? E tu
non vuoi essere d’accordo con tutti i punti del suo discorso di risposta! Ma
sputa una buona volta fuori la tua immensa stoltezza e vedremo di che lordura
essa è piena! Apri bene i tuoi occhi stupidissimi, o vecchio bue, e guarda: qui
vicino a me siede un angelo di Dio dal più alto dei Cieli, il suo essere è
tutto pura luce; da quest’altra parte tu puoi vedere la giovane e saggia
oratrice dal Cuore di Dio e vicino a lei, se non sbaglio, c’è il Signore in
Persona, il Cui Spirito ha creato Cielo, Terra e tutto ciò che esiste, e
nonostante tutto questo e al di sopra ed oltre la testimonianza di Dio tu non
vorresti essere perfettamente d’accordo con qualche punto della risposta della
carissima Giara? Ma dimmi, chi sei tu veramente da voler adesso tanto
sfacciatamente disputare perfino con Dio?»
4. Queste energiche parole di Giosoe fecero su Giuda l’effetto di una
doccia gelata ed egli immediatamente si ritirò e si sedette al suo posto senza
aprire bocca, dato che era stato colto da grande timore, trovandosi di fronte
al figlio adottivo dell’illustre Cirenio e perciò non osò più fiatare né muoversi.
5. Ma Giosoe proseguì: «Non è egli uno fra i discepoli principali? La
sua faccia non mi è nuova e certo lo l’ho già visto a Nazaret! Ma sì, è lui,
quello che già a Nazaret ha trovato sempre da dire, se non mi sbaglio, con un
altro discepolo, un certo Tommaso!»
6. Dice Giara: «Lascia andare, o nobile Giosoe! Vedi, se quel discepolo
avesse una capacità di intendere così veloce come l’hai tu e – ne sia data lode
solo al Signore – come ce l’ho io, egli se ne starebbe zitto come gli altri
suoi fratelli e compagni e si accontenterebbe di meditare seriamente nel
proprio cuore, ma dato che egli è certamente di cuore duro, difficilmente
riesce ad afferrare una verità quando si presenta alquanto più elevata e
profonda e, se anche qualcosa gli è accessibile, non è mai capace di
accoglierla nella sua integrità, perché nel suo cuore raggrinzito non può
interamente penetrare niente che abbia l’impronta divina del grande e del
sublime! Perciò lascia stare quell’uomo e non badare mai a lui»
7. Dice Giosoe: «Anche qui hai perfettamente ragione! Del resto, sai,
una piccola correzione non può sicuramente nuocergli affatto, perché io so che
quest’uomo è quanto mai spavaldo ed egli vorrebbe sempre assumersi una delle
prime parti fra i suoi compagni, i quali secondo lui dovrebbero tutti ricorrere
a lui per un consiglio. Questo, naturalmente, in pratica non succede, perché
gli altri sono di gran lunga più savi e più intelligenti di lui; per tale
motivo egli cova in sé una certa rabbia, fuori dalla quale poi fa capolino
talvolta una non ben definita brama di vendetta, cose tutte queste che non gli
servono a niente, perché, come gli è accaduto ora, finisce sempre con il
buscarsi qualche ramanzina in maniera non propriamente molto dolce,
specialmente dal discepolo Tommaso, il quale è persona molto saggia!»
8. Dice Giara: «Sì, hai giudicato bene, perché anch’io mi ricordo di
aver assistito a Genezaret ad un piccolo litigio di questa specie! Certo, il
Signore sa meglio di noi due perché Egli tollera in Sua compagnia questo
discepolo. Per conto mio l’avrei già da lungo tempo invitato ad andarsene!
Quell’uomo ha per me qualcosa di particolarmente ripugnante e non mi
meraviglierebbe davvero se un giorno tutta intera la compagnia si trovasse in
qualche brutto guaio per causa sua!
Infatti io non mi fido mai degli uomini che non possono guardare negli
occhi colui che parla con loro: sembra che essi temano continuamente che il
loro occhio inquieto tradisca il loro cuore malvagio. Ora appunto quel
discepolo ha questa pessima qualità che a me non piace affatto! Ma, nonostante
tutto ciò, il Signore lo tollera, segno dunque che ne avrà certamente le Sue
buonissime ragioni»
9. Dico Io a Giara: «Figlia Mia! Tu stessa appunto ne hai esposto prima
nel tuo discorso, in modo veramente magistrale, il motivo, ed ormai deve
riuscire chiaro ad ognuno perché Io tolleri, accanto al grano, anche la
zizzania. Ora vedi, egli è pure una malerba sul Mio buon campo; ma quando il
buon grano verrà raccolto nei Miei granai, tale zizzania resterà sul campo e
sarà poi bruciata, allo scopo di concimare il terreno duro e renderlo più
molle.
10. Il terreno deve bensì essere soffice se si vuole che i buoni frutti
vi prosperino bene; però non dimenticare che non deve esserlo troppo, perché in
un terreno troppo soffice le radici non possono crearsi una base solida. Quando
poi vengono i grandi calori, ai quali poi seguono le grandi tempeste, allora le
radici facilmente inaridiscono assieme al gambo e se scoppia poi l ‘uragano,
questi gambi vengono con tutta facilità sradicati, si seccano sul campo e non
rendono più alcun frutto! Perciò, per l’allevamento dei figli di Dio, si
richiede sempre un fondamento ed un terreno più duro che molle e così si deve
anche pazientare se talvolta, accanto al grano, appare fuori dal terreno duro
anche qualche zizzania, poiché questa non fa parte del raccolto, ma resta dov’è
per servire da concime al terreno, affinché una prossima volta la seminagione
possa maturare in modo più rigoglioso e possa dare un raccolto più ricco ancora
di quanto lo sia stato finora. Mi hai compreso?».
Popoli diversi
hanno bisogno di diverse forme di governo.
1. Dice Giara: «Oh sì, Signore, mio unico amore, i figli veri hanno bisogno
di un’educazione più solida dei figli degli schiavi, perché i figli di famiglia
vengono educati per governare e amministrare tutta la casa, per quando i
genitori non ci saranno più ed anche contemporaneamente per loro stessi, mentre
ai figli degli schiavi non necessita sapere altro che quello che esige il loro
lavoro, sempre uguale ed uniforme! Certo, a questo riguardo possono sorgere
molte domande riguardo al perché Dio, il Signore, permette che su questa Terra
un uomo debba servire in perpetuo da miserabile schiavo all’altro uomo e perché
il padrone dello schiavo abbia, da parte dell’imperatore, perfino il diritto di
vita e di morte su di lui»
2. Dico Io: «Mia diletta figlia, lo sviscerare a fondo una tale questione
ci condurrebbe tutti troppo lontano, tuttavia Io voglio esporti in proposito un
paio di similitudini, per rendere in qualche modo la cosa chiara a te e con ciò
anche a tutti gli altri. Chi le comprenderà, potrà spiegarsi, accanto a questo
fatto, anche parecchi altri. AscoltateMi dunque e fate bene attenzione a quello
che sto per dire.
3. Svariate sono le qualità dei cereali: vi è il frumento liscio e
quello barbuto, l’orzo su due righe e quello su quattro righe, il grano alto,
l’avena e il granone; ci sono poi le lenticchie, le vecce e i diversi tipi di
fagioli; ed ecco, queste diverse qualità richiedono sempre anche un diverso
terreno, senza il quale esse, singolarmente, non potrebbero affatto prosperare.
Una qualità di cereali richiede un terreno compatto ed argilloso, che però deve
venire sempre ben concimato, altrimenti la pianta non cresce; un’altra qualità
ha bisogno di una terra più molle e pietrosa, ed una terza, infine, richiede un
terreno sabbioso. Qualche cereale prospera bene su un terreno umido, altri
invece su un terreno secco; l’esperienza insegna all’uomo tutto ciò.
4. Ma, nella stessa maniera, a differenti uomini devono corrispondere
anche differenti sistemi di educazione, a seconda di come i loro cuori e le
loro anime sono per il momento costituiti. Come un padre si comporta in modo
diverso con ciascuno dei suoi figli, così questo stesso rapporto vale pure per
intere comunità e per intere, grandi razze di popoli. Qui, per esempio, c’è una
razza di popolo alla quale occorre un trattamento più blando, dunque piuttosto
molle, ed esso prospera a grande benedizione degli altri popoli della Terra;
un’altra razza di popolo richiede invece un trattamento più duro, altrimenti
degenererebbe e intristirebbe a maledizione dei popoli vicini. Un terzo popolo
ha una decisa inclinazione a dominare e a tiranneggiare i popoli confinanti.
Per le anime di tali uomini, allora, non vi è niente di meglio che farli cadere
per molti anni in uno stato di vera e propria schiavitù, affinché rientrino
gradualmente nell’ordine dell’umiltà. Quando poi si sono adeguati al loro nuovo
umile stato, sopportandolo con pazienza e senza proteste, allora vengono
restituiti allo stato iniziale di liberi cittadini della Terra essendovi la
premessa per il loro sicuro, rapido e rigogliosissimo prosperare, come vi sono
per quello di un seme nobilitato posto in un terreno più grasso e migliore.
5. Ecco, questa è una similitudine che dovrebbe appunto per voi tutti
essere molto facilmente comprensibile, dato che avete già compreso tante cose.
6. Ma per rendervi ancora più evidente tale questione importantissima,
Io richiamerò la vostra attenzione sulle parti del vostro corpo umano, delle
quali pure ciascuna ha una forma particolare e ha bisogno perciò di un
differente trattamento e, nel caso di malattia, di un differente metodo di cura
per guarire. Se qualcuno sente un dolore all’occhio, deve rimediarvi senza
dubbio con un mezzo differente da quello che impiegherebbe per combattere un
male al piede, e chi ha male al ventre deve fare un’altra cura da quella che
farebbe se gli dolesse una mano, inoltre, trattandosi di malattie del corpo, si
deve badare anche se si sono manifestate recentemente, oppure se sono
inveterate e ostinate. Una malattia recente la si può combattere con mezzi blandi,
mentre una inveterata richiede medicamenti energici, talvolta anche a rischio
di morte, per venire allontanata definitivamente dal corpo in quanto è un male
antico. Però anche le anime degli uomini corrispondono sempre alle singole
membra del loro corpo. A seconda dunque che una qualche anima corrisponda ad
una parte nobile o ad una non nobile del proprio corpo, tanto più è bene che
venga anche corrispondentemente trattata così come la parte del corpo in cui
essa si rispecchia.
7. Come dunque risulta da questa immagine, anche le svariate condizioni
degli uomini, in rapporto alla loro sfera animico-morale, vanno appunto
trattate così svariatamente come le singole membra degli uomini, alle quali
esse corrispondono nella loro sfera animico-morale. Un dente molto malandato in
bocca, quando nessun altro mezzo giova, bisogna che venga levato o distrutto,
affinché non abbia ad intaccare i denti sani e ugualmente così è necessario
procedere in una comunità nei confronti di un uomo del tutto dedito al male ed incorreggibile,
in modo che per causa sua non venga rovinata tutta la comunità. Così pure,
spesso, un intero popolo, anche se non fisicamente pur tuttavia moralmente,
deve essere annientato, affinché infine non vengano corrotte tutte le
popolazioni della Terra a causa sua.
8. Leggete le cronache e vedrete quale importanza avevano una volta i
babilonesi, i niniviti, i medi, i persiani, gli egiziani, gli antichi greci e
prima di loro i fenici ed i troiani; dove sono ora tutti questi popoli? Dove
sono quelli di Sodoma e Gomorra e dove i popoli delle dieci città? Fisicamente
esistono sì ancora nelle loro discendenze decadute, ma quelle genti non hanno
più un nome e mai più riacquisteranno rango di popolo su questa Terra sotto il
loro antico nome, perché difficilmente si cercherebbe una cosa peggiore di un
nome antico cui si ricollega il ricordo futile e vano di molta gloria. Questa
specie di uomini o di popoli, a causa di un tal nome antichissimo e glorioso,
finisce poi col ritenersi molto migliore e degna di rispetto di un qualche
altro popolo, il quale, tramite la mansuetudine, l’umiltà e l’amore verso i
propri fratelli, si trova di fronte a Dio in stato di estrema giustizia e
quindi sanissimo moralmente.
9. Se voi ora considerate anche solo con relativa attenzione tutto ciò,
potrete ben presto convincervi di quanto sia buono e giusto il Padre in Cielo!
Infatti questa Terra ha innanzitutto la ferma destinazione che su di essa, per
l’intera Infinità, vengano educati i figli dello Spirito di Dio, e per tale
ragione è necessario che il terreno sia sempre mantenuto duro e magro,
piuttosto che troppo molle e troppo grasso.
10. La zizzania che germoglia assieme al buon grano, per il fatto che
essa gli cresce e si matura accanto, non impedisce affatto il benedetto prosperare
del nobile frutto, visto che essa, in ultima analisi, rende utili servizi quale
concime per fertilizzare il terreno diventato qua e là troppo duro e magro. Per
dirla breve, quello che Dio permette è sempre buono; e per l’uomo perfettamente
puro alla fine è puro anche tutto ciò che la Terra porta in sé, su di sé ed al
di sopra di sé. DiteMi tutti voi se avete compreso completamente quello che ora
vi ho detto!»
11. Risponde Cirenio: «Signore, e chi mai avrebbe potuto non
comprenderTi? Tutto ciò è chiaro come il Sole!»
12. Dico Io: «Allora sta bene e adesso sentiremo da Giosoe una precisa
opinione a questo riguardo».
Il discorso di
scuse di Giosoe.
1. Dice Giosoe: «O Signore, la mia opinione in proposito risulterà
sicuramente molto incerta. Io certo comprendo nel suo complesso quello che con
ciò si vuole intendere e non posso proprio sostenere di non averne afferrato il
senso con sufficiente chiarezza, ma per aggiungervi qualche mia considerazione
di particolare evidenza, io mi sento troppo debole. Perciò ritengo che sarebbe
molto meglio se la mia graziosissima Giara volesse ancora una volta assumersi
tale compito al posto mio. Infatti, per quanto mi possa sembrare di stare
parlando saggiamente, tuttavia c’è infine sempre qualcosa che si presta ad una
critica giustificata! Per tale motivo mi è quanto mai più gradito ascoltare che
parlare. Se poi qualcuno uscisse fuori con qualcosa che fosse anche minimamente
falso e sbagliato, allora sì che diverrei più loquace, ma per argomentare su
verità che stanno troppo al di là dell’orizzonte della mia conoscenza, io mi
sento ancora troppo debole e per questo preferisco modestamente tacere. Lascio
che parli per me chi è più saggio e sto ad ascoltare e ad ammirare in silenzio
le alte parole che sgorgano luminose da un animo sapiente come i raggi
abbaglianti irradiano dal Sole mattutino. Oltre a ciò trovo, almeno per me, del
tutto superfluo fare delle ulteriori considerazioni su di un oggetto che è già
chiarissimo. Chi mai vorrà accendere ancora una lampada a mezzogiorno, per
accrescere il potere della luce solare? Ma se qualcuno può ancora nutrire
qualche dubbio dopo le parole chiarissime sgorgate ora dalla Tua santa bocca,
ebbene, che si faccia avanti e verrà rimesso sulla buona strada senza
difficoltà!
2. Io so bene che Ti si deve obbedire, per così dire, ciecamente,
quando chiedi qualcosa a qualcuno, ma in questo caso, seguendo i suggerimenti
della vera umiltà del mio cuore, io devo mostrarmi disobbediente! Infatti la
Tua richiesta, o Signore, potrebbe molto facilmente essere anche una specie di
prova per me, per vedere, forse, se l’innata concezione di me che mi porta
spesso a sopravvalutarmi sia tale da indurmi a venir fuori con il mio lume di
notte, il quale per di più è abbastanza malconcio, allo scopo di dare maggiore
intensità alla luce del Sole! Ma allora per fortuna il mio cuore tranquillo mi
dice: “O presuntuoso ragazzo! Bada bene a te! Il Signore ti prova; vedi di
restare in grazia al Suo cospetto!”.
E quando sento questo ammonimento, rientro subito nella realtà e resto
modestamente al mio posto! Ho ragione o no a comportarmi normalmente così?»
3. Dico Io: «Mio caro Giosoe, da un lato hai ragione, ma dall’altro
lato no, perché, se Io ti chiedo una cosa, è certo che so perché te la chiedo!
E se tu vuoi che la tua salvezza progredisca effettivamente in ogni campo, è
bene che tu sii condiscendente con Me in ogni cosa, qualunque essa sia. Ed
anche se ti chiedessi la vita del tuo corpo, dovresti abbandonarla con gioia,
perché Io non domanderò mai a nessuno di sacrificarMi la vita del proprio corpo
con lo scopo di arrecare danno a chi la perderebbe per Me!
4. Io so cosa è in realtà ciò che ti ha un po’ paralizzato la lingua.
Vedi, tu poco fa hai peccato un po’ di presunzione, quando asseristi di tenere
unicamente alla verità! Ora, siccome Giara, l’innocente fanciulla di Genezaret,
ti ha poi evidentemente un po’ umiliato, avendo lei dato una risposta quanto
mai brillante alla Mia domanda a te diretta, tu hai in seguito a ciò perso un
po’ del tuo coraggio. Ma ecco, questa tua lieve mancanza di coraggio, se
esaminata da vicino, non ha proprio il carattere di vera umiltà, ma è piuttosto
il prodotto di una certa vanità del tuo animo, che è rimasta mortificata in
segreto! Ora vedi, questa è pure una piccola ragione concomitante che spiega il
perché ti riesca tanto difficile deciderti a parlare! Ma Io voglio che tu
questa ragione concomitante abbia ora a vincerla completamente in te, poiché
per un animo in cui ci sono tracce di vanità è meglio venire deriso un po’
piuttosto che sentirsi lusingato ed ammirato da tutte le parti, in seguito a
successi ed a trionfi, perciò parla senz’altro quando sono Io a chiedertelo!
Esponici dunque ora una tua opinione, sia pure soltanto relativamente fondata,
sull’insegnamento da Me dato, riguardo alla schiavitù!».
L’opinione di
Giosoe sul perché venga permessa la schiavitù.
1. Dice Giosoe: «Nel Tuo Nome allora ci proverò con tutta la brevità
possibile; se però i miei ragionamenti risulteranno interamente fondati, questa
è certo un’altra questione.
2. I piedi degli uomini, nella cerchia delle manifestazioni vitali,
sono evidentemente inferiori di rango alle mani, però se i piedi non portassero
l’uomo all’acqua, le mani non potrebbero liberarli dalla polvere e dal
sudiciume. Perciò ritengo che il lavoro dello schiavo sia in generale
altrettanto necessario quanto il lavoro del padrone. Se i piedi scivolano,
tutto l’uomo cade; dunque certamente è spesso bene badare ai piedi, che con
tutta ragione si possono chiamare gli schiavi del corpo, con attenzione
maggiore che non a tutte le altre membra. Ottusi e senza volontà propria, i
piedi devono trasportare lontano per intere giornate il corpo greve e di per sé
pigro, e la massima ricompensa che infine ricevono consiste in una rinfrescata
e ripulita a qualche sorgente, mentre, dopo aver compiuto un viaggio, tutto il
corpo, rimasto ozioso durante il percorso, si ristora con cibo e bevande. Ma
cosa possono, cosa dovrebbero dire i piedi del trattamento loro riservato?
Niente, perché essi sono creati a questo scopo!
3. E così io penso che la schiavitù sia una necessità che non può
essere evitata, qualora l’umanità, in quanto al resto, debba rimanere
nell’ordine che le è stato prescritto, a meno che con il tempo gli uomini non
inventino qualche mezzo per muoversi! Allora certo potrebbero rinunciare al
lavoro da schiavi dei piedi, e così, credo io, si potrebbe con il tempo fare a
meno anche della schiavitù.
4. Meglio sarebbe, senza dubbio, se l’umanità potesse del tutto fare a
meno della schiavitù che la degrada e avvilisce, ma è probabile che molto tempo
debba passare ancora prima che una simile epoca felice baci la Terra.
5. Lo schiavo è considerato veramente dall’umanità libera come una mala
erba tra gli uomini, ma, per effetto di questa strana zizzania, l’uomo libero
viene forse troppo concimato, di conseguenza s’impigrisce e diventa
completamente inattivo e credo che questo sia molto male. Da questo lato
sarebbe meglio che la schiavitù non ci fosse, però, se da un altro lato la
schiavitù è una scuola dell’umiltà, allora certo essa diventa nuovamente una
necessità imprescindibile per l’umanità spintasi troppo in alto, perché,
infatti, dopo la cattività babilonese, gli israeliti erano di nuovo diventati
un popolo eccellente; peccato soltanto che la cattività (prigionia) non sia
durata almeno un secolo intero! Infatti, a mio avviso, dopo la liberazione ci
furono molti che erano ancora troppo abbagliati dal precedente splendore del
regno di Israele, e per questo non trovarono niente di meglio e di più urgente
da fare che ristabilire lo splendore antico, e non appena si trovarono
riedificate le mura e il Tempio, comparve anche l’antico orgoglio e poco dopo a
Gerusalemme le cose andarono nuovamente come prima, anzi peggio che nell’epoca
anteriore alla cattività babilonese. È chiaro dunque che quaranta anni sono
stati troppo pochi, mentre in cent’anni sarebbe svanita in tutti i nostri padri
almeno per diversi secoli ogni smania per quello che sono lo splendore, il
fasto e l’orgoglio!
6. Tutto ciò sicuramente non è altro all’incirca che una mia
supposizione, forse molto vaga ancora, passibile senza dubbio di confutazione
assai solida e ben fondata, ma io parlo così come sento. Infatti se qualcuno ha
ricevuto un ceffone per una cattiva azione commessa, egli non eviterà di
ritornare al male per un tempo molto più lungo di quanto è durato il dolore
della sberla ma, se per una azione cattiva commessa, egli è stato visitato da
Dio con una sofferenza di lunga durata e molto acuta, è probabile che si
guarderà bene dal ricadere in quel male che gli ha causato una sofferenza di
questo tipo!
7. Di conseguenza non posso che considerare come assolutamente
opportuna una schiavitù che duri ben a lungo, come vedo anche la ferrea
necessità di questo stato di cose e penso: “Uno schiavo abile e docile è, in
fondo, un uomo molto più perfetto che non un uomo libero, perché il libero è
spiritualmente uno schiavo dei propri sensi, mentre lo schiavo materiale può
spiritualmente essere un uomo veramente libero.
8. Infatti è grande il divario fra un uomo che è padrone della propria
volontà – ciò che deve essere perfettamente il caso di un vero schiavo – ed un
altro uomo che non sa cosa sia l’obbedienza, mentre tutto deve avvenire così
come egli vuole.
9. Dunque, appunto per questa ragione non posso assolutamente non
lodare la schiavitù e devo augurarmi che essa non abbia mai più fine, perché il
mio pensiero è questo: “Non appena questa scuola principale della vera umiltà
avrà cessato di esistere, una grande miseria colpirà gli uomini della Terra!”.
10. Certamente sarebbe auspicabile che tutti gli uomini volessero
vivere secondo la Tua dottrina, allora la schiavitù sarebbe un’assurdità pazza
ed un crimine contro i diritti dell’umanità, ma fintanto che questo non
avviene, com’è anche probabile che non avvenga per un tempo assai lungo, la
schiavitù resta per l’umanità orgogliosa un vero Vangelo dai Cieli su questa
Terra e tende a promuovere il miglioramento dell’umanità stessa.
11. Queste sarebbero le mie deboli considerazioni riguardo alle parole
che hai detto sulla schiavitù, ma adesso, o Signore, Ti prego di indicarmi gli
eventuali errori che avrai riscontrato nel mio discorso, affinché io possa
anche in questa sfera rendermi conto di quello che è perfetta verità!».
12. Dico Io: «Mio caro Giosoe, hai ragione quasi sotto tutti gli
aspetti ed alle tue parole poco o niente si può onestamente obiettare. Soltanto
per ciò che concerne la durata della cattività in Babilonia ti sei lasciato
trascinare dal tuo zelo un po’ troppo oltre, poiché, vedi, ogni stato di
prigionia ed anche di schiavitù non è altro che l’effetto di un giudizio
punitivo che Dio permette che si verifichi. Ma un giudizio è e resta purtroppo
sempre e soltanto un’estrema costrizione ed un ulteriore mezzo per ottenere il
ravvedimento e, come tale esercita rispetto alle anime degli uomini, un’azione
di solito più nefasta che buona, perché, colui che evita il male soltanto a
causa delle male conseguenze e fa il bene soltanto perché ne attende delle
conseguenze buone, è ancora molto lontano dal Regno di Dio, mentre colui che
opera il bene appunto per amore del bene stesso, come pure rifugge il male
appunto perché è male, allora è un uomo perfetto! Infatti, fino a tanto che
l’uomo non si porta alla luce vera per volontà ed impulso propri, costui resta
uno schiavo nello spirito ed è quindi morto per il Regno di Dio. La costrizione
esteriore conduce gli uomini ancora su altre vie secondarie della vita morale
d’amore, ed avremo adesso occasione di esaminarne alcune di queste vie».
1. (Il Signore:) «Ascolta, era notte, una giovane di bassa condizione
se ne andava per la strada; era stata in qualche luogo mandata dai suoi padroni
per sbrigare qualche incombenza, ma era tanto in ritardo che la notte l’aveva
sorpresa durante il ritorno. A metà del cammino però giunge ad una casupola
abitata da uno di quei pii eremiti, come se ne incontrano da tutte le parti in
Giudea, i quali conducono una cosiddetta vita austera e ciò per amore del Regno
di Dio, come essi asseriscono e come sta anche veramente nel loro piano di
vita. La giovane, alquanto affaticata dal cammino nella notte già profonda e
minacciante tempesta, bussa alla porta del solitario e prega di avere asilo per
la notte!
2. Il solitario esce fuori e vede che la supplicante è una ragazza, la
cui presenza avrebbe potuto profanare la sua capanna e perciò, mosso da santo
zelo, esclama: “Guardati, o impuro essere, dal varcare la soglia della mia
capanna consacrata a Dio, perché essa diverrebbe immonda per causa tua ed io
stesso immondo per causa sua! Vattene dunque per il tuo cammino, o ritorna là
da dove sei venuta!”. Detto ciò, egli chiude la porta e lascia, senza rimorso,
che la giovane in lacrime se ne vada al suo destino, lieto di essersi liberato
dal pericolo di venire contaminato. Egli ritorna con il cuore leggero
nell’interno della sua capanna, rende lode a Dio che nella Sua Grazia ha
stornato dalla sua anima un tale pericolo e non si cura affatto della povera
ragazza; se questa, abbandonata nelle tenebre della notte, incorre in qualche
sciagura o no, gli è del tutto indifferente!
3. Ma dopo un’altra ora di cammino la stessa giovane, sfinita e
malconcia per la tempesta, giunge alla dimora di un malfamato pubblicano, il
quale agli occhi dei puri giudei, è un terribile peccatore. Questi aveva già
udito i lamenti della poveretta mentre era ancora lontana, dato che era di
guardia alla sua barriera e, d’altro canto, non amava ritirarsi a dormire molto
per tempo, motivo per cui anche da parte dei giudei puri gli era stato
appioppato il nomignolo di “straccione sregolato”.
4. Ma questo straccione peccatore comprese di che si trattava, accese
sollecito una fiaccola e corse incontro alla giovane e, come la vide venire
avanti zoppicando e piangendo, la confortò, la sollevò tra le sue robuste braccia
e la portò in casa sua, le offrì poi da mangiare e da bere e le preparò un
comodo e soffice giaciglio. La mattina seguente le fa ancora dei doni, fa poi
sellare due muli e l’accompagna egli stesso fino al suo paese ancora molto
lontano, dove ella giunge tutta consolata e di lieto umore.
5. Ora, vedi, l’eremita fa una severa penitenza, vive continuamente in
uno stato di costrizione punitiva di cui si è sobbarcato da se stesso ed evita
con la massima cura tutto quello che anche lontanamente potrebbe contaminarlo
nella presunta purezza della sua anima, ritenendo che Dio abbia in lui già un
immenso compiacimento, ma nel tempo stesso egli ci tiene anche molto a che il
mondo lo consideri un immacolato santo di Dio e ciò tanto più in quanto di lui
è generalmente noto che il suolo della sua dimora non è stato mai ancora
calcato da un piede di donna! Naturalmente una simile purezza di costumi gli
procura una maggior reputazione, che certo diminuirebbe di entità qualora
dovesse, infine, risultare in qualche modo che la sua capanna è pure stata una
volta contaminata dal piede di una giovane, della quale non si può
evidentemente sapere quando si trovi nel periodo della sua impurità.
6. Per il pubblicano, invece, tutto ciò è indifferente, perché sia che
il mondo parli male, sia che parli bene di lui, la sua casa è considerata la
più impura, tanto che un vero giudeo non ne varcherà mai la soglia, perché
potrebbe acquistarci l’impurità per almeno dieci giorni. Perciò il pubblicano
non si sente affatto legato da ciò che la gente può dire di lui e della sua
casa ed egli opera liberamente, seguendo l’impulso del proprio cuore e così
facendo pensa: “Poiché sono un gran peccatore pieno di slealtà, io voglio ad
ogni modo usare misericordia nella speranza di trovare anch’io un giorno
misericordia al cospetto di Dio!”.
7. DimMi ora tu, Mio caro Giosoe, tutto considerato, a quale dei due
daresti la preferenza?»
8. Risponde Giosoe, sorridendo: «Oh, senza alcun dubbio la darei certo
al pubblicano, perché, se a questo mondo non ci fossero che eremiti di questa
fatta, sarebbe ben presto finita con la vita degli uomini, e il mondo stesso
sarebbe una vera desolazione! Il balordo eremita con tutta la sua purezza di
costumi potrebbe, per conto mio, andarsene per i fatti suoi dieci volte in
un’ora, in verità! Se fossi chiamato a disporre del Cielo dopo la morte,
l’eremita sarebbe di sicuro l’ultimo ed io gli assegnerei l’infimo posto nel
più basso dei Cieli e non potrebbe più salire finché non diventasse come il
pubblicano! Ho ragione o torto?».
Sulla purezza
interiore dei costumi.
1. Dico Io: «Hai perfettamente ragione, perché veramente è così! Ed Io
ti dico: “Chi non diventa come il pubblicano, in verità non entrerà mai nel Mio
Regno, poiché Io posso per tutte le eternità fare a meno di ogni spietata
purezza di costumi!”.
2. Certo, che una purezza libera, vera, interiore di costumi, congiunta
con il vero amore del prossimo disposto ad ogni sacrificio, è per Me la cosa
suprema, ma una purezza come quella che abbiamo vista sfoggiare dall’eremita
non vale per Me nemmeno uno statere. Chi è puro, è bene che sia tale soltanto
nel suo cuore dinanzi a Dio; il mondo però non deve saperne molto, perché
quando è il mondo che gliene dà lode, allora poca lode potrà egli attendersi da
Me.
3. Ma meglio di tutto è quando l’uomo dice sempre: “O Signore, usa
misericordia a me, povero peccatore!”. E oltre a ciò non giudica nessuno mai
male, prega per i suoi nemici e, in ogni occasione, fa perfino ancora del bene
a coloro che parlano male di lui e che, se possibile, gli fanno anche del male.
4.In verità chi è così e agisce così non solo è puro al Mio cospetto,
anche se si fosse macchiato di qualche peccato che la sua carne di quando in
quando lo costringe a commettere, ma egli oltre a ciò nel più ampio senso è un
fratello Mio e, assieme a Me, un re dei Cieli e di tutte le loro glorie!
Infatti, per quanto la carne di tali uomini venga spesso eccitata anche da
demoni malvagi, tuttavia le loro anime camminano continuamente nel Mio
Spirito.
5. Ed anche gli angeli spesso devono scendere nell’inferno, nella
palude di tutti i vizi, e quando essi ritornano sono di nuovo così puri come in
precedenza nel sommo di tutti i Cieli. E ciò si verifica non di rado con i Miei
fratelli su questa Terra: se anche essi scendono, secondo la loro massima
esteriorità, qualche volta nell’inferno per mantenere anche là l’ordine e la
potenza di volontà divini, tuttavia la loro anima rimane pura in collegamento
con il Mio Spirito in lei.
6. Dunque, colui che in seguito al peccato poi si è reso ben umile come
il nostro pubblicano, costui tramite il peccato non ha fatto che discendere
come un angelo soltanto per qualche istante nell’inferno, per mettervi pace ed
ordine, ma come vi sale fuori, egli ne prova disgusto e nausea e la sua anima
rimane pura come prima. Ma colui che dai propri peccati è trascinato
nell’orgoglio, e quale peccatore persiste nell’orgoglio, costui è già un
demonio, per quanto nel suo esteriore possa apparire puro dinanzi agli occhi
degli uomini.
7. Ed Io dico a voi tutti: “Qualunque peccatore o peccatrice si
presenti in casa vostra per chiedervi soccorso, voi non dovete mai mostrare
loro la porta, bensì dovete aiutarli invece come se non avessero mai peccato; e
solo dopo aver dato loro aiuto, dovete fare ogni tentativo e sforzo possibile
allo scopo di indurli a migliorarsi per l’avvenire attraverso le vie dell’amore
e della sapienza, però da quella vera sapienza che germoglia soltanto fuori
dall’amore!”.
8. Secondo Mosè una donna adultera è presso gli ebrei davvero una
peccatrice che deve venir lapidata al più presto possibile da chiunque la
incontri per primo dopo il misfatto. Io però vi dico: “Chi accoglie in casa
propria la fuggitiva e cerca di salvarla doppiamente, cioè nello spirito e nel
corpo, costui verrà guardato un giorno da Me con occhio amichevole, e i suoi
peccati saranno scritti sulla mobile superficie della sabbia, e il solco della
scritta sarà disperso dai venti! Ma chi invece getta contro di lei una pietra
ed egli stesso non è del tutto esente dal peccato, costui deve attendersi un
giorno da parte Mia un aspro giudizio! Infatti colui che Mi riporta quello che
era perduto, sarà un giorno trovato degno di un alto premio nel Regno dei
Cieli. Ma colui che giudica, sia pure giustamente secondo la legge, costui
verrà un giorno pure giudicato con giustizia e con severità secondo la Mia
Legge!”»
9. Cirenio allora domanda: «Signore, quello che ora hai detto è tutto
vero e chiaro, ad eccezione di una cosa soltanto che a me sembra ancora
alquanto oscura, e perciò desidererei avere a questo riguardo una spiegazione
un po’ più precisa. Il punto oscuro sarebbe dunque...»
10. Qui Io lo interrompo e dico: «Il punto oscuro è, cioè, come un uomo
puro, per un peccato commesso nel proprio corpo, possa scendere nell’inferno,
possa ristabilirvi la pace e l’ordine e risalire infine nuovamente del tutto
puro.
11. Vedi, questa cosa è molto facile da comprendere, qualora si sappia
che cosa siano veramente il peccato e l’inferno, tanto nel senso più stretto
della parola, quanto nel senso più ampio! Io cercherò dunque di rendere questi
due concetti più accessibili al vostro intelletto; e perciò fate bene
attenzione con tutta la vostra anima!».
L’essenza
della materia e dell’anima.
1. Parla il Signore: «Vedete, il corpo fisico è materia e consiste di
sostanze animiche primordiali fra le più grezze, le quali dalla Potenza e
Sapienza dello Spirito divino ed eterno vengono costrette in quella forma
organica che corrisponde perfettamente in tutto il necessario all’anima più
libera che dimora in una tale forma corporale.
2. Però l’anima che dimora in un corpo all’inizio non è, naturalmente,
tanto più pura del proprio corpo, perché essa pure trae origine dall’impura
anima primordiale del caduto Satana. Per l’anima ancora impura il corpo
veramente non è altro che una macchina di depurazione costruita in modo
supremamente sapiente, eccellente ed opportuno.
3. Ma nell’anima vi è già anche la Scintilla pura dello Spirito di Dio,
dalla quale a detta anima deriva una giusta consapevolezza di sé stessa e
dell’Ordine divino nella voce della coscienza.
4. Oltre a ciò il corpo, per la comunicazione con l’esterno, è
provvisto di parecchi sensi e può udire, vedere, sentire, odorare e gustare;
con ciò l’anima acquista svariatissime informazioni sul mondo esteriore, buone
e vere, cattive e false.
5. Dal giudizio che ne dà lo spirito che dimora in lei, essa percepisce
ben presto in sé quello che è buono e quello che è cattivo; d’altro canto essa,
anche per mezzo dei sensi esteriori del suo corpo, fa esperienze con le
impressioni che ne riceve, buone e cattive, piacevoli e dolorose, ed altre
esperienze; oltre a ciò, poi, da parte di Dio viene indicata all’anima la via
dell’Ordine divino mediante la Rivelazione straordinaria interiore e, con la
Parola, viene educata esteriormente.
6. Provvista in tal modo, l’anima può quindi certo essere in grado di
prendere liberamente da se stessa una decisione secondo l’Ordine divino
facilmente riconoscibile, ciò che naturalmente non può essere altrimenti,
perché in qualsiasi altra maniera sarebbe impossibile per l’anima consolidarsi
in un’esistenza durevole per l’eternità, circoscritta in sé, però libera.
7. Infatti ciascuna anima che vuole perpetuare la propria esistenza
deve formarsi da se stessa con i mezzi che le sono forniti, e deve, per così
dire, costruirsi in modo da divenire atta alla continuità dell’esistenza; in
caso diverso essa, alla fine, può condividere la sorte riservata al corpo
oppure esce ancora per tre quarti, non formata, fuori dal corpo, il quale,
ormai completamente guasto, non serve affatto più all’ulteriore e totale
sviluppo dell’anima e sarà poi costretta a proseguire verso il perfezionamento
dentro a una macchina molto più scomoda e in un modo solitamente molto più
triste e doloroso.
8. Ora il corpo, che è composto esclusivamente di elementi sottoposti
ancora a rigidissimo giudizio e che è quindi soggetto alla morte naturale, è
per ciascun uomo l’inferno nel senso più stretto della parola, mentre la
materia di tutti i mondi, nella quale l’uomo è posto per mezzo del suo corpo, è
l’inferno nel suo senso più ampio.
9. Chi ha molta cura del proprio corpo, costui evidentemente si affanna
anche per il proprio inferno e nutre ed ingrassa il proprio giudizio e la
propria morte per la sua rovina assolutamente personale.
10. È bensì vero che il corpo deve ricevere in certa misura del
nutrimento, affinché possa essere costantemente atto a prestare all’anima i
servizi corrispondenti agli alti scopi della vita; ma chi cura con troppa
sollecitudine il proprio corpo e si arrabatta e lavora ed opera quasi giorno e
notte per le esigenze di questo, è chiaro che provvede per il proprio inferno e
per la propria morte.
11. Quando il corpo stimola l’anima a svolgere tutta la sua attività
per il suo soddisfacimento sensuale, questo fatto deriva sempre dall’azione dei
molti spiriti naturali impuri, ovvero spiriti giudicati nella materia, che
propriamente costituiscono l’essenza del corpo. Se l’anima dà eccessivamente
ascolto alle esigenze del corpo e ne asseconda gli stimoli, essa si congiunge
in certo modo con lui e scende così nell’inferno assolutamente proprio e nella
morte assolutamente propria; ma così facendo essa commette peccato contro
l’Ordine di Dio stabilito in lei.
12. Se l’anima persiste in un tale stato con amore e vi si compiace,
allora essa è altrettanto impura quanto gli impurissimi spiriti giudicati del
proprio corpo; con ciò persiste nel peccato e per conseguenza nell’inferno e
nella morte. Benché essa continui a vivere nel mondo ugualmente come il proprio
corpo, essa è tuttavia come morta, sente anche fortemente in sé la morte e ne
ha un vero terrore. Infatti l’anima, in tale suo stato peccaminoso e infernale,
può fare quello che vuole, ma non può trovarvi traccia di vita, quantunque essa
ami la vita sopra ogni cosa.
13. Vedete, in ciò è pure da cercare il motivo per cui ora molte
migliaia di migliaia di uomini sanno di una vita dell’anima dopo la morte del
proprio corpo tanto poco quanto una pietra giacente sulla via e, se si vuol
dire loro qualcosa in proposito, essi, nel migliore dei casi, si mettono a
ridere, ma qualche volta addirittura si arrabbiano e cacciano il savio fuori
dalla porta con il suggerimento di andare a predicare alle bestie del bosco
simili sciocchezze, le quali, secondo loro, sono pure e semplici menzogne!
14. E tuttavia sarebbe opportuno che ciascun uomo, al più tardi entro
il trentesimo anno, fosse in sé già tanto progredito nella formazione del
proprio “io” da essere così pienamente consapevole e sicuro di una nuova vita
liberissima e felicissima dopo la morte del corpo così come l’aquila è
consapevole e sicura del volo attraverso le alte regioni della libera
atmosfera!
15. Ma quanto ne sono ancora lontani gli uomini che cominciano solo ora
a fare delle domande riguardo a questo! E quanto lontani sono coloro, poi, che
non vogliono affatto sentirne parlare e che ritengono una simile fede addirittura
una sciocchezza degna appena di farci su una risata! Però gli uomini di questa
specie si trovano per tutto il tempo della loro vita terrena nel più pieno
inferno e già nella morte più piena.
16. Può accadere, ora, che un’anima si sia già del tutto purificata, ma
che tuttavia le venga accordato un tempo piuttosto lungo principalmente per
procedere anche alla purificazione del proprio corpo e dei suoi spiriti, che
sono in sé e di per sé ancora impuri; per questo tutta la parte più nobile del
corpo acquisisce infine, pure dall’anima, l’immortalità, e subito dopo la morte
della parte più grossolana del corpo viene essa pure ridestata unitamente
all’anima per l’irrobustimento della stessa.
17. E se, come non di rado avviene, l’inferno di tali anime già pure,
che è quanto dire il loro corpo, fa di quando in quando sentire ancora molto
accentuatamente le sue esigenze, allora queste anime scendono per un breve
tempo nel loro proprio inferno; con altre parole accondiscendono alla richiesta
del corpo e dei suoi spiriti. Ma simili anime non possono oramai più venire
rese del tutto impure, e lo sono solamente finché restano nella melma putrida
degli spiriti del loro corpo; però esse non possono durare a lungo in tali
condizioni e ritornano quindi ben presto nel loro stato anteriore di completa
purezza, nel quale poi sono di nuovo altrettanto pure, come se impure non lo
fossero mai state. Ma in queste occasioni esse hanno stabilito nel loro inferno
la pace e l’ordine per un determinato tempo e possono poi tanto più indisturbate
muoversi e rafforzarsi nella luce del loro spirito.
18. Chi di voi ha un retto intendimento, avrà interamente compreso
quello che ho detto; e tu, amico Cirenio, dimMi proprio sicuramente se hai
compreso anche tu a fondo la cosa!».
Un discorso
sociale di Cirenio.
1. Dice Cirenio: «Sì, o Signore e Maestro! Però non posso fare a meno
di osservare che questa dottrina è per me assolutamente nuova e che prima di Te
nessuno si è certo immaginato mai niente, neppure in sogno, di una cosa simile.
Ma da tutto ciò risulta oramai chiaro che devi essere stato Tu e non altri a
creare dall’Alfa all’Omega gli uomini ed i mondi tutti, perché senza essere da
se stesso il creatore degli uomini, tali cose non si possono conoscere mai più
se non nel modo in cui noi le abbiamo apprese da Te ora.
2. Le esperienze fatte in ogni tempo ci dimostrano che deve essere così
e che altrimenti non può essere se non come ce l’hai spiegato Tu ora, e
tuttavia nessun savio, per quanto bene e spesso si fosse accorto dei mali
dell’umanità, poté mai scrutarli alla loro radice, per potersene fare un sicuro
giudizio e, d’altronde come avrebbe potuto farlo? Per giungere a tanto si esige
una conoscenza perfettissima della natura umana, che abbraccia tutta la sua
essenza, dalla sfera primordiale-spirituale a quella materiale.
3. Ma chi può acquisire in qualche modo queste nozioni? Chi è che
conosce il corpo umano da fibra a fibra, da nervo a nervo e così via? Chi ha
mai visto una qualche anima aggirarsi liberamente intorno? A mala pena si sa se
essa abbia una forma e quale questa sia, se sia grande o piccola e cosa altro
mai! In poche parole si brancola completamente nel buio. Ma se è così, come
fare per procurarsi le cognizioni riguardo alla strana e particolare natura
dell’uomo?
4. Eppure ci devono essere mezzi e vie tali da permettere all’uomo di
conoscere se stesso, poiché se l’uomo non è in grado di esplorare e scrutare se
stesso per constatare cosa egli sia e per sincerarsi del perché e del cosa
debba fare, data la sua natura e destinazione, per raggiungere lo scopo per il
quale il Creatore lo ha chiamato in vita, allora tutti gli insegnamenti non gli
servono a nulla. La sua anima, come se ne ha la prova anche troppo evidente in
innumerevoli individui, si restringerà, ritirandosi sempre più nel suo guscio,
come conseguenza delle molteplici necessità del corpo che si fanno sentire
purtroppo con sensazioni dolorose. Infatti la fame, la sete brucia ed anche il
freddo tormenta, mentre il benessere corporeo concede al corpo, sempre pieno di
esigenze, non solo il necessario, ma anche una vita di agi e di sfarzo!
5. La parte animalesca dell’uomo avanza, del resto, le sue esigenze in
maniera così precisa e imperiosa che le placide richieste dell’anima devono
rimanere inascoltate; ma se si ammette questo, chi può ancora stupirsi se
milioni e milioni di esseri umani hanno appena una vaga idea dell’esistenza di
un’anima in loro? Infatti già dalla fanciullezza la loro anima si è talmente
congiunta al corpo da essere diventata completamente una cosa sola con esso e
perciò non conosce né percepisce altri bisogni all’infuori di quelli miserevoli
del proprio corpo.
6. Anzi, bisogna dire perfino che proprio dove gli uomini sono più
malamente provvisti dal punto di vista del corpo, non si trova mai neanche la
minima traccia di una qualche necessità spirituale. Noi abbiamo nelle regioni
settentrionali d’Europa delle popolazioni, presso le quali invano si
cercherebbe sia pure una lieve ombra di una formazione spirituale.
7. Ma qual è la ragione di un tale fenomeno? Ecco, la totale mancanza
di quello di cui ha bisogno il corpo! Perciò un uomo è costretto ad andare
errando, non di rado giorno e notte, armato di clava, per fitti boschi alla
ricerca di selvaggina, e quando l’ha uccisa ne divora come un vorace animale le
carni quasi senza togliere via la pelle! Si domanda: “Come è ammissibile, come
è possibile che presso un tale popolo si possa trovare qualcosa che assomigli
ad una necessità spirituale?”. Per esempio a Roma, dove la gente è in gran
parte molto ben provvista dal punto di vista del corpo, già da molto tempo si è
cominciato a dare insegnamenti sull’anima umana e sulla sua immortalità, e si è
dedicato, come tuttora si dedica, la maggior attenzione alla vita morale, la
quale mira soprattutto alla formazione e allo sviluppo dell’uomo
spirituale.
8. Certo, anche con troppa frequenza succede che i ricchi si immergano
troppo, alla fine, nella beatitudine del loro corpo e che non ci tengano che
poco o niente all’educazione della loro anima, arrivando al punto di
considerare invenzione di qualche sapiente affamato simili dottrine, ma pure
essi hanno comunque un linguaggio, per mezzo del quale si può comunicare con
loro riguardo a vari argomenti e così, malgrado tutta la loro sensualità, si
può riuscire a provocare in loro qualche piccola reazione che, per quanto poco
possa valere, è pur sempre utile all’anima.
9. Ma trattandosi di uomini dei quali non si sa ancora precisamente se
abbiano o no un linguaggio, non è possibile provocare nemmeno una reazione di
questa specie e allora come si dovrebbe fare per suscitare in loro la
percezione di una necessità più profonda e spirituale dell’anima?
10. Dunque, secondo la mia opinione, bisognerebbe anzitutto ben
provvedere al benessere corporeo dell’umanità e poi sarebbe ancora più facile
elevare sempre di più le anime degli uomini alla comprensione delle vere
necessità della loro vita. Gli uomini dovrebbero essere provvisti almeno di quello
di cui hanno strettamente bisogno, poiché, come prima ho detto, un uomo messo
male nel fisico non può sentire affatto nemmeno la più piccola necessità di una
qualche cultura spirituale! È difficile predicare ad uno stomaco affamato prima
di avergli dato la possibilità di prendere cibo e bevande. Questo è il mio
modestissimo parere. Tu, o Signore e Maestro, hai certamente ragione in tutto,
perché Tu solo conosci perfettamente le Tue opere, ma anch’io credo di non
avere proprio torto, visto che, a favore delle asserzioni, milita l’esperienza
di tutti i popoli e di tutti i tempi».
1. Dico Io: «È giustissimo ed Io non posso affatto dire che tu abbia
pronunciato anche una sola parola che non sia vera, ma prova a sistemare tu le
cose su di un corpo mondiale in modo tale che gli uomini, senza un loro
particolare contributo di lavoro od altra attività simile, siano ben
discretamente provvisti sotto l’aspetto materiale e riconoscano che in questa
maniera possono vivere assolutamente senza preoccupazioni e in poco tempo ti
trovi davanti dappertutto i tuoi popoli del Nord Europa.
2. I popoli del Nord Europa, che una volta dimoravano in Asia, la culla
della razza umana, erano forniti di tutto come e anche meglio dei tuoi romani e
hanno goduto un’educazione diretta dai Cieli; e c’erano sapienti tra di loro,
come la Terra non ne aveva mai portati prima di Me: ma quale ne fu la
conseguenza? Essi mangiavano e bevevano comodamente, divennero ogni giorno più
pigri e decaddero di generazione in generazione nello stato attuale; solo che
in tale condizione miserevole si devono procurare il meschino sostentamento per
il loro corpo con il sudore della fronte e comunque non sono però del tutto privi
di sapienti e maestri.
3. Ma Io ti dico che è appunto questa loro miseria che li farà salire
man mano ad un grado di cultura tale che la presente civiltà di Roma ne sarà di
gran lunga superata sotto ogni aspetto.
4. Perciò non sarebbe affatto buona cosa fare in modo che gli uomini
siano completamente provvisti per quanto concerne il corpo, poiché essi
finirebbero col diventare tanto pigri che non si curerebbero più affatto di
nulla; e questa tendenza all’inerzia di un riposo senza alcuna preoccupazione è
di nuovo una proprietà del corpo che in sé per sé è morto. Allora l’anima, la
quale è chiamata a consolidarsi in grandissima parte appunto mediante una
giusta attività nel proprio corpo e con la cooperazione di questo, sarebbe
indotta a condividere con il corpo lo stato di indolenza spensierata del corpo
stesso, anche perché originariamente la propensione all’inattività è in essa
preponderante.
5. Però l’anima viene anzitutto destata dal suo letargo a causa delle
necessità dolorose del corpo, poiché essa sente che alla fine una completa
trascuratezza del corpo le sarebbe causa di morte assieme al corpo stesso.
Perciò, spinta dai bisogni di quest’ultimo, essa mette in moto tutte le leve
possibili e cerca di provvedere come meglio può anzitutto al corpo. Siccome
ormai ha un grande ribrezzo della morte, essa comincia ben presto, accanto
all’attività a favore del corpo, ad esplorare la vita vera e propria. In
seguito all’amore per la vita che si è destato in lei, si rende conto che,
quale anima, sopravviverà ancora un po’ anche se il corpo cadrà preda della
morte.
6. In questo modo comincia finalmente a mettere radice una specie di
fede nell’immortalità dell’anima umana, e questa fede, con l’andare del tempo,
si fa sempre più viva e diventa per l’uomo una necessità.
7. In seguito dei singoli individui, portati più degli altri alla
meditazione, come ce ne sono dappertutto, ben presto non si accontentano più
della semplice fede e cominciano a scrutarla più profondamente provandone la
forza e cercano, quando la forza della fede non basta più, di dimostrarla come
definitivamente vera, ricorrendo a mezzi maggiormente convincenti e, per così
dire, evidenti.
8. Di solito il popolo considera poi tali ricercatori dei veggenti, degli
ascoltatori ispirati e guidati da qualche spirito superiore, i quali,
comunicando con quest’ultimo, arrivano ad acquisire nozioni più profonde
riguardo alla vita dell’anima dopo la morte del corpo.
9. Avviene spesso, in seguito, che questi ricercatori vengano
comunemente innalzati dal popolo alla dignità di sacerdoti ed essi,
accorgendosi di essere diventati indispensabili, finiscono molto spesso con
l’abusare della fiducia, per lo più incondizionata, del loro popolo; si servono
della loro scienza come uno strumento per ricavarne un utile mondano e si
riducono infine ad essere semplicemente delle cieche guide di altri ciechi.
Però, nonostante tutto ciò, nella cosa rimane sempre qualcosa di buono, perché
il legame che unisce il popolo con i Cieli, per quanto debole possa essere,
viene pur sempre mantenuto.
10. Col succedersi dei tempi, quando anche la fede cieca nei sacerdoti
va facendosi sempre più debole, sorgono tra il popolo di nuovo altri
ricercatori che esaminano le vecchie dottrine senza ripudiarle completamente,
ne estraggono ciò che reputano buono, aggiungendo questo al risultato delle
loro nuove ricerche e proclamano alla fine una dottrina del tutto nuova, la
quale non si accontenta più della cieca fede, ma vuole la convinzione piena
fondata su fatti, che, in caso di bisogno, possono venire presentati
all’attenzione di chiunque come degni di essere esaminati.
11. Ora, vedi, in tal modo, sia pure per vie faticose, la più giovane
generazione trova finalmente la verità ed in questa verità trova anche, grazie
alle numerose esperienze, le leggi secondo le quali deve essere guidata la vita
degli uomini, affinché la verità trovata, a costo di così gravi fatiche, possa
mantenersi pura per sempre fra gli uomini.
12. Quando poi a questo ritrovamento, che si è concretato da sé solo in
conseguenza della sempre crescente attività degli uomini, si aggiunge ancora
una notizia straordinaria proveniente agli uomini dai Cieli come una Luce
potente e prodigiosa, allora un tale popolo – ma potrebbe anche essere un uomo
– è in sé già salvato ed è come rinato in spirito; ebbene a questo risultato
non potrai mai e poi mai arrivare con una vita comoda e spensierata, ma solo
mediante il bisogno e l’affanno!
13. Io ti dico che se già il bisogno rende ingegnoso anche l’animale,
quanto più non renderà poi tale l’uomo!
14. Quando l’uomo è spinto dal bisogno a pensare, allora la terra
comincia ben presto a verdeggiare sotto ai suoi piedi; ma se egli è già a
posto, allora si sdraia come fa l’animale, non pensa più a niente e non fa
niente.
15. Vedi, basterebbe che Io concedessi alla Terra, per soli cent’anni
consecutivi, dei raccolti abbondanti e particolarmente benedetti, e tutta
l’umanità comincerebbe ad imputridire nell’ozio, ma, siccome Io vicendevolmente
vado alternando le annate buone alle cattive, così l’umanità è costretta a
mantenersi sempre attiva, deve cioè durante l’annata buona essere preveggente
per non lasciarsi cogliere di sorpresa da una successiva annata cattiva e
quindi per non morire di fame. E così l’umanità è indotta ad esplicare, almeno
da un lato, una certa incessante attività; se invece si verificasse il
contrario, in brevissimo tempo essa cadrebbe nel più profondo letargo.
Comprendi ora anche questo?».
La conseguenza
dell’agiatezza.
1. Dice Cirenio: «O Signore, Tu sei davvero il Maestro dell’umanità e
la scuola più viva della vera vita! So ormai perfettamente a che punto sono io
e in quali condizioni si trova tutta l’umanità. Soltanto una cosa non riesco ad
afferrare completamente e cioè perché un popolo, che sia in qualche modo
provvisto dal punto di vista corporale un po’ al di sopra dello stato di
schiavitù, dovrebbe alla fine cadere in un assoluto letargo! A questo riguardo
mi piacerebbe sentire dalla Tua bocca, o Signore e Maestro, una qualche parola
di chiarimento!»
2. Rispondo Io: «Oh, amico Mio, consulta la storia dei popoli della Terra,
considera l’antico Egitto, paese di ricchezze, considera Babele e Ninive e
Sodoma e Gomorra! Pensa al popolo di Israele stesso, al quale Io, per interi
quarant’anni, ho provvisto con la manna del Cielo! Considera altrettanto una
quantità di altri popoli finiti in rovina e tu rileverai ben presto dove il
benessere corporale abbia condotto tutti questi popoli!
3. Vedi ad esempio una donna che sia ben provvista di quanto le occorre
nei riguardi del corpo, ebbene, essa tutto il giorno altro non fa che adornarsi
e abbellirsi, ma alla fine verrà il giorno in cui si sentirà troppo pigra anche
per questo e si farà lavare, pulire e adornare dagli altri. Ma anche così non
durerà sempre e neanche a lungo, perché accadrà poi che una donna simile,
abbrutita dalla vita comoda, si stancherà perfino di farsi servire e diventerà
in questo modo perfettamente come un maiale, se non proprio come un vero
bradipo dell’India o del centro dell’Africa che non fa altro che starsene
sdraiato. Io ti domando: “Che cosa si può fare di una donna ridotta in un
simile stato? A quale educazione spirituale può ancora essere accessibile?”. Io
te lo dico: “Non è più buona neanche per fare la prostituta”. Questo è stato
appunto il caso di Sodoma e Gomorra ed è per questa ragione che, in effetti, il
popolo di quella città ha cominciato a cercare soddisfazioni del senso contro
natura! Mi comprendi?»
4. Dice Cirenio: «In verità, che io sappia, tu non fosTi mai tanto
generoso di abbagliante sapienza come oggi! Io devo ammettere che Tu, questa volta,
mi hai rivelato più cose che non tutte le altre volte in cui ebbi la fortuna di
udirTi. Tutto quello che ci hai comunicato ora è evidente e chiarissimo, perché
hai approfondito la Tua esposizione fino alle più intime radici riguardo a
tutti i rapporti di costituzione e trasformazione dell’umanità. Una cosa
soltanto mi sfugge; e se potrò conoscere anche questa, davvero io non avrò
bisogno di altro per l’eternità! Devo esporre apertamente la mia domanda,
oppure la vuoi leggere come il solito nel mio cuore?»
5. Dico Io: «Questa volta chiedi pure ad alta voce a vantaggio dei
presenti, affinché tutti possano già dal principio farsi un’idea precisa
sull’argomento!»
6. Dice Cirenio: «Ebbene, Ti piaccia ascoltarmi con clemenza!».
Le
contraddizioni nella storia della Creazione.
1. Parla Cirenio: «Durante il tempo della mia vita su questa Terra,
tempo che si può ormai chiamare abbastanza lungo, io ho spesse volte, ma sempre
invano, meditato su come in effetti i primi rappresentanti del genere umano
siano giunti alla conoscenza di un supremo Essere spirituale nonché a quella
della loro propria individualità animico-spirituale. A questo proposito ho
letto i libri degli egiziani, gli scritti dei greci e le opere del vostro Mosè;
una volta mi è capitata sottomano anche un’opera indiana che io mi sono fatto
tradurre e leggere a Roma da un tale che era appunto un indiano; però
dappertutto non ho trovato altro che un linguaggio mistico e simbolico, il
quale non avrebbe potuto rendere un uomo assennato in nessun modo più assennato
ancora e di conseguenza tanto meno me, che già dalla mia gioventù mi ero sempre
immaginato che il mio prossimo fosse molto più accorto di me. Dappertutto ci si
imbatte in insensatezze logiche che, prese letteralmente, sono delle
indiscutibili assurdità.
2. Così, per esempio, nel vostro Mosè è detto: “Nel principio Dio creò
il Cielo e la Terra e la Terra era deserta e vuota e c’erano le tenebre sopra
l’abisso. E lo Spirito di Dio si muoveva sopra le acque. E Dio disse: ‘Sia
fatta la luce!’. E la luce fu fatta. E Dio vide che la luce era buona e allora
Dio separò la luce dalle tenebre e nominò la luce ‘giorno’ e le tenebre
‘notte’. Così fu sera e poi fu mattina e fu il primo giorno”.
3. In seguito, con frasi molto concise, si fa cenno alla separazione
delle acque, al prosciugamento della terra e alla creazione di erbe, arbusti ed
alberi: Con queste creazioni trascorrono tre giorni e quindi altrettante notti.
Ora, siccome giorni e notti derivano già della creazione della prima luce sugli
abissi tenebrosi della Terra, io non so spiegarmi davvero come Dio abbia
successivamente ritenuto necessario creare nel quarto giorno nuovamente due
grandi luminari e metterli nella distesa del Cielo; il maggiore ha la reggenza
del giorno e l’altro, il piccolo, regna sulla notte.
4. Se noi adesso confrontiamo queste asserzioni con la natura della
Terra e se consideriamo quello che secondo le Tue dichiarazioni sono il Sole,
la Luna e tutte le stelle, bisogna convenire che tutta la storia mosaica della
Creazione è una tale assurdità quale di più grande non ce n’è, né è possibile
trovarne di uguali in nessun angolo di questa Terra! Chi mai può capirne
qualcosa? Noi pochi sappiamo che la Terra non è un circolo infinito, ma
soltanto una grande sfera, come Tu stesso hai mostrato in modo molto evidente e
vero a me, quando eri ancora un tenero bambino in Egitto e più tardi ancora ad
un maggiore numero di noi. In effetti sulla Terra non fa mai notte, perché una
parte di essa viene sempre illuminata dal Sole. La Luna, d’altro canto, è un
patrono quanto mai incostante e si cura ben poco della reggenza della notte,
ciò che avviene tutt’al più alcuni giorni al mese.
5. Così pure è una pazzia dire che dalla sera e dalla mattina viene
costituito un giorno, mentre ognuno sa, dall’esperienza di tutta la sua vita,
che il giorno viene a stare sempre unicamente tra la mattina e la sera e mai
tra la sera e la mattina, perché alla sera segue certo immancabilmente la notte
fino alla mattina successiva ed alla mattina fa seguito poi il giorno fino alla
sera e per logica conseguenza il giorno sta fra la mattina e la sera e fra la
sera e la mattina sta evidentemente la notte.
6. Però, quantunque tutto ciò sia in sé da considerare una pazzia, la
frase dove è asserito che soltanto dopo aver creato la luce, Dio si accorse che
la luce era buona, questa è una pazzia senza paragoni, perché la suprema
Sapienza di Dio, come Luce essa stessa di tutte le luci, deve ben aver visto ed
osservato già dall’eternità che la luce era buona!
7. Nel libro degli Indiani da me visto, alla Creazione materiale viene
fatta precedere una Creazione degli spiriti puri, di cui più tardi anche Mosè
fa menzione in qualche luogo; questi spiriti erano puramente luce e particolarmente
il primo creato sembra si sia chiamato “Portatore di Luce”.
8. Dunque, se Dio già con la creazione dei puri spiriti della luce ha
evidentemente potuto constatare il valore della luce, ammesso pure che prima di
ciò Si fosse dalle eternità riposato nelle profondità della tenebra, ciò che
non pare assolutamente confacente al Suo Essere, è chiaro che deve essere
ridicola fino alla pazzia l’idea che Dio, dopo aver creato la luce su questa
Terra, si sia accorto in un certo modo di nuovo che la luce era buona!
9. Tu stesso puoi vedere che tutta la storia della Creazione, come
viene narrata da Mosè, è un’assurdità colossale, anzi pazzamente urtante quando
si consideri la cosa anche per poco dal lato naturale e di conseguenza non deve
meravigliare molto del fatto che appunto gli stessi dottori della legge ebrei
non prestino nemmeno un granello di fede ad una tale dottrina assurda, ma che
tuttavia la mantengano così come è a causa del popolo, facendosela pagare molto
bene. Queste cose le vedono anche tutti i personaggi altolocati di Roma e
malgrado l’assurdità lasciano le cose come sono, perché il popolo cieco vi da
sempre grande importanza ed il paese così si mantiene discretamente tranquillo.
10. Dunque è chiaro, anzi chiarissimo, che tutte le massime e teorie
enunciate dai primi maestri e pervenute fino a noi non sono, se considerate dal
punto di vista naturale, altro che vuote leggende e favole, perché nei riguardi
del naturale non può esservi neppure una sillaba di vero. Ma se innegabilmente
è così, sorge allora la grande domanda spontanea, come già accennato quando ho
cominciato ad esporre il problema in questione: “Com’è giunto l’uomo su questa
Terra? Come giunse egli alla conoscenza di un Dio e a quella di se stesso e chi
in origine gli insegnò a distinguere quello che è bene e quello che è male?”.
Perciò Ti prego, o Signore, di darci ancora un po’ di luce a tale riguardo e
poi siamo perfettamente al sicuro!».
1. Dico Io: «Carissimo amico, a questo proposito un buon raggio di luce
te l’ho veramente già concesso, illustrandoti gli effetti del bisogno negli
uomini e nei popoli; in quanto al resto, non si può certamente negare che la
genesi di Mosè, applicata letteralmente alla creazione del mondo naturale,
sarebbe un’assurdità fra le più grandi, la quale dovrebbe venire riconosciuta
come tale da chiunque non fosse proprio del
tutto digiuno di conoscenze riguardo ai procedimenti naturali e che porterebbe
alla conclusione di dover classificare il buon Mosè fra gli stolti di prima
categoria che sono vissuti finora su questo mondo.
2. Però chiunque si dia la pena di scrutare la storia esposta nei libri
di Mosè nel suo ulteriore decorso anche soltanto un po’ più acutamente di
quanto farebbe leggendo qualche favola del poeta greco Esopo, costui deve pur
accorgersi ben presto che Mosè, nel suo linguaggio figurato, intende occuparsi
soltanto di ciò che concerne la formazione primordiale dei primi uomini della
Terra e di conseguenza non vuole affatto trattare esclusivamente la storia
della creazione della Terra, del cielo e di tutte le altre creature sorte sulla
Terra e nella Terra, ma vuole invece trattare anzitutto, e quasi
esclusivamente, la prima costituzione e lo sviluppo del cuore e dell’intelletto
umano, a cui egli vi ricollega subito il concetto umano-storico.
3. Però la storia non poteva essere che un prodotto della formazione
intelligente degli uomini e mai di quella muta Natura creata che si è sempre
mantenuta uguale a se stessa fino a questo tempo e sempre tale si manterrà fino
alla fine di tutti i tempi!
4. Non altrimenti vanno considerate le cose rispetto ai libri indiani,
nei quali è trattata in primo luogo la creazione dei puri spiriti, poi la
caduta di una parte di questi sotto il titolo “Le guerre di Jehova”, mentre
solo da ultimo si parla della creazione del mondo sensibile, degli animali e
finalmente dell’uomo!
5. Tutto ciò è da prendere soltanto nel senso spirituale e da
spiegarsi, anzitutto, per quanto concerne la costituzione morale dell’uomo.
6. Chi poi, guidato dallo spirito, è a perfetta conoscenza delle
rispondenze fra il mondo dei sensi e quello degli spiriti, a lui certamente può
essere possibile rilevare da tutto ciò come dal mondo degli spiriti sia
proceduto quello sensibile e come e da dove siano sorti i soli ed infine i
pianeti ed i pianeti secondari, nonché come su questi siano apparse ogni specie
di creature.
7. Però questa cosa non è così facile come potrebbe sembrare, poiché,
per arrivare a questo punto, è bene essere prima destati del tutto nello
spirito. Infatti soltanto l’antichissimo Testimone di ogni divenire e di ogni
essere può inondare completamente di luce quei labirinti entro i quali finora
nessun occhio mortale è penetrato.
8. Ma che, all’infuori di tutto ciò, l’età del genere umano, nello
stato di perfezione in cui attualmente si trova, concordi tuttavia anche
rispetto alle considerazioni di materia e di tempo con il computo di Mosè, tu
puoi esserne completamente certo.
9. Molto tempo prima di Adamo ci furono sulla Terra anche una specie di
possenti animali, i quali, non certo nella forma, ma tanto più per
un’intelligenza acuta, seppure istintiva, somigliavano al genere umano che
sarebbe arrivato successivamente. L’elefante odierno ne è ancora quasi una
derivazione secondaria, quantunque fisicamente molto imperfetta.
10. Questi grandi animali, al loro tempo, lavorarono la terra ed a
questo riguardo furono i precursori degli uomini. Già molte migliaia di
migliaia di anni prima della comparsa dell’uomo sulla Terra, essa era abitata
da questi esseri.
11. Per mezzo di questi grandi animali il suolo pietroso, ancora molto
duro, della Terra dovette venire ammorbidito e reso atto al prosperare di
nobile frutta e di animali, prima che fosse finalmente idoneo a produrre
corporalmente la delicata natura umana, secondo i piani dell’Ordine divino
eterno, quale esso era posto in ciascuna anima naturale, allora ancora libera
dalla materia, ma tuttavia già vivente nell’aria della Terra.
12. Quando il suolo della Terra, in seguito a tale preparazione, ebbe
raggiunto la completa maturità, soltanto allora un’anima robusta nella sua
libera natura aerea venne chiamata a costituirsi, dal più fertile humus
d’argilla, un corpo secondo l’ordine della Forma originaria di Dio la quale
esiste nell’anima. E la prima anima,
nel suo pieno vigore e maturità, fece così come si sentiva interiormente
incitata a fare dalla Forza divina, ed in questo modo la prima anima si trovò
in un corpo sano e robusto, e per opera sua bene organizzato, e poté ormai
perfettamente prendere visione di tutto il mondo visibile e delle creature che
esistevano prima di lei.
13. Ma le grandi specie di animali, unitamente alle creazioni
anteriori, erano per la maggior parte scomparse dalla Terra già da lungo tempo
prima che il primo uomo nella sua maestà, simile a quella di Dio, vi facesse la
sua apparizione. Malgrado ciò, dei resti di simili animali, quali abitanti
pre-umani, si trovano e si troveranno ancora per tutti i tempi sulla Terra ed
entro di essa, però gli uomini non sapranno cosa pensarne in proposito.
14. L’esame di questi residui porterà poi gradatamente i saggi alla
constatazione che la Terra è più antica di quanto il computo mosaico possa far
supporre e per questa ragione Mosè cadrà molto in discredito per un certo
tempo. Allora però, da parte Mia, verranno suscitati altri saggi e soltanto
allora Mosè sarà posto nella sua vera luce da essi, e non passerà molto tempo
prima che il completo Regno di Dio si stabilirà sulla Terra e la morte
scomparirà per sempre dal pianeta rinnovato. Ma, prima che questo avvenga,
molte sciagure si riverseranno sul suolo della Terra.
15. Sì, il suolo della Terra dovrà essere prima sottoposto ad una
concimazione ancora molteplice con il sangue e con la carne degli uomini, e
solo da un simile nuovo humus spirituale avrà poi inizio per questa Terra
l’epoca anche corporalmente immortale, così come ai tempi di Adamo aveva avuto
inizio l’epoca nella quale l’anima poteva forgiarsi, dal fertile humus
d’argilla, un corpo perfetto nella sua Forma divina.
16. Però gli uomini, i quali sono già pienamente rinati nello spirito
durante la loro vita corporeo-mortale terrena, regneranno poi per sempre, in
questa nuova epoca, quali puri spiriti ed angeli, ed essa resterà del tutto
affidata alla loro guida. Invece gli
uomini di questo tempo che non hanno raggiunto la perfezione spirituale
saranno, in questa nuovissima epoca della Terra, posti su questa con corpi
immortali, ma in uno stato di grande povertà e dovranno in gran parte adattarsi
a servire spesso molto duramente, ciò che loro riuscirà quanto mai amaro,
poiché anche troppo chiaro sarà in loro il ricordo dell’iniziale felicissimo
stato nei loro corpi mortali! Questa epoca durerà molto a lungo, in attesa del
momento in cui finalmente tutto sarà trapassato allo stato di esistenza
puramente spirituale secondo l’eterno Progetto di Dio! Ecco, questo è il
decorso dell’Ordine di Dio di tutte le cose, di ogni divenire, di ogni
esistenza e di ogni sussistenza!».
Il processo di
sviluppo di una spiga di grano.
Sull’incarnazione
di un’anima.
1. (Il Signore:) «Considera il frumento allo stato naturale: quando
viene posto nel terreno deve prima imputridire e soltanto dopo, dal marciume
della putrefazione, sorge il tenero germoglio. Ma quale è il significato di
questo fenomeno rispetto alla natura dell’uomo?
2. Ecco, la posa nel terreno della bella semente sana corrisponde al
primo divenire dell’uomo ed è simile all’atto dell’incarnazione dell’anima in
sé e di per sé già completamente sviluppata, la cui dimora pre-corporea è
l’aria, particolarmente nella regione mediana delle montagne, dove di solito
cessa la zona arborea, fino a quella delle nevi e dei ghiacci.
3. Quando un’anima, una volta che si è del tutto riunita, si trova ad
aver raggiunto la dovuta consistenza nell’aria prevista nel progetto, essa scende
allora sempre più giù e giù fino alle dimore degli uomini, ottiene poi un certo
nutrimento dalla sfera vitale eterea esteriore che circonda ogni uomo e resta
là dove viene attratta per l’affinità del suo essere.
4. Quando poi una qualche coppia di coniugi si sente indotta
dall’impulso naturale a compiere un atto generativo, una tale libera anima
naturale pienamente matura, che si trova più vicina alla coppia di coniugi, ne
viene a conoscenza al momento dall’etere vitale esterno, ovvero tale anima viene
attratta per affinità dall’accresciuta forza della sfera vitale esteriore dei
coniugi, entra durante l’atto di accoppiamento, sotto una certa coercizione,
nel flusso seminale dell’uomo e viene da esso deposta in un piccolo uovo.
Questo procedimento viene chiamato “fecondazione”. E vedi, da quel momento
l’anima vitale assomiglia già al seme che viene posto in un qualche terreno;
essa attraversa nel corpo materno, finché viene partorita nel mondo, tutti gli
stadi corrispondenti a quelli che passa il seme nella terra, fino a quando essa
spinge fuori il germoglio sopra il terreno.
5. Da qui in avanti hanno poi inizio i vari stadi della formazione
prima esteriore e più tardi di quella interiore.
6. Nella pianta le radici restano sepolte nella terra, nell’antica
tomba putrida della semente, e da questa succhiano l’alimento materiale. Però
questo alimento materiale sarebbe ben presto apportatore di morte alla pianta,
qualora non venisse depurato per l’influenza della luce solare.
7. Il primo tratto dello stelo contiene ancora umori molto materiali;
quando poi si è consolidato come base della pianta, allora esso viene, in un
certo modo, isolato da un anello che è percorso da canaletti già molto più
sottili attraverso cui possono passare i succhi già molto più raffinati e
fluidi.
8. In questo modo risulta costituito un secondo tratto dello stelo, ma,
siccome i succhi di questo secondo tratto sono pur essi di qualità grezza e
materiale e con il tempo diventano ancora più grezzi, viene formandosi un
secondo anello provvisto di canaletti ancora più sottili, attraverso i quali
soltanto dei succhi molto puri possono passare per recare nutrimento allo
spirito vitale che si libra sopra gli stessi, similmente a quanto è detto da
Mosè: “Lo Spirito di Dio si librava sopra le acque”.
9. Con l’andare del tempo, però, anche questi succhi od acque diventano
nuovamente troppo grezzi per la vita della pianta che si libra su di essi e
potrebbero arrivare al punto di soffocare la vita e perciò dallo spirito, che
si libra sopra le acque, viene provocata la costituzione di un terzo anello,
percorso questa volta da canaletti assolutamente sottili. Attraverso un tale
terzo anello possono ormai passare a fatica soltanto dei succhi estremamente
puri ed eterei e già molto affini allo spirito vitale, che si libra ancora
sopra gli stessi. Ma lo spirito della vita si accorge benissimo se i succhi
forniti dal terzo anello gli si confanno o meno allo scopo dell’ulteriore
formazione della pianta. E se con il tempo li trova ancora troppo grossolani e
contenenti in sé ancora troppe tracce del giudizio e della morte, si procede
alla costituzione ancora di un quarto, quinto, sesto e fino ad un settimo
anello, fino a che, infine, i succhi sono purificati ed eterei, tanto che per
ora non rivelano più traccia alcuna di morte.
10. Solo ora inizia un nuovo stadio. Il succo, che sale per i canaletti
estremamente sottili, concorre ormai alla formazione della gemma e poi del
fiore, che sono provvisti di organi perfettamente atti ad accogliere in sé il
potere generativo della vita superiore dai Cieli.
11. Quando il fiore ha prestato questo servizio, viene reciso come uno
sfoggio vano di sapienza, utile soltanto ad attrarre con il fascino della sua
bellezza l’etere vitale d’amore, che però è in se stesso già tutto e non ha
affatto bisogno di alcun altro sfarzo esteriore. Infatti, vedi, ogni fiore è
come una sposa deliziosamente adorna, la quale tenta di attirare nelle sue reti
lo sposo appunto con ciò che ella prima si abbellisce ben bene, ma una volta
che lo sposo ha fatto sua la sposa, gli effimeri ornamenti nuziali vengono
quanto prima deposti e comincia poi l’umile serietà della vita.
12. Solo a questo grado di sviluppo, il vero frutto vitale inizia a
concentrarsi ed a formarsi, e tutta l’attività è rivolta all’unico scopo della
sua piena maturazione; cosicché la vita, sfuggita a tutti pericoli corsi nei
periodi precedenti, si rifugia nel frutto come in una solida fortezza e si
premunisce contro l’attacco, sempre ancora possibile, di un qualche nemico
esterno.
13. Laddove la vita procede troppo rapida nella sua formazione e
maturazione, là essa ha anche soltanto poca consistenza, ed ecco che, se un
qualche nemico esterno giunge in prossimità di una simile vita diventata troppo
presto matura, questa ha per lui troppa attrazione: esso entra con lei in
rapporti e depone il suo frutto nella vita del frutto vegetale troppo
rapidamente maturatosi. Questa vita di carattere parassitario attira poi a sé
la tenera vita del frutto vegetale, la guasta e la conduce in rovina. I frutti
bacati ne sono una prova più che evidente».
Lo sviluppo
spirituale dell’uomo.
1. (Il Signore:) «Ma come avviene con le piante, così avviene anche con
gli animali e particolarmente con gli uomini.
2. Consideriamo, puramente rispetto al fisico, una fanciulla ancora
tenera e precoce che non abbia quasi neppure dodici anni ma il cui corpo sia
già tanto sviluppato da darle l’aspetto di una ragazza da marito. Una simile
fanciulla esercita allora su qualunque uomo, che sia anche poco di natura
sensuale, un fascino tale che non sarebbero capaci di esercitarlo cento altre,
per quanto più belle, ma più mature d’anni. Ne segue che una fanciulla così precoce
è poi esposta nel corpo a cento pericoli, e da parte dei suoi genitori si
richiedono le maggiori cure per proteggerla contro tutti i nemici che insidiano
le sue notevoli grazie. Se lei viene troppo presto concessa ad un uomo
lussurioso, è facile che venga pregiudicata nella sua fecondità; se invece
viene tenuta troppo rinchiusa ed al riparo di ogni influenza cattiva, la sua
carne si indebolisce. Essa impallidisce, appare tutta consunta e di rado giunge
ad un’età piuttosto avanzata. Se le si dà un nutrimento scarso e magro, anche
riguardo a qualità, essa intristisce e termina con l’avvizzire anzitempo, ma
invece se la si nutre bene diventa opulenta, pesante e perciò pigra; il suo
sangue perde ogni vigore ed essa assume un aspetto cadaverico, condizioni queste
che devono evidentemente portare alla morte prematura del suo corpo.
3. La stessa cosa vale pure nei casi di precoce ed esagerato sviluppo
delle facoltà dell’anima. Le anime dei fanciulli talvolta di poco talento – i
quali, per farli diventare sapienti, vengono obbligati con severità allo studio
come se da ciò dipendesse l’esistenza di un mondo – poi infiacchiscono, non
avendo prima avuto il tempo di sviluppare il loro corpo così da renderlo idoneo
ai servizi che è chiamato a prestare per ogni eventualità!
4. Dunque, ad ogni cosa occorre, secondo l’Ordine di Dio, il suo tempo;
ed eccezioni in questo riguardo non sono affatto ammesse.
5. Giunto il momento per il corpo neoformato di venire partorito fuori
dal corpo materno, viene immesso nel cuore dell’anima il germe vitale eterno,
vale a dire una piccola Scintilla del purissimo Spirito di Dio, così come
avviene nel frutto di una pianta quando, caduto il fiore, esso comincia a
fortificarsi ed a consolidarsi. Formato il corpo, inizia poi lo sviluppo dello
spirito nel cuore dell’anima, e durante questo processo è necessario che
l’anima faccia ogni sforzo possibile affinché lo spirito in lei cominci a
germogliare, e deve promuoverne lo sviluppo con ogni mezzo adatto.
6. L’anima, in questa sua funzione, rappresenta la radice e lo stelo,
mentre il corpo trova la sua rispondenza nel terreno; perciò essa non deve
fornire umori grezzi come nutrimento allo spirito.
7. Gli anelli, che lo spirito va formando, sono i gradi di umiltà
dell’anima; quando viene costituito l’ultimo anello, allora finalmente lo
spirito si sviluppa da sé, accoglie in sé dall’anima tutto ciò che è a lui
affine, va sempre più consolidandosi e infine attrae in sé tutta l’anima,
nonché quello che nel corpo era affine all’anima; in questo modo, poi, esso è
per l’eternità indistruttibile del tutto, procedimento questo che noi possiamo
vedere ripetersi, con maggiore o minor chiarezza, quasi in ogni pianta.
8. Quando il frutto ha raggiunto per la via ordinaria quasi la maturità
completa, nei grani di semente che si celano in esso vengono immesse delle
piccole scintille di germe vitale racchiuse in piccoli e tenerissimi involucri
già preparati; dopo ciò la semente si racchiude in sé per un certo tempo, si
isola perfettamente da tutto il rimanente del frutto e va’ consolidandosi come
in un’assoluta autonomia, benché faccia sempre ricorso per metà all’etere
vitale che la circonda.
9. Col tempo il frutto esteriore comincia poi a raggrinzirsi e a
dissecarsi; perché questo? Perché la sua anima trapassa interamente nella vita
dello spirito del germe nella semente. E quando la forza vitale del frutto è
finalmente passata in questo spirito, allora lo stelo, prima vivente in tutte
le sue parti, si secca completamente e muore; ma in compenso tutta la vitalità delle
piante si è riunita in una stessa vita con la vita del germe, e come tale non
può mai venire annientata, sia essa o no vincolata alla materia dalla semente!
10. E così tu puoi osservare sempre lo stesso ordine e le stesse fasi
dappertutto ed in ogni cosa».
1. Dice Cirenio: «Signore, perdonami se devo interromperTi con una
domanda! Cosa succede mai del germe del grano quando questo viene ridotto in
farina, poi cotto in forma di pane ed infine mangiato? Il germe vitale, anche
attraverso questi stadi, continua a vivere?»
2. Dico Io: «Certamente, perché quando tu mangi del pane, la parte
materiale della farina viene ben presto eliminata dal corpo per la via naturale,
ma la vita del germe, in quanto spirito, trapassa immediatamente nella vita
dell’anima e diventa, secondo la corrispondente costituzione, una cosa sola con
lei. La parte invece più materiale del germe vitale, che serviva ad esso da
solido fondamento, sempre a somiglianza delle acque menzionate da Mosè in
rapporto allo Spirito di Dio, diventa un nutrimento per il corpo e dopo la
dovuta depurazione trapassa anch’essa infine nell’anima, a cui serve per la
formazione e nutrizione degli organi animici che sarebbero le sue membra, i
suoi peli e così via dicendo, ed in generale per la nutrizione e formazione di
tutto ciò che dall’Alfa all’Omega tu puoi trovare in un corpo umano.
3. Ma che un’anima consista di tutte quelle parti che si possono
riscontrare in un corpo fisico materiale, tu puoi convincertene più che
sufficientemente osservando l’angelo Raffaele che siede qui alla nostra mensa e
che ora discorre con Giosoe» (RivolgendoMi all’arcangelo:) «Raffaele, vieni qui
e lasciati toccare da Cirenio!»
4. L’angelo allora si avvicina a Cirenio, il quale lo tocca qua e là e
finisce con il dire: «È proprio vero, tutto è naturale e perciò materia a tutti
gli effetti. Egli ha, appunto come tutti noi, le stesse membra e la stessa
forma, soltanto ogni cosa è più nobile, più delicata e di gran lunga più bella,
perché la grazia della sua faccia è, si può dirlo, qualcosa di
incomparabilmente raggiante! Non è affatto un viso di fanciulla, bensì un viso
di maschio in tutta la sua determinazione, ma nonostante ciò è più bello del
più bel viso di fanciulla! Io prima ho fatto troppo poca attenzione a questo
nostro compagno! Quanto più lo guardo, tanto più bello mi appare. Per il Cielo,
in verità, è una cosa stranissima!». (E rivolto all’angelo, gli chiede:)
«Ascoltami, o incantevole creatura, senti anche tu amore nel tuo bellissimo
petto?»
5. Risponde l’angelo: «Oh, senza alcun dubbio, perché il mio corpo
spirituale è simile alla Sapienza divina e la mia vita è l’eterno Amore di Dio,
il Signore. E poiché la mia vita è puramente amore, io devo certo sentire anche
l’amore, non essendo la mia vita stessa altro che amore purissimo.
6. Come hai potuto tu, un uomo del resto così saggio, farmi una simile
domanda? Vedi, quello che Dio, il Signore, in Se stesso dall’eternità era, è ed
in eterno sarà, lo dobbiamo essere anche noi, perché deriviamo perfettamente da
Lui e con ciò siamo assolutamente in tutto il Suo Essere, così come il raggio
del Sole è assolutamente quello che è il Sole stesso ed ha lo stesso effetto;
ma se è così, perché la tua domanda?»
7. Dice Cirenio: «Sì, sì, è tutto giusto e vero quello che dici ed io
l’avrei saputo anche senza la tua spiegazione, ma dovevo pure rivolgerti una
domanda, per sentire il tono del tuo discorso! Ora però non abbiamo più nulla
da dirci e perciò puoi ritornare al tuo posto!»
8. Osserva l’angelo: «Non spetta a te darmi un ordine simile, ma al
Signore soltanto!»
9. Dice Cirenio: «Amico, a quanto mi pare, malgrado la tua bellezza, la
sapienza e l’amore, sei tuttavia parecchio irremovibile nell’ostinazione
caparbia!»
10. Dice l’angelo: «Oh, affatto! Però nessun ordine può né deve essermi
dato dai mortali; infatti in me stesso io sono un signore e non permetto che
nessuno mi impartisca comandi. Il mio “io” ora, a prescindere dal fatto che
sono assolutamente in tutto una emanazione di Dio, è un “io” perfettamente
indipendente! Oltre a ciò non ho niente da temere di ciò che temono gli uomini
di questo mondo, perché dispongo di una potenza e di una forza tali quali tu
non potresti nemmeno immaginare. Ma se vuoi conoscerle più da vicino, domanda
qui al comandante Giulio ed a Giara, la mia allieva, oppure anche ai discepoli
del Signore; essi sono già in grado di dirti qualcosa a questo proposito!»
11. Dice Cirenio: «Signore, digli Tu che voglia ritornarsene al suo
posto, altrimenti comincerei sul serio ad avere timore di lui, perché vedo che
è davvero difficile avere a che fare con un simile essere! Egli diventa sempre
più aspro e violento e nonostante la sua bellezza non è assolutamente
trattabile!»
12. Dico allora Io all’angelo: «Ebbene, ritorna ora al tuo posto!». E
l’angelo obbedisce subito al Mio cenno e va ad occupare nuovamente il suo posto
vicino a Giosoe. E Cirenio ne è molto lieto, perché davvero aveva cominciato a
provare non poca paura nei confronti dell’angelo.
13. Subito dopo Giovanni e Matteo Mi chiesero se avrebbero dovuto
prendere nota di quanto era accaduto ed era stato detto durante la giornata.
14. Ed Io risposi loro: «Certo che potete farlo, ma non occorre che ne
prendiate nota per il popolo, poiché esso è ancora di duemila anni troppo
giovane per comprendere simili cose. Ora non conviene gettare le perle ai
porci, dato che questi non sono affatto in grado di distinguere un tale nobile
cibo da quello pessimo animalesco, di cui sono soliti nutrirsi. Ma per voi e
per pochi altri potete senz’altro fare le vostre annotazioni».
15. Ed i due discepoli prendono subito nota di tutto ciò mediante
adeguati segni e figure, per distinguerlo da quello che per Mio ordine avevano
fino ad allora scritto nei comuni caratteri ebraici.
La creazione
del Cielo e della Terra
1. Allora Cirenio Mi pregò di continuare la spiegazione della storia
mosaica della Creazione nella maniera consueta.
2. Ed Io gli dissi: «Amico, quello che ho cominciato, lo porterò di
certo a termine; qui si tratta anzitutto di vedere se voi potrete ben
comprendere ciò che vi dirò, perché, per capire a dovere la storia mosaica
della Creazione, si deve avere una conoscenza profonda di tutto l’essere umano;
ma arrivare a questo è altrettanto difficile quanto giungere alla piena e vera
conoscenza di Dio!
3. E così dovrei prima scomporre tutta la struttura materiale, animica
e spirituale dell’uomo, da fibra a fibra e dovrei infine mostrarvi come in
origine è sorto e si è formato l’elemento animico fuori da quello spirituale e
in quali innumerevoli rapporti di rispondenza, nello stesso modo in cui c’è
rispondenza tra l’infinito numero dei gradi di luce e il numero altrettanto grande
dei gradi di mancanza di luce.
4. Ora voi vedete che una cosa simile non si può ottenere tanto
facilmente e sollecitamente come voi forse pensavate; Io tuttavia voglio dirvi
a questo riguardo quel tanto che per il momento potete sopportare e per comprendere
il quale con una certa convinzione le vostre anime sono già provviste delle
necessarie esperienze e conoscenze preliminari. Dunque ascoltate!
5. Quando Mosè dice: “Nel principio Dio creò il Cielo e la Terra”, Mosè
non intende affatto parlare del cielo visibile e della Terra visibile e
materiale, perché egli, da sapiente genuino com’era, non ci aveva mai pensato,
poiché egli aveva nella sua mente illuminata sempre solo la pienissima,
interiorissima verità. Ma questa sua profonda sapienza egli la tenne celata
sotto a delle immagini corrispondenti così come a testimonianza di ciò dovette,
comparendo dinanzi al popolo, celare sotto un triplice velo la sua faccia
troppo raggiante.
6. Però per “Cielo”, che Mosè indica come creato per primo, si deve
intendere che Dio, avendo collocato in quel tempo la capacità intellettiva al
di fuori del Suo Centro eternissimo e spiritualmente purissimo, l’ha messa
allora in un certo qual modo come al di fuori di Sé, ma – come ho già detto –
soltanto la capacità intellettiva! Questa capacità è simile ad uno specchio, il
quale possiede certamente, anche nella notte più buia, la capacità di ricevere
in sé, o piuttosto sulla sua superficie molto liscia, in immagine gli oggetti
esterni in modo perfettamente fedele e vero, e di rifletterli. Ma nella notte
più assoluta, e in essa nell’assenza di oggetti altrettanto assoluta, lo
specchio tuttavia è una cosa che, molto evidentemente, non serve a nulla e di
nuovo nulla!
7. Mosè perciò, subito dopo la creazione di un Cielo, ovvero della
capacità intellettiva fuori dal Centro vitale di Dio, fa menzione di una, per
così dire, creazione contemporanea della Terra. Ma chi e che cos’è questa Terra
mosaica? Voi certo pensate che sia senz’altro di questa Terra che ci porta! Oh,
Miei cari, questo è un errore molto grande!
8. Vedete, con la parola ‘Terra’ Mosè ha voluto solamente indicare la
capacità di assimilazione e di attrazione delle intelligenze poste fuori affini
tra di loro, ciò che è quasi identico a quello che alcuni sapienti del mondo
dell’Egitto e della Grecia denominarono associazione di idee, associazione
dalla quale, per l’unione di concetti e di idee affini, deve risultare alla
fine un’intera frase ricolmata di verità.
9. Ma se nelle capacità intellettive poste fuori da Dio era già come
implicitamente condizionata la reciproca attrazione, in conseguenza
dell’affinità tra di loro, va da sé che se ne può trarre anche una terza
deduzione e cioè che le capacità intellettive affini tra di loro si sono anche
davvero reciprocamente attratte ed afferrate. Per questo atto allora ancora
profondamente spirituale, Mosè non poteva evidentemente ideare un’immagine più
efficace ed universale di quella appunto della Terra materiale, la quale in sé
e di per sé non è precisamente altro che un conglomerato di particelle
sostanziali che hanno capacità di attrazione e sono affini tanto fra di loro
come in se stesse.
10. Però Mosè prosegue dicendo: “Le tenebre erano ancora sull’abisso!”.
Ha voluto con ciò Mosè forse significare sul serio la mancanza di luce sulla
Terra appena creata? Io vi dico che una cosa simile non è mai passata per la
mente al sapiente Mosè neanche in sogno e neppure nei più ottusi primordi della
sua esistenza! Infatti Mosè era un grande conoscitore della natura del mondo e
troppo iniziato nella profondissima sapienza e scienza egiziane per non sapere
che la Terra, quale una figlia del Sole ed almeno di un miliardo di miliardi di
anni terrestri più giovane del padre Sole, avesse potuto al momento del suo
apparire essere tenebrosa oppure no. Invece Mosè ha voluto indicare in questo
modo, di nuovo attraverso dei simboli, che la capacità intellettiva e
l’affinità capace di attrarre delle intelligenze non sono ancora alcun
riconoscimento, comprensione né consapevolezza di sé – di qualsiasi tipo
possano essere –, tutte [caratteristiche] del tutto identiche al solo concetto
di “luce”, bensì devono essere condizione per il contrario, e questo così tanto
a lungo finché non si siano afferrate e non abbiano poi cominciato a stringersi
tra di loro, a sfregarsi e, in un certo qual modo, ad entrare in lotta l’una
contro le altre.
11. Non avete mai fatto attenzione a quello che avviene quando delle
pietre o dei pezzi di legno vengono con forza strofinati l’uno con l’altro?
Ecco, il fuoco e la luce si manifestano subito! Ebbene, questa è la luce che
Mosè disse che fu fatta nel principio!»
1. (Il Signore:) «Noi ora sappiamo qual è dunque il significato della
luce, ma prima è detto ancora che la Terra era vuota e deserta! Questa è certo
una cosa che va da sé, perché con la sola capacità di accogliere in sé qualche
cosa, come pure con il bisogno già sentito di accoglierla, non si è mai finora
potuto riempire alcun vaso. Ora, finché nel vaso non c’è niente, è chiaro che
anche il vaso stesso è deserto e vuoto.
2. Non altrimenti è avvenuto al tempo della Creazione primordiale. Dio,
mosso dalla potente forza di Volontà del proprio Amore e della propria
Sapienza, aveva posto fuori da Sé, e sparso in tutti gli spazi dell’Infinità,
una quantità sterminata di Pensieri e Concetti, Pensieri e Concetti che noi
abbiamo prima denominati singole capacità intellettive a mo’ di specchio, e
precisamente per la ragione che ogni singolo pensiero è in una certa maniera
una riflessione nel capo di ciò che il cuore, sempre in attività, produce in
sé.
3. Ma come un pensiero o un concetto è di per sé ancora simile ad un
vaso vuoto, oppure ad uno specchio in una cantina oscurissima, così anche la
complessiva affinità reciproca (delle idee) è sempre ancora deserta e vuota; e
poiché non si manifesta ancora alcuna attività delle capacità intellettive fra
di loro, bensì esistono soltanto pure capacità di esistere e di operare,
allora, così come già prima osservato, tutto rimane ancora freddo, senza fuoco
e senza luce.
4. Tutti questi Pensieri e Idee della Sapienza divina, inattive ed
immobili, vengono anche paragonate in modo molto calzante all’“acqua”, nella
quale pure sono mescolati innumerevoli elementi specifici come a formarne uno
semplice, dalla quale però alla fine tuttavia tutto il mondo corporeo trae la
propria esistenza estremamente multiforme.
5. Però tutti i grandi Pensieri e le Idee che si sono sviluppati da ciò
nella Sapienza di Dio, per quanto veri siano potuti essere, non sarebbero mai
potuti assurgere ad una qualche realtà, come realtà non potrebbero divenire i
pensieri e le idee di un qualche sapiente della Terra, qualora gli mancassero i
mezzi per la realizzazione. Se si vuole immaginare una qualche realtà che debba
seguire i pensieri e le idee, bisogna prima premettere l’esistenza dei mezzi
corrispondenti e, con il sussidio di questi, il manifestarsi di una vera
attività dei pensieri e delle idee, agente tanto interiormente che esteriormente
sugli stessi e proveniente da un’alta forza e potenza.
6. Qualora un qualche uomo abbia riunito poi dei pensieri in idee e li
voglia avere attuati, allora egli, a prescindere dal fatto che possieda o no i
mezzi materiali necessari al suo scopo, deve nutrire un grande e prepotente
amore per i suoi pensieri e per le sue idee. A questo punto i suoi pensieri e
le sue idee vengono ferventemente curati da un tale amore così come la gallina
cura i suoi pulcini. Tramite ciò i pensieri ed i concetti che si sono formati
da questi quali idee già più concrete, diventano sempre più vivi e sempre più
vanno sviluppandosi. E vedete, appunto tale Amore è lo Spirito di Dio in Dio
stesso, il Quale, secondo Mosè, si muoveva sopra l’acqua, che in se stessa non
significa altro che l’infinita massa dei Pensieri e delle Idee di Dio ancora
prive di forma e di entità.
7. Animati da questo Spirito, i Pensieri di Dio cominciarono a
costituirsi in grandi Idee, e un pensiero si strinse all’altro ed un’idea
all’altra. E vedete, così si verifica poi nell’Ordine divino come da sé il “Sia
fatta la luce!” e “La luce fu!”. E sulla scorta di ciò, secondo Mosè, si spiega
poi da sé anche perfino il grande atto della Creazione naturale nei primordi
del tempo, ed infine parallelamente, ed anzi principalmente, anche il processo
di formazione animica e spirituale dal bambino appena nato fino al vecchio, e
dal primo uomo apparso sulla Terra fino all’epoca attuale e così di seguito in
tutte le cose, fino alla fine di questo mondo che avverrà un giorno!
8. Ora, nel testo mosaico certamente appare una frase che potrebbe far
credere che Dio avesse cominciato ad accorgersi che la luce era buona soltanto
dopo aver constatato l’azione della luce sviluppatasi dal fuoco dell’attività
d’amore dello Spirito. Sennonché la questione non sta neanche lontanamente in
questi termini, bensì tale espressione è una pura testimonianza della Sapienza
di Dio, eterna ed infinita, secondo la quale questa luce è una luce spirituale
di vita veramente libera, sviluppatasi da se stessa in conseguenza
dell’attività dei Pensieri e delle Idee divine, conformemente all’ordine
prescritto dalla Sapienza. Per mezzo di questa luce i Pensieri e le Idee di
Dio, da Lui esteriorizzati, possono, come per azione propria, svilupparsi ulteriormente
e costituirsi, secondo la propria intelligenza, fino a diventare esseri
indipendenti, naturalmente sempre sotto la costante ed inevitabile influenza di
Dio. Così dunque va intesa la citata frase di Mosè, e non va assolutamente
interpretata come se Dio fosse appena giunto al riconoscimento soggettivo che
la luce era qualcosa di buono!».
La separazione
della luce dalle tenebre
1. (Il Signore:) «Adesso però si affaccia una questione che, considerata
proprio a fondo, riesce più difficile comprendere di tutto quanto ha finora
preceduto, perché più oltre è detto: “E Dio separò la luce dalle tenebre e
nominò la luce ‘giorno’ e le tenebre ‘notte’”. Però questa cosa si rende più
facilmente comprensibile se voi, invece dei due concetti molto generali usati
da Mosè, prendete come base di considerazione i concetti corrispondenti più
particolari, come sarebbe a dire per il “giorno” la “vita già indipendente” e
per la “notte” la “morte”, oppure per il “giorno” la “libertà” e per la “notte”
il “giudizio”, oppure per il “giorno” “l’essere indipendente” e per la “notte”
“l’essere vincolato”; oppure ancora per il “giorno” la “vita d’amore dello
spirito divino che già riconosce se stessa nella nuova creatura” e per la
“notte” i “Pensieri e le Idee fuori da Dio non ancora animati”.
2. Ma quest’ordine lo riscontrate altrettanto anche in qualsiasi
pianta, nella quale fino alla formazione del frutto non trovate altro che la
notte o la morte avida, dove lo Spirito di Dio, a causa della preparazione
della materia che porta la vita, si muove ancora sulle acque dell’abisso
tenebroso. Una volta però che il sostegno è giunto ad un grado di consistenza
tale da comportare nello stelo del grano la formazione dell’ultimo anello sotto
la spiga e quando l’effettivo vero spirito vitale comincia ad afferrarsi quale
un’entità indipendente, a percepirsi e nella chiara consapevolezza a
comprendersi, a riconoscersi ed a capirsi, allora evidentemente succede una
divisione, o meglio, una separazione della luce dalle tenebre, una separazione
della vita libera dalla vita giudicata, o propriamente della vita
indistruttibile dalla distruttibile vita giudicata, che è simile alla morte
espressa nel concetto più generale e comprensibile di “notte”.
3. In seguito poi è detto: “Così fu sera e poi fu mattina; e fu il
primo giorno”. Che cosa è la “sera” e che cosa la “mattina”?
Ecco, la sera rappresenta qui quello stato in cui le condizioni preliminari
per l’accoglimento finale della vita d’amore da Dio iniziano, sotto l’influsso
dell’onnipotente Volontà di Dio, a constatarsi (manifestarsi) e ad afferrarsi
tra di loro, ugualmente ai singoli pensieri e concetti che si congiungono tra
di loro fino a formare un’idea. Una volta che questa è constatata (prosperata)
fino all’ultimo anello sotto la spiga, allora il compito della sera è terminato
ed ha poi inizio l’attività libera ed indipendente per il suo sviluppo autonomo
nel frutto. Ma come gli uomini chiamano mattina il passaggio dalla notte al
giorno, così in modo corrispondente il passaggio dal precedente stato giudicato
e non libero della creatura allo stato libero ed indipendente fu chiamato pure
mattina. E vedete, Mosè non ha commesso affatto alcun errore di logica facendo
sorgere dalla sera e dalla mattina il primo e poi tutti i giorni seguenti!
4. Ma che Mosè faccia sorgere dalla sera alla mattina sei di tali
giorni, ciò si spiega con il fatto che da un esame accurato risulta che ogni
cosa, dai suoi primordi fino al completo finire del suo sviluppo per essere
quello che è, deve sempre passare, secondo l’immutabile Ordine divino, per sei
periodi prima di potersi dire compiuta e poter essere quello che per il momento
deve essere, così come la spiga perfettamente matura del grano sullo stelo
morto.
[Ecco le sei fasi].
5. Primo giorno: la posa del seme nel terreno fino al germoglio;
secondo giorno: dal germoglio alla formazione dello stelo e delle foglie di
aspirazione e di protezione; terzo giorno: dalla formazione dell’ultimo anello
immediatamente sotto il primo strato di sostegno della spiga alla formazione
della spiga; quarto giorno: da qui alla formazione ed alla sistemazione dei
vasi di contenimento simili a stanze nuziali per la generazione della vita
libera e indipendente, compresa la fioritura; quinto giorno: quindi la caduta
del fiore, lo sviluppo del vero frutto già portatore di una vita libera e la
manifestazione dell’attività libera nel frutto, quantunque ancora vincolata
agli stadi precedenti non liberi che forniscono ancora una parte del nutrimento
per la formazione delle membrane, pur continuando tuttavia a prendere il
nutrimento principale dai cieli della luce e dal vero calore vitale, tutto ciò
fino alla completa formazione del frutto; sesto ed ultimo giorno: finalmente lo
svincolo totale del frutto, diventato maturo nel suo involucro, dove il seme
poi, unicamente agli scopi del suo perfetto consolidamento e come ormai entità
completamente isolata e del tutto indipendente, richiede il vero cibo dei
cieli, lo accoglie e se ne sazia per la vita liberissima e indistruttibile, per
l’eternità: questo è il processo di formazione e della piena liberazione della
vita.
6. Il settimo giorno poi subentra il riposo e questo è lo stato della vita
ormai pronta, completamente matura e che ha sussistenza per l’eternità,
consolidatasi attraverso gli stadi antecedenti ed in possesso della perfetta
somiglianza a Dio».
Lo scopo
finale di tutta la Creazione
1. (Il Signore:) «Se voi meditate più profondamente e con maggior senso
di maturità di quanto sono soliti fare gli uomini del vostro tempo su ciò che
vi ho detto ora anche solo per poco, voi troverete e vedrete facilmente, se
anche non proprio assolutamente in tutta la sua profondità, che Mosè con tutta
la sua storia della Creazione, esposta sotto il velo di eccellenti immagini, ha
voluto indicare il sorgere e il progredire di tutte le cose dalle loro prime
origini fino alla loro suprema perfezione, dimostrazione questa che è l’unica
vera e che concorda perfettamente con l’ordine della Sapienza eterna.
2. Chi non comprende Mosè in questa maniera, è meglio che non lo legga;
infatti se lo legge ma lo comprende in maniera contraria e storpiata da quella
che è la vera, costui, dopo averci pensato un po’, deve finire con lo smarrirsi
completamente e con il non poter trattenere il proprio sdegno contro l’illogica
stupidità di Mosè. Però la sua indignazione non può limitarsi a ciò, ma deve
infine rivolgersi contro la perfida stupidità di coloro che con il ferro e con
il fuoco diffondono tra gli uomini una dottrina priva di logica e di buon
senso, spacciandola addirittura per una ispirazione divina, senza badare
affatto se a loro stessi essa appaia anche come una assoluta stupidaggine.
3. Ma chi invece legge Mosè e lo interpreta così come veramente va
compreso, costui riconoscerà in lui non soltanto il profeta dalla sapienza più
vasta che vi sia stata finora, bensì anche il profeta verissimo, intensamente
compenetrato dallo Spirito di Dio, il quale aveva la capacità più ampia, oltre
alla volontà più ferma, di annunciare a tutta l’umanità delle verità
assolutamente genuine riguardo alle profondità delle profondità su Dio e su
tutte le cose create, così come egli nel suo spirito gigante le aveva ricevute
dallo Spirito di Dio stesso!
4. Così si sono formati i soli per sé, le terre per sé, ed ogni singola
cosa sui soli e sulle terre per sé, come pure nella loro connessione
universale. E ugualmente così è sorto l’uomo, tanto nel senso più stretto per
sé, quanto nel senso più lato e generale, poiché l’intera Creazione in tutta la
sua universalità corrisponde ed è perfettamente uguale ad un uomo, e poiché
anche all’uomo corrisponde e deve corrispondere ogni singola cosa in tutta
intera la Creazione spirituale e materiale, dalla più grande alla più piccola,
perché la ragione vera e la meta finale della Creazione universale è l’uomo.
Egli è il prodotto ultimo, a plasmare il quale hanno sempre mirato tutte le
fatiche di Dio.
5. E poiché appunto l’uomo è lo scopo che Dio, per mezzo delle
precedenti creazioni, si era proposto di raggiungere ed ha anche raggiunto,
come voi ne siete la irrefutabile prova, così nei Cieli e su tutti i corpi
mondiali tutto corrisponde sotto ogni aspetto all’uomo. Questo è quello che
Mosè ha voluto rappresentare con la sua storia della Creazione, come anche
l’hanno voluto rappresentare altri maestri dei popoli, anche se in forma ancora
più velata. Ora tutto ciò esaminatelo bene e riscontrerete senz’altro che le
cose stanno effettivamente in questi termini e che non stanno altrimenti, né
possono assolutamente stare!
Ma tu, Cirenio, dimMi ormai se ti sei soddisfatto di Mosè!».
Testimonianza di Cirenio sulla storia della Creazione
1. Risponde Cirenio: «Signore e Maestro, in verità, la Tua sapienza
spazia ad altezze infinite al di sopra di ogni massima sapienza che abbia mai
benedetto la Terra! Infatti è già una gran cosa essere per sé un grande
sapiente, ma infinitamente più grande è rivelare la più profonda ed occulta
Sapienza di Dio con parole intelligibili così da renderla con facilità e
chiarezza accessibile agli uomini privi di una qualche particolare cultura in
un simile campo, come ci troviamo noi! Secondo me questo non è possibile che a
Dio, perché un uomo, per quanto saggio, non può, come Mosè, in ultima analisi
fare altro che rivestire di una forma la sapienza infusagli dallo Spirito di
Dio e presentarla per via di simboli corrispondenti, ovvero questi gli vengono
già forniti come grani di semente che egli poi come un seminatore va spargendo
nel terreno dei cuori umani. Da questi grani di semente in seguito cresce bensì
qualche corrispondente frutto, ma gli uomini riconoscono ben spesso i frutti
altrettanto poco, quanto poco avevano riconosciuto la semente sparsa nei loro
cuori e finisce che una tale seminagione ottiene magrissimi risultati che, se
anche gli uomini ne raccolgono dei frutti maturi, essi sanno per lo più a mala
pena cosa ne possano fare e come sono veramente da utilizzare.
2. Comunemente già i primi spargitori di semi ne fanno un uso che non è
mai del tutto perfetto e tanto meno poi i loro tardi successori, perché, se i
primissimi seminatori del germe della sapienza avessero poi creato dei frutti
per un uso perfettamente vero e giusto, tutti i loro successori non potrebbero
a loro volta non farne anche un uso giusto e buono, ma, siccome certamente a
causa di una erronea comprensione già i profeti stessi hanno in qualche modo
commesso degli errori rispetto alla loro dottrina mal compresa, ne segue che
tali lievi errori furono senza dubbio la causa degli errori maggiori in cui
sono incorsi i loro successori!
3. È certo possibile che Mosè ed Aronne siano vissuti in modo
interamente conforme alla loro dottrina rivelata dallo Spirito di Dio; però se
essi abbiano altrettanto interamente compreso la loro dottrina data da Dio come
Tu ora ce l’hai rivelata, questa è una grande domanda, giustificata da più di
un legittimo dubbio, perché una lingua straniera ed i rispettivi caratteri si
possono benissimo riportare su di un foglio con tutta esattezza, anche senza
comprendere niente della sostanza!
4. Ma data la maniera in cui Tu, o Signore, ci hai ora spiegato la
Genesi di Mosè, non può sussistere nel cuore umano più alcun ulteriore dubbio e
l’osservanza di una tale dottrina tanto riguardo alla giusta comprensione,
quanto all’attività conforme da svolgere, non può evidentemente essere a sua
volta altro che cosa giusta e vera!
5. Ma poiché Tu, o Signore, sei già disposto a fare rivelazioni con
tanta generosità nel campo delle verità più profonde ed occulte, dacci, in
grazia, ancora qualche piccolo chiarimento riguardo alla cosiddetta “Caduta
degli angeli”, cioè dei primi esseri creati, poi riguardo alla “Caduta di
Adamo” e finalmente riguardo al “Peccato originale”, come viene chiamato, dal
quale, come una triste eredità, sono state gravate tutte le generazioni che
seguirono. Se reputi che non sia troppo tardi e che sia per noi possibile
formarcene un’idea, per quanto vaga, facci intendere dalla Tua santa bocca in
proposito, almeno a grandi linee, un qualche cenno, affinché noi possiamo anche
a questo riguardo sentirci sollevati almeno di poco al di sopra della comune
vita abituale!»
6. Dico Io: «Oh, Mio carissimo amico, questa è una faccenda ancora più
difficile della storia mosaica della Creazione, quantunque veramente sia in
questa già pienamente compresa e per l’investigatore zelante stia lì come un
oro puro visibilmente incastonato nella roccia. Ma se è tuo desiderio avere
solo qualche cenno fondamentale e non una spiegazione esauriente e dettagliata,
Io lo esaudirò molto volentieri, poiché, per svolgere più ampiamente
l’argomento, nessuno di noi avrebbe tempo sufficiente, visto che siamo già
vicini alla terza vigilia. Dunque chi ha orecchi per udire, oda!».
Sulla caduta
degli spiriti, sulla caduta di Adamo e il peccato originale
1. (Il Signore:) «La caduta dei primi spiriti creati, ovvero delle
libere ed animate Idee di Dio nello spazio infinito, è la grande separazione
alla quale accenna Mosè quando dice: “E Dio separò la luce dalle tenebre!”.
Ora, come tutto ciò sia da intendersi nel suo vero senso, per via di adeguate e
giustissime rispondenze, Io l’ho già indicato a sufficienza a voi tutti. La
conseguenza fu la necessaria costituzione materiale del mondo nelle sue parti
grandi e piccole, cioè i soli, le terre, le lune e tutto ciò che vi è in esse e
su di esse, sparso nello spazio infinito.
2. Per quanto poi concerne la “Caduta di Adamo”, questa ha certamente
già più oggettività della cosiddetta “Caduta degli angeli”, però nella sua
rispondenza è tuttavia simile alla caduta degli angeli; solo che nel suo caso
ci si trova già di fronte ad una legge positiva, mentre nel caso della caduta
degli angeli sarebbe stato prematuro parlare di una legge positiva, per la
ragione che in quei tempi remoti si trattava appena di iniziare la grande evoluzione e lo sviluppo degli esseri
destinati alla libertà e, per conseguenza, all’infuori di Dio non esisteva
ancora nessuna tale intelligenza alla quale fosse stato possibile dare una
legge positiva.
3. Perciò nel caso della cosiddetta “Caduta degli spiriti” dovette
anche verificarsi una separazione necessaria e costretta, mentre quella
adamitica, già originata in lui e da lui stesso, fu spontanea e non si trattò
dunque in nessun modo di una costrizione, bensì di un atto libero del primo
uomo di carne già libero in tutte le sfere animiche. Nel suo complesso, il
fatto tuttavia resta anch’esso un atto previsto nell’Ordine segreto di Dio,
però non è mai la conseguenza di una costrizione assoluta, bensì con la formula
“tu puoi” e “tu non puoi”, poiché è concessa la decisione alla libera volontà
dell’uomo ai fini del suo consolidamento tramite la sua propria attività.
4. Vi è qui la stessa differenza che c’è tra il bambino che non può
fare ancora uso delle proprie gambe e deve perciò venire portato da un luogo
all’altro, ed un uomo sano che già da molto tempo può camminare da solo e bene
con tutta sicurezza.
5. Ora, chi può camminare da solo, non occorre più che venga portato
come un bambino in un dato luogo che si vuole raggiungere con lui e per causa
sua, ma basta invece indicargli la via più breve e sicura che lo porterà al
luogo designato. Se l’uomo è sano e vuole incamminarsi, allora egli raggiungerà
sicuramente e senza pericoli la meta, ma se invece devia o fa inutili giri,
deve poi ascrivere soltanto a se stesso se la meta che si era preposto può
raggiungerla spesso soltanto molto più tardi e tra gravi difficoltà.
6. Qualcosa di simile si è verificato anche in Adamo. Se egli avesse
osservato il comando positivo, allora l’umanità, ossia l’anima perfetta
dell’uomo, non si sarebbe trovata a dover abitare nel corpo di carne molto
compatto, pesante e debole che ora è pieno di tanti acciacchi e difetti.
7. Ma la disobbedienza alla legge positiva ha necessariamente portato
il primo uomo a deviare ed a mettersi per una via che non è la diritta, dovendo
percorrere la quale, il raggiungimento della meta è molto più difficile e può
avvenire soltanto molto più tardi.
8. Tu certamente pensi e fra te e te dici: “Suvvia, come mai è
possibile che osservare o non osservare una piccola legge semplicemente
d’ordine morale possa avere un influsso tanto essenziale su tutta la natura
dell’uomo? Adamo, anche senza lo sciocco gustare del frutto, sarebbe pur
sicuramente rimasto quello stesso Adamo di carne che si trovò essere dopo avere
mangiato il frutto, ed un giorno avrebbe ugualmente dovuto morire, secondo la
carne, precisamente come ancora oggi tutti gli uomini muoiono!”.
9. Da un lato tu hai ben ragione, ma dall’altro lato anche torto. Il
mangiare una mela, che è un frutto sano e dolce, non è sicuramente letale,
poiché altrimenti ora tutti gli uomini che mangiano mele dovrebbero morire poco
dopo. Dunque, la mela in se stessa conta poco o anche nulla. Se però ne viene
vietato il consumo per un tempo indeterminato, e questo viene fatto unicamente
allo scopo di un maggior consolidamento dell’anima, ma l’anima, consapevole del
proprio libero arbitrio, disprezza la legge e la trasgredisce, allora essa in
un certo senso opera una rottura nel proprio essere. E questa rottura
assomiglia allora ad una ferita aperta, che è quanto mai difficile guarire
completamente. Infatti, anche se la ferita cicatrizza, mediante la cicatrice
una quantità di vasi subiscono un restringimento, a tal punto che in seguito
gli umori vitali dell’anima non possono circolare bene attraverso questi vasi,
ed essi esercitano sempre una pressione fastidiosa e dolorosa nel punto dove
c’è la cicatrice.
10. Ma, a causa di ciò, l’anima viene distolta dal dedicare la sua
attività principalmente al libero prosperare dello spirito in lei ed essa si
affatica quasi esclusivamente a far sì che la cicatrice nuovamente svanisca. E
vedete, questa cicatrice si chiama “mondo”!
11. L’anima tenta bensì continuamente di liberarsi da questa cicatrice,
perché questa le causa dolore, il quale è espresso nelle cure e nelle
preoccupazioni mondane, ma tanto più l’anima vi si affatica intorno, tanto più
la cicatrice si indurisce e tanto maggiori sono le sue cure e le preoccupazioni
che essa causa, cosicché, infine, l’anima non può trovare altro da fare se non
occuparsi unicamente della guarigione di questa vecchia cicatrice, vale a dire
per liberarsi da ogni cura e non si occupa più che poco o niente del proprio
spirito. E vedete, questo è il cosiddetto “peccato originale”!».
1. (Il Signore:) «E qui si domanderà: “Ma come mai una cosa simile può
venire trasmessa per eredità?”. Ed Io vi dico che la cosa avviene molto facilmente,
specialmente nella formazione organica dell’anima. Quello che essa ha una volta
acquisito, può restarle per migliaia di anni, qualora lo spirito non intervenga
a ristabilire il pieno ordine in lei. Considerate la stirpe di un popolo! Se Io
vi presentassi qui oggi il primo capostipite primordiale dal quale essa è
discesa, voi riconoscereste subito che una somiglianza non piccola si è
perpetuata in tutti i suoi discendenti. Se il capostipite fu un uomo buono e
mansueto e così pure la sua donna, allora tutto il popolo che è sorto da lui,
salvo poche eccezioni, sarà di carattere più buono e mansueto di quanto potrà
esserlo un altro popolo che ha avuto per capostipite un uomo collerico,
orgoglioso e prepotente.
2. Ma se un lieve, non indelebile tratto [caratteristico] di un
capostipite può, nel fisico e nella morale, venire benissimo riconosciuto in
tutti i suoi discendenti ancora per un paio di migliaia di anni, quanto più non
dovrà essere riconoscibile in tutti i suoi discendenti un tratto [caratteristico]
del primo uomo apparso sulla Terra? Bisogna notare che in principio la sua
anima era molto più sensibile e conseguentemente molto più suscettibile che non
le anime successive, alle quali la caratteristica del padre fu trasmessa nella
corrente del seme vitale immediatamente all’atto procreativo e per questa
ragione un simile segno caratteristico nel primo uomo non poteva venire più
cancellato per via naturale, né meno ancora annullato. Purtroppo una cicatrice
di questa specie deturpa molto l’anima, e Dio in ogni tempo ha fatto tutto
quanto era possibile perché una qualche anima riuscisse con le proprie forze a
farla svanire da sé per sempre, ma, fino ad oggi, la cosa non è affatto
riuscita particolarmente bene, e perciò ora sono venuto Io stesso su questa
Terra per estirpare l’antica deturpante cicatrice!
3. Ed Io anche la estirperò, ma ciò avverrà a causa delle molte piaghe
che saranno inferte alla Mia Carne. Questa cosa voi non potete ancora
comprenderla, ma quando sarà venuto il tempo, voi pure la comprenderete e poi
il santo Spirito di ogni Verità vi guiderà anche a questo riguardo in ogni
sapienza.
4. Ma voi avrete pure letto in Mosè come lui parli della maledizione
[scagliata] da Jehova sopra la Terra, là dove è detto: “Tu ti guadagnerai il
pane con il sudore della tua fronte!”. E poi è detto pure, subito dopo la
maledizione [scagliata] sopra la Terra: “Tu porterai spine e cardi”.
5. Vedete, se voi doveste intendere ciò materialmente, secondo il
significato esteriore della parola e se davvero la cosa dovesse essere
considerata materialmente, voi avreste il pieno diritto di incolpare Dio di
assoluta mancanza di Sapienza! Ma siccome una tale frase è da prendersi e
comprendersi solo nel senso animico e propriamente spirituale, allora una
simile colpa decade da sé e così l’uomo deve sempre ascrivere a se stesso la
colpa di ogni peggioramento che avviene nel suo essere, come pure deve
attribuire a se stesso la colpa se talvolta, in qualche paese, il raccolto riesce
peggiore di quanto normalmente dovrebbe essere, perché, nel caso del tempo che
fa sulla Terra, non proprio tutto dipende da Dio e la sua parte ce l’ha anche
l’uomo.
6. Una volta che un’anima è giunta al punto di essere perfettamente
conscia di se stessa e di poter far uso della propria ragione quel tanto che
basta per scorgere e riconoscere bene in sé l’Ordine di Dio, essa, da quel
momento in poi, allo scopo del proprio consolidamento, deve diventare
spontaneamente attiva, naturalmente conformemente all’Ordine divino
riconosciuto ed in lei esistente, ma se in qualche punto non procede così, anzi
evita di farlo, oppure fa addirittura il contrario, essa evidentemente produce
da se stessa in quel punto una lesione non facilmente cancellabile, dalla
quale, con le sue forze, non può mai più guarire, perché con ciò tutta la sua
attività diventa già un’attività più o meno disordinata, la quale è chiaro che
col tempo deve dare come risultante un numero sempre maggiore di limitazioni
animiche, come sarebbe ogni tipo di cecità, di stoltezza, di incomprensione, di
lentezza di concezione, di timore, di scoraggiamento, di tristezza, di
angoscia, di fastidio, di ira, di furore e infine perfino di disperazione
stessa.
7. Ecco, queste sono appunto le “spine” ed i “cardi” che il “terreno”,
vale a dire le atrofizzate capacità intellettive dell’anima, faranno prosperare
in lei, come fanno le piante parassite sui rami di per sé sani degli
alberi.
8. La “maledizione di Dio”, poi, altro non è che la chiara percezione
infusa nell’anima, che si è guastata da se stessa, che veramente si è rovinata
da sola andando contro l’Ordine divino e che per questa ragione dovrà per
l’avvenire cercarsi e provvedersi il pane con il sudore della propria fronte
per colpa assolutamente sua.
9. E il “sudore della fronte” corrisponde appunto alla già ben nota
cicatrice delle preoccupazioni dell’anima, che quest’ultima si è prodotta da
sola gustando la mela citata da Mosè, cosa che l’anima avrebbe potuto benissimo
evitare».
Preoccupazioni
del mondo e le loro cattive conseguenze per l’anima
1. (Il Signore:) «E perciò Io dico ora a voi tutti che è bene bandiate
da voi ogni inutile preoccupazione, poiché ogni preoccupazione che sorge a
causa del mondo è appunto un vincolo materiale, mediante il quale l’anima si
lega alla materia attraverso l’antica cicatrice di Adamo. Ma quanto più l’anima
si vincola alla materia della propria carne, tanto più viene trascurato il
progredire del vero spirito di Dio in lei, e quanto più poi l’anima, a causa
delle preoccupazioni del mondo, si congiunge con il corpo, il quale in sé non
rappresenta altro che un giudizio, una triste necessità e di conseguenza la
morte stessa, tanto più essa va perdendo il riconoscimento e la nozione della
vita eterna ed indistruttibile in lei. Ma invece quanto più essa si scioglie da
questi lacci, tanto più libera ridiventa sotto ogni rapporto, e quanto più essa
si congiunge con lo spirito divino in lei, tanto più limpido e vivo si fa in lei
il riconoscimento e la conoscenza della vita eterna.
2. Dunque, se qualcuno ha ancora un gran timore della morte del corpo,
la sua anima si trova congiunta ancora fortemente con la carne e molto
debolmente con lo spirito, perché un grande amore per la vita su questo mondo è
un segno sicurissimo che l’anima si è ancora molto poco occupata della vita
eterna del proprio spirito in essa, e la colpa di ciò va ascritta all’antica
cicatrice della ferita inferta da Adamo a se stesso e con lui a tutte le anime generate
nella carne.
3. Eppure ogni anima, se fortemente lo vuole, può perfettamente guarire
da una tale cattiva cicatrice, perché Dio già allora in presenza di Adamo prese
a questo scopo i provvedimenti più sicuri, e lo stesso Adamo nel suo ultimo
periodo è stato quasi completamente risanato. Enoch, però, ne è stato
completamente risanato; perciò egli è stato trasformato anche nella carne, come
pure alcuni tra i primi padri della Terra. Ma siccome i loro successori si
mescolarono con i figli di padri non guariti, allora il vecchio male adamitico
rimase tuttavia, più o meno potentemente presente, tra gli uomini continuamente
a loro tormento.
4. Da ciò traggono origine anche i parti dolorosi delle donne, come
pure il numero piuttosto grande dei modi dolorosissimi di morte fra gli uomini.
Infatti un’anima naturale, già ferita dalla corrente seminale dell’uomo, si
congiunge subito con grande tenacia anzitutto con la carne della madre e deve
poi, all’atto del parto, venire data sempre violentemente alla luce del mondo
con ogni tipo di lacerazioni del legame [carnale]. I figli invece, come un
Isacco e di simili ce ne sono ancora una quantità a questo mondo, sono stati
dati alla luce del mondo senza che la madre sentisse alcun dolore.
5. Altrettanto sia detto del morire. Gli uomini che tengono molto alla
vita terrena e ad essa dedicano tutte le loro cure, devono soffrire molto già
durante la loro breve vita su questo mondo, si ammalano spesso nell’anima e
certamente subito dopo anche nel corpo, devono spesso lottare con sofferenze
talvolta insopportabili ed escono infine da questo mondo tra dolori strazianti,
che molto spesso si ripercuotono per lungo tempo anche dopo la separazione dal
corpo, e questo è particolarmente il caso di quelle anime che, durante la vita terrena,
si trovarono molto bene e comodamente nei loro corpi. Le anime, invece, che già
a questo mondo sono giunte alla salutare convinzione che tutti i beni della
Terra non possono essere di nessun giovamento all’anima, visto che essi devono
precipitare nella morte come il corpo, non hanno per prima cosa da temere che
assai poco da qualsiasi genere di malattie del corpo, perché si sono, per
quanto era possibile, già liberate dall’antica cicatrice di Adamo, ma in
compenso hanno ritrovato in sé il loro spirito, l’alito di Dio, e lo hanno
coltivato con ogni vera cura.
6. Quando la vita dell’anima si è unita al proprio spirito, allora
anche al corpo viene poi gradatamente dato un indirizzo più spirituale e perciò
esso si rende più insensibile alle impressioni del mondo materiale esteriore;
infatti ogni malattia del corpo è di solito la conseguenza del lacerarsi di un
qualche legame con il mondo. In poche parole succede così: il corpo viene
costipato con migliaia delle necessità più diverse dall’anima che ha fame di
vita; ma se il corpo, in seguito a condizioni climatiche e di migliaia di altro
genere, non può venire soddisfatto, allora l’uno o l’altro legame che lo unisce
all’anima deve venire lacerato, e il corpo poco dopo si ammala e diviene molto
sofferente, e con lui anche l’anima, la quale in fondo è, assieme al corpo,
anzi in primissima linea, veramente colei che sopporta il dolore.
7. Ma se l’anima ha abituato il proprio corpo e con ciò se stessa al
maggior numero possibile di rinunce nel campo mortifero del mondo, allora alla
fine non esisteranno appunto molti legami tra i beni morti della Terra ed il
corpo, e ci sarà di conseguenza anche ben poco da lacerare con dolore. Ma se in
questo modo viene tolto, per quanto possibile, ogni motivo al manifestarsi di
malattie del corpo, allora vorrei sapere Io stesso da dove possono ancora
venire queste malattie nel corpo e nell’anima sensibile.
8. Anzi, in tali uomini il corpo stesso difficilmente sente un qualche
dolore, anche se viene martoriato e tormentato con infernali mezzi
esteriori!
9. Rammentate la storia dei giovani nella fornace ardente! Essi
cantavano nella pienezza della gioia di vivere e lodavano Dio. E benché i loro
corpi con il tempo venissero consumati dalla perversa violenza esteriore,
tuttavia essi non ne sentirono alcun dolore, perché già da lungo tempo prima si
erano liberati da ogni legame con il mondo ed erano una cosa sola con il loro
divino spirito. E così una tale anima, perfettamente ricongiunta al suo
spirito, nel separarsi dal corpo, con il quale già da molto tempo non stava più
connessa in un saldo legame materiale, bensì solo spirituale e sottilissimo,
non soltanto non sente affatto alcun dolore, bensì percepisce invece in tutto
l’essere una sensazione di deliziosa beatitudine e all’atto della separazione
non perde assolutamente né la coscienza, né la luce della vista
animico-spirituale e tanto meno l’udito, l’olfatto, il gusto e il nobilissimo e
sottilissimo senso del tatto, come ora li possiede il nostro angelo Raffaele.
10. Però, come detto, per giungere a questo punto è necessario che
l’uomo si liberi prima di tutto dall’antico peccato adamitico, e questo non si
può ottenere in nessun altro modo se non in quello soltanto che Io vi ho
appunto ora indicato: bisogna che l’anima liberamente attiva getti via tutte le
preoccupazioni mondane, perché un altro mezzo non esiste! Una volta che queste
siano state tolte, poi tutto nell’uomo ritorna nell’antico Ordine divino e
l’uomo viene poi ad essere di nuovo interamente uomo secondo l’Ordine di Dio. E
vedi, questo è quello che di pieno diritto si chiama “peccato originale”!.
Considerata in sé, è evidentemente la carne quella cui, a ragione, compete il
nome di peccato originale; però, considerata la cosa nella sua rispondenza
spirituale, sono appunto le molteplici preoccupazioni a causa della carne
quelle che rappresentano il peccato difficilmente sradicabile di Adamo in tutti
i suoi successori.
11. Però questa cicatrice dell’anima non può venire cancellata del
tutto se non con il mezzo che Io vi ho indicato e attraverso ancora un altro
mezzo, il quale però sarà reso noto ed accessibile agli uomini, per la salvezza
delle loro anime, solo dopo che sarà stata compiuta la Mia missione in questo
mondo. Giovanni il Battista, nel deserto, è già stato un precursore di questo
mezzo».
1. (Il Signore:) «Ma come in piccolissima proporzione avvenne con
l’uomo che cadde nel peccato e per questo si guastò nella propria natura, quasi
allo stesso modo avvenne a suo tempo anche con la creazione dei puri spiriti da
Dio.
2. Una volta che i Pensieri di Dio e le Sue grandi Idee sorte da questi
Pensieri si sono abbastanza trovati e si sono legati in un essere dotato di infinita
intelligenza, secondo l’originaria forma di Dio e hanno cominciato a divenire
consapevoli della loro libera autonomia, allora la prima cosa per renderli
completamente liberi è stata anche sicuramente quella di dare loro l’occasione per la libera attività
e di mostrare loro come e in quale maniera potevano diventare ed essere
liberamente attivi.
3. Ma come deve accadere questo? Si deve, in un certo qual modo, dire
loro semplicemente: “Ecco, ora siete vivi, come sorti da voi stessi, e potete
fare quello che volete!?”.
Ma qui sorge la domanda: “Esseri simili, la cui vita non ha ancora
nessuna esperienza, sono capaci di disporsi ad una qualche libera attività?”.
Sicuramente essi, come un vorace polipo, preferiranno saziare il loro essere
con un corrispondente cibo e certamente non faranno nient’altro. Una tale cosa
la potete vedere ed apprendere in modo del tutto naturale presso i popoli di
gran lunga ancora non desti spiritualmente; infatti tutta la loro
preoccupazione è rivolta al ventre, e tutta la loro attività mira a soddisfare
quanto meglio possibile questa parte del corpo.
4. Qualcun altro dirà: “Si dica a loro, in base alla loro capacità
intellettiva, ciò che devono fare, e così diventeranno certo attivi in base a
quello!”.
Bene, dico Io, ma se in questi esseri ancora molto inclini a giacere
nell’antica quiete, poiché da questa essi sono fuoriusciti, non è assolutamente
desto alcun senso di attività e per il momento neanche può essere desto, [se]
in essi l’amore per la completa inattività comincia a prevalere e dunque gli
esseri, nonostante ciò, non diventano autonomamente attivi, che fare allora? Si
obietterà: “Ebbene, li si costringa usando l’Onnipotenza più che evidente
insita nel Creatore!”.
5. Tutto ciò sarebbe giusto; ma che ne sarebbe allora dell’attività
assolutamente autonoma, la sola attraverso cui un essere creato può giungere
alla piena, indipendente, libera autonomia? Vedi, senza questa enunciata, piena
e indipendente autonomia, ogni essere creato resterebbe certo una pura
macchina, che diviene attiva solo a seconda della volontà e della libera
intelligenza del macchinista!
6. Dunque, da quanto finora esposto voi vedete molto facilmente che la
cosa non va e non può andare affatto con un qualsiasi “si deve”; infatti con il
“si deve” operano solo le macchine, di cui purtroppo sulla Terra, compresa la
Terra stessa, ce n’è una quantità ancora troppo grande e grezza. Anche
l’infinito spazio è pieno dappertutto di tali macchine del “si deve”. Infatti
tutti gli innumerevoli soli e terre e lune sono pure macchine, e tutti gli
esseri corporei su di essi ed in essi lo sono pure, così come anche il corpo di
ciascun uomo di per sé non è nient’altro che una ingegnosissima macchina che
può essere messa in moto nei modi più svariati mediante la libera volontà
dell’anima.
7. Ma se la cosa sta in questi termini, ed è impossibile che sia
altrimenti, in quale modo poi avrebbero potuto, i puri esseri spirituali creati
per primi, pervenire alla condizionata libera attività spontanea, dalla quale
soltanto è possibile giungere alla piena indipendenza? Evidentemente non
altrimenti e in nessun altro modo possibile se non con un Comandamento “Tu
dovresti”, anche se non così categorico come lo fu nel caso di Adamo.
8. Ma anche il solo Comandamento sarebbe dato inutilmente se, insieme
al Comandamento, contemporaneamente non fosse assegnato all’essere neocreato
anche l’impulso o lo stimolo a trasgredirlo. Ma quando viene assegnato
all’essere lo stimolo alla trasgressione, deve pure essere assegnata anche una
qualche cattiva conseguenza che ne derivi come da sé, in un certo qual modo
come una punizione, e all’essere devono essere mostrate le conseguenze, e che
queste conseguenze sono reali, e gli si deve mostrare come e perché queste
conseguenze sempre seguiranno e devono seguire ad ogni azione contraria al
Comandamento dato!
9. Anzi di più: bisogna perfino mostrare all’essere che all’inizio è
ben possibile per lui, cioè all’essere che trasgredisce il Comandamento,
ottenere un qualche vantaggio di breve durata, ma bisogna mostrargli però che
da questo iniziale vantaggio egli in seguito ricaverà sempre uno svantaggio di
lunga durata, che poi il porvi rimedio gli costerà sempre molta dura fatica e
dolorosi sforzi. Soltanto provvisto di tutto ciò, l’essere neocreato può cominciare
a fare un vero uso della propria libera intelligenza e della conseguente
capacità di azione, comunque vada, storto o diritto, giusto o non giusto. A
farla breve, l’essere neocreato diventa finalmente spontaneamente attivo da sé
e così comincia l’atto principale per la piena e vera indipendenza, e alla fine
è questo ciò che conta per tutti gli esseri intellettivi creati, poiché con
questo mezzo viene raggiunta l’indipendenza, in un modo o nell’altro, per una
via più breve oppure più lunga, ed è così prevenuto il pieno annientamento
dell’essere intelligente una volta che sia stato creato.
10. Che poi lo stato di indipendenza, al momento, sia beato o non
beato, ciò è la stessa cosa, naturalmente rispetto al Creatore; infatti a
ciascun essere è lasciata la porta aperta per accedere alla beatitudine per le
vie indicate. Se egli lo vuole, tanto meglio per lui; se invece non lo vuole,
va bene lo stesso! Infatti allora nessuno ne ha colpa se non l’essere stesso.
Egli conserva la sua indipendenza eternamente. Beato o no, allora è proprio la
stessa cosa, poiché in fin dei conti egli, come creatura, deve pur tuttavia
necessariamente essere conforme all’Ordine totale del Creatore.
11. Ma ora che sappiamo questo, non sarà più troppo difficile dedurre
da soli come sia avvenuta la caduta degli spiriti puri creati per primi.
Infatti anche a loro dovette essere dato un Comandamento e, assieme a questo,
il necessario stimolo alla trasgressione legato a momentanei vantaggi, e
dall’altra parte però, benché lo stimolo ad agire secondo il Comandamento non
fosse preponderante, era tuttavia chiaramente data la visione degli eterni
vantaggi che, anche se un po’ più tardi, sarebbero però sempre sicuramente
seguiti, e dovevano necessariamente seguire, all’azione secondo il Comandamento
stabilito!
12. Ora, che poi una parte degli esseri osservò il Comandamento e una
parte invece lo abbia trasgredito, questo risulta chiaramente dall’esistenza
della Creazione materiale visibile, la quale dovette seguire come giudizio,
ovvero come la punizione minacciata per la non osservanza del Comandamento
dato. Ed essa di per sé, spiritualmente intesa, non è altro che la via più
lunga per la beatissima esistenza, completamente libera, degli spiriti creati.
13. D’altra parte, però, il nostro angelo, che ora si trova qui con
noi, fornisce la prova altrettanto evidente di come conseguentemente
innumerevoli schiere di spiriti liberi allora creati abbiano tuttavia osservato
il Comandamento dato, benché esso non fosse rigidamente positivo [categorico]
come per Adamo, ed ora tutta la Creazione materiale è sotto ogni riguardo
subordinata alla potenza, forza e sapienza di questi spiriti.
14. Però, ovviamente, quest’angelo potrà dare ben poca prova, agli
uomini che verranno, del fatto che una stragrande parte degli spiriti puri
creati per primi non è caduta per il Comandamento dato, ma tale prova non è
neppure affatto necessaria per la beatitudine di ogni singolo uomo,
particolarmente fino a quando un qualsiasi uomo non sia ancora pervenuto, per
mezzo del proprio spirito, alla piena conoscenza di se stesso.
15. Se però un qualsiasi uomo perviene a questo, allora gli stanno
comunque aperti, come si suol dire, tutti i sette Cieli in ogni istante, e là
egli può procurarsi prove quante mai ne voglia avere. E con ciò, dunque, si è
già provvisto di tutto.
16. Dì tu, Mio caro Cirenio, se ora sei in grado di farti un’idea
abbastanza consistente della caduta nel peccato degli spiriti creati per
primi!».
1. Risponde Cirenio, ormai tutto contento: «Signore, Tu leggi
chiarissimo nel mio cuore ed altrettanto bene vedi nel mio cervello, cosicché
certamente meglio di ogni altro puoi giudicare se io ho compreso del tutto la
cosa, oppure soltanto a metà. Io almeno credo, per come lo sento, che questa
cosa adesso mi sia completamente chiara come il Sole, ma è altrettanto
possibile che dietro di essa si tengano celate ancora profondità immense di
concetto e di significati, che forse non sono mai ancora balenate per la mente
del più perfetto tra gli spiriti angelici perfetti. Ma, comunque sia, sono
perfettamente soddisfatto di quello che ora so e ne avrò abbastanza per
meditare, per tutto il tempo della mia vita, perché tutto questo è in sé una
cosa che sovrasta già ad altezze infinite l’orizzonte massimo della sapienza e
della conoscenza umana!
2. Solamente un essere, il quale certamente esiste, resta per me ancora
un enigma e questo è Satana e la sua congrega di demoni! Se Tu, o Signore,
volessi darmi anche a tale proposito qualche piccolo chiarimento, la mia anima
sarà saziata fino alla morte del mio corpo, perché qui vedo ancora assai poco
chiaro. Che cosa e chi è veramente Satana, chi e che cosa sono i suoi accoliti
che vengono chiamati “demoni”?»
3. Dico Io: «Anche questo argomento, a volerlo sviscerare a fondo, è
per la tua capacità di comprensione alquanto prematuro, però, per illuminare te
e tutti voi modestamente anche a questo riguardo, Io voglio tuttavia fornirvi
una breve spiegazione adatta al vostro intelletto; dunque ascoltateMi!
4. Vedete, tutto quello che è, che sussiste e che in qualche modo ha
esistenza non può essere, sussistere od avere una qualche esistenza se non a
causa di un certo continuo conflitto.
5. Ogni esistenza, non
eccettuata quella divina[5], ha in sé degli
opposti, come negativi e affermativi, che stanno sempre l’uno contro l’altro,
come il freddo e il caldo, la tenebra e la luce, il duro e il molle, l’amaro e
il dolce, il pesante e il leggero, lo stretto e il largo, l’alto e il basso,
l’odio e l’amore, il male e il bene, il falso e il vero, e la menzogna e la
verità.
6. Non vi è forza che possa in qualche modo manifestarsi qualora non le
si opponga una controforza.
7. Immaginatevi un uomo che ha la forza di mille Golia, tale dunque da
poter affrontare un intero esercito di guerrieri. Ma a che cosa gli gioverebbe
tutta la sua forza se lo si collocasse come le nuvole nello spazio libero
dell’aria? Vedete, la brezza più leggera, capace appena di muovere una foglia
qui sul terreno, avrebbe il potere di spingerlo, nonostante tutta la sua forza
e robustezza, continuamente nella medesima direzione in cui la stessa brezza
spira.
8. Ma affinché il gigante possa fare uso efficace della sua forza, egli
deve anzitutto avere un terreno solido che lo sostenga e che gli serva da
solido appoggio. Dunque, il terreno rappresenta già un [elemento] opposto al
nostro gigante, poiché, per esercitare la propria forza, gli è necessaria la
libertà di movimento e, oltre a ciò, anche [uno stato di] solida situazione di
stallo dell’[elemento] di appoggio, sul quale poter entrare in rapporto con lo
stato di solida quiete dell’appoggio o del terreno e quindi, associando alla
propria, la forza di quiete del terreno al quale si appoggia, poter tenere
fronte a qualsiasi movimento d’attacco contro di lui. Soltanto in questo modo
il gigante può fare veramente uso dalla propria forza. Se il terreno è
roccioso, allora non vi sarà alcun movimento d’attacco violento capace di aver ragione
di un simile stato di solida quiete, a meno che non sia violenta in un grado
pari o superiore al grado di concentrazione del principio di quiete stesso
insito nella roccia. Ma se il terreno è molle, e quindi meno in opposizione con
la capacità di movimento impetuoso del gigante, allora la forza del gigante
troverà nel terreno che gli è contrapposto troppa poca resistenza e perciò
potrà far fronte a mala pena ad una forza molto minore che agisce contro.
9. Per facilitare oltremodo la comprensione di questo fatto,
immaginatevi ancora questo gigante che ha, per esempio, la forza sufficiente
per sollevare su di un terreno solido il peso di mille uomini, ma mettiamolo
invece su un terreno paludoso che abbia appena quel tanto di solidità che
occorre per sostenere il peso del gigante e su questo terreno diamogli da sollevare un peso di dieci,
oppure addirittura di cento uomini, ed è certo che non lo alzerà nemmeno di un
dito dal suolo, perché, nel momento in cui inizierà ad agire con la sua forza
sul peso da sollevare, egli comincerà anche a sprofondare nel terreno molle e
tutta la sua forza sarà vana, non avendo sotto di sé alcuna controforza
corrispondente alla quale appoggiarsi.
10. Dunque, nessuna forza può avere per sé qualche effetto se prima non
entra in un certo qual modo in rapporto di conflitto con una controforza
corrispondente. Nel caso del nostro gigante, al suo peso e al suo movimento si
oppone evidentemente la rigida quiete del terreno e li vince anche fino ad un
certo grado, ed è appunto questa vittoria della quiete passiva del terreno che
infine diventa l’ausilio della forza motrice attiva e che ne misura l’energia».
1. (Il Signore:) «Con questo esempio, che speriamo sia stato esposto
con sufficiente evidenza, si spiega con chiarezza il perché un essere senza un
contro-essere sarebbe come se non esistesse affatto, nello stesso modo in cui
anche la forza del nostro gigante sospeso nello spazio libero dell’aria non
potrebbe avere nessun effetto corrispondente ad una causa; dunque, affinché
ciascun essere possa agire, deve trovarsi di fronte a qualche contro-essere.
2. Di conseguenza questo rapporto deve esistere nella giusta misura in
tutto ciò che è, altrimenti sarebbe assolutamente come se tutto ciò che è non
fosse!
3. E sempre per questa ragione anche la perfettissima esistenza di Dio
in se stessa deve comprendere, sotto ogni aspetto, gli opposti sviluppati in
sommo grado, senza i quali non ci sarebbe assolutamente nessun essere. Questi
opposti si trovano in permanente stato di lotta fra di loro, ma sempre in modo
tale che la continua vittoria di una forza sia sempre d’aiuto all’altra forza,
che in un certo qual modo è vinta, così come abbiamo visto quando si parlò
della vittoria riportata dal terreno rigido sulla forza agente del nostro
gigante.
4. Ora, avendo Dio un giorno voluto creare fuor da Sé degli esseri
liberi simili a Lui, allora Egli dovette evidentemente fornire anche ad essi
appunto gli opposti in contrasto fra loro, che Egli da ogni eternità possedeva
e doveva possedere in Se stesso nelle proporzioni naturalmente migliori e più
puramente ponderatissime, altrimenti Egli di certo non sarebbe stato mai operante.
5. Dunque, gli esseri vennero interamente plasmati secondo la Sua
immagine e somiglianza[6] e perciò alla
fine dovette venire loro necessariamente
conferita anche la capacità di
consolidarsi tramite la lotta degli elementi che si oppongono fra di loro e da
Dio riposti negli esseri stessi.
6. Ad ogni essere furono dati, come cosa perfettamente propria, quiete
e moto, inerzia e senso di attività, tenebre e luce, amore e ira, violenza e
dolcezza e mille altri svariati elementi; ci fu un solo divario e precisamente
nella misura.
7. In Dio tutti gli opposti erano già dall’eternità nell’ordine
supremamente migliore; negli esseri creati, invece, questi dovevano raggiungere
l’ordine dovuto, come per propria iniziativa, mediante la libera lotta, cioè
mediante la nota attività spontanea.
8. Ingaggiatasi quindi la lotta, vari furono i risultati. Da una parte
la vittoria spettò prevalentemente alla rigida quiete, e conseguentemente il
moto si trovò troppo subordinato, per la qual cosa esso continuamente e con tutto
ardore si da la massima fatica per rammollire la pietra e ridurla in uno stato
più simile e corrispondente ad esso; d’altro lato, invece, il moto riuscì
troppo vittorioso in tutte le sue parti e perciò viene continuamente combattuto
dalla quiete, più debole di lui, allo scopo di entrare con lui in rapporto
corrispondente.
9. Però in molti esseri gli [elementi] opposti hanno raggiunto la
giusta misura secondo l’Ordine di Dio, e il loro essere è, in questo modo, un
essere completo, poiché essi, tramite le loro capacità intellettive reciproche
e affini, si aiutano continuamente nel migliore dei modi fra di loro.
10. Ora vedete, laddove in un essere, durante il proprio libero
consolidamento, una qualche forza vuole ridurre, come in gran parte riduce,
tutte le altre controforze al silenzio inerte nella loro sfera tramite i suoi
sforzi prevalentemente ostinati, avviene che una simile forza si uccide, per
così dire, da sola, e si uccide precludendo ogni via che all’occasione potrebbe
presentarsi per rendere manifesta la propria forza. Ma una forza senza una
corrispondente controforza equivale, come già detto, assolutamente a nessuna
forza, cosa questa che abbiamo potuto constatare in modo ben preciso già prima,
considerando l’esempio citato del nostro gigante.
11. Una simile forza poi, resasi così in tutto prigioniera di se
stessa, deve avere anche naturalmente sempre la tendenza di catturare in sé
continuamente ancora più forze, per rendere se stessa più libera nella sua
dolorosa esistenza prigioniera. E vedete, questo è appunto quello che viene
chiamato “Satana” e “Diavolo”.
12. Satana è una grande personalità ed è corrispondente alla quiete
troppo rigida e all’inerzia, poiché questa prima grande personalità creata per
prima volle riunire nella propria entità tutte le altre forze ed è però per
questo che in se stessa è diventata morta ed incapace d’azione. Però le altre
forze vinte in lei, non sono tuttavia immerse nella quiete completa, ma vanno
continuamente esplicando un’attività e con ciò si personificano come [entità]
indipendenti. Attraverso questa attività però esse animano l’essere
fondamentale come di una vita apparente, e questa vita poi è evidentemente solo
una vita illusoria in confronto ad una vera libera vita.
13. Tali forze vinte, ma che non vogliono tuttavia riconoscere la
vittoria altrui, sono poi quello che di fronte a Satana viene chiamato
“diavolo”, oppure “spirito maligno”.
Ed ora vedi, Mio carissimo Cirenio, con ciò Io ti ho anche dato,
riguardo a Satana ed ai suoi accoliti, quel piccolo chiarimento che Mi hai
domandato! Ma se tu vuoi saperne di più, parla, ed Io voglio essere ancora più
preciso ed ampio nella spiegazione!».
L’ammaestramento
degli spiriti primordiali
1. Dice Cirenio: «Una certa idea, per quanto vaga, me la sono certo
formata, ed ho come l’impressione di comprendere veramente qualcosa, però siamo
ancora molto lontani da una chiarezza anche relativa. La cosa sembra dileguarsi
in una spiritualità tanto sottile da assumere, in fatto di chiarezza, un
aspetto del tutto differente da quello che può offrire il problema che due
pere, messe vicino ad altre due pere, ne formano quattro. Dunque, almeno per
conto mio, di una visione chiara a questo riguardo non c’è neppure lontanamente
da parlare, perché questo equilibrio delle forze tra loro è un concetto
talmente sottile e tenue che non saprei come ammettere che in un essere, come
sono io, possa stabilirsi tra dette forze un giusto rapporto conforme al buon
ordine e possano, nello stesso essere, bilanciarsi così da rendere possibile la
costituzione di un essere perfettamente simile a Dio in ogni sua attività.
2. Io sono dell’opinione che un essere neocreato, come qualcosa di
simile siamo tutti noi, non possa per virtù propria assolutamente, in maniera
perfetta, venirne a capo e di conseguenza non può in un certo qual modo neppure
venirgli addossata proprio tutta la colpa, se egli si è sviluppato del tutto
secondo il buon ordine oppure soltanto in parte o addirittura in modo del tutto
contrario al buon ordine; infatti chi potrebbe mai attribuire ad un uomo tutta
la colpa della sua rozzezza, se costui non avesse fin dalla nascita avuto
occasione di esercitarsi nelle maniere civili, come si usa fra la gente
educata?
3. Ma come è possibile pensare che gli esseri spirituali primitivi che,
prima quali Pensieri originari e Idee originarie di Dio, si sono afferrati in
una esistenza, avessero potuto avere già quel discernimento con il cui aiuto
essi avrebbero potuto svilupparsi subito secondo l’Ordine del Creatore? Non è
possibile che l’essere primordiale, per così dire, personale di Satana abbia
avuto il discernimento di un Michele, altrimenti avrebbe dovuto di certo
svilupparsi come Michele. In breve, o Signore, io mi trovo ancora molto in
sospeso tra la luce e le tenebre e non so proprio come fare per poter veramente
penetrare nella luce. Se le vengo troppo vicino, mi fa l’effetto come di essere
avvolto da una fiamma, e se invece mi allontano, allora si fa di nuovo tutto
oscuro intorno a me e mi trovo ad essere nel punto da cui ero partito.
4. Dunque, almeno per me, occorrerà a questo riguardo versare ancora un
po’ più d’olio nel lume del mio intelletto, affinché la questione possa
riuscirmi più chiara, sia pure solo lievemente, perché, come sono adesso, mi
pare di essere in uno stato mattiniero di dormiveglia. Da un lato mi opprime
ancora gli occhi il sonno della notte, mentre dall’altro la luce del giorno li
solletica, cosicché non possono più ritornare completamente al sonno. Perciò, o
Signore, destami interiormente, altrimenti non è difficile che possa accadermi
che, malgrado tanta luce mattutina, debba assumere la parte dell’addormentato
rispetto al pieno riconoscimento dell’Ordine divino in ogni sapienza e amore!»
5. Dico Io: «Ma carissimo amico, non per nulla Io ti ho anticipatamente
avvertito che simili cose molto difficilmente si possono comprendere a fondo.
Però, visto che ci tieni tanto a farti un’idea il più possibile giusta riguardo
a questo argomento, allora Io voglio tuttavia provare ad illuminarti
maggiormente mediante immagini e similitudini.
6. Anzitutto devo osservare che tu costruisci l’edificio del tuo
ragionamento sulla sabbia se credi che Dio abbia affidato agli esseri creati la
formazione di se stessi, prima che in loro ci fosse la capacità di riconoscere
l’Ordine divino pienamente in sé ed in tutta la sua profondità. In precedenza
molti furono gli insegnamenti [impartiti] ed immensi periodi di tempo
trascorsero fra il primo divenire dell’ordine creato per primo nei primi esseri
e quel periodo di tempo in cui poi a tali spiriti venne affidato il compito
della loro formazione derivata dall’attività spontanea.
7. Ricordati del tempo trascorso da Adamo fino a te, e vedi, tutto
questo periodo già abbastanza lungo è stato fino ad oggi ed è ancora
accompagnato da nient’altro che da insegnamenti provenienti da ogni parte.
8. Ed ora, dopo una così lunga preparazione, sono finalmente venuto Io
stesso e mostro chiaramente agli uomini le vie che essi devono percorrere
grazie alla loro forza interiore supremamente propria, forza che finora aveva
ricevuto la massima formazione possibile per il Pro e per il Contra (il pro e
il contro). Soltanto tramite questa Mia presenza viene concessa all’uomo la più
piena libera attività per la sua perfezione della vita e con questa una nuova
Legge d’Amore la quale abbraccia in sé, nella sua giusta piena misura divina,
tutte le altre leggi e tutta la Sapienza di Dio.
9. Se l’uomo d’ora innanzi vivrà secondo questa nuova legge, egli anche
immancabilmente costruirà la sua vita del tutto secondo l’Ordine divino e potrà
poi subito entrare nella pienezza della vita vera, liberissima ed eterna.
Ma se egli non accetterà una tale nuova legge della vita e non vi
conformerà tutta l’azione per proprio spontaneo impulso, allora certo non
raggiungerà lo scopo della vera perfezione della vita!
10. Ma nessuno potrà poi dire: “Io non ho saputo quello che avrei
dovuto fare!” e se un uomo, per quanto dimori lontano da qui, nonostante ciò
dirà: “Fino al mio orecchio non è giunta la chiamata di Dio”, allora gli sarà
ribattuto: “Da quest’ora in poi non c’è nessuno sulla Terra nel cui cuore non
sia stata resa chiara la nozione di quello che è perfettamente giusto e buono
fra gli uomini”.
11. A ciascuno verrà posta nel suo cuore una voce ammonitrice che gli
indicherà ciò che è buono e unicamente vero. Chi darà ascolto a questa voce e
farà secondo i suoi suggerimenti, costui giungerà alla luce più grande e questa
gli illuminerà tutti i sentieri dell’Ordine divino».
Le conseguenze
della caduta di Lucifero
1. (Il Signore:) «Ma quanto è breve il periodo di tempo da Adamo fino
ad oggi, se paragonato alla durata quasi infinita per i concetti umani dei
periodi dal primo divenire fondamentale degli spiriti primordiali creati fino
all’epoca in cui furono posti nel pieno possesso e nel pieno uso della loro
libera volontà! E poi di nuovo quale incalcolabile durata del tempo dalla loro
caduta fino ai giorni di Adamo ed ai nostri!
2. Vedi, nell’infinitissimo spazio della Creazione vi sono certi soli
primordiali, e per conseguenza soli-centrali primordiali, che a causa
dell’immensa distanza che li separa dalla Terra, quantunque siano un numero
inesprimibile di volte più grandi di questa Terra, appaiono a mala pena come
piccoli puntini scintillanti, e questo soltanto a chi possiede una vista
acutissima! Questi soli primordiali hanno circa l’età che corrisponde al
periodo della caduta degli spiriti primordiali fino ai tempi attuali. E vedi,
se si volesse esprimere in cifre l’età di questi soli, secondo la misura degli
anni terrestri, non sarebbe possibile, neppure coprendo di cifre tutta la
Terra, scrivere un numero sufficiente per esprimere la sterminata moltitudine
degli anni terrestri occorrenti! E quand’anche tu prendessi per mille volte
mille anni di questa Terra un piccolissimo granello di sabbia e calcolassi il
tempo sulla base di questa unità di misura, supponendo che la Terra sia
composta in tutto il suo volume, i mari compresi, da altrettanti granellini di
sabbia, il periodo di tempo così ottenuto sarebbe ancora di molto troppo
piccolo per indicare l’età di un simile Sole!
3. Un tale periodo ebbe, come vedi, una durata già discretamente lunga,
e tuttavia esso può appena dirsi qualcosa in confronto a quei periodi
primordiali nei quali Dio cominciò, dai Suoi Pensieri e dalle Sue Idee, a
formare i primi spiriti e a renderli indipendenti! E che cosa non è stato fatto
durante questo periodo infinitamente lungo per la piena formazione della libera
volontà degli spiriti primordiali!
4. E tuttavia alla fine di quei periodi di formazione infinitamente
lunghi degli spiriti primordiali, si trovò ancora una quantità grandissima di
tali spiriti i quali, quantunque ben comprendessero le giuste vie di formazione
di Dio, alla fine però non vollero sapere comunque niente di restare
liberamente su queste vie, ma invece, abbagliati dal miraggio di vantaggi più
rapidi anche se solo di breve durata, deviarono dalla comandata e ben indicata
via dell’Ordine di Dio e si misero a percorrere la via della propria rovina.
5. Infatti il principale spirito di luce, in cui erano insiti
innumerevoli altri spiriti di luce, ciascuno riccamente provveduto di
intelligenze in numero sconfinato, disse fra sé: “Perché attendere ancora? In me giacciono tutte le caratteristiche come
in Dio, e Dio ha posto in me tutta la Sua Forza. Ora io sono forte e potente
sopra ogni cosa. Tutto quello che Egli aveva, lo ha dato, ponendolo fuori da
Sé, ed io ho preso tutto. Ora Dio non ha più nulla, io invece ho tutto; e ora
noi vogliamo vedere se il vantaggio che dovrebbe seguire alla trasgressione del
comandamento dato, sarà veramente solo di breve durata. Noi riteniamo che con
la nostra presente piena forza e potenza, saremo ben in grado di prolungare per
delle eternità la durata, che dovrebbe essere breve, dei vantaggi che ne
dovrebbero risultare. Chi mai potrà impedircelo? All’infuori di noi, lo spazio
infinito che ora è riempito da noi, non porta più alcuna altra potenza e
intelligenza che sia superiore alla nostra; chi, dinque, sarà capace di
disputarci il vantaggio?”
6. Vedete, in questo modo pensò e parlò lo spirito di luce tra sé e, in
tal modo, alla sua schiera di spiriti separati e a lui subordinati! Così disse
e così fece, e la conseguenza fu che si incarcerò da se stesso nella propria
inerzia, andò condensandosi sempre più e la conseguenza di ciò fu la creazione
della materia, altrettanto completamente sulla via dell’Ordine divino; infatti,
il risultato certo della non osservanza del comandamento divino era stato, con
altrettanta precisione, previsto, quanto la liberissima condizione di quegli
spiriti che avevano adempiuto in sé il comandamento di Dio.
7. Ed ecco come, per effetto di tale caduta, lo spirito principale e
con lui tutti i suoi imparentati spiriti subordinati, si rese da solo
prigioniero in se stesso nella maniera più tenace e amara. Ora, per quanto
tempo ancora gli piaccia persistere in un tale stato di prigionia, questo,
all’infuori di Dio, non lo sa nessuno nell’intera infinità, nemmeno gli angeli.
8. Però una cosa è certa, e cioè che ora, fuori da questo figlio della
Luce perduto, gli spiriti separati vengono di nuovo ridestati dalla Potenza di
Dio e posti nella carne come figli del mondo, e a loro, allo stesso modo che ai
figli dall’alto, è data l’occasione di elevarsi alla suprema perfezione di
figli di Dio.
9. Tutta la materia, dunque, è spirito separato che, come anima in ogni
singolo uomo, può rinascere per la vita eterna nel suo spirito. Quando tutti
gli spiriti separati sono elevati fuori dalla materia di un mondo, allora, per
un tale mondo, è giunta anche la completa fine della sua esistenza.
10. Certamente, trattandosi di un mondo come è questa Terra, il
processo diventa discretamente lungo, eppure, un giorno verrà anche la fine».
1. (Il Signore:) «Tuttavia nella materia c’è qualcosa che non si
troverà mai completamente in un’anima, e questa consiste nella nota sostanza
dell’involucro nella quale viene sempre rinchiusa una qualche potenza animica
particolare, fino a quando essa ha raggiunto un certo grado di maturità di
indipendenza. Giunta la potenza animica particolare a questo certo grado di
maturità, essa lacera il sottile involucro, si unisce poi ad altre potenze
particolari resesi già libere, simili od almeno ben corrispondenti a lei, e
dagli elementi corrispondenti dell’aria, dell’acqua o della terra si forma
subito di nuovo intorno a sé un qualche involucro, come potete constatare nei
semi delle piante, degli arbusti ed alberi e più evidentemente anche nelle uova
degli insetti, degli uccelli e finalmente negli animali dell’acqua ecc.
2. L’involucro è sempre soltanto una fissazione di volontà che si emana
dall’Ordine divino e non ha dunque in sé e per sé niente di animicamente
intelligente, ma è invece semplicemente un mezzo necessario per il quale una
intelligenza animica, in questo suo stato di isolamento, può con il tempo
evolversi – come anche davvero si evolve – ed essere veramente del tutto
indipendente e libera.
3. Il mondo della materia è quindi per due terzi anima e per un terzo è
sostanza dell’involucro senz’anima quale portatore della vita animica [la quale
è] dapprima separata e in seguito sempre più raccolta e alla fine già del tutto
concreta e matura. Perciò la materia dell’involucro, ovvero la Volontà fissata
di Dio, è anche un istituto di redenzione per mezzo del quale gli spiriti separati
caduti insieme a causa della caduta di Satana, possono giungere, secondo
l’ordine esistente, di nuovo ad una libertà del tutto indipendente, anche se
seguendo una via più lunga di quanto sarebbe stata quella dei primi periodi.
4. Ma siccome il tempo non è mai d’imbarazzo per Dio, né può renderLo
perplesso od esserGli di noia, perché nella realizzazione delle Sue grandi Idee
Egli ha sempre presente davanti i Suoi occhi onniveggenti il perfettissimo
raggiungimento dei Suoi piani, non importa se il tempo richiesto sia breve o
lungo, così, dinanzi a Dio, mille anni sono come un giorno, ovvero come un
attimo, e in questa maniera, per la totale liberazione di tutti gli spiriti
racchiusi nel suo involucro di materia, un mondo può richiedere più anni di quanti
sarebbero espressi dal numero indicibilmente grande dei granelli di finissima
sabbia capaci di essere contenuti in esso, e tuttavia anche un simile periodo
di tempo finisce con il risultare di fronte a Dio niente più e niente meno di
un brevissimo istante soltanto.
5. Ed Io vi dico inoltre che nello spazio sconfinato della Creazione ci
sono già alcuni mondi che hanno interamente compiuto il loro servizio. Tuttavia
essi esistono ancora e continueranno ad esistere quali portatori di nuovi
esseri liberi, soltanto che essi sono molto più puri e solidi e, nella loro
struttura, sempre immutabilmente uguali così come la ferma Volontà di Dio,
corrispondente alla Sua Sapienza ed al Suo Ordine, eternamente uguale, è e deve
essere pure uguale per l’eternità, poiché senza tale solidità una qualche
durata non potrebbe esistere per nessun essere.
6. Infatti anche se gli esseri dopo il loro perfezionamento spirituale
hanno un essere perfetto che sta lì del tutto indipendente dall’Essere di Dio,
eppure una tale indipendenza, per così dire assoluta, non avrebbe né potrebbe
avere nessuna durata, qualora questa non fosse stata stabilita da Dio, già
anticipatamente dall’eternità, nella cerchia del Suo Ordine e non fosse la
stessa cosa con il Suo Ordine. Ora è proprio grazie a questa solidità
dall’eternità per tutti gli esseri creati che ad ogni essere creato viene
continuamente procacciata e mantenuta la durata eterna.
7. Ma da tutto ciò risulta anche, per così dire, da sé che
assolutamente nessuna cosa, una volta che in qualche modo sia stata chiamata
all’esistenza da Dio, può mai cessare di esistere ed essere annientata. Può
certo cambiare forma e passare da una forma meno nobile a forme superiori
sempre più nobili ed anche viceversa, come abbiamo visto nel caso dei primi spiriti
creati, ma non può più venire annientato niente, una volta che Dio lo abbia
chiamato ad una qualche esistenza! DimMi ora, o Cirenio, se la cosa ti pare più
chiara!».
1. Risponde Cirenio: «Ma, Signore e Maestro! La cosa mi è ormai chiara
quel tanto che può esserlo per uno spirito ancora lento, nella sua qualità di
essere terreno. Certo è che io potrei fare diverse altre domande riguardo a
svariatissimi punti, ma mi accorgo sempre più che proprio un grande sapere non
va nemmeno bene per l’uomo, perché con ciò egli diventa certamente sapiente, ma
in compenso, quale uomo d’azione, non è per niente speciale.
2. Un uomo che ha troppa sapienza mi pare simile ad un uomo carico di
beni e ricchezze terrene. A che scopo lavorare la terra e perché poi aggiogare
i buoi all’aratro? I suoi granai sono al completo e le sue cantine rigurgitano
dei migliori vini; nelle sue camere non si contano l’oro, l’argento, le grosse
perle e le pietre preziose! Egli si rende conto che sobbarcarsi ulteriori
fatiche per lavorare la terra sarebbe una grande pazzia; perciò si dedica al
riposo e si gode senza pensieri di sorta le sue immense ricchezze.
3. Ora, come già detto, nello stesso modo potrà ed infine dovrà procedere
anche l’ultrasapiente; colui che non sa molte cose, cerca, esamina e prova una
grande gioia quando riesce a scoprire qualche nuova verità. L’ultrasapiente,
invece, non può più trovare molto di nuovo e quindi diventa evidentemente e
necessariamente pigro, mentre il discepolo si occupa di qualche ramo dello
scibile con impegno e quasi giorno e notte va scrutando, per chiarirsi il più
possibile le cose che gli sembrano occulte molto più dell’ordinario. Dunque di
questa sfera io ora ne so abbastanza; quello che ancora mi manca varrà a
tenermi in una attività continua. Ho ragione di pensarla così, oppure no?»
4. Dico Io: «Il troppo e il troppo poco non hanno qui un grande
significato; tuttavia è sempre meglio un po’ troppo che un po’ troppo poco,
perché chi ha in abbondanza può poi dare con tutta facilità ciò che ha in
eccedenza a coloro che ne soffrono la mancanza, e ad essi il dono tornerà
sempre ben utile, ma per chi ha troppo poco, la prospettiva di poter donare
sarà piuttosto magra. Per questo, per quanto riguarda la vera sapienza, un po’
troppo è sempre migliore di troppo poco. Del resto sono d’accordo anch’Io che
nemmeno per un angelo sarebbe bene essere onnisciente al pari di Dio!
5. Però Dio ha provveduto anche a questo, poiché come uno spirito non
potrà mai al pari di Dio riempire tutto l’Infinito, così anche la sapienza
dello spirito più perfetto non sarà mai in grado di scrutare ed abbracciare
tutte le profondità della Sapienza divina. Comprendi anche questo?»
6. Dice Cirenio: «Oh sì, lo comprendo certo e già dai tempi antichi è
in voga tra noi romani un proverbio molto saggio, diffuso ora anche tra i greci
e gli egiziani, il quale concisamente suona: “Quod licet Jovi, non licet bovi” (Quello che è permesso a Giove, non è
permesso ad un bue, cioè una cosa non è da tutti), ed io credo che questo
proverbio, quantunque fiorito tra i pagani, come vengono chiamati quei popoli
dagli israeliti, sia perfettamente a posto anche qui.
7. Di fronte a Dio tanto gli uomini quanto gli angeli restano
sicuramente per l’eternità i cari “boves” (buoi)
ed è anche bene che sia così, perché, almeno per quello che mi riguarda, credo
di non essere affatto costituito per accogliere una sapienza troppo vasta. È
già nella natura delle cose il fatto che in ogni essere creato tutte le
attrattive della vita finirebbero con lo svanire se nella totalità
dell’Infinito non vi fosse assolutamente più nulla che allo spirito umano non
riuscisse chiaro e conosciuto così bene come sono conosciute ad un padrone di
casa le stanze della sua abitazione.
8. E perciò Jehova ha fatto una cosa molto buona e supremamente saggia
quando ha disposto che uno spirito, sia pure il più perfetto, ma tuttavia
creato, non debba né possa, in tutta la sua sapienza, avvicinarsi mai neanche
in modo infinitesimale alla Sapienza di Dio, perché quello che è infinito non
può mai in eterno venire raggiunto da ciò che è finito!
9. Ma ora lasciamo stare questo argomento, perché il dedicarvi altre
parole sarebbe davvero quanto mai inutile, mentre vi sono tante altre cose
ancora la cui spiegazione ci è sicuramente più necessaria dello stabilire come
il debole spirito umano potrebbe misurare la Sapienza divina. È chiaro che
l’amore occupa un posto notevolmente più alto di tutta la sapienza degli uomini
e degli spiriti, per quanto grande essa sia!
10. Tu hai detto poco fa che l’antica cicatrice dell’anima si potrebbe
guarire del tutto e che l’anima stessa potrebbe interamente liberarsi
dall’antico male ereditario mediante la nuova legge dell’amore del prossimo e
che poi la coscienza pienissima della vera vita eterna potrebbe rientrare
nell’uomo in tutta chiarezza e potenza. Questo sarebbe certo per l’uomo sulla
Terra il vantaggio più grande, perché soltanto con ciò egli diventerebbe del
tutto uomo e potrebbe senza alcun dubbio già in questa vita terrena compiere
delle opere veramente grandi ed illustri.
11. Con il sentimento sempre presente della morte sicura e della
scomparsa dalla scena della vita, il quale continuamente tormenta l’umanità,
l’uomo deve finire con il perdere tutto il coraggio di dedicarsi a qualcosa di
superiore, oppure deve buttarsi a capofitto tra i piaceri mondani per sfuggire
con ciò al pensiero della certa futura morte e godersi così la vita come se
fosse eterna! È dunque della massima importanza che venga dato all’uomo un
simile Comandamento, con l’osservanza del quale egli possa ritrovare e
conservare per l’eternità in sé quel Paradiso che un giorno Adamo ha perso. Il
Comandamento del vero e autentico amore per il prossimo deve restituirci il
perduto.
12. Ma qui si affaccia la domanda, e cioè come un Comandamento talmente
importante debba venir osservato nell’Ordine di Dio per poter – dico –
certamente e non a metà, bensì interamente, raggiungere la grande meta da Te
promessa»
13. Dico Io: «Questa è da parte tua una osservazione davvero buona e
giusta ed Io ti darò anche in proposito una risposta giusta, ma anzitutto
vogliamo sentire ancora dal vostro vecchio e buon Marco quali sono le sue idee
rispetto a questo prossimo, al quale si deve dedicare tutto l’amore; soltanto
dopo Io vi darò la vera e piena risposta, assieme ai debiti chiarimenti.
Dunque, dicci ora tu, Mio caro Marco, chi, secondo la tua opinione, si deve
considerare propriamente quale prossimo e a chi si deve dimostrare fattivamente
tutto l’amore!».
Il parere di
Marco sul suo prossimo.
1. Dice il vecchio Marco: «Signore, tutto quello che ho finora sentito
qui insieme alla mia famiglia mi ha talmente commosso che, con tutta la miglior
buona volontà del mondo, non mi sentirei capace di esprimere neanche una parola
ragionevole, per non parlare poi del decidere chi di fronte a me sia il mio
prossimo.
2. Naturalmente, sarebbe in primo luogo prossimo mio colui che mi fosse
corporalmente più vicino e se egli avesse bisogno di qualche aiuto, dovrei
accordarglielo. Poi sarebbero prossimi i miei vicini e se venissero ad invocare
soccorso, non dovrei loro negarlo. Così pure sono mio prossimo mia moglie ed i
miei figli ed è mio dovere provvedere al loro benessere ed al loro progresso
spirituale e materiale.
3. Quando io ero soldato, anche i miei commilitoni erano mio prossimo
ed era mio obbligo prestare loro aiuto in caso di bisogno. D’altro canto,
qualunque essere umano, a qualsiasi religione appartenga, in caso di bisogno è
anche lui mio prossimo, ed io non devo passargli dinanzi ignorandolo, qualora
egli abbia bisogno del mio aiuto oppure invochi aiuto da me.
4. Anzi, credo che non si debba rifiutare soccorso nemmeno ad un
animale domestico, se si vede che questo ne ha bisogno. Per concludere dirò
che, secondo il mio limitato intelletto, l’uomo deve cercare di imitare, quanto
più possibile, il governo di Dio e deve regolare su di questo tutte le forme
della sua attività, facendo anch’egli risplendere il suo Sole su tutte le
creature, precisamente così come fa Dio stesso.
5. Certamente, l’uomo, che è un essere limitatissimo al paragone di
Dio, può soltanto in misura molto limitata imitare Dio, suo Creatore, però,
siccome egli porta già in sé la somiglianza di Dio o propriamente è creato a
Sua immagine, egli deve anche tendere a formare e perfezionare in sé quello per
cui gli sono state conferite le necessarie capacità. Questa è all’incirca la
mia opinione, ma Tu, o Signore, darai a noi tutti una precisa spiegazione,
perché io ascolto la Tua parola mille volte più volentieri di quando sono io a
parlare! Parla dunque Tu adesso, o Signore, purché Tu voglia ancora dirci
qualcosa stanotte!»
6. Dico Io: «Sì, Io parlerò, quantunque sia già mezzanotte. Ora però
facciamo una piccola pausa e stiamo in ascolto; forse dal mare giungerà fino a
noi qualche invocazione di soccorso!».
7. Subito dopo questa Mia osservazione si udirono dalla parte del mare
dei rumori, tra i quali si percepivano molto bene delle voci umane. Allora
Marco ed i suoi figli Mi domandarono in fretta se dovevano andare a vedere di
che cosa si trattasse, per eventualmente portare aiuto a dei disgraziati che
forse lottavano su una barca malconcia contro il forte vento di mezzanotte o
che erano alle prese con qualche vortice che non di rado veniva formandosi
dinanzi alla grande insenatura.
8. Allora dico Io: «Si tratta veramente di una vecchia nave piena di
giovani leviti e farisei, i quali vengono dai dintorni di Cafarnao e di Nazaret
e sono diretti a Gerusalemme. Essi hanno preferito la via del mare a quella di
terra, perché in primo luogo è più breve ed in secondo luogo non è tanto faticosa,
ma a Sibarah non hanno potuto trovare altro che una barca da pesca già
piuttosto malridotta ed ora, essendosi levato un vento abbastanza violento, si
trovano in grande difficoltà, cosicché, se da qualche parte non giungono loro
degli aiuti, è probabile che debbano colare a picco!»
9. E Marco esclama: «Signore! In verità se si tratta di quei figuri,
proprio non è un gran danno anche se finiscono in pasto ai pesci! Quasi, quasi,
non avrei una grande premura di volare in loro soccorso. Ma se Tu lo vuoi, sarà
in ogni modo portato loro aiuto»
10. Dico Io: «Hai pur detto tu stesso molto giustamente che l’uomo,
creato ad immagine di Dio, deve, mettendo a profitto le capacità che gli sono
state conferite, cercare di diventare in tutto simile a Dio e deve far risplendere
anch’egli il suo piccolo sole, che porta nel cuore, su tutte le creature e deve
infine considerare prossimo suo chiunque, amico o nemico che sia, qualora si
trovi in gravi difficoltà ed abbia bisogno di aiuto!
11. Vedi, le tue parole sono giuste e vere, ma perciò devi anche
conformemente agire, altrimenti ci mancherebbe molto ancora perché la verità
avesse dimora viva in te! Infatti la verità pura poco o niente giova all’uomo
per la vita eterna finché egli non l’abbia fatta viva in sé mediante l’azione,
ma quando egli ha fatto ciò, la luce di vita eterna giunge poi a torrenti e
rischiara allora tutti i più riposti meandri dell’anima umana, non diversamente
da come fa il Sole in pieno mezzogiorno, che penetra con i suoi raggi in tutte
le valli e le fosse, per quanto profonde, le riscalda e le riempie così della
sua vita. Perciò ora fa ciò che vuoi!»
12. E Marco esclama: «Allora si faccia presto ad andare in loro
soccorso, anche se quella nave marcia fosse carica di soli orsi, tigri, leoni o
iene!».
13. Immediatamente Marco e i suoi figli corsero alla riva, salirono su
una solida barca da pesca abbastanza grande e fecero forza coi remi nella
direzione da dove giungevano sempre più acute le grida di aiuto.
Marco salva i
farisei naufraghi.
1. Quando Marco, dopo pochi istanti, si fu avvicinato alla navicella
che stava quasi per affondare, gridò ai malcapitati di trasferirsi sulla sua
barca, prese poi a rimorchio la navicella malridotta di Sibarah e così
riguadagnò la riva. I salvati erano circa una trentina.
2. E subito, quando si trovarono sani e salvi sulla terra asciutta, i
leviti domandarono immediatamente al nocchiero che compenso gli era dovuto per
le sue fatiche, avendo essi riconosciuto che avevano a che fare con un vecchio
romano. Se si fosse invece trattato di un ebreo, non gli avrebbero certamente
domandato nulla di simile, perché sarebbe stato lui invece a dover reputare una
grazia immensa che Jehova lo avesse degnato di permettere che Lui, per sua
intermediazione, avesse salvato i Suoi servitori da un pericolo! Infatti Jehova
consentiva che fatti simili si avverassero ogni tanto per amore degli uomini,
perché fosse data loro occasione di dimostrare la fermezza della loro fede e
l’incrollabile attaccamento al Tempio, il quale solo era una vera dimora di Dio
sulla Terra, come nessun’altra in eterno!
3. Però Marco disse: «Quantunque io sia un vecchio romano, tuttavia
conosco il vero Dio meglio di voi tutti, perché – continuò egli a dire ai
salvati – se voi conosceste veramente Dio, non sareste davvero né leviti né
farisei, ma semplicemente degli uomini! Ma appunto perché voi non conoscete
minimamente Colui il Quale immaginate di servire, io vi dico: “Sia maledetto
chi, dopo aver soccorso il fratello bisognoso, gli chiede una ricompensa!”.
Infatti Dio non lascia mai senza premio una buona azione che abbiamo compiuto
nel Suo Nome, ma se la ricompensa ce la dà Dio, che solo può veramente ricompensare
ciascuno, come e per quale ragione dovremmo noi chiederci reciprocamente un
compenso? Voi perciò siete, dal primo all’ultimo, dei pessimi servitori di Dio,
poiché asserite di servire Dio, ma per fare questo voi pretendete dai poveri
una ricompensa molto spesso esorbitante.
4. Imparate ora da me, vecchio guerriero della potente Roma, come è
bene servire il vero Dio, vivente in eterno ed onnipotente, qualora si voglia
venire guardati e ricompensati da Lui!
5. Perciò non accetto mai un compenso da chi ho aiutato nel momento del
bisogno, ma quando ho lavorato per me e per la mia famiglia, allora prendo
anche il compenso che mi spetta per le mie fatiche e mi faccio pagare in modo
equo i pesci che porto al mercato. Se adesso volete avere qualcosa da mangiare
e da bere, quello che potrò darvi me lo farò pagare da voi, secondo equità»
6. Dicono i salvati: «In verità dalle tue parole bisogna arguire che
sei un ebreo e non un pagano, perché tanto sinceramente non abbiamo mai udito
parlare nessun pagano. Noi non prenderemo assolutamente in malo modo quello che
ci hai detto! Né noi siamo affatto tanto radicalmente d’accordo con tutto
quello per cui tu a ragione ci fai oggetto di biasimo e di rimprovero, ma ci
troviamo ormai trascinati dalla corrente e dobbiamo, almeno al cospetto del
Tempio, nuotare seguendo la corrente. Se avessimo una qualche altra
prospettiva, nessuno più di noi sarebbe sollecito a voltare le spalle al
Tempio, perché siamo persuasi che in nessun luogo Dio si trova meno che nel
nostro Tempio! Ma cosa potremmo o cosa dovremmo fare contro a questo? Oh noi,
come te, vediamo anche troppo bene che il Tempio di Gerusalemme non è ormai
nient’altro che un immenso istituto di inganni, dietro il quale non c’è più
nemmeno una sillaba, per non dir poi una parola vera, però questo istituto è
sanzionato dalla grande potenza di Roma e allora non si può fare più niente
contro ad esso.
7. Se c’è ancora un qualche Dio vero e vivente, Egli saprà comunque
mettere gloriosamente fine ad un tale disordine e ad un simile scandalo; ma se
un vero Dio non esiste e se di conseguenza tutto quello che conosciamo e
sappiamo altro non è che una vecchia finzione o una favola essena, non ci resta
che fingere e favoleggiare anche noi e il mondo, che dal canto suo sembra
sempre preferire l’inganno alla verità, si trova ad essere perfettamente
contento. Di più non possiamo affatto pretendere né da noi né dal mondo
cieco!»
8. Dice Marco: «Voi siete davvero della bella gente e dei begli eroi!
Epicuro è il vostro maestro, anche se non di persona – dato che ha scambiato da
molto il tempo per l’eternità – ma tanto più di fatto, secondo la sua filosofia
del ventre. Ditemi, dunque, se voi volete mangiare e bere qualcosa, ed io vedrò
di soddisfare i vostri desideri!»
9. Chiede uno di loro: «Chi sono quegli altri ospiti, lì vicino alla
tua abitazione, ancora desti, malgrado l’ora tarda? La cosa ci meraviglia,
perché dovrebbe essere già circa mezzanotte. Si tratta forse di altri salvati?
Ciò non sarebbe strano, visto lo stato del mare burrascoso, anche senza che ci
sia un vento particolarmente forte!»
10. Risponde Marco: «Quegli ospiti poco vi interessano e sono
personaggi romani troppo altolocati perché possiate azzardarvi di andare loro
vicino. Insomma, il vostro carattere sta troppo al di sotto di quello di simili
ospiti. Fra gli altri c’è anche il comandante Giulio di Genezaret; se avete
qualcosa da dirgli, posso pregarlo di venire da voi!».
11. Quando i giovani farisei e leviti ebbero udito quel nome, furono
colti da grande spavento e pregarono Marco di risparmiare loro almeno quella
conoscenza, perché, secondo loro, costui non era un uomo, ma uno spietatissimo
diavolo! Va notato che fra gli altri ce n’erano alcuni di quelli ai quali
Giulio, pochi giorni prima a Genezaret, aveva fatto otturare occhi ed orecchi
con l’argilla, facendoli poi trasportare sotto scorta militare a Cafarnao. Ciò
serve a spiegare il loro terrore, poiché pensavano che Giulio non avrebbe
mancato di infliggere loro nuovamente un simile trattamento.
12. Però Marco disse: «Qui non avete niente da temere all’infuori di
una revisione delle licenze di viaggio che, come è noto, è praticata dai romani
in generale con gran severità»
13. Dice uno dei leviti: «Precisamente questa è per noi la pietra dello
scandalo. Il Tempio non vuole ancora saperne di adattarsi a questa disposizione
delle autorità romane e noi, che siamo servitori del Tempio di grado inferiore,
veniamo, a causa di ciò, a trovarci in mille imbarazzi e noie che nessuno più
ci risarcisce, né il Tempio né meno ancora qualcun altro; eppure il Tempio ci
obbliga ad intraprendere ogni tipo di viaggi da un capo all’altro del mondo e
se qualche malanno ci capita, dobbiamo tenercelo e non vi è indennizzo da
sperare da nessuna parte.
14. Noi siamo, è vero, figli di genitori ricchi, altrimenti il Tempio
sicuramente non ci avrebbe adescati al suo servizio; ormai siamo ben condannati
dalle leggi che imperano tra le mura e non possiamo più liberarcene. La
conseguenza che ne risulta è che ora dobbiamo sostenere veramente la parte del
capro espiatorio per tutto il mondo! Noi ci troviamo definitivamente sotto il
giogo della vera dannazione del mondo intero; rendici tu la libertà, se puoi.
Da una parte il fanatismo dei nostri genitori e parenti, dall’altra il ferreo
dovere imposto dal Tempio: in queste condizioni si muova allora liberamente chi
può e vuole, noi purtroppo non lo possiamo fare!»
15. Dice Marco: «Sapete una cosa? Dalle vostre parole mi pare di
comprendere che tuttavia non sarete del tutto fuori posto vicino alla comitiva
che c’è là davanti a casa mia. Venite con me, vedrò di mettere una buona parola
per voi! Forse riesco a salvarvi dalle fauci del Tempio che, a quanto mi dite,
si cura con “tanto senso di umanità” di voi, suoi servitori!»
16. Osservano i salvati: «Sarebbe tutto bello e buono, se non ci fosse
quel Giulio, perché non abbiamo con noi nessuna licenza di viaggio!»
17. Dice Marco: «Ebbene, caso mai ve ne procurerà una egli stesso!»
18. Dicono i salvati: «Oh, ne siamo ben persuasi; ma di che specie?»
19. Dice Marco: «Venite e seguitemi! La licenza di viaggio sarà
migliore di quello che supponete, perché Giulio è, come me, un amico degli
animi sinceri!».
20. I salvati si lasciano finalmente convincere dalle insistenze del
vecchio Marco e dei suoi due figli e Marco, tutto allegro, li conduce da noi,
quantunque il loro passo tradisca ancora una qualche incertezza.
Critica dei
farisei su Giulio.
1. Giunta la compagnia vicino a noi, le viene fatto subito posto,
cosicché in breve tutti si trovano accomodati ad una mensa collocata accanto
alla nostra.
2. Poi Marco viene da Me e Mi domanda se devo offrire ai salvati sale,
pane e vino.
3. Ed Io gli dico: «Interroga loro e il tuo cuore, e senti se essi
chiedono qualche cosa e se il tuo cuore è perfettamente disposto a dare. Se
essi domandano e il tuo cuore vuole dare, allora dà. Infatti, vedi, questa è
anche una norma principale del vero amore del prossimo: il prossimo deve
domandare o per mezzo di parole percettibili o con invocazioni d’aiuto, oppure,
nel peggior dei casi, con l’atteggiamento muto del bisogno facilmente
riconoscibile. Il tuo cuore poi deve subito per amore volere fermamente
quell’attività necessaria a tradurre in atti l’impulso che la anima; allora
l’amore del prossimo appare veramente esercitato nell’Ordine divino e gli
effetti di un tale agire per l’anima e per lo spirito del donatore non
tarderanno a farsi sentire! Mi comprendi?»
4. Dice Marco: «Sì, o Signore, ora comprendo perfettamente, ed anche
farò immediatamente secondo questo Tuo insegnamento»
5. Dico Io: «Dunque va’ e non fare menzione di Me. È bene non fidarsi
molto ancora di loro, poiché una densa notte avvolge ancora i loro cuori e la
loro anima è ancora ben lontana dal capire la profondità della verità».
6. Allora Marco ritorna sollecito dai salvati e domanda loro se e che
cosa desiderino per ristorare il loro corpo.
7. Risponde uno fra i molti: «Amico, noi veramente abbiamo fame e sete,
ma tutto quello che possediamo si riduce ormai a soli nove denari e con questi
certamente ben poco si potrà ottenere qui in questo paese notoriamente scarso
di pane; tuttavia, se qualcosa puoi darci, daccela e noi ti pagheremo con i nove
denari!»
8. Dice Marco: «Se è così, non c’è bisogno dei nove denari e voi avrete
ugualmente da mangiare e da bere a sufficienza».
9. Marco chiama subito sua moglie e i suoi figli ed ordina loro di
provvedere alla compagnia arrivata da poco il meglio possibile di pane, sale e
vino, perché, data l’ora molto inoltrata, non sarebbe stato facile
apparecchiare altro. La mattina poi il trattamento sarebbe stato ad ogni modo
migliore. Immediatamente viene servito quanto era stato ordinato ed i salvati
non fanno complimenti e danno l’assalto al pane ed al vino profondendosi in
lodi per la loro squisitezza.
10. Alcuni dicono che si tratta di un vino reale egiziano, altri lo
ritengono di origine persiana, uno infine lo reputa vino di provenienza romana!
11. Marco però osserva: «Niente di tutto ciò. Il vino è proprio
originario di qui!». La cosa provoca in tutti grande meraviglia, perché era
noto in tutto il paese degli Ebrei che la Galilea aveva il peggior vino di ogni
altro di quei paesi.
12. Ma, dopo che un discreto onore fu fatto al vino, tra i nuovi
arrivati andò manifestandosi una certa animazione ed essi cominciarono, come si
suol dire, a far venire a galla la verità, senza avere soggezione di noi che ci
trovavamo vicinissimi a loro.
13. E Giulio, il quale sedeva quasi al loro fianco, domandò, più per
scherzo che seriamente, ad un giovane fariseo se egli non avesse forse qualche
faccenda da sbrigare a Genezaret.
14. Dice l’interrogato: «Signore, chiunque tu sia, o di Cesarea o di
Genezaret, ciò mi è indifferente! Quella non è una città, ma una tana neanche
degna di ospitare il demonio, nonché un galantuomo della mia specie! Quel
brutto covo non mi vedrà una seconda volta finché vivo! Lì sta di casa un certo
comandante romano di nome Giulio e questo basta, perché con questo nome è già
detto tutto quello che si potrebbe dire di Satana! Chi mai fra i mortali gli si
è avvicinato, costui ha fatto anche la conoscenza di Satana in persona! La sua
persona non l’ho veramente ancora vista in nessun luogo, ma ho invece avuto
occasione di provare gli effetti dei suoi ordini e devo concludere che la sua
persona non può che rispecchiare perfettamente l’inumanità delle sue
disposizioni.
15. Pare che quel Giulio sia un nemico dichiarato di tutti gli abitanti
di Gerusalemme; altrimenti non sarebbe immaginabile come egli possa fare un
trattamento così barbaro, spietato e veramente satanico ad uomini della nostra
specie!
16. È bensì vero che non si può essere propriamente ben disposti,
specialmente verso la gente del Tempio, una volta accortisi di tutte le
perfidie, i raggiri ed i soprusi che là si commettono, però dappertutto vi sono
anche delle eccezioni ed un giudizio bisogna aspettare per emetterlo appena
dopo aver vagliato esattamente tutte le circostanze che possono concorrere a
fare in modo che un uomo appartenga ad una determinata congrega. Se l’uomo ha
voluto liberamente farvi parte, allora certo si può di pieno diritto
sentenziare: «Volenti non fiat injuria» (Per
chi è consenziente non è un’offesa!); ma quanti ce ne sono, invece, membri
di qualche collegio, anche tra i più malfamati, che contro la loro volontà sono
stati obbligati a farne parte?
17. Se si è giudici onesti e si ha testa e cuore al loro vero posto, si
esamini prima se uno di noi si è aggregato ad un triste collegio di questo tipo
spontaneamente o se vi fu costretto! Se la partecipazione è avvenuta per
proprio libero volere, ogni incarico perverso compiuto per conto di un tale
pessimo collegio può di pieno diritto venir punito, ma quando invece, come è il
caso nostro, si è stati quasi forzati a farvi parte e altrettanto forzatamente
bisogna assecondare i malvagi propositi della rispettiva congrega, si potrebbe
ben pretendere un altro trattamento da quello che merita uno che è
volontariamente un birbante.
18. Succede, per esempio, ad un giovane onestissimo e robusto di venir
assalito da una banda di ladroni e di assassini, i quali lo conducono nella
loro caverna. Là gli viene prospettato uno o l’altro genere tormentosissimo di
morte, qualora, da uomo robusto quale è, non voglia aggregarsi alla banda e
diventare anch’egli un ladrone ed un assassino! Ogni accenno anche lieve e
apparente a tentare la fuga è già punito con una morte atrocissima!
19. Ora avviene che la mano punitrice della giustizia riesce a raggiungere
questa banda di ladri e d’assassini, la quale viene chiamata a rispondere dei
suoi delitti. Io domando se è giusto che il giovane prigioniero debba
condividere la sorte degli altri, che con le minacce lo hanno costretto a
diventare un delinquente. Bisognerebbe invece salvare un simile disgraziato in
ogni maniera possibile e non alla fine appenderlo alla croce e spezzargli le
gambe senza alcuna misericordia, come è giusto venga fatto agli autentici
malfattori. Giudicare e condannare è cosa che si fa molto facilmente ed alla
svelta, specialmente per chi detiene il potere ed ha tra le mani la spada; ma
in che modo? Questa è un’altra questione!
20. Secondo quanto pare a me, sarebbe sempre meglio assolvere magari
completamente dieci veri briganti, dei quali non si è potuto definitivamente
provare la colpa, piuttosto che correre il rischio di condannare un tale del
tipo che io ho citato nel mio esempio, perché una condanna simile non può non
apparire una lesione atrocissima dei più sacri diritti dell’umanità! Se è già
riprovevole rendere infelice, anche solo di poco, un uomo che è felice, quanto
enormemente più riprovevole non deve essere rendere ancora più infelice un tale
che, senza sua colpa, è già disgraziatissimo, invece di fare quanto è
umanamente possibile per salvarlo dal suo primo stato di sciagura, nel quale è
caduto assolutamente non per sua volontà!
21. Ora vedi, amico mio, una sorte quasi per niente migliore è toccata
a noi, giovani affiliati al Tempio. Anche noi, figli di genitori benestanti,
siamo stati consacrati per forza al servizio del Tempio senza veramente
appartenere per nascita alla tribù di Levi, poiché di tali qualifiche se ne può
avere adesso per denari, quando lo si voglia.
22. Noi oramai siamo leviti e non possiamo più, con tutta la miglior
buona volontà del mondo, liberarci da questo stato assai poco gradevole.
Potremmo, per quanto riguarda noi stessi, bensì sottrarci a questa tirannia con
la fuga e, da gente robusta e giovane quale siamo, chiedere di essere
incorporati fra le legioni di Roma, ma, così facendo, attireremmo la rovina e
la morte sul capo dei nostri genitori e dei nostri fratelli e sorelle, perché
nessun Dio li salverebbe dal piacevole assaggio dell’acqua maledetta! Che si
sappia: chi finora ha dovuto bere quest’acqua velenosa è sempre morto nella
maniera più abietta ed atroce di questo mondo!
23. Si racconta, saranno ora trent’anni, che una coppia di Galilea non
sia morta dopo aver bevuto l’acqua satanica! Ciò è possibile, ma noi non
eravamo presenti allora!
24. Chi dunque, considerata la nostra situazione da questo punto di
vista, ci tratta poi come un qualunque volgarissimo branco umano di bestiame,
costui può avere ben poche pretese di avere l’onore di essere un uomo! Pare che
in certi casi il pomposo: “Fiat justitia, pereat mundus!” (Sia fatta giustizia, perisca pure il mondo!) non porti poi tanto
lontano.
25. Ora, io ed alcuni altri di questa nostra attuale disgraziata
compagnia appunto a Genezaret, senza alcuna nostra colpa, siamo stati trattati
da quel certo comandante Giulio in una maniera tale che peggio non si potrebbe
trattare nessuna bestia feroce e sarà dunque spiegabile se noi in avvenire
fuggiremo più della peste questo luogo che sta sotto il comando di Giulio!».
1. Qui Giulio, interrompendo, esclama: «Hem, è strano da parte di
quell’uomo, che del resto in generale gode una meritata fama di essere una
persona perfettamente e rigidamente onesta e giustissima! Ma puoi tu dirmi
almeno così, in via di supposizione, quali possano essere stati i motivi che
hanno indotto Giulio a procedere tanto severamente con voi? Infatti bisogna
pure che un’ingiustizia possa essere in qualche modo riparata, altrimenti
sarebbe finita del tutto con ogni rapporto sociale a questo mondo!»
2. Dice il giovane fariseo: «Oh, di motivi può averne avuti parecchi,
ma alla fine tutti si riducono al fatto che, dinanzi al mondo, per effetto di
una cattiva costrizione si può essere molto facilmente un delinquente, od
almeno si può essere sospettati di un qualche delitto senza essere tali di
propria volontà! Dicono pure le vostre leggi che, per commettere una azione
cattiva, e perciò punibile, si esige una malvagia volontà decisamente libera,
ciò che deve venire dimostrato, altrimenti si finirebbe con il dover appendere
alla croce anche colui che, cadendo accidentalmente dal tetto, schiaccia ed
uccide il fanciullo che vi dorme sotto!
3. Noi, giovani farisei e leviti, veniamo da parte dal Tempio sempre
inviati fuori con intenzioni che il mondo degli onesti non potrebbe quasi mai
reputare rispettabili. Certo, andiamo spesso fuori tra l’ingenua umanità per
soddisfare le mire del Tempio tanto miserabili che nell’intimo del nostro cuore
dobbiamo evidentemente considerare con il più profondo disprezzo; ma a che cosa
giova tutto ciò?
4. Noi possiamo essere paragonati a quei guerrieri che, per ordine del
loro condottiero, penetrano da nemici nel paese di un popolo tranquillissimo e
distruggono tutto unicamente per un qualche scopo recondito del supremo
comando, di cui il soldato comune non saprà forse mai niente in tutta la sua
vita. Egli deve agire come una macchina che, nel migliore dei casi, quando non
è più capace di agire, viene messa a riposo in qualche cantuccio ignorato.
5. Ma io penso che, se il Tempio, con le sue mire segrete e inique, è
senza alcun dubbio una istituzione già ben nota ai romani, dalla quale viene
perpetrato crimine su crimine tanto di fronte allo stato, quanto di fronte
all’intera umanità, tali Giulii, se hanno il senso della giustizia, dovrebbero
piuttosto troncare addirittura alla radice il male e non avventarsi invece
sempre contro i ramoscelli che dinanzi a Dio non hanno alcuna colpa se sono
cresciuti su un tronco tanto maligno! Questa è all’incirca la mia opinione,
nonché quella di tutti gli altri che sono con me! Tu puoi farne quello che
vuoi, ma io ho ragione davanti a Dio ed a ciascun uomo che rettamente pensi!»
6. Domanda nuovamente Giulio: «Tutto quello che hai detto è vero e
giusto ed è chiaro che a Genezaret vi sono stati fatti dei torti che verranno
anche riparati. Ad ogni modo allora non sareste stati trattati così duramente
se non foste penetrati in casa di quell’albergatore Ebal con aria tanto
dittatoriale! Ma adesso lasciamo stare questo argomento, perché non è escluso
che anche un vostro simile contegno vi sia stato suggerito dalle disposizioni
avute dal Tempio. Però, da amico quale sono di ogni buona causa, mi interesserebbe
ora apprendere da te a quali scopi foste effettivamente inviati dal Tempio in
missione dalle parti di Nazaret e di Cafarnao»
7. Risponde l’interrogato: «Considerato che nel mio linguaggio,
certamente aperto e franco quanto mai, avrai rilevato che nel nostro cuore non
siamo minimamente quello per cui di solito veniamo considerati, specialmente
dai romani, non ho nessuna difficoltà ad esporti più dettagliatamente anche i
motivi segreti della nostra spedizione, poiché sei amico del buono e del vero.
Vedi, a Gerusalemme, e particolarmente nel Tempio, si era divulgata la
notizia che in Galilea andava girovagando un uomo che diffondeva una dottrina
nuova, antigiudaica, anzi ancora meglio, contraria al Tempio e che a conforto
della sua dottrina andava operando grandi segni e miracoli, cosicché perfino
dei vecchi farisei, e perciò irriducibili, si erano notoriamente dichiarati
seguaci della sua dottrina!
8. Puoi bene immaginare che un uomo simile il Tempio non lo può vedere
di buon occhio per ragioni più che evidenti! Ebbene, noi siamo stati convocati
sotto giuramento e poi inviati in missione unicamente allo scopo di comprendere
se e che cosa ci fosse propriamente di vero nei riguardi di quella persona,
dato che, se fosse stato possibile di imbatterci in Lui, avremmo dovuto tentare
di guadagnarLo a vantaggio del Tempio; in caso diverso la consegna era di
mandarLo addirittura da questo all’altro mondo. Ecco, questa in poche parole
era la nobile intenzione del Tempio, di cui eravamo gli esecutori pacifici e perfettamente
innocenti.
9. In quanto al resto, si comprende da sé che l’uomo in questione,
certamente molto rispettabile e buono, non avrebbe avuto mai niente da temere
da noi, perché, anche se l’avessimo trovato, da parte nostra non gli sarebbe
stato torto un capello.
10. Come abbiamo saputo da diverse parti, pare che veramente egli sia
un uomo straordinario, pieno di verità, sincerità, bontà d’animo e di onestà,
qualità queste che noi ancora sappiamo apprezzare quanto meritano in ciascun
uomo. E da noi, se anche ci fossimo imbattuti in Lui in qualche luogo, il
Tempio non avrebbe affatto saputo neanche una parola, perché, in quanto a
tacere, ce ne intendiamo benissimo! Né avremmo fatto alcun tentativo per
guadagnarlo al Tempio, poiché conosciamo il Tempio e tutte le sue nefandezze
così bene come probabilmente nessun altro le conosce. E se, nei nostri cuori,
fossimo davvero della pura razza templare, non parleremmo con te così
apertamente, pur avendo fatto abbastanza onore al vino.
11. Noi però abbiamo pure la nostra segreta intenzione, a prescindere
da tutto quello che i nostri parenti terreni avrebbero da attendersi per causa
nostra, e cioè quella di sfuggire alle grinfie del Tempio, perché non è più
assolutamente possibile reggervi! Siamo venuti da queste parti attraverso il
mare e di notte, principalmente allo scopo di poter da qui raggiungere in
qualche modo Tiro o Sidone, per presentarci poi a Cirenio, che si dice sia
persona quanto mai savia ed esporgli la nostra penosa e misera situazione. Però
la maggioranza è dell’avviso che tuttavia noi dovremmo prima far ritorno a
Gerusalemme, scegliendo una via per quanto possibile breve e non disagevole, al
fine di ottenere là dai nostri parenti un po’ di denaro con il pretesto di un
qualche pio viaggio d’affari nell’interesse, beninteso, del Tempio. Così
provveduti non ci sarebbe più troppo difficile intraprendere il viaggio a Tiro
o Sidone od eventualmente addirittura a Roma, per arrivare al nostro scopo.
Oltre a ciò dobbiamo essere muniti delle licenze di viaggio in piena regola,
senza le quali adesso non ci si può muovere facilmente, perché si corre il
rischio di incappare in difficoltà di ogni genere. Licenze del genere costano
però del denaro!
12. Da un lato sarebbe dunque certo opportuno, anzi necessario,
procurarci una sufficiente quantità di denaro da casa nostra, ma io e qualcun
altro ancora la pensiamo diversamente e ragioniamo così: se fuggiamo dal
Tempio, i nostri genitori, fratelli e sorelle verranno ad ogni modo fatti
oggetto di tutte le possibili vessazioni da parte del Tempio, senza calcolare
la probabilità che si faccia far loro conoscere l’acqua maledetta. Sarebbe
dunque supremamente ingiusto, se prima volessimo privarli oltre a ciò, per così
dire, del loro denaro; in questo caso essi non sarebbero più in grado, in caso
disperato, di riscattarsi dalla prova di quella certa acqua, perché succede
spesso nel Tempio che all’inquisito venga lasciata libera scelta fra l’esborso
di una data somma di denaro, naturalmente grossa, e l’acqua maledetta ed oramai
quasi generalmente il riscatto segue per denaro.
13. Dunque è difficile decidere cosa si debba fare! Io, per parte mia,
resto dell’opinione che sia meglio non ritornare a casa e ciò per le ragioni
già esposte, nonché per un’altra ragione che io ritengo sia la principale:
poiché, se andiamo prima a Gerusalemme a prendere il denaro sotto il pretesto
del pio servizio del Tempio e la storia poi viene sicuramente a galla, tutti
noi restiamo immancabilmente colpiti dalla più feroce maledizione del Tempio e
con noi anche i nostri parenti e allora la nostra fortuna a questo mondo è
bella che andata; che Dio ce ne preservi! Ma se noi, invece, andiamo via
direttamente senza farci vedere a casa nostra, il Tempio ed i nostri parenti
penseranno che forse noi siamo periti in qualche luogo. Ammesso questo, tanto
il Tempio che i parenti si limiteranno poi a far cordoglio e tutti pregheranno
per noi e ci benediranno per tutta l’eternità! Cosa ne pensi tu, che sembri pur
essere un amico del diritto e della verità? Qual è, a tuo avviso, la soluzione
migliore o cosa altro mai sarebbe del tutto conforme alla giustizia?».
Il consiglio
del Signore e l’accenno alla messa in pratica dell’amore del prossimo.
1. Dice Giulio: «La vostra decisione mi piace senza dubbio, ma quello
che non possono piacermi sono i mezzi da voi escogitati per attuarla, perché
non sono fondati sulla verità. Certamente questo è uno di quei casi in cui,
tanto riguardo a i mezzi, quanto allo scopo finale, non volendo scostarsi dalla
via dell’assoluta verità, è un problema arduo raggiungere la meta prefissata!
Ma una via di mezzo non è neppure essa tanto facile da trovare! Lasciate che ci
rifletta un po’; forse riesco a trovare qualche modo per rendere infine
possibile che voi possiate apparire giustificati dinanzi a Dio ed al
mondo!
2. Il giuramento da voi prestato al Tempio è senza dubbio, a mio modo
di vedere, l’ostacolo maggiore. Come si può scansarlo? Se io non lo volessi
rispettare per amore del vostro Dio, che è un Dio verissimo, a me non
costerebbe che una parola e voi tutti sareste dinanzi a Dio ed al mondo liberi
dal giogo del vostro Tempio, ma il giuramento da voi prestato solennemente al
Tempio costituisce per me un impedimento assai grave e perciò devo consigliarmi
in proposito con i molti saggi che siedono qui al mio tavolo. Vedremo poi cosa
sarà possibile far uscir fuori tra queste Scilla e Cariddi»
3. Dice il giovane fariseo: «Oh sì, fa’ pure come dici e farai davvero
una buona opera a nostro vantaggio! Ma prima dimmi, di grazia, chi sono in
effetti gli ospiti che siedono alla tua mensa, affinché possiamo tributare loro
i dovuti onori! Quel vecchio signore deve essere o un romano di molto riguardo,
od almeno qualche ricchissimo greco!»
4. Dice Giulio: «Lasciamo stare questa cosa, per oggi; domani ci sarà
tempo più che sufficiente ancora per scendere in particolari! Adesso intendo
piuttosto occuparmi della questione principale per il vostro bene».
Il giovane accettò volentieri questa decisione e Giulio si rivolse
allora apertamente a Me, usando l’idioma romano che Io certamente comprendevo
benissimo e disse: «Signore, che cosa si dovrebbe fare, secondo giustizia? Un
atto di autorità da parte mia spazzerebbe via tutti i giuramenti e tutte le
leggi del Tempio, ma allora io appaio come il distruttore dell’istituto del
giuramento solenne e la colpa dello spergiuro ricade poi su di me. Detto fra
noi, ai giuramenti che si esigono per essere osservati dei brutti doveri, e che
purtroppo vengono prestati anche troppo spesso, non solo non tengo affatto, ma
li disprezzo profondamente, perché in questo modo si chiama Dio a testimone
propiziatore della menzogna o della perfidia! Ma, rispetto al Tempio di
Gerusalemme, la cosa va considerata in maniera del tutto speciale!
5. Da un lato esso è, come nei tempi antichi, ancora per tutti i
giudei, sempre un santo luogo consacrato alla preghiera, ai sacrifici ed alla
purificazione ed oggi, come in altri tempi, viene considerato in piena fede
come tale da migliaia e migliaia. Dall’altro lato, invece, è più che noto che
ormai vi si commettono, senza ombra di coscienza, abomini e nefandezze
incredibili, come forse in nessun altro luogo a questo mondo! Se non altro per
queste considerazioni io sarei portato a far piazza pulita in modo radicale di
tutti i giuramenti.
6. Dimmi Tu, dunque, cosa si dovrebbe fare per rimanere in giustizia
dinanzi a Dio ed agli uomini? Infatti, in verità, se le cose stanno così come
questi giovani mi hanno ingenuamente esposto, non posso fare a meno di averne
compassione e vorrei essere loro di aiuto!»
7. Dico Io: «Ma se già prima è stato chiarito come si deve esercitare
il vero amore del prossimo! Se essi chiedono e il tuo cuore vuol dare o fare,
tu hai già qui tutti gli elementi risolutivi del problema! Oltre a ciò, tu
stesso non hai mai giurato di rispettare i voti perfidi fatti al Tempio, ma se
tu non sei vincolato in alcun modo da nessun giuramento per il Tempio, che cosa
dunque potrebbe impedirti di fare quello che ritieni buono ed opportuno?
8. Tu pure hai fatto spesso uso della forza nei confronti di comunità
di uomini che erano anch’esse vincolate con il giuramento ai loro antichi usi e
costumi, e questa è stata, da parte tua, una cosa molto ben fatta, perché
dietro quelle usanze e costumi si nascondevano troppo spesso molte e gravi
crudeltà! Nella stessa maniera anche in questo caso puoi procedere secondo il
tuo onesto sentimento!
9. Un atto di protesta da parte di Roma annulla validamente anche di
fronte a Dio per sempre ogni dovere imposto per giuramento; naturalmente questo
accade quando colui che ha effettuato il giuramento si è formato del tutto
liberamente la convinzione che, in primo luogo, egli è stato costretto al
giuramento contro la propria volontà e che, in secondo luogo, il giuramento
aveva in generale ed evidentemente uno scopo cattivo, infine che così com’era
fatto esso appariva piuttosto sanzionato più dalle leggi del mondo che non da
qualche Legge divina.
10. Il redimere da una simile triste prigionia di Satana un uomo,
vincolato in questa forma da un pessimo giuramento, è un’opera eccellente di
vero amore del prossimo perfino quando un uomo, nella debolezza della propria
conoscenza, a causa della sua fede, sia tenuto ancora prigioniero dal
giuramento da lui prestato; quanto più non lo sarà in questo caso, nel quale i
giovani in questione hanno la percezione chiarissima che il giuramento prestato
da loro è tra i più cattivi di questo mondo! Agisci dunque in questo caso pure
assolutamente secondo il tuo buon intendimento e il Mio amico Cirenio non ti
sarà certo avaro del suo superiore aiuto!»
11. E Cirenio subito aggiunge: «Il mio aiuto non solo non mancherà, ma,
affinché Giulio possa d’ora innanzi respirare con maggiore libertà di
coscienza, io intendo esercitare il potere legale nei confronti dei trenta
individui e che il Tempio venga pure a chiedermene conto!».
12. Queste parole Mie e di Cirenio valsero a rallegrare Giulio oltre
ogni misura e tutta la compagnia gioì di una soluzione così buona.
Giulio
comunica il suo migliore consiglio ai farisei.
1. Dopo ciò Giulio si rivolse nuovamente al giovane fariseo di prima e
disse: «Ebbene, amico mio, noi abbiamo già trovato un buon mezzo che vi
permetterà, assieme ai vostri parenti, di risultare perfettamente giustificati
di fronte al Tempio ed a tutte le sue esigenze, anzi i vostri parenti si
troveranno perfino autorizzati a sporgere, presso la prefettura provinciale
romana, una giusta querela a carico del Tempio che, senza dubbio, verrà
condannato a risarcirli della
perdita delle vostre persone e la motivazione sarà fornita dal fatto che
voi, a causa della non osservanza delle leggi di Roma che riguardano le
regolamentari licenze di viaggio a cui foste costretti dal Tempio, essendosi
questo fino ad ora ostinato a non prendere nota di tali leggi, voi siete stati
fatti prigionieri da noi romani e subito aggregati alle forze militari nella
legione straniera! Dunque, adesso voi siete prigionieri per il vostro bene.
Siete contenti così?»
2. Allora tutti esclamano: «Oh, signore, chiunque tu possa essere,
questo consiglio un Dio solo ha potuto dartelo! Benissimo; in questo modo lo
scopo è raggiunto tanto per noi quanto per i nostri parenti! Com’è dolce la
gioia della liberazione! E quanto più savia della nostra sudicia Gerusalemme ci
appare ora la grande Roma! Oh, vecchio padre di questa casa, va’ e portaci
ancora del vino per festeggiare questa lietissima notizia; noi vogliamo
brindare alla salute ed alla prosperità di tutti quanti si trovano qui, perché
noi, che eravamo nell’inferno, siamo stati all’improvviso innalzati al Cielo. I
ciechi figli di Israele sono sempre in attesa di un Messia promesso che li liberi
dal giogo dei romani; ora ecco, noi invece abbiamo trovato adesso appunto,
presso di voi e in voi, o diletti romani, il Messia autentico e unico e vero di
tutti gli uomini! La verità pura è il vero Messia di tutti, ma questa si trova
ora fra di voi e di conseguenza voi, che avete fra di voi ed in voi la verità
più intera e pura, siete anche l’unico e vero Messia di tutti gli ebrei di
sentimenti puri e onesti, come anche di tutti gli uomini i cui animi sono
tenuti prigionieri tra i lacci di dottrine antiche, vane e del tutto corrotte e
di leggi peggiori ancora che ne derivano. O vecchio oste, va’, va’ e portaci
ancora del vino, affinché noi possiamo brindare con un evviva ai nostri
liberatori, ai nostri messia!».
3. Marco fa subito servire ai forestieri ancora del pane e parecchi
boccali di vino, ed il giovane oratore chiede nuovamente a Giulio chi siano in
effetti i componenti della sua compagnia e chi infine sia egli stesso.
4. Risponde Giulio: «Io ti ho già detto prima che se quel Giulio di
Genezaret da te così malamente descritto ha fatto, certo non con malvagia
volontà, un qualche torto a qualcuno, egli si darà anche sicuramente ogni briga
possibile per ripararlo a tempo. Ora quel Giulio che voi tanto temete sono io
stesso e qui dirimpetto a me siede l’illustre governatore di tutta l’Asia e
l’Egitto, Cirenio, dal quale volevate recarvi a Sidone. Ed ora dimmi se sei
contento di noi, duri e inesorabili romani!»
5. Udendo queste parole, il giovane fariseo è preso per un istante da
grande spavento e con lui tutti i suoi compagni, ma poi si riprende subito e
dice: «O nobile signore! Io ti prego di non serbarci rancore per le parole che
ho detto prima e che evidentemente non possono esserti apparse troppo
lusinghiere! Ma io non ho colpa, come pure anche tu, come adesso vedo, non ne
hai, se ci hai fatto trasportare a Cafarnao con gli occhi e le orecchie
impiastricciate d’argilla. Se tu quella volta ci avessi conosciuti come ci
conosci adesso, non ci avresti fatto una cosa simile. Tu ci hai preso per i soliti farisei di
pessima specie e questo spiega perfettamente il tuo duro trattamento nei nostri
confronti. Ma ora perdona tutti noi e me particolarmente, poiché tu sai il
cosa, il come e il perché di tutto quanto!»
6. Dice Giulio: «Con gente leale e sincera parlo volentieri e mai
potranno offendermi le parole schiette pronunciate da chi, senza reconditi
pensieri, dice fuori dal suo animo la verità, liberamente e senza paura, ma
guai a chi parla diversamente da quello che pensa, perché non c’è per me niente
di più brutto della menzogna, poiché secondo me la menzogna è condannabile
anche se detta per necessità sia davanti a Dio che a tutti. È meglio morire da
galantuomini che salvarsi dicendo quello che non è vero! Ma, come ho detto, il
vostro linguaggio mi piace e siccome le vostre condizioni mi sono anche
abbastanza ben note per averle udite a Gerusalemme ed a Betlemme, io so che voi
avete anche esposto qui la vostra situazione senza sottacere quasi niente; c’è
bensì ancora qualcosa che si nasconde in voi, ma si tratta di una piccola cosa,
e voi ci arriverete se dimostrerete a noi romani sempre fedeltà vera e sincera
ed attaccamento fraterno!»
7. Dice il giovane oratore: «O nobile signore! Sii anche tu del tutto
franco con noi e dicci apertamente che cosa ritieni che si nasconda ancora in
noi, relativamente alla nostra richiesta. Infatti, naturalmente ci sono in noi
ancora parecchie cose delle quali non abbiamo qui potuto parlare, in primo
luogo per la ragione che ne è mancato il tempo ed in secondo luogo perché in presenza
di una compagnia così ragguardevole non è lecito ragionare con stupida
precipitazione di certi argomenti, specialmente quando ci si trova dinanzi ad
una personalità altissima quale il governatore supremo di tutta l’Asia romana,
la cui maestà non siamo degni nemmeno apertamente di guardare da quando
sappiamo chi è. Oltre a ciò alla vostra mensa siedono pure una ragazzetta ed un
giovinetto ed allora vale bene il consiglio che dice: “Tieni un po’ a freno la
tua lingua”, ma quando avremo occasione di trovarci soli con te, non ci sarà
più per te, o nobile signore, niente di nascosto da parte nostra! Ed ora che
hai mostrato tanta grazia e misericordia a noi, poveri peccatori, dicci, per
noi soltanto, che cos’è che ti appare spiacevole in noi e poi dicci anche se è
un romano d’alto riguardo anche la persona con la quale prima hai parlato in
idioma romano, quando hai trattato del nostro affare!»
8. Dice Giulio: «Ebbene, quello che voi, per motivi di decoro, mi avete
sottaciuto, non ha ad ogni modo più nessuna importanza né per me né per voi.
Invece potrebbe avere importanza grandissima per voi la conoscenza di
quell’uomo che vi ha dato nell’occhio! Però anche per questo oggi non c’è più
assolutamente tempo e conviene rimandare la cosa a domani!». I salvati accettarono
questa decisione con grandi attestazioni di rispetto e ripresero a gustare il
pane e il vino in tutta allegria e serenità d’animo.
Giara dà
testimonianza del Signore.
1. Alla fine uno tra di loro, cui era rimasto ancora un po’ di vino,
fece un brindisi al saggio Nazareno, dicendo: «Anche a Colui che abbiamo
cercato, ma che purtroppo non abbiamo potuto trovare, vada un evviva per sempre
da parte nostra, qualora Egli si trovi ancora in vita in qualche luogo ed in
buona sicurezza; mai fra di noi ci sarà in eterno un nemico della Sua vita, la
quale è la salvezza per gli uomini. Oh, se ci fosse stato dato di incontrarlo,
lo avremmo illuminato riguardo al Tempio, caso mai ci tenesse ancora in qualche
modo, in maniera tale da spegnere in Lui per sempre, come lo è già in noi, ogni
brama di ritornarvi! Ma poiché non Lo abbiamo potuto trovare, vada questo
nostro evviva con le nostre benedizioni a Lui, il buon Medico di Nazaret, il Guaritore
dei corpi e delle anime!»
2. Queste parole, ispirate a caldo e sincero entusiasmo, suscitarono
una dolce commozione fra i presenti e Giulio, ma particolarmente Cirenio,
sentirono le ciglia inumidirsi. Anche Giara aveva gli occhi bagnati di lacrime
e così pare la maggior parte dei Miei discepoli. E Giara Mi disse sottovoce:
«Oh Signore, se potessi parlare adesso! Quante cose ancora vorrei
raccontare di Te ai trenta salvati!»
3. Le dico Io: «Ebbene, se ti senti capace di non rivelare la Mia presenza,
puoi dire senz’altro qualcosa, poiché questi salvati ti ascolteranno con la
massima attenzione!»
4. Dice Giara tutta contenta: «Oh, se Tu lo permetti, comincio subito!»
5. Dico Io: «Sta bene, fallo pure, ma devi badare a dominarti, affinché
tu non cominci a piangere!»
6. Risponde Giara: «O Signore, farò tutto il possibile per evitare
ciò!». Dopo questa assicurazione, Giara si alzò e disse con voce assai chiara e
distinta: «Udite, o miei cari amici, voi che avete fatto un brindisi alla
salute del Guaritore di Nazaret da voi cercato e tuttavia non trovato; al
vostro evviva ho partecipato io pure nel mio cuore dal più profondo della mia
vita, perché ho avuto l’inestimabile fortuna di fare personalmente la Sua
conoscenza e precisamente a Genezaret stessa e mi trovo perciò nella situazione
felicissima di potervi fare una descrizione molto sincera, per quanto breve, di
quel che concerne il Suo carattere e le Sue inaudite capacità, purché voi
desideriate sentirla da me!»
7. Dicono tutti ad alta voce: «Certo, certo, incantevole fanciulla da
Genezaret! Ma per conto nostro ci farà certamente piacere se la tua descrizione
sarà più ampia invece che forse troppo breve, se il tuo petto delicato può
reggere allo sforzo!»
8. Risponde Giara: «Oh, non datevi pensiero per ciò! Il mio petto è
forte e può sopportare qualche fatica. Ascoltatemi dunque. Come voi, così
anch’io avevo già udito raccontare molte cose riguardo al meraviglioso
Guaritore di Nazaret sorto di recente. Ora la nostra regione era continuamente
una fra le più insalubri di tutta la Galilea perché ciascun forestiero che vi
fosse venuto e vi si fosse trattenuto anche un paio di giorni si ammalava con
tutta sicurezza tanto da non poter più proseguire il suo viaggio. Ce ne furono
di quelli che sono stati obbligati a rimanere là non di rado anche oltre un
anno. Sulla gente del luogo il male aveva meno influenza. Pochissimi erano
veramente fra gli indigeni coloro che potevano dirsi perfettamente sani, ma
pure molto pochi coloro dei quali si sarebbe potuto dire che fossero gravemente
ammalati. Per queste ragioni tutti i viaggiatori evitavano con ogni cura quella
località e, chi non fosse stato costretto a recarvisi per affari urgentissimi o
per assolute necessità, non veniva certamente a Genezaret.
9. Quando per la prima volta ebbi notizia del Guaritore di Nazaret,
cominciai a pregare con tutto il fervore possibile il Dio di Abramo, Isacco e
Giacobbe, affinché volesse mandarLo anche nella malsana Genezaret. Ed ecco, io
fui ben presto esaudita, perché infatti il Guaritore da Nazaret venne subito da
noi a Genezaret e si vide un Guaritore che non aveva con sé nessuna medicina,
così si cominciò a domandare in segreto: “Come farà a guarire i molti ammalati
che ci sono qui?”. Ma Egli ci convinse ben presto che a Lui bastava dire: “Io
lo voglio, sii o siate sani!”, ed in un istante, con la rapidità del lampo,
tutti coloro che erano tormentati dalle malattie più svariate, sia guaribili,
oppure notoriamente non guaribili, si trovarono risanati tanto radicalmente che
in loro non fu più possibile riscontrare neanche la minima traccia di una
qualche malattia e si sentirono come se non fossero mai stati ammalati in vita
loro! Che si trattasse di paralitici, ciechi, sordi, ossessi, storpi, gottosi,
lebbrosi o di altri afflitti di cento altre malattie, per quel Guaritore fu
tutt’uno; Egli li guarì tutti con la Sua parola e con la Sua volontà! Il romano
Giulio ne è stato buon testimone assieme a centinaia di altre persone.
10. Ed Egli non guarì soltanto i corpi degli uomini, ma anche le loro
anime e l’intendimento di queste; spazzò via dai cuori degli uomini stolti e
traviati le cieche superstizioni ed istruì gli ignoranti in maniera tanto
chiara e facile che vi fu perciò meraviglia in tutti, maggiore ancora di quella
suscitata dalle Sue guarigioni per mezzo della parola.
11. Finalmente Egli si dimostrò pure quale un Signore perfettissimo ed
un Maestro della Natura, perché a Lui obbediscono l’acqua, l’aria, il fuoco e
la terra ed io oso perfino dire con assoluta certezza che il Sole la Luna e le
stelle non gli rifiuterebbero l’obbedienza, qualora Egli desse loro dei
comandi; gli stessi angeli del Cielo obbediscono alla Sua volontà.
12. Egli mi ha dato le prove che Gli sono molto cara ed io L’amo sopra
ogni cosa, quantunque a giudicare dall’esteriorità non possa dirsi proprio un
bell’uomo, perché Egli è piuttosto piccolo di statura e le Sue mani sono ruvide
e portano le tracce del lavoro; il Suo capo invece è quello che si può dire di
più maestoso e i Suoi occhi sono così belli come di uguali non ne ho mai visti;
i tratti della Sua bocca sono
estremamente amichevoli, benché siano
nello stesso tempo improntati a grande serietà; la Sua voce poi la si può veramente
chiamare affascinante nella Sua virilità, poiché al mio orecchio essa ha risuonato
più gradevole del più puro e del più bel canto.
13. E con ciò vi avrei fatto una descrizione il più possibile breve e
conforme a verità del famosissimo Guaritore da Nazaret, la quale, come ho
detto, può venire confermata da cento tra i più fidati testimoni! Che ve ne
pare dunque del Guaritore che voi avete cercato e non avete trovato?».
Rivelazione
delle intenzioni del Tempio.
1. Dicono i farisei, meravigliati nel sentire la descrizione di Giara:
«Non ci hai veramente narrato qualcosa di particolarmente nuovo, perché tutte
queste cose ed altre ancora sul Suo conto sono giunte al nostro orecchio già
quando eravamo a Gerusalemme ed appunto perché voci straordinarie a Suo
riguardo sono ormai diffuse e fatte oggetto di considerazioni quasi come il
pane quotidiano, si può dire, già in tutto Israele, appunto per questo, da
parte del Tempio, furono anche inviati già parecchi emissari per cercare di
avvicinare quest’Uomo ed indurlo a seguirli nel Tempio. Se la cosa dovesse
riuscire, gli verrebbe in primo luogo certamente fatta la proposta di dedicare
le sue conoscenze e capacità meravigliose ad esclusivo vantaggio del Tempio, e
se Egli respingesse tale proposta, ciò che si dovrebbe attendere da Lui con
tutta sicurezza, considerato che si dice che Egli sia, oltre tutto, anche una
persona molto buona, amorevolissima e quanto mai saggia, allora in ogni caso
non se la caverebbe a buon mercato e sarebbe difficile che non finisse almeno
in fondo a qualche solidissima prigione, a meno che Egli non sia proprio sul
serio onnipotente. Infatti il Tempio è diventato ora tanto malvagio che non più
gli uomini, bensì Satana stesso potrebbe andarvi come ad una scuola di perfidia
per buoni dieci anni ancora, se volesse imparare perfettamente in teoria ed in
pratica tutte le nefandezze che vi vengono architettate e perpetrate.
2. Per questa ragione noi diciamo che il Salvatore da Nazaret non
consentirebbe mai più i loro abomini, però in caso contrario Egli cadrebbe
immancabilmente vittima del Tempio!
3. Si dirà che per la potenza delle Sue parole e delle Sue opere molti
farisei sono già stati convertiti; ma che giovamento ne hanno tratto costoro?
Essi se la sono vista davvero brutta nel collegio del Tempio ed hanno per di
più dovuto cominciare a mentire come non avevano mai fatto prima, per poter
vivere senza troppi disagi fra gli altri loro colleghi, perché la vecchia
congrega del Tempio è e resta definitivamente una compagnia del demonio e non
c’è neanche da pensare di farle cambiare strada!
4. Se il sommo sacerdote dice, per esempio: “Per tutta la giornata di
oggi il Sole non splenderà sulla Terra!”, anche se il Sole è nel suo massimo
fulgore, qualcuno dei subordinati non deve neanche alla lontana permettersi una
qualche osservazione, per quanto lieve, con la quale far comprendere che il
Sole tuttavia splende. Per un buon anno egli non avrebbe più pace! In poche
parole a nessuno è lecito credere altro se non che il Sole in quel giorno non
splende affatto, anche se fosse costretto a rifugiarsi nell’ombra più fitta per
difendersi dai raggi del Sole bene spesso troppo cocenti! Se il sommo sacerdote
dice: “Oggi per la durata di sette ore nel torrente Cedron non scorrerà che
sangue!”, guai a chi, dopo questa sentenza, forse non ammettesse di veder
scorrere del sangue! Se un ammalato si presenta al sommo sacerdote e questi gli
dice: “Figlio mio tu sei guarito, vattene ora a fare la tua offerta e ritorna
poi in pace a casa tua!”. Ebbene, il guarito invece rimane infermo e misero né
più né meno di prima, ma se egli osservasse: “Amico mio! Io mi sento male come
prima e offerte non posso farne!”, apriti cielo, sarebbe il finimondo! Insomma,
la parola del sommo sacerdote deve giovare e perché possa giovare bisogna anche
pagare, anche se di un qualche giovamento non ci sia neanche la più piccola
traccia e guai a chi volesse anche per poco mettere in cattiva luce un simile
aiuto ipotetico! Davvero io non vorrei trovarmi nella sua pelle!
5. Comprenderai benissimo, mia cara fanciulla, che per procedere a
simili guarigioni compensate da vistosissime offerte il tuo Salvatore sarebbe
un ottimo acquisto per il collegio del Tempio, come pure ti sarà chiaro il
perché il Tempio dia con tanto accanimento la caccia al buon Salvatore da
Nazaret.
6. Del resto noi dobbiamo ringraziarti per avercelo descritto più
particolareggiatamente! Forse un giorno toccherà anche a noi la fortuna di
incontrarLo in qualche luogo. Sia resa intanto ogni lode a Jehova, buono e
onnipotente, il quale ci ha liberati dalle grinfie del Tempio! Ma se un giorno
ci sarà dato forse di capitare da soldati a Gerusalemme, allora quel sacro
collegio avrà poco da stare allegro! Sapremo ben noi come spolverarlo a dovere dalla
sua santità!
7. Ed ora, se tu, cara e buona fanciulla, puoi raccontare ancora
qualcosa di speciale del tuo meravigliosissimo Salvatore, continua pure, e noi
ti ascolteremo con la maggior attenzione di questo mondo anche fino all’alba,
avendo noi un estremo interesse a conoscere quell’uomo!».
Il miracolo
della pietra dell’arcangelo Raffaele.
1. Dice Giara: «Eh, miei carissimi amici, io potrei per mille anni di
seguito raccontarvi senza interruzione le cose più straordinarie riguardo al
Salvatore da Nazaret, se il tempo fosse, in generale, già venuto per poter
raccontare tutto quello che si è visto ed udito, ma Egli, per ragioni dettate
da suprema sapienza, me lo ha proibito, e perciò non mi è lecito raccontare di
Lui tutto quello che so, bensì soltanto quel po’ che Egli in persona mi ha
ragionevolmente permesso di dire.
2. Allora, prima vi dissi, fra altro, che a Lui, il buon Salvatore da
Nazaret, dovrebbero essere soggetti anche il Sole, la Luna e le stelle, visto
che Gli obbediscono perfino gli angeli dei Cieli. Ed io mi sono accorta che a
questa osservazione qualcuno di voi sorrise e scosse il capo come per dire:
“Cara fanciulla, la tua immaginazione infantile ti trascina un po’ troppo lontano!
Infatti i puri angeli dei Cieli obbediscono solo a Dio ed a nessun altro in
tutto l’infinito!”. Ma io vi dico che in questo caso le cose stanno tuttavia
precisamente cosi come ve le ho sinceramente esposte!
3. Ed io già prima ve ne avrei data la prova palpabile, se voi non
aveste sorriso e scosso il capo in segno di grande dubbio, però adesso voglio
troncare alla radice i vostri dubbi e dopo non potrete più così facilmente
ritornare all’idea di vedere in me una giovane innamorata fantasiosa, la quale,
riguardo all’oggetto del suo cuore, è sempre volentieri disposta a fare di una
mosca un elefante, come di solito succede a questo mondo! Oh, certamente questo
modo di giudicare e di esprimersi sarà comune a molte tra le fanciulle del
mondo, ma presso di me non se ne può trovare in verità neanche la più piccola
traccia ed io ve ne fornirò subito la prova più vivente e più evidente!
4. Guardate là quel giovinetto, il secondo seduto alla mia destra e che
adesso sta parlando con il figlio dell’illustre Cirenio, il quale ha il suo
posto immediatamente vicino a me, pure a destra! Chi credete che sia quel
giovinetto?»
5. Dicono gli interrogati: «Ma, è un uomo in carne ed ossa, come tutti
noi!»
6. Dice Giara, un po’ sorridendo e scuotendo il capo: «Sbagliato, miei
cari amici, sbagliato di grosso! Vedete, questo è un purissimo arcangelo di Dio
scelto a mio assoluto piacimento tra le miriadi di angeli che sono state viste
quasi da tutti, il quale appunto il famoso Salvatore da Nazaret ha concesso che
rimanga con me per un certo tempo, per essermi da maestro e da guida! Ma se voi
non potete credere alle mie parole, venite qui e persuadetevi con tutti i
vostri sensi; per alcuni istanti egli sarà a vostra disposizione!»
7. Dice l’oratore di prima: «Oh, oh, questa è una cosa della quale
bisogna convincersi, come si dice, con le mani e con i piedi, altrimenti c’è da
smarrirsi assolutamente fra le nuvole, limitandosi a considerare le parole
stranamente sagge di questa fanciulla!»
8. Detto ciò, il giovane fariseo si alza, si avvicina rispettosamente a
Giara e le domanda: «Ebbene, come mi persuaderai della verità della tua
asserzione?»
9. Dice Giara: «Rivolgiti direttamente al giovinetto, che si chiama
Raffaele; egli stesso ti fornirà le prove che ti occorrono!»
10. Il giovane fariseo allora si presenta subito a Raffaele e questi si
alza e gli domanda, fissandolo intensamente negli occhi: «Perché dubiti di ciò
che la mia allieva ti ha detto di me? Stringi qui la mia mano, e dimmi cosa
senti!»
11. Il fariseo esegue ed osserva poi, tutto meravigliato: «Hem, che
strano! Io non sento veramente altro che la mia mano fortemente chiusa, nella
quale non tutta la tua mano, ma neppure una mosca potrebbe trovar posto;
infatti ti stringo la mano attraversandola e perciò devo ammettere che tu non
sei davvero un essere fatto di carne ed ossa come noi»
12. Dice Raffaele: «Leva una pietra fra quelle che giacciono ai tuoi
piedi e poi dammela!»
13. Il giovane fariseo solleva una pietra, che avrà pesato le sue buone
30 libbre, ma subito osserva: «O essere spirituale quale tu sei, se la mia mano
ha attraversato la tua, questa pietra pesante finirà bene anch’essa con il
cadere attraverso le tue mani come attraverso l’aria che non può opporre
resistenza, perché si tratta di 30 libbre almeno e se, attraversando le tue
mani, essa poi mi cade sui piedi, me li schiaccia sicuramente!»
14. Risponde Raffaele: «Se questa cosa dovesse accaderti, io ho il
potere di guarirti in un rapidissimo istante! Dunque, non temere e deponi la
pietra nelle mie mani!».
15. Allora il giovane fariseo posa la pietra sulle mani di Raffaele.
16. Ma quando vede, con suo immenso stupore, che a Raffaele il
sostenere tra le mani quella pietra pesante non costa sforzo maggiore di quanto
ne occorrerebbe per sostenere una piuma e che va gettandosela come per gioco da
una mano all’altra con una facilità da far sbalordire, quasi si trattasse di un
piccolo groviglio di piume, allora il giovane fariseo esclama: «Ascolta, o
carissimo ospite, o cosa mai altro tu possa essere! Impegnarsi in una lotta con
te dovrebbe essere un affare molto serio e sarebbe certamente una partita persa
in brevissimo tempo! Ma da dove ti viene questa forza immensa?»
17. Dice Raffaele: «Oh, questo non è niente ancora. Adesso ridurrò,
davanti ai tuoi occhi, questa selce molto dura in polvere minutissima!». E
detto ciò, Raffaele stritola la pietra fra le mani ed in un momento la riduce
visibilmente in minutissime particelle, cosicché sulla tavola davanti a Raffaele
venne a trovarsi, al posto della pietra, un mucchio di polvere bianca
finissima.
18. Visto questo secondo esperimento, il giovane fariseo si curvò tutto
attonito per guardare meglio ed i suoi colleghi pure si affrettarono a venirgli
vicino per osservare quella meraviglia.
19. Poi l’angelo disse: «Per uno che ha in sé la forza necessaria, non
è proprio tanto difficile ridurre in polvere una pietra come questa, almeno non
tanto quanto lo è il comprimere nuovamente la polvere e ridonarle l’iniziale solidità
e forma originaria. Infatti ogni uomo può frantumare così una pietra, anche se
proprio non con le mani come ho fatto io, bensì adoperando dei martelli di
ferro molto duri, ma la ricostituzione della pietra, mediante la compressione
della polvere, è una cosa che molto difficilmente potrà mai riuscire ad un
uomo, particolarmente nella forma originaria. Ora, affinché tu ti convinca che
posso fare anche questo, fa attenzione e vedi se sei capace di imitarmi!».
20. Detto ciò, Raffaele raccolse meglio la polvere che era sulla
tavola, la compresse con le mani ed in un attimo la pietra si trovò
ricostituita dinanzi all’angelo, identica a come era prima, nel peso e nella
forma.
21. Visto questo nuovo esperimento, il giovane fariseo assieme a tutti
i suoi colleghi, resta con gli occhi sbarrati per lo stupore, cosicché non è
più in grado di tirare fuori dalla bocca neanche una parola ragionevole.
22. Ma l’angelo prosegue e gli dice: «Ecco, ma anche questo è ancora
niente! Sta attento, io annienterò del tutto perfino questa pietra in un attimo
soltanto con la forza della mia volontà». E, rivolto alla pietra, l’angelo
dice: «Dissolviti nel tuo corrispondente etere e diventa volatile come il più
sottile etere!». A queste parole di comando la pietra svanì completamente in un
istante e nessuno poté mai più vedere alcuna traccia di essa in nessun luogo!
Poi l’angelo domandò al giovane fariseo: «Ora, amico mio, ti è piaciuta la
cosa? Saresti capace di fare altrettanto?»
23. Risponde il giovane fariseo: «Ascolta, o caro spirito angelico od
altro che tu possa essere! Questa è una cosa inaudita! Io, da parte mia, credo
ormai definitivamente che tu sia un angelo di Dio; soltanto un punto non mi
riesce chiaro e cioè come tu, con la tua forza che ben si può chiamare onnipotente,
possa restare soggetto ad un uomo di questa Terra! Infatti una simile
asserzione è stata pure fatta da questa fanciulla sul conto del famoso
Salvatore da Nazaret ed io oramai devo crederci, che voglia o non voglia!
24. Esiste sul serio un mezzo su questa Terra con il quale rendervi
soggetti? Come è arrivato quell’Uomo a un tale punto? Noi conosciamo dalla
Scrittura bensì dei casi in cui degli angeli hanno servito gli uomini per
comandamento di Dio, ma nella maniera in cui ora ti trovi fra gli uomini
mortali, non è possibile trovare citato nella Scrittura davvero alcun esempio!
No, no, amici miei, in ogni caso la questione non è affatto immune da sospetti!
Tu puoi ben essere un angelo di Dio, ma altrettanto potresti anche facilmente
essere qualcosa di perfettamente opposto! Il che ci induce ad invocare:
“Jehova, aiutaci!”. Adesso è mezzanotte piena, per giunta! Ed in quest’ora gli
“Jehova aiutaci” non so se si associano volentieri agli uomini! Tu veramente,
per un simile “Jehova aiutaci!” mi sembri troppo bello, dolce e sapiente, ma
pare che anche ciò non offra una assoluta garanzia! Ma se tu, nonostante ciò,
avessi pure il dannato onore di vantare una qualche attinenza con quel che si
chiama “Jehova aiutaci”, allora non avremmo in verità grandi vantaggi da
riprometterci dalla conoscenza del meraviglioso Salvatore da Nazaret! Questo
esperimento con la pietra comincia a suggerirmi pensieri assai strani, aiutaci
Jehova! Non per niente si dice forse che Satana può, quando vuole, assumere
anche la forma radiosa degli esseri celesti! E se tu fossi così, qualcosa di
simile da dover chiedere aiuto a Jehova, allora noi preferiremmo volare
piuttosto che camminare via da qui, poiché per noi non ci sarebbe da stare
troppo a nostro agio!»
25. A queste parole del giovane fariseo, tutti accennano a voler
prendere la fuga, ma Cirenio lo impedisce e ordina loro di ritornare ai loro
posti.
Essi vanno a riprendere i posti da loro occupati prima, però, a
giudicare dalle loro facce, si sarebbe detto che si fossero messi a sedere
sulle spine.
Il discorso di
scusa del giovane fariseo.
1. Giulio però dice al giovane fariseo, il quale, in quanto al resto,
appariva molto sveglio di intelletto: «In verità, all’inizio ti ho creduto più
saggio e ragionevole di quanto mi appari adesso, che hai l’aria di prendere per
un possibile Satana chi invece è evidentemente un angelo purissimo! Ah, questa
è grossa! Per poco che tu sia ragionevole, dalle nostre parole e dalle nostre
azioni dovresti ben arguire che noi non siamo seguaci del demonio! Secondo la
vostra dottrina non vuole, forse, il demonio continuamente nient’altro che il
male? Ora noi aborriamo il male e lo puniamo sempre. Come dunque possiamo
essere seguaci del demonio? O pazzi e ciechi che non siete altro! Non avete mai
visto ancora un uomo posseduto dal demonio? Io ne ho visti parecchi, ma nessuno
che fosse stato trattato bene dal suo inquilino! Ma poiché nella vostra rozza
stoltezza pensate che noi possiamo essere dei seguaci del demonio, che opinione
avrete poi dei farisei del Tempio e di voi stessi, considerato che a tutto il
mondo un po’ ben pensante è ormai ultra noto che il Tempio non è niente altro
che un covo della menzogna, dell’inganno e di ogni altra più astuta perfidia e
voi stessi siete i servitori appunto di questo Tempio! Voi stessi avete ammesso
che il Tempio, com’è oggi, potrebbe servire benissimo da scuola per Satana! E
noi, che con fedeltà e bontà di cuore cerchiamo di fare a tutti il maggior bene
possibile, voi adesso ci volete considerare dei seguaci del demonio e tutto
questo perché uno spirito dai Cieli vi ha offerto un piccolo saggio della sua
immensa forza e potenza! Ma io sarei pur curioso di sentire da voi come
dovrebbe essere fatto qualcosa, per non venire sospettato di essere del
diavolo!»
2. Dice il fariseo, che si era già alquanto calmato: «Suvvia, o nobile
e benigno Giulio! Tu non devi imputarci troppo a peccato questa faccenda! Vedi,
quello di cui viene nutrito un uomo è ciò che il suo corpo riceve come
nutrimento; se il cibo è buono, anche il corpo si nutre bene, ma se il cibo è
cattivo, il nutrimento del corpo procederà male. Un uomo, che sia abbandonato e
ridotto a mangiare assieme ai porci, non potrà espellere dal proprio corpo
altra immondizia se non quella dei porci stessi! E così pure stanno le cose ora
spiritualmente, nei nostri riguardi; per lunghi anni lo stomaco della nostra
anima è stato riempito di cibo per maiali ed i pessimi rimasugli non si possono
eliminare dallo stomaco dell’anima con quella facilità e rapidità che si
potrebbe supporre!
3. Le nostre opinioni e le nostre coscienze migliori, che sono tuttavia
ancora molto frammiste ad impurità, le dobbiamo unicamente ai frequenti
contatti con romani e greci, ma quando noi facevamo ritorno a Gerusalemme e
precisamente nel Tempio, bastavano quattordici giorni per ridurci di nuovo ad
uno stato di maggior balordaggine possibile, mediante ogni tipo di discorsi che
volevano suonare mistici e savi! Come ci si può meravigliare, dunque, se in una
occasione tanto fuori dall’ordinario, da una o l’altra di queste massime,
ancora sonnecchianti nella nostra anima,
salgono da sole delle nuvole
oscure nel nostro cielo, che velano il giovane sole della nostra conoscenza
dallo splendore comunque debole ed a momenti l’ottenebrano in modo che,
trovandoci di fronte ad apparizioni straordinarie, finiamo con l’essere
paragonabili ad un viandante nella notte profondissima, al quale il lampo
scoccante dalle nubi rischiara bensì per un istante il sentiero seminato di
scogli, ma il giovamento che ne trae il viandante è ben piccolo, perché ad un
simile momentaneo bagliore segue immediatamente una tenebra ancora più
profonda!
4. Perciò, abbi pazienza, che con il tempo matureremo anche noi, ma,
come detto, un cambiamento non si può verificare così all’improvviso ed io,
come pure gli altri miei compagni, siamo ora contenti quanto mai di avere
cominciato a comprendere perché le cose stiano propriamente così come
altrimenti non possono neanche stare. Si sa già che con pochi colpi di
scalpello lo scultore non riesce a trarre una perfetta figura umana fuori da un
blocco di pietra dura e grezza!
5. Riguardo agli angeli del Cielo, noi ne abbiamo già più volte udito
parlare ed abbiamo letto parecchie cose. I tre stranieri che visitarono Abramo
erano degli angeli; con Lot c’erano pure degli angeli; la storia della scala
con gli angeli vista da Giacobbe in sogno è ben nota; l’asino di Balaam
annunciò la presenza di un angelo al profeta che lo maltrattava; il compagno e
guida del giovane Tobia era un angelo; gli israeliti videro l’angelo
sterminatore passare da una casa all’altra degli egiziani; presso i tre giovani
nella fornace ardente furono visti degli angeli, ed ancora in molti altri punti
della Scrittura è fatta menzione di angeli di Dio che, come materialmente
visibili, hanno avuto rapporti con gli uomini di questa Terra. Allora, perché
non dovrebbe essere possibile anche adesso una cosa simile?
6. Ma qui la sicura presenza di un angelo è un fatto tanto
straordinario che certamente non lo si può concepire nella pienezza della
verità così rapidamente come si acquista la fede in un fatto simile avvenuto in
un tempo molto remoto. Credere è facile, perché l’uomo tende sempre a
rappresentarsi il passato come migliore del presente e, per un certo sentimento
di reverenza verso il passato stesso, è portato a considerare il presente
sempre troppo indegno di simili manifestazioni divine, senza pensare che per
esempio Sodoma e Gomorra non devono essere state oggetto di eccessivo
compiacimento per il Signore, considerato che Egli ha fatto piovere il fuoco
dal Cielo sopra queste due città.
7. Insomma, devi tu stesso convenire che questo avvenimento è talmente
straordinario che di simili, a quanto ne sappiamo noi, non se ne sono mai visti
ancora su questa Terra. Dunque, se si considerano e si valutano bene le
condizioni nelle quali siamo vissuti finora, non sarà molto difficile da
comprendere se noi siamo rimasti sconcertati, assistendo al meraviglioso
esperimento con il quale l’angelo ha voluto fornirci una prova della sua
origine divina. Perciò, o nobile Giulio, ti preghiamo di non considerare in
noi, forse, come un perfido peccato quella che è stata una manifestazione
momentanea della nostra stoltezza!».
Ammaestramento
dei farisei da parte di Giulio.
1. Dice Giulio: «Questo non è affatto il caso. Io stesso vi ho già
detto che tutto ciò era da attribuire ad una grande stoltezza rimasta latente
nelle vostre anime ancora dal tempo della vostra educazione, ma quello che non
è ancora del tutto uscito fuori, verrà bene portato fuori da voi interamente
con l’andare del tempo. Certo è che un simile risultato non lo si può ottenere
in una volta, perché una stoltezza inveterata è più difficile da estirpare
dall’anima che non cronico male fisico del corpo, ma infine un giusto rimedio
può sanare tutti e due i malanni.
2. Noi non facciamo carico a nessuno della sua stoltezza innata ed
inculcata, perché nessuno stolto ha colpa se la sua educazione non è stata
migliore, ma, quando più tardi gli viene offerta l’occasione di fare esperienze
grandiose e di trattare con persone che sono molto esperte nella vera sapienza
ed hanno una giusta cognizione di qualsiasi cosa o fenomeno che mai possa
verificarsi a questo vecchio mondo, allora egli deve gettare la sua antica
stupidità e deve accettare per vero e per buono soltanto quello che ha visto ed
udito da quelle persone prive di egoismo, le quali conoscono la verità e
continuamente cercano il bene che deriva da questa verità. Se egli si mostra
ostinato e ricalcitrante, si rende meritevole della verga e se neanche questo
giova, allora è meglio che venga allontanato dalla società degli uomini migliori
e che venga rinchiuso in un ricovero di pazzi, perché la sua stoltezza, troppo
tenace e dalle radici troppo profonde, finirebbe con il diventare per gli altri
uomini oggetto di grave scandalo e ciò non sarebbe affatto buono.
3. Questo, però, non è sicuramente il vostro caso, per la ragione che
la vostra intelligenza si è già troppo destata tramite i frequenti rapporti con
noi romani e greci, che su questa Terra dovremmo essere ormai senza dubbio il
popolo più esperto e colto, nonostante tutti i rimproveri che ci vengono fatti
di non credere nell’unico vero Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe da voi
predicato. Ma se noi vi ponessimo la domanda se voi stessi credete con tanta
incrollabile fermezza come sarebbe da aspettarsi stando alle vostre parole ed
alle vostre cerimonie, allora le vostre perverse e male azioni, se non proprio
la vostra bocca che è sempre stata ricettacolo di menzogne, risponderebbero
chiaramente e direbbero: “Noi non crediamo in niente affatto, ma fingiamo in presenza
del popolo ignorante di avere una fede e per questo genere di ipocrisia, della
quale conosciamo a fondo l’arte, ci facciamo pagare quanto è più possibile!”.
Se dopo ciò confronto la nostra fede nel vostro Dio con la vostra fede, io devo
convenire che noi crediamo mille volte di più di voi!
4. Sì, noi riconosciamo che il vostro Dio è l’unico e vero Dio, del
quale le nostre divinità propriamente altro non rappresentano che singoli
attributi sublimi e degni di Lui, attributi che la fantasia umana ha rivestito
di svariatissime forme personali, mentre voi invece non riconoscete né il
vostro unico vero Dio, né, meno ancora, i Suoi altissimi attributi che
rappresentiamo ed onoriamo sotto immagini allegoriche. E perciò voi dovete
ancora imparare molto e dovete esaminare tutto con cura e convincervi
finalmente di come sono costituite le cose a questo mondo e quanto di vero
eventualmente si cela dietro di esse.
5. Ma, una volta trovata la verità, accoglietela e restatele fedele e
conformatevi il vostro pensiero e l’azione; così facendo sarete veramente figli
di Dio, mentre voi, come tutti gli ebrei, dite ora di essere figli di Dio, ma
nei vostri cuori neppure credete che un Dio ci sia veramente!».
FINE DEL
SECONDO VOLUME
[inizio]
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[1] Scilla e Cariddi:
antiche figure mitologiche. L'espressione equivale a “essere tra due fuochi”.
[N.d.R.]
[2] Nota di Jakob
Lorber: “Globo-involucro” è la denominazione dell’insieme di decilioni di volte
decilioni di soli, che, quali Soli-centrali di 1a, 2a, 3a
e 4a classe assieme agli innumerevoli Soli-planetari, come per
esempio quello della nostra Terra, si muovono tutti in grandi ed estesissime
orbite attorno ad un comune incommensurabile punto-centrale, che è pure un
grande e quasi infinito Sole-centrale-primordiale. Ma innumerevoli simili
Globi-involucro che stanno fra di essi a distanze per noi uomini inimmaginabili
e che riempiono lo spazio eternamente infinito, tutti assieme portano il nome
di “Il grande Uomo-cosmico”. Questo per una più facile comprensione del
rapporto mattutino dei due angeli a Gesù, il Signore dell’infinito. (vedi spiegazione del Globo-involucro)
[3] Elisio: nell’antica
religione greca era la dimora dei beati. [N.d.R.]
[4] Muta
sodomitica: viene inteso il rapporto innaturale “anale”, poiché la radice della
parola “stumm” (Stummel) significa “moncone e mozzo”. Infatti un rapporto
sessuale anale non può avere come conseguenza naturale la procreazione. (GVG3/66/2: “Chi si accoppia senza produrre
un frutto vivente commette un muto peccato sodomitico.”) [Nota di due
Revisori italiani: M.C. e G.V.]
[5] La scritturazione di questa
frase non fu congrua, ed è
da eliminare nel testo, perché queste quattro parole, come fu spiegato
dopo cento anni dalla dettatura a Lorber, tramite la mistica Bertha Dudde nel
dettato n.8882, furono aggiunte dallo scrivano perché il
giorno prima aveva discusso il tema del male se era in Dio, e perciò nella
dettatura fu spinto a questa aggiunta dall’avversario, pur rimanendo nella sua
libera volontà. Né altre spiegazioni sullo stesso tema, lo portarono , insieme
ai suoi amici, a chiedere specifiche spiegazioni per riconoscere ed avere
chiarimenti su questo errore rimasto nei testi manoscritti dalla sua penna.
(confrontare le corrette spiegazioni sullo stesso tema date successivamente a
Lorber: Vol. 4, cap. 158, 5-7 / vol. 4 cap. 104, 2-8 / vol. 6,
cap. 165, 6-9 / vol. 5, cap. 228 / 229 / 230 / 231 / 232 / 233),e
tramite Leopol Engel: Vol.
11, cap.17, 13-16 .
[6] In
tutti i testi la parola “Ebenmaße” è stata tradotta con “immagine e
somiglianza”, ma la giusta traduzione sarebbe “simmetria”, che significa: “In
un oggetto, in un corpo, in un insieme, in una struttura e sim., è la
disposizione dei vari elementi che lo compongono, tali, che rispetto a un dato
punto, asse o piano cui si fa riferimento, vi sia tra esse piena corrispondenza
di forma, dimensione, posizione e sim.”. [N.d.R.]