Jakob Lorber

1851-1864

 

 

IL GRANDE VANGELO DI GIOVANNI

 

Volume 2

 

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La vita e gli insegnamenti di Gesù nei tre anni della Sua predicazione

 

 

 

Traduzione dall’originale tedesco “JOHANNES das große Evangelium”

Opera dettata dal Signore nel 1851-64 al mistico Jakob Lorber

Casa Editrice: Lorber Verlag - Bietigheim - Germania

Copyright © by Lorber Verlag

Copyright © by Associazione Jakob Lorber 

“Ringraziamo la Lorber Verlag, Friedrich Zluhan e l’Opera di Divulgazione Jakob Lorber  e.V., D-74321 Bietigheim/Wuertt., per il sostegno nella pubblicazione di questo volume”.

Traduzione di Salvatore Piacentini dalla 7° edizione tedesca 1982

Revisione parziale a cura dell’Associazione Jakob Lorber

Casa editrice GESÙ La Nuova Rivelazione

Via Vittorio Veneto, 167, 

24038 SANT’OMOBONO TERME (Bergamo)

www.jakoblorber.it

www.gesu-lanuovarivelazione.com

 

 

Unità di misura austriache del 18°/19° secolo usate nel testo

1 Braccio               

= 77,8 cm

1 Libbra                 

= 560 g

1 Linea                  

= 2,2 mm

1 Pertica               

= 3,8 m

1 Spanna              

= 20 cm

 

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SOGGIORNO DI GESÙ E DEI SUOI A CHIS E A NAZARET

(Matt.13)

 

Cap. 1

Sulla punizione dei criminali

 

1. A sera già avanzata arrivano i tesori tratti fuori dalla caverna di Kisjonah, consistenti in oro, argento ed in una grande quantità di pietre preziose di grandissimo valore, parte in stato grezzo e parte già lavorate: ci sono circa 3 libbre di diamanti lavorati e 3 libbre ancora grezze, poi altrettanto in peso delle due qualità di rubini, nelle stesse proporzioni un’uguale quantità di smeraldi, giacinti, zaffiri, topazi ed ametiste, ed infine circa 4 libbre di bellissime perle grosse come un pisello. C’erano più di 20.000 libbre di oro e 5 volte tanto d’argento.

2. Quando Fausto ebbe ispezionato queste enormi ricchezze, rimase strabiliato ed esclamò: «O Signore! Io, come figlio di uno dei ricchi patrizi di Roma, ho avuto pure occasione di vedere dei tesori di questa Terra, ma una cosa simile non è mai capitata sott’occhio! Questo sorpassa tutto quanto si legge dei Faraoni e di Creso, il quale, secondo la leggenda, era tanto ricco che quasi non sapeva cosa fare dei suoi tesori e infine si sarebbe sul serio costruito un palazzo tutto d’oro se il suo vincitore non gli avesse sottratto il troppo oro che aveva.

3. Ma adesso, o Signore, Tu, cui niente può rimanere nascosto, dì a me, povero peccatore, come si spiega che questi dodici servitori di Satana siano venuti in possesso di tanta enorme ricchezza? È da escludere che ciò sia accaduto in modo anche solo relativamente onesto e nemmeno in un tempo troppo breve! Com’è dunque stata possibile una simile cosa?»

4. Io gli dico: «Amico, ormai non dartene pensiero più di tanto! Non vale affatto la pena di sprecare altre parole a causa di questi escrementi di Satana. Di una cosa posso assicurarti: che cioè fra tutti questi tesori non c’è uno statere di onesta provenienza e se si volesse illustrare punto per punto come e con quali svariatissime abominevoli mascalzonate questa razza di serpenti e di vipere abbia carpito ed accumulato tanta ricchezza, si andrebbe molto ma molto per le lunghe.

5. Spero che tu stesso non avrai altri dubbi sul fatto che qui si tratta di birbanti della specie più astuta; che però essi siano sotto certi aspetti ancora qualche cosa di più dei soliti birbanti, questo non occorre che altri lo sappiano.

Secondo le leggi di Roma, essi hanno meritato già dieci volte la morte soltanto per la rapina perpetrata a danno della carovana imperiale delle imposte e quest’altra rapina, di cui abbiamo la prova in questo enorme tesoro che ci sta davanti agli occhi, non è affatto meno abominevole, per quanto non concerna così direttamente gli interessi dell’amministrazione imperiale.

6. Dunque, anche se tu sapessi tutto, non potresti ucciderli più di una volta. Tu puoi bensì rendere loro la morte più dolorosa, ma a quale scopo? Se il martirio è del tipo più doloroso, per usare un termine del vostro linguaggio giuridico, esso risulta immediatamente mortale, se invece è più lieve, ma in compenso di maggior durata, allora esso causa al condannato una sensazione non molto più forte di quanto ne causerebbe a te una mosca noiosa, poiché l’anima, in questo caso, per quanto anche materiale, terrorizzata oltre ogni dire dalla certezza dell’imminente morte del proprio corpo, si raccoglie e si ritira immediatamente nei suoi più reconditi recessi e comincia di propria volontà a sciogliersi dal corpo nel quale non è più possibile rimanere, e il corpo, in simili occasioni, diventa completamente insensibile. In tali condizioni puoi tormentare un corpo quanto vuoi, ma esso non sentirà che un minimo dolore o non lo sentirà affatto. D’altro canto, come detto, se tu sottoponi un corpo improvvisamente ad un tormento atroce, l’anima non potrà sopportarlo a lungo e se ne libererà, separandosi con un violento e istantaneo strappo dal corpo. Ora un corpo completamente inanimato puoi farlo bollire o bruciare, ma esso non proverà più gli effetti della tua punizione.

7. Io, di conseguenza, non sono a favore della pena di morte, perché essa non ha nessuna importanza per l’ucciso né meno ancora torna a decoro e a vantaggio del concetto di giustizia per il seguente motivo: “Se tu ne uccidi solo uno, mille ti giureranno vendetta!”. Però, riconoscendo le necessità dell’Ordine divino, Io sono assolutamente d’accordo che con un malfattore si debba fare uso giusto ed energico della sferza e che non si lasci riposare questa fino a che non sia subentrato un generale miglioramento! La flagellazione usata secondo giustizia ed a tempo debito, è migliore del denaro e dell’oro puro, poiché in tal modo l’anima viene sempre più liberata dagli elementi materiali che vi si sono infiltrati e termina infine con il rivolgersi al proprio spirito. Quando la flagellazione ha conseguito ciò, ha già salvato l’anima dalla perdizione e di conseguenza tutto l’uomo dalla morte eterna.

8. E perciò ciascun giudice nell’Ordine di Dio non deve punire neanche il peggiore dei delinquenti con la pena di morte che non serve a nulla, ma con la pena della flagellazione applicata secondo la gravità richiesta dal misfatto. Se egli fa così, è un giudice degli uomini per il Cielo; ma se non fa così, allora è un giudice per l’inferno e non potrà mai aspettarsi da Dio alcuna ricompensa, bensì per il regno per il quale egli ha giudicato gli uomini, dallo stesso regno egli deve ricevere anche la ricompensa! Ed ora tu ne sai abbastanza; non hai bisogno d’altro che di far mettere sotto custodia questi tesori. Domani arriveranno anche gli altri da Corazin, dopo non resterà che procedere alla spartizione ed alla spedizione di tutta questa immondizia del demonio. Ma adesso rechiamoci nella grande sala dove la cena ci attende già! In verità Io sono già stanco di tutta questa storia, tanto più che il Mio tempo Mi sospinge a Nazaret»

9. Dice Fausto: «Signore! Vedo anche troppo bene che questa storia talmente ignominiosa debba ripugnarTi a dismisura, ma come si può mettervi riparo una volta che si è presentata così? Ed io vorrei inoltre pregarTi, o Signore e mio più grande e migliore amico, di non partire da qui prima di me, poiché, senza di Te, in primo luogo, non posso fare niente e, in secondo luogo, nonostante io abbia con me la mia carissima moglie, senza di Te morirei qui dalla noia! Perciò Ti prego nuovamente di non lasciare questo luogo fino a quando io non abbia visto la fine di questa fastidiosissima faccenda! Con il Tuo aiuto spero di avere sistemato tutte le cose entro domani a mezzogiorno.

10. Dico Io: «Ebbene sia! Però Io non voglio più vedere né sentir niente, tanto dei tesori quanto degli undici farisei, perché ciò Mi ripugna più di qualsiasi putredine»

11. E Fausto risponde: «Avrò cura che venga fatto come Tu desideri».

 

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Cap. 2

Giuda Iscariota, ladro dell’oro

 

1. Dopo di ciò entriamo nella stanza, precisamente nella sala da pranzo, dove ci attende una ricca cena. Ma abbiamo a mala pena terminato di mangiare che ecco comparire Giuda Iscariota, scortato da due servitori della casa, che riferiscono al giudice superiore che questo discepolo, od altro che sia, ha tentato di rubare due libbre d’oro, ma essi lo hanno colto sul fatto e, toltogli l’oro, lo hanno condotto da lui per rispondere della sua mala azione.

2. E Giuda, vergognandosi tremendamente, dice: «Non era neppure lontanamente mia intenzione appropriarmi dell’oro, ma ho voluto semplicemente convincermi, prendendo in mano le due verghette, che esse fossero davvero tanto pesanti quanto si assicura, ma questi due pazzi qui mi si sono lanciati addosso e mi hanno trascinato fin qui come un volgarissimo ladro! Io ti prego, o Fausto, che mi venga tolta questa macchia che io non merito affatto!»

3. Risponde Fausto, e dice ai due servitori: «Per questa volta, sia! È un discepolo del Signore e voglio risparmiargliene le conseguenze». 

(Rivolto poi a Giuda) «Tu però per il futuro, a meno che tu non divenga un addetto alle stime imperiali, guardati dal toccare verghe d’oro, specialmente durante la notte, altrimenti andresti inevitabilmente incontro alla condanna comminata per il tentato furto! Hai compreso quello che ti ha detto Fausto, il giudice superiore?»

4. Dice Giuda, ancor più rosso dalla vergogna: «Signore, ti assicuro che non c’è stata la benché minima traccia di un tentato furto, ma si è trattato invece soltanto di una curiosità, sia pure alquanto inopportuna, che mi ha spinto a provare il peso di quelle verghe»

5. Dico Io: «Vattene e cercati un giaciglio! Infatti a quel male, al quale tutti i ladri soccombono per mano di Satana, soccomberai fra non molto anche tu, perché eri, sei e resterai un ladro! Finché il rigore della legge ti trattiene, tu non sei un ladro nell’azione propriamente detta, ma nel tuo cuore lo sei già da molto tempo! Se Io abrogassi oggi tutte le leggi, tu saresti il primo a mettere le mani sui tesori che sono qui custoditi, perché ogni sentimento di diritto e d’equità è ben lontano dal tuo cuore. Peccato che sotto la tua testa non batta un cuore migliore! Va’ ora a dormire e vedi di essere domani più sincero di oggi!»

6. Dopo questo rimprovero Giuda, vergognandosi molto, si ritira e va a coricarsi, ma per due ore non può prendere sonno, perché va arrovellandosi il cervello studiando il modo per poter sfuggire alla predizione da Me fatta, ma il suo cuore non può additargli nessuna via d’uscita, tormentato com’è dalla sete prepotente dell’oro; alla fine egli si addormenta. Noi pure andiamo a riposarci, essendo affaticati dal lavoro delle due notti precedenti, però il mattino non si fa attendere a lungo.

7. Fausto era appunto in procinto di voltarsi per fare un’ultima dormitina, quando fu annunciato l’arrivo dei conducenti della carovana con i tesori di Corazin. Egli viene svegliato e deve, per ragioni d’ufficio, uscire subito fuori per ispezionare i tesori, per farli stimare e per prenderli in consegna. Anche noi frattanto ci siamo alzati tutti e la comitiva si raduna nella grande sala dove, già pronta su molte mense, ci aspetta la colazione che consiste in pesce fresco, allestito benissimo. Fausto, quasi già stanco dal lavoro fatto, si affretta a raggiungerci abbracciato alla sua giovane sposa e prende posto vicino a Me.

8. Appena terminata la colazione, rallegrata da un buon bicchiere di vino, Fausto Mi racconta che quella mattina il suo lavoro, che in condizioni normali avrebbe richiesto un paio di settimane di diligenti cure, è ormai sbrigato e tutto è già partito per il rispettivo luogo di destinazione. Tutti i documenti erano già in pieno ordine e pronti sul tavolo nella grande stanza dell’ufficio e così pure le relative lettere legali accompagnatorie. Il tesoro ritrovato nella caverna di Kisjonah era stato ripartito e il tutto corredato da documenti per i luoghi di destinazione, lo stesso si dica dei denari delle imposte e del grosso tesoro del Tempio ritrovato a Corazin e così tutto era partito in buon ordine, nella grande stanza d’ufficio non era rimasta che una quantità considerevole di attrezzi ed utensili da falegname, dei quali non s’era trovato ancora il proprietario»

9. Allora Io dissi: «Là in fondo, all’estremità della tavola, vicino alla madre Maria, siedono due dei figli di Giuseppe e precisamente Giosoe e Gioele; essi ne sono i proprietari! Tutte queste cose sono state loro sequestrate assieme alla casetta di Nazaret e bisogna che vengano loro restituite!»

10. Dice Fausto: «Signore! E anche la casa, ben s’intende! Te lo posso garantire! O Signore ed amico, quante noie e dispiaceri mi hanno già procurato questi loschi figuri! Una sciocca legge li ha finora spalleggiati e con tutta la migliore buona volontà non si è potuto incastrarli da un qualche loro lato debole. Davanti ai miei occhi essi hanno perpetrato le più orrende ingiustizie e, benché dotati di tutto il potere, non si poté far loro nulla. Questa volta però pare che Satana non li abbia assistiti ed io ho nelle mie mani un tale rapporto sul conto loro da farli tremare come una foglia che viene percossa dall’uragano! Il rapporto al governatore superiore Cirenio è un capolavoro e lo si trasmetterà immediatamente vidimato a Roma, unitamente ai denari delle imposte. Da Tiro, Sidone e Cesarea una buona nave imperiale, munita di forti vele e timone, con ventiquattro rematori e con un discreto vento, può raggiungere in dodici giorni la costa romana, vale a dire che il rapporto può essere circa entro questo tempo nelle mani dell’imperatore! Godetevela ancora questi dodici giorni, loschi figuri! Sapremo ben mettere dei freni adatti al vostro smisurato orgoglio!»

11. Osservo Io: «Amico, Io ti dico davvero che non devi gioire anzitempo! Le cornacchie non si strappano gli occhi a vicenda! È certo che non andrà troppo bene fra le mura del Tempio agli undici: non li condanneranno a morte, ma verranno rinchiusi per tutta la vita nelle celle di penitenza, per quanto però concerne le pubbliche scuse verso Roma, vedrai che sapranno farli apparire innocenti e candidi come la neve, allora soltanto ti verranno richiesti ulteriori rapporti ed informazioni e tu farai molta fatica a rispondere alle domande che ti verranno rivolte da Roma. È certo che a te non verrà torto un capello, ma ti sarà difficile sfuggire a qualche angustia, se non saprai raccogliere in tempo i testimoni e le prove necessarie. A questo scopo Io lascio presso di te Pilah, egli ti renderà buoni servizi in tale occasione. Abbi cura però di procurargli sollecitamente una veste di tipo romano, affinché non possa venire riconosciuto dai colleghi che stazionano a Cafarnao, perché Io posso dirtelo: Satana non ha di gran lunga tanto astutamente e perfidamente organizzato il suo governo quanto questa razza di vipere. Perciò, oltre all’essere mansueto come un agnello, sii pure astuto come un serpente, altrimenti non verrai mai a capo di nulla con questa progenie!»

12. Dice Fausto: «Grazie infinite Ti siano rese per questo consiglio. Ma, essendo questa faccenda ormai sbrigata nel miglior modo possibile, non potremo dedicarci a qualche cosa di più lieto e piacevole?»

13. Ed Io gli rispondo: «Sicuramente! Io ci sto senz’altro, soltanto aspettiamo che venga ancora Kisjonah il quale sarà ben presto in regola con le sue casse».

 

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Cap. 3

Il corretto uso della capacità di operare miracoli e di guarire

 

1. Noi non attendiamo a lungo e compare anche Kisjonah, che saluta tutti nel modo più affettuoso ed amichevole e dice: «O carissimo amico mio Gesù! Così Ti chiamo soltanto per una formalità esteriore, perché sai bene cosa e Chi Tu sei per me nel mio cuore. Tutto quanto di bene mi accadde in questi giorni lo devo soltanto a Te. Non fu complessivamente che di misere 5.000 libbre l’importo del debito da me volutamente condonato ai poveri abitanti di Cana, ma Tu me ne hai date ora 50.000 senza calcolare tutti gli altri tesori il cui valore deve essere di almeno altrettanto!  Io però Ti prometto, per tutto l’immenso amore che ti porto, che farò del mio meglio per impiegare tutta questa ricchezza a vantaggio dei poveri e degli oppressi, così che alla fine debba anche questa immondizia del demonio convertirsi in oro puro per i Cieli di Dio!

2. Certamente non mi propongo di dare oro ed argento in mano agli uomini, perché ciò costituisce un veleno per i loro cuori deboli ed inclinati alla materia, invece procurerò ai privi di tetto e di beni un ricovero e darò loro un terreno e bestiame e pane e vesti. A chiunque avrò soccorso, però, verranno annunciati la Tua Parola e il Tuo Nome, affinché egli possa serbare viva coscienza che ad Uno solo è dovuta tutta la gratitudine, mentre io non rimango che un servitore pigro ed inetto! Ma Tu, o Signore, assistimi e rafforzami, quando servirò nel Tuo Nome, e se mai dovesse il mio cuore cedere alle lusinghe del mondo, fa’ che le mie forze vengano meno e che io così mi accorga di non essere che un uomo debole, incapace di compiere qualcosa con la mia sola forza!»

3. Io allora, posta la Mia mano sul suo cuore, gli dico: «Amico e fratello Mio! Tu non hai che da custodirMi qui dentro e la forza per compiere opere nobili e buone non ti mancherà mai. Sì, con la fede viva e con l’amore puro e totale verso di Me e con la brama ardente di operare il bene per il tuo prossimo nel Mio Nome, potrai comandare agli elementi ed essi ti obbediranno. I venti non resteranno sordi al tuo richiamo e il mare riconoscerà la tua voce e tu potrai dire all’uno od all’altro dei monti: “Levati e scagliati nel mare”, ed avverrà come gli avrai comandato.

4. Ma se qualcuno, per credere, vorrà domandarti dei segni, non concederglieli. Chi non vuole riconoscere la verità per amore della verità stessa e questa non gli è una prova sufficiente, è meglio che rimanga nella sua cecità, poiché, se è costretto ad accettare la verità per la potenza di un segno, ma poi non conforma le proprie azioni alla dottrina, allora il segno torna a doppio giudizio per lui. Infatti, in primo luogo, il segno è un duplice giudizio per lui, perché egli è costretto ad accogliere la verità quale verità per la forza del segno, e non fa differenza se egli la riconosce o no nel suo stato di accecamento e, in secondo luogo, egli deve evidentemente incorrere in sé in una condanna più aspra, secondo l’Ordine divino, qualora egli dopo non agisca secondo la verità imposta per forza di segni, non importa che egli riconosca pienamente la verità per tale oppure no, poiché la riuscita del segno gli ha fornito una prova che lo vincola. E questo è già abbastanza, perché il discernimento od il non discernimento in tal caso non giustifica nessuno.

5. Infatti se qualcuno domanda un segno a conferma della verità appresa e dice: «Veramente tramite le tue parole non mi riesce ancora di giungere al fondo della verità, ma qualora ti sia possibile fornirmi un segno quale una prova di fatto da operare in conformità all’essenza di tale dottrina propostami, io accetterò questa dottrina quale piena verità», ebbene al richiedente viene concesso il segno! Dopo di ciò egli non può più fare a meno di accettare la verità della dottrina, la riconosca esso per tale fino in fondo oppure no, poiché il segno gli sta di fronte come una prova inconfutabile.

6. Ma siccome a causa della sua cecità non è gli possibile giungere al fondo della verità e siccome a causa dell’osservanza della dottrina di verità gli deriverebbe, secondo i suoi concetti, una considerevole diminuzione nelle comodità della vita, egli fa questo ragionamento: “Ci sarà ben qualcosa di vero in tutto ciò altrimenti il miracolo non sarebbe stato possibile, ma tuttavia la cosa, in fondo, non mi riesce ben chiara e se io volessi operare in conformità ad essa mi costerebbe una spaventosa abnegazione. Per questa ragione preferisco non farlo e proseguo nel mio antico tenore di vita, che è veramente privo di segni straordinari, ma nonostante ciò mi è molto gradito!”

7. Ecco, in ciò sta già appunto la condanna che colui che richiede il segno si è preparato da se stesso per mezzo del segno operato su sua stessa richiesta e che gli ha fornito la prova inoppugnabile contro cui egli non può presentare nessuna controprova; e così egli, continuando nel suo sistema sbagliato di vita, diventa un avversario della verità eterna e di fatto la rigetta assolutamente, quantunque egli in eterno non possa considerare come non avvenuto il segno incancellabile – che gli venne fornito per corroborare la verità – quale conseguenza della verità rivelata. Perciò è incomparabilmente meglio non fare nessun segno a riprova della verità!

8. Però, qualora si tratti di giovare veramente agli uomini e di illuminarli, puoi operare tacitamente, senza che te ne venga in qualche modo fatta richiesta, quanti segni tu vuoi e allora ciò non trarrà nessuno in peccato né, ancora meno, costituirà per nessuno un giudizio. E quando per giovare all’uomo hai operato anticipatamente qualche segno, tu puoi ben fare seguire degli insegnamenti, se la persona per cui hai operato il segno te ne fa richiesta. Se essa però non te ne fa richiesta, fa’ seguire soltanto una seria ammonizione a guardarsi dal peccato, ma non iniziare ad esporre la dottrina, perché in tal caso coloro che saranno stati beneficati dal tuo segno riterranno che tu sia un medico esperto anche nelle arti magiche e il segno stesso non avrà per loro alcun ulteriore effetto costrittivo.

9. Tutti coloro ai quali, però, viene impartita la facoltà di operare segni e miracoli, qualora se ne presenti la necessità, tutti devono seguire fedelmente questo Mio consiglio, se vogliono veramente fare il bene.

10. Soprattutto ognuno si guardi dall’operare segni essendo in uno stato di eccitazione o di ira! Infatti ogni segno può e deve avere come fondamento soltanto la mansuetudine e l’amore più veri e puri, perché se esso è compiuto in uno stato di rabbia e di ira, ciò che è anche possibile, allora vi ha parte pure l’inferno, e un tale segno non solo non porta benedizione, ma al contrario è causa di maledizione.

11. Ora, se Io già ripetute volte vi ho insegnato che voi dovete benedire perfino coloro che vi maledicono, quanto meno dovete fare oggetto della vostra maledizione i ciechi nello spirito che non vi vengono incontro con la maledizione, ma soltanto con la vana cecità del loro cuore!

12. Dunque ponderate bene quanto ora vi ho detto ed operate conformemente a ciò, in questo modo voi spargerete ovunque benedizione, se anche non sempre spiritualmente almeno corporalmente, come ho fatto Io finora e come faccio tuttora, poiché avendo dinanzi qualcuno oppresso da ogni miseria, spesse volte un beneficio puramente corporale influisce sul suo cuore e sul suo spirito molto di più che non cento dei migliori insegnamenti. Perciò sta anche nel buon ordine delle cose, propagando il Vangelo, che si debba prima appianare la via al cuore dei miseri mediante benefici corporali e soltanto dopo esporre il Vangelo al loro animo risanato, piuttosto che far precedere la predica del Vangelo e soltanto dopo colpire la mente dei miseri ascoltatori con un miracolo, preparando loro così manifestamente un giudizio in una miseria spirituale più grande ancora di quella che concerne unicamente il corpo da cui erano prima afflitti.

13. Quando tu sarai chiamato al letto di un infermo, va’ e prima della predica imponigli le mani affinché egli ne ottenga un miglioramento e se poi ti chiede: “Amico, come ti è stata possibile una simile cosa?”. Soltanto allora digli: “Per la forza della viva fede nel Nome di Colui che Dio ha mandato dal Cielo per la beatitudine vera degli uomini!”. Se poi egli ti domanderà qual è questo Nome, dagli, secondo la sua capacità d’intelletto, quel tanto di spiegazioni preliminari che basteranno a fargli intravedere la possibilità di un simile fenomeno.

14. E quando sarà arrivato a questo punto, istruiscilo in adeguata misura sempre di più. Se poi tu dovessi accorgerti di un’attività sempre maggiore che si manifesta nel suo cuore, allora digli infine tutto ed egli certamente accoglierà ciascuna delle tue parole e ci crederà. Se però tu volessi dirgli troppo in una sola volta, questo lo opprimerebbe, ed in questo caso dovresti compiere una bella fatica per ristabilire l’equilibrio in lui.

15. Dunque, come al neonato non si porge subito un cibo che è confacente all’uomo maturo poiché con questo lo si ucciderebbe, così pure non si deve concedere all’uomo ancora bambino nello spirito già dall’inizio un cibo spirituale virile, ma solo un cibo che sia adeguato al grado di sviluppo spirituale di un simile uomo-bambino, altrimenti lo si ucciderà e sarà poi cosa difficilissima il rianimarlo nuovamente nello spirito. Avete tutti voi ben compreso quanto vi ho ora esposto?»

16. Esclamano tutti con il cuore commosso: «Sì, o Signore! Ogni cosa ci è ormai chiara come il Sole di mezzogiorno e noi l’osserveremo anche fedelmente»

17. Ed Io concludo: «Sta bene, ma adesso andiamocene alla caverna, perché questa non è la sola caverna, ma ce n’è anche un’altra alla quale si accede dalla prima e noi vogliamo esplorarle. Provvedetevi però di una buona quantità di fiaccole nonché di pane e vino: noi troveremo là degli esseri che avranno grande fame».

 

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Cap. 4

Visita e descrizione di una caverna stalattitica

 

1. Kisjonah allora ordina che si appronti ogni cosa e Baram, che non aveva potuto ancora separarsi da noi, dal canto suo, fa mettere assieme dalla sua gente quanto gli era rimasto delle sue provvigioni di pane e vino, così pure Jonaele e Jairuth, al quale pure non è possibile allontanarsi da Me, e Mi pregano di concedere loro di partecipare alla spedizione.

2. Ed Io dico: «Certamente, perché la vostra presenza sarà anzi necessaria ed anche Archiele ci presterà buoni servizi nel suo genere. Io però devo avvertirvi ancora di una cosa e cioè che in questo istante una delegazione composta di vostri acerrimi nemici è in procinto di abbandonare Sichar per venir qui, allo scopo di indurvi a fare prontamente ritorno alla vostra città, poiché il popolo si è sollevato contro di loro e già l’altro ieri è stato deposto il nuovo sacerdote insediato di recente. Quest’ultimo fa anche parte della deputazione. Essi arriveranno qui ancora questa sera e noi avremo alquanto da discutere con loro, ora però mettiamoci in cammino! Allora anche le donne e le ragazze manifestarono il desiderio di accompagnarci e Mi pregarono per questo.

3. Io però risposi loro: «Mie care figliole, questa non è un’escursione per voi, restate quindi a casa per oggi ed abbiate cura che questa sera, al nostro ritorno, sia pronta una discreta cena! Le donne si adeguarono al Mio consiglio, così pure Maria e tutte si diedero ad accudire alle faccende di casa. Ed anche Lidia, la quale particolarmente sarebbe stata lieta di venire con noi, visto che ciò era contro la Mia Volontà, non insistette e se ne restò a casa per aiutare le altre donne nel loro lavoro.

4. Noi frattanto c’eravamo incamminati ed in un paio d’ore raggiungemmo la grotta o caverna, che dir si voglia, e vi penetrammo subito, muniti di fiaccole accese. La meraviglia di Kisjonah fu grande quando poté persuadersi della vastità di quella caverna e delle formazioni stalattitiche quanto mai interessanti di cui era ricca, tanto anzi che di simili non si possono riscontrare in nessun punto dell’Asia anteriore, dove di tali caverne pure se ne conta in gran numero: figure gigantesche d’ogni tipo si presentavano ogni qual tratto all’occhio timido dell’esploratore.

5. E Fausto stesso, che, sempre memore delle gesta eroiche dei romani, era poco accessibile al timore, non poté sottrarsi ad un certo senso di sgomento e mormorò: «Davvero qui, anche senza volerlo, si potrebbe venir indotti a credere che dentro la terra abbia dimora una specie di deità le quali, con la loro potenza enorme, mandano a compimento opere colossali di questa specie! Ecco qui delle immagini di uomini, di animali e di alberi, ma in che proporzioni! Che figura farebbero qui i templi giganteschi e le statue di Roma? Vedi quest’Arabo com’è ben disegnato! In verità, se si volesse e potesse salire fino al suo capo, ci sarebbero da fare gradini per un’ora buona, per di più è raffigurato seduto e, nonostante ciò, mi viene il capogiro se il mio occhio vuole arrivare alla sommità della figura. Ah, tutto ciò è sul serio una cosa straordinariamente meravigliosa e degna di essere vista! Non è possibile che queste opere siano il prodotto del puro caso! Ecco nuovamente un gruppo di guerrieri armati di spada e di lancia e là, proprio in fondo, ci viene incontro barrendo un elefante di proporzioni colossali ed anche questo è disegnato alla perfezione! O Signore, in qual maniera meravigliosa hanno avuto origine tutte queste cose?»

6. Rispondo Io: «Amico Mio, accontentati per ora di ammirare quello che si presenta al tuo sguardo e non fare molte domande, non mancherà poi la naturale spiegazione di tutto ciò. Qui avrai occasione di vedere ancora ben altre cose che susciteranno in te meraviglia molto maggiore, ma anche allora non domandare nulla! Quando noi saremo usciti all’aperto, fuor da questa grotta, Io vi darò spiegazioni riguardo a tutte queste cose».

7. Noi proseguiamo dunque e perveniamo ad una caverna vastissima ed alta, che non era oscura come l’altra, anche se discretamente illuminata, siccome vi facevano capo diverse piccole sorgenti di petrolio già molti anni prima accese da uomini cui la caverna aveva servito di ricovero e che da quella volta avevano continuato ad ardere senza interruzione, qual più, qual meno, fornendo luce ad una gran parte di quella spaziosa cavità. Oltre a ciò, in un punto dell’enorme cupola, un’apertura abbastanza grande dava accesso all’aria ed alla luce esterna, cosicché ci si poteva muovere discretamente a proprio agio per quanto concerneva l’illuminazione.

8. Sul suolo di questa grotta, o meglio sala sotterranea, apparivano, come scolpite, numerose e svariatissime figure: qui serpenti, là gigantesche lucertole ed ogni altro genere di figure animali, parte molto bene e parte incompletamente disegnate, c’era altresì una quantità grandiosa di formazioni cristalline dai più svariati colori e dalle dimensioni che andavano dal minutissimo al colossale e tutto ciò conferiva all’ambiente un’imponenza ed una bellezza sorprendenti.

9. E Fausto non poté trattenersi dall’esclamare: «Signore, qui ci sono ornamenti imperiali in grande abbondanza, quale certamente nessun regnante ha mai potuto nemmeno sognarli! Ma, d’altro canto, ci sarebbe davvero da credere all’esistenza del profondo Tartaro com’è descritto dalla mitologia greca! Non vi mancano che lo Stige, il vecchio Caronte, i tre ben noti giudici inesorabili delle anime: Minosse, Eaco, Radamante ed infine Cerbero, il cane dalle tre teste, alcune delle Furie e poi forse Plutone con la bella Proserpina, dopo di che il Tartaro, con i suoi tormenti, sarebbe completo! Tutte queste numerose fiamme provenienti dal suolo e dalle pareti, le migliaia di raccapriccianti figure animalesche sul suolo, per quanto morte e pietrificate, ed una quantità di altre cose mi sembrano quasi giustificare la supposizione che, se non proprio nel Tartaro stesso, noi siamo almeno sulla via che più direttamente vi conduce, oppure, ciò che mi sembra più probabile, che dall’esistenza di questa o di una qualche altra grotta simile abbia tratto origine il mito greco del Tartaro!»

10. Dico Io: «Nella tua ultima supposizione, benché non tutto, c’è però molto di vero, perché le caste sacerdotali, per lo più sempre astutissime, presso tutti i popoli ed in ogni tempo hanno saputo sfruttare a loro vantaggio e nel più raffinato dei modi simili fenomeni della natura. In maniera non differente sono continuate le cose anche in Grecia ed a Roma, con l’aggravante che la fantasia male inspirata dei sacerdoti non conobbe più freno, cosicché fino ad oggi popoli e popoli sono stati precipitati nelle tenebre della superstizione e lo saranno ugualmente, ora più ora meno, fino alla fine del mondo.

11. Fino a tanto che la Terra, nella sua necessaria costituzione molto svariata, dovrà presentare all’occhio umano delle formazioni o figure simili, i suoi uomini, che per diverse ragioni sono in spirito ciechi e schivi della luce, sempre si creeranno nella loro fantasia ogni specie di forme sconnesse ed attribuiranno loro facoltà straordinarie e forze divine e ciò per il motivo che nella loro cecità non possono vedere la ragione di questi fenomeni.

12. Guarda qui! Ecco anche il tuo Stige, il nocchiere Caronte ed al di là del fiume, largo circa dodici tese e profondo al massimo un braccio, il quale è veramente una specie di stagno molto facilmente guadabile nel punto più basso, puoi vedere in mezza luce altresì i tuoi tre giudici, alcune Furie, Cerbero ed infine Plutone assieme a Proserpina! Tutte figure, queste, che soltanto ad una certa distanza ti appaiono tali, mentre osservate da vicino e in piena luce somigliano a qualsivoglia altra cosa che non sia appunto quello che la fantasia degli uomini ha voluto immaginare. Ora però andiamocene a piedi oltre lo Stige e non ci sarà bisogno di pagare tributi a Caronte, giunti al di là ci occuperemo di esaminare un pochino anche il Tartaro!»

13. Noi passiamo dunque a guado oltre il cosiddetto Stige nel punto meno profondo ed attraverso un corridoio piuttosto stretto penetriamo nel Tartaro, il quale, illuminato dalle nostre fiaccole, ci rivela ben presto la presenza di altri considerevoli tesori, dei quali nessuno dei farisei aveva ancora rivelato l’esistenza, e così grazie a Me ritorna alla luce tutto quello che era stato nascosto, per quanto accuratamente.

 

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Cap. 5

Storia dei tesori trovati

 

1. Fausto a quella vista arretra strabiliato e poi chiama a sé Pilah e gli dice: «Di tutto ciò non ne sapevi proprio niente, dato che non me ne hai fatto assolutamente parola? Parla, altrimenti si mette male per te!»

2. E Pilah risponde: «Signore, davvero io non ne sapevo niente! Oggi è la prima volta che ho avuto occasione di penetrare così dentro in questa caverna; i miei vecchi colleghi saranno stati certo a conoscenza della cosa, ma non avranno voluto rivelarla per avere almeno un’ultima risorsa nel caso in cui fosse loro occorso trarsi da qualche grave impiccio. Ma ormai prendi in consegna ogni cosa, perché, grazie al cielo, è a te che appartiene»

3. Fausto Mi domanda se Pilah ha detto la verità ed Io glielo confermo ed aggiungo: «Amico Mio, quando qualcuno si prende in moglie una giovane di famiglia ragguardevole, egli ha il diritto di aspettarsi una dote. Finora tu hai avuto moltissimo da fare e, nonostante ciò, nella ripartizione degli altri beni non ti è toccata nessuna parte, di conseguenza prendi ora in tuo legittimo possesso tutto intero questo tesoro che secondo la valutazione di questo mondo ha un valore di 1000 volte 1000 libbre.

4. Il maggior valore però è rappresentato da perle, ciascuna delle quali ha la grossezza di un uovo di gallina. Un’intera cassetta di ferro, da 1000 dramme di volume, è ricolma di queste perle straordinarie, già una sola delle quali ha veramente un valore inestimabile. Perle simili non si trovano più, quali nuove formazioni, in nessun luogo di questa Terra, poiché le speciali conchiglie nelle quali erano contenute, nonché una grande quantità di altri animali che vivevano nelle epoche primordiali di questo pianeta, ora non esistono più. Veramente queste perle non vennero neppure tratte dal mare, bensì furono rinvenute nella terra ai tempi del re Ninia, detto anche Nino, durante gli scavi fatti per la costruzione della città di Ninive ordinata da questo re. Dopo moltissime vicende esse furono portate a Gerusalemme, in parte già ai tempi di Davide, ma il maggior numero durante l’epoca di Salomone, però in questa caverna giunsero appena al tempo della conquista dei romani, quando questi ebbero preso possesso di quasi metà dell’Asia.

5. I principali fra i sacerdoti, ai quali era nota già da molto tempo prima l’esistenza della caverna, quando ebbero sentore dell’imminente invasione romana, misero assieme in fretta tutti i maggiori tesori mobili del Tempio e riuscì loro di portarli felicemente qui dentro in salvo. I leoni d’oro, che portavano il trono di Salomone e che in parte ne sorvegliavano i gradini, rimasero sepolti sotto le macerie, quando i babilonesi distrussero Gerusalemme, ma in seguito, durante la riedificazione, furono ritrovati e ripresi in consegna dai sacerdoti per il Tempio. Ora anche questi leoni si trovano per la maggior parte qui, perché al tempo della conquista romana tutto quello di più prezioso che si poté ammassare in fretta fu portato in questo luogo, come pure, al tempo della conquista dei babilonesi, allora potenti, una considerevolissima quantità di tesori del Tempio venne trasportata nella ormai conosciuta caverna presso Corazin, quantunque nel Tempio stesso ne fossero rimasti abbastanza anche per i babilonesi, che si impossessarono specialmente dei vasellami degli arredi consacrati in perpetuo al servizio del Tempio e li trasportarono a Babilonia. Dà quindi ordine alla tua gente di togliere tutto ciò e di portarlo fuori, dopodiché Archiele sbarrerà l’ingresso di questa grotta in modo che piede umano non potrà mai più accedervi»

6. Allora Fausto dà immediatamente ordine ai servitori di trasportare fuori tutti quei tesori, ma quando essi si accingono a sollevare le numerose casse di ferro che giacciono là, si accorgono che le loro forze non bastano e si rivolgono a Me con la preghiera di infondere loro il vigore necessario per venirne a capo.

7. Io però chiamo Archiele e gli dico: «Ebbene, porta fuori tutta questa immondizia e depositala addirittura a Chis, nel magazzino grande!». Nello stesso istante tutte quelle pesanti casse sparirono, però Archiele fu di ritorno immediatamente, cosicché nessuno poté accorgersi, quando veramente egli fosse stato assente.

8. E Fausto stupefatto esclama: «Questa cosa non ha oramai più del favoloso, ma dell’incredibile! I miei servitori avrebbero dovuto impiegare certo almeno tre giorni per compiere un lavoro simile ed ecco che in un attimo assolutamente non percettibile non c’è più nemmeno una delle casse che avevamo sott’occhio! È però inutile che io domandi come una cosa tale sia possibile, poiché, per comprendere ed apprezzare al loro giusto valore dei fenomeni di questa specie, si esige un senso divino che io non possiedo!»

9. Gli dico Io: «Sì, certamente tu hai ragione; d’altro canto non sarebbe affatto vantaggioso all’uomo se gli riuscisse di comprendere in una sola volta il come e il perché di tutti i fenomeni che si manifestano ai suoi sensi. Infatti sta scritto: “Se tu mangerai dell’albero della conoscenza, certamente tu morirai!”. È meglio dunque prendere qualsiasi fatto, per quanto miracoloso, così come esso si manifesta ai sensi e rendere in pari tempo sempre più viva nella propria mente l’idea che nulla vi è di impossibile a Dio, piuttosto che voler esplorare il fatto stesso nelle sue intime origini, nel qual caso l’uomo ne sa, dopo la spiegazione, altrettanto poco quanto prima.

10. È abbastanza che tu veda come la Terra sia atta a portare ed a nutrire l’uomo! Se tu volessi penetrare il mistero della sua origine e del suo processo di formazione, essa perderebbe per te ogni attrattiva e non ne avresti più alcun compiacimento, non ti rimarrebbe invece che una brama ardente di esplorare le origini di un qualche altro mondo. E, qualora tu avessi infine constatato essere state ed essere identiche le cause nel processo di formazione e di manutenzione per questo secondo mondo e così pure per un terzo, quarto e quinto mondo, non saresti più invogliato ad esplorarne ulteriormente un sesto ed un settimo; la conseguenza sarebbe che tu diverresti pigro e svogliato, la noia e l’ira ti farebbero disprezzare la vita e finiresti con il maledire l’ora che ha segnato per il tuo intelletto l’inizio in tanta scienza! Ed ecco che un tale stato di cose sarebbe veramente una morte per la tua anima.

11. Siccome però, secondo gli ordinamenti divini, è disposto che tanto l’uomo quanto altresì ogni spirito angelico possano concepire gli elementi della natura divina in sé, come pure in tutte le cose create, soltanto a gradi ed anche ciò solamente fino ad un punto determinato, gli viene conservato l’intangibile tesoro della gioia sempre crescente del vivere, dell’amore a Dio e dell’amore verso il prossimo, cose queste che da sole possono renderlo e lo rendono anche beato per l’eternità. Comprendi questa verità?»

12. Risponde Fausto: «Sì, o Signore ed amico mio, la comprendo perfettamente, e perciò non Ti farò più alcuna domanda riguardo alle origini delle formazioni di questa grotta».

 

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Cap. 6

Origine e crollo della caverna stalattitica

 

1. Dico Io: «Del resto, la cosa non ha grande importanza. Che tu lo sappia o no, ciò non può rendere la tua vita né più ricca né più povera. Questo tuttavia posso dirti, che mano d’uomo non ha mai contribuito al prodursi di tali formazioni, ma esse sono dovute unicamente al lavorio, per così dire causale, delle forze naturali. Le montagne assorbono sempre un’umidità dissolvente dall’aria, a ciò bisogna aggiungere l’azione delle frequenti piogge e delle nevi e nebbie che molto spesso avvolgono le sommità delle montagne. Tutta questa umidità, che si deposita sui monti, in gran parte penetra attraverso terra e rocce e qualora giunga al di sopra di qualche cavità interna della montagna, allora si raccoglie in gocce composte quasi per metà di calce disciolta. Queste gocce cadono nella cavità e il contenuto acqueo, se il terreno lo concede, penetra ancora più in fondo, oppure evapora nella cavità stessa, mentre il limo calcareo si solidifica e con il sovrapporsi delle gocce vengono formandosi ogni tipo di figure che, più o meno, somigliano all’una od all’altra di quelle che appaiono sulla terra. E così, anche in questa grotta, tutte le formazioni che ti sono cadute sott’occhio ebbero la loro origine nella stessa maniera naturale, quantunque, però, è bene ammettere che allo scopo di accecare gli uomini deboli anche i servitori di Satana abbiano, e non poco, contribuito a perfezionare il disegno di svariatissime figure umane.

2. Di conseguenza sarà anche meglio che una simile grotta, tanto atta a dare alimento alla più tenebrosa superstizione, venga resa per tutti i tempi inaccessibile. Ritorniamo dunque ormai all’aperto, affinché Archiele possa compiere il suo incarico nei riguardi di questa caverna»

3. Fausto Mi ringrazia caldamente per i chiarimenti dati e dice: «Questa spiegazione mi riesce tanto più comprensibile, poiché quasi la stessa cosa, benché in forma di ipotesi, io l’ho intesa asserire a Roma da più di uno scienziato. Però il fatto della occulta cooperazione di Satana ha anch’esso un grande significato, perché il nemico della vita non si è certo mai lasciato scappare simili occasioni a lui favorevoli e le relative conseguenze maligne ci stanno del resto sott’occhio in tutte e tre le parti del mondo! Tutto ciò mi è dunque ormai chiaro come la luce del Sole, ma di una cosa sola non posso formarmi ancora un concetto ben preciso e questa è la beatitudine di Dio!

4. Dimmi! Quale gioia può avere Dio della Propria vita indistruttibile, Egli a Cui dalle eternità e per le eternità in maniera sempre uguale e con la chiarezza più evidente devono essere note nella loro più intima essenza le ragioni di ogni essere? Come può essere per Lui una fonte perenne di beatitudine questa necessaria perpetua visione sempre ugualmente perfetta, senza poter provocare mai in Se stesso un cambiamento qualsiasi, stato questo di cose che dovrebbe finire con l’uccidere dalla noia qualsiasi uomo?»

5. Gli rispondo Io: «Guarda qui gli uomini. Questi sono la gioia di Dio, quando essi nell’Ordine divino diventano quello che sono chiamati a diventare, in essi Egli ritrova il Suo simile, e il loro continuo assurgere a sempre maggiore perfezione in ogni campo della conoscenza e con ciò nell’amore, sapienza e bellezza, costituisce la Sua gioia più pura e la felicita indistruttibile! Infatti tutto quello che l’Infinito comprende, esiste soltanto per amore del piccolo uomo e nell’Eternità non c’è nulla che non sia per amore del piccolo uomo. Ecco che tu ora conosci anche questo. Ma adesso usciamo da questa caverna, perché Archiele possa quanto prima adempiere il suo compito!»

6. Noi ci affrettiamo ad abbandonare la grotta ed in breve tempo raggiungiamo l’uscita e quando ci troviamo tutti all’aperto Io faccio un cenno ad Archiele. Si ode nello stesso istante uno scoppio violento e, dove prima c’era l’ingresso molto ampio, non si vede più ormai che un’alta parete di granito, attraverso la quale per qualunque mortale sarebbe difficilissima cosa penetrare dentro la caverna, per quanto si proponesse seriamente di farne il tentativo, tuttavia, allo scopo di rendere la caverna per così dire del tutto inaccessibile, dopo che noi fummo a circa 3000 passi dal punto dove essa si apriva, Io feci provocare là uno sprofondamento del terreno, cosicché il punto di accesso venne a trovarsi ad oltre 100 altezze d’uomo dal terreno e si sarebbe quindi dovuta usare una scala alta più di 100 uomini per arrivare alla sommità della parete verticale, dove prima c’era stato l’ingresso della caverna, fatica questa tuttavia vana, essendo, come detto, ormai ostruito anch’esso dalla parete granitica più ripida e solida.

7. Quando Fausto e tutti gli altri presenti si accorgono del cambiamento avvenuto in quel luogo della montagna, Fausto esclama: «Signore ed amico. In verità io non posso più raccapezzarmi! Questi fenomeni mi inducono a credere che noi siamo ritornati ai periodi della Creazione, essi sono ormai distanti già un’eternità dal mio orizzonte conoscitivo! Io non so proprio davvero se vivo ancora oppure se sogno! Qui succedono cose tanto strane, enigmatiche e meravigliose che, pur essendo perfettamente sobri, si rimane come ubriachi fradici che nella loro incoscienza non sanno giurare se sono maschi o femmine. Guardate un po’ questa formidabile parete di roccia! Dove era essa prima, quando noi percorrevamo comodamente il viottolo a gradini tracciato nella caverna?

8. Ma quello che mi appare più sorprendente ancora è che, nonostante questo improvviso mutamento verificatosi su di uno spazio di parecchie migliaia di iugeri, non si può riscontrare la benché minima traccia di una distruzione violenta. Sembra veramente come se qui dai tempi preistorici della Terra non vi fosse proprio niente di cambiato. Davvero, se 1000 uomini avessero lavorato qui per 100 anni, sarebbe tuttavia ancora lecito il dubbio che in questo tempo fosse stato possibile allontanare dal posto una tale massa di materiale da mettere soltanto a nudo una simile parete di roccia alta 150 lunghezze d’uomo e larga più di un’ora  di cammino,  come ci sta davanti agli occhi,  laddove pochi istanti prima non ce n’era nemmeno la traccia, per non parlare poi del fatto che tutto ciò è avvenuto senza lasciar dietro di sé alcun segno di distruzione! È una cosa assolutamente inaudita! Io sono in verità curioso di sapere che faccia faranno i molti barcaioli quando si accorgeranno che al posto della rigogliosa zona boschiva non c’è qui più che questa parete colossale. È certo che molti non ne capiranno nulla affatto e che si guarderanno intorno sbalorditi, come fa il bue davanti ad una nuova porta attraverso la quale non è ancora abituato a passare!»

9. Ed Io osservo: «Per questo motivo Io dico a voi tutti che di quanto è avvenuto è necessario che non facciate parola con nessuno, nemmeno con le vostre donne, poiché appunto per questo non ho concesso loro questa volta di accompagnarci, essendo ben noto che in caso di avvenimenti molto straordinari, nonostante qualsiasi divieto di parlare, non è possibile ottenere che le loro lingue obbediscano. Dunque, vi ripeto che non dovete raccontare alle vostre donne assolutamente nulla riguardo ai fatti meravigliosi qui capitati; voi potete bensì parlare loro della grotta, come essa era formata ed anche dei tesori ora ritrovati, ma all’infuori di ciò non una parola!». Tutti promettono solennemente di attenersi alla Mia raccomandazione e dopo noi continuiamo il nostro cammino verso Chis, dove arriviamo appunto al tramontare del Sole. Naturalmente, appena scorti da lontano, le donne e le ragazze rimaste in casa ci corrono prontamente incontro e ci fu subito un gran domandare da parte loro riguardo a cosa noi avessimo visto di notevole. Esse però ebbero in risposta che non era allora il momento di diffondersi in particolari e che in fondo non si era veramente trattato che di asportare ancora un tesoro la cui esistenza era stata sottaciuta da parte dei farisei. Con ciò fu intanto soddisfatta la curiosità delle donne che non fecero più molte altre domande.

10. Noi però ci affrettiamo a cena, perché tutti coloro che avevano partecipato alla spedizione avevano dovuto rinunciare al pranzo e siccome la fame si faceva sentire più del solito, ciascuno non desiderava di meglio che prendersi la rivincita con una buona cena.

 

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Cap. 7

Fausto trova i tesori, nel deposito, ben ordinati e custoditi

 

1. Soltanto dopo aver terminato la cena Fausto se ne andò, dietro Mio invito, al grande magazzino per constatare se i tesori, trasportati grazie ad Archiele dalla grotta fino a Chis, si trovassero in buon ordine. Tutto fu trovato in piena regola; era già pronta anche una grande lista con l’indicazione dettagliata dei diversi tesori, nonché del loro valore, tali e quali erano stati ritrovati nella grotta. Fausto domandò ai sorveglianti chi avesse approntato la lista.

2. Ed essi gli risposero: «Signore, noi l’abbiamo trovata già quando fummo mandati qui di guardia. Chi abbia potuto farla, non potremmo dunque davvero dirtelo»

3. Dice poi Fausto: «Raccontatemi allora come sono capitati qui questi tesori e chi li ha portati»

4. Rispondono i sorveglianti: «Anche a questo riguardo non sappiamo niente, semplicemente è venuto qui un giovane che già da qualche giorno si trova in compagnia del medico miracoloso di Nazaret ed ordinò che i tesori venissero costantemente sorvegliati. Allora, da parte del sottogiudice romano, noi fummo comandati qui e come vedi sono già due buone ore che facciamo la guardia. Questo è tutto quello che noi sappiamo circa il tesoro stesso e il suo trasporto qui, ma più di tanto non potremmo davvero raccontarti».

5. Fausto prende allora con sé la lista e va a trovare il suo collega subalterno, per tentare di ottenere qualche informazione, ma anche l’altro non sa niente di più dei sorveglianti interrogati prima di tutta la questione e Fausto, persuasosi che a Chis tutti ignoravano l’avvenuto trasporto dei tesori, pensa fra sé che considerato che nessuno ne sa nulla, non vuole essere già lui a destare l’attenzione altrui con altre ricerche e a diffondere inutilmente fra il popolo la notizia di questo avvenimento.

6. Dopo questo soliloquio Fausto se ne va alla propria abitazione, dove l’aspetta a braccia aperte la sua giovane sposa. Ma prima di coricarsi egli ritorna nuovamente da Me, per parlare di questioni importanti. Però Io gli dico di rimandare il colloquio a domani e lo consiglio di andare a prendersi il riposo che anzitutto gli è necessario per il corpo e per l’anima. Fausto allora parte e va a chiedere al sonno quel ristoro di cui, come tutti gli altri, ha estremo bisogno.

7. Dormendo profondamente, la notte trascorre molto veloce e anche qui fu così; pareva di essersi addormentati appena da pochi minuti che già la luce mattutina invitò ciascuno a lasciare le coltri amiche ed a riprendere il lavoro giornaliero. La colazione preparata molto di buon’ora attirò tutti gli ospiti fuori dalle diverse stanze nella grande sala e, come i giorni precedenti, noi vi facemmo onore. Terminata poi la colazione, per la prima volta tutti gli ospiti, per renderMi in nome di Jehova onore e grazie, intonarono il Salmo (33) di Davide, che dice:

8. «Voi giusti giubilate nel Signore: “I devoti lo devono lodare con belle parole. Celebrate il Signore con arpe e salmeggiateGli con il salterio a dieci corde. CantateGli un nuovo cantico, suonate maestrevolmente con giubilo, perché la Parola del Signore è diritta e tutte le sue opere sono fatte con verità. Egli ama la giustizia e la rettitudine, la terra è piena della benevolenza del Signore. I cieli sono stati fatti per la Parola del Signore e tutto il loro esercito per il soffio della sua Bocca. Egli ha adunato le acque del mare come in un mucchio. Egli ha disposto gli abissi come in tesori. Tutta la terra tema il Signore, abbiano spavento tutti gli abitanti del mondo, perché Egli disse la Parola e la cosa fu; Egli comandò e la cosa sorse. Il Signore dissipa il consiglio delle genti e annulla i pensieri dei popoli. Il consiglio del Signore dimora in eterno, i pensieri del Suo Cuore dimorano per ogni età. Beata la gente di cui il Signore è l’Iddio; beato il popolo il quale Egli ha eletto per Sua eredità. Il Signore riguarda dal Cielo, Egli vede tutti i figli degli uomini. Egli guarda, dalla stanza del suo seggio, tutti gli abitanti della Terra. Egli è quel che ha formato il cuore di tutti loro, che considera tutte le loro opere. Un re non si salva grazie alla grandezza dell’esercito, un gigante non si salva grazie alla sua grande forza. I cavalli non sono d’aiuto e la loro grande forza non dà la salvezza. Ecco, l’occhio del Signore è sopra quelli che lo temono; sopra quelli che sperano nella sua benignità, per riscuotere l’anima loro dalla morte e per conservarli in vita in tempo di fame. L’anima nostra attende il Signore; Egli è il nostro aiuto e il nostro scudo. Certo il nostro cuore si rallegra in lui, perché noi ci siamo confidati nel Nome della Sua Santità. La Tua Benignità, o Signore, sia sopra noi, dato che noi abbiamo sperato in Te”».

 

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Cap. 8

Del Regno dei Cieli

 

1. Dopo che tutti Mi ebbero reso omaggio con quest’inno mattutino, Fausto, che era stato naturalmente pure presente alla colazione ed aveva udito l’inno di lode, Mi domanda subito: «Dove mai attinsero i Tuoi discepoli parole tanto elevate, veritiere e tanto degne di Te? Davvero non mi è stato mai dato di udire un’allocuzione così nobile e così eccellente!»

2. Ed Io gli rispondo: «Fatti dare da qualcuno, tra i farisei, la Scrittura di Dio e leggi i Salmi di Davide che vi sono contenuti; tutte queste cose le troverai scritte là. Il capo della sinagoga, Giairo, del quale dovremo ancor oggi nuovamente occuparci, potrà procurarti facilmente questi scritti, perché due giorni fa egli ha seppellito sua figlia: essa gli è morta! Egli è amaramente pentito delle sue colpe verso di Me e perciò gli verrà inviato soccorso ed egli non andrà perduto per il Regno dei Cieli!»

3. Chiede Fausto: «Signore! Che cosa è questo Regno e dove si trova?»

4. Gli dico Io: «Ecco, Mio caro amico, il proprio e vero Regno divino dei Cieli si trova dappertutto, per chi è veramente amico di Dio, ma per chi Gli è nemico, in nessun luogo, poiché, per quest’ultimo, tutto è inferno, dovunque tu possa o voglia volgere i tuoi occhi o gli altri sensi, sopra o sotto è tutt’uno. Non contemplare le stelle lassù, perché esse sono dei mondi come quello sul quale tu vivi, e non guardare la terra all’ingiù, poiché essa sottostà al giudizio come la tua carne, che un giorno dovrà morire ed imputridire! Esplora invece e cerca con tutta diligenza nel tuo cuore, là troverai ciò che vai cercando. Infatti nel cuore di ciascun uomo è posto il seme vivente, dal quale può germogliare l’aurora eterna di una vita senza fine.

5. Osserva lo spazio nel quale si libra questa Terra, nonché il Sole immenso, la Luna e le stelle innumerevoli che pure non sono che altrettanti soli e mondi: questo spazio è infinito. Tu potresti lasciare questa Terra con la velocità del pensiero e solcare in linea retta gli spazi sempre con la stessa velocità, ma per quante eternità di eternità di tempo tu impiegassi nel tuo volo fulmineo, pure non ti sarebbe mai possibile avvicinarti alla fine! Dappertutto invece troveresti creazioni delle specie più straordinarie e meravigliose che in tutte le direzioni popolano ed animano lo spazio senza confini.

6. Un giorno tu pure, dopo la morte del tuo corpo, uscirai attraverso il tuo cuore nell’infinito spazio di Dio e, secondo la qualità del tuo cuore, quello stesso spazio sarà per te o Cielo od inferno!

7. Infatti non esistono in nessun luogo né un Cielo né un inferno appositamente creati, ma tanto l’uno che l’altro traggono le loro origini nel cuore stesso dell’uomo, cosicché ciascun uomo si crea nel proprio cuore il Cielo o l’inferno a seconda che egli operi il bene od il male; ed a seconda di come egli creda, voglia ed operi, così anche vivrà della propria fede, la quale ne avrà nutrita la volontà, che si traduce poi nell’azione.

8. Di conseguenza ognuno esamini le inclinazioni del proprio cuore, così gli sarà facile rilevare di quale spirito esso è ricolmo. Se il cuore e l’amor suo tendono al mondo, se egli sente una brama di diventare, nei riguardi di questo, qualcosa di grande e di ragguardevole, se il cuore che inclina all’orgoglio ha in sdegno il proprio fratello povero e sente in sé lo stimolo a signoreggiare sul proprio simile senza essere egli a ciò eletto e consacrato da Dio, allora è segno che nel cuore c’è già il seme infernale che, se non è combattuto e soffocato in tempo, non potrà evidentemente preparare all’uomo che l’inferno dopo la morte del suo corpo.

9. Ma se, invece, il cuore dell’uomo è pieno di umiltà e si sente felice di essere il minimo fra i suoi simili, di servire tutti, di non badare affatto a se stesso per amore dei propri fratelli e sorelle e di obbedire volonterosamente ai propri superiori in tutte le cose buone ed in un modo o nell’altro utili ai fratelli e se oltre a ciò ama Dio sopra ogni cosa, allora la semente divina nel cuore dell’uomo cresce rigogliosa; diventa un vero Cielo eterno e vivente, e l’uomo, che in questo modo custodisce nel proprio cuore già l’intero Cielo in tutta la sua pienezza, Cielo ricolmo di vera fede e della speranza ed amore più puri, dopo la morte del corpo non può giungere assolutamente in nessun altro luogo che non sia lo stesso Regno divino dei Cieli, che egli ha portato già da molto tempo in tutta la sua integrità nel proprio cuore! Se tu consideri bene quello che ti ho detto, non ti sarà difficile comprendere come veramente vadano intese le cose tanto nei riguardi del Regno dei Cieli quanto in quelli dell’inferno».

10. Dice Fausto: «O Signore e mio caro Maestro ed amico, davvero le Tue parole suonano supremamente sagge, però questa volta non mi è riuscito di comprenderle in tutta la loro profondità. Come Cielo ed inferno possano trovarsi assieme, per così dire nello stesso tempo in uno stesso punto, cosicché evidentemente l’uno dovrebbe penetrare nell’altro, questa cosa appare pur sempre impossibile a me, abituato certo a pensare ancora troppo materialmente! Ma quello che ancora di più non posso comprendere è infine come dal mio cuore possa fiorire un’eternità supremamente beata od infinitamente infelice! Perciò io Ti prego affinché Tu voglia fornirmi a questo riguardo qualche chiarimento più accessibile al mio intelletto, altrimenti, nonostante tutta la luce di questo mezzogiorno spirituale, dovrei far ritorno alla cieca a casa mia!»

 

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Cap. 9

Il Signore illustra con esempi quale sia l’essenza del Cielo e dell’inferno

 

1. Gli dico Io: «Ebbene, fa attenzione a quello che ti dirò, perché ho piacere che tu faccia ritorno a casa tua vedendo!

2. In una stessa casa dimorano due uomini. L’uno si accontenta di quel che gli rende il terreno con il sudore della propria fronte e con la benedizione di Dio, sempre soddisfatto e sereno si gode il frutto, sia pure parco, del suo diligente lavoro e la sua gioia più grande è quella di dividere con i fratelli più poveri il suo poco bene faticosamente raccolto. Se viene da lui un affamato, è lietissimo di poterlo saziare e non gli chiede mai con voce irosa la ragione della sua povertà e non gli proibisce affatto di ritornare, qualora la fame dovesse farsi di nuovo sentire.

3. Egli non mormora né impreca mai contro le istituzioni terrene dello Stato e quando deve pagare qualche imposta egli esclama sempre come Giobbe: “Signore, Tu me l’hai dato, ma tutto appartiene a Te. Ciò che Tu hai dato, puoi sempre riprenderlo; sia fatta sempre unicamente la Tua santa Volontà!”

4. In breve, niente può turbare quest’uomo nella sua serenità d’animo né nel suo amore e nella sua fiducia in Dio né, di conseguenza, nel suo amore verso i propri fratelli terreni: l’ira, l’invidia, il litigio, l’odio e l’orgoglio sono tutti concetti a lui estranei.

5. Ma, al contrario, suo fratello è l’uomo più scontento; egli non crede in Dio e dice: “Dio è una parola vuota con la quale gli uomini classificano il più alto grado dell’eroismo terreno; soltanto il più sciocco fra gli uomini può essere felice nella miseria, come sono felici gli animali privi di ragione e di intelletto, quando trovano il poco che il loro istinto naturale domanda. Ma un uomo che tramite la ragione si è elevato molto al di sopra del regno animale, non deve più accontentarsi del comune cibo animalesco, non deve impiegare le proprie mani destinate ad altre e migliori opere nello smuovere e sconvolgere il terreno – ciò che si addice soltanto alle bestie ed agli schiavi –, ma deve in vece impugnare la spada ed alla testa di potenti eserciti entrare sotto archi trionfali nelle grandi città del mondo conquistate. La terra deve tremare sotto i passi poderosi del destriero che, scintillante d’oro e di pietre preziose, porta superbo il signore delle potenti schiere.

6. Con tali sentimenti in cuore un tale uomo impreca poi contro la propria misera esistenza, maledice la povertà e si arrovella la mente per escogitare il modo con il quale procurarsi grandi tesori e ricchezze per poter per mezzo loro realizzare i propri ideali di ambizione.

7. Egli ha in spregio suo fratello che è contento del proprio stato ed ha in abominio chiunque sia ancora più povero di lui. In lui non c’è affatto traccia di misericordia; per lui essa non significa che una qualità ridicola degna di un vile schiavo o di un commediante; all’uomo si addice tutt’al più la generosità, ma anche questa il più raramente possibile! Se un povero gli si presenta dinanzi, lo accoglie con le parole più aspre e gli dice: “Vai via, pigra bestiaccia, mostro vorace camuffato cenciosamente da uomo, lavora, animale, se vuoi avere di che ruminare! Va’ dal fratello snaturato del mio corpo, ma mai del mio spirito superiore: quello sì, come bestia da soma egli stesso, lavora per il proprio simile ed è misericordioso come uno schiavo! Io che non sono generoso, per questa volta ancora ti lascio in dono la tua volgarissima vita da verme della terra”.

8. Ed ora intendi: questi due fratelli, figli dello stesso padre e della stessa madre, vivono assieme in una stessa casa; il primo è un angelo, mentre il secondo è quasi un compiuto demonio. Per il primo la misera capanna che lo ricovera è un Cielo, per il secondo la stessa capanna, senza cambiare nulla, è un vero inferno pieno del più amaro tormento; vedi, dunque, adesso come Cielo ed inferno possano trovarsi assieme in uno stesso luogo?

9. Certamente tu dirai fra te e te: “Ebbene, perché ciò? Lasciamo che l’ambizioso raggiunga il suo trono, così egli sarà perfettamente atto a proteggere i popoli e ad annientarne i nemici!”. Sì, certo, questo potrebbe ben essere possibile! Ma dov’è la misura che gli prescrive fino a quale punto egli debba perseguire i piani suggeritigli dalla sua ambizione? Cosa farà egli degli uomini che non vorranno inchinarsi fino a terra dinanzi a lui? Ecco, egli li farà martoriare nella maniera più crudele possibile e della vita umana egli si curerà tanto quanto di un fuscello di paglia che ogni viandante calpesta. Ma che cosa è allora un tale uomo? Vedi, egli è simile a Satana!

10. Devono esserci certo anche dei reggenti e dei condottieri, ma, intendi bene, questi devono in origine essere scelti e chiamati da Dio a tali compiti e in seguito devono essere discendenti di re anticamente già consacrati. Questi, allora, sono chiamati a reggere, ma guai a qualsiasi altro che abbandoni la sua povera capanna ed esca fuori per conquistarsi, usando ogni mezzo, uno scettro od una insegna di comando! In verità, sarebbe meglio per lui non essere mai nato!

11. Io però voglio esporti ancora un’immagine del Regno divino dei Cieli. Esso è del tutto simile ad un buon terreno, sul quale crescono e maturano tanto le viti più nobili, quanto, vicino a queste, i cespugli delle spine e dei cardi, eppure si tratta sempre di uno e dello stesso buon terreno. La differenza sta unicamente nel modo in cui viene utilizzato: la vite lo converte nel bene, la pianta delle spine e dei cardi invece nel male, nell’inutile e in tutto ciò che per l’uomo è immaginabile.

12. Così anche il Cielo manda il suo alito tanto sul demone quanto sull’angelo di Dio, ma ciascuno dei due lo impiega altrimenti!

13. Ed ancora il Cielo è simile ad un albero da frutto, che produce frutta buona e dolcissima, ma se avviene che sotto ai suoi rami ben forniti si raduni della gente per mangiare tali frutti, alcuni modesti e parchi prendono riconoscenti solo quel tanto di cui loro hanno bisogno e ne mangiano; altri invece, poiché la frutta piace loro molto, non vogliono che rimanga niente sull’albero e per un sentimento di invidia verso i modesti che – pensano essi – potrebbero ritornare per veder se qualcosa è rimasto ancora, consumano e mangiano finché non c’è più frutta. Questi però si ammalano e devono morire, mentre i parchi e modesti dal moderato uso della frutta dell’albero traggono forza e ristoro! E tuttavia sia gli uni che gli altri hanno mangiato dallo stesso albero!

14. Così pure il Cielo è simile ad un buon vino che rafforza il sobrio, mentre rovina ed uccide chi ne beve smodatamente e così lo stesso vino è per il primo un Cielo, mentre per l’altro è un puro inferno, eppure esso viene preso sempre dal medesimo otre!

15. Dimmi, amico Mio, se ora comprendi cosa sia veramente il Cielo e cosa sia l’inferno!»

 

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Cap. 10

La legge dell’Ordine

 

1. Dice Fausto: «Signore, ora comincia a farsi chiaro nella mia mente. In tutta l’immensità non c’è che un Dio, una forza ed una legge, quella cioè dell’Ordine eterno. Chi fra gli uomini fa propria questa legge, per lui tutto e dappertutto è Cielo; chi invece, per proprio libero volere, la ripudia e la contrasta, per lui dappertutto c’è l’inferno, il tormento e il martirio!»

2. Dico Io: «Sì, è così! Il fuoco è certamente un elemento quanto mai utile; chi l’adopera con ordine, saggezza e con senso di opportunità, ne ritrae un vantaggio incalcolabile. Si andrebbe troppo per le lunghe volendo enumerare tutti i vantaggi che possono derivare all’uomo che giustamente, saviamente ed opportunamente sa mettere a profitto l’energia del fuoco, ma se invece qualcuno volesse adoperare il fuoco alla leggera, quindi molto stoltamente, unicamente per proprio diletto, così da accenderlo sui tetti delle case o nel punto più fitto del bosco, quell’uno e stesso fuoco distruggerebbe ed annienterebbe ogni cosa.

3. Quando d’inverno gela, ognuno si avvicina volentieri al camino e gode nel riscaldarsi al fuoco scoppiettante che lancia nel solido camino le allegre fiammate che riscaldano, ma chi invece cadesse nel fuoco, costui resterebbe ucciso e ne verrebbe consumato.

4. Però Io ti dico ancora: “Gli uomini di questo mondo, per diventare veramente figli di Dio, devono venire condotti attraverso l’acqua e il fuoco: il Cielo nella sua essenza prima è acqua e fuoco; quello che non è affine all’acqua, viene ucciso dall’acqua e ugualmente quello che non è in se stesso fuoco, non può resistere nel fuoco”»

5. Dice Fausto: «Signore, questa è di nuovo una cosa che io non posso comprendere! Com’è da intendere ciò? In qual modo si può diventare contemporaneamente acqua e fuoco? Infatti è noto che l’acqua e il fuoco sono gli elementi più impari e più in opposizione fra loro: l’uno distrugge ed annienta l’altro. Se il fuoco è potente e vi si versa sopra dell’acqua, questa si converte rapidamente in vapore e in aria, se invece l’acqua è più potente del fuoco, questo si spegne quando viene inondato dall’acqua. Dunque, se per rendersi simili al Cielo si deve essere acqua e fuoco nello stesso tempo, bisognerebbe alla fine, per così dire, disciogliersi. E che ne sarebbe allora della consistenza eterna della vita?»

6. Rispondo Io: «Oh, la cosa si accomoda molto bene! Presi ambedue nella giusta proporzione, ognuno produce e mantiene l’altro reciprocamente e continuamente. Infatti, vedi, se nella Terra ed intorno ad essa non vi fosse fuoco, non vi sarebbe neppure acqua e, d’altro canto, se nella Terra ed intorno ad essa non vi fosse acqua, non vi potrebbe essere neppure il fuoco, perché l’uno genera l’altro senza interruzione»

7. Domanda Fausto: «Come è ciò possibile e come va inteso?»

8. Gli dico Io: «Togli via dalla Terra tutto il fuoco che da solo genera il calore e tutta la Terra diverrà un masso di ghiaccio duro come il diamante, completamente inadatto a qualsiasi manifestazione vitale. Porta via invece dalla Terra tutta l’acqua ed essa ben presto si convertirà in un ammasso di polvere inutile! Infatti senza l’acqua il fuoco non potrà mantenersi, ed esso è supremamente necessario alle nuove formazioni sulla Terra, perché, qualora la serie sempre susseguente delle neoformazioni si arrestasse, subentrerebbero la morte e la putrefazione.

9. Osserva come esempio un albero che ha perduto i propri succhi e ti accorgerai che in breve tempo l’albero imputridirà e andrà in rovina. Comprendi tu adesso?»

10. Risponde Fausto: «Sì, o Signore, noi tutti comprendiamo ora anche questo e riconosciamo che Tu sei pieno dello Spirito di Dio e che Tu stesso sei il Creatore di tutte le cose. Infatti, qual è l’uomo che può capire in se stesso e che può enunciare fuori da se stesso la ragione, il come e il perché dell’intera Creazione e delle leggi che la governano? Tale cosa può essere chiara e nota in tutte le profondità più recondite soltanto a Colui che possiede in Sé quello Spirito, per la forza del Quale tutte le cose sono state fatte e come tali continuano ad esistere anche adesso. E per tutti i benefici inestimabili, sia materiali che spirituali elargiti da Te, io non posso offrirTi che dei ringraziamenti dal profondo del mio cuore pieno del più sincero amore per Te! Infatti cos’altro potrei mai offrire io, povero e debole peccatore, a Te che sei il Signore dell’Infinità?»

11. Gli dico Io: «Tu hai ragione; però, per il momento tieni per te tutto quello che sai e che hai visto ed udito qui, non Mi rendere di pubblico dominio prima del tempo e nella tua attuale felicità terrena non ti dimenticare dei poveri! Infatti tutto quello che avrai fatto ai poveri nel Mio Nome, l’avrai fatto a Me, e ne riceverai la ricompensa nel Cielo. Ora però, dato che qui a Chis noi abbiamo terminato tutto ciò che c’era da fare e da spianare, ci disporremo per il viaggio verso Nazaret».

 

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Cap. 11

Partenza del Signore e dei Suoi discepoli verso Nazaret

(Matt.13,53)

 

1. Dice Fausto: «Allora bisogna che io dia ordine di trasportare tutte le mie cose sulle navi?»

2. Gli rispondo Io: «Tutto è ormai già fatto” Siccome i tuoi battelli non sarebbero bastati, Baram e Kisjonah hanno messo a disposizione le loro due grandi navi, cosicché tutto è in pieno ordine ed altro non ci resta che partire»

3. Dice Fausto: «Davvero più non mi meraviglia che sia certamente così, perché cosa c’è di impossibile per l’Onnipotente?».

4. A questo punto si fanno avanti anche Jonaele e Jairuth assieme ad Archiele, Mi ringraziano di tutto e quando, dopo essersi congedati da Me con parole di ossequio e di gratitudine, si sono appena accinti a ritornare a Sichar, ecco farsi loro incontro, come da Me predetto, la deputazione dei sichariti i quali li accolgono con tutti gli onori ed in particolare pregano Jonaele di voler accettare la dignità di capo dei sacerdoti: allora, tanto Jonaele quanto Jairuth si ricordarono di quello che Io già prima avevo loro annunciato.

5. In quanto a noi, quando Io ebbi finito di esporre le nuove parabole del Regno dei Cieli e quando ebbi congedato i sichariti e Mi fui congedato da Kisjonah che questa volta, dietro Mio consiglio, rimase a casa senza accompagnare nemmeno Fausto – il quale ebbe però da Me la promessa di un Mio non lontano ritorno –, ci recammo, quando mancavano due ore a mezzogiorno, su di un grosso battello ed assieme a Fausto, che aveva preso posto sulla Mia nave con la sua giovane moglie, ci dirigemmo verso un luogo vicino a Cafarnao, dove c’era l’usuale punto d’approdo tanto per questa città quanto per Nazaret che, com’è noto, non era situata lontano da Cafarnao.

6. E quando fummo sbarcati, Fausto disse: «Signore, io verrò con Te a Nazaret, affinché a Tua madre, nonché ai Tuoi fratelli e sorelle terreni, vengano restituite le loro proprietà»

7. Ma Io gli dico: «Anche questo è già avvenuto, così pure sia a casa tua che fuori, nel tuo interno ed esteso distretto giudiziario, troverai tutto nel migliore ordine possibile, perché il Mio Archiele ha già sbrigato fino ad ora al tuo posto tutti gli affari. Tu dunque va’ a Cafarnao e qualora dovessi incontrare Giairo, ciò che certo accadrà ed egli ti narrerà le sue dolorose vicende, digli che Io ora mi tratterò qui a Nazaret per un po’ di tempo! Se egli vuole qualcosa, che venga da Me personalmente, però egli solo!»

8. Dice Fausto: «Non potrei forse accompagnarlo io?»

9. Ed Io rispondo: «Oh, certo, ma vieni tu solo con lui!». Con queste parole ci separammo.

10. Io M’incammino assieme ai Miei numerosi discepoli verso la Mia patria terrena, Nazaret, mentre Fausto, fatti venire in fretta dei portatori e dei carri, vi carica su i tesori che aveva portato con sé e la carovana parte verso casa sua, a Cafarnao. È superfluo rilevare come l’arrivo del giudice superiore, scortato da tutte quelle ricchezze ed al fianco di una bellissima consorte, suscitasse nella città grande scalpore e non deve d’altra parte meravigliare se, in quella occasione, per varie ragioni, venne incontro al giudice superiore anche il capo dei farisei che dimoravano là, di nome Giairo, perché egli pure aveva avuto qualche sentore della famosa spedizione dei dodici farisei a Gerusalemme ed aveva saputo che Fausto era stato chiamato a Chis a causa loro.

11. Fausto lo accolse con il dovuto onore e gli disse: «Un galantuomo è stato salvato e tutte le cose, che i farisei di nascosto avevano ingiustamente sequestrato ed estorto ai poveri ebrei, sono state restituite a questi ultimi fino all’ultimo statere, gli altri undici poi sono ormai a Gerusalemme, nel Tempio, dove riceveranno la ricompensa adeguata agl’inganni inauditi ed alle ruberie commesse da loro ovunque. Andrei troppo per le lunghe, se volessi raccontarti tutte le male cose perpetrate dagli undici, ma se un giorno avrai tempo, vieni da me a prendere visione dei numerosi atti che ho portato con me e vedrai che ti si rizzeranno i capelli sulla testa! Ma ora parliamo d’altro! Cosa ne è della tua cara figliola? Vive essa ancora, oppure è morta?»

12. Risponde Giairo, afflittissimo e scoppiando subito in pianto: «Oh, amico mio! Perché richiamarmi questa cosa alla memoria? Ahimè, essa purtroppo è morta! Nessun medico ha potuto trovare rimedio al suo male. Soltanto Boro, il medico di Nazaret, disse che egli avrebbe potuto bensì darle aiuto, ma che non voleva perché ho peccato troppo gravemente contro il suo amico Gesù che è stato il suo Maestro. E così mia figlia, che io tanto amavo, è morta. Straziava davvero il cuore sentire come la poveretta invocava Gesù affinché l’aiutasse e come in punto di morte mi rivolse parole aspre, perché io avevo offeso Gesù, il più grande benefattore della povera umanità sofferente, in modo tanto grave da doverne essa morire senza più alcuna speranza di soccorso! Io feci il possibile e l’impossibile per trovare Gesù, affinché l’aiutasse! Ma Gesù non ha voluto ascoltare il messo che gli avevo mandato incontro, quantunque io abbia ormai deplorato mille volte amaramente le mie mancanze verso di Lui! E adesso ahimè – è troppo tardi! Essa già da quattro giorni giace nella tomba e puzza orribilmente! Ormai Jehova usi grazia e misericordia alla sua bella anima!» 

13. Dice Fausto: «Amico, io deploro di tutto cuore la disgrazia che ti ha colpito, però, comunque sia, devo avvertirti che Gesù, il Signore onnipotente, si trova adesso a Nazaret. Ora, secondo le mie molteplici esperienze fatte di persona, per Lui non c’è niente di impossibile! Che ne dici di rivolgerti a Lui? Io posso assicurartelo: Egli certo ha potere sufficiente per richiamare in vita tua figlia e per ridonartela!»

14. Osserva Giairo: «Anche se ciò non fosse più possibile, io voglio ugualmente recarmi da Lui e domandarGli mille volte perdono per averLo, certo non di mia volontà, ma costretto dalle circostanze, offeso e conturbato!»

15. Dice Fausto: «Ebbene, vieni allora con me; noi Lo troveremo a Nazaret, in casa di Sua madre. Però, in ossequio alla sua decisione, nessuno deve accompagnarci!» Giairo, animato da una vaga speranza che lo fa sussultare dalla gioia, accoglie subito la proposta di Fausto e, fatti sellare velocemente due robusti muli, ambedue partono di buon trotto per Nazaret. Già due ore prima del tramonto essi arrivano, lasciano le cavalcature in uno stallaggio ed a piedi si recano alla casa di Mia madre Maria. Là trovano Me, assieme a Boro, il quale era stato fra i primi a venirMi incontro a braccia aperte, avendo avuto notizie che Io sarei venuto in quei giorni a Nazaret.

16. Quando dunque Fausto e con lui Giairo entrarono nella stanza dove Io Mi trovavo, il secondo scoppiò in un pianto dirotto e prostratosi ai Miei piedi Mi supplicò ad alta voce di perdonargli il grave peccato di ingratitudine commesso contro di Me!

17. Io però gli dissi: «Alzati! Il tuo peccato ti è perdonato, ma guardati bene dal caderci una seconda volta. Dove è sepolta tua figlia?»

18. Risponde Giairo: «Signore, Tu sai che non lontano da qui ho fatto erigere una scuola per i figli del paese, con vicino un piccolo oratorio. In questo oratorio ho fatto costruire una tomba per me, ma, poiché mia figlia mi ha preceduto, io la feci portare lì e la feci deporre nella tomba nuova, dove prima di lei nessuno ancora era stato accolto. Questa tomba dista appena 2000 passi da qui, se Tu, o Signore, volessi vederla, sarebbe per me una consolazione grandissima, poiché io sono conturbato fino alla morte!»

19. Gli dico Io: «Ebbene conduciMi lì, però nessuno deve accompagnarMi all’infuori di te e di Fausto!»

20. E gli apostoli domandarono se potevano essere presenti anche loro.

21. Risposi Io: «Questa volta, tranne i due nominati, non deve venire nessuno!»

22. E Boro a sua volta chiese: «Signore, Tu mi conosci e sai che io, se voglio, sono muto come un pesce, non sarebbe bene che io, nella mia qualità di medico, vi accompagnassi?»

23. Ma Io non acconsentii e gli dissi: «Questa volta no. Rimanga perciò valida la Mia prima decisione: noi tre soli e nessun altro!»

 

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Cap. 12

Il secondo risveglio di Sara dalla morte

 

1. Poi nessuno si azzardò a domandare altro o a pregare. Noi ce ne andammo alla tomba ed Io contemplai il cadavere già fortemente putrefatto e chiesi a Giairo se egli ormai pensasse, o addirittura credesse, che sua figlia fosse morta soltanto in apparenza.

2. E Giairo rispose: «Signore, in cuor mio neppure la prima volta ho creduto una cosa simile, perché sapevo troppo bene che Sara, la mia cara figlia, era proprio morta davvero! Quando si trattò di testimoniare il falso contro di Te, io vi fui tirato per i capelli e se io non avessi firmato il perfido documento, Tu saresti stato perseguito ancora più ferocemente, ciò che, lo dichiaro solennemente, io non volevo avvenisse in nessun caso, ma, avendo firmato la falsa testimonianza, Tu fosti considerato piuttosto come un semplice vagabondo cui è a noia il lavoro, il quale opera qua e là qualche guarigione e che ambisce a crearsi in Israele una fama di profeta suscitato da Dio, più che non quella dello stesso Messia, il quale è temuto più di qualsiasi altro dalla casta sacerdotale, ben provvista di agi e di ricchezze, poiché sta scritto che quando il Gran Sacerdote nell’ordine di Melchisedek scenderà dall’eternità su questa Terra, la casta di tutti gli altri sacerdoti avrà completa fine e il nuovo Melchisedek regnerà poi in eterno con i suoi angeli sopra a tutte le nazioni della Terra.

3. Io Te lo dico: “Tutti i sacerdoti, dai più alti agli infimi, non temono né il fuoco né la tempesta che passò davanti alla grotta dove stava nascosto Elia, il grande profeta, ma quello che soprattutto li spaventa è il dolce alitare del vento intorno alla stessa grotta del grande profeta, perché dicono sempre: Il Messia nell’ordine di Melchisedek verrà nel profondo silenzio della notte come un ladro e toglierà loro tutto quello che essi si sono acquistati! Per questa ragione nessuno fra i sacerdoti vuole attendere in questa vita la venuta dell’Unto del Signore fin dall’eternità, ma brama invece ardentemente di vederla rimandata ad un futuro, il più possibile lontano”.

4. Ora, siccome tutta la casta sacerdotale, particolarmente la parte anziana, deve rilevare senza dubbio possibile, desumendolo dalle opere e dai Tuoi straordinari insegnamenti che in Te vanno avverandosi tali profezie, essa fa i maggiori sforzi allo scopo di provocare, se mai possibile, la Tua rovina! Se ciò non fosse possibile, dato il caso che Tu fossi nella piena realtà quello che temono che Tu sia, essi faranno più tardi penitenza con sacco e cenere per le loro malvagie fatiche ed aspetteranno tremanti il colpo fatale, per il quale essi temono di dover perdere tutto, come in ogni tempo, del resto, lo hanno temuto; altrimenti essi non avrebbero lapidato quasi tutti i profeti. Ecco, questo è il motivo per il quale io fui indotto a dichiararTi piuttosto un vagabondo che non quello che certamente Tu sei. Infatti gli uomini non possono mai richiamare in vita i loro morti; tale cosa non la può fare che lo Spirito di Dio che, secondo la mia opinione, dimora e opera in Te, in tutta la Sua Pienezza.

5. Gli dico Io: «Sì, poiché a Me in segreto era ben nota la ragione per cui tu veramente Mi hai rinnegato ed Io sono venuto anche nuovamente da te, nella tua grande angoscia, per portarti aiuto per un lungo periodo di tempo. Ed appunto per questa stessa ragione, all’infuori di voi due, non ho concesso a nessuno di accompagnarMi qui. Quando però il tempo sarà venuto, tale ragione sarà resa nota anche agli altri. Ed ora ti si manifesteranno la Potenza e la Magnificenza di Dio!»

6. Così dicendo, Io Mi chino sulla bara, nella quale giaceva il cadavere della giovane Sara, avvolto in finissimi lini e dissi a Giairo: «Ecco, ormai è notte fatta e la lampada qui nella tomba non dà che una misera luce, va’ dunque dal custode di questa scuola e di questo oratorio e fatti dare una lampada più grande, perché quando essa avrà recuperato la vita, dovrà naturalmente vedere per uscire dalla bara»

7. Esclama Giairo: «O Signore, ma sarà proprio possibile che ciò avvenga? La putrefazione del corpo è già molto avanzata! Però credo che a Dio sono possibili tutte le cose e perciò io sarò presto di ritorno con una luce migliore».

8. Giairo si affretta ad uscire, ma la cosa non procede così sollecita, perché al custode è venuto a mancare il fuoco, ed egli dovette perdere qualche tempo per procurarsene dell’altro mediante l’energico sfregamento di due pezzetti di legno, che allora si usavano a questo scopo.

9. Ma Io, appena uscito Giairo, risuscitai subito la giovinetta e la sollevai dalla bara.

10. La risuscitata, allora, come fosse appena uscita da un lungo sonno, Mi domanda: «Per l’amor di Dio! Dove mai mi trovo? Cosa è successo di me? Io poco fa ero in un magnifico giardino, con altre compagne di gioco e adesso, invece, mi trovo in questa stanza stretta e oscura!»

11. Le dico Io: «Sara, sii tranquilla e lieta, poiché Io, il tuo Gesù, che appena poche settimane fa ti richiamai una prima volta dalla morte alla vita, ti ho risuscitata nuovamente dalla morte e ti ho dato ormai una vita forte; d’ora innanzi nessuna malattia tormenterà il tuo corpo e, quando dopo molti anni il tuo tempo sarà venuto, scenderò Io stesso giù dai Cieli, per prenderti e condurti nel Mio Regno, che non avrà mai fine»

12. E come Sara ode la Mia voce, soltanto allora si sente completamente rinata ed esclama con voce dolcissima e tremante per l’emozione d’amore: «O unico amore, amore del mio cuore e della mia giovane vita! Io ben sapevo che non deve temere la morte chi sopra ogni cosa Ti ama! Il mio immenso amore per Te, che già una prima volta mi ridonasti la Vita, mi fece ricadere ammalata, perché io non potevo apprendere dove Tu fossi andato e, quando nell’ardore del mio cuore domandai dove Tu fossi, mi si rispose, per tranquillizzarmi, che tu eri stato gettato in carcere e condotto davanti ad un tribunale severo, come reo di delitto contro lo stato! Questa notizia mi spezzò il cuore nel petto; io mi ammalai gravemente e morii per la seconda volta! Ma quanto immensa è la mia felicità per aver ritrovato Te, il mio solo ed unico amore! 

13. Io dissi già sul mio letto di morte: “Se l’unico amor mio Gesù vive ancora, Egli non mi lascerà dissolvere nella gelida tomba!” Ed ecco che è avvenuto appunto quello che il mio cuore mi aveva suggerito! Io vivo una vita nuova e completa, dalle braccia del mio amato Gesù. Ma, d’ora innanzi, nulla avrà il potere di separarmi dal Tuo fianco divino, e come la più umile delle Tue ancelle io Ti seguirò ovunque andrai»

14. E mentre Sara mi svela in tale maniera il suo cuore, Giairo è finalmente in procinto di ritornare alla tomba, munito di una torcia di resina. Ed Io allora le dico: «Ecco, ora viene tuo padre Giairo, nasconditi perciò dietro le spalle di Fausto, affinché non si accorga subito della tua presenza, cosa che sarebbe nociva alla sua salute. Però, quando Io ti chiamerò, allora fatti immediatamente avanti con aspetto allegro e sereno, così la tua comparsa non gli recherà alcun danno». Sara segue senza indugio questo consiglio e Giairo rientra nella camera mortuaria appunto quando essa ha già avuto il tempo di nascondere la propria persona dietro a quella di Fausto.

15. Giairo si scusa per aver tardato tanto a ritornare con il lume richiesto!

16. Ma Io gli dico: «Non farci caso, perché nessuno può peccare più di quanto sia possibile, e chi una volta è morto, nel breve spazio di un quarto d’ora non diviene ancora più morto, ma piuttosto più vivo, se le condizioni favorevoli alla vita sono ancora presenti!»

17. Dice Giairo: «Ebbene, o Signore, se ad un povero peccatore come me è concesso di fartene preghiera, venga la Tua grazia non già per me, che non ne sono affatto degno, ma per la povera Sara che certo Ti ama sopra ogni cosa»

18. Però gli dico Io: «Una ragione ed a una condizione Io ti metto, dichiarandoti che non la risuscito per te, bensì unicamente e pienamente per Me! D’ora innanzi essa seguirà Me e non te, ma se tu pure vorrai seguirMi di quando in quando, allora sarai contemporaneamente vicino a tua figlia!»

19. Risponde Giairo: «Sia fatto tutto secondo la Tua Volontà, purché la mia unica figlia possa ritornare in vita!»

20. Dico Io: «Orbene, accostati e rischiara un po’ con il tuo lume la fossa che è aperta!»

21. Giairo, sospirando, avanza fino all’orlo della fossa e guarda ansiosamente, ma non vede altro che dei panni e delle bende ammucchiate! E, poiché non gli riesce di scoprire la figlia morta, si rattrista e domanda rivolto a Me: «Signore, che cosa mai è avvenuto? Il fetore c’è bensì ancora, ma altro non si vede! Che qualcuno abbia trafugato il cadavere? Ma perché non ha preso con sé anche le bende e le fasce?»

22. Ed Io gli dico: «Perché colei che ormai vive non ha bisogno di simili cose»

23. Giairo, strappato improvvisamente al suo dolore, dà in un grido di gioia e chiede: «Come? Dov’è dunque la mia Sara che vive di nuovo?»

24.Ed Io chiamo: «Sara, fatti avanti!»

25. Sara immediatamente e meravigliosamente bella si trasse da dietro la spalla di Fausto e disse con voce alta e chiara: «Eccomi qui, viva e del tutto sana! Ma ormai non più tua, bensì di Gesù, il Signore; perché si voleva ad ogni costo imputarmi a terribile peccato l’amore del mio cuore per Gesù, e questo uccise il mio debole corpo! Ma ora appunto questo possente amore mi ha ridonato nuovamente la vita. Ora vedi, o Giairo, padre mio! Tu mi chiami tua figlia, perché mi hai dato la vita una sola volta! Ma cos’è per me Costui e cosa sono io per Lui, se mi ha ridato la vita già due volte? Chi di voi due è ormai il mio vero padre?»

26. Risponde Giairo: «Tu hai ragione! Evidentemente lo è Colui che ti ha ridato la vita già due volte ed io non potrò mai oppormi alla tua volontà; perciò, d’ora innanzi, segui l’impulso del tuo cuore ed io pure dal canto mio seguirò, di tempo in tempo, te e il tuo amore. Dimmi Sara se sei contenta così, tu che sei stata sempre per me tutto il mio mondo e resti pur ora tutto per me in unione a Gesù, il Signore!»

27. Dice Sara: «Sì, padre mio Giairo, così sono veramente contenta di te»

28. Io aggiungo: «Ed Io pure! Ma adesso rechiamoci a casa Mia, dove una buona cena ci attende. Sara, Mia figlia, ha bisogno anzitutto di un buon ristoro, perché al suo corpo rianimato è sicuramente necessario un nutrimento vero e buono; dunque, andiamocene velocemente da qui!»

 

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Cap. 13

Scena fra Giairo e sua moglie

 

1. Giairo allora ricopre la fossa, richiude dietro di noi le porte che davano accesso alla camera mortuaria ed alla fossa stessa e poi procede con noi. Però, a circa settanta passi da questa scuola-oratorio c’era la piccola abitazione del custode, al quale Giairo era ricorso per prendere la fiaccola.

2. E poiché la Luna nella sua fase crescente mitigava alquanto l’oscurità della sera, il custode si accorse benissimo della presenza della figlia di Giairo, che, avvolta in una bianca veste a strascico, camminava spigliata al Mio fianco. Tutto sgomento egli chiese a Giairo: «Cosa vedo? Che cosa vuol dir ciò? Non è questa Sara, la vostra figlioletta che era morta? Si è forse trattato di una morte apparente anche questa volta?»

3. Risponde Giairo: «Lascia stare le cose come sono, per te non c’è niente da domandare, bensì da tacere completamente riguardo a quanto hai visto, altrimenti ne va del tuo posto! Una cosa devi per altro imprimerti bene nella mente e devi pensare e comprendere bene che a Dio ogni cosa è possibile molto facilmente. Ma per questo ci vuole una fede piena e una fiducia vivente! Hai compreso ciò?»

4. Dice il custode: «Sì, alto e onorevolissimo signore!»

5. Poi Giairo osserva: «Per l’avvenire puoi anzitutto esimerti, per quanto riguarda me, da simili frasi onorifiche e parlare invece con me come se tu parlassi ad un tuo fratello.  Ma ora, visto che non hai più da fare la guardia a nessun cadavere, va sollecitamente a Cafarnao e di tutto quello che hai visto qui non raccontare niente a nessuno, neppure a mia moglie. A questa dì, però, se le è possibile venire con te a Nazaret, in casa di Giuseppe, poiché io ho delle questioni molto importanti da trattare con lei. Prendete un paio di buoni muli, affinché possiate al più presto essere di ritorno a Nazaret nella casa del carpentiere.

6. Il custode, il quale possedeva egli stesso un asinello robusto e svelto, va, e scioglie in fretta l’animale, lo sella e si dirige rapidamente verso Cafarnao, là giunto fa l’ambasciata alla moglie di Giairo. La donna, ancora tutta rattristata, si alza velocemente e segue il messaggero. Gli asini vanno a buon trotto e quasi in meno di un’ora giungono con i due a Nazaret, alla casa di Maria, la madre del Mio corpo, che è di nuovo perfettamente rasserenata, dopo essere rientrata in possesso della vecchia casetta di Giuseppe. E come la moglie di Giairo entra nella stanza dove appunto noi ci trovavamo radunati a cena, alla quale aveva provveduto questa volta l’amico Boro, essa scorge subito sua figlia Sara seduta al Mio fianco, tutta lieta e di aspetto eccellente ed intenta, con il migliore appetito del mondo, a fare onore ad un pesce senza lische, che le sta dinanzi condito con sale, olio e un po’ di aceto di vino.

7. La donna non riesce a credere ai propri occhi e dopo un po’ dice a Giairo, battendogli la spalla: «Giairo, marito mio, ecco qui la tua moglie infelice, che, per mezzo del tuo messaggero, hai mandato a chiamare, avvertendomi che dovevi parlarmi di cose importanti. Ma a me pare di vedere già ora una cosa che è della massima importanza! Dimmi, marito mio, è un sogno il mio od è realtà? Questa giovinetta, che siede presso Gesù e che è d’aspetto tanto bello, non è l’immagine vivente della nostra carissima defunta Sara? Oh Jehova, perché mi hai tolto la mia cara figlia?»

8. Risponde Giairo, anch’egli molto commosso, alla moglie: «Consolati, o moglie mia diletta, questa giovinetta non soltanto assomiglia alla perfezione alla nostra cara figlia, ma è essa stessa, in tutta verità! Il Signore Gesù, che è ricolmo del divino Spirito, l’ha ora risuscitata da morte per la seconda volta come Lui l’aveva risvegliata da morte poche settimane prima! Che però appaia tanto bella e fiorente, è dovuto alla Sua incomprensibile ma evidente Potenza divina, ma ora non distoglierla dal soddisfare il suo appetito, essendo essa rimasta a digiuno da ben lungo tempo»

9. Dice la donna, che può a mala pena capire in sé a causa della meraviglia e della gioia: «Dimmi dunque tu, che sei fra i sapienti maestri di Israele: cosa ne pensi tu di questo Gesù? In me si fa sempre più strada il convincimento che, nonostante i Suoi umili natali, Egli sia veramente il promesso Messia; perché simili opere non le ha mai finora compiute nessun profeta, per non parlar poi di altri uomini!»

10. Disse Giairo: «Sì, certo, così è, per l’appunto, però è bene conservare la massima discrezione, volendo Egli stesso che sia così, perché, se una voce simile si diffondesse troppo, tutta Gerusalemme e Roma ci sarebbero ben presto addosso e se Egli vi contrapponesse la Sua Potenza divina, le cose si metterebbero molto male per tutti noi! Perciò, o donna, sii segreta come una tomba! Sara dovrà restare almeno per un anno intero sotto la sorveglianza e la guida di Gesù stesso o della carissima e saggia madre Maria e noi potremo visitarla soltanto di tanto in tanto, alternativamente. Questo al duplice scopo di non palesare con la sua presenza il divino Maestro e di permettere al suo corpo di acquistare consistenza e permanente salute. In fondo, considerate bene le cose, noi due abbiamo oramai ben poco diritto particolare su di lei, perché, nel nostro muto godimento, non le abbiamo procurato che una misera vita malaticcia, perfettamente ignari com’eravamo di cosa sarebbe potuto risultare dal nostro amplesso. Ci è toccata in sorte quest’angelica Sara che Dio ha bensì dotato di un’anima sanissima, alla quale però non abbiamo aggiunto che un corpo debole e malato! Essa è per noi morta due volte e quindi in questo mondo per noi sarebbe stata irrimediabilmente perduta! Ma Egli le donò tutte e due le volte una nuova vita, piena di salute! Bisogna, dopo ciò, domandarsi chi è oramai più di suo padre e di sua madre, se Egli o noi due poveri peccatori»

11. Dice la madre di Sara: «Certamente tu sei saggio, conosci la legge e tutti i profeti ed hai dunque sempre ragione in tutte le cose, ma per me è già una felicità sovrumana sapere che essa è di nuovo in vita e che potremo, di quando in quando, vederla e parlarle!»

12. Osserva Giairo: «Ebbene, ora stiamo tranquilli. La cena è finita ed Egli forse vorrà dirci ancora qualche cosa!»

13. Allora Io chiamo a Me Fausto e gli dico: «Amico e fratello Mio, Mi duole molto che oggi tu non possa passare la notte con Me. Gravi incombenze ti attendono a casa tua e perciò ti devo congedare per un paio di giorni, però, trascorsi questi, vedi di far ritorno qui. Se per caso si venisse a parlare di Me, tu sai oramai bene cosa dovrai dire.

14. Risponde Fausto: «Signore, Tu mi conosci meglio di quanto io conosca me stesso e puoi dunque ben fidarti di me, perché uno che è nato romano non è come una debole canna che il vento scuote di qua e di là. Quando io dico sì neppure la morte può strapparmi un no! Ed ora me ne vado, il mio mulo è tuttora sellato e pronto, cosicché in una breve ora sarò sul posto. Nel Nome Tuo, o mio grande amico Gesù, gli affari che mi attendono saranno certo condotti a buon fine. Ed io mi raccomando interamente solo all’Amore ed alla Sapienza Tua ed alla Tua divina Potenza!». Con queste parole Fausto si congeda e si affretta ad uscire.

15. Poi la madre di Sara si avvicina a Me e con commosse parole Mi esprime la sua riconoscenza, confessandosi indegna di tanta immensa grazia.

16. Io però la conforto e dico a Sara: «Figlioletta Mia, ecco qui tua madre».

17. Allora Sara si alza con movimento rapido e saluta la madre con affettuose parole, ma aggiunge subito che essa vuol rimanere presso di Me, perché il suo amore è troppo grande e non le concede di separarsi da Me!  La madre e così pure il capo della Sinagoga lodano molto la cara figlia per il suo proponimento, ma in pari tempo la pregano di non dimenticarsi del tutto di loro! E Sara, dal profondo del suo cuore, assicura i genitori dicendo che il suo amore per loro ora è ancora molto più grande di prima! Questa assicurazione di Sara colmò di gioia entrambi i genitori ed essi si tranquillizzarono e strinsero al cuore la loro figlia, colmandola di carezze.

 

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Cap. 14

Della differenza tra potere umano e divino

 

1. Ed il greco, di nome Filopoldo da Cana in Samaria, venne a Me e disse: «Signore, io sono qui già da tre giorni e non ho finora potuto trovare il momento opportuno per parlare con Te riguardo agli scopi che, secondo le Tue istruzioni e la Tua Volontà, io mi ero prefissi ed ai risultati ottenuti con le mie prediche dopo la Tua partenza da Cana, per le quali tutti hanno finito con il credere in Te! Ora, siccome pare che Tu abbia un po’ di tempo libero, Ti prego di porgere ascolto a quanto anch’io ho da riferirTi!»

2. Osservo Io: «Mio stimato amico Filopoldo, puoi davvero pensare che Io avrei omesso di chiederti notizia riguardo a questa o quella cosa concernente Cana, se già non fossi perfettamente a conoscenza di tutto quanto è avvenuto? Guarda qui tutti i Miei fratelli! Quante parole Io scambio con loro? Per molti giorni Io non scambio esteriormente una parola con loro, ma tanto più spesso lo faccio interiormente attraverso il loro cuore; eppure, vedi, non c’è nessuno che si alzi e chieda: “Signore, perché dunque non parli con me?”. Io dico ora a te, come già da lungo tempo ho detto a tutti: “Io non accolgo discepoli perché dicano parole vuote, ma perché ascoltino i Miei insegnamenti e siano testimoni delle Mie opere!”. Quello che essi sanno, Io lo so già da molto prima e quello che essi vogliono sapere, Io lo annuncio a loro nel momento del bisogno per mezzo del loro cuore. Ma se le cose stanno in questo modo, chiedi a te stesso quale scopo potrebbe avere, per i Miei discepoli già iniziati, un ulteriore scambio di parole giornaliero! Anche tu però sei ormai un Mio discepolo ed è necessario che ti adatti a simili ordinamenti della Mia scuola.

3. Con altre persone, che non sono Miei più vicini discepoli, Io devo certamente far uso della parola esteriore, perché esse, nel loro cuore mondano, non percepirebbero la Mia Voce né, meno ancora, Mi comprenderebbero. Tuttavia, quando il tempo e le circostanze lo richiedono, Io parlo esteriormente pure con i Miei discepoli, ma questo avviene sempre, non a causa dei discepoli stessi, bensì a motivo di coloro che tali ancora non lo sono! DimMi se hai compreso!»

4. Rispose Filopoldo: «Sì, o Signore, la Tua Grazia mi è tanto chiara come il Sole a mezzogiorno ed io Ti ringrazio per tale Tua amorevole spiegazione! Ma, o Signore, se io considero ora Sara, questo splendore di fanciulla, che certo può gareggiare in bellezza con qualsiasi angelo del Cielo, mi sembra quasi impossibile che sia giaciuta anche un solo secondo in una tomba, perché un simile fervore di vita ed una freschezza tale io non li ho ancora mai visti! Pur è vero che Tu l’hai risuscitata due volte dalla morte! Ed ora urge potente la domanda: In che modo Ti è possibile compiere un tale prodigio?»

5. Io gli dico sottovoce: «Io credo che a Cana tu abbia avuto sufficiente occasione di apprendere chi veramente sono Io! Ma se tu sai questo, sorge altrettanto potente la domanda su come tu possa meravigliarti e chiederMi in quale modo Mi sia stato possibile ridonare la vita ad un corpo morto! Il Sole, la Luna e le stelle non sono procedute da Me e non sono stato Io a popolare questa Terra di innumerevoli esseri viventi? Dunque, se ho potuto originariamente donare loro una consistenza ed una vita indipendente, perché dovrebbe risultarMi impossibile, nei riguardi di una fanciulla, quello che da tutte le eternità mi è stato sempre possibile nei riguardi di innumerevoli altre creature? Ma, poiché tu tali cose devi certamente saperle, poiché te ne ha parlato perfino un angelo, come puoi fare ancora altre domande a tale proposito?

6. Ascolta, perfino ogni pietra in cui tu camminando puoi urtare con il piede, quale piccola cosa, è la Mia Volontà che deve mantenerla. Se Io anche per un solo istante ritirassi la Mia Volontà da essa, nel medesimo istante essa cesserebbe di esistere.

7. Tu puoi, è vero, frantumare la pietra e poi, sottoponendola ad un forte fuoco, scioglierla e convertirla in una specie di fluido simile all’aria, come insegna l’arte occulta dell’alchimia. Ma tutto ciò si può fare della pietra e di qualsiasi altra materia soltanto in quanto Io lo permetto al fine di giovare all’uomo e per la sua esperienza. Se Io non lo permettessi, tu non potresti sollevare da terra neanche la minima pietruccia, così come non puoi sollevare una montagna. Tu puoi anche lanciare una pietra in alto e questa, a seconda della tua forza e della tua abilità nel lancio, potrà anche salire ad un’altezza considerevole, ma appena avrà raggiunto quella certa altezza, corrispondente alla potenza di lancio impiegata, essa ricadrà immediatamente a terra. Ora, vedi, tutto dipende dalla Mia Volontà e della Mia concessione, che arriva fino a quel certo punto, dove sta scritto: “Fino a qui e non più oltre!”

8. Il lancio di una pietra ti dimostra in maniera evidente fino a dove giungono la forza e la volontà dell’uomo. Alcuni istanti di tempo e il debole volere umano viene afferrato dal Mio e costretto entro quei limiti imposti nell’eternità, i quali costituiscono il Mio Ordine, che è esattamente pesato e calcolato fino all’infinitesimale grano di pulviscolo solare, in tutta l’immensità dell’Universo. Ma se tutto ciò dipende unicamente dalla Mia Volontà e dal Mio beneplacito, perché dovrebbe essere per Me impossibile richiamare in vita una fanciulla morta!?

9. Ora però va’ fuori e portaMi un pezzo di legno ed una pietra ed Io ti dimostrerò come a Me siano possibili tutte le cose, per la Potenza del Padre in Me»

10. Filopoldo esegue e ritorna con una pietra ed un pezzo di legno imputridito. Ed Io gli dico, sempre a mezza voce: «Osserva bene: Io alzo la pietra e la scaglio libera nell’aria, ed ecco, essa non cade! Prova ora a smuoverla da questo suo posto!». Filopoldo prova, ma inutilmente, perché questa non si sposta nemmeno di un capello.

11. Ed Io aggiungo poi: «Ora Io concederò che tu possa smuovere la pietra qua e là, a tuo piacere, ma non appena tu l’avrai abbandonata, essa riprenderà subito questo suo posto, dopo qualche oscillazione od anche di colpo vi si manterrà immobile!»

12. Dice Filopoldo: «Signore, tralascia pure questa prova, perché la Tua santa Parola mi è più che sufficiente!»

13. Gli dico Io: «E sia. Ma ora voglio che questa pietra si dissolva e scompaia e che questo legno rinverdisca e produca foglie, fiori e frutta in base alla propria specie!». La pietra subito sparisce, e il pezzo di legno si rinnova, rinverdisce e mette rapidamente foglie e fiori, e da ultimo alcuni frutti già matura e precisamente dei fichi, essendo il legno in questione, appunto, un pezzo di ramo vecchio di fico.

14. A questo punto, però, l’attenzione di tutta la gente radunata si rivolge a Me ed a Filopoldo. La maggior parte dei vecchi discepoli aveva frattanto cominciato a sonnecchiare, mentre Giairo e sua moglie non potevano saziarsi di ammirare ed accarezzare la loro figlia. Gli esperimenti con Filopoldo Io li avevo fatti ad un piccolo tavolo a parte, al lume già alquanto debole di una lampada e non erano stati osservati dall’altra gente, ma quando Filopoldo ebbe cominciato a meravigliarsi in un tono di voce un po’ più alto, allora certamente l’attenzione di molti si destò. Io, per altro, raccomandai a tutti la quiete e così tutto ritornò nel silenzio.

15. Io comandai alla pietra di ricomparire ed all’istante essa fece mostra di sé sul tavolo; il ramo di fico, invece, con la sua frutta, rimase com’era, avendo Io riservato quella frutta per il giorno seguente per la Mia Sara.

16. Poi domandai a Filopoldo se egli avesse completamente capito. Ed egli, inchinandosi profondamente, rispose: «Signore, certo, oramai so cosa pensare!»

17. Ed Io conclusi: «Sta bene! Ed ora dedichiamoci al riposo».

 

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Cap. 15

Filopoldo testimonia della Divinità di Gesù

 

1. Come Io avevo consigliato, anche Filopoldo pensò a riposarsi, ma, com’è naturale, di un vero sonno non si può propriamente parlare, poiché gli avvenimenti della giornata avevano troppo tenuto in agitazione il suo animo; d’altro canto, anche i giacigli non erano troppo comodi, avendo gl’incaricati del sequestro asportato quasi tutto, eccezion fatta per qualche mucchio di paglia, cosicché al nostro arrivo noi avevamo trovato la casa letteralmente vuota. È vero che Boro, i Miei fratelli e molti altri fra i Miei discepoli, durante il tempo occorso per la risurrezione di Sara, si erano dati da fare per rifornire la casa di un adeguato numero di giacigli, tavoli, panche ed arnesi da cucina e da tavola, ma da questo al provvedere in poco tempo e con mezzi naturali soltanto allo stretto necessario per circa un centinaio di persone ce ne correva molto, nonostante molti avessero ottenuto ricovero in altre case ed altri fossero rimasti all’aperto.

2. E così avvenne che Io stesso passai quella notte su una panca con un po’ di paglia sotto il capo e Filopoldo addirittura sul nudo terreno, senza un filo di paglia. Anche per questa ragione fu uno dei primi a trovarsi in piedi all’alba. Giairo, al quale insieme alla moglie ed a Sara era toccato un giaciglio discretamente soffice, gli chiese come avesse passato la notte sul suolo duro.

3. Filopoldo rispose: «Come può concederlo la qualità del suolo. Del resto, tutto sta ad abituarsi, solo che ci vorrebbe per lo meno un anno e non una sola notte!»

4. Disse allora Giairo: «Se tu mi avessi almeno detto qualcosa, dato che noi avevamo della paglia in abbondanza!»

5. Disse Filopoldo: «Guarda qui il Signore! Tutti i Cieli e tutti i mondi gli obbediscono e tutti gli angeli sono in attesa dei Suoi ordini! Eppure il Suo giaciglio non è affatto migliore di quanto lo sia stato il mio!»

6. Osserva Giairo, nel quale le massime farisaiche hanno lasciato ancora considerevoli tracce: «Amico, non ti sembra forse di esagerare un pochino? Va bene che non si può negare che questo Gesù sia pieno del divino Spirito in misura molto maggiore di quanto lo sia stato qualunque altro profeta, poiché le Sue opere sorpassano senza alcun paragone tutto quanto si legge su Mosè, su Elia e su tutti gli altri maggiori e minori profeti, ma che in Lui debba albergare senz’altro la Divinità in tutta la pienezza mi sembra tuttavia una supposizione un po’ troppo azzardata! Anche i profeti hanno richiamato in vita i morti, per la forza dello Spirito di Dio che era in loro, però essi non hanno mai osato attribuire a se stessi il miracolo, ma lo hanno sempre attribuito soltanto a Dio. Se lo avessero attribuito a se stessi, si sarebbero macchiati di grave peccato contro Dio e Questi avrebbe tolto loro il Suo Spirito! Gesù, invece, fa tutto da Sé, come se Egli fosse un Signore. Questa circostanza milita veramente a favore della tua azzardata ipotesi ed anch’io sono in certo modo quasi perfettamente della tua opinione, però, come detto, con la debita precauzione! Infatti potrebbe, fra l’altro, trattarsi di una prova nella quale il Cielo concede che noi ci troviamo implicati, affinché risulti se noi crediamo veramente in un solo Dio! Se poi in Gesù dovesse davvero albergare la Divinità in tutta la Sua pienezza, allora certo noi dovremmo accogliere a qualsiasi condizione la Sua testimonianza come eternamente vera! Cosa ne pensi tu?»

7. Dice Filopoldo: «Io sono completamente d’accordo con questa tua ultima opinione e credo che la Sua testimonianza della pienezza della Divinità in Lui sia assolutamente vera! Essa è in Lui e, all’infuori di Lui, in nessun altro! 

8. Particolarmente in questo nostro tempo ricco di avvenimenti meravigliosi la cosa non si può facilmente spiegare, perché qualcuno può sempre dire: “Io ho visto qua o là dei maghi che facevano cose veramente straordinarie e gli antichi profeti hanno pure essi risuscitato dei morti, anzi, uno ha perfino ottenuto che un mucchio d’ossa si ricoprissero di carne e il nuovo corpo riacquistasse vita. Miracoli di questa specie non possono considerarsi ancora una prova sufficiente per attribuire un rango divino a chi li compie!”

9. Ma qui, nel caso di Gesù, il Signore, si tratta di ben altro! Tutti i profeti, prima che Dio li avesse ritenuti degni di compiere un’azione miracolosa tramite il Suo Potere, dovettero prepararsi con lunghe preghiere e con digiuni! I maghi devono fare ricorso alla loro bacchetta ed ad una quantità d’altre formule, segni e scongiuri ed inoltre si servono di svariatissimi balsami, oli, acque, metalli, pietre, erbe e radici di cui conoscono bene le misteriose proprietà e che impiegano nelle loro esibizioni. Ma, dico io, chi ha mai visto Gesù, il Signore, ricorrere a mezzi e ad artifici di questo genere? Di preghiere e di digiuni nessuna traccia, almeno nel breve tempo in cui ebbi la somma Grazia di conoscerLo; meno che meno poi si può parlare di bacchette magiche o di altri magici artifici!

10. Oltre a ciò, tutti i profeti hanno sempre avuto lo stesso misterioso linguaggio simbolico, sia parlato che scritto e chi non fosse stato della loro scuola nulla avrebbe potuto comprendere. Io sono bensì greco, ma tuttavia non ignoro le vostre scritture, conosco Mosè e tutti i profeti! Chi li comprende a fondo, deve discendere, in verità, da genitori speciali!

11. Gesù invece parla anche delle cose più misteriose con una chiarezza tale che non di rado perfino un fanciullo deve poterle afferrare! Egli ha spiegato, per esempio, la Creazione, ed io credo quasi quasi di poter io stesso creare un mondo! Dov’è il profeta e il principe di tutti i maghi che possa avere il linguaggio che ha Gesù?

12. Chi ha mai compreso una sola sillaba di quello che va blaterando il mago durante le sue esibizioni? Nei discorsi di questi tali regnano le tenebre più fitte, in quelli dei profeti brilla sì qualche pallido raggio di luce, ma questo è troppo debole e nessuno riesce a distinguere quello che sta lontano trenta passi, mentre qui, invece, tutto è piena luce meridiana! Quanto Egli dice, ha sempre in sé l’impronta della più profonda divina Sapienza e le Sue parole sono limpide e chiarissime quasi per ogni mente umana e ciò che Egli vuole avviene all’istante!

13. Ora, se le cose con Gesù stanno esattamente come ho detto e così è anche in realtà, io vorrei sapere davvero per quale ragione dovrei avere ancora qualche scrupolo, per riconoscere in Lui innegabilmente il Signore del Cielo e della Terra e per rendere solo a Lui ogni onore!

14. Guarda qui su questo tavolo: questo freschissimo ramo di fico con una quantità di frutta ben matura è la spiegazione più vera e viva che Egli mi diede, ieri, mentre voi dormivate, in seguito alla richiesta fattaGli di come Gli fosse possibile risuscitare completamente un morto.  Allora mi disse di portarGli un pezzo di legno già fradicio, dunque completamente morto. Io feci così e nell’oscurità presi il primo pezzo di legno che mi capitò sotto mano. Egli non toccò affatto il ramo già morto, ma comandò soltanto e il legno fradicio cominciò subito a gettare foglie e fiori e qui tu vedi la frutta già matura! Prendila e dalla alla tua diletta Sara; essa ne avrà un’eccellente ristoro!».

 

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Cap. 16

Il Signore va alla sinagoga

(Matt.13,54)

 

1. Allora Giairo sveglia Sara, che, del resto, aveva già cominciato a riaprire gli occhi e le porge il ramo già ben fornito, che essa accetta con grande gioia e mangia subito tutti i frutti maturi e dolcissimi, fino all’ultimo. E quando ha terminato di mangiare, Io Mi desto sulla Mia panca.

2. Sara è la prima a farMi un cordiale saluto mattutino ed Io le domando se le sono piaciuti i fichi. Ed essa rispose allegramente: «Signore, erano di sapore celestiale e dolci come il miele! Il Tuo amico Filopoldo me li ha dati in Tuo Nome ed io li ho mangiati tutti, perché erano davvero squisiti! Tu li hai fatti portare certo per me!»

3. Le dico Io: «Sì, certamente per te, Mia carissima Sara, poiché tu fosti la causa per la quale Io questa notte, per dimostrare all’amico Filopoldo come risuscito i morti, reinfusi la vita in un ramo di fico già marcio, perché ancora una volta producesse dolcissimi frutti per te, Mia Sara diletta, e tu, avendoli mangiati, hai fatto molto bene; essi contribuiranno a rafforzare la tua salute fisica! Ed ora andiamocene tutti all’aria aperta, fino a quando le stanze saranno sgomberate e pulite e poi faremo colazione ed in seguito vedremo che faccende ci porterà la giornata di oggi!»

4. A queste Mie parole tutti escono e si ricreano e gioiscono allo spettacolo della serenità e della purezza cristallina di quel mattino!

5. E poi Giairo si avvicinò a Me e disse: «Signore, la mia gratitudine non potrà mai avere fine! Piuttosto di rischiare di essere indotto ad intraprendere qualcosa contro di Te, io voglio deporre la mia carica e poi sarò, con ogni zelo possibile, un seguace della Tua santa dottrina e, fino a quando avrò vita, Filopoldo resterà il mio caro amico, al quale io debbo il fatto che in me si è fatta veramente luce a Tuo riguardo. Egli è bensì un greco di nascita, ma conosce le nostre Scritture meglio di me e di tutti i dottori della Legge messi insieme. In poche parole io so oramai cosa pensare sul Tuo conto, ciò che, del resto, corrisponde del tutto alle idee che già spesso erano sorte in segreto nel mio cuore. Ma ora devo recarmi a Cafarnao, dove ho delle questioni da risolvere. A Te io raccomando, per il tempo che a Te piacerà, mia moglie e Sara, mia figlia! Meglio che da Te non potrebbero certo essere guardate neppure in Cielo! Se mi sarà possibile ripartire già stasera, io farò ritorno probabilmente con Fausto e Cornelio e forse anche con il vecchio Cirenio, che dovrebbe arrivare, si crede, oggi ancora a Cafarnao! E così siano con me il Tuo amore, la Tua pazienza e la Tua grazia». Dopo egli prende congedo da sua moglie e da Sara, si fa condurre i suoi muli che erano buoni trottatori, monta sul più robusto e parte subito di buon passo.

6. Io, però, faccio radunare tutti per il pasto mattutino e la compagnia prende posto nelle stanze ormai sgomberate e pulite, dove, a cura di Boro, ci attendeva una buona colazione.

7. Terminata la colazione, Boro mi chiama da parte e Mi dice: «Mio carissimo amico, Io so bene che a Te è possibile sapere già prima quello che vorrei dirTi in segreto, ma fra i Tuoi discepoli ce ne sono alcuni che, secondo me, non hanno bisogno di sapere quello che abbiamo ora da discutere fra noi ed è soltanto perciò che Ti ho pregato di venire qui da parte!»

8. Ed Io gli dico: «La cosa non è veramente affatto necessaria, perché tutto quello che tu vuoi esporMi adesso, Io l’ho già raccontato dettagliatamente ai discepoli quando eravamo a Chis. In quella occasione ho anche espresso apertamente la Mia lode a tale proposito. Essi sono a conoscenza di tutto e perciò non c’è bisogno di farne mistero dinanzi a loro!»

9. Dice Boro: «Ebbene se è così, posso parlare apertamente»

10. Noi allora ci riavviciniamo alla compagnia ed Io dico a Boro: «Mio carissimo amico, quello che tu vuoi dirMi, Io lo so già, come pure tutti i Miei discepoli, e noi consideriamo perciò la cosa come definita. A te però, che sei un greco che professa liberamente il giudaismo, ma che non sei sottoposto alla legge degli ebrei, riesce facile disputare con qualsiasi fariseo, ma se tu fossi veramente un ebreo circonciso e secondo la legge, avresti avuto un bel da fare a tenere a freno la tua lingua. Però è stato bene così come hai parlato; consideriamo perciò la questione come scritta sulla sabbia. Ed ora conduciMi alla scuola di Nazaret! Io intendo insegnare al popolo, affinché riconosca il tempo attuale!» (Matt.13, 54).

11. A questo punto Mia madre chiede se Io farò ritorno a casa per il mezzogiorno.

12. Ed Io le rispondo: «Non darti pensiero se verrò o meno, è sufficiente che Io prenda ogni cura su di Me. Ad ogni modo per questa sera sarò certo di ritorno»

13. E Sara intervenne e domandò se avesse potuto anch’essa venire con Me alla scuola.

14. Le risposi Io: «Certamente, vieni pure, quantunque la legge prescriva che la donna non debba visitare alcuna sinagoga in compagnia di uomini. Ma, d’ora in avanti, ciò dovrà mutare, poiché la donna ugualmente come l’uomo, ha pieno diritto al Mio Amore ed alla Mia Grazia, che provengono dal Padre per mezzo Mio. Vieni dunque, con animo lieto, sereno e pieno di assoluta fiducia; là potrai pure apprendere quale sia il tempo in cui ora si vive. Ed ora andiamo! Ma tu, Sara, resta al Mio fianco, poiché dovrai rendere buona testimonianza di Me. Perciò conserva anche questa veste funeraria, destinata pure ad aver forza di prova in Mio favore! Ora però andiamocene».

15. A queste Mie parole tutti sono pronti e c’incamminiamo verso la sinagoga. 

 

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Cap. 17

Il Signore spiega un testo di Isaia.

 

1. Quando entrammo nella scuola, una decina di anziani di Nazaret, con parecchi farisei e scribi radunati intorno ad un gran tavolo, stavano consultando i versi di Isaia e precisamente in quel punto dove è detto: «Lavatevi, pulitevi, rimuovete la malvagità delle vostre opere dinanzi ai miei occhi; evitate di far male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, aiutate l’oppresso, fate valere i diritti degli orfani, mantenete il diritto delle vedove! Venite pure ora, dice il Signore, e discutiamo insieme. Se i vostri peccati fossero rosso sangue, saranno imbiancati come la neve, se fossero rossi come il colore dell’uva passa, diventeranno come la lana bianca. Se voi volete ubbidire, mangerete i beni della Terra, ma se ricusate e siete ribelli, sarete consumati dalla spada, perché la bocca del Signore ha parlato. Come la città fedele è divenuta meretrice! Ella era piena di rettitudine, la giustizia dimorava in essa, ma ora vi abitano assassini. Il tuo argento è divenuto schiuma, la tua bevanda è mescolata con acqua. I tuoi prìncipi sono ribelli e compagni di ladri; si prendono volentieri i regali e procacciano le ricompense. Non fanno valere il diritto degli orfani e la causa delle vedove non viene davanti a loro. Perciò il Signore degli eserciti, il Possente d’Israele dice: “Oh, Io Mi consolerò attraverso i Miei nemici e Mi vendicherò attraverso i Miei avversari!” (Isaia 1,16-24)». Di questi versetti essi tentavano di penetrare il senso, ma non poterono venirne in chiaro.

2. Allora Mi feci avanti Io e dissi loro: «Com’è che vi rompete tanto il capo per interpretare quello che, come la luce meridiana, sta già svelato e compiuto dinanzi ai vostri occhi? Guardate un po’ le vostre vedove ed i vostri orfani, come sono trattati essi? Invece di aver cura delle vedove, voi portate via a loro ancora quel poco che hanno, ed i poveri orfani li vendete, quali schiavi, ai pagani, come intendevate fare non molti giorni fa per vie nascoste e come anche avreste fatto, se il pubblicano Kisjonah non ve lo avesse energicamente impedito!

3. Certo, così dice il Signore: “Venite e discutiamo insieme! Se i vostri peccati fossero come lo scarlatto, saranno imbiancati come la neve e se fossero come l’uva passa, diventeranno come la lana!”. Ma Io domando, quando e a che condizione? Come stanno le cose riguardo a voi e alla città fedele, che voi chiamate la “città di Dio”? Quanti peccati della peggiore specie e che gridano vendetta al Cielo sono già stati commessi e tuttora vi si commettono!

4. “Lavatevi, pulitevi e rimuovete la malvagità delle vostre opere dinanzi ai Miei occhi!”, così parlò Jehova per bocca del profeta. Ed ecco che voi lavate sì il vostro corpo sette volte al giorno, voi pulite certo le vostre vesti e fate imbiancare le tombe dei vostri morti due o tre volte all’anno, ma i vostri cuori sono induriti e ricolmi di immondizia ed è perciò che voi siete simili ai vostri sepolcri imbiancati, che sono ornati e puliti di fuori, mentre nell’interno sono pieni di ossame fradicio e puzzolente. 

5. Il profeta parlò della purificazione dei vostri cuori e vi ammonì a rimuovere i vostri peccati innanzi agli occhi onniveggenti di Dio. Ma voi questo senso non l’avete ancora mai accolto nel vostro cuore e perciò avete sempre lavato e continuate ancora a lavare la vostra pelle, mentre lasciate il vostro cuore immerso nella più infernale immondizia! O immondizia dell’inferno, chi ti ha mai insegnato una tale cosa?”

6. Voi certamente dite: “Come Mosè ed Aronne hanno ordinato, oggi ancora, anno per anno, il caprone viene caricato dei peccati di tutta Israele e poi ucciso e gettato nel Giordano!”. O ciechi che siete! Che colpa ha il caprone se voi continuate a peccare e non volete rendere migliori i vostri cuori?

7. Questo fatto del caprone non era che un’immagine, dalla quale voi già da molto tempo avreste dovuto apprendere come il caprone non rappresenti altro che le vostre perfide voglie mondane, come il vostro orgoglio, che dà cornate ed è puzzolente oltre misura proprio come il caprone, e la vostra immondizia in tutte le cose, la vostra ambizione ed invidia! Per uccidere veramente il caprone del peccato, voi avreste dovuto annientare il caprone delle vostre male passioni dentro il vostro cuore, così avreste dato adempimento vivente al comandamento di Mosè e di Aronne e ne avreste ottenuto immancabilmente la benedizione! Voi avete ucciso bensì i caproni, ciò che non poteva assolutamente giovarvi, ma i vostri cuori saturi di peccati vi sono rimasti, ed è perciò che Jehova ha realizzato la Sua minaccia e ancor più la realizzerà d’ora innanzi, quando la vostra perfidia sarà giunta al colmo.

8. Bella cosa davvero è che i pagani debbano ormai tutelare i diritti del popolo ed aver cura delle vedove e degli orfani! Ma appunto perciò è anche vero quello che dice il profeta: “Io Mi consolerò con i nemici, che sono pagani, ed Io Mi vendicherò per mezzo loro!”. Dove se n’è andata la vostra potenza e dove si è persa la vostra forza? Un piccolo gruppo di pagani signoreggia sul popolo di Dio, una volta tanto potente! Vergogna, vergogna ed obbrobrio eterni! I figli del serpente sono più saggi e più onesti di voi, figli della luce.

9. E per queste ragioni anche avverrà tra breve che questo sacro suolo sarà dato ai gentili e d’ora innanzi voi non avrete più patria e non avrete più re. Come schiavi dovrete servire tiranni stranieri, le vostre belle figlie dovranno essere di sollazzo ai pagani ed ai loro servitori e la loro progenie sarà odiata come quella dei serpenti e delle vipere!

10. Voi vi consultate continuamente sulla scorta dei libri del profeta, il quale ha scritto per il vostro cuore, su come invece potreste rendere ancora più solenne la cerimonia durante l’azione, che nulla significa, del lavare e del mondare i vostri corpi e le vesti e le sepolture, affinché la cerimonia stessa debba essere incentivo a tanto più ricche offerte; ma quello che soltanto sarebbe gradito a Dio, voi non lo volete comprendere! O perversi servitori del demonio! Questo è colui che servite con le vostre cerimonie ed è da lui che un giorno riceverete la ricompensa nel pantano dove l’avete sempre meritata. 

11. Il corpo lo si monda, a seconda del bisogno, una o due volte al giorno, e le vesti si puliscono quando sono sudice: queste cose le ha ordinate Mosè per la salute del corpo. E così pure i sepolcri si ricoprono di uno strato di argilla spessa una spanna e quando l’argilla è secca vi si applicano alcuni strati lievi di buona calce sciolta, allo scopo di otturare le crepe che si possono formare ed evitare così che attraverso queste si propaghino con facilità, specialmente nei primi anni della decomposizione, le esalazioni malefiche che sono causa di svariatissime malattie tra gli uomini, gli animali e le piante.

12. Ecco qual è il vero motivo per l’imbiancatura dei sepolcri, ciò che del resto è più che evidente! Ora, come mai volete farne un servizio divino? Oh, insensati e pazzi che non siete altro! Che vantaggio può mai derivarne all’anima del defunto?».

 

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Cap. 18

Dell’Essenza di Dio e della Sua vera adorazione.

 

1. Prosegue il Signore: «Quando l’uomo muore, l’anima, che è uscita dal corpo e che costituisce un uomo spirituale a sé ed indipendente, perviene in un luogo che corrisponde perfettamente alle sue condizioni di vita ed allora non può giovarle nulla all’infuori del proprio libero volere e del proprio amore. Se la volontà e l’amore sono buoni, sarà buono anche il luogo o l’ambiente che l’anima stessa si foggerà secondo le proprie tendenze e tramite la forza e la potenza concessale da Dio; se, invece, volontà ed amore sono perversi, perversa sarà pure l’opera od il loro prodotto, ugualmente come avviene sulla Terra, dove un albero cattivo non può dare frutta buona, né un albero buono può darne di cattiva. Andate e provate ad ornare d’oro e di pietre preziose un arbusto di spine e vedrete poi se questo vi frutterà dei grappoli gustosi. Una vite, che la orniate o no di oro, vi darà quello che per sua natura è destinata a darvi, cioè dei dolci grappoli gustosissimi.

2. Se la cosa sta così, come altrimenti non può stare, domandate a voi stessi come dovrebbe o potrebbe giovare alle anime dei defunti un’imbiancatura dei sepolcri, nei quali non albergano altro che resti putrefatti e nauseanti.

3. Credete proprio sul serio che Dio sia così debole di intelletto, sciocco e vano da ritenersi ben servito ed onorato da una quanto mai vana, assurda e insignificante esaltazione della materia, per mezzo di altra materia?

4. Io ve lo dico: “Dio è uno Spirito e chi vuole servirLo ed onorarLo deve fare ciò in spirito e nella piena e vivente verità del suo cuore e non già nella materia e per mezzo di questa, la quale altro non è che l’espressione materialmente tangibile, per un tempo determinato, della Volontà del Padre onnipotente!”

5. Cosa direste ad un tale che venisse da voi, chiedendo una ricompensa per aver semplicemente devastato le vostre seminagioni e che sostenesse per di più di avervi reso con ciò un eccellente servizio?  Ecco quello che voi rispondereste ad un simile pazzo e sfacciato, quello che ugualmente vi risponderà un giorno il Padre nell’aldilà e voi dovrete allontanarvi dal Suo cospetto e sarete cacciati nelle tenebre più profonde, dove pianto e stridor di denti saranno la vostra ricompensa!

6. Ed in che modo voi vi occupiate del diritto delle vedove può darne prova in primo luogo Mia madre Maria, alla quale avete tolto ogni cosa e dopo di lei a mille altre, con le quali non vi siete comportati meglio né vi state comportando meglio nemmeno ora!

7. Non grida forse vendetta al Cielo il fatto che delle figlie d’Israele debbano cercare giustizia presso i pagani e anche la ottengono? Veramente non deve essere assai lusinghiero per Satana che i suoi figli si dimostrino di gran lunga superiori in rettitudine e giustizia rispetto ai figli di Dio! Sì, Io ve lo dico: “D’ora innanzi i figli del mondo diverranno figli di Dio!”. Ma voi, per la stessa ragione, diverrete figli di colui che avete sempre servito con tutta fedeltà!

8. Come mai voi che leggete Isaia non avete trovato il punto dove è detto:

9. “Io provo compiacimento nella misericordia e non nel sacrificio!”. Ed ancora: “Questo popolo Mi onora con le labbra, mentre il cuor suo è ben lontano da Me!”

10. Se voi dite: “Così ha parlato Dio per bocca dei profeti”, che specie di stima e rispetto dovete avere di Lui, voi che preferite sempre le vostre massime miserabili al posto dei Suoi santi Comandamenti, per il fatto che i vostri precetti vi danno un vantaggio mondano e perciò preferite calpestare quelli di Dio? O malvagi e perfidi servitori del demonio! Come vorreste reggere un giorno dinanzi al Giudizio di Dio? Io vi dico, in verità, che i sodomiti saranno trattati meglio di voi! Infatti se a Sodoma all’epoca fossero avvenuti tali segni, com’è già accaduto presso di voi, essi avrebbero fatto penitenza con sacco e cenere e Dio non li avrebbe giudicati mandando fuoco e zolfo dal cielo! Guai a voi, il tempo si avvicina e di voi accadrà come Io vi ho predetto!»

 

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Cap. 19

L’arroganza e la confusione dei farisei spiritualmente ciechi.

 

1. A questo punto gli anziani, i farisei e gli scribi si alzano infuriati ed esclamano: «Come ti permetti Tu, sbarbatello, di discutere con noi? Che segni sono avvenuti qui?»

2. Rispondo Io, presentando Sara, che tutti quegli eroi della sinagoga e della Scrittura conoscevano molto bene: «Conoscete questa fanciulla e sapete quello che è accaduto a lei, per la seconda volta?».

3. A quella vista tutti restano sbalorditi e smarriti e borbottano fra di loro: «Per il Cielo, questa è in persona la figlia del nostro preside, tale e quale noi l’abbiamo conosciuta! Che l’abbia risuscitata di nuovo? Com’è accaduto? Ma se Egli l’ha richiamata in vita questa seconda volta essa era veramente morta! Cosa dobbiamo fare adesso? Giairo sembra essere dalla sua parte, altrimenti non gli avrebbe certo affidato la figlia che egli ama sopra ogni altra cosa. Oppure egli è ancora all’oscuro di tutto? Che il figlio di Giuseppe l’abbia risuscitata in segreto, e che voglia ricondurla a Giairo in qualche prossima occasione? Dobbiamo noi darne notizia a Giairo? Questo fatto è troppo evidente! È proprio così, si tratta, senza alcun dubbio, veramente di lei! Eppure noi tutti siamo stati presenti alla sua sepoltura, come pure la prima volta a Cafarnao, quando morì! Che cosa si deve fare? Cosa succederà se questo uomo-Dio continuerà a manifestarsi con queste incredibili manifestazioni, sia pure valendosi di artifizi o poteri di qualsiasi genere?». E qui ammutolirono.

4. Io però, fissandoli severamente, dico loro: «Ebbene, cosa vi suggerisce il vostro malvagio cuore? È sufficiente questo segno per fornirvi la prova che tutto quello che avete udito ora da Me non è che la pura verità?»

5. Rispondono gli anziani: «Noi non siamo né medici né speziali che scrutano le forze naturali a profitto delle loro professioni e così pure non abbiamo nessuna confidenza con le arti magiche che si possono imparare a scuola del demonio, perché questo sarebbe un gravissimo peccato agli occhi di Dio e perciò non possiamo sapere quali arti Tu abbia usato per ridestarla. Resta quindi bene inteso che questa specie di segni non sono tali da poterci assolutamente far deviare di una linea dalla nostra fede in Mosè ed in tutti i profeti, come pure dall’interpretazione delle Scritture autorizzata dal Tempio, secondo il solenne e sacro giuramento prestato. Di segni, in questi tempi, ne fanno diversi maghi che capitano qui, parte dall’Oriente e molti dall’Egitto. Tutti operano cose meravigliose che nessun giudeo comprende e che non vuole e non deve comprendere, perché tutte le produzioni magiche di questo tipo provengono dal demonio. E con ciò noi intendiamo contemporaneamente dichiarare che i tuoi segni, siccome possono appartenere pure essi all’ambito della magia, non hanno per noi alcun valore e possono al massimo dimostrarci che Tu sei bravo a compierli con successo e che sei, in questa Tua specialità, un perfetto maestro, ma che noi, a causa dei Tuoi segni, dobbiamo accettare anche la Tua dottrina che ci ispira orrore, una tale cosa sia lontano da noi! Perché tra un medico ed un sacerdote c’è molta distanza e molta di più da un profeta; rispetto a Te poi, che conosciamo già da trenta anni, come abbiamo conosciuto Tuo padre, il divario è ancora maggiore. Bada dunque di sgomberare senza indugio la scuola, assieme alla Tua comitiva di vagabondi, altrimenti dovremo impiegare la forza!»

6. Esclama allora Sara: «Te ne prego, o Signore, lascia questi miserabili al loro destino, perché sono più induriti delle pietre, più tenebrosi della notte più profonda e senza una briciola d’amore nel loro petto! Due volte Tu mi hai ridonato la vita e ciò non è nulla per questi sciagurati! Anzi, essi ritengono il prodigio una magia e una bestemmia e nella loro grossolana cecità non esitano a cacciarti dalla scuola! Signore, questo è troppo! Oh, andiamo via di qui, perché vicino a questi miserabili figuri mi sembra di vedere Satana dinanzi a noi!»

7. Dico Io: «Mia diletta Sara! Stai pure tranquilla, perché fino a tanto che Io lo voglio noi rimarremo qui, perché Io sono il Signore! Si dicono pure signori i potenti della Terra, che ben spesso dispongono di scarsissima forza; a Me però sono dati tutti i poteri nel Cielo, sull’inferno e su tutta la Terra! Allora, essendo Io un perfetto Signore, mai dall’eternità nessuno Mi ha comandato! E quello che Io faccio, lo faccio di Mia spontanea Volontà, ora e sempre!»

8. Dopo che gli anziani odono queste parole, si stracciano le vesti ed urlano: «Fuori di qui! Ormai abbiamo inteso bene che sei un bestemmiatore! Quello che tu fai, avviene con l’aiuto di Belzebù e vorresti con questi mezzi fare allontanare i popoli da Mosè e da Dio, per dare loro in cambio la tua nuova dottrina! Altro non ci resta che finirla con te una buona volta e toglierti dal mondo lapidandoti con le pietre!

 

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Cap. 20

La paura dei templari del tribunale romano.

 

1. Ora, in tutte le scuole, come pure anche nel Tempio, c’era sempre una provvista di pietre per la lapidazione e non altrimenti andavano le cose in questa scuola di Nazaret, e così avvenne che gli anziani, i farisei e gli scribi, nel loro cieco furore, si diedero a raccogliere pietre per lanciarMele addosso. Ma allora tutti i discepoli si alzarono e ammonendoli invitarono quei furibondi alla quiete, i quali però ripresero a gridare ed assunsero un atteggiamento ancor più minaccioso, pronti a scagliare le pietre che ancora tenevano in mano. Quand’ecco che improvvisamente apparvero nella grande sala della scuola Fausto, Cornelio, Giairo, nonché il vecchio Cirenio.

2. Come quei furenti si accorsero della presenza di questi personaggi, per loro terribilmente eccelsi, che essi conoscevano molto bene, deposero all’istante i loro micidiali strumenti e cominciarono a fare profondissimi inchini.

3. Giairo si avvicina a Me ed a Sara, ci abbraccia e dice ad alta voce, rivolto a Cirenio: «Eccolo qui il grande Uomo fra tutti gli uomini e qui c’è pure Sara, la mia amata figlia che Egli per due volte ha risuscitato dalla morte più completa!».

4. Allora il vecchio Cirenio si avvicina pure egli a Me, con le lacrime agli occhi e dice: «O mio Signore e mio Dio, con quali parole posso io, povero e debole uomo, esprimerTi la mia gratitudine per tutte le immense grazie di cui mi hai colmato? Oh, come sono felice che i miei occhi possano ancora una volta godere dell’inesprimibile gioia di contemplare la Tua faccia, o mio santo Amico. Da più di venti anni non mi fu possibile apprendere niente di Te, quantunque il mio pensiero ricorresse ogni giorno alla Tua persona ed avessi tentato molto spesso di ottenere informazioni sul Tuo conto!

5. Fino a pochi giorni fa, quale non era il mio turbamento, poiché l’imperatore aveva cominciato sul serio a chiedermi ragione del mancato invio dei denari delle imposte dal Ponto e dall’Asia Minore ed io non potevo comprendere affatto dove fossero finiti! Ma quale fu poi la mia gioia immensa, quando, circa tre giorni fa, ricevetti non solo l’ammontare delle imposte andate smarrite, ma anche un ulteriore tesoro inestimabile in oro, argento, perle e pietre preziose, che i miei fidi e buoni amici Fausto e Cornelio avevano recuperato; e tutto ciò per il Tuo santo intervento!

6. O Signore, massimo e santo amico mio Gesù! DimMi, dimMi Tu cosa posso fare per compensare almeno in piccola parte l’immenso debito che ho verso di Te? Se Tu volessi accettare di porre sul Tuo capo la mia corona di governatore – oh con che gioia indicibile la deporrei ai Tuoi santi piedi!

7. In verità, o mio Signore e Vita mia, come Tu certamente saprai, tengo assai poco ai vari tesori di questa Terra; se fosse tutto mio quello che ho fatto già inviare a Roma, molte migliaia di poveri avrebbero già da lungo tempo potuto averne soccorso, ma quelle somme appartenevano all’imperatore ed era mio dovere curare in ogni senso che si potesse mettere assieme quanto da lui richiesto! Ora, come sarebbe mai stato possibile ciò senza di Te ed in secondo luogo senza il mio caro Fausto e mio fratello Cornelio? Ora voi avete liberato il mio petto da un peso immenso! Però, ora si tratta di premiare e ricompensare come e quanto è in mio potere! Oh, parla Tu, o grande e santo amico degli uomini e dimmi cosa debbo fare ora?

8. A questa splendida allocuzione rivolta a Me da Cirenio, coloro che prima si erano disposti a lapidarMi, diventarono di un pallore cadaverico e cominciarono a tremare, come se fossero stati colpiti da una forte febbre, perché essi pensavano che Io avrei voluto trarre piena vendetta su di loro, accusandoli presso Cirenio, che essi temevano più della morte, ben sapendo che con lui c’era poco da scherzare! Notoriamente i giudici romani erano oltre ogni dire severi nell’esecuzione dei loro verdetti giudiziari e delle loro sentenze, perciò incutevano anche agli ebrei un indicibile terrore, particolarmente poi a questi anziani farisei e scribi di Nazaret, alcuni dei quali erano consapevoli della rapina delle imposte perpetrata a danno dei romani.

9. Però Io risposi in tono amichevolissimo a Cirenio: «Credi che l’Uomo possa aver dimenticato quello che hai fatto al Bambino, quando, perseguitato da Erode, dovette da Betlemme fuggirsene in Egitto? Vedi, l’Uomo si ricorda di tutto ciò molto bene! Ma quello che tu hai fatto per Me l’hai fatto del tutto disinteressatamente, perché Mi amavi; ma allora come potrei Io ora chiederti un compenso? No, tale cosa sia ben lontano da Me per tutte le eternità! Però vorrei chiedere una cosa a te che, nella tua qualità di luogotenente dell’imperatore, detieni il comando sull’Asia: “Ordina a questi ribelli servitori non di Dio, ma di Satana, che mantengano il più assoluto silenzio su tutto quello che Io ho operato; nel caso contrario verranno puniti con la pena più severa! Infatti chiunque levi una pietra contro il suo prossimo, deve venire punito con estrema severità!»

10. Chiede Cirenio: «Hanno forse questi miserabili osato levare pietre contro di Te?» 

11. Esclama Sara: «Sì, sì, nobile Cirenio! Questi sciagurati volevano lapidare il Signore, perché Egli ha detto loro la verità in faccia! Essi si fanno chiamare servitori di Dio, mentre sono l’assoluta negazione di Dio, perché osservano soltanto le massime che il proprio egoismo e la superbia suggeriscono loro e usando la violenza si sforzano di dare ad esse un’apparenza divina!

12. Chi non è disposto a prendere per buone queste apparenze ingannatrici, è condannato in modo abominevole alla cecità e non ha più alcuna libertà su questa Terra di Dio! Se si leggono un po’ Mosè ed i profeti e poi si considerano le loro massime, si troverà con non molta fatica quello che già da tempo ho trovato io, che sono una ragazza non ancora sedicenne! In verità, chi osserva Mosè ed i profeti è il loro più grande nemico! Accade a questi come ai samaritani che sono tuttora mosaisti puri e seguaci dei profeti, e questi vengono giornalmente considerati maledetti, e i templari hanno un tale odio per loro che il loro nome, e quello di chi gli somiglia, debba suonare come una maledizione atroce in bocca ad un giudeo!

13. Ma io domando ancora, per quanto sia una bambina: “È questa la parola di Dio; è questo un servizio divino?”. Gesù ha dimostrato loro chiaramente che qui si tratta solo di parole dell’inferno e di un servizio tale per cui Satana non può desiderarne uno di migliore, ed è perciò che essi volevano lapidarLo, perché Egli ha detto loro troppe verità in presenza del popolo e questo poteva aver l’effetto di pregiudicare le loro ricche entrate!

14. O nobile e rispettabilissimo signore! Già due volte mi sono trovata completamente nell’aldilà ed io so quello che la mia anima ha visto. Io vidi Mosè e tutti i buoni profeti; la pace era con loro e la loro gioia è il tempo attuale che essi chiamano “il grande Giorno del Signore”. Ma fra i santi d’Israele non ho scorto neppure un fariseo o un dottore della Legge, perciò io domandai dove questi si trovassero.

15. Allora comparve un angelo splendente e mi disse di seguirlo. Ed io andai con lui! Dopo poco noi ci trovammo in un luogo quanto mai deserto e fosco. C’era appena un lieve barlume, come in una notte nuvolosa. In grande lontananza appariva una luce rossastra, come di fuoco e l’angelo mi disse: “Guarda lì in fondo; quello è il baratro dove dimorano coloro di cui hai domandato!”. Ed io guardai, ma non mi fu dato di vedere altro che demoni. Allora io chiesi all’angelo: “Come mai, non vedo che diavoli e nient’altro! Dunque, dove sono coloro dei quali io ho chiesto notizie?”. Allora l’angelo rispose: “Ebbene, quelli che tu vedi sono appunto essi!”

16. Ed io fui presa da grande spavento al pensiero che mio padre è addirittura un capo dei farisei, ma l’angelo, avendo osservato ciò che mi faceva tremare, mi consolò e mi disse: “Non aver timore, tuo padre è sulla buona via e tu stessa gli sarai ancora da guida sulla Terra”.

17. Queste cose io le ho viste e udite e questa è una mia esperienza! Io dunque non ho affatto bisogno di imparare niente da questi stolti e perfidi servitori di Satana, perché ho visto ed imparato la verità in maniera viva e quindi, come quella che dall’aldilà è ritornata, posso testimoniare a prova della verità eterna ciò che Gesù, il Signore dall’eternità, insegna, mentre tutto quello che questi loschi individui insegnano non è altro che una completa menzogna! Così io ho finito!».

 

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Cap. 21

Cirenio e i templari.

 

1. Dice Cirenio: «Avete inteso come una risuscitata porti una tale testimonianza contro di voi che vi incrimina più gravemente di qualunque rapina od omicidio? Cosa dovrò fare di voi, visto che queste imputazioni poggiano sull’assoluta verità? Farvi appendere sulla croce sarebbe troppo poco! Farvi flagellare una giornata intera fino alle ossa e poi decapitare, ma anche questa sarebbe una punizione troppo mite. Io però so bene cosa farò e posso dirvi pure che sarete perfettamente contenti di me!». A queste parole di Cirenio, essi impallidiscono ancora di più e cominciano a urlare ed implorare.

2. Cirenio frattanto Mi domanda se in seguito egli debba sul serio prescrivere una punizione per quei maligni, oltre all’imposizione di conservare silenzio eterno sui fatti là accaduti.

3. Ed Io gli rispondo: «Imponi loro soltanto il silenzio più assoluto con una seria minaccia della punizione che dovrà attenderli senza speranza di grazia alla prima trasgressione! Poi congedali»

4. Cirenio avanza di alcuni passi, intima silenzio e poi dice: «Fate bene attenzione, o torvi individui! È unicamente Costui, che voi avreste voluto lapidare a causa della santa verità uscita per voi dalla Sua bocca, che voi dovete ringraziare se io non vi faccio cacciare tutti assieme nel deserto e non vi faccio strappare gli occhi, per poi abbandonarvi sulle rupi, circondate tutt’intorno da precipizi! Ma se qualcuno di voi si azzardasse a comunicare ad altri, fuori dalla sinagoga, anche una sola parola di quanto è avvenuto qui, sia a voce che per iscritto, sia mediante gesti, cenni o atteggiamenti, la gravissima pena comminata sarà applicata inesorabilmente nei suoi confronti!

5. E così pure io non intendo lasciarvi impuniti, qualora venissi a conoscenza di tentativi da parte vostra di tormentare il popolo con estorsioni e contribuzioni illegali e di perseguitare la verità divina a favore delle vostre ignominiose egoistiche massime; insegnate invece al popolo a conoscere Dio e le Sue Leggi e a conformarvi a queste attraverso le opere, solo così potrete acquistarvi quella considerazione e quella stima di cui gode questo divino Uomo Gesù, il Quale non annuncia nulla di nuovo ai popoli che voi avete, con la vostra dottrina, immersi nelle tenebre più fitte, poiché Egli annuncia semplicemente l’antica dottrina di Dio! E con tanta maggiore verità e facoltà Egli può farlo, dato che nello Spirito è Quel Medesimo che secondo i vostri insegnamenti, circa mille anni fa, vi diede, tramite Mosè sul Sinai, le tavole della Legge. Questo, certo, voi non lo comprendete, però io lo comprendo perfettamente bene, nonostante per voi sia un perfetto pagano! Dunque, guardatevi bene dal perseguitare questo Santo, perché una cosa simile vi costerebbe doppiamente la vita: quella corporale in questo mondo e quella spirituale nell’altro! Mi avete compreso?

6. Tutti gli interessati esclamano: «Sì, o potente signore, faremo tutto quello che esigi da noi. Però tu sai già che noi uomini non siamo dei e che in noi c’è ogni genere di manchevolezza; perciò, se qualcuno di noi dovesse eventualmente errare in una cosa o nell’altra, chiamaci umanamente a responsabilità ed umanamente commisura la pena!»

7. Rispose Cirenio: «I mercanti e trafficanti greci ammettono che si contratti con loro, ma non i romani! Pensate bene a quel che vi dico e fate in modo che le vostre opere siano conformi, così non avrete bisogno di indulgenza! Perché gli uomini divengano forti, necessitano leggi rigide e inesorabili: in questo modo si formano i maestri dell’ordine, incrollabili e costanti nell’animo ed esuberanti di zelo in ogni attività concessa dalla legge!

8. Se il soldato non avesse leggi ferree, sarebbe un vile e quando si tratta di perseguire, combattere e vincere il nemico, questi potrebbe darsi il bel tempo e la patria avrebbe un bel attendere che qualcuno pensasse alla sua difesa! Ma quando una legge di ferro prescrive al soldato per la vita e per la morte, passo per passo, quello che egli deve fare di fronte al nemico, certamente lo farà! Infatti se non lo facesse, il suo destino certamente sarebbe la morte, ma se egli invece fa come gli viene comandato, la sua morte per mano del suo nemico è incerta e, se ritorna dalla battaglia, ritorna da vincitore e da eroe!

9. La regola severa di Roma è questa: una rigida legge plasma anche rigidi diritti ed ordinati uomini! Abbandonate dunque ogni velleità di contrattare con noi e ciascuno abbia dinanzi a sé la Legge senza distinzione di rango! Voi sapete ormai come io concepisco la legge: se obbedite, siete liberi nella legge, se non obbedite, la legge vi giudicherà senza alcun riguardo, appunto perché è legge.

10. Tutta la Terra e tutto quello che in essa e su di essa esiste, esiste soltanto per l’inflessibilità del Volere divino. Se Dio ad un dato momento ammettesse a questo riguardo anche la minima delle discussioni, cosa ne sarebbe in un batter d’occhio della Terra e di noi tutti? Tutto si convertirebbe nel caos!

11. E ugualmente accadrebbe di un complesso statale di popoli; se soltanto il rigore di una legge venisse mitigato, anche tutte le altre perderebbero la loro forza e la loro irremovibilità e il grande edificio dello stato sarebbe in breve tempo ridotto ad una rovina! Dunque, tutto fermo resta quello che vi ho detto e irremovibile la minaccia che vi ho fatto!».

12. A questa energica replica del governatore, le facce dei farisei e degli anziani assunsero una cera alquanto desolata ed amara ed uno fra loro esclamò in tono di dolorosa esaltazione: «O Roma, o Roma! Come sono terribili la tua durezza e la tua oppressione! O Jehova, Tu hai liberato i Tuoi figli dalla cattività di Babilonia, quando essi ebbero fatto penitenza ed innalzato a Te le loro orazioni, mai Tu ci redimerai, dunque, da questa schiavitù mille volte peggiore?»

13. E qui dico Io: «Se voi vi ostinate a rimanere come siete e se non vi correggete dalla radice, non soltanto resterete sudditi di Roma, ma sarete del tutto divorati da essa, come la putredine dalle aquile! Ancora per breve tempo durerà la pazienza di Dio, ma poi il vostro destino si compirà e si rovescerà su di voi, così come poco fa. Io ve l’ho predetto, sarete perseguitati fino alla fine del mondo. Ora però andatevene e non scandalizzatevi mai più!

14. Quando ebbi terminato di parlare, essi si allontanarono tutti e si ritirarono nelle loro stanze; noi invece ci fermammo nella scuola, dove ben presto si radunarono numerosi nazareni venuti per ammirare le alte personalità romane e noi dovemmo anzi ritirarci e prendere posto sulle panche e sui tavoli, per liberarci un po’ dalla calca del popolo avido di spettacoli.

 

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Cap. 22

Guarigione di un infermo. Testimonianza dei nazareni su Gesù.

(Matt.13,55-56)

 

1. Frattanto Boro aveva condotto egli stesso un paralitico nella sinagoga, le cui mani e i cui piedi erano completamente disseccati, contorti e rattrappiti, in maniera che nessun medico sarebbe certamente stato in grado di guarire.

2. Boro però, quando il paralitico, che era stato trasportato di peso da due portatori dentro ad una grande cesta attraverso la calca, fu posto a giacere davanti a Me, disse ad alta voce dinanzi al popolo: «Dio soltanto può aiutare questo infermo e non altri! Io certamente sono uno dei primi medici in tutta la Galilea ed al medico Boro vengono ammalati da Gerusalemme e da Betlemme ed egli li cura e li guarisce, ma per questo ammalato tutta la sua arte non giova. Io Ti supplico, o mio santo amico Gesù, poiché so e fermamente credo che a Te nessuna cosa sia impossibile, affinché Tu ridoni a quest’uomo le sue membra diritte, sempre se tale cosa è in consonanza con la Tua santa Volontà!»

3. Gli dico Io: «Amico mio, qui c’è troppa gente a cui manca la fede ed in queste condizioni una guarigione è sempre una cosa difficile! Io però lo guarirò presso di te, quando saremo soli»

4. All’udire queste parole, alcuni fra il popolo cominciarono a mormorare e dissero: «Furbo il figlio del falegname! Visto che questo ammalato è in condizioni troppo gravi per Lui, Egli preferisce guarirlo in segreto, se gli è possibile, lontano dalla nostra presenza»

5. Ma Io, che udii questi discorsi, dissi a quei maldicenti: «O pazzi e insensati che siete! Conoscete questa fanciulla che è vicino a Giairo, non è essa sua figlia e non morì per il mondo già due volte? Chi è che l’ha richiamata in vita? O stolti! Ma se il Figlio dell’uomo ha il potere di ridonare la vita ai morti, come non potrà avere il potere di dire a questo ammalato: “Alzati e cammina!”. Ma affinché vi convinciate che Io effettivamente ho questo potere, allora ordino a te, che sei paralitico, di alzarti e camminare con le tue membra, ora completamente sane!»

6. Nello stesso tempo come un’energia di fiamma attraversò le membra di questo ammalato ed egli si sentì completamente in forze; si levò e cominciò a muoversi. Le sue membra erano fresche e piene di vigore, carne e muscoli erano del tutto fortificati ed egli camminava con il cuore lieto e pieno di gratitudine e dopo qualche tempo quando, si fu ripreso dal suo immenso stupore, esclamò: «Una cosa simile soltanto Dio può farla! Senza medicamenti, senza imposizione di mani, ottenere in un attimo una simile guarigione unicamente per la potenza della parola, questa è una cosa che non si è mai vista! O Signore Gesù, io credo oramai e confesso apertamente che Tu sei o il Figlio di Dio o addirittura Dio stesso che ha assunto forma umana! A me sembra come se dovessi cadere ai Tuoi Piedi e adorarTi!»

7. Gli dico Io: «Lasciamo stare ciò e vedi di non suscitare rumore per questo, però, quello che senti nel tuo cuore, serbalo con tutta fedeltà. Verrà il giorno in cui tu ne avrai bisogno e allora potrai rivolgere la tua preghiera al Padre che è nei Cieli, il Quale solamente è stato a conferire tale potenza a Suo Figlio! A queste parole il guarito ammutolisce».

8. Ma il popolo inorridì e disse: «Da dove viene a costui tanta sapienza e tanta potenza nell’azione? (Matt.13,55). Non è costui il figlio del falegname? Sua madre non si chiama Maria? Ed i suoi fratelli Giacomo, Giosé, Simone e Giuda? E non sono le sue sorelle tutte presso di noi? Da dove vengono a costui, per amor del Cielo, tutte queste cose?».

9. E come essi andavano così chiedendosi e discutendo, molti si scandalizzarono e dissero: «Questa è una cosa che fa davvero ammattire! I nostri figli hanno studiato a Gerusalemme e si sono acquistati cognizioni in vari rami delle arti e delle scienze; hanno altresì frequentato le scuole dei profeti che esistono tuttora ed hanno imparato a fondo la sapienza egiziana nell’interpretazione dei segni e delle scritture! Ed ora ecco qui questo falegname, il quale non ha mai frequentato una scuola e che noi stessi abbiamo visto solo maneggiare l’ascia e la sega, ora svergogna noi ed i nostri figli in maniera tale che perfino le più alte personalità di governo ne sono sbalordite e ritengono quasi un Dio il falegname! Ciò è veramente da pazzi! Egli è tutto in tutto; parla tutte le lingue come se fosse nato in tutti i paesi; Egli è un profeta di primo rango ed opera segni e cose tali che nessun Dio si vergognerebbe di aver fatto; i nostri figli invece, assieme a noi che al nostro tempo abbiamo pure imparato qualche cosa, fanno qui la figura di quelli che non hanno imparato neppure a contare le dita di una mano. Non c’è dunque nessuno di noi che sappia come questo falegname sia riuscito ad acquisire tutto questo?»

10. E gli altri dicono: «Dove dovrebbe aver acquisito qualcosa? Egli, salvo singole assenze di qualche mese, è rimasto sempre a casa ed assieme al padre ed ai suoi fratelli ha esercitato il suo mestiere presso di noi ed anche qui nei dintorni; non abbiamo osservato mai in lui neppure la traccia di qualcosa di particolare! Oltre a ciò, egli era molto parco di parole e se qualcuno gli domandava qualcosa, o egli non rispondeva affatto, oppure rispondeva a monosillabi, in modo che si cominciò a ritenerlo un babbeo; ed eccolo qui ora che, fattosi uomo, attira su di sé gli sguardi di tutto il mondo! Questa cosa per noi è tanto umiliante e scandalosa che nessuna mente che sia veramente sana può comprenderla!

11. Cosa mai non è accaduto con quest’uomo? Già dal tempo della sua primissima giovinezza ci è noto veramente che, essendo egli ancora un fanciullino appena balbettante, pare avesse dimostrato di avere qualche capacità per la magia e il padre e la madre quella volta avevano creduto che in quel fanciullo si sarebbe un giorno maturato qualcosa di grande. Però con gli anni tutte le capacità, per quanto promettenti, erano andate dileguandosi a tal punto che in nessuna occasione poi fu dato mai di riscontrarne la benché minima traccia. Di andare a scuola, egli già da ragazzo non ha mai voluto saperne e di conseguenza è rimasto un semplice artigiano, senza alcuna cultura scientifica. Spesse volte ho domandato al vecchio Giuseppe come andasse con Gesù e se egli fosse anche a casa così taciturno, e la risposta era: “A casa egli è più taciturno che in qualsiasi altro luogo fuori!”. Ed i suoi fratelli confermavano pienamente la cosa! Ma allora, come sono saltate fuori tutte queste capacità straordinarie?».

 

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Cap. 23

Rimprovero dei nazareni.

(Matt.13,57)

 

1. Ma poiché a causa dei fatti a cui avevano assistito, Io apparivo ai loro occhi come un profeta, allora un vecchio nazareno cominciò a narrare: «Mi è accaduto una volta di avvicinare un babilonese, di quelli che spesso usano venir di passaggio nei nostri dintorni e che per qualche statere si esibiscono in svariate magie e vaticini ed ho udito come egli facesse una predizione ad un mio vicino con queste parole:

2. «O Nazaret! Entro le tue mura vive un uomo che tu non conosci, Egli è quieto e parco di parole, ma quando il Suo tempo sarà venuto, dinanzi a Lui ed alla Sua Parola si inchineranno le montagne, i venti e il mare gli ubbidiranno e la morte tremerà al Suo cospetto e non avrà nessun potere dinanzi a Lui! Allora tutto il popolo di questa città sarà pervaso da uno stupore stizzoso, ma nessuno potrà per niente opporsi alla Sua forza e la morte fuggirà dinanzi a Lui come la timida gazzella dinanzi al leone che la insegue. Però, allorquando Egli vorrà trapassare da questo mondo ai Cieli, Egli permetterà che i Suoi nemici Lo uccidano e che per tre giorni Lo ritengano morto, ma il terzo giorno, per Suo proprio potere, Egli respingerà da Sé la morte e risusciterà in tutta la Sua potenza e gloria e salirà con la Sua carne e con il Suo sangue ai Cieli. Ma dopo ciò, guai a tutti coloro che Lo avranno perseguitato!  La loro sorte sarà un tremendo giudizio del fuoco, quale mai ancora è stato su questa Terra! Guai a tutti gli ebrei orgogliosi! D’allora in poi, fino alla fine del mondo, essi non avranno più patria, ma se ne andranno dispersi e raminghi per tutta la Terra come gli animali selvaggi e maledetti nel deserto. Triboli e spine dovranno raccogliere per farne un pane ributtante e calmare così la loro fame e di tal cibo morranno!

3. Ecco, di queste cose ha ragionato quel babilonese, circa tre anni fa; ed è enormemente strano che nella nostra città sia sorto ora in questo Gesù un uomo tale, le cui opere e le parole sembrano dare conferma completa a tutto quello che è stato predetto dal babilonese anzidetto! Ma che cosa si può fare? Se si è avverata l’una cosa, dovrebbe avverarsi anche l’altra, cioè il giudizio! Perciò io sono dell’opinione che dobbiamo lasciarlo fare quello che Egli vuole e può, perché per noi sarebbe alquanto difficile entrare in lotta con Lui! Perché chi può risuscitare i morti, deve anche poter fare molto di più. Noi potremo malamente resistere a chi comanda i venti e il mare ed alle cui parole i monti s’inchinano! LasciamoLo dunque andare e fare tanto più che, come voi stessi vedete, già parecchie centinaia sono corpo e anima con Lui e con la Sua dottrina, ritenendoLo il promesso Messia».

4. Questa narrazione del vecchio nazareno fece sì che molti si scandalizzassero ancora di più, ma nessuno si azzardò a dire una parola di più.

5. Io però Mi convinsi bene che con quel popolo non c’era niente da fare, perché non aveva né fede né confidenza alcuna e perciò anche obiettai molto brevemente, ma a voce alta, affinché tutti Mi potessero intendere: «Perché vi scandalizzate tanto? Non avete mai inteso quello che fino dai primi tempi è sempre stato detto: «Non c’è nessun posto dove un profeta abbia meno valore che non nella sua patria e nella sua casa! (Matt.13,57) Ma se è così, come l’antica esperienza ha sempre insegnato, perché dunque vi scandalizzate? Voi pretendete di essere prudenti e sapienti, ma Io vi dico che siete ciechi, sordi e scarsissimi di intendimento! Se Io sono Quello che veramente devo essere e se le Mie parole e le Mie opere ne danno testimonianza, perché non potete credere? Deve un profeta venire da molto lontano, per poter essere creduto? Deve il suo luogo natale essere sempre sconosciuto e il suo linguaggio forestiero?

6. Se Io fossi venuto dalla Persia o addirittura dall’India e facessi i segni che Io faccio ora, dei quali prima di Me nessuno ha mai compiuti, voi giacereste prostrati a terra con le vostre facce e gridereste: «Dio ci ha visitati e noi siamo pieni di peccati e di difetti! Chi potrà nasconderci e proteggerci dinanzi alla Sua ira?» Ma siccome Io sono il figliolo di Giuseppe, a voi ben noto, voi domandate: «Da dove gli vengono tutte queste cose?». O ciechi e stolti che siete, questo suolo che ci porta non è esso terra di Dio altrettanto quanto lo sono la Persia e l’India? Non risplende qui il medesimo Sole e non cresce e non matura qui come in Persia ed in India ogni tipo di frutta per la forza e la potenza di Dio, che qui come là regna sovrana? E la Luna e le stelle assieme al Sole ed a questa Terra sono esse forse meno divine qui che in quegli altri paesi?

7. Dunque, non ci può essere alcun dubbio che qui, come in tutti gli altri paesi stranieri, tutto è divino, perché poi non dovrebbe esserlo per l’uomo? Quindi, se Io mando a compimento opere quali nessun persiano o indiano si è neppure mai sognato di pensare, perché non dovrei aspirare ad ottenere la vostra stima e la vostra fede, almeno in quella misura che voi certo sareste disposti ad accordare a qualunque sciocco persiano o indiano? In verità, se Io oggi Mi rivolgessi ai greci ed ai romani essi Mi erigerebbero templi ed altari.

8. Voi, invece, siccome sono cresciuto fra di voi e Mi conoscete già da bambino, vi chiedete scandalizzati e stupiti: «Da dove viene tutto ad un tratto a questo falegname tutto ciò, a lui che abbiamo sempre conosciuto come un babbeo?». Oh, aspettate un po’, il babbeo ha cessato di essere tale e vi ha fatto molto bene, prima come babbeo ed ora ancora di più come maestro e medico, ma d’ora in poi si guarderà bene dal farlo!

9. A tali Mie parole i nazareni si scandalizzarono ancora di più ed abbandonarono la scuola.

 

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Cap. 24

Discorso di Cirenio sui nazareni.

 

1. Allora Cirenio disse: «Signore e Maestro, a quanto mi sembra, qui si tratta più di stupidità che di cattiveria, poiché i nazareni, salvo rare eccezioni, sono conosciuti come degli stolti ed è molto difficile illuminare tali esseri! Poca scuola, nessuna esperienza, per lo più poveri, poca attività fra di loro e pochi contatti con gli altri. In gran parte vivono di una scarsa agricoltura, di un misero allevamento di bestiame e fuori che a Gerusalemme non vanno mai in altri luoghi. E se a Gerusalemme vanno una volta all’anno, che cosa ci guadagnano per il proprio spirito, sebbene poco ci sia anche lì da guadagnare? Dove dunque possono essi acquistarsi migliore intelletto, per poter poi con discernimento giudicare la Tua santa dottrina e comprendere le Tue sante opere? E, per di più, gli sciocchi sono di solito anche invidiosi e, come ho osservato, quello che maggiormente li ha scandalizzati è il fatto che i loro figli, che hanno frequentato tutte le possibili scuole, Ti sono infinitamente inferiori per quanto riguarda ogni genere di sapienza, scienza e perfettissima potenza d’azione! Io dunque non vorrei imputare loro tutto ciò a cattiveria, ma unicamente a pura e semplice stupidità, la quale può degenerare in perfidia, però mai certamente troppo dannosa, poiché lo sciocco, quando vuole nuocere, procede da sciocco ed è difficile che possa riuscire veramente dannoso. Lasciamoli stare come sono!

2. Dato il caso anche che qualcuno tentasse di recare danno al Tuo corpo, ebbene, ciò non mi preoccupa, trattandosi appunto particolarmente di Te! In primo luogo Tu stesso possiedi, in misura più che sufficiente, così tanta innegabile divina potenza da far volgere in fuga disastrosa tutto un intero esercito perfettamente armato e perciò tanto più facilmente poi questi genuini imbecilli ed in secondo luogo poi hai completamente dalla Tua parte le nostre persone, come i più alti esponenti dell’autorità di Roma su tutta l’Asia e di conseguenza non potrà mancarti mai una giusta protezione! Se Tu dovessi venire fatto qui oggetto di persecuzioni, sai già bene dove sono Tiro e Sidone? Non hai che da venire e Tu sarai perfettamente al sicuro da qualsiasi persecuzione.

3. Che però questi cittadini di Nazaret siano quasi senza alcuna educazione e cultura, lo ha dimostrato il fatto che pressoché tutti sono accorsi alla sinagoga più come scimmie che non come uomini, spinti unicamente da una specie di curiosità animalesca e nessuno si è sognato di salutare nemmeno con un gesto né me né nessuna delle altre personalità che sono con me e che detengono il comando del paese. Come un branco di asini, buoi o stupide pecore sono piombati dentro e si sono comportati come se fossero stati i soli padroni del mondo! Io non posso ritenerli colpevoli, perché sono troppo rozzi, sciocchi e ineducati e so che Tu, o Signore, che li conosci mille volte meglio di me, Tu pure non imputerai loro questa cosa a peccato!

4. Dico Io: «Oh, puoi ben esserne certo! Io, di sicuro, meno di qualsiasi altro. Ma l’importante è che essi, nel loro cuore, Mi riconoscano per quello che sono, perché la loro vita eterna dipende unicamente da ciò! Se essi non riconoscono Me, è altrettanto impossibile che riconoscano Colui che Mi ha mandato in questo mondo e meno ancora che Io e Colui che Mi ha mandato siamo sempre Uno e lo stesso Essere. Fino a tanto che i loro cuori non riconoscono ciò, non possono accogliere Me in loro stessi e di conseguenza neppure la vita eterna e perciò sono morti nello Spirito! Dato che Io stesso sono per l’appunto la Vita eterna stessa e per mezzo della Mia dottrina sono la Via che a tale Vita conduce!

5. E perciò, chi non accoglie Me e la Mia dottrina, costui non accoglie neppure la Vita eterna, mentre la morte eterna deve necessariamente essere ciò che gli spetta.

6. Ma Io non posso tuttavia costringere nessuno alla fede, perché qualunque costrizione sarebbe un giudizio dello spirito, il quale è causa di morte, così come lo è la mancanza di fede ed è perciò cosa difficile per Dio stesso disporre, in questi casi, che l’uomo non abbia un danno all’anima! Se egli viene costretto da una qualche forza, per quanto agente di nascosto, egli si muove nell’ambito di un giudizio; se d’altro canto non viene costretto da alcuna forza, egli resta senza fede, dubita di tutto e con ciò dimostra appunto di essere del tutto morto nello spirito. Chi e cosa può allora vivificare il suo spirito?

7. Egli non accetta la Mia parola vivificante e di conseguenza non accetta neppure Me, che sono in tutta l’infinità, l’unica e sola sorgente di ogni vita. Considerato ciò, chiedi a te stesso dove allora potrà attingere la Vita che Io ho portato e che voglio donare a tutti gli uomini.

8. Dice Cirenio: «Sì, certo, quanto Tu dici è perfettamente chiaro per me e non potrebbe essere altrimenti, poiché io già da trent’anni so chi Tu sei, però lasciamo stare questo argomento, perché sarà mio compito indurre questa gente a credere in qualche cosa. E adesso procediamo innanzi e vediamo dove si potrà trovare qualcosa da mangiare. Il pomeriggio è abbastanza inoltrato. Dopodiché, noi lasciammo la sinagoga e la città e facemmo ritorno a casa Mia, dove un buon pasto ci aspettava. Noi mangiammo e bevemmo di lieto umore, mentre la giornata si avviava alla sua fine.

 

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Cap. 25

Sull’indegnità del popolo.

(Matt.13,58)

 

1. I discorsi a tavola si aggirarono principalmente sulle passate vicende e sugli avvenimenti ad Ostracina, dove Io avevo passato la Mia prima giovinezza; e Mia madre prese spesso parte alla conversazione ed ascoltò con gran gioia le narrazioni del viceré d’Asia, come si usava spesso designare Cirenio, il quale rievocò l’uno e l’altro dei fatti accaduti allora.

2. Giacomo, figlio di Giuseppe, che sapeva scrivere molto bene, prese dal suo armadio un rotolo abbastanza voluminoso e lo offerse a Cirenio, dicendogli:

«Nobile signore, in queste carte sono narrate, come io mi ero proposto di scrivere, tutte le cose e gli avvenimenti concernenti il Signore, svoltisi dalla Sua nascita fino al Suo quindicesimo anno, anzi veramente fino al dodicesimo anno, perché poi le Sue manifestazioni divine ebbero luogo soltanto molto raramente, e consistevano più in qualche saggia parola pronunciata al momento opportuno che non ho elencato, e così il tredicesimo, il quattordicesimo e il quindicesimo anno sono rimasti completamente vuoti. Cosicché, trascorso il quindicesimo anno, non ho ritenuto opportuno prendere ulteriormente nota delle comunissime vicende umane che Lo riguardavano e perciò la narrazione dei tempi della Sua giovinezza è da considerarsi completamente chiusa.

3. Certo, accanto a questa mia narrazione esistono ed hanno corso una quantità di leggende e false dicerie, opera di qualche fannullone e ciarliero, ma io prego per questo di considerare soltanto questa mia descrizione come la sola vera, esattissima e completa. Se ciò, o eccelso signore, può riuscirti gradito, io ti prego di voler accettare, in grazia, questo mio piccolo lavoro come riconoscimento da parte mia di tutti i benefici che ci hai elargito!

4. Cirenio con grande soddisfazione prende in mano il rotolo, lo sfoglia e ne legge qua e là qualche brano ad alta voce, ascoltato da tutti con attenzione e grandissima letizia. Ma chi ne prova una gioia particolare è la Mia piccola Sara, come pure sua madre.

5. E Sara, la quale commossa nell’udire quelle vecchie storie non aveva potuto ogni qual tratto trattenere le lacrime, esclamò infine, quasi in stato di esaltazione: «Ma cosa si vuol domandare ancora, per credere quello che si può afferrare con mano, quello che io ho già afferrato al tempo della mia prima guarigione? Oh, mio Dio! Simili opere, tanti prodigi ed ancora nessuna fede, nessuna intuizione, nessuna conoscenza di tutto il divino che fino all’evidenza si manifesta in tutto ciò? O Signore! Io che sono al Tuo cospetto una povera e debole peccatrice, Te ne prego, non fare più qui nessun segno! Infatti questo popolo di Nazaret, salvo rarissime eccezioni, non è degno nemmeno di uno sputo, per non parlar poi delle Tue sante opere e parole! Io dico apertamente quello che sento! Se io avessi un potere, questo popolo lo farei digiunare e frustare così a lungo fino a che arrivasse ad accorgersi di quanto ha peccato non riconoscendo questa santa epoca della sua prova e dell’immensa grazia!».

6. Dico Io a Sara: (Matt.13,58) «Non conturbare la tua anima, o Mia diletta, a causa degli stolti e dei ciechi. Io li conosco bene, come pure conosco il loro scetticismo sciocco e come tu desideri, Io non farò più per queste ragioni che pochi segni o non ne farò affatto, e tu Matteo che sei il Mio scrivano, prendi nota del fatto che a causa della nulla fede incontrata qui nella Mia patria corporale, Io ho tralasciato di fare ulteriori miracoli, affinché perfino nelle tarde epoche tutto il mondo sappia quanto increduli e di dura cervice fossero stati questi cittadini di Nazaret al Mio tempo! Noi tuttavia ci tratterremo in questo luogo ancora per qualche giorno e ce la spasseremo a dovere, visto che l’opinione di questa gente è che noi siamo dei fannulloni! Infatti, poiché si sono scandalizzati, che si scandalizzino ancora di più a sazietà, così si renderanno tanto più maturi per Satana e per il suo regno maledetto!»

7. Osserva Cirenio: «Io sono molto dolente di non poter trattenermi qui più di una giornata, in considerazione delle mie gravi cure di governo, ma se, con riguardo al vergognosissimo scetticismo di questo popolo, io posso giovarTi, o Signore, in uno o nell’altro modo, non hai che da comandare e da chiedermelo ed io mi metto immediatamente all’opera! Se Tu lo vuoi, io faccio flagellare tutta quanta la città all’istante con le verghe!»

8. Gli rispondo Io: «Lasciamo stare ora queste cose! CrediMi, questa gente è già flagellata e punita più che a sufficienza, dato che essa non crede in Me, poiché la mancanza di fede sarà un giorno il giudice più inesorabile, dinanzi al quale non potranno mai giustificarsi! In verità Io ti dico: “Prima e più facilmente entreranno tutti i principi della lussuria, gli adulteri ed i ladri nel Regno di Dio di questi non credenti, caproni e zoticoni!”. Ed ancora in più ti dico quello che so fin troppo bene: “Questi caproni non sono proprio tanto increduli come mostrano di essere, ma essi non vogliono credere per poter tanto più liberamente peccare!”. Infatti se, costretti dai segni, accettassero la Mia dottrina, si affermerebbe in loro necessariamente una coscienza che sarebbe di impedimento alla loro perversa attività. Per tale ragione essi preferiscono non voler credere a nulla e con dispute e sofismi verbali cercano di sbarazzarsi reciprocamente l’animo da qualsiasi verità, anche la più evidente, pur di poter fare liberamente tutto quello che suggerisce loro il cattivo istinto ed i desideri perversi. Amico Mio, molto sarebbe da dire a questo riguardo, ma è meglio tacerne. Lasciamoli stare come sono, perché, quando una cosa è ormai del demonio, è difficilissimo con mezzi ordinari riconvertirla in divina!»

 

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Cap. 26

Cenni per il legislatore.

 

1. Dice Cirenio: «Anche questo è buono a sapersi, il resto però si potrà ben trovare. Poiché essi non accolgono la Tua dottrina, io avrò cura di pronunciarne un’altra. Per mezzo di Fausto e dei suoi dipendenti io farò promulgare per loro delle ordinanze imperiali che già da mezzo anno mi sono pervenute già sanzionate! Forse il Vangelo di Roma incuterà loro più rispetto del Tuo Vangelo dei Cieli! L’ordinanza contiene cento articoli di legge, dietro ciascuno dei quali sta la sanzione della croce e della flagellazione! La poligamia è abolita, la scostumatezza e le manifestazioni della lussuria sono punite severamente con la sferza, l’adulterio con la croce, il furto e la truffa pure con la croce, il contrabbando con la flagellazione e con l’ammenda di cento libbre d’argento e poi una quantità di altre leggi sulla proprietà, la cui violazione avrà di conseguenza pure la flagellazione e l’ammenda di cento libbre d’argento! Così pure verrà loro interdetto severissimamente ogni viaggio senza passaporto, documento che potranno ottenere soltanto con l’esborso di cento libbre d’argento! Sì, così voglio fare, anzi di queste nuove leggi io mi varrò specialmente per questa città della Galilea e nel modo più rigoroso, per vedere se in questo popolo non ci sia proprio più un briciolo di coscienza da scoprire e da ridestare».

2. Gli dico Io: «Questa cosa rientra nella cerchia delle tue attribuzioni di governo ed Io non posso al riguardo risponderti né sì né no. Procedi come vuoi; vedi però che con tali misure non venga resa difficoltosa a Me ed ai Miei la necessaria libertà di movimento!».

3. Dice Cirenio: «Oh, no assolutamente, poiché l’ordinanza non riguarda gli artisti, i medici, i saggi ed i profeti. I loro certificati sono le loro opere e le loro orazioni hanno un valore pieno, come l’avrebbe un lasciapassare e nessuno può a loro impedire di andare, venire e fare, pena la morte. Io sono pronto a rilasciarti anche subito un certificato, presentando il quale nessuno oserebbe farTi nessuna difficoltà alcuna!»

4. Dico Io: «La tua volontà sempre ben disposta Mi è causa di compiacimento, ma nonostante tutto risparmiati questa fatica! Infatti fino a tanto che Io vorrò andarmene di qua e di là, nessuna potenza al mondo potrà impedirMelo, quando però la Mia Volontà sarà un giorno di sacrificarMi per tutta intera l’umanità, anche allora nessuna potenza al mondo potrà offrirMi difesa e se pur venisse offerta, tuttavia non l’accetterò! Amico Mio, considera questo: Colui al Quale Cielo e Terra obbediscono, deve essere certamente più potente di tutti gli uomini di questa Terra, che possono appena servire da sgabello ai Miei piedi! Dunque, fa’ tu pure come credi, ma poco frutto ne ricaverai! Anche se emanerai una legge perfetta, ben presto ti accorgerai con quanta abilità gli uomini sapranno eluderla e tu non potrai farci niente contro. 

5. I Comandamenti di Dio, che mediante Mosè sono stati dati al popolo, sono certamente tanto esaurienti quanto lo può essere qualcosa di sommamente perfetto, ma gli uomini, come lo dimostra il tempo attuale, hanno saputo così abilmente trasformare i comandamenti di Dio nelle loro proprie massime perfide, che l’umanità di oggi non è più assolutamente conscia di violare i precetti di Dio, purché abbia adempiuto ai propri precetti umani e mondani!

6. Ora, se gli uomini fanno già tanto fuor da un legno verde e ricolmo di umori, cosa non faranno fuori da un ceppo secco e arido venuto da Roma!? Perciò, tu fa’ pure come vuoi ed Io non avrò nulla in contrario, però ti dico ancora:

7. “Quante più leggi, tanti più delinquenti, per i quali con il tempo le vostre croci ed i vostri flagelli non basteranno più!”»

8. Dice Cirenio: «Tutto quello che Tu mi hai detto ora è verità indiscutibile, pure mi permetto di chiederTi ancora, per mia propria istruzione, a che cosa si può ricorrere, per combattere lo spirito di ribellione degli uomini, i quali, in primo luogo come questi nazareni, non credono più né in un Dio né in una rivelazione superiore e che con ogni loro azione irridono apertamente ai Comandamenti di Dio! Si deve dunque lasciarli andare senza alcuna legge terrena rigorosamente sanzionata e facendo così in modo che essi godano, senza alcun timore, secondo le loro sfrenate voglie, dato che già da lungo tempo hanno posto al bando ogni legge divina e che i rapporti tra di loro come con i loro vicini cominciano ad assumere un aspetto molto più maligno e feroce delle selvagge fiere del deserto e dei boschi? In questi casi particolari, io penso che delle rigorose leggi terrene sono perfettamente utili allo scopo di ricondurre ad un certo ordine, e da questa al riconoscimento di Dio, questa umanità diventata completamente selvaggia?

9. Osservo Io: «Certamente in tali casi non è possibile né pensabile altro rimedio all’infuori della costrizione tramite leggi terrene, ma ora si tratta semplicemente di esaminare quali specie di leggi debbano essere date agli uomini.

10. Per fare ciò si richiede una conoscenza molto profonda della natura umana e il legislatore non deve mai perdere di vista il vero motivo che ha provocato la degenerazione dell’umanità, altrimenti assomiglierà ad un medico che con una sola medicina pretende di guarire indistintamente tutte le malattie che possono affliggere l’uomo, mentre non pensa affatto che malattie tanto diverse devono essere, di conseguenza, di natura differente e che ciascuna è l’effetto di una differente causa. Un medico di questa specie certo che troverà di quando in quando un ammalato per il quale la sua unica medicina avrà buone conseguenze e che in seguito guarirà, mentre altri cento ammalati, i cui mali siano d’altro genere e d’altra natura, non solo non risentiranno alcun giovamento da quest’unica medicina, ma peggioreranno di molto, se addirittura non morranno! 

11. Ora se già per un corpo ammalato, che pure ogni medico può esaminare e toccare, è difficile stabilire quale medicina sia la buona, tanto più difficile deve essere il trovare e lo stabilire una efficace cura per un’anima umana veramente ammalata.

12. La legge è bensì una medicina, qualora vi si associ un’ordinanza esplicativa del come e del perché sia da osservare la legge stessa, ora però pensaci tu stesso un po’!

13. Qui tu hai da fare con un’anima irosa, là con una timida, più in là con una vendicativa, poi ne troverai una invidiosa, poi un’avara tendente agli inganni, poi troverai una attiva e avida di sapere, ma di fronte a questa ne troverai una di indolente e dormigliona, in una casa troverai quattro anime umili e obbedienti, in un’altra invece cinque orgogliose e ribelli e così di seguito tante e tante caratterizzate dagli innumerevoli generi e gradi delle peculiarità animiche, dalle debolezze e dalle passioni.

14. Ora ecco che tu, per tutti questi svariatissimi caratteri delle anime, prescrivi una legge uguale ed unica, ma che effetto avrà essa? Il timido sarà trascinato alla disperazione, l’iroso coverà in sé propositi di vendetta e di ribellione, il tiepido e fiacco rimarrà tale e quale e lo spirito indagatore perderà ogni coraggio e diverrà passivo, l’avaro diventerà ancora più avaro, l’orgoglioso farà lega con l’iroso e l’astuto tenderà le mani a tutti e due!

15. Considera adesso bene la cosa e pensa a queste ed alle mille altre tristissime conseguenze che certamente devono risultare da una legge dettata a precipizio e grezza. In questo modo appunto rileverai la necessità che una legge debba venire esattissimamente ed acutamente esaminata, per accertarsi se possa o no corrispondere nei riguardi correttivi o curativi a tutte le possibili varietà dei caratteri!

16. Quando una legge progettata non sia prima stata assoggettata ad un simile profondo esame, non deve essere promulgata agli uomini per l’osservanza, perché in tale forma essa sarebbe, in generale, più causa di danno che di vantaggio.

17. Vedi, Dio onnisciente Creatore ha trovato, per così dire, nella Sua infinita Sapienza, soltanto dieci leggi, che si adattano a tutti i caratteri delle anime e ciascuna può anche osservarle molto facilmente, sempreché lo voglia, se però Dio stesso non trova più di dieci comandamenti che rispondano in maniera piena e veramente efficace alla natura ed alle proprietà di ogni anima umana, com’è possibile che un imperatore pagano a Roma escogiti addirittura cento leggi, dall’osservanza delle quali le anime umane debbano trarre la loro salvezza?».

 

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Cap. 27

Cattivo uso della natura animica da parte delle leggi umane.

 

1. (Il Signore:) Io ti dico: «Fino a tanto che il popolo ebreo era retto dai giudici, che soli mantenevano le leggi di Dio e ne curavano il rispetto, per lungo tempo la vita ed i rapporti civili fra il popolo, salvo pochissime eccezioni, furono del tutto conformi agli ordinamenti di Dio, ma quando più tardi il popolo ebbe occasione di osservare lo splendore dei regnanti pagani e come questi risiedevano in sontuosi palazzi e come i popoli rispettosi s’inchinavano loro dinanzi fin nella polvere, queste cose piacquero immensamente ai ciechi e pazzi del popolo ebreo e siccome essi si ritenevano la nazione più potente del mondo, richiesero che Dio concedesse anche a loro un re, ma Dio non volle esaudire subito la stolta domanda del popolo ed anzi lo ammonì e gli dimostrò tutte le cattive conseguenze che esso avrebbe dovuto sobbarcarsi con il dominio di un re! Purtroppo, Dio, per mezzo dei profeti, ebbe a predicare a orecchie sorde e le parole a nulla giovarono, poiché il popolo voleva un re ad ogni costo!

2. Dio diede in Saul il primo re al popolo e lo fece ungere dal Suo vecchio e fedele servitore Samuele. Ora, quando il popolo ebbe il re che aveva voluto, che poi non tardò ad imporgli leggi difficili da osservare, soltanto allora cominciò a decadere sempre più, fino al suo attuale punto di estrema abiezione.

3. Ma quale ne fu veramente la causa principale? Vedi, essa è costituita dalle leggi inadatte, dettate dagli uomini, i quali non hanno conosciuto né la propria natura e meno ancora quella del loro prossimo e con le loro leggi goffe e commisurate al proprio particolare interesse hanno corrotto e rovinato completamente ogni interiore vita dell’anima.

4. Io ti citerò un esempio, tu riflettici bene e poi giudica: ammettiamo che in qualche luogo esista un’opera finissima dell’arte meccanica, che per lungo tempo funzionò benissimo in corrispondenza alla volontà del suo artefice, ma che un bel giorno tuttavia ebbe ad arrestarsi a causa di un guasto verificatosi in qualche sua parte. Ora, ecco presentarsi un tale, pieno di boria e di presunzione, il quale dice al possessore della macchina: «Affida a me questo meccanismo ed io vi farò le necessarie riparazioni!» L’altro, ritenendo capace l’operaio, acconsente e gli dà l’incarico di riparare la macchina. Ora, cosa potrà accadere della macchina, quando il ciarlatano avrà posto le mani incapaci su tale lavoro? Questo ciarlatano, completamente a digiuno di nozioni meccaniche, la cui intenzione altra non era che quella di estorcere alcune monete d’oro al possessore della macchina, cieco anche lui, non danneggerà la macchina più di quanto potrebbe giovarle? Oppure non gli avverrà, infine, di rovinarla interamente, cosicché perfino il vero artefice che l’ha costruita sarà a mala pena in grado di ridarle del tutto le sue funzioni?

5. Ma già trattandosi di una macchina tozza e in fondo semplicissima, le cui parti sono visibili, facilmente maneggiabili e completamente comprensibili, il caso non  può essere necessariamente che questo:  quando un ciarlatano si propone un lavoro che non è di sua competenza, non fa che portare rovina e danno; tanto più danno arreca colui che per il suo orgoglio e la sua vana gloria vuole ripristinare l’ordine nel mondo senza averne la debita capacità, così da guastare l’uomo che in tutte le sue parti è l’opera d’arte più sapientemente perfetta e artisticamente formata, della cui costituzione totale soltanto Dio ha una conoscenza ed una visione perfette e tanto più – ripeto – viene rovinato l’uomo quando un legislatore, stolto ed egoista, non sciente né cosciente, si propone di migliorare l’uomo, prescrivendogli delle leggi che portano il marchio dell’infamia e della degradazione più avvilente, mentre egli stesso non possiede la benché minima traccia di qualche nozione, tramite la quale egli potrebbe scorgere, sia pure in una millesima parte, quante e quante cose si richiedano, anche soltanto per far crescere un solo capello sul capo di un uomo!

6. E perciò, Mio carissimo amico Cirenio, è meglio che tu lasci stare le tue cento leggi, perché con queste non potresti procurare un vero miglioramento a nessuno. Fa’ invece che il dominio l’abbiano le leggi di Dio e tu sanzionale; con l’osservanza di queste tu farai assurgere queste macchine umane alla dignità di veri uomini.

7. Quando essi saranno diventati veramente uomini, soltanto allora esponi loro le necessità dello stato ed essi, quali uomini veri, faranno poi spontaneamente molto di più di quanto avrebbero potuto fare essendo schiavi legati da leggi disumane, goffe ed aspre.

8. Io te lo dico: «Quello che un uomo opera di suo libero volere, secondo la propria concezione libera e perciò ben costituita, ciò soltanto è veramente ben fatto ed è utile in un modo come nell’altro, invece, ogni azione ed ogni lavoro che traggono origine dalla costrizione, non valgono uno statere, perché, per ogni azione ed ogni lavoro imposti dalla forza impositrice, ci sono sempre dei collaboratori (che si potrebbero chiamare intralciatori) di nome ira e vendetta contro l’impositore e con ciò non si potrà mai giungere compiutamente a nessuna opera ed a nessun lavoro.

9. Se tu, carissimo il Mio Cirenio, mediterai bene su queste Mie parole, dovrà riuscirti perfettamente chiaro che quanto Io ti ho detto corrisponde alla pura verità!»

10. Risponde Cirenio: «O nobilissimo e divino amico, a me certo non occorre pensare molto, perché le Tue parole sono tanto vere e chiare quanto il Sole in pieno mezzogiorno ed io farò tutto come Tu mi hai consigliato. Io darò nuove sanzioni alla legge mosaica e saprò obbligare il popolo all’osservanza! Se potesse riuscirTi gradito, tramite il Tuo recondito aiuto spirituale, io vorrei prescrivere una severa osservanza della legge mosaica, che io bene conosco, anche ai greci. Né a tale scopo potrebbe mancarmi perfino una ragione politica, poiché, come è noto, tra ebrei e greci vi sono continuamente degli antagonismi che per lo più traggono origine dalla diversa fede in Dio, nonché dalla differente concezione della Divinità. Gli ebrei sostengono per la vita e per la morte la loro concezione; dall’altro canto i greci,  i quali, per quanto riguarda la dialettica, superano di molto i loro avversari, oppongono con la loro sciolta e pronta loquela agli ebrei, irrigiditi nelle loro idee, argomenti tali che questi ultimi non sanno trovare parole per ribattere ai greci e perciò, non di rado, si verificano tra i due partiti dei conflitti anche sanguinosi, la qual cosa è una conseguenza certo non desiderabile delle divergenze esistenti in fatto di fede e di leggi divine.

11. Ora, se io impongo anche ai greci una severa osservanza alla legge divina mosaica e se, come detto, la sanziono per ragioni politiche di Stato, sicuramente questi attriti cesseranno. O Signore e Maestro, ho ragione se faccio così? E se è buona cosa che io faccia così, dichiarami Tu, dal profondo della Tua immensa sapienza, come devo agire, affinché il buon scopo che mi propongo venga raggiunto».

 

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Cap. 28

Della libertà dello spirito.

 

1. Dico Io: «Amico, la tua volontà è buona, ma la tua carne è debole! Il tuo buon proponimento troverà bensì effettuazione completa entro il corso di un secolo ed a questo scopo potrai tu stesso mandare a compimento ancora diverse buone cose, come azioni preparatorie; però, trattandosi di cose dello spirito, è necessario che ti guardi dal tuo romano “dovere costrittivo”, poiché questo arreca all’uomo più danno che utilità! Ogni costrizione è un giudizio e non ammette alcuna libertà, la quale nei momenti puro-divini della vita costituisce l’unico campo bene concimato, sul quale il seme della vita può germogliare, crescere e maturare, quale un frutto benedetto!

2. Se tu prendi un uccellino appena uscito dall’uovo e cominci a nutrirlo bene, perché possa quanto prima rendersi capace di volare, ma pur dandogli un nutrimento di per sé buono ed opportuno tu vai continuamente mozzandogli le ali che tendono a crescere, dimmi tu, a che cosa potrà servire all’uccellino, in simili condizioni, anche il nutrimento più ideale? Certo, l’uccello crescerà, ma di un volo libero non se ne potrà affatto parlare finché ti ostinerai a raccorciargli le ali!

3. Ma come l’uccello con le ali mozzate non può lanciarsi in volo, altrettanto lo spirito dell’uomo non può giungere ad una libera attività, qualora il “dovere imposto e sanzionato” venga a tarpargli le ali del libero riconoscimento. Ora uno spirito senza libertà d’azione è già morto, dato che non possiede quello che per considerazione fondamentale costituisce e condiziona la sua vita.

4. Tu puoi prescrivere all’uomo mille leggi che riguardano unicamente la sua sfera vitale terrena e puoi imporgliele tutte come un dovere sanzionato, ma con questo tu danneggerai molto meno lo spirito dell’uomo che se tu fissassi delle sanzioni terrene anche per un solo Comandamento divino.

5. È bene che lo spirituale resti libero per poter liberamente fissare la sanzione in se stesso, così come il giudizio ad essa connesso, e solo così può raggiungere, in sé e di per sé, la perfezione della vita! 

6. Il libero riconoscimento del buono e del vero è la luce vitale dello spirito; è in base a questo riconoscimento che lo spirito stabilisce da sé e per sé le leggi che gli si confanno. Queste leggi sono allora veramente delle libere leggi e sono le sole che in eterno si accordano alla libertà della vita. La volontà dello spirito, secondo il riconoscimento, è la libera legge nello spirito stesso, e la necessità eterna di operare secondo la libera volontà è l’eterna sanzione in forza della quale pure nessun spirito può certo operare altrimenti da come egli liberamente appunto vuol operare.

7. Ora, vedi, in ciò consiste anche quell’Ordine che dalle eternità si stabilisce da se stesso e che è l’Ordine in Dio, il Quale, come non vi è dubbio, non ha sopra di Sé nessuno che detti legge.

8. La liberissima Volontà di Dio stabilisce in Se stessa la Legge secondo conoscenze eternamente perfettissime e criteri eternamente sapientissimi, e sanziona la Legge mediante la propria personalissima Necessità, sebbene tale Necessità sia comunque ancora libera. E questa Necessità è poi la base di tutte le cose terrene create e della loro consistenza, fin dove tale consistenza è necessaria per la interiore formazione, consolidamento e infine libero isolamento dello spirito.

9. Lo spirito dell’uomo è chiamato a diventare in sé e di per sé precisamente altrettanto perfetto quanto in Sé e da per Sé è perfetto lo Spirito originario di Dio, altrimenti lo spirito non può essere spirito, bensì resta una morte assoggettata al giudizio.

10. Ma affinché lo spirito dell’uomo possa giungere a tanto, deve essergli offerta l’occasione di svilupparsi nel tempo, così come lo Spirito di Dio in Dio stesso si è, fin dall’eternità, formato in Sé e di per Sé e per potere di Se stesso.

11. Vedi, Io avrei certamente, dalle eternità, sufficiente potenza per costringere con un’energia interiore irresistibile tutti gli uomini ad operare secondo una qualche determinata legge, con una precisione tale che essi non potrebbero deviare nemmeno di una linea dalla direzione prescritta, ma allora l’uomo cesserebbe di essere uomo e sarebbe invece semplicemente un animale così come tanti altri annoverati da questo grande regno della natura. Egli allora compirebbe certamente il suo lavoro con assoluta precisione, ma nel lavoro da lui compiuto, tu non potresti scoprire mai alcuna differenza, come non è mai differente il procedimento nella costruzione delle celle da parte delle api né nel lavoro sistematico di innumerevoli altri animali grandi o piccoli che siano.

12. Se poi, con il tuo libero discernimento, tu volessi elevare tali uomini-animali a qualcosa di superiore, avresti nella tua impresa quello stesso scarso successo che otterresti qualora tu volessi mandare a scuola le api, perché possano imparare una buona volta a costruire le loro celle in un modo migliore e più funzionale.

13.Per tali ragioni non devi classificare troppo inferiore e troppo dannosa e criminosa nell’uomo la facoltà di peccare, perché, senza la facoltà di poter agire contrariamente alle leggi date, l’uomo non sarebbe uomo, ma un animale! 

14. Anzi, Io ti dico ancora qualcosa di più: “È solo il peccato che dà la coscienza all’uomo di essere un uomo; senza il peccato l’uomo sarebbe un animale”».

 

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Cap. 29

Della benedizione della libera evoluzione.

 

1. (Il Signore:) «Dunque è certamente opportuno e buono punire i peccatori, quando troppo si scostino dall’Ordine fissato da Dio stesso, agli scopi di un perfezionamento certo e possibilmente raggiungibile in breve tempo, ma nessuno deve venir trattenuto dalla possibilità di peccare a causa di una legge di ferro, perché Io ti dico in verità: “Ai Miei occhi vale più un peccatore che spontaneamente fa penitenza, che non novantanove giusti secondo la misura della legge che non hanno mai avuto bisogno di penitenza; il primo è uomo del tutto, i secondi soltanto per metà”.

2. Con ciò naturalmente io non voglio certo sostenere di preferire in generale il peccatore al giusto, forse per la ragione che il primo è sempre un peccatore, perché l’indurire nel peccato non significa altro che diventare un animale vivente di vita oscura e immonda, fondata esclusivamente sugli stimoli dell’istinto animalesco. Qui si tratta invece unicamente del peccatore che liberamente confessa il torto di aver agito contro la legge e che comincia a prescriversi nuove norme di vita in conformità all’Ordine di Dio da lui oramai riconosciuto e che diventa un uomo tale cui non è rimasta estranea nessuna scuola della vita.

3. Un simile spirito sarà un giorno in grado di fare nel Mio Regno cose infinitamente più grandi di quanto le potrà fare un altro, il quale, dominato da una specie di timore da schiavo, non avrà mai osato trasgredire la legge neppure di una virgola e che in questa forzata osservanza della legge, sotto la pressione del terrore, si sarà degradato allo stato di macchina, incapace di una volontà propria, e della macchina avrà corporalmente e spiritualmente assunto le proprietà.

4. Prova a prendere una pietra e a gettarla in alto, non passerà molto che essa in brevissimo tempo ridiscenderà e cadrà a terra secondo la legge costrittiva che è insita in essa, come in tutta la Terra. Ma è forse saggio lodare la pietra per aver obbedito con tanta precisione alla legge? Tu puoi bensì fare con la pietra ogni cosa possibile, quando si tratta di costruire un fondamento solido, ma procura alla pietra una qualche attività libera e vedrai che essa non abbandonerà mai il suo stato di riposo!

5. E perciò tu non devi ridurre gli uomini a delle pietre, imponendo leggi costrittive, ma devi in questa vece soltanto contribuire a che si educhino nella loro libertà, allora tu avrai agito in modo pienamente conforme all’Ordine divino.

6. Vedi, se gli uomini che hanno una posizione altolocata sulla Terra non fossero tanto pigri, salvo rare eccezioni, quanto veramente sono, potrebbero anche con un barlume solo di spirito di osservazione accorgersi molto facilmente che l’uomo, qualora abbia raggiunto un certo grado di cultura, non si accontenta mai più dell’uniformità e della monotonia propria degli animali; egli non si costruisce più una capanna con paglia ed argilla per abitazione, ma taglia invece delle pietre, con l’argilla fa i mattoni e con la calce si costruisce poi la casa bella, ben disposta, con mura di cinta e con solide torri, dall’alto delle quali egli può scrutare poi a distanza, se si avvicina alla sua casa un qualche nemico!

7. E così mille uomini colti si costruiscono certo anche mille abitazioni, delle quali nessuna si rassomiglia perfettamente né nella forma né della disposizione interna. Invece, osserva i nidi degli uccelli e le tane degli animali: non potrai scoprirvi mai qualcosa di diverso. Considera il nido della rondine e del fringuello, guarda la tela del ragno, l’alveare dell’ape ed i mille altri prodotti e costruzioni animali, tu non potrai mai constatarvi un miglioramento o variazione e neppure un peggioramento. Ma vedi in confronto a ciò quanta infinita varietà tu potrai riscontrare nell’opera degli uomini!? Eppure sono sempre quegli stessi uomini che spesso con grandi fatiche mandano a compimento tutto ciò.

8. Ma la conclusione evidentissima cui si deve arrivare è questa: che Dio, il Quale ha donato all’uomo uno spirito simile a Lui, non l’ha creato affinché esso scenda allo stato dell’animale, ma affinché s’innalzi, del tutto liberamente, alla dignità di creatura umana, simile al suo Creatore».

 

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Cap. 30

Evoluzione e legge.

 

1. (Il Signore:) «Se però l’uomo, senza distinzione di sesso, di colore della pelle e di condizione sociale terrena, è stato creato da Dio per tale supremo destino – ciò che ora tu puoi certo afferrare con le mani – così alla sua parte spirituale non può venir data in eterno alcuna legge costrittiva, per il fatto che egli, infine, deve divenire ciò per cui Dio l’ha destinato; perciò ciascuna legge deve essere data con il “dovresti”, e soltanto per gli evidentemente malintenzionati avversari della libera legge si stabilisca una punizione opportuna, sempre calcolata considerando il libero miglioramento dell’uomo. La punizione, però, è bene che sia applicata sempre così da apparire non come una conseguenza di un atto arbitrario, bensì soltanto come una necessaria conseguenza della trasgressione della legge dell’ordine. In questo modo lo spirito umano arriverà in primo luogo all’indipendenza del proprio pensiero e poi, molto prima che in altri modi, farà sua la legge data e vi agirà di conseguenza, mentre una punizione – per una mancanza  applicata del tutto arbitrariamente – indurisce, in ogni tempo,  ed amareggia l’animo umano e forma dall’uomo un demonio, la cui sete di vendetta non si estinguerà prima che egli – o ancora in questo o invece del tutto sicuramente nell’altro mondo – si sia vendicato nel modo più inaudito, il che deve venirgli concesso altrimenti nell’inferno del proprio cuore non si potrebbe più migliorare in eterno!

2. Il legislatore che infligge una punizione non deve mai dimenticare che lo spirito dell’uomo, sia esso buono o malvagio, non può venir ucciso e perciò esso continua a vivere! Fino a tanto che peregrina su questa Terra, visibile nella sua forma umana, puoi ancora in un certo modo tenerlo lontano se è intenzionato a perseguitarti, ma quando esso è fuori dal corpo materiale, allora egli ti si può avvicinare in mille maniere per nuocerti ad ogni tuo passo, senza essere visto né avvertito in nessun modo. Dimmi allora, quali armi avresti tu per difenderti?

3. Vedi, adesso è il momento di rivelartelo: la tua grande disgrazia, che senza di Me ti avrebbe annientato del tutto, devi attribuirla unicamente a quegli spiriti che con l’applicazione spesso troppo aspra delle leggi romane di stato ti sei resi nemici inesorabili! Fa’ dunque in modo che questi Miei insegnamenti completi diano i loro frutti nel tuo animo e così diverrai tu stesso un buon lavoratore nella Vigna di Dio, poiché non ti mancano né forza né mezzi né una volontà sempre ugualmente buona; quello che ti è mancato, ora lo hai ricevuto da Me. Tu non hai che da applicare fedelmente quanto hai appreso, e il premio e la benedizione che ne deriveranno non si arresteranno certamente a mezza strada»

4. Dice Cirenio, grandemente commosso dalla grande sapienza di questi Miei insegnamenti: «Oh, mio primo santissimo ed immenso Amico, Maestro e Dio del cuor mio! Ora soltanto si è fatta in me completa luce e mille e mille vicende della mia vita mi si riaffacciano alla memoria ed ora soltanto vedo che, nonostante il mio retto e buon volere sempre vigile, io stesso ho peccato contro l’Ordine divino molto di più e più gravemente di quelli che ho fatto condannare in base al rigore della legge! Ma chi mai potrà cancellare dinanzi a Te, o Signore, questi miei gravissimi peccati?»

5. Gli dico Io: «Amico, sii tranquillo. A Dio sono possibili tutte le cose ed Io già da lungo tempo ho riscattato tutti i tuoi errori, altrimenti tu ora non saresti qui, presso di Me!».

 

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Cap. 31

Discorso di Giairo sugli effetti dei miracoli.

 

1. A questo punto Giairo interviene e dice: «Sì, sì caro Cirenio, tu hai perfettamente ragione quando asserisci di te stesso che ora vedi tutte le cose in modo chiaro, perché anch’io sono ora in chiaro, come certamente ognuno di noi lo è e può constatare in base alla verità incontrovertibile la necessità eterna del come il tutto è costituito ed altresì come deve essere costituito l’uomo, però, cosa si può fare in tal caso?  L’umanità è scesa troppo in basso, e una dottrina di dolcezza e di libertà essa non la comprende e, a dirla francamente, si dovrebbe impiegare molto tempo per fargliela comprendere, e col rischio che potrebbe essere una fatica inutilmente sprecata, i cui frutti sarebbero solamente spine e cardi! Dunque, usando la dolcezza, non c’è da ripromettersi nulla affatto, almeno con gli ebrei, che io conosco molto bene!

2. Insegnare al popolo usando segni miracolosi è un doppio male; in primo luogo, perché l’uomo, indotto ad accogliere la verità per la forza di un miracolo, non è più libero e soggiace al giudizio e non crede alla parola corroborata dal miracolo, in virtù della verità da poco riconosciuta, ma grazie alla potenza del miracolo stesso e non diventa operoso secondo la parola udita, grazie ad un’intima convinzione e all’autodeterminazione che scaturisce dalla convinzione, ma unicamente spinto dal servile timore di un qualche improvviso castigo. Se poi ci sarà qualcuno capace di far sorgere in lui dei dubbi circa il miracolo e di contrastarlo, egli sarà di sicuro il primo a dire allegramente addio alla parola ed alla fede! In secondo luogo poi, una dottrina, confermata attraverso il miracolo, non avendo niente di permanente in sé, non può venir trasmessa alle generazioni future. Ora, un prodigio, di cui si sente parlare e di cui non ci sono stati testimoni, non ha né può avere di per sé altro valore che quello dalla favola che si narra ai bambini.

3. Ma ammesso pure che al miracolo si potesse dare un carattere durevole e che a tutti i maestri della verità si conferisse la capacità di operare miracoli in qualunque momento e perciò permanentemente, la ragione umana dopo poco tempo lo classificherebbe tra i fenomeni naturali giornalieri ed esso perderebbe la sua potenza probatoria e d’altro canto poi avrebbe il valore, né più né meno, delle solite esibizioni magiche dei giocolieri da strada, esibizioni anche queste che io non sono capace di imitare e che non so spiegarmi come e con quali mezzi vengano attuate; ma siccome se ne vedono troppo spesso, allora perdono quello che di meraviglioso hanno in sé e finiscono con il cadere nell’usuale quotidiano.

4. Non è già di per sé meraviglioso tutto quello che ogni giorno ci circonda? Tutto quello che noi udiamo, vediamo e percepiamo, non è già questo un prodigio? Ma, poiché tutto ciò ha un carattere permanente e si manifesta progressivamente secondo un ordine sempre uguale, perde la caratteristica del prodigio e non esercita più sull’animo di nessuno una costrizione alla fede, come potrebbe farlo un giudizio, che tutt’al più induce all’attività qualche scienziato o qualche studioso della natura. Questi accostano l’orecchio a terra e si affaticano ad ascoltare se, forse, l’erba cresce. Però, siccome nonostante tutte le loro fatiche poco o niente possono ricavare, né possono comprendere come l’erba cresca, così essi finiscono per assumere una espressione da sapienti, dandosi l’aria di averlo compreso, ma poiché non possono far crescere l’erba, allora propinano qualche altro misero artificio magico già vecchio e molto usato allo scopo di ingannare i ciechi, mentre i vedenti si fanno delle risate, constatando in quale ingenua maniera i ciechi si lasciano turlupinare da loro.

5. Dunque è cosa certa che i miracoli, agli scopi del miglioramento degli uomini, hanno poco valore o, ciò che per lo più è il caso, non ne hanno affatto, perché quello che io ho detto dei miracoli è purtroppo vero. Essi di sicuro eccitano comunemente la curiosità anche morbosa dello spettatore, però, malgrado tutta l’angoscia che possono suscitare nell’anima, non sciolgono i tenebrosi lacci del cuore ed i curiosi del miracolo rimangono sempre quello che erano prima, tutt’al più vanno interrogandosi fra di loro nella maniera più sciocca possibile e dicono: «Ma come mai egli, l’uomo dei miracoli, riesce a fare queste cose?» Mentre chi è ancor più corto di intelletto non dice niente, ma vede intorno l’esibitore di prodigi nient’altro che diavoli e diavolerie.

6. Ora, constatato che sul campo del miracoloso ci sono da raccogliere tanto pochi e affatto desiderabili frutti e che, secondo la Tua chiarissima esposizione, o Signore e Maestro, ancor meno e peggior frutta c’è d’aspettarsi che maturi dall’impiego della forza esteriore della legge e considerato infine che fra mille uomini ce ne saranno sì e no cinque suscettibili di un libero insegnamento, credo di non aver torto se ora propongo nuovamente l’interessante problema: Avendo da insegnare come si deve veramente procedere e cosa si può fare? Perché se il miracolo nuoce, la severità dalla legge nuoce ancor di più; una dottrina libera, sgorgante dalle profondità della divina Sapienza, è del tutto accessibile ad un uomo soltanto in casi eccezionalissimi! Come ci si può trarre da questo dilemma e poi agire? Come si può passare con una nave tra i famosi gorghi di Scilla e Cariddi[1], senza essere inghiottiti né dall’uno né dall’altro?».

 

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Cap. 32

Tratti fondamentali dell’Essenza di Dio.

 

1. Rispondo Io: «Amico, tu hai giudicato molto bene, solamente hai dimenticato una cosa e questa consiste in ciò, che a Dio sono possibili tante e tante cose, le quali sono ritenute impossibili agli occhi degli uomini. Considera i Miei discepoli e poi contali; pochi ce ne sono che abbiano frequentato una scuola. Ma Io li ho destati in primo luogo per mezzo della Parola e li ho attratti a Me, e soltanto dopo ho fatto in modo che facessero esperienze riguardo alla nota potenza della Parola divina. Un atto prodigioso che segua l’enunciazione della Parola pura non è più un giudizio o una costrizione, ma bensì un rinforzo della Parola stessa.

2. E perciò Io non intendo che le prove stiano negli atti prodigiosi che Io vado compiendo, bensì nella Luce della Parola stessa e dico: “Solo chi vivrà del tutto conformemente alla Mia Parola, avrà in sé la convinzione vivente del fatto che le Mie parole non sono vuote parole umane, ma sono parole di Dio!” 

3. In verità Io ti dico: “Chi nel proprio cuore non riterrà essere prova sufficiente quanto ora ho detto, a costui poco o niente gioveranno tutte le altre prove! Infatti le Mie parole sono di per sé, Luce, Verità e Vita”.

4. Chi di conseguenza ode la Mia Parola, la accoglie e vi conforma le proprie opere, costui ha già accolto Me stesso; ma chi accoglie Me, costui accoglie pure Colui il quale Mi ha mandato in questo mondo e che tuttavia è una cosa con Me. Perché quello che Io voglio, lo vuole anche Lui! Ed Egli non è altra persona da Me né Io altra persona da Lui, all’infuori della pelle che ci circonda entrambi. Colui però in cui, come in Me, l’amore e la sapienza, dimorano in un solo cuore, quegli è come sono Io e come Colui che Mi ha mandato a questo mondo per la salvezza e la beatitudine di tutti coloro che crederanno nel Figlio dell’uomo! Avete compreso quello che vi ho detto?»

5. Molti rispondono: «Sì, o Signore!». Però alcuni osservano: «Signore, questa è, per la prima volta, una dottrina alquanto dura e non si riesce a comprenderne il senso. Come puoi Tu essere una cosa sola con la Tua Parola?»

6. Dico Io: «Se voi non comprendete i concetti terreni, come potrete poi comprendere qualcosa di più grande? Chi e che cosa dunque è il Padre?». Udite bene: «L’eterno Amore in Dio è il Padre! Chi e che cosa dunque è il Figlio? Il Figlio è ciò che è sorto dalla Fiamma dell’Amore, cioè la Luce, la quale è la Sapienza in Dio! Ma siccome Amore e Sapienza sono una cosa sola, così anche Padre e Figlio sono una cosa sola!

7. Chi c’è mai fra di voi che non ha in sé un qualche amore ed anche qualche grado corrispondente di intelletto? Ed è egli perciò duplice nel suo essere? Ovvero, se uno ha una lampada che arde e che dà una fiamma chiara, che è certamente un fuoco, per rischiarare una stanza, è forse necessario che vada ad accendere del fuoco intorno alla casa, per aver chiaro nella stanza, oppure basta la lampada accesa in mezzo alla stanza per rischiarare sufficientemente la medesima? Se la luce che proviene dalla fiamma è un fuoco, perché proviene da un fuoco, esso è forse qualcosa di differente dalla fiamma stessa? O ciechi che siete! Se voi non riuscite a farvi un concetto di simili cose del tutto naturali, come volete comprendere poi le cose del Cielo?

8. E perciò chi di voi si scandalizza di Me, costui ritorni a casa propria e faccia e creda come più gli pare buono e giusto! Infatti verrà il giorno in cui ciascuno vivrà della propria fede e delle opere che avrà fatto, secondo la fede nutrita dal proprio cuore, e quelle saranno poi i suoi giudici!

9. Io infatti non giudicherò nessuno, ma il giudice di ciascun uomo sarà il suo stesso amore, secondo questa Mia Parola che ora vi ho dato!»

10. Dopo questa spiegazione, coloro che prima non Mi avevano compreso, vengono vicino a Me e Mi pregano di poter restare, poiché in loro cominciava a farsi maggior luce e si sarebbero dati maggior pena di quanto non fosse stato il caso fino ad allora, pur di poter afferrare la Mia Parola più chiaramente! 

11. Però Io dico loro: «Io non vi ho mai cacciati via, però ho soltanto consigliato tutti coloro che dovessero scandalizzarsi di Me che per la loro stessa salvezza sarebbe meglio che se ne andassero, piuttosto di continuare a scandalizzarsi anche in avvenire! Considerato dunque che Io non vi ho mandati via, perché non dovrebbe esservi concesso di rimanere? Perciò, se il vostro cuore è privo di scandali, restate!». Dopo questa chiarificazione essi ritornarono soddisfatti ai loro posti.

 

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Cap. 33

Guarigione dei parenti ammalati di un vecchio ebreo.

 

1. Ed ecco d’improvviso presentarsi nella sala un vecchio ebreo dei dintorni di Nazaret e domandare di Me con voce angosciata. I discepoli Mi indicano a lui ed egli si avvicina, piega le ginocchia e dice con voce di pianto:

2. «O caro Maestro, figlio del mio vecchio amico Giuseppe. Io ho udito parlare del modo meraviglioso in cui Tu guarisci gli ammalati e perciò, nella mia grande angoscia, sono venuto da Te, avendo appreso che Ti trovavi a Nazaret.

3. Ascoltami Maestro, io ho già raggiunto i 90 anni e mi trovo oramai molto infiacchito, però ho dei figli e dei nipoti che si sono presi cura di me con tutto l’amore e con ogni attenzione. Ed ecco che una malattia sconosciuta ed ostinata è scoppiata da poco in casa mia, cosicché ora sono tutti costretti a letto ed io, l’unico che il male ha risparmiato, sono vecchio e debole e non so come fare per aiutarli. Nessuno dei vicini si azzarda ad entrare in casa mia per timore di venire egli stesso colpito dal male, cosicché sono rimasto solo nella mia disperazione, senza saper dove rivolgermi per aiuto e consiglio! Io ho pregato Dio il Signore affinché mi aiutasse, magari facendomi morire, se tale fosse la Sua Volontà!

4. Ma mentre pregavo così, un uomo si affacciò alla finestra della mia stanza e disse: “Perché dubiti, quando il soccorso ti sta tanto vicino? Alzati e va’ a casa di Giuseppe! Là si trova il Salvatore Gesù, Quegli soltanto può aiutarti ed anche ti aiuterà!”. Udito questo, chiamai a raccolta tutte le mie poche forze, affidai i miei ammalati, che io comunque non posso aiutare in nessun modo, nelle mani del Signore Dio e mi trascinai, per quanto la strada non fosse molto lunga, fino qui da Te! E poiché sono stato tanto fortunato a trovarTi, o caro e buon Salvatore, io Ti prego ora con tutte le mie forze, affinché Tu ti degni di recarTi in casa mia per soccorrere i miei diciassette ammalati, che quel male sconosciuto va tormentando tanto orribilmente!»

5. Gli dico Io: «Veramente Io Mi ero proposto, considerata la troppa mancanza di fede, di non fare alcun prodigio in questa regione, però se tu davvero puoi credere che sia in Mio potere aiutarti, ritorna in pace a casa tua e ti sia fatto così come hai creduto!»

6. A queste parole il vecchio Mi ringraziò profondamente commosso e si rimise in cammino verso casa sua, egli stesso del tutto rinvigorito. Quando fu vicino a casa, vide venirgli incontro allegramente tutti i suoi diciassette congiunti, come non avessero avuto nessun male; essi lo salutarono molto amichevolmente come nel passato e gli raccontarono come mezz’ora prima s’erano d’improvviso sentiti risanati e, dopo aver provato ad alzarsi, avevano constatato di non essere mai stati tanto sani e vigorosi, neanche prima di essere stati colpiti dal male! Essi erano già andati dappertutto in cerca di lui ed erano già in pensiero, dato che non lo trovavano in nessun luogo.

7. Quando il vecchio ebbe udito questo, allora si rese conto che la grave malattia aveva abbandonato i suoi nello stesso momento in cui Io a casa Mia gli avevo detto: “Ti sia fatto così come hai creduto!”

8. Solo dopo essere entrati in casa, i suoi lo pregarono di dire loro dove fosse stato; e allora il vecchio cominciò a narrare e disse: «Io avevo saputo che il Guaritore Gesù, la cui fama corre ormai per tutto il mondo, aveva fatto la Sua ricomparsa a Nazaret. Allora mi misi in cammino e mi recai da Lui, ed ecco, Egli ha esaudito le mie preghiere, pronunciando le seguenti parole: “Ti sia fatto così come hai creduto!”. Ed a questa Sua parola voi siete stati risanati all’istante! Dite ora voi stessi se una cosa simile è mai accaduta in Israele!»

9. Dicono i sanati: «Ascolta, o padre, se è così, allora Egli deve essere più che un guaritore miracoloso! Padre, può essere che alla fine Costui sia magari nuovamente un grande profeta, più grande di Isaia, Geremia, Ezechiele e Daniele, sì, forse grande come Mosè, Aronne ed Elia! Solo a quelli era possibile, con l’aiuto di Jehova, fare miracoli tali che tutti gli spiriti dovevano stare loro completamente sottomessi, sia sotto la terra che sulla terra, nell’acqua e nell’aria! Ma quando tutti questi spiriti sono sottomessi a un così grandioso profeta, allora ovviamente Egli deve essere certo in grado di effettuare all’istante tutto ciò che vuole!

10. Ma come mai è pervenuto il figlio del falegname a tanta inestimabile grazia di Dio? Noi tutti lo conosciamo molto bene, saranno appena tre anni da quando Egli ha lavorato qui da noi assieme ai Suoi fratelli! Ed allora nulla poteva far supporre in Lui qualcosa di simile! Un tale dono dovrebbe averlo ricevuto soltanto da poco tempo. È ben vero che Egli si è sempre dimostrato persona quanto mai pia e che il Suo comportamento è stato sempre esemplarmente corretto. Lavoratore tranquillo e silenzioso, non parlava mai se non vi era assoluta necessità. Non Lo si vide quasi mai ridere né tanto mai a fare cordoglio, e così è ben possibile che Jehova abbia avuto riguardo per la Sua virtù o che gli abbia concesso una simile grazia, perché Jehova non prende mai in considerazione la reputazione che uno ha sulla Terra, ma unicamente l’integrità e la purezza del cuore!»

11. Osserva il vecchio: «Sì, è veramente possibile che voi abbiate ragione, anzi, così deve essere, ma se la cosa, come io più non dubito, sta veramente in questi termini, bisogna che domani di buon mattino noi andiamo da Lui, per offrirGli le nostre lodi, la nostra gratitudine ed i nostri ringraziamenti! Dinanzi ad un profeta visibilmente chiamato da Dio ed unto dal Suo Spirito è bene che ognuno di noi pieghi le ginocchia! Infatti non è il profeta, ma è Dio stesso che parla ed agisce per mezzo del cuore e della bocca del profeta!»

12. Allora tutti concludono: «E così sia, questo dovrà essere il nostro primo e supremo dovere!». Quella gente poi rientrò in casa ed i giovani si accinsero a preparare la cena, visto che l’appetito aveva cominciato a farsi sentire.

 

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Cap. 34

Scena tra i farisei avidi di eredità e il genero del vecchio.

 

1. Ora i farisei di Nazaret, avendo appreso che gli abitanti di quella casa erano tanto gravemente ammalati da far pensare che non potessero guarire, si recarono là per prendere in anticipo tutte le disposizioni circa i funerali e la decima ereditaria; perché a morte avvenuta essi non avevano più nessun diritto da far valere sull’eredità, essendo l’ammalato trapassato senza la loro assistenza, nel qual caso subentrava poi quale erede lo Stato. Quando dunque, spinti da tale motivo, i farisei arrivarono a notte già inoltrata e mentre la gente di casa, finita la cena, si disponeva a coricarsi, quegli avidissimi ricercatori di anime defunte fecero un viso disperatamente lungo, allorché poterono sincerarsi che gli abitanti di quella casa, supposti per lo meno mezzo morti, si trovavano nel miglior stato di salute desiderabile!

2. Il primo dei farisei, entrato con tutta circospezione e trattenendo il respiro, disse: «Oh, oh, che cosa mai è questo? Siete ancora vivi? Noi ritenevamo che per lo meno voi foste per la metà già trapassati e siamo perciò venuti per benedire le vostre anime e seppellire i vostri corpi secondo l’usanza dei nostri padri! Chi dunque vi ha guariti? Boro non è stato di certo, perché sappiamo che non è venuto da voi quando fu chiamato; è da credersi che egli abbia avuto come noi una grande paura del vostro male che era assolutamente grave. Allora, chi mai è stato il vostro medico?»

3. Risponde il genero del vecchio, persona energica e robusta tanto nella parola che nell’azione: «Che scopo avete voi di farci simili domande, dato che non siete stati voi a guarirci? Credo che neppure vi dobbiamo qualche cosa, come pure voi non dovete qualche cosa a noi! Siccome per la nostra salute non ci siete venuti affatto e se non ci fosse di mezzo la decima ereditaria nessuno vi avrebbe visti, perciò io vi dico: “In questo caso potete restare lontani, per l’eternità, da questa nostra casa! Perché, se voi non potete, non volete o non vi fidate di portare aiuto in una casa che è in estremo pericolo, allora ricorra a voi chi vuole! Per quanto concerne la nostra casa, vi posso assicurare che non verrà mai in cerca di voi! In verità, in tutto il vostro agire, voi siete peggiori dei vermi della terra che non esistono che per divorare, non fanno niente di buono e soffocano e guastano ogni buon frutto della terra! Levatevi dunque presto fuori dai piedi, altrimenti avrete a che fare con noi!

4. Dice uno degli anziani: «Eh via, per andarcene ce ne andremo bene anche noi, però non vi costa già niente se fate il favore di dirci chi vi ha guariti! Noi abbiamo pregato per sette ore al giorno e vorremmo perciò sapere se, forse, la guarigione è avvenuta miracolosamente grazie alle nostre preghiere, perché con mezzi naturali certo nessuno avrebbe in nessun caso potuto aiutarvi! Allora ditelo, considerato che le parole non vi costano nulla».

5. Dice il genero: «Ed io vi dico di andarvene, mentitori che non siete altro! È ben possibile che voi abbiate pregato sette ore al giorno per invocare la nostra morte e guadagnare quindi la decima ereditaria e non perché noi restassimo in vita. Voi non siete venuti qui per il piacere di salutarci come dei risanati, ma per commisurare su noi, presunti moribondi, la vostra famosa decima e per mettervi su le vostre aride mani, dopo che saremmo morti! Oh, vecchi volponi, io conosco molto bene voi e le vostre sante preghiere, perciò vi ripeto con le buone di andarvene, altrimenti si sarà costretti a far uso del diritto che abbiamo di star tranquilli a casa nostra! Però voi non sarete mai più degni di pronunciare il Nome di Colui che ci ha guariti!»

6. Insiste l’anziano: «Ebbene, ammettiamo pure di essere come tu dici; però non è escluso che noi possiamo essere o diventare anche altro da quello che credi! È evidente che qui è successo un miracolo e questo fatto può contribuire molto facilmente a farci cambiare del tutto il nostro modo di pensare e di agire! Dateci dunque l’informazione che vi chiediamo!»

7. Risponde il genero, quasi fuor di sé: «Niente e nessuno potrà mai cambiarvi in questo mondo, neppure Dio in persona! Se voi foste passibili di un cambiamento, sareste cambiati già da lungo tempo, perché vi sono Mosè e tutti i profeti che rendono testimonianza contro di voi! Il vostro vero Dio è Mammone ed esso consiste in oro e argento! Questo è il Dio che voi servite nei vostri cuori e soltanto in apparenza vi ravvolgete esteriormente nella veste di Mosè e di Aronne, per poter voi, lupi rapaci, sotto le spoglie della pecora, con tanto maggiore facilità insinuarvi tra il gregge degli agnelli e per sbranarli e divorarli con le vostre mortifere zanne!

8. Però Jehova vi conosce e non mancherà certamente di darvi quanto prima la ricompensa che da ben lungo tempo vi siete meritati! Dio ha ormai suscitato Gesù, il figlio del falegname Giuseppe, come nei tempi passati ha suscitato Mosè! E questo Gesù, il Quale mediante la Sua potente Parola ha ridonato istantaneamente a noi tutti la salute senza neppure venirci vicino, questo Gesù vi dirà anche senza alcun dubbio quali e quanti siano i vostri meriti innanzi a Dio, perché Egli è pieno dello Spirito di Dio, come voi lo siete di quello di Belzebù! Dunque, sia per l’ultima volta che io vi dico di andarvene e di non ricomparire mai più dinanzi a questa casa, in caso diverso ve ne pentirete!».

9. Dopo queste parole i farisei non attendono altro e se ne vanno pensando agli strani casi di Gesù che di nuovo si era parato attraverso le loro vie e si consigliano sul come avrebbero potuto sbarazzarsi di Lui, per evitare il tremendo pericolo che Egli avesse a sobillare in breve tempo tutti gli ebrei contro di loro, come era già avvenuto in quella casa.

10. Ma mentre essi stanno con tutto fervore accarezzando tali pensieri, succede dietro di loro uno scoppio violentissimo, come di tuono, per la qual cosa essi con grandissimo spavento accelerano il passo e ammutoliti si affrettano a rientrare in città.

 

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Cap. 35

I farisei leggono il salmo 37. Il saggio consiglio di Roban.

 

1. I farisei appena arrivati a casa prendono il libro dei salmi di Davide, lo aprono a caso e cade loro sott’occhio il salmo 37 e l’anziano comincia subito a leggere. Ora questo salmo diceva:

2. «Non crucciarti a causa dei maligni, non invidiare quelli che operano perversamente, perché saranno subito recisi come fieno e si appassiranno come erbetta verde. Confida nel Signore e fai del bene, tu abiterai nella terra e vi pasturerai in confidenza. E prendi il tuo diletto nel Signore ed Egli ti darà quello che il tuo cuore desidera. Rimetti la tua via nel Signore e confidati in Lui ed Egli farà ciò che bisogna fare e susciterà la tua giustizia come una luce e il tuo diritto come il mezzogiorno.

3. Attendi il Signore in silenzio; non crucciarti per colui che prospera nella sua via, per l’uomo che opera scelleratezza. Astieniti dall’ira e lascia il cruccio, non avere invidia per fare il male. Perché i maligni saranno sterminati, ma coloro che sperano nel Signore possederanno la Terra.

4. Fra breve tempo l’empio non ci sarà più e se tu poni attenzione al suo luogo, questo non vi sarà più. Ma i mansueti possederanno la Terra e gioiranno in gran pace. L’empio fa delle macchinazioni contro il giusto e digrigna i denti contro di lui, perché egli vede che viene il suo giorno. Gli empi hanno tratto la spada ed hanno teso il loro arco, per abbattere l’afflitto e il bisognoso, per ammazzare quelli che camminano rettamente. La loro spada entrerà nel loro cuore e i loro archi saranno rotti.

5. Il poco del giusto vale di più dell’abbondanza dei molti empi. Perché le braccia degli empi saranno rotte; ma il Signore sostiene i giusti. Il Signore conosce i giorni degli uomini giusti e devoti e la loro eredità rimarrà in eterno. Essi non saranno confusi nel tempo dell’angustia e saranno saziati nel tempo della fame. Ma gli empi periranno ed i nemici del Signore appassiranno come il verde splendore dei prati e si disperderanno, come si disperde il fumo. L’empio prende in prestito e non ritorna, ma il giusto elargisce e dona».

6. Dopo questi versetti uno dei farisei si leva e dice all’anziano che legge: «Cosa sono queste sciocchezze che ci vai leggendo? Non vedi dunque che tutto ciò si riferisce dal lato cattivo a noi, mentre dal lato buono non può riguardare che il figlio del falegname? Questo ha maledettamente l’aspetto di una testimonianza contro di noi e tu vai leggendo la cosa con tutta scioltezza e tranquillità, come se si trattasse di un messaggio di lode del sommo sacerdote a Gerusalemme, diretto a noi!»

7. Risponde l’anziano: «Amico, non fa affatto male se ciò contribuisce a farci vedere le cose che ci riguardano in una luce più chiara di quanto sia avvenuto finora! È meglio che noi ci riconosciamo prima fra noi stessi, piuttosto che rischiare un po’ più tardi, svelati e nudi davanti al mondo, come ingannatori del popolo e sprezzati ed abbandonati da tutti! Infatti non può infine dipendere che da Dio soltanto lo stabilire quanto tempo noi possiamo durare nella maniera usata fino adesso senza essere scoperti, e perciò io voglio continuare a leggere questo salmo interessantissimo!»

8. Dicono parecchi altri: «Hai ragione, prosegui pure!»

9. L’anziano continua la sua lettura:

10. «Perché i benedetti del Signore erediteranno la Terra, ma quelli maledetti da Lui saranno sterminati!»

11. A questo punto il fariseo domanda tutto ansioso: «Veramente chi possono essere i benedetti e chi i maledetti?»

12. Dice l’anziano: «Che i benedetti non siamo noi, mi pare che ormai ci voglia poco a capirlo, basta considerare la sempre crescente persecuzione dei romani contro di noi! Infatti se noi fossimo invece i benedetti, Dio non avrebbe certo mandato questa inaudita piaga sulla nostra benedetta Terra! Tutto il resto puoi tu stesso decifrarlo facilmente. Ora però continuo a leggere:

13. “I passi dell’uomo, la cui via il Signore gradisce, sono indirizzati da Lui. Se cade, però, non rimarrà a terra, perché il Signore gli sostiene la mano. Io sono stato fanciullo e sono anche divenuto vecchio e non ho mai visto il giusto abbandonato, né la sua progenie accattare il pane. Egli tutto ti dona e presta e la sua progenie è benedetta.

14. Desisti dal male e fai il bene! Rimani giusto sempre; poiché il Signore ha cara la giustizia e mai abbandona i Suoi santi. In eterno essi vengono custoditi; ma il seme degli empi sarà sterminato. Soltanto i giusti ereditano il Paese e vi rimangono in eterno.

15. La bocca del giusto risuona di sapienza e la sua lingua pronuncia rettitudine. La legge di Dio è nel suo cuore ed i suoi passi non vacilleranno. L’empio spia il giusto e cerca di ucciderlo; il Signore non glielo lascerà nelle mani e non permetterà che sia condannato quando sarà giudicato.

16. Aspetta il Signore e mantieni la Sua via ed Egli t’innalzerà affinché tu erediti la Terra, e tu vedrai che gli empi saranno sterminati.

17. Io ho visto un empio molto possente che si distendeva come un lauro verde, ma egli è passato via, ed ecco, egli non è più ed io l’ho cercato e non l’ho trovato. 

18. Guarda l’integrità e guarda alla rettitudine, perché vi è ricompensa per l’uomo di pace, ma i trasgressori della Legge di Dio saranno tutti quanti distrutti. Ogni ricompensa è recisa agli empi, ma ai giusti ogni aiuto è dal Signore. Egli è la loro fortezza nel tempo dell’afflizione e il Signore li aiuta e li libera dagli empi e li salva, perché hanno confidato in Lui”».

19. E come l’anziano è giunto alla fine del salmo, il fariseo tutto infuriato gli si fa contro e grida: «O vecchio testone! Non vedi che con questo salmo risulta che siamo noi gli empi e che i giusti sono coloro che parteggiano per Gesù? Non capisci che così noi rappresentiamo coloro che distruggono e che gli altri dovrebbero ereditare la Terra? Non siamo appunto noi che tentiamo di distruggere Lui, il presunto giusto, mentre Dio lo mantiene? Hai scelto proprio un bel salmo per noi!»

20. Dice l’anziano: «Non sono stato io a prescriverlo, è il libro che parla chiaro e se noi restiamo come siamo ora, bisognerà bene che lo digeriamo fino alla fine! Comprendi questo, nonché la Potenza di Dio?»

21. Interviene un altro e dice: «Io comprendo questa cosa meglio di voi tutti! Il nostro amico Roban ha dovuto leggere questo salmo perché l’ha indotto il figlio del falegname con il suo potere magico, che a noi riesce certamente del tutto incomprensibile! Infatti se egli ha potuto guarire con una sola parola tutta la famiglia presso la quale noi abbiamo cercato invano la nostra salute d’oro e d’argento, non v’è dubbio che egli deve altresì poter costringerci a leggere quei salmi, soltanto che è evidentissimo che oggi testimoniano contro di noi, come l’hanno fatto a suo tempo contro i nemici di Davide.

22. Oltre a ciò pare che il vecchio Giuseppe sia stato veramente in linea diretta un discendente di Davide e poi anche Maria, la seconda moglie di Giuseppe, dovrebbe discendere dalla stessa linea, così Gesù ora viene chiamato “figlio di Davide” e per questa ragione è probabile che il vecchio Giuseppe, che era sempre stato una volpe astutissima, abbia di nascosto fatto imparare a suo figlio ogni arte magica possibile, perché questi facesse valere le medesime, per strabiliare romani e greci superstiziosi, presentandosi come figlio di Giove o di Apollo e inducesse poi senza alcun dubbio i romani a proclamarlo loro re! Infatti se i personaggi che risiedono a Roma sono così ciechi come questi qui che tengono il comando dell’Asia, e Gesù, per così dire, li ha già messi nel sacco, non occorrerà che passi molto ed egli potrà dettare legge ai romani, ma allora saremo ben conciati anche noi!»

23. Dice un altro: «Questa è un’impresa che si potrà ben far procrastinare forse per mezzo di una missiva segreta all’imperatore?»

24. Dice il primo: «Ti sarà assai difficile far procrastinare qualcosa a lui che per virtù delle sue facoltà magiche può scrutare tutto quello che di più nascosto tu puoi pensare! Chi, se non lui, è stato a spaventarci con lo scoppio di tuono quando ritornavamo a casa? Perché egli certamente avrà percepito quello che abbiamo detto fra di noi contro di lui! E perciò chi se non lui ci ha fatto leggere un salmo che si presenta quale una severa testimonianza contro di noi? 

E perché questo? Perché egli di sicuro ha saputo quello che intendevamo concludere a suo danno! Se non lo credi, va’, mettiti al tavolo e tenta di stilare una missiva segreta per l’imperatore ed io ti garantisco che tu o non sarai in grado di scrivere nemmeno una parola oppure sarai costretto a firmare qualche terribile testimonianza contro te stesso e tutto ciò in virtù della sua incomprensibile e misteriosa potenza magica!

25. Poi bisogna considerare che perfino il nostro preside Giairo è ormai tutto, anima e corpo, per lui, avendo risuscitato per ben due volte da morte la figlia e lo aiuta in tutto quanto egli possa desiderare; dunque, io penso che neppure a Gerusalemme si potrebbe intraprendere nulla contro di lui! A dirla breve, siamo inchiodati e legati da tutte le parti e non possiamo opporci a lui in nessuna maniera! Perciò il meglio che si possa fare, secondo me, per ora è fare buon viso a cattivo gioco, oppure dichiararci completamente suoi discepoli, perché non possiamo intraprendere con qualche efficacia niente contro di lui, in quanto noi non possiamo neppure cominciare a pensare qualcosa senza che egli giunga a saperlo all’istante»

26. Dice il vecchio Roban: «Di questa opinione sono anch’io, infatti a noi non resta altro da scegliere: o ci manteniamo del tutto indifferenti, oppure abbracciamo la Sua dottrina e facciamo come Egli ci consiglia e ci invita, poiché un simile ostacolo per il momento non si può né infrangere né girare!»

27. Concludono tutti: «Meglio di tutto è che noi stiamo semplicemente a guardare, così non ci immischiamo né con Roma né con Gerusalemme e in questo modo solo può consistere la prudenza che deve esserci ora di guida».

28. E dopo ciò tutti si ritirano a riposare, mentre ognuno ponderava in segreto che cosa doveva fare da parte sua.

 

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Cap. 36

Roban, l’anziano dei farisei, da Gesù

 

1. La mattina seguente Roban tuttavia si presenta in casa da Me e chiede se gli è concesso di parlarMi.

2. Io però gli rispondo: «Io so già quello che Mi vuoi dire, ma quello che Io ho da dirti, tu non lo sai e perciò ascoltaMi».

3. Dice Roban: «Se Tu vuoi parlare, parla, ed io Ti ascolterò!».

4. Dico Io: «Tu ieri hai letto il salmo, era proprio il 37°. Questa lettura ha profondamente colpito te ed i tuoi colleghi, questo vi ha fatto meditare un po’ e poi vi siete consigliati se dovevate mantenervi passivi di fronte a Me o se sarebbe stato meglio dichiararvi Miei discepoli. Voi vi siete decisi per l’indifferentismo! Tu, però, durante la notte hai riflettuto ancora se era forse il caso di farti Mio discepolo ed ora sei venuto qui per chiederMelo direttamente.

5. Ma Io non posso dirti né sì né no e se tu vuoi restare, resta, ma se vuoi andartene, va’ pure! Perché, vedi, di discepoli ne ho abbastanza! Qui in casa Mia ci sono parecchie stanze e sono piene tutte di discepoli. Fuori all’aperto tu puoi veder rizzate delle tende e queste sono pure occupate dai Miei discepoli. Qui, vicino a questa Mia stanzetta, c’è la grande sala da lavoro e da pranzo, dove, poiché è ancora mattino molto presto, riposano gli alti detentori del potere temporale di Roma ed anch’essi sono Miei discepoli, in un’altra stanzetta qui vicino abita il preside Giairo con la moglie e la figlia, che Io ho risuscitato per due volte da morte; ed ecco, egli pure è un Mio discepolo. Dunque, se Io annovero tali uomini fra i Miei discepoli, tu pure puoi diventarlo come loro, però, come vedi, Io non vengo in cerca di te! Perciò, se vuoi, rimani e se non vuoi, vattene, perché entrambe queste vie ti sono aperte»

6. Dice Roban: «Signore, io resto ed è molto probabile che dei miei colleghi molti ancora, a pari mio, verranno e resteranno, perché comincio a comprendere che in Te ci deve essere qualcosa di più dell’arte misteriosa di un mago dell’Oriente! Tu sei un profeta unto da Dio del tutto speciale, tale quale prima di Te non ce ne fu mai un altro e per questo io resto!

7. È vero che sta scritto che in Galilea non può sorgere alcun profeta, ma io non ci tengo ormai più un granché a queste cose, perché per me vale l’azione effettiva ed evidente più dell’enigmatica lettera della Scrittura che nessuno è capace di comprendere secondo la profonda e vera sapienza. Bisogna aggiungere che, a quanto mi consta, Tu non sei neppure nativo della Galilea, bensì di Betlemme e quindi anche per ragione di nascita puoi benissimo essere un profeta. Mi sento molto attratto da Te e mi trovo molto bene in Tua compagnia, dunque, io resto. Io non posseggo grandi sostanze, ma tuttavia quello che posseggo può bastare per tutti noi per il tempo di interi 30 anni! Se ci sono degli onorari da pagare, la metà dei miei beni sono a Tua disposizione!»

8. Gli dico Io: «Va’ là dai Miei discepoli e chiedi loro quanto Mi versano per l’istruzione e per il mantenimento, altrettanto pagherai tu pure!».

9. Allora Roban chiese subito a diversi dei discepoli là presenti qualche particolare in proposito, ma questi gli risposero: «Il nostro santo Maestro non ci ha mai chiesto neanche uno statere, quantunque Egli sempre provveda a tutto per tutti noi. Certamente Egli non chiederà a te più di quanto richiede a noi. Fede ed amore, questo soltanto Egli ci ha sempre domandato»

10. Roban continua ad interrogare: «Anche voi potete operare qualcosa di speciale che sia incomprensibile per l’intelletto umano? E se lo potete, riuscite a capire come ciò sia possibile?»

11. Risponde Pietro: «Se si rende necessario, possiamo anche noi fare cose simili, mediante la Forza del Maestro in noi e comprendiamo perfettamente bene come esse siano molto facilmente possibili. Se tu vuoi diventare veramente un Suo discepolo, allora potrai anche tu operare tali cose e potrai benissimo comprendere quello che opererai! Infatti qui è l’Amore che detta la legge ed è la Sapienza che l’adempie»

12. Chiese ancora Roban: «Ma non ti è mai accaduto di pensare se in questi fatti straordinari non abbia forse anche Satana la sua parte?»

13. E Pietro risponde: «O povero cieco che sei, perché fai questa perfida domanda?

Come può aver parte Satana in una cosa nella quale agisce l’influenza suprema e onnipotente di tutti i Cieli? Io e tutti gli altri discepoli con me abbiamo visto i Cieli aperti e le innumerevoli schiere degli angeli di Dio scendere in terra e ci fu dato ancora di vedere come essi servivano Lui e noi tutti assieme! Ma se è così, come si può parlare di una partecipazione di Satana?

14. Ma se tu non puoi credere a quanto ti dico, va’ a Sichar e là informati presso il capo dei sacerdoti Jonaele e presso il ricco mercante Jairuth, il quale abita fuori Sichar, nel castello di Esaù, che è ben conosciuto. Questi amici nostri potranno raccontarti fedelmente Chi è Colui del Quale ci è stata concessa l’immeritata suprema grazia di essere Suoi discepoli! Tanto da Jonaele che da Jairuth tu troverai degli angeli in forma corporea visibile che sono ancora al loro servizio».

15. Quando Roban ebbe udito queste cose, si avvicinò impetuosamente a Me e Mi domandò se Io non avessi niente in contrario che egli intraprendesse un viaggio a Sichar.

16. Ed Io gli dissi: «Assolutamente no! Va’ pure ed informati di tutto e quando sarai di ritorno, riferisci ai tuoi fratelli e colleghi tutto ciò che avrai udito e visto. Quando avrai compiuto questo incarico, il cui buon effetto non potrà mancare, allora vieni nuovamente da Me e seguiMi! Tu là avrai già la possibilità di apprendere da che parte, nel frattempo, Mi sarò recato. Se tu però, passando per Sibarah, la prima stazione delle gabelle da qui e poi per la strada di Chis e di Cana e passi per la Samaria e ti si domanda qual è la meta del tuo viaggio ed in nome di chi lo compi, dì che viaggi nel Mio Nome e allora sarai lasciato passare liberamente dappertutto. Ma non andare con la tua veste d’anziano dei farisei, perché con questa non potresti andare molto lontano. Indossa invece una veste semplice e comune e non incontrerai nessun ostacolo in Samaria».

17. E quando Roban ebbe udito queste cose da Me, si dispose subito a mettersi in viaggio e così egli andò in terra straniera, per cercare e conoscere quello che già gli stava così vicino nella propria terra.

18. Vi sono sempre degli uomini che credono che fra gli estranei si possa vedere, sentire ed imparare più cose che in casa propria. Eppure un unico Sole splende per tutte le parti del mondo. Certo, in terra straniera si possono conoscere altre regioni, altri uomini altri costumi e lingue, ma che il cuore ne guadagni qualcosa, questa è un’altra questione!

19. Chi se ne va tra gente straniere per procurarsi là migliori distrazioni e piaceri, costui scarso profitto ne ritrarrà per l’educazione del proprio cuore, ma chi invece si reca in terra straniera per rendersi utile a quegli uomini e per portare loro una nuova luce, costui vada pure ed operi, che in questo caso il viaggio gli procurerà lauti guadagni.

20. Ciascun profeta maggior vantaggio trova in terra straniera che non nella propria patria e nella propria casa.

 

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Cap. 37

Giosa, l’anziano, ringrazia il Signore.

 

1. Quando Roban fu partito, ecco presentarsi il vecchio che si chiamava Giosa, con i suoi figli e nipoti in quella notte guariti, il quale era venuto per renderMi grazie lode e onore e che Mi pregò che Io gli permettessi di trattenersi con i suoi tutta la giornata in Mia compagnia.

2. Ed Io gli dissi: «Fai pure come desideri. Ieri notte tu hai dovuto sostenere ancora una lotta con i farisei per causa Mia e voi tutti vi siete comportati bene nel Mio Nome. Ma proprio per questo motivo in futuro sarete liberati da ogni piaga di questo genere e nessun avido zelota varcherà mai più la soglia di casa vostra! Ed ora andate dai Miei discepoli ed essi vi spiegheranno tutto quello che dovrete credere e fare da oggi in poi!».

3. A queste parole avanza Pietro e conduce l’intera compagnia da Matteo lo scrivano e questi dà loro da leggere tutto ciò che riguarda le esperienze fatte dai discepoli e quello che Io ho insegnato.

4. E quando in questo modo si è provveduto per il loro spirito, escono dalle loro stanze Cirenio, Cornelio, Fausto e il preside Giairo con la moglie e sua figlia, i quali con parole amichevolissime Mi salutano e Mi rendono grazie per il buon sonno ristoratore e per i bellissimi sogni avuti in quella notte. Ed Io ricambio i loro saluti e li rendo attenti della nuova compagnia appena arrivata, composta da coloro che erano stati guariti.

5. E Cirenio va loro vicino e s’informa dettagliatamente delle loro vicende. Ma quando egli ebbe udito le inqualificabili gesta dei farisei, non poté trattenersi ed al colmo dell’ira esclamò: «O Signore! No! per il Tuo santissimo Nome questo non deve essere tollerato! Io non posso più indulgere con questi discepoli di Satana! Io devo punirli, anche se ciò dovesse costarmi la vita! Ma si possono forse immaginare dei lupi, delle iene, delle volpi peggiori di queste? Delle belve simili non si possono trovare in tutta la Palestina, né in tutta l’Asia! Che differenza c’è fra loro ed i più rapaci ladri e predoni da strada? O perfidi, o bestie ferocissime! Si fanno chiamare servi di Dio e perciò esigono dappertutto lode ed onori quando è giorno, ma calata la notte escono ignominiosamente per aggredire e predare! Ebbene, aspettate un po’ ed io vi farò passare la voglia delle scorrerie notturne in modo che ve ne ricorderete per un bel pezzo!»

6. Dico Io all’adirato governatore: «Amico Mio, lascia andare! Infatti quello che tu vorresti fare adesso, l’ho già fatto Io la scorsa notte in un modo che loro possano avvertirlo molto più facilmente e la conseguenza sarà che tutti accoglieranno ben presto la Mia dottrina. L’anziano tra loro, di nome Roban, è stato qui già oggi ed ha già accolto la Mia Dottrina e perciò l’ho già inviato, quale già Mio discepolo, a Sichar, dove avrà occasione di vedere e di imparare molte cose. In due giorni egli sarà di ritorno e certamente riuscirà a portare anche i suoi colleghi dalla Mia parte! Ora vedi, questo è meglio della sferza, della croce e della scure!»

7. Dice Cirenio, molto più calmo: «Se è così, io ritiro molto volentieri la mia parola e non farò emanare contro di loro alcuna sentenza né aspra né dolorosa, però bisognerà che mi rendano conto delle loro azioni!»

8. Osservo Io: «E sia pure, ma non già stamani, bensì nel pomeriggio, poiché noi intendiamo occupare con qualche cosa di meglio questo magnifico tempo. Ma ora andiamocene anzitutto a colazione.

9. Infatti Boro aveva fatto nel frattempo costruire all’aperto una quantità di tavoli. In questo lavoro i Miei fratelli, che erano falegnami, gli erano stati di grande aiuto e così si trattava di fare colazione all’aperto in quella giornata che era vigilia di Sabato, quindi giorno di festa. C’erano circa cinquanta grandi tavoli con le rispettive panche, provvisti di cibi e bevande ed era davvero una scena quanto mai piacevole quella offerta dalle centinaia di ospiti di ogni classe, i quali già al loro posto e qua e là intonando dei salmi facevano onore alla ricca imbandigione. Nel mezzo, fra le numerose tavole, era eretta una specie di tribuna, sulla quale ci attendeva una grande mensa adorna con molto buon gusto, fornita di cibi. E Noi, cioè Io, Cirenio, Cornelio, Fausto, Giairo con la moglie e la figlia, Mia madre ed i dodici apostoli vi prendemmo posto e là, tra edificanti e serene conversazioni, consumammo la colazione che Fausto e Boro avevano fatto così preparare.

10. Alla nostra compagnia mancava però Lidia, la giovane sposa di Fausto, che quest’ultimo aveva lasciato a casa sua a Cafarnao, a causa delle molte faccende domestiche cui c’era d’accudire, anche se essa lo avrebbe quanto mai volentieri accompagnato a Nazaret. Mia madre gli mosse perciò qualche dolce rimprovero ed egli, spiacente d’aver lasciato a casa la sua moglie carissima, prese la decisione di andar egli stesso senza indugio a prenderla.

11. Ma Io gli dissi: «Non preoccuparti; se Io voglio, lei sarà qui sana e salva prima che sia mezzogiorno!». Fausto Me ne fece preghiera ed Io gli promisi che così sarebbe stato fatto.

12. In quell’istante apparvero ai Miei fianchi due bellissimi giovinetti avvolti in toghe azzurro chiare; essi s’inchinarono fino a terra dinanzi a Me e dissero:

«Signore! I Tuoi servitori attendono con il massimo rispetto i Tuoi santissimi comandi!»

13. Ed Io dissi loro: «Andate e conducete qui Lidia, affinché possa anche essa trovarsi fra noi!»

14. Alle Mie parole i due scompaiono e Cirenio Mi chiede stupefatto: «Amico mio! Chi erano quei due giovani adorni di tanta grazia e bellezza? Per il cielo! L’occhio mio non ha mai visto tanta magnificenza di figure!»

15. Ed Io gli rispondo: «Vedi, chi è signore ha i suoi servitori e quando egli li chiama, essi devono comparire al suo cospetto e devono servirlo. Ora, siccome anch’Io sono un Signore, così anch’Io ho i Miei servitori, i quali hanno il compito di annunciare i Miei ordini a tutto l’Infinito. A te certo essi non sono visibili, ma lo sono molto bene a Me e dove tu nemmeno sospetti che ci sia qualcosa, vi sono tuttavia continuamente legioni innumerevoli che attendono i Miei comandi! E questi Miei servitori, per quanto delicati e gentili nell’aspetto, sono dotati di una tale forza che potrebbero in un istante annientare questa Terra, solo se Io glielo comandassi! Ma ora osservate, ecco che ambedue sono già di ritorno assieme a Lidia».

16. A quella vista, un’impressione di spavento si manifesta in quasi tutti i convitati alla Mia mensa e Cirenio esclama: «Come mai è possibile questa cosa? I due non possono essersi allontanati da qui neanche di 500 passi! Per arrivare a Cafarnao ci sono quasi due ore di cammino ed ecco che essi sono già di ritorno! Oh, questo va molto oltre ogni fatto che possa toccare ad una povera creatura umana su questa Terra!».

17. E quando Lidia, accolta con tutta tenerezza dal meravigliato Fausto, fu condotta alla nostra mensa, Cirenio subito le domandò: «O graziosissima Lidia, come hai fatto a venire così presto da Cafarnao? Eri forse già per la via, oppure come si spiega questo fatto?».

18. Risponde Lidia: «Non vedi qui i due angeli di Dio? Sono stati loro a portarmi qui con una velocità maggiore della freccia. Io, durante il tragitto, non vidi né terra né aria, ma da lì a qui non è stato che un momento solo ed ora sono qui. Però, se vuoi domandare ai due angeli, essi saranno certo più in grado di me di darti in proposito dei chiarimenti».

 

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Cap. 38

Dell’umano e del divino nel Signore.

 

1. Cirenio allora si rivolge subito ai due angeli e chiede loro come ciò fosse stato possibile. Ma questi, con le loro mani celestialmente perfette, accennando a Me, dicono con voce armoniosa e purissima: «La Sua Volontà costituisce il nostro essere, la nostra forza e la nostra rapidità. Da noi stessi nulla possiamo, ma quando Egli lo vuole, noi accogliamo la Sua Volontà in noi e tutto allora grazie ad essa ci è possibile. La nostra bellezza che ora abbaglia i tuoi occhi è il nostro amore per Lui e questo amore, a sua volta, non è altro che la Sua Volontà in noi! Ma se voi volete diventare pari a noi, accogliete la Sua Vivente Parola nei vostri cuori e operate volonterosamente secondo Questa, allora anche voi, come noi, possederete in voi tale onnipotente forza della Sua Parola e quando Egli vi chiamerà all’azione, secondo la Sua Volontà, allora anche a voi saranno possibili tutte le cose, anzi voi potrete fare molto più di noi, perché voi derivate unicamente dal Suo Amore, mentre noi proveniamo piuttosto dalla Sua Sapienza. Ora tu sai cosa sia quello che ti ha reso tanto perplesso, come cioè una cosa simile sia molto facile per noi; opera in avvenire secondo la Sua Parola e tu pure sarai in grado di fare cose assolutamente meravigliose!

2. Cirenio a queste parole dice, con crescente stupore: «Ma allora ho ragione, se ritengo essere Gesù l’unico Dio e il Creatore di tutto il mondo?». 

3. Rispondono gli angeli: «Sì, tu hai perfettamente ragione, soltanto è bene che tu non parli troppo ad alta voce, e quanto scorgi in Lui quello che c’è di umano, non scandalizzartene, poiché tutto l’umano non sarebbe umano se prima esso dall’eternità non fosse stato divino. E di conseguenza, quando talvolta Egli si manifesta in forme che a te sono conosciute e abituali, tuttavia non si manifesta in nessuna forma che sia indegna di Lui, perché ogni forma ed ogni pensiero erano già in Lui prima che essi, in virtù del Voler Suo, avessero cominciato a costituire ed a definire una Volontà libera fuor da Lui. Nell’Infinito non c’è alcuna cosa né alcun essere che non abbia attinto le sue origini da Lui. Questa Terra e quello che in essa e su di essa vive, altro non è che il Suo Pensiero tenuto fisso in maniera eternamente uguale e divenuto Verità grazie alla potenza della Sua Parola. Se ora Egli – cosa che per Lui sarebbe oltremodo facile – abbandonasse nel Suo Animo e nella Sua Volontà questi Pensieri aventi essenza, nello stesso istante questa Terra più non esisterebbe e tutto quello che essa contiene e regge la seguirebbe nell’annientamento.

4. Però la Volontà del Signore non è come quella dell’uomo che vuole in modo imperfetto oggi e domani in un modo differente. La Volontà del Signore è nell’eternità sempre una e non vi è forza che possa piegarla dall’Ordine fondato dall’eternità. Ma entro i limiti di quest’Ordine regna tuttavia la più ampia libertà e il Signore può fare quello che vuole, così come lo può fare qualunque angelo e ciascun uomo. Che però i fatti siano veramente tali, lo puoi rilevare considerando l’essere tuo assolutamente proprio e mille altri fenomeni.

5. Nella tua forma personale, tu puoi fare ciò che vuoi e nulla può impedirtelo, all’infuori del tuo stesso volere. Ma la forma personale-essenziale di per sé non ammette assolutamente alcun cambiamento, perché sottostà al rigido Ordine divino.

6. Così pure tu puoi apportare considerevoli modifiche alla Terra, puoi fare spianare i monti, puoi imporre nuove vie ai torrenti ed ai fiumi, puoi prosciugare laghi e scavare letti per laghi nuovi, puoi costruire ponti sui mari e puoi, con diligente e tenace lavoro, convertire il deserto in terra benedetta e fruttifera, in una parola tu puoi sulla Terra operare una quantità innumerevole di cambiamenti, ma non puoi neppure di un secondo rendere più lungo il giorno, né più breve la notte e non puoi comandare al vento ed all’uragano.

7. Tu devi sopportare l’inverno e tollerare gli ardori dell’estate ed a tutte le creature, per quanto tu tenda lo sforzo della tua volontà, non puoi prescrivere altra figura ed altra proprietà diverse da quelle che hanno. Di un agnello non potrai mai fare un leone, né mai più trasformare un leone in agnello. Ed ecco, tutto questo rientra nell’immutabile Ordine di Dio, entro l’ambito del quale certamente è concessa una grande libertà d’azione, mentre l’Ordine divino vero e proprio non lo puoi rimuovere neppure di una linea soltanto.

8. Ora qui dinanzi a te sta Colui il Quale ha fondato quest’Ordine dall’eternità e che solo può scioglierlo, purché lo voglia. Ma come tu sei tuttavia libero di pensare, volere ed agire nell’ambito di quest’Ordine divino che in primo luogo condiziona il tuo essere e tutto quello che ti circonda, così tanto più libero è il Signore ed Egli può fare ciò che vuole.

9. Noi ancora una volta ti diciamo: “Non ti scandalizzare mai, perché il Signore dinanzi a voi si muove in forma d’uomo, poiché ciascuna forma è supremamente Sua opera”».

 

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Cap. 39

Dell’influsso degli angeli sugli uomini.

 

1. Quando Cirenio ebbe udito dai due angeli questi insegnamenti, tutto gli apparve come assoluta certezza e non continuò più a rimuginare tra sé quale essere superiore Io fossi, ma disse convinto: «Sì, è Lui!». Ed avvicinatosi a Me con il più profondo rispetto, Mi disse: «Signore, tutto mi è chiarissimo ormai! Tu Lo sei!

2. Il mio cuore me lo diceva già da lungo tempo, ma la considerazione della Tua forma e del Tuo procedere umani facevano sempre sorgere in me, di tanto in tanto, argomenti di dubbio in opposizione alla mia fede. Ora però tutte le mie segrete esitazioni sono scomparse dall’anima e può accadere qualsiasi cosa, ma io resterò incrollabile come una roccia nella mia fede. Oh, com’è immensa ora la mia felicità, dato che perfino il mio occhio di carne può contemplare Colui che mi ha creato, che adesso mi mantiene e che mi manterrà per tutte le eternità!»

3. Gli dico Io: «Mio carissimo amico! Quello che tu ora possiedi sarà tuo per l’eternità! Però intanto vedi di tenerlo soltanto per te e per pochissimi dei tuoi amici già iniziati, poiché, se tu ne parlassi apertamente, ciò sarebbe più di danno che di vantaggio alla Mia Causa ed agli uomini! Inoltre ricordati anche di non scandalizzarti di Me, qualora ogni tanto ti avvenga di constatare l’elemento umano in Me, poiché prima che tutti gli angeli e gli uomini esistessero, ero Io dalle eternità il primo Uomo ed ho dunque certamente anche il diritto di continuare ad essere Uomo fra i Miei uomini creati!»

4. Dice Cirenio: «Tu, o Signore, fa come vuoi, tuttavia per me resti eternamente ed immutabilmente quello che senza alcun dubbio Tu sei ora per me! Ma questi due angeli, quanto desidererei che restassero con me fino alla fine dei miei giorni terreni! Quanta bellezza, amore e sapienza si irradiano da tutto il loro essere!»

5. Osservo Io: «Questo non può esserti concesso, perché tu non sopporteresti la loro personale presenza visibile e questa non sarebbe di alcun giovamento per la tua anima. Però, invisibili per i tuoi occhi e sensi terreni, essi continueranno a fungere da tuoi protettori, come lo erano già prima, fin dal tempo della tua nascita. In quanto al tempo presente, poiché essi devono rimanere qui visibilmente oggi per tutto il giorno, tu potrai intrattenerti con loro ancora riguardo a molte cose. 

6. Del resto, anche quando non ti saranno visibili, tu potrai parlare con loro e potrai interrogarli riguardo a qualsiasi cosa ed essi ti daranno la risposta nel tuo cuore, risposta che tu percepirai come un pensiero chiaramente espresso nel cuore. E questo genere di comunicazione è migliore di quella esteriore. Io te lo dico: “Una parola che il tuo angelo ha posto nel tuo cuore è per la tua anima più salutare di mille parole percepite esteriormente dal tuo orecchio! Infatti quello che percepisci nel tuo cuore è già tua proprietà, mentre quello che apprendi dall’esterno devi fartelo proprio a mezzo dell’azione, conforme alla parola appresa e compresa”.

7. Quando tu hai la parola nel cuore e tuttavia, di quando in quando pecchi nel tuo essere esteriore, allora il tuo cuore non è connivente e ti costringe subito al riconoscimento del peccato ed al pentimento e già per ciò non sei più peccatore, ma se non hai la parola nel cuore, bensì essa ti è giunta solamente al cervello attraverso l’orecchio ed in questa condizione pecchi, allora il cuore vuoto diventa complice e non ti costringe né al riconoscimento del peccato né al pentimento; il peccato rimane e tu ti rendi colpevole dinanzi a Dio ed agli uomini.

8. Così dunque, amico Mio, è meglio per te non vedere i tuoi protettori spirituali finché devi rimanere nella tua forma corporea, ma quando un giorno dovrai abbandonare il corpo, allora tu stesso quale spirito, potrai senz’altro vedere ed avvicinare per tutta l’eternità non solo questi due, ma anche innumerevoli altri»

9. Dice Cirenio: «Io sono ugualmente contento, però oggi voglio intrattenermi spiritualmente con loro a sazietà!».

10. Dico Io: «Ma come si farà? Tu hai promesso nel Mio Nome a quei farisei duri e rapaci una buona lavata di capo: ciò ti priverà nel pomeriggio della lieta compagnia dei due angeli!»

11. Dice Cirenio: «Oh, è vero, quasi quasi me ne dimenticavo! Che peccato, la cosa capita proprio a sproposito! Cosa devo fare?»

12. Gli dico Io: «Che ne diresti se Io ti sciogliessi dal giuramento e se tu risparmiassi del tutto ai farisei la lavata di capo che avevi intenzione di fare a loro, visto che hanno abbastanza da pensare a fatti loro, dopo le tue minacce di ieri?»

13. Risponde Cirenio: «Signore, se aggrada a Te, io risparmio a loro ormai molto volentieri la lavata di capo e affido ogni cosa a Te ed al vecchio Roban, che in un paio di giorni metterà comunque la faccenda a posto»

14. Dico Io: «Oh, in questo caso, Io certamente meno che altri ho qualcosa in contrario! Perché ti ho suggerito di rimandare al pomeriggio il tuo proposito riguardo ai farisei, appunto avendo previsto benissimo che avresti presto cambiato idea. Ma ora, considerato che il tempo si è fatto così bello, ce ne andremo tutti al mare, perché vogliamo provvederci di qualche pesce per il pranzo e per la cena. Chi vuol venire, si disponga a mettersi in cammino». 

 

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Cap. 40

L’amore per il Signore.

 

1. Allora Pietro e Natanaele domandano: «Ma Signore, noi qui non abbiamo gli arnesi per la pesca, come si potrà fare? Dobbiamo forse precedere in fretta la compagnia e farci prestare qualche rete dai pescatori alla prossima riva?».

2. Ed Io rispondo: «Ciò non è necessario, ma un’altra cosa è necessaria e questa è che voi poniate attenzione alla vostra memoria, la quale sembra ad ogni momento dimenticare che Io sono il Signore Cui non è impossibile nessuna cosa. Non precedeteci dunque, ma restate assieme a noi e pescando poi spiegate al vecchio Giosa ed alla sua famiglia che cosa sono la Forza e la Potenza di Dio anche nell’uomo». A queste Mie parole i due si ritirano ed iniziano a pensare a come avevano potuto essere così ciechi da fare una domanda tanto mondana! Lo stesso Giosa osserva che non comprende come abbiano potuto rivolgerMi una domanda simile!

3. Risponde Natanaele: «Noi due siamo, come te, ancora uomini e come tali siamo troppo abituati alle condizioni di questo mondo, perché non debba di quando in quando manifestarsi in noi qualche genuina sciocchezza, ma per l’avvenire faremo in modo che l’errore non si ripeta! È dalla nostra gioventù che noi siamo pescatori e, quando sentiamo parlare di pesca, ricadiamo facilmente nel nostro antico modo di vedere e ci riprendono le nostre antiche preoccupazioni, dimenticando un po’ lo spirituale. Ma ora è di nuovo tutto in regola».

4. Ed anche Sara allora viene vicino a Me e Mi prega di permetterle di venire anche lei con noi.

5. Ed Io le dico: «Ma certamente, ed è appunto per te che Io organizzo questa pesca! Non sei tu sempre ancora la Mia innamorata? E perché non ti sei messa a sedere vicino a Me durante la colazione?»

6. Risponde Sara, tutta tremante d’amore: «O Signore! Non ne ho avuto il coraggio; pensa, c’erano al Tuo fianco i tre rappresentanti più alti di Roma ed io, una povera fanciulla, dove andavo a prendere il coraggio?».

7. Le dico Io: «Sì, sì, Mia cara piccina, Mi sono accorto benissimo che saresti stata molto più volentieri vicino a Me che in qualsiasi altro luogo. Oh, a Me non sfugge niente di tutto quanto passa nel cuore degli uomini ed anche per ciò è molto grande il Mio amore per te!

8. Ma dimMi un po’, Mia carissima Sara, ti piacciono quei due giovinetti? Non ti sentiresti di amare l’uno o l’altro ancora più di Me? Infatti, come vedi, il Mio aspetto non è certo così bello come quello dei due giovani».

9. Risponde Sara: «Oh, Signore, unico ed eterno amore mio! Come puoi pensare questo di me? Io non prenderei tutto un Cielo pieno di angeli mille volte ancora più belli per un capello solo del Tuo capo, quanto meno poi uno dei due giovani al Tuo posto, che sei la pienezza d’amore nel mio cuore. Se anche sono belli, io domando: “Chi è stato a dare loro tanta bellezza?”. Ecco, sei certo stato Tu! Ma come avresti potuto donarla a loro se questa bellezza non fosse già stata prima in Te?  

10. Oh, Te l’assicuro, Tu sei per me il compendio di Tutto ed io non Ti lascerò mai più, anche se per rinunciare a Te riavessi in dono tutti i cieli colmi dei Tuoi più mirabili angeli!»

11. Ed Io le dico: «Così va bene e così mi piace che sia! Chi Mi ama, deve amarMi nella Mia integrità e sopra ogni cosa, se vuole essere anche da Me amato sopra ogni cosa. Vedi, i due angeli sono certo oltremodo belli, ma ora tu mi sei più cara delle innumerevoli schiere degli angeli i più puri e perciò rimani pur ben stretta vicino a Me! Io te lo dico: “Fra le molte tu sei una vera Mia sposa!”. Comprendi questa cosa?»

12. Risponde Sara: «Signore, questo veramente non lo comprendo, come potrei essere la Tua sposa? Posso davvero diventare per Te quello che è mia madre per mio padre? Tu sei il Signore del Cielo e della Terra, ma io non sono che una Tua creatura, come può avvenire che l’infimo si congiunga con il sommo?»

13. Dico Io: «Vedi, questa cosa può avvenire molto facilmente e precisamente per la semplicissima ragione che l’infimo, da te supposto tale, è esso pure derivato dal sommo ed è per conseguenza sommo esso pure.

14. Io sono l’Albero della vita e tu il suo frutto. Il frutto all’apparenza è certamente più piccolo e più mutevole dell’albero, ma nel suo mezzo sta nascosto un seme che nel frutto si è nutrito e maturato e nel seme vi sono nuovamente altri alberi della medesima specie, atti da se stessi a produrre gli stessi frutti che portano altri semi viventi identici a quel singolo, dal quale i frutti sono provenuti.

15. Ma da tutto ciò puoi anche molto facilmente rilevare che il divario fra Creatore e creatura non è poi, sotto certi aspetti, tanto grande quanto te lo raffiguri tu, perché la creatura stessa è in sé e di per sé la Volontà del Creatore, la quale è certo buona e maestosa quanto mai. Ora, se questa volontà proceduta dal Creatore, nella forma del Creatore stesso, è resa libera, si riconosce nel suo stato di libertà e di indipendenza per quello che essa veramente è ed opera secondo tale riconoscimento, allora essa è simile al Creatore ed è, nella sua piccola misura, perfettamente quello che è il Creatore nella Sua misura infinita; se però la volontà parziale resa libera dal Creatore non si riconosce per quello che è, non cessa già per questo di essere quello che è, ma non può giungere alla sua suprema destinazione finché non si sia riconosciuta per quello che veramente essa è.

16. Ma per rendere meno grave a queste particelle di volontà rese libere, che portano il nome di uomini, la fatica del riconoscimento di se stessi, il Creatore ha dato agli uomini, in tutti i tempi, rivelazioni, leggi e Dottrine dai cieli, ed in questo tempo Egli stesso è disceso sulla Terra e si è fatto carne allo scopo di portare aiuto agli uomini nel travaglio del riconoscimento di se stessi e per dare a loro in avvenire maggior luce, affinché le loro fatiche siano alleviate più di quanto non sia successo finora. 

17. Ora certo tu comprenderai bene quali siano i rapporti che intercorrono fra Creatore e creatura e ti riuscirà altresì facilmente chiaro come tu, perfettamente Mia pari, possa essere senz’altro sposa e moglie Mia, unita per l’eternità a Me in forza del tuo grande amore! Dunque, comprendi ora tu ciò che Io ti ho rivelato?».

 

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Cap. 41

Dell’essenza del vero amore.

 

1. Risponde la bellissima e graziosa fanciulla: «Sì, ora io ne capisco già di più; ma allora tutte le figlie di Eva hanno come me lo stesso diritto su di Te?».

2. Dico Io: «Certamente, sempreché siano come ora sei tu, ma se non sono così, esse possono diventare bensì Mie ancelle, spose anche, però non del tutto Mie mogli. Non ha avuto Davide, il Mio antenato, nei riguardi del corpo anch’egli molte mogli? Eppure egli fu un uomo del tutto secondo il cuor di Dio! Perché non dovrebbe essere concesso a Me, che pur sono molto più di Davide di aver molte mogli? Ma Io aggiungo ancora che ho facoltà sufficienti per mantenere nello stato della più completa felicità tante mogli quanti sono i granelli di sabbia nel mare e i fili d’erba sulla terra e che ciascuna sarà così ben provveduta che non potrà mai in eterno avere alcun desiderio che non possa essere soddisfatto nella maniera più premurosa e se sarà così può forse riuscirti molesto che Io voglia concedere a molte quella felicità che concedo a te in tanta abbondanza?»

3. Dice Sara: «Tu solo sei il Signore e sei Tu stesso l’immenso Amore e la sconfinata Sapienza e quello che fai è saviamente fatto, ma io non ho colpa, se il mio amore per Te è tale che mi sembra di doverne morire e se vorrei, per così dire, averTi per me sola! Tu però devi usare indulgenza al mio cuore infantile che è forse ancora un po’ ingenuo in fatto di amore!»

4. Io te lo dico: «Questo è invece quello che ci vuole! Chi, come te, non Mi ama con tutta la gelosia e non vuole possederMi quasi esclusivamente nel proprio cuore, costui non ha affatto ancora il vero amore vivificante per Me. Ma se non ha questo amore, non ha neppure la pienezza della vita, perché sono Io la Vera vita nell’uomo, in forza dell’amore per Me nella sua anima e questo amore è lo Spirito Mio in ciascun uomo.

5. Chi in questo modo ridesta l’amore per Me, costui suscita in sé lo Spirito che Io gli ho dato e siccome sono Io stesso questo Spirito – come ed altrimenti non può essere, perché all’infuori di Me non c’è in eterno altro Spirito vivente – così costui ridesta con ciò Me stesso in lui e diviene un rinato nella vita eterna e non può più morire, né essere annientato nemmeno dalla Mia onnipotenza, perché egli è diventato una cosa con Me. Dunque, Io non posso annientare Me stesso, poiché il Mio infinito Essere non si può mai in eterno tramutare nel non essere. E perciò non credere affatto che il tuo amore per Me sia ingenuo e sciocco, ma invece è precisamente così come deve essere. Persevera in questo amore e tu non vedrai né assaporerai in eterno la morte!

6. Questa Mia spiegazione rese Sara tanto contenta e beata che essa Mi abbracciò con tutte le sue forze e cominciò teneramente ad accarezzarMi.

7. Ma sua madre volle perciò sgridarla e le disse: «Ma mia cara Sara! Questo non va! Tu sei proprio screanzata!»

8. Sara rispose: «Eh, che c’entra quello che va o quello che non va! Anche morire e trovarsi sotto terra non va, ma se poi viene il Signore, che risuscita il morto e lo trae fuori dalla tomba, ciò è certamente un fatto supremamente insolito; com’è allora che questa cosa “va” di fronte al mondo? Oh, madre mia, amare il Signore sopra tutto e dinanzi a tutto il mondo, è una cosa che “va” certo meglio di tutto per ogni uomo! Non è vero, Signore Gesù, che io ho giudicato bene?»

9. Rispondo Io: «Hai detto benissimo e hai giudicato secondo piena verità! Chi nel mondo si vergogna ad amarMi apertamente e sopra ogni cosa, anch’Io Mi vergognerò ad amarlo dinanzi a tutti i Cieli ed a ridestarlo a vita eterna nel Nuovissimo Giorno!».

 

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Cap. 42

Del nuovo Giorno

 

1. Allora parecchi dei presenti domandarono quando sarebbe venuto il “Nuovissimo Giorno”.

2. Ma Io risposi: «Quando è passato il giorno vecchio, a questo succede sempre un giorno nuovissimo, e poiché Io non posso ridestare nessuno in un giorno che è già passato, ciò deve naturalmente accadere in un giorno nuovissimo, perché a questo scopo non si può impiegare più un giorno vecchio e già passato. Non è ogni giorno, in cui si entra e che voi vivete, un giorno nuovissimo? Oppure, può forse qualcuno vivere un giorno ancora più nuovo di quello che sta appunto vivendo? Vedete, noi tutti certamente viviamo oggi un giorno che è il più nuovo possibile! Infatti quello di ieri non può più essere nuovo e quello di domani non è ancora giunto. Ma da ciò risulta, con tutta evidenza, che per ciascun uomo esistono, anzi devono esistere, tanti giorni nuovissimi quanti sono quelli da lui vissuti! Perciò Io vi dico che voi tutti morirete nel giorno nuovissimo e verrete anche ridestati dalla morte alla vita in un giorno nuovissimo, perché non può essere altrimenti. E quando questo passaggio deve aver luogo per un uomo oppure anche per tutti gli uomini, ciò non potrà accadere in un giorno vecchio trascorso, ma in un qualche giorno futuro, dunque evidentemente nuovissimo! Però quale sarà questo giorno, è una cosa che non è stabilita in precedenza né da Me né da nessun altro spirito angelico, poiché a questo scopo ogni giorno che viene è immensamente buono e perfettamente adatto. Avete compreso ciò?» 

3. A questa risposta gli interroganti si ritirano molto sconcertati e dicono: «Davvero la cosa è tanto chiara come un’aria mattutina, eppure la nostra stoltezza ci ha indotti a far domande. È una verità da poter essere afferrata con mano!

Se parliamo tanto spesso dei giorni vecchi, è segno che ce ne devono essere anche di nuovi e di nuovissimi! Infatti, è stata una cosa stupidissima quella che noi abbiamo fatto! In verità, da parte della Tua infinita Sapienza, ci vuole poi un’altrettanta infinita Pazienza per tollerarci!»

4. Dice Sara, con un leggero sorriso: «Oh, certo! Il Signore ha la massima pazienza con tutti noi! Ma che cosa sia un giorno nuovissimo e quando debba venire, io lo sapevo già quand’ero nella culla, e se qualcuno mi interrogava in proposito, rispondevo sempre: “Domani verrà il giorno nuovissimo!”. Ma voi sul serio non lo sapevate?»

5. Dicono coloro che prima avevano posto la domanda: «Eh sì, noi siamo stati veramente tanto corti di intelletto da non saperlo ed anzi abbiamo sempre avuto una terribile paura di questo giorno che doveva venire; ora certamente la cosa è chiara ma con tutta ragione ci vergogniamo, poiché ci è sfuggita una cosa che evidentemente sta proprio davanti agli occhi ed alle orecchie di tutti!»

6. Dico Io: «Ciò non vi turbi, perché questa cosa è tuttavia una pietra nella quale in avvenire ancora molte migliaia di migliaia inciamperanno e riguardo la quale molte predizioni si faranno e molti scriveranno e predicheranno al popolo cieco.

7. Ed ora vediamo come potremo regolarci per la pesca. Perché, come vedete, siamo già giunti alla riva e di battelli ce ne sono qui molti a nostra disposizione; come pure non c’è penuria di reti ed altri attrezzi necessari alla pesca e perciò possiamo metterci subito al lavoro. I due giovinetti, con i quali Cirenio s’intrattiene ancora animatamente, potranno anch’essi renderci dei buoni servizi. Mettiamoci dunque subito all’opera!».

 

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Cap. 43

Il Signore Gesù e i Suoi durante la pesca.

 

1. Tutti allora cominciarono a meravigliarsi, perché non riuscivano a comprendere come potessero trovarsi così improvvisamente alla riva del mare.

2. Io però dissi: «Come mai potete meravigliarvi ancora? Non vi è già accaduto altre volte di vedere simili cose, stando con Me? È comprensibile che il vecchio Giosa con i suoi figli e suoi nipoti possano meravigliarsi ma, trattandosi di voi, Miei discepoli, ormai già molto più ricchi d’esperienza, è veramente incomprensibile come possiate ancora meravigliarvi, mentre dovrebbe già esservi chiaro perfettamente che a Me non è e non può essere nessuna cosa impossibile.

3. Vedete, non per nulla Io ho detto incomprensibile, perché ogni meraviglia, sorta in seguito a qualche atto straordinario da Me compiuto, presuppone anche l’esistenza di una piccola incredulità annidata in qualche punto dell’anima. L’uomo dubita in precedenza della possibilità di un qualche atto o fenomeno straordinario, ma quando l’atto, nonostante il suo dubbio, viene tuttavia mandato a compimento, allora il testimone che dubitava del successo resta sconcertato, si meraviglia e chiede: “Come mai è stato possibile ciò?”. Ma che cosa ammette egli con tale domanda? Io ve lo dico niente altro che questo: “Io dubitavo della possibilità della riuscita, perciò, questo è veramente strano e meraviglioso!”

4. Se un profano fa delle meraviglie simili, la cosa si comprende bene, ma, se coloro che non sono più soltanto superficialmente iniziati si meravigliano, danno a vedere che essi stessi appartengono ancora molto al numero di coloro che a buon diritto vengono chiamati profani! Per l’avvenire, dunque, vedete di non meravigliarvi più, specialmente in presenza di estranei, qualora Io trovi opportuno compiere una qualche azione straordinaria, affinché l’estraneo non consideri pure voi degli estranei!»

5. I discepoli dicono: «Signore, Tu ben sai che noi tutti Ti amiamo sopra ogni cosa e che conosciamo molto bene Chi e che cosa Tu sei, ma nonostante tutto ciò, spesse volte non possiamo fare a meno di meravigliarci nuovamente dinanzi ad un nuovo miracolo, perché i Tuoi miracoli più evidenti avvengono per lo più tanto inaspettatamente da coglierci impreparati e, per quanta padronanza di sé e per quanta fede si abbia, si deve pure un po’ rimanere sbalorditi. Vedi, tutti hanno certo visto abbastanza spesso il Sole sorgere e tramontare, ma dov’è o dove vive l’uomo che, per quanto poco sia incline al sentimento, non si sente quasi forzato a meravigliarsi di fronte allo spettacolo di ogni nuova aurora? Ed ecco, o Signore, così succede anche a noi! Ma Tu sei infinitamente di più di innumerevoli meraviglie ancora e Ti preghiamo perciò di volerci usare indulgenza per simili errori ai quali veramente quasi Tu stesso ci costringi e che noi commettiamo sempre di nuovo nei nostri cuori, perché Ti amiamo sopra ogni cosa.

6. «Suvvia», dico Io, «siamo di nuovo d’accordo, ma in avvenire seguite questo Mio consiglio per gli estranei, affinché questi riconoscano in voi i Miei veri discepoli. Ed ora dedichiamoci alla pesca! In questa occasione accadranno ancora altri piccoli prodigi, ma voi comportatevi come se non fossero tali. Gli estranei devono da se stessi indagare e giudicare se si tratta di fatti del tutto comuni oppure straordinari!».

7. Dopo queste necessarie istruzioni i discepoli montarono in fretta nei battelli, distesero le reti e le gettarono nell’acqua, secondo tutte le regole dell’arte e fecero l’una dopo l’altra parecchie retate, ma il risultato fu assai poco soddisfacente.

8. Pietro osservò che il vento abbastanza forte era sfavorevole e spingeva le barche alla riva.

9. Un altro disse che prima di sera non si sarebbe potuto ottenere granché, perché il Sole, non mitigato da nessuna nuvola, aveva troppo splendore, essendo risaputo che i pesci tendono a portarsi verso il fondo, quando la luce è troppo violenta!

10. Allora anche i due giovinetti salirono in due battelli, distesero una grande rete e si sospinsero molto lontano sull’acqua.

11. E Andrea, il quale era pure maestro in fatto di pesca, disse allora: «Se essi non spingono i pesci nella rete con qualche mezzo miracoloso, valendosi della loro potenza spirituale, essi possono pescare in alto mare anche dieci anni di seguito, ma non porteranno a terra neppure un solo pesce!».

12. Ma frattanto i due giovinetti fanno una retata consistente ed in breve sono di ritorno a riva portando una trentina di bei esemplari.

13. Ed Andrea dice: «Questo non è certo un miracolo, però è ugualmente una bella impresa pescare in alto mare trenta esemplari di siluri d’Europa».

14. Finalmente salii anch’Io in un battello e contemporaneamente Sara, che era coraggiosa, salì su un altro. Noi distendemmo una rete abbastanza grande e la calammo nell’acqua. Poco dopo, al primo leggero strappo, non molto lontano dalla riva la rete si trovò già riempita da cinquecento pesci tra lucci, salmoni e siluri, cosicché i due giovinetti dovettero affrettarsi in aiuto di Sara, perché altrimenti lei non avrebbe potuto trattenere la rete. I pesci vennero subito portati a terra e posti in barilotti, dei quali c’era lì sufficiente provvista.

15. I discepoli vollero fare ancora una retata, ma quando trassero la rete a terra vi trovarono nuovamente soltanto pochi pesci ed anche quelli molto piccoli.

16. E Pietro disse: «Non merita davvero la fatica che procura il gettare la rete e tirarla per un vecchio e sperimentato pescatore». Ed era in procinto di gettare nuovamente i pesciolini nell’acqua.

17. Ma Io gli osservai: «Tieniti quello che hai pescato, perché i pesci piccoli sono spesso pesci buonissimi e Mi sono più cari dei grandi, che non di rado hanno una carne tignosa e di difficile digestione. E prendi ben nota della rispondenza che si cela in questo avvenimento!

18. Quando uscirai fuori a pesca di uomini, non ti dia noia se nella rete del Vangelo si lasceranno cogliere dei piccoli pesci, perché in verità ti dico che essi Mi sono più graditi dei grandi. Tutto quello che è grande agli occhi del mondo, è invece, sotto certi riguardi, un abominio per i Miei occhi! Ed ora lasciamo stare la pesca e ritorniamo a casa, per oggi e domani siamo provveduti; per il giorno di sabato, se sarà necessario, si provvederà poi!».

19. Allora vennero ritirate tutte le reti e si portò a terra ancora una quantità di pesce assortito, che, posto nei barilotti e caricato su carri e barelle portatili, venne trasportato nei serbatoi discretamente vasti che Giuseppe a suo tempo aveva costruito presso casa nostra.

 

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Cap. 44

Note personali sul conto di Boro.

 

1. Quando noi di ritorno dalla pesca ci riunimmo in casa – ed era circa un’ora dopo mezzogiorno – trovammo già pronto per noi un eccellente pranzo che Boro, ancora lui, aveva fatto preparare; per questa ragione egli non aveva partecipato alla partita di pesca. Era per lui una delle soddisfazioni più grandi, quando poteva trovare molti convitati ai quali offrire un banchetto, e aveva l’abitudine, in tali occasioni, di cucinare egli stesso all’aperto, coadiuvato dai suoi cuochi e dalle sue cuoche. Inoltre era anche abbastanza ricco come Kisjonah per poter fornire ogni giorno da mangiare e da bere i migliori vini ad almeno dalle sei alle settemila persone, essendo egli figlio di un greco ateniese ricchissimo che aveva anche in Asia vasti possedimenti, nonché parecchie piccole isole in proprio, in secondo luogo era l’unico erede di questi immensi possedimenti ed infine, poi, era il medico di gran lunga più abile di tutta la Palestina e la sua professione gli fruttava grosse somme d’oro e d’argento, specialmente con la cura delle persone altolocate e ricche. Viceversa, poi, una gran quantità di ammalati poveri ottenevano le sue cure e i suoi soccorsi del tutto gratuitamente, e per questo era decantato da questi come il più grande benefattore del paese.

2. Bisogna aggiungere che egli era celibe, non aveva né moglie né figli, però era una gran gioia per lui promuovere l’unione di giovani poveri con ragazze pure giovani e sane, largendo in tali occasioni oltre che parole di benedizione anche aiuti materiali. Ed è per questo che in quelle giornate egli era nello stato d’animo più splendido possibile, essendo intimamente persuaso che Io intendevo sposare sul serio la bellissima e tenerissima Sara.

3. Dunque, mentre noi tutti sedevamo, facendo lietamente onore alla mensa, egli Mi venne vicino e Mi domandò molto discretamente se a questo riguardo si sarebbe davvero addivenuti ad una felice conclusione.

4. Ma Io gli risposi: «Carissimo amico e fratello Mio! Io conosco molto bene il tuo eccellente e nobile cuore e so altresì benissimo che tu sei veramente e pienamente felice nella tua anima, soltanto allora quando hai potuto rendere felici gli altri. A te stesso non hai quasi mai pensato e poiché hai osservato che tra Me e la bellissima Sara c’è di mezzo un amore veramente notevole ed hai anche inteso stamani come si parlava di sposa e di moglie, nella tua anima lieta ha messo radice l’opinione che potesse essere imminente il matrimonio tra Me e Sara, la bellissima. Però devo dirti che sei lievemente in errore, poiché, vedi, quante donne vivono, sono vissute e vivranno su questa Terra, qualora conducano una vita pura e pia, sono tutte più o meno Mie spose e per la stessa ragione anche Mie mogli. Però una tale unione, con Me, per quanto intima, non è mai un ostacolo al loro divenire compagne di uomini onesti ed un rapporto del tutto necessariamente uguale corre appunto fra Me e la deliziosissima Sara. E così dunque essa può benissimo diventare tua moglie, pur restando in spirito, ora e per sempre, anche veramente Mia moglie! 

5. Ma Io la penso così: siccome tu hai già aiutato tanti galantuomini, per quanto poveri fossero stati, ad accasarsi con buone e brave ragazze, ciò che i giovani, com’è proprio della loro ardente età, hanno sempre ritenuto felicità somma, così Io intendo aiutare te, a Mia volta, nel raggiungimento di tale totale felicità! Ecco appunto Sara, questa bellezza veramente celestiale, Io l’ho destinata in moglie a te. Tu Mi hai difeso dopo la sua prima risurrezione e quando giaceva per la seconda volta sul suo letto di morte ed Io l’ho risuscitata la seconda volta e per te l’ho destinata quale meritato premio. Come essa è ora, tale essa sarà anche nel suo settantesimo anno, questa fanciulla non invecchierà mai su questa Terra. Guarda un po’ i due angeli con i quali Cirenio sta parlando, se sono così belli come essa. E dimMi sinceramente se non hai già più di una volta ammirato molto significativamente questa carissima fanciulla e se, facendo ciò, il tuo cuore non ha manifestato alcuna impressione!?»

6. Risponde Boro, alquanto imbarazzato: «Signore! Nascondere simili cose al Tuo cospetto, sarebbe un’assoluta impossibilità e per questo preferisco confessare apertamente, sì, Sara è l’unico essere sulla Terra che bramerei di possedere io stesso, piuttosto che aiutare qualcun altro a possederla. Io certamente ho più di trent’anni ed ella può forse avere sedici anni, ma il mio cuore sembra aver appena raggiunto questa ultima bellissima età. Tuttavia, se fosse possibile che essa diventasse mia moglie, io l’amerei molte volte di più della mia stessa vita!».

7. Sara, senza darlo a vedere, aveva seguito molto attentamente il colloquio e, quando questo fu terminato, Io la guardai e le chiesi se le fossero piaciute le parole scambiate tra Me e Boro, che era un uomo di bella presenza; lei arrossì molto, abbassò gli occhi e dopo un po’ disse: «Oh, ma Tu osservi proprio tutto! È vero che ho guardato il buon Boro, ma una volta sola, così, alla sfuggita, perché egli è tanto buono e servizievole con tutti»

8. Le dico Io, in tono un po’ più scherzoso: «Però, se non Mi sbaglio, nel tuo cuore tu l’hai guardato già più di una volta!»

9. Dice Sara, sempre più vergognosa e coprendosi la faccia con le mani: «Oh, Signore, Tu cominci davvero a diventare un po’ cattivello! Ma Tu sai sempre tutto, proprio tutto!»

10. Dico Io: «Suvvia Sara, vediamo. Se si trattasse di venire al concreto ed egli con tutto l’amore si presentasse e ti chiedesse di concedergli la tua bellissima mano, gliela rifiuteresti?»

11. Risponde Sara a questa domanda, gradevolmente confusa: «Ma se facessi così, come potrei poi diventare Tua moglie? Amare propriamente io non posso che Te, quantunque debba ammettere al Tuo cospetto che io ammiro ed apprezzo quanto mai il buon Boro, perché ritengo che dopo di Te egli sia senz’altro l’uomo migliore di tutta la Palestina e questo nonostante egli sia greco di nascita e sia soltanto da poco diventato ebreo, secondo la sapienza e non secondo la circoncisione»

12. Dico Io: «Orsù, la cosa si potrà però appianare! Riflettici su un po’ e guarda di fronte a noi Lidia, che è per sempre spiritualmente Mia moglie, ma tuttavia nel corpo è la moglie dell’onesto Fausto. La nostra relazione non è dunque di nessun ostacolo, perché tu resti come prima la Mia sposa e la Mia rispettiva moglie celeste»

13. Dice Sara, dopo un momento di riflessione: «Ma se anche mi piacesse concedere la mia mano al buon Boro, non so ancora cosa direbbero i miei genitori terreni. Bisognerebbe pure che io domandassi a loro il consenso! È ben vero che vorrei diventare la compagna del buon Boro già solo perché Tu vedi la cosa di buon occhio, ma è bene sapere anche quello che dicono mio padre e mia madre!»

14. Dico Io: «Ebbene, guarda un po’ lì, essi sono già stati interpellati e sono perfettamente d’accordo con Me. Bada però che Io non ti costringo assolutamente, la tua libera volontà resta integra!».

15. E Sara, sempre più imbarazzata, balbetta: «Signore! Questo sì che lo so! Ma ...vorrei certo, però... anche non vorrei...!»

16. Gli chiedo: «Che cos’è che non vorresti?»

17. Risponde Sara: «Ahimè, Tu mi metti ormai in un terribile imbarazzo! Oh, almeno non avessi mai guardato Boro, che pure è tanto buono!».

18. Le dico: «Ma tu non Mi hai ancora detto cos’è che veramente non vorresti? Andiamo dunque, Mia diletta Sara, fatti coraggio e dì questa cosa che propriamente non vorresti»

19. Risponde Sara: «Ma Signore, come puoi ancora domandarmelo? Tu lo sai già senza che Te lo dica, quello che non vorrei! Giochiamo agli indovinelli ed io Ti farò conoscere con un cenno leggero del capo cos’è quello che non vorrei».

20. Dico Io: «E va bene! Poiché lo vuoi, lascerò che tu indovini ciò che Io credo sia la cosa che tu non vorresti. Ascolta, dunque: tu certamente non vorresti che il buon Boro, qualora tu non gli concedessi la tua mano, se ne affliggesse tanto da farne una malattia!»

21. Allora Sara si alza di scatto, Mi batte con la mano sulla spalla e dice, con voce all’apparenza dolcemente in collera: «Eh, si chiama questo forse lasciare che uno indovini, quando subito . . . oh, quasi mi sfuggiva uno strafalcione!»

22. Dico Io: «Ebbene, sentiamola dunque questa verità!»

23. Rispose Sara: «Ebbene sia! L’hai già detto Tu: “Sentiamola questa verità”, ma è vero anche che non si chiama indovinare, quando con la verità si viene fuori subito!»

24. Dico Io: «Ecco, a Me non era sfuggito che per il Mio carissimo amico Boro i tuoi sentimenti sono un po’ differenti da quello che esteriormente volevi che noi potessimo osservare. Ma questa cosa è perfettamente nell’ordine voluto, poiché una giovinetta non deve lasciare trapelare che pochissimo dei suoi sentimenti, fino all’ultimo momento, quando scorge nel proprio cuore una inclinazione particolare per un uomo e soltanto allorché si  tratti di una cosa assolutamente seria, può rivelare lo stato del suo cuore all’uomo che vuole prenderla in moglie, altrimenti lo alletta prima del tempo e, qualora poi, com’è possibile, sorgano degli ostacoli, essa procura tristezza al cuore e turbamento all’animo dell’uomo! E tutto ciò è causa di grandi mali»

25. Dice Sara: «Ma, Signore! Così non ho già fatto io?»

26. Le dico Io: «No, carissima Mia Sara! E perciò anch’Io ho fatto le tue lodi e ti ho citata a modello. Ora però puoi ben far conoscere gradatamente al buon Boro quello che tieni nascosto nel tuo cuore, e che lo riguarda!»

27. Dice Sara: «Oh, io non glielo dico ancora! Ne avrò ben il tempo anche dopo, quando egli sarà il mio marito!»

28. Dico Io: «Ma se per esempio, per quanto posso entrare Io nella questione, potessi quasi dichiarare che egli è già tuo marito, cosa ci sarebbe da dire allora?».

29. Risponde Sara, lietamente sorpresa in cuor suo: «Oh allora, allora cosa ci sarebbe da dire? Ma allora, certo dovrei rivelargli tutto il mio cuore!»

30. Ed Io dico a Boro: «Vedi, com’è indescrivibilmente cara! Prendila, amala molto ed abbi cura di lei come di una delicatissima pianta, perché Io te la do come un meritato premio dai Cieli. Ed ora andate assieme dai genitori per riceverne la benedizione, poi ritornate qui da Me, che voglio pure benedirvi a Mia volta».

31. Boro, che dall’emozione e dalla gioia può appena articolare parola, Mi ringrazia come può e Sara si alza dal suo posto con tutta modestia ed esclama in tono lieto e commosso ad un tempo: «Signore! Soltanto perché Tu lo vuoi, io lo faccio, perché, se tale non fosse il Tuo volere, io avrei lottato contro il mio cuore, ma, poiché è così, anch’io Ti ringrazio per avermi concessa al miglior uomo che ci sia in tutta la Palestina!».

32. Poi ambedue si recano dai genitori della fanciulla, invocano la benedizione che viene loro impartita con grande gioia e ritornano subito da Me. Io allora benedico a Mia volta la loro vera unione valida anche per tutti i Cieli ed essi, con commosse parole, Mi rendono grazie.

33. E così avvenne che in questa occasione fu concluso un matrimonio tra i più felici che siano mai stati conclusi su tutta questa Terra, e da tutto ciò si può rilevare che quando qualcuno Mi offre qualcosa completamente in sacrificio, non la perde mai, perché Io gliela ridono invece accresciuta della suprema benedizione e ciò sempre quando meno se lo attende. Boro era perdutamente innamorato di Sara e per lei avrebbe dato tutti i tesori del mondo, qualora gli fossero stati richiesti, perché la sua meravigliosa bellezza, specialmente dopo la seconda risurrezione, era per Boro qualcosa di indicibile. E tuttavia egli l’aveva del tutto sacrificata a Me ed avrebbe voluto fare tutto ciò che era umanamente in suo potere per celebrare degnamente le Mie presunte nozze. E così altrettanto Sara provava un grandissimo affetto per Boro, eppure anch’essa Me ne faceva completo sacrificio ed era fermamente decisa ad appartenere a Me solo. Ma ad un tratto Io mutai la situazione e restituii ad ambedue quello che essi con tutto il cuore Mi avevano donato. Chi opera come questi due, lo tratterò come ho trattato quei due!

34. Questo ad istruzione di tutti coloro che leggeranno o udranno queste cose, perché, percorrendo queste vie, si può ottenere tutto da Me. Chi Mi sacrifica tutto, anch’Io gli sacrifico tutto, ma chi sacrifica in abbondanza e continua a tenere ancora molto per sé, a lui verrà ridonato soltanto ciò che avrà sacrificato. Ed ora ritorniamo all’argomento!

 

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Cap. 45

L’essenza interiore degli angeli.

 

1. Dopo questo solenne avvenimento, Cirenio venne nuovamente da Me e disse: «Signore! Io ho parlato riguardo a molte cose con i due angeli, però da tutto quello che ebbi occasione di udire da loro, non ho appreso niente di più di quanto ne avessi saputo già prima per la Tua grazia e bontà! Dunque, non ne è venuto fuori niente di nuovo. Ma quello che mi ha a dir poco meravigliato, è che i due giovinetti indicibilmente belli si mostrino in certo qual modo perfettamente freddi ed insensibili per tutto ciò che succede loro intorno! La loro bocca pronuncia bensì parole di profondissima sapienza, e il suono della loro voce supera in dolcezza la pura armonia di un’arpa eolica, dalla loro faccia sembra sorridere e irradiarsi una perfetta e fulgida aurora, il loro alito ha il profumo della rosa, del gelsomino e dell’ambra, i loro capelli sembrano oro purissimo e le loro mani, di un candore alabastrino, sono così armonicamente e graziosamente sviluppate che su questa Terra non saprei davvero a cosa paragonarle, il loro petto è, in proporzione perfettissima, simile a quello di una fiorente vergine e quale mi è stato di vedere una volta sola in una regione del Ponto ed altrettanto belli, formosi e splendidi sono i loro piedi; in breve, sarebbe da delirare d’amore dinanzi a questi due esseri! Però, malgrado tutte queste doti eccellenti che formano intorno a loro come un’aureola di gloria e che spirano amichevolmente amore, un amore che sembra ad ogni istante centuplicarsi, così da poter far sciogliere anche la pietra più dura, malgrado tutto ciò, essi sono così freddi e indifferenti come non lo è una statua di marmo nel pieno inverno! E questa constatazione mi rende quasi altrettanto freddo, come lo sono questi due angeli.

2. Certo essi non hanno assolutamente niente di ripugnante né nel discorso né nel gesto, però nulla li commuove né può rimuoverli dalla loro stoica indifferenza di fronte a tutto ciò che è e che avviene. Perfino sul Tuo conto essi esternano con profondità di sapienza, ma il loro parlare mi da la stessa impressione che mi darebbe l’udire leggere una lettera in una lingua che non si conosce.

3. Dimmi dunque come si spiega una cosa simile in questi due purissimi esseri celesti? È tale veramente il costume degli spiriti nei Tuoi Cieli?»

4. Gli rispondo Io: «Oh, no, questo assolutamente no! Ma questi si comportano qui in tale maniera per la ragione soltanto che in tale maniera si devono comportare. Essi del resto hanno per sé una volontà perfettamente libera ed un cuore riboccante di u amore tanto ardente che tu ne saresti consunto all’istante, qualora essi ti si rivelassero nella pienezza della loro fiamma d’amore!

5. L’uomo terreno può sì sopportare anche le supreme altezze della sapienza degli angeli, ma non già l’ardore del loro fuoco d’amore, a meno che egli, nel suo cuore, non sia giunto ad una tale potenza d’amore da eguagliare la loro.

6. Che la cosa sia veramente così, lo puoi già desumere molto facilmente dal rapporto naturalissimo esistente tra il fuoco terreno e la luce. Tu puoi ben sopportare la luce che si sprigiona dalla fiamma, ma puoi tu perciò sopportare anche la fiamma stessa da cui sprigiona la luce?

7. Il Sole è, per questo mondo, certamente il corpo che dà la maggior luce sopportabile ancora con tutto agio; quando con l’aumentare della luce si accresce anche il calore, allora sicuramente sarà più difficile tollerare la luce; ma potresti, con il tuo corpo, resistere come può fare un angelo dentro l’atmosfera solare luminosa e rovente ad un grado tale che non puoi nemmeno concepire? Io te lo dico: «Questa atmosfera solare distruggerebbe in un attimo tutta la Terra assieme ad ogni cosa che essa porta, così come il ferro riscaldato al calore bianco distrugge la goccia d’acqua che vi cade sopra!»

8. Chi vuol resistere in una tale luce ed in un tale fuoco, deve prima essere egli stesso luce e fuoco in pari grado! Ed ecco, appunto questa è la ragione per cui i due angeli non si possono rivelare a te nel loro amore, perché esso è troppo potente e ti distruggerebbe! Comprendi ciò?»

9. Risponde Cirenio: «Quasi quasi lo comprendo, ma qui a questo riguardo non vedo ancora proprio del tutto chiaro! Non riesco ancora a comprendere bene come un amore troppo intenso possa arrivare ad uccidermi!»

10. Dico Io: «Ebbene, anche questa cosa ti sarà, per quanto possibile, resa chiara; ascoltaMi dunque. Tu hai pure un figlio ed una figlia leggiadrissima. L’amore che provi per questi due figli ha in sé qualcosa di favoloso, anzi, il tuo cuore è pervaso da tanto amore che esso stesso non è in grado di giudicare il grado di potenza con cui ama le due creature, poiché è da esse a sua volta ardentemente riamato. Ora però forza la tua immaginazione e rappresentati come realtà l’eventualità tremenda che i due figli fossero morti e poi chiedi al tuo cuore se sarebbe capace di sopportare il dolore causato da una perdita simile. Vedi, soltanto per averti Io, come esempio, richiamato alla mente la possibilità di un tale fatto, già ora un terribile brivido di febbre ti scuote tutto. Ma cosa accadrebbe se questa supposizione divenisse realtà? Oh, Io ti dico, in verità, che da come Io conosco il tuo cuore, non reggeresti tre ore ad un simile strazio e ne morresti immancabilmente!

11. Ora ascoltaMi ancora: che cosa sono l’amore e la bellezza e la grazia dei tuoi figli, paragonati all’amore ed all’ineffabile dolcezza e bellezza e grazia di questi due messaggeri celesti!? Se dinanzi a te sfuggisse ai loro occhi anche un solo e lieve sguardo d’amore e ti dessero anche un solo dito da accarezzare, l’amore nel tuo cuore si potenzierebbe talmente che non potresti sopportarlo più di qualche istante e se poi gli angeli ti abbandonassero, sia pure apparentemente, il tuo cuore ne avrebbe tanta tristezza che dovresti morirne!

12. Infatti vedi, per quanto grande sia la bellezza di questi Miei due angeli prediletti, come essi appaiono dinanzi a te, essa è un nulla in confronto al fulgore inesprimibile di bellezza che rivelano essi quando sono interamente compenetrati dal Mio Amore nei loro cuori. Allora tutto quanto di leggiadro e di amore può offrire il mondo resta distanziato di eternità e letteralmente scompare! Ora credo che tu Mi avrai compreso bene!».

 

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Cap. 46

Del fattivo amore dei medici per il prossimo.

 

1. Dice Cirenio: «Sì, o Mio Signore e manifestamente mio Dio! Anche questa cosa mi è del tutto chiara: la loro apparente freddezza ed impassibilità sono sempre soltanto amore!

2. A questo riguardo mi torna alla memoria il mito di una vergine che per strane disposizioni delle forze naturali era di una bellezza e di una grazia indicibili. E subito quando la videro, sia giovani che vecchi scesero in lotta per decidere a chi essa avrebbe dovuto appartenere. Ma la schiera dei combattenti aumentava di giorno in giorno per la rovina dei combattenti stessi. E quando tutti si accorsero che con la lotta per la vita e per la morte non avrebbero mai potuto venirne a capo, i combattenti presero consiglio, per venire ad una decisione: questa creatura non è di questa Terra, bensì una dea del Cielo! Perciò qui dovranno decidere i sacrifici! A colui tra i molti offerenti al quale essa porgerà la sua mano bellissima, egli l’avrà, senza ulteriore contestazione, in sposa! E dopo aver concluso questo patto, furono recati tesori inestimabili da tutte le parti in sacrificio e si resero alla vergine onori divini. Ora l’adorazione di questa beltà andò alla fine tanto oltre che la venerazione e l’adorazione degli dèi fu completamente trascurata. Per questa ragione gli dèi si adirarono e conferirono alla bella vergine un’attraenza ancora maggiore, ma invece resero velenoso il suo alito, cosicché chiunque essa avesse colpito con il suo alito anche a distanza sarebbe caduto privo di sensi al suolo e sarebbe restato a giacere stordito per lunghe ore, oltre a ciò le posero sulla lingua un aculeo avvelenato e micidiale, con il quale essa poteva a volontà uccidere chiunque, a lei sgradito, si fosse avvicinato alla sua bocca.

3. Ma quando un giorno si presentò un giovane dalla figura bellissima e fiorente, allora improvvisamente il cuore della vergine si animò; ma cosa avrebbe dovuto fare lei per poterlo amare, poiché era certa di essere ardentemente amata dal giovane? Se avesse rivolto a lui la faccia, il suo amato sarebbe caduto stordito a terra; se l’avesse baciato, egli sarebbe morto! 

Essa perciò distolse per amore il suo sguardo dall’amato e si mantenne fredda verso di lui, affinché egli non si avvicinasse alla sua bocca. Dunque, affinché il suo diletto sfuggisse dalla morte, essa dovette amarlo con la maggior possibile apparente freddezza.

4. E così, similmente alla vergine di questo mito, anche questi due giovani amano gli uomini di questa misera Terra con la maggior possibile apparente freddezza; perché essi sanno molto bene che gli uomini non sopporterebbero l’ardente fiamma d’amore dei loro cuori celestiali?

5. Gli dico Io: «Sì, è appunto così, soltanto che naturalmente il loro alito non è velenoso e la loro lingua non ha nessun aculeo micidiale, bensì il loro alito rianima e la loro lingua è una benedizione per la Terra!»

6. Boro allora, assieme a Sara, Mi venne nuovamente vicino e Mi domandò che cosa avrebbe dovuto fare per dimostrarsi più grato, per l’immensa grazia concessagli, di quanto avesse fatto fino a quel momento per lui felicissimo.

7. Ed Io gli risposi: «DimMi tu, amico e fratello Mio, dov’è l’uomo che più di te Mi sia stato affezionato fino dalla sua fanciullezza? Già da ragazzo tu fosti il Mio compagno d’ogni giorno e facesti soltanto e sempre quello che leggevi nei Miei occhi esserMi gradito. Quando ogni anno andavi con i tuoi genitori nei loro possedimenti in Grecia e dopo alcune settimane facevi ritorno, ero sempre Io il Primo che tu visitavi e Mi portavi in dono ogni tipo di cose buone e belle e spesso anche preziose, e non ti adirasti il giorno che Io con un martello ruppi un piccolo tempio di Diana in argento, ricevuto in dono, e proibendoti per sempre di portarMi qualcosa di simile!

8. Quando divenni grandicello, e quasi nessuno badava più a Me, tu fosti l’unico a rimanere sempre uguale e, come tu sempre fosti, così sei oggi ancora e così resterai. E per questa ragione Io intendo con ciò di non averti fatto altro se non ricambiare un servizio di amicizia di cui ti ero debitore già da molti anni. Non farne dunque un gran caso; certo tu hai ricevuto in sposa la donna più bella, giovane e affettuosa e più desta nello spirito che vi sia, e Sara, dal canto suo, ha trovato in te l’uomo migliore, il più fedele e sotto ogni riguardo il più ricco e ragguardevole. Da parte Mia, non verrà mai in eterno a mancarvi la benedizione in ogni buona cosa e tu resti oltre a ciò come prima il medico migliore, non solo di questo paese, ma di tutto il mondo! E Io penso che così voi potrete vivere bene e felicemente.

9. Però non dimenticatevi mai di chi è veramente povero, e tu la tua arte di guarire tutte le malattie, che non può essere acquisita da nessuno su questa Terra con le proprie forze, non fartela pagare mai da nessun povero cittadino né meno ancora da nessun servo, e in nessun modo, né con denaro né facendoti rendere dei servizi né con cereali o bestiame!

10. Ma ai ricchi, invece, ai sensali e cambiavalute, ai mercanti e grossi possidenti, fatti pagare la tua arte secondo come si conviene, perché, chi possiede e vuole vivere, è giusto che di quando in quando faccia qualche sacrificio per la propria vita. Ci sono poi già a sufficienza poveri, a favore dei quali tu puoi devolvere quello che il ricco ha pagato per comperarsi la vita. 

11. Un medico come sei tu vende agli uomini la vita, che particolarmente per gli uomini del mondo è il bene più grande! E perciò è anche giusto che essi debbano comperarla sempre soltanto per denaro sonante e debbano in pari tempo essere lieti oltremodo che ci sia sulla Terra qualcuno dal quale si possa comperare la vita»

12. Infatti Io ti dico: «A questo mondo è arte veramente pura, un’arte veramente grande che nessun uomo del mondo può mai imparare, quella di guarire in un istante, in forza della parola della volontà e soltanto qualche volta con l’imposizione delle mani, tutte le malattie, dalla più acuta ossessione e da ogni genere di pestilenza fino al leggero raffreddore, e di mondare tutti i lebbrosi, di rendere la vista ai ciechi e l’udito ai sordi, di far camminare gli zoppi e gli storpi e oltre a ciò di annunciare ai poveri il Regno di Dio! Amico Mio, va’ e percorri il mondo intero e cerca, vedrai se ti sarà possibile trovare uno che sia pari a te! Io te lo dico: “All’infuori di te e di Me, non ce ne sono altri”.

13. Anche a Sichar Io ho suscitato un medico che può effettuare guarigioni importanti, ma egli non è capace di dire completamente addio ai suoi infusi di erbe e perciò ti è notevolmente inferiore.

14. Anche i Miei discepoli arriveranno tra qualche anno al tuo grado, non però tutti quelli che vedi qui.

15. Ma anche la Mia diletta Sara bisogna che faccia sua un’arte e precisamente quella di assistente al parto, poiché dinanzi a Dio è un servizio quanto mai apprezzato quello di assistere le donne durante il parto, che è sempre congiunto a molti dolori! E così voi due siete certamente tanto ben provveduti quanto non lo fu mai nessuna coppia reale.

16. E questo consiglio Io ti do ancora: quando un ammalato viene a te o quando tu vieni chiamato da lui, domandagli sempre con tutta serietà: “Credi che io posso aiutarti nel Nome di Gesù, il Salvatore dei Cieli?”. Se l’ammalato ti dice con pari serietà: “Sì, lo credo”, allora guariscilo, ma se egli dubita, non guarirlo finché non crederà che tu puoi guarire nel Mio Nome! Ora Io devo dire una parola anche a te, Giairo!».

 

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Cap. 47

Proposta a Giairo. Sulle cerimonie esteriori.

 

1. Dice Giairo: «Signore, parla, io udirò e farò anche secondo la Tua Parola!»

2. Gli dico Io: «Sì, così va bene, se farai come Io ti dirò, sarai felice ora ed in eterno. Dunque ascoltaMi:

3. “Tu attualmente sei un preside dei farisei e delle loro scuole in tutta questa regione di Nazaret, Cafarnao, di Cana in Galilea e di molte altre località, borgate e villaggi. Per questo motivo tu godi in Galilea di moltissima considerazione, addirittura non molto meno dello stesso sommo sacerdote a Gerusalemme.  Ma, vedi, tutta questa considerazione di cui godi non ha potuto salvare tua figlia dalla morte nessuna delle due volte, né meno ancora ha potuto risuscitarla, quando lei era completamente morta!

4. Dunque, deve esserti infinitamente chiaro che un simile alto ufficio non giova pressoché a nient’altro se non ad accrescere maggiormente l’orgoglio del detentore della carica e a rendergli una necessità gli agi della vita che sempre aumentano, ma, d’altra parte, a renderlo sempre più debole ed impotente nell’azione di vera utilità e di aiuto agli uomini, ed infine a farlo restare lui stesso senza consiglio e senza capacità di aiuto di fronte a chi ha bisogno dell’aiuto, poiché, se qualcuno non può o non vuole recare aiuto ad un altro che ha bisogno di un qualche aiuto, dimostra di essere egli stesso altrettanto derelitto quanto lo è colui che attende di essere soccorso.

5. Di conseguenza un alto incarico, e particolarmente il tuo, ha un’importanza assolutamente insignificante. Che diresti, dunque, se tu lo rimettessi nelle mani del sommo sacerdote di Gerusalemme e poi ti ritirassi presso il tuo nuovo genero, che certamente provvederebbe a te molto meglio e con maggior considerazione di quanto tu sia provveduto ora da parte della cieca Gerusalemme? Tu potresti gradatamente far familiarizzare sempre di più Boro con le Scritture in cui sei molto versato, ciò che sarebbe per lui di grande vantaggio ed egli in cambio potrebbe esserti di guida nella disciplina dell’arte medica. Io, però, non intendo darti con ciò un comandamento, e ti lascio libero di agire come vuoi. Se credi di non dover seguire questo Mio consiglio, la cosa non ti sarà imputata a peccato per questo”»

6. Dice Giairo: «Signore! In verità Tu non hai fatto che prevenire il mio intimo desiderio! Non è da adesso, ma è già da molto tempo che io desidero deporre il mio incarico oneroso; visto dunque che per quanto riguarda me, tutto appare tanto meravigliosamente disposto a mio favore, è mia intenzione mandare già domani un messo a Gerusalemme con la domanda di esonero dal mio incarico e con la contemporanea preghiera di volerlo conferire ad un altro! Di aspiranti a tali incarichi a Gerusalemme ce ne sono sempre in grande quantità, visto che per ottenerlo devono pagare al Tempio una decupla tassa, e così una simile domanda sarà senza alcun dubbio quanto mai gradita ai signori del Tempio, perché essi stessi fanno di solito la proposta, per chi abbia un qualche alto incarico, di rinunciarvi, visto che, appunto in questo modo, può venir offerta occasione ad un nuovo aspirante di rendere il Tempio più ricco di qualche centinaio di libbre d’argento o d’oro! Con gli incarichi, oggigiorno, a Gerusalemme viene fatto addirittura un commercio lucroso!»

7. Dico Io: «Oh, Io lo so meglio di qualsiasi altro che cosa succede ora a Gerusalemme! Là non si prende in considerazione che il peso dell’argento, dell’oro, delle pietre preziose e delle perle e mai dello spirito dell’uomo. Se tu fossi un profeta anche più importante di Mosè e di Elia e andassi nel Tempio e là cominciassi, quale profeta, a predicare, dopo poco tempo ti verrebbero assai presto mostrate le pietre maledette con le quali è stata lapidata la maggior parte dei profeti, ma se invece tu andassi fornito di diecimila libbre d’oro, saresti fatto oggetto di massimi onori! Porta davanti al Tempio un paio di buoi grassi e puoi essere più che sicuro che questi animali saranno loro più graditi di Mosè e di Elia. Ma ora lasciamo stare tutto ciò. Ormai non è più lontano il tempo che sarà apportatore della ben meritata ricompensa alla gente del Tempio ed a Gerusalemme tutta, poiché non molto più a lungo ancora si assisterà a questo abominio. Ed ora parliamo d’altro!

8. Che cosa si sente dire di Giovanni! È egli ancora tenuto prigioniero da Erode?»

9. Risponde Giairo: «Io non ho assolutamente sentito per nulla che egli sia stato rimesso in libertà! Però se Tu, o Signore, lo gradisci, domani sulla nota questione farò prendere esatte informazioni dal messo che invierò a Gerusalemme»

10. Dico Io: «Non farci nulla, perché Erode è una vecchia volpe, e il tuo messo potrebbe incontrare delle difficoltà, essendo galileo. Ma Io in spirito vedo ormai già qual è la situazione di Giovanni: dopodomani riceveremo notizie tristi che non saranno motivo di gioia né per Me né per nessun altro»

11. Allora Cirenio e Cornelio Mi domandarono se Io desideravo che anch’essi deponessero i loro alti incarichi.

12. Ed Io dissi: «Oh, per nulla affatto! I vostri incarichi sono di tutt’altra specie e sono necessari e di grande importanza! Fate in modo però che l’equità ispiri ogni atto nell’amministrazione dei vostri importanti ed alti in carichi e che ciascuno sia uguale dinanzi alla legge! E, come avete già appreso dalla Mia bocca, fate in modo che l’amore preceda sempre la legge e tenete sempre presente che il peccatore, perfettamente ignaro delle molte e complicate leggi dello Stato e indotto perciò fin troppo facilmente a trasgredirle, è egli pure un uomo che, come voi, è destinato alla vita eterna nel Regno di Dio. Se applicherete sempre in tal modo la legge, voi agirete come fanno gli angeli, che sono servitori di Dio appunto così come voi lo siete dell’imperatore»

13. Dice Cirenio: «Così vogliamo fare e così faremo! Ed ora dovremmo fare ancora una domanda estremamente importante e sarebbe questa: “Noi siamo, come Ti è ben noto, dei romani e per conseguenza, come voi dite, dei pagani (eretici). Dobbiamo noi, per quanto concerne l’esteriore, restare quello che siamo, cioè pagani, oppure dobbiamo abiurare pubblicamente il paganesimo e farci circoncidere?”»

14. Dico Io: «Né l’uno né l’altro, perché, chi come voi è già circonciso nello spirito per mezzo della fede e dell’amore a Dio, costui non ha bisogno d’altro e questo è del tutto sufficiente per il raggiungimento della vita eterna. Del resto, fra alcuni anni, verranno a voi i Miei discepoli colmi dello Spirito di Dio ed essi vi battezzeranno con lo Spirito di Dio e con ciò voi riceverete tutto quello di cui avete bisogno. Ora voi sapete tutto; la sera è ormai vicina e noi, essendo oggi una vigilia di Sabato, ci ritireremo a riposare un po’ prima del solito, per rispetto alle usanze dei giudei. E così oggi non avremo più nulla da discutere dopo cena».

15. A questo punto i due angeli Mi si avvicinarono con il più profondo rispetto, pregandoMi di poter rimanere ancora un paio di giorni visibilmente in Mia soave compagnia, essendo questa la beatitudine maggiore che essi abbiano mai provato!

16. Ed Io, rispondendo ad alta voce: «Voi avete da tempo immemorabile la più completa libertà e perciò potete fare ciò che vi aggrada, ma non dimenticate perciò la mansione che siete stati chiamati a compiere. I soli-centrali hanno bisogno di grandi cure e voi sapete bene quanti ce ne sono nell’infinito spazio di Dio!».

17. Rispondono i due angeli: «Signore! A tutto ciò è provveduto e lo sarà altrettanto continuamente in avvenire»

18. Dico Io: «Sì, certamente, Io lo so e perciò voi potete anche rimanere qui come desiderate, poiché il minimo di questi uomini che Mi stanno qui intorno vale di più di innumerevoli soli-centrali, secondari e planetari! I soli però sono fatti per amore degli uomini ed è per tale amore che essi devono essere sempre sorvegliati con la massima cura!». Allora gli angeli s’inchinano felicissimi, ritornano presso i Miei discepoli, con i quali continuano ad intrattenersi, fornendo loro spiegazioni molto importanti su svariatissime cose e questioni del mondo.

19. Boro frattanto si affretta a casa e dispone affinché una buona e ricca cena venga sollecitamente preparata.

 

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Cap. 48

Le questioni ereditarie di Giairo.

 

1. Terminata la cena che era durata una buona ora, Cornelio domandò a Cirenio: «Illustre fratello, cosa pensi? Dobbiamo restare qui ancora oggi o dobbiamo partire, forse per qualche eventuale affare importante che potrebbe attenderci? Io sono ligio ai tuoi ordini e obbedirò alla tua parola»

2. Rispose Cirenio: «Veramente io avrei dovuto partire già oggi di buon mattino, perché sicuramente vi sarà qualche faccenda urgente da sbrigare. Ma dimmi, chi mai potrebbe allontanarsi, sapendo chi c’è qui? Sarebbe già difficile staccarsi da un imperatore che ti dicesse amichevolmente: “Se vuoi restare, resta!”. Ma che cos’è un imperatore al paragone di Colui che è innegabilmente il Creatore del Cielo e della Terra e che sotto forma umana si trattiene fra i Suoi figli ed i Suoi angeli! Del resto una dilazione alla partenza hanno avuto anche i Suoi angeli, dai quali noi possiamo udire ed imparare moltissimo ancora! Per tutto l’impero romano io non vorrei lasciare questo luogo, venga quello che deve venire! Resta dunque anche tu, da parte mia hai tutto il permesso e se caso mai saltasse fuori qualche questione, la Terra non andrà di certo in rovina per due giorni di più o di meno! Inoltre, penso che presso questo Signore siamo molto meglio provveduti che non da parte di Roma. E se anche dovesse capitare qualcosa di urgente, l’Onnipotente ha nelle Sue mani mezzi sufficienti per appianare in un attimo anche le cose urgentissime»

3. Dice Cornelio: «Illustre fratello! Io sono senz’altro oltremodo contento di questa decisione e mi auguro di abbandonare questo luogo il più tardi possibile! Questa domanda l’ho posta se non per considerazioni d’ordine politico statale. Però, sotto certi riguardi, sarebbe forse buono e opportuno disporre per questa notte in città un servizio di spionaggio segreto, per mezzo delle guardie che abbiamo con noi, allo scopo di sapere che cosa eventualmente la gente pensi e che cosa dica riguardo alla nostra presenza qui»

4. Dice Cirenio: «Ammesso che al Signore sia gradito, possiamo sempre dare gli ordini necessari. Per mio conto però questa volta sono dell’opinione che anzitutto nel Signore e poi anche nei due angeli, noi abbiamo la fonte più fidata e più segreta d’ogni più esatta informazione e che non dovrebbe essere necessario ricorrere altrove finché siamo qui. Venuto il giorno che saremo nuovamente lontani da questa sacra Compagnia dei Cieli, allora purtroppo dovremo di nuovo far ricorso al servizio informativo segreto, per essere a conoscenza dei sentimenti della popolazione e per poter prendere le misure necessarie là dove si cominciasse ad avere sentore di cospirazioni contro lo Stato. Ma, come già detto, se al Signore è gradito ed Egli lo desidera, io sono pronto ad ordinare all’istante tutto quello che è necessario»

5. Allora dico Io a Cirenio: «Non dartene affatto pensiero, perché in primo luogo Io so già, dall’alfa all’omega, tutto ciò che in città si dice a nostro favore, oppure contro di noi. Considerata però la cosa nel suo insieme, non c’è pericolo di sorta, poiché questo popolo è anche per certe malignità fin troppo cieco e corto di intelletto. Dunque, potete essere pur tranquilli, dato che a Nazaret non avrà mai origine una qualche sommossa. Del resto il Mio amico Boro può egli stesso fungere da polizia segreta e fidatissima, perché non è facile che a lui sfugga qualche cosa, ciò che, del resto, non presenta certamente difficoltà, visto poi che la città non è tanto grande. Io potrei inoltre dire ai Miei angeli di incaricarsi dello spionaggio e voi potreste, per mezzo loro, apprendere in un momento più di quanto potrebbero apprendere e riferirvi in dieci anni i più astuti informatori, però, come ho già detto, qui non c’è bisogno né di una cosa né dell’altra e per conseguenza ce ne andremo a riposare senza pensieri di sorta. Soltanto Giairo dovrà ancora inviare a Gerusalemme un messo con la sua lettera di dimissione, perché domani avremmo da sbrigare tutt’altre questioni»

6. Dice Giairo, tutto rattristato di dover abbandonare la compagnia: «Signore! Non sarebbe possibile forse preparare qui il documento e mandarlo a Gerusalemme addirittura da qui, mediante un messo? Già la casa a Cafarnao, con tutto quello che contiene, è di mia proprietà; a noi sacerdoti non è concesso avere campi e terreni e così tutto quello che ho è in casa mia, come già Tu sai benissimo. Dunque per il momento non ho proprio nulla da fare a Cafarnao, né probabilmente avrò qualcosa da fare là neanche dopo; la mia casa con tutto quello che vi è contenuto la dono senz’altro al mio caro genero. Munito di un mio scritto, egli andrà lì e con l’assistenza degli organi giudiziari dello Stato prenderà tutto in suo pieno possesso, come farebbe un legittimo erede dopo la mia morte e in questo caso sia la mia presenza che quella di mia moglie sono perfettamente superflue. Per quello che riguarda i miei amici di Cafarnao, essi sono già qui e quelli che si dicono amici miei e non lo sono non valgono davvero una visita di congedo, perché sono soltanto amici di facciata, mentre nel loro cuore sono indifferenti completamente!»

7. Gli dico lo: «E va bene, rimani anche tu qui e così manderò al posto tuo a Gerusalemme uno dei Miei messaggeri che sono qui presenti; egli sbrigherà questa ambasciata prima di quanto potrebbe fare un tuo messo. Ma non più oggi, bensì domani che è Sabato»

8. Dice Giairo: «Vedi, la giornata di Sabato sarà di certo la meno adatta, specialmente nel Tempio, perché i sommi sacerdoti e gli altri principali sacerdoti a niente tengono tanto rigidamente quanto alla celebrazione del Sabato!»

9. Dico Io: «Lascia andare amico! Essi danno tanta importanza alla celebrazione del Sabato e sono così rigidi appunto perché così si presenta e necessariamente si deve presentare il più spesso possibile l’occasione di agire contro le disposizioni fissate. A ciascuno deve pur succedere spesso di dover fare una qualche cosa di Sabato e così i farisei hanno tanto maggiore occasione di prescrivere gravi penitenze ai profanatori del Sabato.

10. Porta però a quei tali, di Sabato, dell’oro o dell’argento quanto ne vuoi e vedrai come essi profaneranno il Sabato nel Tempio e con quale piacere accetteranno il tuo oro e il tuo argento. Dunque, non darti alcun pensiero per il Sabato del Tempio; il Mio messo sarà benissimo in grado di compiere la missione che gli affideremo.

11. Credi che sarebbe gradito ai farisei, se non ci fosse qualcuno che a causa di una qualche stringente necessità non profanasse di quando in quando il presunto giorno del Signore? Oh, noi possiamo essere più che tranquilli! Quante più profanazioni del Sabato si verificano, specialmente da parte dei ricchi, tanto più giubilano in segreto quei signori del Tempio!

12. Dunque, sia detto ancora una volta: “Non preoccuparti per questo!”. Il Mio messaggero sarà accolto domani a braccia aperte e perfino durante l’offertorio che ha luogo ogni Sabato, perché egli farà il suo ingresso nel Tempio con un lasciapassare consistente in buon oro sonante ed i farisei lo riceveranno perciò con l’espressione più amichevole e con le braccia più aperte di questo mondo, senza contare poi che ci sono già dieci aspiranti ad un posto di preside, per il quale offrono somme considerevoli. Così a questi, ma particolarmente alla gente del Tempio, le tue dimissioni saranno quanto mai gradite.

13. Ed il Sabato nel Tempio, durante la nota cerimonia, sarà dunque profanato e subito dopo si procederà alla assegnazione della carica di preside a Cafarnao, in modo che tu, al ritorno del messo, arriverai perfino a conoscere il nome del tuo successore. 

14. Ecco, così stanno ora le cose nella casa di Dio a Gerusalemme, città che viene anche chiamata la città di Dio, ma che oramai veramente non è che la casa di Satana. E adesso, poiché tutto è in buon ordine, andiamo a riposare, perché domani per noi farà giorno molto di buon’ora!».

 

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Cap. 49

Il congedo di Giairo. Il Signore nella sinagoga.

 

1. A questo Mio invito tutti vanno a riposare, soltanto i Miei fratelli, la madre Maria e Boro sono occupati in cucina a preparare tutto il necessario per l’imminente Sabato. Anche Sara e Lidia si danno molto da fare per aiutare Maria in cucina. Quando tutto è disposto in buon ordine, se ne vanno anche loro a riposare, però al mattino Maria, come al solito, è la prima ad alzarsi e, molto tempo prima dell’alba, sveglia coloro che devono aiutarla a preparare, prima che cominci il Sabato secondo l’usanza israelita, tutto quello che occorrerà per l’intera giornata. Boro è anch’egli occupatissimo e così, quando noi ci alziamo dai nostri giacigli, tutte le tavole sono già preparate per la colazione.

2. All’aperto c’è già chi saluta il mattino con il canto di salmi e ci sono pure numerose mense ben provviste di pesce, pane e vino in attesa dei convitati.

3. Allora noi ci rechiamo a colazione e, finita questa, Io mando il Mio messaggero a Gerusalemme per la nota faccenda. Frattanto Giairo aspetta con grande ansia il ritorno del messo, il quale naturalmente resta assente per quel tanto che è umanamente necessario, cioè il tempo occorrente a condurre a termine le trattative con la gente del Tempio. Ma siccome queste trattative erano durate circa due ore, il messo fu di ritorno appena dopo due ore circa, con grande soddisfazione di Giairo, portando, oltre alla notizia che la sua lettera di dimissione era stata lietamente accolta, anche un indirizzo di lode e di ringraziamento per i servizi fedelmente prestati nella carica fino allora tenuta e gli indicava contemporaneamente anche il nome del suo successore, con la preghiera di voler accordare a questi il suo aiuto e il suo consiglio, qualora venisse richiesto.

4. Giairo, lieto quanto mai per la pronta soluzione, Mi dice allora: «Signore, io ti ringrazio dal profondo del mio cuore per avermi così meravigliosamente salvato da un incarico, permanendo nel quale avrei dovuto finire con il diventare manifestamente preda di Satana, date le condizioni attuali in cui viene celebrato il servizio divino che sono assolutamente contrarie a Dio!»

5. Gli dico Io: «Ebbene, non ti avevo detto che, quando si tratta di affari brillanti per la gente del Tempio, il Sabato ormai può essere profanato anche durante l’offertorio ed a qualunque ora del giorno! Da ciò dunque puoi facilmente rilevare quanto quella gente ci tenga a Dio ed alle Sue sante leggi!

6. Ma adesso noi andremo, a causa del popolo, a visitare la sinagoga e là staremo a vedere cosa fanno e cosa insegnano i farisei. Però sceglieremo il nostro posto del tutto in fondo, affinché i superbi farisei e gli anziani del popolo non si accorgano tanto presto della nostra presenza»

7. Dice Giairo: «Io per altro non vi entrerò, perché ogni ragazzo mi conosce. Se, trovandomi nella sinagoga, io dovessi prendere il posto del preside nel presbiterio innanzi a tutti, la vostra presenza verrebbe svelata!»

8. Dico Io: «Non darti per questo alcun affanno, poiché, quando Io consiglio come si deve fare una cosa, tu puoi senz’altro procedere così come dico e tuttavia non ti verrà torto neppure un capello! Dunque, incamminiamoci tutti assieme». Dopo ciò ci mettiamo in cammino ed in breve tempo arriviamo alla sinagoga.

9. Quando vi entriamo, troviamo che è pressoché vuota e soltanto i farisei officianti riempiono il presbiterio. Poi, poco a poco, arrivano alcuni vecchi ebrei che si mettono a sedere nei loro banchi, per schiacciare là di tutto gusto il loro sonnellino antimeridiano.

10. Dopo l’offertorio e dopo un piatto borbottamento freddo e stantio delle leggi, di alcuni salmi in uso e del cantico di Salomone, un oratore sale in cattedra e comincia, con una voce molto roca, la seguente predica: «Miei diletti fratelli in Abramo, Isacco e Giacobbe! Noi ora viviamo in un’epoca di grande angoscia, quasi simile a quella durante la quale Noè costruì l’arca, nella quale egli, infine, per ordine di Jehova si rinchiuse assieme alla sua famiglia. Noi siamo ora sul luogo sacro del quale Daniele ha profetizzato ed assistiamo all’abominio della desolazione da lui predetta come gli schiavi incatenati di Megara, la strega pagana, dovettero assistere ai tormenti dei loro fratelli nell’atroce attesa di essere gettati pure essi nel metallo bollente e non possiamo muoverci né a sinistra né a destra! Noi ci troviamo qui così abbandonati, come un qualche tronco d’albero morto già da lungo tempo sulla vetta di un monte, prova evidente che pure in quell’alta regione un giorno esistevano dei boschi lussureggianti! Ma che cosa ci si può fare? Questa è la grande domanda! Una corona di diamanti a colui che è capace di trovare una risposta soddisfacente! Egli però deve ben riflettere sul nostro stato di prigionia aggravato da tutte le catene del mondo!

11. Da una parte ci sono i romani a pesarci sul collo, come tutto il monte Sinai e dall’altra c’è adesso il figlio del falegname, che da un rozzo qualunque quale era, cade ora giù come piovuto dal cielo, trasformato in un profeta di una potenza tale che nessuno di noi ne ha mai visto di simili dai tempi di Abramo in qua. Tutti gli corrono dietro, grandi e piccoli, giovani e vecchi! Se oggi Jehova scendesse di Persona sulla Terra, c’è veramente da domandarsi se Egli vorrebbe o potrebbe far cose più grandi! Egli guarisce ogni malattia a distanza in forza della sola Parola, Egli risuscita i morti dalle tombe e ridona loro una vita sana e perfetta! E così pure Egli comanda ai venti ed alle onde del mare ed è subito obbedito come il padrone dai suoi schiavi! Quando Egli parla, riluce dappertutto una sapienza profondissima e divina e ciascuno è soggiogato dalla potenza della Sua Parola e lo segue da una città all’altra. Bisogna ancora aggiungere che con Lui si sono schierati anche i potenti di Roma che sono pronti a servirlo con tutte le loro legioni, qualora ne avesse bisogno. Noi invece siamo proprio sull’orlo del più terribile abisso, cosicché possiamo da un momento all’altro esserne inghiottiti e non abbiamo più un solo mortale dalla nostra parte, ad eccezione di questi vecchi dormiglioni della sinagoga. Io domando ancora una volta: “Cosa ci resta da fare?”.

12. A che cosa ormai ci servono Mosè e tutti i profeti ed a che cosa Jehova stesso che ha parlato con Mosè e con i profeti, quando, da più di un secolo, ci lascia qui impantanati nella più profonda palude? E per quanto noi si gridi tanto forte anche da farci sentire fin sulle stelle, tuttavia non si fa vivo più nessun Jehova ed Egli ci lascia nella melma abietta, peggio di quanto possa fare uno sposo del tutto sventato con la sua sposa dieci volte sedotta! Noi per altro abbiamo in cambio ancora il diritto al titolo onorifico di “popolo di Dio”, mentre i presunti pagani, che in Dio non credono, godono tutta la considerazione e detengono tutto il potere e tutte le ricchezze del mondo, così come, secondo la Scrittura, era stato promesso da Jehova al Suo Davide, ciò che non ha mai trovato adempimento!

13. E con parole grandi e divine sta scritto: “Ed il tuo regno non avrà mai fine!”. Guardiamoci un po’ intorno e contempliamo il regno eterno di Davide! Oh, che bella menzogna di un profeta che lusingava il re Davide! Quante volte il regno di Davide ha già visto la sua fine! Egli stesso ebbe quasi l’occasione di persuadersene a fianco di suo figlio e se una quercia non fosse stata così compiacente da catturare suo figlio, il buon Davide avrebbe potuto strimpellare ancora 10.000 salmi al suo caro Jehova, e Assalonne sarebbe comunque assiso al trono! Però lasciamo da parte il passato e consideriamo com’è oggi il promesso regno eterno di Davide: Oh tu, bel regno, forse l’anima di Davide si è trasferita nei Cesari di Roma, il regno dei quali ha, almeno per ora in quanto a consistenza eterna, un aspetto di gran lunga migliore di quanto lo avesse il regno da lumache del grande uomo secondo il cuore di Dio!? Fratelli miei! Non vi è ancora chiaro fino all’evidenza che tutta la nostra vecchia dottrina è una pura favola nella quale non c’entrano altro che fantasie e finzioni dei tempi passati? E noi siamo ancora pazzi e ce le teniamo strette come se davvero ci fosse da acquistarne una qualche salvezza! Qual è quell’asino o quel bue d’uomo che vorrà tenersi ancora sul corpo un mantello vecchio e lacero, quando in cambio del vecchio può averne dieci nuovi confezionati con la miglior stoffa?

14. La storia e la stessa nostra esperienza ci dimostrano in modo così chiaro com’è la luce del Sole che in tutta la dottrina mosaica ed in tutti i profeti non vi è una qualche reale importanza, niente di più che un guscio di noce vuoto, eppure vi restiamo appiccicati con la nostra fame come ad una cosa perfettamente calcolata e sicura e per la nostra inveterata stoltezza non ci muoviamo dal posto,  anche se ci sentiamo già scorrere dentro l’acqua da tutte le aperture del nostro corpo, come il Giordano entro il Mar Morto!

15. Coraggio dunque, o fratelli, schieriamoci anche noi con il figlio del falegname e così saremo al sicuro, perché Egli fa, dinanzi ai nostri occhi, quello che gli antichi non hanno mai favoleggiato di Jehova e che, come noi, essi non hanno mai visto! Io credo di aver dato contemporaneamente una risposta alla mia grande domanda con questa mia esposizione delle cose; se voi farete così, allora ne avremo tutti immediatamente un vantaggio fisico e morale!

16. Roban, il nostro anziano, ci ha preceduti con un buon esempio, facciamo come lui e non sarà un errore per nessuno di noi! Forse è proprio questo falegname Gesù, finora poco considerato, la persona perfettamente adatta a ripristinare almeno per qualche tempo il regno di Davide, che altrimenti veramente pare destinato all’infelicità eterna! Infatti, data la sua incomprensibile potenza magica, con la quale nessuna altra forza al mondo può misurarsi, egli dovrebbe essere prima di ogni altro in grado di ispirare ai romani, molto superstiziosi, un tale rispetto da far spuntare ben presto alle loro potenti legioni le ali ai piedi, per fuggire!»

17. A questo punto insorgono gli anziani, gli scribi, i farisei ed i leviti e dicono: «Tu comprendi molto male la Scrittura se osi pronunciare un discorso così eretico nel quale, sotto un certo punto di vista terreno, sembra certo esservi qualcosa di valido, ma che nei riguardi dello spirito costituisce un vero delitto contro l’innegabile Maestà di Dio e noi, di conseguenza, ci vediamo costretti per la nostra salvezza a respingerti via dal nostro gruppo, fra i pagani!»

18. Risponde l’oratore: «Credete voi forse di punirmi con ciò? Oh, vi sbagliate di grosso! Se volete restare i soliti pazzi e come tali morire di fame, accomodatevi pure e restate nella vostra antica notte e nelle tenebre! O vecchi stolti, citatemi voi un esempio di un qualche predicatore che abbia mai richiamato in vita un morto nella sua tomba, come ha fatto questo nostro falegname!

19. Dicono gli anziani: «Questo lo farà Dio il giorno del Giudizio!»

20. Dice l’oratore: «Il vostro Dio ve ne farà vedere delle belle il giorno del Giudizio! Nessuno ha mai inteso che Jehova, come noi Lo conosciamo dalle scritture, abbia mai risuscitato un uomo da morte! Infatti l’uomo, giunto al limite della sua breve vita terrena, non ha altra visione che quella della morte certa ed eterna, l’angoscia s’impadronisce di lui e con l’anima triste comincia affannosamente a domandarsi: “Cosa sono io e dove vado, quando questa mia vita è terminata?”, Ora, siccome dei cosiddetti servitori di Dio, quali noi abbiamo il pessimo onore di essere e dei quali non c’è stata mai penuria, a consolazione dei molti che si facevano domande, e per i propri scopi dovettero pure escogitare qualcosa che infondesse un po’ di tranquillità a coloro che facevano domande con insistenza, si ricorse allo stratagemma della risurrezione nel giorno del Giudizio, giorno che molto probabilmente non sorgerà mai negli ampi cieli! E noi pazzi ragionanti continuiamo a farci abbindolare da simili speranze e restiamo perciò insensibili ai fatti ed agli avvenimenti reali e meravigliosi che si verificano davanti ai nostri occhi, al nostro naso ed alle nostre orecchie! Ma che debba proprio essere di tanta dignità per l’uomo il non potersi separare da vecchio da un simile poppatoio già tanto ammuffito?

21. Ma che cosa volete tentare di ottenere ancora con questo vecchio ciarpame israelita che, dato il presente sviluppo intellettuale dei popoli, non potrà reggersi nemmeno per mezzo secolo ancora? Non sarò certo io il pazzo che starà lì ad aspettare la fine di questa cieca dottrina, in cui non c’è altro che qualche storiella vuota di sostanza, oppure qualche nome o qualche favola, tutte improvvisazioni di balie per far star quieti i lattanti, che poi, divenuti adulti, hanno rafforzato il tutto e ne hanno fatto una favolosa dottrina di Dio, in cui non c’è affatto alcun sistema né una traccia sola di un qualche ordine logico, come usano dire i greci!

22. Come mai si può ammettere che Jehova non sia in grado di parlare e di insegnare almeno con tanta logica quanta ne può sfoggiare un qualunque disperato filosofo greco? Che se così dovesse proprio essere, bisogna allora che vada Lui a scuola dai greci prima di mettersi ad insegnare la verità, l’ordine e la sapienza ai Suoi popoli, che in fondo non sono poi tanto sciocchi!

23. Sia però lontana da me in eterno la supposizione che Jehova non possa essere più saggio di un profeta educato dalla propria bambinaia, il quale, nonostante tutta la sua stupidità, ha precisamente ancora tanto ingegno naturale da enunciare una dottrina talmente oscura che egli stesso per primo non comprende né può comprenderlo, ciò che veramente corrisponde appunto ai suoi piani, perché così, tanto meno, possono comprenderla gli altri! Dunque, non venitemi più fuori con il vostro Jehova! In verità, da uomo onesto quale sono, dovrei appena adesso cominciare a vergognarmi sul serio di essere stato seguace di una dottrina tanto disumanamente sciocca!

24. Se pure in origine c’era qualcosa di vero e di buono negli insegnamenti di Mosè, questo qualcosa è ormai tanto deformato e contorto dalla più abietta cialtroneria umana, che di tutto ciò a noi non resta altro che un nome, forse anche questo del tutto falsamente espresso 25. Di conseguenza io ho deciso ed oggi stesso io mi dichiaro discepolo di Gesù il falegname! Egli è buono e sicuramente non respingerà da sé un galantuomo, come fate voi!».

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Cap. 50

Discorso degli anziani sulle condizioni dell’ebraismo.

 

1. E gli anziani, pervasi da stupore per questa sortita dell’oratore, esclamano incolleriti: «Tu sei un negatore e un bestemmiatore di Dio! Non sai che, proprio secondo i comandamenti di Mosè, tu meriti di venire immediatamente lapidato qui nella sinagoga per queste tue gravissime bestemmie contro Dio? 

Come puoi osare di scuotere altri nella loro ferma fede e fomentare il dubbio sul conto di Dio e di Mosè solo perché tu questa fede non la possiedi?

2. Sei tu davvero di così poco intelletto da non poter comprendere che non c’è nessuna età alla quale possa giungere un uomo, la quale conceda a questi di acquistare di per sé un’esperienza che richiede migliaia d’anni e che così tutta la fede dell’uomo sarebbe limitata a quel poco di cui egli può essere testimone durante la sua vita? E perciò Dio, per mezzo del Suo Spirito, ha insegnato agli uomini i segni della Scrittura, affinché essi possano perpetuare con questi segni la storia di quello che hanno udito e che i loro successori difficilmente udranno e vedranno. Ciò andrà a vantaggio ed a guida di questi successori ai quali viene fornito così un corredo di salutari cognizioni che altrimenti non potrebbero acquisire da soli durante il breve periodo della vita, perché ogni tempo è apportatore di qualcosa di nuovo, come ce lo dimostra in maniera evidente l’esperienza dei pochi giorni che noi siamo destinati a vivere su questa terra, perché non vi è anno, né mese, né settimana e neppure giorno che sia perfettamente uguale ad un altro per quanto riguarda quello che vi accade! Indaga accuratamente nelle Cronache e noi ti diamo tutto quello che abbiamo se sei capace di indicarci un’epoca in cui si sia verificato esattamente quello che succede ora dinanzi ai nostri occhi ed ai nostri orecchi!

3. Ma se, come non si può negare, le cose su questa Terra si presentano così e non altrimenti, dove vuoi tu arrivare con le tue insensate e grossolane insinuazioni contro la Scrittura, che è patrimonio sacro dei nostri antichi padri lasciato a noi, quali loro successori e che ci narra in tratti chiarissimi tutto quello di cui essi, da uomini pii e devoti a Dio, hanno fatto esperienza e quali misure siano state prese in quel tempo affinché i loro discendenti potessero condurre una vita gradita a Dio più facilmente e con più ordine di quanto sia stato probabilmente il caso al loro tempo?

4. Credi che siamo proprio tanto stolti da non poter giudicare quello che avviene ora davanti ai nostri occhi? Oh, tu ti sbagli di grosso! Noi infatti mettiamo a profitto la sapienza dei nostri padri, che per molti anni hanno sottoposto ad un acuto esame ogni cosa prima di accettarla per come si è presentata!

5. Se i nostri antenati fossero stati tanto creduloni come te, essi non avrebbero lapidato i profeti. Ma quando vedevano che un vero profeta, anche sotto la micidiale pioggia di pietre, non smentiva minimamente le proprie enunciazioni, allora queste certamente assumevano un altro aspetto ed i padri le accoglievano come provenienti da Dio!

6. Ma se dunque i nostri padri procedettero con tanto rigore nell’accettazione di nuove proclamazioni della Volontà di Dio agli uomini mediante i profeti, è forse in qualche modo ragionevole ammettere che la nostra dottrina di Dio non sia altro che un abbellimento dovuto a dei giovincelli precoci, bonaccioni e burloni che si dilettavano all’idea di prendere in giro le generazioni future? 

7. Tu ci hai dichiarati pazzi e stolti, ma veramente è da porsi la domanda se eventualmente non sia proprio tu il vero pazzo fra tutti noi, perché il giudicare con tanto poco amore i propri fratelli, come tu hai fatto, non si addice ad un uomo della famiglia di Levi!

8. Se però con le tue pessime parole hai semplicemente voluto metterci alla prova per vedere se, in considerazione degli attuali straordinari avvenimenti, siamo rimasti ancora quello che da veri israeliti dobbiamo essere, in questo caso hai scelto un brutto modo ed hai finito tu stesso con il rivelarti profondamente dinanzi a noi come sei nel tuo cuore!

9. Infatti quando l’uomo è trascinato da un cieco zelo, è il momento in cui egli maggiormente si tradisce, allora egli rende testimonianza di quello che c’è nel suo animo e lascia libero corso alle sue idee favorite, ai suoi sentimenti ed alle sue passioni!

10. Invece l’ascoltatore tranquillo e sobrio pensa per conto suo ed ha con ciò il vantaggio di imparare e conoscere a fondo l’amico che ha di fronte.

11. Credi forse che noi non sappiamo come nella nostra dottrina divina, specialmente nella sua parte pratica, si siano annidati dei gravi abusi, che purtroppo velano Mosè ed i profeti non di rado in maniera molto peggiore di quanto una fitta nube temporalesca possa velare il Sole? Ma la Scrittura incorrotta e pura non può venire offuscata da simili nubi ed un vero studioso della legge conoscerà tuttavia sempre com’è o dov’è la verità pura.

12. Noi vediamo benissimo, come vedi anche tu, che questi abusi finiranno con l’uccidere negli uomini la pura dottrina di Dio, come il tarlo maligno corrode l’albero robusto, ma questo succederà soltanto negli uomini che ti somigliano, mentre la dottrina, in se stessa tuttavia pura, troverà in tutti i tempi i suoi seguaci puri e fedeli.

13. Non hai mai visto un albero sui cui rami abbiano posto radice una quantità di piante parassite e maligne, che traggono dall’albero stesso il loro nutrimento, per la rovina dell’albero e per il danno degli uomini? Ma il vero albero cessa per questo di essere quello che in realtà è?

14. Noi uomini, con i nostri sensi ottusi, non possiamo certamente penetrare i motivi di tali degenerazioni, eppure questo comprendiamo che queste non potrebbero sorgere se Dio onnipotente ed onnisciente non lo volesse. Per quale ragione devono esserci il leone, l’orso, la tigre la iena e tutti gli altri animali rapaci e feroci e perché accanto alla colomba mansueta deve esistere l’aquila vorace? Ecco, questi sono per noi, uomini della vista corta, dei misteri imperscrutabili e non possono da noi essere chiariti!

15. Un agricoltore lavora il proprio campo, tutto è prospero e ricco di buone promesse. Egli già si accinge ad ampliare i propri granai, affinché possano accogliere la benedizione del nuovo raccolto, ma ecco venire un giorno in cui d’improvviso si scatena un furioso uragano che in breve tempo distrugge tutto! Non si potrebbe in questo caso, ragionevolmente porre la domanda e dire: «O Dio, se Tu volevi che questo campo non desse il suo frutto al contadino, perché egli è forse un peccatore, tu avevi potere sufficiente in ogni caso per annientare già nel germe la benedizione della terra e così il coltivatore avrebbe risparmiato le spese e la fatica! Ora vedi, simili fatti accadono spesso dinanzi i nostri occhi, ma nessuno è capace di darne una spiegazione anche poco ragionevole!

16. Noi constatiamo ugualmente in pratica delle deviazioni nella pura dottrina di Mosè, tanto nel Tempio quanto fra gli aderenti a questo, dove più e dove meno vediamo i viandanti incamminarsi per false strade e vediamo altresì un’enorme quantità di vegetazione parassita abbarbicata all’antico albero della vita. Ma che colpa abbiamo noi, e che cosa possiamo fare? Noi certo non abbiamo fatto tutto questo, né abbiamo voluto che fosse così, invece l’abbiamo trovato così com’è e dobbiamo tollerarlo per quanta amarezza debba causare al nostro palato.

17. Ma non per questo al nostro spirito è posta qualche limitazione e non sussiste per noi alcun obbligo di accettare l’albero della vita assieme ai parassiti che vi sono appiccicati, come se fossero una e la stessa cosa. A noi resta l’albero nella sua originalità genuina e le formazioni postume vanno considerate per quello che sono e noi crediamo che a questo genere di sapienza della vita non ci sia Dio che possa fare obiezione. Dio sarebbe alquanto sempliciotto, se dicesse a ciascuno di noi singolarmente: “Va’ e distruggi il Tempio che ora è colmo di immondizia, perché Io, il Signore, ho in orrore i suoi abomini!”. Non avrebbe il singolo e debole uomo il diritto di replicare al suo Dio e dire: “Signore! Che cosa insensata chiedi mai a me, la Tua miserevole e debole creatura! Se la mia esistenza Ti dà noia, a Te non costa che un pensiero solo ed io non esisto più, ma domandare l’impossibile a me equivale al comandare ad una mosca di caricarsi sulla schiena un elefante e di portarselo via con la sola propria forza naturale!”.

18. Noi però crediamo che Dio sia troppo saggio per non vedere che non c’è uomo che possa nuotare contro corrente in un torrente in piena!

19. Ora dì pure se ti risulta chiaro che queste nostre parole sono ispirate alla piena verità e noi siamo disposti a perdonarti tutto quello che ciecamente e stoltamente hai detto contro di noi!».

 

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Cap. 51

Testimonianza di un oratore riguardo all’Arca dell’Alleanza.

 

1. Dice l’oratore, il quale, durante questo lungo rimprovero davvero molto opportuno, non aveva perduto un istante la sua calma veramente stoica: «Miei cari amici e fratelli! Tutto quello che mi avete ora esposto, lo so bene anch’io come voi, tuttavia devo per la prima volta in vita mia, stando fra voi, rallegrarmi per aver in questa occasione avuto la grande fortuna di apprendere che voi, appunto come me, non siete proprio degli stolti! Quello che avete detto è vero, ma non per questo è stata data ancora una risposta alla mia domanda. 

2. La cosa è precisamente così come voi avete detto, ciò che per mio conto vedo benissimo, nonostante io, con le mie motivazioni di apparente opposizione e con l’aria di provocarvi, abbia voluto solamente ottenere di farvi aprire la bocca. Ed ecco che infatti mi è riuscito di sentirvi parlare con me in tutta franchezza, per la prima volta dopo vent’anni che ci troviamo e che lavoriamo assieme.

3. Però né la mia né la vostra chiara visione delle cose attutiscono il male in cui manifestamente ci troviamo. Dunque c’è e resta l’importante e grave domanda: che cosa dobbiamo fare a cominciare da adesso?

4. Io, che sono il figlio di uno dei capi dei sacerdoti di Gerusalemme, cresciuto ed educato nel Tempio, so fin troppo bene cosa si debba pensare dell’Arca dell’Alleanza. Legno, argento e oro sono sempre quelli vecchi, ma la verga di Aronne, che dovrebbe essere sempre verdeggiante, è secca tanto da poter essere ridotta in polvere, le tavole della legge sono rotte, la manna esiste soltanto nella fantasia! E la colonna di fuoco dove se n’è andata? Dagli annali della Scrittura si sa che ad ogni profano sarebbe costata la vita, qualora avesse toccato l’Arca con mani non consacrate; ora invece si può girare intorno all’Arca e si può toccarla come si vuole, ma nessun fuoco distruttore esce da essa.

5. Se dei viaggiatori stranieri desiderano visitare l’antico miracolo, previo molto denaro e giuramento della discrezione, questo viene concesso, però sempre il giorno seguente a quello del permesso. Allora viene inscenata la colonna di fuoco, ma, nota bene, non sopra la vera Arca, ma sopra ad una simile fatta in metallo!

A quest’arca, nella parte superiore, nel mezzo, è applicata una tazza nera, però in maniera tale che, fissata nel coperchio superiore ed incassata in questo a perfetto livello, non può essere scorta così facilmente, tanto più che il sacro ambiente è tenuto completamente al buio e che la fiamma chiara e spessa favorisce l’illusione. In questa tazza viene versato del finissimo olio etereo-minerale, frammisto ad altri oli balsamici preziosi; la miscela viene accesa all’incirca un’ora prima e così arde con una fiamma alta sei spanne e rappresenta la colonna di fuoco.

6. Quando poi i curiosi hanno ammirato a loro piacimento questa interessantissima colonna di fuoco e manifestano il desiderio di vedere l’interno della arca, allora, sempre con accompagnamento di cerimonie e di vuote preghiere, il coperchio superiore, assieme all’alta colonna di fuoco, viene con ogni precauzione levato giù e posto su di un piedistallo dorato ed ai curiosi vengono mostrate le tavole mosaiche, naturalmente le nuove, come se fossero le antiche e così pure la manna, anche freschissima, una verga d’Aronne verdeggiante e tutte le altre cose che l’arca contiene.

7. Qualcuno fra gli spettatori ne riceve una grandissima impressione, altri invece, particolarmente i greci, escono dal Santissimo sogghignando di nascosto e infine dicono: «È uno spettacolo davvero ben presentato!» Soltanto che la grande maggioranza deplora che il rimanente del Tempio sia così sudicio.

Io vi dico che sarei disposto a scommettere una grossa somma sul fatto che mentre noi parliamo l’antica Arca è stata fatta sgomberare per sempre e oramai la nuova di metallo ha preso definitivamente il suo posto e la sua funzione.

8. Se voi però non volete credermi, travestiamoci per esempio da romani, andiamo a Gerusalemme, entriamo nel Tempio e comportiamoci da stranieri; vedrete come presto si troverà un’anima servizievole che ci domanderà minutamente da dove veniamo, cosa siamo venuti a cercare a Gerusalemme, quanto tempo abbiamo intenzione di fermarci nella “ Città di Dio”, dove poi ce ne andremo, se abbiamo oro o argento da vendere e se per caso desideriamo visitare il Santissimo in cambio del pagamento di una somma quanto mai modica! Allora noi domandiamo semplicemente il prezzo e si parlerà di qualcosa come cento libbre d’argento. Noi però rispondiamo che è troppo e che in generale non ci teniamo granché a vedere simili cose, ma che trattandosi di spendere forse una decina di libbre la cosa potrebbe andare. E così per dieci magre libbre d’argento entriamo tutti nel Santissimo, avendo prima fatto al rispettivo capo guardiano la solenne promessa di non rivelare mai, per nessunissima ragione a questo mondo, a nessuno mai, né nel paese dei giudei né in altro paese straniero per quanto lontano, di essere stati nel Santissimo! Questa promessa la facciamo senz’altro, e noi, quali pseudo-romani, veniamo introdotti nel Santissimo ed allora potrete persuadervi con i vostri occhi se una parola sola è menzogna di tutto quello che vi ho detto riguardo all’Arca dell’Alleanza!

9. E così, cari amici e fratelli, se come uomo di intelligenza un po’ più chiara uno ha visto tali cose con i suoi occhi nel Santissimo, luogo dove lui stesso in tali occasioni ha servito da aiutante scaltramente adoperato, allora per una persona onesta diventa certo poi una cosa amara per sempre quella di fare il mentitore e l’ingannatore vergognosamente prezzolato del popolo! Quante volte io riflettevo allora in me stesso e dicevo tra me: «Se quello che dovrebbe essere in modo assolutamente vivo il Santissimo – sul quale si basano l’intera dottrina di Dio e tutte le leggi – è una pura fandonia tenuta segreta, che cosa mai si deve ritenere allora di tutta la dottrina e di tutte le leggi? Io ora ho parlato, adesso parlate nuovamente voi; sono disposto ad ascoltarvi»

10. Dicono gli anziani: «Hai avuto il permesso di rivelare un simile segreto? E prima che tu venissi congedato dal Tempio come iniziato, non hai dovuto prestare giuramento di serbare in eterno il segreto su tutto ciò che avevi visto?»

11. Risponde l’oratore: «Certamente, ma ora mi prendo la libertà di non osservare più il giuramento sciocco, che per me non ha né può avere nessun valore ed anzi intendo rivelare a voce alta a tutto il mondo in qual modo esso viene ingannato! Del resto qui a Nazaret non guardiamo simili cose tanto per il sottile e così ci si può senz’altro arrischiare di violare un giuramento di questa specie, fondato sull’inganno, senza farsi degli scrupoli eccessivi». 

 

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Cap. 52

Il discorso di difesa degli anziani.

 

1. Dicono gli anziani: «Noi comprendiamo bene che sotto certi punti di vista tu hai ragione, ma in generale tuttavia no, e a questo riguardo ti manca un’esperienza di almeno vent’anni. È bensì vero che le cose nel Tempio stanno come ora tu dici, ma così non è sempre stato. Infatti, vedi, se il tuo pensiero non è superficiale ed inconseguente, devi necessariamente ammettere la verità di questo principio: se non vi fosse stata mai una verità ed una realtà, nessuno avrebbe mai potuto sognarsi di costruire il falso e l’irreale. Perché nel nostro tempo, ricco di manifestazioni di ogni genere d’arte, si vedono tanto spesso diamanti e perle false e così pure oro e argento falsi?

2. Sappiamo che i persiani tessono scialli finissimi e fabbricano le migliori stoffe che essi pure tingono, secondo un processo segreto, in colori che hanno una durata grandissima e perciò i loro prodotti sono quanto mai apprezzati. Se tu però te ne vai oggi al mercato a Gerusalemme, a Sichar o addirittura a Damasco, devi essere un abilissimo conoscitore di merci se vuoi evitare di comperare delle stoffe imitate e fabbricate certamente nei nostri paesi, dunque cattive e false, pagandole l’alto prezzo che si usa pagare per le stoffe persiane genuine. Ma che cosa se ne può dedurre?

3. Ecco, se non vi fossero mai stati un diamante ed una perla veri, mai oro e argento veri e puri e mai un’artistica stoffa persiana genuina, a nessuno sarebbe mai venuto in mente di farne delle imitazioni o delle falsificazioni! E se il vero e il genuino non avessero un così grande valore, anche in questo caso l’imitazione e la falsificazione non avrebbero alcun scopo, perché a nessuno salterà mai in testa di riprodurre un pezzo di calce, considerato che di calce genuina ce n’è in tanta abbondanza. Tu puoi dunque molto facilmente venire alla conclusione che mai sarebbe stata fatta un’arca falsa con una colonna posticcia di fuoco, se prima non fosse effettivamente esistita un’Arca vera, genuina e meravigliosa»

4. Dice l’oratore, che aveva nome Chivar: «Perfettamente, tutto questo è chiaro. Qui però sorge la domanda: “Ma cos’è mai accaduto che l’antica Arca dell’Alleanza è ora, per così dire, morta?”. Certo, essa esiste ancora e fa di quando in quando ancora la sua comparsa al posto della falsa nel recinto del Santissimo, vero è, per altro, che nel nostro tempo questo non avviene quasi mai, a motivo delle visite molto frequenti che vengono fatte nel noto recinto, perché, come si sa benissimo, ancora meno di trent’anni fa non era concesso a nessuno entrare nel Santissimo, eccettuato al sommo sacerdote, cui spettava la facoltà di sedere alla cattedra di Aronne ed anche a questi soltanto due volte all’anno, secondo la prescrizione di rito, soltanto in casi straordinari gli era lecito entrare nel Santissimo da tre fino a quattro volte in un anno.

5. Come mai è successo che il Santissimo sia rimasto tale ormai soltanto di nome, perché, a volerla dire giusta, è in fondo così poco Santissimo come lo è questa nostra sinagoga?». 

6. Dice un anziano, più esperto degli altri: «Quale possa essere stata la vera causa, non lo sappiamo né io né alcun altro iniziato in tutta Israele, soltanto questo è effettivamente certo: che, dopo l’assassinio del sacerdote Zaccaria avvenuto fra l’altare dei sacrifici e il Santissimo, la colonna di fuoco improvvisamente si spense e più non comparve, malgrado tutte le preghiere e le invocazioni.

7. Sperabilmente tu non avrai difficoltà a comprendere che però un fatto simile non lo si poté rendere noto al popolo, perché l’avvenimento non avrebbe mancato di suscitare appunto fra il popolo un’agitazione enorme, se si aggiunge anche la presenza dei romani nel paese! Un bagno di sangue e una devastazione sarebbero state le immancabili conseguenze!

8. Invece così, all’infuori di noi iniziati, nessuno in tutta Israele ne sa qualcosa, e questi galilei, che sono qui a sonnecchiare e che difficilmente possono udire quello che noi bisbigliamo anche se non dormissero e comprendessero, non farebbero niente, perché loro, dal primo all’ultimo, ci credono poco; essi sono più greci che giudei, e nella pratica già da lungo tempo si attengono al principio secondo cui una religione ci deve essere, almeno per tenere a bada il popolino, del quale così una minoranza più colta può con tanto maggiore facilità servirsi a proprio vantaggio ed è del tutto indifferente quale sia il mistero posto a fondamento di una religione.

9. Che cosa interessa ad un qualunque galileo se l’Arca è autentica o meno, se essa non perde il suo prestigio di fronte al popolo minuto che è molto superstizioso e facile ad essere illuso? Perciò qui a Nazaret, come a Cafarnao od a Corazin, si può parlare fra buoni conoscenti ed amici già più apertamente senza con ciò creare problemi; per quello poi che riguarda greci e romani, noi sappiamo bene con chi abbiamo a che fare!

10. E particolarmente per questi motivi è finito in prigione anche Giovanni che suscitava confusione a Bethabara, perché si temeva che egli, essendo figlio di Zaccaria ed incline a rendere assai poco buona testimonianza dei sacerdoti di Gerusalemme, potesse probabilmente sapere qualcosa dell’arca falsa e fosse tentato di rivelare tale cosa al popolo!

11. Per la stessa ragione viene perseguitato anche il falegname, perché, viste le sue evidenti facoltà profetiche, è senz’altro da temere che egli renda pubblica la cosa! Di conseguenza è meglio che tutto ciò continui a restare un segreto fra noi e non c’è bisogno che procediamo ad una liquidazione a così buon mercato!».

12. Dice Chivar: Questa è certamente una faccenda imbrogliatissima; se almeno non avessero sentito niente dei nostri discorsi quelli che stanno lì sotto l’ingresso principale!».

13. Dice l’anziano: «Oh, noi veramente abbiamo fra noi più borbottato che parlato e quelli laggiù avranno inteso ben poco od affatto niente! E poi, anche se avessero inteso, si tratta quasi esclusivamente di greci e di romani e non avranno compreso veramente di cosa si tratti».

14. Osserva Chivar: «Ma io ho visto fra di loro il figlio del falegname, Gesù, il Governatore Cirenio, Fausto ed altre persone conosciute!».

15. Risponde l’anziano: «Questa è gente contro la quale noi comunque non possiamo difenderci, è tutt’uno che essi l’abbiano inteso o no. Se vogliano rivelare al popolo i nostri malanni, non hanno affatto bisogno dei nostri discorsi, perché, senza alcun dubbio, già da lungo tempo, essi conosceranno anche senza di noi, quali siano le condizioni dell’arca nel Tempio, se poi non lo vogliono, non sarà di sicuro la nostra discussione a spingerveli e non occorre dunque che noi ci procuriamo affanni a questo riguardo. Soltanto sarà necessario fare attenzione che noi, quali iniziati, non ci lasciamo sfuggire niente della faccenda trattata in nessun luogo; se la cosa un giorno poi dovrà accadere, bisognerà prendere tutte le precauzioni possibili».

 

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Cap. 53

Chivar rende testimonianza delle opere e della vita di Gesù.

 

1. Dice Chivar: «In verità, io devo lodare la vostra saggezza. È già molto tempo che noi viviamo e lavoriamo assieme, ma finora non mi si è mai presentata l’occasione di conoscere bene voi, miei compagni, come è accaduto oggi ed è per me causa di speciale compiacimento il sapere che ho al mio fianco degli uomini e non degli ottusi servitori del Tempio. Nonostante tutto ciò l’apparizione del falegname è e resta il fenomeno più straordinario che il senso umano abbia mai potuto percepire da che l’uomo è comparso sulla Terra! Adamo, con tutte le sue esperienze e le sue storie, scompare! Enoc si classifica tra i poveri in spirito; Abramo, Isacco e Giacobbe, Mosè, Aronne ed Elia sono dei poveracci rispetto a noi! Un giorno solo è ora apportatore di più cose meravigliose ed inaudite di quante ne abbiano potute sperimentare tutti i nostri progenitori e padri!

2. Io stesso mi sono assunto la funzione di osservatore segreto e ieri, come pure oggi, ho potuto vedere un po’ alla larga tutto quello che si è svolto dentro e fuori della casa del vecchio Giuseppe. Io ve lo dico: “Niente altro che miracoli uno dopo l’altro!”. Due angeli perfetti ed in forma visibile Lo servono! La moglie di Fausto si trova a Cafarnao, il falegname vuole che anch’essa sia presente alla mensa, però ci sarebbero volute quattro ore per farla venire da Cafarnao a Nazaret. Ma cosa succede invece? Il falegname fece un cenno ai due, che non possono essere che degli angeli, allora essi scomparvero e dopo poco tempo ricomparvero conducendo con loro la bella Lidia, felice e serena, moglie di Fausto! Cosa ne dite voi? Questo è certamente molto di più di quanto noi possiamo comprendere!».

3. Chiedono gli anziani: «Che altra cosa hai visto ancora?»

4. Risponde Chivar: «Voi conoscete bene la figlia di Giairo e sapete pure che essa morì due volte e la seconda volta rimase perfino sepolta per qualche giorno, ma quello che non sapete è che la bellissima figlia di Giairo è diventata la moglie di Boro. Non è veramente una cosa inaudita che una giovane morta due volte vada sposa ad un uomo e che lo sposalizio avvenga in circostanze tali quali mai si sono verificate a questo mondo? Infatti, quando il figlio del falegname si accinse ad impartire loro la benedizione, essi videro i cieli aperti ed innumerevoli schiere di angeli apparvero inneggiando a Dio affinché concedesse tanta grazia ed onore agli uomini di questa Terra! Quando poi la coppia fu benedetta ad un cenno visibile del falegname si richiusero i cieli e non rimasero che i due angeli, com’erano prima e come potete vederli qui nella sinagoga in piedi, vicino alla porta, nella figura di due giovinetti di celestiale bellezza! Osservateli e dite voi se la loro patria può essere un’altra che non sia unicamente il Cielo!

5. Ma se le cose non si possono vedere da un altro lato che non sia questo, meraviglioso, ciò che nessuno di voi può negare, perché non dovremmo considerare il figlio del falegname per qualcosa di superiore al solito discepolo degli esseni, che Egli non può mai aver frequentato per la ragione che, a quanto mi consta, non si è mai allontanato da questi dintorni, tranne un paio di volte per recarsi con il padre e con i fratelli a Gerusalemme e, così credo, una volta a Sidone per costruirvi una casa, mentre del resto non si è mosso mai dalla sua città.

6. Benché si sappia che Egli fu sempre un lavoratore silenzioso e solitario e che talvolta Lo si ritenne perfino un po’ scemo, si sa però anche che dalla Sua nascita, fino circa il Suo dodicesimo anno, Egli fu il protagonista di avvenimenti straordinari, pare che pure la Sua nascita sia stata accompagnata da manifestazioni del tutto meravigliose, secondo quanto ebbi, non molto tempo fa, occasione di apprendere dal centurione romano Cornelio, durante una festività a Cafarnao!

7. Ora, se le cose stanno in questi termini, io domando seriamente se si debba ancora esitare a considerare questo Gesù, almeno un Figlio di Dio. Infatti le cose quali sono quelle che Egli compie e gli ordini che Egli impartisce agli angeli che obbediscono ad un solo Suo cenno, inducono evidentemente a dedurre che dietro a questo Gesù debba celarsi una pienezza dell’originario Spirito di Dio!

8. Ma se è così, come lo dimostrano le Sue opere ed i Suoi insegnamenti, io non posso fare a meno di domandarmi per quale ragione noi persistiamo nel nostro attaccamento all’arca morta, mentre quella vivente si manifesta e opera qui dinanzi ai nostri occhi? Noi possiamo, apparentemente, restare quello che siamo di fronte al popolo, per non dar troppo nell’occhio, però nel nostro cuore dovremmo noi tutti fermamente confessarci Suoi seguaci!»

9. Dice l’anziano sapiente: «O in tutto o in nulla! Infatti se la Divinità è in Lui, questa aborrà qualsiasi mezza misura, e se questo non dovesse essere il caso, è sempre meglio restare presso l’arca morta con almeno il ricordo vivente del suo precedente miglior stato, piuttosto di accettare qualcosa di cui non si conosce la ragione!»

10. Dice Chivar: «Di conseguenza, dunque, esamineremo la questione per riguardo a voi, per quanto mi riguarda, non c’è più bisogno di esaminarla. A me è tutto perfettamente chiaro e so con tutta esattezza quello che faccio seguendoLo»

11. Osserva l’anziano: «Ma credi tu che il Tempio lascerà fare, quando vedrà una località dopo l’altra staccarsi da esso, come la frutta matura da un albero? Io sono dell’opinione che il Tempio non attenderà a lungo e poi si vedranno i suoi sacerdoti andare dappertutto in missione punitiva! Ed allora guai a tutti coloro che l’avranno abbandonato; essi saranno aspramente tormentati in ogni maniera! Più a buon mercato ancora dovrebbero cavarsela coloro che hanno accolto le dottrine dei sapienti della Grecia, mentre i discepoli di Gesù non sono né completamente ebrei né meno ancora greci, una parte di essi però dovrebbe essere a conoscenza delle condizioni pessime ed anzi del tutto vuote del Tempio e dei suoi sacri misteri!

12. Io ve lo dico: “Niente contribuirà tanto a suscitare nella gente del Tempio un’agitazione maggiore, naturalmente celata e perciò tanto più pericolosa per noi, quanto la comparsa profetica di Gesù e dei Suoi discepoli! E questa agitazione sarà poi un incentivo a ricorrere a tutti gli artifici di Satana per combattere e guastare una dottrina che evidentemente non può mancare di portare il Tempio a completa rovina”.

13. O non avete voi saputo come i templari l’anno scorso hanno agito con un greco, che aveva divulgato fra il popolo la voce che essi oramai accettavano come offerta nel Tempio anche monete d’argento e d’oro di conio romano, mentre a tale scopo sono destinate unicamente le monete di Aronne e, all’infuori di queste, non dovrebbe venir mai accettato altro denaro? Ecco, lo hanno adescato nel Tempio con la promessa di lauti guadagni e quando in questo modo lo ebbero nelle mani, dentro il recinto del Tempio, venne spedito all’altro mondo in una maniera di cui la cronaca non ebbe a citare finora esempi! È necessario dunque usare estrema prudenza e dobbiamo perciò diventare addirittura greci e soltanto dopo, come tali, unirci ai discepoli di Gesù con il corpo e con l’anima, oppure dobbiamo restare interamente quello che siamo, perché facendo le cose a metà in nessun caso ne avremo vantaggio!»

14. Risponde Chivar: «Ancora una volta hai ragione, nella misura in cui c’entrano le considerazioni dell’accortezza mondana, però, detto schiettamente fra noi, se Costui, che all’apparenza è un falegname, fosse appunto il promesso Messia e quindi – come Lo chiama Davide con la più profonda venerazione – Jehova stesso, dovremo forse anche in questo caso diventare Suoi discepoli per vie contorte e giocando d’astuzia, oppure non dovremo piuttosto schierarci subito sotto la Sua celestiale insegna, gettando dietro di noi ogni timore di qualsiasi artificio di Satana, già per la ragione che noi possiamo, per mezzo Suo, essere perfettamente certi di una vita eterna, anche se ciò dovesse costarci questa misera vita terrena che ha così poco significato e che è di tanto breve durata!?».

15. A questa proposta di Chivar tutti restano interdetti e non sanno più quale decisione prendere.

 

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Cap. 54

Il consiglio degli angeli ai templari convertiti.

 

1. Allora i due angeli si avvicinano a loro e dicono: «Chivar ha parlato bene da una parte e tu anziano hai pure ragione, in quanto si deve essere di Dio interamente, poiché Dio aborre qualsiasi mezza misura! Noi però, quali Suoi testimoni dai Cieli, vi diciamo: «Non temete coloro che non possono nuocere alle vostre anime, ma temete piuttosto Colui che è il Signore di ogni vita nel Cielo e sulla Terra! Senza di Lui non esiste vita alcuna né in Cielo né in Terra e perciò da parte nostra, Suoi veri testimoni dai Cieli, vi sia dato il consiglio di fare così come vi ha suggerito l’amico Chivar»

2. Dice l’anziano: «Chi mai siete voi, o soavi creature, che dinanzi a noi vi dichiarate “testimoni dai Cieli”?»

3. Rispondono i due: «Chiedi a Chivar, che ha visto come noi abbiamo condotto da Cafarnao la moglie di Fausto ed egli vi dirà chi siamo noi!».

4. Esclama l’anziano: «Se è davvero così, non c’è più niente da pensare e da discutere e nient’altro da fare che voltare le spalle al Tempio!»

5. Dicono i due: «Non così, cari amici, perché il Signore è l’equità stessa in tutte le cose. Se voi Lo seguite nel vostro cuore, se avete una fede viva in Lui e se credete fermamente che soltanto in Lui trova adempimento la Scrittura ed in gran parte lo ha già trovato, voi fate abbastanza. Però, per quanto riguarda tutto il rimanente, potete restare quello che siete, affinché i servitori del mondo e del demonio, dei quali il Tempio è zeppo, non vengano destati innanzi tempo! Insegnate al popolo Mosè ed i profeti e promuovete l’osservanza dei veri comandamenti di Dio, ma nell’osservanza dei mondani precetti del Tempio, comportatevi come l’acqua tiepida: così facendo voi sarete qui Suoi veri discepoli, come lo sono coloro che Egli ha chiamato e scelto fra i pescatori».

6. Fra due giorni vi sarà destinato da Gerusalemme un nuovo preside, il quale da principio vorrà farsi vedere ligio quanto mai al Tempio, più tardi però si mostrerà facilmente trattabile e per denari accorderà dispense, una dietro l’altra, perché egli stesso non crede affatto nel Tempio e voi avrete con lui facile gioco. Giairo, però, si è già messo a riposo e vivrà in casa di suo genero. Badate però di non raccontare al nuovo preside tutte le meraviglie che sono accadute qui!

7. Dice Chivar in tono profondamente rispettoso: «O servitori di Dio, dal Regno della Luce e della Vita eterna, è certo molto bene fare così come voi, secondo la grazia del Signore, ci avete consigliato, ma per quanto riguarda me, io vorrei pure andare un po’ più avanti. Come sarebbe se io personalmente passassi del tutto fra i discepoli come discepolo io stesso?».

8. Rispondono i due: «Ogni uomo di questa Terra è libero e può fare quello che vuole e può credere e parlare secondo la sua volontà, ma se a qualcuno, com’è ora il vostro caso, viene da parte del Cielo concessa la grazia di un consiglio, egli fa bene se lo ascolta, poiché per i discepoli che ora stanno sempre presso il Signore verranno ancora i tempi aspri della tentazione ed essi,  come nello spirito, così anche nel fuoco dovranno affermarsi ed allora molti diventeranno deboli e si allontaneranno. Voi però percorrerete la via più facile e potrete raggiungere in piena pace quella Meta cui i discepoli non perverranno che fra grandi angosce e persecuzioni. Ora tu, o Chivar, puoi fare come vuoi, ma per te tuttavia è meglio se resti quello che attualmente sei!»

9. Dice Chivar: «Ebbene, io resterò quello che sono, ma finché il Signore si fermerà qui sarebbe mio desiderio stare presso di Lui per udire e vedere l’una o l’altra cosa! Posso fare ciò?»

10. Dicono i due: «Oh, questo certo puoi farlo, quantunque il Signore non parlerà molto più qui né ancor meno farà qui cose particolari, perché in questo luogo gli uomini in generale non hanno nessuna fede e considerano il Signore un maestro di magia. Ma voi avrete sufficiente occasione di suscitare man mano in questa gente migliori idee e sentimenti a tale riguardo, e il Signore non vi riterrà certo la ricompensa per le vostre fatiche. Questa sera anche Roban sarà di ritorno fra voi e vi recherà testimonianze importanti sul conto di Gesù, il Signore. Voi avrete in lui una guida molto prudente e saggia, perché Roban è fra voi uno degli spiriti più forti». Dopo queste parole i due angeli si allontanarono e si riunirono alla nostra compagnia.

 

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Cap. 55

Il rapporto dei popoli con i loro governanti.

 

1. Allora prende la parola Cirenio e Mi chiede se fosse ormai consigliabile sciogliere quei farisei, anziani leviti e scribi, secondo la sua opinione completamente convertiti, dai vincoli delle dure leggi da lui emanate nei loro confronti.

2. Gli rispondo Io: «Quando si ha l’autorità di fare le leggi, mai si deve emanarne una nuova troppo precipitosamente, ma quando una legge è emanata, ancora meno affrettatamente è bene che la legge emanata venga abrogata, poiché in questo caso il consiglio dell’esperienza deve indicare cos’è giusto e opportuno. Vedi, se tu emani una legge nuova, ti rendi nemici tutti coloro a carico dei quali la legge è data, ma se tu abroghi la legge stessa, nessuno te ne sarà grato, ti si taccerà di debolezza e si andrà dicendo con aria di trionfo: “Eccolo qui il tiranno! Siccome ha visto l’immenso numero dei suoi nemici, egli ora vorrebbe rientrare nel favore del popolo, abrogando d’improvviso la dura legge con cui aveva voluto colpirlo!”. Ma di amici ne troverà pochi, se non affatto, fra il popolo, perché quando uno ha la stoffa del tiranno, se egli una seconda volta giunge al potere, diventa per la seconda volta un doppio tiranno!

3. E perciò, volendosi abrogare una legge data, è meglio lasciarla cadere il più silenziosamente possibile e se si verificano delle trasgressioni, si usi indulgenza e non eccessiva severità nelle sentenze, se poi un altro reggente assume il potere,  allora questi è libero di abrogare del tutto le leggi emanate dal suo predecessore e di prescrivere altre leggi più miti, conformemente allo spirito del popolo, a meno che non accadesse che essi stessi venissero e te ne pregassero; in questo caso certo tu puoi dichiarare fuori vigore la parte più rigida della legge emanata, sempre però con la riserva di reintegrare la legge nella sua piena severità originaria, qualora dovessero manifestarsi dei sintomi maligni, precursori di ostilità alla buona causa che con la legge si aveva in animo di tutelare.

4. Ecco, questa è la prudenza cui ogni reggente deve ispirarsi nel guidare i popoli a lui dipendenti, se egli davvero vuole che il suo regno sia felice! Ed un reggente docile e fiacco dovrà ben presto venire alla constatazione sempre triste che egli non avrebbe dovuto, per troppa condiscendenza, lasciarsi sopraffare dal popolo!

5. Infatti i popoli stanno al loro reggente nello stesso rapporto in cui i figli stanno ai genitori. Genitori severi ed in pari tempo saggi avranno anche figli buoni, obbedienti e premurosi che li ameranno ed onoreranno, mentre i genitori deboli e troppo condiscendenti saranno ben presto sopraffatti dai loro figli, i quali poi finiranno un bel momento con il cacciarli fuori di casa.

6. L’amore congiunto a serietà e saggezza è una legge eterna; chi così agisce non sbaglia mai ed un giorno raccoglierà i frutti squisiti e preziosi della sua opera. Mi hai compreso perfettamente?»

7. Dice Cirenio: «Sì, o Signore, proprio perfettamente e tale cosa si è verificata sempre in questo mondo. Un reggente troppo buono e condiscendente è ben presto spacciato, però anche un reggente troppo severo e dispotico non dura troppo a lungo, dunque io concludo che nel mezzo, fra i due sistemi, stanno la sapienza, la felicità e la sua durata!»

8. Dico Io: «Sì, certamente così è, e come Io ti ho già detto la via di mezzo è sempre la migliore. Ora però facciamo ritorno a casa, perché il pomeriggio è già molto inoltrato»

9. Domanda Cornelio: «Ma Signore! Questi vecchi non accennano qui a finirla con la loro dormita; ma non potrebbero piuttosto restare a casa loro per festeggiare in questo lodevole modo il Sabato? Almeno non annoierebbero gli altri presenti con il loro russare così fragoroso, come fanno! In verità c’è da scappare via in tutta fretta dinanzi a questo fenomeno sgraditissimo fra i tanti! Io sono capace di sopportare qualunque rumore o schiamazzo, ma quando uno dormendo russa, per me è una cosa disperante!»

10. Gli dico Io: «Via via, lascia andare, fintanto che russano, non peccano, anzi, è perfino meglio che essi abbiano russato finora, perché, se fossero stati svegli, avrebbero udito più di una cosa atta ad attizzare lo scandalo nei loro animi, e ciò non sarebbe stato buono, ma siccome hanno dormito molto profondamente, così non hanno né visto né udito niente e perciò non si sono scandalizzati. Ora, vedi, questo è molto buono. Ma adesso andiamocene e lasciamo che questa gente seguiti a dormire. 

11. Allora accennammo a dirigerci verso l’uscita della sinagoga, però i farisei e gli anziani ci precedettero in fretta e, giunti alla gran porta che era aperta a metà, spalancarono completamente il gran portone ed esclamarono: “Signore, così sta scritto: ‘Alzate le porte ed allargate i portoni, affinché il Re di gloria entri!’.

Ma Chi è questo Re? Egli è Jehova Zebaot, il Quale sia da noi tutti lodato, celebrato e onorato da eternità in eternità!”»

12. E Cirenio dice loro in tono amichevole: «Sì, così è e così sia in eterno! Sia il Signore sempre con voi!»

13. Ed essi esclamano: «E con lo spirito tuo pure, affinché, come Egli, tu voglia usarci grazia, perché le tue leggi ci hanno oppressi gravemente più della morte, ma, essendo noi stessi oramai diventati interamente Suoi discepoli e considerato che noi stessi volonterosamente e fattivamente ci addossiamo le tue leggi, queste stesse dure leggi per noi è come se non esistessero. Tuttavia, appunto per queste leggi, noi dobbiamo ringraziarti, perché senza di esse saremmo potuti arrivare con facilità al punto di tradire questa causa santissima! E perciò, anche, non ti preghiamo più di abolire le tue leggi severe, perché ormai uguali a te siamo nel pensiero, nella fede e nell’azione, e perciò noi ora le aboliamo per tutti i tempi dei tempi fino all’ultima lettera, in forza della nostra libera volontà d’azione secondo la legge stessa!»

14. Dice Cirenio: «Questo è anche il pensiero che mi ha guidato nell’emanare la legge nei vostri confronti ed io nutro sicura speranza di non dover mai più rinnovarla in forma così dura. Non lasciatevi dunque mai più trarre in errore e seguite rigorosamente i consigli che i due angeli di Dio vi hanno dato; in questo modo noi resteremo i migliori amici in Dio, il Signore, e il mio governo non vi sarà affatto di peso. E se in seguito all’assunzione della nuova carica di preside della vostra sinagoga da parte di una nuova persona dovesse risultare che questa tentasse di perseguitarvi in qualsiasi modo, per il fatto che siete amici di Gesù, il Signore dall’eternità, ed in pari tempo amico pure dei romani di cui godete la benevolenza, in questo caso non vi sarà difficile trovare la via fino a me ed allora verranno ben presi tutti i provvedimenti atti a tutelare nel miglior modo possibile i vostri diritti fisici, nonché, in maniera particolare, quelli spirituali! Ed ora nuovamente io vi dico: “Il Signore sia con voi!”»

15. Ed essi tutti rispondono ad alta voce: «E con lo spirito tuo, in eterno!».

16. Dopo ciò essi s’inchinano profondamente dinanzi a noi e per la grande porta già spalancata usciamo e ci dirigiamo verso casa, dove troviamo già pronta la cena, consistente in pane vino e svariatissime qualità di frutta dolcissima e matura. Noi prendiamo posto alle mense e dopo il ringraziamento la compagnia fa onore a quanto le è stato offerto. Terminato il pasto noi però ci fermiamo ancora a tavola fino al tramonto, intrattenendoci in liete ed edificanti conversazioni.

 

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Cap. 56

Roban e Kisjonah narrano le loro avventure.

 

1. Poco prima del tramonto, ecco giungere a casa Mia Roban accompagnato da Kisjonah i quali già a distanza avevano cominciato a salutare tutti coloro che incontravano e Kisjonah si affretta verso di Me a braccia aperte e Mi porge prima che ad altri il saluto di vera amicizia, commosso fino alle lacrime e dopo poco tempo rivolge la parola alla figlia, che quando era arrivato lo aveva preso per mano, che andava coprendo di baci; saluta poi suo genero e Cornelio e quando apprende che lo splendente romano che sedeva presso di Me è il governatore Cirenio, gli chiede perdono di non averlo riconosciuto!

2. Ma Cirenio profondamente commosso, gli prende la mano e posandola sul proprio petto dice a voce alta: «Non tu a me, ma io a te devo chiedere perdono per non averti fino ad oggi conosciuto di persona! Infatti oltre che a Gesù, il Signore, al quale certo solamente spetta ogni lode ed onore, è anche a te, o fedele e onesto Kisjonah, che io debbo una gratitudine illimitata, poiché fra tutta la gente dei tuoi dintorni, sei tu, senza alcun dubbio, quello che più di tutti ha contribuito a salvarmi da un guaio che altrimenti mi sarebbe certo costato la vita! Dunque, o pregiatissimo amico mio, è per me una gioia davvero grande averti potuto conoscere ora anche personalmente.

3. Allora Kisjonah, oltremodo lieto per l’accoglienza avuta, si dà a raccontare di molti avvenimenti e di molte cose accadute nel frattempo ed infine pure di una visita da lui fatta a Sichar assieme al vecchio ed onesto Roban, dove ha avuto occasione di intrattenersi con Jonaele, Jairuth e più ancora con Archiele, il quale ormai viveva e agiva perfettamente come qualunque altro uomo, in modo che ad un estraneo non sarebbe potuto venire in mente, neppure in sogno, che dentro di lui si celasse un essere puramente spirituale.

4. E così egli aveva pure fatto visita al medico Joram ed alla sua cara e gentile moglie ed in quella occasione aveva ammirato le magnificenze della loro meravigliosa casa, tutti e due poi lo avevano aggiornato delle cose straordinarie là accadute e Roban, dal canto suo, non aveva fatto che osservare ed ascoltare avidamente tutto, non celando la sua immensa meraviglia e dicendo fra sé, nei momenti di più intensa commozione: «Sì, certo, il mio sangue e la mia vita per il divino Maestro di Nazaret! Infatti Egli non può essere un uomo comune, ma deve essere Dio in Persona, altrimenti non gli sarebbero possibili tali cose!».

5. E mentre Kisjonah è ancora intento al suo racconto, Roban Mi viene vicino e dice semplicemente: «Signore! Io sono con Te e nessuna potenza al mondo, all’infuori della Tua Volontà, potrà separarmi da Te!»

6. Gli dico Io: «Avevo ben saputo già prima che saresti venuto da Me, però tu non sai ancora che tutti i tuoi fratelli e colleghi sono ormai diventati Miei sostenitori, senza perciò cessare di essere dinanzi al mondo quello che erano prima. Del resto anche tu resterai frattanto così come sei stato finora e ciò finché il nuovo preside della scuola, il quale dopodomani assume il posto di Giairo, si sarà raffreddato alquanto nella sua baldanza.

7. I tuoi fratelli già ti istruiranno in tutto ciò che avrai da dire e da fare e avrai da contenerti al cospetto del nuovo preside, il quale da principio vorrà bensì affermare la propria autorità, ma non passerà mezzo anno che per qualche po’ di denaro voi potrete ottenere da lui quello che vorrete, perché egli non ha nessuna fede nel Tempio e quello che c’è in lui non riguarda per ora che il denaro, gradatamente poi anch’egli arriverà al punto di poter credere in qualche cosa di meglio. Adesso però puoi recarti dai tuoi fratelli e riferire a loro tutto ciò che hai visto ed udito».

8. Dopo queste Mie parole, Roban si congeda da Kisjonah ringraziandolo per tutto il bene che gli aveva fatto e dice infine: «Di uomini come Kisjonah, purtroppo, ce ne saranno davvero ben pochi sulla Terra e, rivolgendosi a lui, tu sei l’unico che abbia saputo trovare le vie del mio cuore! Il Signore ti benedica per tutto il bene che hai procurato a me ed a mille altri!». Poi egli fa un profondo inchino davanti a noi e si affretta a raggiungere i fratelli che sono ancora radunati nella sinagoga, senza però la compagnia dei dormienti, che erano stati allontanati subito dopo la nostra partenza. Egli viene accolto con sorprendente amicizia, ed in letizia e serenità di spirito tutti si scambiano le loro impressioni e fra reciproche meraviglie si narrano l’un l’altro tutto quello che a ciascuno è successo e quanto hanno udito e visto.

9. Però anche da noi quella sera regnava un ottimo umore, perché Kisjonah non era arrivato da solo, ma con parecchie bestie da soma ben cariche, con i rispettivi guidatori, ed avevano portato vino, farina, formaggi, pane, miele ed una buona quantità di eccellente pesce affumicato, cosicché la madre Maria non poté trovare tutto lo spazio necessario per accogliere le provviste.

10. Allora si pregò un vicino di mettere a disposizione le sue vaste dispense per custodirvi con una certa cura l’eccedenza che non poteva trovare posto ed egli acconsentì, sebbene per pura compiacenza e non troppo volentieri, perché era un individuo notoriamente sordido e avido, ma siccome Kisjonah gli offrì per la sua fatica e per i suoi buoni uffici due monete d’oro, allora egli si dimostrò subito ben disposto e divenne molto servizievole, tanto anzi che nella foga del trasportare i sacchi, essendo il crepuscolo già inoltrato, urtò una volta con violenza il discepolo Giovanni e questi ebbe in quell’occasione a dirgli: «Amico, vedi di essere più prudente nel tuo zelo pagato, altrimenti non mancherai di causare qualche danno a te ed agli altri. Saresti invece felice se per il Regno di Dio, che ti è giunto così vicino, avessi lo stesso zelo che hai per questi due pezzi d’oro di nessun valore e, comportandoti così, non urteresti nessuno! Oh, la cecità immensa degli uomini che non può e non vuole mai riconoscere l’Altissimo!»

11. Il vicino però non si lasciò confondere, compì il suo lavoro secondo quanto era stato convenuto e non si curò d’altro.

12. Allora Giovanni Mi domandò: «Signore, ma è davvero possibile che un uomo abbia nel corpo e nella sua anima tanta insensibilità ed apatia?»

13. Ed Io gli rispondo: «Lascialo stare, di questa specie ve ne sono in terra d’Israele ormai molte migliaia, che in fatto di ottusità e di cocciutaggine non hanno niente da invidiare gli asini e perciò anche loro compete non altro che la ricompensa dell’asino!».

14. Questo scambio di parole provocò nella compagnia una risata un po’ rumorosa, accresciuta poi ancora da alcune felici ed acute osservazioni di Filopoldo, che dimostrò che di solito l’uomo vede ogni cosa meglio di quanto vede precisamente quella che gli sta sotto il naso! E tutti ammirarono la sua perfetta dialettica.

15. Dopo questa scena noi ci levammo da mensa e ce ne andammo a riposare.

 

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Cap. 57

Il servizio reso ai mondi dagli angeli – Un Globo-involucro

 

1. Tutti ebbero presto trovato il posto loro assegnato e dormirono fino al mattino. Anch’Io mi ritirai e dormii un paio d’ore; i due angeli però durante la notte accudirono al loro ufficio direttivo dell’Universo e con il levar del Sole furono già di ritorno presso di noi. Si avvicinarono a Me e, dopo aver ringraziato, dissero: «Signore, l’ordine più perfetto regna in tutto l’intero ed immenso Uomo cosmico. I soli-centrali-primordiali sono al loro posto e le loro rotazioni sono regolari, le orbite dei soli-centrali primordiali sono invariate, quelle dei soli-centrali-secondari intorno ai precedenti sono pure al massimo ordine ed altrettanto si dica dei soli-centrali di terzo ordine, con i loro dieci volte centomila soli-planetari, dove più e dove meno, come Tu, o Signore, hai fin dai primordi stabilito la misura! Gli innumerevoli soli-planetari poi, con i piccoli pianeti e le loro lune, privi per lo più di luce propria, dipendono ad ogni modo dall’ordine dei grandi soli-centrali e così in questo Globo-involucro[2] che è affidato a noi due per la sorveglianza, tutto procede nel migliore e massimo ordine. Noi potremmo dunque, com’è nostro desiderio, passare ancora una giornata serena presso di Te, o Padre santo, e presso i Tuoi figli che tanto amiamo?».

2. Dico Io: «Va benissimo, però impiegate a dovere ogni minuto in svariatissimi ed utili insegnamenti, perché i Miei figli ne hanno ancora molto bisogno».

3. I due angeli allora si ritirano tutti lieti e felicissimi, salutano Maria e dopo di lei i discepoli e Cirenio, Cornelio, Fausto, Giairo, Kisjonah e Boro, ma Cirenio, che aveva udito parlar di molti soli, domanda senza indugio ai due di che soli si fosse trattato nel colloquio da essi avuto con Me, considerato che di soli egli non ne conosceva che uno soltanto.

4. I due però gli rispondono in tono affettuoso: «Carissimo amico e nostro fratello nel Signore, non voler conoscere quello che per ora ti è impossibile comprendere e dal quale non dipende affatto la salvezza della tua anima, perché quello di cui abbiamo trattato con il Signore ti ucciderebbe, qualora tu lo comprendessi e lo conoscessi nella misura in cui noi lo dobbiamo comprendere e conoscere in ogni tempo. Ad ogni modo sappi che tutte le stelle che tu puoi ammirare in una notte chiara ed ancora moltissime altre, che a causa della loro enorme distanza il tuo occhio non può percepire, sono altrettanti mondi solari di una grandezza incalcolabile per la tua capacità intellettiva. Il Sole che tu vedi è uno fra i più piccoli soli-planetari, ma tuttavia corrisponde in grandezza già ad oltre mille volte mille questa Terra; immaginati ora soltanto un Sole-centrale appena della quarta categoria, intorno al quale ruotano, percorrendo orbite immense, centinaia di migliaia di soli-planetari unitamente ai loro pianeti o piccole Terre non luminose, qual è quella su cui voi vivete! La capacità di quest’astro è di per sé tale che in esso troverebbero posto mille volte tutti i soli-planetari che gli girano intorno con tutti i rispettivi pianeti e lune. Dicci ora, o amico, se puoi adesso farti un qualche concetto di una grandezza simile»

5. Risponde Cirenio: «O carissimi servitori di Dio, non ditemi altro a questo riguardo, ve ne prego, perché sento che mi prende la vertigine! Chi avrebbe potuto neppure in sogno pensare ad una cosa simile? E voi potete sorvegliare tutto ciò, per così dire, con uno sguardo? Che potenza e che profondità di sapienza divina deve esserci in voi! Ma, poiché oggi sono tanto ansioso di sapere, ditemi ancora, così in generale, che cosa c’è veramente su questi immensi e innumerevoli soli?»

6. Dicono i due: «Tutto quello che vedi sulla Terra, queste ed altre simili cose tu le trovi anche su di un grande mondo solare, certamente in forme molto più elevate e nobili ed in proporzioni talvolta non soltanto più grandi, ma addirittura gigantesche. Là, come qui, ci sono uomini, animali e piante ed inoltre dimore immense, di una magnificenza indescrivibile, in confronto alle quali il Tempio di Gerusalemme e il palazzo imperiale di Roma devono sembrare dei poverissimi gusci di lumaca ed in tutto c’è quest’Uno, dall’eternità e per l’eternità il solo Signore e il solo continuo Creatore».

 

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Cap. 58

Il rapporto degli uomini della Terra con il Padre Celeste.

 

1. Nell’apprendere queste cose Cirenio, preso da grandissima venerazione, esclama: «O amici e servitori di Dio! Ora soltanto scorgo Chi veramente è il Signore e chi sono io! Io sono un nulla assoluto, mentre Egli è infinitamente Tutto! Soltanto non comprendo la nostra umana audacia nel parlare con Lui con tanta facilità, come se ci trovassimo di fronte a un nostro pari». 

2. Dicono i due angeli: «Egli stesso vuole che sia così, perché i figli hanno dall’eternità il diritto di conversare con il Padre a loro piacimento! Dunque non fare domande circa cose e rapporti insulsi, poiché non è colpa tua se tu sei un uomo, ma la ragione di ciò sta soltanto in Colui che ti ha creato così come tu sei, fuori da Se stesso e per Volontà e Potere Suoi, senza essere vincolato al consiglio di nessun altro, se non a quello assolutamente Suo. E in verità chi avrebbe potuto Egli interrogare se non unicamente Se stesso, dato che prima di Lui non esisteva alcun essere in tutta l’immensità?

3. Dunque, quando tu parli con Lui come con un tuo pari, fai benissimo, perché Dio, all’infuori di Se stesso, non ha nessuno con cui poter scambiare parola. Ma le Sue creature, che da Lui procedono, godono per Suo volere di una tale libertà che esse possono parlare con Dio e Dio con loro così come può parlare un uomo ad un altro uomo e, per conseguenza, il fatto che tu parli con Lui come con un altro tuo simile resta perfettamente nell’ambito dell’Ordine, poiché la creatura è degna del suo Creatore, e il Creatore è degno della Sua creatura.

4. Ogni creatura è certo un testimone dell’Onnipotenza, della Sapienza e dell’Amore di Dio e senza il Suo Potere non c’è nessun spirito, per quanto forte, che sia capace di creare qualcosa da se stesso, perché ciò lo può fare solo Dio! Ma poiché ogni creatura è un testimone dell’Onnipotenza, Sapienza ed Amore divini, perché non dovrebbe la creatura essere degna del suo Creatore? Comprendi questa cosa?»

5. Risponde Cirenio: «O sapientissimi servitori di Dio l’Onnipotente! Come sono ben chiari e comprensibili e riboccanti di sapienza i vostri insegnamenti! Sì, questa è certamente la verità! L’uomo davvero non deve vergognarsi di quello che è, perché egli è senza dubbio il capolavoro massimo del Creatore, qualora viva secondo la Volontà divina da lui liberamente riconosciuta. Ma se un uomo agisce contrariamente alla Volontà di Dio, credo che egli rovini se stesso e non possa più corrispondere a ciò che in origine era e che dovrebbe essere e restare in eterno.

6. E così il peccato deve essere una azione contraria all’Ordine originario di Dio, in conseguenza della quale l’uomo, che nella sua parte perfezionabile è egli stesso il creatore della propria natura destinata a diventare simile a Dio, si rovina e si rende con ciò da se stesso indegno di essere una creatura dell’eterno ed onnipotente Artefice!»

7. Dicono gli angeli: «Qui tu hai pienamente ragione! Ciascun uomo resta certo un capolavoro degno di Dio, in quanto egli nella forma, nelle attitudini, nella capacità e nella vivente libertà è, per così dire, una pura macchina in cui lo spirito può manifestarsi libero e fattivo.

8. Ma invece, per quanto riguarda lo sviluppo morale del suo cuore, l’uomo può degradare se stesso al livello di un orrore dell’inferno ed appunto con ciò commette il peccato più grave, poiché egli converte in se stesso, per propria volontà, il capolavoro supremo di Dio in una mostruosa e miserabile rovina quanto mai indegna della Divinità, la Quale poi deve dedicare una fatica immensa ed una pazienza incalcolabile per restituire l’opera rovinata alla dignità di capolavoro.

9. Ora appunto, a causa delle innumerevoli opere che si sono rovinate da sole, questa volta è venuto nel mondo il Sommo Artefice stesso, allo scopo di riordinare per tutti i tempi queste molte opere che si sono rovinate! Però anche in seguito le opere si rovineranno, e per ovviare a questo male Egli fonderà su questo mondo un nuovo istituto, nel quale tutte le opere che si sono rovinate potranno ripararsi e riordinarsi da sole. Ma chi, per propria libera volontà, non vorrà utilizzare questa istituzione, rimarrà rovinato in eterno se alla sua volontà non darà un’altra direzione! Comprendi tale cosa?»

10. Dice Cirenio: «Anche questo lo comprendo perfettamente, ed appunto per questo sono dell’opinione che sarà necessario, mediante leggi scelte e severe, costringere gli uomini a fruire completamente della nuova istituzione»

11. Dicono gli angeli: «Questa cosa certo accadrà, ma all’umanità gioverà poco, perché all’uomo è utile veramente soltanto quello che egli fa per atto proprio, libero e spontaneo, tutto il resto è per lui di gravissimo danno.

12. Infatti se l’uomo potesse venire perfezionato usando una qualche costrizione sia esteriore che interiore, noi avremmo ad esuberanza il potere di legare e costringere tutti gli uomini in maniera tale che essi sarebbero del tutto impossibilitati ad agire contro qualsiasi legge. Ma con ciò noi verremmo a ridurre l’uomo, che dovrebbe divenire perfettamente simile a Dio in piena libertà, ad una macchina animata, ad un automa altrettanto incapace di decidersi ad un’attività libera ed efficace, quanto lo è la spada, per quanto acuta, della giustizia senza essere brandita da una mano esperta.

13. Da tutto ciò puoi rilevare molto chiaramente che con qualunque genere di costrizione non c’è mai in eterno niente da ottenere, ma unicamente con il vero insegnamento, come prima cosa, e poi con la libera autodecisione di vivere o di agire secondo l’insegnamento appreso, per mezzo del quale a ciascuno vengono in ogni senso rese manifeste le vie ben rischiarate dell’Ordine divino. Comprendi anche questo?».

 

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Cap. 59

Sulla grande lotta nell’uomo.

 

1. Dice Cirenio: «Sì, lo comprendo, purtroppo, perché poco buon successo ci si può ripromettere da questo! Dove e quanti sono gli uomini capaci solo di intendere e di accogliere una dottrina e quanti ce ne sono poi fra gli illuminati stessi che abbiano una forza di volontà tanto preponderante da tradurre completamente nell’azione la dottrina proclamata e da loro ben compresa? Io faccio venire qui mille ben convertiti e sono pronto a rimetterci quel che si vuole se fra questi se ne possono trovare dieci che abbiano la ferma volontà ed anche il necessario coraggio di mettere in pratica la dottrina appresa e ben compresa, specialmente fra masse di popolo fanatico e superstizioso! Infatti, a che cosa servirebbe loro mettere in pratica la dottrina dell’eterna e chiarissima verità se già il giorno successivo venissero strangolati fra atroci dolori dai fanatici egoisti e crudeli a causa di ciò?

2. Voi certo siete dei servitori dell’Altissimo immensamente saggi e potenti, però da quella esperienza che ho, quale uomo di governo, dico: «Assolutamente senza una qualche costrizione, questa dottrina della Vita, per quanto veramente divina, non troverà mai un accesso particolarmente ampio! Almeno è bene che la superstizione fanatica ed eccessivamente orrida venga ricacciata, usando al massimo grado il potere coercitivo, altrimenti la dottrina sarebbe eternamente peccato annunciarla anche ad una sola giornata di viaggio distante da qui!»

3. Noi che siamo qui, crediamo certo fermissimamente alla purissima verità eterna che ci viene in tanta abbondanza rivelata, ma tuttavia non interamente senza una qualche costrizione, perché sia voi due che il Signore e le Sue opere, questi sono per l’appunto anche degli elementi di costrizione per niente troppo meschini, senza dei quali in questo luogo non si potrebbero mettere assieme un migliaio tra ascoltatori e seguaci della dottrina. Se dunque questo mezzo coercitivo, molto notevole, non ha ancora ridotto noi a vere macchine già del tutto morte, come lo manifestano a sufficienza queste mie obiezioni forse non del tutto prive di fondamento, io ritengo che un mezzo coercitivo puramente esteriore non dovrebbe risultare proprio tanto nocivo agli uomini che, seguendo questa nuova dottrina dai Cieli, sono destinati a diventare dei veri figli di Dio!».

4. Dicono gli angeli: «Sotto certi riguardi tu hai certamente ragione, ed anche i mezzi coercitivi esteriori non mancheranno di venire adottati, ma accanto a questo tu arriverai alla convinzione che una costrizione esteriore è in fondo ancora peggiore di una interiore impercettibile, poiché dei mezzi coercitivi esteriori si serve anche Satana per mantenere viva la mala superstizione! Se noi dunque, nel diffondere la dottrina dei Cieli, ci troviamo addirittura a far ricorso a mezzi spregevoli usati da Satana, vale a dire se noi ricalchiamo le sue orme, si domanda: “Che vantaggio possiamo trarre per il bene eterno dell’uomo?”.

5. La mala superstizione si è in ogni tempo affacciata al mondo e si è aperta la sua via bagnata di sangue con il fuoco e con la spada, dunque, se ora anche il purissimo Verbo di Dio dovesse procedere per questa stessa via, potrebbe mai un uomo, anche per poco desto nello spirito, accoglierlo come un Verbo divino di pace dai Cieli? Non sarebbe invece egli indotto ad esclamare: «Dio mio, non Ti basta che l’umanità sia tormentata in modo raccapricciante già da Satana, perché Tu, l’Onnipotente, debba venire a noi, poveri e deboli uomini, percorrendo la sua medesima via?»

6. Ora vedi, carissimo amico e fratello, sotto quale assurdo aspetto si presenterebbe la cosa qualora Dio, il Signore, nella diffusione della Sua dottrina fra gli uomini per la loro felicità eterna, volesse fare uso di quei mezzi di cui l’inferno si è sempre servito per poter offrire agli uomini di questo mondo i suoi acerbi frutti, i suoi aspri cibi!

7. Purtroppo un giorno arriveranno quei tempi in cui la dottrina profanata di Gesù, il Signore, verrà predicata ai popoli con il fuoco e con la spada, ma questo sarà un male gravissimo per gli uomini! Ed ora comprendi tutto ciò?».

8. Risponde Cirenio: «Ahimè, sì certo che lo comprendo e mi domando sempre ancora perché da parte dei Cieli onnipotenti non si vogliano impedire tali estreme calamità e perché mai si dovette o si volle, in generale, cominciare a concedere libero accesso al male in questo mondo!».

9. Dicono i due: «Carissimo amico e fratello! Se non ti è estranea una qualche sapienza, giudica tu stesso se senza un contrario possa esservi un vantaggio! Quando mai un uomo è diventato un eroe senza combattere? Ma gli uomini sarebbero venuti ad una lotta se fra di loro fossero stati soltanto dei mansueti agnellini? Ovvero, potresti tu mai misurare la tua forza se non ci fosse qualcosa capace di opporti una certa resistenza? E come potrebbe esistere un Alto se non ci fosse un Basso? Oppure come potresti fare del bene a qualcuno se non ci fosse nessuno che ha bisogno di aiuto? Che cosa sarebbe allora una buona azione se nessuno ci fosse ad averne vantaggio? O potresti tu insegnare ad un onnisciente qualcosa che prima non sapesse?

10. Vedi, in un mondo dove l’uomo deve da se stesso plasmarsi a vero figlio di Dio è conveniente che gli vengano offerte anche tutte le possibili occasioni, sia buone che cattive, di poter mettere in pratica, nell’estensione massima, la dottrina di Dio.

11. Devono esserci il freddo e il caldo, affinché il ricco abbia occasione di provvedere di vestiti i suoi fratelli poveri e nudi. E così pure ci devono essere dei poveri, perché nuovamente i ricchi possano esercitarsi nella misericordia ed i poveri nella gratitudine; così pure è necessario che vi siano dei forti e dei deboli, affinché ai forti sia offerta occasione di soccorrere i deboli ed ai deboli invece l’occasione di riconoscere nell’umiltà del loro cuore che essi sono veramente deboli. Ed infine, in certo qual modo, devono esserci anche gli stolti, come pure dei saggi, perché altrimenti a che cosa servirebbe ai saggi il lume del loro intelletto?

12. Se non ci fossero i cattivi, dove troverebbero i buoni il paragone per giudicare se e fino a quale punto essi sono veramente buoni?

13. Dunque, per riassumere quanto detto, in questo istituto di autoformazione degli uomini a liberissimi figli di Dio deve anche essere dato agli uomini il maggior numero possibile di occasioni pro e contro, allo scopo che i figli possano radicalmente esercitarsi in tutto e completamente perfezionarsi, poiché altrimenti non potrebbero mai diventare dei veri ed onnipotenti figli dell’Altissimo!

14. Perciò noi ti diciamo: “Fintanto che un uomo, per potere assolutamente suo proprio, non arriva a respingere Satana fuori dal campo della lotta, in ogni evenienza ed in ogni circostanza, egli è ben lontano ancora dall’essere un perfetto figlio di Dio. Ora, come mai potrebbe egli uscire vincitore su questo nemico se gli si togliessero tutte le occasioni di venire, sia pur lievemente, in contatto con lui?”. Una cosa è certa: il vero Regno di Dio si acquista unicamente al prezzo di dure lotte, perché la vita eterna fiorisce soltanto nella più assoluta libertà e perciò deve essere anche offerta occasione al combattimento fra Cielo ed inferno!».

 

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Cap. 60

Della utilità delle passioni.

 

1. Dicono gli angeli: «Così pure tu osserverai che gli uomini sono dominati da svariate passioni, come per esempio: uno sente in sé il bisogno di possedere tutto quanto ha un qualche valore, questa è evidentemente avidità, dunque un vizio. Ebbene, a questo vizio tu devi la navigazione, perché soltanto in uomini sfrenatamente avidi di proprietà o di guadagni poteva sorgere la pericolosissima brama di cercare i mezzi per varcare le distese immense dei mari allo scopo di cercare al di là del mare una qualche altra eventuale terra, forse rigurgitante di tesori. Dopo aver sopportate molte fatiche e dopo aver rischiato cento volte la vita, essi approdarono alla nuova terra, ma il loro ardore si spense e le fatiche ed i pericoli corsi avevano tolto loro il coraggio per il ritorno; allora essi si stabilirono là, dove il vento li aveva portati: si costruirono capanne e case e così popolarono un paese ancora del tutto inabitato. Giudica ora tu stesso se gli uomini, senza la passione dell’avidità e dell’avarizia, avrebbero mai scoperto un paese straniero!

2. Consideriamo ancora la passione della sensualità carnale. Considera per un momento che questa passione non ci fosse ed immaginati una umanità celestialmente casta al massimo grado possibile e tu potrai, fino nella più tarda età, trovare lodevole compiacimento nella vita di una purissima vergine e di un castissimo uomo che regna sul mondo. Ora però supponi che tutti gli uomini vivessero in questo stato di castità suprema e poi dì a te stesso: “Che cosa ne sarà della propagazione della specie umana in queste condizioni, stabilita nell’Ordine di Dio?”. Da ciò dunque puoi rilevare che anche questa passione deve essere insita nell’uomo, altrimenti la Terra dovrebbe in breve tempo apparire spopolata! Che l’uno o l’altro uomo, nei riguardi di questa passione, si lasci trascinare purtroppo molto spesso a degenerazioni, come l’esperienza giornaliera insegna, questo è certamente vero, ed una simile degenerazione è sempre contro l’Ordine di Dio e perciò è un peccato, ma tuttavia anche il frequente deviare di questa passione dall’Ordine divino è preferibile sempre e di molto all’estirpazione totale della passione stessa.

3. Ora, tutte le forze di cui è dotato l’uomo, e che da principio si manifestano come passioni difficili da tenersi a freno, devono essere suscettibili del massimo sviluppo tanto verso l’Alto quanto verso il Basso, altrimenti l’uomo finirebbe con il diventare in ogni caso simile ad un’acqua tiepida ed insipida e sprofondare nella più stagnante pigrizia.

4. Noi te lo diciamo: “Niente ti può rendere una testimonianza tanto valida dell’alta e divina destinazione dell’uomo quanto i massimi vizi di fronte alle più eccelse virtù degli uomini”, perché appunto questo fatto sta a dimostrare quali capacità ed attitudini infinite siano concesse agli uomini di questa Terra! La via che l’uomo può percorrere è immensa e sale da un lato ai supremi abitacoli di Dio nei Cieli, che perfino a noi angeli non sono accessibili, mentre dall’altro lato scende all’inferno più profondo e, se così non fosse, l’uomo non potrebbe mai raggiungere la dignità di figlio di Dio.

5. Noi angeli abbiamo a che fare con uomini di infiniti altri mondi, ma che differenza c’è fra qui e là! Sugli altri mondi, tanto nei riguardi spirituali quanto nei naturali, agli uomini sono posti dei limiti oltre ai quali essi ben difficilmente possono muovere un passo; voi invece, uomini di questa Terra, non avete, per quanto concerne lo spirito, assolutamente alcun limite, come non lo ha il Signore in Persona e potete fare quello che volete. Voi potete innalzarvi fino agli abitacoli più intimi di Dio, ma appunto anche per questa ragione potete scendere fino alle infime profondità di Satana, il quale un giorno fu anch’egli il più libero spirito proceduto da Dio, ma siccome cadde, dovette precipitare necessariamente negli abissi più profondi di ogni perdizione, dai quali egli forse e soltanto a gran stento troverà la via del ritorno, perché da parte di Dio è concesso appunto al vizio una capacità di perfezionamento altrettanto sconfinata quanto alla virtù!».

 

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Cap. 61

Del valore della libera volontà

 

1. Parlano i due angeli: «Dunque, riguardo all’uomo su questa Terra, tutto dipende unicamente dal libero volere e dall’insegnamento, il più possibile privo da costrizione, il quale è da Dio dato in modo che, per quanto concerne l’azione conseguente, esso sia sufficientemente accessibile ad ogni grado di intelligenza umana già alla prima enunciazione, cosicché nessuno può scusarsi con il dire di non aver compreso la dottrina, perché “Ama Dio sopra ogni cosa e il prossimo come te stesso” è tanto universalmente comprensibile, da poter essere afferrato con mano da ogni cieco e se qualcuno effettivamente segue questa dottrina breve, semplice e facilissima, eppure che contiene tutto in sé, egli solo per questo fatto, verrà, auspice il proprio cuore, già guidato dal Signore stesso in ogni immaginabile sapienza e potrà poi a sua volta diventare guida del proprio simile e così allora l’uno può istruire ed educare l’altro fino a che il Signore stesso viene, lo prende e lo alleva a vero figlio di Dio.

2. Questa però è anche la giusta diffusione della santa dottrina nell’ordine dei Cieli; tutto quello che possa essere in più o in meno, proviene dal male ed arreca poco o nulla di benedizione alle piante dei Cieli di Dio. Hai ben compreso tutto ciò?».

3. Risponde Cirenio: «Sì, ho compreso tutto! Io vedo ormai perfettamente a quali grandi cose Dio abbia destinato questa Terra e gli uomini che vi dimorano, però, l’unica fatalità a tale riguardo è che, accanto ai figli di Dio, per così dire nella stessa scuola, vengono allevati anche i figli dell’inferno e precisamente ciascuno nella propria sfera! Ma ora devo anche veramente ammettere che, considerata la cosa dal punto di vista della profondissima Sapienza divina, la cosa non può essere altrimenti. Per altro il Signore è saggio, buono e potente più che a sufficienza per indurre un giorno anche l’inferno a mutare direzione! L’eternità è certamente abbastanza grande per poter, nel corso della sua infinita durata, prendere ogni tipo di disposizioni e stabilire le modalità sotto le quali, alla fine, anche i figli dell’abisso abbiano a dichiararsi vinti assieme al loro seduttore e maestro!»

4. Dicono i due angeli: «Questa tua supposizione si trova già molto oltre l’orizzonte della nostra sapienza! Tu, però, quale figlio del Signore, ti trovi evidentemente più vicino al Signore e Padre tuo che non noi, sue semplici creature, e di conseguenza puoi percepire anche prima di noi nel tuo cuore un bisogno divino-puro; ma che a Dio nessuna cosa è impossibile, questo certo lo sappiamo anche noi. Oltre a quanto già ti dicemmo circa a tale argomento, non possiamo dirti neanche una sillaba di più.

5. Se vuoi avere chiarimenti più profondi in questo riguardo, rivolgiti al Signore stesso; gli infiniti soli dell’Universo presi assieme non eguagliano la chiarezza con cui ai Suoi occhi si mostra tutto quello che le eternità future tengono celato tra fittissimi veli. Noi però crediamo che difficilmente Egli vorrà rivelare una tal cosa ad un mortale, a causa dell’orecchio quanto mai acuto di Satana. Infatti il nemico ha mille volte mille orecchie, è bene usare un’estrema prudenza quando si parla di lui, se non lo si vuole rendere ancor più perverso di quanto esso già sia».

6. Dice Cirenio: «Sta bene. Per questo motivo anch’io non ne farò menzione al Signore!».

7. Dico Io: «Oh, non occorre che tu parli ad alta voce, perché Io so intendere anche quello che dici e che chiedi nel segreto del tuo cuore».

 

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Cap. 62

Del pensare col cuore.

 

1. Dice Cirenio: «Signore, per quello che concerne me, la questione di pensare con il cuore non va assolutamente, perché già fino dalla mia giovinezza io fui abituato a pensare con la testa e mi pare quasi impossibile poter pensare con il cuore! Che cosa si deve fare per poter arrivare ad un simile risultato?». 

2. Rispondo Io: «Questa è una cosa molto facile da comprendere ed è del tutto naturale, poiché, tutto quello che tu mai possa, puoi o che tu voglia pensare nel grande cervello, spinto dal tuo sentimento, si matura prima nel cuore e, per quanto piccolo sia il pensiero, deve evidentemente precedere un incitamento in virtù del quale il pensiero stesso viene suscitato come una necessità. Quando il pensiero, sotto la spinta di un qualche bisogno o di una qualche aspirazione, è suscitato o si è prodotto nel cuore, appena dopo esso sale al cervello, per esservi contemplato ed interpretato dall’anima, affinché questa imprima infine alle membra del corpo quell’adeguato movimento atto a tradurre nella parola o nell’azione il pensiero sorto nel cuore, ma che un uomo possa pensare soltanto con il capo, questo è davvero impossibile! Perché il pensiero è una creazione spirituale e di conseguenza non può sorgere in nessun altro luogo che non sia dove c’è lo spirito dell’uomo, il quale ha la sua dimora nel cuore dell’anima e da dove conferisce vita all’uomo tutto intero. E come mai sarebbe possibile ad una creazione svilupparsi da una materia, per quanto sottile, considerato che ogni materia, dunque anche il cervello dell’uomo, non è altro che effettiva materia e non può, conseguentemente, che essere il prodotto della potenza creatrice, ma mai la Potenza creatrice stessa! Comprendi ora bene questa cosa e cominci forse già a sentire che non vi è uomo che possa pensare qualcosa soltanto con la testa?»

3. Dice Cirenio: «Oh Signore, ora io lo sento in maniera assolutamente viva! Ma che cosa mai succede in me? Adesso ho l’impressione di non aver mai altrimenti pensato che con il cuore! È meraviglioso! Ma come si può spiegare un fatto simile? Certo, io percepisco nel mio cuore vere parole e precisamente come parole pronunciate e non mi pare più assolutamente che sia possibile concepire un pensiero nel capo».

4. Gli dico Io: «Questa è la conseguenza del tutto naturale del ridestarsi sempre maggiore dal tuo spirito nel cuore, spirito che è l’amore per Me e con Me a tutti gli uomini.

5. Negli uomini però, nei quali tale amore non si è ridestato ancora, i pensieri si formano bensì sempre nel cuore, ma, poiché questo è troppo materiale, essi non vengono percepiti qui, ma soltanto nel cervello, dove i pensieri del cuore, quantunque più materiali, per effetto dell’impulso all’azione, assumono un’immagine e si amalgamano alle immagini tratte dal mondo esteriore tramite i sensi più esteriori del corpo, le quali si sono impresse nelle tavolette del cervello ed in tal modo i pensieri si presentano dinanzi agli occhi dell’anima e diventano essi stessi materiali e cattivi, cosicché essi devono venir considerati necessariamente anche quale causa del malvagio operare degli uomini!

6. E perciò ciascun uomo deve prima rinascere nel cuore e quindi nello spirito, altrimenti non può entrare nel Regno di Dio!

7. Dice Cirenio a Pietro che gli sta accanto: «Comprendi bene questa cosa della rinascita dello spirito nel cuore e che cosa e dove veramente sia il Regno di Dio, del quale Egli e i due angeli parlano continuamente come di un premio futuro per la nostra fede?».

8. Dice Pietro: «Certamente che lo comprendo! E se non lo comprendessi non resterei qui, ma ritornerei alle cure della mia casa. Tu però, o nobile signore, cerca nel tuo cuore e la troverai in breve tempo molto di più di quanto io potrei spiegarti con le mie parole in cento anni.

9. Guarda noi che siamo i Suoi primi discepoli e testimoni, se parliamo esteriormente molto con Lui! Eppure noi parliamo con Lui di più che non tu e molti altri mediante la parola esteriore. Noi comunichiamo con Lui semplicemente nel cuore e gli facciamo ogni tipo di domande ed Egli ci risponde con pensieri chiari e bene espressi, con ciò noi veniamo doppiamente a guadagnare, perché una risposta del Signore nel cuore dell’uomo è per l’uomo, in certo modo, già direttamente un contributo di vita, mentre la parola esteriore può tradursi in contributo di vita, soltanto mediante il continuo esercizio dell’anima nell’azione.

10. Di conseguenza, o illustre signore, puoi formulare nel tuo cuore anche una domanda riguardo alla nota questione che concerne Satana e poi il Signore porrà ben la risposta nel tuo cuore tanto silenziosamente ed in segreto che a Satana, malgrado il suo udito finissimo, riuscirà impossibile intenderla! Nella stessa maniera tu puoi chiedere in cuor tuo al Signore notizie anche circa la rinascita dello spirito nel cuore e circa il Regno di Dio e vedrai che la risposta chiarissima non si farà attendere a lungo»

11. Dice Cirenio: «Oh, appena adesso comprendo perché voi non scambiate quasi mai una parola con il Signore, ciò mi ha meravigliato non poco già parecchie volte! Ebbene, io voglio provare se il Signore, essendo così misteriosamente indulgente con voi, potrà esserLo certamente anche con me! Infatti che io Lo ami sopra ogni cosa, lo dimostra il fatto che in questo frattempo io lascio, per così dire da parte, le mie molteplici e gravi cure di governo e che mi trattengo presso di Lui, per rafforzare la mia anima con ciascuna parola che esce dalla Sua bocca santissima!

12. E credo altresì che per puro amore verso di Lui io faccio ed ho fatto più di tutti voi, perché l’ho conosciuto quand’era ancora un tenero bambino ed in terra pagana e straniera io ho provveduto a Lui, ai Suoi genitori e fratelli e mentre voi non gli avete sacrificato che le vostre reti, io sarei pronto, qualora Egli lo gradisse, a deporre all’istante tutte le mie cariche mondane, per seguirLo poi in tutta fedeltà quale il minimo fra di voi e ad esporre, quando occorresse, la vita per Lui e per voi tutti, come ho già fatto un paio di volte, senza considerare tutte le tempeste che a causa di ciò, con molta facilità, avrebbero potuto scatenarsi sul mio capo da parte di Roma.

13. Ma se io faccio tutto questo per vero amore verso di Lui, penso che vorrà ritenere me pure degno di questa grazia che elargisce a voi con tanta abbondanza.

14. Gli dico Io: «Tu l’hai già, o Mio carissimo amico e fratello, però quello che hai, non ti è più necessario cercarlo e non è più necessario affannarti come se tu non l’avessi ancora! Sii dunque perfettamente tranquillo e prova ad interrogarMi nella quiete della tua anima riguardo ad una qualsiasi cosa ed Io metterò una risposta chiara, precisa e intelligibilissima nel tuo cuore, che davvero Mi ama sopra a tutto».

 

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Cap. 63

Sul ritorno del Perduto.

 

1. In seguito a questo Mio consiglio, Cirenio domanda riguardo a Satana: «Cosa succederà un giorno di lui? Ed è ammissibile l’idea di un ritorno da parte sua in un’epoca quanto mai lontana?»

2. Ed Io gl’ispiro nel cuore la seguente risposta: «Tutto quanto ora accade, accade a causa sua: quello che è perduto, viene cercato ed al gravemente malato viene offerto il rimedio, ma la sua volontà resta libera e tale deve restare, perché sopprimere la sua volontà significherebbe convertire tutta l’immensa Creazione materiale che quasi non ha confini e tutti gli elementi di essa in durissima pietra inadatta del tutto a qualsiasi manifestazione vitale. Tutta intera la Creazione materiale è costituita da questo grande spirito sottoposto a giudizio fino al limite massimo possibile ed esso viene suddiviso in innumerevoli mondi, i quali, nel loro numero quasi senza fine, costituiscono tuttavia il suo completo essere. Però da questo Unico Essere vengono tratti innumerevoli miriadi di miriadi di esseri, come sono nella maggior parte gli uomini di questa Terra, i quali per la Potenza, l’Amore e la Sapienza di Dio vengono trasformati a loro volta in esseri completi e perfettamente simili a Dio. Ora questo è già un ritorno certo dell’Unico grande Spirito.

3. Ma quando tutte le terre e tutti i soli saranno disciolti e convertiti esclusivamente in esseri umani, allora anche di quell’Uno non resterà più che solamente ed unicamente il proprio Io, il quale, nello stato di assoluto abbandono e di perfetta solitudine in cui verrà a trovarsi, dovrà con il succedersi dei tempi piuttosto disporsi al ritorno che non condannarsi a languire senza speranza per l’eternità. In quel tempo nessun sole e nessuna Terra materiale ruoterà più nell’immensità degli spazi, ma in sua vece gli spazi eterni, che non hanno confini, saranno tutti e dappertutto popolati da una nuova creazione spirituale di esseri liberi e beati, di una magnificenza e bellezza supreme ed Io sarò e rimarrò per l’eternità delle eternità continuamente Dio e Padre a tutti gli esseri. Ora questo stato di beatitudine suprema non avrà mai fine e vi sarà un solo gregge, un solo ovile e un solo Pastore.

4. Però, quando questo avverrà, secondo la misura degli anni terrestri, non potrà mai essere stabilito! E se Io anche volessi rivelartene il numero, non ti sarebbe possibile concepirlo, perché se ti dicessi che fino a quell’epoca dovranno trascorrere mille volte mille periodi di mille volte mille anni, quanti granelli di sabbia vi sono nel mare e su tutta la Terra e quanti fili d’erba vi sono su tutti i paesi della Terra e quante gocce d’acqua vi sono in tutti i mari, laghi, torrenti, fiumi, sorgenti e ruscelli della Terra, tu non potresti affatto contare il tempo per determinare con ciò l’epoca della soluzione finale!

5. Perciò accantona pazientemente questa cosa, per la quale c’è tanto tempo, e vedi invece prima di tutto di conquistarti il Regno di Dio e la sua vera Giustizia. Così facendo, dopo la morte del tuo corpo tu sarai immediatamente ridestato da Me a vita eterna e nel Regno dei puri spiriti mille anni terrestri passeranno come un giorno!

6. Ora, amico Mio, nel Mio Regno Spirituale, ricolmo di ogni più suprema beatitudine, di tutto quello che qui ti appare senza fine potrà essere atteso il compimento con estrema facilità e in letizia perfetta. Per ora né tu né nessuno dei Miei discepoli può venir iniziato in tutta la sapienza dai Cieli, ma quando, fra pochi anni, tu sarai battezzato con lo Spirito Santo di Dio, allora questo Spirito guiderà te e tutti gli altri in ogni verità e sapienza dai Cieli ed allora soltanto contemplerai in chiarissima luce tutto ciò che ora deve apparirti ancora oscuro e confuso! Ma questo che ti è stato rivelato adesso, tienilo strettamente per te e fa’ che nessuno ne venga neppure in minima parte a conoscenza, perché tali cose conviene che vengano tenute segrete per lungo tempo ancora!

7. Quando Cirenio ebbe inteso in sé tutto ciò, ne fu estremamente sorpreso e dopo qualche istante di intensa meditazione disse: «Certo, è stata senz’altro la Tua Parola quella che ho inteso scorrere fedele e chiara come un limpidissimo filo d’acqua nel mio cuore; ma l’esortazione finale è proprio necessario che venga tanto rigorosamente osservata? Avendo a che fare con persone fidate, assolutamente oneste nel pensiero e nella fede, credo che si potrebbe pur rivelare qualcosa, fosse pure mediante piccoli cenni intercalati qua e là? Io credo che ciò non potrebbe nuocere a nessuno!

8. Gli dico Io allora, ad alta voce: «Amico Mio, ad un uomo che come te può apprendere per la via interiore, certamente queste cose non nuocciono, altrimenti Io non te le avrei rivelate, ma se molti uomini le udissero esteriormente per la via naturale dell’orecchio materiale, sarebbero loro di gravissimo danno, il come e il perché te l’hanno spiegato a sufficienza i Miei angeli e così ora lasciamo stare questo argomento, perché noi dobbiamo trattare ancora molte altre questioni di grandissima importanza che per il momento sono molto più urgenti di questa tua domanda, la cui risposta deve appena maturarsi attraverso le eternità delle eternità!».

 

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Cap. 64

Sull’essenza, vita e lavoro degli spiriti naturali.

 

1. Cirenio si dimostra soddisfatto di questa decisione, ma poi a sua volta si leva Kisjonah e Mi prega di poter egli pure fare una domanda circa una disposizione da Me presa, che aveva avuto una soluzione non chiara.

2. Gli dico Io: «Parla pure, o amico degli amici e dei nemici!».

3. Dice Kisjonah: «Ecco, quando ci siamo recati per ritirare gli ultimi tesori dalla grotta nella montagna di mia proprietà, Tu avevi ordinato che noi dovessimo provvederci di pane e vino in buona quantità, perché avremmo trovato molti esseri affamati ed assetati! Io subito feci portare del pane e del vino in abbondanza e stetti ad aspettare tanto nella grotta che fuori che si annunciasse qualcuno bisognoso delle provviste stesse. Ma vedi, o Signore, non si fece vedere nessuno cui poterlo offrire!

4. Però, quando fummo usciti dalla grotta e Tu con la Tua Potenza la facesti sbarrare per tutti i tempi, mediante Archiele, non si trovò più né pane né vino e nessuno dei portatori si trovò in grado di spiegarmi chi veramente se li fosse presi. Io però tra il succedersi degli avvenimenti meravigliosi non avevo rimarcato la cosa, ma il giorno dopo, quando Tu fosti partito da Chis, tutta la mia casa naturalmente non fece che parlare di Te e come di solito avviene con la gente, trattandosi di cose tanto meravigliose, corse sulle diverse bocche il racconto di almeno il doppio delle mirabili cose che, quanto consta a me, Tu effettivamente operasti. Molti di tali narratori li rimproverai per la loro riscaldata fantasia, ciò che in fondo si riduce ad una pia menzogna, ma dalla scomparsa del pane e del vino che avevamo portato con noi, confesso che rimasi io stesso colpito e sorpreso davvero, poiché non potevo proprio ricordarmi cosa fosse successo del molto pane e vino portato con noi, dato che non ne avevamo assaggiato per nulla?».

5. Dico Io: «Io ben sapevo che questo fatto ti avrebbe indotto a ritornare in argomento, però la cosa per se stessa non è tanto particolarmente importante come tu immagini. Ma, poiché hai sollevato la questione per venirne in chiaro, Io nondimeno ti devo dare la spiegazione del caso, ascoltaMi dunque.

6. Nei monti, come pure nell’aria, nella terra, nell’acqua e nel fuoco vi sono certi spiriti naturali, che non hanno ancora percorso la via dell’incarnazione, perché non si è ancora presentata l’occasione di poter trovare accesso nella carne durante un atto procreativo umano, per poi venire partoriti al mondo mediante il corpo di una donna. In tutti gli elementi esistono masse di simili spiriti allo stato pre-umano.

7. Ebbene, quelli fra questi spiriti che sono attivi nei monti, hanno tratto dall’aria già una qualche maggiore consistenza, essi non sentono nessun particolare bisogno di venire generati nella carne e di venir poi partoriti incarnati fuori da un corpo, ma preferiscono invece, poiché sono dotati di intelligenza, talvolta discretamente acuta, di rimanere il più a lungo possibile nel loro stato di libertà e di indipendenza. Perfino un certo senso di giustizia non è loro estraneo e temono lo Spirito di Dio, del Quale hanno, non di rado, una nozione abbastanza chiara, certamente sempre soltanto alcuni fra loro, che hanno già raggiunto una certa età. I giovani che vengono accolti in questa società sono di solito ancora molto tenebrosi e qualcuno perfino cattivo e potrebbero arrecare molti danni, se non fossero tenuti a freno dai più anziani. Il loro compito principale è di formare ogni tipo di metalli, di ordinarli e farli prosperare in filoni e strati nelle fenditure dei monti.

8. Questi spiriti prendono talvolta anche il nutrimento naturale precisamente dal regno naturale vegetale; a tale cibo ricorrono quando sono chiamati a lavori grevi nel regno della montagna, come sarebbe la trasformazione delle rocce, il sezionamento o lo scavo di porzioni grandi di montagna, lo svuotamento di caverne interne troppo piene d’acqua e molti altri lavori di questo genere; lavori nei quali questi spiriti vengono occupati spesso fino al massimo limite possibile delle loro forze, allo scopo di fare loro perdere l’eccessivo amore per le loro montagne con l’oppressione talvolta fortissima del lavoro e di indurli a cercare di venire generati nella carne, perché, particolarmente d’ora innanzi, nessuno spirito può giungere alla piena beatitudine vivente e libera, se non per la via dell’incarnazione.

9. Questi spiriti, Mio caro Kisjonah, e particolarmente quelli che curano l’assetto dei tuoi monti, dovevano compiere un lavoro quanto mai aspro nello sbarramento della grotta infame e perciò dovette venire loro infusa la forza necessaria mediante il pane e il vino! Ed ecco, questi sono quelli a cui Io avevo accennato, quando dissi: “Noi troveremo molti che avranno fame e sete e che avranno bisogno di questo ristoro” e così è anche avvenuto che tutto è stato consumato senza che ne rimanesse una briciola o una goccia; dopo di che essi al comando del Mio angelo compirono alla perfezione il gravissimo lavoro. Ed in ciò consiste la chiara risposta alla tua domanda. L’hai tu ben compresa?».

 

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Cap. 65

Leggende sugli spiriti della montagna. Sulla magia.

 

1. Dice Kisjonah: «Sì, o Signore, ora ho compreso tutto e ciò tanto più in quanto, da parte dei minatori che sono occupati a scavare ogni tipo di minerale nelle mie montagne, ho moltissime volte udito raccontare storie di questo genere, come cioè talvolta sparisse il pane e il vino che portavano con loro ed essi non riuscivano a comprendere chi fra di loro avesse forse potuto fare un simile scherzo ladresco. Quando poi i minatori adirati cominciavano a dar sfogo alla loro rabbia, essi udivano non di rado una risata squillante ed alcuni sostengono perfino di aver visto saltellare loro incontro delle figure umane della grandezza di un bambino e di colori differenti, chi azzurro, chi rosa, verde, giallo e qualcuno anche del tutto nero.

2. Così pure non è molto tempo che il mio più vecchio minatore mi ha raccontato di aver incontrato uno di questi ometti azzurri, che pare lo abbia consigliato di portare per l’avvenire pane e vino dentro ad una tasca di cuoio da tenersi sospesa addosso e così gli affamati compagni della montagna non avrebbero potuto impadronirsene. Si dice ancora che nelle gallerie scavate nel monte non sia troppo consigliabile parlare ad alta voce né assolutamente fischiare e addirittura imprecare e bestemmiare, perché sembra che i geni della montagna non possano tollerare queste cose ed essi sarebbero capaci di fare del male a tutti coloro i quali non volessero osservare questo divieto! Inoltre anche il ridere dovrebbe essere una cosa proibita, perché insopportabile a questi gnomi. Se però i miei minatori volessero qualche volta offrire pane e vino agli gnomi, questi, in cambio, potrebbero essere loro di aiuto nella ricerca di ricchi giacimenti di minerale.

3. Io di solito ho ritenuto che questi racconti non fossero altro che delle favole, perché di persona non ho avuto mai occasione di far esperienze a tale riguardo, quantunque io abbia abbastanza spesso visitato gli scavi nelle mie montagne; ma adesso, dopo la spiegazione che Tu mi hai benignamente dato, mi è tutto perfettamente chiaro! Una cosa sola, però, non posso almeno per il momento ancora comprendere e cioè come questi geni della montagna, che sono propriamente degli spiriti, possano consumare un cibo naturale. Come mangiano e come bevono questi esseri, a dire il vero un po’ sinistri?».

4. Rispondo Io: «All’incirca nel modo come il fuoco consuma le cose che ne divengono preda; getta nel fuoco una goccia di vino o una briciola di pane e vedrai ben presto svanire ambedue. Ora, vedi, questi spiriti o geni della montagna consumano il cibo naturale pressappoco così: essi disciolgono rapidamente l’elemento materiale ed invertono i principi spirituali-sostanziali esistenti nella materia ad integrazione del loro essere animico, assimilandoli in loro stessi, ciò che avviene in un momento. Ed ora conosci anche questo e non occorre che tu faccia altre indagini a tale riguardo»

5. Dice Kisjonah: «Signore, io Ti ringrazio per questi chiarimenti che hanno rasserenato e rallegrato contemporaneamente la mia anima ed ora riconosco in maniera ancora più evidente che tutto quello che mi circonda da ogni parte non è che vita, sempre e dappertutto vita!»

6. Gli dico Io: «Molto bene, amico Mio. Però di una cosa soltanto debbo pregarti e cioè che quanto tu e chiunque altro avrete ormai cognizione di ciò, vogliate tenerlo per voi; perché simili cognizioni non sono salutari per tutti. Tutti i maghi egiziani e persiani stanno, non di rado, in diretto contatto con simile genere di spiriti e con il loro aiuto compiono ogni tipo di incantesimi. Ma tutte queste specie di magia sono dinanzi a Dio un abominio e chi le esercita davvero mai, o molto difficilmente, troverà accesso al Regno dei Cieli! Infatti questi incantatori precludono agli spiriti già menzionati la via dell’incarnazione e quando muoiono divengono prigionieri di quelle anime immature e soltanto con grandissima difficoltà ne possono venir liberati, perché essi vanno continuamente assimilando elementi naturali dalle immature e nude anime naturali! Io lo dico a tutti voi: “Maledetto sia l’operatore di incantesimi!”. Nessuno può mai aver visto che un vero incantatore abbia voluto con la sua magia raggiungere un qualche scopo anche soltanto buono a metà! In ogni occasione invece si rivela evidentissimamente la più smaccata avidità di lucro accanto alla più spudorata brama di dominio, ora a tali spiriti conviene venga riservata nel più profondo inferno una ricompensa mortificante!»

7. Esclama a sua volta Fausto: «O Signore, Signore, per i molti incantatori e indovini che vivono nel vasto impero di Roma le cose si metteranno male! Infatti gli uomini di questa specie godono, appunto a Roma, di una considerazione quasi divina e possono con la loro parola paralizzare la volontà dell’imperatore e di qualsiasi altro eroe, per quanto grande e valoroso. D’altro canto, però, con una parola possono certo anche animarli ed infondere tanto coraggio da far tremare le montagne!».

8. Gli dico Io: «Certamente, o amico Mio, verrà il giorno in cui la migliore delle sorti non arriderà a questi uomini che vogliono fare da semidei, poiché essi sanno ingannare, nel modo più vergognoso, quelli che non sono iniziati nella loro arte e li spingono, con i loro inganni, non di rado a commettere i più neri abomini. Per questo motivo questi miserabili non avranno bene; perché essi sono veramente coloro che vendono vento a carissimo prezzo e che generano orrori infiniti e peccati per la rovina dell’umanità!»

9. Dice qualcuno: «Ma se si convertissero, non potrebbero anch’essi divenire beati?»

10. Gli rispondo Io: «Sì, se si convertissero certo anch’essi potrebbero essere beati, ma questa è la cosa triste: appunto questa specie di uomini è la meno incline a convertirsi! Voi potrete indurre a convertirsi un assassino, un brigante, un ladro, un frequentatore di prostitute e un adultero; un re ed un imperatore potranno deporre facilmente la propria corona, ma un incantatore non si separa dalla propria bacchetta magica, perché i suoi invisibili compagni non glielo consentono e gli dimostrerebbero di essere sempre loro i veri padroni, qualora egli volesse abbandonarli»

11. E perciò Io ripeto: «Maledetti siano i vili incantesimi, perché per causa loro sono venuti sul mondo tutti i peccati!

12. Chi vuole operare miracoli, deve ottenere da Dio la conveniente potenza interiore ed anche quando questo è il caso e avverrà il miracolo soltanto là dove l’estrema necessità lo richieda.

13. Ma chi opera falsi miracoli e con scongiuri e segni cabalistici vuole fare l’indovino, costui non occorre più che venga condannato, poiché lo è del tutto per sua propria volontà. E perciò guardatevi tutti dagli abominevoli incantesimi come pure dal profetizzare, perché tutto ciò è di gravissimo danno allo spirito dell’uomo!». 

14. Queste Mie parole avevano incusso profondo timore in tutti coloro che le avevano intese ed essi domandarono se bisognasse rinunciare anche ai pronostici del tempo, poiché antichissime esperienze parevano essersi rese degne di fede.

15. Dico Io: «Oh no, purché questi presagi siano dedotti in base ad osservazioni e calcoli scientifici puri; ma se così non è, anche il pronostico è un peccato, perché in questo modo l’uomo accoglie una seconda fede che non può fare a meno di indebolire la fede pura ed esclusiva nella Provvidenza divina, per cui avviene infine che egli crede più ai segni che non a Dio, il solo vero ed onnipotente.

16. Chi si affida alla pura fede, può pregare e gli sarà dato secondo quanto avrà pregato, anche se i segni pessimi della terra e dell’aria, dedotti dall’esperienza, dovessero essere in contrasto stridente con la sua preghiera. Chi però ha maggior fede nei segni, a lui anche accadrà secondo l’indicazione dei segni. I farisei ci tengono molto ai segni e per denaro sonante lasciano che gli uomini l’interroghino su questo, ma verrà il giorno in cui avranno tanto maggiore condanna!

17. Non è stato Dio a creare tutto ciò che serve di segno all’uomo? Ma se Dio ha creato tutto ciò, sarà ben egli permanentemente il Signore anche dei segni e tutto guiderà e dirigerà; e se è solo Dio che domina e governa ogni cosa creata ed ogni fenomeno, come possono fenomeni e cose aver qualcosa da indicare, senza di Lui? Dunque, se una tal cosa non è mai possibile che sia, allora ricorra l’uomo con la preghiera a Dio, l’Unico che può tutto, ed appaiano pure i segni in qualunque modo si voglia! Non è forse questo più consolante di mille fra le più accreditate interpretazioni di segni?»

18. Dicono tutti coloro che siedono alla Mia tavola: «Signore, quello che hai detto è certo e vero e se Tu volessi anche disporre in modo che tutto il mondo così pensasse e così facesse, o certo, questo assumerebbe tutto un altro aspetto rispetto a quello che ha presentemente! Ma per noi che siamo qui radunati intorno a Te la cosa è sicuramente facile, appunto perché vicini a Te, vale a dire vicini alla Ragione prima di ogni essere e di ogni fenomeno; ora in ben altre condizioni vengono a trovarsi le molte migliaia di centinaia di migliaia che non hanno l’inestimabile ed immensa fortuna di essere nella Tua compagnia santissima e di apprendere le parole della vita direttamente dalla Tua bocca! Tutti costoro aspirano certo ugualmente come noi a Quello di cui tutta la Creazione rende sicura testimonianza. Ma gli sguardi loro rivolti alle stelle non riescono a scoprirTi mai e la loro intensa brama non viene soddisfatta. Perché meravigliarsi, dunque, se presso tali uomini sorgono – e trovino anche troppo facilmente seguito – gli operatori di incantesimi, nonché i segni e i loro interpreti, dato che essi offrono agli uomini, che desiderano le cose di Dio, qualcosa che, seppure falso, ha tuttavia sempre una certa vernice che lo fa sembrare divino?».

 

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Cap. 66

Dei maghi e indovini.

 

1. A questo punto Cirenio prende nuovamente la parola e dice in tono piuttosto serio: «Signore! è perfettamente vero che Tu sei certamente Colui per il Quale noi già da lungo tempo Ti abbiamo riconosciuto e nessuno di noi lo può contestare! Nonostante ciò io devo confessare apertamente dinanzi Te che nella Tua presente dichiarazione circa gli incantesimi gli interpreti di segni e gli indovini non ho trovato traccia della Tua Misericordia e del Tuo Amore, che in ogni altra occasione si sono sempre rivelati! Date tali condizioni e tali circostanze sei pure Tu il solo da cui tutto dipende, perché sei Tu stesso ad inferire colpi tremendi e dolorosissimi all’uomo, ma poi guai al colpito, se a causa delle battiture poderose comincia a gridare! Ora, se alla fine questo sia giusto, io non lo posso vedere ancora!

2. Ecco, gli uomini di questa Terra sono senza dubbio per la maggior parte ciechi e ottusi di intelletto e con ciò anche cattivi. Ma io domando, a che cosa se ne può far risalire la causa e dov’è la ragione del male? E la domanda che io faccio ora la fanno pure molte centinaia di migliaia di romani che non sono certamente del tutto immaturi!

3. Non si può affatto ammettere che l’uomo, nella sua prima origine, sia uscito cattivo fuori dalle mani Tue, come si deve escludere che un bambino che non ha mai visto la luce di questo mondo sia già un demonio. Ma se il primo uomo era buono, com’è che il secondo e il terzo sono diventati cattivi? Era Tua Volontà o di colui che li ha poi generati che fosse così? Tutto dunque deve essere avvenuto così com’è avvenuto, ad ogni modo, secondo il Tuo volere! Ma se tutto questo è proceduto per Tuo volere, perché allora la terribile condanna pronunciata contro tali uomini, che non hanno veramente fatto altro che salvare la disgraziata umanità da sicura disperazione, poiché Tu non hai voluto manifestarTi, quando essa Ti chiamava! Io Ti supplico dunque di essere giusto sì, ma non duro nei Tuoi giudizi, perché la creatura di fronte al suo Creatore è disarmata; essa non può che pregare, tollerare, soffrire e disperarsi!»

4. Dico Io: «Oh, amico Mio Cirenio! Hai dunque nuovamente dimenticato tutto quanto finora hai appreso tanto da Me quanto dai due angeli? Ho detto forse che sarò Io stesso a giudicare e condannare tali uomini? Non eri tu che pochi giorni fa volevi immediatamente far punire i farisei, perché avevano voluto lapidarMi e non fui Io a non permettertelo? Ora invece sembra che tu Mi voglia accusare! O forse sei tu meglio di altri capace di creare intorno all’uomo condizioni tali che gli rendano possibile il diventare figlio di Dio, purché lo voglia? Vedi quanto sei ancora debole!

5. Sei davvero tanto magistralmente esperto dell’universale storia dell’umanità da poter, in base alle tue cognizioni, rimproverarMi che soltanto adesso comincio a curarMi di chi Mi chiama e Mi cerca, quasi che prima d’ora Io non lo avessi mai fatto!? 

6. Non hanno avuto i primi uomini sempre rapporti con Me? Chi era, dai tempi di Noè fino a Mosè, il Sommo Sacerdote di Salem, che si chiamava Melchisedek e che, quale vero Re dei re, abitava appunto a Salem e chi era ancora lo Spirito che aleggiava sull’Arca dell’Alleanza? E poiché lo Spirito dell’Arca dell’Alleanza trapassò in Me, si domanda: “Chi sono Io?”.

7. Coloro che Mi chiamavano volevano naturalmente che Io fossi sceso dalle stelle, perché quando fui tra loro, ero per loro troppo comune e troppo poco divino, non volendo brillare come le stelle!

8. Dunque, vedi, quello che ora ha mosso il tuo animo è del tutto falso, ma Satana, il quale si è accorto lievemente che tu porti in te il suo segreto, ha voluto fare con te una piccola prova solamente per vedere se tu eri capace ad cominciare a litigare con Me! Dunque, ora pensaci su e scruta se può esservi una qualche ragione in quanto tu hai detto!

9. Posso Io essere mai duro ed ingiusto con qualcuno? O non faccio secondo giustizia quando offro oro genuino e purissimo per l’artefatto e il falso? Oppure, devo Io infine lasciarvi marcire nell’antica, maligna ed inutile superstizione? Non avrei avuto Io, che sono il Signore, maggior diritto di te di mandare in perdizione i perfidi farisei recalcitranti? Invece, li ho Io giudicati? Oh, certo, essi avrebbero dovuto lasciar gravare su di loro la mano del giudice interiore, che è la loro coscienza, se Io non li avessi miracolosamente salvati!

10. Vedi, vedi quanto poco lontano tu vedi ancora! Oh, amico Mio! Tutto quello che finora hai già visto ed udito avrebbe pur dovuto abituare il tuo occhio a spaziare un po’ più lontano!».

11. Cirenio allora invoca da Me il perdono e così pure tutti gli altri ed ognuno vede ormai chiaramente la falsità dell’opinione nutrita a questo riguardo. Io però do loro parole di consolazione e dico: «Oh, ancora più spesso e più forti prove verranno sopra di voi, ma allora rammentatevi di quanto è avvenuto oggi e non dimenticate l’insegnamento che oggi vi ho dato, altrimenti, malgrado voi tutti Mi abbiate visto ed udito, potreste cadere in tentazioni ancora maggiori ed essere indotti voi pure a volgerMi le spalle, per far ritorno al mondo, alle sue menzogne ed ai suoi inganni e per schierarvi nel numero di coloro di cui voi diceste che Mi hanno cercato e chiamato ed ai quali Io ho mandato, al posto Mio, degli incantatori e degli indovini per poterli più facilmente condannare!». Allora essi Mi chiedono nuovamente perdono, ed Io do a tutti la Mia benedizione!

 

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Cap. 67

Il Signore guarisce un idrofobo.

 

1. Subito dopo ecco presentarsi una moltitudine venuta dalla città, portando la notizia che un uomo era stato preso da un eccesso di furore.

2. Io, però, domandai che cosa avrei potuto fare! 

3. Ed i cittadini dissero: «Noi sappiamo che Tu sei un medico che fa prodigi, perché ce l’hanno detto oggi i farisei, che ci hanno anche raccontato come Tu abbia guarito completamente la casa del vecchio Giosa, per la forza della Tua Volontà e come Tu debba essere di più del semplice falegname Gesù che noi tutti abbiamo finora conosciuto! E perciò siamo venuti a pregare in Te il nostro ben noto compaesano, affinché Tu voglia risanare quest’uomo invaso dal furore».

4. Allora Io domando: «E com’è che egli è stato preso da questa frenesia?».

5. Rispondono i cittadini: Oh, caro Maestro! Gli è stata comunicata da un cane affetto da rabbia il quale lo ha morso e questo è un male davvero terribile e pericoloso che finora nessun medico è stato capace di guarire. Se egli muore, dovrà essere bruciato con tutta la sua casa, perché, chi soltanto lo toccasse, sarebbe in breve a sua volta colpito da tale spaventosa malattia! Per questa ragione noi l’abbiamo ben chiuso in casa sua, perché non possa fuggire all’aperto ed evitare che altri ne abbiano ad aver grave danno. Oh, caro Maestro, liberaci Tu da questa piaga!»

6. Dico Io: «Ebbene, andate e conducetelo fuori, perché sia risanato assieme a tutti coloro che egli ha già contaminato, quando l’hanno preso e rinchiuso in casa!».

7. Osservano i cittadini: «Oh Maestro! Chi è colui che potrà condurlo fuori? Bisognerà toccarlo e chi lo tocca è già votato ad una morte spaventosa!».

8. Dico Io: «Se voi non credete e non avete alcuna fiducia, non Mi è possibile aiutare né lui né voi!».

9. Esclamano i cittadini: «Se Tu hai potuto guarire la casa di Giosa che era stata colpita da un male pressoché uguale senza che gli ammalati Ti fossero vicini, dovrebbe esserTi altresì possibile aiutare questo frenetico senza che sia necessario condurteLo qui dinanzi!».

10. Rispondo Io: «Giosa credette, mentre voi non credete, e nella vostra fede monca e tentennante siete venuti qui piuttosto per provarMi e per vedere che cosa avrei fatto di questo furioso inguaribile! Perciò Io nuovamente vi dico: “Conducetelo fuori e sarà dato aiuto tanto a lui quanto a voi!”, poiché tutti quanti siete qui, avete già in voi il germe dello stesso male che non tarderà molto a manifestarsi, ma se avete fede e portate fuori l’ammalato, appunto con ciò sarà annientato in voi il veleno di Satana!».

11. A queste Mie parole allora essi se ne vanno e ritornano poco dopo conducendo con loro il frenetico che aveva un aspetto terribile e selvaggio, e con le bave alla bocca ruggiva come un leone affamato. Quando i Miei numerosi ospiti scorsero quello sciagurato, furono colti da grande orrore ed angoscia e le donne si rifugiarono tutte in casa, non avendo assolutamente il coraggio di assistere allo spettacolo di quell’essere spaventosamente contratto che emetteva urla orribili, perfino Maria, Mia madre, si nascose in casa ed i Miei discepoli arretrarono, allargando il semicerchio che facevano intorno a Me. Giuda corse addirittura a nascondersi dietro un albero e soltanto Cirenio, Fausto, Cornelio, Kisjonah e Boro rimasero imperterriti vicino a Me. 

12. Allora Io dissi a quei cittadini: «Scioglietelo e lasciatelo libero!»

13. Ma tutti, allibiti dallo spavento, gridarono: «Signore! Noi siamo perduti!». Ed i cittadini non si fidarono di fare come Io avevo ordinato, perché tutto il resto del popolo, compresi i discepoli, li intimorirono maggiormente con le loro grida.

14. Per questo Mi rivolsi a Boro e gli dissi: «Va’ tu là e scioglilo, perché egli è già guarito e non può nuocere più a nessuno!»

15. Allora Boro, del tutto rincuorato, andò dall’idrofobo e disse: «Il Signore Gesù sia con te e sii guarito nel Suo Nome!».

16. In quello stesso istante il frenetico si calmò; la sua faccia sconvolta ed annerita riprese il suo colorito abituale e con uno sguardo di gratitudine pregò Boro affinché lo sciogliesse dai lacci solidi che lo avvincevano e Boro lo sciolse subito, liberandolo dalle corde che apparvero ora del tutto pulite e prive di bava. Il risanato poi si avvicinò a Me e con grande fervore Mi ringraziò per quell’inaudito beneficio elargitogli, pregandoMi in pari tempo di poter in avvenire venire risparmiato da una simile sciagura.

17. Ed Io gli dissi: «Tu e tutti coloro che per mezzo tuo sono stati colpiti infallibilmente dal tuo male ormai siete completamente guariti; in avvenire però siate amici degli uomini e non dei cani! A che scopo dovete tenere dei cani a dismisura? I cani li tengano coloro ai quali sono necessari per la caccia di animali feroci e selvaggi e li tengano i pastori dei grandi greggi come difesa contro i lupi, gli orsi e le iene, ma, all’infuori di questi, nessuno ha bisogno di un cane. E se qualcuno vuole proprio tenerne uno presso di sé, allora lo tenga ben legato alla catena, affinché i poveri, per timore dell’animale, non evitino di entrare in casa vostra a chiedere l’elemosina. Chi di voi per il futuro non seguirà questo consiglio, avrà dai cani lo stesso premio che è toccato a te.

18. Accogliete invece nelle vostre ricche case i figli di genitori poveri e lasciate dove sono i cani inutili e facilmente pericolosi, così non cadrete mai preda del tremendo furore che ha origine dal veleno di Satana che i cani portano con sé!»

19. Dopo ciò tutti Mi promettono che si sarebbero in quello stesso giorno ancora sbarazzati dei loro cani; alcuni deboli di fede però Mi domandarono nuovamente se fossero davvero perfettamente guariti dal male e se non avessero niente da temere per l’avvenire a tale riguardo.

20. Ed Io dissi loro: «O uomini di poca fede! Non vedete che colui che voi Mi avete condotto qui è perfettamente guarito? Ma se è guarito lui, sarete ben guariti pure voi, per quanto il male non vi abbia ridotti al punto in cui egli era! Se Io posso richiamare i morti che sono nella tomba, i vostri mali di certo non saranno stati peggiori della morte stessa! Il tempo, però, vi fornirà la prova che siete veramente guariti. Ed ora andate e presentatevi agli anziani ed ai farisei, dimostrate loro che siete del tutto risanati ed offrite sull’altare l’offerta che Mosè ha comandato ai lebbrosi di fare quando fossero stati purificati». 

21. Allora tutti Mi ringraziarono con il massimo fervore e Mi chiedono cosa avrebbero potuto fare per Me per ricambiare l’immenso beneficio avuto.

22. Ed Io dico: «Credete e operate così come vi insegneranno i farisei ed i dottori della legge!».

23. Ed essi, udito questo, se ne vanno rassicurati e si presentano immediatamente ai farisei nella sinagoga, ai quali raccontano tutto quello che era accaduto e fanno una ricca offerta per l’ottenuta guarigione.

24. Ma i farisei, che prima non avevano saputo niente di quel caso di rabbia, cominciarono a meravigliarsi grandemente e dicono: «In verità questa è una guarigione quale soltanto Dio può fare! Una cosa simile non è avvenuta in tutta Israele! Davvero quest’Uomo compie cose che non si verificarono mai, neppure da parte dei massimi profeti! Dunque non esiste male che Egli non sia in grado di guarire e non c’è morto nella tomba che Egli non possa richiamare in vita! Certo un Uomo simile non è mai esistito sulla Terra! Andatevene per ora alle vostre case e ritornate qui domani; bisognerà che tra noi si discuta anche parecchio sul Suo conto».

 

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Cap. 68

Un Vangelo per i benestanti.

 

1. I cittadini ormai fanno ritorno a casa e ridonano ai figli del guarito, al padre ed alla moglie, immersa nel più profondo dolore, il marito perfettamente sano. La donna inizialmente può appena credere ai propri occhi, ma ben presto, convinta della verità e pervasa da immensa gioia e gratitudine, scoppia in un pianto dirotto e, radunati i suoi dieci figli, si affretta fuori verso di Me e si prostra ai Miei piedi assieme ai suoi figli e si profonde in ringraziamenti per l’inaudito beneficio elargito a lei ed alla sua famiglia; in pari tempo Mi supplica di concederle di poter essere utile, per quanto sta nelle sue forze, alla Mia casa ed a chiunque altro Mi sarei compiaciuto di raccomandarle!

2. Io le dico: «Tutto quello che tu farai ai poveri per amore del Mio Nome sarà considerato come fatto a Me! La Mia casa però è ora già provveduta per il breve tempo che Io ci rimarrò ancora, quando Io non vi sarò più, tu verrai a saperlo!».

3. La donna, fra nuove lacrime di gioia e di gratitudine, esclama: «Oh Signore, Vero Maestro venuto a noi dai Cieli! Io possiedo una grande sostanza, ma intendo distribuirne subito la metà fra coloro che sono veramente poveri, mentre l’altra metà la amministrerò a loro vantaggio, affinché possano sempre trovare presso di me un aiuto, poiché penso che così sia ben fatto, essendomi noto che i poveri, quando hanno più del necessario, non sanno procedere con la dovuta economia, di solito spendono troppo in una volta e poi nel momento del bisogno si trovano di nuovo a mani vuote!».

4. Gli dico Io: «Fa’ pure così come ti sei proposta, o cara donna, ma similmente dorrebbero fare tutti i ricchi, perché così neanche i poveri soffrirebbero mai la vera miseria. Ora la miseria è una cosa terribile e più della ricchezza induce non di rado l’uomo a vizi maggiori. Il ricco almeno resta pubblicamente in onore davanti al popolo e raramente è causa di scandalo al mondo, così come lo è il povero, che dal bisogno è anche troppo facilmente spinto alle azioni peggiori, però il ricco spietato che approfitta dei poveri per dar sfogo ai propri vizi è tuttavia, nonostante il suo onore mondano, mille volte peggiore del povero vizioso. Infatti il povero cade nel vizio spinto dalla miseria, ma è il ricco che crea il vizio nella sua inconsumabile abbondanza!

5. Però la ricchezza, impiegata così come tu adesso Mia cara donna intendi e come anche farai, è una vera benedizione dai Cieli e chi a tale scopo amministra la propria ricchezza ne avrà per il presente e per l’eternità un guadagno immenso! E perciò chi vuole veramente operare secondo virtù sia sempre parco ed economo, per poter, nel momento del bisogno, essere d’aiuto ed ausilio al povero e al debole.

6. Io dico a voi tutti: «Il vostro amore per i vostri figli risplenda come una gran luce, ma il vostro amore per i fanciulli estranei di genitori poveri arda come un immenso fuoco! Perché nessuno in questo mondo è più povero e derelitto di un misero bimbo abbandonato, maschio o femmina che sia; chi nel Mio Nome accoglie un simile povero fanciullo ed ha cura di lui sia nel corpo che nello spirito come uno del proprio sangue, costui Mi accoglie e chi accoglie Me, accoglie altresì Colui che Mi ha mandato a questo mondo e che è perfettamente Una cosa sola con Me!

7. Se volete che la benedizione di Dio rimanga quale una dolce prigioniera nelle vostre case e che come un campo ben coltivato sia la premessa di abbondante ed eccellente raccolto, istituite nelle vostre case degli asili per allevare ed educare i bimbi poveri, allora su di esse si riverserà ogni tipo di benedizione con quella potenza che il torrente rigonfio manifesta scendendo dalla montagna al piano, ma se voi respingete dal vostro cospetto i poveri bimbi affamati o, peggio ancora, se con occhio torvo li cacciate via, quasi vi avessero causato un danno difficilmente risarcibile già con la loro sola presenza, allora la benedizione fuggirà dalle vostre case come fa il giorno morente inseguito dalla notte che a rapidi passi avanza. Ma guai a quelle case che saranno raggiunte da una simile notte! In verità Io vi dico che in esse mai più la mite aurora annuncerà un giorno radioso! Ed ora, Mia cara donna, ritorna pure a casa tua e fai così come hai deciso di fare e ricordati specialmente delle povere vedove e dei poveri orfani!»

8. Dopo questi Miei insegnamenti, la donna ed i suoi figli con essa si alzano, Mi ringraziano ancora una volta e la donna infine esclama con fervore e ad alta voce: «O Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe! Quanto sei grande, buono e santo e quanto sono immense la Tua potenza e la Tua sapienza poiché hai mandato a noi, poveri peccatori, un Uomo, secondo il Tuo cuore, capace di guarire tutti i mali che affliggono il nostro corpo e il nostro spirito! A Te solo, o Padre santo, vadano ogni lode, ogni amore, ogni onore e ogni gloria in eterno!

O caro Padre nostro, com’è grande la Tua bontà verso coloro che confidano solo in Te! Tu punisci con durezza chiunque non osservi i Tuoi comandamenti, ma se poi il peccatore pentito a Te si rivolge di nuovo implorando e dicendo: “O caro e santo Padre mio, perdona me che sono debole”, allora il Padre santo e buono sicuramente lo esaudisce di nuovo e con il Suo braccio onnipotente lo aiuta a tirarsi fuori da qualsiasi tipo di miseria!

9. O uomini, abbiate voi tutti un esempio in me! Anch’io sono stata una peccatrice e Dio mi ha fatto potentemente sentire quanto è pesante la Sua mano santa quando castiga, ma la mia fiducia non vacillò. Io mi pentii dei miei peccati e pregai con tutto il fervore il Padre celeste, ed ecco, Egli solo ha accolto la mia preghiera e mi ha soccorso miracolosamente nel momento del bisogno più grande e più terribile!

10. E perciò voi tutti confidate soltanto in Lui! Infatti quando l’aiuto dell’uomo non vale più niente, allora Egli viene e soccorre l’afflitto! Dunque ogni creatura non si stanchi mai di lodare Lui solo, perché Egli solo può veramente portare a tutti soccorso! Ma a Te, caro inviato dai Cieli, vada ancora una volta il mio ringraziamento, perché Tu stesso devi essere uno strumento santo nelle mani del Dio onnipotente!»

11. Questa ardente perorazione che, all’insaputa della donna, riguardava Me solo, fece salire ai Miei occhi qualche lacrima di intimissima commozione, tanto che Io per un momento dovetti distogliere il Mio volto da lei.

12. E Cirenio, che se ne accorse, esclamò: «Signore, perché Tu piangi?»

13. Ed Io risposi: «Amico Mio, di figliolette come questa ce ne sono ben poche su questa Terra! Come dunque non dovrei Io, che sono il Padre, non versare una lacrima di commozione e di gioia nell’udire le sincere parole di lode che l’amore le ha ispirato? Oh, Io te lo dico: “Più di qualsiasi altro Padre!”. Vedi, questa è una donna come dovrebbero essere tutte, e il Mio compiacimento in lei è immenso! A lei però sarà anche dato di accorgersi cosa significhi che Io abbia pianto di grande gioia a causa sua!»

14. Dopo aver detto queste parole, asciugai le lacrime dai Miei occhi e dissi alla donna, tutta immersa quasi in un’estasi d’amore a Dio: «Mia cara donna, poi ché il tuo amore e la tua fede in Dio sono tanto grandi quali raramente si sono visti a questo mondo, Io non posso congedarti così semplicemente come ora sei. Manda dunque il tuo figlio maggiore da tuo marito, perché venga anche lui qui, poiché Io devo parlagli ancora di cose molto importanti.

15. Il ragazzo allora va di corsa fino a casa, in città, ed in breve tempo è di ritorno assieme al padre guarito.

16. E dopo che sono arrivati, Io dico all’uomo: «Amico Mio, affinché tu sia completamente risanato non soltanto nel corpo, ma soprattutto nell’anima che vivrà in eterno e perché tu sappia farti una ragione di tutto quello che qui è avvenuto, Io ti ho fatto ora chiamare. In primo luogo tu, per tutta questa serata, sarai Mio ospite assieme alle tue care creature ed a tua moglie, ed in secondo luogo assisterai qui a qualche altro avvenimento ed udrai tante altre cose dalle quali potrai poi rilevare con facilità Chi è Colui che ti ha guarito! Dopo che tu e tua moglie Lo avrete riconosciuto, ne avrete l’animo sollevato mille volte di più e ti convincerai pure che veramente la tua guarigione è un’assoluta realtà.

17. Prima però che venga l’ora della cena noi faremo una piccola escursione fino alla nuova sinagoga che Giairo ha fatto costruire e Giairo stesso, sua moglie, sua figlia con il marito Boro, Cirenio, Cornelio, Fausto, Kisjonah, tua moglie ed i tuoi figli ci accompagneranno. Là sarai testimone di cose che ti rafforzeranno molto nella fede».

18. Dice il guarito, il cui nome era Bab: «Maestro, sia fatto quello che Tu vuoi e come Tu vuoi! Io sono pronto a seguirti anche in capo al mondo».

19. Dopo questa risposta di Bab, ci mettiamo subito in cammino verso la sinagoga, che poteva essere raggiunta, passeggiando in un quarto d’ora con un’andatura discreta e con tutta comodità in mezz’ora.

 

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Cap. 69

Nel sepolcro di Giairo.

 

1. Noi dunque vi arrivammo anche in breve, entrammo nella sinagoga e penetrammo nel sepolcro dove per più di quattro giorni era giaciuta Sara e nel quale ancora si trovavano i lini e le bende in cui essa da morta era stata avvolta. In quella stessa tomba però giaceva ancora un altro cadavere di un membro di una famiglia amica di Giairo. Si trattava di un ragazzo dodicenne, il quale un anno e mezzo prima era morto di malattia acuta. Esso giaceva in una bara di cedro; e il corpo, ad eccezione delle ossa, era già completamente decomposto e consunto.

2. Alla vista di quella bara a Giairo vennero le lacrime agli occhi e con voce piangente disse: «Che triste cosa è il mondo! Sul suo terreno fa sorgere i fiori più delicati e qual è il loro destino? Scomparire e morire! Il profumo della rosa si converte ben presto in odore nauseabondo, e il tenero e candido giglio diffonde intorno a sé un fetore putrido, quando si decompone! L’azzurro-celeste del giacinto diventa il cereo-grigio della morte, ed il garofano trapassa come mille altri dei suoi deliziosi fratelli!

3. Questo ragazzo era, per così dire, un angelo, il timore di Dio l’aveva accompagnato fin dalla culla e nel suo decimo anno già comprendeva le Scritture ed osservava i comandamenti come un pio israelita adulto. In breve la sua condotta davvero esemplare nella sua ingenuità fanciullesca e le sue doti spirituali meravigliosamente sviluppate giustificavano in noi le più belle speranze. Ma un terribile male venne e non vi fu medico che fosse capace di vincerlo e così con questo fanciullo morì anche tutto quello che in breve tempo ci si sarebbe potuti a buon diritto aspettare da lui!

4. E qui deve pure sorgere in noi la domanda: “Perché mai Dio, il Signore dell’amore e della misericordia, permette che avvenga questo ad uomini che sperano e confidano in Lui?”. Migliaia di bimbi poveri vagabondano di qua e di là senza tetto e senza una qualche educazione e Dio non li richiama da questa Terra, invece i figli di genitori che hanno tutte le possibilità di allevarli così come soltanto può riuscire gradito a Dio, devono di solito finire sottoterra! Ma perché questo?

5. Se a Dio piace che sulla Terra non vi siano che selvaggi capaci di mettere assieme appena quattro parole, allora certo fa bene se toglie via da questo mondo ogni fanciullo che dimostri di essere un po’ più sveglio di spirito e lascia che i soli deficienti continuino a vivere accanto alle scimmie! Ma se invece Dio ha un qualche interesse che su questa Terra prosperino uomini pii ed a Lui devoti, che Lo riconoscano e Lo amino, io credo che Dio dovrebbe avere cura della vita di simili fanciulli più di quanto sia sempre stato il triste caso finora!

6. Dico Io: «Mio caro amico Giairo, tu parli così come ti suggerisce la tua interiorità umana, ma Dio invece fa nel Suo criterio divino così come Egli dall’eternità vede e comprende e come deve vedere e comprendere, altrimenti tu e tutto quello che esiste non avrebbe esistenza! Però, anche all’infuori di queste considerazioni, la tua disputa con Dio è una dichiarazione di ingiustizia!

7. Se Dio richiamasse dal mondo già nell’infanzia tutti i fanciulli che in quella prima età rivelano un acuto spirito e dei talenti, voi tutti, che ora vi trovate presso di Me, sareste da lungo tempo dissolti nella terra! Siccome, invece, voi siete ancora qui, avendo già raggiunto un’età abbastanza avanzata, il rimprovero che tu muovi a Dio è ingiusto, perché anche voi nella vostra fanciullezza avete dimostrato di essere in modo non comune desti nello spirito. Anche voi eravate figli di genitori facoltosi sotto ogni riguardo, eppure Dio vi ha lasciato vivere, mentre lontano da qui, fra i pagani, Egli ha preso via da questa Terra molte migliaia di poveri bimbi colpiti da svariate incurabili malattie ed i loro miseri genitori ne hanno provato altrettanto dolore quanto quelli di questo ragazzo, i quali vivono ancora e al posto di questo hanno adottato tre altri fanciulli poveri. Ora questi tre fanciulli sono oramai diventati successori del tutto degni di quest’uno, il quale con il tempo, a causa dei suoi spiccati talenti, sarebbe stato troppo viziato e troppo abituato alla vita comoda dai suoi genitori, che nel loro amore l’anteponevano a Dio, ed avrebbe finito in seguito con il non corrispondere affatto alle alte speranze da loro concepite; infatti il risultato finale per lui sarebbe stato quello di diventare un babbeo vanitoso, superbo e cocciuto, dal quale nessun sommo sacerdote avrebbe potuto ottenere qualcosa!

8. Dio però vide già prima tutto ciò, lo richiamò a tempo debito da questo mondo e nell’aldilà lo affidò agli angeli, allo scopo di una educazione migliore, affinché potesse rendersi tanto prima maturo per quella destinazione che a lui, come ad ogni altro uomo da parte di Dio, è in modo particolare fissata.

9. Ma oltre a tutto ciò Dio previde pure che sarebbe venuto il tempo, che è oggi, in cui per voi pochi il Suo Nome dovesse venire glorificato e, vedete, Dio lasciò morire questo ragazzo un anno e mezzo fa affinché egli si trovasse già decomposto quando Dio, il Signore, lo avesse richiamato alla vita terrena. Dunque estraete la bara ed apritela!». 

 

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Cap. 70

Risurrezione di Giosoe.

 

1. Dopo queste Mie parole, Boro e Kisjonah discesero nella tomba e tentarono di alzare la bara, ma non poterono affatto smuoverla per l’eccessivo peso che aveva, poiché era fatta di legno di cedro massiccio ed era resa più greve ancora da una quantità di fregi in bronzo, oro e argento. Dopo ripetuti tentativi inutili, Boro disse: «Signore! La bara è troppo pesante e noi non possiamo assolutamente venirne a capo! Mi pare che essa sia stata messa al suo posto con l’ausilio di qualche macchina e in via naturale non può essere rimossa, se non ricorrendo ad un mezzo meccanico».

2. Dico Io: «Allora salite fuori dalla tomba. I due giovinetti che sono qui la leveranno essi come necessita!». Boro e Kisjonah risalgono rapidamente, mentre i due giovani prendono il loro posto e sollevano all’istante la bara con una tale facilità come se fosse stata fatta di piume.

3. Bab, assieme a sua moglie ed ai suoi figli, fece tanto d’occhi a quella dimostrazione di forza da parte dei due giovani e poi disse, con accento molto meravigliato: «Oh, questa è davvero una forza che ha dell’incredibile! Questi due teneri giovinetti che possono avere al massimo 15 anni hanno giocato con questo peso come fa il turbine con una piuma, mentre due uomini robusti non sono stati capaci prima neanche di smuoverla! In verità, una cosa simile non è ancora mai stata vista!»

4. Dico Io: «Lascia stare questo argomento, poiché tu sarai testimone d’avvenimenti più grandi e più importanti ancora! Però a tutti voi Io devo mettere seriamente a cuore una cosa, e cioè che di tutto quello che vedrete non direte niente a nessuno, nemmeno ai Miei discepoli, poiché per loro il tempo non è giunto ancora, né presto verrà, ma quando questo tempo sarà venuto, essi ad ogni modo risapranno tutto. Ed ora aprite la bara per constatare a che punto è già arrivata la decomposizione!».

5. La bara venne aperta immediatamente, e il cadavere del ragazzo, che ad eccezione delle ossa più resistenti era totalmente consunto, dopo essere stato liberato dalle esperte mani di Boro dalle bende e dai lini che lo avvolgevano, apparve agli occhi dei presenti. Tutti contemplarono con visibile ribrezzo il lugubre spettacolo offerto da quel misero scheletro.

6. E Fausto esclamò: «Ecce homo!».(Ecco l’uomo!) Anche questo era un uomo! Ecco la bella sorte riservata alla florida carne umana: un teschio orrendo munito ancora di pochi capelli appiccicati, qualche rimasuglio di pelle bruno-verdastra afflosciata sul petto, perforata qua e là dalle costole semicorrose, una colonna vertebrale nerastra da cui pendono viscere decomposte e coperte di muffa. E infine i piedi orrendamente sformati; nient’altro che muffa e putredine! E le nostre narici percepiscono esse pure che noi ora non ci troviamo affatto in un negozio di profumi e di balsami, perché il fetore è più grande di quanto me lo fossi immaginato!  No davvero, questo è lo spettacolo più adatto a rendere all’uomo il proprio essere il più spregevole possibile, perché, infine, ognuno di noi a sua volta bisogna che si aspetti un simile destino! E per questa ragione anch’io preferisco di gran lunga la cremazione dei cadaveri alla sepoltura.

7. Dico Io: «Ma se il Figlio dell’uomo ha il potere di ridestare e di richiamare in vita anche simili corpi, come pure tutti quelli che dai tempi di Adamo riposano completamente dissolti nella Terra, rimane ancora un tale spettacolo la personificazione dell’orrore per gli uomini di questo mondo? Può la morte avere in sé qualcosa di più terribile ancora, quando su di essa si è innalzato un padrone? Ma, affinché voi tutti che siete qui vi convinciate che Io, quale un Figlio d’uomo su questa Terra, ho ampio potere di richiamare alla vita anche tali corpi e di rianimarli per l’immortalità, questo ragazzo appunto dovrà renderne testimonianza!».

8. Dopo di che Io dico al ragazzo: «Giosoe, Io te lo dico: «Alzati e vivi, e testimonia che la Mia Potenza giunge a risuscitare anche quei morti che sono come tu sei!»

9. Nello stesso istante si produsse come una poderosa corrente d’aria e la muffa della putrefazione scomparve, sulle ossa si completò rapidamente la pelle ed entro di questa il corpo cominciò a formarsi, fino a raggiungere la perfetta figura umana, gonfiandosi come fa la pasta del pane quand’è lievitata! Così in pochi momenti il ragazzo si sollevò completamente e perfettamente vivo, riconobbe subito Giairo, Fausto e Cornelio, che aveva già visto a Nazaret, e rivolto a Giairo gli chiese: «Ma, mio caro zio, come mai mi trovo in questa bara? Cosa è successo di me? Fino poco fa, io mi trovavo in una bellissima compagnia e non posso spiegarmi proprio come d’improvviso io sia venuto qui!»

10. Risponde Giairo: «Mio caro Giosoe, guarda Colui che ti sta vicino: Egli è il Signore della Vita e della morte! Per il corpo tu eri morto, e per un anno e mezzo giacesti qui in questa bara; nessuna forza procedente da uomo avrebbe mai più potuto ridarti vita su questa Terra, ma Questi, che ha bensì l’aspetto d’uomo, ma che è da molto più di un uomo, ti ha risuscitato da morte a vita e perciò tu devi ringraziare solo Lui per questa nuova vita che ti ha donato!».

11. Il ragazzo Mi guardò con sorpresa, Mi osservò da capo a piedi e dopo qualche istante di riflessione, per coordinare le idee e la memoria, disse: «Questi è appunto Colui il Quale mi richiamò dalla bella compagnia in cui mi trovavo e che mi disse: “Giosoe vieni, perché tu Mi sarai testimone sulla Terra che a Me è dato ogni potere, tanto in Cielo che sulla Terra!”.

12. Ed io lo segui volentieri, perché ho subito compreso che Egli è proceduto da Dio e che in Sé porta, in tutta la loro pienezza, la forza e la potenza divina sopra tutte le cose nel Cielo e sulla Terra. Infatti, così come Egli è qui, Io L’ho visto prima nel mondo degli spiriti, in cui certamente mi trovavo quando fui da Lui chiamato, per far ritorno a questo mondo. 

13. Soltanto adesso si fa chiaro nella mia mente e ricordo pure di essere vissuto su questa Terra e di essere poi anche morto, ma come la morte sia seguita, io non lo so, come pure non so in quale maniera io possa aver abbandonato questo mondo. Neppure so spiegarmi in che modo mi sia trovato in una bella casa ed in carissima compagnia, nella quale mi trovavo molto bene. Io vedevo, di quando in quando, i miei genitori, i miei fratelli e le mie sorelle, e mi intrattenevo con loro riguardo a questioni divine che i miei compagni, molto più esperti, mi avevano insegnato e spiegato. Ma questo Santo dei Santi io non lo vidi mai prima di pochi istanti fa, prima di ritornare a questo mondo».

14. A questo punto Io dico ai due giovinetti: «Procurategli una veste e un po’ di pane e di vino, affinché la sua carne sia rafforzata e perché possa venire con noi a Nazaret! E come ebbi dato a questi due quest’ordine, essi apparirono immediatamente già forniti delle cose richieste.

 

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Cap. 71

Lo stupore di Bab e della moglie per tale miracolo.

Promessa a Giosoe di immortalità.

 

1. La cosa aveva assunto per il nostro Bab e sua moglie un aspetto troppo meraviglioso e la donna disse al marito: «Mio caro Bab, non senti tu che noi siamo dei gran peccatori, mentre in quest’Uomo Gesù regna la pienezza della divinità? Non è già Egli Colui del Quale tutti i profeti, fino a Zaccaria ed a suo figlio Giovanni, hanno profetizzato? Non è Egli Colui che Davide chiamava il suo Signore, quando disse: «Il Signore parlò al mio Signore!». Non è Egli Colui del Quale appunto il grande Davide parla, quando dice: «Alzate le porte della città e spalancate i portoni, affinché entri il Re della gloria. Ma chi è questo Re della gloria? Egli è il Signore Jehova Zebaot! Marito mio, qui è Jehova in persona! Ma noi siamo dei peccatori indegni di rimanere al Suo cospetto! Vieni, andiamo a purificarci, secondo il comandamento di Mosè, e soltanto dopo potremo ritornare ed avvicinarci a Lui!»

2. Dico Io ai due, un po’ smarriti e profondamente commossi: «Colui che risuscita i morti può purificare anche senza Mosè! Dunque restate, perché Mosè non è più di Me né di Colui che lo ebbe a suscitare agli scopi di quel tempo! Dunque Io vi dico: “I vostri peccati vi sono perdonati!”, e così voi siete purificati e di conseguenza non avete più bisogno di Mosè, perché Mosè senza di Me non è niente»

3. Dice Bab: «Quand’è così, come del resto ormai non ho il più minimo dubbio, noi restiamo, perché certo Mosè non potrà mai renderci più puri di quanto possa fare l’Onnipotente stesso!

4. Dice la donna: «Io resto sempre l’ancella del mio Signore; sia fatto dunque così come vuoi e come vedi essere buono e giusto. Però questa santissima presenza di Dio è quasi un’oppressione per la mia anima!» 

5. Le dico Io: «O donna, Io ho udito a Nazaret come tu magnificavi e glorificavi Dio ed ora Io ho fatto quello che hai visto per amore tuo innanzitutto. Dunque non ti dovrebbe essere difficile resistere presso di Me! Però ora Io devo dire e raccomandare a tutti voi di non raccontare a nessuno una sillaba di quanto è capitato qui e ciò non per motivi che concernono Me e neppure voi, ma soltanto a causa dei molti increduli, affinché questi non abbiano a credere nel Figlio dell’uomo per la costrizione, ovvero per il Giudizio insito nel prodigio operato, bensì liberamente, quando verrà loro predicato il Vangelo!

6. Infatti gli uomini di oggi, per la forza di una tale testimonianza, sarebbero costretti a credere a Me come in dure catene, ciò che sarebbe di grave danno alla loro libera vita. Inoltre le successive generazioni comunque non accoglierebbero tali testimonianze narrate o scritte, trovandole delle esagerazioni, e le considererebbero pure invenzioni della fantasia umana e così si scandalizzerebbero della dottrina pura e dell’eterna verità; dunque è miglior cosa che venga del tutto conservato il silenzio riguardo ad opere simili da Me compiute, particolarmente in questi primi periodi del Mio insegnamento.

7. E tu, o Giairo, che dopo qualche tempo, durante il quale Mi riservo di plasmare favorevolmente le circostanze, dovrai ricondurre ai suoi genitori il giovinetto Giosoe e dovrai con tutta coscienza e fedeltà ammaestrarlo sul come egli debba considerare la cosa per se stessa. È bene che egli creda in Me, ma non deve voler suscitare chiasso o sensazione davanti agli uomini! Però questo ragazzo, ridonato ora alla vita del mondo, essendosi compiuto nei suoi confronti il processo del dissolvimento materiale, non morrà più nel corpo, ma, quando il suo tempo sarà venuto, un angelo verrà e lo chiamerà ed egli seguirà liberamente la chiamata e nessun occhio mortale poi lo vedrà più peregrinare su questa Terra in nessun luogo.

8. Ed oramai, poiché il ragazzo ha finito il suo pane e il suo vino e il crepuscolo accenna già ad avanzare, faremo ritorno a casa!».

9. Noi uscimmo subito fuori dalla sinagoga, mentre Giairo e Boro chiusero la porta del sepolcro, dopo aver pregato i due giovinetti di rimettere la bara al suo posto nella fossa, cosa che questi anche fecero immediatamente.

 

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Cap. 72

Il vero servizio divino.

 

1. Giunti all’aperto, Cirenio Mi dice: «Signore, se una cosa simile accadesse a Roma, perfino le pietre si prostrerebbero ai Tuoi piedi e Ti adorerebbero ad alta voce e noi qui ci comportiamo come si trattasse di fatti assolutamente comuni! O Signore, abbi pazienza con la nostra debolezza o stoltezza che sia»

2. Gli dico Io: «Se Io l’avessi voluto, certo sarei venuto al mondo nascendo a Roma invece che a Nazaret. Fate dunque soltanto quello che Io a voi richiedo, tutto ciò che va oltre questo segno rientra nella cerchia del paganesimo ed è peccato. Ancora non lo sai tu, che amare Dio sopra ogni cosa e il prossimo come se stessi è cosa inesprimibilmente maggiore dell’edificare templi di pietra e di legno al Dio del Cielo e della Terra?

3. Se già, come disse Salomone, Cielo e Terra sono troppo poca cosa per capire la maestà di Dio, come mai la potrà capire un misero edificio fatto di pietre tagliate e argilla cotta, considerato ancora che tutta la Terra, quanto tutto l’Universo, sono stati creati da Lui?

4. DimMi: “Che cosa direbbe un padre ai suoi figli, se questi fossero tanto stolti da costruire con i suoi escrementi una casupola grande quanto una mosca od anche un po’ più grande e si facessero poi, con lo stesso materiale, un’immagine che dovesse rappresentare il padre e quando tutto fosse pronto si prostrassero dinanzi a questo Tempio di immondizia ed onorassero ed adorassero così il loro padre?”. Cosa faresti tu se i tuoi figli ti facessero una cosa simile e se essi, nel caso in cui tu li rimproverassi facendo rilevare la stoltezza, la sozzura e la perfetta indegnità del loro procedimento, si ostinassero con ancora maggior zelo a trascinarsi in ginocchio intorno al Tempio di sterco e ad adorare la tua immagine fatta della stessa immondizia? Che faresti se contro la tua stessa volontà volessero costringere, con minaccia di morte, i loro fratelli, forse di più sano e chiaro intelletto, a fare la stessa cosa ed esigessero da loro per questo bel servizio un pio contributo? DimMi, che faresti in questo caso? Potrebbe una tale onoranza, oltre ogni misura sudicia e stupida da parte dei tuoi figli, rallegrare il tuo cuore?

5. Ecco, Io leggo nel tuo cuore una protesta quanto mai energica contro questa supposizione, ma Io ti dico che una simile specie di venerazione degli stolti figli di fronte al loro padre terreno sarebbe migliore ancora di quella degli uomini nei templi da loro costruiti di fronte a Dio! Perché i figli, così facendo, adopererebbero, per erigere il loro tempio almeno i residui di ciò che ha dato nutrimento al padre, mentre gli uomini si servono degli escrementi di Satana per edificare i templi dove essi presumono di adorare Dio e loro Padre! DimMi! Cosa ne pensi dunque di una simile venerazione od adorazione di Dio?»

6. Risponde Cirenio: «Signore! Ora io vorrei semplicemente che una pioggia di fulmini scendesse ad incenerire tutti i templi della Terra! O forse basterebbe ai Tuoi due angeli un istante solo per ridurli tutti in polvere!»

7. Gli dico Io: «Amico Mio! Questo è avvenuto, avviene attualmente ed avverrà molto spesso ancora nei tempi futuri, ma tuttavia gli uomini non cesseranno dall’edificare dei templi. Quello di Gerusalemme sarà distrutto e dei templi degli idoli non sarà dato scorgere più nulla. Però, in luogo dei pochi scomparsi, ne seguiranno poi delle migliaia e finché uomini dimoreranno sopra la Terra essi sempre edificheranno templi, grandi e piccoli, ed in essi cercheranno la loro salvezza. Ma pochi soltanto saranno coloro che si accingeranno ad erigere a Dio un tempio vivente nel loro cuore, là solamente dove Egli può e deve venire riconosciuto in maniera degna, onorato ed adorato, perché questa è l’unica condizione della vita eterna dell’anima! 

8. Fintanto che gli uomini dimoreranno in palazzi, e a causa di questi cercheranno onori e lodi presso coloro che palazzi non possono avere, si erigerà un tempio per un qualche Dio accanto ai palazzi e là lo si onorerà, anche se non in verità, almeno ad esaltazione ed onore di chi il palazzo e il tempio avrà edificato.

9. E così avverrà che gli uomini della Terra attribuiranno a se stessi l’onore che essi devono a Dio. Ma il premio per le loro opere verrà poi anche limitato e si troverà anche esaurito in quello che essi stessi si saranno presi. Però nell’aldilà essi non saranno riconosciuti e saranno cacciati nelle tenebre estreme, dove li attenderà il pianto e lo stridor di denti, che sono la contesa e la guerra eterne, a causa delle tenebre tremende! E perciò lasciamo frattanto tutto così come si trova, perché tutti i nodi soltanto nell’aldilà troveranno il pieno scioglimento».

 

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Cap. 73

La cena da Maria.

 

1. (Il Signore:) «Com’ebbi fornito queste Mie comunicazioni a Cirenio, noi ci trovammo già ad aver raggiunto la casa di Maria, dove ci attendeva un’abbondante cena, consistente, come si usava, in pane, vino e in buon pesce preparato a dovere. Il giovane Giosoe si dimostrava molto lieto nel vedere la bella imbandigione e guardava con particolare bramosia il pesce.

2. Ma Giairo osservò: «Mio caro nipote, non devi consumare la tua cena con tanta avidità, perché io penso che il tuo stomaco, creato per così dire di nuovo, non dovrebbe essere capace di sopportare una quantità troppo grande di questi cibi terreni!»

3. Ed il ragazzo gli disse: «Oh, caro zio, non darti pensiero per questo. Colui che mi ha ridestato da morte non avrebbe certo dotato il mio stomaco di un appetito così grande se esso dovesse risentire danno dall’ingerimento di cibo in quantità un po’ maggiore di quanto usa prenderne uno stomaco normale in stato di relativa continua sazietà, poiché per l’uomo non è affatto uno scherzo essere giaciuto, per un anno e mezzo, morto e senza nutrimento! Se fosse toccato a te il mio caso ed avessi in te uno stomaco rinnovellato come l’ho io comprenderesti molto facilmente la mia bramosia di cibo. Non però ogni uomo si è trovato nella mia posizione e di conseguenza non è pensabile una qualsiasi discussione con me a questo riguardo. Dopo Colui Che mi ha ridestato, so io, meglio di tutti, come ora mi trovo! Dunque, non aver alcun timore che un paio di pesci, un pezzo di pane ed un bicchiere di vino possano essermi minimamente nocivi!»

4. Dice Giairo: «Da parte mia ti sia concesso quello che vuoi, di tutto cuore; io ho parlato con te con la migliore intenzione di questo mondo». 

5. Dopo questo breve scambio di parole tra Giairo e suo nipote, noi ci sedemmo a mensa ed in serenità ed allegria facemmo onore alla cena. In questa occasione poi la conversazione si aggirò su quanto era finora accaduto a Nazaret e su quello che eventualmente si sarebbe detto a Gerusalemme!

6. Ma i discepoli vollero informarsi sul conto del ragazzo e su chi egli fosse e non sapevano cosa pensarne. Ora interrogavano il ragazzo stesso, ora Giairo, ora i due giovinetti che pure sedevano con noi alla mensa principale, per tentare d’avere qualche spiegazione in proposito; pensavano infatti che in lui doveva certo esserci qualcosa di straordinariamente diverso, perché essi sapevano molto bene che il Signore non era solito trattare oltre certi limiti con dei ragazzi comuni! Ma questa volta l’inchiesta dei discepoli fu vana, perché non riuscirono a ricevere una risposta soddisfacente da nessuno.

7. E quando Maria si accorse dell’impazienza dei discepoli, così disse loro: «Quello che vi è necessario sapere, non vi viene nascosto, ma siccome evidentemente questa cosa non è necessaria, a che persistere nelle vostre inchieste? Fate quello che Egli vi dice e non vogliate mai sapere di più di quanto Egli reputa necessario che vi venga rivelato. Così facendo vivrete ed opererete conformemente alla Sua Volontà, ed il premio eterno vi sarà assicurato. Tutto quello che voi volete contro la Sua Volontà è peccato contro Questa e contro il Maestro, che è il vostro Salvatore nel corpo e nello spirito! Non dimenticate queste parole!».

8. A questa ammonizione molto saggia della madre Maria, i discepoli desistettero dalle loro ricerche sul conto del ragazzo e si limitarono a parlarne soltanto fra di loro e Pietro, rivolgendosi a Giovanni, il Mio prediletto, gli domandò cosa ne pensasse lui.

9. Ma Giovanni gli rispose: «Non hai fatto dunque attenzione alle care parole della mirabile madre, che ancora ti prude sapere quello che per ora il Signore per motivi certamente saggissimi non ritiene opportuno rivelarci? Vedi, da parte mia invece non sento alcun desiderio; noi sappiamo quel che sappiamo e questo ci basta. Ma se volessimo sapere anche tutte le infinite cose che il Signore sa oltre i confini della nostra conoscenza, una simile pretesa da parte nostra sarebbe senza alcun dubbio la massima delle stoltezze e noi tutti meriteremmo di essere tutt’altro che Suoi discepoli!»

10. Dice Pietro: «Sì, sì, anche tu hai ragione, però la grande brama di sapere è pur essa un grande bene che il Signore ha posto nel cuore dell’uomo e, se questo non sentisse questo nobilissimo impulso, sarebbe simile ad un animale che, a quanto ne so io, non ha nella sua anima ottusa certo alcuna traccia di un qualche stimolo di questo genere. Almeno a me pare che il divino-puro dell’impulso si riveli al conoscere già in ciò che esso rassomiglia alla sensazione della sete durante il sogno per calmare la quale non di rado l’anima sognante consuma recipienti enormi d’acqua o di vino e nonostante ciò non arriva ad estinguere la sua sete e l’anima tuttavia conserva continuamente ed inesausto il suo stimolo. La nostra insaziabile brama di sapere ci mostra ben chiaro e preciso che in Dio deve trovarsi una pienezza infinita di Sapienza che mai in eterno nessun spirito indagatore potrà approfondire! E così, mio caro fratello, ritengo che anche la mia presente bramosia di conoscere non sarà peccato!

11. Vedi, a questo riguardo accade a me ed a diversi dei nostri fratelli, come accade ai fanciulli golosi, che non sentono alcun desiderio delle svariate leccornie che ci sono e si possono avere finché non hanno l’opportunità di vederle, ma se tu provi a mettergliele sulla tavola, con il divieto di mangiarne, vedrai che ben presto avranno molte lacrime negli occhi e più ancora l’acquolina in bocca. Però, nonostante tutto questo, tu hai ragione, perché come un saggio padre, allo scopo di conseguire che i suoi figli si esercitino nella virtù importantissima dell’abnegazione, presenterà loro di quando in quando dei cibi delicati che sarà loro vietato di mangiare, così pure sembra procedere il nostro Padre celeste, quando ogni qual tratto ci ammannisce dei cibi spirituali, dall’uso dei quali noi dovremmo astenerci fino a tanto non si abbia raggiunto stabilmente in noi un certo grado d’abnegazione. Arrivati che saremo, secondo i Suoi ordinamenti, a questo grado da Lui prescritto come necessario alle anime nostre, Egli ci concederà di gustare quel cibo che è la nostra brama. Dunque noi vogliamo, per oggi e fino a quando a Lui piacerà, accontentarci perfettamente di ciò che abbiamo e che sappiamo e sia fatta sempre e soltanto la Sua Volontà»

12. Dico Io: «Mio caro fratello Simon Giuda, così è giusto e vero! Non tutto il sapere e tutte le esperienze sono adatte a destare lo spirito e a vivificare l’anima, perché, vedi, così sta scritto: “E Dio parlò ad Adamo: ‘Quando tu mangerai dall’albero della conoscenza, tu morirai!’”. E così è effettivamente!

13. Nella conoscenza stanno la legge e il giudizio, perché, fino a tanto che una legge non ti è data o non è promulgata, non esiste neppure il giudizio che segue immediatamente la legge. Perciò ti sia sufficiente sapere quello che ti rivelo, e con ciò ora tu sai abbastanza per l’eternità. Quando però sarà giunto il tempo, allora ti sarà reso tutto manifesto».

 

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Cap. 74

Litigio tra Giuda e Tommaso.

 

1. All’infuori di Giuda, tutti i discepoli si mostrarono soddisfatti di questa decisione e lodarono la Mia bontà e sapienza, nonché la potenza di Dio che era in Me. Giuda, che appariva imbronciato, borbottò fra sé, ma abbastanza a voce alta: «Contro i farisei, i quali per buon denaro concedono nascostamente agli stranieri di visitare il Santissimo, Egli non manifesta il Suo zelo fino ad invocare il fuoco celeste, ma quando Egli mostra il Suo Santuario agli stranieri ed esclude noi, figli del paese, allora questo è bene e perfettamente in consonanza con l’Ordine divino! Chi di noi ha mai visto una cosa simile? Se lo fanno quelli di Gerusalemme è sbagliato per il Cielo e per la Terra, ma quando Egli, da parte Sua, fa pressoché l’identica cosa, allora tutto va bene ed è interamente nell’ordine di Melchisedek? Certo, niente si può fare né intraprendere contro, ma tuttavia la cosa non può fare a meno di arrabbiarsi»

2. Dice Tommaso, colui che fra i discepoli non perdeva mai d’occhio Giuda Iscariota: «Ebbene, c’è di nuovo qualcosa che non ti sta bene? Mi meraviglia molto che tu non abbia già da lungo tempo cominciato a disputare con il Signore, perché Egli ha collocato il Sole così lontano dalla Terra, in modo che tu non puoi approfittare della sua vicinanza certamente caldissima per cuocere le tue pentole più a buon mercato di quanto lo possa fare con il solito fuoco di legna!

3. Oh, che bello sarebbe poter volare come gli uccelli. Anzi, perfino a me diverse volte cominciarono a prudere le ascelle e mi immaginavo di essere lì per lì in procinto di innalzarmi a fare compagnia a qualche schiera di gru che si libravano allegramente per l’aria, provai a saltare, ma il corpo pesante non volle innalzarsi assolutamente neppure di un braccio da terra.

4. Però mi misi ben presto il cuore in pace, perché dissi fra me: “Se Dio avesse voluto che gli uomini potessero volare come gli uccelli, Egli avrebbe dato loro, come appunto ha dato agli uccelli, un buon paio d’ali, ma Dio vide che una tale capacità sarebbe stata all’uomo più di danno che di vantaggio e perciò gli diede invece un paio di piedi robusti, con i quali egli può portarsi benissimo da un luogo all’altro e, oltre ai due robusti piedi, gli fece dono anche di un paio di abili mani e lo dotò dell’intelletto che spazia oltre tutte le stelle, cose queste con le quali egli può procacciarsi, in luogo di un paio d’ali, mille altre comodità, che evidentemente devono essere per lui di maggior soddisfazione di quanto lo possano essere le ali per l’uccello, perché è una cosa molto dubbia se gli uccelli sanno apprezzare le loro ali così come l’uomo apprezza i suoi piedi, le sue mani ed il suo intelletto!”.

5. Vedi, l’uomo anche nell’acqua non può che procedere a stento, perché non ha né pinne né membrane natatorie tra le dita delle sue estremità, ma l’intelletto concessogli da Dio gli insegnò a costruirsi delle navi per mezzo delle quali ora può fare sul mare viaggi più lunghi di quanto possa farne un pesce, per il quale un’acqua paludosa è un’abitazione da cui esso non si allontana mai troppo. E possiamo supporre con assoluta certezza che i nostri tardi successori faranno ancora straordinari progressi nell’arte di costruire le navi. E chissà che un giorno qualche sapiente non riesca di nuovo ad innalzarsi nell’aria per mezzo di un paio di ali artificiali come fecero gli antichi indiani!».

6. A questo punto Giuda interrompe Tommaso e gli dice, alquanto arrabbiato: «Ti ho forse assunto come mio precettore, che tu in ogni occasione mi fai delle prediche!? Tieni la tua sapienza per te e per i tuoi figli e lasciami in pace, altrimenti mi costringerai, prima o poi, a risponderti per le rime! Infatti quando voglio, a rispondere per le rime sono molto bravo. Durante tutti i nostri rapporti, tanto nelle parole che nei fatti in cui io sono perfettamente libero come lo sei tu, tu non hai mai ricevuto da me una parola scortese; non so proprio capire perché tu debba trovare sempre in me qualcosa di sbagliato da sistemare! Tu scopa davanti alla tua porta, che alla mia ci penso io! Se qualcosa non la trovi in ordine, essa è tale per me solo e non occorre che sia in ordine anche per te; da oggi in poi e per sempre puoi far finta che io non ci sia più. Hai compreso?

7. Pensa solo a quanto è successo a Chis, come il Signore ha appianato il litigio che appunto è sorto tra me e te, questo sia sufficiente ad ambedue, altro non serve che ci sia tra noi. Quando ti domanderò qualcosa, allora potrai dare alla mia domanda una buona risposta, sempre che tu ne sia capace! Però credo che passerà molto tempo prima che io ti faccia questo onore!».

8. Dice Tommaso: «Oh, fratello mio Giuda, dimmi cosa mai di perfido e di offensivo ti ho detto, perché tu debba essere tanto adirato con me? Non corrisponde forse al vero che, a quanto ne so io, tu hai molto di frequente litigato con Dio, il Signore, perché Egli ha posto il Sole così lontano dalla Terra e perché non ti ha dato delle ali per volare come fanno tutte le mute creature dell’aria?».

9. E, poiché vide che Giuda non voleva più replicare niente, Tommaso prosegui: «Se tu vuoi proprio averla con me, abbila, però sarà senza motivo né ragione! Un comportamento così poco fraterno non è affatto lodevole né si addice alla presenza del Signore; un animo come il tuo non figura affatto bene tra i discepoli del Signore e tu faresti mille volte meglio a ritornare al tuo vecchio mestiere, piuttosto che restare qui ad annoiare per niente la compagnia di Dio ed a contaminarla con il tuo animo assolutamente contrario ad ogni Ordine divino. Hai dimenticato il sermone tenuto dal Signore sul monte, presso Sichar in Samaria, nel quale il Signore ha comandato di amare perfino i nemici e di benedire chi ci maledice e di fare del bene a coloro che ci fanno del male?

10. Ma se tu non vuoi seguire la parola di Dio e non vuoi esercitarti in ogni occasione nell’abnegazione, chiedi in nome del Signore a te stesso a che scopo resti qui ad importunare la nostra compagnia con la tua presenza?

11. Passano giorni interi che tu non scambi una parola sola con nessuno di noi e se qualcuno ti domanda una cosa, tu non gli dai o affatto risposta oppure lo apostrofi in modo aspro e rozzo quant’è possibile, cosicché certo gli passa la voglia di chiederti qualcosa una seconda volta! È questo il comportamento di un discepolo del Signore? Dovresti vergognarti! Cerca dunque di diventare un altro uomo, in caso diverso farai meglio a ritornare al tuo vecchio ciarpame!

12. In verità mi pento di essere stato io ad introdurti in questa compagnia, più che se avessi commesso un assassinio! E mi propongo di pregare in ginocchio il Signore, che voglia Egli, per la Sua Onnipotenza, tenerti lontano da noi se non fosse possibile indurti ad andartene con le buone!»

13. Risponde Giuda con espressione sorridente, ma che tradiva un’ira soffocata: «Né tu né il Signore potete comandarmi di andare o di restare, perché io sono, come ogni altro di voi, un uomo perfettamente libero e posso fare quello che voglio! Vedi, se io sapessi di esserti una spina nell’occhio un po’ meno di quanto certamente lo sono, avrei già da lungo tempo abbandonato la vostra compagnia e me ne sarei cercato un’altra,  ma per farti arrabbiare proprio per bene io rimango e voglio esserti da pietra di paragone, affinché tu possa continuamente mettere alla prova la tua pazienza, la tua tolleranza e il tuo amore per i nemici, e voglio che tu abbia occasione di mettere in pratica la predica di Gesù del monte, per poterla poi imparare da te e metterla poi in pratica a mia volta. Mi hai capito, o saggio Tommaso?»

14. Dice allora Tommaso, rivolto a Me: «Signore, io e tutti noi Ti preghiamo di voler allontanare questa pecora rognosa! Infatti con lui vicino non è immaginabile una convivenza fraterna e non ci è possibile mettere in pratica la Tua santa dottrina; egli è e resta un incorreggibile sobillatore e un traditore! Per quale ragione deve rimanere qui fra noi, quando egli non solo non vuole mettere affatto in pratica la Tua dottrina santa, ma deride anche noi, se ci sforziamo di vivere e di operare secondo la Tua Parola?».

 

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Cap. 75

L’ammonizione del Signore a Giuda.

 

1. Allora Io dico a Giuda Iscariota: «Il fratello Tommaso presenta una giusta lagnanza contro di te! Io te lo dico: “Vedi di ritrovarti nel tuo cuore e diventare un uomo, poiché come demonio tu Mi ripugni e puoi andartene! Infatti la Mia compagnia è santa, perché è pervasa dallo Spirito di Dio ed in tale compagnia nessun demonio può né deve essere tollerato!»

2. Queste Mie parole hanno l’effetto di far cadere Giuda subito ai piedi di Tommaso e Giuda supplica Tommaso di perdonarlo.

3. Ma Tommaso gli dice: «Amico, non a me spettano le scuse, ma a Colui contro la Cui santa dottrina tu hai peccato e non per come tu hai agito nei miei confronti!».

4. Allora Giuda si leva ed immediatamente viene a Me e Mi si prostra dinanzi, invocando il perdono.

5. Ma Io gli dico: «Cerca di ritrovare te stesso nel tuo cuore, perché la preghiera delle tue labbra, senza il vero miglioramento interiore, non ha il benché minimo valore ai Miei occhi. Ora che Io scruto il tuo cuore trovo che esso è assolutamente cattivo e la forma amichevole unicamente esteriore è simile ad un serpente che con le sue voluttuose spire incanta e seduce gli uccelletti del cielo, perché gli volino tra le fauci e divengano sua preda. Io te lo dico: bada bene a te, affinché tu non divenga in breve preda di Satana! Infatti egli non si lascia volentieri sfuggire quello che ha cominciato a chiamare suo!»

6. Giuda allora sorge di nuovo in piedi ed esclama: «Signore! Tu chiami i morti fuori dalle loro tombe ed essi vivono! Perché allora permetti che il mio cuore rovini dentro la tomba della perdizione? Io voglio diventare un uomo migliore, eppure non lo posso perché non sono capace di cambiare il mio cuore, convertilo dunque Tu il cuor mio ed io divento tutto un altro uomo!» 

7. Gli dico Io: «Qui sta appunto il grande mistero della libera autoformazione dell’uomo! Io posso fare ogni cosa all’uomo ed egli anche tale rimane; ma il cuore invece è sua proprietà assoluta ed egli esclusivamente è chiamato a plasmarlo per poter da se stesso spianarsi la via alla vita eterna. Poiché, se Io dovessi per primo por mano al cuore umano per iniziarne la formazione, l’uomo diverrebbe una macchina e non potrebbe mai più raggiungere l’indipendenza, ma quando all’uomo viene data la dottrina ed egli sa quello che deve fare affinché il suo cuore si renda degno di Dio, egli deve anche seguire, per spontaneo volere, la dottrina ricevuta e deve plasmare il suo cuore, così come la dottrina gli ha suggerito.

8. E quando egli ha così formato il proprio cuore e l’ha curato e mondato, soltanto allora vengo Io nello Spirito e prendo dimora nel cuore e allora tutto l’uomo è rinato nello Spirito e non può più in eterno andare perduto, perché con ciò egli è diventato una cosa sola con Me, così come Io stesso sono una cosa sola con il Padre, dal Quale Io sono proceduto e sono venuto in questo mondo per mostrare ed appianare a tutti i figli degli uomini la via che essi devono percorrere in spirito e verità, attraverso la quale, nella pienezza di Questa, poter giungere a Dio!

9. Dunque, tu devi da te stesso por mano alla formazione del tuo cuore, altrimenti sei perduto, anche se Io ti avessi chiamato, fuor dalle tombe mille volte, alla vita della carne!».

10. Dice Giuda Iscariota: «Signore, allora io sono di certo perduto! Infatti io ho un cuore indomabile e non posso farcela da solo!»

11. Gli faccio osservare Io: «Se è così, allora non sdegnare le parole dei fratelli e non ti arrabbiare quando ti ammoniscono in amicizia e con amore, perché ti aiutano con ciò a formare il tuo cuore!

12. Guarda qui Tommaso, al quale le tue rozze maniere non sono di ostacolo nell’ammonirti opportunamente quando cominci a sciogliere troppo i freni al tuo cuore cattivo! Dà dunque ascolto alle parole di ammonizione che egli ti rivolge per il tuo bene; in questo modo vi sarà di certo un graduale miglioramento nel tuo cuore! Ma se tu, com’è stato finora il caso, continui a non permettere che nessuno ti dica niente, la tua rovina non si farà attendere molto e, come detto, diventerai preda di Satana, perché allora non sarò Io, sebbene Satana a prendere dimora nel tuo cuore.

13. Guardati innanzitutto dall’ira e dalla avidità, altrimenti avrai quello che attende i figli della morte eterna. Poiché il pentimento e la penitenza oltre la tomba non hanno che un minimo valore e non possono granché giovare ad un’anima nera e impura. Vattene ora e rifletti bene a queste Mie parole».

14. Giuda allora si ritira pensoso, prende così una mezza decisione di tentare di migliorarsi secondo i Miei insegnamenti e dice a Tommaso: «Ebbene fratello, vedrai come Iscariota saprà diventare tutto un altro uomo e come giungerà infine a servire da modello a tutti voi! Infatti Iscariota può molto, quando vuole, ma oramai egli lo vuole e quindi anche molto potrà! 

15. Dice Tommaso: «Fratello mio, se già ora anticipatamente ti glori a parole, è probabile che l’azione segua con molto ritardo e con ciò tu potrai sì erigerti ad esempio, non però ad esempio incoraggiante, ma deprimente e così ti sarà molto difficile renderti migliore a questo modo.

16. Infatti, vedi, se vuoi davvero diventare migliore di quanto lo siamo noi tutti che, anche senza aver te per modello, siamo consci dei nostri grossi difetti e che fin troppo chiaramente vediamo quanto miseri e di nessun valore noi siamo al cospetto del Signore, tu devi allora per tutti i tempi dei tempi stimarti dinanzi al Signore, minore dei tuoi fratelli e non devi mai pensare affatto ad erigerti a modello degno di essere da noi imitato, ma invece devi reputarti sempre l’ultimo e l’infimo, così soltanto, senza volerlo essere, sarai in verità di fronte a noi quello che adesso, nel tuo modo ancora molto orgoglioso, ti proponi di diventare. Fa’ dunque in modo di vivere secondo questa norma che non è cresciuta per te sul mio terreno, ma su quello santo del Signore e il cui fondamento è costituito dalla vera umiltà ed abnegazione. In questa sola maniera arriverai nell’Ordine di Dio, là dove vuoi arrivare. Va’ però dal Signore e chiedi a Lui se le mie parole non siano giuste e veritiere».

 

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Cap. 76

Sull’umiltà e sull’abnegazione di se stessi.

 

1. Giuda allora si rivolge di nuovo a Me e domanda: «Signore! È proprio così come ha detto ora Tommaso in tono molto imperativo?»

2. Rispondo Io: «Sì, è così. Chi di voi più si abbassa dinanzi ai suoi fratelli, costui è il primo nel Regno di Dio ed ogni presunzione di essere migliore degli altri lo fa invece retrocedere nel Regno di Dio ad uno degli ultimi posti.

3. Se alcuno di voi percepisce in sé ancora un qualche sentimento di elevatezza, per cui è indotto a credersi migliore degli altri, egli non è ancora libero dall’influsso dell’inferno che tutto avidamente consuma e molto gli manca ancora ad essere maturo per il Regno di Dio, perché un tale uomo non è di spirito libero.

4. Ma se qualcuno si è abbassato di fronte a tutti i suoi fratelli ed è pronto a servire tutti nella misura delle proprie forze e delle proprie capacità, costui è il primo nel Regno dei Cieli e tutti gli altri conviene che si plasmino secondo il suo modello. Infatti dà prova di essere in sé uno spirito veramente grande e divino soltanto colui il quale è capace di umiliarsi al di sotto di ogni creatura umana»

5. Dice Giuda: «Allora un uomo solo può essere il primo nel Regno di Dio e cioè quello che più degli altri è capace di abbassarsi! Perché, se egli è sollecito a servire tutti secondo le sue forze e capacità, è necessario prima che gli altri evidentemente gli usino la cortesia di lasciarsi servire da lui, per aiutarlo così nel raggiungimento di questa celeste priorità? Ma cosa succede poi se gli altri non vogliono affatto saperne dei suoi servizi oppure offrono essi stessi i loro servizi, aspirando alla priorità nel Regno dei Cieli? Chi sarà allora il primo nel Regno di Dio?»

6. Dico Io: «Tutti coloro che di cuore retto si danno la pena di agire così; gli uomini invece che, spinti per così dire da un certo egoismo, non accettassero i servizi del loro fratello allo scopo di togliergli ogni occasione di essere fra i primi nel Regno di Dio, per voler essi stessi aspirare a tale priorità, quelli saranno gli ultimi, mentre l’altro sarà il primo, perché la sua volontà era quella di essere utile ai suoi fratelli per puro amore e per genuina umiltà!

7. Certo tutt’altra cosa sarebbe se a questo mondo qualcuno volesse essere il minimo fra tutti e volesse servire tutti, avendo soltanto di mira l’acquisto della futura priorità celeste. Oh, egli, senza dubbio, sarà anche uno degli ultimi nel Mio Regno! Vedi, nell’aldilà tutto verrà pesato con bilance perfettissime e misurato con misure esattissime. Anche là dove si mostrerà una lieve traccia di egoismo, la bilancia non tracollerà né coprirà la misura dei Cieli! Perciò è bene che in te vi sia la piena verità, senza alcuna finzione, altrimenti non puoi entrare nel Regno di Dio. Soltanto la verità purissima, senza falsità o inganno nascosto, può rendervi liberi davanti a Dio e a tutte le Sue creature! Puoi capire questo?»

8. Risponde Giuda Iscariota: «Sì, questo lo comprendo, ma nello stesso tempo vedo che una cosa simile non è possibile compierla, perché l’uomo non riuscirà mai ad eliminare in sé tutto l’amore di se stesso, dovendo pur egli mangiare e bere e provvedersi di un tetto e di una veste! Ora tutto ciò è pure la conseguenza di una minima fra le specie di egoismo! Qualcuno, avendo preso in moglie un’amabile fanciulla, vuole tenerla esclusivamente per sé e guai a chi osasse desiderarla! Ma questa è pur sempre una delle tante forme di egoismo!

9. Un altro possiede un terreno ben coltivato e quando sarà giunto il tempo della raccolta vorrà forse, per assoluto disprezzo di se stesso e per totale assenza di egoismo, andare dai suoi vicini e dire loro: “Amici miei! Andate a raccogliere quello che è cresciuto sui miei campi, perché io, quale il minimo fra voi e vostro servitore senza valore alcuno dinanzi i vostri occhi, ho lavorato soltanto per voi!”. Io penso, dunque, che l’abnegazione e il disprezzo di se stessi, che vengono tanto altolocati, dovrebbero pure avere certi limiti, senza i quali sarebbe addirittura impossibile annunciare perfino la Tua dottrina agli uomini, perché, così facendo, si farebbe apertamente notare di considerare i propri fratelli come più stolti e ciechi di se stessi! Infatti ritenersi superiori nello spirito ai propri fratelli rivela pure questo una certa dose di superbia! Ma se le cose dovessero stare proprio in questi termini, allora basterebbe guardare l’umanità fra cento anni per vedere gli uomini mangiar l’erba come i buoi al pascolo, veder scomparire qualsiasi traccia di un linguaggio, e lo stesso dicasi per qualsiasi casa e città! Dunque, fino a che punto può nell’uomo arrivare l’amore di se stesso?». 

 

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Cap. 77

Una misura delle tre specie di amore.

 

1. Dico Io: «Ebbene, Io voglio darti una misura secondo la quale tu e chiunque altro possiate sapere come devono stare le cose riguardo l’amore di se stessi, l’amore verso il prossimo e l’amore per Dio.

2. Prendi il numero 666, il quale in un buono e in un cattivo rapporto definisce o un uomo perfetto oppure un perfetto demonio.

3. Dividi l’amore nell’uomo in 666 parti precise; di queste danne a Dio 600, al prossimo 60 e a te stesso 6. Se tu però vuoi essere un perfetto demonio, allora danne a Dio 6, al prossimo 60 e a te stesso 600!

4. Vedi, gli onesti servitori e serve sono coloro che coltivano i campi del loro padrone. Secondo la tua opinione essi dovrebbero tenere per sé il raccolto, perché esso è sorto grazie alle loro fatiche e alle loro cure; invece essi lo radunano nei granai del loro padrone e provano una grande gioia quando possono dire al loro signore: “Signore! Tutti i tuoi granai sono colmi oramai ed ancora la metà del raccolto è sui campi! Cosa dobbiamo fare?”. E la loro gioia diventerà ancora maggiore, quando il padrone dirà loro: “Io apprezzo e lodo molto la diligenza e il vostro grande e disinteressato zelo; andate quindi e conducete qui degli operai che mi costruiscano nel più breve tempo possibile delle nuove dispense, affinché io possa mettere in serbo la benedizione dei campi per gli anni futuri, i quali saranno forse meno ricchi di ogni tipo di frutto al paragone di questo”. Ora vedi, i servitori non possiedono nulla; non hanno granai e non hanno dispense, eppure lavorano per un piccolo salario come se si trattasse di lavorare per riempire i propri granai e le proprie dispense, perché essi sanno che non hanno da temere la miseria, quando tutte le dispense del padrone sono colme.

5. Ecco, in un simile agire di un onesto servitore consiste tutto il rapporto fra sé e se stesso, fra sé e il prossimo, fra sé e Dio. Il vero servitore pensa sei volte per sé, per il suo prossimo 60 volte, al fine di acquistarsi la loro benevolenza e 600 volte per il suo padrone, ma così facendo, senza affatto volerlo, pensa 666 volte per sé, poiché gli altri servitori, vedendo il suo grande disinteresse, avranno per lui il massimo amore e la massima stima, e il padrone lo metterà in breve a capo di tutti. Invece un servitore che pensa solamente al proprio sacco e che al lavoro è volentieri l’ultimo e che mette mano al lavoro più leggero che trova, i suoi compagni lo guarderanno con occhio bieco, e il padrone non tarderà ad accorgersi di aver a che fare con un egoista e con un fannullone. Egli perciò non lo porrà affatto a capo di tutta la servitù, ma gli diminuirà la ricompensa ed avrà l’ultimo posto alla mensa comune e se un tal servitore pigro ed egoista non si ravvedrà, verrà infine licenziato con pessimi certificati e referenze, cosicché difficilmente poi potrà ottenere di venir ingaggiato in qualche nuovo servizio. Qualora però gli fosse rimasto pure un solo amico ancora, di fronte al quale il suo agire sia stato disinteressato, questo amico può accoglierlo in casa sua, e il padrone perciò non ne sarà sdegnato. Comprendi ora queste cose?

6. Ogni uomo ha e deve anche avere un certo grado di amor di se stesso, altrimenti non potrebbe vivere, ma, come dimostrato, un minimo grado possibile soltanto, perché un grado soltanto di più turba già l’equilibrio nel rapporto umano-puro e la bilancia dell’Ordine divino è tanto sensibile che anche il minimo granellino ha il suo effetto. Ecco che ora Io ti ho segnato il limite richiesto e noi staremo a vedere come ti atterrai con i fatti!»

7. Dice Giuda: «Per poter giudicare se si è raggiunta l’esatta misura prescritta per l’amor di se stessi, ci vuole molta profondità e sapienza! Come può il tardo criterio umano formarsi in questo riguardo un giudizio?».

8. Dico Io: «Faccia l’uomo con rettitudine di cuore e con buona volontà quello che egli può, quello che eventualmente manca verrà aggiunto da Dio. Già, per meno di 6 parti per sé, non è necessario essere eccessivamente preoccupati nei riguardi di nessun uomo, meno che meno quando si tratta di uomini della tua specie!».

9. Allora Giuda ammutolisce, si leva meditabondo da tavola e va a prepararsi il giaciglio per la notte che era già abbastanza avanzata.

10. A questo punto però interviene il ragazzo Giosoe, il quale esclama: Davvero la stoltezza di quest’uomo mi ha fatto arrabbiare oltre ogni misura! Egli è un discepolo ed è rimasto tuttavia stupido come un gufo sorpreso alla luce del giorno! Io ho immediatamente compreso tutto quello che Tu gli hai dichiarato, ma egli pare che non abbia compreso niente, perché non faceva altro che mettere sempre innanzi domande ed obiezioni e infine se ne andò poi sempre così ottuso come se Tu, o Signore, non gli avessi detto neanche una parola! Se un fanciullo fa domande quando non occorrono è perdonabile, ma se una persona anziana la quale, d’altra parte, pretende di essere più saggia del suo prossimo fa domande senza bisogno ed evidentemente non in buona fede, ma con malizia, allora c’è davvero di che arrabbiarsi! Che io possa morire tre volte ancora, se quest’uomo potrà migliorarsi mai a questo mondo! Tutto fa ritenere che egli sia un avaraccio e certamente vagheggia le montagne d’oro e d’argento che indubbiamente farebbe sue, se egli avesse la potenza che hai Tu, o Signore! Ed io, quant’è vero che mi chiamo Giosoe, mi impegnerei a dare tutto quello che ho e sopporterei tutto quello che uomo può sopportare, se questo individuo fosse mai suscettibile di un miglioramento!».

11. Gli dico Io: «Mio caro Giosoe, lasciamo stare questo argomento, perché a noi occorrono svariatissime specie di operai nel nostro lavoro di edificazione per un nuovo Cielo ed una nuova Terra ed appunto Giuda è uno di quelli che noi possiamo adoperare! Ma ora raccontami cosa dirai ai tuoi genitori, quando t’incontrerai nuovamente con loro; quali saranno le tue parole?».

 

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Cap. 78

L’astuto piano di Giosoe.

 

1. Dice Giosoe, allegro e sorridente: «Signore! Io credo che il problema non sarà difficile da risolvere! Accompagnato dallo zio Giairo io vado in casa dei miei genitori, i quali certo fanno ancora cordoglio di me. Questi, senza dubbio, si meraviglieranno, scorgendo in me un ragazzo che assomiglia al loro Giosoe quanto un occhio all’altro occhio. Allora Giairo può esporre il caso e dire che io sono un trovatello e che per combinazione porto perfino il nome del defunto ed i miei genitori senz’altro mi adotteranno e mi ameranno anche più del loro Giosoe. Più tardi poi, gradatamente, approfittando delle circostanze e con un po’ di diplomazia, si potrà far trasparire loro la verità ed essi infine non avranno difficoltà a credere che io sono il loro figlio Giosoe, quindi in un tempo ulteriore che Tu, o Signore, potrai destinare, se non nuocerà ad essi, apprendere tutta la verità. Ti pare bene così, o Signore?».

2. Gli dico Io: «La cosa non è tanto mal pensata, Mio caro Giosoe. C’è però un punto soltanto che non suona bene, e precisamente che nel tuo piano fa manifestamente la sua comparsa una bugia. Ora, ogni bugia deriva dal male ed è a sua volta causa di nuovo male. Vedi, è certo che tu non sei un trovatello, come dunque farai a giustificare questo trovatello agli occhi dei tuoi genitori ed a quelli di Dio?».

3. Risponde il ragazzo: «Signore, quando Tu sorridi, è sicuramente un buon segno ed io mi sento già giustificato dinanzi a Te, come lo fu un giorno Giacobbe con le mani avvolte in peli di capretto, dinanzi al suo cieco padre Isacco! Vedi, o Signore, questa fu anche una menzogna e più grande anzi della mia, qualora venissi presentato ai miei genitori come un trovatello, eppure la benedizione del primogenito impartita a Giacobbe trovò dinanzi a Dio giustificazione, ma se dunque Dio considerò con occhio benigno e benedicente un inganno manifesto, che corrispondeva di fatto ad una menzogna, non potrà suscitare ripugnanza ai Suoi occhi neppure il trovatello di oggi, Giosoe, tanto più che, in fondo, quest’ultimo è in tutta la portata del significato veramente un trovatello, quale non se ne può trovare un altro su tutta la grande Terra di Dio! Io credo, o mio Signore e mio Dio, che per questo mondo non dovrebbe esserci niente di tanto perduto quanto uno che è morto e così pure non dovrebbe esserci nel senso più proprio della parola niente di più trovato di un tale che, Signore, Tu sai già a chi io voglio alludere!»

4. Dico Io: «La questione l’hai risolta bene. Io già sapevo che avresti trovato delle buone ragioni. Ma Io vorrei ancora sentire da te come farai a rivelarti ai tuoi genitori come il loro vero figlio Giosoe, approfittando di certe circostanze ed usando una certa tattica, come tu hai detto»

5. Dice Giosoe: «O Signore, questa è una cosa molto facile! Quando una volta io sarò in casa loro, cercherò di comportarmi, cosa che per me non sarà difficile, così come prima, io chiederò man mano di questa od altra cosa, come  facevo prima, riprenderò i miei giochi e vedrò di disporre le cose in modo che i miei genitori ne restino ripetutamente colpiti e debbano infine dire: “Ma questo è tale quale il nostro Giosoe, che forse Boro, valendosi dei suoi segreti mezzi, ha risuscitato e che durante il tempo trascorso fino ad oggi ha completamente guarito!”. Io, frattanto, li lascio in questa opinione, quando poi sarà venuto il momento buono, allora si potrà dir loro la piena verità; io penso che a questo modo la cosa potrà svolgersi benissimo»

6. Dico Io: «Ma qui fa capolino di nuovo una menzogna. Lasciare qualcuno di proposito in errore, equivale sicuramente a mentire a qualcuno! Come farai poi a lavarti via questa seconda macchia?»

7. Risponde Giosoe: «Signore! Fino a tanto che Tu sorridi quando esamini, è sempre ed in eterno un buon segno; io però intendo che la menzogna può essere anche di due specie molto differenti tra di loro. Ammannire a qualcuno una menzogna, facendola apparire una verità genuina deliberatamente e per mal volere, è e resta indubbiamente una perfidia satanica! Ma invece una menzogna apparente, con la quale si intende velare la nuda verità solo finché questa sarebbe insopportabile all’uomo che vi è interessato, perché riuscirebbe all’uomo in maniera evidente più di danno che di vantaggio, una simile apparente menzogna non può avere le sue origini nel male, perché deriva da una volontà e da un cuore nobili, buoni e bene intenzionati!

8. È chiaro che, considerata a questa stregua, anche ogni parabola, che può celare in sé la più sublime verità, dovrebbe essere dichiarata una pura menzogna; eppure la sapienza degli antichi padri e dei profeti si è per lo più manifestata soltanto mediante parabole. Ed il fatto che qui Boro, il famoso medico conosciuto da tutti per le qualità di medico, figura come Tuo rappresentante, non è veramente dissimile dall’altro evento, verificatosi ai tempi di Abramo, quando a questo patriarca vennero i tre angeli in rappresentanza di Jehova, né è dissimile da quello, sempre difficile per me da considerarsi, del comportamento di Giuseppe in Egitto verso i suoi fratelli venuti ad acquistare del grano! Ma Dio volle che fosse così ed a Giuseppe non imputò a peccato il suo modo di procedere verso i suoi fratelli. E così, secondo me, una tale menzogna apparente non è che una prudenza dai Cieli, mentre la vera menzogna è da assegnarsi al regno dell’astuzia più atroce e infernale!»

9. Dico Io: «Ebbene, vieni qui da Me, Mio caro Giosoe, che ti do un bacio, perché, da quel tenero giovinetto che sei, hai in te più sapienza di un vecchio dottor della Legge!».

10. A queste Mie parole Giosoe si affretta a fare il giro di tutta la mensa, Mi abbraccia e bacia ed esclama poi con entusiastica letizia, ma pur sempre composto e saggio: «O voi, antichi spiriti, potenze ed energie del Cielo, mirate e ricoprite le vostre facce, perché quello che qui è avvenuto voi non l’avete mai visto ancora! Il Padre santo ed eterno, pienamente qui presente ai vostri occhi, nel Figlio Suo Gesù, concede che una delle Sue creature corporeamente Lo accarezzi e Lo abbracci!

11. E così Colui che era dalle eternità ora attira al Suo petto quello che è sorto nel tempo, lo abbraccia e lo accarezza e lo rende con ciò per l’eternità simile a lui! Oh, Tu vero e solo Padre di tutti gli uomini, com’è dolce il Tuo amore!».

 

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Cap. 79

I due angeli offrono a Giosoe i loro servizi.

 

1. A questo punto i due angeli avvicinandosi a Giosoe, gli dicono: «Sì, o dolce giovinetto, tu hai detto il vero. Questo i nostri occhi non l’hanno ancora visto, anche se pure hanno scrutato lo spazio infinito di Dio molto tempo prima che alcun sole irradiasse per esso la sua luce a manifestare così la propria esistenza! Ma tu rimani sempre in questo spirito che ora ti anima così puro e sublime e noi saremo in eterno tuoi fratelli!»

2. Dice Giosoe: «Chi siete voi, che vi potete esprimere con parole tanto nobili e sagge? Non siete voi pure uomini come lo sono io?»

3. Rispondono i due: «Carissimo fratello nostro, in spirito siamo certo del tutto quello che tu sei e quello che sempre ancora di più diventerai, ma noi non abbiamo mai portato carne e sangue! Noi siamo angeli del Signore e siamo qui per servire a Lui solo in perpetuo, ma quando un giorno Egli ci concederà in grazia di percorrere, come Lui, la via della carne, allora noi ti uguaglieremo completamente anche a questo riguardo. Per ora tu hai, in confronto a noi, un considerevole vantaggio, tuttavia infinitamente lunga è l’eternità ed in essa gradatamente tutti i divari si appianeranno. E noi ora offriamo anche a te i nostri servizi; se tu desideri qualcosa, ordina e noi ti serviremo»

4. Osserva Giosoe: «In che cosa potrei io dirvi di servirmi? Noi tutti abbiamo un Dio, Signore e Padre dall’eternità. A Lui solo spetta il diritto di comandare così a me come a voi, ma noi che tutti, senza distinzione, siamo stati creati da Lui, non dobbiamo comandarci l’un l’altro, ma dobbiamo sempre, con amore che previene ogni richiesta, aiutarci reciprocamente quando qualcuno di noi, angelo o uomo che sia, ha bisogno di aiuto!

5. Io ritengo già non perfetto colui che, per quanto volonteroso, corre in soccorso del fratello bisognoso che invoca assistenza, perché in tal caso l’aiuto può averlo soltanto colui che trova l’occasione, il coraggio e la forza di esporre la propria miseria a suo fratello dotato di mezzi nell’uno o nell’altro campo e di invocarne il corrispondente soccorso. Ma chi aiuterà allora colui che non ha né l’occasione né il coraggio di invocare aiuto dal fratello dotato di mezzi? Ora, se io non ritengo del tutto perfetto già l’aiuto concesso in seguito ad una preghiera, quanto meno lo sarà l’aiuto da prestare in seguito ad un comando!

6. E perciò io vi dico qui, in presenza di Colui che è un Signore sopra la Vita e sopra la morte: quando voi vedrete che io ho bisogno di assistenza, aiutatemi senza che io ve ne preghi o addirittura che ve lo ordini, come se io fossi un padrone ed io, dal canto mio, farò la stessa cosa qualora venissi a sapere di potervi essere utile in uno o nell’altro modo. In altra maniera non potrebbe occorrermi da voi alcun aiuto né servizio, tanto meno poi un servizio comandato, il quale è peggiore di non ricevere nessun servizio!

7. Io penso che chi è dotato di mezzi nell’uno o l’altro campo, dovrebbe guardarsi attorno con tutta diligenza per valutare le condizioni dei propri fratelli bisognosi e vedere se all’uno o all’altro necessiti aiuto ora in questa, ora in quella cosa, e quando ne ha trovato uno, gli offra subito assistenza! Così facendo egli riuscirà, secondo il mio parere, certamente gradito al Signore e Padre, il Quale, in questo modo, fin dall’eternità ugualmente opera e così anche giustificherà la sacra somiglianza a Dio, secondo la Quale è stato creato. Ma chi invece soccorre il prossimo solo quando ne viene pregato, oh, quanto lontano ancora è un tale soccorritore dalla piena somiglianza a Dio, per non parlare poi di chi, per prestare soccorso, attende che questo gli venga comandato!

8. Ecco dunque, miei cari amici, se la vostra sapienza giunge soltanto fino al punto di suggerire agli uomini che vi comandino, quando hanno bisogno del vostro aiuto, allora io, da ragazzo che sono, non vorrei davvero cambiarmi con voi; se però avete voluto solamente sottopormi ad una prova, credo di avere superato l’esame dinanzi a voi proprio non tanto male. E dato che avete appreso dalla mia bocca forse qualcosa che poteva suonare un po’ troppo aspra e dura al vostro orecchio, non vogliatemene male, perché non ho parlato per fare da maestro a voi, ma unicamente per amore della verità, essendo che l’offerta da voi fatta non era conforme a verità. Da perfetti spiriti celesti quali siete, voi avreste dovuto scrutare già prima nell’intimità dell’animo mio, fino a riconoscere che alla vostra offerta io avrei dato certamente una simile risposta, per la quale non posso davvero farvi i miei ringraziamenti»

9. I due giovani arretrano di qualche passo, un po’ umiliati e dicono: «In verità! Nessun angelo avrebbe potuto supporre tanto alta, pura e divina sapienza in questo ragazzo!»

10. Allora dico Io: «Così è, miei cari! L’occhio di Dio scruta e vede le cose più profonde e più sottili e scopre delle macchie perfino negli angeli più perfetti, ma lo stesso fa pure il cuore purissimo dell’uomo, che è come una pupilla dell’occhio di Dio! Io però ho fatto in modo che questo avvenisse non già a vostro vantaggio, ma a causa degli ospiti che sono qui, affinché potessero apprendere, dalla pura bocca di un giovinetto risuscitato, quanto ad essi manchi ancora al raggiungimento della somiglianza con Dio! Del resto il ragazzo già dalla nascita ha uno spirito straordinariamente acuto e perciò nessuno creda che nella presente occasione sia stato Io a mettergli le parole nel cuore ed infine sulle labbra. Esse sono cresciute su un terreno assolutamente suo proprio e perciò anche egli Mi sarà a suo tempo un valido strumento». 

 

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Cap. 80

Cirenio accoglie Giosoe.

 

1. Dice Cirenio: «Signore! Questo giovinetto io lo prenderei molto volentieri con me e se egli fosse d’accordo, non solo sarebbe per me come uno dei miei figli, ma lo anteporrei in tutto agli altri. Davvero, io stimerei la maggiore delle felicità poter chiamare mio figlio questo caro ragazzo, il quale è più un angelo che un ragazzo-uomo. In ogni caso già penso che egli si troverà in una situazione alquanto difficile, presso i suoi genitori di una volta, e non è fuori luogo la domanda se essi saranno ancora disposti di accoglierlo in casa loro. Io so come accomodare il tutto e con il tempo potrò disporre le cose in modo che i suoi genitori, che mi risulta siano molto ligi alle idee del Tempio, abbiano a riconoscere senza difficoltà il loro Giosoe. Se vorranno riconoscerlo, saranno certo liberi di farlo, tuttavia alla condizione che egli abbia a rimanere in casa mia, restando presso di me ovunque io dovessi andare, sia in Asia, sia in Europa od in Africa, dato che la sua sapienza mi sta a cuore più di qualsiasi altra cosa!».

2. Dico Io: «Ebbene, vedi di trattare la questione con Giairo e con il ragazzo stesso, per Me qualunque soluzione sarà buona, poiché il giovinetto, il Mio caro Giosoe, Mi resterà fedele ovunque egli si trovi!

3. Disse il ragazzo: «Oh, Padre mio! Non sarai già Tu a dubitare di ciò, perché dovresti Tu stesso ispirare nel mio cuore un altro sentimento. Ma Tu certamente in eterno non lo farai e così anch’io in eterno Ti rimarrò fedele! Se io dovessi fare una scelta circa la mia futura esistenza su questa Terra, preferirei restare immediatamente presso di Te! Infatti in tutta l’immensità e in tutti gli antichi e i nuovi Cieli cosa ci può essere di più sublime, di migliore e di ancora più beato del restare presso di Te, la Sorgente Prima dell’Amore, della Sapienza e di ogni Vita? Però questo certo non è che il desiderio proprio ed intimissimo del mio cuore e del resto io so anche obbedire e saprò adattarmi volonterosamente a quella qualsiasi destinazione che la Tua santa Volontà riterrà opportuno di prescrivermi! Io vado volentieri con Cirenio, che stimo ed apprezzo moltissimo e così anche volentieri ritorno dai miei genitori terreni che pure apprezzo ed amo, ma senza la Tua Volontà non intraprenderò facilmente alcuna cosa».

4. Gli dico Io: «Che tu voglia rimanere presso di Me, come con il tempo anche rimarrai, di questo rende testimonianza tutto il tuo essere, ma per ora hai bisogno ancora di qualche riposo ed a tale scopo c’è necessità per te di restare per un po’ di tempo esteriormente lontano da Me, perché ne sia rafforzata la consistenza tra l’anima e il tuo nuovo corpo. Quando questo, forse nel corso di un anno, sarà avvenuto, tu potrai allora far ritorno a Me e potrai così reggere benissimo presso di Me senza che vi sia per Me, come ora, la necessità di trattenere con la potenza della Mia Volontà la tua anima nel corpo. Ecco, questa è la ragione per la quale Io lascio che tu te ne vada per un certo breve tempo lontano da Me e ciò per il tuo bene! Consulta ora, dunque, i tuoi sentimenti e decidi se vuoi andartene con il supremo governatore di Roma, Cirenio, o se preferisci ritornare a casa dei tuoi genitori terreni. Per Me le due soluzioni si eguagliano, è vero però che, dal tuo lato, presso Cirenio avresti più elementi a tuo vantaggio che non in casa dei tuoi genitori, dove saresti in apparenza uno straniero, perché passerà molto tempo prima che essi sappiano cosa veramente pensare di te».

5. Dice Giosoe: «Considerato che oramai so questo, sta bene che me ne vada con il supremo governatore Cirenio. Tuttavia avrei il desiderio di vedere i miei genitori e di sapere quali impressioni susciterà in loro la mia presenza!».

6. Dice Cirenio: «Questo si potrà fare con tutta facilità già domani, quando ce ne andremo a Sidone e Tiro, passando per Cafarnao, in occasione del pranzo che ci verrà offerto in casa di questo mio fratello che vedi qui e il cui nome è Cornelio. Faremo in modo che, oltre ad alcuni notabili della città, vengano invitati anche i tuoi genitori e così avrai più che sufficiente possibilità di vederli, ascoltarli ed osservare quello che eventualmente troveranno da dire sul conto tuo! Però tu devi fare molta attenzione, perché tu non abbia forse a tradirti con qualche parola che potrebbe sfuggirti! Del resto non potranno riconoscerti, perché domani subito ti farò indossare una toga alla foggia romana, che ti fornirò dal mio guardaroba. Ma, come detto, devi bene badare alla tua lingua per non rivelarti prima del tempo»

7. Dice il ragazzo: «Non aver assolutamente timore a questo riguardo, io conosco discretamente la lingua romana, come pure la greca e se verrò interrogato, risponderò in una di queste. Certamente, anche i miei genitori le conoscono, però questo non fa niente e spero, con l’aiuto del Signore che mi ha ridonato alla vita di questo mondo, di cavarmela nel migliore possibile dei modi»

8. Allora Cirenio stringe al suo petto il ragazzo, lo bacia e dice: «Devo dirti senza preamboli che tu mi sei quanto mai caro e che da ora in poi ti considero come un mio figliolo cui io voglio più bene ancora che a tutti i miei figli corporali, dei quali, come ora per te, sono diventato spontaneamente padre. Perché con il tuo spirito potrai essere di grande vantaggio a tutti»

9. Dice il ragazzo: «La mia gioia è pur essa molto grande, perché la mia allegria più grande è sempre stata quella di poter essere utile a qualcuno in qualche cosa»

10. Dico Io allora: «Molto bene Mio caro Giosoe e quando Io vedrò che tu sarai rimasto coerente e fedele ai tuoi propositi, da parte Mia verrà elargita anche a te una forza particolare dai Cieli, tramite la quale sarai posto in grado di fare maggiormente del bene. In che cosa però consisterà questa forza, tu lo saprai quando ti verrà conferita. Ed ora ci ritireremo a riposare, perché siamo già arrivati alla mezzanotte. Domani è un giorno come oggi ed Io non voglio indagare già adesso quello che esso ci porterà, ma quello che porterà, noi tutti lo accoglieremo. Il bene lo terremo con noi e noi sapremo bene separarlo dal male. Andiamocene dunque a riposare». E dopo queste Mie parole, tutti si ritirano a cercare ristoro nel sonno.

 

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LA MORTE DI GIOVANNI IL BATTISTA

GESÙ NEL DESERTO E SUL LAGO GENEZARET

(Matt.cap.14)

 

 

Cap. 81

Il racconto di Roban sul nuovo sommo capo.

 

1. Il mattino del giorno seguente fu anch’esso fra i più sereni e molti degli ospiti presenti che si erano ritirati a dormire prima di noi, se la godevano già all’aperto quando Io, i discepoli, gli ospiti romani e Kisjonah uscimmo fuori di casa.

2. Ma eravamo soltanto da poco tempo anche noi all’aperto, quando comparve Bab con la sua famiglia, reduce dalla città, poiché a tarda sera egli era ritornato a casa propria, per non essere d’incomodo in casa Mia. Ed appena giunto, egli raccontò, concitatamente, che in città e particolarmente nella sinagoga, regnava una grande agitazione, tale anzi che egli non si era azzardato a domandare a nessuno cosa fosse accaduto, certo però doveva essere successo qualcosa di molto grave, perché egli non aveva mai ancora avuto occasione di notare tale turbamento fra i servitori ed i signori della sinagoga!

3. Dico Io: «Questa sarà certamente la conseguenza del nuovo modo di agire che è stato mandato da Gerusalemme dopo l’abbandono della carica da parte di Giairo e che probabilmente intende fare qui a Nazaret un giro di ispezione già oggi. Ma questo a noi interessa pochissimo ed intendiamo, malgrado tutto, fare onore alla nostra colazione che è già pronta».

4. E così dicendo Io Mi rivolsi ai due giovinetti ancora presenti e dissi loro: «Affrettatevi alla sinagoga e conduceteMi qui Roban, l’anziano, devo parlare con lui! Andate però a passo d’uomo, affinché non abbiate a rivelarvi con una comparsa improvvisa». I due angeli eseguono subito l’ordine ricevuto, mentre noi ci occupiamo di far colazione, cosa che facciamo di animo lieto.

5. E come ci accingiamo a levarci da mensa, ecco già apparire Roban con i due angeli. Egli fa un profondo inchino dinanzi a Me ed alle altre personalità di Roma là presenti e con voce desolata e stanca prorompe in queste parole: «Oh, Signore, qui è il Cielo, ma lì nella sinagoga si è scatenato l’inferno! Signore! È vero che a Te non occorre che lo dica, perché so benissimo che a Te non può essere ignoto niente di quello che succede in tutto il mondo, ma è oramai una cosa disperante per come briga ed infuria il nostro nuovo preside!

6. Se quell’individuo non è un fratello corporale di Satana, io sono pronto a rinunciare alla mia dignità di uomo! In primo luogo egli ha cominciato a depredarci completamente, non solo per quanto riguarda il denaro, ma anche tutti i nostri averi, cosicché noi non sappiamo neppure come in avvenire potremo vivere assieme alle nostre famiglie. Egli si prende tutta la farina, i legumi, i grani, tutto il pesce affumicato, dice che i nostri buoi, vacche, vitelli, le pecore e gli asini sono proprietà del Tempio e così si prenderà anche questi, senza grazia e pietà. E non basta, ma egli ci ha dichiarato che siamo dei rinnegati di fronte al Tempio e minaccia punizioni da tutte le parti, perché a Gerusalemme si ha notizia di tutto quanto succede qui ed egli dice di avere il preciso incarico di farTi arrestare come seduttore e sobillatore del popolo e di farTi consegnare ai tribunali! Cosa ne dici di queste bestialità?

7. Pare che Erode sia perfettamente a conoscenza di ogni Tuo passo ed azione ed egli avrebbe già preso da lungo tempo delle misure serie contro di Te, se non vi fosse trattenuto dall’erronea opinione ispiratagli dal suo indovino – che era in segreto un discepolo di Giovanni – che Tu sia Giovanni stesso resuscitato da morte, perché a richiesta di quella donnaccia di Erodiade egli lo ha fatto decapitare nel carcere, facendo poi presentare ad essa la sua testa su di un vassoio e ciò per provarle di aver mantenuto il giuramento fatto!

8. Da questo poco che Ti ho detto, Tu, o Signore, puoi farti già un’idea dello stato delle cose! Io Ti dico che, se non vi opponi tutta la Tua potenza, Tu e tutti coloro che sono presso di Te siete, per quanto riguarda al corpo, perduti! Infatti non posso dirTi altro di più che l’inferno intero si è scatenato; solo sulla Tua testa è stata messa una taglia di nientemeno che diecimila libbre d’oro!».

9. Allora Io chiamo Matteo e gli dico: «Quello che udrai adesso, scrivilo!».

10. Matteo va subito a prendere l’occorrente e si dispone a scrivere.

11. Mentre Io, nuovamente rivolto a Roban, dico: «Amico, tu hai ora accennato di sfuggita alla triste storia di Giovanni, però abbi la compiacenza di narrarla precisamente così come ve l’ha esposta il nuovo preside, perché io ho un grande interesse che della cosa venga presa notizia in questo modo!».

12. Dice Roban: «Io lo farò con la maggior buona volontà di questo mondo, soltanto temo che si accorgano della mia assenza e noi siamo in pericolo se quel fratello di Satana di un preside ci capita qui e fa un chiasso tremendo!»

13. Gli osservo Io: «Non temere, perché qui abbiamo tanto potere ancora per fargli capire ragione!»

14. Dice Roban: «Quand’è così, io ripeterò la storia di Giovanni letteralmente così come ce l’ha raccontata il nuovo preside!» Le sue parole furono queste».

 

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Cap. 82

Storia e fine di Giovanni il Battista

(Matteo 14, 1-12)

 

1. Parla Roban: «Poco tempo fa i servitori del tetrarca Erode, incaricati dell’esazione delle imposte, ebbero a rapportare al loro signore le voci che correvano riguardo alla Tua Persona ed alle cose da Te operate e gli raccontarono come, essendosi essi trovati nell’esercizio delle loro funzioni, Tu li avessi scacciati e volti in fuga e come nulla avessero potuto opporre alla Tua potenza! Allora Erode fece subito chiamare il suo indovino. Questi, però, che anzitutto è una vecchia volpe ed è poi un occulto discepolo di Giovanni, che non ha potuto perdonare ad Erode l’assassinio di questo profeta, colse l’occasione che gli si offriva di vendicarsi duramente di Erode e gli dichiarò energicamente: “Costui altri non è che Giovanni il quale è risuscitato da morte e opera in questo modo ai tuoi danni!”

2. Tali parole spaventarono Erode (vers.2), il quale ritornò dai suoi servitori e disse loro: “Costui non è il falegname Gesù, che io conosco e che non saranno ora neppure cinque anni che è stato qui con suo padre Giuseppe per costruire un nuovo trono, nella quale occasione, malgrado dimostrasse un’assoluta semplicità di modi, ha dato prova di non comune abilità nella falegnameria artistica, bensì Giovanni che io ho fatto decapitare, che è risuscitato dai morti ed ora come un spirito indistruttibile fa contro di me cose che nessun uomo è capace di fare. Astenetevi dunque dall’intraprendere oltre alcuna cosa contro di lui, perché ciò potrebbe recare a me ed a voi le peggiori sventure!”.

3. A questa dichiarazione sembra che i servitori siano rimasti assai meravigliati e che se ne siano andati addirittura sbalorditi, poiché essi sapevano benissimo che Tu non sei Giovanni, ma non osarono ribattere niente al terrorizzato Erode.

4. E dopo questo racconto del preside, noi gli domandammo come veramente fossero andate le cose riguardo all’uccisione di Giovanni. Infatti noi sapevamo con certezza che Erode l’aveva fatto gettare in carcere, ma che l’avesse fatto anche morire a noi non constava assolutamente. Allora il preside con poche parole ci raccontò: “Da principio Erode (vers.3) era egli stesso un discepolo di Giovanni, certo assai tiepido e lo stimava come un saggio di particolare valore, perciò lo accolse alla sua corte con l’intenzione di imparare da lui la sapienza occulta. Ma poiché d’altra parte egli non voleva rinunciare al cattivo amore per Erodiade, moglie di suo fratello Filippo, Giovanni, pieno di corruccio, (vers.4) così parlò ad Erode: “Innanzi a Dio ed a tuo fratello non ti è lecito tenere costei, poiché sta scritto: ‘Non desiderare la donna del tuo prossimo’. Allora il superbo Erode si adirò (vers.5), fece gettare Giovanni in carcere e l’avrebbe anche fatto morire subito se non avesse avuto timore del popolo, il quale considerava Giovanni un grande profeta”.

5. Pochi giorni dopo accadde però (vers.6) che Erode festeggiasse il suo compleanno ed in quella occasione la bella figlia di Erodiade si presentò e danzò dinanzi a lui ed ai nobili suoi ospiti, la qual cosa (vers.7) piacque moltissimo ad Erode. Egli perciò fece con giuramento promessa alla bella danzatrice che le avrebbe dato tutto quello che essa avesse voluto chiedergli! Ma la figlia (vers.8) si rivolse prima a sua madre, che aveva giurato vendetta a Giovanni perché voleva allontanarla da Erode, e la madre le suggerì di chiedere la testa di Giovanni!

6. La figlia allora si presentò ad Erode e gli disse: “Dammi qui in un piatto la testa di Giovanni Battista”. A quella richiesta (vers.9) il re si rattristò, non tanto per la sorte di Giovanni, quanto piuttosto a motivo del popolo che egli temeva si sarebbe poi vendicato. Tuttavia, avendo giurato e per rispetto di coloro che erano con lui a tavola, comandò ai suoi servitori (vers.10) di portare alla figlia ciò che era stato da lei richiesto! Ed i servitori andarono, decapitarono Giovanni nella prigione, dopo aver prima fatto allontanare da lui con qualche pretesto alcuni dei suoi discepoli e portarono poi (vers.11) la sua testa su di un piatto nella sala del banchetto, per presentarla alla figlia e questa la consegnò poi alla sua perfida madre!

7. Quando più tardi i suoi discepoli furono di ritorno, con loro immenso spavento e dolore (vers.12), non trovarono che un cadavere! Essi tolsero il corpo di Giovanni, lo portarono fuori e lo seppellirono in presenza di molte migliaia di popolani che facevano cordoglio e scagliavano maledizioni atroci contro Erode e la sua casa. Si dice inoltre che Erodiade, alla vista del capo di Giovanni, sia caduta immediatamente in terra, dove morì fra orribili convulsioni e con la faccia contratta, e la stessa sorte pare sia toccata pochi momenti dopo a sua figlia! Erode e tutti i suoi ospiti inorriditi sarebbero poi fuggiti dalla sala del banchetto.

8. Signore! Questa è parola per parola la dolorosissima storia di Giovanni che battezzava al Giordano, non lontano dal deserto di Bethabara, dove questo fiume si versa nel lago, lo attraversa ed infine si volge al Mar Morto. Cosa ne dici Tu? È davvero ammissibile che degli uomini possano diventare tanto demoni, specialmente in un tempo in cui Tu stesso, al quale obbediscono Cielo e Terra, calchi, in forma umana, il suolo di questo mondo? Oh, Tu non hai più tuoni e fulmini per simili orrori?

9. Allora Cirenio e Cornelio si rivolgono a Me, sopraffatti dalla collera, ed esclamano: «Signore! Ogni indugio è ormai un pericolo! Noi non possiamo più attendere che si esaurisca la Tua immensa pazienza e indulgenza, qui si tratta di porre mano immediatamente all’opera! È necessario che, al massimo entro dieci giorni, tutta questa progenie dell’inferno, compresa Gerusalemme e il Tempio, sia fatta scomparire dalla faccia della Terra!».

10. Ed Io gli dico: «Guardate qui questi due giovinetti, essi soli bastano per fare in un istante quello che tutta la potenza di Roma non potrebbe fare in cento anni! Ma se tutto ciò non dovesse accadere a motivo dell’Ordine di Dio, potete crederMi se vi dico che per Me sarebbe cosa facilissima distruggere tali orrori in un batter d’occhio! Ma queste cose estreme è bene che avvengano per la formazione di un nuovo Cielo e di una nuova Terra.

11. Ma ora vedete di allontanarvi da qui, perché questo nuovo preside è un uomo cattivo e Satana è pronto a mostrargli mille vie per le quali potervi fare moltissimo male, perciò fate in modo di andarvene al più presto.

12. Anch’Io Me ne andrò oggi stesso da qui e non farò ritorno così presto in questi paraggi, perché è meglio tenersi ad una certa distanza da un cane rabbioso. Costui è uno il quale dispone di molto oro ed argento, altrimenti non avrebbe potuto comperarsi la carica che occupa e con molto oro ed argento alla mano si possono ottenere molte cose presso gli uomini del mondo, particolarmente poi non ci si può assolutamente fidare di un tale che, come lui, si è acquistato un simile posto sotto la spinta dell’avidità di lucro e dell’ambizione. 

Di conseguenza tutti voi preparatevi ed allontanatevi da qui e tu pure, Roban, ritorna a casa tua, perché finora la tua assenza non è stata notata!»

13. Dice Roban: «Ma se vengo interrogato riguardo ai fatti Tuoi, cosa dovrò dire?»

14. Gli dico Io: «Quello che dovrai dire ti verrà posto nel cuore e nella bocca al momento opportuno».

 

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Cap. 83

Scena con il nuovo preside del Tempio a Nazaret.

 

1. Udite queste parole, Roban si mette sollecito in cammino verso casa sua e vi è appena giunto quando un messo gli si presenta e lo obbliga ad andare immediatamente alla sinagoga, dove il nuovo preside vuol parlare appunto con lui dei fatti Miei, perché era venuto a sapere che Roban era stato a Sichar per cose che Mi concernevano. Roban comparve poco dopo davanti al preside e subito questi lo investe aspramente.

2. Ma Roban gli dice: «Io sono uno degli anziani di Nazaret e sto fra i 70 e gli 80 anni, mentre tu per i 30 hai ancora molto da correre! Il fatto però che in forza del tuo denaro ti sia innalzato sopra di noi a preside, non ti autorizza minimamente a fare da Mosè o da Aronne ed io non potrò imparare da te niente che non abbia già saputo prima che tu fossi nato! Noi tutti abbiamo sempre adempiuto ai doveri del nostro ufficio a piena soddisfazione del tuo degnissimo predecessore e di tutto il Tempio, abbiamo scrutato ogni fenomeno con occhio sincero e diritto, come si addice ad israeliti devoti a Dio ed abbiamo posto argini là dov’erano necessari; se tu però credi di comprendere meglio le cose e se pensi di convertire forse così di colpo tutti i greci e i romani per farli diventare ebrei, allora procedi pure a modo tuo ed io ti garantisco che in breve tempo sarai tu, oltre a noi, l’unico ebreo in tutta la Galilea!

3. La borgata abbastanza importante di Gesaira, a questo riguardo e per lo stesso motivo, è già passata all’ellenismo e tutti i farisei, gli scribi e i sacerdoti hanno dovuto andarsene! Va’ tu ora lì e comincia pure a fare, secondo i tuoi sistemi, ricerche e inquisizioni, e quelli di Gesaira cominceranno a loro volta a suonarti una tale musica che certamente non avrai gambe abbastanza lunghe per scappare con la dovuta velocità! Ma a che cosa si deve lo scisma della gente di Gesaira? Ecco: all’eccessivo rigore ed all’avidità dei sacerdoti locali, e Gesaira ormai professa Pitagora al posto di Mosè!

4. E precisamente succederà la stessa cosa qui in brevissimo tempo e tu e noi tutti potremo allora cercarci un altro asilo! Non persistere nella tua cecità e riconosci quello che purtroppo è vero.

5. I supremi detentori del potere sono romani e greci e vedono di buon occhio quando gli ebrei si convertono alla loro credenza. Come puoi tu impedire queste defezioni, quando in tutta la Galilea è una cosa molto nota che ormai le condizioni del Tempio sono tali da far assomigliare questo ad un guscio di noce vuoto? Ma di chi è la colpa, se non degli stessi avidi dirigenti del Tempio, i quali per denari ne rivelano i misteri agli stranieri facoltosi, i quali, a dispetto di qualsiasi giuramento, divulgano fra il popolo tutte queste storie con grande corredo di grasse risate e di scherni? Va’ pure a domandare loro, agli abitanti di questa città, e sentirai anche tu quello che hanno detto a noi».

6. Dice il preside: «Cosa dici? Tutte queste cose il popolo le sa?».

7. Risponde Roban: «Sì, il popolo è a conoscenza di tutto! Se credi, prova ad andare a togliergli la conoscenza!».

8. Il preside, arrabbiato e serio, misura a passi concitati la sinagoga e dice, dopo qualche tempo: «Qui ci avrà posto in buona parte lo zampino quel profeta di Nazaret! Di conseguenza sarà tempo che tocchi a lui quello che è toccato a Giovanni per mano di Erode!»

9. Dice Roban: «Eh, sì, tutto dipende dal fare un tentativo per mettere le mani su quel medico meraviglioso e il popolo, romani, greci, ebrei che siano, che lo venerano come un Dio, intoneranno anche in questo caso una musica particolare! Io, che sono un anziano di Nazaret, ti do un consiglio fedele e più conforme alle circostanze e ti dico: “Segui le orme modeste del tuo degno predecessore Giairo e potrai, almeno per qualche tempo ancora, campare qui tranquillo! Ma se continui a fare come fino ad ora e vuoi sconvolgere tutto mettendo di sotto quello che deve stare sopra e viceversa, potrai presto cercarti una buona occasione per ritornare a Gerusalemme!”. Giairo stesso è nelle mani dei greci. Boro è suo genero ed è il secondo medico meraviglioso e potente per le sue ricchezze d’ogni specie; egli pure saprà anche troppo presto raccontarti qualcosa. In una parola, prova e dopo mi dirai se ti ho dato un consiglio falso!»

10. Il preside infuriato pesta i piedi in terra e prorompe: «Voi siete già tutti alleati del demonio e sembra propendiate più per i nostri avversari che per noi e siete seguaci della dottrina dell’ingannatore del popolo! Perciò io vi caccerò dalla sinagoga, farò venire da Gerusalemme gente nuova in luogo vostro e vi metterò nelle mani dei tribunali! Io ti domando ancora una volta: “Che cosa sei andato a cercare o fare a Sichar, presso i samaritani?”»

11. Risponde Roban: «Io ho 79 anni e so perfettamente quello che faccio e che devo fare! Le tue minacce non spaventano né me né nessun altro, ma se vuoi consegnarci ai tribunali, non devi che provare e vedremo poi chi veramente finirà nelle mani di questi: se noi o tu!

12. Fortunatamente noi siamo molto in buona vista presso il supremo Governatore, che è fratello dell’imperatore Augusto e a Roma ha grandissima influenza; perciò non sarà né così facile né così veloce come tu credi mandarci in prigione! Ma Gesù, che il Tempio odia unicamente per puro e semplice egoismo e per avidità di dominio, appunto Gesù è Colui che il Tempio deve ringraziare se già a quest’ora non è stato raso al suolo! 

13. Tu certamente avrai udito qualcosa della famosa rapina delle imposte perpetrata, saranno ora cinque settimane, dagli agenti del Tempio travestiti e mascherati e dall’ignominioso trasporto di quei tesori, nonché di molte altre cose letteralmente rubate od estorte con abominevole violenza, trasporto che è stato fermato a Chis dai sorveglianti dello straricco Kisjonah! Vedi, è stato appunto quel Gesù, che il Tempio odia senza nessuna ragione e che le alte autorità e personalità di Roma stesse venerano più del loro Giove, Lui solo, con la Sua Parola e con le Sue opere inaudite, è stato a deviare da Gerusalemme il rovinosissimo uragano. Ma il pericolo non è ancora scongiurato del tutto e basterà che vi ostiniate ancora un pochino nei vostri vecchi sistemi, perché scoppi la tempesta!

14. Del resto basta anche solo una denuncia da parte di Boro, di Giairo e rispettivamente anche la mia e dopo potrai rimirare la tua Gerusalemme e il suo Tempio 3 volte entro 7 giorni e mi saprai dire se avrai trovato il posto dove una volta sarebbe esistito il Tempio! Hai ben compreso le mie parole?»

15. Allora il preside, al colmo dell’ira e del dispetto, batte di nuovo con i piedi in terra ed esclama: «Chi può confermare una cosa simile con un giuramento? Perché quelli che si dice siano implicati nel fatto sono ora rinchiusi nel Tempio!»

16. Dice Roban: «Secondo la legge romana l’imputato non viene mai ammesso al giuramento, bensì soltanto gli altri testimoni ed in caso di bisogno essi ne metteranno assieme diecimila i quali, quanto pare a me, saranno sufficienti contro 10 accusati o giù di lì!»

17. Dice il preside, completamente annichilito: «Dunque è inutile credere in Jehova, Mosè e nei profeti e non è più lecito a nessuno osservare i comandamenti a causa dei romani?»

18. Risponde Roban: «Fammi il piacere di non tirare in ballo Jehova né Mosè ed i profeti! Di tutto ciò non vi è più alcuna traccia né in te né meno ancora negli alti ed altissimi signori del Tempio, perché tutto il Tempio è già da 30 anni che è trasformato in un luogo di mercato e di cambio e già da lungo tempo là non vi sono più né un autentico servizio divino né una giusta osservanza dei precetti del vero Jehova e di Mosè! Quello che c’è ancora, si riduce tutto all’apparenza, all’ombra e alla maschera ed i lupi rapaci vanno intorno ricoperti di false e placide spoglie per poter, con tanto maggiore facilità, assalire le povere pecore. Se tu agissi conformemente alle leggi di Mosè, non ti sarebbe mai venuta la voglia di comperarti il posto che occupi ora! Ed io sono pronto a giocarci la vita, se Mosè ha mai comandato che la carica di capo di una sinagoga la si debba acquistare con l’oro e l’argento!».

19. A questa replica di Roban il nuovo preside esclamò furente: «Tutto ciò non ha niente a che fare, ma saprò io ben trovare per voi un padrone tale di cui non potrete mai meravigliarvi abbastanza, perché io so ancora qualche altra cosa che voi non sapete e conosco altre vie che probabilmente voi non conoscete!».

20. Dice Roban: «Questo è ben possibile; ma è pure possibile che tutte le tue vie, grandi e piccole, noi le conosciamo forse meglio di te ed è eventualmente il caso di domandarsi se non ti abbiamo già sbarrato tutte le strade per le quali hai segretamente pensato di colpirci alle spalle. Come ho detto, basta che tu faccia una sola prova e non tarderai a sentire quello che sapremo raccontarti noi!».

21. Gli altri allora dicono a Roban: «Ma fratello, perché vuoi tentare di salvare quest’inumano dalla rovina? Egli è nelle nostre mani e potrà cercarsi un aiuto anche in Cielo, quando ci prenderemo la singolare libertà di fargli assaggiare le pietre di Nazaret!». E poi, rivolti al preside: «Noi siamo farisei e scribi come te, anzi meglio di te, perché siamo discendenti di Levi, mentre tu, come sappiamo benissimo, la discendenza l’hai pagata a caro prezzo, come, del resto, oggigiorno tutto si compera, non escluso il Cielo! Dunque, tu sei un intruso nel Santissimo ed un ingannatore di Dio e per questo crimine saresti a ragione passibile di venir lapidato all’istante, vedi per questo di non spingere le cose troppo oltre, altrimenti ci metteremo senza indugio all’opera!»

22. Questa minaccia energica e risoluta ebbe l’effetto di rendere il sommo capo almeno in apparenza, più sopportabile, quantunque nel suo interno fremesse ancora di più e dopo una pausa, egli disse: «Anche voi però non dovete prendermi per quello che non sono, perché sono noti, a me come a voi, i grandi difetti del Tempio ed ora si tratta soltanto di vedere come si potrebbe fare per occultarli e per ridonare al Tempio il suo antico significato e il suo primitivo valore».

 

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Cap. 84

Testimonianza di Chivar su Giovanni e Gesù

 

1. Allora prende la parola l’oratore Chivar e dice: «A che scopo usare verso di noi iniziati simili insensatissime angherie? Io sono stato, dal mio undicesimo fino al venticinquesimo anno di età, un servitore del Tempio e dunque so anche troppo bene come stiano là le cose. Se avessi voluto essere cattivo, quante e quante cose avrei potuto rivelare già da molto tempo in qua! Ma mi sono sempre detto: “Il popolo cieco tiene tuttavia al Tempio come prima”.

2. Perché avrei dovuto togliere al popolo la sua fede nella quale, secondo me, esso ripone tutte le sue illimitate speranze, mentre noi sacerdoti possiamo in certo modo contare almeno su di una discreta vita a questo mondo? Ma se ora, che non abbiamo un fondamento reale, tendiamo troppo le nostre corde, si spezzeranno ed allora sarà finita con i nostri canti, così potremo provvederci di reti per andar a pescare là dove il mare è più profondo.

3. Cosa possiamo fare noi contro la potenza dei nostri nemici che diventano di giorno in giorno più numerosi? Credi che poi il Tempio ci proteggerà? È inutile che te lo aspetti, perché a Roma si sono già stabiliti molti ebrei, i quali tengono delle case signorili con dei tesori considerevoli ammassati illecitamente nel Tempio!  Questi non si affanneranno a farsi nostri patrocinatori, come non è d’aspettarsi che questa cosa la faccia la gente attuale del Tempio che, come le rondini, tiene già adesso pronte le ali con le quali, alla prima e miglior occasione, spiccare il volo oltre il grande mare, verso l’Italia e verso l’Europa, per non fare mai più ritorno in Asia.

4. E perciò ora dovrebbe essere per noi ambito consiglio in primo luogo dedicarci nel modo più degno possibile al nostro ministero di sacerdoti, con tutta tranquillità, moderazione e pazienza ed in secondo luogo osservare scrupolosamente il proverbio romano: «In medio beati» (Il giusto sta nel mezzo), altrimenti già entro pochi anni potremo chiedere di essere ammessi nella casta dei pescatori!

5. In aggiunta a tutto ciò, ecco che, precisamente in questo tempo, sono comparsi due uomini, la cui potenza assolutamente incomparabile, sarebbe capace di guadagnare in pochi anni alla loro dottrina tutte le genti di questo mondo! Giovanni, il quale, benché non si trovi più corporalmente fra i mortali, è il primo, alla cui dottrina hanno aderito mezza Giudea e Galilea, dottrina che presentemente viene professata ancora più tenacemente di quando era vivo Giovanni. Erode nella sua lussuria poté far levare il capo di chi era profeta, ma sarà egli capace di stroncare anche il suo spirito e quello della sua divina dottrina? Io non potrò mai crederlo, perché appunto con le persecuzioni ogni buona dottrina diventa grande ed invincibile!

6. Ora Giovanni, nei riguardi del corpo, è bensì tolto di mezzo, ma in sua vece è sorto il ben noto Gesù, di fronte al quale Giovanni sta a mala pena come una tana di talpa paragonata al poderoso monte Ararat! Il Suo aspetto e il Suo modo di trattare sono di una dolcezza e di una liberalità sovrumane ed emanano uno straordinario senso di umanità; la sapienza profondissima cui s’informa ogni più piccola parte del Suo discorso sempre denso e purissimo di verità divinamente pie, e talmente chiare ed accessibili, che non vi può essere uomo avente anche un solo grano di intelletto nel cuore, che possa un solo istante dubitare della celeste provenienza delle parole che giungono al suo orecchio; ed infine le Sue opere dalle quali ciascuno è indotto ad esclamare: Cose simili soltanto Dio le può fare!

7. Cosa vogliamo o cosa possiamo intraprendere di più contro di Lui? Possiamo sì renderci più odiosi ed intolleranti di fronte a tali apparizioni straordinarie, ma certo non a nostro vantaggio, bensì a nostro massimo danno.

8. Perciò a noi conviene comportarci con la maggior prudenza possibile e non porre mai eccessiva attenzione al presente, ma badare piuttosto all’avvenire; altrimenti in breve tempo è finita per noi!»

9. Dice il preside: «Dunque la tua opinione è che noi non dobbiamo tentare di impadronirci di questo Gesù, ma che dobbiamo invece aspettare tranquillamente fino a che egli ci avrà ridotto completamente in rovina!»

10. Risponde Chivar: «Tenta di impadronirtene tu, se ti è possibile! Che cosa abbiamo provato a far contro di Lui ed a che cosa è giovato? Io te lo dico: “A niente altro che ad aumentare di un paio di migliaia il numero dei Suoi discepoli ed a diminuire in confronto di altrettanto il numero dei nostri seguaci e, oltre a ciò, a procurarci la probabilissima prossima felicità di dover fare i conti con i romani, i quali lo considerano un verissimo Dio!”.

11. E bisogna aggiungere inoltre quello che non è mai stato visto ancora da che mondo è mondo che Egli ha sempre al Suo seguito un paio d’angeli i quali, nonostante la loro apparente delicatezza di forme e la fanciullesca fragilità, sono in possesso di una forza tale che la nostra miope sapienza non potrebbe mai immaginare, neppure in sogno! E su di un tale Uomo tu vorresti mettere le mani per impadronirti di Lui! Io ti dico: “Sii quello che vuoi, ma non essere pazzo! Prima che tu abbia fatto un solo passo con cattiva intenzione verso di Lui, sei già completamente paralizzato! O credi forse tu che Egli non sappia nulla di quanto si discute ora fra di noi?”. Io te lo ripeto: “Tu sei in grandissimo errore! Tutti quanti si trovano qui sono testimoni di come Egli, due giorni fa, abbia risaputo fin nei minimi particolari tutto quello che noi avevamo trattato qui a mezzanotte al Suo riguardo e che avevamo per quanto segretamente deciso!”

12. È certamente piacevole udire raccontare di un uragano scatenatosi sul mare, ma ben altra cosa è l’esservi stati esposti. Ascolta bene le mie parole: “Accudisci in tutta pace e senza eccessivi rumori alle mansioni del tuo ufficio e da nessuna parte te ne verranno conseguenze spiacevoli, ma se vorrai agire da tiranno, noi tutti che siamo qui possiamo garantirti che non solo tu e la tua Cafarnao, ma tutta Gerusalemme sarà messa a soqquadro!”. Usando grande prudenza, noi possiamo ancora fare in modo che Gerusalemme sia mantenuta ancora forse per cinquant’anni, ma possiamo provocarne la rovina anche in poche settimane, seguendo i suggerimenti sommamente inopportuni della nostra stoltezza!

13. E adesso sei libero di fare come credi, noi non abbiamo a fare che un passo e siamo con i romani. Essi sono grazie a Dio amici nostri, ma per te la strada potrebbe diventare assai più lunga! Pure la prudenza umana esige che si debba dare sempre una noce vuota per una piena, ora, cosa puoi sperare di cavare fuori dal Tempio avido ed egoista, considerato che già da lungo tempo è diventato una noce completamente vuota? Io ti dico francamente che oramai tutti i signori, anche i più grandi e potenti di Roma, si lasciano guidare da Gesù come degli agnelli! Ma se Egli ha costoro dalla Sua parte grazie alla Sua dottrina veramente divina e pura, cosa possiamo fare noi contro di Lui? Dopo che tu accennerai soltanto a volerlo attaccare, sarai tu stesso afferrato per primo e non si troverà nessuno disposto a fare neanche un solo passo a tuo vantaggio, ma, se ti comporti con la dovuta cautela e prudenza, i romani diverranno anche tuoi amici e come Giairo potrai vivere in pace! Però, come detto, fa’ come vuoi, ciò che avverrà in seguito ti fornirà la prova se noi ti abbiamo dato un consiglio da amico o da nemico!».

14. Questo discorso di Chivar non mancò di produrre il suo effetto, il preside si fece più mite e cominciò a persuadersi che tanto Roban quanto Chivar avevano perfettamente ragione, tanto che promise loro di seguire fedelmente il consiglio ricevuto. E così la prima tempesta nella sinagoga ebbe un decorso felice.

 

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Cap. 85

Il Signore loda Roban e Chivar.

 

1. Dopo un’ora da questi avvenimenti, Chivar, uscì dalla città per venire a trovarMi, e voleva accingersi a raccontare tutto quello che nella sinagoga era stato discusso con il nuovo preside.

2. Però Io gli dissi: «Amico, risparmiatene la fatica, perché già sai che per Me non può esservi niente di sconosciuto. Del resto devo dirti che tu e Roban vi siete comportati benissimo, perché il preside non avrebbe altrimenti mancato di cacciarsi in qualche pazza impresa. Così egli invece è ormai convinto che sarebbe cosa assurda l’intraprendere qualcosa contro i romani e, almeno per un certo tempo, resterà tranquillo, d’altro canto però sarebbe quanto mai prematuro per voi fidarvi interamente di lui e dovete continuamente stare in guardia e non perderlo mai di vista. A te, poi, siccome sei stato ed ancora sei il Mio più zelante difensore, Io voglio conferire il potere di guarire gli ammalati con una giusta preghiera e mediante l’imposizione delle mani, inoltre la facoltà di poter leggere nel tuo cuore tutte le intenzioni ed i piani del nuovo preside, nonché le opportune misure da prendere per opporvisi, però devi fare come ti ho detto, ogni volta ugualmente, altrimenti non avrebbe efficacia. Quali saranno le misure opportune, ti verrà indicato a tempo e luogo! E adesso dunque ricevi la Mia benedizione».

3. A queste parole Chivar si prostrò dinanzi a Me e Mi pregò ferventemente di concedergli le grazie promesse. Ed Io posai la Mia mano destra sul suo cuore e la mano sinistra sul suo capo e nello stesso istante la sua anima fu rischiarata ed egli esclamò: «Signore ogni tenebra è fuggita da me, tutto in me è luce e tutto il mio corpo mi sembra essere diventato trasparente come un diamante, cosicché la luce del giorno può trapassarlo senza alcun impedimento. Oh Signore, concedi che questa benedizione resti con me per sempre ed io saprò certo conservarla e con animo gratissimo cercherò di rendermene degno!».

4. Gli dico Io: «Sii tu sempre operoso secondo la Mia dottrina e non avrai mai più ragione di far cordoglio per la perdita di questa luce!».

5. Allora Chivar si alza e si accorge che all’infuori di Boro e Giairo, Maria ed i Miei fratelli, nessun altro ospite è più presente; anche i dodici discepoli principali sono spariti ed egli Mi domanda che cosa sia accaduto.

6. Gli dico Io: «Era necessario che fosse così! Vedi, presto verrà l’autunno e poi l’inverno. Il tempo della raccolta è prossimo ed Io devo andare fuori a cercare lavoratori per il campo e per la vigna! Quando per quest’anno tutto sarà messo in serbo, allora sarà dolce riposare d’inverno; quando poi si annuncerà l’anno nuovo, ci ritroveremo dinanzi ad un gran lavoro che affronteremo con forze rinnovate.

7. Oggi stesso anch’Io Mi allontanerò da questi paraggi, poiché Erode è una vecchia volpe e il nuovo preside è alle sue dipendenze, perciò è bene che la Mia casa non divenga un campo di battaglia per Satana.  I Miei discepoli li ho fatti già partire da un paio d’ore. Essi se ne sono andati con Mio fratello Kisjonah ed attenderanno presso di lui a Chis la venuta dei discepoli di Giovanni, per annunciare a loro che il Regno di Dio è vicino. Essi, però, ancora entro oggi saranno qui di ritorno assieme ai discepoli di Giovanni e poi, venuta la sera, lasceranno con Me questa località. Ma dove ce ne andremo, questo lo percepirai bene, come molti altri, in te stesso.

8. E tu vedi di praticare di frequente Boro e Giairo, perché essi sono ora le due persone più degne in tutta Nazaret, essi possiedono tutto il Mio Amore e, per mezzo Mio, anche la piena Grazia di Dio! Finora non Mi conosce e non Mi ama neppure uno dei Miei discepoli, come questi due Mi amano e Mi conoscono.

9. Tutti i Miei discepoli, in un certo tempo che non si farà ancora molto attendere, troveranno ancora occasione di scandalizzarsi abbastanza di Me. Ma nessuna cosa e nessuna apparizione in Me potrà mai più fare vacillare o indurre in errore questi due, perché essi Mi conoscono interamente del tutto. Segui dunque le loro tracce e così anche tu potrai raggiungere quello che hanno raggiunto essi stessi!».

10. Con ciò Chivar è perfettamente soddisfatto e Mi chiede ancora cosa sia accaduto ai due angeli che si erano pur essi resi invisibili.

11. Ed Io gli rispondo: «Alza i tuoi occhi e potrai vedere non soltanto quei due, ma anche altre innumerevoli schiere intorno a loro!».

12. Allora Chivar leva gli occhi al Cielo e contempla in un mare di luce i due arcangeli circondati da miriadi innumerevoli di altri angeli, i quali sono tutti sempre pronti al Mio minimo cenno.

13. Chivar però china subito il suo sguardo a terra e dice: «Signore, io sono un uomo peccatore e i miei occhi non possono perciò sopportare questa visione per me troppo santa, ma tutte le mie forze voglio dedicarle al fine di potermi rendere degno!»

14. Gli dico Io: «Fa’ tutto secondo rettitudine e giustizia ed in quei Cieli, dei quali tu hai ora visto un lembo, il tuo premio sarà grande! Ora però ritorna alla sinagoga, perché il preside, che si tratterrà ancora qualche giorno qui a Nazaret, ha bisogno di te, siccome tiene oramai in gran conto il tuo consiglio!».

 

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Cap. 86

Il nuovo preside Core e Chivar nella sinagoga.

 

1. Dopo ciò l’onesto Chivar se ne va ed in breve è di ritorno nella sinagoga, ma subito si accorge che il preside l’aspettava con ansia e infatti, appena entrato, l’altro gli va incontro e gli domanda dove fosse stato e cosa avesse fatto per tutto quel tempo.

2. Chivar rispose; «Signore! Io ho in cura un ammalato grave ed ho dovuto correre in suo aiuto. Ora, vedi, egli è guarito e, essendo un viaggiatore, può proseguire il suo cammino oramai consolato». 

3. Chiede il preside: «Dove va, quando parte e da dove è venuto qui? Posso vederlo ancora e parlargli?».

4. Dice Chivar: «Egli è un israelita, è venuto qui dall’alto ed ora è già partito verso il basso. Tu non puoi più vederlo e parlargli, a meno che egli non torni da queste parti! Ma quando potrà avvenire ciò? Probabilmente passeranno molti giorni!»

5. Dice il preside: «Questa tua informazione di tono furbesco non può affatto bastarmi! Dov’è l’albergo, affinché ci vada io stesso per procurarmi delle informazioni circa questo viaggiatore da te guarito e che è diretto al basso? Infatti una simile guarigione meravigliosa da parte di un fariseo è una questione molto importante e deve venire confermata da quanti più testimoni è possibile, altrimenti non può trovare credito, né di conseguenza può avere alcun valore»

6. Risponde Chivar: «Se tu vuoi sapere di più di quanto so io, rivolgiti allora a chi ne sa più di me! Quello che io sapevo, te l’ho anche raccontato fedelissimamente. Come avrei potuto dirti di più di quanto io stesso so? L’albergo però è lì fuori, in casa del falegname Giuseppe. Se tu vuoi informazioni più estese in proposito, vacci tu stesso! Non dimenticare però di proteggerti la schiena, perché lì di bastonate non ci sarà assolutamente mancanza! Credi forse che la gente abbia proprio un rispetto tanto straordinario per le persone del nostro rango? Io posso dirti che non c’è affatto traccia di qualcosa di simile! Alla più piccola sbadataggine ci si procurano legnate in serie, a cominciare dalla prima lettera dell’alfabeto, senza interruzione, fino all’ultima e poi non c’è Dio che te le cavi di dosso! Ti ripeto: “Tutto sta nel fare una prova e poi si potrà parlare per propria esperienza!”»

7. Dice il preside: «Da queste parole, che esprimono tanta sicurezza, devo assolutamente dedurre che voi, assieme a tutta la cittadinanza di Nazaret, avete congiurato contro di me. Ma questo non fa niente e noi sapremo ben mettere le cose al suo posto! Oramai so, all’incirca bene, cosa devo pensarne! Spero che fra breve riuscirò a smascherare questo complotto del tutto, ma poi guai a voi e tutta la città! Qual è la via che conduce fuori verso la casa del falegname?

8. Risponde Chivar: «Guarda qui, fuori da questa finestra, là, alla distanza di circa duemila passi, puoi vedere benissimo la proprietà del falegname, nonché la strada che vi conduce. Va’ pure e persuaditi di tutto ciò con i tuoi occhi – nota bene, anche delle immancabili bastonate!»

9. Dice il preside: «Ma voi mi accompagnerete, per servirmi da protezione!».

10. Dicono tutti: «Fossimo matti! Ce ne guarderemo bene! Chi ne ha così tanta voglia, che vada lui fuori con la sua pelle!»

11. Dice il preside: «Ebbene, nel Nome di Jehova andrò io stesso fuori e vedremo se qualcuno si azzarderà a toccare me, un unto del Signore, poiché sta scritto: “A nessuno è lecito levarsi contro l’unto del Signore e guai a colui che alzerà la sua mano contro il capo di un unto!”» 

12. Osserva Chivar: «Eh sì, quello che tu sai, lo sappiamo anche noi già da lungo tempo. Ma gli unti come noi, la cui consacrazione non è che una miserabile artificiosa illusione, non hanno più nessun valore dinanzi a Dio ed Egli non proteggerà affatto le nostre teste, per quanto consacrate da una pseudo unzione, quando saranno, secondo tutta giustizia, esposte ai colpi dei nostri nemici! Infatti, come ho avuto occasione di dire più volte, il popolo conosce ormai anche troppo bene quello che si cela dietro a noi e dietro al Tempio!»

13. Dice il preside: «Sia come si voglia, io vado fuori, ma guai a voi tutti, se io trovo che le cose non stanno così come tu, Chivar, mi hai detto quando ti ho domandato dove tu fossi stato!»

14. Dice Chivar: «Ti sarà piuttosto difficile sapere quello di cui tu vuoi avere notizia ed arriverai a conoscere invece qualcosa di differente che ti causerà, tutt’al più, un dolore considerevole, mentre noi di dolori non ne sentiremo per niente affatto!».

15. A queste parole di Chivar, il preside si affretta ad uscire.

16. Ma quando si trova in strada e viene notata la sua presenza, dei giovanotti e delle ragazze che erano là, si mettono a gridare: «Questi è il nuovo preside, il malvagio che ci vuole rovinare tutti! Fuori di qui!». Da tutte le parti accorre la popolazione, armata di pietre e randelli e già qualche sasso l’ha raggiunto, lasciando sul corpo qualche ammaccatura.

17. Il preside si persuade ben presto che la gente di Nazaret non scherza, si volta di furia e rientra di corsa nella sinagoga, chiudendo violentemente la porta dietro di sé, mentre un’ultima scarica di pietre lascia qualche impronta, a testimonianza dei sentimenti che i nazareni nutrono per il nuovo preside!

18. Quando il preside è di nuovo in presenza dei farisei, esclama furibondo: «Questa è opera vostra, ma io saprò ben vendicarmi!».

19. Dice Chivar, molto arrabbiato: «Cosa vai blaterando, pazzo che non sei altro! Come può essere opera nostra, se ti abbiamo noi tutti ammonito dall’uscire fuori? Soltanto quando sarai stato raccomandato da noi al popolo, potrai parlare e trattare con esso, ma finché ciò non succede, ti toccheranno dei maltrattamenti ogni qualvolta ti azzarderai di mostrarti al popolo, solo attraverso le vie della città, perché il popolo ti è ostile per la ragione che ti sei acquistato la tua carica con i denari ed oltre a ciò anche per l’altra ragione che tu, appena arrivato, hai voluto tiranneggiare noi assieme a tutto il popolo, intendendo ristabilire un equilibrio mediante atti di terrorismo, cosicché ti si odia come l’inferno ed io ti dico che faresti meglio a cedere il tuo posto a qualcuno più degno di te, poiché io non darei uno statere per il tuo avvenire!

20. Tu dovresti addirittura diventare un altro uomo da quello che sei, se volessi mantenerti in posizione favorevole tra di noi. Ma sembra che non ti sia assolutamente possibile. Infatti assumere solo esteriormente un’espressione amichevole, restando tuttavia nel proprio cuore un lupo rapace, è una cosa che con noi non va affatto, poiché in noi tutti c’è, per meravigliosa combinazione, tanto spirito profetico da poterti dire con esattezza assoluta i pensieri che covano nel tuo pessimo cuore! 

21. Se però tu vorrai convertire il tuo cuore e lascerai che la pura sapienza e la verità divine vi prendano posto, allora certo non mancheremo di dartene lode dinanzi al popolo e tu potrai poi vivertene qui in pace ed allegria, ma il tuo sommo sacerdote, il tuo Pilato e meno ancora il tuo Erode, da queste parti non ti serviranno a niente»

22. Dice il preside: «Come mai puoi sapere che io ho pensato sul serio a questi tre appoggi?»

23. Risponde Chivar: «La cosa si spiega così: anch’io posseggo un certo spirito profetico il quale scruta tutto quello che si cela nel tuo animo e non vi è niente in te che possa restarci nascosto, che tu sia qui o a Cafarnao e la stessa cosa anche se tu fossi a mille giornate da qui, noi leggeremo ugualmente nel tuo cuore! Dunque, sarà difficile che tu possa intraprendere qualcosa contro di noi senza che, dal canto nostro, si possano già anticipatamente prendere le contromisure più opportune ed efficaci! Sei tu così contento di noi?

24. Infatti, vedi, noi siamo dei sacerdoti ancora del buon stampo antico! Lo Spirito di Jehova è ancora in noi, per quanto abbia già da lungo tempo abbandonato Gerusalemme. Ma, se tu vuoi reggere vicino a noi, è bene che tu pure sia un vero sacerdote, perché, come sacerdote soltanto in apparenza, non potrai mai più rimanertene in compagnia nostra ed in questo caso farai meglio a trasferire la tua carica ad uno che ne sia più degno, come già prima ebbi occasione di menzionarti!».

25. Esclama il preside: «Oh, maledetti servitori del bordello nel Tempio di Gerusalemme! Voi vi siete presi il mio buon oro ed argento, ma non avete pensato affatto a quello che mi davate in cambio ed ora, invece di un posto ragguardevole redditizio, mi trovo fra le mani un vero vespaio! Oh, aspettate! Dovete accorgervi ben presto che Core non vi ha gettato tra le fauci il suo oro e il suo argento invano!». E, dopo aver riflettuto qualche tempo, chiede nuovamente a Chivar: «Cosa dunque devo fare per avere la vostra amicizia e quella del popolo?».

26. Risponde Chivar: «Io e Roban pure te ne abbiamo già dato le direttive e qui, su questo tavolo, c’è la Scrittura che t’indica esattamente il Volere di Jehova. Agisci di conseguenza e non secondo i condannabili precetti umani che regolano le azioni del Tempio; così facendo avrai una vita facile e serena fra noi! Tu devi conquistarti la benevolenza di Dio e poi tutte le altre cose buone si presenteranno da sé».

27. Dice Core: «Sì, d’ora innanzi anch’io voglio fare così, per quanto le mie forze lo concederanno, però non vi sia sgradito se io trasferisco almeno per la durata di un anno la mia residenza qui a Nazaret, perché qui con voi posso davvero imparare qualcosa, mentre a Cafarnao e certamente anche a Corazin e nelle altre città minori sul mare di Galilea non si trovano che persone miserevoli, adulatrici e servili».

28. Dicono tutti: «Tu farai molto bene, facendo così come dici e per noi tutti sarà una grande gioia poterti veramente servire e salutare come nostro preside! Infatti qui non si tramano più inganni, non si vende più letame benedetto, né si contrattano più buoi, vacche, vitelli e pecore, bensì la nostra piccola scuola è tuttora ciò che deve essere e nella nostra sinagoga non si fanno affari di cambio!

29. È vero che nel nostro piccolo tempio non arde nessuna fiamma su di una qualche arca dell’alleanza, ma in compenso arde, tanto più vera e vivente, una fiamma nei nostri cuori e questo è a Dio più gradito di tutto il letame del Tempio a Gerusalemme, dietro al quale non brilla più una sola scintilla di verità e nei riguardi del Tempio stesso vanno adempiendosi le parole pronunciate da Dio per bocca del profeta Isaia: “Ecco, questo popolo Mi onora con le labbra, mentre il suo cuore è ben lontano da Me!”. La falsità di Gerusalemme è così evidente che si può afferrare con le mani! I sacerdoti ogni anno non si affannano ad adornare le tombe dei profeti molto spesso false, quando sono stati i loro padri a lapidarli? E agiscono forse differentemente i sacerdoti di oggigiorno? Niente affatto, anzi, essi calcano esattamente le orme dei loro perfidi predecessori: essi hanno ucciso Zaccaria fra l’altare e il Santissimo ed Erode, da parte sua, ha fatto decapitare Giovanni! Dimmi tu che razza di servitori di Dio sono questi? Però noi te lo diciamo apertamente: “Questi sono servitori di Satana e mai più di Dio!”. Per fortuna li abbiamo in pugno, la qual cosa che non è loro sconosciuta e anche per questo ci lasciano in pace!

30. Ma se ad essi venisse in mente di invitare (in dubbia amicizia) uno o l’altro di noi a qualche festa a Gerusalemme, noi troveremmo sempre l’ardire di non accettare l’invito a nessun prezzo e preferiremmo attendere qui la morte naturale, piuttosto che andare a cercarne una artificiale, sia pure con tutti gli onori, nei misteriosi meandri del Tempio! Tu puoi credere che anche noi siamo tanto scaltri quanto quei signori del Tempio e fiutiamo l’arrosto già molto tempo prima che essi l’abbiano messo sul fuoco! Tieniti dunque fermamente stretto a noi e con noi e non ti mancherà assolutamente nulla»

31. Dice Core: «Ormai con voi mi sono completamente chiarito, cosa che mi ha fatto molto piacere, però il Tempio avrà motivo di rallegrarsi per le svariate prove di amicizia che, quando ci sarà la buona occasione, noi sapremo dargli!»

32. Osserva Chivar: «Sai, del male per deliberato proposito noi non gliene faremo, ma se pensasse di attaccarci, allora guai a lui, perché non è davvero il materiale per difenderci quello che ci manca!».

33. Dopo questa conclusione di Chivar, si presenta il cuoco ad annunciare che il pranzo è pronto.

 

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Cap. 87

Chivar e Core sul risveglio di Sara dalla morte.

 

1. Mentre tutti sono seduti lietamente a mensa e mentre la conversazione si svolge animata riguardo a svariati argomenti spirituali, ecco entrare nel refettorio Boro, che saluta tutti e presenta la sua sposa Sara, pregando di iscriverla nei registri della sinagoga quale sua moglie legittima e ciò per il fatto che essa professava la fede giudaica!

2. E Chivar va subito a prendere il gran libro dei matrimoni ed iscrive senza indugio ambedue quali coniugi perfettamente legittimi dinanzi a Dio ed a tutto il mondo.

3. Il preside però domanda a Chivar se la cosa sia ammissibile, considerato che notoriamente Boro è greco.

4. E Chivar risponde: «Amico mio! Qui da noi molte cose sono ammesse, del resto sarebbe cosa stolta non voler riconoscere l’unione di due coniugi che già da lungo tempo furono uniti da Dio»

5. Dice il preside: «Come puoi sapere questa cosa?»

6. Dice Chivar: «Come so parecchie altre cose che non ti saranno note tanto presto, questa cosa la so, anche se tu non la sai. Datti pace per ora, perché il procedimento da noi è ben differente da quello usato nel Tempio!».

7. Il preside sorride ed appare soddisfatto!

8. Frattanto Boro trae di tasca una borsa d’oro discretamente pesante, intendendo così pagare le tasse per l’iscrizione, tasse che, però, secondo la prescrizione, non erano di gran lunga così considerevoli come egli spontaneamente aveva voluto versare, dopodiché egli saluta e se ne va.

9. E quando Boro ha abbandonato la sala, il preside prende in mano la borsa e dice: «Ma qui ci sono più di cinque libbre d’oro in pezzi finissimi con il conio di Augusto ed alcuni anche con il conio di Tiberio! È questa l’usanza qui da voi? Nel Tempio già una libbra d’oro sarebbe un’offerta superba!».

10. Risponde Chivar: «Offerte simili qui da noi non sono tanto rare, del resto Boro, che dopo Gesù è certo il miglior medico del mondo, è troppo gentiluomo ed oltre a ciò troppo ricco per mostrarsi taccagno in una simile occasione!».

11. Il preside continua a domandare: «E chi è la sua bellissima e gentile moglie?

12. Dice Chivar: «Essa è figlia del preside Giairo, della quale ti ho già raccontato che è stata due volte di seguito risuscitata da morte per opera del miracoloso salvatore Gesù».

13. Dice il preside: «Essa probabilmente si sarà trovata in uno stato di persistente deliquio, ciò che non è cosa nuova, trattandosi di una creatura così delicata!».

14. Dice Chivar: «E no! Quando uno è già avviato alla putrefazione nella fossa da quattro giorni e quando l’odore di cadavere viene a colpire anche le narici più ottuse, com’è accaduto, nonostante tutti i balsami, anche con troppa realtà a noi stessi che l’abbiamo accompagnata all’ultima dimora e vi abbiamo cantate le lamentazioni, in casi simili non c’è traccia affatto di deliquio! Ma a Gesù, il buon Salvatore, è stato tuttavia possibile miracolosamente quello che è possibile soltanto a Dio, cioè ridonarle in un istante una vita fiorentissima, pronunciando una sola parola e senza ricorrere ad alcun altro mezzo ed ora essa è più viva e sana di quanto lo sia mai stata in tutta la sua vita, perché essa è molto giovane e conta appena sedici anni!».

15. Domanda il preside: «Da quanto tempo e da quando è stata risuscitata da morte?».

16. Risponde Chivar: «Saranno circa al massimo sei o sette giorni; ma è certo che all’inizio della scorsa settimana è stata richiamata da morte a vita»

17. Esclama il preside, quasi fuori di sé per la meraviglia: «Questa è in verità una cosa che nessuno ancora a questo mondo ha visto: prima quattro giorni già cadavere nella tomba e adesso ridonata alla vita in tutta la sua fiorente giovinezza di leggiadrissima fanciulla! Davvero la cosa è inaudita, ammesso che voi mi raccontiate la piena verità, ciò che non voglio più mettere in dubbio, perché questo luogo sembra vivere in un’atmosfera di miracoli!»

18. Dice Chivar: «Sì, è proprio così! Ma particolarmente e innanzitutto è il noto Salvatore Gesù che attrae su di Sé l’attenzione generale, perché quello che Egli fa, supera incalcolabilmente tutto ciò che è stato scritto riguardo ai patriarchi per mezzo di Mosè e tutto ciò che noi sappiamo sui massimi fra i profeti!

Cose simili non sono assolutamente mai state constatate! Non c’è male a questo mondo, per quanto grave ed ostinato, che Egli non possa guarire in un attimo, mediante la sola parola, senza toccare e nemmeno senza vedere l’ammalato e se Egli vuole che avvenga qualsiasi altra cosa, questa cosa accade nello stesso istante!

19. Così, per esempio, bisogna considerare quasi più di un miracolo il fatto della dimissione di Giairo seguita circa quattro giorni fa e notificata quasi nello stesso momento al sommo sacerdote nel Tempio di Gerusalemme in un documento autentico! Procedendo per vie naturali, la dimissione scritta sarebbe potuta giungere nelle mani del sommo sacerdote a mala pena oggi, invece tu sei arrivato già due giorni fa a Cafarnao e oggi di buon mattino qui da noi e, nonostante ciò, nella procedura non c’è stato niente di errato e le antiche forme e tradizioni sono state rispettate. Per questo verificarsi di momenti meravigliosi, tu sei ora pienamente il capo del sacerdozio di tutta la Galilea e, d’altro canto, la dimissione di Giairo si trova completa, con tutte le motivazioni necessarie e gli allegati, nelle mani del sommo sacerdote nel Tempio e per ottenere tutto ciò è bastato un istante! E così pure, da parte di testimoni degni di fede, ci è stato raccontato che appunto questo Gesù, saranno poche settimane fa, comandò ad un tremendo uragano, scatenatosi sul mare, di cessare; e il mare e il vento ubbidirono immediatamente alla Sua Parola. Di fatti simili io potrei raccontartene ancora una quantità, ma il tempo ora non è opportuno. 

Qualcuno potrebbe anzi essere indotto a credere che quest’Uomo sia alle dipendenze di Satana, se a far cambiare opinione non ci fossero le Sue parole, gli insegnamenti e le Sue esortazioni serie e ricolme di amorevolezza.

20. Io ti confesso apertamente e fedelmente: le Sue opere sono davvero meravigliose fino all’incomprensibile, però tutto scompare come un vuoto accessorio di fronte all’incredibile potenza dei Suoi discorsi e dei Suoi insegnamenti. Tu apprendi delle verità che a nessun profeta mai è venuto in mente di enunciare; Egli ti rappresenta e ti analizza la vita di un uomo in maniera tale che in nessuno può restare assolutamente il benché minimo dubbio se l’anima sia mortale oppure immortale. L’immortalità dell’anima ti viene rappresentata in modo tanto chiaro, evidente e convincente che tu non puoi più, nemmeno per un istante solo, dubitare che dopo la morte del corpo l’anima non continui a vivere nell’eternità grazie al potere dello spirito divino che è in essa.

21. A dirla breve, questo Gesù ti appare come un uomo di capacità talmente fuori dell’ordinario che con la migliore delle coscienze si deve dire: “Dai tempi di Adamo fino ad oggi la Terra non ha mai ospitato un simile Cittadino!”. Tutti gli elementi Gli ubbidiscono, miriadi di spiriti sono sempre pronti ai Suoi ordini e così pure io ho appreso da parecchi dei Suoi discepoli che, durante un viaggio da Sichar a Cana di Galilea, Egli in pieno mezzogiorno ha fatto oscurare con un Suo cenno il Sole e dopo alcuni istanti lo ha fatto risplendere come prima!

22. Inoltre ci hanno riferito Roban e cento altri testimoni che noi abbiamo interrogato, che Egli a Sichar, con una semplice parola di comando, ha restaurato due vecchi castelli caduti in rovina e cioè la vecchia casa di Giuseppe e di Beniamino e l’antico castello di Esaù che attualmente appartiene al ricco mercante Jairuth. Ma li ha restaurati in modo tale che tutti gli architetti di quella regione hanno dovuto ampiamente confessare che, se fosse stato dato loro l’incarico di ricostruire in quel modo i due vecchi castelli, ci sarebbero voluti, con i mezzi ordinari e naturali, almeno dieci anni di intero lavoro! Però, non solo il vastissimo edificio di per sé si trovò immediatamente rifatto in materiale solidissimo, ma anche provvisto di ogni possibile requisito e il tutto così opportunamente ed artisticamente predisposto come certo in nessun luogo di questo mondo è possibile ammirare quale prodotto di artefici umani.

23. Così pure un certo greco di Cana in Samaria, che si chiama Filopoldo, mi ha raccontato delle cose quasi incredibili, alle quali io ho dovuto prestare fede, poiché egli mi ha citato migliaia di testimoni! 

24. Ora, e questa è una mia opinione personale, quando un uomo può compiere simili cose, io devo considerarlo più di un uomo e più del massimo dei profeti avuti finora! Egli disse bensì, pochi giorni fa – credo quando si trovava al mare e partecipò ad una partita di pesca, che fu anch’essa da considerare assolutamente meravigliosa – che simili cose le potrebbe fare ciascun uomo, purché fosse armato di una fede fermissima, incrollabile e priva del benché minimo dubbio! Ma a questo riguardo io penso che un tal genere di fede sarebbe appunto altrettanto meravigliosa quanto lo strabiliante miracolo, perché una fede simile non può essere che l’evidente conseguenza dell’essere chiaramente coscienti e certi della propria capacità di conseguire un dato e determinato effetto, ciò che implica anche in sé ogni immaginabile riuscita.

25. Chi conosce le proprie forze deve fare affidamento anche su di esse nella misura in cui, in seguito a una vasta esperienza, ha già da lungo tempo acquisito la chiara coscienza che queste forze bastano all’effettuazione di una cosa o, in generale, di un’opera. Infatti, se la fede nella riuscita di una cosa l’uomo dovesse estenderla oltre il limite della coscienza delle proprie forze, io credo che ad una simile fede comincerebbe ad accompagnarsi il dubbio, proprio come se egli si trovasse dinanzi ad un peso da dover sollevare, avendo in sé la chiara coscienza di non essere di gran lunga in possesso della forza sufficiente per ottenere tale effetto.

26. Per esempio: se io scorgo davanti a me, sulla strada, una pietra di poche libbre che mi ingombra il cammino, certo non dubiterò neanche per un momento che, se voglio, posso alzarla e gettarla da parte; ma se, invece, mi trovo in mezzo alla strada un blocco di forse centomila libbre mi pare che l’incrollabile fede sarà assolutamente fuori posto. Per quanto io ci mettessi tutta la mia forza di volontà, probabilmente non gioverebbe a nulla, perché mi verrebbe totalmente a mancare la convinzione soggettiva di poter dominare, con una forza di duecento libbre al massimo, anche un peso di centomila libbre.

27. Ed invece a questo Gesù tutto è possibile, come a Dio. Per Sua Volontà una montagna è così poca cosa come un granello di polvere. Terra, acqua, vento e fuoco obbediscono a Lui come le pecore al loro pastore. Egli dirige il fulmine con sicurezza mille volte maggiore di quanta ne possa sfoggiare il miglior arciere, lanciando la sua freccia con il suo arco! Ma che cosa se ne può dedurre? Io lo domando a te e ti prego di voler esporci, quale nostro preside, la tua opinione».

 

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Cap. 88

L’opinione di Chivar sul Tempio.

 

1. Dice il preside: «Se le cose stanno veramente in questi termini, ciò che non voglio affatto mettere in dubbio, è certo che Egli deve essere, in qualche maniera incomprensibile, senz’altro in strettissimi rapporti con l’onnipotente Spirito di Jehova, forse con un Mosè od un Elia; anche a quest’ ultimo era dato di poter invocare il fuoco dal Cielo e questo gli obbediva. Poi forse è anche possibile che Elia abbia compiuto tante altre cose meravigliose, la cui storia non ci è stata tramandata per iscritto, però è rimasta nella leggenda popolare e che, pur non essendo segnate in modo particolareggiate, potrebbero, nonostante ciò, essere degne di fede e portare le impronte di molte verità. 

2. E così, se la mia memoria non m’inganna, si dice che occasionalmente su di un campo di battaglia appunto Elia abbia richiamato in vita un intero gruppo di scheletri, ridonando loro carne e cute e tutto quanto occorre a reintegrare un corpo umano! Così pure sembra che in un’altra occasione egli abbia fatto inaridire tutte le fonti principali del gran fiume Eufrate per la durata di tre anni e che abbia inoltre comandato alle nubi di ritrarsi per tre anni da quelle zone di cielo e soltanto quando gli uomini ebbero fatto adeguata penitenza, liberò le sorgenti del fiume e comandò alle nubi di riapparire e di ridonare l’acqua alla terra inaridita! E così si raccontano ancora moltissime altre cose di questo profeta più degno di nota fra tutti i profeti, racconti che è probabile siano arrivati fino a noi molto storpiati. Si dice infine che appunto questo Elia prima della fine del mondo riapparirà ancora una volta su questa Terra, per incitare, mediante grandi segni gli uomini a penitenza, poiché questo enigmatico profeta notoriamente non è mai morto, bensì è salito al cielo in un carro di fuoco. Dunque è facilmente possibile che questo Gesù sia il portatore dello spirito del grande profeta ed essendo come tale in stretto rapporto con la Forza di Jehova, compie cose che sono appunto possibili a Dio soltanto!»

3. Dice Chivar: «La tua opinione non è affatto cattiva e quasi quasi sarei disposto ad associarmi se io non avessi con i miei occhi constatato in questo Gesù certe particolarità che fanno restare indietro tutta l’intera personalità di Elia ad una distanza infinita! Tu certo saresti portato a domandare: “Come e che cosa sono queste particolarità?”. Ma in questo caso io dovrei confessarti candidamente che per dire ciò mi mancano le parole adatte. Infatti, vedi, certe cose come questa bisogna averle udite, viste e percepite da se stessi, altrimenti come ci si può formarsene un’idea. E perciò io sono del parere, condiviso ormai da migliaia d’altri uomini, che questo Gesù è veramente il Messia promesso! Infatti io domando a chiunque: “Se anche questo Messia dovesse venire in un altro tempo, potrebbe compiere segni più grandi?”. Oltre a ciò, poiché la cronaca arriva fino al nonno di Giuseppe, Egli discende in linea diretta da Davide. Achin fu padre di Eliud, Eliud fu padre di Eleazar, questi fu il padre di Mattan che generò Giacobbe, padre di Giuseppe, di cui è figlio il nostro Gesù. Tu non hai che da risalire questa cronaca ed arriverai per linea diretta a Davide; ora sta scritto che il Messia appunto discenderà da Davide e che ognuno Lo riconoscerà dalle Sue opere.

4. A questo Gesù, dunque, a quanto penso io, non manca ormai proprio niente: la discendenza è autenticamente certa e le opere ci sono in misura più che abbondante e tali che la Terra non ne ha mai viste di uguali da quando essa esiste! Dunque, assolutamente non vedo che cosa dovrebbe impedirci di riconoscerLo per Quello che Egli con tutta evidenza è.

5. È cosa certa che l’avidità di potere del Tempio, con la sua grande ambizione, non si lascerà facilmente indurre a fare altrettanto, ma noi non dovremmo più regolarci secondo i sistemi e le procedure del Tempio,  il quale,  secondo me, è  una cosa perfettamente morta e che non potrà più in avvenire offrirci né protezione né sapienza né, meno ancora, un sostentamento permanente, a meno che noi non paghiamo anticipatamente, per ottenere un posto, tanto quanto potrebbe bastare a dieci uomini per fare una vita comoda anche per cento anni.

6. Fai tu il conto dell’importo che hai pagato in oro e argento al Tempio per la tua carica di preside e troverai con grande facilità che con quel denaro avresti potuto condurre una vita principesca anche se avessi ancora da vivere cent’anni! Ma renditi ostili i romani e va’ poi a chiedere protezione al Tempio ed io ti dico che non solo esso non potrà accordartela, ma neppure vorrà accordartela e tutt’al più, dietro alcune manciate di denari, ti congederà con delle parole di consolazione a doppio senso, né più né meno come fa il famoso oracolo di Delfo, il quale certamente in cambio di molto oro ed argento appioppa all’interrogante un responso tale che l’oracolo finisce con l’avere sempre ragione, sia che al disperato cliente ne avvenga bene sia che ne avvenga male!

7. Io conosco, grazie a Dio, in tutta la sua estensione, l’attuale cialtroneria del Tempio e per questo motivo non mi faccio assolutamente alcuno scrupolo ad imbrogliarlo ad ogni buona occasione in qualunque modo possibile! Infatti, amico mio, chi oggigiorno non vuole venire imbrogliato dal Tempio nel modo più grossolano, deve darsi la fatica previdente di imbrogliare egli stesso il Tempio nel modo più opportuno che può! O credi forse che con anima e faccia oneste e giuste puoi ottenere dal Tempio qualche cosa di buono? Oh, nessuno si vanti di poter arrivare a questo, ma vai invece con la faccia e l’anima ben provvedute d’astuzia ed io ti garantisco che quei signori li puoi far cantare e ballare a tuo piacimento.

8. Mi ricordo ancora benissimo di un certo Bar, che era un greco circonciso; egli doveva già allora essere in possesso di una grande sostanza, perché era pieno di diamanti e di perle. Questo tale aveva una vera faccia di volpe, parlava poco, ma tutto quello che diceva era la più raffinata bugia, tanto sicuramente quanto è sicuro che io mi chiamo Chivar. Egli chiese “solamente” mille libbre d’oro ed offrì in cambio un rotolo di pergamena che valeva al massimo mezzo statere. Il sommo sacerdote scrollò bensì fortemente le spalle, ma Bar cominciò a fare una smorfia quale difficilmente io ne potrò scorgere una seconda in tutta la mia vita e beffardamente disse: “Hem, aut Caesar, aut nihil!” (O Cesare o niente!) Dopodiché il sommo sacerdote, Dio sa per quale ragione, diventò pallidissimo e fece sborsare immediatamente a Bar le mille libbre d’oro richieste, delle quali il Tempio non ha mai più ricevuto di ritorno l’oro, neanche quanto pesa un capello, perché, appena un anno dopo, risultò che questo Bar non era altro che un imbroglione matricolato e consacrato con l’unguento magico di Satana in modo tale da essere capace di estorcere, intimorendo, mille libbre d’oro perfino al sommo sacerdote.

9. Dall’altra parte, invece, si presentarono spesso degli onestissimi israeliti che avrebbero voluto ottenere nel Tempio un prestito in cambio di pegni solidi, ma questi non ottennero mai nulla, perché parlavano con troppa rettitudine ed avevano facce troppo da galantuomini! E così il mio principio è già stabilito ormai: “Il Tempio bisogna imbrogliarlo, se non si vuole essere imbrogliati da lui!”. E per questa ragione io non domanderò mai più al Tempio se Gesù sia o no il promesso Messia, perché, per quanto riguarda la mia persona, Egli lo è anche al di sopra al Tempio e senza il Tempio! Che cosa ne dici tu di questa mia opinione?».

 

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Cap. 89

Conversazione di Core e Chivar sul Messia. Satana sfida Chivar alla lotta.

 

1. Dice il preside: «Amico, tu hai tutta la mia stima, perché un’anima così onesta come la tua non ho ancora mai avuto l’occasione di incontrarla! Tu hai davvero perfettamente ragione. Questo Gesù io lo conosco ancora troppo poco per poter condividere senza riserve la tua opinione! Ma questo devo dire anch’io: se la profezia non è del tutto campata in aria, considerato che essa da Davide in qua, almeno nel senso terreno, non si è certamente ancora mai verificata – perché la signoria dei romani è ora una dimostrazione contraria del Regno eterno di Davide, assai più della cattività di Babilonia che è durata quarant’anni –, non sono contrario ad associarmi alla tua fede. Però adesso si presenta la domanda: “Cosa ne dite voi di tutto ciò e cosa ne dicono i sacerdoti e farisei delle altre città?”»

2. Risponde Chivar: «Quello che io ti ho detto, corrisponde al sentimento di tutti noi in questa città; quelli di Cafarnao, in seguito a più di una aspra lezione toccata loro in diverse occasioni, non devono essere molto lontani dal pensarla come noi, in quanto poi a quelli delle altre città, lasciamo stare per ora le cose come sono e che restino nella loro antica illusione fino ad una prossima occasione favorevole a far cambiare loro idea.

3. Se tu la tua residenza per il futuro vuoi stabilirla qui, lascia che me ne incarichi io e la Galilea sarà in pochi anni isolata dal Tempio e del tutto indipendente. La Galilea, comunque, già nel libro del Tempio è classificata nell’ultima pagina, cosa importa ormai anche se noi laceriamo quest’ultimo foglio? Romani e greci sono dalla nostra parte e abbiamo anche un po’ della Grazia onnipotente e vivente di Dio cosicché al Tempio non basterà lo stomaco che ha per digerirci!»

4. Dice Core: «Io sono d’accordo con te sotto ogni aspetto e sono convinto ora più di prima, che tu hai ragione, però è bene non dimenticare che l’arcangelo Michele, il più potente degli spiriti celesti dopo Dio, ebbe a sostenere, nonostante la sua forza, una lotta durissima per tre giorni e tre notti con Satana per il corpo di Mosè! Ebbene, se Satana volesse misurarsi con noi, come potremmo sostenere la lotta?»

5. Dice Chivar: «Non da uno, ma da mille Satana io accetterei da solo una sfida, anche se non sono neppure lontanamente un Michele! Basta avere coraggio e sbarrare tutte le vie al losco figuro e fare in modo che esso non possa approdare a niente con tutto il suo inferno pieno di demoni, ma se una volta gli si mostrano i punti deboli, dove egli può facilmente far presa, allora la lotta – certo – deve diventare cento volte più difficile!

6. Però, come è vero che un Dio mi ha creato, io non mi adatterò mai ad edificare templi a Satana, né ad ardergli incensi affinché mi lasci in pace! Che egli venga pure, se ha voglia di misurarsi con Chivar e voi sarete testimoni che io potrò sbrigarmela con lui in giorni!

7. Dice il preside: «Amico, tu che sei una mosca, pretendi troppo dalle tue forze, volendoti misurare con lui che è un leone o addirittura lanciandogli una sfida regolare, mentre dovresti solamente limitarti a pregare Dio affinché ti protegga sempre contro le insidie di Satana».

8. Dice Chivar: «Amico mio, io però conosco un Nome e questo basta per legioni di Satana e per demoni! Se egli ha coraggio di impegnarsi con me in un combattimento, che venga pure!

9. La mosca, per quanto concerne la forza, è certo un nulla di fronte ad un leone, ma se la mosca vuole, può mettere in fuga anche il più fiero leone, se essa, volando, penetra nel suo orecchio e vi fa un ronzio tale che, infine, il leone comincia a credere che imperversi il più furioso uragano, e il re degli animali prende ben presto ignominiosamente la fuga!

10. E così non è proprio necessario essere più potente del potente che si ha di fronte, ma in questi casi la vera astuzia ha il sopravvento! Ecco, tu stesso sei venuto a noi con una buona dose di satanismo genuino, ma la mia accortezza lo ha debellato ed ora tu sei, di fronte a noi tutti, un uomo libero e da noi riconosciuto quale il nostro preside, e anche Satana non ha potuto recarci danno alcuno, né lo potrà fare in avvenire!

11. Io so quello che so e posso quello che posso, ma una cosa posso garantirti e cioè che Satana non diventerà mai in eterno né mio maestro e neppure il mio padrone!»

12. Dice Core: «Amico, non parlare così forte, perché si dice che il maligno abbia occhi ed orecchie dappertutto! Con l’aiuto di Jehova e del tuo Messia, che io non conosco ancor bene, egli non potrà certo nulla contro di noi, ma sfidarlo poi, questo non vogliamo assolutamente! Dio ci guardi da una sua visita in qualsiasi forma ciò possa accadere!»

13. Dice Chivar: «Oh, certamente, nemmeno io mi augurerei una lotta, ma, se si rendesse necessaria od inevitabile, non avrò il benché minimo timore!».

14. Appena Chivar ebbe finito di parlare, apparve d’improvviso nella sala da pranzo un gigante enorme, si piantò in atteggiamento di ira e di scherno dinanzi a Chivar e domandò con voce tonante cosicché i pilastri della sala tremarono: «Sei tu la mosca sciolta che vuol suscitare un rumore di tempesta nell’orecchio del leone? O verme miserabile che strisci nella polvere della terra, prova e vedi come te la caverai in una lotta con me! Anch’io posso fare qualcosa che dovrebbe ancora esserti del tutto ignota! Sappi che la sorte del tuo Messia dipende dalla mia magnanimità, perché non può essere per me cosa troppo onorifica l’impegnarmi in una lotta con una mosca, ma se Egli comincia a fare troppi scherzi, lo faccio senz’altro stendere sulla croce e lì potrai adorare a tuo piacere il tuo Messia. Ma cosa farai tu adesso, se in un solo istante ti riduco in polvere?».

15. Allora Chivar si alza lentamente dal suo posto, domina con lo sguardo il gigante, vale a dire Satana, ed esclama: «Oh miserabile, come sei entrato, così vedi anche di andartene e precisamente con il fermo proponimento di non mettere mai più piede in questo luogo sacro, altrimenti ti giudichi Gesù, il Signore!».

16. All’udire il Nome di Gesù, il gigante arretra subito di alcuni passi e, ardente d’ira, prorompe in minacce ammonendo di non pronunciare mai più in eterno in sua presenza questo odiatissimo Nome!

17. Ma Chivar ribatte: «Io devo pur farti rintronare le orecchie, perché tu impari come il ronzio della mosca possa far fuggire il leone!». E poi ricomincia: «Gesù, il Figlio dell’Altissimo, ti giudichi e ti punisca! Gesù, il Figlio dell’Altissimo, ti cacci per l’eternità via da qui! Gesù, il Figlio dell’Altissimo, ti faccia scontare i tuoi innumerevoli delitti!».

18. Satana però non attese l’ultima invocazione, ma si allontanò fra urla laceranti.

19. Dopo di che Chivar disse a Core, il quale per lo spavento tremava ancora come una foglia: «Hai visto come si può mettere in fuga anche il leone? Perché, secondo la sua minaccia, non mi ha ridotto subito in polvere? Ecco, questo dimostra la sua impotenza, che egli venga pure di nuovo se ne ha voglia e nel Nome del mio Gesù ti assicuro che una seconda volta egli se ne andrà ancora più velocemente della prima!».

20. Dice il preside: «Ascolta, amico mio! Io ammiro il tuo coraggio incomprensibile oltre ogni misura e per tutti i patriarchi io giuro di sentirmi quasi trasportato nelle loro epoche meravigliose! Però mi sia lecito darti il consiglio di non sfidare più Satana, perché le sue doti inventive sono infinite e si dice che può assumere qualsiasi forma, perfino quella di un angelo di luce ed io penso che sotto una veste mite e celestiale egli possa essere molto più pericoloso che non sotto quella con la quale abbiamo ora avuto l’onore davvero infernale di vederlo!».

21. Dice Chivar: «La pietra di paragone noi l’abbiamo già e perciò è facile riconoscere di quale spirito sia il prodotto di qualunque fenomeno che ci si presenti! Del resto noi possiamo essere perfettamente tranquilli, perché con questa prima volta, egli dovrebbe averne abbastanza per parecchio tempo!».

 

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Cap. 90

Core si ricorda del Signore dal tempo della purificazione del Tempio.

 

1. Dopo ciò Core domandò a Chivar se Io Mi trovassi ancora in quel luogo e se gli fosse stato possibile conoscerMi più da vicino. E poi, proseguendo il suo discorso, disse: «Io sento ormai profondamente che nel tuo Messia vi deve essere pure qualcosa di straordinariamente divino, perché Egli non sta in nessun caso nelle buone grazie di Satana, anzi, il Suo Nome pare costituisca per Satana il più grave tormento. Però, questi sono due fatti, constatati in base all’esperienza acquisita, in via certo meravigliosa e straordinaria quanto mai, che non potrò mai più negare a me stesso e adesso che ho l’anima più tranquilla, mi viene in mente che tu con la tua invocazione del Figliolo dell’Altissimo potresti avere perfettamente ragione e se fosse possibile io avrei un gran desiderio di fare la Sua conoscenza! Dunque, conducimi fuori da Lui!».

2. Dice Chivar: «Tutto sarebbe bene ed io sarei senza dubbio per primo predisposto a presentarti a Lui, però c’è ancora qualche difficoltà da parte del popolo e noi correremmo il rischio, data l’ostilità della plebe, di venir accolti con dei getti di pietre. D’altro canto in questo momento Egli si disporrà alla partenza, cosicché probabilmente non gli sarebbe troppo gradito che noi ci presentassimo inopportunamente a Lui. Però all’inizio dell’inverno Egli farà certo ritorno o qui od a Chis per passarvi la brutta stagione ed allora noi avremo sufficiente occasione di avvicinarlo e di fare la Sua conoscenza, per queste ragioni io ritengo consigliabile che tu rinunci fino al prossimo inverno al tuo proposito di vederlo e di parlarGli».

3. Dice Core: «È giustissimo tutto quello che hai detto, eppure io posso a mala pena frenare la mia brama di conoscere personalmente quest’Uomo davvero straordinariamente magnifico, tramite il Quale si manifestano, in tutta la loro pienezza, la forza, la potenza e la magnificenza divine! Ma aspetta, ora mi torna in mente la storia di una certa Festa di Pasqua a Gerusalemme nel Tempio! Deve essere stato appunto questo stesso Gesù che, se non mi sbaglio, era passato il Sabato, cacciò fuori dal Tempio tutti i mercanti ed i loro clienti e rovesciò con gran furia tutti i banchi dei cambiavalute. Tutti gli animali si misero ad urlare in modo terribile e si precipitarono, fuggendo selvaggiamente fra gli atri del Tempio!

4. Quell’uomo, al quale io stesso ho parlato, allora certo in tono non molto amichevole, era pure un galileo e si chiamava anche egli Gesù e con lui c’era una quantità di gente, uomini e donne, dall’aspetto molto comune, che si sarebbe giudicata una delle solite compagnie di vagabondi galilei, però il loro condottiero Gesù aveva veramente l’aspetto di un uomo che aveva in sé qualcosa di straordinario.

5. Egli non parlava molto, ma quello che diceva era profondo, vero e pieno di significato! Quella volta Egli guarì anche a Gerusalemme una moltitudine di ammalati, però, quando la cosa venne, credo, alle orecchie di Erode, che questo Gesù sembra temere molto, l’uomo miracoloso si dileguò improvvisamente da Gerusalemme e noi non potemmo più sapere da che parte Egli si fosse rivolto. Egli non deve essere venuto in Galilea, perché si sarebbero avute, in un modo o nell’altro, notizie di Lui, poiché erano stati mandati sulle Sue tracce molti informatori.

6. Dopo un paio di settimane arrivò bensì a noi qualche voce che concerneva Gesù, il figlio del falegname, ma noi non avremmo potuto supporre che quell’Uomo, conosciuto per semplice operaio, senza nessuna cultura scientifica e che non sapeva nemmeno scrivere né leggere, fosse appunto quello stesso Gesù dinanzi al quale, nel Tempio di Gerusalemme, migliaia avevano tremato come dinanzi al Giudizio di Dio! Ma se qui è il ben noto falegname Gesù quello che opera simili cose divine, Egli sarà senza alcun dubbio quello stesso Gesù che, durante la Pasqua di cui ho parlato, ebbe a mettere lo spavento in tutta Gerusalemme! Orbene, se Egli è costui, io Lo conosco già da Gerusalemme e non occorre più che io gli dia fastidio!»

7. Dice Chivar: «Sì, si tratta proprio di Lui! Io Lo conosco già da parecchi anni, come pure ho conosciuto il vecchio Giuseppe, che sarà morto circa un anno fa. Prima d’ora io non ho mai constatato in Lui la benché minima traccia di qualcosa di straordinario, anche se pure, come qua e là si andava raccontando, nell’occasione della Sua nascita, avvenuta a Betlemme in una stalla di pecore, si sono avute delle manifestazioni assolutamente meravigliose, le quali posteriormente si ripeterono fino al dodicesimo anno d’età, però dopo quest’epoca ogni straordinaria manifestazione in Lui svanì e le grandi speranze nutrite dai Suoi genitori tramontarono ed Egli rimase fino al Suo trentesimo anno, che è il tempo attuale, un semplicissimo ed ignorato falegname!

8. Egli è stato quanto mai e sempre parco di parole e in dieci domande che gli venivano rivolte dava sì e no una risposta sola ed anche questa più concisamente possibile, invece si dimostrò in ogni occasione amoroso e benefico verso i bimbi ed i poveri. Lo si è spesso visto pregare e anche piangere, sempre però in silenzio e mai nessuno Lo ha visto ridere, fuggiva le compagnie allegre e rumorose, mentre prediligeva anzitutto la solitudine; la cosa più notabile di tutte fu però che Egli non comparve che rarissime volte in una sinagoga o in una scuola, dove si faceva vedere un paio di volte all’anno, indotto dalle frequenti esortazioni dei genitori, ma anche queste poche volte ne usciva sempre dopo una breve sosta e visibilmente indignato. In un luogo di preghiera poi nessuno può dire di averLo mai visto ed appunto per queste Sue stranezze avvenne che da molti Egli fu ritenuto anche un po’ scemo.

9. Ma, come fu entrato nel Suo trentesimo anno, Egli scomparve improvvisamente dalla casa paterna e pare si sia trattenuto per qualche tempo nel deserto presso Bethabara, dove presso il piccolo Giordano viveva ed operava il famoso Giovanni e dove si dice si sia fatto battezzare da questi. Da lì poi Egli se ne partì e cominciò tale quale come adesso la Sua peregrinazione, pieno di potenza celeste, predicando al popolo il Regno di Dio, risanando gli ammalati e cacciando i demoni dagli ossessi. Questa è all’incirca ed in brevi tratti la storia della Sua vita terrena, storia che in piccola parte ho appreso io stesso da Lui, mentre la maggior parte la conosco per averla udita qua e là narrare»

10. Dice Core: «Sì, sì, tu avrai certo ragione! Questa storia di Betlemme aveva, trenta anni fa, suscitato grande rumore e, se non mi sbaglio, fu allora che il vecchio Erode ordinò, appunto per causa Sua, la feroce strage degli innocenti. Allora si diceva che Egli poi fosse stato portato di nascosto in Egitto! Ecco, ora sono in chiaro di tutto. Guarda, guarda, questo è dunque sempre lo stesso Gesù! Allora certamente, in Costui senza dubbio vi può essere dello straordinario e con la tua supposizione non andrai molto lontano dalla verità! Ma allora io vorrei pure parlare con Lui prima che Egli pensi di abbandonare questi luoghi!».

11. Dice Chivar: «Fa’ come vuoi, per me è indifferente. Però prima è necessario che da parte nostra venga mandato in città un araldo che faccia davanti al popolo un’attestazione di lode e di raccomandazione a tuo favore, altrimenti non ci sarebbe da essere troppo sicuri, azzardandosi a comparire sulla pubblica piazza o via, perché i miei nazareni io li conosco molto bene!».

12. Dice Core: «Ebbene, manda fuori presto parecchi araldi e fa che il mio nome venga annunciato al popolo come a lui favorevole, altrimenti Egli partirà prima che noi arriviamo da Lui!».

13. Chivar dà il conforme incarico a dodici araldi e questi descrivono il nuovo preside con parole tanto favorevoli al cospetto del popolo che questi prorompe in esclamazioni e grida di giubilo, le quali si protraggono per qualche tempo e tutti si dispongono a preparare ogni tipo di cose preziose da offrire alla prossima vigilia di Sabato come dono di benvenuto al nuovo preside.

14. E quando gli araldi sono di ritorno nella sinagoga, il preside dice a Chivar: «Ed ora andiamocene subito e svelti, altrimenti finirà che non saremo ricevuti, mentre io vorrei ad ogni modo parlarGli!».

15. E Chivar risponde: «Io sono già pronto. Veramente sarebbe doveroso che tutti noi Gli facessimo una visita di congedo, ma andiamo pure noi due soli».

16. Allora Chivar e il nuovo preside si avviano solleciti, ma hanno fatto appena pochi passi fuori della porta della città, quando vedono venire loro incontro Boro, Giairo, la moglie di questi con Sara e la Madre Maria e danno ai due la poco lieta notizia per loro che il Signore è già partito da una mezz’ora, assieme ai dodici discepoli ed ai sette discepoli di Giovanni che li avevano raggiunti.

 

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Cap. 91

Gli amici di Gesù in casa di Boro.

 

1. Questa notizia rattrista il preside, il quale, poi, su invito di Boro, si reca insieme a Chivar a casa o meglio al grande palazzo abitato dal medico, dove Boro si dà ogni cura e premura perché il nuovo preside sia accolto il più signorilmente possibile. 

2. Più tardi vengono anche Bab e Roban e tutta la sera trascorse così in conversazioni il cui oggetto esclusivo è naturalmente Gesù, il Signore.

3. Infine il preside pone una domanda e dice: «Ma ditemi un po’ quale può veramente essere stato il motivo che Lo ha indotto a non fidarsi più di restare qui? Infatti dopo tutto quello che mi è stato raccontato di Lui, la cosa non può non far meraviglia! Ben altro sarebbe se Egli avesse dovuto andarsene per un certo tempo, simulando magari i veri motivi con delle ragioni che si riferiscono al Suo alto ministero che avrebbe potuto richiedere la Sua presenza altrove, ma sembra invece che ad allontanarLo da qui abbia concorso unicamente il timore di Erode! Ora io dico che un uomo come Egli è, se ho ben compreso tutto ciò che mi è stato riferito riguardo al Suo Essere, a Cui obbediscono Cielo e Terra e che, in aggiunta, conta fra i Suoi amici intimi addirittura il supremo governatore di Roma, io dico che un Uomo tale non avrebbe evidentemente in eterno dovuto avere alcun motivo di fuggirsene dinanzi al debole e vassallo re di Gerusalemme!

4. In verità, si prenda pure la cosa come si vuole, ma questo è certo che per gli abitanti della Terra le cose non si mettono assolutamente bene quando un Dio comincia ad avere timore dei demoni ed a prendere la fuga dinanzi a loro! Ehm, ehm, quanto più ci penso, tanto più enigmatica mi sembra tutta la questione!

5. Datemi dunque maggiori chiarimenti a questo riguardo, altrimenti, per quanta stima io abbia di voi tutti, dovrei apertamente dichiararvi essere ammissibile che tanto in voi quanto in me ci sia stato qualche grave errore di valutazione per quel che concerne quest’Uomo, perché l’Onnipotente non dovrebbe certo avere la necessità di temere un Erode, il quale, forse, non ha mai neppure pensato di farsi Suo persecutore! Perché io, che sto nelle buone grazie di questo re vassallo, lo conosco meglio di ognuno di voi e posso dirvi che in questo breve tempo egli è già mille volte pentito di avere fatto uccidere Giovanni, avendo, dall’improvvisa morte di Erodiade e di sua figlia, riportato una tale impressione ed un tale spavento che egli certamente non s’indurrà mai più a far morire un altro profeta!

6. Dunque, bisogna arguire che Gesù debba essere partito da qui con tanta sollecitudine per ben differenti motivi e per quanto anche i sette discepoli di Giovanni, nella loro agitazione d’animo, possano averGli raccontato le cose più orribili di Erode, io domando se un Uomo onnisciente, proceduto da Dio, il Quale certo è a conoscenza di quello che discutiamo ora fra noi, può prestare fede a coloro che evidentemente gli avranno spiattellato delle menzogne. Se qualcuno di voi può, a mia tranquillità, addurre qualche altro motivo per la sua partenza tanto precipitosa, lo faccia ed io l’ascolterò!».

7. Dice Boro: «Mio caro amico! La cosa ha certo del misterioso, perché la Sua partenza è apparsa strana a noi quanto a te, quantunque noi siamo tutti perfettamente convinti che Egli è e resta tuttavia Colui che abbiamo riconosciuto ed accolto. A dirla chiara Egli ha dato a vedere di aver timore anche di te e anche per questa ragione Egli ha congedato già oggi di buona ora tutti i Suoi molti discepoli, nonché le alte personalità romane che erano rimaste presso di Lui durante questi ultimi giorni. Ma ora vedo che Egli non avrebbe dovuto aver alcuna ragione di temere la tua persona, poiché tu sei per Lui e non affatto contro di Lui; dunque deve essere stata in Lui una preoccupazione di tutt’altro genere che Lo ha spinto a questa improvvisa partenza e non il timore di cui abbiamo parlato ora e la cui idea si presenta come apparentemente logica alla nostra mente».

8. Dice il preside: «Ma raccontatemi almeno come si presentarono le cose e cosa è avvenuto prima che Egli si decidesse a partire. Forse dopo riuscirà a me o prima ancora all’amico Chivar trovare una spiegazione ragionevole del fatto!».

9. Dice Boro: «Le cose si svolsero in questo modo: già nel pomeriggio Egli mandò fuori i Suoi dodici discepoli, da Lui chiamati apostoli, verso il mare, affinché approntassero un qualche battello per Lui e nello stesso tempo probabilmente anche per avere delle informazioni se forse da quelle parti si trovassero degli spioni o dei sicari prezzolati da Gerusalemme. A Sibarah, dove c’è una stazione delle gabelle tenuta da un certo Matteo, il quale è pure un discepolo di Gesù, essi s’incontrarono con i sette discepoli di Giovanni, con i quali si erano già trovati un’altra volta, precedentemente a quanto mi pare, in occasione della permanenza in carcere di Giovanni ed avevano udito le parole di Gesù. Questi sette discepoli raccontarono tutti i fatti svoltisi a Gerusalemme, relativamente al loro maestro e contemporaneamente narrarono agli apostoli che Erode, quantunque a coloro che gli avevano portate le notizie di Gesù avesse apertamente confessato di aver mandato fuori spie e sicari, pure questa cosa egli l’aveva fatta del tutto in segreto e precisamente con queste istruzioni: se essi avessero potuto constatare che il supposto Gesù era veramente il risuscitato Giovanni, essi dovevano ritornarsene pacificamente senza fargli nulla, ma se si fosse seriamente trattato di Gesù, dovevano tentare di ucciderLo senz’altro. Se il tentativo di assassinio riusciva, allora sarebbe spettata loro da parte di Erode una buona ricompensa, ma se invece non riusciva e cioè per la ragione che eventualmente Gesù fosse pure Egli davvero una personalità divina e quindi insopprimibile, allora la ricompensa sarebbe toccata loro ugualmente ed Erode, con tutta la sua corte, avrebbe abbracciato le dottrine di Gesù! Queste notizie vennero riferite a Gesù, il Signore, dai discepoli di Giovanni arrivati qui a Nazaret assieme ai discepoli di Gesù!

10. Ma quando Egli apprese tali cose, disse: “Ricorrendo a simili infami prove Erode non diverrà mai più in eterno un Mio discepolo e la Terra è grande abbastanza ed Io saprò ben trovare ancora su di essa un posticino dove non potranno raggiungerMi i suoi vili apostoli. È dunque venuto il Figlio dell’uomo qui per diventare quello che Egli è con la consacrazione da parte di prezzolati assassini? No, mai e poi mai, in eterno! Chi con strumenti di morte alla mano Mi domanda chi Io sia, costui non avrà mai in eterno la Mia risposta! Ma ora è senz’altro venuto il tempo per noi di partircene da qui. Andiamo dunque e vediamo di guadagnare alla nostra causa, in terra straniera, uomini che anche senza strumenti di morte in mano vogliano credere che noi siamo quello che siamo!”.

11. E dopo queste parole di Gesù, avvenne subito la partenza, perché Egli aveva aggiunto: “Andiamo, adesso lo voglio Io, poiché Io vedo come e dove si trovano già seicento di questi apostoli erodiani della morte, mandati contro di Me, ed essi sono già molto vicini, dunque, andiamocene subito via da qui!”. Allora gli apostoli ed i discepoli di Giovanni si misero con Lui in cammino in direzioni di Sibarah ed ora saranno già in alto mare».

 

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Cap. 92

La Grazia del Signore verso l’umanità

 

1. Avendo inteso tutto ciò, il preside dice: «Ah, ma in questo modo la cosa assume tutto un altro aspetto! Non è affatto per paura che Egli è partito, bensì per un’ammirabile prudenza, allo scopo di togliere a Erode, quale un meritato castigo, ogni occasione di diventare ancora peggiore, da un lato, e, dall’altro, di diventare troppo a buon mercato migliore! Oh, certo, Egli ha agito molto bene, io non posso che darGliene lode.

2. Questo Erode è davvero un uomo strano in tutto il senso della parola, con il quale nessuno mai riesce a raccapezzarsi! Egli è per metà un buon uomo, qualche volta anche molto benefico, ma per un’altra metà subito dopo un demonio di primo rango! Egli ti fa oggi, sotto una specie di impulso di bontà e di generosità, le migliori promesse e resta fedele ad esse quando l’interessato si presenta a lui subito dopo la promessa, ma guai a colui che gliela rammentasse il giorno seguente! Costui, non solo non riceverebbe niente di quanto promessogli, ma verrebbe anche congedato in maniera aspra, maligna ed offensiva così da fargli passare assolutamente ogni coraggio di avvicinarglisi una seconda volta e tanto meno di ricordargli la promessa fatta.

3. Per queste ragioni anche è perfettamente inutile stringere con lui un qualche patto speciale di amicizia, perché, se poi c’è uno che non lo mantiene, questo è sempre Erode! Ora il nostro illustre Salvatore Gesù sarà certo come noi a conoscenza di tali particolari e perciò a tutto buon diritto lo ha evitato, poiché, anche se Erode si fosse convinto dell’intangibilità di Gesù, questo per lui non significherebbe ancora niente. Per lui quello che succede oggi non ha più forza di prova domani e non si può altro concludere che, o quell’uomo non ha affatto memoria, o la sua vita è circoscritta dentro principi e norme tali da rendere possibile la vita bensì a lui, ma a nessun’altra persona accanto a lui!

4. Che del resto egli sia un volpone astutissimo, ciò non ha bisogno di ulteriori dimostrazioni, perché egli si intende magnificamente dello spremere le imposte, nonché del restare ai romani in debito del tributo. Io sì che conosco i suoi procedimenti, ma ne parleremo un’altra volta. 

5. Ed ora io vorrei pure sapere dalla vostra bocca se il nostro Salvatore Gesù farà o no ritorno ancora una volta a Nazaret. Non vi ha detto Egli proprio niente in proposito?»

6. Risponde Boro: «Di preciso noi non sappiamo niente, ma io spero che Egli passerà l’inverno presso di noi. Certo è pure possibile che Egli intenda trascorrere l’inverno a Sidone oppure a Tiro, ma in questi casi noi ne riceveremo già notizia e potremo, di quando in quando, recarci da Lui!».

7. Osserva in tono rattristato Maria: «Oh, credo bene che ritornerà Egli qui, ma certamente per un paio di giorni soltanto».

8. Dice il preside: «Oh cara madre! Non esserne afflitta, perché Egli non si dimenticherà di noi, certo di te, poi, meno ancora!»

9. Dice la madre: «Oh, questo no, ma tuttavia per me è cosa assai triste quando devo vedere e sentire come della gente cattiva e cieca perfidamente misconosce il benefattore più grande che l’eternità potrà mai darle e come Egli viene perseguitato e quasi dappertutto ricompensato con la più nera ingratitudine!»

10. Dice il preside: «Vedi, cara madre, gli uomini sono quello che sono e Davide, nel momento del bisogno, non invano ebbe da esclamare: “Oh, come non vale niente l’aiuto di tutti gli uomini, poiché nessuno di loro può aiutare chi si trova nella tribolazione! Del resto questa fu sempre la sorte dolorosa di tutti i grandi uomini dotati da Dio di capacità superiori e misteriose, perché essi sono stati sempre perseguitati dagli altri uomini, poveri vermiciattoli della terra, così come l’aquila possente viene perseguitata dalle piccole rondini. Infatti gli uomini piccoli, nonostante la loro pochezza, vogliono tuttavia essere grandi e non possono tollerare che tra di loro sorga un uomo veramente grande, paragonati al quale essi dovrebbero evidentemente confessare la loro perfetta nullità!

11. Considera tutti i grandi profeti! Qual è stato il loro destino? Nient’altro che povertà fin dalla nascita, ogni tipo di rinunce e di privazioni, invidia e rancore, persecuzioni ed infine una morte violenta per mano dei vermi della Terra, saturi d’egoismo! Perché Dio abbia voluto che così fosse, è stato per me, fin dall’infanzia, un enigma, ad ogni modo l’esperienza universale ci insegna che così purtroppo è sempre stato e noi non possiamo opporvi nulla, come niente possiamo fare per allungare la durata del giorno, noiosamente breve nell’inverno. Dio ha stabilito una volta per sempre così e noi non possiamo apportarvi nessun cambiamento, speriamo però che un giorno, nell’altra vita, ci sarà dato veder le cose sotto un aspetto migliore!

12. Il tuo divino Figlio, secondo quanto ho inteso di Lui, avrebbe più che sufficiente potere per mettere fine di un colpo solo a tutto questo andazzo degli uomini del mondo, che però Egli non voglia farlo, noi possiamo rilevarlo facilmente dal fatto che Egli preferisce, per così dire, fuggire davanti a quel verme che è Erode, piuttosto che annientarlo con un soffio! Egli, che con tutta facilità lo potrebbe, non lo fa e noi non lo possiamo fare e così l’antica mala questione resta sempre aperta! Se Egli dovesse ritornare qui, io intendo avere con Lui un colloquio molto serio a questo riguardo». 

13. Dice Boro: «Ma non approderà a nulla, perché io fui testimone di tutte le svariate offerte e proposte fatte, in relazione ad un possibile miglioramento del mondo, da parte del supremo governatore, il quale è per di più uno zio dell’imperatore, ma tutto fu inutile! Egli dimostrò in maniera chiarissima che cos’è l’umanità e com’è necessario che essa venga condotta e guidata senza particolari giudizi e punizioni, qualora voglia raggiungere la futura destinazione eterna fissata da Dio, unicamente a mezzo dell’insegnamento puro e per decisione spontanea ed assolutamente libera all’azione secondo l’insegnamento stesso, e così fu che, sia il governatore che tutti noi, dovemmo darGli senza riserve pienamente ragione, e il procedimento violento più volte proposto e quasi concretato fu lasciato cadere del tutto. Io posso già in precedenza assicurarti che il colloquio che ti proponi di fare con Lui si concluderà anch’esso con una giustificata e motivata risposta!».

 

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Cap. 93

Boro parla dell’essenza dell’uomo.

 

1. Dice il preside: «In quanto a questo, ci sarà da discutere, perché, dal punto di vista delle condizioni terrene, l’umanità non ha fatto finora che regredire, anziché progredire! Cosa contano oramai Mosè e tutti i sommi profeti? Io posso dirvelo: “Nei cosiddetti alti circoli se ne ride e tutto viene considerato una favola, pia quanto si vuole, ma come non avente scopo alcuno per lo spirito umano e le dottrine di un Pitagora o di un Aristotele vengono collocate molto, ma molto più in alto di quelle di qualsiasi profeta!”. Questa è una prova vivente che gli ordinamenti di Jehova, per quanto sublimi e veri siano nella realtà, pur trattandosi degli uomini, non raggiungono affatto lo scopo che si prefiggono secondo il loro tenore letterale!

2. A che giova tutta la rivelazione, se accanto a questa non si lasciano sussistere per sempre i mezzi materialmente persuasivi con i quali soltanto è possibile mantenere gli uomini sempre ugualmente rispettosi di fronte alla rivelazione divina? Che provino, ad esempio, i genitori ad educare i loro figli senza il sussidio della verga e noi ci persuaderemo anche troppo presto che rispetto avranno i piccoli fanciulli degli insegnamenti, per quanto savi e buoni dei loro genitori!

3. Perciò io non posso attribuire agli insegnamenti ed alle stesse leggi alcuna importanza, se vengono affidate agli uomini senza verga e senza spada, poiché l’uomo, in fondo, è cattivo e deve venire indirizzato al bene soltanto a suon di sferza»

4. Dice Boro: «Io sono a questo riguardo perfettamente d’accordo con te, però c’è tuttavia un grande “Ma”, che tu potrai conoscere soltanto quando un giorno lo sentirai dalla Sua bocca!»

5. Ascolta quello che ti dico ora: «Se ci troviamo davanti ad un congegno meccanico, mediante il quale viene compiuto un qualche lavoro, noi cominceremo con lo stupirci, ma, quando potremo esaminare con maggior attenzione questo congegno nei suoi dettagli, vi scopriremo ben presto i diversi difetti e ci verrà subito una voglia pressante di portare riparo alla macchina stessa. Allora ce ne andremo dall’artefice e gli esporremo i nostri punti di vista ed i difetti rilevati.

6. Ma l’artefice, da principio, sorriderà e poi ci risponderà immancabilmente all’incirca nel seguente modo: “Cari amici! La cosa si potrebbe fare, ma tuttavia non ha senso farla. Questa macchina nelle sue funzioni presuppone molti e notevolissimi punti di vista! Chi l’ha fatta costruire, si è ispirato soltanto alle sue necessità ed agli scopi che vi erano congiunti ed in simile caso qualsiasi correzione equivarrebbe ad una imperfezione della macchina stessa! Il congegno non ha da superare che una data resistenza e per tale ragione non deve poter sviluppare una forza maggiore di quanto gli occorre per ottenere l’effetto voluto, perché se la macchina ci fornisce una potenza superiore, il tessitore, adoperandola, straccerebbe ad ogni mossa i suoi fili ed in questa maniera non riuscirebbe a produrre nemmeno un braccio di tela. Dunque la macchina, per corrispondere al suo scopo, deve essere congegnata precisamente così com’è ora e l’aggiungerci od il levarvi qualcosa la renderebbe inadatta al suo lavoro! Quando la macchina per il lungo uso si sarà logorata, oh allora sì che sarà venuto il momento di ripararla e di rimetterla nello stato in cui si trovava in origine, affinché possa corrispondere allo scopo per il quale è stata creata”.

7. Ecco, questa sarà la risposta che ci darà l’artefice assennato e noi due alla fine non potremo far altro che confessarci a vicenda e dirci che l’artefice ha ragione, perché è chiaro che esso deve senz’altro conoscere il suo mestiere meglio di un paio di pseudo-artefici come siamo noi! Ed all’incirca una simile risposta dovremmo aspettarcela anche noi da Gesù, il Signore, qualora Gli chiedessimo com’è possibile che gli uomini possano diventare tanto diabolici e malvagi nonostante la divina sapienza.

8. Cosa ne sappiamo noi dell’intima struttura e costituzione dell’uomo? Noi molte volte vogliamo maledire là dove il Signore sparge invece la Sua benedizione! E questo accade perché noi non abbiamo una nozione assolutamente esatta né del bene, né del male.

9. Ciascun uomo, per quanto buono sia, nasconde nel suo animo più o meno un qualche egoismo. In questa sua disposizione d’animo egli è poi sempre pronto ad ergersi a giudice del suo prossimo e innanzitutto e di preferenza tende ad imputargli a peccato quelle azioni che non concordano con l’idea del proprio vantaggio. Ora, siccome ciascuno pensa per sé, sia pure un po’ egoisticamente, ne consegue che su questa Terra, nei confronti del prossimo, non vengono emessi che giudizi più o meno contorti. Questi giudizi contorti generano poi il reciproco malcontento, gradatamente la diffidenza, gli scandali, l’invidia, l’ira e altre simili “piacevolezze” morali. 

10. Dunque, chi è che ha la colpa, nel peggioramento dell’umanità, se non gli uomini stessi? La macchina vitale si logora anch’essa nel corso degli anni e di conseguenza deve anch’essa venire, di quando in quando, riparata dal Suo sommo Artefice e forse pure, data la necessità, rinnovata da cima a fondo!

11. Ora un simile periodo di completa riparazione sembra che sia, dopo un’aspettativa di quasi dieci secoli, appunto quello in cui viviamo. Dopo questo periodo gli uomini, per la maggior parte, procederanno nell’ordine voluto per un’ulteriore periodo, ma più di altri duemila anni non trascorreranno che gli uomini, già migliorati prima, non reggeranno e noi nell’aldilà saremo testimoni ed i nostri sensi percepiranno potentemente che accadrà così come ora ti ho detto!»

12. Dice il preside: «Orbene, io ti faccio le mie congratulazioni! Tu sei davvero un degno discepolo del tuo Maestro! Io vedo che per il momento in fatto di vera sapienza non posso rivaleggiare con te. Però voglio darmi ogni cura a questo scopo, per arrivare tra breve, a fianco del mio caro amico Chivar, a potermi intrattenere con te su simili argomenti, poiché la sapienza di cui è fornito oggigiorno il Tempio di Gerusalemme non ha niente a che fare con voi, ciò che del resto non può far meraviglia, dato che l’attuale sapienza del Tempio non arriva troppo lontano».

 

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Cap. 94

La convivenza degli amici del Signore a Nazaret.

 

1. Il preside aveva appena finito quest’osservazione, concludendola con un sorriso, quando si presentarono due cittadini, conducendo con loro un ammalato che già da molti anni era stato colto da frenesia, ma, siccome si trattava di un povero, i suoi non si erano mai azzardati a ricorrere ad un medico né, d’altro canto, nessuno si era fidato di rivolgersi a Me, poiché da parte della popolazione circolava la diceria infamante che, chi fosse ricorso a Me per guarire, avrebbe consacrato la propria anima a Belzebù! Ed all’incirca la stessa opinione la si aveva anche riguardo a Boro, che si diceva avesse appreso simili artifici del demonio appunto da Me!

2. Perciò, quando Boro vide quel famoso frenetico che egli ben conosceva, nonché i suoi amici deboli di intelletto che lo portavano, disse loro: «Ebbene, che mai vi è saltato in mente di portarmi qui questo ammalato! Cosa vi ha fatto egli di male che voi volete adesso darlo nelle mani di Belzebù?»

3. Risposero i due: «Signore, questo era prima, ma ora abbiamo dovuto ricrederci e perciò l’abbiamo portato a te!»

4. Dice Boro: «E chi è stato a farvi ricredere?»

5. Dicono i due: «Signore, appunto coloro che per tanto tempo ci hanno nutriti con simili sciocchezze e ci hanno tenuti prigionieri come in catene» 

6. Dice Boro, con un leggero sorriso: «Capisco, capisco! Ma che cosa posso fare io con questo frenetico? Il suo male si è indurito a causa della vostra grande stoltezza ed ormai, data la vostra debole fede, sarà difficile venirgli in aiuto!».

7. Dicono i due: «Signore, se noi fossimo deboli di fede, non ti avremmo portato l’ammalato!»

8. Dice Boro: «Orsù, noi vogliamo vedere quello che può la forza divina nell’uomo!». E Boro, avvicinatosi a capo scoperto dinanzi all’ammalato, esclamò ad alta voce: «Nel Nome di Gesù, il Signore dall’eternità, io voglio che tu sia risanato. Sii dunque sano e procedi d’ora innanzi, libero per la tua via!»

9. Nello stesso momento il frenetico si trovò completamente guarito e rese onore a Dio che aveva conferito all’uomo tale potenza!

10. E Boro stesso si associò apertamente alle lodi al Signore, soccorse riccamente il guarito ed i due suoi amici e fece subito offrire loro quello che era ancora rimasto sulle mense degli ospiti da mangiare e da bere.

11. Allora il preside, rivolto a Boro, gli disse: «In verità, una cosa tale io non avrei mai supposto di trovarla qui, presso di te! Che nel Nome di Gesù sia riposta una forza speciale, della quale, secondo la mia esperienza anche le potenze infernali hanno un assoluto rispetto, di questo mi sono convinto oggi nella sinagoga, ma che dinanzi a questo Nome, anche i difetti del corpo, di qualunque specie essi siano, debbano cedere, questo i miei occhi l’hanno appena visto qui! In verità, in questo Gesù deve essere celato ben altro che un semplice profeta com’era Elia, perché, a quanto almeno io ne so, in forza del nome di questo profeta non è mai stato ancora guarito alcun ammalato! E, riguardo a questo nome, noi avremo ancora molto da discutere!».

12. Poi il preside interpellò il guarito e gli chiese se egli si sentiva proprio risanato del tutto.

13. Ed il guarito rispose: «Così sano come sono ora, io non lo fui mai in vita mia, ora io di anni ne ho cinquanta, dunque questo si chiamerà essere ben guarito!».

14. Il preside allora gli fa delle lodi e vuol regalargli una grossa moneta.

15. Ma il guarito la rifiuta e dice: «Signore! Qui a Nazaret ce ne sono di più poveri di me, perciò ti ringrazio e serbala per loro! Ora io posso lavorare e questo è per me sufficiente ricchezza!».

16. Osserva il preside: «Questo si chiama davvero essere disinteressati e non mi sarei mai immaginato di trovare in te tanta virtù! Ebbene, io sono il preside della sinagoga qui a Nazaret, nonché in tutta la Galilea e stabilirò la mia residenza qui e non a Cafarnao, se dunque tu dovessi un giorno aver bisogno di qualcosa, saprai dove trovarmi!».

17. Risponde il guarito: «Di gente buona ce n’è poca e così ogni povero fa bene se tiene a memoria i pochi buoni, per poter ricorrere a loro nel momento del bisogno! Io ti ringrazio dell’offerta; se le circostanze mi costringeranno, non mancherò di venire da te». 

18. Dopo queste parole i tre, cioè il guarito ed i suoi due compagni, si congedano, ringraziano Boro e il preside, e se ne vanno a casa loro di buon umore. L’abitazione che essi avevano in affitto era situata a qualche centinaio di passi fuori della città, com’era il caso anche di casa Mia la quale, com’è noto, era situata fuori di Nazaret, soltanto dalla parte dell’uscita opposta.

19. Questo avvenimento contribuisce a tenere tutti desti in casa di Boro e molto se ne parla ancora. Verso la mezzanotte, però, appena si scioglie la compagnia, la madre Maria si ferma ancora un po’ di tempo con la famiglia di Boro, che ha la massima cura di lei, mentre essa ne trae molto conforto. In casa Mia sono rimasti i Miei due fratelli più anziani, i quali ne sorvegliano il buon andamento e la cosa è molto facilitata da Boro che amorevolmente fornisce ai Miei fratelli tutto quanto possa loro occorrere e così i Miei amici di Nazaret durante la Mia assenza personale vivono nella miglior concordia e Mi hanno sempre in mente discorrendo dei Miei insegnamenti e delle Mie opere di cui essi stessi sono i testimoni.

20. Il nuovo preside, dal canto suo, continuava le sue inchieste ed esaminava tutto sempre con crescente acutezza, ma finiva ogni qualvolta con il venir convinto del contrario, perché anch’egli apparteneva a quella categoria di uomini i quali accolgono il giorno seguente con tutta facilità quello che hanno udito e visto il giorno prima, ma che però si dimenticano di ciò che hanno promesso. E così Chivar e Roban avevano giornalmente la loro piccola pena con quell’uomo che, del resto, non era cattivo e che faceva sempre il proponimento di agire secondo giustizia, però, facendo ciò, si dibatteva continuamente fra i vari principi del giusto e dell’ingiusto, perché egli non riusciva mai a spiegarsi cosa veramente fosse stato “giusto”.

21. Ed anche se gli si dimostrava migliaia di volte che il vero giusto in altro non può consistere per l’uomo se non nel vivere secondo i precetti di Dio, ebbene, per quel giorno egli comprendeva benissimo ed a fondo la cosa, ma il giorno dopo traeva dal suo razionalismo intellettuale tante ragioni contrarie che a Chivar riusciva non di rado difficile quanto mai confutare tutte le obiezioni del preside. E Chivar in quella occasione comprese il perché della Mia raccomandazione di tenerlo sempre attentamente d’occhio, visto che ci sarebbe voluto ancora molto tempo per fidarsi completamente di lui.

22. Però, quello che più di tutto teneva occupato il preside, era la potenza del Mio Nome e quantunque diventasse spesso insopportabile, Chivar lo faceva tornare sulla retta via usando il Mio Nome, meglio che con qualsiasi altra cosa. Ma era Boro che aveva sempre su di lui la massima influenza e riusciva sempre a ottenere che, almeno per qualche giorno, la fede del preside nel Mio Nome si mantenesse ferma.

23. Con ciò, per sommi capi, è narrato quello che fecero i nazareni dopo la Mia partenza ed ora è tempo di ritornare a Me stesso e di considerare gli avvenimenti svoltisi immediatamente riguardo a Me la sera della Mia partenza da Nazaret e quello che ho ulteriormente fatto ed insegnato e dove Me ne sono andato.

 

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Cap. 95

Miracolo della guarigione e del cibo ai 5.000 uomini nel deserto.

(Matteo 14,13-24)

 

1. Quando Io, com’è risaputo, ebbi appreso dai discepoli di Giovanni, da poco arrivati, quello che certissimamente sapevo già prima – altrimenti non avrei congedato già entro la mattina, a tempo debito, tutta la grande comitiva – lasciai subito Nazaret e Me ne andai con i dodici discepoli in direzione di Sibarah, verso il mare, dove, saliti su di una nave, ci dirigemmo verso una regione al di sopra di Bethabara. Durante il percorso i discepoli finirono anche di raccontarMi tutto ciò che durante la giornata avevano fatto ed insegnato e ne ebbero da Me la dovuta lode.

2. Ma arrivati che fummo al luogo stabilito, Io ordinai ai discepoli di non abbandonare la navicella e scesi a terra, accompagnato solamente da due di loro, per cercare e stabilire in quei dintorni deserti un posticino di fermata, dove poterMi trattenere alcuni giorni al sicuro dalle insidie che, com’è noto, Mi tendeva Erode.

3. Sennonché era avvenuto che la nostra navicella era stata seguita a qualche distanza da molte altre più piccole cariche di gente, la quale ebbe così modo di apprendere facilmente il luogo del Mio soggiorno, tanto più che poi Io non avevo avuto affatto l’intenzione di nasconderMi completamente agli occhi dell’umanità bisognosa di soccorso.

4. Accadde dunque che la Mia permanenza in quel luogo deserto non era durata neppure un giorno intero che già affluiva una grande quantità di popolo da tutte le città, borgate e villaggi di quella regione, non esclusi i Miei già vecchi discepoli, che erano in numero di oltre ottocento, discepoli che si erano uniti a Me nelle località che Io avevo visitato tempo prima e che la mattina del giorno precedente erano stati invitati da Me a ritornarsene alle loro case.

5. Alcuni di questi erano di Cana in Galilea e di Cana in Samaria, altri di Gesaira, altri ancora da Chis e Sibarah, di Cafarnao, Corazin, Cesarea, Genezaret e Bethabara e tutti questi avevano divulgato la Mia fama anche in molte altre località, per la qual cosa da tutti i luoghi una gran massa di popolo venne a Me nel deserto per la via del mare e parte a piedi per terra, conducendo naturalmente con sé numerosissimi ammalati ed invalidi. Come già menzionato prima, era appena spuntato il nuovo giorno che già circa un migliaio di pellegrini si trovò sul luogo dove Io Mi trovavo, pronti ad accamparsi lì intorno!

6. Ora, il luogo che Io avevo scelto nel deserto consisteva in una caverna spaziosa senza alcuna apertura dissimulata e che era situata ad una discreta altezza. La caverna era circondata da fitti alberi e c’era davanti ad essa una spianata molto vasta sulla quale avrebbero trovato posto più che sufficiente parecchie migliaia di persone ed appunto su questa spianata s’erano anche accampate le turbe con i loro ammalati. 

7. Ma quando i discepoli, i quali conoscevano il Mio ritiro, si accorsero che da tutte le parti continuava a salire una quantità di popolo, il quale sempre di più andava assediando il luogo dove Io Mi trovavo, cominciarono a temere per Me e perciò affidarono la nave ai loro otto barcaioli e salirono su da Me, per informarMi della massa di popolo, il quale sempre più andava radunandosi, di modo che non avrebbero più potuto garantire che fra i tanti non si celassero anche gli emissari di Erode!

8. E quando i discepoli, buoni e solleciti, Mi ebbero dato notizia di ciò che certamente doveva già essere a Mia conoscenza, Io uscii dalla grotta e rimirai (Matt.14,14) la moltitudine veramente grande e ne ebbi immensa pietà, allorquando, con le lacrime agli occhi, la massa Mi supplicò di aiutare gli ammalati che erano stati accompagnati o portati là!

9. Ed Io in un medesimo istante risanai tutti gli ammalati presenti, nonché tutti gli altri che erano ancora per la via e che faticavano per giungere a Me. Allora naturalmente fra la folla si levò un coro unanime di lode e di glorificazione che sembrava non voler più cessare. Fino all’imbrunire continuò così ad affluire la moltitudine, quantunque gli ammalati fossero stati guariti anche strada facendo, perché tutti volevano renderMi grazie e onore. Il posto davanti alla grotta si trovò ben presto tanto zeppo di gente che i discepoli cominciarono davvero ad averne timore; alcuni giovani si arrampicarono perfino sugli alberi per poterMi vedere meglio.

10. E quando cominciò a farsi sera, i discepoli Mi vennero vicino e dissero: «Signore! Questo è un luogo deserto, la notte avanza e come abbiamo in generale osservato nessuno fra tanta gente che è qui ha con sé qualcosa da mangiare. Congeda dunque il popolo, affinché vada nei mercati più vicini e prenda lì del pane ed altri viveri». (Matt.14,15).

11. Dissi allora Io ai discepoli: «Non è necessario che questa gente se ne vada per i mercati, ma date invece voi da mangiare a loro (Matt.14,16). Per quanto concerne il bere, essi non hanno bisogno che di acqua e questa è qui abbondante in molte sorgenti».

12. Osservano i discepoli, alquanto meravigliati della Mia richiesta: «Signore! Qui con noi non abbiamo altro che cinque pani d’orzo e due pesci arrostiti (Matt.14,17) Ma che cosa è questo per tante persone?»

13. Dico Io allora ai discepoli: «RecateMeli qui!».(Matt.14,18)

14. E quando essi ebbero fatto così, io ordinai a tutto il popolo di accamparsi sull’erba, presi poi i cinque pani ed i due pesci, levai gli occhi al cielo e resi grazie al Padre! Poi spezzai i pani e li diedi ai discepoli, affinché li distribuissero fra il popolo. I due pesci però ed un po’ di pane restarono questa volta per i soli discepoli.

15. E tutti coloro che erano presenti mangiarono in pace di quel pane e si saziarono, ma siccome non lo poterono mangiare tutto, raccolsero gli avanzi dentro a dei corbelli molto grandi, che il popolo, viaggiando, soleva portare sospesi sulle spalle con delle stringhe ascellari e di questi capaci corbelli se ne poterono riempire ben dodici! (Matt.14,20). Ora il numero di coloro che si erano saziati fu, senza tenere conto delle donne e dei fanciulli, intorno a cinquemila uomini (Matt.14,21).

16. Che questa imbandigione, che era durata un’ora buona, avesse suscitato in tutti uno stupore grandissimo, sarà, si spera, facile da comprendere, come lo sarà anche il fatto che quella gente subito dopo deliberasse segretamente di acclamarMi loro Re.

17. Ma Io, che Mi accorsi di quel progetto, ordinai ai discepoli di salire senza indugi sulla navicella e dirigersi prima di Me verso l’altra sponda, fino a che Io avessi congedato il popolo (Matt.14,22). Questo lo feci per impedire al popolo con questa mossa di compiere il suo progetto, perché alcuni fra il popolo avevano appunto cominciato ad esporre ai discepoli quello che era stato escogitato di fare per dimostrarMi la loro immensa gratitudine. Però nessuno aveva osato avvicinarsi a Me!

18. E così, allontanati immediatamente i discepoli, Io tolsi al popolo il mezzo che avrebbe dovuto servire loro per raggiungere lo scopo e quando i discepoli, eseguendo solleciti il Mio ordine, furono saliti sulla nave, dato che era un bel chiaro di Luna, anche il popolo desistette subito dal suo proposito e dopo la partenza dei discepoli (Matt.14,23), mentre essi si trovavano già molte pertiche lontano dalla riva, Io congedai subito il popolo, il quale anche docilmente si allontanò.

19. Dopo ciò salii tutto solo su di una montagna nuda lì vicina e pregai per congiungere i Miei elementi corporeo-umani più intimamente con il Padre. Sulla vetta di questo monte Io dimorai perfettamente solo, potei, già perfino con gli occhi del corpo, distinguere al chiarore della Luna la navicella dei discepoli (Matt.14,24), già inoltratisi fin nel mezzo del lago, che non era proprio tanto largo, mentre con gran fatica resisteva alle onde, che un vento contrario, abbastanza violento, sollevava intorno.

 

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Cap. 96

I discepoli sul mare tempestoso.

 

1. È facile immaginare che i discepoli, in conseguenza a ciò, non fossero precisamente molto di buon umore: essi facevano sul Mio conto le più svariate osservazioni e critiche e perfino Pietro finì con il dire: «Non aveva Egli da scegliere per questa notte a nostro riguardo proprio niente di meglio che esporci a morte sicura fra le onde? Davvero la cosa è un po’ strana da parte Sua! Io mi fido appena appena a far continuare la voga, perché ad una distanza di qualche pertica da qui c’imbatteremmo in un fondale basso, in scogli e in banchi di sabbia ed io che sono diventato si può dire grigio sul mare, non potrei più allora garantire nulla! Perciò è meglio che ci teniamo, sia pure fino a quando farà giorno, qui al largo!». 

2. Dice Tommaso: «A me poi interesserebbe sapere cosa Egli abbia voluto ottenere con l’allontanarci da Lui così d’improvviso, comandandoci perentoriamente di fare la traversata prima di Lui!»

3. Osserva Andrea: «Per quanto ne so io, lungo quella costa deserta non è possibile trovare una nave, mi chiedo dunque come farà Egli a raggiungerci! Se eventualmente vuole percorrere la via di terra, avrà bisogno di quattordici ore buone per arrivare là dove noi avevamo intenzione di approdare e precisamente tenendo lungo la riva meridionale per la via di Sibarah e Chis, e se intendesse arrivarvi lungo la riva settentrionale Gli ci vorrebbero due giornate di viaggio, perché là il nostro mare ha la sua maggiore ampiezza ed oltre a ciò è pieno di insenature e tratti paludosi molto estesi».

4. Qui interviene Giuda Iscariota a dice: «Voi tutti quanti insieme non ne capite niente! È già da lungo tempo che io ho osservato come noi Gli siamo venuti a noia, ma finora non Gli si era presentata nessuna occasione favorevole per liberarsi di noi con le buone maniere. Ed ecco, l’occasione è venuta ed Egli può sbarazzarsi di noi e noi di Lui. Ora possiamo andarLo a cercare con tutte le lanterne possibili, ma è molto difficile riuscire a rivederlo! Se poi da parte Sua, detto fra noi, questo sia stato lodevole, è un altro paio di maniche!»

5. Dice Giovanni, il Mio prediletto: «No! Una cosa simile Egli non la farà mai più! Io Lo conosco da troppo tempo e troppo bene! Non la farebbe neppure se fosse un uomo comune, tanto meno poi quale Figlio di Dio, come Egli ormai senza alcun dubbio è in possesso dello Spirito divino in tutta la Sua pienezza! Tutto quello che Egli ha fatto finora, aveva sempre i suoi eccellenti motivi, e così anche all’odierno avvenimento non mancheranno certamente le sue saggissime ragioni! Ed io sento in me vivo il presentimento che noi potremo convincercene tra breve!

6. Dio mio, se Egli, a cui obbediscono Cielo e Terra, avesse voluto sbarazzarsi di noi, sarebbe bastato il più leggero soffio della Sua bocca per mandarci all’altra estremità del mondo, com’è accaduto saranno appena tre o quattro settimane fa sulle alte montagne di Chis, che si possono vedere da qui ancora molto bene, quando bastò pure una semplice parola dalla Sua bocca per trasportarci attraverso l’aria in un baleno sulla montagna presso di Lui! Dunque, mio caro fratello Giuda, non venire fuori con queste idee assolutamente ridicole e sciocche a Suo riguardo, perché con ciò rendi sempre testimonianza della tua incredulità!»

7. Dice allora Natanaele, il quale si trovava pure egli sulla navicella: «Io sono in tutto e per tutto dell’opinione del caro fratello Giovanni, però penso questo: che, forse, nonostante tutta la nostra coscienziosità scrupolosa, sia possibile che abbiamo peccato in qualche luogo ed in qualche maniera ed Egli non ha voluto dircelo, ma ha lasciato che noi stessi ci esaminassimo e scrutassimo più intimamente! Ed Egli poi farà di nuovo ritorno a noi, quando ci saremo interamente purificati! 

8. Io, certo, ho già sottoposto la mia coscienza ad un esame scrupolosissimo, ma purtroppo non ho potuto trovare niente che potesse apparirmi come un torto od una mancanza! In verità, l’essere conscio di un peccato sarebbe ora per me un vero beneficio, perché questa coscienza diverrebbe per me una luce, la quale mi dimostrerebbe che io ho meritato di venir allontanato dal cospetto del Signore ed un sincero pentimento sarebbe poi un balsamo per il mio cuore! Invece vado cercando ansiosamente in me un peccato e non posso trovarne nessuno per scontare il quale fosse necessaria una penitenza in sacco e cenere! Io dico la verità: “Adesso comincio ad invidiare un peccatore!”. Ad ogni modo sia lontano da me il pensiero di diventare tale per questo motivo, ma se lo fossi, mi sentirei il cuore più alleggerito! Oh, come deve essere dolce il fare vera penitenza dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini! Ma come può un uomo, che è sempre giusto, indossare l’abito della più rigida penitenza senza rendersi ridicolo agli occhi di Dio?»

9. Dice Bartolomeo: «Ma che strane idee ti passano qualche volta per la mente! A chi mai potrebbe venire in mente di decantare più felice un peccatore di un giusto?»

10. Osserva Giovanni: «Proprio del tutto torto egli non ha! Certo, qui va inteso sempre un peccatore per debolezza o talvolta per passioni sconsiderate, mai però un raffinato servitore dell’inferno; poste dunque le cose in questo modo, il fratello Natanaele potrebbe anche non aver completamente torto»

11. Esclama Giacomo: «Sì, sì, fratelli miei! Il nostro Natanaele è un uomo tale che, per quanto riguarda profondità di sapienza ed acutezza di pensiero, tutti noi possiamo offrirgli poca acqua, avendone egli già a dovizia! Egli è sempre il più taciturno, ma, quando parla, merita d’essere ascoltato, perché le sue parole sono sempre dense di contenuto!»

12. Dice Natanaele: «Ma, caro fratello Giacomo, non lodarmi sempre, le poche volte che io apro bocca! Il Signore conosce certamente meglio di tutti quanta sostanza c’è in me e nella mia povera sapienza, perché, se ci fosse qualcosa, sarei, già anch’io da lungo tempo come te, un messaggero, mentre invece sono ancora un allievo, e il Signore saprà ben Lui quello che ancora mi manca. C’è davvero in me un po’ di spirito poetico, ma da questo a quello profetico ci vuole molto ancora! Guarda qui il fratello Giovanni! Noi siamo vecchi, se ci confrontiamo con Lui, eppure egli è profeta già dalla culla; questo il Signore lo sa e perciò ne ha fatto il Suo scrivano segreto!»

13. Dice Giovanni: «Ah, questo poi! Cosa sarebbe allora il fratello Matteo?»

14. Risponde Natanaele: «Egli sarebbe lo scrivano ufficiale del Signore e tu solo ne sei lo scrivano segreto!»

15. Dice Giovanni: «Ammettiamo anche che sia così, ma se pure è così, vuol dire che il Signore ha disposto le cose in questo modo e noi dobbiamo accettarle secondo il Suo beneplacito!»

16. E Giuda interrompe brontolando: «È probabile che da ora in poi non disponga più né in un senso né nell’altro! La clessidra si è già vuotata quattro volte mentre noi siamo sospesi qui fra l’acqua e l’aria, che è quanto dire tra vita e morte! Io non vedo ancora nessun battello che ci viene dietro!».

17. Dice Giovanni: «Questo non vuol dire niente, perché Egli non ci ha affatto precisamente detto quando ci raggiungerà!»

18. Dice Giuda: «E sia! Per fare ciò Egli avrà i Suoi eccellenti motivi! Questo lo sappiamo già!»

19. Dice Giovanni: «Amico, dimmi una buona volta con assoluta sincerità se tu, dopo tutto quello che hai udito con le tue orecchie, visto con i tuoi occhi e certamente percepito con tutti gli altri tuoi sensi, non credi davvero ancora che il nostro Signore Gesù sia tanto indubbiamente, quanto io mi chiamo Giovanni, lo stesso Dio e che in Lui risieda ogni potere, sui Cieli infiniti e su questa Terra, di comandare, di governare e disporre a Suo piacimento! Io ti prego di darmi in proposito una risposta sincera!».

 

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Cap. 97

Giuda loda i miracoli degli esseni.

 

1. Dice Giuda: «Se io credessi una cosa così alla cieca, senza alcuna riflessione, dovrei essere debole come lo sei tu e lo sono parecchi altri di voi! Sarà in tutto mezzo anno al massimo che ci troviamo con Lui ed abbiamo udito e visto più di una cosa con Lui che bisogna innegabilmente chiamare straordinaria, e voi che siete della gente semplice e che non avete in vita vostra mai udito e visto nient’altro all’infuori di questo Gesù, il Quale certamente sta molto al di sopra di noi, è spiegabile che dobbiate attribuirGli la Divinità assoluta. Per voi sicuramente bastano queste Sue opere e parole, ma a me, invece, la questione si presenta altrimenti, perché ho girato e viaggiato abbastanza ed ho avuto occasione di vedere e sentire qua e là delle cose altrettanto meravigliose! Andate dagli esseni e vedete quello che essi sanno fare ed io scommetto che poi finirete con il dire che sono altrettanti dei, come fanno i romani ed i greci, i quali fanno loro perfino delle grosse offerte pensando di avere a che fare con delle divinità.

2. Vedete, tutto quello che fa il nostro Gesù e qualche volta anche cose più straordinarie ancora, voi potete trovare tutto ciò ugualmente presso gli esseni. Ma se, dunque, sulla Terra ci sono ancora molti altri che fanno le cose che noi abbiamo visto fare dal nostro maestro Gesù, io non vedo proprio come e perché noi dovremmo riconoscerGli, per dirla chiara, l’indiscussa ed esclusiva prerogativa di una perfetta divinità!

3. Oh, se Egli fosse il solo a questo mondo al quale obbediscono gli elementi, allora sarebbe facile credere alla Sua divinità, ma se, come mi risulta per mia viva esperienza, su questa cara Terra c’è più di uno di tali uomini che porta una veste senza cuciture, è bene che il nostro Gesù faccia cose molto più grandi ancora prima che noi Gli si attribuisca l’esclusiva prerogativa divina e che si possa poi credere fermamente e dire: “Costui è Jehova, tale quale è esistito dall’eternità!”.

4. Voi chiamate miracolo divino il richiamo dei morti in vita, la moltiplicazione di cibi e bevande, il restauro di un edificio, il provocare segni nella Luna e nel Sole, ma tutto questo non basta affatto ancora a provare la divinità di un tale che sia in grado di fare simili cose, perché a questi e ad altri spettacoli io ho assistito diverse volte presso gli esseni. La guarigione degli ammalati viene praticata lì soltanto come cosa secondaria, ma io stesso fui testimone di come il principale fra gli esseni ha scritto sulla Luna in tre lingue e di come lo stesso una volta ha fatto oscurare di giorno il Sole! Prima egli aveva fatto certi suoi segni ed un calcolo e poi disse: “Da qui ad un’ora io farò venire una piaga sull’umanità. Io oscurerò per parecchi istanti completamente il Sole e le tenebre saranno su tutta la Terra!”.

5. Udendo questa promessa, a dire il vero non troppo piacevole, noi restammo sbalorditi ed aspettammo non senza una certa tensione angosciosa d’animo che la predizione si compisse ed infatti ad ogni momento che passava, sempre più la promessa si dimostrava veritiera, perché a poco a poco la luce cominciò a diminuire! E quando la sabbia nel misuratore del tempo fu quasi tutta passata, il capo degli esseni stese le mani e disse con lentezza e in tono solenne: “O Sole, oscurati! Io lo voglio!”. Allora infatti calarono le tenebre come di notte e poi, dopo alcuni istanti, mosso più di tutto dalle nostre insistenti parole di preghiera, egli distese nuovamente le mani, le cui dita apparivano come roventi e così parlò al Sole: “La piaga per l’umanità è sufficiente; accendi perciò gradatamente la tua luce ed illumina e riscalda nuovamente il globo terrestre!”. Ed ecco, a questo comando il Sole ricominciò man mano a risplendere e nel giro di mezz’ora riacquistò tutto il suo potere di luce e di calore!

6. Così pure, non lontano dal grande castello che serviva d’abitazione agli esseni, entro il complesso di terreni coltivati a giardino e circondati da un’alta muraglia c’era una grande collina alta due buone volte il castello stesso. Io andavo dagli esseni quattro volte all’anno con ogni tipo di recipienti da cucina ed una volta uno di loro mi disse: “Se tu vuoi assistere di nuovo a qualche operazione meravigliosa dovuta alla potenza di volontà del nostro capo, per esempio, come anche i monti devono piegarsi al suo comando, fermati oggi qui. Osserva quel monte là, che ci sta dinanzi, oggi tu lo vedi ancora come monte, ma domani al suo posto ci sarà uno splendido palazzo!”.

7. Io esaminai attentamente il monte che non distava neppure quattrocento passi, e i miei occhi non m’ingannano, e vidi che era una massa rocciosa quasi nuda, ricoperta soltanto qua e là da pochi muschi e sterpi. Allora dissi, sorridendo, a quell’esseno: “Se questo è davvero un gruppo roccioso, cosa della quale non dubito, allora il vostro capo deve possedere veramente una forza divina, se è capace di convertire durante la notte questo ammasso di marmo in un palazzo!”. 

8. L’esseno disse allora: “Dubiti forse che il monte non sia un’enorme blocco di pietra? Se hai qualche dubbio, vieni con me e persuaditi da te stesso!”. Però io gli dissi: “Amico, quello che i miei occhi eccellentissimi vedono, non occorre che io vada a toccarlo con le mani, perché a quattrocento passi di distanza distinguo anche i più piccoli oggetti!”. Allora l’esseno disse: “Sta bene, allora resta qui ed io ti farò vedere fenomeni meravigliosi in quantità”. Io sono ancora pervaso da stupore, pensando a tutto ciò che ebbi occasione di vedere!

9. L’esseno mi condusse in una grande sala oscura nella quale ci saranno stati almeno cento cadaveri deposti su appositi letti, ed il forte odore particolare che vi era diffuso era prova più che sufficiente e convincente che tra i corpi che li giacevano allineati in un’ampia fila, non c’era più nessuno di loro vivo. Mentre andavamo intorno tra i molti cadaveri, toccandone anche qualcuno, quattro incaricati entrarono portandone altri due che collocarono su dei letti ancora vuoti e poi uscirono dalla sala.

10. Allora io domandai alla mia guida se provasse ribrezzo trovandosi fra tanti morti. Ma egli mi rispose: “E perché poi? Fino a tanto che sono morti, essi non possono farci nulla, ma quando saranno ritornati in vita, non potranno che ringraziarmi per averli io risuscitati da morte certa e sicura. Ma come vedi, ci sono degli uomini, delle donne e delle ragazze, ma è proprio un peccato che questa volta non ci sia alcun fanciulletto. Adesso però vedi di essere forte d’animo e vedi di non spaventarti quando, alla mia parola, tutti si alzeranno dai loro giacigli!”.

11. Allora io mi misi vicino alla porta della sala, per poter, in caso di bisogno, prendere subito il largo.

12. E l’esseno, levate in alto le mani, con voce possente disse: “O voi morti, sorgete, vivete e ricominciate a guadagnarvi onestamente il pane con le vostre mani! Però anzitutto rendete onore e gloria al supremo Spirito di Dio che ha infuso in noi tale saggezza e forza!”.

13. A queste parole dell’esseno tutti i morti si levarono e lo ringraziarono della vita recuperata, essi apparivano completamente sani e ripieni di amorevolezza. L’esseno allora ricambiò i loro saluti, e poi li congedò!

14. Io penso che questa sia stata pure una bella prestazione, quando centodue cadaveri furono in pochi istanti richiamati in vita! Io infine domando a quell’uomo meraviglioso se cose del genere venivano effettuate più di una volta all’anno. Ed egli mi disse: “Questo succede una volta alla settimana. Il nostro capo però può ridonare la vita perfino agli scheletri completamente spogli della carne, in modo che essi rivivono completamente come questi qui che ho risuscitato io! Ma a me manca ancora molto per guarire con una simile forza!”.

15. Dopo questo fatto egli mi condusse in un’altra sala ancora più oscura e mi mostrò un gran numero di scheletri assolutamente nudi, i quali erano pure collocati su di una fila di panche. Questa lugubre camera era malamente rischiarata da una luce fiochissima, però gli scheletri si potevano distinguere abbastanza bene!

16. Noi contemplammo per qualche tempo quelle povere ossa inanimate; poi entrò il capo degli esseni, solenne e serissimo nell’aspetto e chiese alla mia guida se la risurrezione dei cadaveri fosse di nuovo perfettamente riuscita. E l’altro rispose con un rispettosissimo: “Sì, o alto e sapiente maestro!”. Poi, così parlò il capo: “Ebbene, fa’ attenzione a tutto quello che accadrà ora. Io voglio, dinanzi a questo straniero, iniziare ulteriormente pure te, cosicché in avvenire possa anche tu richiamare in vita perfino le ossa prive di carne! Avvicinati e tocca con il pollice e il medio di entrambe le mani solamente il petto e la testa degli scheletri, conta poi lentamente fino a sette e pronuncia poi ad alta voce la seguente formula: ‘Rivestitevi di carne e pelle, e il fuoco vitale sgorghi dalle pareti e vi vivifichi finché diventiate degli uomini in carne ed ossa!’”

17. Allora, così fece la mia guida e, com’ebbe ultimato il suo richiamo, delle fiamme grandi e chiarissime sprizzarono qua e là ed in un attimo, in luogo degli scheletri, dei quali non c’era ormai più nessuna traccia, apparvero altrettanti uomini perfetti, pieni di vitalità. Poi questi, che erano pure in numero di circa cento, ci salutarono e per l’ottenuta grazia esternarono la loro viva gratitudine al principale degli esseni, il quale invitò ad uscire all’aria libera, di cui avevano bisogno più di qualsiasi altra cosa!

18. Cosa ne dite voi? Il nostro Maestro a tanto non è ancora arrivato!

19. In seguito io venni invitato a mensa e prendemmo posto ad un lungo tavolo ancora sparecchiato. Il capo si mise a pregare in una lingua straniera, volse gli occhi al Cielo e noi tutti lo imitammo. D’improvviso si fece udire uno scoppio fortissimo, quasi come se il soffitto della casa fosse crollato, ed ecco, senza che né io né certamente nessun altro avesse potuto spiegarsi come, noi ci trovammo ancora a sedere allo stesso tavolo, ma questo non era più vuoto e lo vedemmo invece ben fornito dei migliori cibi e bevande come solo se ne potrebbero trovare ad una mensa principesca. Dopo la cena esaminai ancora una volta il monte che durante la notte doveva venire trasformato in un palazzo e poi mi ritirai, secondo le indicazioni degli esseni, in una stanza separata per riposare.

20. La mattina dopo, di buon’ora, comparve la mia guida e mi disse: “Vieni a vedere!”. Ed io andai con lui pieno di curiosità ed in effetti non vi era più la benché minima traccia dei massi di roccia! Sullo stesso posto sorgeva invece un lussuoso palazzo ed io vi fui condotto dentro e ne visitai le camere e le sale spaziose, in modo che potei assolutamente convincermi che si trattava proprio di un miracolo e non di un’illusione.

21. Ma ora vi domando se il nostro maestro Gesù ha finora prodotto qualcosa di più grande e di più prodigioso, voi che lo dichiarate già Jehova in Persona!

22. Per questi motivi, qualora avessimo di nuovo la fortuna di incontrarLo, non dovreste sempre arrabbiarvi se io, ogni tanto, venissi fuori con qualche domanda forse non sempre molto ben accetta né a voi né a Lui, perché io ho visto ed udito cose prodigiose prima di incontrare Gesù, e se ci pensate su bene ed avete in voi un po’ di energia vitale, non deve mai sorprendervi il fatto che io talvolta mi atteggio in un modo forse alquanto strano!».

 

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Cap. 98

Giovanni e Bartolomeo spiegano a Giuda i miracoli truffaldini degli esseni.

 

1. Dice Giovanni: «Quello che tu hai raccontato adesso degli esseni, io ed ancora qualcun altro di noi lo sappiamo già da lungo tempo! Ma noi sappiamo ancora qualcosa più di te e questo di più consiste in ciò: a noi è noto che i tuoi famosissimi esseni sono degli imbroglioni e dei birbanti ancora più grandi dei ben conosciuti veggenti dell’oracolo di Delfi, i quali hanno ormai perduto quasi ogni credito!

2. Perciò questa gente, ultimi rimasugli dell’antica casta sacerdotale egiziana, provveduti di grandi tesori consistenti in oro, argento, pietre preziosissime e perle, si è edificata, al confine tra la nostra Terra promessa e l’Egitto, una vera fabbrica di miracoli ed ora ne possiedono una seconda ancora nelle vicinanze di Gerusalemme, con la quale fanno già eccellenti affari! Ecco, questo lo sappiamo noi e ci meraviglia davvero assai che tu, che pure non sei uno sciocco, non sia arrivato a saperlo!»

3. Risponde Giuda: «Eppure, quando ho visto ed udito quel che ho detto, io avevo sempre i miei buoni cinque sensi a posto!»

4. Dice Giovanni: «E malgrado ciò tu non hai visto né udito niente e non hai inteso, né compreso niente! Credi forse che i morti che tu hai visto resuscitare fossero veri morti?»

5. Dice Giuda: «E che altro può essere?»

6. Dice Giovanni: «Vedi che tu non hai scorto niente nella camera resa oscura a questo scopo! Quelli che ti sono stati indicati come morti, erano vivi come te e la chiamata di risurrezione non era altro che un segnale dato loro per avvertirli quando avrebbero dovuto levarsi dai loro apparenti letti di morte. Tu non hai che a domandare qui al buon fratello Bartolomeo, il quale ha fatto la parte del morto presso gli esseni per due anni buoni, ma che dopo due anni, trovò finalmente una buona occasione per fuggirsene di nascosto da quello spaventoso chiostro di imbroglioni. Egli potrà raccontarti in che modo e in che maniera gli esseni risvegliano i loro morti!

7. Come più di una volta egli mi ha raccontato, rappresentava la sua parte di morto quattro volte alla settimana! Dapprima nella sala dei morti recenti e poi una volta ancora nella sala degli scheletri, nella quale ci sono bene allineati i catafalchi neri che portano sul coperchio gli scheletri in gran parte semplicemente dipinti e soltanto sui primi sono fissate le rispettive figure intagliate nel legno, affinché gli stranieri, che assistono allo spettacolo, possano convincersene toccando i presunti scheletri. Questi catafalchi sono delle panche munite di coperchi semiricurvi, i quali sono congiunti con le panche sottostanti per mezzo di cerniere di cuoio per poter venire aperti o chiusi a piacere. Il finto morto deve coricarsi supino sulla panca e poi vengono sollevate le due bande laterali che formano il coperchio, sulla faccia esteriore delle quali la figura dello scheletro è per lo più dipinta e quando vengono uno o più forestieri li si conduce nella sala scarsamente illuminata e la risurrezione ha luogo. Anche in questo caso l’invocazione ai morti non è altro che un segnale, in primo luogo per i dodici addetti, che si trovano dietro le pareti delle camere mortuarie, dinanzi a certe aperture che vi sono appositamente praticate. Essi hanno appunto il compito, appena udito il segnale, di soffiare della resina, ridotta in polvere finissima, entro ed attraverso le dette aperture mediante dei tubi di cui sono muniti, la quale, venendo in contatto con la fiamma di certe piccole fiaccole tenute ben celate, provoca il fenomeno delle fiamme grandi e del fumo.

8. Ora, nel momento della chiamata, quasi contemporaneamente le fiamme sprizzano fuori delle pareti, alla vista improvvisa delle quali i forestieri si spaventano ed è precisamente in questo breve periodo di tempo e di confusione, molto bene calcolato, che gli pseudo-morti coricati sulle panche rovesciano rapidamente i coperchi, poi lentamente sorgono dalle loro panche e per coronare lo spettacolo rendono con simulata compunzione, grazie e lode al loro risuscitatore. Ecco, così procede la risurrezione dei morti nella sala degli scheletri e qui c’è il fratello Bartolomeo che può darne fede!»

9. E Giuda che si rende conto del trucco, rimane sbalordito e poi esclama: «Davvero non è pensata male! L’imbroglio è architettato benissimo e deve rendere bene assai a quei cialtroni! Ma com’è che hanno fatto un palazzo fuori da una montagna?»

10. Risponde Bartolomeo: «Oh, il palazzo è già bello e pronto! Non hai osservato alla sua sommità una grande cupola che poggia su di un pilastro alto e robusto?»

11. Dice Giuda: «Certamente, io l’ho vista bene e l’ho anzi ammirata!»

12. Dice allora Bartolomeo: «Vedi, in quella cupola sta nascosto il mistero costituito da rotoli di tela, con la quale gli esseni possono trasformare in non più di mezz’ora quel palazzo in una apparente montagna, in un tempo uguale l’apparente montagna di nuovo nel palazzo, che è quello che veramente esiste! Mi comprendi o devo spiegarmi ancora più chiaramente?»

13. Risponde Giuda: «Oh, ti comprendo anche troppo! Ma chi avrebbe mai pensato che questi tipi dall’aspetto così onesto e saggio potessero essere tanto impregnati di una birbanteria così raffinata? Ma come si spiega poi la scrittura sulla Luna piena e il completo oscuramento del Sole?»

14. Dice Bartolomeo: «Questa poi è una cosa che va addirittura nel ridicolo. Molte volte, assieme ad altri cinquanta robusti compagni, io ho dovuto sostenere questa luna artificiale, in cima ad una lunghissima pertica, tenendola obliquamente in alto, fuor da uno dei balconi del castello! La supposta luna, di per se stessa, consiste in un cerchio da setaccio largo due spanne, sul quale, da entrambe le parti vengono tesi dei dischi di pergamena. Il cerchio ha un diametro di dieci spanne buone ed internamente, tra i due dischi di pergamena, sono fissate nel mezzo, quattro lampade ad olio, le quali una volta accese diffondono attraverso la pergamena una chiara luce diffusa. La parte rivolta verso il castello porta in lettere abbastanza grandi e nere una scritta in tre lingue.

Ora, quando un forestiero viene velocemente condotto ad una determinata finestra, può vedere la famosa luna stare in apparenza sul firmamento con la famosa scritta che, come detto, viene sostenuta in alto, di traverso, da cinquanta uomini robusti, per mezzo di una pertica lunga più di dodici tese, la quale però non può essere vista dal forestiero che viene fatto affacciare a quella finestra opportunamente a ciò destinata. Orbene, come ti piace l’affare della luna?»

15. Risponde Giuda: «Ah, cosa mi tocca sentire! Ma questo è un imbroglio abominevole! E cosa si deve pensare dell’altra storia dell’oscuramento del vero Sole?»

16. Dice Bartolomeo: «Questo è tutto basato su di un certo calcolo molto complicato, con il quale si può esattamente stabilire il momento in cui dovrà verificarsi una eclissi solare naturale, fenomeno questo, a quanto una volta mi è stato spiegato, che si manifesta quando la Luna, durante il giorno, viene a passare davanti al disco solare. Ed in questo calcolo soltanto c’è del vero, perché esso resta nell’ambito della pura scienza e conoscenza umana, e gli esseni l’hanno imparato dagli egiziani. Per quanto poi riguarda la mensa inizialmente vuota e più tardi colma di vivande, l’effetto viene ottenuto per mezzo di una macchina molto semplice che funziona all’incirca come le panche degli scheletri nella sala oscura!

17. Ecco, questo è il segreto dei miracoli degli esseni dei quali miracoli però tu non hai assistito neanche alla centesima parte e sono così presentati da costituire un inganno bello e buono per qualunque non iniziato, per quanto sia ragionevole ed esperto.

18. Per citarti un esempio: in un angolo più remoto del grande giardino, che è circondato da mura molto alte, vi è un boschetto nel quale il forestiero sente parlare gli alberi, in un altro punto del giardino ci sono perfino le pietre che parlano e in un terzo posto puoi udire parlare anche l’acqua che sgorga dalla terra! In un bacino costituito da pietre squadrate e profondo più di dieci tese, si trova una quantità di serpenti addomesticati che vengono giornalmente nutriti di latte; questi pure parlano, quando se ne presenta l’occasione! In un altro punto del giardino parla perfino l’erba! Ci sarebbe ancora molto da dire se si volesse esporre tutto dettagliatamente; ma ti basti questo che ti dico ora: “Non passa quasi giorno che dai 30 ai 40 stranieri in cambio di molto argento ed oro non ne escano strabiliati e naturalmente truffati!».

 

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Cap. 99

La filosofia degli esseni.

 

1. Continua Bartolomeo: «Il più bello di tutto è però che di quando in quando dei bimbi veramente morti, di genitori ricchi, vengono accolti per la risurrezione, ma in questi casi il figlio o la figlia risorti non vengono restituiti ai genitori prima di un anno e qualche volta anche non prima di due anni. 

Quando, dopo molte preghiere in cambio di buone offerte d’oro e d’argento, un figlio defunto viene accolto nello stabilimento di risurrezione degli esseni, una specie di guaritore esseno si porta solennemente dai genitori addolorati e lì procede ad un’inchiesta minuziosissima riguardo a tutto ciò che possa riguardare il figlio defunto. Bisogna che gli vengano indicati con tutta precisione l’età, così pure tutto quello che il defunto aveva avuto occasione di sentire, di vedere e di imparare, se e quali preferenze abbia avuto nel mangiare e nel bere, quale aspetto abbia avuto il suo letto e la sua stanza, chi e di quale carattere siano stati i suoi amici e compagni di gioco, cosa abbiano fatto tra di loro ed in quali luoghi. In breve non deve venirgli sottaciuto il più piccolo dettaglio, perché – così dice l’esseno – altrimenti la risurrezione non può compiersi!

2. Gli ingenui genitori, allora, raccontano tutto in ogni suo minimo particolare, ritenendo fermamente che il pseudo operatore di miracoli esseno ne abbia bisogno veramente per la risurrezione del loro amatissimo figlio. Solo che all’esseno tornano utili le sue indagini in un senso ben differente!

3. Al confine verso l’Egitto gli esseni hanno un grande istituto di “allevamento umano” di tutti i tipi e figure possibili; essi si preparano con grande abilità una effigie del defunto e quest’ultimo viene poi seppellito profondamente nella terra. Muniti di questa effigie, essi vanno nel loro grande istituto e, fra le molte migliaia di fanciulli di ogni età che si trovano là, scelgono quello che più di tutti assomiglia all’effigie del defunto, lo conducono con loro e lo educano con tutta attenzione sulla base di quanto essi sanno sul conto del morto. Lo conducono spesso, ma di nascosto, in quei luoghi che ad essi consta essere stati frequentati dal defunto e pian piano cominciano ad invitare i suoi amici e compagni nel loro chiostro, affinché il neo risuscitato faccia una conoscenza vantaggiosa con i nuovi compagni. Essi lo istruiscono nel modo il più meticoloso, circa la disposizione e gli usi della casa dei suoi futuri genitori, gli descrivono minutamente tutti gli ambienti e le cose che vi hanno attinenza, affinché egli più tardi possa rivolgere con cognizione di causa qualsiasi domanda ai genitori e che questi si sentano veramente contenti e felici di aver riacquistato il figlio o la figlia. A dirla breve, l’affare viene condotto con tanta sottile perspicacia e prudenza che i genitori poi non hanno nemmeno il più lontano dubbio che il figlio o figlia restituiti loro dall’istituto di risurrezione come ridonati alla vita non siano proprio i veri e genuini. Naturalmente all’atto della restituzione la somma che viene pagata in tutta allegrezza è enorme.

4. Ai genitori, che sono poveri, certo non è quasi mai dato di assaporare tali miracoli, ma in compenso vengono consolati con molte buone parole e, con il sussidio di svariatissimi piccoli miracoli di poco costo, vengono rafforzati nella fede che il loro bimbo morto se ne sia volato dritto dritto nell’Elisio[3], e questo allora riesce di qualche conforto ai genitori poveri. 

5. In fondo, però, i principi di vita di questi esseni non sono proprio cattivi, perché essi ritengono che tra gli uomini deve esserci una associazione di uomini di profonda cultura, che si propone di concorrere a rendere felice l’umanità, qualunque sia il mezzo che venga reputato perfettamente idoneo al raggiungimento di un simile scopo. Questa associazione di gente superiore, dopo lunghi anni di studi, di indagini e meditazioni, ha constatato che la morte è l’ultimo confine di tutte le cose e che dopo la morte non c’è più coscienza e non c’è più vita sotto nessuna forma. Ora, i membri dell’associazione hanno la filosofia che basta per disprezzare la vita e per non ritenere questa quale il supremo dei beni. Però, allo scopo di rendere felice la vita all’umanità che sta al di fuori della loro cerchia, è necessario che le venga predicata una vita dell’anima ancora più perfetta da ottenere dopo la morte del corpo, ma per rendere ben comprensibile questa asserzione presso le masse, è bene ricorrere ai miracoli, per quanto apparenti. Quanto più straordinari sono questi miracoli, tanto più sono efficaci!

6. Il regolare funzionamento del sistema viene fatto dipendere dalla più assoluta discrezione da parte dei membri iniziati e ciascuno ha il dovere, assolutamente rigoroso, di evitare la verità più della peste con gli uomini fuori dalla loro cerchia, perché ogni verità, dicono loro, rende l’uomo schiavo della morte. E perciò anche Mosè nella sua Genesi ebbe ad accennare, in un unico breve versetto, a questa circostanza con un’enunciazione fondata sulla verità pura, quando disse: “Perché se tu mangerai dell’albero della conoscenza, il che equivale a dire l’albero della verità, di certo tu morrai!”. E così accade a ciascun uomo che va cercando dappertutto la verità e che finisce con il trovarsi fra le sue braccia, cioè tra le braccia della morte. Perciò anche Mosè, quale iniziato in ogni sapienza e verità della casta sacerdotale egiziana, ha per tali motivi, secondo loro, fondato l’istituto sacerdotale per gli ebrei, il quale, sebbene già quasi totalmente degenerato, si è mantenuto fino al nostro tempo.

7. L’amore è l’assioma capitale che deve presiedere alla convivenza degli uomini, stretti fra di loro in un vincolo immutabile, quasi in adempimento di un loro dovere verso Dio, e perciò gli uomini devono essere tenuti a praticare rigidamente queste virtù e, per richiamare al loro pensiero con sempre maggior intensità l’idea della Divinità loro predicata, deve innanzitutto venir messo nel loro cuore il più possibile l’amore per Dio, e la Divinità stessa deve venire presentata alla loro immaginazione come, da un lato, un buon Padre ricolmo del più ardente amore e, dall’altro, come un rigidissimo Giudice verso coloro che rigettano la Legge divina, e si deve insegnare che il Padre concede il premio eterno al bene ed a quanti agiscono conformemente all’amore predicato, ma punisce nel tempo e nell’eternità il male, perché contrario a questo stesso amore. Con ciò l’umanità, nella maniera più facile, può venire tenuta a freno e può venire indotta ad essere attiva in tutti i campi del buono e dell’utile.

8. E se dovesse un giorno sorgere un uomo che cominciasse a predicare la verità ai suoi simili ed a rendere sospette i loro istituti, verrebbe fatto ogni sforzo da parte dell’istituto stesso per sbarazzare il mondo da un simile individuo mostruoso, apportatore di morte con le sue dottrine di verità per milioni di uomini, oppure, ancora meglio, verrebbe fatto di tutto per conquistarlo, se mai possibile, alla causa dell’istituto! Infatti niente è più deleterio per i non iniziati di una qualsiasi spiegazione nell’ambito della fede in un Dio ed in una vita eterna.

9. Vedi, o fratello Giuda, questi sono i principi di vita propugnati dai tuoi famosi esseni! Tali principi, considerati dal punto di vista terreno, non si possono troppo biasimare, ma visti con gli occhi dello spirito, secondo la luce che abbiamo ora, sono condannabili al massimo grado! Infatti un non iniziato non ode dalla loro bocca mai neppure una sillaba sola che sia conforme al vero, e se egli vuole dire la verità dinanzi a loro, egli sottoscrive con ciò la propria sentenza di morte!»

10.Esclama Giuda: «Oh, che birbanti! In verità, se non fossi tu a dirmelo, non avrei mai potuto credere che la simile furfanteria di questi bricconi arrivasse a tal punto, ma, poiché tu stesso fosti a suo tempo un esseno e ci racconti adesso questo, devo prestare fede! Ma come facesti a svignartela indenne dal chiostro?»

11. Risponde Bartolomeo: «Io completai la mia iniziazione, mi sottoposi agli esami ed alle prove richieste e venni poi qui per ragioni del servizio esterno. Ora, essendo che io godevo piena fiducia, mi fu concesso anche di rimanere fuori, perché la congregazione accorda molto volentieri un tale privilegio, siccome da questo essa non può attendersi che vantaggi e mai dei danni.

12. Visto però che in luogo della menzogna ho imparato ormai a conoscere la verità, io rimango tanto più sicuramente e per sempre fuori! Ma quelli che sono dentro il chiostro non sapranno per parte mia mai più quello che io so; quelli che sono fuori, invece, bisogna che un giorno sappiano quello che fanno gli esseni entro il loro chiostro!».

 

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Cap. 100

I discepoli in difficoltà sul mare.

 

1. Dice Pietro: «Ma ora è già la terza veglia (circa l’una dopo mezzanotte) ed ancora non si vede da nessuna parte alcun battello sopra il mare!».

2. Dice Andrea, che ha la vista acutissima: «Per quanto guardi intorno, neppure io posso scoprire niente!».

3. Osserva Matteo, il gabelliere: «Se almeno si calmasse questo vento indiavolato che ci soffia contro! I battellieri sono già quasi del tutto esausti dal forzare la voga, quantunque noi li si abbia già a più riprese aiutati efficacemente! Solo a costo di sforzi poderosi ci riesce di tenerci a galla! Se almeno cominciasse a far chiaro! Allora il vento certo cambierebbe!» 

4. Dice Natanaele: «Tutto il resto poco mi interesserebbe se il Signore ci seguisse. Chissà che non fosse consigliabile rifare il percorso per andare a cercarLo? Possibile che Egli sia davvero caduto nelle mani degli sgherri di Erode?»

5. Dice Simon Pietro: «Ah, che cosa ancora poi? Egli, al quale obbediscono il Cielo e gli elementi tutti, prigioniero di quei miserabili sgherri di Erode! Macché! Egli ha pur detto che ci avrebbe seguito una volta finito di congedare tutto il popolo e che noi partissimo prima di Lui! Quello che Egli dice è sacro e perciò supremamente vero! Con questo vento contrario noi non avremo di gran lunga raggiunto il punto d’approdo che Egli sarà nuovamente con noi! Infatti chi può comandare i venti, viene anche facilmente e celermente sul mare!

6. Dice Giovanni: «Io sono perfettamente della tua opinione! Dunque, basta che tutti abbiano ferma fiducia in Lui ed Egli non ci abbandonerà per l’eternità! Guardate, con questa furia di vento che già da cinque ore ci tormenta, assai poco effetto avrebbero avuto i nostri remi, se l’azione Sua, dominatrice degli elementi non ci avesse aiutati a sostenerci in alto mare! Senza questo Suo potere noi saremmo stati respinti là da dove siamo partiti già da parecchio tempo! Del resto, come vedi benissimo, la nostra barca sta come inchiodata in un punto ed io penso che, rafforzando la nostra fiducia in Lui, sarebbe opportuno che facessimo cessare del tutto la voga ai barcaioli ormai completamente sfiniti e vedrete che il nostro battello, nonostante ciò, non si muoverà dal posto, e probabilmente è qui che il Signore vorrà raggiungerci, altrimenti Dio sa dove già noi saremmo finiti con questo uragano!»

7. Esclama Pietro: «Sì, sì, tu hai certamente ragione! Anch’io vado persuadendomi che il vento, per quanto forte, non può nulla contro di noi e che tutti i nostri remi non potrebbero affatto aver ragione di questa furia, se con tutta evidenza non ci soccorresse invisibilmente il Suo divino Potere! Ed io dirò senz’altro ai barcaioli di non affannarsi tanto nel remare.

8. Pietro allora si rivolse ai rematori e disse loro che era inutile affaticarsi troppo!

9. Ma i rematori risposero: «Noi vediamo com’è bianca di schiuma la costa lungo il deserto e la risacca deve essere fortissima! Se non ci manteniamo a galla fin che fa giorno, rischiamo di fare tutti una brutta fine!»

10. Dice Pietro ai rematori: «Ma se fosse così, noi non dovremmo essere discepoli dell’onnipotente Signore Gesù! Ma poiché noi davvero lo siamo, allora la tempesta non avrà che poco o nessun potere contro di noi anche senza il continuo ed infruttuoso vogare! Non ci manca più tanto che faccia mattina e di giorno le cose miglioreranno di certo!».

11. A queste parole di Pietro i rematori smettono gradatamente di vogare ed osservano anch’essi che la navicella si mantiene a galla anche senza i loro sforzi e così anche gli otto rematori cominciano a credere che veramente la barca venga tenuta fuori pericolo per l’influenza del Mio potere. (Matt.14,25).

 

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Cap. 101

La prova di fede di Pietro

(Matteo 14,25-33)

 

1. Frattanto il tempo era entrato nella quarta veglia, e il vento si era alquanto calmato, quando Andrea, che stava esplorando con i suoi occhi eccellenti tutto intorno il mare ancora molto agitato, (Matt.14, 26) scorse improvvisamente un uomo che si avvicinava sulle onde del mare, come si trattasse di terra asciutta.

2. Allora egli chiamò i fratelli e li rese attenti di quella figura che si vedeva procedere sulle onde, dicendo: «Fratelli miei, questo non è un buon segno: è uno spettro dall’acqua! E quando questi spettri si mostrano, i naviganti non possono attendersi niente di buono!»

3. Questa opinione di Andrea fu subito condivisa da tutti e il fatto contribuì ad aumentare lo spavento, cosicché sorse un coro di grida di invocazione: «Oh, Gesù, perché ci hai abbandonati e perché lasci che noi si corra irrimediabilmente incontro alla rovina! Oh, se Tu sei ancora in qualche luogo, ricordati di noi e salvaci dal certo naufragio!»

4. E mentre i discepoli gridavano ancora ed imploravano aiuto, Io Mi avvicinai a dieci passi dalla navicella e dissi a quei terrorizzati: «Rassicuratevi! Sono Io, non temete!». Allora i discepoli tacquero. (Matt.14, 27)

5. Ed Andrea esclamò: «Per il cielo! Questi è Gesù, il nostro Signore e Maestro!».

6. Ma Pietro, agitato ancora da qualche dubbio, disse: «Se veramente è Lui, bisogna che mi comandi di scendere sull’acqua, affinché provi anch’io se i miei piedi vi si sostengono come i Suoi!»

7. Dice Andrea: «Ma se Egli ti chiamasse a Lui sul mare ancora sconvolto, avresti tu il coraggio di scendere sul mare agitato?»

8. Risponde Pietro: «Certamente! Io so bene che in questo punto il mare ha la sua maggiore profondità, ma se è Lui, nulla potrà accadermi di male, se invece non è Lui, allora si tratta di uno spirito burlone e noi saremo così perduti. Allora io non faccio che precedervi nell’abisso di qualche istante e potrò preparare per voi una nuova dimora!»

9. Detto questo, Pietro andò nel mezzo della navicella, sul punto più basso della fiancata e, sportosi fuori, gridò verso di Me: «Signore, se sei Tu, dimmi di scendere sull’acqua e di venire a Te! (Matt.14, 28).

10. Allora Io gli dico: «Vieni e persuaditi!».

11. E Pietro, fra le grida di spavento dei fratelli scese dal battello sull’acqua. Ma quando si accorsero che Pietro non affondava, ma che, invece, come Me, vi si sosteneva e muoveva dei passi, ogni dubbio dall’animo loro svanì ed ognuno credette che ero veramente Io.

12. Pietro però si era affrettato a venirMi vicino (Matt.14, 29). Ma, quando non si trovò che a sette passi da Me, osservò che il vento nuovamente si rinforzava, spingendo dinanzi a sé alte onde. Allora fu di nuovo colto da grande timore, cominciò a pensare che le onde avrebbero potuto sommergerlo, la sua forte fede lo abbandonò per un po’ e subito sentì che i suoi piedi affondavano e che l’acqua gli stava lambendo le caviglie. Allora, tutto angosciato, si mise a gridare: «Signore, salvami!». (Matt.14, 30).

13. Ed Io Mi avvicinai sollecito a lui, gli stesi la mano, lo trassi fuori e lo rimisi alla superficie dell’acqua che nuovamente lo sostenne, però subito dopo gli dissi: «O uomo di poca fede! Perché hai dubitato? (Matt.14, 31). Non sai tu ancora che la fede incrollabile può dominare tutti gli elementi?»

14. E Pietro rispose: «Signore, perdonami! Tu già vedi che io continuo ad essere un uomo debole; il vento e le onde che venivano verso di noi mi hanno fatto paura!»

15. Io dissi allora: «Tutto è di nuovo in ordine. Eccoci oramai al battello; saliamovi dunque»

16. Dopodiché salimmo sul battello e nello stesso istante l’uragano cessò. (Matt.14, 32).

17. E tutti coloro che erano a bordo, discepoli e battellieri, si precipitarono verso di Me e vi fu un coro unanime di lode e di gloria e tutti dissero: «Soltanto ora ci siamo resi conto che Tu sei veramente il Figlio di Dio!». (Matt.14, 33).

18. Ed il Mio diletto Giovanni Mi abbracciò e Mi strinse al cuore con grande effusione ed esclamò: «Oh, mio caro Gesù! EccoTi di nuovo finalmente con noi! Ora tutto il nostro spavento è svanito! Ma Tu non lasciarci mai più, perché la cosa più terribile è essere senza di Te! In verità, io non ho mai provato tanta angoscia e spavento quanto questa notte e non potrò mai più in vita mia dimenticarmi di questa traversata notturna! L’uragano ora può sbizzarrirsi come vuole intorno a noi, perché il Suo padrone si trova in mezzo a noi ed Egli può comandargli di cessare, ed esso deve obbedire alla voce dell’Onnipotente!».

 

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Cap. 102

Arrivo nella città libera di Genezaret.

(Matteo 14,34)

 

1. Allora dico Io: «Che voi Mi vediate o che non Mi vediate, Io tuttavia sono sempre presso di voi, poiché se voi credete in Me e confidate e sperate nel Nome Mio e veramente Mi amate, Io dimoro continuamente presso di voi e Mi trovo sempre in mezzo a voi; ma se qualcuno dubita di Me, allora Io non sono presso di lui, anche se egli Mi vedesse saldamente al suo fianco.

2. Venendo però agli avvenimenti di questa notte, il fratello Bartolomeo ha fatto molto bene ad aprire gli occhi, particolarmente a Giuda, riguardo all’essenza degli esseni. È vero per lui ne risulterà poca salvezza, ma tanto più invece per voi altri! Infatti Giuda si compiace di tali esibizioni fraudolente e pensa: «Se non mi riesce di imparare l’arte dei miracoli da Gesù, allora io me ne vado dagli esseni! Infatti egli è e resta un avaro e 10 libbre d’oro per lui hanno maggiore valore di tutte le verità più celesti e, per giunta, della vita eterna! Se oggi Erode gli facesse una cospicua offerta, egli ci tradirebbe e ci venderebbe tutti! È molto difficile che questa Terra lo correggerà un giorno!

3. Dunque, per l’uomo, rispetto alla vita eterna, non vi è niente di più pericoloso dei grandi tesori di questo mondo! E perciò può forse giovare all’uomo anche il possesso di tutti i tesori di questo mondo, quando ne viene danneggiata completamente la sua anima? Quando meno se lo aspetterà, la sua anima già sarà tolta e sarà confinata fra le tenebre, dove non c’è che pianto e stridore di denti! A che cosa gli gioveranno poi tutti i suoi tesori?

4. Dunque, ognuno di voi faccia invece tesoro dei beni dello Spirito, i quali né la ruggine né le tignole possono intaccare: così facendo voi avete per l’eternità delle ricchezze vere a profusione!

5. Guardate: qui in fondo al mare giace sepolta già più di una nave ben carica, assieme al proprio padrone ed ai marinai! Quale guadagno hanno fatto coloro che volevano realizzare grosse somme sui mercati? Una tempesta ha segnato la fine di tutte le loro fatiche e del loro vano arrabattarsi e le loro anime sono state sepolte insieme nell’abisso!

6. Voi, invece, sul vostro battello, che durante tutta quanta la notte ha dovuto lottare con una terribile tempesta, non avete fatto altro che caricare i tesori indistruttibili per lo spirito e per la vita da Dio ed ecco, la tempesta, nonostante tutta la sua violenza scatenata, non ha avuto il potere di precipitarvi nell’abisso ed Io sono venuto a voi camminando con i piedi Miei sulle onde infuriate appunto per dimostrarvi con i fatti che colui il quale porta in sé solo i tesori eterni del Cielo si solleva facilmente al di sopra dalle furiose tempeste e dell’ondeggiare pazzo del mondo e può procedere incolume e sicuro per la sua via, restando pur sempre un dominatore di tutti i tumulti e delle avversità mondane.

7. Ma se qualcuno carica invece la navicella della propria vita con i tesori del mondo e la tempesta lo sorprende sull’ondeggiare delle sue preoccupazioni mondane, allora nave e barcaiolo periranno assieme! Avete voi ora ben compreso tutto ciò che vi ho detto?»

8. Tutti rispondono: «Sì Signore! Tutto quanto ci hai detto è chiaro, comprensibilissimo e quanto mai vero!»

9. Dico Io, per concludere: «Orbene, allora adesso navighiamo verso la cittadella di Genezaret e verso il piccolo territorio libero che dalla città prende il nome!».

10. I rematori allora si rimisero all’opera e noi approdammo a circa mezz’ora da Genezaret. (Matt.14, 34). Verso la città il mare formava una grande insenatura ed era congiunto con questa solamente da una specie di canale largo appena dieci tese e perciò anche questa insenatura veniva designata espressamente come il “mare di Genezaret”. Noi scendemmo a terra a sinistra dello stretto, presso l’imboccatura, perché i battelli che volevano inoltrarsi per entrare nel mare di Genezaret erano tenuti a sborsare una tassa d’entrata.

Dunque, noi ormeggiammo lì la nostra barca e vi lasciammo soltanto due marinai per custodirla, mentre gli altri sei vennero con noi in città, dove comperarono pane, sale e un po’ di vino, di cui avevano molto bisogno dopo le fatiche della nottata.

11. Io però benedii le poche provvigioni acquistate, affinché potessero bastare per tutti per diversi giorni.

12. A Genezaret Io mi trattenni parecchio tempo, essendo questa città libera si poteva essere sicuri contro qualunque attacco tanto da parte di Gerusalemme che del Tempio e tanto di più da parte di Erode, perché questa località si trovava sotto l’immediato e severo controllo dei romani, i quali vi tenevano un campo militare permanente, sottoposto al comando di Cafarnao. Queste cose non appaiono narrate in nessuna Scrittura, perché di secondaria importanza; nonostante ciò se ne fa menzione qui per essere precisi nella narrazione.

 

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Cap. 103

Il Signore con i Suoi presso l’albergatore Ebal.

 

1. Giunti che fummo in città, entrammo in un albergo che era tenuto da un galantuomo di nome Ebal.

2. Questi ci fece un’accoglienza quanto mai amichevole e disse: «A giudicare dall’aspetto e dal vestito, voi siete dei galilei dei dintorni di Nazaret!». Noi gli confermammo ciò ed egli ci fece allora portare subito del pane, del vino e della pescagione ed aggiunse: «Per tre giorni e per tre notti siete miei liberi ospiti, senza alcuna spesa! Ma se voi siete nazareni, potrete allora darmi qualche precisa informazione sul conto del famoso medico Gesù, che si dice guarisca miracolosamente tutte le malattie, ed io vi offrirò ospitalità finché vivrete e potrete mangiare e bere da me quanto e come volete!

3. Se nei riguardi del famoso Gesù le cose stanno veramente così, io voglio fare ogni sforzo possibile per trovarLo e portarLo qui, magari accompagnandoLo ginocchioni! Infatti il nostro piccolo, ma libero territorio che ha tanto del buono, ha tuttavia continuamente l’inconveniente che vi regnano ogni specie di malattie maligne. Queste malattie non sono in genere tanto di natura mortale quanto piuttosto tenaci e fastidiose e non si può liberarsene!

4. Oh, se fosse possibile far venire qui questo guaritore, per Jehova, io non so davvero cosa sarei disposto a dare e a fare! Io stesso ho qui un grande caseggiato adibito ad albergo, il quale è pieno di forestieri ammalati, che non possono muovere passo dai dolori e molti sono di paesi ben lontani; ce ne sono perfino di egiziani, persiani ed indiani e non è neppure il caso di pensare a rimettersi in viaggio! Così pure si trovano da me dei farisei e degli scribi di Gerusalemme e due fratelli esseni, anch’essi infermi e per quanti medici siano venuti da tutte le parti ed abbiano provato ogni cura, non è stato possibile liberarli dal male! 

5. Dunque, se vi è possibile far venire qui questo Gesù di Nazaret, o se potete almeno dirmi dove posso trovarLo, allora, come vi ho detto, voi sarete miei ospiti fino a che vivrete!»

6. Gli dico Io: «Ma perché non hai mandato già da tempo qualche messo a Lui, poiché sapevi che Egli si era fermato a Nazaret?»

7. Risponde Ebal: «Questo l’ho fatto, non una, ma parecchie volte, ma finora purtroppo non ho avuto ancora mai la fortuna di udire i messi ritornati ad annunciarmi: “Lo abbiamo trovato!”. Essi riferirono bensì sempre innumerevoli meraviglie su di Lui, per averle intese a raccontare da altri, ma essi stessi non hanno ancora mai avuto la buona sorte di fare la Sua personale conoscenza»

8. Allora dico Io: «Ebbene, poiché Io vedo che nei riguardi del medico e Salvatore Gesù non ti anima alcun interesse egoistico e che in te c’è veramente soltanto la brama di procurare aiuto ai sofferenti di qualunque nazione essi siano, ciò che, del resto, Mi ha indotto anche a venire da te, sappi a tua consolazione e gioia che sono appunto Io quello stesso Gesù, il Quale hai tante volte cercato invano e che in questo stesso istante tutti i sofferenti che sono presso di te sono liberati dai loro mali! Manda ora i tuoi servitori all’albergo e dì loro di riferirti se vi è là ancora qualche ammalato!

9. Ed Ebal, quasi fuori dalla gioia, esclamò: «Maestro, se Tu Lo sei, lo credo alla Tua Parola e non mi occorre di informarmi più oltre! Oh, Tu Lo sarai senz’alcun dubbio e non so proprio come già ora ringraziare e glorificare Dio abbastanza per questa inaspettata e immensa benedizione che Egli ha riservato alla mia casa! O Maestro, grande e divino Maestro! Comanda come vuoi per Te e per i Tuoi, perché ormai sei Tu l’assoluto Signore in questa casa! Tutto quello che è qui deve adeguarsi alla Tua Volontà!».

10. E mentre ancora parlava così, dal suo grande albergo venne già la notizia che gli ammalati, in numero di duemila circa, si erano d’improvviso trovati perfettamente guariti! Certamente doveva essersi verificato un miracolo, altrimenti la cosa non sarebbe stata né possibile né spiegabile! I guariti sarebbero venuti fra breve in persona dal padrone dell’albergo, per manifestargli con parole e con fatti la loro sentitissima gratitudine!

11. Ebal però dice: «Andate e dite loro che anzitutto non c’è bisogno di tutto questo e che poi a me non compete nessunissimo ringraziamento, ma che ogni gratitudine e lode spetta a Dio soltanto, il Quale nella Sua grazia ha mandato nel nostro paese il meraviglioso Salvatore! Chiedete ai ricchi un modesto compenso per voi quale spesa dell’alloggio, ma non siate eccessivamente esigenti con nessuno! Quelli del paese, però, siano esenti da ogni spesa!».

12. A queste parole coloro che hanno portato la notizia si allontanano e fanno come il loro padrone ha ordinato.

13. Poi Ebal si rivolge a Me, si prostra ai Miei piedi e fra copiose lacrime di gioia Mi ringrazia per il beneficio miracoloso elargito alla sua casa.

14. Io però lo invito ad alzarsi ed a presentarMi le sue mogli ed i suoi figli! 

15. Ed egli va subito e fa secondo la Mia richiesta.

16. E quando egli fu di ritorno con le sue due mogli ed i suoi sedici figli, di cui dieci maschi e sei femmine, disse: «Ecco, Tu vedi in me ancora un vero israelita! Come Giacobbe, il nostro progenitore, si prese un giorno Lea e Rachele per mogli e generò figlioli con entrambe, così mi sono preso anch’io due mogli, le quali però non sono sorelle ed ho avuto con la più anziana i dieci ragazzi e con la più giovane sei fanciulle, ma, come vedi, ormai i dieci ragazzi sono diventati uomini robusti, mentre le sei fanciulle, anch’esse tutte oltre i dieci anni, saranno presto giovinette in pieno fiore. Io ora, però, conto settant’anni.

17. Tutti questi figli sono stati allevati secondo la Scrittura, e il mio figlio più anziano è un dottore della Legge, ma non già per stare al servizio del Tempio, bensì soltanto per se stesso ed un giorno per i suoi discendenti. Però, anche tutti gli altri miei figli conoscono bene le Scritture, sanno qual è la Volontà pura di Dio e sono stati sempre tenuti a vivere secondo quanto essa prescrive. Essi amano Dio, ma in pari tempo Lo temono, perché il timore di Dio è il principio di ogni sapienza. Da me le vere massime di sapienza di Gesù di Sirach vengono rigidamente applicate. Sei Tu, o grande Maestro, contento degli ordinamenti di casa mia?».

18. Dico Io: «Secondo le usanze finora vigenti gli ordinamenti di casa tua non sono passibili di alcuna critica ed io non proibisco a nessuno di prendersi due, tre ed anche più mogli, perché la donna è stata creata per la procreazione degli uomini ed una donna sterile agli occhi di Dio non è gradita, a meno che essa non sia sterile di sua natura, cosa questa che non può essere imputata a colpa di nessuno.

19. Però, d’ora in poi, ciascun uomo non prenda in moglie che una sola vergine od una vedova ancora in stato di poter concepire, poiché, se fosse stata Volontà di Dio che l’uomo dovesse avere più di una donna certo Egli avrebbe creato ad Adamo più di una sola donna. La Volontà di Dio invece fu che ciascun uomo avesse una donna soltanto, quindi pure ad Adamo non diede che una sola donna.

20. Che gli uomini poi si siano scostati da questa prima legge – ciò che particolarmente fra i pagani è degenerato spesso nel male e nel vizio, visto che qualche principe si è preso in moglie addirittura tutte le più belle fanciulle del suo regno e ne ha comprato in aggiunta molte altre ancora da principi stranieri –, tutto ciò non fu mai Volontà di Dio, ma quella degli uomini sensuali, perché molte delle mogli di un principe o di un altro ricco non erano certo donne destinate alla procreazione, ma unicamente al sollazzo dei sensi, per tentare di ridestare la virilità decaduta e il piacere che potevano provare. Ma a questo modo l’uomo non vive più del tutto conformemente all’Ordine divino, poiché non rispetta la legge originaria di Dio.

21. Ora tutt’altro sarebbe se la donna fosse sterile, come un giorno fu il caso di Rachele, allora, certo, l’uomo può prendersi anche una seconda moglie e suscitare in lei la propria discendenza. Tuttavia, nel tuo caso, tutto è in pieno ordine, la tua volontà ed i tuoi intendimenti sono stati sempre onesti e perciò graditi a Dio, dunque, tu sei giusto dinanzi a Dio ed a gli uomini, altrimenti Io non sarei venuto in casa tua!».

 

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Cap. 104

Il Signore benedice la famiglia di Ebal e rimprovera gli esseni.

 

1. Dopodiché Io benedii i figli e le due mogli di Ebal come una donna sola, perché ambedue erano di un sentimento e di un cuore soli e né litigi né discordie erano mai venute a turbare l’armonia che regnava tra di loro. E dopo la benedizione congedai le due donne ed i sedici figli e dissi ad Ebal: «Tu puoi essere davvero contento dei tuoi figli, perché non ce n’è uno che sia né spiritualmente né fisicamente guastato. Tutti scoppiano di salute ed i loro cuori, ancora limpidi come il cristallo, sono traboccanti di rettitudine e di obbedienza; le tue due mogli poi hanno un aspetto ancora assolutamente giovanile! Sembra che sulla tua casa l’aria perniciosa di questa regione non abbia alcuna influenza!».

2. Risponde Ebal: «È vero, per coloro che nascono qui, l’aria e l’acqua sono del tutto innocue, ma non così per gli stranieri, perché basta che qualcuno si trattenga qui talvolta anche due giorni soli, perché poi cada ammalato così gravemente da non poter abbandonare il letto non di rado per un anno intero! Però, una volta superata la malattia, egli può continuare a restarsene qui quanto vuole, senza temere ricadute.

3. Ma, tutto sommato, è una vera sciagura per questo paese! Soltanto con grave stento si possono avere qui dei lavoratori, mentre i viaggiatori forestieri, se proprio non hanno affari particolari, evitano questa località come la peste! Di quelli poi che assolutamente devono venirci, più della metà di sicuro si ammala. Così pure due terzi buoni dei soldati romani qui di guarnigione sono infermi e non c’è medico che sia capace di guarirli! Dopo uno e qualche volta anche appena dopo due anni, il male svanisce da sé, e poi rimangono sani.

4. Ma la cosa più strana di tutte è che non ne vengono colpiti mai due dallo stesso male! Ad uno viene la febbre, ad un altro un’eruzione maligna, un terzo viene colto da dissenteria, un quarto ancora da una tosse acuta e così, di seguito, in ciascun dei colpiti il male assume un differente aspetto e nessun medico riesce a vederci chiaro! Infatti, nel nostro piccolo paese c’è un numero assai grande di tormentati dalle più svariate malattie e non si può aiutarne alcuno. La mortalità, nonostante ciò, è minima, a dire il vero, ma tanto più grande è il numero dei sofferenti.

5. Forse a Te sarebbe anche possibile guarire tutti gli ammalati, e indicarmi poi qualche rimedio per tutto il paese, che, impiegato opportunamente, potrebbe difendere le persone dagli attacchi delle malattie che affliggono questa regione?».

6. Gli dico Io: «Siccome Io Mi tratterò qui ad ogni modo per diversi giorni, gli ammalati che ci sono in paese verranno bene informati che Io Mi trovo qui e di ciò s’incaricheranno senza dubbio i guariti di oggi! Coloro che verranno, saranno anche aiutati, a coloro però che non verranno, l’aiuto non sarà dato, poiché in tutto il paese non c’è nessuno che sia così tanto ammalato da non poter fare la strada fino a Me!» 

7. Dice Ebal: «Se a Te fosse gradito, o mio divino Maestro, io potrei anche inviare dei messi per tutto il paese»

8. Gli dico Io: «Non darti alcuna pena, essi verranno a saperlo dappertutto abbastanza presto!»

9. Poco dopo ecco presentarsi parecchi dei guariti, tra i quali dei farisei e degli scribi da Gerusalemme e due fratelli esseni, per renderMi grazie per la guarigione e possibilmente per apprendere da Me come riuscivo a sanare gli ammalati così immediatamente, grazie alla sola parola!

10. Ma Io non feci con loro troppi ragionamenti e dissi semplicemente: «Cosa andate cercando? Le vostre aspirazioni si concentrano esclusivamente nel mondo e nella sua materia, che sola è da voi ritenuta preziosa, qui invece si tratta di cosa spirituale pura! Ora voi non avete ancora mai compreso che cosa sia la materia, come volete, dunque, comprendere ciò che è spirituale puro, e del tutto particolarmente voi esseni, che andate predicando ai vostri seguaci la fede in un Dio e nella risurrezione e che con il sacrificio di molto oro operate pretesi miracoli, per guadagnare con ciò aderenti alla vostra cieca dottrina! La massima vostra è: “È bene ingannare e mentire all’umanità con buone intenzioni se la si vuole rendere felice, perché la verità uccide il benessere degli uomini di questa Terra!”.

11. Ma se il vostro mezzo per rendere felice l’umanità è la menzogna, che senso ha che voi ora sentiate da Me la verità? Per la conoscenza del Regno di Dio sulla Terra vi manca tutto e siete gli ultimissimi, mentre invece dovreste essere assolutamente i primi! In verità vi dico che se voi restate come ora siete, non avrete in eterno mai parte alcuna al Regno di Dio!

12. A che vi giova la vostra buona volontà di procurare agli uomini una felicità terrena mediante l’inganno e la menzogna, quando con ciò recate morte alle anime dei ciechi?

13. La Mia massima invece è questa: “Salvare l’anima anche con il sacrificio del proprio corpo e di tutta quanta la sua felicità terrena ed a questa preparare una vita vera ed eterna!”.

14. Ora quali saranno e dovranno anche infallibilmente essere le condizioni della vostra anima nell’aldilà, quando tra i vostri giudici siederanno anche tutti coloro che avrete ingannato? Voi certo non credete che questo accadrà, eppure tutto accadrà precisamente così come ora Io vi ho detto.

15. Ma se voi non volete credere alle Mie parole, credete almeno alle Mie opere che vado facendo e che prima di Me non sono state fatte da nessun uomo!

16. Però, se le Mie opere sono buone e vere e rendono testimonianza delle Mie parole, dovranno pur essere buone e vere anche le Mie parole!

17. Nessuno può raccontarvi quello che avviene nell’India, se non colui che vi è stato e che da là è ritornato a voi e così pure nessuno può, con cognizione di causa, dirvi cosa c’è nell’aldilà, se non Colui che vi era e che da lì se ne è venuto a voi; ora questo Colui sono Io!

18. Chi crede alle Mie parole, costui avrà la vita eterna, ma chi non vi crede trapasserà nella morte eterna! Infatti le Mie parole non sono come quelle di un uomo di questa Terra; esse sono Vita e danno Vita a chi le accoglie nel proprio cuore e che ad esse conforma le proprie opere, secondo il suono della parola e secondo il suo spirito che tutto vivifica!

19. Le vostre parole, invece, che voi esseni andate predicando al popolo, non sono che menzogna e inganno, perché voi stessi non credete a quello che insegnate! Sono due le dottrine che voi avete: una per il popolo, ed una molto differente per uso vostro, della quale fra di voi sostenete che è la vera, ma di cui il popolo non deve sapere niente, affinché possa restare tranquillo e felice in quella che voi ritenete sia una menzogna.

20. Ma Io vi dico che con la supposta menzogna da voi propinata al popolo date a questo molta più verità che non a voi stessi! Infatti quello che voi ritenete essere verità è completa menzogna, mentre quello che insegnate al popolo è invece menzogna soltanto a metà ed è anche per questa ragione che voi siete stati tollerati da parte di Dio.

21. Insegnate, dunque, in avvenire la verità e credeteci voi stessi; così sarete lavoratori degni di ricompensa nella vigna di Dio, ma è necessario che la menzogna e l’inganno siano banditi da voi per tutti i tempi e non dovete mai più farne uso, altrimenti sarete sottoposti a una dura sentenza il giorno del Giudizio!»

22. Dicono i due esseni: «Maestro! Noi dobbiamo riconoscere che le tue parole sono giuste e, per quanto riguarda noi due, faremo ogni tentativo ed ogni sforzo possibile, perché possano trovare accoglienza nella nostra grande compagnia, ma un successo non possiamo garantirlo. I nostri fratelli non sono affatto dei barbari, a porte chiuse si può parlare in tutta libertà con la sicurezza di essere benevolmente ascoltati, però che una suscitata discussione possa anche avere qualche effetto, questo è tutto un altro problema! Noi due parleremo e siamo già fin d’ora più che sicuri che le nostre parole saranno ascoltate con la massima attenzione!».

23. Allora dico Io: «Fate voi quanto è in vostro potere e Dio non mancherà di fare, da parte Sua, la Sua parte. Accogliete la verità intera e questa vi renderà liberi per l’eternità!».

24. Dicono i due esseni: «Signore e Maestro, voglia Tu permetterci di trattenerci qui finché Tu vi rimarrai!».

25. Ed Io rispondo: «Voi siete del tutto liberi e potete rimanere qui quanto vi piace».

 

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Cap. 105

Il Signore dà al comandante romano suggerimenti vitali.

 

1. I due furono soddisfatti di questa decisione ed Ebal venne ed invitò Me ed i Miei discepoli al pranzo che egli aveva fatto preparare abbondantemente per noi, ma, all’infuori della sua famiglia, nessun altro ospite straniero era stato invitato alla sua mensa. Questo fatto indispettì i farisei che si trovavano là, perché nella loro boria erano abituati a venir considerati i primi dappertutto e come tali ad essere riveriti da tutti. Essi erano stati bensì serviti molto propriamente in un’altra sala, ma tuttavia non erano contenti, essendosi accorti che Ebal dedicava molto più premure a Me, che non a loro. Perciò, finito il pranzo, essi interpellarono uno dei servitori di casa e gli chiesero se forse il padrone avesse ritenuto la loro compagnia troppo poco rispettabile, dato che non aveva invitato anch’essi alla sua mensa.

2. Però il servitore era prudente e rispose: «Il padrone aveva molte cose ancora da trattare con il medico miracoloso, in rapporto ai numerosi ammalati e per questo ha voluto restare solo con Lui!».

3. Osservano i farisei e gli scribi: «Non sapete, forse, tu e il tuo padrone, che in ogni casa dove noi entriamo ogni segreto deve esserci svelato? Infatti siamo noi coloro che sono chiamati a purificarvi, qualora voi vi siate resi impuri, e così pure siamo noi che vi guariamo quando una malattia maligna vi tormenta!»

4. Risponde il servitore: «Ma se voi siete effettivamente tali apportatori di salute, perché non avete potuto aiutare voi stessi? Se il medico miracoloso da Nazaret non fosse stato portato da un buon vento qui, come per combinazione, la vostra violenta artrite non vi avrebbe affatto abbandonato e voi dovete soltanto al Suo potere di operare miracoli se adesso siete qui, in questa sala da pranzo, perfettamente sani! Ora mi pare che quando Uno ha un potere simile, spetti a quest’Uno, prima che a voi, ogni possibile distinzione!»

5. A questa risposta alquanto pepata del servitore, i farisei e gli scribi non replicarono alcuna parola e si dimostrano soddisfatti, non però per convinzione, ma costretti dalla necessità ferrea della logica!

6. All’approssimarsi della sera, dalle abitazioni della città e delle immediate vicinanze si presentarono davanti alla casa di Ebal più di un centinaio di persone, che erano sofferenti di svariatissime malattie e mandarono a supplicarMi che Io li guarissi ed Io uscii a loro e con la semplice parola li risanai tutti!

7. Ed essi proruppero in esclamazioni di lode e di benedizione a Dio, che aveva concesso all’uomo una tale potenza e poi con grande letizia fecero ritorno guariti alle loro case.

8. Ma a sera fatta venne anche un capo militare che in quella località comandava la guarnigione e, presentatosi a Me, Mi chiese se potevo venire in soccorso anche dei molti suoi soldati che giacevano infermi!

9. Io gli dissi: «Va’ pure e sia fatto secondo la tua fede!».

10. Ed il comandante ritornò all’accampamento e trovò che non c’era più un solo soldato che fosse ancora ammalato. Allora egli tutto lieto, rifece la strada e venne di nuove a Me, portando con sé dell’oro e dell’argento che volle offrirMi come compenso delle Mie prestazioni!».

11. Però Io Mi rifiutai di accettare quel denaro e dissi al comandante: «Amico Mio, Io non curo nessuno per i tesori di questo mondo, bensì soltanto per quelli che sono del Cielo e questi si chiamano in primo luogo una viva fede ed in secondo luogo un vero e disinteressato amore a Dio ed al prossimo, di qualunque condizione quest’ultimo sia!

12. Tratta amorevolmente i tuoi subordinati, come se fossero i tuoi veri fratelli e non essere troppo duro con loro, così facendo tu Mi avrai dato la ricompensa più preziosa che Io possa attenderMi da te! Ma l’oro e l’argento che volevi offrire a Me dalli ad Ebal, perché il suo albergo è causa per lui di forti spese ed è buona cosa che esso sia mantenuto.

13. Sarebbe però soprattutto una cosa buona se voi romani in avvenire voleste erigere, al posto dei molti templi agli idoli, degli alloggi per i poveri, poiché i vostri dèi di legno, di metallo e di pietra sono figure morte, fatte da mani umane. E voi potete giacere in ginocchio davanti ad essi per anni, e tuttavia essi non potranno aiutarvi, perché sono morti. Se invece mantenete i molti poveri, malati, invalidi, storpi, paralitici, ciechi e sordi in alloggi ben attrezzati, e cercate di procurare la guarigione a tali malati, allora l’unico, vero e vivente Dio guarderà le vostre buone opere, e per esse vi benedirà molte volte. Ma i vostri dèi morti non vi benediranno per il bene che fate, e non vi puniranno per il male.

14. E quando voi vi date gran pena per mantenere fermi nel vostro Impero il diritto e l’ordine, dovete fare ricorso alla spada ed alla lancia, ma allora siete costretti a fare, con le armi alla mano, quello che farebbe Dio per voi, qualora Lo riconosceste ed osservaste i Suoi comandamenti».

 

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Cap. 106

L’esperienza del mondo del comandante romano.

 

1. Dice il comandante: «Caro amico! Io riconosco molto bene che Tu dici il vero e che dovrebbe essere così come Tu, con tutta sapienza e profondo senso di umanità, mi hai detto, ma il mondo degli uomini è come un torrente impetuoso, dove è molto difficile nuotare contro corrente. Chi mai vi ha provato in qualche luogo, è stato travolto dai vortici poderosi. Una cosa simile può essere provata e tentata soltanto in quei luoghi piccoli e tranquilli dove il torrente non arriva con la sua furia devastatrice, ma chi volesse gettarsi nel mezzo della corrente sarebbe perduto!

2. E così, amico mio, Ti è facile predicare la verità in una pacifica cittadella dove la gente è malleabile e docile e non ha ancora respirato l’alito pestilenziale dei grandi raggruppamenti di uomini del mondo sontuoso, ma va’ a Roma od a Gerusalemme e se Tu non sei assolutamente un Dio, dovrai quanto prima aspettarti e vedere quanto affilata è la spada dei potenti della Terra, com’è toccato a Giovanni di Bethabara, che il re Erode ha fatto decapitare nella prigione.

3. Vedi, questo Giovanni era certo un uomo il quale, a prescindere assolutamente da qualsiasi mira di utile terreno e vivendo di una vita di continue rinunce, diceva in faccia agli uomini, con eloquenza irruente, le verità più nude e gli uomini a migliaia accoglievano la sua dottrina davvero infiammata da uno spirito divino, facevano spontaneamente penitenza e si convertivano al bene. Ma quando egli, saranno ora circa due lune, abbandonò Bethabara, come mi venne raccontato e cominciò a predicare ed a battezzare al grande Giordano, nelle vicinanze di Gerusalemme, non passarono che pochi giorni e già gli sgherri di Erode gli furono addosso e lo gettarono in prigione, nella quale soltanto pochi suoi discepoli, i più abbienti, poterono qualche volta andarlo a visitare in cambio del pagamento di una certa tassa, prima della sua decapitazione, di cui ho avuto notizia un paio di giorni fa. Adesso i suoi discepoli certamente possono bensì, in segreto, diffondere la dottrina ricevuta da lui fra i loro conoscenti e parenti e questi potranno a loro volta diffonderla ai loro figli, ma, in verità, è un problema arduo quello di sapere se entro due secoli la sua dottrina si sarà mantenuta genuina come è uscita dalla sua bocca!

4. La nostra religione romana ha, senza alcun dubbio, l’identica origine di quella degli ebrei; anch’essa si fonda sull’idea di un solo Essere primordiale, al quale sono soggetti perfino tutti gli dèi, senza alcuna distinzione. Il mito ha conferito a questo Essere diversi nomi: i greci lo chiamano tuttora il Dio sconosciuto di tutti gli dèi, i romani lo chiamano invece il Fato, al quale sottostà ogni altra potenza.

5. Considera un po’ l’attuale patrimonio dottrinario-religioso dei greci e dei romani e non potrai trovarvi che un rafforzamento di storielle e di favole quanto mai insulse e che ad un uomo ragionevole non dicono proprio niente, tutte imbastite, qualche volta, con le briciole delle umane virtù, ma per la maggior parte con quelle delle passioni, delle debolezze e dai vizi umani e tutto questo viene inculcato all’umanità con la spada e con il fuoco, come una dottrina di Dio. Ma prova a fare altrimenti, se Ti è possibile! Da parte mia almeno non Ti verrà frapposto alcun ostacolo!

6. Ma il più bell’esempio lo hai nella Tua stessa legge mosaica. Leggi Mosè e considera il Tempio com’è ora e poi mi dirai se hai trovato ancora un rimasuglio della dottrina e della sapienza antiche! Si dice che Dio stesso, al popolo radunato nel deserto presso il Mar Rosso, abbia annunciato dall’alto del monte Sinai, tra tuoni e fulmini, le note leggi davvero salutari e che le abbia incise su tavole di pietra, suggellando l’antico patto fra Lui e il Suo popolo; coloro che osavano divenire dei rinnegati venivano immediatamente puniti in tutti i modi, perfino con la morte! Ma domando io, a che cosa è servito tutto ciò? Considera i misteri del Tempio che oramai si possono considerare senz’altro abominevoli ed essi stessi Ti forniranno la prova più evidente dalla loro perfetta nullità.

7. Dov’è la meravigliosa Arca dell’Alleanza, sulla quale la Divinità si posava, sotto forma di una colonna di fuoco?  Adesso, se sei cittadino romano ed hai voglia di offrire un po’ d’oro o argento al Tempio, potrai contemplare come arde una fiamma d’olio minerale, ma della miracolosa Arca dell’Alleanza non si trova più traccia.

8. Dunque, la mia opinione, per quanto non autorevole, è che non bisogna fare eccessivo calcolo di nessuna dottrina né della rivelazione divina. Per quanto nella sua origine possa essere pura, quando è nelle mani degli uomini viene ben presto tanto deturpata da assomigliare così poco all’originale, come un vegliardo di cent’anni può assomigliare alla propria immagine di quando era bambino appena nato. Il tempo e le molteplici passioni e necessità degli uomini convertono anche il più puro nell’impuro assoluto e la prova grande, inconfutabile a conferma di questa verità l’abbiamo nella storia di tutti i tempi e di tutti i popoli, cosa questa che non può venire negata da nessuno!

9. Ascolta ancora, amico mio, quantunque non mi passi affatto per la mente di sopravalutare tanto le mie esperienze da avere l’aria di farTi da maestro, tuttavia, ad esclusione delle Tue cognizioni certo profondissime nel campo delle misteriose forze naturali, credo di comprendere anch’io qualcosa nei riguardi migliori dell’umanità e perciò, da amico dell’uomo che certo sono, come Tu stesso lo sei, io Ti consiglio di fuggire più ancora della peste più micidiale le grandi città, dove l’umanità è già troppo corrotta fino nelle intimissime fibre, altrimenti i Tuoi piedi, apportatori della salute, non calcheranno per lungo tempo ancora il suolo di questa Terra!

10. Non Ti fidare dei farisei e dei sacerdoti della Tua religione e non farTi vedere che raramente in quelle contrade, dato che Erode esercita la sua signoria da vassallo, così Tu potrai a lungo operare a beneficio della povera gente! Ma se non tieni conto di tutto ciò, Ti troverai ben presto a dover condividere il duro destino di Giovanni! Infatti io sono in grado di conoscere dalle sue radici tutto il male indescrivibile di cui sono impastati oggi gli uomini del mondo! Togli oggi al governo di Roma la spada fuor di mano ed abroga le leggi più severe e già domani vedrai gli uomini, nei rapporti fra loro, ridursi peggio di un branco di tigri, orsi, lupi e iene! Gli uomini diventeranno tanti demoni e le donne altrettante furie!».

 

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Cap. 107

Cenni del Signore al comandante riguardo al Suo Essere ed alla Sua missione.

 

1. Dico Io: «Tu sei davvero una cara persona ed un sincero amico e tutto quello che hai detto corrisponde purtroppo a verità, cosicché, se Io fossi un unto della specie alla quale appartengono gli uomini della Terra, seguirei senz’altro il tuo consiglio, perché nel tuo petto batte un cuore onesto e virile. Ma Io invece sono tutto un altro uomo e tutto un altro essere da quello che tu pensi! Vedi, a Me devono ubbidire tutte le potenze del Cielo e della Terra e di conseguenza Io non ho nulla da temere! È bensì vero che la Scrittura troverà in Me amarissimo e penosissimo adempimento, non già però secondo la volontà di questo mondo, ma secondo la Volontà del Padre che è nel Cielo, il Quale ora è in Me, come Io sono, dall’eternità, in Lui! Ma non perciò il Mio potere sul Cielo e sulla Terra ne verrà minimamente diminuito! Infatti, se Io volessi, questa Terra, assieme a tutto che in essa e su di essa è, respira, vive e travaglia, si ridurrebbe in un attimo solo in polvere, ma, poiché il Mio principio è conservare, allora questa cosa non avviene!

2. Può certo accadere che per l’ira, l’astio e l’invidia del Tempio, Io venga accusato come sobillatore del popolo e come bestemmiatore di Dio e che di conseguenza venga appeso alla croce, ma tutto ciò non tocca la Mia potenza, che non potrà essere minimamente pregiudicata, né potrà essere di pregiudizio alla Mia dottrina fino alla fine di questo mondo.

3. È vero che gli uomini del mondo propriamente detti con l’andare del tempo faranno per lo più della Mia dottrina precisamente quello che gli egiziani, i greci e i romani hanno fatto della dottrina primordiale data ad Adamo ed ai suoi primi discendenti, però, accanto ai cultori delle diverse forme di idolatria, molti saranno che manterranno e coltiveranno la Mia dottrina e la Mia forza nello stesso grado di purezza, come ora escono dalla Mia bocca e con ciò possederanno anche la potenza che per la viva fede nella Mia parola sarà loro conferita nel tempo e nell’aldilà per l’eternità! Dunque, pure Io sono un Signore e perciò non temo nessun altro signore, né alcuna sua legge».

4. Dice il comandante: «Amico! Questo si chiama parlare molto in poche parole! Dopo quello di cui hai dato prova nella nostra città, potrei quasi credere che dovrebbe esserTi possibile quanto Tu dici, quantunque simili guarigioni, a parte le proporzioni senza paragone più grandiose dall’opera Tua, si siano, a quanto mi consta, già verificate qualche altra volta, perché è noto che certi fenomeni straordinari hanno una decisa influenza tanto nella salute fisica, quanto su quella animica dell’uomo, a seconda del suo temperamento. Così, per esempio, è già accaduto che un grande spavento abbia ridonato a qualche sordomuto tanto l’udito che la parola; potrei citarti un gran numero di tali casi, ma ora me ne manca il tempo.

5. Con ciò, per altro, a tagliare corto, voglio semplicemente dirTi che il Tuo modo di guarire, per quanto fuori dall’ordinario sia e per quanta gratitudine doverosissima esiga da parte nostra, non può tuttavia darmi la convinzione assoluta che perciò ogni potenza dei Cieli e del mondo non possano assolutamente nuocerTi! Io certo non intendo contestartene la possibilità, perché a Dio tutte le cose devono essere possibili, ma questo mi preme di accentuare, amico mio: “C’è un grande abisso tra la possibilità e la realtà!”. Quando avrò avuto modo di conoscerTi meglio, diverrò forse anch’io più forte nella fede.

6. Ma ora, o carissimo amico mio, devo pregarTi di non prendertela per le mie parole forse un po’ troppo presuntuose, perché io ho parlato così come comprendo, non con il cuore cattivo, bensì con un cuore di certo buono! Ed ora le mie incombenze d’ufficio mi chiamano altrove e non posso esimermi da tali doveri; però domani sono per tutta la giornata a Tua disposizione» 

7. Gli dico Io: «Se vuoi, puoi anche restare, poiché tutte le tue incombenze sono già state sbrigate a nome tuo!»

8. Dice il comandante: «Veramente la sera è abbastanza inoltrata e se non ci fosse chiaro di Luna, sarebbe già quasi notte. Io sarò subito di ritorno, prima, però, ad ogni modo bisogna che faccia una capatina al campo per vedere se le guardie notturne sono disposte in ordine».

9. Con queste parole il comandante abbandona in fretta la sala ed Ebal si dà a tesserne l’elogio, dicendo che funzionari simili se ne potrebbe trovare ben pochi e che Genezaret doveva stimarsi davvero fortunata di avere quale capo militare una persona tanto buona, ricca d’esperienza, avveduta quanto mai nella cerchia delle sue attribuzioni ed animata da un alto senso di rettitudine e di equità!

10. Dico Io: «Certo egli è come tu dici, ma ciò a grande vergogna degli ebrei, i quali posseggono la parola e le leggi di Dio, eppure hanno il cuore tutto colmo di menzogna, di inganno, di litigio, di ira, di adulterio e di ogni altra sozzura! E perciò accadrà che il Regno promesso a Davide, secondo la predizione di Daniele, sarà tolto ai giudei e sarà dato invece ai gentili e i discendenti del figlio di Agar signoreggeranno sui discendenti di Isacco, quantunque in questo tempo ogni salvezza a tutta la Terra provenga dal ceppo di Giuda»

11. Dice Ebal: «Maestro, come guaritore Tu sei migliore che come profeta! Io, in generale, non ho mai potuto comprendere e tuttora non comprendo la ragione per cui i profeti, senza eccezione, abbiano sempre nettamente predetto soltanto il male e proprio mai niente di bene! È questa una cosa che non può essere altrimenti, oppure i profeti credono di mantenere il prestigio della loro figura misteriosa solamente così, non facendo altro che annunciare agli uomini un castigo divino dopo l’altro?

12. Caro ed illustre Maestro, dai Tuoi discorsi io ho rilevato che Tu, oltre ad essere un medico meraviglioso, sei pure qualcosa d’altro e cioè un profeta pari ad uno dei quattro grandi, cosicché a Te sarebbe ben possibile fornirmi qualche chiarimento riguardo allo strano essere dei profeti! Come ho detto, i profeti sono sempre stati per me un enigma e perciò bramerei di apprendere da Te qualche cosa di più preciso sul loro conto!».

 

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Cap. 108

I rapporti di un profeta con Dio e con gli uomini.

 

1. Gli dico Io: «Un profeta è precisamente un uomo del tutto semplice e naturale ed afflitto da ogni genere di debolezze, come lo sei tu, ma siccome ha un cuore che comprende, nel quale né l’ira, né la vendetta, né l’invidia, né la superbia né l’adulterio o altre svariate forme di lussuria giungono a mettere salde radici, avviene che lo Spirito divino monda il suo cuore dalle multiformi scorie del mondo e quando questo cuore è così purificato, Dio vi riversa una Luce dai Cieli.

2. Ora, poiché il profeta facilmente riconosce che una tal Luce è una Luce dai Cieli, la quale si manifesta sempre in parole chiaramente percettibili, egli allora, ormai perfetto profeta, può enunciare esteriormente, per mezzo della voce della sua bocca, quello che in cuor suo sente in maniera precisa ed egli allora profetizza già a completa misura di profeta!

3. E quando la necessità si presenta, Dio incita la volontà del profeta a parlare e ad operare dinanzi al popolo, secondo quello che egli percepisce sempre nel proprio cuore e questa è allora una profezia o una predizione del tutto vera e genuina ed ha perfettamente il valore della parola divina pura, come se fosse stata annunciata direttamente agli uomini dalla bocca stessa di Dio.

4. Ma non perciò un simile profeta è dinanzi a Dio qualcosa di maggiore di qualunque altro uomo a cui questo dono manca del tutto, perché il profeta deve poi di suo proprio ed in modo assolutamente spontaneo voler fare pure lui quello che lo Spirito di Dio ha manifestato agli uomini per mezzo del suo cuore e della sua bocca; in caso contrario il giudizio viene anche su di lui precisamente così come viene su qualsiasi altro uomo, il quale intende sì la Volontà di Dio, ma conformemente non vi si attiene, e allora il profeta viene a trovarsi in condizioni peggiori di coloro che non sono profeti. Se un altro uomo, nella debolezza e nelle tenebre della propria anima, difficilmente crede a ciò che il profeta gli annuncia, egli avrà a sottostare ad un più mite giudizio, per non aver voluto credere a quello che il profeta gli ha detto, ma per il profeta non c’è alcuna scusa, come non c’è per colui che gli ha creduto, ma tuttavia per amore del mondo e dei suoi tesori non ha fatto come il profeta gli aveva ingiunto di fare.

5. Però anche il premio di un profeta sarà un giorno più grande di quello di un altro uomo, poiché un profeta deve sempre portare un carico sette volte maggiore in confronto a qualsiasi altro uomo preso a sé. Tutti coloro ai quali un profeta avrà parlato, tanto i buoni che i perversi, gli saranno nell’aldilà consegnati ed egli nel Mio Nome li giudicherà riguardo a ciascuna parola che egli avrà annunciato invano!

6. Ma chi nel Mio Nome ed in nome del profeta stesso accoglie un vero profeta ed ha cura di lui e gli è amico, costui un giorno riceverà anche premio di profeta e chi soccorre ed aiuta un profeta, così da rendergli meno grave il suo duro lavoro, costui ne avrà pure il premio di profeta. Infatti nell’aldilà i servitori del profeta saranno posti nello stesso gradino accanto al profeta e di conseguenza egli giudicherà pure gli spiriti soggetti al profeta e signoreggerà su di loro in eterno e il suo regno non avrà mai fine!

7. Guai a coloro però che abbandonano un profeta a causa del mondo e lo sospettano per questo o quello che ha detto o fatto! E ancora più guai a coloro che perseguitano un profeta, perché costoro difficilmente in eterno vedranno il volto di Dio! Perciò, chi mette le mani su un profeta, sia punito con il fuoco eterno nell’inferno più profondo! Infatti il cuore di un profeta è il cuore di Dio, e la bocca del profeta è la bocca di Dio, e così pure le sue mani, i suoi piedi, i suoi occhi e i suoi orecchi! Dove c’è un profeta, là c’è anche Dio, e perciò voi dovete varcare con reverenza profonda la soglia della sua dimora, poiché il luogo dove egli sta è santo. Tutto ciò è bene che venga osservato nel cuore, non già a causa del profeta, il quale non è che un uomo, ma a causa di Dio, il Quale dimora nel cuore del profeta ed in esso parla e rende testimonianza.

8. Che però un vero profeta sia per il mondo soltanto un annunciatore di continui giudizi, si spiega semplicissimamente con il fatto che Dio suscita un profeta soltanto quando l’umanità si è dimenticata di Dio e si è immersa nella palude di ogni vizio del mondo!

9. Ed ora, o Ebal, dimMi se sei in chiaro circa l’essenza del vero profeta!»

10. Dice Ebal: «Perfettamente, o insigne Maestro mio! Ma Tu stesso sei pure un profeta?».

11. Ed Io gli rispondo: «No, Io non sono profeta, poiché sta scritto che dalla Galilea non sorgerà mai alcun profeta! Ma Io sono di più di un profeta! Infatti nel Mio petto dimora appunto quello stesso Spirito il Quale per bocca dei profeti ha parlato e d’ora innanzi di più parlerà ancora. E in avvenire coloro che con sicura e seria fede porteranno il Mio Nome nel loro cuore in quei tali sarà anche insito lo Spirito profetico! Comprendi questa cosa?»

12. Dice Ebal: «Signore e Maestro! Io ho certo l’impressione che così come Tu parli non può parlare nessun uomo comune! In Te si cela qualcun Altro, che il Tuo mantello e la Tua epidermide non ci consentono di vedere!».

 

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Cap. 109

I profeti quali inviati di Dio e il divario tra la loro essenza e quella del Signore.

 

1. Mentre Ebal, nella cui mente cominciava a farsi una nuova luce, è ancora intento a mettere ordine nelle sue impressioni ed idee, ecco capitare di ritorno il comandante, il quale, tutto lieto e meravigliato, racconta come egli aveva trovato ogni cosa in perfetto ordine e come i suoi ufficiali subalterni erano rimasti stupiti di vederlo per la seconda volta, secondo quanto essi avevano detto, nonché di sentirsi domandare se tutto fosse in ordine, considerato che una mezz’ora prima egli stesso era stato lì per prendere le disposizioni opportune e per impartire gli ordini! Egli però si era tolto dall’imbarazzo dicendo che aveva voluto fare un’altra ispezione, per convincersi dell’esecuzione perfetta dei suoi ordini. Con ciò tutti erano rimasti soddisfatti, e non vennero più fatte altre domande.

2. Finito che ebbe il suo racconto, punto da grande curiosità per la stranezza del fatto, egli Mi chiese chi poteva essere stato quel suo secondo io, il quale aveva compiuto il lavoro al posto suo in maniera tanto lodevole!

3. Ed Io gli rispondo: «Ti ho pure detto prima che tutte le potenze dei cieli e tutte le energie della Terra sono ad ogni istante pronte ai Miei comandi! Tu però non potesti crederlo, ma ora sperabilmente crederai che Io non ho mai da temere in eterno la morte e che anch’Io sono un Signore il Quale ha qualche cosa da dire e da comandare!»

4. Risponde il comandante: «Signore e Maestro! Tu devi essere un Dio e la nostra teoria romana degli dèi non mi appare più tanto favolosa come prima, perché adesso io trovo in Te la prova più perfetta e vivente che ogni tanto un qualche Dio ha pur lasciato il Suo Cielo e per qualche tempo, ora in un modo, ora nell’altro, Si è rivelato ai Suoi figli e li ha arricchiti con ogni tipo di tesori spirituali e terreni affinché i mortali coltivassero la Terra, altrimenti desolata, così da poter essere resa atta ad offrire dimora anche agli dèi immortali! Ho ragione o no?»

5. Dico Io: «Questo che hai detto non è che un vano prodotto della fantasia, che si ammanta bensì di una certa veste poetica strettamente pagana, ma che non ha in sé nemmeno un barlume di qualche verità nel senso in cui tu comprendi la cosa.

6. Oh, se con la parola “Terra” tu volessi intendere le cognizioni e la volontà degli uomini, allora potresti aver ragione almeno in un modo ben corrispondente alla verità, ma le divinità, che non sono niente e non sono in nessun luogo, non hanno mai calcato la Terra in nessun luogo. Quegli uomini – attraverso la cui bocca lo Spirito di Dio ha parlato agli uomini della Terra e per mezzo della cui volontà molto spesso furono compiuti svariati miracoli – non sono dèi, ma profeti, dunque in sé e per sé dei semplici uomini come te e sono anche morti secondo la carne, certamente non però secondo l’anima e lo spirito.

7. Ma ora questo Spirito di Dio, per la prima volta, fa in Me la Sua apparizione esteriormente visibile su questa Terra! E questo è lo stesso Spirito del Quale tutti i patriarchi, tutti gli antichi saggi e tutti i profeti hanno ben spesso vaticinato nelle loro chiare visioni!»

8. Mentre Io rivelavo tali cose al comandante attonito, un servitore della casa entrò ed avvertì che fuori all’aperto c’era già di nuovo radunata una quantità di altri ammalati, i quali attendevano con ansia e chiese se Io volessi aiutarli.

9. Ed Io dissi al servitore: «Ebbene, va’ allora fuori e dì loro che facciano in pace ritorno alla loro patria!».

10. Ed il servitore uscì in fretta e non fu poca la sua sorpresa, quando scorse tutti coloro che prima si lamentavano ed imploravano davanti alla porta di casa muoversi allegri e sani fra grandi esclamazioni di gioia e rendimenti di grazie e di lode a Dio! Solo dopo qualche tempo egli poté annunciare ai guariti quello che Io gli avevo detto ed essi si ritirarono subito, dirigendosi nella loro patria.

11. Di questo fatto in casa si fece un gran parlare per due buone ore, però i particolari della conversazione possono qui venir omessi, essendo stati, nello spirito, del tutto simili a quelli dei discorsi seguiti al precedente atto di guarigione. Nel frattempo noi ci ristorammo con del pane e del vino e poi ci ritirammo a riposare. 

 

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Cap. 110

Il prato benedetto. La passeggiata sul mare.

 

1. Il giorno seguente, già di buon mattino, lo spazio davanti alla casa si trovò nuovamente tutto occupato da ogni genere di infermi.

2. Ed Ebal venne a Me e Mi pregò che Io volessi aiutarli, perché essi si accalcavano già così presso la porta di casa che nessuno avrebbe potuto né entrare né uscire. Egli aveva già scorto a qualche distanza il comandante, che tentava di farsi largo per entrare, ma la calca degli ammalati fittamente stipati glielo impediva!

3. Allora Io Mi recai nel vestibolo, levai le mani Mie sopra agli infermi e tutti, in un istante, furono risanati e proruppero in esclamazioni di giubilo, glorificando e lodando Dio nell’alto dei Cieli, che aveva concesso all’uomo tale potenza. (Matt.14, 35).

4. Io, però, imposi loro di tacere, di ritornare alle loro case e di evitare per il futuro il peccato! E tutti subito ubbidirono e si ritirarono.

5. Poi dissi ad Ebal: «Se durante la giornata venissero ancora molti in cerca di aiuto, che non si accampino sulla strada, bensì sul vasto prato oltre la strada e là troveranno la salute; ma coloro che si fermeranno sulla strada, non saranno soccorsi!». Io benedii poi il prato, affinché chiunque fosse ammalato e vi posasse il piede venisse subito risanato.

6. Ed infatti quel giorno da tutte le città, le borgate e i villaggi vennero parecchie centinaia d’infermi e non ce ne fu uno solo che non riacquistasse la salute.

7. I due esseni passavano di meraviglia in meraviglia ed i pochi farisei e scribi sentivano d’ora in ora crescere l’ira da cui venivano divorati, vedendo che tutta la loro considerazione diminuiva di ora in ora, fino a ridursi a niente, perché nessuno si curava più di loro ed i domestici di Ebal fecero perfino intendere loro a più riprese che la loro presenza in casa era completamente superflua e che sarebbe stato opportuno che ritornassero a Gerusalemme. Però essi non vollero accettare tale consiglio e così rimasero.

8. Dopo un po’ di tempo uno dei farisei Mi si avvicinò, per chiederMi se quel prato avrebbe conservato anche in seguito il suo potere salutare.

9. Ed Io risposi: «Soltanto per la giornata di oggi, fino al tramonto!»

10.Osserva allora il fariseo: «Perché non per sempre?»

11. Ed Io: «Perché vi sono certi uomini i quali anche troppo presto circonderebbero d’alte siepi e mura un simile prato e poi chiederebbero molto oro e molto argento a chi venisse per essere guarito, ma, siccome Io non voglio questo, così il prato manterrà la sua virtù fino a stasera, per il tempo cioè in cui la ressa degl’infermi sarà troppo grande. Domani, che ne verranno pochi per essere guariti, lasceremo che operi la sola fede per dare loro soccorso!»

12. A questa dichiarazione gli interroganti, pieni di livore, Mi voltarono le spalle e non Mi domandarono più niente durante tutta la giornata, in compenso con tanto maggior zelo si occupavano di Me i due esseni. 

13. Il comandante per questo fatto era già alquanto arrabbiato contro gli esseni ed avrebbe molto volentieri detto loro che avevano già abbastanza discusso con Me, tuttavia per amor Mio si fece forza e si trattenne.

14. Io però, al pomeriggio, indirizzai i due a Matteo ed ai Miei altri discepoli, fra i quali essi ben presto trovarono Bartolomeo ed essi ne furono particolarmente lieti, avendo ritrovato in lui un antico loro compagno. E fra i due ed i discepoli vi fu, fino alla mezzanotte, un grande discorrere riguardo alla Mia dottrina, alle Mie opere ed alla Mia Essenza divina.

15. Ma durante il pomeriggio Io feci, assieme al comandante, ad Ebal e la sua famiglia, una grande escursione al mare, dove gli otto barcaioli erano di tutta lena intenti a riparare la loro navicella, perché qua e là era alquanto malconcia. E quando fummo giunti da loro, ci accolsero con grande letizia e narrarono fra l’altro al comandante come Io avessi camminato sull’acqua durante la tempesta, poiché questo fenomeno non poteva cancellarsi dalla memoria e dall’animo degli otto.

16. E quando il comandante ebbe udito questo, Mi domandò come ciò fosse stato possibile!

17. Ed Io gli risposi: «Te l’ho già detto ieri quali forze sono a Me soggette e come esse devono obbedirMi; come dunque puoi tu ancora domandare? Del resto se ti fidi di posare i tuoi piedi sull’acqua ed Io lo voglio, vi potrai passeggiare sopra anche tu, a tuo gradimento, finché Io vorrò! Se a voi tutti piace la cosa, possiamo fare subito l’esperimento! Però, voi dovete bandire ogni dubbio dal vostro animo ed ora seguiteMi con fermezza e coraggio!».

18. Dice il comandante: «Andrebbe tutto bene, se almeno qui a riva il mare non fosse tanto profondo! Ma il terreno invece si inabissa immediatamente in linea perpendicolare, a profondità che quasi non si possono misurare! E se a qualcuno, per combinazione, riesce male il primo passo, c’è il pericolo che vada a finire lì sotto dove hanno dimorano i grandi tritoni e salamandre!»

19. Gli dico Io: «Oh uomo di poca fede, credi forse che Io Mi azzarderei a fare il temerario, se non sapessi Chi Io sono e quante cose devono essere soggette alla Mia Volontà? Chi di voi ha coraggio e fede, Mi segua!».

20. Detto ciò, Io salii sulla superficie del mare e l’acqua Mi sostenne come fosse stata terreno solido. Così Mi allontanai di dieci passi dalla riva, Mi volsi ed invitai la compagnia a venire da Me, ma nessuno si fidava.

21. Allora chiamai la più giovane delle figlie di Ebal, che aveva dodici anni e la fanciulla si fece coraggio e posò da principio un piede solo sull’acqua, con molta prudenza, ma poi, convintasi che l’acqua non cedeva, anzi offriva resistenza come il terreno, cominciò subito, allegra e vivace, a saltellare fino a che Mi ebbe raggiunto e la sua gioia fu grande, vedendo che l’acqua la sosteneva.

22. Dopo la fanciulla, anche gli altri provarono, eccezion fatta per il comandante, e tutti si trovarono ottimamente sulla superficie dell’acqua che certamente in quel momento era tranquillissima. 

23. Allora il comandante, al colmo della meraviglia, ma tuttavia già alquanto incoraggiato, Mi domandò: «E come andrebbe, se scoppiasse un temporale?».

24. Gli dico Io: «Vieni e persuaditi!».

25. Finalmente anch’egli decise di tentare l’avventura e posò un piede sull’acqua ed essendosi persuaso che questa non cedeva, con molte cautele vi mise su anche il secondo, poi, cercando di farsi leggero con il trattenere perfino il respiro, fece dieci passi fino a Me e fu quanto mai felice di trovarMisi accanto su quel suolo che prima d’allora non era stato calcato in quella maniera.

26. Io però dissi: «Orsù, poiché siete convinti che per chi crede fermamente anche l’acqua può divenire un terreno solido, proseguiamo la nostra passeggiata!».

27. Il comandante avrebbe preferito veramente ritornare sulla riva, che sapeva essere sempre più solida, ma le sei vispe figlie di Ebal, con il loro allegro scorrazzare di qua e di là, gli infusero tanto coraggio che venne anch’egli con noi inoltrandosi per cinquemila passi buoni fuori in alto mare.

28. In quel mentre si levò un vento abbastanza forte che cominciò a sollevare delle onde. Tutti allora ne furono intimoriti, chi più chi meno, e il comandante Mi pregò che Io volessi ritornare a riva.

29. Però Io gli dissi: «Non temere. Le onde sono venute solamente per provarti che anch’esse, assieme al vento che le spinge, devono obbedire a Me!».

30. Ma dopo un po’, quando le onde accennarono sempre più a rinforzare, il comandante si volse, si mise a correre a perdifiato, raggiunse ben presto senza incidenti la riva e dopo qualche energico e febbrile scuotimento del corpo fu soddisfatto di trovarsi nuovamente sotto i piedi un terreno solido e non trasparente. Noi pure poi non tardammo a ritornare a terra e raggiungemmo lo stupefatto comandante.

 

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Cap. 111

Della vera preghiera.

 

1. Ed il comandante allora confessò: «Signore, ormai io ho prove a profusione che Tu sei o l’altissimo Dio in persona od un Suo Figlio, poiché quello che Tu fai, non lo può fare nessun mortale!».

2. E tutti si prostrarono dinanzi a Me e volevano adorarMi.

3. Ma Io dissi loro di alzarsi ed aggiunsi: «Ascoltate! Tutto ciò Dio non lo chiede, né lo chiedo Io; la vera preghiera invece consiste nel puro e sincero amore a Dio, il Padre che è nei Cieli e nello stesso amore per i vostri simili che sono il vostro prossimo. Ogni altra preghiera non ha alcun valore, né dinanzi a Dio né dinanzi a Me.

4. Dio non ha mai insegnato agli uomini di onorarLo con le labbra, mantenendo gelidi i cuori. Ma, poiché un Samuele e molti altri profeti hanno fatto orazione a voce alta davanti al popolo e poiché Davide ha intonato i suoi salmi e Salomone il suo cantico al Signore, anche il popolo fu indotto alla vana preghiera delle labbra ed al freddo sacrificio.

5. Però una simile preghiera ed un tale sacrificio sono dinanzi a Dio un vero abominio, così colui che non è capace di pregare con il cuore, costui allora non preghi affatto, per evitare un atteggiamento sconveniente. Dio non ha dato all’uomo i piedi, le mani, gli orecchi e le labbra perché ne faccia degli strumenti di vuote e vane preghiere, ma Egli ha donato all’uomo solo il cuore per la preghiera.

6. Ciononostante l’uomo può pregare anche con i piedi, con le mani, con gli occhi, gli orecchi e con la labbra: con i piedi può farlo, quando va visitare i poveri, per portare loro aiuto e conforto; con le mani, quando le usa a soccorrere i sofferenti ed i bisognosi; con gli occhi, quando guarda pietosamente e volentieri ai poveri; con gli orecchi, quando egli ascolta di buon grado e con fattiva volontà la Parola di Dio e non li chiude alle suppliche dei poveri e miseri, ed infine con le labbra quando non sdegna di dare parole di consolazione alle vedove ed agli orfani e di intervenire, nella misura delle proprie forze, a favore dei prigionieri i quali, quando sono poveri, sono spesso trattenuti anche se sono innocenti, affinché venga ridata loro la libertà.

7. E così pure l’uomo prega con le labbra, quando istruisce il suo prossimo su cose che esso ignora e gli insegna cose utili, quando lo illumina sulla vera fede e lo avvia al giusto riconoscimento di Dio e quando lo incita a praticare le virtù. Tutto ciò è certo pure una preghiera quanto mai gradita a Dio.

8. Ma se voi ora sapete questo e agite a seconda di quel che sapete, le benedizioni di Dio non vi mancheranno mai più! Infatti questo veramente si chiama adorare Dio in spirito ed in ogni verità.

9. Certamente sta scritto che l’uomo deve incessantemente pregare, per non cadere in tentazione. Ma non sarebbe forse una cosa sciocca e del tutto pazza da parte di Dio se Egli intendesse esigere dall’uomo un’incessante preghiera dalle sue labbra? In tal caso gli uomini, per rendersi graditi a Dio, dovrebbero, giorno e notte, senza interruzione, starsene ginocchioni, biascicando senza posa, come gli uccelli nell’aria, preghiere vuote, morte e senza senso, prive di sentimento? Ma quando potrebbero costoro allora fare uno dei tanti lavori necessari alla vita? Se voi, invece, fate uso delle mani, dei piedi, degli occhi, delle orecchie e delle labbra per essere incessantemente attivi, come prima vi ho detto, e coltivate nei vostri cuori del continuo l’amore a Dio ed ai poveri vostri simili, voi, così facendo, innalzate un’ininterrotta, vera ed effettiva preghiera a Dio la quale è davvero quanto mai gradita al Suo cuore ed Egli vi sarà perciò anche sempre largo di benedizione ed un giorno nell’aldilà vi farà partecipi di una vita di immenso gaudio che non avrà mai fine. Avete voi ben compreso tutto ciò?»

10. Rispondono tutti: «Sì, o Signore e Maestro! Tutto ciò è vero e chiaro come la luce del Sole! E noi faremo come ci hai detto, Tu, o Signore!»

11. Dico Io allora: «Sta bene, Miei cari amici e adesso facciamo ritorno in città».

12. Gli otto rematori dissero a Ebal che alcuni di loro dovevano andare con lui e che egli desse loro pane, vino, pesce e frutta per il loro sostentamento. Allora sei di loro si misero in cammino, seguendo la compagnia ed Ebal poi diede loro le provviste promesse in grande abbondanza.

 

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Cap. 112

Ordinamenti domestici e amore.

 

1. Quando noi fummo arrivati a casa, i figli di Ebal avrebbero voluto pur essi restarsene in Mia compagnia.

2. Ebal però, il quale in fatto di ordinamenti domestici era molto severo, rimproverò specialmente le fanciulle e le due mogli e disse: «Ora voi avete visto, inteso ed appreso abbastanza; fatene tesoro e mettete in pratica gli insegnamenti avuti e la benedizione non mancherà neppure a voi, come il Signore stesso ha annunciato poco fa. Ma adesso andate e ritornate al vostro lavoro!».

3. Le fanciulle e le due mogli allora si congedarono mestamente e si ritirarono nelle loro stanze, che erano numerose nella casa di Ebal, essendo questa la maggiore di tutta Genezaret.

4. Ma Io subito dopo osservai ad Ebal: «Amico Mio, perché poi le hai mandate via? Vedi, buona cosa è il mantenere una sana e severa disciplina in casa propria, con riguardo ai figli ed è pure lodevole preservare le fanciulle dai contatti con il mondo, però, Mio caro, qui, dove Io sono, non c’è alcun mondo che minaccia pericoli, bensì un Cielo stillante perpetua benedizione; questo non devi negarlo ai tuoi figlioletti!»

5. E quando Ebal ebbe inteso queste Mie parole, esclamò: «Oh, se non Ti danno fastidio, io li faccio richiamare qui senza indugio! Tu sai che i miei figlioli sono piuttosto curiosi e chiacchierano volentieri ed io li ho fatti allontanare appunto perché non Ti importunino»

6. Ed Io gli dico: «Cosa c’è al mondo che possa riuscirMi molesto ed importuno all’infuori della grande malvagità degli uomini? Va’ dunque e riconducili tutti qui!».

7. Ebal subito si mosse e fu in breve di ritorno con tutti i congedati e la ragazzina più giovane si precipitò verso di Me e cominciò ad accarezzarMi e a stringerMi al cuore!

8. Ma Ebal la rimproverò, osservando che tale cosa non era conforme alle regole della convenienza!

9. Io però gli dissi: «Amico, lasciale pure quello che essa si è presa, perché si è già scelta la parte assolutamente migliore! Anzi, Io dico a te ed a voi tutti: “Chi non viene a Me com’è venuta questa fanciulletta, costui non troverà la via che conduce al Regno di Dio!”. Ma questa qui la via l’ha già trovata! Con l’amore più ardente voi dovete venire a Me, se volete aver parte alla vita eterna!

10. Questa fanciulletta mostra con i fatti ciò che lei sente nel cuore; voi invece fate assennati discorsi e mantenete freddo il vostro cuore! Non balena ancora alla vostra mente nessuna idea riguardo a Chi potrei essere Io e anche in effetti sono?»

11. Tutti allora si prostrarono a terra ed Ebal, afferrati i Miei piedi, li ricopre di baci e tutto confuso e compreso di profonda venerazione e rispetto esclamò: «Signore! L’anima mia me lo diceva già da lungo tempo, ma mi è mancato il coraggio di confessarlo!»

12. Allora Io gli dico: «Ebbene, perciò non punire la tua figlioletta che ha infuso in tutti voi il coraggio di seguirMi sull’acqua! Ora, però, essa nuovamente vi ha insegnato un altro coraggio: Quello di amarMi. Oh, ma questa fanciulletta perciò Mi è anche cara oltre ogni dire. Ella già possiede quello che voi dovete ancora cercare e che così presto non troverete, esercitatevi dunque con tutto fervore nell’amore vivente a Dio ed al prossimo, così la grazia e la benedizione abbonderanno per voi»

13. Dice il comandante: «Signore! Ad eccezione di mia moglie e dei miei figli, che dimorano a Roma, io non ho finora mai provato veramente amore per nessuno; tuttavia ho sempre agito secondo diritto e giustizia. Io non ho mai applicato la legge con severità, bensì con mitezza e mi sono sempre trovato bene. Ma ora sento che si possono amare gli uomini e che per amore si può far loro del bene, vale a dire si può volere spontaneamente che, nel limite delle proprie forze e possibilità, sia fatto e dato agli uomini quello che si riconosce come giusto e necessario per sé e questo è l’amore verso il prossimo.

14. Ora, se in tale maniera si ama il prossimo, con ciò si ama contemporaneamente anche Dio. Se si riflette poi, nell’ambito dell’amore verso Dio, che Dio stesso deve essere il primo e più perfetto Amore, per il quale Amore soltanto Egli ha creato il mondo sensibile e quello spirituale, questo chiaro pensiero deve necessariamente suscitare nell’uomo creato il più intenso amore verso Dio il Creatore e l’uomo allora non può più fare a meno di amare sopra ogni cosa e con tutte le proprie forze che lo animano il Dio che è l’amorosissimo Creatore di tutte le cose!

15. Così, dunque, poiché dopo tutto quello che in questi due giorni io ho visto ed udito da Te, devo senza esitazione alcuna ammettere che Tu sei o il Primo Creatore stesso o certissimamente il Suo Figlio dall’eternità e che Ti mostri a noi qui sulla Terra nella nostra forma, per insegnarci a riconoscere Te e Dio; ne consegue certamente che anch’io devo amarTi sopra ogni cosa. E se anche non ho il coraggio di dimostrarTelo esteriormente con il fervore di questa davvero soavissima fanciulletta, pure in cuore mio io Ti abbraccio teneramente e Ti glorifico sopra ogni cosa! Ora, penso che così sia pure ben fatto!».

16. Dico Io: «Così è bene senz’altro, però miglior cosa è quando l’amore divampa come in questa fanciulla! Guardatela e dite se il suo amore per Me non è come una bianca fiamma ardentissima!». 

 

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Cap. 113

La giusta lode e i pericoli della lode stessa.

 

1. Esclama la sorella più anziana, la quale cominciava a sentire un po’ il morso della gelosia: «Giara è stata sempre una innamoratissima per natura e si accende facilmente per qualunque motivo. Quale meraviglia, dunque, che si sia innamorata perdutamente di un uomo tanto bello come sei Tu? Questa non è davvero un’arte tanto difficile! Anch’io lo potrei, ma a cosa mi gioverebbe ormai, visto che la piccola Giara Ti ha preso tutto per sé?»

2. Ma Io le dico: «O gelosa sorella, ascolta: se tu avessi mai avuto un qualche vero amore nel tuo cuore, non avresti parlato così! Infatti nel tuo cuore viziato non ha finora potuto sorgere un amore vero e proprio, e allora tu non puoi fare a meno di parlare appunto così come ora hai fatto!

3. Vedi, Giara ama, ma non chiede affatto se è riamata! Amico e nemico, per lei è tutt’uno. Lei è immensamente felice già solo perché può abbracciare tutto con il suo amore; però di pensare se è amata a sua volta, non le è venuto mai in mente! Lei ama te e tutte le tue sorelle ed i fratelli, come pure i suoi genitori, molto di più di quanto l’amiate tutti voi presi assieme! Nel vostro cuore lei sta all’ultimo posto; questo però non ha mai avuto nessuna influenza sul suo grande amore per voi! Vedi, questo si chiama veramente amare!

4. Quando tu ami, vuoi essere riamata dieci volte di più! E se l’amore non ti viene corrisposto in questa misura, il tuo cuore, in cui domina l’amore di te stessa, si riempie di sospetti e di tristezze!

5. Guarda invece la buona Giara, se lei ha mai avuto ancora una qualsiasi pretesa di venire corrisposta dell’amore che lei dona! Ma questo è anche il motivo per cui le è concesso ora di amarMi, secondo tutto l’ardore di cui è capace il suo cuore! Infatti solo per amor suo Io sono venuto qui e per amor suo Io dimorerò ancora qualche giorno presso di voi e così è merito di questa figlioletta se Io sono venuto ed ho guarito i vostri ammalati e quelli di tutto il paese e se ancora parecchi ne guarirò nei prossimi giorni.

6. Infatti là dove Io vengo, cerco sempre quello che è il più umiliato e il più oppresso! Ma invece, tutto quello che è grande ed illustre agli occhi del mondo, è un abominio dinanzi a Dio! Dunque, procurate di diventare così com’è la buona Giara e voi vi troverete allora appunto così vicini a Me come ella lo è ora, umanamente e spiritualmente nel tempo adesso e un giorno per l’eternità.

7. E se voi volete lodare qualcuno, lodate colui che veramente merita una lode! Ma se nel lodato si desta la vanità a causa della lode, non lodatelo più, poiché la vanità è la semente da cui germoglia l’orgoglio e questo è lo spirito di Satana»

8. Dice Ebal: «Ma Signore, se Tu innalzi la mia Giara tanto al di sopra delle sue sorelle, non c’è da temere che appunto la vanità si desti in lei?»

9. Ed Io gli rispondo: «Oh, non darti alcun pensiero per questo! Quando qualcuno Mi tiene così abbracciato, di certo ogni vanità è lontana in eterno da lui! Giara, dimMi se tu ti consideri qualcosa di meglio di tutte le tue sorelle e fratelli, per il fatto che ora Mi sei così esclusivamente cara!» 

10. Giara risponde timidamente e con tutta modestia: «O Signore! O solo amore mio! La cosa non dipende da me e neppure le mie sorelle hanno colpa, io però vorrei che le mie cinque sorelle Ti fossero ancora più care di me, perché esse sono molto più belle e più brave di me. A me hanno sempre detto che sono brutta e sciocchina, ma me lo sono anche meritata, perché certo non sono bella come loro e, bisogna pur dirlo, che sono anche un po’ sciocca. Ma sono ancora giovane e quando avrò l’età che esse hanno ora, sarò bene anch’io giudiziosa!

11. Oh, io non permetto che vengano usati dei torti alle mie care sorelle, perché esse m’insegnano molte cose utili e tutte mi vogliono bene assai ed anch’io poi le amo con tutte le forze dell’anima mia. Signore! Bisogna che Tu sia buono anche con loro! Infatti, vedi, mi fa subito male al cuore, quando vedo sminuite in qualche cosa le mie buone sorelle, allora io vorrei poter dare ogni cosa pur di vederle contente ed allegre.

12. Io soffro molto, quando vedo qualcuno triste od infelice, vorrei piuttosto prendere su di me ogni tristezza ed ogni sciagura, se con ciò fosse possibile ridonare contentezza e letizia a tutti gli afflitti e agli infelici! Perciò, o mio adorato Signore Gesù, sii verso le mie sorelle buono come lo sei con me, perché esse se lo meritano!»

13. Dico Io: «Oh, a te, Mia diletta Giara, non posso certo rifiutare nulla. Ma le tue sorelle vedono ora molto bene il perché tu Mi sei tanto particolarmente cara e quando esse ti rassomiglieranno perfettamente nei loro cuori, allora Io le amerò anche quanto amo te, di questo puoi essere certissima!

14. Infatti, vedi, come tu non puoi vedere nessun infelice e nessun afflitto senza che sorga in te il desiderio vivo di aiutarlo, precisamente così, soltanto in misura molto più grande, un simile desiderio è sempre anche in Me congiunto alla ferma volontà di aiutare ciascun uomo nel tempo e per l’eternità!

15. Cercare il perduto, guarire ciò che è ammalato e redimere tutto quello che è prigioniero, questo è il Mio sentimento, la Mia intenzione ed il Mio volere, ma tuttavia è necessario che in ciascun uomo venga lasciata la propria liberissima volontà, la quale è assolutamente intangibile! DimMi adesso, Giara, Mia dilettissima, se ti piacciono le Mie intenzioni!».

 

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Cap. 114

Giara sulle sue esperienze nella preghiera.

 

1. Risponde Giara: «Oh! Come non dovrebbero piacermi? Anch’io vorrei fare così, se lo potessi! Ma a cosa mi giova la mia buona volontà, quando le mie forze non mi permettono sempre di portare aiuto? Se si tratta di piccole cose soltanto, allora sì che posso pregare i miei genitori perché vengano in soccorso dei poverelli e finora sono stata quasi sempre esaudita; certo qualche volta mi hanno anche un po’ sgridata, perché pare che io abbia un cuore un po’ troppo scioccamente tenero, ma io non me ne sono mai offesa, purché il povero ricevesse qualche aiuto.

2. Invece con la preghiera a Dio, il Signore onnipotente, non mi è andata sempre così bene, perché io ho pregato anche spesso e quando già credevo che Dio mi avesse certamente esaudita ed andavo a vedere il risultato della mia ingenua preghiera, ecco, non trovavo niente ancora! Il vecchio male non era ancora scomparso.

3. Allora io ritornavo da mio padre e gli domandavo perché Dio, l’Onnipotente, fosse talvolta così duro d’orecchio!

4. Ed egli mi diceva sempre: “Dio sa perché manda a questo e a quello una sofferenza più lunga per la salvezza della sua anima e misura molto bene all’uno e all’altro il tempo della penitenza, ed in questo caso nessuna preghiera ha un particolare valore, a meno che un simile peccatore non si converta del tutto prima del tempo previsto!”. E queste considerazioni mi rendevano di nuovo tranquilla, ma non perciò io smisi di pregare per i poveri.

5. Ma più di una volta l’Onnipotente grande e buono mi ha esaudita anche molto presto e questa è stata sempre la gioia più grande per me! Infatti a questo mondo per un cuore compassionevole non vi è certo felicità maggiore del sapere che il buon Dio ascolta la preghiera anche di una fanciulletta, per quanto piccola sia!

6. E che Tu, o Signore, sei venuto qui da noi, mi pare che questo sia quasi anch’esso l’esaudimento delle preghiere da me rivolte al grande Dio! Infatti noi tutti avevamo inteso, da molti che venivano qui, come a Nazaret e nei dintorni di quella città un certo falegname di Nome Gesù andasse operando guarigioni più che straordinarie, addirittura inaudite! Perfino i morti erano restituiti alla vita, i ciechi vedevano, i sordi riacquistavano l’udito ed i muti la parola, gli zoppi e gli storpi camminavano nuovamente diritti, in una parola non c’era una malattia che Egli non guarisse all’istante!

7. Da principio noi ritenemmo trattarsi di favole, ma quando sempre nuovamente altra gente venne raccontandoci tante meraviglie e fra tanti anche taluni che erano essi stessi stati guariti da Gesù, allora cominciammo a credere che la cosa stesse proprio così!

8. A quel punto fui presa anche da un prepotente amore per quest’Uomo, Cui erano possibili tali e tante cose; allora mi misi a pregare il buon Dio giornalmente con tutta la fiducia e il fervore di cui il mio cuore era capace, perché Egli volesse condurTi a noi con la Sua Onnipotenza! Ed ecco, Dio mi ha davvero esaudita e Ti ha guidato fino a noi!

9. Quando intesi che Tu eri arrivato, – oh – non potrò mai dire con parole l’immensa felicità che ho provato in quel momento! Oh, se ne avessi avuto soltanto il coraggio, come Ti sarei saltata volentieri al collo! Ma per riguardo ai miei fratelli, alle mie sorelle ed ai miei genitori, io dovetti far grande violenza al mio cuore. Ma oggi è venuto per me il giorno della felicità indicibile, quello di poter restare vicina a Te, il Maestro e Signore, vicino a Colui che io ho intensamente già amato da quando ho inteso parlare di Lui!

10. Oh, Tu sei ormai qui, io Ti sono vicina e, oh beatitudine suprema, Mi è concesso di amarTi e Tu pure mi ami. Oh, nemmeno i più perfetti angeli del Cielo dovrebbero certo essere più felici di quanto io lo sono ora! Ma adesso Tu non devi più abbandonarmi, perché io ne sarei afflitta tanto da morirne!».

11. Le dico Io: «Oh, no, no, cuoricino Mio! In eterno Io non ti lascerò mai più e ti dico ancora che non vedrai né sentirai mai più la morte! Quando il tempo sarà venuto, Io manderò i Miei angeli a prenderti da questo mondo, per condurti a Me, il Padre tuo dall’eternità! Infatti, vedi, o Mia dilettissima Giara, Colui al Quale il tuo cuore ha rivolto tante ferventi preghiere affinché Io venissi qui, Quegli si trova ora nella Mia Persona seduto vicino a te e ti ama con tutta la purissima fiamma d’Amore di tutti i Cieli, e tu hai avuto ragione di dire che non vi è in tutti i Cieli un angelo solo, per quanto perfetto, che sia più beato di te! Leva in alto i tuoi occhi e vedrai che veramente è così come ora ti ho detto!»

 

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Cap. 115

Giara contempla il Cielo aperto.

 

1. Allora la carissima fanciulla alza i suoi bei occhi azzurri al Cielo e, rapita in un’estasi suprema, contempla, come trasfigurata, nelle profondità dei Cieli apertisi dinanzi al suo sguardo! Solo dopo una certa pausa abbastanza prolungata essa comincia con voce celestialmente pura e dolce, più balbettando che parlando, a dire: «Oh, oh, Dio grande e santissimo! Quale immenso, indicibile e sublime spettacolo vedono i miei occhi! I Cieli sconfinati traboccano di angeli beatissimi, oh, come deve essere grande la loro felicità, ma tuttavia la povera Giara è più felice ancora, perché il trono eterno nel mezzo dei Cieli infiniti, intorno al quale le innumerevoli schiere degli angeli posanti le loro ginocchia su nuvole splendenti vanno del continuo acclamando: “Santo è Colui al Quale è qui eretto il trono! O eternità, rallegratevi! Egli ben presto avrà compiuto sulla Terra l’opera immensa che nessuna creatura potrà mai concepire e verrà e prenderà possesso di questo trono della magnificenza di Dio! Ora questo trono è vuoto! Ma Colui che solo ha il diritto eterno di occuparlo siede ora in figura di Uomo accanto alla povera Giara! Oh, lodateLo dunque e glorificateLo, perché Suo è il trono eterno di ogni potenza e di ogni magnificenza divina!”»

2. Dopo queste parole, essendole stata tolta la visione, essa si abbandonò sul Mio petto e disse: «O Signore, grande e santissimo! La Tua povera Giara non è degna di starTi vicina, poiché si azzarda ancora ad amarTi dopo tutto quello che ha visto ora! Eppure io non ho colpa se il mio cuore chiede di amarTi sempre più!»

3. Le dico Io: «Oh, cuoricino Mio, vedi, se Io ti ho mostrato la Mia gloria e il Mio Regno, l’ho fatto appunto perché voglio che tu abbia ad amarMi ancora di più e poi ancora sempre di più. AmaMi pure sempre con ardore crescente, poiché un simile amore non ti sarà mai in eterno di danno» 

4. Allora Giara Mi abbraccia con tutte le due mani e Mi stringe al suo cuore con quanta forza può, mentre Io, rivolto ai presenti ammutoliti dallo stupore, dico: «Ammirate e serva a voi tutti quale esempio! Questa fanciulla di appena dodici anni Mi dimostra un amore quale Io non ho trovato ancora in tutto Israele, ma a chi Mi ama così, Io darò a piene mani quello che il mondo non ha ancora mai avuto e quello che Israele non ha mai ancora visto né gustato».

5. Una buona ora era durata questa scena quanto mai edificante, che aveva suscitato commozione in tutti, e di li a poco vennero i servitori di Ebal per domandare se fosse venuta l’ora di servire la cena.

6. Ed Ebal dice: «Se è gradito al nostro Signore Gesù, servitela!»

7. Dico allora Io: «Portate quello che avete! Infatti l’amore dona e gusta ed Io pure voglio gustare quello che ho donato! Ma il Mio cibo prediletto Io l’ho qui in questa fanciulletta, perché essa Mi dà quello che l’eternità non Mi ha dato ancora, né poteva darMi!».

8. I servitori allora escono, per portare le vivande già pronte. Ma qual è il loro sbalordimento, quando, giunti alle dispense, constatano che dei cibi da loro preparati non c’è più traccia, ma al loro posto le dispense stesse sono ricolme di vivande fra le migliori e le più scelte, delle frutta più rara e del vino più pregiato! Essi ritornano in fretta e raccontano con grande foga e parole di meraviglia quello che era accaduto in cucina, mentre essi erano intenti a prendere gli ordini. Domandano infine se devono servire le nuove vivande trovate o se devono prepararne delle altre!

9. Ed Io dico a loro: «Quello che c’è nella dispensa, portatelo qui, poiché oggi voi tutti siete Miei ospiti. Le vivande da voi già preparate sono nel frattempo già state servite ai Miei discepoli, ai due esseni ed ai farisei. Non disturbateli, perché essi hanno oggi da sbrigare nel Nome Mio un’incombenza importante che li terrà occupati moltissimo fin oltre alla mezzanotte». Dopodiché i servitori escono, per prendere le vivande celesti.

10. Allora, tanto Ebal che il comandante esclamano con grande letizia: «Signore, ormai tali apparizioni non ci fanno quasi più meraviglia, perché abbiamo la percezione chiarissima che Tu sei il Signore cui niente è impossibile. A noi non resta che una grande domanda: “Come, o Signore, abbiamo potuto renderci degni di tanta grazia?”. Ma ecco che sono già qui le vivande del Cielo! Dopo la cena ritorneremo sull’argomento».

11. I cibi vengono portati sulla mensa e dopo il rendimento di grazie, al Mio invito, tutti si servono e mangiano e bevono di buon animo e mentre il comandante sostiene che quella era la prima volta che gli capitava di gustare tali vivande dal sapore veramente celestiale e del vino talmente squisito, dal canto suo anche la Mia Giara dà libero corso al suo appetito e conviene anche essa che mai un sapore tanto delizioso aveva fino allora solleticato e soddisfatto il suo palato! In breve, ciascuno non trova parole sufficienti per lodare la squisitezza dei cibi e tutti ringraziano e glorificano ad alta voce Me e il buon Padre nel Cielo. 

 

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Cap. 116

Gli insegnamenti di Gesù devono essere un bene comune.

 

1. Ed Io dico loro: «Beati siete voi che credete che il Figlio dell’uomo è proceduto ed è venuto dal Padre che è nel Cielo a raddrizzare su questo mondo quel che è caduto ed a redimere quello che è prigioniero! Però, fate bene attenzione a non rivelare a nessuno niente di tutto ciò che avete visto da Me, appunto per il suo carattere particolare e meraviglioso, poiché tale cosa provocherebbe un doppio male!

2. La metà di coloro che ne venissero a cognizione, in primo luogo non crederebbe a quello che avreste raccontato loro, ma vi dichiarerebbe pazzi e spargerebbe dappertutto brutte voci sul vostro conto, perché un cieco è, nel suo furore, molto più pericoloso di cento veggenti! L’altra metà, invece, presterebbe troppo facilmente fede alle vostre asserzioni e di conseguenza si metterebbe infine da se stessa tali ceppi nel suo operare, così da non essere poi più capace di una libera azione. E questo corrisponderebbe all’uccidere il libero spirito nell’uomo!

3. Gli insegnamenti, però, che avete avuto da Me, di questi sì fate partecipi i vostri conoscenti ed amici, perché le Mie parole sono verità eterna, la quale sola può rendere libero ciascun uomo il quale l’accolga in sé e ne faccia norma della sua vita e che con ciò riconosca che essa è una verità eterna da Dio, la quale è, è stata e sempre sarà l’esistenza e l’eterna vita di ciascun uomo che tale verità possiede in sé in maniera vivente.

4. Ma, purtroppo, molti vi saranno che non vorranno né ascoltare né accogliere tale verità e la perseguiteranno, altri, poi, per timore dei potenti della Terra la fuggiranno come la peste nera. Ma coloro che così si comporteranno, non avranno in sé la vita eterna, anzi il loro retaggio sarà la morte!

5. Chi ama la vita del proprio corpo e ad ogni costo si sforza di mantenerla, costui, con la fine della breve vita corporale, perderà anche la vita eterna dell’anima. Invece, chi non ama la vita del corpo, costui acquisterà la vita eterna dell’anima! Queste Mie parole ponderatele molto bene! Ed ora, chi ha ancora qualcosa da domandare, domandi ed Io gli risponderò!».

6. Dice il comandante: «Signore e Maestro! Cosa mai potremmo chiederTi ancora? Chi sei Tu, noi lo sappiamo e lo sentiamo profondamente; quello che dobbiamo fare, lo sappiamo pure e ci rendiamo conto della necessità di fare così; noi, inoltre, sappiamo e percepiamo intimamente che in Te c’è la vita eterna e che Tu puoi donarla a ciascun uomo o donna che sia, se egli vivrà ed opererà secondo la Tua Parola. Per noi uomini il sapere di più sarebbe inutile e ciò tanto più, in quanto che noi, come me lo ha assicurato con estrema vivacità uno dei Tuoi discepoli, possiamo con la fede viva, nel Nome Tuo, perfino guarire gli ammalati. 

7. Noi non potremo in eterno ringraziarTi abbastanza per tale grazia inattesa ed assolutamente immeritata e Ti diamo la più fedele assicurazione che nei nostri cuori, ricolmi di gratitudine, Tu Ti sei eretto un monumento imperituro che, né le potenze dell’inferno, né le tempeste di tutti i tempi, potranno mai più distruggere ed ora io credo che, essendo ormai la notte discretamente avanzata, dovremmo pensare al riposo! Però io non intendo fare alcuna urgenza, quantunque, per quel che riguarda la mia persona, sarà nuovamente necessario che io vada a vedere cosa ne è della mia gente!»

8. Gli dico Io: «Non darti alcuna pena, perché, come già ieri anche oggi, tutto è in perfettissimo ordine. Però questa sera Io intendo vegliare fino oltre la mezzanotte e voi avrete modo di persuadervi che il nostro vegliare non sarà stato inutile. Infatti in serata arriveranno ancora dei viaggiatori da Gerusalemme e fra gli altri anche dei farisei e degli scribi i quali ci daranno ancora un bel po’ da fare!»

9. Esclama allora Ebal: «Oh, questo è spiacevole davvero! Molto meglio sarebbe che non venissero. Ospiti di questo genere sono stati sempre per me i più sgraditi, perché uno solo di questi tali pretende tanta attenzione per sé, quanta ne basta per cento forestieri di qualsiasi altra specie e che pagano quanto si fa per loro, mentre questa razza di gente vuole avere tutto gratuitamente ed alla resa dei conti non si mostra mai soddisfatta, specialmente quando possono provare che viaggiano per conto del Tempio e per ragioni d’ufficio! Oh, Signore, questa volta non mi hai annunciato proprio niente di allegro. E che cosa si deve fare adesso e che cosa preparare?»

10. Dico Io: «Non darti eccessivo pensiero! Le dispense e la cantina sono al completo, in casa tua c’è posto per dormire per circa un centinaio di persone ed altro non occorre. Essi sono stati inviati per causa Mia da Gerusalemme a Nazaret, ma, siccome Mi troveranno qui, non proseguiranno più fino a Nazaret. Essi domani saranno causa di indignazione per voi, però da parte Mia dovranno intendere aspre ma schiette verità, tali anzi che essi, per l’ira e la collera, si indurranno a lasciar questo luogo domani stesso!»

11. Dice Ebal: «Ma poi ci si scatenerà addosso il demonio! Infatti quella gente, una volta ritornata al Tempio, farà sul nostro conto rapporti talmente vergognosi che sarà una vera disperazione»

12. Gli dico Io: «Non dubitare che verranno prese delle misure, affinché a casa loro non abbiano troppo a chiacchierare!». Dopo questa Mia dichiarazione subentrò una pausa, durante la quale tutti coloro che si trovavano nella sala si mantennero tranquilli e silenziosi, restando solamente occupati con assiduità nei loro cuori.

 

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Cap. 117

Arrivo di ammalati in casa di Ebal.

Gli ospiti di Gerusalemme e la loro missione.

(Matt.14,35)

 

1. Però, dopo qualche istante, si manifestò una certa agitazione davanti alla casa, s’intese un vocio in diverse lingue e contemporaneamente i cani del vicino, che era un greco, cominciarono ad abbaiare fortemente. Ed Ebal esclamò: «Ora stiamo freschi! Dovrebbero essere già qui quei figuri che ci hai preavvisato!»

2. Dico Io: «Non ancora. Questi sono degli ammalati, ma non tarderà molto che anche quegli altri arriveranno. Gli ammalati, però, è bene che attendano fino a domani, perché oggi ne sono stati guariti già abbastanza. Ora va pure fuori ed abbi cura che a tutti coloro che sono ora arrivati venga dato un ricovero e che sia offerto qualcosa da mangiare e da bere a chi ne avesse bisogno”».

3. A queste Mie parole Ebal si reca, assieme ai suoi servitori, da lui fatti chiamare, nel grande cortile di casa sua e lo trova quasi zeppo di ogni genere di ammalati, fra i quali molti greci, romani ed egizi, tutti questi chiesero di essere ammessi alla Mia presenza affinché li risanassi.

4. Ebal però indicò loro gli alloggi, fece servire ciascuno, secondo le proprie necessità. Fatto questo, egli ritornò nella nostra sala e disse: «Sia lodato Dio! Per oggi questi qui sono a posto e mi hanno causato poca fatica e lavoro, se almeno tali furfanti da Gerusalemme fossero stati provvisti in uguale misura! Non sarà così facile venirne a capo!».

5. Mentre Ebal, dopo che in vista dell’imminente arrivo dei farisei e degli scribi, ebbe disposto qua e là delle sentinelle per annunciarne l’arrivo, stava ancora così fantasticando assai poco di buon umore, ecco già presentarsi un servitore, il quale, con grande spavento di Ebal, avverte che la carovana preavvisata è ormai giunta. Ebal si affretta ad uscir fuori, per ricevere i nuovi arrivati e le due mogli e le figlie anziane lo seguono per dargli una mano; i figli di Ebal se ne vanno essi pure e la Mia diletta Giara resta sola presso di Me.

6. Il comandante, che è pure seduto presso di Me, dice: «Se fossi io al posto di Ebal, saprei bene cosa fare adesso! Ordinerei ai miei servitori di pigliare questa genia e di frustarla di santa ragione, dato che non sarebbe sicuramente la prima volta che tocca a loro questa specie di accoglienza, perché non sarei affatto disposto a far molte parole con loro! E se venisse loro la malinconica idea di entrare dove siamo noi, mi riservo in ogni caso di giocare loro un tiro da farli tremare nel corpo e nell’anima più che con una febbre maligna. Io domanderò a questi bricconi per ordine di chi si sono permessi di avvicinarsi, mentre è notte profonda, ad una località dove si trova una guarnigione romana e dimostrerò loro come, in tali casi, ogni comandante di presidio abbia il diritto di arrestare e di deferire ad un severo tribunale chiunque, a prescindere dal ceto o dalla religione che professa, se non è in grado di dare delle giustificazioni ben valide! Io non intendo affatto attuare tutto ciò nei loro riguardi, ma voglio tuttavia suscitare nelle loro perfide teste uno spavento tale per cui il sudore d’angoscia dovrà scorrere loro giù fino alle calcagna!»

7. Gli dico Io: «Amico, fa’ pure come vuoi, poiché da parte Mia non ti verrà posto alcun limite, ma se tu vuoi iniziare qui una procedura, è necessario che te ne vada fuori e che tratti con loro direttamente la cosa, in presenza di alcuni dei tuoi ufficiali in sott’ordine!»

8. Dice il comandante: «Lascia, o Signore, che me ne curi io, perché le mie leggi e i miei diritti so applicarli e farli valere in ogni occasione!».

9. Detto questo, egli chiama subito il suo attendente, che faceva guardia nell’atrio. Questi si presentò prontamente nella sala, in attesa degli ordini del comandante.

10. E questi così gli parlò: «Fa’ che il corriere si rechi immediatamente al campo, per trasmettere al sottocomandante l’ordine di mandare senza indugi qui 30 uomini! Va’!». A queste parole la sentinella parte all’istante ed entro dieci minuti ecco già annunciarsi al comandante il sottufficiale con i trenta soldati, la cui venuta non era stata affatto avvertita dai farisei, ancora vocianti sulla via, i quali, come al solito, non intendevano rinunciare alle cerimonie, alle lodi ed agli omaggi. Ed il sottufficiale chiese al comandante quali fossero gli ordini e che cosa si avrebbe dovuto intraprendere.

11. Ora il comandante rispose: «Per il momento, niente di importante, si tratta, più che altro, di mantenere il prestigio di fronte ai forestieri, i quali, dato che ignorano la legge romana circa i campi militari, dovranno venirne edotti da noi come si deve. Tenete qui, dunque, un contegno tranquillo e serio e fate attenzione al mio minimo cenno! Così sia fatto!».

12. Dopo poco Ebal spalanca la porta della sala e fa entrare una ventina tra farisei e scribi. È inutile menzionare che i venti erano accompagnati da numerosi servitori e conducenti d’asini ed altre bestie da soma per il trasporto del bagaglio e delle persone. I servitori, gli animali ed i bagagli vennero alloggiati, mentre i farisei e scribi, quando furono definitivamente entrati nella sala, passarono sommariamente in rassegna coloro che già vi si trovavano e domandarono all’albergatore cosa stessero a fare lì i militi romani.

13. Ed Ebal rispose: «Probabilmente avranno avuto sentore che voi sareste arrivati e saranno venuti per rendervi il dovuto onore!»

14. Dice uno dei farisei: «Questa non è veramente l’usanza dei romani! Però, comunque stiano le cose, noi abbiamo fame e sete; facci dunque portare da mangiare e da bere!».

15. Ebal subito requisisce tutta la gente che c’è in casa, ad eccezione di Giara, ed in poco tempo una grande mensa è ben che preparata per i suoi ospiti.

16. I farisei si lavano le mani e poi si precipitano sulle vivande; in breve tutto è consumato e buone sessanta coppe di vino sono vuotate. Il vino però scioglie loro la lingua e cominciano a chiacchierare e a domandare di una cosa e dell’altra, e non passa molto che rivelano qual è veramente lo scopo del loro viaggio e tentano di avere delle informazioni sul Mio conto, dicendo: «Qui voi ne sapete qualcosa di un certo vagabondo che dovrebbe essere nativo di Nazaret? Quest’uomo, a quanto si dice, falegname di professione, pare che si aggiri praticando magie inaudite, diffondendo una nuova religione, risanando gli ammalati, evocando gli spiriti e sobillando il popolo contro il Tempio e contro l’imperatore! Per queste ragioni noi siamo diretti a Nazaret per procedere là ad una minuziosa inchiesta riguardo a tali fatti, ma siccome corre voce che si vada aggirando per tutta la Galilea, voi dovreste forse esserne al corrente e saperne qualcosa di più esatto!».

 

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Cap. 118

Scena fra il comandante ed i templari.

 

1. Allora interviene il comandante, il quale dice: «L’Uomo di Cui vi preme avere informazioni, io lo conosco molto bene e sono a conoscenza di tutti i fatti Suoi, non escluso quello da Lui compiuto saranno appena poche settimane fa nella località di Chis, dove appunto Egli, tramite il Suo Spirito divinamente profetico, ha rivelato al giudice superiore Fausto che i prodotti delle imposte imperiali ed altri tesori provenienti dal Ponto e dall’Asia Minore fossero stati sottratti da gente del vostro stampo, nella maniera più astuta e vergognosa, alla carovana romana incaricata del trasporto, cosa questa che ha messo il governatore Cirenio nel più grave imbarazzo ed in gravissimo pericolo tutta la Galilea, anzi tutto il Regno della Giudea.

2. Ed appunto a questo Gesù tanto il governatore quanto il Regno della Giudea devono e voi pure dovete, se oggi voi stessi siete ancora in vita! Infatti, se i denari dell’erario imperiale rapinati dai vostri pari non fossero stati, per l’intervento di Gesù, scoperti, tutto il paese sarebbe stato posto a contribuzione di guerra e tutti i tesori della Giudea non sarebbero bastati a scontare il crimine perpetrato! E se la cosa è passata sotto silenzio e così bene, per voi e per i vostri pari a Gerusalemme, nonché in tutta la Giudea, voi dovete esserne grati unicamente a Gesù, il più grande e saggio e potente profeta; ed è supremamente ingiusto ed iniquo il vostro affannarvi a perseguitare un uomo al Quale voi tutto ormai dovete, anche la vita.

3. Però, quello che ora avete asserito, che cioè intendete andare a Nazaret per inquisire riguardo alla persona di Gesù e per eventualmente impossessarvi di Lui come del più grande malfattore, io vi dico che tutto ciò si basa su false premesse e che Egli è tutt’altro che un delinquente e non sobilla nessuno né contro di voi né, meno ancora contro l’imperatore, altrimenti, come a me in segreto consta con tutta certezza, Cirenio non sarebbe Suo amico!

4. Ma adesso passiamo ad altro, miei cari signori del Tempio! Voi molto probabilmente saprete che qui a Genezaret si trova già da alcuni anni, senza interruzione, un campo militare romano e che per conseguenza ogni persona, indistintamente, di qualunque condizione o paese sia, deve aver con sé un lasciapassare ben vidimato da un’autorità romana, qualora voglia attraversare senza incidenti la località di guarnigione. Dunque, io vi prego, tanto più che siete arrivati qui di notte, di mostrare i vostri documenti, in mancanza dei quali io, nella mia carica di capo e comandante militare di questa località, come pure di tutta questa regione, dovrei dichiararvi prigionieri; domani poi sareste pubblicamente flagellati e verreste infine rimandati a Gerusalemme con le precauzioni prescritte! Fatemi dunque il favore di esibire i vostri lasciapassare e ciò in ossequio alla legge!»

5. Dice il capo dei farisei: «Signore, io stesso, che sono uno fra i principali di Gerusalemme, sono un lasciapassare vivente per tutti e di altri documenti noi non abbiamo bisogno! Infatti come tu sei un capo, altrettanto lo sono anch’io e, grazie al privilegio imperiale, posso viaggiare di giorno e di notte per tutta Israele! Noi siamo degli unti del Signore e guai a chi osasse mettere le mani su di noi!»

6. Dice il comandante: «Il privilegio imperiale contempla solo il caso delle località dove non c’è un presidio, ma dove, come nel nostro caso, esiste un campo militare aperto, il privilegio imperiale non è più valido!».

7. Dice il fariseo: «Una legge simile non è stata mai ancora portata a nostra conoscenza e perciò non potevamo neppure osservarla, perché non siamo tanto idioti da trascurare, prima di metterci in viaggio, di provvederci di tutto quello che è necessario alla nostra sicurezza. Però, se questi documenti proprio qui occorrono, noi mandiamo subito dei messaggeri a Gerusalemme e domani, a quest’ora circa, i lasciapassare che richiedi saranno nelle tue mani»

8. Dice il comandante: «Non c’è bisogno che vi prendiate questo disturbo, perché sta a me credere o meno alle vostre asserzioni. Io mi limiterò a tenervi bene d’occhio e qualora dovessi accorgermi di una minima cosa sospetta da parte vostra, vi faccio immediatamente arrestare. Per ora, frattanto, fino a quando vi tratterrete qui, siete sottoposti a rigida sorveglianza militare, il drappello di guardia vi scorterà poi fino al confine di questo territorio e voi sarete tenuti a sborsare le spese fissate in cento denari d’argento. Se invece voi aveste con voi i documenti prescritti, sareste esenti da qualsiasi spesa!»

9. Dice il capo dei farisei: «Siccome a noi non è permesso portare denari, allora pagherà per noi il padrone dell’albergo, perché, vedi, la Terra è di Dio e noi ne siamo i servitori diretti ed abbiamo da parte di Dio il diritto di considerare nostra tutta la Terra e di mietere dappertutto, anche là dove non abbiamo seminato! Questo lo sa ogni israelita, che tutto ciò che egli possiede è un possesso che egli detiene quale un prestito da parte nostra, il quale gli può venire ritolto in ogni momento. E per tale semplicissima ragione anche, in tutta Israele, là dove andiamo noi, non possiamo mai essere forestieri, ma siamo invece, per autorizzazione divina, i soli e veri proprietari di ogni casa, terreno o campo e di ogni danaro o tesoro che sia e noi possiamo quindi benissimo ordinare ad Ebal di pagare per noi i cento denari, perché egli, in fondo, li ha raccolti sul nostro terreno e sul nostro possesso! E se egli non volesse farlo, potremo dare tutte le sue proprietà ad un altro il quale non baderà ai cento denari!»

10. Ma, poiché Ebal si sente interessato molto da vicino dalla cosa, apre infine anch’egli la sua bocca ed osserva: «Signore mio! A questo riguardo voi siete un po’ in errore, perché, in primo luogo, questa località è da tempo immemorabile un territorio franco, dove, all’infuori di Dio e dell’imperatore, nessuno ha il diritto di esigere qualche cosa; in secondo luogo, poi, quello che qui figura mio è invece di proprietà della mia seconda moglie, la quale era figlia unica e greca di nazionalità ed è diventata ebrea in seguito al suo matrimonio con me. Dunque, tutti i grandi possessi che figurano miei appartengono di fatto alla mia seconda moglie e, dopo di lei, alle sue figlie. Perciò io non ho nulla di mio e da me non può venir preteso niente; ne consegue che i cento denari dovrete ben pagarli voi stessi. E se a me non volete credere, domandate qui al capitano, il quale rappresenta per me l’unica autorità ed egli non potrà che confermarvelo».

11. Il comandante, accennando a confermare questa asserzione, interviene subito: «Sì, sì, le cose stanno precisamente così! Voi stessi pagherete i cento denari d’argento. Qui non servono né preghiere né ulteriori discussioni, perché io solo sono chiamato ad ordinare e ad esigere!»

12. Dice il fariseo: «Ma se mandiamo immediatamente a Gerusalemme un messo, che è nello stesso tempo anche un buon cavaliere, egli potrà essere qui di ritorno domani verso mezzogiorno con i documenti necessari!»

13. Obietta il comandante: «Questo è indifferente! Infatti i cento denari dovete pagarli già per il fatto di essere arrivati qui senza i lasciapassare prescritti, perciò qualunque altra parola sull’argomento è inutile e superflua»

14. Dice il capo dei farisei: «Ma noi non abbiamo denaro con noi, perché non ne portiamo mai quando siamo in viaggio. Questo modo di procedere è legge per noi! Perciò, dove dobbiamo prenderli ora i denari?»

15. Risponde il comandante: «Non vi preoccupate, sarà mia cura il farli saltare fuori! Dove non c’è denaro, subentra il diritto di pegno. Le vostre cose che, come ho inteso, viaggiano con voi, varranno bene i cento denari!»

16. Dice il capo dei farisei: «Oh, valgono anche mille volte tanto, ma si tratta di cose tutte consacrate a Dio e Dio darebbe morte immediata a chi osasse toccarle! Di conseguenza tu non potrai toccare tali cose e meno ancora appropriartene!».

17. Dice il comandante: «Eh, via, la cosa non sarà tanto terribile! Noi faremmo una prova e ci persuaderemo se le vostre cose consacrate a Dio sono davvero tanto pericolose»

18. Allora tutti i farisei si mettono a gridare; «No, no, no! Noi vedremo di mettere assieme i cento denari, la nostra gente dovrebbe avere qualcosa con sé!».

19. Detto fatto, uno dei farisei esce subito e rientra portando con sé una borsa con i cento denari, la consegna al comandante il quale la consegna al sottufficiale; questi poi conta il denaro. Dopo aver constatato che l’importo è giusto, il comandante ordina al sottufficiale di mettere il denaro nella cassa dei poveri peccatori, cosa che il sottufficiale esegue subito.

20. Ma il capo dei farisei dice: «È qui un’usanza singolare, quella di mettere il denaro consacrato nella cassa dei poveri peccatori, mentre noi dopo tutto siamo servitori di Dio! Non sai tu, dunque, che colui che offende un servitore di Dio, offende anche Dio?».

21. Risponde il comandante: «Che mi importa del vostro Dio? Io sono romano e so quello che so e quello che credo, però il Dio cui ora voi servite non è e non sarà mai il mio Dio! Per me voi siete fra i peccatori i più grossolani e perciò è anche giusto che il denaro da voi consacrato al vostro Dio vada a finire nella cassetta dei poveri peccatori! Avete capito?»

22. Risponde il capo dei farisei: «Sì, o signore, noi lo comprendiamo, come pure comprendiamo che abbiamo a che fare con un pagano ostinato, il quale come tutti i tenaci romani ha il più profondo disprezzo per noi e per la nostra religione!»

23. Dice il comandante: «Non tanto profondo come voi supponete, perché anche noi conosciamo la bontà dell’antica, vera religione mosaica, ma i vostri nuovi principi e la vostra stessa mancanza di fede ed i vostri molteplici inganni, che gridano vendetta al Cielo, noi li disprezziamo tre volte più della morte stessa! Infatti presso di voi non c’è più la benché minima traccia del vecchio giudaismo; a voi non sono rimasti che i nomi. Ma dove sono ora le opere eccellenti di coloro dei quali voi siete i discendenti ed i quali hanno dato al popolo la dottrina e le leggi savie? Io so molto bene quale aspetto un giorno aveva la vostra Arca dell’Alleanza, ma come è essa al giorno d’oggi? Dov’è lo Spirito di Dio che un giorno si librava sopra di essa?»

24. Dice il fariseo: «Tutto è sempre così com’era ai tempi di Aronne!»

25. Dice il comandante: «Eccome no! Ascoltate: saranno appena tre anni che io stesso sono stato nel vostro cosiddetto Santissimo e, per essere più precisi, dietro esborso di settecento denari d’argento; ma che cosa hanno percepito i miei occhi e il mio naso? Una cassa di ferro posata su di un piedistallo, dal cui mezzo divampava una fiamma molto chiara d’olio minerale e l’odore piuttosto ripugnante che esalava non ha quella volta troppo stimolato gradevolmente le mie narici! I ben noti amministratori della cosiddetta arca dell’alleanza erano certamente molto più giovani di Mosè e di Aronne e il mio borsellino ne fu non poco rattristato per averlo io alleggerito a motivo della vostra stoltezza e dei vostri imbrogli! Dunque, è perfettamente inutile che voi perdiate altro fiato con me a questo riguardo, perché io sono uno di quelli che vedono molto lontano e molto profondamente nei vostri inganni! 

Sappiatelo bene voi, se con quanto oggi è a mia conoscenza io fossi l’imperatore, farei già domani mettere a ferro e fuoco tutto il Tempio! Ed è appunto una vostra fortuna che io non sia l’imperatore, ma quello che non vi farà l’imperatore, non mancherà di farvelo sentire il suo prossimo successore!»

26. Dice il fariseo: «Signore, se tu sai queste cose, io ti prego di tacere a causa del popolo, perché, se tali notizie si divulgassero fra il popolo, noi avremmo da temere l’insurrezione più incontrollata!»

27.Dice il comandante: «Non c’è niente da temere per questo motivo, poiché non c’è quasi più un galileo che non sia a conoscenza di simili condizioni del Tempio e non c’è di conseguenza neppure da parlare lontanamente di una insurrezione popolare! Del resto siamo già noi romani abbastanza forti qui per soffocare già alla radice qualsiasi tentativo del genere!»

28. Ed il capo dei farisei, volendo concludere, dice: «Dunque, signor mio, noi abbiamo ormai pagato e tutto è pareggiato, perciò lasciamo stare questo argomento. Se tu però conosci qualche particolare circa il famigerato mago Gesù, facci il favore di dirci cosa si debba pensare di lui, della sua discutibile dottrina e delle sue opere, affinché noi si possa fare qualche comunicazione in proposito al Tempio!»

29. Risponde il comandante: «Vi ho già detto prima che Lo conosco benissimo e che già da lungo tempo Lo avrei fatto arrestare, se fosse trapelata la benché minima cosa che desse adito a sospettare un’insurrezione; invece ho attinto la convinzione che si tratti di una cosa diametralmente opposta e non posso che rendere di Lui la più bella testimonianza. Se foste voi come Lui è, Gerusalemme sarebbe per tutti i tempi la prima ed eterna città di Dio e lo Spirito dell’Onnipotente aleggerebbe ancora sull’arca come al tempo di Aronne, invece voi siete il Suo esatto opposto, e perciò né la vostra città né il vostro Tempio potranno sostenersi ancora per lungo tempo! Questo riferite ai vostri colleghi, affinché sappiano su quali fondamenta sabbiose poggiano la loro città e il loro Tempio! Domani, tuttavia, avrete occasione di vedere e di udire altro ancora su questo argomento, per oggi intanto fareste meglio ad andare a dormire!»

30. Osserva il fariseo: «Noi resteremo qui seduti a tavola, perché le tue parole molto significative ci hanno per molti giorni levato il sonno. Chi può chiudere occhio, lo faccia pure; io, per mio conto, resterò certamente più che sveglio! Là, in quell’angolo della tavola, vedo che c’è ancora un’ospite con una fanciulla! Chi è? Dobbiamo avere considerazione, oppure è un tuo prigioniero assieme alla fanciulla? Forse anche lui è arrivato qui senza lasciapassare?»

31. Risponde il comandante: «È inutile che vi informiate sul Suo conto; Egli sta sotto la mia protezione! Spero tuttavia che domani potrete conoscerLo un po’ più da vicino».

 

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Cap. 119

La potenza dell’amore.

 

1. Allora nessuno dei farisei apre bocca.

2. Io però Mi alzo da mensa, saluto il comandante e questi ricambia con grande calore il Mio saluto e Mi accompagna assieme a Giara, ad Ebal e alle sue mogli ed agli altri figli in un’altra stanza dov’è preparato per Me un eccellente giaciglio.

3. Ma Io dico al comandante: «Se voi tutti volete restarvene presso di Me l’intera notte, rimanete; se però volete andare a riposare, potete pure fare così. Ma chi rimane, non perciò sentirà domani la mancanza del sonno. Del resto tu, da vero amico Mio, hai molto bene impostata la discussione con i farisei, essi sono ora dominati da un grande timore e la tensione d’animo in cui si trovano farà sì che essi conteranno i granelli della loro clessidra ed attenderanno con grande impazienza il giorno che sta per venire!

4. È stato bene che il vocio abbastanza forte non abbia attirato nella sala da pranzo i Miei discepoli, i quali sono tuttora occupati con i due esseni ed i pochi farisei, ormai già quasi del tutto propensi a schierarsi dalla parte loro! Altrimenti la cosa avrebbe troppo inopportunamente dato nell’occhio! Però così ho voluto Io che fosse e dunque altrimenti non poteva essere! Ma cosa poi farò della Mia carissima Giara? Questa fanciulletta non Mi abbandona mai!»

5.Dice la piccola: «Signore, fino a tanto che Tu rimarrai qui da noi, Giara non si scosterà dal Tuo fianco e se fosse possibile che Tu morissi, essa morirebbe con Te! Ma quando Tu lascerai la nostra casa e Giara non potrà venire con Te, essa rimarrà qui sospirando e pregherà tanto il Padre, che dimora nel Tuo cuore, affinché Egli Ti riconduca a lei, perché ormai senza di Te Giara non può più vivere!»

6. Allora dico Io: «Ecco! Quest’è davvero un bel esempio del come si deve amare Dio, per venir da Lui riamati con uguale fervore! Certo, l’Amore divino abbraccia tutto ed in questo Amore non c’è in eterno né ira né vendetta, però vi è sempre una grande differenza nel modo in cui una creatura umana è amata da Dio. Fino a tanto che l’uomo respira e vive, quest’è la prova che Dio gli dona vita in forza del Suo Amore, altrimenti egli sarebbe completamente morto già da lungo tempo.

7. Ma chi ama Dio come questa fanciulla, costui costringe Dio a venire a lui ed a prendere dimora nel cuore amoroso dell’uomo! E Dio infatti viene e mediante il Suo Spirito prende dimora nel cuore che Lo ama sopra ogni cosa ed un tale uomo ha con ciò la vita eterna già in sé ed è compiutamente una cosa sola con Dio!

8. Certo, non a tutti è dato di poter amare Dio con tanta intensità, com’è il caso di questa Mia dilettissima Giara, tuttavia ciascun uomo può amare Dio con tutte le sue forze e Dio perciò anche ne ricolmerà il cuore con il Suo Spirito e con la Sua grazia e non lo lascerà mai in eterno precipitare nell’abisso.

E se anche incespicherà, gli verrà sempre dato soccorso e la vita eterna sarà in lui e vi rimarrà per sempre.

9. Ed ora, Mia carissima Giara, poiché tanto Mi ami, bisogna che tu ci racconti qualche piccola e bella storiella, perché Io so che di storielle belle e buone tu ne conosci in gran numero!».

10. Dice Giara, con un grazioso sorriso infantile: «Oh Signore, Ti prego di risparmiarmi questo! Infatti, accanto alla Tua infinita sapienza, il mio racconto dovrebbe certo apparire troppo sciocco!»

11. Le dico Io: «No, no, Mia diletta Giara, ciò non deve renderti perplessa, perché da Me soltanto puoi attenderti ora e sempre la massima indulgenza! Pensa che Io comprendo il pianto dei bambini nella culla, per non parlare del loro linguaggio! Tu talvolta fai dei sogni strani, dunque sii buona e raccontami uno di questi tuoi sogni!».

 

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Cap. 120

I sogni di Giara in rapporto alla crocifissione e risurrezione del Signore.

 

1. Dice Giara: «Oh, a questo riguardo io posso certamente raccontare qualcosa, ma di solito i miei sogni sono terribili e mi mostrano gli uomini del mondo in tutto il massimo orrore del loro essere, allora invece di uomini io vedo altrettanti demoni! Così ora non è molto che io ho avuto un sogno. Io vidi una magnifica figura di uomo, il quale somigliava molto a Te, o Signore, e quest’uomo era legato con delle corde come un malfattore.

2. Io domandai a coloro che lo seguivano piangendo che cosa avesse potuto mai fare di male quel bellissimo uomo per venire così maltrattato dagli uomini del mondo. E coloro che piangevano mi risposero tutti ugualmente: “Egli era un potente benefattore dell’umanità, mai Egli commise un’ingiustizia e la più pura verità fluiva come il miele dalla Sua bocca. Ma troppe verità Egli ha detto ai farisei avidi di dominio e di beni mondani ed essi Lo hanno fatto condannare a morte sulla croce dal debole prefetto di Roma. Ora essi Lo conducono al luogo del supplizio. Vieni con noi e vedi con quale ricompensa viene ripagato dagli uomini perfidi e saturi di egoismo il maggiore e più sincero benefattore che l’umanità abbia mai avuto!”.

3. Ed io andai con coloro che facevano cordoglio su di un monte basso e scorsi quell’Uomo tutto sanguinante per i colpi di flagello ricevuti e sul Suo capo gli posero una corona di spine per accrescerGli il martirio, e poi Lo vidi trascinare una pesante croce. Giunti al luogo del supplizio, Egli venne denudato e come una bestia selvaggia fu gettato senza misericordia sulla croce e presero dei chiodi acutissimi e, con questi, venne inchiodato sulla dura croce, per le mani ed i piedi, nella maniera più crudele! Oh Signore, questo fu per Te uno spettacolo ben terribile! Quando io solo penso a questo sogno, mi pare di perdere i sensi! Poi la croce venne rizzata entro una buca già pronta e fu fissata solidamente. 

4. La cosa più singolare fu però che quell’Uomo, oltre ogni dire perfetto, nonostante il martirio tanto atroce, non fece udire un solo lamento, mentre altri due, che erano stati pure crocifissi, ma in modo molto meno crudele, emettevano urla e lamenti spaventosi!

5. A questo punto io mi destai, ma il mio corpo tremava tutto! Signore, un sogno simile non è uno scherzo per un cuore di fanciulla tanto sensibile come il mio! Allora mi misi subito a pregare il buon Padre nel Cielo che non mi mandasse più di tali sogni tanto cupi e tormentosi, ed infatti fino ad ora non ho più fatto sogni così cupi! È vero che mio padre mi ha sempre detto che i sogni sono soltanto dei fantasmi vani e che dipendono dal sangue pesante. È possibile che sia davvero così! Ma se avessi un sangue tanto pesante, dovrei pure io essere più lenta di quanto sono, invece di solito sono una ragazza vispa ed allegra. Come posso perciò avere un sangue pesante e guasto?»

6. Ed Io, al racconto della fanciulla che era rimasta alquanto turbata, le dissi: «No, no, Mia dilettissima Giara, il tuo sangue è lieve come l’etere, però il tuo sogno ha un significato immenso! Ed ora non parliamone più; il tempo ti sarà maestro a tale riguardo. Ma beata sei tu, che hai visto in sogno tutte queste cose, perché ben pochi sono stati i profeti a cui fu concesso di vedere qualcosa di simile nelle loro visioni.

7. Molte cose sono nascoste agli uomini di questa Terra. Il grande “Perché” lo sapranno solo nell’aldilà. Ed ora raccontaMi ancora un altro sogno che tu hai fatto tre giorni dopo il primo e che riguardava sempre lo stesso Uomo»

8. Dice Giara: «Oh, questo lo racconto molto più volentieri, perché è infinite volte più bello. Io mi ritrovai d’improvviso, apparentemente molto di buon mattino, in un giardino bellissimo, dal quale purtroppo potevo distintamente vedere il luogo del supplizio apparsomi nel sogno precedente. Quella vista riempì la mia anima d’angoscia grande, così che in sogno cominciai a supplicare il buon Padre nel Cielo che mi risparmiasse una seconda volta una simile visione, perché malauguratamente distinguevo ancora le tre ben note croci rizzate sul luogo del supplizio!

9. Ma ecco che tutto di un tratto mi si avvicinò un giovinetto di meravigliosa bellezza, il quale mi confortò e mi consolò con delle parole che mi sono rimaste molto bene impresse nella mente e sono: “Non temere, o anima buona e pura! Quello che tu hai visto tre giorni fa, doveva così avvenire, secondo il consiglio di Dio, altrimenti nessuno avrebbe mai potuto giungere a beatitudine, né mai più alla contemplazione di Dio. Quegli che fu crocifisso era il Figlio di Dio e Dio era in Lui. Ma ora, dopo tre giorni, questo Figlio di Dio, per Sua propria ed assoluta potenza, risorgerà dalla morte della Sua carne divina e prenderà poi a regnare su tutto l’Infinito e la Sua Signoria e il Suo Regno non avranno mai più fine e, dinanzi al Suo Nome, si piegheranno ogni potenza e forza, e ciò che non vorrà piegarsi, sarà lasciato andare in perdizione da Lui. Però adesso l’ultimo e beatificante istante si avvicina, perciò fa’ attenzione alla pesante pietra sepolcrale suggellata!”.

10. E quando il giovinetto ebbe finito il suo discorso, ecco, la grande pietra del sepolcro si sollevò da se stessa, e dal sepolcro io vidi sorgere sereno, ma tuttavia pieno di maestà nell’aspetto, precisamente quello stesso Uomo che io avevo visto tre giorni prima crocifiggere in maniera tanto crudele. Io scorsi perfino le stimmate sulle Sue mani ed ai Suoi piedi e non dubitai neppure un istante solo che fosse veramente Lui.

11. E quell’Uomo mi si avvicinò e mi disse, con voce dolcissima: “Ciò che tu hai visto in sogno, non è che un’immagine di quanto accadrà ben presto nella realtà. Però tu Mi vedrai nella realtà, prima ancora che tutto ciò avvenga e più spesso, poi, dopo la Mia risurrezione”. Dopo aver inteso queste parole, io mi ridestai e molto ho pensato poi riguardo a questa visione. Ma finora, ad eccezione della Tua Persona, io nella realtà non ho visto ancora nessuno che somigliasse a quell’Uomo!»

12. Dico Io: «Chissà, forse Io stesso Lo sono! Ma ora lasciamo stare questo argomento e vediamo di disporre le cose per il giorno che viene».

 

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Cap. 121

Conversazione tra il comandante Giulio e il Signore sulla malvagità dei templari.

 

1. (Il Signore:) «I farisei che per causa Mia hanno intrapreso il viaggio fino a qui e che il nostro amico ha indotto a più miti consigli in una maniera saggia davvero, tenteranno domani di metterMi alle strette, quando Mi avranno riconosciuto, ma Io per la prima volta dirò loro in faccia tutta la verità.

2. Gli ammalati che sono qui e gli altri che ancora verranno, non dovranno che toccare il lembo del Mio mantello per venire guariti. I Miei discepoli poi dovranno prendere la colazione senza lavarsi le mani e questo basterà per far uscire dai gangheri questi farisei e scribi veramente irriducibili. In seguito a ciò essi inizieranno subito con le loro solite domande inquisitorie, ma allora sentiranno da Me delle risposte che riusciranno loro molto più acide ed amare dell’aceto e del fiele che essi usano dare ai condannati per spegnerne la sete. E adesso le due ore che mancano ancora al mattino le passeremo in silenzio.

3. I Miei discepoli sono ormai anch’essi andati a riposare assieme ai due esseni, che però non sono più tali, ed ai pochi farisei e scribi; essi hanno compiuto un bel lavoro, perché li hanno guadagnati tutti alla Mia causa. I due altri giovani farisei, Pilah e Acheb, il primo da Chis e il secondo da Gesaira, ambedue oratori scelti e persone calme e prudenti, sono già da tempo Miei discepoli. Questi due, arrivati qui appena ieri mattina, si sono subito uniti ai Miei discepoli, tutti pescatori all’infuori di tre, e non hanno ancora la necessaria scioltezza di linguaggio; e così i due giovani farisei prestano eccellenti servizi.

4. E tu, Ebal, va’ adesso di là e dì ai Miei discepoli di non lavarsi le mani domattina prima di toccare il pane della colazione ed agli altri farisei e scribi convertiti ed ai due esseni che si tengano frattanto nascosti finché quelli di Gerusalemme non saranno di nuovo partiti, soltanto dopo potranno uscire fuori ed Io impartirò loro la Mia benedizione. Se poi vorranno cambiare la veste e rimanere presso di Me, oppure se preferiranno restare esteriormente quello che sono stati finora di fronte agli uomini, è una scelta che devono fare loro. Va’ dunque, e riferisci questo ai discepoli e agli altri!». Ed Ebal immediatamente si allontana e procede esattamente come Io gli ho indicato. Tutti gl’interessati si dimostrano lieti di avere notizie da Me e promettono di osservare puntualmente tutto secondo le istruzioni fatte loro pervenire.

5. Poco dopo Ebal è di ritorno e riferisce della buona accoglienza avendo trovato il suo incarico, ed anche qui sono tutti soddisfatti, e il comandante esclama: «Io mi rallegro oltremodo di quello che ci porterà la giornata di domani, però aggiungo pure – ed a ciò m’induce del tutto particolarmente anche il sogno straordinario avuto della nostra carissima Giara – che con quei figuri io non intendo scherzare. Qualora volessero ricorrere alle frottole, io li faccio frustare, così da far scorrere a rigagnoli il pessimo sangue sulle loro schiene. Infatti la frusta della parola è troppo poca cosa per questa gente inumana e non fa che maggiormente incitarli alla vendetta, mentre una flagellazione effettiva ed energica contribuirà molto a smorzare il loro ardore malvagio. Non è certo che ancora lo farò, ma neppure del tutto escluso!

6. Potrebbe accadere molto facilmente, se ci fosse anche un solo lieve barlume di possibilità che quei figuri, assieme ai loro aiutanti, tentassero davvero di procedere verso di Te, o Signore ed amico, per filo e per segno così come ha visto nel suo primo sogno questa fanciulla! Io dico che basta una scintillina di possibilità che si verifichi quanto detto sopra e oltre a ciò aggiungiamoci anche il prefetto Ponzio Pilato che ha un’estrema debolezza femminea – e loro Ti inchiodano come se niente fosse alla traversa [della croce]!

7. Ah, se fossi io il prefetto di Gerusalemme, vorrei vedere se qualcuno si azzardasse a mettere le mani su di Te! Lo appenderei dieci volte sulla traversa di legno e solo alla decima gli farei spezzare le gambe! Ma io purtroppo ho l’ordine di stazionare qui e non potrei venire in Tuo aiuto, né lo potrebbero i Tuoi amici, Cirenio e Cornelio! Si deve cominciare dunque, in tempo, a mitigare la perversa arroganza in questa genia, perché ne sia intimorita a dovere ed affinché, se le si presentasse l’occasione in seguito, non le riesca così facile levare le orribili zampe contro uomini divini, quale Tu ne sei uno al massimo grado!

8. Oh, aspettate, aspettate, razza di cialtroni; il giorno che viene farà per voi tanto caldo, che dovrete sudare sangue! Quando quei figuri avranno ricevuto qualche dura lezione di tale genere, io sarei tentato di scommettere quasi la metà dell’Impero romano che essi si dimostreranno più remissivi nel loro perfido agire, almeno nei momenti più crudeli di esso, ma prima conviene che la loro lurida e vecchia pelle venga conciata a dovere! Dixi!». (Ho detto!) 

9. Dico Io: «Tu certamente puoi fare quello che vuoi, né Io ti dirò di non fare così, poiché tu sei uno degli amici più cari e più saggi che Io abbia mai incontrato. Tu dimostri un tatto non comune, quando parli ed agisci, però devo dirti che tutto ciò non gioverà a nulla a questa razza perversa, ma invece la renderà più perfida e più scaltra. Infatti, una volta che uno appartiene a Satana, costui gli appartiene del tutto; certo si può qua e là giungere ancora a qualche migliore risultato usando appunto la sferza della parola, come ora hanno fatto i Miei discepoli e come è già accaduto a Nazaret, dove il preside della sinagoga, assieme ai farisei ed agli scribi, ha accolto la Mia dottrina. Molte volte, per altro, neppure con questo sistema si ottiene qualcosa, e con il tuo sistema, poi, meno che meno! Infatti con la sferza tu cacci sì fuori un demonio, ma al suo posto ne entrano altri dieci, ciascuno dei quali, poi, è molto peggiore di quello di prima»

10. Dice il comandante: «Com’è vero che il mio nome è Giulio, io non alzerò la sferza e il flagello contro nessuno prima che non vi sia costretto da una assoluta necessità; ma se comincio, allora guai a chi tocca!»

11. Dico Io: «Qui hai nuovamente ragione! Bisogna che la pazienza sia esercitata fino agli estremi limiti del possibile, ma quando questi limiti sono raggiunti, è bene allora concedere libera azione al tuono ed al fulmine senza ulteriore indugio e risparmio, altrimenti i peccatori potrebbero pensare che si voglia scherzare e giocare con loro come con i piccoli fanciulli!».

12. Dice il comandante Giulio: «Questo è assolutamente il mio principio! Prima che io infligga una punizione a qualcuno, ci vuole molto, ma se un incorreggibile mi costringe, costui si ricorderà bene di essere stato punito da me. Ma adesso sono del parere che il paio d’orette che ci restano le potremmo dedicare al riposo, perché il grigiore dell’alba comincia già a mostrarsi!»

13. Dico Io: «Sì, facciamo così, però ciascuno rimanga qui al suo posticino».

14. Allora si fa silenzio e tutti gli occhi si chiudono sotto l’influenza di un sonno breve sì, ma dolcissimo e quando è l’ora del risveglio, ciascuno si sente tanto ristorato che gli pare di aver comodamente dormito e sognato tutta la notte su qualche soffice giaciglio.

 

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Cap. 122

Grande guarigione di malati con il semplice tocco del mantello del Signore,

(Matt.14,36)

 

1. Tutti si meravigliano per l’efficacia di quel breve sonno ristoratore ed intanto il Sole già comincia ad illuminare le vette dei monti circostanti. Ebal dà subito l’ordine alle proprie mogli di far preparare una buona colazione e le due donne, allora, assieme alle figlie più anziane, si affrettano ad eseguire l’incarico ricevuto, ciò che riesce loro tanto più facile poiché le loro dispense si trovano ricolme da cima a fondo. 

2. Nel frattempo i farisei hanno già completamente occupato la loro mensa, cosicché nessuno avrebbe più potuto trovarvi posto ed Ebal fece loro anche immediatamente servire la colazione consistente in pane, vino, alcuni pesci arrostiti e miele vergine. Appena essi furono sbrigati, Ebal fece preparare un’altra mensa destinata per Me, i discepoli, il comandante e per Ebal e la sua famiglia.

3. Ma, prima di entrare nella sala, Io incaricai Ebal di far radunare tutti gli infermi che erano in Mia attesa nella vasta camera dei forestieri e di comunicare loro che essi non avrebbero dovuto fare altro che toccare il Mio mantello per venire risanati all’istante. Allora Ebal uscì fuori ed eseguì il Mio ordine.

4. Dopo di che Io feci il Mio ingresso nella sala da pranzo, accompagnato dal comandante, dai Miei discepoli e dalla piccola Giara che non voleva allontanarsi mai neanche di un passo da Me e Mi sedetti a mensa senza badare affatto ai farisei e senza salutarli, cose queste alle quali essi tenevano moltissimo.

5. E quando Io, il comandante ed i discepoli fummo tutti a posto, ecco già entrare nella sala da pranzo circa duecento ammalati, i quali Mi pregarono di poter toccare il lembo del Mio mantello (Matt.14,36). Ed Io permisi loro di fare quanto Mi avevano chiesto, mentre Io, i Miei discepoli e tutti gli altri facevaMo colazione. Allora tutti gli ammalati si accalcarono intorno a Me e toccarono esteriormente il Mio mantello e tutti quelli che giunsero a toccarlo furono guariti.

6. Però dietro a certi infermi si erano insinuati i farisei e gli scribi rosi dalla gelosia, i quali dissero loro di nascosto: «Non toccate la veste di questo nazareno, che ormai sappiamo chi è e voi ugualmente guarirete», ed avvenne che quelli che seguirono il consiglio dei farisei e non toccarono la Mia veste, restarono con le loro infermità.

7. E come si furono accorti che il male non li aveva abbandonati, si rivolsero di nuovo a Me e Mi pregarono di permettere loro di toccare la Mia veste. Ma Io li rimproverai e dissi: «Siete venuti qui per cercare Me o piuttosto per quei farisei che vi hanno distolto dal toccare il Mio mantello? Che vi aiutino coloro nei quali voi avete creduto; rivolgetevi dunque a loro!».

8. Tali parole, manco a dirlo, non sfuggirono alle orecchie dei farisei, i quali divennero infuocati per l’ira (Matt.15,1). Questi avanzarono allora subito verso di Me e il loro capo esclamò: «Sei tu, dunque, colui a causa del quale noi abbiamo dovuto scomodarci da Gerusalemme per venire a Nazaret?».

9. Io non gli do affatto risposta, ma il comandante, che sedeva alla mensa vicino a Me, e precisamente alla Mia destra, risponde con voce tonante: «Sì, Costui Lo è, e voi miserabili non sarete mai in eterno degni di guardarlo in faccia! Perché avete distolto questi poveretti dal toccare la Sua veste? Anch’essi, come i loro compagni, avrebbero potuto riacquistare la salute! O cani rognosi, ma non sapete proprio fare altro a questo mondo che seminare la sventura fra gli uomini, quando se ne presenti l’occasione?».

10. Allora Io faccio cenno al comandante di moderarsi, per evitare scenate spiacevoli!

11. Ed il comandante si frena, ma tuttavia impone al capo dei farisei, con tutta serietà, di dichiarargli con tutta sincerità il motivo per cui ha sconsigliato alcuni fra gli ammalati dal toccare la veste del divino Maestro, in modo che anch’essi, come gli altri, avrebbero potuto venir guariti!

12. Ed il capo risponde, non senza imbarazzo: «Con ciò noi non abbiamo voluto altro che attingere l’assoluta convinzione che veramente sarebbero stati guariti soltanto quelli che avessero toccato la veste. Ma oramai siamo davvero persuasi che soltanto coloro che hanno toccato la veste del Maestro hanno riacquistata la salute e noi non ci opponiamo più al fatto che essi facciano quello che può liberarli dai loro mali!».

13. Allora quelli che erano rimasti infermi si levano e dicono: «Oh, se non fossimo tanto ammalati, miseri e deboli, per la vostra prova fatta a nostre spese, per constatare se anche senza toccare la veste del divino Salvatore noi saremmo guariti, noi vi daremmo una tale ricompensa da potervene ricordare per tutta l’eternità! Ma differire non vuole dire ancora revocare, con l’aiuto di Dio verrà bene il giorno in cui anche noi ritorneremo sani ed avremo ancora occasione di incontrarci in qualche luogo. State bene attenti a quello che faremo di voi!».

14. Io però dico agli ammalati: «Sia lontano da voi ogni proposito di vendetta! Se volete che Io vi aiuti, bandite ogni sentimento di ira e di rancore dal cuore!».

15. Esclamano allora gli ammalati: «Maestro, per amor Tuo faremo tutto quello che mai potrai domandarci, soltanto, o Signore, libera anche noi, poveri di spirito, dai nostri mali!».

16. Ed Io dico loro: «Ebbene, avvicinatevi e toccate anche voi la Mia veste!».

17. Essi Mi si avvicinano subito e toccano il lembo del Mio mantello e si trovano d’improvviso completamente guariti.

18. Ed il comandante, eccitato in sommo grado, così tuonò: «Dunque, o ciechi veggenti della cosiddetta santa città di Dio, siete adesso ben persuasi che l’Uomo, riguardo al Quale andate spargendo le peggiori voci e per inquisire il Quale ed impadronirveNe voi siete usciti fuori, sia proprio quel pessimo soggetto che vi davate ieri la pena di descrivermi?».

19. Risponde il capo ed anche gli altri farisei: «Che da lui proceda una influenza o potenza curativa eccezionale, ce ne siamo ora convinti più che a sufficienza, ma dalla constatazione di tale fatto al dedurre che tutto ciò avvenga per una specie di potere divino, molto ci corre, perché noi osserviamo in lui ed in coloro che siedono con lui a mensa che essi non osservano la tradizione degli anziani e, dove questo manca, è quanto mai prematuro parlare di un influsso divino!».

20. Dice il comandante: «Di simili cose io non me ne intendo affatto, perciò chiedetene a Lui stesso!».

 

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Cap. 123

Il Signore e il capo dei farisei.

(Matt.15,1-9)

 

1. Allora soltanto il capo dei farisei si presenta dinanzi a Me e domanda (Matt.15,1): «Maestro! Chi sono coloro che siedono con te a mensa?».

2. Dico Io: «Sono i Miei discepoli!»

3. Chiede ancora il capo: «Perché i Tuoi discepoli trasgrediscono la tradizione degli anziani? Infatti non si lavano le mani quando prendono il pane!»

4. Ed Io, levatoMi in piedi, Mi volsi bruscamente di fronte al capo dei farisei e con voce sonora gli domandai a Mia volta: «E voi, perché trasgredite il comandamento di Dio per amor della vostra tradizione? (Matt.15,3). Dio ha comandato in questa maniera: “Onora il padre e la madre! Ma chi maledice il padre o la madre sia punito con la morte!” (Matt.15,4). Invece voi insegnate ai figli a dire così ai loro genitori: “Quando io faccio un’offerta al Tempio per te, o padre, o per te, o madre, questo è un vantaggio superiore che non se io ti onorassi continuamente secondo il vecchio costume”. E voi dite ad un simile figlio o figlia che così è ben fatto! (Matt.15,5). Ma quale ne è la conseguenza? Ecco, questa è la conseguenza: ormai quasi nessuno onora più il proprio padre e la propria madre! E così avete annullato il comandamento di Dio per la vostra (opportuna) tradizione! (Matt.15,6). Chi ve ne ha dato il diritto? Voi sì che potete procedere in tal modo, perché non avete ancora mai creduto in Dio, perché chi è morto spiritualmente non ha più coscienza!»

5. Qui interviene di nuovo il comandante e dice: «Ah, ah, a questo punto dunque siamo arrivati? Oh, questa è una cosa di cui devo particolarmente prendere nota! Una bella razza di servitori di Dio siete voi! Ed è perciò che voi non potete riconoscere quanto vi è di puro e divino nel nostro Maestro e Salvatore. Il vostro Dio, dunque, si limita in primo luogo alla vostra pancia ed ai sacchetti d’oro e d’argento, sempre per la vostra pancia! Bene, bene, ormai vi conosco a fondo; continuate pure la vostra discussione»

6. Dice il capo dei farisei: «Noi siamo servitori di Dio nell’ordine di Aronne!».

7. Allora Io esclamo: «O miserabili ipocriti! Di voi scrisse e profetizzò bene Isaia, (Matt.15,7) quando disse: “Questo popolo si accosta a Me con la bocca e Mi onora con le labbra, però il suo cuore è ben lontano da Me! Ma invano Mi onorano, insegnando dottrine che non sono che comandamenti di uomini!”»

8. Dice il capo dei farisei: «Con le nostre massime, le quali pur esse sono salutari agli uomini, noi non annulliamo affatto i comandamenti di Dio!»

9. Dico Io: «Io ve l’ho già dimostrato in rapporto a quel comandamento di Dio, volete ancora sentire come voi calpestate nella polvere tutti gli altri comandamenti di Dio e come al di sopra di questi innalzate fino al Cielo i vostri precetti umani?»

10. Dice il capo dei farisei: «Lascia stare, perché la gente qui è molta!» 

11. Dice il comandante: «Allora in presenza del popolo rendete al Maestro testimonianza che Egli vive ed opera in modo del tutto giusto secondo la Legge di Dio!»

12. Risponde il capo: «In questo momento non lo possiamo fare, una cosa simile può essere fatta unicamente di iniziativa del Tempio per mezzo del sommo sacerdote, l’unto del Signore!».

13. Dice il comandante: «Questo è quello che noi romani definiamo con il detto: “Ars longa, vita brevis”, vale a dire che si vuole, per certe ragioni, tirare più a lungo che sia possibile, per poi non farne nulla, ma io vi dico, senza alcun riguardo, davanti a tutto il popolo, che per un Maestro come Lo è Gesù di Nazaret, la vostra testimonianza, per quanto la stimaste la migliore, sarebbe sempre troppo povera e cattiva. Ed io vi dico che, qualora arrivati a casa vostra, nel Tempio, vi azzardaste a fare ai vostri ipocriti colleghi qualche rapporto anche in minima parte equivoco o falso sul conto di Gesù, nello stesso istante anch’io manderò all’imperatore a Roma un rapporto nel quale gli esporrò, per filo e per segno e con l’appoggio di cento testimoni, in quale modo voi ed i vostri colleghi avete organizzato e perpetrato la famosa rapina delle imposte! Dopo ciò calcolate che non passerà un anno e il vostro covo infernale sarà distrutto cosicché, poi, riuscirà difficile rilevare dove una volta sarà esistito! Tenetevi tutto questo bene a mente, perché quello che un romano promette, anche lo mantiene, dovessero andare in rovina Cielo e Terra. Fiat justitia, pereat mundus! (Sia fatta giustizia, perisca pure il mondo!). Mi avete compreso?».

 

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Cap. 124

Severo discorso di Giulio sulla benedizione del Signore.

 

1. A queste parole del comandante Giulio, i farisei si ritirano completamente storditi e si consigliano tra di loro riguardo di quello che sarebbe stato opportuno fare. L’uno è dell’opinione che infine bisognava rilasciarMi la testimonianza richiesta dal comandante.

2. Ma il capo obietta: «Come possiamo farlo, se egli disprezza e calpesta le leggi del Tempio? Ma se anche lo facessimo per salvare le apparenze e il resto non ci gioverà a nulla, perché, a tempo debito, salterebbe fuori la testimonianza resa da noi e tutta la colpa e la pena allora cadrebbero su di noi! Risolviamoci piuttosto a mantenere la promessa che il comandante ci richiede, perché, se anche poi venisse qualche imbroglio, avremmo una buona ragione per scusarci di fronte ai nostri superiori!». Tutti i farisei accettano questo consiglio e finiscono con il restarsene quieti e silenziosi.

3. Allora Io Mi alzai di nuovo e, rivoltoMi al capo dei farisei, gli dissi in tono severissimo: «Dunque, per l’inosservanza dei vostri precetti umani dimentichi di Dio, tu non puoi e non vuoi rendere testimonianza di Me, e ciò per timore che possa succedere qualcosa al tuo corpo sciagurato!

Oh, se tu Mi avessi reso questa testimonianza, come saresti stato beato nel tempo e nell’eternità, ma ormai il tempo è passato! Il Figlio dell’uomo non avrà mai più bisogno di una testimonianza da te, poiché le Sue opere e le Sue parole già rendono vera testimonianza di Lui! E affinché tu ed i tuoi compagni vi convinciate che il Figlio dell’uomo non ha alcun timore degli uomini, Io dichiarerò ora, dinanzi a tutto il popolo, in tua presenza, che l’osservanza dei vostri precetti non ha nessun valore e che colui che li osserva secondo i vostri intendimenti commette un grave peccato di fronte a Dio!»

4. Dice il capo dei farisei: «Non farlo, altrimenti ti potrebbe capitare del male!»

5. Dice il comandante: «Egli lo farà e non Gli capiterà nulla di male! Notatelo bene, o voi miseri adoratori del dio denaro! Qui voi siete in mio potere; al minimo atto sospetto da parte vostra, io vi faccio tagliare a pezzi e gettare in pasto ai draghi del mare quant’è vero che Giulio è il mio nome! Ma guardate un po’ questa razza sciagurata! Dalla storia si apprende che la gente del Tempio, già da più di trecento anni, non ha fatto niente di buono a nessuno. E se mai fra di essa è sorta, di quando in quando, un’anima nobile, questa è sempre stata trattata così com’è toccato, secondo quanto mi è noto, all’onesto e pio Zaccaria, saranno ora trent’anni appena e così, se qualcuno dei loro correligionari comincia ad elevarsi sugli altri, ricolmo d’amore per la verità, di rettitudine e di forza divina, questi figuri sono sempre pronti a trarlo in rovina! Oh, questo miserabile mestiere è bene che vi venga ben presto impedito!

6. Ecco qui: quest’Uomo veramente divino è venuto in questa regione, che è universalmente conosciuta per la sua insalubrità, dove, in tutto il circondario, si trovavano parecchie migliaia di infermi, gente del luogo e forestiera; anche i miei soldati erano per metà travagliati da febbri moleste e ostinate e qualcuno già da oltre un anno; un bel giorno però è venuto qui questo puro Uomo di Dio ed ha guarito tutti coloro che hanno richiesto aiuto a Lui. Non sarebbe dunque doveroso erigere ad un Uomo simile un altare e sacrificarGli come ad un Dio e renderGli ogni possibile onore? Ma voi cosa avete fatto di bene agli uomini da quando siete venuti qui? Solo questo avete fatto: la cantina e la dispensa di Ebal saranno tra poco alleggerite per un centinaio di denari di valore!

7. È per gratitudine che voi, come fanno i lupi, divorate dappertutto per niente, e volete ancora causare la rovina del nostro maggiore benefattore! È solo merito di quest’Uomo, se Cirenio non ha immediatamente radunato tutte le forze che ci sono in Asia e non ha distrutto fino alle fondamenta il vostro immondo covo di rapina e fornicazione! No! Fa solo orrore pensare alle vostre infamie! Infatti, affinché gli imbrogli, che voi vendete al popolo a caro prezzo come fossero cose divine, non vengano scoperti, ebbene voi, con tutta l’astuzia che Satana vi suggerisce, tentate di sbarazzarvi perfino dei vostri migliori uomini e benefattori, quando scorgete in loro qualcosa di una luce superiore! Ditelo voi stessi se non siete molto più malvagi di Satana in persona!» 

8. Ed il comandante, rivoltosi poi a Me, disse: «Signore e Maestro dalla scuola di Dio, insegnaci senza alcun timore la verità e dichiara pure al popolo quello che in seguito dovrà pensare e fare riguardo ai precetti umani. Io so che a Te obbediscono Cielo, Terra e tutti gli elementi e che Tu, con il semplice alito della Tua bocca, puoi, con altrettanta certezza, disperdere come polvere al vento questi furfanti, quanto certo fu che Tu potesti comandare al mare di sostenerci e portarci come fosse solido terreno, tuttavia, da debole uomo che sono in Tuo confronto, io mi metto completamente ai Tuoi ordini con tutto il mio potere umano-militare, che poi non è affatto insignificante, fino all’ultimo uomo e fino all’ultima goccia di sangue! Bisogna che questi miserabili figuri imparino che tipo di luogo è Genezaret!»

9. Dice il capo dei farisei, con voce tremante: «Signor comandante! Ma dove hai tu una prova contro di noi, così da poter sostenere che siamo venuti qui unicamente per mandare in rovina quest’Uomo? Noi siamo bensì venuti per esaminarlo ed osservarlo, cosa di cui non è possibile farci un carico, ma, nel Nome di Dio, non si può ancora parlare di rovinare qualcuno! Per te è facile dire e valutare le cose, perché hai avuto sufficiente occasione di conoscerlo attraverso le sue opere e le sue parole, noi, invece, tranne l’odierna meravigliosa guarigione, abbiamo visto ed appreso ancora poco, all’infuori delle tue minacce per niente molto umane; ed io credo che a noi, che in un certo modo siamo quasi completamente estranei a questa faccenda, dovrebbe pur essere lecito osservare un po’ da vicino quest’uomo meraviglioso!

10. Non ignoriamo certamente di trovarci noi, gente del Tempio, su un terreno già molto cedevole, ma, nonostante ciò, anche questo è meglio di niente e lo Stato è tenuto a tutelarlo finché a Dio forse piacerà crearne uno di più solido! Perciò io ti prego di non ricorrere subito alla spada contro di noi, se scambiamo qualche parola con il miracoloso Gesù! Che Egli faccia pure quello che vuole e che insegni e predichi pure a suo piacimento, affinché sia dato anche a noi di intendere a questo riguardo qualcosa di migliore di quanto abbiamo finora appreso soltanto in base a racconti di terze persone ed ai molti rapporti certamente falsi. Se noi vedremo che nella cosa c’è veramente qualcosa, anche noi ci faremo altre idee, diverse da quelle che ci siamo fatte finora attraverso gli altri! Infatti neppure noi siamo tanto ottusi, e il nostro cuore è ancora capace di un equo giudizio».

11. Dice il comandante: «Il vostro rifiuto di fare la testimonianza richiesta non depone a favore dell’equità del vostro cuore, anzi, tutto al contrario! Ex trunco non quidem Mercurius (Non si può ottenere un Dio da un tronco); però vedremo il seguito!».

 

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Cap. 125

Tre documenti (Matteo 15,10-14)

 

1. Allora Io feci chiamare presso di Me tutto il popolo, cioè la gente che avevo guarita, nonché gli abitanti della città che erano abbastanza numerosi e che, per essere quella una vigilia di sabato, facevano festa. 

2. E quando il popolo si trovò radunato, così che la sala ne fu quasi zeppa, Io dissi: «Ascoltate ed intendeteMi bene! (Matt.15,10). Non ciò che entra nella bocca contamina l’uomo, ma lo contamina ciò che esce dalla bocca. (Matt.15,11). Mangiare il pane con le mani non lavate non contamina nessuno. Io lo dico a voi tutti e da parte Mia resta per l’eternità abrogata tale prescrizione fatta dagli uomini!». Ed il popolo tutto proruppe in grida di giubilo ed in esclamazioni di lode al Mio indirizzo.

3. Ma i discepoli, accostatisi a Me, dissero: «Hai Tu osservato come i farisei, frementi d’ira, si sono scandalizzati udendo le Tue parole?». (Matt.15,12).

4. Ed Io ad alta voce dissi ai discepoli: «Ogni pianta che il Padre Mio non ha piantato, sarà sradicata! (Matt.15,13). Lasciateli partire! Essi sono guide cieche per ciechi. Ora, se un cieco guida un altro cieco, ambedue cadranno certamente nella fossa! (Matt.15,14). Perciò costoro possono scandalizzarsi quanto vogliono, perché il loro padre è diverso dal nostro. Il padre nostro è dall’Alto, mentre il loro padre è dal basso!

5. Udendo tali parole, i farisei diventarono prima lividi, e poi infuocati dall’ira e dal furore che li rodeva, e il loro capo, sebbene sempre con voce tremante, esclamò: «Ormai ne abbiamo inteso abbastanza! Egli ha proferito bestemmia contro Dio e contro di noi. Ora noi sappiamo con chi abbiamo a che fare e chi veramente è questo Gesù da Nazaret. Andiamocene via da qui, ed il sommo sacerdote sappia dalla nostra viva voce che specie di uomo è questo nazareno!»

6. Dice il comandante: «Si può bensì sempre entrare in una città, a seconda della propria volontà, come avete fatto voi, ma uscire dipende dalla volontà di colui che ha il potere sulla città! Si fa presto a dire: “Andiamocene!”, ma allora si fa avanti il detentore del potere che dice: “Voi restate!”».

Le ultime parole furono pronunciate con voce tonante.

7. Alle ultime parole “voi restate!” i farisei furono colti da tale spavento che diventarono terrei, cominciarono a tremare e non furono più capaci di articolare una parola.

8. E quando il comandante si fu accorto dell’effetto disastroso in loro dalla sua intonazione, così continuò: «Prima di lasciarvi partire, noi avremo ancora parecchio da discorrere e voi dovrete prima firmarmi di vostro proprio pugno ed alla presenza del popolo due contratti ed una dichiarazione, ma sia i contratti che la dichiarazione vanno firmati per la vita e per la morte! Tenetevelo bene a mente! Perché, non appena fossi avvertito per mezzo dei miei spioni, che hanno le orecchie molto buone, che voi non avete mantenuto neanche un solo articolo dei contratti, lo stesso giorno piomberebbe su di voi la morte e non vi gioverebbe affatto il nascondervi, neanche dietro a mille Templi!».

9. Dopo ciò il comandante si fece portare dai suoi addetti l’occorrente per scrivere e stilò i documenti con le seguenti parole: Contratto n°1: se qualcuno di voi si azzarderà a pronunciare sul conto di Gesù da Nazaret anche una sola parola calunniosa, sia fra di voi, sia davanti a qualche estraneo, ciò che verrà scoperto immediatamente, costui sottostarà al giudizio ed alla morte! 

Contratto n°2: chi di voi, riferirà al Tempio di Gerusalemme, sia pure una sola parola di tutto ciò che qui è accaduto e di cui si è parlato e renderà di Gesù, il Signore, una mala testimonianza, sia nel Tempio che fuori, costui sarà sottoposto ad atroce giudizio e poi alla morte fra i tormenti e nessuno s’illuda pensando che nessuno arriverà a saperne niente! Come già detto, nello stesso momento, dove e quando è indifferente, direte una sola parola di quello che i due contratti vi obbligano a tacere, i miei emissari lo sapranno ed accadrà di voi secondo quanto è stato stabilito nei contratti stessi.

10. Poi il comandante si accinse a scrivere una dichiarazione del seguente tenore: “Noi tutti quanti insieme, confessiamo con le firme apposte di nostro proprio pugno in calce alla presente e ciò a conferma della verità pro memoria aeterna (a eterno ricordo) che siamo stati noi gli autori della nota rapina ai danni dell’erario imperiale, perpetrata prendendo in illegittima consegna, perché sottratti mediante ignominiose astuzie e raggiri ai rispettivi portatori, le imposte ed altri tesori provenienti dal Ponto e dall’Asia Minore. Dichiariamo inoltre che durante il trasporto e precisamente a Chis, il fatto incriminabile è stato rivelato da Gesù da Nazaret, anche se non direttamente e verbalmente, tuttavia sempre per il Suo influsso. Riconosciamo infine che da parte del giudice Fausto sarebbe stata pronunciata contro di noi tutti, senza eccezione, sentenza di morte, però il nominato Gesù di Nazaret s’interpose in nostro favore e perciò fummo salvi! Questa è una verità che noi siamo disposti a sostenere anche a prezzo della nostra vita!”».

11. Quando il comandante ebbe approntato i tre documenti, ne diede tranquilla lettura ai farisei ed agli scribi; man mano che la lettura procedeva, le loro facce si facevano sempre più lunghe, ma quando udirono il testo della dichiarazione, soltanto allora si presero il capo disperatamente fra le mani, e gridarono: «Cosa, dobbiamo sottoscrivere una cosa simile?»

12. Dice il comandante: «Appunto! Si tratta della pura verità! Ma se non volete firmare, là sono pronti già gli aiutanti del carnefice muniti di verghe, sferze e scuri ben taglienti!». Allora i farisei si volsero ed infatti scorsero quei terribili ministri della giustizia! A quella vista essi non aprirono più bocca e chiesero che venisse loro dato l’occorrente per firmare! Il comandante però fece notare loro che dovevano firmare con i loro veri nomi, perché qualunque falsa dichiarazione e indicazione avrebbe avuto come conseguenza la morte. Essi firmarono dunque con i loro veri nomi e chi fra il popolo sapeva scrivere, dovette pure apporre la firma in qualità di testimone.

13. Quando i tre documenti così regolarizzati si trovarono nelle mani del comandante, questi aggiunse: «Ecco che ormai possiedo quello che già da lungo tempo ci tenevo ad avere da voi e così sapete bene ciò che si trova in mia mano. Quello che siete tenuti a mantenere, lo sapete pure e così non c’è più altro da dire, né da fare. Adesso potete andarvene dove più vi piace, fino al confine vi sarà data buona scorta!».

14. I farisei non se lo fecero dire due volte: misero insieme la loro roba, e non era passata neanche mezz’ora che essi si lasciarono Genezaret ad una bella distanza dietro le spalle, tutti mogi e silenziosi.

 

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Cap. 126

L’ammonizione del Signore a guardarsi dalla perfida astuzia dei templari.

 

1. Quando quegli osservatori ed esaminatori furono già ben lontani, disse il comandante: «Signore! È da sperare che questi qui se ne stiano zitti, perché i tre uncini, ai quali si sono impigliati, dovrebbero tener bene! Del resto corrisponde al vero che io al più tardi entro otto giorni, saprò quello che ognuno di loro potrà aver detto in qualsiasi luogo, per quanto segretamente; questo essi lo sanno bene e la loro convinzione è più forte ancora dei miei informatori sparsi dappertutto e la grande paura da cui sono dominati è la loro grande maestra di disciplina. Io garantisco che nessuno di loro dirà neppure una sillaba sola di tutto ciò che gli è accaduto qui!»

2. Dico Io: «Certo, essi serberanno il silenzio, ma tanto più rovente diventerà la loro ira, poiché quello che è toccato loro qui in misura abbondantissima, nessuno lo dimenticherà mai più. Dunque, state tutti bene in guardia, perché la loro segreta perfidia è grande e non ha confini! Nei loro cuori albergano demoni e per questi nessun mezzo è troppo cattivo, pur di vendicarsi di colui che li ha offesi! Badate dunque a voi! Essi cercheranno ora di tessere ogni possibile e fosca trama! Però la dichiarazione che hanno dovuto firmare è ancora il vincolo migliore che impedisce loro una certa libertà d’azione! E perciò se ne staranno quieti, ma essi manderanno intorno a voi dei maligni spioni in numero più grande di quanti ne manderete voi intorno a loro e prezzoleranno dei falsi testimoni contro di voi; perciò badate bene a voi; è per questo che Io vi avverto prima»

3. Dice il comandante: «Signore, io ti ringrazio dal profondo del cuore per questo avvertimento! Ma poiché ora so questo, ogni forestiere, specialmente se si tratterà di un gerusalemita, d’ora innanzi bisognerà che si senta in uno stato d’animo del tutto particolare quando varcherà i confini di questa regione! In verità ad un tale verranno attizzati carboni ardenti sul capo! Basterà che ne venga pigliato uno ed al secondo passerà la voglia di fare l’informatore per conto del demonio!»

4. Dico Io: «Sì, certo, così succederà e perciò state bene attenti, perché questa razza appare esteriormente mansueta come le colombe, mentre nel suo interno è più velenosa e micidiale di un crotalo egiziano. Essi si presenteranno sotto tutte le forme e parleranno tutte le lingue, ora camuffati da mercanti persiani, ora travestiti da greci, da egiziani ed anche da romani e sarà difficile distinguerli dai veri appartenenti alle dette nazioni. Ma se voi li esaminerete rigorosamente, potrete ben rilevare a grandi linee quel che terranno celato in fondo al loro pensiero!».

5. Dice il comandante: «O Signore! Maggiori grazie Ti siano ancora rese! Ora conosco perfettamente quello che dovrò fare in futuro; e se mai si dovesse presentare qualche caso particolarmente oscuro ed impenetrabile, Tu ben mi permetterai di invocare il Tuo Nome potente e santo sopra ogni cosa e di chiedere: «O altissimo ed onnipotente Spirito del mio Signore e Maestro Gesù! Rischiara il mio cuore, cosicché sia fatta luce in esso!». E Tu certo udrai questa mia invocazione anche agli estremi confini dell’Universo!».

6. Gli dico: «O amico Mio e fratello, resta tu in Me così e lo Spirito Mio rimarrà a sua volta in te, pronto a soccorrerti in ogni tempo e ad ogni ora del giorno e della notte».

7. A questo punto Giara, la quale si trova sempre con Me, interviene e dice: «Ma Signore! Tu parli come se dovessi ben presto lasciarci! Io Te ne prego, resta, resta ancora qualche giorno con noi perché certo Tu sei la mia vita! Ora, come potrei io vivere senza di Te? Oh, Tu devi restare, io non Ti lascerò partire, no! Senza di Te io sento che certamente morrei!».

8. Ed Io le dico amorevolmente: «Oh, Giara, Mia dilettissima! Io non Ti abbandonerò mai più in eterno! E se anch’Io, quale Persona Umana, dopo essere rimasto qualche giorno ancora con voi, dovrò allontanarMi per un certo tempo, per ragioni della Mia Missione, tuttavia in Spirito Io rimango presso di te e tu potrai parlare sempre con Me ed Io darò sempre una risposta chiarissima ad ogni tua domanda; di ciò puoi essere assolutamente più che sicura! Mi comprendi tu?»

9.Risponde la piccola Giara: «Oh, sì, mio amatissimo Signore Gesù, io Ti comprendo molto bene e so che per Te non c’è niente di impossibile, eppure avrei tanto caro che Tu restassi anche di persona ancora qualche tempo con noi. Infatti, vedi, da quando Tu ti trovi qui presso di noi, mi appare come trasfigurato e celestiale tutto quello che mi vedo intorno, sì, io non posso raffigurarmi più bello e maestoso di così nemmeno il Cielo. Resta dunque, o Signore, resta per amore mio anche personalmente qualche giorno ancora qui con noi».

10. Ed Io le dico: «Ebbene, sia fatto come tu vuoi e brami! Ad un amore come il tuo non è possibile negare nessuna cosa, specialmente quando esso si è scelto la parte migliore! Sta dunque di buon animo! Il tuo amore non resterà mai più solo!»

11. Questo annuncio riempie Giara di tanta letizia che essa corre a braccia aperte da Ebal ed esclama: «Padre Ebal, hai udito? Il Signore resta da noi ancora, anzi per sempre!»

12. Ed Ebal dice: «Mia cara figliola! Questa è una grazia immensa, che tutti noi insieme non meritiamo, perché Egli è un Signore del Cielo e di questa Terra! Quello che Egli vuole fare e fa, giace nascosto nei Suoi decreti eterni e imperscrutabili, per i quali ogni capello del nostro capo è contato così come sono contati i granelli di sabbia nel mare e noi uomini non possiamo portarvi alcun cambiamento. Ma di questa opinione sono io pure, che cioè per Lui, di fronte al Quale mille anni sono come un giorno, non avrà capitale importanza il trattenersi presso di noi un giorno di più o di meno. Dunque, tieniLo pure stretto e non lasciarLo scappare, perché tu Gli sei cara più di tutti noi»

13. Dice Giara: «Oh! Saprò ben io tenerLo stretto stretto, e non mi fuggirà». 

 

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Cap. 127

Il Signore parla dello spirito d’amore.

 

1. Allora vengo Io in silenzio alle spalle di Giara, sollevo la fanciulla da terra e le dico: «Ma fanciulletta Mia carissima, come farai tu a tenerMi stretto, stretto? Non vedi che sono molto più forte di te?»

2. Risponde la piccola, dopo che Io l’ebbi rimessa giù: «Oh, io so bene che Tu sei infinitamente più forte di me, povero moscerino in Tuo confronto, perché Tu, con la Tua onnipotente Volontà, reggi Cielo e Terra e trattieni il mare nelle sue profondità, come potrei io rivaleggiare mai con Te in forza? Ma io così intendo che Tu, poiché il mio amore per Te è tanto indicibilmente grande, per amore del mio amore Ti lascerai trattenere ancora un poco oltre il tempo in origine stabilito!

3. Dico Io: «Oh, sì, ancora una volta hai ragione tu, perché con l’amore tutto si può ottenere da Me ed è appunto l’amore per voi uomini, che Mi ha indotto a scendere su questa Terra! Ma chi ama come tu ami, costui certo può fare quanto vuole con Me, poiché un simile amore è appunto il Mio Spirito nel cuore dell’uomo e quello che un simile amore domanda e vuole è in perfetta armonia con l’Ordine divino fin nelle sue più remote profondità; perciò tu puoi sicuramente ben tenerMi stretto nel tuo cuore ed Io dal tuo cuore mai in eterno Mi separerò.

4. Tuttavia, per quanto concerne la Mia Persona visibile, essa non ha particolare importanza, mentre quello che veramente vale ed assolutamente ha valore è il Mio Spirito; tutto quanto da Me viene fatto, non lo fa la Mia Persona, bensì soltanto il Mio Spirito, ma per amor tuo Io Mi tratterrò qui ancora un paio di giorni anche personalmente, perché domani è un sabato e dopodomani è simile al sabato. Questi due giorni ancora Io li trascorrerò qui con voi, ma poi Io me ne andrò verso Sidone e Tiro, però più tardi farò ben ritorno e forse passerò con voi la metà dell’inverno».

5. E la fanciulla, tutta giubilante, esclama: «Oh, Dio, il santissimo Padre ne sia ringraziato e lodato! Ora sono proprio contenta!»

6. Tutti furono allora compresi di ammirazione per quella fanciulletta dodicenne e si meravigliarono per la sua intelligenza! Ed un vecchio là presente disse: «Oh, questa è una particolare grazia del Signore! In questa delicata e fragile personcina certo si nasconde un angelo del Signore! La sua figura e il suo spirito ne fanno testimonianza!»

7. Dice un altro: «Senza alcun dubbio! La fanciulla conta al massimo dodici anni e mezzo, ma essa ha l’aspetto di una di sedici! Il suo corpo è perfettamente formato e la sua anima non lascia niente a desiderare! Questa ha, in verità, testa e cuore al loro vero posto! Felice colui che la condurrà come moglie in casa sua!».

8. Queste considerazioni vengono all’orecchio di Giara, la quale dice: «Un’anima che ama Dio non ha bisogno dell’amore di uno sposo egoista, perché essa è già accolta quale sposa nella dimora di Dio! Io so amare gli uomini nella loro miseria e so far del bene ai poveri ad ogni ora del giorno e della notte, ma quel certo amore di un giovane io non lo conosco e non lo conoscerò mai, a meno che il suo cuore non sarà come il mio, ricolmo dell’amore più puro al Signore!»

9. Osserva un terzo vecchio israelita: «Oh, oh, fanciulla cara! Le tue parole suonano bensì sagge e belle come venissero fuori dalla bocca di un angelo, ma sei fatta di sangue e di carne anche tu e quando sarà venuto il tuo tempo, vedrai bene pure tu, se carne e sangue non hanno nell’uomo le loro esigenze!»

10. Risponde Giara: «Che l’uomo non è un Dio, questo lo so già dai miei primi anni, ma l’uomo, in forza del suo giusto amore a Dio, può giungere a dominare la propria carne e il proprio sangue, non senza l’immancabile aiuto di Dio. Però l’aiuto che Dio dà non viene mai a metà, bensì è completo, ciò che voi stessi avete sperimentato stamani sulla vostra carne e sul vostro sangue ammalati! Infatti, questo è stato l’aiuto di Dio e non dell’uomo!». Dopo questa risposta di Giara i vecchi ammutoliscono e nessuno si azzarda a ribatterle niente!

11. Io allora, prendendo Giara per mano, le dico: «Brava! Tu parli già come un completo profeta!».

12. Giara, sorridendo dolcemente, osserva a mezza voce: «È facile parlare da profeta, quando si è vicini a Te e quando sei Tu che metti le parole sul cuore e sulla bocca! Se avessi parlato di per me stessa, certo si sarebbe udita più di una sciocchezza!»

13. Le dico Io più sottovoce: «Potrebbe anche essere, Mia diletta Giara! Ma da oggi in poi tu sarai sempre in grado di far sentire parole altrettanto sagge, soltanto bisogna che tu non Mi divenga infedele un giorno, quando sarai più grande!».

14. Dice Giara: «Signore! Se tale cosa dovesse essere possibile, fa’ piuttosto che io muoia!»

15. Le dico Io: «Suvvia, questa cosa sarà ben impossibile!»

16. E Giara, cingendoMi forte per la vita e stingendoMi al suo petto, esclama: “Oh, no! Questa cosa non deve essere in eterno possibile! Infatti bisognerebbe essere proprio insensati per dare una libbra d’oro purissimo in cambio di una libbra di putridume fetente!”.

17. Le dico Io: «Dunque, tieni anche tu all’oro?»

18. Risponde Giara: «Sì, io ci tengo, ma all’oro dell’anima, e di quello terreno ho parlato solo per trarne un esempio»

19. Dico Io: «Bene, bene, Ti ho già compresa, ma poiché Io ti amo, allora Io devo anche punzecchiarti un po’!»

20. Dice Giara: «Oh, punzecchiami pure come Ti piace, non perciò io Ti amerò di meno! Infatti già da lungo tempo mi è noto che Dio visita e affligge con ogni genere di sofferenza coloro che Egli particolarmente ama! Quando Tu, o Signore, comincerai a punzecchiarmi proprio a dovere, allora sarà proprio quello il momento in cui mi amerai di più!» 

21. Le dico Io: «Oh, tu, Mia carissima figlioletta! Simili cuori purissimi com’è il tuo, Dio non li punzecchia, bensì solo quelli che, pur amando molto Dio, tuttavia di tanto in tanto fanno l’occhiolino anche al mondo; questi vengono poi visitati da Dio il Quale, attraverso ogni genere di punzecchiamento, spazza via dai loro cuori l’amore del mondo, affinché i cuori stessi diventino perfettamente puri! Comprendi tu queste cose?»

22. E Giara risponde: «Oh Signore, Tu delizia del mio cuore! Io le comprendo certo molto bene!».

 

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Cap. 128

Conversazione tra i templari e gli esseni.

 

1. Pietro, allora, che raramente interloquiva, parlando quasi a se stesso si lasciò sfuggire: «Non capisco davvero come questa ragazzina sia sempre così pronta ad intendere tutto! Io, che sono vecchio abbastanza e che ho pure dell’esperienza, quando si tratta di afferrare rapidamente le cose, non ci riesco per niente! E così ancora adesso non mi riesce di comprendere proprio ben chiaramente cosa Egli ha voluto intendere con le parole: “Quello che entra nella bocca non contamina l’uomo, ma lo si contamina da quello che esce dalla bocca!”. Se un uomo è costretto a vomitare o, se colpito dalla tosse, deve sputare, come può questa cosa contaminarlo? E neanche Mosè ne ha fatto nessuna menzione!»

2. Osservano anche gli altri discepoli: «A questo riguardo succede a te come a noi; neanche noi possiamo raccapezzarci; va’ dunque e chiediGli, a nome di tutti, com’è da intendersi questa parabola»

3. Soltanto allora Pietro viene da Me e Mi domanda: «Signore! Come si deve intendere la parabola di quel che entra e di quel che esce dalla bocca? Nessuno di noi riesce a comprenderlo!»

4. Dico Io: «Siete voi ancora privi d’intelletto? (Matt.15,16). Per quanto tempo ancora dovrò sopportarvi così? Non intendete voi che tutto ciò che entra nella bocca se ne va nel ventre e poi alla fine è gettato fuori nella latrina? (Matt.15,17). Ma le cose che escono dalla bocca, procedendo dal cuore, quelle sì che contaminano l’uomo! (Matt.15.18). Infatti dal cuore procedono pensieri malvagi: omicidi, adulteri, fornicazioni, furti, false testimonianze e maldicenze. (Matt.15,19).

5. Queste sono le cose che contaminano l’uomo, ma mangiare il pane con le mani non lavate non contamina l’uomo! (Matt.15,20). Comprendete ora?»

6. Rispondono i discepoli: «Sì, o Signore! E noi Ti ringraziamo per questa Luce santa elargitaci!»

7. Dopo ciò Io dico a Matteo, lo scrivano: «Dunque; bisogna che tu prenda nota del pasto nel deserto e poi del viaggio notturno fin qui e di ciò che in questa occasione si è verificato di particolare; subito dopo però narrerai ciò che è accaduto oggi, in poche ma chiare parole, tutto il restante di quanto è qui avvenuto lascialo fuori, per ora. In seguito si potranno aggiungere ancora parecchie altre cose, però quello che ho detto prima è una parte essenziale del Vangelo».

8. I discepoli allora rientrano nella loro stanza, dove sono attesi già con impazienza dai pochi farisei e scribi convertiti e dai due esseni. Naturalmente essi vengono subito minutamente interrogati sul modo in cui s’erano svolte le cose con i farisei e gli scribi di Gerusalemme. Ed i discepoli espongono loro tutto dettagliatamente e questi, udito il racconto, dicono: «Ci vogliono davvero molta tenebra e molta astuzia per persistere con tanta tenacia in un contegno così perfidamente stolto! Ed a che cosa avrà giovato loro, infine, tutta l’astuzia di cui hanno fatto sfoggio? Oramai, in forza dei tre documenti dovuti sottoscrivere, si trovano legati in tale maniera che non possono neppure scambiarsi fra di loro i propri pensieri! Che razza di bestie e di caproni!».

9. Dicono gli esseni: «Tutto quello che concerne Gesù, è tanto immensamente chiaro che più chiara non può essere alcuna altra cosa! E, nonostante ciò, abbiamo l’esempio di una caparbietà che non può avere uguale! In fatto di coscienza e scienza, intese nel senso di questo mondo, noi abbiamo tutta la cultura di cui ci si può appropriare frequentando tutte le scuole della Persia e dell’Egitto e studiando a fondo la sapienza dei greci, nonché quella degli antichi ebrei, ma noi vogliamo prescindere dalle molteplici e inaudite meravigliose Sue opere e ci limitiamo a meditare sulla Sua eloquenza e sulla profondissima sapienza che questa ci rivela, sapienza di cui finora non si è assolutamente mai avuta nessuna traccia su questa Terra e dobbiamo finire con il concludere che questo fatto solo deve essere per noi più che sufficiente prova che questo Gesù è un Dio perfettissimo. Poi, in aggiunta, vengono ancora appunto le Sue opere, in circostanze e forme tali quali mai si sono presentate a mente umana neppure in sogno, opere che soltanto un Dio ha il potere di mandare a compimento, all’effettuazione delle quali convergono tutte le potenze del mondo, delle stelle, del Sole e della Luna, chiamate all’esistenza in una maniera per noi inspiegabile, in forza della Sua meravigliosa, onnipotente Volontà!

10. Noi abbiamo constatato come in Lui il volere, la parola e l’azione compiuta vengano a fondersi in un momento solo. A un Suo cenno si aprono i Cieli ed innumerevoli schiere di leggiadrissime creature stanno pronte ai Suoi comandi; Egli ordina e le dispense vuote traboccano delle vivande più squisite, mentre gli otri e le brocche prima vuoti si colmano del vino più prelibato! Ma che questo non debba proprio significare niente?

11. Egli comanda al mare e questo rende solida la sua superficie pur senza diventare di ghiaccio e gli uomini vi camminano su come fosse un pavimento di marmo, là dove ciascuno troverebbe la morte! E tutto ciò è stato dimostrato e fedelmente raccontato a quegli amici delle tenebre e, dove ciò non bastasse, essi hanno assistito con i propri occhi, oggi stesso, alla miracolosa guarigione di qualche centinaio di infermi, ma tuttavia sono rimasti più ostinatamente duri di una roccia, sulla quale, da migliaia d’anni, almeno centomila fulmini ogni anno vanno saggiando la loro potenza distruttrice! Fratelli, questo è troppo davvero e bisogna dire che talvolta nell’uomo non c’è più nulla di umano! Esso diventa o una bestia maligna oppure addirittura un demonio! Ditelo voi, o fratelli! Abbiamo ragione oppure torto?»

12. Dicono i farisei e gli scribi: «Voi avete più ancora che perfetta ragione! Infatti quando dinanzi a simili fatti e fenomeni si può ancora restare induriti ostinatamente, vuol dire che probabilmente si è demoni e non più uomini!»

13. Continuano i due esseni: «Considerato che noi oramai crediamo che nelle regioni di questo mondo vi siano veramente degli spiriti molto maligni, i quali non di rado tormentano gli uomini e molto spesso, senza un dolore sensibile, li incitano ad opere malvagie, noi condividiamo assolutamente la vostra opinione! Infatti uomini senza alcun sentimento di compassione per il loro prossimo, i quali come le tigri rivolgono tutte le cure loro unicamente a soddisfare le proprie fauci e il proprio stomaco, non sono più degli uomini, bensì dei demoni! Essi non hanno nessuna altra aspirazione all’infuori di quella che è costituita dal proprio benessere materiale; per raggiungere quest’unico scopo, nessun mezzo è troppo cattivo per loro! Quale Dio, quale spirito! Basta che sia ben provvista la loro pancia, tutto il resto non ha alcun significato! L’arte e la scienza hanno per loro un certo valore solamente nel caso che possano contribuire anch’esse a riempire il loro ventre mai sazio! Oh, Signore! Sono forse questi degli uomini? No, no, questi sono dei genuini e veri demoni!»

14. A questo punto interviene anche Giuda Iscariota, il quale dice: «Se io non fossi interamente convinto della Sua onnipotenza divina, senz’altro comincerei davvero a temere per Lui! Infatti questa gente, se le fosse possibile, strapperebbe Dio stesso giù dal Suo Trono eterno per insediarvisi al posto Suo, perché i templari – i quali, dopo la cacciata dei samaritani che si opponevano spesso a loro con forza e asprezza, sono ora in condizioni eccellenti – sarebbero capaci di spingere le cose agli estremi e di rischiare tutto pur di non vedere pregiudicata la loro vita di godimenti!»

15. Dice Pietro: «Credi tu che il nostro Signore, con tutto il Suo potere meraviglioso, sia proprio al sicuro dalla perfidia della gente del Tempio? Se Egli, di fronte a questa razza parricida e matricida non si atteggerà a giudice inesorabile, armato del fuoco devastatore dal Cielo, nonostante la Sua potenza e sapienza cadrà in breve tempo vittima dell’insaziabile brama di vendetta! Certo un israelita è chiamato a grandi cose e può essere un angelo, ma quando un israelita è pervertito e corrotto, non c’è alcun demonio che sia più maligno di lui!

16. Perciò Egli dovrebbe guardarsi bene da Gerusalemme! Infatti se Egli si presenta loro da uomo cortese e arrendevole, Egli è perduto come Giovanni, il predicatore! Fino a tanto che quest’ultimo si limitò ad insegnare e battezzare nelle nostre vicinanze, presso il piccolo Giordano e nel piccolo deserto di Bethabara, si trovò al sicuro, ma quando egli, saranno ora passati appena tre mesi, se ne andò al grande Giordano ed al grande deserto di Bethabara, in poco tempo rimase vittima della gente del Tempio, i quali, con grandissima astuzia, riuscirono a nascondersi dietro a Erode. Erode però, come è noto, ha già mandato a cercare il nostro Signore e Maestro, e se gli fosse riuscito di impadronirsi di Lui, chissà che cosa gli sarebbe capitato! Ma il Signore scruta anche a distanza i cuori degli uomini e vede i loro piani e perciò sa evitarli! Infatti chi è più accorto e più saggio di Lui?»

17. Dice un fariseo: «Se Egli comincia ad evitare cose e persone, già questo non è un buon indizio per quanto riguarda la Sua piena sicurezza! Può darsi che Egli voglia impedire, finché è possibile, ogni sensazionalismo riguardo alla Sua Persona e questo giustificherebbe allora il Suo scansare cose e persone, ma se in tutto ciò dovesse esserci anche una minima traccia di timore, non potrei dare troppe garanzie per la Sua sicurezza! Infatti io conosco fin troppo bene come e quanto vasta sia la rete micidiale che il Tempio usa tendere, cosicché diventa quasi una cosa impossibile fuggire con la pelle intatta! Ma Egli ora non intenderà suscitare troppo sensazionalismo e perciò cercherà di schivare il più a lungo possibile tali occasioni, per evitare un conseguente urto violento che scuoterebbe Cielo e Terra. L’immensa perfidia degli uomini Egli l’affronterà solo quando la misura sarà del tutto colma! Io credo di comprendere tutto ciò, considerando il Suo carattere!»

18. Dicono gli esseni: «Questa è anche la nostra opinione! Infatti con tanta sapienza puramente divina e con tanta pienezza di celata divina potenza, uno saprà bene quello che deve fare di fronte al mondo malvagio. Se noi avessimo soltanto la centomillesima parte del Suo potere e della Sua sapienza, saremmo entro tre anni i signori di tutto il mondo! Dunque, noi per Lui non abbiamo alcun timore! Bisognerebbe che Egli stesso volontariamente si consegnasse tra le mani dei rappresentanti del perfido mondo e che dicesse: “EccoMi qui! Compiete in Me, il vostro Creatore stesso, il colmo della misura della vostra perversità, affinché tanto prima discenda il giudizio dall’Alto su di voi!”. E tuttavia Egli non ci perderebbe niente! Egli potrebbe anche consentire che i malvagi, affinché la loro misura si colmasse, recassero danno al Suo corpo, chissà, forse anche ucciderlo; ma chi mai potrà recare danno al Suo Spirito onnipotente ed eternamente indistruttibile? Come detto, noi non dubitiamo affatto che Egli potrebbe aver in mente di far pure qualcosa di simile, ma questa cosa poco gioverà ai Suoi nemici, poiché, prima che nessuno possa immaginarselo, Egli risorgerà per loro in veste di giudice indistruttibile e li giudicherà con la spada e con il fuoco dal Cielo! Ma allora guai a tutti i Suoi nemici e a tutti i demoni! Questi giungeranno soltanto allora alla tormentosa constatazione di Chi sarà stato veramente Colui che essi avranno per ogni via e per ogni sentiero perseguitato! Cosa ne dite voi di queste nostre idee?».

19. Rispondono i discepoli: «Oh, almeno a Lui non accadrà niente di simile, quantunque noi non vogliamo, da incompetenti, schierarci affatto contro questa vostra opinione, poiché presso Dio sono possibili moltissime cose che un uomo non potrebbe né vorrebbe ritenere mai possibili!». 

 

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Cap. 129

Il Signore e i due esseni.

 

1. Mentre fra i discepoli, i farisei ed i due esseni si svolge questa discussione e Matteo è intento al suo compito di scrivano, Ebal fa annunciare che la mensa è pronta ed i discepoli ed i suoi nuovi proseliti vengono pur essi invitati e si presentano con faccia abbastanza lieta nella sala da pranzo.

2. Io allora domando di che cosa avessero ragionato con tanto calore nella loro stanza.

3. Rispondono i due esseni: «Signore, Tu hai un bel domandare, quando di tutto quello che noi abbiamo ora ragionato assieme era dall’eternità, con tanta chiarezza presente al Tuo Spirito quanto ne ha il Sole nel pieno mezzogiorno! Però sai meglio di noi che non abbiamo detto niente di male sul Tuo conto!».

4. Dico Io: «Questo è certo e vero, specialmente poi da come sono stati improntati i vostri discorsi, perché non il vostro sangue e la vostra carne, bensì lo Spirito di Dio vi ha ispirato tali cose. Tuttavia meglio sarà che non riferiate a nessun altro niente di tutto ciò, perché gli uomini sono ciechi, stolti e perversi! Ma ora sediamoci a mensa».

5. La mensa era bene imbandita, perché i nostri rematori, cioè gli otto barcaioli, avevano impiegato il loro tempo pescando ed avevano portato in casa ad Ebal, in dono, una bella quantità di pesce sceltissimo, dono che Ebal aveva ricambiato, provvedendoli riccamente di vino e pane! Quel pesce era stato molto ben preparato e noi tutti facemmo molto onore all’imbandigione in grande letizia e con eccellente appetito. I due esseni, il cui palato era buon giudice in fatto di raffinatezze, perché come discepoli di Aristotele ed Epicuro davano grande importanza alla cucina e non potevano trovare parole sufficienti per lodare la squisitezza di quel vero banchetto di pesce. Anche il comandante, pure presente con tre dei suoi subalterni, sentì bisogno di far eco al coro di lode che da ogni parte si levava e fece molto onore ad un paio di bellissimi esemplari ben grossi, tanto che alla fine cominciò a temere se tutto questo cibo non gli avesse nociuto!

6. Ma Io gli osservai: «Non temere, Mio caro amico Giulio, perché in presenza del medico non ti può nuocere niente!».

7. Queste parole ridonarono al buon Giulio la sua serenità d’animo e di questo Mio detto se n’è fatto poi un proverbio il quale si è conservato, specialmente fra i medici, fino al tempo presente in cui questo viene scritto.

8. Quando il pranzo fu terminato, il comandante interloquì e disse: «Signore! Oggi è una splendida giornata! Cosa ne pensi se nel pomeriggio ce ne andassimo un po’ all’aperto?»

9. Dico Io: «Questa era appunto la Mia intenzione, però questa volta vogliamo fare un’escursione su di un qualche monte qui vicino!»

10. Osserva il comandante: «Eh, proprio qui vicino c’è un monte che viene chiamato “La vetta del mattino”, o come credo, “Juitergli”, nella lingua del paese; ma esso è, oltre che il più vicino, contemporaneamente anche uno dei più alti e da tutte le parti estremamente ripido, un vero colosso di pietra, quasi del tutto spoglio e nudo. Se Tu avessi l’intenzione di salirvi, non si potrebbe raggiungere la cima prima di notte ed in quanto al ritorno non ci sarebbe nemmeno lontanamente da parlarne. Passare poi lassù la notte, mi pare che non dovrebbe essere piacevole per nessuno di noi, perché a quell’altezza, fra i crepacci, ci saranno certo neve e ghiaccio ad ogni stagione, però la vista lassù dovrebbe essere qualcosa di meraviglioso!»

11. Dico Io: «Amico! Tutto ciò non ci impedirà di salire sulla vetta del mattino. Chi conosce il sentiero, costui arriva su molto prima di chi deve anzitutto faticosamente cercarlo. Mettiamoci dunque in cammino, prima che siano passate due piccole ore, noi tutti ci troveremo in cima al monte, naturalmente quelli che hanno voglia di fare la salita con noi!».

12. Dice il comandante: «Signore, sulla Tua parola io vado con gioia non solo su questo monte, ma fino agli estremi limiti del mondo! Se poi Tu ci fai da guida, ogni idea di pericolo svanisce del tutto! Io pregusto già il piacere di questa escursione! Ma, ora che ci penso, sarebbe buona cosa che portassimo del pane e del vino con noi, perché so molto bene che dopo la salita di un monte così rilevante la fame e la sete si fanno sentire in maniera straordinaria»

13. Dico Io: «Oh, certo, potete fare senz’altro così! Ma che cosa ne faremo della Mia carissima Giara? Per essa il monte sarà forse un po’ troppo difficile e faticoso da salire?»

14. Dice Giara: «Assieme a Te, o Signore, niente può essermi troppo difficile, così come senza di Te nessuno può far nulla ed io, poi, meno di tutti! Basta che sia gradito a Te ed io non vado fino in cima a questo monte, ma letteralmente nel fuoco con Te, così come prima sono andata con Te sull’acqua!»

15. Le dico Io: «Tu sai sempre trarre una buona risposta dal tuo cuore che arde di verità e d’amore per Me, perciò disponiti pure a far l’escursione con noi e vedrai che niente ti riuscirà troppo difficile, né faticoso». È facile immaginare che nessuno fu tanto sollecito nel disporsi alla partenza quanto la nostra Giara, la quale in brevissimo tempo Mi ritornò vicino, dopo essersi cambiata la veste e Mi disse: «Signore, se per Te vado bene così, io sono già pronta alla partenza!».

 

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Cap. 130

La meravigliosa ascesa del monte.

 

1. La fanciulla aveva indossato una veste a pieghe azzurra, ai piedi portava dei sandali leggeri ed in capo un cappellino di paglia artisticamente intrecciato. Essa Mi prese per mano e siccome Io non le avevo prontamente dato la risposta, Mi domandò nuovamente: «Ma Signore! O vita mia, Te ne prego, dimmi dunque se Ti piaccio così?»

2. Le dico Io: «Tu lo vedi bene, Mia carissima Giara, come Mi piaci immensamente! Oh, se tutti gli uomini Mi piacessero altrettanto, quanto sarebbe tutto bello e buono! Ma purtroppo a questo mondo vi sono molte migliaia e poi ancora delle altre migliaia i quali non Mi piacciono come Mi piaci tu. Questi sono gli uomini puramente del mondo, mentre tu sei un angelo! Ma ora è bene partire, perché siamo giunti già alla terza parte del giorno!».

3. A queste Mie parole, tutti di casa, eccettuata la servitù, si alzano e si mettono con Me in cammino. Va da sé che la piccola Giara procedeva sempre al Mio fianco e così pure il comandante ed Ebal.

4. Quando fummo giunti alle prime pareti del monte, fra le cui spaccature non si presentavano che dei canaloni strettissimi e quanto mai erti, il comandante esclamò: «Signore! Con le sole forze naturali qui non c’è nemmeno da pensare ad un’arrampicata, perché i canaloni sono terribilmente ripidi e qua e là coperti di cespugli spinosi! Se non c’è un’altra via per salire, temo che con le nostre forze naturali non raggiungeremo la cima neppure in dieci giorni!»

5. Gli dico Io: «Sei già così stanco? Eppure, vedi, abbiamo già percorso più di un terzo del cammino. Volgiti un momento e poi vedrai bene quanto in alto siamo già dalla valle!». Allora il comandante si volse e fu colto da spavento quando s’accorse che ci trovavamo già quasi a metà della montagna, fra pareti nude di roccia a strapiombo.

6. Dopo qualche esclamazione di meraviglia frammista a paura, egli dice in tono che tradiva un po’ di febbrile spavento: «No, davvero, questa cosa la comprenda chi può e chi vuole! Come noi tutti si sia arrivati fino qui oltre questi burroni è e resta per me un enigma! Noi siamo saliti ben alti lungo queste pareti ripidissime, eppure non ho percepito nessun particolare disturbo! Ora, però, se guardo in alto, non vedo altro che rocce scendenti a picco e mi domando come faremo a superarle»

7. Dico Io: «Non vedi che non stiamo fermi e che andiamo sempre avanti?».

8. Risponde il comandante: «Sì, lo vedo bene, ma se alzo gli occhi, ogni possibilità di salire più in alto svanisce del tutto nella mia mente!»

9. Dico Io: «Vedi, bisogna essere guide molto buone e ricche d’esperienza, allora si trova la via diritta anche attraverso tutti gli apparenti ostacoli! Guarda, il crepaccio che ci sta davanti segna già l’accesso all’ultima e più alta cupola della montagna»

10. Dice il comandante: «È vero, verissimo, ma pure, come è mai possibile una cosa simile? Come abbiamo potuto salire così presto fin qui su per tutte queste pareti quasi perpendicolari? È appena meno di un’ora che ci siamo messi in cammino ed ormai siamo così vicini alle ultime cupole, che ci basteranno ancora pochi passi per arrivare in cima al monte!»

11. Qui interviene Giara, la quale non può stare in sé dall’allegria ed esclama: «Oh, Giulio! Come puoi fare queste domande, quando c’è Dio, il Signore, che ci fa da guida? Come Egli ci ha portati quassù al di sopra di queste pareti, sulle quali piede umano non si è mai posato, con altrettanta facilità avrebbe potuto sollevarci fin qui attraverso l’aria! Quando noi sappiamo che l’Onnipotente ci è vicino, ogni domanda è vana e non possiamo che struggerci d’amore e di ammirazione dinanzi a Lui e ringraziarLo in eterno dal più profondo della nostra vita per averci resi degni di una simile grazia! Ma il chiederGli come alla Sua onnipotenza e sapienza siano possibili tali cose, io lo ritengo vano! E se Egli ce lo spiegasse bene, resta poi da vedere come noi e in che misura lo comprenderemmo, o se in seguito gioverebbe a renderci onnipotenti! Certo, se Egli lo vuole, allora anche noi possiamo fare delle cose meravigliose, ma oltre la Sua Volontà, la sola santa ed onnipotente, in eterno mai più!»

12. Dico Io: «Oh, Mia cara saggia! Chi si sognerebbe di cercare in te tanta abbondanza di chiarissima luce? 

Io te lo dico: “Come te ce ne sono pochi su questa Terra”; però una cosa devo osservarti per l’immenso amore che ti porto e questa consiste in ciò che tu per l’avvenire devi procedere molto più cauta e parsimoniosa con la tua pura saggezza e devi aprire bocca soltanto quando sul serio ve n’è la necessità, ma qui tale cosa non è necessaria, perché, come vedi, sono presente Io stesso e so ben dare a ciascuna domanda una risposta adeguata e fondata!»

13. Ecco, se il nostro amico Giulio non fosse quel saggio uomo che in effetti è, il suo cuore ne avrebbe risentito una punta dolorosa, ma egli è un uomo saggio che ha intenzioni buone e oneste riguardo a qualsiasi cosa e perciò prova gioia per la tua lezioncina ingenuamente sapiente. In avvenire, però, tu devi, verso chiunque, comportarti con la maggior modestia possibile e solo così tu sarai veramente la Mia diletta sposa!

Hai ben compreso queste Mie parole nel tuo cuore?»

14. Risponde Giara un po’ turbata: «Oh sì, mio Signore; solo che adesso io temo che Tu non mi vorrai più così bene come prima, e questo rende triste il mio cuore!»

15. Le dico Io: «Riserva queste cure per un’altra cosa, dato che ora Io ti voglio molto più bene di prima!»

16. Dice Giara: «Ma il buon comandante me ne serberà rancore?»

17. Dice il comandante: «Oh, no affatto, mia deliziosa Giara. Anzi, io ti sono molto grato per avermi, dal tuo puro cuore celestiale, donato una verità altrettanto pura e celestiale! Oh Giara, noi due avremo ancora molto da parlare assieme, poiché io scorgo benissimo come il tuo cuore sia ricolmo di saggezza celeste e perciò noi restiamo i migliori amici!»

18. Dico Io: «Ebbene, Mia diletta Giara, sei contenta di questa soluzione?»

19. Risponde Giara: «Oh sì, certo, ora sono veramente contenta; ma d’ora in poi dovrò raccogliere tutte le mie forze per non ricadere in errore. Infatti l’impertinenza è stata a volte una mia piccola debolezza, ma questo non dovrà più accadere, perché le Tue parole sono per me sacre sopra ogni cosa!»

20. Dico Io: «Bene, anche questo incidente è accomodato! Ed ora facciamo i pochi passi che ci mancano per essere sulla cima più alta del monte!».

 

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Cap. 131

Sulla sommità della Vetta del Mattino.

 

1. Fatti pochi passi noi ci trovammo già sulla sommità, la quale però era quanto mai lacerata e frastagliata ed appena sufficiente a concedere posto ad una trentina di persone che non soffrissero di vertigini.

2. La cosa non piacque affatto al nostro comandante, il quale uscì a dire: «La vista è bensì qualcosa di meraviglioso, ma questa pessima piattaforma, quanto mai irregolare, che confina da tutti i lati con delle pareti quasi a precipizio, mi guasta tutto il godimento»

3. Dico Io: «Amico, siediti, qualora ti sentissi colto dalla vertigine e voi altri fate altrettanto, dal canto Mio Me ne starò in piedi»

4. Osserva il comandante: «Sarebbe bello sedersi, ma dove? Il panorama è davvero incantevole, si domina tutta la Galilea ed una buona parte della Giudea ed anche la Samaria è ben visibile; ma ora questa inospitale altezza e il timore di una possibile caduta nel precipizio mi tolgono in maniera orribile tutta la gioia che uno spettacolo simile deve suscitare! Io so bene che non può accadere niente di male, eppure non riesco a padroneggiare il timore! Ma perché accade questo?»

5. Dico Io: «Perché tu non comprendi l’attuale impossibilità di una caduta! In ciò sta la ragione e la spiegazione del tuo timore. Guarda qui la Mia carissima Giara, che piena di vivacità va intorno saltando come un piccolo camoscio, mentre i suoi fratelli e le sue sorelle e il Mio buon Ebal stesso, se ne stanno lì pallidi ed impauriti, eppure nessuna voragine l’ha ancora inghiottita! Ma ciò avviene perché essa è ricolma della fermissima fede che vicino a Me nulla le può accadere di male. Abbiate anche voi tutti la stessa fede salda, e la stessa letizia che ha lei sarà pure vostra!»

6. Dice il comandante, il quale appunto in quel momento si sentì mancare una pietra su cui poggiava il piede destro: «Eh, per avere una fede vera e ferma, qui ci vorrebbe un’aquila, perché essa ha un paio d’ali che la garantiscono contro le cadute; ma un uomo come me, con sotto i piedi un paio di pietre che vanno muovendosi l’una dopo l’altra, con tutta la migliore buona volontà non può arrivare ad una saldezza di fede del tipo di quella di Giara! Su questa scogliera larga appena due altezze di uomo e lunga al massimo cinquanta, basterebbe che io provassi a fare un solo salto di camoscio, come ne fa tanti Giara, e mi troverei dopo brevi istanti ridotto in piccoli pezzi in qualche luogo più basso di qui! Oh Dio volesse che mi trovassi già di ritorno al piano!»

7. Allora Giara, sempre saltando, si avvicina al comandante e gli dice: «Oh, mio caro Giulio, te ne prego, non essere così timoroso, è impossibile che ti succeda qualcosa di male! Il Signore ci ha guidati fin quassù oltre le pareti più ripide, anzi, veramente noi siamo stati trasportati attraverso l’aria lungo il fianco della montagna, perché una via simile non è stata mai percorsa da piede umano. Ma a chi di noi è accaduto qualcosa durante la salita meravigliosa su questo colosso di roccia dalle pareti a precipizio e da tutte le parti nudo? Ma se siamo arrivati sani e salvi fin quassù, passando per luoghi più pericolosi, come può sorgere adesso improvvisamente fra di noi un timore, come se fosse possibile cadere giù in qualche precipizio? Dunque, mio buon Giulio, sii per amor mio un po’ più allegro! Vedi, mi fa male al cuore quando vedo una faccia così triste ed impaurita!»

8. Dicendo ciò, la fanciulla fa cenno di prendere per mano il comandante con l’intenzione di condurlo un po’ intorno, ma egli si schernisce vivamente e strilla: «Indietro! Sempre tre passi lontano da me, piccola strega! Già prima poco è mancato che tu con uno dei tuoi salti temerari mi urtassi, facendomi precipitare giù! Oh, io ti conosco! Tu sei di solito una ragazzina di rara bontà, quanto mai cara e saggia perfino! Ma qualche volta ti salta qualche grillo di malizia sottile come ai fauni ed allora io dico: “Sempre tre passi lontano da me!”. In qualunque altra circostanza, io ti voglio molto bene, ma qui, a quest’altezza di almeno duemila uomini, tu devi starmi lontana di tre passi come ti ho detto. Tutte le tue parole sono buone e savie, ma non è colpa mia se a quest’altezza mi viene la vertigine. Io so bene e credo che a nessuno di noi può accadere nulla, ma nonostante tutto ciò non posso dominare in me questa fastidiosa e penosa impressione, e perciò bisogna che tu ti astenga dal farmi simili scherzi!»

9. Dice Giara: «Oh, cosa ti viene in mente! Come puoi neanche sospettare che io abbia voluto prendermi gioco di te? Vedi, io sono troppo certa del fatto mio e so che né a te né a me può accadere nulla di male e sono venuta con tanto coraggio a te, che sei ora timoroso, unicamente per sollevarti, per quanto è possibile! Come puoi perciò volermene male e chiamarmi una piccola strega? Oh, mio carissimo Giulio, questo non è gentile da parte tua!»

10. Mentre così parla, le si riempiono gli occhi di lacrime. Ed il comandante che se ne accorge, si pente di aver attaccato tanto aspramente la fanciulla, che le dice: «Suvvia, facciamo la pace! Quando saremo giù, riprenderemo ben le nostre passeggiate sui bei prati soffici, ma qui ci manca lo spazio necessario e, come ho detto, io non ho colpa se questa fastidiosa vertigine mi opprime!».

11. Dice Giara: «Ma la vertigine è pur essa una malattia e qui c’è con noi il medico di tutti i medici! Se Egli ha potuto guarire tante centinaia di persone dai mali i più svariati, Gli sarà pur possibile liberare anche te dalla tua vertigine! Dunque pregaLo ed Egli certo ti guarirà!»

12. Dice il comandante: «Ecco, mia buona Giara, questa sì che è una frase riuscita molto più delle precedenti ed è anche un salto migliore di quello di prima, con il quale non è mancato molto che io me ne andassi rotoloni giù da qualche parte. Vedi, questo tuo consiglio lo seguirò anche subito!».

13. Allora il comandante, rivoltosi a Me, Mi prega dicendo: «Signore! Liberami dal mio timore e dalle mie vertigini!»

14. Ed Io dico ad Ebal: «Dà qui una tazza di vino!»

15. Ed Ebal Mi porse subito un piccolo otre pieno e una tazza.

16. Io riempii la tazza e la diedi al comandante, dicendogli: «Ecco, prendi e bevi e le cose miglioreranno con la tua vertigine»

17. Allora il comandante afferrò la tazza e la vuotò. E come ebbe bevuto il vino, immediatamente ogni timore ed ogni senso di vertigine l’abbandonò, cosicché ne fu tutto rallegrato, si lasciò condurre da Giara tutto intorno alla piattaforma frastagliata del monte e poté guardare tutto a suo agio giù per le scoscese pareti.

18. Ma quando tutti gli altri ebbero visto il cambiamento operatosi nel comandante, Mi pregarono essi pure di liberarli dal loro molesto timore. Ed Io feci dare a tutti del vino e poco dopo quell’altura fu tanto animata da sembrare un giardino ospitante qualche lieta brigata di amici.

19. Alcuni si diedero ad ammirare il vasto panorama, altri avevano perfino intonato dei salmi, infine altri ancora scrutavano giù per i pendii rocciosi, in cerca possibilmente di qualche sentiero che avesse consentito il ritorno. Ma siccome sentieri di tal genere non c’erano ed il Sole cominciava a declinare all’orizzonte, alcuni, specialmente fra i discepoli, vennero da Me e Mi domandarono: «Signore! Ancora mezz’ora e il Sole sarà tramontato. Cosa faremo poi qui in alto?».

20. Ed Io dico loro: «Non occorre che vi diate pensiero di ciò! Chi ha fede, vedrà stanotte risplendere su questa altura la gloria di Dio! Noi restiamo qui!».

21. E quando i discepoli intesero ciò, tacquero ed andarono in cerca di qualche sito, per poter riposare con una certa sicurezza.

22. Anche il comandante Mi chiese se si sarebbe presto iniziato il ritorno, visto che il Sole era prossimo al tramonto.

23. Ed Io dissi a lui quello che avevo detto già ai discepoli; egli allora si adagiò volentieri alla Mia decisione e si distese su di una rupe ben solida ed abbastanza piana.

24. Soltanto Giara, quando il Sole ebbe già cominciato a toccare l’orizzonte, esclamò: «Signore! O amore mio! Noi non ce ne andremo già così presto da questa incantevole altura per far ritorno a casa? Sarei tanto contenta di assistere da qui al levar del Sole!»

25. Le dico Io: «Noi ci fermeremo qui tutta la notte e soltanto domani che è sabato ce ne andremo giù al piano; però, durante la notte, a te, come agli altri, sarà manifestata la Gloria di Dio!»

26. A queste parole, la fanciulla sopraffatta da una gioia intensa e da rapimento, si lasciò lentamente cadere sulle ginocchia, come fosse colta da deliquio, ma si riebbe ben presto».

 

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Cap. 132

Dell’essenza del timore.

 

1. Quando il Sole fu già tramontato, cominciò a levarsi da Settentrione un vento gelido molto violento, cosicché in tutti fece di nuovo capolino il timore, e il comandante disse: «Oh, oh, se questo vento continua in questo modo a crescere in forza, esso finirà con lo spazzarci giù in qualche burrone ed anche l’eccessiva frescura che porta non è proprio gradevole»

2. Dico Io: «Lascia che il vento soffi, perché ora è il suo tempo, ma pensa pure che esso non è il padrone di Colui che l’ha creato in forza della Sua Volontà, che lo trattiene o che lo fa spirare secondo il Suo discernimento»

3. Il comandante si accontentò della spiegazione, ma tuttavia si coricò il più solidamente possibile sul terreno e gli altri imitarono il suo esempio.

4. Soltanto Giara rimase imperterrita al Mio fianco e disse: «Ma Signore! Come si spiega che questi uomini si lascino tanto dominare dal timore, pur dovendo riconoscere ed essere convinti dalle moltissime prove avute, che Tu sei un Signore anche di tutti gli elementi? Particolarmente questa cosa mi fa meraviglia nei Tuoi discepoli! Oh, se Tu non fossi qui, la questione assumerebbe un altro aspetto, ma poiché qui Tu ci sei, la mia meraviglia mi sembra giustificata! Signore, se Tu voi, puoi dirmi la ragione di un tale fenomeno?»

5. Dico Io: «Vedi, questo è il prodotto del vecchio mondo in loro, il quale non è ancora del tutto stato scacciato dalle loro viscere! Infatti se esso, com’è il tuo caso, fosse stato già completamente scacciato ed eliminato da loro, allora essi come te non avrebbero alcun timore, né potrebbero neanche averne, perché lo spirito è abbastanza forte da rendersi soggetta ogni natura.

6. Vedi, noi ci troviamo ora sulla vetta di un monte, che non è stata mai ancora calcata da piede umano! Infatti, come tu vedi, le pareti di roccia sono tanto erte da tutte le parti che, disponendo solo di mezzi naturali, non è possibile intraprendervi una salita né, meno ancora, una discesa, tu hai visto poi, quando noi raggiungemmo, con la forza naturale, la metà d’altezza del monte, ogni possibilità di un’arrampicata su per le pareti perpendicolari interamente svaniva. Il comandante e tutti gli altri si domandarono: “E adesso cosa si farà?”. Ma Io salii con te per primo anche sulle pareti erte del monte e tutti gli altri ci seguirono senza minimamente risentirne stanchezza. Com’è stata possibile una simile cosa?

7. Ecco, questa è stata l’opera dello spirito nell’uomo. Io ridestai per quel tempo che era necessario lo spirito negli individui ed esso portò le loro spoglie materiali fin su questa altura. Ma poiché i loro spiriti non sono ancora abituati a questo genere di attività, avvenne che, non appena per poco Io rallentai la Mia azione ridestatrice, essi ritornarono nei rispettivi corpi allo stato di riposo e l’anima del corpo allora si riempì di timore. Se invece lo spirito nei loro cuori fosse rimasto desto completamente, essi non avrebbero più timore di sorta, perché allora lo spirito stesso avrebbe permeato le anime della più chiara ed assoluta fiducia ed avrebbe suscitato nei cuori la convinzione vivissima che a lui, spirito, ogni natura deve restare soggetta! Visto però che, a causa del vecchio mondo, di cui una parte ancora si cela entro le anime loro, questo processo non poteva per ora avere un effetto permanente, avviene pure che le loro anime risentano ancora qualcosa del timore del mondo, come ne hai fatto qui adesso esperienza.

8. L’anima umana o può crescere insieme con la sua carne in seguito a tendenza od educazione falsa, oppure, in seguito a tendenza od educazione giusta e vera, con il suo spirito, il quale è sempre Una cosa sola con Dio, così come la luce del Sole è una cosa sola con il Sole stesso. Se ora un’anima cresce insieme con la propria carne, la quale di per sé è cosa morta e non ha vita se non in quanto questa le viene per un tempo determinato conferita dall’anima, in tal caso l’anima diventa in tutto una cosa sola con la sua carne.

9. Ma quando l’anima va sempre più crescendo con la propria carne, così da diventare infine perfettamente carne essa stessa, allora in essa si manifesta il senso dell’annientamento che è una proprietà peculiare della carne e questo senso poi corrisponde al timore, il quale finisce col rendere l’uomo impotente del tutto ed incapace di qualsiasi cosa!

10. In modo affatto differente si presenta invece il caso dell’uomo, la cui anima, in conseguenza di una buona e giusta tendenza od educazione, sia già fin dalla prima gioventù cresciuta con il proprio spirito. Allora l’anima non vede in eterno dinanzi a sé più alcuna possibilità di annientamento, e il suo sentimento è uguale alla proprietà peculiare del suo spirito che è indistruttibile in eterno. Essa non può né percepire né concepire la morte, perché essa è una cosa sola con il proprio spirito sempre vivente in eterno, il quale è il dominatore di tutto il mondo naturale visibile e, anche se l’uomo vive nella carne, la conseguenza facilmente comprensibile ne è che per lui non esiste più il timore, poiché dove non c’è più morte, non c’è più nemmeno timore!

11. E perciò anche gli uomini devono curarsi il meno possibile delle cose del mondo, ma devono invece badare soltanto che la loro anima divenga una cosa sola con lo spirito e non con la carne, perché come può giovare all’uomo acquistarsi anche il mondo intero per la sua carne, quando la sua anima ne riporta invece gravissimo danno? In verità Io vi dico che tutto questo mondo, che da quassù noi contempliamo in un circuito abbastanza vasto, con tutte le sue bolle d’acqua simili a fuggevoli splendori, tutto questo mondo passerà e tutto questo cielo, con le sue innumerevoli stelle, giunto il suo tempo anch’esso passerà, ma lo spirito rimarrà in eterno come in eterno rimarrà ciascuna delle Mie parole.

12. È enormemente difficile aiutare gli uomini quando si sono tenacemente unificati e materializzati con il mondo, perché essi mettono e vedono la loro vita soltanto nelle vane cose del mondo, vivono in un perpetuo stato di timore e diventano infine inaccessibili del tutto per le vie dello spirito! Se poi si tenta di avvicinarli attraverso le vie naturali o tramite quelle del mondo, non solo non si arreca loro nessun giovamento, ma non si fa altro che promuovere il loro giudizio e con ciò la morte della loro anima!

13. Colui, dunque, fra gli uomini del mondo che vuole salvare la propria anima, deve agire sul proprio essere con grande violenza e deve con la maggiore energia possibile cominciare a percorrere la via del sacrificio e della rinuncia alle cose del mondo; se egli fa così con tutta diligenza e zelo, egli si salverà ed avrà la vita, ma se non lo fa, non gli può venire dato nessun aiuto se non attraverso le gravi sofferenze del mondo, affinché impari a disprezzare il mondo stesso ed i suoi splendori e affinché poi si converta a Dio ed in tal modo cominci a cercare in sé il Suo spirito, procedendo sempre di più alla propria unificazione con Lui. Io te lo dico: “La felicità del mondo è la morte dell’anima!”. 

DimMi ora, Mia dilettissima Giara, se tutte queste cose tu le hai comprese bene».

 

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Cap. 133

Cristo, il tramite fra Cielo e Terra.

 

1. Risponde Giara: «O Signore, amore mio e mia vita! Per la Tua grazia in me, io ho ben compreso tutto ciò, ma è triste assai che gli uomini non possano o non vogliano vederlo e comprenderlo! Oh, un giorno, purtroppo, vi saranno molte anime morte! Oh Signore, fa’ Tu che gli uomini possano un giorno ascoltare questa santa verità e poi convertirsi, perché altrimenti mi riuscirà ben presto molto noioso vivere a questo mondo fra tanti morti!»

2. Le dico Io: «Stai tranquilla, perché a questo scopo appunto sono venuto Io stesso in questo mondo! Finora le vie ben praticabili sono mancate ed i Cieli erano separati dalla Terra, ora però viene spianata una via diritta e molto solida ed i Cieli sono in procinto di essere congiunti con la Terra, cosicché per ciascuno sarà reso facile l’incamminarsi per questa Via e raggiungere i Cieli vicini, tuttavia nessuno deve essere fuorviato nella libertà della propria libera volontà!

3. D’ora innanzi chiunque fermamente vorrà, potrà raggiungere i Cieli, ciò che finora non era possibile, perché l’abisso che separava la Terra dai Cieli era troppo grande.

4. Ma, d’altro canto, guai a tutti coloro che verranno a conoscenza del nuovo ordine di cose, e ugualmente non si convertiranno! Costoro, d’ora in poi, si troveranno in condizioni peggiori degli antichi, i quali ben spesso hanno voluto, ma non hanno potuto! Comprendi tu?»

5. Dice Giara: «Signore, io ho compreso tutto. La possibilità è buona, però tutto è rimesso nella libera volontà degli uomini! Essi vedono il mondo e questo è il loro compiacimento, ma i Cieli essi non li vedono, né se ne compiacciono ed avverrà che molti non vorranno percorrere la nuova via spianata e per questi poi andrà peggio di quanto è andata finora! Credimi, o Signore, pochi saranno quelli che s’incammineranno per la via da Te preparata, perché per l’uomo la cosa più difficile è l’abnegazione di se stesso!»

6. Dico Io: «Non darti alcuna pena a tale riguardo. I provvedimenti atti ad ottenere il miglioramento avranno una grande estensione ed abbracceranno tanto l’aldiquà quanto l’aldilà. Ma ecco che, mentre noi parlavamo, tutta la compagnia, non escluso il nostro comandante, si è addormentata. Ed ora cosa faremo noi?»

7. «Signore!» Esclama Giara, «Tu lo saprai meglio di ogni altro!»

8. Ed Io le dico: «Sì, certo, tu hai ragione! Io feci appositamente venire il sonno su di loro ed essi vedranno in sogno quello che tu invece vedrai nella realtà! Ecco, ben presto tu vedrai i Cieli aperti e tutti gli angeli ci serviranno! Domani questa montagna, verso Levante, sarà provveduta di un declivio accessibile con facilità e tutti noi potremo discendere e far ritorno a Genezaret per una nuova via naturale! E adesso fa’ attenzione alla scena che si svolgerà dinanzi ai tuoi occhi»

9. Dopo queste Mie parole, Giara levò gli occhi in alto e li fissò per qualche tempo nel cielo cosparso di stelle lucentissime, ma, poiché nonostante l’intenso rimirare, niente d’insolito ancora si voleva mostrare al suo sguardo, Mi disse con accento di immensa dolcezza: «Signore! O vita mia, o mio amore! Niente ancora mi è possibile vedere! Puoi dirmi che aspetto avrà, affinché se qua o là dovesse mostrarsi qualche cosa, io possa almeno giudicare se l’apparizione sia quella da Te annunciata oppure no!»

10. Le dico Io: «Mia diletta Giara, tu devi guardare in alto piuttosto con il tuo cuore che non con i tuoi occhi, ed allora cose meravigliose cominceranno a farsi vedere in una maestà grandiosa di luce! Fanne una prova e ti convincerai ben presto che Io ho sempre ragione e che dico sempre la piena verità»

11. Udite da Me queste spiegazioni, Giara eleva più il suo animo che non gli occhi, ed ecco all’istante aprirsi tutti i Cieli, e innumerevoli schiere di angeli di Dio scendono a terra librandosi nello splendore più magnifico e cantano: «O Cieli, stillate tutte le vostre rugiade di grazia sui giusti di questa Terra! Infatti santo è Colui che vi ha posato il piede per la salvezza di coloro che sono caduti, prima ancora che un solo sole brillasse nella divina luce di grazia nel profondo infinito!

12. I figli degli uomini, che Satana ha generato, Egli li accoglie e li converte in figli del Suo Amore!

13. Siano resi dunque a Lui solo ogni onore ed ogni gloria, perché tutto quello che Lui fa è eccellente e il Suo Ordine è Amore congiunto a suprema Sapienza. E perciò solo Lui è santo, santissimo e dinanzi al Nome Suo tutto s’inchina nel Cielo e sulla Terra e sotto la Terra. Amen».

 

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Cap. 134

Il sollevamento del mare di Galilea.

 

1. E come Giara ebbe udito il cantico celestiale, tutta rapita chiese: «Signore! Qui è davvero difficile giudicare cosa sia più bello e più splendido: se il canto, le parole, il fulgore incomparabile delle luci dai mille colori, oppure le meravigliose figure di questi innumerevoli cantori eterei! Oh, soltanto ora posso farmi un concetto di ciò che veramente sono i Cieli di Dio! Oh, vorrei morire subito e andarmene da questi dolcissimi interpreti delle celesti armonie! Ma, Signore, se a Te piace così, dimmi cosa e chi sono propriamente in se stessi questi meravigliosi cantori? Sono davvero quello che sembrano essere, oppure sono soltanto delle creature da Te chiamate a vita solo per questo istante?»

2. Ed Io le dico: «Questi sono angeli e furono creati immensità di tempi prima che nell’Universo vi fosse traccia alcuna di una creazione materiale! Chiamane uno e ti convincerai che egli, come tutti i suoi compagni, è un essere vero e supremamente perfetto. Però Io devo, oltre a ciò, renderti attenta che, per quanto lieve ed etereo sia il loro aspetto, in ciascuno sono insite una tale forza e potenza che il minimo e il più debole fra di loro potrebbe distruggere in un baleno tutta la Terra, così da non lasciarne neanche il più piccolo granello! Ed ora, poiché sai questo, chiamane uno e fa’ con lui qualche prova!»

3. Dice Giara: «Signore! Io non ne ho il coraggio, poiché, per quanto indicibile sia la loro bellezza, pure la loro presenza m’incute un leggero timore!»

4. Dico Io: «Ma bambina Mia, non ti ho spiegato poco fa cosa sia veramente il timore? Dunque, non bisogna che tu abbia timore alcuno, altrimenti dovrei pensare che nel tuo cuore si nasconda ancora qualcosa di mondano! Tu ti trovi pur presso il Signore, dinanzi al Cui Nome tutti questi esseri si prostrano. Dunque, da dove potrebbe venire il tuo timore?»

5. Risponde Giara: «Ahimè, questo è certamente più che vero, ma l’insolito spettacolo di una simile scena, mai neanche sognata, non può fare a meno di scuotere profondamente un povero e debole cuore di fanciulla! Ma ora voglio raccogliere le mie forze e il mio coraggio e vedrai che la Tua Giara può essere anche senza timore»

6. E detto ciò, ella fece subito cenno ad uno degli angeli che era più vicino e questi venne a lei prontamente librandosi nell’aria e le chiese con voce dolcissima: «Giara, o dolcissima figliola del mio Dio e mio Signore dall’eternità, che cosa brama da me il tuo tenero e puro cuore?»

7. Risponde Giara, un po’ confusa davanti allo splendore ed alla maestà di quel messaggero celeste: «Ah, sì, sì, sì è vero, il Signore, che tu vedi qui, mi dice che ciascuno di voi è dotato di una potenza meravigliosa e che dovrei persuadermene facendo una prova; ma quale prova potrei dirti di fornirmi, se io non so niente altro all’infuori di ciò che ho udito in questi pochi giorni dal Signore Gesù?»

8. Dice l’angelo: «Ascolta, o bel fiore dei Cieli! Nel Nome del Signore ti aiuterò io a trarti d’imbarazzo!  Vedi laggiù il mare di Galilea molto vasto e profondo? Cosa penseresti se io lo levassi fuori dal suo ampio bacino e lo facessi rimanere sospeso per circa un’ora intera dinanzi ai tuoi occhi, libero nell’aria, nella forma di un grande globo d’acqua?»

9. Dice Giara: «Oh, questo sarebbe immensamente meraviglioso! Ma, nel frattempo, cosa ne sarebbe dei poveri pesciolini e poi delle molte navicelle che, in parte, riposano a riva e molte di più si muovono di qua e di là sul mare?»

10. Risponde l’angelo: «Sarà certo mia cura che nessun pesce, né alcuna navicella abbia a soffrirne danno! Se desideri la prova che ti ho proposto, in un momento l’opera si troverà sospesa dinanzi a te!».

11. Dice Giara: «Ebbene, se nessuna creatura può venirne danneggiata, tu puoi eseguire quello che hai detto!»

12. Dice l’angelo: «Guardati intorno! Ecco che il lago è vuoto e tutta l’acqua che vi era contenuta, fino all’ultima goccia, sta ora sospesa liberamente nell’aria, come possono convincersene i tuoi occhi!»

13. Allora Giara volle chinarsi un po’, per guardare in profondità, ma subito urlò con la fronte sulla superficie umida e fredda dell’enorme sfera liquida che si librava libera, immediatamente vicino alle pareti rocciose del monte il cui diametro complessivo misurava poco meno di quattromila tese. Quando Giara ebbe visto ciò, rimase quasi senza fiato e domandò a mezza voce: «Ma per l’amor di Dio, come ti è stato possibile un lavoro di questo genere nel tempo di un istante appena percettibile? Ed il mare è adesso proprio vuoto del tutto?»

14. Dice l’angelo: «Giara, vieni con me e convincetene!»

15. Giara osserva: «Come sarà possibile questo?»

16. Dice l’angelo: «Se mi è stato possibile sollevare fino quassù in un attimo la pesante massa d’acqua, mi sarà ben possibile portare anche te giù, fino al fondo del mare in un attimo solo e riportarti qui poi con la stessa velocità! Bisogna però che tale sia la tua volontà, altrimenti nulla posso fare, perché una scintilla sola del libero volere umano noi tutti la rispettiamo più di tutta la forza e potenza che Dio ci conferisce, perciò tu devi prima volere ed al tuo volere poi seguirà la mia azione»

17. Dice Giara: «Allora sta bene! Conducimi!»

18. Nello stesso istante ella si trovò nel punto più basso del fondo marino completamente asciutto e l’angelo levò dal suolo una bellissima conchiglia e la diede a Giara per ricordo e ad ammaestramento degli altri, che corporalmente erano immersi in profondo sonno, ma avevano in sogno le visioni di tutto ciò che stava succedendo.

19. E quando ebbe appena riposta la conchiglia nell’ampia tasca del suo grembiule, l’angelo le domanda: «Credi ora che tutta l’acqua di questo mare si trovi in quel globo che si libra al di sopra di noi e che il suo vasto letto è completamente all’asciutto?»

20. Risponde Giara: «Oh, sì, io lo avrei creduto anche se non mi avessi portata quaggiù! Ma ora ti prego, riportami lassù dal Signore, perché senza di Lui sento che morirei il prossimo istante!» 

21. Non appena ebbe pronunciato l’ultima parola, la buona Giara si ritrovò già al Mio fianco, in cima al monte ed Io le chiesi se le fosse piaciuta la cosa e che giudizio se ne fosse fatta.

22. Ed ella disse: «Signore, che a Te siano possibili tutte le cose, lo so perfettamente, ma come nella Tua Volontà e per influsso di questa anche nella volontà dell’angelo possa esservi un tale grado di potenza, questo penso che forse l’angelo stesso non lo saprà, quanto meno io potrei darTi una qualche spiegazione di un simile fenomeno. È una cosa meravigliosa in sommo grado, ma non posso comprenderla!»

23. Le dico Io: «La tua risposta è molto buona e giusta, ma con il tempo troverai nel tuo cuore anche la spiegazione del come a Dio siano possibili tali cose. Ed ora dimmi un po’, come ti pare quest’angelo?».

 

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Cap. 135

Una prova d’amore di Giara.

 

1. Dice Giara: «Oh, egli certo è un uomo indicibilmente bello, perché ha veramente tutto l’aspetto di un uomo, ma vicino a Te, o Signore, tutti gli angeli e tutti i Cieli, con tutta la loro luce e le loro forme di suprema bellezza, sono un nulla rispetto a te! Infatti tutta la loro bellezza sei Tu e solo Tu! Dunque io non potrei amarne nessuno!»

2. Dico Io: «Ma sono Io, come tu mi vedi qui, proprio più bello di quest’angelo? Guarda le Mie mani, che il lavoro ha rese ruvide, la Mia epidermide già parecchio bruciata dal Sole e la Mia età, tutto ciò non ha davvero niente di attraente, mentre quest’angelo è dotato di tutto l’immaginabile che i Cieli possono chiamare bello!»

3. Dice Giara: «Signore! L’esteriorità non ha per me alcun valore, quando l’interiore non eguaglia perfettamente il Tuo cuore, perché Tu solo sei il Signore!».

4. Dico Io: «Ma pure, da queste creature angeliche si emanano dappertutto manifestamente, senza alcun velo, il Mio Amore e la Mia Sapienza che sono in tutto completamente uguali a Me; se tu dunque Mi ami soltanto per il Mio Amore e tuttavia Io sono il Signore, non vedo perché tu non possa amare così, come ami Me, quest’angelo dalla bellezza sovrumana, il quale certo esiste quale risultante dell’azione combinata puramente del Mio Amore e della Mia Sapienza!»

5. Dice Giara: «O Signore, Amore mio e mia vita, da questi due elementi vitali sono costituiti anche tutti gli uomini, eppure io non sento di poterli amare sopra ogni cosa con quella potenza con cui amo Te! Oh, sì, io certo amo tutti gli uomini e più di tutti chi è bisognoso e faccio ogni cosa possibile, nei limiti delle mie poche forze, per venire in soccorso ai poveri; ma pure non mi è possibile amarli come io amo Te; così io amo anche questo carissimo angelo, ma il mio cuore e la mia vita non appartengono tuttavia che a Te solo! Soltanto se Tu, o Signore, respingessi duramente da Te il mio amore certamente puro, allora la mia tristezza sarebbe assai grande, ma comunque direi a me stessa: “Egli, il purissimo e santissimo, non ha potuto ritenere degno di Lui il tuo amore ancora troppo impuro e perciò lo ha tenuto lontano da Sé!”»

6. Dicendo queste parole la fanciulla prorompe in pianto ed aggiunge fra i singhiozzi: «E così anche sarà! Io mi sono azzardata un po’ troppo oltre con il mio amore e nella mia ingenuità non ho pensato abbastanza Chi è Colui che il mio cuore ha afferrato con tanta veemenza; perciò il Tuo Amore santissimo respinge dolcemente da Sé il mio amore ancora troppo poco santo e mi affida ad un angelo perché prima purifichi il mio cuore ed educhi a maggior santità il mio amore. Oh, questo mi addolora assai, ma io so bene che Tu solo sei il Signore e sopporterò dunque con pazienza tutto quello che a Te piacerà decretare nei miei confronti»

7. Allora le dico lo: «O Mia diletta, perché fare questi vani rimproveri all’amor tuo? Chi non Mi ama così come tu Mi ami ed ha a questo mondo qualche cosa che gli è più cara di Me, costui non è affatto degno del Mio amore. Tu, invece, il cui cuore tutti gli angeli del Cielo sono incapaci di allontanare da Me, ami Me, il Tuo Signore e tuo Dio appunto così come Mi amano gli angeli dei Cieli e sei tu stessa, già da lungo tempo dunque, un bellissimo angelo del quale Io stesso sono immensamente innamorato! Vieni qui sul Mio cuore e prenditi in esso il pieno risarcimento per questa piccola prova!».

8. A queste parole la piccola sembra come rinata e si stringe quanto più può contro il Mio petto.

9. E l’angelo esclama: «O beatitudine suprema fra tutte! Che cos’è tutto il complesso dei Cieli, paragonato alla vista di tanto amore? Noi, spiriti perfetti, nel corso infinito dei tempi abbiamo già gustato gioie in tale numero che nessuna lingua è capace di pronunciare, ma pure tutte le infinite gioie e delizie di cui fummo partecipi non sono che povera rugiada dinanzi all’onda di letizia che intorno a Te, o Padre santissimo, si innalza mentre accogli fra le Tue braccia la Tua figlioletta e con manifesto immenso amore la stringi al santissimo cuore Tuo! Oh, davvero inesprimibile deve essere la beatitudine di cui questa creatura ora gioisce!»

10. Dico lo: «Sì, immensa è la letizia di questa figlioletta, ma anche per Me essa non è meno grande, a voi pure, però, tale gioia sarà riservata quando sarà compiuto e quando tutti voi avrete mangiato alla mensa dei Miei figlioli! Ed ora fa che l’acqua ritorni nel suo bacino! Poi questa Mia piccina ti ordinerà un altro lavoro.

11. E avvicinando la Mia bocca alla testolina di Giara immersa nell’estasi, dico: “Vero, Mia buona Giara, tu Mi aiuterai a procacciare ancora qualche bel lavoro ai Miei angeli?»

12. Risponde la fanciulletta con amoroso e ingenuo slancio e con la sua voce infantile e dolcissima: «Oh sì! Per amor Tuo sono pronta a far ogni cosa con tutta la mia anima! Tu non hai che d a dire, ed io mi getto per amor Tuo in qualunque fuoco e mi precipito anche da questo monte giù nel mare, se l’acqua è già ritornata»

13. Dico Io: «E tuttavia nessuna fiamma di questa Terra potrebbe ormai più bruciarti, né distruggerti, perché tu stessa sei ricolma del fuoco più ardente! E così pure né la roccia né l’acqua riuscirebbero più a recarti danno, perché il tuo carattere nell’ordine Mio è più solido di un diamante, e il tuo animo è più dolce di tutte le acque dei Cieli! Insomma, tu Mi sei oramai tanto intimamente penetrata nel cuore che Io ti concedo la libertà di poter chiedere agli angeli direttamente il compimento di qualche opera ed essi eseguiranno il tuo incarico come eseguirebbero un ordine partito da Me stesso. Pensa dunque a un qualche lavoro ed esponi la tua idea all’angelo, il quale attende già con ansiosa gioia di ricevere dal tuo cuore un incarico ed in un attimo tutto sarà compiuto, secondo il tuo desiderio!».

14. Dice allora Giara: «Mio buon messaggero dei Cieli! Se può avvenire senza recare danno a nessuno, poiché questo monte con mezzi naturali è troppo difficile da salire, fa’, nel Nome del Signore, che esso abbia un sentiero per salirvi e discendere, praticabile facilmente e senza pericoli, anche dalla parte del mare, dove ora è accessibile assolutamente soltanto agli uccelli!».

15. L’angelo fa semplicemente un graziosissimo inchino davanti alla piccola Giara e dice: «O maestosa dominatrice nel Nome del Signore! Osserva il monte tutto intorno e tu sarai certo contenta di me! Vedi, noi alle volte siamo lenti nelle nostre azioni, però, quando occorre siamo anche più veloci del lampo».

 

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Cap. 136

La potenza degli angeli. Visita di una stella.

 

1. Detto ciò, l’angelo prende Giara per mano e la conduce tutto intorno al cocuzzolo del monte ed essa si convince che il monte, pur non avendo perduto niente della sua altezza, è diventato accessibile da tutte le parti senza pericolo, specialmente dalla parte opposta al mare, dove il declivio è ora dolcissimo.

2. E quando Giara si fu ben persuasa del cambiamento avvenuto, disse: «La cosa è talmente prodigiosa che io quasi comincio a non fidarmi più dei miei sensi e devo chiedermi davvero se forse non sto dormendo e sognando! Dammi, dunque, almeno qualche piccola indicazione riguardo al come ti è stata possibile questa meraviglia. Prima tu hai tratto fuori dal suo bacino tutto il mare e l’hai mantenuto libero e sospeso nell’aria, come una goccia immensa; ora hai costruito intorno a questo monte ripido delle strade praticabilissime e tutto questo in un solo batter di ciglia! Qual è il segreto della tua potenza? Tu non hai abbandonato un solo istante il tuo posto, eppure tutte queste opere sono state compiute! Per me, povero vermiciattolo della terra, quale io sono, questo è troppo!».

3. Risponde l’angelo: «Tu certamente non puoi ancora concepire simili cose, ma ben presto verrà il tempo in cui tutto ti sarà chiaro come il Sole. Però già fin d’ora posso dirti questo: “Noi angeli non possiamo fare niente per nostro proprio potere, ma tutto invece esclusivamente tramite l’onnipotente Volontà del Signore che tu tanto ami.

4. Vedi, l’Universo intero ed i Cieli tutti altro non sono che Pensieri ed Idee di Dio tenute fisse dall’onnipotente, fermissima Volontà del tutto incrollabile di Dio stesso. Basta che Egli abbandoni le Sue Idee e sciolga i Suoi Pensieri e nello stesso istante la Creazione visibile ha cessato di essere, ma se il Signore forma un nuovo Pensiero e con la Sua onnipotente Volontà lo fissa, allora la nuova Creazione nello stesso istante è già esistente e visibile per ciascuno”»

5. Chiede Giara: «Ma allora cosa resta da fare a voi?»

6. Risponde l’angelo: «In primo luogo devi sapere che noi siamo semplicemente gli organi accoglitori della Volontà divina e poi i diffusori della stessa! Vedi, noi siamo, in certo qual modo, le ali della Volontà divina e siamo di conseguenza propriamente la Volontà divina stessa. Basta anche il più lieve pensiero nostro, quando lo congiungiamo con la potenza della divina Volontà e l’opera è immediatamente compiuta; ecco da cosa dipende tale rapidità nel nostro agire!

7. Vedi tu là quella stella lucente che sta sorgendo? Ebbene, se da qui fino ad essa fosse tracciata una strada, in verità la Terra non ha tanti minutissimi granelli di sabbia quanti anni impiegherebbe un uccello per giungervi in volo, per non parlare di quanti ne occorrerebbero ad un uomo per arrivarci anche al più veloce passo di corsa, eppure a me è possibile raggiungere quella stella e far ritorno qui in un solo attimo! Tu non noteresti affatto la mia assenza e malgrado ciò io sarò stato là e poi di nuovo qui! Puoi crederlo?».

8. Dice Giara: «Perché non dovrei crederti? Ma naturalmente di una convinzione da parte mia non c’è da parlare, poiché fino lì io non posso, né d’altronde vorrei, fare con te un viaggio, così come l’ho fatto ora sul fondo del mare!»

9.Osserva l’angelo: «E perché no? Non sono possibili a Dio tutte le cose? Se ciò è gradito al Signore, per me non fa differenza! Che a te niente di male potrà accadere, mi rendo garante io e tutti gli innumerevoli angeli che vedi risplendere da tutte le parti qui intorno!»

10. Dice Giara rivolta a Me: «Signore, è davvero possibile questo?»

11. Le dico Io: «Nelle mani di quest’angelo, sì. Se vuoi affidarti a lui in pochi istanti sarai di ritorno sana e salva qui, presso di Me. Prenditi però anche di lì un ricordo!»

12. E udito questo da Me, Giara si affidò all’angelo, dicendo: «Ecco, io ho coraggio; se tu puoi farlo, allora portami là dove hai detto!»

13. Allora l’angelo sollevò Giara da terra, la strinse forte al suo petto e scomparve.  Dopo dieci secondi egli fu di ritorno assieme a Giara, la quale conservava nel suo grembiule una pietra che all’aperto riluceva come la stella del mattino quand’è al colmo del suo splendore. 

14. Quando Giara si fu un po’ riavuta dal suo stupore, Mi domandò: «Oh, Signore, sono davvero tutte queste stelle innumerevoli quello che è la stella che davvero con i miei stessi occhi di carne oppure con gli occhi del mio animo ho contemplato adesso? Infatti è un mondo immenso! Il nostro, rispetto a quello, mi sembra un guscio di una chiocciola rispetto a questa montagna! Dei veri uomini popolano quel mondo enorme e meraviglioso e le loro dimore sono altrettanti templi dalle proporzioni colossali e magnificamente costruiti, ma quegli uomini sono talmente grandi che, se posassero i piedi qui giù sulla riva del lago, supererebbero almeno tre volte in altezza tutta questa montagna. E così quel mondo è mille volte più grande del nostro!

15. Noi ci trovavamo in cima ad un monte altissimo, dal quale si vedeva da tutte le parti una pianura sconfinata. Questa era percorsa in ogni direzione da bellissime correnti, le cui onde, muovendosi, avevano dei giochi brillantissimi di luce cangiante in tutti i colori dell’arcobaleno. Il terreno poi era tutto coltivato per formare magnifici giardini, e vi erano splendidi templi. L’istante successivo ci trovammo già in pianura, vicino ai templi e vedemmo quegli uomini colossali e le loro abitazioni ancora più colossali. Visti ad una certa distanza, questi uomini sono davvero di bellissimo aspetto, ma osservati da vicino, sembrano delle montagne semoventi; io avrei dovuto adoperare una scala molto alta se avessi voluto salire anche soltanto sul dito mignolo del piede di uno di loro!

16. Insomma, avrei per tutta la vita da raccontare se volessi dire tutto quello che ho visto in questi soli pochi momenti, ma questo vorrebbe dire sprecare in inutili chiacchiere il tempo che Tu, o Signore, hai destinato a qualche cosa di meglio. Tuttavia io bramerei ancora di apprendere da Te se tutte queste innumerevoli stelle sono proprio altrettanti mondi simili a quello che ora ho visto!»

17. Dico Io: «Sì, bambina Mia, anzi molto più grandi e abbondanti in magnificenza, ma credi tu davvero e fermamente di essere stata in questi pochi istanti su quella stella, così come sei qui con il tuo corpo e anima? DimMelo!».

18. Risponde Giara: «Signore! Amore mio e mia vita! Il volo di andata l’abbiamo compiuto in quattro brevissimi tempi e fino al quarto tempo la stella che io distinguo benissimo ancora mi apparì sempre invariata come stella, ma, all’inizio del quarto tempo, essa divenne grande come il nostro Sole, poi, dopo brevissimo tempo ancora, ci trovammo già su quello splendido mondo. Sul monte, dove al nostro arrivo ci trovammo, raccolsi, dietro consiglio dell’angelo, una pietruzza dal terreno, che è appunto questo sassolino rilucente che ho portato con me come prova che io sono veramente stata anche là. Dunque, riguardo alla mia presenza reale là io non potrei fornirTi altre prove».

 

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Cap. 137

La maniera interiore di contemplare la Creazione.

 

1. Dico Io: «Questo basta pienamente! Ma ora Io voglio indicarti un’altra maniera, nella quale un uomo perfetto nel suo cuore può viaggiare attraverso gli spazi e visitare le stelle anche senza scostarsi materialmente di una linea sola da questa Terra; però in questo caso non è certo facile portare con sé una pietruzza lucente a prova del raggiungimento della meta. Dunque, hai ben presente la stella che hai visitato poco fa?»

2. Risponde Giara: «Sì, o Signore!»

3. Dico Io: «Ebbene, ora vedi di rappresentartela in cuor tuo con la maggior intensità di vita di cui sei capace e fissala per qualche tempo incessantemente con gli occhi tuoi e dimmi poi come ti apparirà dopo pochi istanti»

4. Giara allora fa secondo il Mio suggerimento e subito dopo esclama: «Signore, Signore! O mio Dio, o mio amore! Io vedo la stella come l’ho vista prima nel quarto periodo. Essa diventa sempre più grande e la sua luce è a malapena sopportabile! Ah, che luce straordinaria, per fortuna che non fa male agli occhi! Oh, oh, ora tutto il firmamento non è che un immenso mare di luce terribilmente sconvolto da enormi ondate! Mio Dio, mio Dio, come sono grandi e meravigliose le Tue opere! E dire che Tu vai peregrinando nella carne come un semplice e modesto uomo fra questi vermi che sono gli uomini della nostra Terra!

5. Oh, oh! Adesso mi trovo nuovamente su quel monte di prima e vedo tutto intorno gli stessi paesaggi sovrabbondanti di ogni magnificenza, gli stessi templi e gli stessi uomini ed i loro bellissimi giardini, vedo anche dei fiori meravigliosi, ma il più piccolo fra questi è più grande di una casa sulla nostra Terra. Certo non potrei coglierne nessuno per ricordo! Ah, ecco, adesso vedo anche ogni specie di animali e anche degli uccelli che sono una meraviglia di bellezza, ma sono tutti immensamente grandi! Dagli alberi giganteschi pende della frutta curiosa ma di una grandezza enorme! E noto anche come due uomini in un giardino stendono le mani verso un albero, ne colgono della frutta e la portano alla bocca! Oh, con una pera o simile frutto, un migliaio di uomini su questa Terra avrebbero abbastanza da saziarsi per un anno intero!»

6. Le dico Io: «Ora fa’ attenzione! Adesso arriverai in una specie di città di quel mondo, Mi dirai poi se ti sarà piaciuta!»

7. Subito dopo Giara si prende il capo tra le mani come sbalordita e lo splendore della visione pare ora tanto grande da strapparle grida di meraviglia e di rapimento: «Oh, per l’amore del Nome Tuo santissimo! Questa è una magnificenza quale un cuore di uomo non ha mai potuto neppure lontanamente sognarla! Oh, è una cosa che non si può descrivere! Serie complete di templi immensi! Che colonnati, che cupole! Mio Dio, quale sontuosità, che proporzioni immense e che indicibile splendore! Signore, Te ne prego, fammi ritornare, perché questa profusione di magnificenze, che uomo non potrà mai descrivere, finirebbe con l’uccidermi!» 

8. Le dico Io: «Ebbene, chiudi gli occhi e pensa a Me ed alla Terra e tutto poi sarà di nuovo a posto!» Giara allora esegue e può ormai guardare la sua stella nuovamente come stella.

9. E quando un po’ di calma e di raccoglimento si fece nel suo animo, essa subito Mi domanda: «Signore! L’angelo mi ha forse mostrato prima quella stella anche in questa maniera come me l’hai mostrata Tu ora? Adesso io l’ho vista molto meglio della prima volta, quantunque vi sia stata, per così dire, soltanto spiritualmente. La mia idea è questa: il buon angelo, per mantenere le apparenze, mi ha forse allontanato solamente un breve tratto da qui e mi ha poi fatto vedere la stella anche lui nella seconda maniera!»

10. Dico Io: «No, no, l’angelo ha corrisposto pienamente al tuo desiderio! Però tale cosa è stata possibile soltanto con te, perché il tuo cuore è saturo d’amore; con qualsiasi altro uomo una cosa simile non sarebbe stata possibile. E se anche un angelo facesse questo con un comune uomo del mondo, ciò che certo egli potrebbe, già la sola vicinanza di un tale angelo ucciderebbe l’uomo del mondo sull’istante!

11. Però tu poco fa Mi hai chiesto se tutte le stelle sono altrettanti mondi simili a quello che hai visto. Ed Io ti ho risposto di sì. Dunque, se tu, Mia Giara diletta, lo desideri, puoi convincertene nell’identico modo! Vedi, quando un giovane del mondo chiede la mano di una fanciulla e vuol farla sua sposa, egli apre i suoi forzieri e mostra tutti i suoi tesori, per rendersi propizia colei che il suo cuore ama, affinché, se anche non per la sua persona, essa voglia accettarlo in sposo per i suoi grandi tesori. Ed ecco, Io faccio ora lo stesso dinanzi a te, affinché un giorno, quando la tentazione verrà da parte del mondo, tu non abbia ad allontanarti dal Mio cuore. Perciò ora Io ti rivelo l’esistenza dei Miei tesori, perché tu possa convincerti che Io poi non sono tanto povero come il Mio esteriore sembra annunciare agli uomini. Vedi, Io sono oramai il tuo innamorato ed è dunque opportuno che ti mostri anche una parte, sia pure piccola, dei Miei grandi possedimenti e tesori»

12. Dice Giara: «Signore, o vita mia, se la mia volontà fosse mossa a contemplare ancora un’altra stella soltanto per preservarmi con ciò da un’infedeltà nel mio amore per Te, mi dispiacerebbe molto aver guardato già quell’una! Infatti Tu solo sei per me infinite volte di più di tutte le stelle con tutti i loro splendori! In verità, per amarTi sopra ogni cosa, io in eterno non ho bisogno d’altro che di Te solo, ma per amor Tuo, poiché Tu lo desideri, ammiro con grande diletto pure le meraviglie della Tua potenza e sapienza»

13. Dico Io: «Ascolta, o Mia carissima Giara, Io vedo bene fino in fondo al cuor tuo ed entro vi leggo quanto è grande il tuo amore per Me e conosco anche la tua fedeltà, però tu sei ancora più una bambina che una ragazza matura. Finora tu fosti continuamente sotto la tutela dei Miei angeli ed i mali spiriti del mondo non hanno potuto avvicinarsi a te, ma più tardi dovrai per forza tua propria resistere al mondo perfido ed ai suoi allettamenti, per poter con ciò, secondo il Mio immutabile Ordine stabilito per tutti gli esseri, creare da te stessa quel solido terreno sul quale appena ti sarà dato di avvicinarti a Me davvero in spirito ed in tutta verità. Ed ecco qui il mondo ha un potere assai grande sugli uomini, perché il mondo in grandissima parte è dominato dall’inferno e l’anima deve sostenere più di una aspra lotta, per non venire tratta nell’abisso dalla propria carne e dal proprio sangue e per conseguenza anche dal mondo!

14. La tua persona è molto bella; ben presto i giovani del mondo getteranno gli occhi su di te e ti offriranno il loro cuore e la mano e dovrai combattere per non cedere alle loro insistenze. Ma quando questo tempo sarà venuto, suscita allora nel tuo cuore il ricordo di Me e di tutto quello che hai visto ed udito su questo monte e così riuscirai vincitrice del mondo con molta facilità!»

15. Dice Giara, un po’ rattristata: «Oh, ma a Te deve pur essere dall’eternità già chiaro se un giorno potrei o no diventarTi infedele! E se Tu vedi in me una futura infedele, come puoi amarmi? E come puoi permettere ad una futura peccatrice di avvicinarsi a Te?».

16. Ed Io le dico: «Questi concetti, Mia diletta Giara, sono troppo alti per te! Tuttavia, per il particolare immenso amore che ti porto, qualche cosa voglio pur dirti. Vedi, Io bensì posso già dalle eternità sapere quello che sarà di un uomo, purché Io lo voglia sapere, ma, affinché l’uomo nella maturità degli anni suoi possa agire senza influenza alcuna, fermamente ed in piena assoluta libertà, Io distolgo per un determinato tempo i Miei occhi da lui e non prendo nessuna informazione sul suo libero operare, a meno che egli non Mi rivolga la fervida preghiera di aiutarlo nella lotta da lui liberamente intrapresa con il mondo, allora il Mio sguardo di nuovo si volge a lui, lo aiuto a mantenersi sulla retta via e gli infondo il necessario vigore nella sua lotta con il mondo!

17. Ora, vedi, così neppure nel tuo caso Io voglio scrutare il futuro e ciò perché tu abbia a restare libera nel tuo operare; vedi, Io vado ora istruendoti, affinché tu ne sia rafforzata e perché nel tempo della tentazione tu possa ricordarti fattivamente di tutto ciò. Anche l’angelo protettore, una volta giunto quel tempo, ti lascerà sola, ma quando avrai riportato la definitiva vittoria sul mondo, egli ritornerà a te e ti servirà in ogni cosa. Hai tu, Mia carissima Giara, afferrato così, almeno un po’, il senso delle Mie parole?».

 

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Cap. 138

Un mondo in funzione di scuola dell’abnegazione di se stessi nell’aldilà

 

1. Dice Giara: «L’ho compreso abbastanza, o Signore! Però la cosa resta ben triste per me e per tutti gli altri uomini, perché fra migliaia forse appena uno troverà la forza necessaria per affrontare il mondo da solo, così come a Te sarebbe gradito!»

2. Dico Io: «Appunto per ciò Io sono venuto al mondo, allo scopo, con gli insegnamenti Miei e con le Mie opere, di fornire a ciascuno i mezzi sufficienti per vincere il mondo con lieve fatica» 

3. Dice Giara: «Certo, sarebbe tutto bello e buono, ma sulla Terra c’è una quantità di persone, al cui orecchio le Tue parole cominceranno ad arrivare forse appena in un migliaio d’anni; come potranno queste persone, entro così lungo tempo, difendersi dall’assedio del mondo? Eppure sono tutti altrettanti uomini come lo siamo noi ebrei!»

4. Dico Io: «Ecco, i popoli della Terra, in rapporto a Me, devi raffigurarteli come dei singoli figli in rapporto all’unico padre loro. Alcuni, che sono venuti prima nel mondo, vengono educati dal padre in differente maniera da altri, che hanno visto la luce appena da due, tre, quattro o fino a cinque anni. Il figlio più anziano è già un uomo robustissimo ed una figlia è già da marito, ma accanto a questi vi sono ancora un paio di figli della tua età e poi tre sono ancora in fasce. Dimmi tu se farebbe cosa saggia il padre, qualora volesse usare lo stesso sistema di educazione tanto per i piccoli bimbi in culla, quanto per il figlio divenuto già uomo adulto?»

5. Risponde Giara: «Oh, sarebbe una cosa quanto mai insensata se il padre facesse così!»

6. Dico Io: «Orbene, appunto qui sta la spiegazione del perché alcuni popoli arriveranno solo più tardi ad intendere la Mia dottrina. Essi attualmente non sono ancora maturi, ma ben verrà il tempo giusto in cui lo saranno ed allora anche la Mia dottrina giungerà fino a loro. Mi comprendi?»

7. Dice Giara: «Oh, sì, Ti comprendo benissimo, ma poi qual è il destino che nel grande aldilà attende i popoli che su questa Terra non sono giunti ancora a maturità?».

8. E dico Io: «Questo ti verrà indicato immediatamente. Vedi là, nel settore settentrionale del cielo, vi è una stella che manda una luce piuttosto rossastra. Fissala bene, come hai fatto con la prima, con gli occhi del tuo animo ed in pari tempo guardala anche con i tuoi occhi terreni e su quella stella tu troverai la risposta alla tua domanda».

9. Giara fa subito come le ho detto Io e già dopo brevi momenti esclama: «O Signore, o creatore onnipotente dei Cieli e dell’Universo intero! Questo è un mondo molto più grande di quello che ho visto prima ed una luce meravigliosa lo circonda! Ma la sua luce è rosa con tendenza al giallo d’oro, mentre quella dell’altro mondo era di un bianco purissimo. La luce di questo mondo, però, diventa anch’essa tanto intensa da riuscire insopportabile! Ma ecco che oramai sono già arrivata sul suolo animato di questo mondo! Oh, anche qui la magnificenza è indescrivibile, quanta varietà di cose! Dei monti bellissimi dal dolce declivio racchiudono valli splendide quanto mai fertili. Nelle valli si possono vedere anche delle specie di capanne, le quali consistono unicamente di un tetto sostenuto per bene da colonne scintillanti come il rubino, ma sul dosso dei monti tali capanne si susseguono senza interruzione a perdita d’occhio in file lunghissime e per quanto immensamente lontano giunga il mio sguardo, tuttavia non riesco a vedere altro, ed una capanna somiglia all’altra quanto nell’uomo un occhio somiglia l’altro.  Come osservo, i tetti dalla forma circolare un po’ allungata poggiano tutti su colonne di rubino alte circa come sette uomini; ma anche qui una colonna è del tutto uguale all’altra! Uomini ed altri esseri viventi non mi è stato ancora possibile di vederne, però devono esserci anche qui, perché la straordinaria coltura di queste immense regioni ne fornisce la prova!

10. Ma, cosa strana, è che tuttavia su questo mondo, sotto altri aspetti ricco di ogni magnificenza, tutto sia di tipo uniforme; un albero fruttifero è precisamente come l’altro ed un fiore è assolutamente identico all’altro, tutto disposto in lunghe file e non si può trovare niente che non rientri in quest’ordine.

11. Certo, tutto ciò si presenta meravigliosamente bene, e l’occhio ne ha un grande diletto, ma con il tempo questa eterna uniformità dovrebbe pur finire con lo suscitare noia in un uomo della nostra specie! Ma ecco che adesso sono arrivata davanti ad una capanna e qui sì che vedo degli uomini simili a noi. Uno di loro è in piedi, un po’ elevato da terra e sta predicando e diverse centinaia d’altri uomini ascoltano con gran devozione questo predicatore.

12. Nella capanna immediatamente vicina vedo parecchi uomini avvolti in abiti a pieghe, i quali mangiano ad una mensa bene imbandita, ma intorno ai convitati ce ne sono molti altri i quali sembrano soffrire la fame e questi non ricevono niente da mangiare! Oh, oh, qui in una terza capanna vedo adesso alcune prostitute di meravigliosa bellezza! Queste sono completamente nude e si sollazzano con degli uomini di pochissimo conto, passeggiando di qua e di là; in fondo si vedono però una quantità di giovani, i quali sembrano seguirle con occhio avido ed essi fanno cenni alle belle prostitute perché se ne vengano anche da loro e se la spassino un po’ anche con loro, ma i giovani non ottengono ascolto e pare che ciò non li renda troppo soddisfatti.

13. Oh, queste sono delle istituzioni domestiche molto strane! Quanto esteriormente una capanna è perfettamente uguale all’altra, altrettanto variate invece appaiono le occupazioni degli uomini, e pure questa è certo una cosa da segnalare! Ma se su questo mondo enormemente grande dappertutto è così come in questa regione da me vista ora, preferisco la nostra piccola Terra, esclusi certamente gli uomini malvagi!»

14. Le dico Io: «Tutto quello che adesso il tuo occhio vede, non è che un piccolo istituto scolastico ed una palestra per l’educazione all’esercizio dell’abnegazione di se stessi e del superamento del proprio io. Procedi ora innanzi con gli occhi del tuo animo, e ti si mostrerà qualcos’altro!»

15. Giara fa così, ma il nuovo spettacolo le strappa un grido tale che tutti gli altri, immersi nel sonno, ne sarebbero stati svegliati se la Mia Volontà non li avesse riaddormentati.

16. Io poi domandai a Giara che cosa mai fosse accaduto per gridare a quel modo.

17. Ed essa esclamò: «O Signore! Lo splendore e le maestosità che si offrono alla mia vista, sorpassano di nuovo tutto ciò che mente umana abbia mai potuto immaginare! Qui c’è un palazzo di tanta mole e tanto alto da gareggiare con il più grande ed alto monte della Terra! Le mura sono fatte di pietre preziose, mille e mille scaloni e gallerie dorate adornano esteriormente quest’immenso palazzo, il quale alla sua sommità, finisce in un vero pinnacolo altissimo. Tutto intorno a questo palazzo vi sono lussureggianti giardini, in cui una varietà straordinaria rivela ad ogni volger d’occhio nuove meraviglie, ma entro i giardini si trovano ancora dei laghi bellissimi, sulla cui superficie vedo nuotare intorno una quantità grande di oggetti meravigliosi, fatti con grande arte e destinati probabilmente al diporto, strano è però che nessuno li guidi, né meno ancora che li sorvegli.

18. Signore! Che cosa vuol dire tutto ciò? Chi sono gli abitanti di questo enorme palazzo ed a che cosa servono questi svariati oggetti artistici che si muovono liberamente sull’acqua dei laghi grandiosi?».

 

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Cap. 139

Uno sguardo nell’ordinamento stellare universo.

 

1. Dico Io: «Vedi, questo palazzo è l’abitazione di un maestro superiore preposto alla regione che tu hai già visitata, tutte quelle capanne, o meglio scuole che hai visto prima, sono sottoposte alla sua sorveglianza e gli oggetti, che vedi galleggiare qua e là sui laghi, vengono in periodi determinati di tempo utilizzati per l’ulteriore istruzione nella sapienza superiore. Ma di abitazioni come questa qui ce ne sono ancora molte centinaia di migliaia soltanto nella zona centrale di questo mondo luminoso, oltre poi una quantità di città quanto mai grandiose. Accanto però a questa zona centrale, della quale non vedi ora che una piccolissima parte, vi sono ancora, su questo mondo, settantasei zone secondarie, delle quali ciascuna ha una organizzazione propria e differente dalle altre. Questo mondo, come pure quello visto prima, è in effetti un Sole come il vostro che illumina la Terra, con la sola differenza che quello visto da te per primo è circa mille volte più grande, e questo che tu contempli ora è circa quattromila volte più grande del Sole della vostra Terra; il vostro Sole però è mille volte mille più grande di tutta la Terra.

2. Gli uomini di questo astro solare hanno ancora un concetto del tutto erroneo del loro astro, come pure dei soli, delle lune e delle stelle; ma quando un giorno saranno capaci di calcolare meglio, potranno farsi delle idee più giuste e più esatte riguardo ai corpi roteanti negli spazi sterminati della Creazione.

3. Ma intanto tu puoi già sapere che intorno a ciascuno di tali soli orbitano, a distanze differenti, un’appropriata quantità di tali Terre, come lo è questa sulla quale stiamo noi, e che parecchie di queste Terre hanno ancora dei satelliti, i quali ruotano intorno ad esse come costanti accompagnatori, come la Luna orbita intorno alla nostra Terra! Ma tante quante sono le vere e proprie Terre a cui provvede un sole, altrettante fasce proprie, corrispondenti alle Terre che orbitano intorno ad un tale sole, ha appunto ogni sole, ad eccezione dei Soli-centrali, che sono destinati a reggere e a guidare i Soli-planetari e sono un milione di volte più grandi di dieci milioni di tali soli, di cui tu ora ne hai visto due.

4. Un tale Sole-centrale non ha più la sua superficie ripartita in tante zone, bensì in altrettanti territori quanti sono i soli-planetari; ed allora ciascun territorio che corrisponde ad un Sole-planetario è in superficie da mille fino a diecimila volte più grande della superficie di ogni singolo sole-planetario stesso assieme a quella di tutti i pianeti che lo circondano. Intorno ad un Sole-centrale ruotano almeno mille migliaia di soli-planetari.

5. Ma poi vi sono ancora dei soli-centrali, intorno ai quali si muovono a loro volta mille migliaia di soli-centrali ora menzionati, unitamente a tutti i loro soli-planetari ed ancora vi sono soli-centrali intorno a cui si muovono i soli-centrali di secondo tipo, ed infine nelle incommensurabili profondità di un complesso di soli-centrali sta un corpo-mondiale-solare-centrale comune, il quale ha il solo movimento rotatorio intorno al proprio asse. Questo corpo centrale è pure un sole, ma è tanto grande che tutti gli innumerevoli soli-planetari, i soli-centrali di primo, secondo e terzo ordine e tutti i pianeti con le loro lune orbitanti intorno agli innumerevoli soli-planetari, nonché le molte migliaia di svariatissime grandi e piccole comete che ruotano quali terre in formazione, in orbite incostanti intorno ai soli-planetari, tutto questo immenso complesso non corrisponderebbe in volume neppure alla centomillesima parte di quel Sole-centrale-primordiale, se esso stesso fosse una sfera cava con entro tutti questi corpi celesti in numero incalcolabile. DimMi, Giara, puoi ora farti un’idea di quanto ti ho detto?»

6. Risponde Giara: «Signore! Chi mai potrebbe concepire tanta grandiosità? Una piccola idea certo posso farmela, ma così facendo sono colta da vertigine! Ecco però che i miei occhi sono ormai sazi di questo sole, non so comunque che risposta dare alla domanda riguardo alla sorte riservata nel grande aldilà ai popoli immaturi della Terra!»

7. Le dico Io: «Ebbene, distogli anzitutto il tuo sguardo dal Sole che hai contemplato e poi ascoltaMi!»

8. Dice Giara: «Signore, ecco, l’ho già fatto!».

 

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Cap. 140

Periodi di sviluppo nell’aldilà

 

1. Dico Io: «OdiMi dunque! Vedi, tutti questi uomini immaturi giungono per lo più in quel Sole che tu hai visto ora ed in estesissime scuole vengono istruiti in tutto ciò che concerne la vita. Così pure i fanciulli morti immaturamente vengono educati ed allevati nella zona centrale del medesimo Sole, ma più che altro nella sua sfera spirituale.

2. Alle anime immature, nel Sole, viene dato nuovamente un corpo, ma tuttavia senza che vi concorra la funzione mediatrice della generazione e del parto e questo corpo poi diventa spirituale con l’anima stessa e può trapassare nello spirituale puro. Però come tali anime vengano portate da qui fino a quel Sole e da chi, questo lo hai tu stessa appreso quando visitasti il primo Sole. Quest’angelo che è ora presso di noi, è la guida e il reggente di tutti i mondi e di tutti i soli dei quali Io ti ho appena parlato. Da ciò tu puoi comprendere quale potenza e quale sapienza siano riunite in lui.

3. Però, dello sterminato numero degli angeli che adesso il tuo occhio contempla, allineati in ampie schiere intorno a te, ciascuno di essi ha un’identica incombenza, poiché nelle profondità eterne dello spazio esistono in numero incalcolabile per ogni mente umana i complessi solari, di cui uno è quello, come prima ti ho detto, che è retto da un Sole-centrale-primordiale, com’è quello che regge il sistema in cui ci troviamo, ed ogni simile complesso solare è governato da uno di questi angeli! Tu di angeli ora ne vedi un numero grandissimo, ma questa che tu vedi non è nemmeno dieci volte la centomillesima parte soltanto dei grandi angeli reggenti, non menzionando poi gli angeli inferiori, ai quali è affidata la particolare sorveglianza e direzione di singoli soli e pianeti e di singoli territori di un mondo. Ora vedi! Io devo tuttavia, nel Mio eterno Spirito, avere cura di tutto in ogni istante e se Io per un solo istante distogliessi la Mia costante attenzione da tutte le cose che hai visto e di cui Io ti ho parlato, nello stesso momento tutto, sia il grande come il piccolo, svanirebbe! DimMi, saresti capace con il tuo spirito di venirne a capo?»

4. Dice Giara: «Oh, Signore! Come puoi farmi una domanda simile? Io, un povero granello di polvere su questa Terra e Tu, nel Tuo Spirito, il solo Dio eterno ed onnipotente! Oh, se i ciechi farisei di Gerusalemme potessero vedere quello che io ho visto, dovrebbero certamente pensare altrimenti! Ma essi non lo possono vedere e neppure lo vedranno, e perciò nella loro ostinazione e perfidia cadranno in perdizione! Le loro anime, nell’aldilà, saranno anch’esse trasferite nella scuola di quel Sole»

5. Dico Io: «Che così avvenga, è ben poco probabile, Mia cara diletta! Infatti essi non appartengono ad un popolo immaturo, ma anzi ad un popolo pienamente maturo! E le anime di un popolo maturo, quando si sono indurite in ogni perfidia, giungono, spinte dall’autocostrizione, nelle profondità della Terra, perché, essendo diventate pura materia, questa allora è il loro elemento ed esse non vogliono né possono separarsene. Certamente viene fatto ogni sforzo e si ricorre a mezzi estremi: si permette che sofferenze e tormenti di ogni specie si riversino sul loro capo, per indurle ad abbandonare l’influsso della materia. E se una riesce a liberarsene, allora passa alle scuole che esistono nelle zone spirituali di questa Terra; da qui essa viene trasferita sulla Luna e quando là si è affermata attraverso tutti i gradi dell’abnegazione e si è fortificata, allora viene trasportata su un pianeta più perfetto e là viene ammaestrata nella vera sapienza.

6. Quando poi una simile anima è pervenuta ad una giusta e vera luce e questa va sempre più aumentando in potenza, soltanto allora, grazie alla luce, viene generato il calore della vita spirituale e l’anima comincia ad unificarsi con il proprio spirito, in modo che gradatamente tutta la sua vita si trasforma in amore. Quando poi l’amore ha raggiunto il necessario grado di consistenza e di forza ed è diventato la vera fiamma interiore vitale, dall’interno si fa luminoso e chiaro in tutta l’anima e soltanto allora una tale anima viene a trovarsi in quello stato che la rende atta ad essere accolta nel mondo libero degli spiriti beati propriamente detto, dove poi viene, come un’anima bambina, ulteriormente guidata ed educata.

7. Ma prima che un’anima, diventata materiale sulla Terra, pervenga, nel più favorevole dei casi, fino a questo punto, possono sempre passare parecchie centinaia di anni terrestri. Ora però Io leggo nel tuo cuore che tu vorresti chiederMi ancora qualcosa ed Io ti dico: “Chiedi pure, perché le tue domande sono ben fondate! Sennonché questa volta esporrai il tuo desiderio all’angelo che ci sta vicino ed egli ti darà anche la giusta risposta».

 

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Cap. 141

Della grandezza dello spirito dell’uomo.

Sulla velocità degli angeli o spiriti puri.

 

1. Allora Giara si rivolge all’angelo e gli chiede: «O caro e soavissimo giovinetto, il tuo e il mio Signore mi ha indirizzato a te e mi ha detto di farti delle precise domande e che tu mi darai anche delle risposte giuste. Dimmi, dunque, perché questi miei congiunti terreni, come pure i discepoli del Signore, devono dormire, mentre io sono desta; e dimmi anche perché io posso vedere con gli occhi del mio corpo tutto quello che agli altri, secondo quanto ha detto il Signore, è permesso e sono in grado di vedere ed udire soltanto in sogno!»

2. Risponde l’angelo, con accento amorevolissimo: «In te, o deliziosa e beata figlia del Signore, l’anima si è trasfusa del tutto nello spirito e tu non hai quassù più niente in comune con la materia del mondo. Il tuo occhio terreno è diventato l’occhio della tua anima e poi, a sua volta, esso è diventato l’occhio del tuo spirito eternamente immortale. Perciò ti trovi situata nella tua sfera di vita perfettamente così come veramente dovrebbe trovarsi ogni vero uomo.

3. Ma lo spirito di ogni uomo è costituito in modo tale che esso, ugualmente come lo Spirito di Dio, abbraccia in sé l’Universo intero. Dunque, quando tu nel tuo animo purissimo, che è come un occhio dello spirito, concentri l’attenzione su una stella, per quanto lontana, o su un’altra cosa e se contemporaneamente rivolgi all’oggetto fissato, con l’occhio dello spirito, l’occhio della tua anima tramite il tuo occhio di carne, allora si produce un conflitto fra l’immagine interiore esistente nel tuo spirito e la corrispondente forma esteriore dell’immagine stessa. Da questo conflitto poi risulta nella tua anima una luce perfetta sull’oggetto contemplato e questo ti si presenta allora veramente così come esso è nella sua specie.

4. Ed io ti dico, in tutta verità e fedeltà, che tutti gli uomini sarebbero capaci di ciò, purché essi, nella loro anima, fossero altrettanto maturi ed appunto così costituiti come lo sei tu, ma ora ben pochi ce ne sono che possano uguagliarti. Costoro che dormono invece fanno parte dei molti ed appunto non ti somigliano né nella tua anima né nel tuo animo; la loro anima è ben lontana dal poter guardare con l’occhio di carne, e l’occhio dello spirito è ancora solidamente chiuso; per conseguenza la loro anima deve prima venirne resa capace in sé e per sé. Con il sonno dell’occhio materiale viene tolta ogni visione del mondo e solo così essa, tramite i suoi sensi più sottili ed acuti, può giungere alla percezione ed alla contemplazione del soprasensibile che trapassa nello spirituale.

5. Certamente, però, il sonno di questi dormienti è un sonno del tutto speciale al quale, in maniera del tutto naturale, l’uomo non può arrivare che soltanto in rarissimi casi.

6. Certi uomini forti nell’anima e nello spirito possono provocare un forte sonno nei loro fratelli più deboli mediante la frequente imposizione delle mani, ma i deboli assolutamente non possono conseguire un tale risultato con i loro fratelli e sorelle altrettanto deboli. Del fatto però che il Signore possa fare tutto mediante la Sua Volontà, di certo in te non può sorgere, in eterno, nessun dubbio!»

7. Dice Giara: «Il Signore ti benedica per questi chiarimenti che mi hai dato e che io ho molto ben compreso! Ma adesso una domanda ancora: dimmi, dolce e carissimo giovinetto, come faccio a spiegarmi la tua incomprensibile velocità?»

8. Risponde l’angelo: «O dilettissima figliola di Dio! Questa è una cosa che non può venire compresa se non da un puro spirito, per il quale tempo e spazio non hanno né significato né nessun valore. Noi, per noi stessi, non siamo nulla, ma quello che tu vedi di noi con gli occhi del tuo spirito è un Pensiero di Dio, un’Idea di Dio, una Parola di Dio. Noi perciò siamo spiriti assolutamente puri e non vi è materia che possa esserci di ostacolo.

9. Se dunque per uno spirito in cui la vita è potenziata al sommo, non possono esservi ostacoli, ne consegue che per esso il di qua e il di là devono necessariamente essere la stessa cosa. Non vi è materia dunque che possa raggiungere la velocità che abbiamo noi spiriti, perché essa, anche muovendosi nell’etere imponderabile, vi trova sempre e comunque un impedimento che tende a rallentarne il moto.

10. Nello spazio immenso e sconfinato della Creazione particolarmente degni di nota sono i soli-centrali di terza categoria, immediatamente dipendenti dal Sole-centrale-primordiale. Questi soli si muovono, descrivendo differenti e immense orbite intorno al Sole-centrale-primordiale, con una velocità che, per i tuoi concetti, può definirsi infinita e ciò affinché possano restare alla debita distanza dal Sole-centrale-primordiale. Le loro orbite, a causa della loro grandissima distanza da questo Sole principale, sono di un’estensione per te inimmaginabile. 

11. Ora, per esempio, pensa a questa Terra quale una palla – come è veramente – di una grandezza di molte centinaia di migliaia di volte maggiore di quanto tu possa vedere adesso ed immagina che questa enorme palla consista tutta di granelli di sabbia, come ne avrai di frequente visti in riva al mare. Fatti poi un’idea del numero di minutissimi granelli di sabbia che sarebbero necessari per formare una simile Terra. Ora, per ciascuno di questi piccoli granelli, immagina una distanza come da qui fino a quella stella che abbiamo visitato per prima e la somma di tutte queste distanze ti darà quasi il diametro di una simile orbita. Uno dei soli-centrali di terza classe, che ho menzionato, impiega di certo per percorrere una simile orbita, nelle migliori delle ipotesi, dieci volte centomila anni, ma poiché l’orbita stessa è tanto enormemente estesa, un Sole di questa specie deve percorrere già in un attimo una distanza mille volte superiore a quella che c’è tra qui e la stella da noi visitata per prima!

12. Tu qui penserai e dirai: “Ma se è così, un simile Sole si muove pur sempre mille volte più rapidamente di te, che sei un puro spirito! Infatti se nel tragitto da qui fino a quella stella fossimo proceduti con la velocità di quel Sole, noi avremmo evidentemente dovuto avvicinarci mille volte prima che non con la tua velocità spirituale”.

13. Ma io ti dico invece che l’immensa velocità di quel Sole, paragonata alla mia velocità spirituale, appare una vera marcia da lumache, poiché, vedi, per quanto la sua velocità sia, secondo i tuoi concetti, assolutamente enorme, quel Sole, tuttavia, impiega dieci volte centomila anni per compiere il suo percorso lungo l’orbita immensa intorno al suo Sole-centrale-primordiale, mentre io, od un altro spirito della mia specie, possiamo compiere lo stesso percorso in un attimo così impercettibile che per te non sarebbe possibile neppure accorgerti dell’intervallo di tempo che intercorre tra la mia partenza e il mio ritorno. Anzi ti dico di più: nello stesso impercettibile istante io potrei volare lungo un’orbita anche di molte migliaia di centinaia di migliaia di volte maggiore.

14. Dunque, tra questa velocità di uno spirito e quella di una materia dotata di un moto rapido quanto si vuole, e che possa anche essere aumentato quanto si vuole, esiste un divario infinito, perché se una materia che si muove con una velocità quanto grande si vuole, adopera anche un solo istante per compiere il tragitto da qui fino a quella stella, per compiere un ulteriore tragitto uguale ci vorranno in tutto già due istanti e, ammesso pure che la materia percorra in un istante solo centomila di tali distanze, avrà bisogno di ben dieci istanti per coprire dieci distanze di questo tipo, mentre io posso giungere a qualsiasi distanza immaginabile in un solo e stesso attimo.

15. Ed ecco, questa cosa la posso fare io e qualunque altro spirito della mia specie, per la ragione che per noi in tutta l’eterna immensità non esiste assolutamente alcun impedimento immaginabile, per quanto lieve, mentre alla materia si oppongono, perfino nei liberissimi spazi dell’etere, ogni tipo di ostacoli e essa non può perciò mai raggiungere la velocità di uno spirito. Dimmi ora, soavissima figliola di Dio, se hai compreso un po’ queste cose».

 

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Cap. 142

Sulla vera grandezza spirituale.

 

1. Dice Giara: «Con l’aiuto del Signore io credo che le avrei ben comprese, ma le tue spiegazioni hanno di nuovo cominciato a darmi le vertigini! Infatti io mi sono fatta l’assoluta convinzione che uno spirito creato deve impiegare già un’eternità per conoscere da cima a fondo uno solo di quei soli-centrali principali quasi infinitamente grandi, dei quali tu hai detto che il loro numero, nell’immensità eterna degli spazi, è incalcolabile per la mente umana e di cui ciascuno è la guida o, meglio ancora, il reggente di altri soli-centrali delle tre classi ed i soli-planetari circolano intorno ad esso in orbite sterminate e il loro numero è tale che nessuno spirito mortale potrebbe concepirlo! Dunque, se già uno solo di quegli enormi soli-centrali primordiali richiede un’eternità per essere visitato da un qualsiasi spirito creato, si domanda quando questo spirito potrà esaurire il suo compito, se si sarà proposto di visitare tutti gli altri, il cui numero non si può esprimere!

2. Io però preferisco rimanere strettamente fedele al mio amore, perché così ragiono: “Un simile Sole è certamente qualcosa di immensamente grande e di meraviglioso ed è una testimonianza importante ed imponente dell’infinita sapienza e della potenza eterna del Signore, ma pur esso non può, come invece posso io, vedere il suo Signore, suo Dio e Creatore, né può, come io posso, comprenderLo ed amarLo sopra ogni cosa!”. Ora, vedi, questa è, secondo la mia opinione, una cosa ben più grande dell’essere un Sole, per quanto infinitamente grande in qualche profondità degli spazi senza confini della Creazione, profondità che la mente umana non può mai calcolare! E chissà che io non sia cara al Signore, quanto Gli è caro un simile Sole grandioso!

3. E vedi, o dolcissimo giovinetto, questa nostra Terra, se fosse trasportata su quel Sole di smisurata grandezza, farebbe probabilmente la figura di un granellino di polvere appena percettibile. Eppure su di essa ora posa i Suoi piedi Colui dal Cui più lieve alito dipende l’esistenza di tutti gli innumerevoli soli-centrali. E perciò credo che dinanzi agli occhi del Signore non sia precisamente il più grande ciò che, data l’infinità degli spazi della Creazione, ne occupa pur sempre una porzione appena degna di misura, ma ciò che è interiormente grande!

4. Che cosa sono io, povera fanciulla, nei riguardi della grandezza fisica, se mi paragono soltanto a questa piccolissima Terra? Eppure io sento nel mio petto un’immensità, nella quale c’è una tale profusione di spazio che ci possono stare tutti i tuoi soli-centrali primordiali, secondari e terziari con tutti i loro pianeti! Il mio piccolo occhio abbraccia con uno sguardo solo mille volte mille stelle; sarebbe da vedere se una tale capacità è insita in tutti i grandi soli! Ho ragione oppure ho torto?»

5. Riprendo allora a parlare Io e dico: «Tu hai perfettamente ragione e così è realmente.  Tu sola vali mille di quei complessi stellari che riempiono lo spazio infinito della Creazione, però è sempre buona cosa per l’uomo imparare a conoscere le Mie opere, in modo che aumenti in lui l’amore per Me, Suo Padre.

6. Ma ora comincia ad albeggiare e dovremmo svegliare i nostri amici! Però è necessario che non vengano svegliati tutti in una volta e tu non devi raccontare niente di tutto quello che hai visto a nessuno prima che ti venga fatto cenno da parte del Mio ed ora anche tuo angelo, perché Io intendo lasciarlo visibilmente al tuo fianco fino alla tua maturità, certamente sotto altre vesti. Gli altri angeli però devono ora rendersi di nuovo invisibili. Così sia!».

7. Nello stesso istante tutti gli angeli scomparvero, eccettuato quell’uno che si chiamava Raffaele e che apparve vestito così come si usava allora a Genezaret.

8. E quando Giara ebbe visto Raffaele sotto i nuovi panni, esclamò: «Oh, così sì che mi piaci più di prima nella tua gloria celeste, perché ora hai perfettamente l’aspetto di un uomo ed io ti vorrò tanto bene, soltanto resta da vedere chi nel frattempo assumerà la tua grande mansione nel governo dei mondi».

9. Risponde allora l’angelo: «Non darti alcun pensiero per questo, o soavissima figliola di Dio, poiché io posso essere sempre qua, là e dappertutto, senza che tu abbia a notare affatto la mia assenza, tranne ogni tanto e solo per alcuni istanti. Del resto tutto rimane com’era prima e perciò sarò sempre io stesso che mi affretterò il più possibile a ritornare a te, perché oramai tu mi sei già più cara di tutti i miei innumerevoli soli, dei quali, data la buona occasione, ci riserviamo di visitarne assieme più di uno ancora. Ma ora il Signore vuole svegliare dal sonno i fratelli, perciò adesso dobbiamo fare silenzio!»

10. Dice Giara: «Sì, sì, hai ragione; eccomi zitta, zitta».

 

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Cap. 143

I discepoli vengono destati dal sonno.

 

1. Dico Io a Raffaele: «Va’ e sveglia per primo il Mio Simon Giuda (Pietro)!».

2. Raffaele desta Pietro e questi si guarda intorno più volte pieno di meraviglia, e dopo un po’ dice: «Ma, ho dormito davvero? Ho l’impressione di essere rimasto sveglio tutta la notte! Eppure devo constatare di aver dormito assai bene; però ho fatto dei sogni tanto meravigliosi quali non ricordo assolutamente di averne mai fatti! In verità, o Signore! Questi sogni non possono essere stati fantasie vane!»

3. Dico Io: «Guardati un po’ intorno! Forse ti cadrà sott’occhio qualche modifica che si è operata nella montagna, della quale sicuramente avrai visto qualcosa in sogno!»

4. Pietro guarda subito da tutte le parti ed esclama: «Oh, Signore! È vero, è vero! Questa cosa l’ho vista in sogno, ed ecco, come mi guardo intorno, trovo che il mio vivido sogno è diventato perfetta realtà!»

5. Pietro avrebbe voluto parlare ancora, ma Io gli dissi: «Prima che tu riprenda a parlare, sveglia gli altri discepoli!». E Pietro fece così come gli avevo detto.

6. I discepoli si levano tutti ed essi pure si meravigliano accorgendosi soltanto ora di aver dormito, mentre nella loro anima hanno la sensazione di essere stati completamente desti durante tutta la notte e di aver assistito ad avvenimenti miracolosi e inauditi.

7. Ma Giuda disse: «Io non riesco ancora a credere di aver dormito! Ho parlato con te, Simon Giuda, di questo e di quello e tu non eri mai d’accordo con me e non mi hai detto anche: “Tutti questi miracoli non impediranno che tu ci tradisca tutti per pochi denari d’argento!”? A questa tua uscita mi sono infuriato e ho tentato di farti precipitare giù da queste rupi nel mare, se non che Tommaso mi afferrò e mi respinse gettandomi a terra! Dimmi, fratello Pietro, tu non sai proprio nulla di questo?»

8. Risponde Pietro: «Neanche una sola parola! Io non ricordo affatto di essermi sognato di te!».

9. Dico Io: «Guardatevi un po’ intorno se non trovate che qualche parte di ciò che avete sognato, esiste effettivamente ancora!».

10. I discepoli si portano ai margini della vetta, osservano da tutte le parti e subito un coro di esclamazioni si leva ad attestare lo stupore generale suscitato dal nuovo spettacolo e Andrea dice: «In questo breve periodo, di circa mezzo anno, abbiamo udito e visto tali e tante cose meravigliose che a stento si dovrebbe ammettere di potersi immaginare qualcosa d’altro o qualche fatto che fosse ancora più meraviglioso, eppure viene il momento in cui tutti noi ci sentiamo mancare nuovamente il fiato e ci tocca restare a bocca aperta e muti! Le visioni dei nostri sogni sono realtà!

11. Io ho visto l’angelo prescelto da Giara, il quale dapprima sollevò tutta l’acqua del mare, formandone una goccia enorme trattenuta libera nell’aria e con i miei occhi ho visto ancora il fondo del mare perfettamente asciutto e la bella conchiglia perlifera che Giara vi raccolse quale ricordo e mise in serbo nel suo grembiule ed infine ho assistito alla fulminea trasformazione di questo monte, che, dietro richiesta della soavissima figliola di Dio, venne reso da tutte le parti facilmente praticabile! Ed ecco, tutto ciò esiste veramente!

12. Con quali parole e con quali pure azioni dobbiamo noi ora lodare il nostro Signore e Maestro? Dove si può trovare l’angelo che metta pensieri di fiamma nei nostri cuori degni di essere espressi al Suo cospetto? Oh, come appare nullo il nostro essere nei confronti Suoi, del Dio onnipotente ed eterno!

13. I nostri padri, raccolti ai piedi del Sinai, tremavano mentre Egli, sulla cima ardente del monte, dettava fra tuoni e fulmini a Mosè le sante leggi d’amore! E quando Mosè discese dal monte, per il riflesso della Maestà divina, la sua faccia risplendeva più del Sole a mezzogiorno ed egli dovette ricoprirsi con un triplice velo la faccia, perché il popolo potesse avvicinarglisi. Per lungo tempo ancora, poi, i veggenti consacrati del Signore profetizzarono ricoprendosi per breve tempo solo il capo con il velo di Mosè, dopo un adeguato periodo di preparazione, e ancora oggi non ci stupiamo della loro elevata sapienza. E ora Egli stesso è qui, Colui che si manifestò sul Sinai fra i tuoni! Il monte allora divenne rovente sotto i Suoi passi, mentre noi restiamo qui, dinanzi a Lui, l’Onnipotente, freddi, come una triste notte d’inverno! Oh, affrettiamoci dunque ad andare d a Lui, perché Egli solo è santo, santissimo! A Lui solo spettano ogni onore e gloria e tutto l’amore e l’adorazione!».

14. A questo discorso di Andrea, tutti i discepoli, ad eccezione di Giuda, che definiva Andrea uno stravagante esaltato, si sentirono pervasi da un infiammato zelo d’amore, si precipitarono verso di Me ed intonarono un entusiastico “Osanna” che fu come un saluto mattutino rivolto a Me.

 

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Cap. 144

Un discorso di lode di Giara.

 

1. Il canto e gli inni ebbero come effetto di ridestare anche tutti gli altri dormenti, i quali si associarono subito anch’essi ai discepoli ed Io lasciai che tutti dessero libero corso all’entusiasmo che traboccava loro dal cuore e Giara, gettatasi ai Miei piedi, li abbracciò fortemente e vi pianse sopra tutte le sue lacrime di intensissima gioia e beatitudine! E quando essa ebbe pianto di felicità ai Miei piedi per circa mezz’ora ed i discepoli furono giunti al termine del loro saluto, la fanciulla si levò ed esclamò, con accento molto espressivo: «O Terra, quando, quando mai si rinnoverà per te la gioia di venire calcata da questi piedi? O madre muta del vizio, senti tu bene chi è Colui che si lascia portare da te?

No, no! Tu non lo senti, tu non lo puoi sentire, perché tu sei troppo morta e troppo piccola! Come potresti capire Quello che è troppo grande e santo oltre ogni pensiero per lo spazio infinito e per le innumerevoli miriadi di esseri che ci vivono? Dove debbo cominciare e dove finire, per cantare la Sua gloria in una goccia di rugiada soltanto? Infatti Egli è Dio dalle eternità, il quale ha creato la goccia di rugiada brillante nella sua piccolezza, come ha creato quei mondi sfolgoranti di luce nella loro immensità sconfinata! O Signore, Dio mio, annientami, perché il mio cuore più non sopporta l’ardente fiamma del mio amore per Te!

2. Quando ancora non conoscevo la Tua gloria, io Ti amavo come si può amare un uomo perfettissimo; intuivo sì in Te il purissimo Spirito di Dio e il mio cuore ardeva di indicibile amore per questo Spirito santissimo in Te, ma credevo tuttavia che Tu fossi un figlio dell’Altissimo! Ma ora tutto assume un aspetto differente! Tu stesso sei l’Altissimo! All’infuori di Te non vi è altro! Oh, perdona a me, povero verme della polvere, di aver osato, nella mia innata cecità, di amarTi come Uomo!» 

3. Dico Io: «Oh, bambina Mia! Nel tuo caso non c’è niente da perdonare, anzi, tieniti ben stretta al tuo amore, perché ora Io lo dico a tutti: “Chi non Mi ama come Mi hai amato tu, dilettissima Giara, e come tuttora Mi ami, il suo amore sarà considerato da Me come non esistente!”.

4. Chi non ama Dio come l’uomo più perfetto, costui ancora meno può amare il suo prossimo, che è un uomo quanto mai ancora imperfetto! Ma se sta scritto che Dio ha creato l’uomo a Sua immagine, che cos’altro può essere dunque Dio – considerato che l’uomo è la Sua immagine – se non appunto anch’Egli un Uomo, però certamente perfettissimo? O forse ho Io adesso un altro aspetto che non sia di uomo, soltanto perché tu, figlioletta Mia, hai potuto ammirare due piccolissime gocce della Mia gloria?»

5. Dice Giara: «Oh, no, Tu sei sempre uguale e nel mio cuore non c’è niente di cambiato! Anzi, se volessi seguire l’impulso del mio amore, vorrei piuttosto racchiuderTi tutto nel mio cuore, vorrei poterTi tenere abbracciato con tanta forza da spezzarmi le vene, per non lasciarTi sfuggire mai più e vorrei coprire di innumerevoli baci la Tua faccia e mai più cessare dal baciarla! Insomma, non posso affatto esprimere tutto quello che vorrei fare per il solo amore che sento per Te! Ma ora mi trovo di fronte all’Essere divino santissimo e supremo, e perciò in cuor mio sento che sono troppo indegna di amarTi, così come se Tu fossi solamente un uomo, ma, nonostante ciò, per quanto voglia o possa pensare, il mio cuore non ne prende nota alcuna, e Ti ama ora con un fervore maggiore di prima!»

6. Dico Io: «E così va bene! Lascia pure che la tua anima segua sempre il puro impulso del cuore e che vi susciti dentro una potente fiamma chiarissima, così tutta l’anima sarà ben presto inondata di luce e lo Spirito di Dio sorgerà in essa come un Sole e nella sua luce e nel suo calore vitale il seme di Dio germoglierà e donerà all’anima i frutti della vita per l’eternità!

7. Ma lo Spirito di Dio nell’uomo non può venire destato se non per mezzo dell’amore per Dio e, tramite questo amore, per mezzo dell’amore per il prossimo.

8. Resta costantemente e sempre più stretta al tuo amore, perché questo ha per Me, come anche per te, un valore molto maggiore di tutte le magnificenze e di tutti gli splendori che l’occhio tuo ha contemplato!

9. Ma adesso vogliamo sentire anche gli altri e farci narrare le impressioni che questa notte ha prodotto su di loro».

 

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Cap. 145

La realtà del sogno comune.

 

1. Il comandante comincia con tutte le precauzioni possibili, a levarsi da terra e dice: «Signore e Maestro! Anzitutto siano resi a Te i miei ringraziamenti per il fatto di trovarmi ancora vivo qui a questa altezza! Con che facilità avrei potuto, voltandomi solo tre volte con il corpo, precipitare giù nell’abisso ed allora sarebbe stata una volta per sempre finita per la mia povera vita a questo mondo, ma, invece, vivo ancora e precisamente nello stesso posto dove ieri ho preso sonno, di ciò devo essere grato a Te soltanto ed io anche Ti ringrazio dal profondo del mio cuore. Però nello stesso tempo io Ti prego caldamente di concedere a me ed a tutti gli altri di poter scendere giù a Genezaret, da queste paurose altitudini sani e salvi. Quanto prima sarà tanto meglio, perché fino a tanto che il mio animo sarà tormentato dal pensiero del ritorno, non vedo per me la possibilità di stare sereno!»

2. Gli dico Io: «Mio caro amico, non ti sei sognato proprio niente questa notte?»

3. Dice il comandante: «Sì, sì, hai ragione! Quasi, quasi dalla paura dimenticavo il mio bellissimo sogno! Ehm, sì, se questo monte fosse così come l’ho visto ieri in sogno, sarebbe certamente una gioia salirci mille volte ancora, ma un sogno resta sempre un sogno!»

4. Dice Ebal, che gli sta accanto: «Oh, niente affatto, amico mio! Io ti dico questa volta che noi tutti abbiamo sognato nella stessa maniera e che questo sogno ha forma e consistenza reali! Alzati e vai sull’orlo della vetta e ti persuaderai che il nostro monte, perfino dalla parte del mare, è provveduto di un dolce declivio ed è oramai accessibile senza alcun pericolo da ogni parte, tanto in salita che in discesa! Io ho già constatato tutto di persona, ne sono convinto e quello che ti dico è la pura verità! Vieni e vedi tu stesso!»

5. Dice il comandante: «Che non sia forse un’illusione dei tuoi occhi?»

6. Risponde Ebal: «Se io, le mie mogli ed i miei figli abbiamo già posato i nostri piedi su questa illusione della vista in tutti i suoi punti, è ben vero che l’illusione stessa deve avere il suo buon fondamento! Alzati, vieni e persuaditi tu stesso di ogni cosa!»

7. A queste parole il comandante finalmente si alza, si guarda intorno da tutte le parti e trova in primo luogo che la vetta del monte si è molto ampliata e dice poi: «Sì, è vero! Devo constatare sul serio che durante la notte sono avvenuti, in maniera miracolosissima, dei grandi cambiamenti, però va’ tu per primo sul nuovo terreno, affinché possa veramente convincermi che è veramente solido!»

8. Esclama Ebal: «Oh, amico mio, per quanto riguarda il resto, tu sei una persona quanto mai rispettabile, ma questa tua eterna mania del dubbio mi ripugna! Ma come, la mia parola non ha proprio più nessun valore per te? Quando mai hai inteso da me qualcosa che non fosse vera così da giustificare il tuo non voler credermi sulla parola? Vieni dunque, esamina tu stesso e poi liberati da tutti questi dubbi per sempre!»

9. Dice il comandante: «Amico mio, è vero, hai ragione tu! Ora voglio convincermene da me stesso»

10. Allora il comandante si decide a muoversi, si avvicina con passo prudente all’orlo del versante che dà su Genezaret e, quando si accorge del leggero pendio del monte, resta sbalordito e dice: «Oh, oh, sì, è vero! Tutta la montagna è stata trasformata! Quando ieri guardavo da quassù verso Genezaret, la città mi pareva così vicina da poterla raggiungere con un lancio di pietra, mentre ora è distante buoni cento tratti di campo e ne avremo per circa sei ore, prima di raggiungere la nostra cara cittadella!

11. No, davvero! Colui che può ancora dubitare che questo nostro Gesù sia Dio e Uomo nello stesso tempo, non può più essere aiutato da nessun Dio al mondo! Sì, fratello mio Ebal, tu hai avuto ragione a dire prima che il mio continuo dubitare era ripugnante, perché in effetti lo era, ma ora ogni dubbio è svanito in me ed io credo e sono pronto a professare dinanzi a tutti voi, sotto giuramento, che il nostro Maestro e Salvatore Gesù è assolutamente un Dio e che fuori di Lui non può esservene un altro in eterno, perché, se quello che io ho sognato è vero, sarà vero anche tutto il resto! Ed Egli è qui, l’Unico Dio e Signore in tutta l’infinità!

12. Ma ora andiamocene da Giara; bisogna che essa mi mostri i suoi due ricordi, perché, dopo che uno spirito celeste ebbe sollevato fino all’ultima goccia tutta l’acqua, io la vidi raccogliere sul fondo del mare una magnifica conchiglia perlifera che poi mise nella tasca del suo grembiule ed ho inoltre visto anche la pietra lucente che essa ha portato con sé da un mondo solare sul quale lo spirito celeste l’aveva trasportata. Se i due oggetti in questione effettivamente esistono per i nostri sensi, come esiste questa montagna trasformata, allora di prove ne abbiamo più di quante ce ne occorrono!».

 

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Cap. 146

Giara mostra i suoi ricordi.

 

1. Dopo ciò il comandante ed Ebal vanno da Giara e la pregano di mostrare loro i due oggetti che essa tiene per ricordo!

2. E la buona Giara mette subito la mano nell’ampia tasca del suo grembiule, va loro incontro e dice: «Ecco, mio caro Giulio, guarda qui, visibili e palpabili, entrambi i ricordi della scorsa notte! Credi adesso e ti libererai una buona volta della tua eterna paura?»

3. Dice il comandante: «Oh, mia carissima e dolcissima Giara! La mia fede è ormai più salda di questa montagna ed anche il mio fastidioso timore, con l’aiuto del Signore onnipotente, se ne è andato per sempre; puoi esserne più che certa! Ma, come vedo, i tuoi due ricordi sono anche dal punto di vista terreno di un valore inestimabile; la conchiglia con il suo contenuto vale di per sé sola tutta Gerusalemme, perché essa racchiude ventiquattro perle della grandezza di un piccolo uovo di gallina, delle quali ciascuna deve valere centomila libbre d’oro. Per quanto poi riguarda il valore da attribuire alla bellissima pietra di estrema durezza, trasparente e splendente più della stella mattutina, non c’è veramente sulla Terra nessuna misura. Insomma, ora tu sei non solo spiritualmente, ma anche materialmente la fanciulla più ricca di questo mondo! Davvero! Tu sei ora più ricca di tutti i re e di tutti gli imperatori della Terra presi assieme! Che impressione ti fa questo pensiero?»

4. Risponde Giara con tutta modestia: «A me fa la stessa impressione come se non avessi niente e questi due oggetti non hanno per me altro valore se non quello per il quale io li ho presi, cioè un ricordo delle opere indicibilmente meravigliose di Dio a beneficio di noi, poveri e deboli abitanti della città e dintorni di Genezaret, che siamo macchiati dal peccato.

5. Il Signore non resterà sempre corporalmente fra noi, come Egli mi ha già detto ben chiaramente ieri, ma questi muti testimoni susciteranno sempre nei nostri cuori il ricordo vivente di Lui ed infonderanno sempre nuovo ardore alla fiamma del nostro amore per Lui! Questa è la mia opinione.

6. Però il Signore ha voluto lasciarmi ancora un ricordo di questa meravigliosa notte, che veramente è stata per me il giorno più radioso della mia vita! Questo ricordo resterà frattanto pure visibilmente presso di me, più tardi diverrà invisibile, fino a che, dopo un certo tempo, se io me ne sarò mantenuta degna, esso ritornerà in forma visibile presso di me»

7. Chiede allora suo padre Ebal: «Ebbene, dov’è questo ricordo? Non ce lo vuoi far vedere?»

8. Dice Giara, vicino alla quale se ne stava l’angelo Raffaele: «Egli è qui presso di me, se tu non hai niente in contrario!»

9. Ebal osserva attentamente l’angelo dal capo alla pianta dei piedi e poi dice: «Oh, certo, questo è un ricordo ancora più prezioso! Ma io temo che fin troppo presto tu ti sia innamorata perdutamente di questo giovinetto di una bellezza mai vista ancora e quando egli diverrà invisibile per te, come potrai consolartene e cosa sarà di te, sola con la tua tristezza?»

10. Dice Giara: «Oh, non darti alcun pensiero di ciò! Quando qualcuno ama Dio così come io Lo amo, per lui tutte le bellezze dei Cieli sono come non ci fossero affatto! Però anche il giovinetto mi è assai caro, perché è molto saggio e straordinariamente forte e potentemente veloce!»

11. Domanda il comandante: «Da dove è venuto? Io non posso davvero ricordarmi di averlo mai visto a Genezaret, eppure egli è vestito perfettamente secondo la foggia di quella località! I suoi lineamenti purissimi sono di una soavità meravigliosa e da tutto il suo essere emanano una grazia e un fascino che conquista! Guardate i suoi piedi, come sono delicati e squisiti nella forma!

12. I calzoni che gli giungono fino al ginocchio, la camicetta di un bianco abbagliante e la mantellina a pieghe, di stoffa azzurra, gettata negligentemente sulle spalle gli stanno così bene che davvero non si potrebbe immaginare qualcosa di più grazioso. Il cappellino rotondo, poi, posato sul capo, accresce maggiormente l’incanto del suo viso meravigliosamente bello! In verità a questo delizioso giovinetto io non saprei rifiutare niente ed egli potrebbe togliermi impunito anche un regno, purché egli solo mi amasse! 

13. Ah! Quanto più io contemplo questa creatura tanto bella e tanto più attraente essa mi appare. I suoi genitori devono davvero ritenersi felici di avere un simile figlio e tu, mia carissima Giara, puoi a tua volta chiamarti davvero felicissima per un dono di questo tipo! Se fosse possibile a questo mondo trovare ancora un giovane come questo, in verità io darei tutti i miei tesori e tutti i miei beni, pur di averlo vicino!

14. Ma cosa farai tu ora con questo graziosissimo giovinetto? Anche tu, non c’è dubbio, sei una fanciulla cara e leggiadra quanto mai, però il giovane ti supera tuttavia, e di molto, in bellezza. Tu stai adesso per entrare nel tuo tredicesimo anno, ed il giovane ne avrà, mettiamo, sedici. Se egli è destinato a diventare tuo sposo, ebbene, allora non ci trovo più niente da ridire, ma se egli resta con te soltanto come compagno ed amico c’è da temere che il tuo cuoricino facilmente infiammabile venga ben presto a trovarsi in qualche grave imbarazzo! Però, comunque stiano le cose, vorrai pur dirci che cosa sarà egli per te!»

15. Risponde Giara: «Voi parlate secondo il vostro intendimento, perché non conoscete le cose dello spirito. Questo giovinetto sarà fino al mio sedicesimo anno il mio protettore e la mia guida, ed ammaestrerà me, nonché voi pure se vorrete ascoltarlo, nella sapienza dei Cieli di Dio!»

16. Dice il comandante: «Ma dopo il tuo sedicesimo anno, egli diverrà senza dubbio il tuo sposo!»

17. Dice Giara: «Oh, mio caro Giulio! Questa è di nuovo, da parte tua, una domanda per la quale io di certo non posso farti i miei complimenti! Non ho già detto subito, dall’inizio, che questo giovinetto, dopo il mio sedicesimo anno, mi abbandonerà per un certo tempo, secondo quanto il Signore ha stabilito, ciò che, però, non avrà nei miei riguardi un grave significato, perché il mio cuore appartiene interamente al Signore, il Quale mi resta per sempre! Ma se il mio cuore è ormai proprietà di Dio, non può perciò diventare anche proprietà di un altro!»

18. Osserva Ebal: «Eh sì, mia carissima figliola, qui hai certamente ragione tu, ma non devi dimenticare che il tuo tempo non è ancora venuto; allora dovrai sostenere una dura lotta con la tua carne. Beata te se sarai capace di dominarla!»

19. Aggiunge il comandante: «Sì, sì, tuo padre ha ragione! Tu sei adesso ancora una bambina e già il tuo cuoricino arde talvolta così da fare invidia ad una fornace di calce. Esso ora ha ottenuto certamente il massimo di quanto poteva chiedere, per cui non aspira, con la sua brama, a mete inferiori, ma quando questo massimo, a scopo della necessaria prova della tua fermezza, si ritirerà dal tuo cuore, allora questo comincerà a tendere avidamente le sue braccia lunghe verso altri oggetti per potersi saziare, poiché, per quanto dolorosa sia la fame dello stomaco, quella amorosa del cuore è tuttavia mille volte più dolorosa!

20. Supponiamo che ci sia un generale che tiranneggi senza pietà i suoi subordinati; questi si troveranno tutti ridotti alla disperazione e, quando saranno chiamati a combattere per lui, essi preferiranno arrendersi al nemico, per liberarsi con ciò dal loro spietato tiranno. Ma se un saggio generale mostra di aver cura dei suoi subordinati e di amarli come un padre ama i propri figlioli, allora qualunque nemico potrà venire ed essi gli si lanceranno contro come leoni e con assoluta dedizione si batteranno fino all’ultima goccia di sangue per il loro amato signore, e il nemico verrà anche annientato!

21. Oh, mia carissima Giara, l’amore è un elemento di una potenza grandiosa e vi è sempre necessità di una guida molto saggia per evitare che finisca poi con il divorare se stesso!»

22. Dice Giara, dopo qualche istante di meditazione: «Sì, è possibile che tu non abbia del tutto torto, però bisogna pur ammettere, trattandosi del Signore, che Egli non vorrà comportarsi da tiranno verso un cuore che Lo ama sopra ogni cosa!»

23. Dice Giulio: «Non dico questo, però mi ritorna in mente quello che Egli ti ha detto la notte passata. Egli è e resta il Dio, al Quale lo spirito umano può certamente avvicinarsi soltanto quando, tramite le forze di cui è stato dotato, esso è arrivato da se stesso a formarsi, a rafforzarsi ed a consolidarsi. Durante questo periodo di autoformazione ogni attenzione di Dio viene distolta da esso! Ma se è così, durante tutto questo tempo Dio necessariamente diventa un tiranno dagli occhi bendati e dagli orecchi solidamente chiusi! E quando verrà per te un tale periodo, da Lui stesso preconizzato, allora, mia cara Giara, ne parleremo nuovamente!»

24. Dice Giara: «Io ho piena fiducia e credo fermamente che Egli neanche allora mi abbandonerà proprio del tutto!»

25. Osserva il comandante: «Oh, è probabile che Egli non farà questo, tanto più in quanto tu hai già molti vantaggi rispetto a noi, ma, considerato il tuo grande amore per Lui, anche il minimo e più breve abbandono diverrà un grave fardello di passione per te! Ora però andiamocene da Lui, perché mi sembra che Egli intenda intraprendere qualcosa!».

 

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Cap. 147

La comunicazione dei fedeli con il Signore nel cuore.

 

1. Allora i tre se ne vengono a Me e domandano: «Signore! Cosa si farà adesso? A noi pare che Tu abbia qualche nuovo progetto!»

2. Dico Io: «Non vedete i primi bagliori che annunciano il nuovo giorno!? Fate attenzione voi tutti, perché vi sarà dato di contemplare una fulgidissima aurora! Si tratta bensì solamente del Sole naturale che sta per levarsi, ma l’aurora ha tuttavia un profondo significato spirituale che è bene vi venga chiarito, perché qui è un’aurora che viene incontro ad un’altra aurora»

3. Chiede Pietro: «Signore! Come dobbiamo intendere questo?» 

4. Dico Io: «Oh, fino a quando dovrò sopportarvi così! Noi siamo già da parecchio tempo assieme, eppure non ti accorgi ancora che per le vostre anime, per mezzo Mio, va di giorno in giorno sempre più sorgendo un Sole dai Cieli?»

5. Dice Pietro: «Signore, non esserne sdegnato! Tu sai che noi siamo degli uomini semplici, i quali, oltre alle indispensabili nozioni di lettura e un po’ di scrittura, non siamo mai andati oltre! Se Ti avessimo compreso, questa domanda sarebbe stata da rimproverare come una spavalderia. Ma non abbiamo compreso quello che hai detto e perciò te ne abbiamo chiesto la spiegazione!»

6. Dico Io: «Quando non si sa, è buona e giusta cosa che Mi si interpelli nel silenzio del proprio cuore, ma se questo si sa, allora non è un errore la domanda in se stessa, ma lo sconsiderato modo di domandare, e soltanto questo Io ho voluto rimproverare in voi. Guardate là quanto si meravigliano i due esseni ed i pochi farisei del fatto che voi abbiate potuto domandarMi ad alta voce una cosa, mentre voi, che siete i loro maestri, dovete ben sapere che a ciascuno che chiede Io posso mettere silenziosamente nel cuore una esauriente risposta!

7. Certo nel vostro caso la colpa non è da attribuirsi né a inesperienza né a caparbietà, bensì alla vostra antica abitudine; dunque, vedete per l’avvenire di raccogliervi maggiormente, affinché gli uomini possano riconoscere che voi siete veramente i Miei discepoli ed affinché, dinanzi al mondo, non perdiate quella stima che prima di ogni cosa vi è necessaria per la vostra nuova missione.

8. Ed ora andate dai vostri discepoli e spiegate loro l’accaduto, altrimenti essi cominceranno a domandarvi riguardo al cosa ed al perché voi Mi avete interpellato ad alta voce»

9. Dice Pietro: «Signore, allora noi non dobbiamo scambiare con Te una parola ad alta voce?»

10. Ed Io: «Oh sì, però ogni cosa al tempo opportuno e quando Io ve ne faccio cenno. Ma ora andate e fate così come Io vi ho ordinato di fare!»

11. A queste Mie parole i discepoli si avvicinano ai due esseni ed ai farisei e dicono loro: «Non vi meravigli se noi talvolta chiediamo ancora ad alta voce l’una o l’altra cosa al Signore, perché anche noi non siamo tuttora che uomini e ricadiamo, di quando in quando, nelle nostre abitudini antiche!»

12. Ed i due esseni dicono: «Noi ce lo siamo già immaginati, perché, secondo le nostre dottrine, abbiamo interrogato nei nostri cuori il Signore riguardo allo stesso argomento e nello stesso istante percepimmo una risposta chiarissima pure nel nostro cuore. E perciò ci è sembrato appunto strano che voi abbiate fatto la vostra domanda ad alta voce. Ma ci è venuta subito l’idea che una cosa simile, trattandosi di voi, possa accadere la maggior parte delle volte unicamente in seguito ad un’antica consuetudine e così non  abbiamo fatto tanto  caso alla cosa, soprattutto  perché questa notte abbiamo fatto dei sogni talmente straordinari che non possiamo ricordarci di averne avuti mai di simili e quello che è più strano ancora è che ciascuno di noi ha fatto sogni assolutamente identici e tutto ciò che abbiamo visto in questi meravigliosi sogni, lo troviamo in pieno giorno convertito in realtà! No, davvero, un fatto simile non si è verificato mai ancora!

13. Ed ora noi crediamo fermamente che questo Nazareno è molto di più un uomo semplice e perfettissimo. Per quanto riguarda il corpo, Egli è bensì un uomo come noi, ma nelle Sue viscere e nel Suo cuore dimora tutta la pienezza della forza e potenza divine, alle quali obbedisce tutto l’Universo! Adesso, però, secondo la Sua Parola, facciamo attenzione al sorgere del Sole, perché certo assisteremo ad altre meraviglie!»

14. Dice Pietro: «Se proprio si vedranno delle particolari meraviglie, è difficile da dire; ad ogni modo, come ci annunciano già ora le nuvolette dai margini rosei all’orizzonte, assisteremo da questa altezza al più bello fra gli spettacoli della Creazione di Dio e potremo trarne l’insegnamento di come una simile aurora sia venuta ad allietare ora e per l’eternità le nostre anime!»

15. Dice uno degli esseni: «Sì, certo, un’aurora, ma non per noi soltanto, bensì per tutta la Terra, anzi, per tutta l’immensità, perché ci sembra che il rivelarsi del supremo Spirito di Dio sotto forma umana debba valere non soltanto per questa Terra e per le sue creature, ma anche per tutto l’Universo!

16. Che lo Spirito di Dio abbia scelto particolarmente questa Terra come teatro dei propri prodigi, è certo una cosa inesplicabile per il nostro intendimento, in quanto, come ormai sappiamo, Egli ha innumerevoli miliardi di immensi mondi sfolgoranti, sui quali avrebbe potuto compiere la propria incarnazione sotto forma umana. Però Egli sicuramente saprà meglio di qualsiasi altro il perché abbia scelto precisamente questa Terra!

17. Prima di oggi, quando ancora supponevamo che questa Terra fosse l’unico mondo in tutto l’Universo, la cosa sarebbe stata sufficientemente comprensibile, perché in questo caso, dato l’andamento e lo stato naturale delle cose, non sarebbe rimasta altra possibilità. Secondo il vecchio concetto questa Terra era l’unico grande e sconfinato mondo, le cui acque si congiungevano con quelle del cielo e credevano che il Sole, la Luna e le stelle non avessero altra funzione tranne quella di illuminare il mondo con la loro luce! Ma ora tutto di un tratto la cosa si presenta sotto un altro aspetto, dato che noi ora sappiamo cosa sono le stelle, la Luna e il Sole e sappiamo anche quant’è piccola la nostra Terra se paragonata al Sole.

18. Tutt’al più dunque sarebbe ormai legittima la domanda: “Come ha potuto questo granellino di sabbia, chiamato Terra, venir reputato degno di tanta grazia?”. In verità questa domanda assumerà un giorno un’importanza grandissima e per molti diverrà motivo di grande scandalo! Di conseguenza, secondo il nostro parere, non sarebbe del tutto superfluo avere, anche riguardo a questo punto, un chiarimento sufficiente! Cosa pensate voi? È opportuno domandarlo a Lui?» 

19. Dice Pietro: «Provate a chiederlo nel vostro cuore! Se viene una risposta, sarà certo la benvenuta, ma se la risposta non viene, sarà questo un segno che noi non siamo abbastanza maturi ancora per una simile rivelazione. Ma intanto osservate; il Sole è molto vicino a sorgere, perché le nuvolette del mattino sono già tanto splendenti che si può a mala pena fissarle con l’occhio!»

20. Dice l’esseno: «Sì, davvero! Oh, questo è uno spettacolo indescrivibilmente bello! Ma non vedete voi là, al di sopra delle nuvole? C’è qualcosa che si muove? Parrebbe quasi come se sopra le nuvole ci fossero delle stelle di singolare splendore, guizzanti di qua e di là! Che cosa potrà mai essere?»

21. Dice Pietro: «Cosa sia veramente, lo saprà soltanto il Signore. Noi pescatori, però, chiamiamo questo fenomeno, che non è proprio tanto raro, i “pesciolini dell’alba”. Quando questi si mostrano, allora la pesca è favorevole, però verso sera si scatena certamente una burrasca, oppure un forte vento. Quantunque debba ammettere sul serio di non aver io stesso mai visto simili pesciolini così splendenti e vivaci, tuttavia questo fenomeno non mi è nuovo, soltanto che forse a questa altezza esso si vede meglio che non giù in pianura!»

22. Dice l’esseno: «Sapete cosa possiamo fare? Avviciniamoci al Signore! Vedo che Egli sta parlando con Ebal ed i suoi figli. Certo vi saranno delle altre rivelazioni che noi non dobbiamo mancare di ascoltare!».

 

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Cap. 148

Osservazioni naturali e la loro rispondenza spirituale

 

1. A tale proposta dell’esseno tutti si fanno più vicini a Me ed Io chiamo i due esseni e dico loro di prestare molta attenzione a tutto quello che si manifesterà durante il sorgere del Sole, perché ci saranno da trarre molti insegnamenti!

2. I due esseni si avvicinano a Me e dicono: «Signore e Maestro! Sarà certo una verità eterna che da tutto ciò si potrebbero imparare infinite cose! Ma sarà la nostra anima capace di intendere una così alta dottrina? Gli avidi occhi nostri tentano di penetrare le profondità raggianti delle Tue creazioni meravigliose e il nostro animo ne rimane stupefatto! Ma noi siamo troppo ciechi per contemplare già degnamente e per comprendere i miracoli di una goccia di rugiada, per non parlare di quelli dei mondi luminosi che, immensi per grandezza e ad incommensurabili distanze, sorgono e tramontano dinanzi a noi sul firmamento! Noi abbiamo già parlato con il discepolo Pietro, anche riguardo a quei punti luminosi guizzanti al di sopra delle nuvolette, ma egli non ha saputo darcene una spiegazione sufficiente. Qualora piacesse a Te, o Signore, noi saremmo lietissimi di avere un qualche Tuo cenno in proposito!».

3. Dico Io: «La cosa ha un significato ben piccolo ed è un fenomeno del tutto naturale, come quello del mare quando è mosso. Se il mare è increspato e tu ti trovi in qualche punto appropriato, dove colpiscono i raggi riflessi del Sole, assisterai anche là ad un simile gioco di luci. 

4. L’aria, che è necessaria per la respirazione degli uomini e degli animali, non arriva affatto fino alle stelle, ma, allo stato massimo, giunge dalla superficie terrestre solamente alla quadruplice altezza di questa montagna misurata dalla superficie del mare; a questa altezza l’aria terrestre ha poi un netto e preciso confine, così come esso esiste fra l’acqua e l’aria ed ha come l’acqua una superficie quanto mai risplendente e liscia, la quale, similmente a quella del mare, si trova in uno stato di continuo ondeggiamento.

5. Ora, quando la luce del Sole viene a cadere su queste onde atmosferiche, essa viene riflessa come sulla superficie dell’acqua, se questo ondeggiare di un mare d’aria è molto forte, la luce che vi cade viene di quando in quando riflessa anche sulla superficie terrestre e questo succede più facilmente quando il Sole si trova apparentemente ancora sotto l’orizzonte, quando cioè i suoi raggi colpiscono la superficie del mare d’aria, per così dire, dal basso all’alto. E così queste luci, guizzanti allegramente qua e là, non sono altro che prodotti della luce solare riflessa, mentre la loro mobilità deriva dalla mobilità delle onde d’aria stesse.

6. Il fatto però che ora, essendo il Sole a mala pena, in apparenza, una spanna ancora sotto l’orizzonte, le dette luci si mostrano particolarmente sopra le nuvolette molto leggere, si spiega con ciò che le onde dell’aria sono in questo momento colpite piuttosto dai raggi che mandano loro le nuvolette già fortemente illuminate dal Sole, così che in certo qual modo sembrano quasi trastullarsi con le nuvole stesse. Ecco, questa è la spiegazione naturale di un tale fenomeno.

7. Ma oltre a tutto ciò questo fenomeno ha pure un significato spirituale, accessibile al vostro intelletto e questo sarebbe il seguente:

8. Immaginatevi e rappresentatevi dunque mentalmente il Sole spirituale! La luce che da esso irradia, viene accolta dalla superficie sempre ondeggiante del creato mare della vita e questo va scherzando con la luce, in modo che da questo gioco risultano poi delle immagini strane e contorte, le quali rimandano bensì ancora un pallido chiarore, ma nel contempo annientano ogni traccia della forma primordiale divina, così tutto il paganesimo ed ora anche il giudaismo corrispondono ad un simile annientamento di quanto è puramente divino.

9. Quando invece scorgete una superficie d’acqua perfettamente tranquilla, e il Sole vi si specchia dentro, esso rifletterà la sua immagine con quella stessa maestà e verità come voi lo vedete in cielo. Ed appunto una cosa simile avviene nell’uomo, al quale, affinché l’immagine di Dio si rifletta nel suo spirito con quella purezza e verità come fa il Sole su di una superficie d’acqua tranquilla, si richiede un animo in pace e privo di passioni, il che può essere raggiunto soltanto tramite una totale abnegazione, umiltà, pazienza e purissimo amore.

10. Quando questo caso si avvera nell’uomo, allora tutto in lui rientra nel piano della verità e la sua anima è in tale stato capace di approfondire lo sguardo entro le creazioni di Dio e di vedere tutto nella pienezza della verità più pura. Ma non appena l’ondeggiare riprende in lui, le immagini primordiali vengono distrutte e l’anima si trova allora necessariamente già sul piano dell’inganno e delle illusioni d’ogni specie e qualità e non può giungere alla visione pura finché in lei non sia ristabilita l’assoluta pace in Dio.

11. Questo è il vero riposo del sabato in Dio ed è perciò anche che la celebrazione del sabato è stata da Dio comandata. In tale giorno l’uomo deve astenersi da ogni lavoro pesante e faticoso, perché ogni lavoro pesante obbliga l’anima a mettere le proprie forze a disposizione della carne, cosicché tanto essa quanto la carne vengono a trovarsi in uno stato di eccitazione, ma questo poi si traduce nell’anima in un possente ondeggiamento dello specchio della propria acqua vitale e la conseguenza è che essa non può più riconoscere con tutta chiarezza in sé la verità puramente divina.

12. Il vero riposo del sabato consiste dunque in una ragionevole astensione da qualsiasi lavoro pesante, al quale senza necessità non si debba porre mano; però, in caso di bisogno, ogni uomo è tenuto a soccorrere il proprio fratello!

13. Ma più che astenersi da ogni forma di lavoro pesante, ciascuna anima deve allontanare ogni passione da sé, poiché le passioni sono tempeste dell’anima; esse ne sconvolgono l’acqua vitale ed allora l’immagine di Dio nell’anima viene così deturpata come accade all’immagine del Sole sulle onde del mare in tempesta. L’immagine del Sole si riflette dalle onde, ma com’è deformata! E se la tempesta dura a lungo, dal mare in tumulto cominciano a salire ben presto pesanti vapori che riempiono di fosche nubi l’aria celestiale dell’anima. Queste sbarrano poi il passo ai raggi del Sole spirituale, che non possono più specchiarsi sul piano delle acque vitali dell’anima e l’anima stessa diviene tenebrosa, non può più distinguere il vero dal falso e considera luce celeste l’opera ingannatrice dell’inferno.

14. In tale stato l’anima può dirsi perduta, a meno che non vengano dei forti venti, cioè delle dure prove dall’Alto, grazie alle quali il denso velo delle nuvole maligne dell’anima sia lacerato e l’anima stessa si abbandoni alla vera pace del sabato, riconducendo così la tranquillità sul mare della propria vita, altrimenti per lei non c’è salvezza!

15. Ecco, questo è il significato spirituale che vale per tutti e che risponde a quest’alba radiosa nella sua apparizione perfettamente naturale! Chi in sé considererà praticamente questo significato, costui rimarrà nella verità e nella piena luce e la vita eterna sarà il suo retaggio, ma colui, invece, che non osserverà questa dottrina e non la considererà, costui sarà nella morte in eterno!».

 

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Cap. 149

Osservazione dell’alba e dei fenomeni mattutini.

 

1. Ed ora fate bene attenzione! Il Sole comincia appunto a mostrare il suo disco, o meglio, la parte più occidentale della sua superficie sferica sull’orizzonte; che cosa osservate ora?

2. Dicono gli esseni: «Veramente niente altro all’infuori della sua superficie luminosa, che va salendo abbastanza rapidamente dalle chiare profondità; il gioco dei pesciolini lucenti è svanito improvvisamente, le nuvolette divengono sempre più tenui e vanno perdendosi l’una dopo l’altra. Ecco che ormai già tutto il disco emerge sull’orizzonte e dalla parte di mezzogiorno spira verso di noi una brezza alquanto fresca. Ma questo è anche tutto quello che possiamo scoprire»

3. Dico Io: «Volgete lo sguardo alle pianure ed alle valli della Terra e dite cosa vi vedete»

4. I due esseni guardano allora le valli della Terra e poi dicono: «Noi vediamo le valli invase da nebbie grigiastre, anche la superficie del mare è tutta ricoperta da una massa grigia di vapori, ma dalle valli la nebbia va innalzandosi e già copre, qui e là, le colline più basse. Che abbiano anche questi fenomeni un qualche significato spirituale?»

5. Dico Io: «Senza alcun dubbio! Sulla Terra non c’è niente che accada invano e senza un impulso spirituale. Noi però ora vedremo qual è il significato da attribuire a tali fenomeni!

6. Il Sole corrisponde interamente all’Essere divino; la Terra, con le sue valli, pianure, colline, monti, fiumi, laghi e mari, corrisponde del tutto all’uomo esteriore.

7. La nebbia che si frappone tra il Sole e la Terra significa le molteplici cure vane e meschine degli uomini, attraverso le quali la luce del Sole può soltanto qua e là scarsamente penetrare e la nebbia sale e ricopre perfino le montagne, ora le colline ed i monti corrispondono ad una visione migliore negli uomini di questa Terra. Questa visione migliore viene essa pure turbata dalle meschine e inutili cure degli uomini semiciechi.

8. Ma perciò si muovono anche ora i venti mattutini e scacciano la nebbia dai monti e dai campi e la disperdono così che il Sole può liberamente riversare i suoi raggi per illuminare e riscaldare i monti e i campi e per far giungere a maturazione i frutti della vita. E così Io penso che voi comprenderete bene anche questa rispondenza!»

9. Dicono i due esseni: «Sì, o Signore, essa è chiara come il Sole che là risplende. Oh, quanta magnificenza racchiude questa sublime e santissima Dottrina! Oh quante sono le cose che gli uomini non conoscono e che pur dovrebbero conoscere, così come a mala pena sanno vivere! Signore, questo insegnamento che ci hai dato riguardo al vero riposo del sabato in Te, sarà nostra cura diffonderlo tra gli uomini. Esso supera tutto quello che Tu finora hai detto ed insegnato, perché in tutti gli insegnamenti che precedettero noi non scorgiamo che una preparazione alla più facile osservanza di questa santissima Dottrina! In verità tutti i Cieli dovrebbero aprirsi, quando viene annunciata agli uomini tale Dottrina santissima fra tutte! Ma ora si affaccia tutta un’altra domanda e questa riguarda noi.

10. Come possiamo noi degnamente ringraziarTi, o Signore, per questa pura luce del Cielo che ci hai elargito? Noi sentiamo, dal più profondo del cuore che veramente non l’abbiamo affatto meritata; solo la Tua grazia e il Tuo amore hanno potuto farcene dono! O Signore! Dacci Tu un comandamento su come noi possiamo degnamente lodarTi e glorificarTi?»

11. Ed Io, posando le Mie mani sulle loro spalle, dico: «Miei cari amici! Fate così come vi siete proposti di fare e con ciò Mi preparate una gioia non minore di quella che Io adesso ho procurato a voi. Ed il vostro premio non sarà già piccolo, se smuoverete anche gli altri uomini a mettere in pratica il Mio insegnamento».

 

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Cap. 150

Gli esseni vengono incaricati dal Signore di costruire delle scuole.

 

1. (Il Signore:) «Erigete in conformità a questi principi una scuola ed insegnate ai discepoli l’osservanza del sabato, e voi stessi celebrate in questa maniera il sabato, ogni giorno, per un paio d’ore: ben presto vi accorgerete della grande benedizione che andrà maturando in voi!

2. Ma quando fondate una scuola ed a tale scopo costruite un edificio, siano le sue mura libere da qualsiasi chiusura e non abbiano né serrature né chiavistelli; siate dei veri frammassoni delle vostre scuole e così la vostra nuova opera sarà la scuola dei profeti. Però la vostra cura principale sia quella di conservare con tutta fedeltà la Dottrina che avete già appreso da Me e che ancora apprenderete e di non mescolarvi, come fanno i farisei e gli anziani, le vostre massime! È bene che i vostri attuali statuti vengano estirpati alla radice ed al loro posto deve, in tutto e per tutto, subentrare la Mia Parola, tradotta però nella libera azione; altrimenti il Mio Spirito non potrebbe operare secondo la promessa che fu data agli uomini per bocca dei profeti!»

3. Gli esseni ringraziano allora dell’insegnamento ricevuto e Mi promettono in tutta serietà che l’avrebbero osservato alla lettera; soltanto Mi pregano di non mancare di accordare loro, nell’assolvimento del compito che si sono assunti, un’adeguata protezione e di infondere loro le forze necessarie per poter attuare la loro opera salvifica con vantaggio, per tutti i tempi, non solo per sé, ma anche per molti altri uomini che avranno il desiderio di conoscerle.

4. Dico Io: «Tutto ciò da parte Mia non mancherà mai, voi sì, però, dovete badare che in seguito non sorgano fra di voi discordie per ragioni di rango! 

Il più esperto fra di voi sa certo bene di essere chiamato a fungere da dirigente e da guida nella vostra causa, ma per questo non si immagini egli già di essere più di un altro, anche del minimo che è fra voi; con questo però non è detto che gli inferiori e più deboli debbano rifiutarsi di tributargli il dovuto rispetto. Sia egli amato e stimato, e il suo consiglio venga eseguito così come fosse legge. Guai a colui che dovesse insorgere contro di lui! In verità costui sarà guardato da Me con occhio d’ira!

5. E quando dovete scegliere un preside e un dirigente della vostra causa pregate allora ed esaminate bene, affinché l’ufficio non venga conferito ad un indegno, perché una guida cattiva o malaccorta è in una società quello che è un cattivo pastore per il suo gregge. Quando vede venire il lupo, la prima cosa per lui è scappare, abbandonando le pecore al lupo, oppure, infine, diventa egli stesso un lupo e quindi uno sterminatore, in senso spirituale, dei propri agnelli, così come attualmente lo sono i farisei ed i loro alti sacerdoti. Essi vanno ammantati in pelli di pecora, ma al loro interno sono lupi rapaci! A malapena essi nutrono un moscerino, ma per quello che hanno donato al moscerino, essi richiedono per sé addirittura tutto un cammello!

6. Dunque guardate di non diventare simili a questi. Essi dimorano in stanze fatte di solida pietra e le tengono continuamente ben custodite e chiuse e nessuno può né deve entrarvi, affinché nessuno riesca a scoprirvi i loro inganni e se anche qualche coraggioso si azzardasse a penetrare in una simile camera del Tempio, egli verrebbe dichiarato profanatore del luogo santo e come tale subito dopo lapidato!

7. E perciò Io vi dico che voi dovete tenere le vostre scuole libere ed aperte, affinché ciascuno possa entrare ed uscire quando vuole! Ogni traccia di mistero sia ben lontano dalla vostra scuola! Chi vuole, venga iniziato, nella misura in cui è capace di comprendere, perché con la Mia Dottrina Io non vi vendo niente a scatola chiusa; Io vi dico tutto apertamente, alla luce del Sole, e non faccio mistero di niente, a meno che non lo esiga l’avvedutezza per il bene di ciascuno. Siate dunque voi pure aperti verso chiunque dimostri di avere una buona volontà. Tuttavia siate anche voi avveduti, poiché la franchezza non richiede che si arrivi fino al punto di gettare le perle nobili e preziose in pasto ai porci!

8. Io stesso dovrei dire a voi tutti moltissime cose ancora, soltanto che non potreste ancora comprenderle né sopportarle. Quando però lo Spirito della piena verità si desterà in voi, egli stesso vi farà da guida in ogni campo della sapienza. Ora questo Spirito è l’immagine divina nei vostri cuori e voi stessi lo desterete mediante la vera celebrazione del sabato! DiteMi adesso se avete compreso tutto quello che vi ho esposto!»

9. Dicono gli esseni, con il cuore contrito: «Sì, o Signore! E chi non dovrebbe comprendere le Tue sante parole? Queste non sono comuni parole d’uomo. Le Tue parole sono vera essenza e pura sostanza, sono assolutamente luce, calore e vita! Quando Tu, o Signore, parli, sentiamo in noi un reale divenire, cosicché ci appare come se a ciascuna parola della Tua bocca sorga una qualche nuova creazione smisurata e percepiamo in noi un divenire nuovo ed infinito!

10. Tuttavia comprendiamo il senso per noi necessario delle Tue santissime parole, quantunque non si potrà in eterno mai arrivare alla comprensione della loro efficacia finale, perché percepiamo e sentiamo in maniera vivente in noi che le parole da Te pronunciate non hanno valore soltanto per noi, ma per tutta l’infinità eterna! E tu, o Terra, esulta dunque, perché fra tutti gli innumerevoli mondi sei stata scelta dal Signore dell’eternità per sostenere con il tuo suolo i Suoi piedi ed a far risuonare nella tua aria la Sua voce santissima!

Oh, Signore! Quanti esseri sorgono ad ogni Tua parola e ad ogni alito dalla Tua bocca? Oh, concedici di lodarTi, amarTi, glorificarTi e adorarTi, perché tutto ciò spetta solo a Te!».

 

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Cap. 151

La colazione benedetta sul monte.

 

1. Dico Io: «Sta bene, Miei cari amici e fratelli! Ed ora, dopo questa colazione dell’anima, vedremo di procurarcene una anche per il corpo! Ebal, hai in serbo ancora qualche provvista?»

2. Risponde Ebal: «Signore! Qualche cosa c’è ancora, ma non molto. Ieri sera è stato consumato già quasi tutto, tuttavia è rimasto un po’ di pane e un po’ di vino!»

3. Dico Io: «Porta qui tutto quello che hai, affinché Io lo benedica e noi avremo tutti a sufficienza da mangiare e da bere!». Ebal Mi fece subito portare dinanzi una mezza pagnotta di pane e circa tre tazze piene di vino che era rimasto in un otre ed Io benedii il tutto e dissi: «Distribuisci ora il tutto e se avanzerà qualcosa, lo terremo pure per il pasto di mezzogiorno che faremo qui!».

4. Ebal si dispone a distribuire il pane e, per poterne dare a tutti, spezza da principio soltanto dei piccoli bocconi dalla mezza pagnotta, ma questa non accenna a diminuire di volume. E, poiché egli se ne accorge, nonostante tutti i convenuti sulla montagna avessero già ricevuto una razione, egli ricomincia ad offrire dei pezzi più grandi, ma neanche questa volta la mezza pagnotta diminuisce. Quando poi osserva che gli ospiti sono di buon appetito, riprende la distribuzione con pezzi ancora più grandi e, finito il suo giro, avendo offerto il pane a trenta persone circa, che erano salite sul monte con noi, si trova in mano ancora una buona porzione della pagnotta e Mi chiede: «Signore! Ecco quello che mi resta! Sarà abbastanza per Te, per Raffaele, per Giara e per me?».

5. Gli dico Io: «Dà questo residuo a Giara; essa lo distribuirà e vedrai che ce ne sarà abbastanza per tutti!». Ebal esegue e Giara dà prima un pezzo a Me, poi al suo Raffaele, quindi ad Ebal e l’ultimo pezzo di pane lo tiene per sé e così, infatti, del pane ne ebbero a sufficienza tutti. 

6. Il comandante, però, che aveva osservato la cosa, disse: «Ebal, amico mio, perché non hai compreso anche me in quest’ultima distribuzione; mi hai forse ritenuto poco degno?»

7. Dico Io: «Amico Mio, non offenderti per questa ragione, perché, vedi, Ebal calcolava che non ne sarebbe rimasto niente e perciò ha cominciato la distribuzione con quanta più parsimonia gli fu possibile, egli non voleva che fossi anche tu fra quelli che infine avrebbero potuto non ricevere niente! Ma siccome per Mia Volontà qualcosa pure rimase, la seconda distribuzione è stata effettuata solo dopo con questa rimanenza. Se però ci tieni tanto alla seconda ripartizione, che non è per niente migliore della prima, dillo, ed Io ti cedo volentieri la Mia parte!»

8. Dice il comandante: «Oh, no, questo no, tutto è in perfetto ordine; ma la mia mente è stata attraversata dal ricordo di un’antica e vuota formalità romana di rango; ma ormai sono anch’io del tutto in regola. Quello però che mi meraviglia di più, è constatare che il celestiale Raffaele mangia il pane con tanto appetito come se fosse il più affamato di noi tutti! Questa è una cosa strana davvero! Egli è certo più uno spirito che un uomo di carne, eppure mangia così come se veramente fosse nato su questa Terra alla maniera degli altri uomini! Questo mi piace immensamente! Ma io ora sento che il pane solo, per quanto sia squisito, eccita la sete e mi piacerebbe perciò avere qualcosa da bere»

9. Dico Io ad Ebal: «Distribuisci ora il vino e comincia dal nostro amico Giulio!»

10. Dice il comandante: «Signore, Ti prego; bevi Tu per primo, perché un certo rango bisogna bene che venga osservato anche a mensa!»

11. Dico Io: «Oh, sì, a questo riguardo sono d’accordo anch’Io, però, dato che qui veramente non c’è mensa e noi non facciamo la parte degli invitati, prendiamo il vino secondo il bisogno naturale, chi ha più sete beva per primo e coloro che ne hanno di meno, seguano poi, ciascuno secondo la propria necessità».

12. Il comandante fu soddisfatto di tale decisione, vuotò la tazza offertagli fino all’ultima goccia e poi disse: «Signore, Io Ti ringrazio! Questo è stato un ristoro davvero celestiale e non ho mai gustato tanto il vino di mattina come mi è accaduto qui oggi; bisogna però dire che si tratta di un vino quale non ce n’è uno uguale sulla Terra»

13. Dico Io: «Siamo tutti lieti che il soggiorno su quest’altura ti sia così gradito!»

14. Dice il comandante: «Signore, mi perdonerai se, ben disposto d’umore come sono, vengo fuori con un’idea forse poco opportuna! Ma a me sembra che perfino Satana dovrebbe trovarsi di buon animo quassù!»

15. Dico Io: «Se tu proprio vuoi vederlo e parlargli, lo si può far chiamare! Ti convincerai poi subito se il permanere quassù gli sarà stato piacevole!»

16. Dice il comandante: «Se davvero la persona di Satana esiste, che appaia pure qui!».

 

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Cap. 152

Satana appare sul monte.

 

1. Non appena il comandante ha finito di parlare, un lampo accecante solca l’aria, accompagnato da un fortissimo tuono e Satana gli appare dinanzi sotto la forma di un gigante, avvolto entro un’aureola di fuoco. Egli pesta violentemente con il piede a terra, in modo che il monte trema tutto intorno e così apostrofa il comandante: «Cosa vuoi tu da me, miserabile violatore di tua madre? Perché mi hai fatto chiamare su questa vetta che per me è mille volte più tormentosa di tutte le fiamme infernali?».

2. Il comandante, colpito in pieno ed irritato per tali parole, ribatte: «Oh, oh, vedi di moderarti, o nemico degli uomini e di Dio stesso, perché non spetta a te giudicare al cospetto di Dio, tuo Signore! Se io nel sonno, nello stordimento completo dei miei sensi, ho peccato, non ho recato danno che a me stesso e non a te. Io credo, però, che Dio sia più di te ed Egli non mi ha porto ancora un saluto di questo genere, mentitore infame! È bensì vero che una volta mi è accaduto di giacere con mia madre quando avevo quattordici anni, ma fui indotto con l’inganno da mia madre stessa, perché quella volta essa si travestì, assumendo le sembianze di una voluttuosa greca, si nascose il viso ancora bellissimo sotto una leggiadra maschera e venne da me di notte, mi svelò tutti i suoi irresistibili vezzi e volle che io la possedessi! Mia madre allora aveva appena ventotto anni e quando io, come primogenito, nacqui da lei, aveva tredici anni e mezzo. Io ero conosciuto a Roma come uno dei giovani più belli ed attraenti; che meraviglia dunque che la mia stessa madre si fosse accesa per me ed avesse fatto ricorso ad un travestimento per raggiungere il suo scopo! Miserabile! Se io, da romano dal sangue bollente come ero allora, sono giaciuto con mia madre, che ritenevo invece una formosa e seducentissima greca, merito forse per questo il nome di violatore di mia madre? Puoi tu, cieco animale dell’inferno, chiamare assassino e omicida colui che, cadendo giù dal tetto, precipita sul prossimo e lo uccide? Parla adesso, vecchia bestia infernale!»

3. Furibondo per le ingiurie dette dal comandante, Satana allora grida: «Io non guardo che all’azione e non alle cause per le quali fu commessa; con me non esistono circostanze attenuanti, e da parte mia tu sei già giudicato e perciò appartieni all’inferno e non potrai sottrarti al mio potere!»

4. Dice il comandante: «Guarda qui, vecchio e cieco bestione! Chi è Colui che sta alla mia destra? Lo conosci? Non ti è noto chi sia Gesù di Nazaret?»

5. E come il comandante ebbe proferito il Mio Nome, Satana si abbatté con tutta violenza a terra e uscì con minacce terribili contro il comandante, proibendogli di pronunciare quel Nome odiatissimo! Sostenne di conoscere bene il Nazareno e di maledirlo, perché intendeva strappare il potere alla Divinità e non mancava molto ancora che Egli sarebbe assurto a Signore del Cielo e dell’Universo! 

6. Dice il comandante: «O cieco animale d’inferno! Quello che Egli dall’eternità era, oggi Lo è ancora e Lo sarà in eterno ed Egli soltanto giudicherà me e te, ma tu in eterno non giudicherai niente, nera e testardissima bestia. Visto che pretendi di essere tanto potente, perché il solo Nome del santo Nazareno ha la virtù di atterrarti così malamente da far credere che tu non sia stato mai ritto? Guarda qui quanto è tutto bello e quanta letizia e pace regnano fra noi! Se tu non fossi uno stoltissimo animale dell’inferno, con quanta facilità potresti anche tu bearti di quello che fa la nostra gioia! Ravvediti e riconosci in cuore tuo, se ne hai ancora uno, che Gesù è il Signore del Cielo e della Terra e sicuramente avrai quello che noi abbiamo!»

7. Con un ghigno feroce, Satana dice: «Quel nome odiato non puoi proprio tenerlo nella tua bocca? Se non sei capace di parlare d’altro, pronuncialo usando almeno una circonlocuzione, perché esso mi tormenta più di diecimila inferni nel massimo del loro furore di fuoco! Inoltre io sono uno spirito e devo restare quello che sono per la vostra salvezza e perciò non posso mai più ritornare dal vostro Dio e Signore! Una volta per sempre io sono dannato in eterno e per me non c’è più grazia e salvezza!»

8. Dice il comandante: «Se una cosa simile me la dicesse qualcun altro e non tu, io la crederei, ma di te non posso credere niente all’infuori di questo: cioè che tu sei e resti il vecchio e sciocco animale dell’inferno. Se tu volessi ravvederti, io so benissimo che tu verresti accettato dal Signore assieme a tutti i tuoi seguaci, ma in te non c’è che una ostinatissima perfidia, a causa della quale tu stesso vai eternamente alimentando la tua volontà di non ravvederti, perché a te procura una gioia infernale poter sfidare caparbiamente Dio, il Signore, grazie al tuo libero volere, ma io ti dico che il Signore non ha ancora chiuso – né per lungo tempo ancora chiuderà – del tutto il Suo cuore dinanzi a te e che Egli non ti ha affatto ancora giudicato! Ravvediti, dunque, e ritorna a Lui ed Egli ti accoglierà e ti perdonerà tutti i tuoi peccati e misfatti che si contano a miliardi!

9. Io sono un pagano e nella mia gioventù ho adorato la natura e le sculture fatte dalle mani degli uomini, sorte dalla loro fantasia, ma io, debole e cieco uomo di carne, mi sono tuttavia accorto ben presto che io mi trovavo su una falsa via, percorrendo la quale non c’era nessuna meta da raggiungere.

10. Tu invece dai primordi, quale uno spirito puro, sei stato creato da Colui che ha ora preso dimora nel Cuore di questo santo Nazareno ed al quale sono del tutto visibilmente soggetti Cielo e Terra. Per te è facile il puro riconoscimento della verità eterna, mentre io dovetti brancolare per lungo tempo fra tenebre e nebbia. Dunque, basta che tu lo voglia e ti troverai nuovamente nell’antica luce primordiale. Perciò rivolgiti al Signore, che in maniera prodigiosa dimora corporalmente qui fra di noi ed io ti garantisco con la mia vita e con tutto ciò che ho di sacro che tu sarai accettato»

11. Dice Satana: «Non posso farlo!»

12. Osserva il comandante: «E perché no?» 

13. E Satana urla: «Perché non lo voglio!»

14. Il comandante alza egli pure la voce e dice in tono molto concitato: «Allora togliti da qui, in Nome di Gesù, perché l’orrore e lo schifo che ispiri non hanno più limite! Tu sei per tua propria ed assoluta volontà un incorreggibile animale dell’inferno ed in me è scomparsa ogni traccia di pietà per le tue pene e per il tuo eterno tormento. Il Signore ti giudichi, vecchio asino infernale!»

15. A queste parole del comandante, Satana, come colpito dal fulmine, precipitò a terra, emettendo urla e ruggiti formidabili come un leone affamato. Io però feci cenno all’angelo Raffaele che si disponesse a farlo sgomberare!

16. Allora l’angelo avanzò velocemente fra il comandante e Satana e disse: «Satana! Io, uno fra i minimi servitori del Signore Gesù Jehova Zebaot, ti ordino, in forma assoluta e perentoria, di allontanarti immediatamente da questo luogo e da questa regione poiché con il tuo alito venefico hai reso micidiali per lungo tempo gli animali e gli uomini!»

17. Dice Satana, infiammato di represso furore: «Dove devo andare?»

18. Risponde l’angelo: «Là dove i tuoi servitori ti attendono e ti maledicono! Va’ e sparisci! Amen!».

19. A questa intimazione dell’angelo, Satana si levò, simile ad un globo fiammeggiante da tutte le parti, e fuggì, tra un assordante rimbombo di scoppi, verso Settentrione con la velocità del baleno.

20. Ma l’angelo strappò dal terreno il macigno sul quale Satana si era posato ed era giaciuto (era un blocco di pietra del peso di una cinquantina di quintali) e lo lanciò lontano, verso il mare, oltre tutta la montagna, con tanta violenza che esso, per la resistenza opposta dall’aria, si disciolse in polvere minutissima già quand’era ancora in aria.

21. Tutti si meravigliarono per tale straordinaria potenza rivelatasi nell’angelo, e il comandante esclamò: «Capperi! Questo sì che sarebbe un fromboliere! Egli solo basterebbe ad avere più effetto di dieci legioni romane! Del resto, o Signore, io Ti ringrazio anche per questa rivelazione, perché ora ho avuto l’occasione di fare, per così dire, la conoscenza personale anche dell’eterno nemico di ogni amore e di ogni luce e di ogni cosa vera e buona, e mi sono assai presto convinto di ciò che veramente se ne può pensare. Per quello lì non c’è eternità né fuoco che possa indurlo al ravvedimento!

22. A Dio sono certamente possibili tutte le cose, però in questo caso io credo che pure l’Onnipotenza divina difficilmente riuscirà a condurre questo spirito sulla via del pentimento e della penitenza, perché, se gli viene lasciata la libera volontà, egli non cambia più in eterno, ma se gliela si toglie, allora ha cessato di essere lui e Satana non c’è più in tutto l’Universo. In quanto poi a tentare di indurlo a migliorare, ricorrendo alle maggiori possibili pene e tormenti, questo vorrebbe dire voler versare acqua con un vaso bucato! La cosa più saggia, secondo me, sarebbe di tenerlo rinchiuso in qualche prigione, per tutti i tempi dei tempi, e ciò senza tormento, così almeno non potrebbe esercitare alcun influsso sugli uomini viventi!». 

23. Dico Io: «Amico, queste sono cose che ora non potresti comprendere in nessun modo, ma verrà il giorno in cui ti saranno chiare pur esse! Il tempo terrestre non ha per questo sicuramente nessuna misura, ma certo ce l’ha però tutto un Sole-centrale-primordiale. Una volta poi che questo si avvicinerà alla sua fine, allora anche il ritorno di Satana, sempre ancora possibile, non sarà più lontano. Ma allora dove saranno già questa Terra e questo Sole? Infatti, un corpo come il Sole-centrale-primordiale impiega un tempo che è impensabile per la tua mente, prima che tutta la vita giudicata che è in esso, sotto la forma apparentemente morta della materia, si sia disciolta fino all’ultimo atomo nella libera vita spirituale!

24. Ma ci vorrà ancora molto tempo, come ho detto, prima che tu possa concepire una simile cosa, che per ora non possono comprendere nemmeno gli angeli; però ben presto verrà un tempo in cui non dubiterai affatto di quello che hai appreso adesso e crederai a cose delle quali non hai la minima idea! Ma ora lasciamo stare questo argomento. Disponetevi ormai alla partenza, perché inizieremo con una certa comodità il viaggio di ritorno!».

 

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Cap. 153

La discesa dal monte.

 

1. Dice Giara, la quale durante la visibile permanenza di Satana si era tenuta la faccia coperta: «Signore, io ora faccio molto volentieri ritorno in città, perché la presenza di quell’essere mi ha reso intollerabile questa montagna, quantunque, d’altro canto, ad essa restino collegati ricordi per me incancellabili! I miei piedi non ne calcheranno mai più la vetta!»

2. Dico Io: «Suvvia, ormai egli è stato cacciato da qui e il tuo Raffaele ha levato l’immondizia dal posto dove egli si era posato; del resto non ti sarà né di danno né di particolare vantaggio, se vorrai oppure se non vorrai mettere più piede su questa altura. La migliore altura sulla quale si può salire, resta sempre il proprio cuore. Chi riesce a penetrare nell’intimo del cuore, ha raggiunto l’altezza massima dalla quale può godere il più bel panorama della vita. Ma ora andiamocene, perché è già trascorsa l’ora terza dell’odierno Sabato. Ora tutti voi seguiteMi, poiché seguendo il primo sentiero che troveremo, arriveremo benissimo a Genezaret!»

3. Dice allora il comandante: «Signore, se non sbaglio, mi pareva di aver capito, da quanto si disse prima, che noi avessimo l’intenzione di restare eventualmente qui ancora tutta la giornata»

4. Gli dico Io: «Questa volta tu Mi hai compreso un po’ male; con quelle parole si era accennato soltanto alle altezze della celebrazione del sabato nei cuori! Ma ora tutto questo non c’entra, è necessario che noi partiamo, perché giù ci attendono ancora parecchi sofferenti. Bisognerà aiutare anche quelli, affinché, quando sarò partito, non vi sia in questa regione più nessun ammalato». 

5. Dopo ciò, l’intera comitiva si mise in cammino ed Io, la piccola Giara e Raffaele facemmo così da guide, e il ritorno procedette con facilità e sollecitudine giù dal monte fino alla valle in direzione di Genezaret. Dopo circa due ore e mezza di cammino noi ci trovammo già quasi vicino alla cittadella.

6. Allora Io radunai tutti i partecipanti alla gita e dissi: «AscoltateMi voi tutti, adesso! Come ve l’ho spiegato una volta sul monte, così ve lo ripeto ora: “Tutti gli avvenimenti di cui foste testimoni sul monte e tutto ciò che avete avuto occasione di vedere e di sentire, tenetelo per il momento per voi! Quando però un gran segno dai Cieli vi farà capire che il tempo sarà venuto, allora tali cose predicatele giù dai tetti agli uomini di buona volontà, ma al mondo maligno esse restino continuamente nascoste così com’è nascosta l’intima parte della Terra, cioè il suo centro! Infatti cose simili l’intendimento esteriore mondano non le comprenderà mai e voi verreste giudicati da pazzi e insensati! E questo sarebbe poi anche la morte eterna delle rispettive anime”.

7. E soprattutto tenete presente questo: “Le Mie parole, i Miei insegnamenti ed opere sono molto più preziosi delle grossissime perle di Giara che non hanno uguale sulla Terra, e perle simili non vanno gettate in pasto ai porci; perciò state sempre in guardia, poiché tutto ciò che proviene dall’Alto è anche soltanto per coloro che provengono dall’Alto! Ai cani ed ai porci non spetta che l’immondizia del mondo, perché un cane ritorna sempre al suo vomito, e il porco torna ad avvoltolarsi nello stesso fango nel quale pochi istanti prima si era già avvoltolato, insudiciato e contaminato del tutto. Dunque, prendetevi bene a cuore questo Mio consiglio!”».

8. Dice il comandante: «Signore, ma se dei curiosi ci domandassero cosa è accaduto o cosa abbiamo visto lassù, che risposta dovremo dare?».

9. Dico Io: «In questo caso dite la verità e cioè che Io ho vietato a voi tutti di rivelare tali cose al mondo, in tal caso i curiosi non insisteranno più oltre e si accontenteranno».

10. Questa Mia decisione soddisfò pienamente il nostro comandante e noi riprendemmo l’ormai breve cammino fino alla città e rientrammo di lì a poco in casa di Ebal.

 

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Cap. 154

Una guarigione miracolosa nell’albergo di Ebal a Genezaret.

 

1. Quando fummo entrati in casa di Ebal, ci vennero subito incontro i domestici ed i servitori ed annunciarono che all’albergo erano giunti circa cento ammalati, che avevano chiesto del Signore e Salvatore Gesù da Nazaret.

2. Dico Io ai servitori: «Andate e dite loro che essi possono ormai fare ritorno alle loro case in pace e di buon animo e ciò senza riguardo al sabato, poiché la loro fede nella potenza della Mia Parola li ha guariti!».

3. Udito questo, i servitori si allontanarono, si recarono dagli infermi all’albergo e la loro meraviglia non fu poca quando si accorsero che di infermi non ce n’era più uno, perché tutti coloro che erano prima ammalati si erano trovati nel medesimo istante guariti, ebrei o pagani che fossero. Quando furono loro vicino, sentirono solo un unanime coro di lodi per la riacquistata salute corporale ed i guariti manifestarono il desiderio di vederMi!

4. Ma i servitori risposero: «Non sta a noi concedervi tale cosa, però manderemo da Lui un messo. Se Egli lo permette, voi potete andare da Lui e parlarGli, ma in caso diverso, sarà cosa buona che voi, secondo la Sua Parola, ve ne andiate da qui di buon animo ed in pace, perché non sempre Egli è disposto ad accogliere visite, né meno ancora a voler fare discorsi». Con ciò uno dei servitori fu mandato da Me per esporMi la richiesta.

5. Io però così parlai: «Io ve l’ho già detto: che essi facciano ritorno alle loro case in pace e di buon animo e così resti deciso! Quello a cui essi miravano lo hanno ottenuto; per qualcosa di più elevato e nobile essi non hanno alcun sentimento, né intelletto sufficiente. Fate dunque che se ne vadano alle loro case!».

6. Udita questa decisione, il messo se ne va e la riferisce ai guariti. Ma questi dicono: «Quando si vuol rendere onore e lode a qualcuno, non è il caso di domandarlo prima! Si va e in piena verità e decoro gli si tributa la lode e gli si porgono i ringraziamenti che gli spettano; così il congedo è quale deve essere! Andiamo dunque senza timori e considerato che noi ci presentiamo a Lui con le migliori intenzioni di questo mondo, Egli non vorrà precluderci l’accesso!».

7. Detto questo, essi vengono tutti da Me in casa. Venuti che sono, bussano alla porta della nostra grande sala da pranzo, ma nessuno risponde per farli entrare. Essi però insistono e bussano ripetutamente, per cui Io dico ad Ebal: «Poiché dimostrano tanta fede importuna, lasciali entrare!». Ebal andò ed aprì loro la porta; nella sala entrarono quanti questa poteva contenerne, e cominciarono a glorificarMi ed a ringraziarMi ad alta voce.

8. Ma Io li invitai a tacere e dissi loro: «La lode della bocca e il ringraziamento delle labbra non hanno alcun valore presso Dio e neanche dinanzi a Me! Chi Mi vuole avvicinare, lo faccia con il suo cuore ed allora Io lo guarderò, ma un vano borbottare della bocca, mentre il cuore non pensa niente, né meno ancora sente, ha lo stesso effetto per i Miei occhi che il putridume ha per le narici. Quello che voi cercavate, vi fu concesso ed altro a voi non interessa e le vostre vuote lodi non Mi sono gradite! Fate dunque ritorno ai vostri luoghi e non recate ulteriori molestie a questa casa! In avvenire, però, guardatevi bene dalla libidine, dalla fornicazione, dall’ingordigia e dalla crapula; altrimenti ricadrete ben presto in mali ancora peggiori di quelli che vi hanno tormentato finora».

9. Queste parole colpirono profondamente i guariti ed essi si domandarono tra di loro come Io avessi potuto sapere che le loro malattie erano in maggioranza dovute alle pratiche della lussuria! Io cominciai ad incutere loro paura, perché sorse in loro il pensiero: “Chissà che Egli non venga fuori a spiattellare altri particolari riguardo ai nostri costumi veramente non molto lodevoli! È meglio che ce ne andiamo!”. Ed infatti essi si allontanarono e fecero ritorno al luogo da dove erano venuti.

10. La cosa però diede nell’occhio al comandante, che Mi domandò: «Come mai, così improvvisamente, si sono dileguati tutti? Bastò che Tu semplicemente facessi menzione dei loro peccati, perché si sentissero spinti, come da una forza irresistibile, fuori dalla porta!»

11. Dico Io: «Essi sono dediti ad ogni più svariata pratica libidinosa e l’adulterio è per loro già una cosa assolutamente usuale. Presso di loro le donne sono in comune, e il violentare una ragazza vergine, presso questa gente, è uno scherzo senza valore! Ma fra di loro ce ne sono di quelli che non rifuggono neppure da atti pederasti a danno di ragazzi, ed altri invece sono soliti divertirsi con fanciulle in maniera innaturale, muta[4] sodomitica, perché credono così di preservarsi dalle malattie, mentre in questo modo essi incorrono in infezioni ancora più maligne. È per questo che Io ho così duramente accolto e congedato tali individui, perché con loro qualche miglioramento è possibile unicamente attraverso un trattamento duro»

12. Domanda il comandante: «Di che regione sono?»

13. Gli dico Io: «Dei dintorni della Gadarena, più verso occidente ci sono un paio di borgate e quattro villaggi. Gli abitanti sono una mescolanza di ebrei, greci, egiziani e romani. Essi non hanno che qualche scarsa, anzi in effetti quasi nessuna idea di una religione, e la loro professione consiste per lo più nell’allevamento di maiali, di cui fanno commercio con la Grecia e l’Europa, dove le carni di questi animali vengono mangiate ed il rispettivo grasso viene adoperato come condimento per i cibi. Dunque, già per riflesso del loro mestiere sono gente quanto mai immonda, però la loro impurità esteriore non sarebbe proprio peccato, se nel loro ulteriore agire nella vita non fossero peggiori, e di molto, degli stessi maiali che allevano. Tutta la loro attività li pone molto al di sotto dei maiali stessi e perciò con questa gente sarà difficile ottenere qualcosa di buono!»

14. Dice il comandante: «Oh, è molto bene che io abbia saputo di questa faccenda. Quelle comunità stanno ancora sotto la mia giurisdizione ed io certo non mancherò di istituire per quella gente un censore dei costumi, il quale anche al minimo atto sconveniente saprà dar loro una dovuta lezione, secondo le istruzioni che riceverà da me. Aspettate, aspettate! Bisognerà che già domani la vostra vita di libidine cominci ad annoiarvi in modo tale da farvi passare per sempre la voglia di accarezzare brame impure nel cuore e di dar loro sfogo poi senza ombra di coscienza!

15. Signore! Io sono davvero niente altro che un uomo, però, dalle molte e svariate esperienze fatte durante la mia vita sempre dedicata alle cure del governo, sono giunto infine alla chiara conclusione che per l’uomo comune la miglior cosa è essere comandato con uno scettro di ferro ed essere spronato al bene, di quando in quando, mediante la sferza. Se questo non avviene in una grande comunità di uomini, tutto in breve tempo crolla e va in rovina!».

16. Dico Io: «Certo, qui hai ragione di procedere come pensi, ma soltanto nelle comunità e località che ti furono indicate, perché se tu volessi applicare dappertutto tale sistema, ne ricaveresti più danno che vantaggio! La medicina deve sempre venire regolata secondo la malattia e non viceversa. Ma, come detto, nei riguardi di quelle località la tua medicina avrà almeno di buono il fatto che agli abitanti farà perdere il gusto della libidine; però è bene che il flagello non venga posto in mano all’ira, bensì in mano al vero amore!».

 

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Cap. 155

Zelo dell’amore.

 

1. Dice il comandante: «Signore, ora vedo bene che questo è giusto; eppure, scrutando tra le varie vicende della mia vita, mi torna in mente un caso particolare, nel quale tutto l’amore non fu capace di approdare a niente ed il caso fu il seguente: tra i molti soldati che stanno al nostro comando c’era in servizio anche un giovane illirio robustissimo, un vero gigante. La sua spada pesava cinquanta libbre ed egli, tuttavia, la maneggiava come se tenesse in pugno una piuma. Questo guerriero assoldato, che portava corazza e scudo, valeva in battaglia più di cento altri guerrieri. In guerra, dunque, egli riusciva utilissimo, ma non così in tempo di pace. Egli diventava allora prepotente e non passava settimana senza che egli non provocasse qualche nuovo increscioso incidente. Io lo trattavo sempre amorevolmente e molte volte cercai di fargli ben presente, per quanto possibile, il male e l’ignominia degli scandali da lui suscitati e gli rimproverai la maliziosa mania di dar continuamente spettacolo della sua prepotenza. Egli allora prometteva sempre di migliorarsi e per qualche giorno dopo il rimbrotto restava calmo e moderato, ma oltre i dieci giorni la calma non durava e subito dopo non erano che nuove lagnanze da tutte le parti, mentre noi dovevamo alla fine risarcire i danni causati da lui. Se poi gli si domandava perché persistesse in quel suo incredibile modo di procedere, egli dava sempre la stessa risposta e diceva: “Io mi esercito nell’arte della guerra ed allora non mi sento di poter risparmiare niente, all’infuori della vita umana, perché bisogna che la mia spada si provi sui vari oggetti che incontra!”.

2. Questi suoi esercizi guerreschi lo portavano non di rado ad andare in cerca di qualche mandria di buoi, tori, vacche e vitelli ed a tagliare la testa a questi animali di un colpo solo. Una volta gli accade di incontrare una mandria di cento buoi, i quali ci rimisero tutti la testa e poi egli andò vantandosi della sua azione eroica, senza tanto pensare che a noi essa era costata mille denari buoni d’argento, dovuti sborsare quale indennizzo! Ma quella volta fui preso da tanta ira contro quell’uomo che nell’impeto del furore l’avrei fatto io stesso volentieri a pezzi.

3. Allora lo feci attaccare ad un albero con pesanti catene, mani e piedi legati da solide funi e lo feci flagellare per un’ora intera, fino a che egli ne risultò prostrato. Quindi lo feci ricoverare e curare, cosicché in venti giorni fu completamente ristabilito. Ed ecco, quest’uomo, dal quale tutto l’amore non era stato capace di ottenere nulla, con un simile trattamento si trovò cambiato come d’incanto. Dopo questo trattamento egli diventò l’uomo più tranquillo e moderato di questo mondo, tanto che dopo un anno io lo nominai sottufficiale ed egli oggi ancora mi ringrazia per la punizione esemplare inflittagli, senza la quale non sarebbe mai arrivato al suo grado. Ma per concludere dirò che ad una simile punizione non mi avrebbe potuto mai indurre l’amore, ma soltanto una giusta collera contro quell’uomo, e perciò credo che di fronte all’uomo, molto spesso, una giusta ira sia più salutare di un eccessivo amore, per quanto puro!»

4. Dico Io: «Oh, certamente, ma qui non si tratta più di ira nel vero senso della parola, bensì di un fervore particolare che si manifesta nel cuore e che ha in sé un potere salutare. Con questo fervore agisco anch’Io quando è necessario: se l’amore non possedesse questo fervore, l’Infinito sarebbe ancora oggi del tutto privo di esseri; perciò tutte le creature devono la loro esistenza soltanto all’immenso zelo dell’Amore divino.

5. E così il sentimento, che quella volta incitò il tuo cuore ad infliggere una giusta punizione al soldato prepotente e malizioso, non fu l’ira, né la sete di vendetta che da questa deriva, ma un fervore particolare del tuo amore per quel guerriero, il quale per delle sue capacità ti stava molto a cuore. Infatti, se quell’uomo avesse suscitato in te una vera e propria ira, tu l’avresti fatto uccidere, ma lo zelo d’amore contò i colpi reputati necessari, e tu lo facesti flagellare finché reputasti fosse sopportabile per lui.

6. Dunque, nella stessa maniera, qualora fosse necessario, tu potrai procedere anche rispetto a quelle comunità, ma il primo tentativo avvenga tuttavia per opera dell’amore puro e per mezzo di un adeguato insegnamento, poiché, quando gli uomini arrivano a comprendere che vengono loro prescritte leggi severe e stabiliti giudizi inesorabili soltanto per il loro bene, allora essi accettano tutto, ma se le leggi severe assumono invece l’aspetto di un atto tirannico del detentore del potere, allora le leggi non solo non migliorano nessuno, ma alla fine hanno il solo risultato di convertire anche gli angeli della comunità in altrettanti demoni, che poi non faranno  altro che cercare  il modo e la maniera di  potersi vendicare di colui che per niente, o senza apparenti ragioni, li va opprimendo e tormentando senza posa. Comprendi questo?»

7. Dice il comandante: «Sì, o Signore, anche questa cosa mi è chiara come il Sole ed io invierò oggi stesso un messo all’ufficiale là residente con gli ordini che devono venire notificati in quelle comunità già domani perché comincino subito a eseguirli. Ma a questo scopo bisognerà che me ne vada per un po’ dalla mia gente, affinché siano prese le disposizioni del caso».

 

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Cap. 156

Sul rapporto sessuale degli angeli della Creazione primordiale.

 

1. Detto ciò il comandante si accinge ad andarsene a casa propria, ma Ebal lo prega di non restare assente troppo a lungo, perché il pranzo sarebbe stato pronto fra breve. Ed il comandante dice, mentre già si avvia: «Se non è accaduto niente di importante, sarò subito di ritorno; in caso diverso manderò qui senza indugio un messo».

2. Il comandante allora si affretta e, giunto a casa sua, la sua meraviglia non è poca, quando dopo aver inteso il rapporto dei suoi ufficiali, trova che gli ordini che egli intendeva dettare per le note comunità apparivano già scritti di sua mano su pergamena e giacevano sul suo tavolo da lavoro. Egli vi dà rapidamente una scorsa e riscontra che tutto è concepito precisamente così come egli aveva abbozzato mentalmente. Fa poi chiamare immediatamente un messo veloce ed ecco presentarglisi dinanzi, in veste di soldato romano, appunto il nostro angelo Raffaele il quale si mette ai suoi ordini.

3. Da principio il comandante non riconosce l’angelo e pensa che si tratti di qualche giovane guerriero, assegnatogli forse da Cornelio, fra quelli della guarnigione di Cafarnao. Egli allora gli domanda se se la sente di recapitare quegli ordini per il sottocomandante della località di Gadarena che è abbastanza lontana!

4. Dice l’angelo: «Signore della tua potestà! Dallo a me ed io lo porterò a destinazione con la velocità di una freccia, tra pochi istanti la risposta sarà nelle tue mani!».

5. Soltanto allora il comandante esaminò con più attenzione il suo uomo, riconobbe in lui l’angelo Raffaele e poi disse: «Oh, certamente a te è possibile anche questo, ma guarda, solo adesso ti ho riconosciuto!».

6. Il comandante poi consegnò il documento a Raffaele e questi già in un quarto d’ora fu di ritorno con la risposta, nella quale l’ufficiale al comando di Gadarena confermava di aver ricevuto l’ordine per mezzo di un giovane guerriero, ordine che egli avrebbe immediatamente eseguito secondo lo spirito.

7. Allora non fu più la velocità di Raffaele a suscitare la meraviglia del comandante, ma fu invece il fatto che egli avesse comunque impiegato un quarto d’ora per fare questa ambasciata. 

8. Ma Raffaele rispose: «Questo è stato il tempo necessario al tuo ufficiale di Gadarena per preparare il suo scritto. La cosa non deve farti meraviglia, perché sai che io non ho bisogno di tempo. Ma ora andiamocene da Ebal, perché il pranzo è già pronto e gli ospiti, in seguito alla camminata giù dal monte, hanno molto appetito».

9. Il comandante si avvia subito assieme all’angelo, ma costui, quando è vicino alla casa di Ebal, appare nuovamente sotto la veste d’abitante di Genezaret da lui inizialmente assunta, e il comandante gli domanda dove avesse con tanta rapidità deposto la sua divisa da soldato.

10. L’angelo però rispose sorridendo: «Vedi, la cosa è per noi molto più facile che non per voi, perché il nostro guardaroba, quanto mai riccamente provveduto, lo portiamo nella nostra volontà: basta che noi vogliamo essere abbigliati in una data maniera ed effettivamente anche lo siamo. Se tu però mi vedessi nella mia veste di luce, ne saresti accecato e la tua carne si dissolverebbe dinanzi a me, poiché la luce del Sole terrestre paragonata alla mia veste è pura tenebra»

11. Dice il comandante: «Amico degli uomini di questa Terra! Questa tua prima facoltà, cioè di poterti vestire a tuo piacimento grazie alla sola volontà, senza disporre di stoffa, mi piace molto e sarebbe davvero utilissima alla povera gente, particolarmente d’inverno; ma l’altra tua facoltà di indossare una veste dallo splendore accecante, dinanzi alla quale la vita umana non potrebbe reggere, questa non mi piace, almeno non in questo mondo e perciò non è opportuno insistere più oltre su tale argomento. Ma io vorrei, tuttavia, apprendere ancora una cosa da te: considerato che noi ci troviamo qui soli e non c’è da imbarazzarci di fronte a nessuno, potresti ben rivelarmela. Ecco dunque la mia domanda: esiste anche fra voi una distinzione di sesso?»

12. Dice l’angelo: «La questione che tu poni è piuttosto materiale ed inopportuna, però siccome in te è suggerita unicamente dalla brama di conoscere, allora io ti risponderò anche nettamente con un no! Dato che siamo spiriti della Creazione primordiale, c’è in noi – e siamo innumerevoli – un unico e solo essere, il positivo maschile quale primo ed esclusivo agente, ma tuttavia in ciascuno di noi vi è perfettamente presente anche il principio femminile negativo, cosicché ciascun angelo rappresenta in sé il perfettissimo matrimonio dei Cieli di Dio. Dipende assolutamente da noi se vogliamo mostrarci nella forma maschile oppure femminile, e ciò sempre entro lo stesso involucro spirituale.

13. Poiché però noi stessi siamo un doppio essere, in questo sta appunto la ragione per cui noi non possiamo mai invecchiare, perché in noi le due polarità si sostengono vicendevolmente nell’eternità, invece in voi uomini i poli sono separati ciascuno in una personalità sessuale distinta e divisa e come tali, esistendo di per sé soli, non trovano in sé alcun appoggio.

14. Quando le polarità personali separate vengono esteriormente a contatto, non fanno che perdere del proprio e sono simili ad un otre di vino che sempre più raggrinzisce quanto più gli si sottrae il suo contenuto alcolico.  Ma se tu potessi immaginare un otre capace di riprodurre continuamente in sé quanto gli viene levato, allora non ti sarebbe più possibile vedere sulla sua superficie le pieghe e le grinze che danno alla sua forma l’aspetto della cosa vecchia. Comprendi bene questo?»

15. Dice il comandante: «La cosa non mi riesce ancora proprio chiara del tutto, tuttavia una vaga idea me la sono potuto fare. Ad una prossima occasione favorevole potremo ben riprendere questo discorso, ma ora sarà bene che entriamo in casa, perché certamente saremo attesi!»

16. Dice l’angelo: «Sì, questo senz’altro. Del resto anch’io sento già quello che voi definite fame»

17. Osserva il comandante: «Oh, oh, ma se tu sei uno spirito purissimo, come potrai gustare un cibo materiale?»

18. Risponde Raffaele sorridendo: «Lo posso fare meglio di te! Infatti tutto quello che io prendo come cibo viene in me completamente consumato e trasformato in elemento visibile di vita, mentre in te ciò avviene soltanto di quella parte che corrisponde alla tua isolata polarità vitale; invece quanto non si confà a questa polarità, viene poi eliminato per le vie naturali; dunque, per quel che riguarda il mangiare e il bere io sto molto meglio di te!»

19. Dice il comandante: «Ma allora, si mangia e si beve anche in Cielo?»

20. Risponde l’angelo: «Oh, senza dubbio, ma non così come si fa sulla Terra, ma in maniera spirituale! Abbiamo la Parola di Dio dall’eternità anche in noi, così come appunto da questa stessa Parola sono costituiti sia il Cielo che tutta la Creazione, i quali sono compenetrati in ogni luogo da questa Parola.

Ora questa Parola costituisce anzitutto la sostanzialità del nostro essere, e per questo essere Essa è anche l’unico e verissimo Pane di Vita, nonché il vero Vino della Vita. Nelle nostre vene questo Vino scorre come il sangue nelle vostre e le nostre viscere sono ricolme del Pane di Dio»

21. Dice il comandante: «Oh, questi sono concetti ispirati da una sapienza immensa ed io non posso comprenderli! Cose simili è bene che il Signore stesso me le chiarisca più da vicino! Ma ora è davvero tempo che entriamo in casa ed è meglio che non si riprenda né questo né altri argomenti».

 

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Cap. 157

Sul dare l’elemosina e sulle solennità commemorative.

 

1. Mentre il comandante è in procinto di chiudere la porta, la nostra buona Giara gli viene incontro e dice: «Oh quanto vi fate aspettare! E tu, mio caro Raffaele, sembri volerti regolare secondo il pigro tempo di questo mondo! Davvero questa volta non è andata così presto come durante il nostro viaggio su quel Sole lontano! Ma ora entrate senza indugi, perché il pranzo è già servito in tavola!». I due allora entrano solleciti e Mi salutano con gran cortesia e calore.

2. Il comandante avrebbe voluto ringraziarMi per le premure da Me dimostrategli anche nell’ultima circostanza, però Io gli dissi: «Amico, Mi basta quello che ti leggo nel cuore! Il pranzo vi attende già da qualche tempo, perciò ora si tratta di concedere il necessario ristoro al corpo e soltanto dopo di volgersi di nuovo allo spirito».

3. Tutti allora ringraziano e cominciano a fare onore ai cibi e alle bevande, e il comandante non può distogliere la sua attenzione dall’angelo, che dal canto suo mostra di essere molto occupato con le pietanze e con il suo bicchiere di vino.

4. Alla fine il nostro comandante non può più trattenersi ed esclama un po’ scherzosamente: «Oh, oh, mi accorgo adesso che gli spiriti puri godono davvero di un appetito invidiabile! Il mio buon Raffaele sta mangiando per tre! Io penso che a questo mondo una cosa simile non è stata ancora mai vista!»

5. Dice Ebal: «Anch’io ne sono quanto mai meravigliato, ma ho osservato ancora un’altra cosa che mi stupisce più del suo eccellente appetito. Se tu guardi bene, la porzione non diminuisce mai nel suo piatto! Qui in verità appare visibilmente confermato il detto: “Quello che il Cielo prende, lo restituisce già il successivo istante!”. Ma io intendo che questa mensa, alla quale noi sediamo, sia conservata in onore presso i miei successori, come un permanente sacro ricordo per tutti i tempi e che ogni anno venga stabilito un giorno di festa nel quale ad essa dovranno venire invitati tutti i poveri di questa città!»

6. Dico Io: «Oh, lascia che la mensa resti mensa come è adesso e tu resta quello che sei stato finora”. E quando viene da te un povero ed hai qualcosa, aiutalo in qualsiasi giorno egli si presenta, ma un banchetto festivo annuale non giova per niente né ai poveri né a te stesso ed Io non ne ho alcun compiacimento! Chi vuole ricordarsi di Me, lo faccia in tutte le ore del giorno, perché il ricordarsi di Me una volta all’anno a Me non serve!

7. Se tu stabilissi un giorno commemorativo, non faresti che imitare i farisei ed i templari di Gerusalemme, che pure celebrano tre volte all’anno feste della commemorazione, durante le quali usano distribuire del pane ai poveri, come se, con quel boccone di pane che ricevono, i poveri potessero poi vivere senza prenderne altro durante tutto il tempo che passa da una festa all’altra! Chi non vede l’insensatezza di tali ridicole feste? Certo che i farisei, in queste giornate solenni, guadagnano tanto con le offerte abbondanti da poter vivere molto bene per altri cent’anni con il ricavato di una sola festa, mentre il povero deve accontentarsi di ricevere tre volte all’anno un pezzo di pane che non supera mai un ottavo di libbra in peso. Oh, quanta follia, quanta stoltezza, cecità ed egoistica perfidia! Tu, dunque, lascia questa tavola così com’è e celebrerai la festa più gradita quando giornalmente, a seconda delle tue forze, ti darai la premura più amorosa di saziare l’uno o l’altro povero, sia a questa o in qualsiasi altra mensa!

8. E se l’uno e stesso povero si presentasse a te anche ogni giorno, non chiedergli se altrove non gli sia possibile ottenere qualcosa, perché il povero ne avrebbe il cuore pieno di paura, cosicché poi per lungo tempo non si azzarderebbe più a venir da te e con ciò la tua opera buona perderebbe ogni valore al Mio cospetto.

9. Però Io neppure intendo che tu abbia a dividere il pane dei poveri anche fra gli eventuali oziosi robusti che sono ancora idonei per lavorare: a questi tali, quando vengono, procura un lavoro adeguato alle loro forze! Se sbrigano un lavoro, dà loro anche da mangiare e da bere, ma se non acconsentono a lavorare, allora che non mangino neppure! Infatti chi ha forze ma non vuole lavorare, allora che neanche mangi!

10. Ecco, se il tuo agire sarà conforme a queste norme, tu celebrerai sempre una festa commemorativa quanto mai a Me gradita, ma lascia andare del tutto le tue intenzionali feste annuali! Infatti una simile festa annuale è la maggiore insensatezza che un uomo possa commettere, per la ragione che con ciò non ha giovato a nessuno, tranne che ad un banditore della festa che, per suoi fini egoistici, in tale occasione può realizzare un qualche utile con le offerte che gli vengono fatte!

11. In che cosa il tempo di un anno è migliore in confronto a quello di un giorno? Chi per esempio festeggia il compleanno del proprio padre una volta all’anno, costui dovrebbe, per le identiche ragioni, festeggiarne anche ogni giorno l’ora di nascita, il che sarebbe sicuramente meglio del compleanno annuale!

12. Io te lo dico: “Ogni simile celebrazione commemorativa da parte degli uomini non ha alcun valore ai Miei occhi, a meno che essa non avvenga giornalmente, anzi ad ogni ora in maniera vivente nei loro cuori! E così i noviluni, i giubilei, la festa della liberazione di Gerusalemme dal dominio babilonese, le solennità per la riedificazione della città e del Tempio e così pure le feste di Mosè, Aronne, Samuele, Davide e Salomone sono cose perfettamente vuote e senza senso, che in tutta verità hanno appena tanta importanza quanta può averne la pioggia caduta nel mare mille anni fa”.

13. Da principio tali feste vengono certo solennizzate con una specie di religioso entusiasmo ed i partecipanti ad una simile occasione hanno molto vivo un ricordo della persona o di qualche fatto importante a cui la festa si riferisce e di cui essi sono stati testimoni, ma nella seconda, terza e quarta generazione, per non dire poi della decima generazione, tutto si riduce ad una vuota cerimonia e la maggioranza poi non sa neppure perché viene allestita; più tardi ancora, poi, il tutto è già degenerato in un vano paganesimo.

14. Del resto, con ciò Io non intendo che vengano abolite le vere feste commemorative; però bisogna che esse siano caratterizzate, oltre che dalla loro periodicità annuale, anche da quella giornaliera nei propri cuori, altrimenti anche quelle possono considerarsi completamente morte e quindi senza alcuna efficacia. Per quanto poi concerne questa mensa, che le cose rimangano come ti ho detto e mostrato Io!» 

15. Dice Ebal: «Tutto verrà esattamente osservato così come Tu, o Signore, in tutta benignità e verità ci hai indicato, ma tanto più invece ci daremo cura di celebrare giornalmente la festa nei nostri cuori con il maggior possibile fervore e di esercitarci con tutte le nostre forze nell’amore del prossimo, per poter così commemorare, nella maniera più bella e più degna, queste giornate!»

16. Ed Io concludo: «Se voi vi atterrete fermamente a queste massime, Io sarò in voi, e da questo la gente riconoscerà che voi siete veramente i Miei discepoli.

17. Ma ora noi abbiamo mangiato e bevuto a sufficienza; alziamoci dunque da tavola e usciamo fuori per andare a trovare i nostri barcaioli; essi potranno narrarvi ancora più di qualche storia interessante e strana. Qui ci sarebbe da stare poco in pace, perché entro un’ora arriverà da Betlemme un’altra carovana della quale fanno parte alcuni giovani farisei ortodossi, con i quali Io non ho assolutamente l’intenzione di venire a contatto. Vedete di destreggiarvi voi in modo che essi si trovino indotti a proseguire già oggi fino a Sibarah!»

18. Dice il comandante: «A questo verrà provveduto nel migliore dei modi! Oramai anche per me non vi è persona al mondo che mi riesca così ripugnante come uno di questi arcifarisei!». E detto ciò, ci alziamo e ci affrettiamo verso il mare in cerca dei nostri barcaioli.

 

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Cap. 158

Il 47° Salmo di Davide.

 

1. Noi trovammo gli otto barcaioli proprio mentre stavano leggendo i salmi di Davide. Quando ci videro, si alzarono da terra, ci salutarono e il loro capo avanzò verso di Me e disse: «Signore, Tu solo potresti toglierci dall’imbarazzo! Ieri, verso sera, sono venuti qui alcuni farisei e scribi, i quali pretesero che li trasportassimo dalla parte di Zabulon e Corazin. Noi ci rifiutammo, adducendo il fatto che non eravamo i padroni della barca, bensì soltanto i barcaioli e inoltre che, essendo vigilia di sabato, eravamo occupati nella lettura dei salmi. Allora un giovane scriba si fece dare il rotolo dei salmi, l’aprì al Salmo 47 e lesse:

2. “Applaudite, o popoli tutti, e giubilate a Dio con voce di trionfo, perché il Signore, l’Altissimo, è tremendo, un gran Re su tutto il suolo terrestre. Egli obbligherà i popoli a sottomettersi a noi e le nazioni sotto a i nostri piedi! Egli ci ha scelti quale eredità, la gloria di Giacobbe, il quale Egli ama. Dio è salito con giubilo, il Signore è salito con suono di trombe. Salmeggiate a Dio, salmeggiate, salmeggiate al nostro Re! Infatti Dio è il Re di tutto il suolo terrestre, salmeggiate magistralmente! Dio regna sopra tutti i pagani. Dio siede sopra il trono della Sua santità. I principi dei popoli si sono radunati insieme in un solo popolo davanti al Dio di Abramo, poiché Dio è molto innalzato sugli scudi della Terra!”.

3. E quando ebbe finito la lettura, lo scriba domandò tutto serio: “Comprendete voi questo salmo?”. Ma noi dovemmo rispondere negativamente alla sua domanda. Oggi già di buon’ora abbiamo cominciato a stillarci il cervello e tuttavia non ne sappiamo più di ieri. Mille volte abbiamo pensato a Te: se Tu, o Signore, lo volessi, potresti fornirci un po’ di luce a questo riguardo!»

4. Dico Io: «Guardate qui questa fanciulla che io tengo per mano. Chiedete a lei e saprà ben essa farvi luce riguardo a tale argomento!»

5. Dice il capo dei barcaioli: «Questa fanciulla conta al massimo quattordici anni! Come può esserle venuta la sapienza di Salomone?»

6. Dico Io: «Eppure è così! E non solo la sapienza di Salomone, ma anche quella di tutti i sapienti della Terra e molto di più ancora alberga nel suo purissimo cuore! A nessun uomo è mai riuscito a vedere che cosa si cela dietro le stelle, ma domandatelo a lei ed essa ve lo rivelerà! Ella porta nella tasca del suo grembiule la famosa “pietra filosofale”, perciò sarà bene in grado di spiegare anche il salmo, breve sì, ma tuttavia importantissimo, da voi citato! Fate una prova e vi convincerete!»

7. Osserva allora il mastro barcaiolo ai suoi compagni: «Tutta la sua figura rivela davvero una tremenda intelligenza! Solamente la sua bellezza esteriore, davvero angelica, non milita troppo a favore della sua sapienza, perché finora io ho sempre sperimentato che le fanciulle più belle sono le più sciocche, ciò che del resto è anche del tutto naturale. I figli più belli vengono troppo vezzeggiati, così essi diventano dei presuntuosi e non imparano che poco e niente, invece con un figlio meno bello di solito non si fanno tante storie, lo si punisce facilmente per qualsiasi fallo e per qualunque sgarbatezza, in modo che il fanciullo diventa umile e modesto, si fa ubbidiente e tollerante e impara molte cose. Ma nonostante tutto vogliamo sentire quello che riguardo al nostro salmo saprà dirci questa ragazzina, che è in tutta verità di una bellezza celestiale!».

8. Allora il capo dei barcaioli si rivolge a Giara e le fa la sua richiesta e la fanciulla, con l’espressione più amorevole di questo mondo, risponde: «Cari amici, non perché io l’abbia imparato in qualche modo, né di conseguenza perché io lo sappia come un dottore della legge, ma perché lo sento in maniera molto viva in me, dico che tutto quello che lo spirito profetico di Davide ha profetizzato parecchie centinaia di anni fa, va ora trovando perfettissimo compimento dinanzi ai nostri occhi. Ma questa cosa l’avreste pur dovuta concepire anche voi di primo acchito!

9. Non avete voi visto come Egli, del Quale parla Davide e che adesso dimora tra di noi corporalmente, ha camminato sul mare come se questo fosse terra asciutta? E non vi siete accorti come Egli in pochi giorni e per la forza della Sua sola Parola ha guarito migliaia di persone affette da ogni specie di infermità? I ciechi hanno recuperato la vista, i sordi l’udito, i lebbrosi sono stati mondati e gli zoppi e gli storpi si sono ritrovati con le membra diritte! E guardate poi qui il monte che vi sta davanti; guardate come è cambiato in una sola notte! Ma chi può trasportare le montagne e sollevare i mari dai loro abissi? Chi è Colui al Quale tutti gli angeli e tutti gli elementi obbediscono? Ecco, Quegli che sotto sembianze corporeo-umane sta dinanzi a noi è quello; Questi è Colui del Quale Davide ha parlato nei suoi salmi!

10. È per Lui che dobbiamo applaudire mediante opere di vero e sincero amore del prossimo ed è a Lui che dobbiamo giubilare con la voce pura della verità senza inganni, insidie e falsità! Infatti guai a chiunque volesse dimostrargli giubilo con l’impuro accento dalla menzogna! Come amoroso e dolce Egli è con i giusti, altrettanto tremendo Egli è con coloro che nascondono nel cuore la menzogna, l’inganno e la falsità, poiché sta scritto: “È terribile cadere nelle mani di Dio, perché Dio è il Re onnipotente di tutto il suolo terrestre e nessuno può nascondersi in alcun luogo dinanzi a Lui!”.

11. Ora Egli è venuto qui per costringere tutti i popoli a mettersi sotto di noi, tramite la potenza della Sua Dottrina, affinché siano resi partecipi della nostra salvezza, in modo che le genti, cioè i figli del mondo, vengano posti sotto i nostri piedi per essere giudicati! Infatti noi soli Egli ha scelto ad eredi della vita eterna, anzi, noi siamo la sua eredità! Egli è Colui del Quale Giacobbe disse: “Oh Signore, Tu solo sei la mia gloria!”. E poiché Giacobbe professò questa cosa nel suo cuore, divenne un prediletto di Dio, di Colui che dimora qui fra di noi!

12. Ma Egli non dimorerà sempre così fra di noi, bensì Egli risalirà ben presto ai Suoi Cieli eterni e precisamente con la voce giubilante della verità eterna con la quale Egli ha creato una nuova Terra ed un nuovo Cielo per tutte le eternità delle eternità ed Egli è e sarà il Signore, e il puro squillo delle Sue trombe, cioè della Parola che ci fu annunciata, proclamerà l’avvenimento a tutte le creature sopra ed entro la Terra e sopra ed oltre tutte le stelle, spiritualmente e materialmente.

13. È a Costui che noi dobbiamo salmeggiare secondo l’esortazione di Davide, perché Costui è il nostro Dio e il nostro unico Re per l’eternità!

14. Ma poiché noi sappiamo cosa Egli è, dobbiamo anche onorarLo con un cuore saggio e puro e non alla maniera dei farisei ipocriti, che solamente con le labbra si accostano ad un falso Jehova, mentre chiudono i loro cuori al cospetto del vero e vivente Jehova e si allontanano da Lui.

15. Però Egli non è soltanto il nostro Dio e Re, bensì anche dei pagani che abitano su tutto il suolo terrestre, perché Egli solo regna sopra tutti gli uomini e sopra tutta l’infinita Creazione, dal trono eterno della Sua illimitata potenza e gloria. Dinanzi a Lui si devono radunare tutti i principi della Terra, come i loro popoli dinanzi a loro, perché è Egli il solo Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Egli soltanto è da sé innalzato ed esaltato sopra ogni cosa, anche sopra gli scudi di tutti i potenti della nostra vasta Terra!

16. È una grazia inconcepibile perfino agli angeli che Egli sia venuto a noi, ma poiché è venuto, Egli non è venuto senza essere annunciato, poiché tutti i profeti hanno annunciato la Sua venuta.  Ma molte delle profezie non poterono essere comprese dagli uomini a causa del sempre crescente indurimento dei loro cuori. Ora però è venuto Quello stesso, di Cui i profeti hanno profetizzato, ed Egli stesso si rivela a tutti gli uomini di buona volontà.

17. Ma per coloro che hanno il cuore colmo di perfidia e di superbia Egli altro non può essere che il Tremendo, poiché la perfidia ha continuamente come giudice inesorabile su di sé la Giustizia onnipotente ed eterna! E come una buona bilancia sensibile pende visibilmente già se da una parte si aggiunge solo un capello, così dinanzi a Colui che è qui non può affatto reggere la benché minima falsità, follia, perversità, ingiustizia e qualsiasi altra grossolanità del cuore! E perciò Egli deve essere terribile per ogni peccatore nel cui petto alberga un cuore duro, tenebroso e malvagio. 

Comprendete ora voi il Salmo 47 di Davide?».

 

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Cap. 159

Dell’amore per i nemici.

 

1. Dice il mastro barcaiolo: «O incantevole fanciulla! Da chi hai avuta tanta sapienza? In verità, tu sei più saggia di Abramo, di Isacco e di Giacobbe!».

2. Dice Giara: «Vi ho pure detto ora Chi è Colui che dimora adesso fra noi! Ma se è così ed incontestabilmente è così, come potete domandare e dire: “Da dove mi è venuta tale sapienza o chi me l’ha data?”. Qui dinanzi a noi tutti sta il grande e santo Datore di ogni buon dono! Egli solo è saggio ed Egli solo è assolutamente buono. Chi Lo ama e nel suo cuore crede che Egli è in Sé e per Sé il Signore Jehova Zebaot dall’eternità, nel suo cuore Egli farà risplendere la Sua Luce eterna e increata ed allora tutto l’uomo ne sarà illuminato e verrà completamente compenetrato dalla vera Sapienza divina. Se voi avete un po’ d’intelletto, deve esservi ormai chiaro come stiano le cose rispetto a noi!»

3. Risponde il mastro barcaiolo: «Oh sì, mio carissimo angioletto! Adesso noi comprendiamo e sarà proprio così come tu ci hai spiegato, ma quelli che ieri sera ci domandarono di venire trasportati a Zabulon e Corazin non vorranno accogliere questa spiegazione, né potranno quindi nemmeno comprenderla. Noi siamo della gente semplice ed a noi quasi non occorre far vedere delle meraviglie perché ci crediamo, ma con quei tali un miracolo avrà effetti peggiori di nessun miracolo»

4. Dice Giara: «Ma questa è anche la ragione per cui Egli diverrà terribile per loro, poiché i venti spargeranno per tutta la Terra la Sua Parola! Guai a chi la udrà, la comprenderà e malgrado ciò infine la rigetterà!»

5. Dico Io ai barcaioli: «Ebbene, cosa ve ne pare dell’intelligenza di questa Mia figliola?» 

6. Ed essi rispondono: «Signore e Maestro! Se Tu sei veramente Quello che secondo la savissima spiegazione di questo adorabile angioletto di fanciulla dovresti essere, non può meravigliare che ella sia tanto saggia, perché Colui che ai tempi di Balaam poté sciogliere la lingua all’asino affinché profetizzasse a Balaam, potrà con facilità tanto maggiore rendere atta a profetizzare la lingua già sciolta di una fanciulla quattordicenne!

7. Ma noi ora crediamo tutti che Tu sia Quello del Quale questa fanciulla ha apertamente testimoniato dinanzi agli occhi ed alle nostre orecchie e non vi è più bisogno di nessun altro miracolo! Ma poiché Tu, o Signore, sei Tale, guarda alla nostra debolezza e convertila in un’adeguata forza, affinché possiamo difenderci dai perpetui nemici della luce e della verità! Infatti è triste cosa davvero che noi ebrei dobbiamo cercare sia la luce che la verità presso i pagani! Gerusalemme, invece di essere un faro luminosissimo per tutta l’umanità, è diventata un putrido pantano della notte e della tenebra più rozza ed una spelonca d’assassini dell’antico spirito di Israele! E se noi vogliamo ora luce e verità, è bene che andiamo a cercarle a Sidone ed a Tiro, presso i greci ed i romani. Dunque, o Signore e Maestro, poiché Ti sono possibili tutte le cose, concedici luce e forza, cosicché noi possiamo giungere a distinguere la verità e la possiamo poi difendere dai nemici!»

8. Dico Io: «La pace sia con voi e fra di voi! Nessuno si creda superiore agli altri! Voi siete tutti ugualmente fratelli, ma colui che si crede e ritiene il minimo fra tutti e ambisce soltanto ad aiutare e servire tutti, costui è tuttavia il primo e il più grande! Ma se Io vi chiamo ad essere Miei servitori, allora voi siete in piena verità anche la Mia potenza. E così ciascun servitore rappresenta la forza del suo Signore, ma per questo anche il Signore rappresenta la giustizia del Suo servitore! Amatevi l’un l’altro, fate del bene ai vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono e pregate per coloro che vi odiano! Rendete bene per male e non prestate il vostro denaro a chi vi può rendere alto interesse; così facendo la benedizione e la grazia di Dio saranno in tutta la loro pienezza in voi! Ma in conseguenza di ciò vi saranno poi date in brevissimo tempo anche la luce e la verità ed ogni potenza e forza, poiché, come voi misurerete gli altri, così sarete misurati voi!»

9. Dice uno dei barcaioli: «Signore, noi vediamo e comprendiamo bene che la Tua dottrina è vera e giusta, ma sentiamo anche che sarà difficile osservarla! È certamente bello e celestiale fare del bene a coloro che sempre cercano di farci del male, ma chi può mai affrontare sempre con uguale pazienza la perfidia spesso troppo infame degli uomini? E viene spontaneo chiedersi se così facendo la cattiva volontà degli uomini non venga favorita maggiormente che non con la punizione inflitta per il male commesso. Se i ladri e gli assassini venissero ricompensati per le loro cattive azioni, in breve tempo si ridurrebbero a ben pochi gli abitanti della Terra! Dunque è necessario che io tenga sempre testa al nemico e che tenda una barriera di spine intorno alla mia casa, affinché al nemico passi una volta per sempre la voglia di recarmi danno; credo che così il sentimento del nemico inclinerebbe all’amicizia ed all’amorevolezza prima certo che non se gli volessi ricambiare il male fattomi addirittura con un beneficio!»

10. Dico Io: «Sì, è vero, secondo il concetto umano questo ragionamento non fa una piega, ma in esso non c’è alcuna traccia di divino. Tramite la punizione distoglierai certo l’uomo che ti ha fatto del male dal tentare così facilmente di arrecarti danno una seconda volta, però egli non diverrà mai tuo amico! Se tu invece, di fronte al male ricevuto da lui, gli rendi, al tempo opportuno e nel momento del bisogno, un beneficio, allora il peccato commesso contro di te gli si affaccerà alla memoria, se ne pentirà amaramente e da quel momento in poi diverrà il tuo più fervente amico!

11. E così il beneficio con il quale si vedrà ricambiata la sua cattiva azione, avrà l’effetto di migliorarlo per sempre, ma la punizione inflittagli per la sua stessa cattiva azione lo inciterà invece ad esserti sessanta volte ancora più nemico di prima!

12. Infatti se il primo peccato commesso contro di te ha la sua origine piuttosto in una specie di dispetto e di gioia per il male altrui, il secondo scaturirà certo dal sentimento dell’ira e della vendetta e perciò Io ve lo ripeto: “Fate così come Io prima vi ho detto e la grazia di Dio e la Sua benedizione saranno vostre in abbondanza”.

13. Infatti chi vuole essere veramente benedetto da Me, deve accogliere nei fatti la Mia Parola, nella quale risiedono ogni grazia, ogni luce, ogni verità ed ogni potenza, altrimenti non sarebbe possibile farlo partecipe di una qualsiasi grazia.

14. E voi tutti prendete esempio da Me, che sono di tutto cuore mansueto e umile ed uso con ciascuno la maggiore pazienza! Non splende il Sole ugualmente sul buono e sul cattivo e sopra il giusto e l’ingiusto? E la pioggia benefica e feconda non cade tanto sul campo del peccatore che su quello del giusto? Siate dunque perfetti com’è perfetto il Padre che è nel Cielo e la grazia e la benedizione dai Cieli saranno vostre in abbondanza. Comprendete voi queste cose?»

15. Dicono tutti: «Sì, o Signore, noi ora comprendiamo benissimo tutto! Così tutto è vero e buono e di conseguenza in un ordine perfetto e noi ci daremo la maggior cura possibile di osservare tutto alla lettera, ma nonostante ciò, almeno da principio, la cosa ci costerà una grande fatica»

16. Dico Io: «È vero, Miei cari amici, in questo tempo il Regno dei Cieli esige violenza! Coloro che non lo strapperanno a sé con violenza, non lo possederanno! Ma chiunque si sobbarca una lotta a causa dal Regno del Cieli, è un saggio e un costruttore accorto. Ora un costruttore accorto e saggio non edifica la sua casa sulla mobile sabbia, ma la fissa sulla solida roccia e quando poi viene la tempesta e l’inondazione, la casa non può risentirne nessun danno, appunto perché le sue fondamenta poggiano sulla roccia.

17. E così altrettanto avviene nella lotta per il Regno del Cieli: quando qualcuno lo ha bene conquistato in sé, lo possiede in modo indistruttibile per l’eternità. Qualsiasi tempesta del mondo potrà scatenarsi contro di lui; ma non sarà affatto possibile che egli ne abbia danno; ma chi non lo ha conquistato in sé mediante tutta la sua forza e il suo coraggio, quando verranno le tempeste del mondo sarà trascinato nei suoi vortici e perderà per giunta quello che possedeva prima! Fate bene attenzione a tutte queste cose, perché verranno tempi nei quali voi ne avrete molto bisogno»

18. Dicono allora i barcaioli: «Oh Signore, per tutto quello che ci hai detto e fatto, noi non possiamo fare altro che ringraziarTi nella semplicità del nostro cuore. Noi vediamo anche troppo bene che l’uomo, di per sé, non può dare niente a Dio che egli non abbia già prima ricevuto da Lui, tuttavia accogli, o Signore, questo nostro ringraziamento come se avesse un qualche valore ai Tuoi occhi e comandaci quello che per amor Tuo ed in Tuo onore dobbiamo fare»

19. Dico Io: «Io ve l’ho già detto. Fate così e di altro non c’è affatto bisogno. Ma ora raccontateci tutto quello che avete visto e forse anche udito la scorsa notte, dato che la gente di mare vede spesso nella notte cose assai strane. Però siate brevi nel vostro racconto e badate di non aggiungere niente né di omettere di proposito cosa alcuna riguardo a ciò che sapete».

 

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Cap. 160

Racconto dei barcaioli riguardo agli avvenimenti della notte precedente.

 

1. Noi tutti prendiamo posto sul bellissimo prato, facendo circolo intorno ai barcaioli, soltanto Raffaele rimane in piedi, ma uno dei barcaioli gli dice: «Giovanotto, puoi sedere anche tu, il prato è ancora un bene comune e non c’è bisogno che nessuno paghi niente per sdraiarvisi sopra!»

2. Ma l’angelo risponde: «Voi narrate intanto, io mi siederò quando sarò stanco di starmene in piedi. Oltre tutto poi potrebbe accadere che l’uno o l’altro di voi perdesse l’equilibrio ed allora sarei maggiormente pronto ad aiutare qualcuno a rimettersi in piedi»

3. Dice il barcaiolo: «Ma guarda un po’ questo sbarbatello di quindici anni! Non vedi che ti penzolano ancora le fasce giù dalle gambe e credi di avere già la forza per alzare qualcuno di noi se dovesse cadere? Mio caro, questo si chiama avere un po’ troppa fiducia nelle proprie forze!»

4. Dice l’angelo: «Cominciate una buona volta il racconto secondo il desiderio del Signore, in quanto al resto, si vedrà poi quello che eventualmente sarà necessario».

5. Con ciò, dato che il barcaiolo era una persona rozza, si quieta, e il mastro barcaiolo comincia la seguente narrazione: “Era circa il tempo della prima vigilia, quando improvvisamente ed in maniera quanto mai strana si fece chiaro come se fosse stato giorno, però, non conoscendo la sua vera causa, pensammo che forse, dietro le montagne, ci fosse qualche cosa che ardesse in gran massa, in modo da diffondere tutta quella luce nell’atmosfera. Ma il chiarore evidentemente arrivava da troppo lontano, perché noi lo potessimo attribuire a qualche fuoco terreno; comunque stessero le cose, il chiarore c’era e durò quasi tutta la notte, anzi, in qualche momento divenne tanto forte da farci credere che fosse già giorno fatto. È facile immaginare che la strana apparizione non mancò di destare in noi un po’ di inquietudine. Anche molti cittadini vennero fuori da noi per informarci, pensando forse che il chiarore provenisse dal mare.

6. Ma ben presto un altro fenomeno molto più meraviglioso ancora richiamò l’attenzione di noi tutti! Noi dalla riva volevamo esplorare maggiormente la vasta superficie del mare. Ed ecco – e noi vi preghiamo di non ridere – non c’era più una goccia d’acqua dentro e la nostra navicella poggiava sul fondo! Così noi avemmo occasione di ammirare tutto il fondo marino. Era una cosa da far spavento! Il nostro battello era appoggiato su uno sperone di roccia alto parecchie misure d’uomo. Ma qui, nella insenatura verso Genezaret, l’acqua è quasi dappertutto poco profonda e noi potemmo camminare sul fondo del mare e raccogliemmo una quantità di conchiglie e di chiocciole molto belle e rare.

7. Ma mentre badavamo pacificamente soltanto alla nostra raccolta, all’improvviso ci fu un gran lampo a cui seguì un fortissimo scoppio di tuono. Allora ci rifugiammo in fretta e furia sulla riva, abbandonando le nostre belle conchiglie, che non ci fidammo più di andare a riprendere, cosicché, salvo un paio che io avevo riposto nella mia bisaccia, esse rimasero là dove le avevamo trovate. Quando, circa verso la terza vigilia, l’acqua ricomparve e la vedemmo bagnare nuovamente le rive, soltanto allora la stranezza del fenomeno ci apparve in tutta la sua realtà e ci mettemmo a pensare cosa mai poteva essere accaduto da far così scomparire interamente fino all’ultima goccia tutta l’acqua di un mare che pure è abbastanza grande!

8. Un certo vecchio, che dovrebbe essere anch’egli di questo paese, ci disse che apparizioni di questo genere sono, di quando in quando, provocate dagli arrabbiati spiriti delle montagne e dell’aria, i quali vogliono così punire gli spiriti dell’acqua! Noi ci facemmo su una risata, ma in mancanza d’altro anche una spiegazione balorda è meglio che niente. Poi, alla quarta ed ultima vigilia, si fece più buio e allora salimmo sul nostro battello e ci mettemmo un po’ a dormire; quando ci svegliammo, il nostro bel Sole era abbastanza alto e ci demmo da fare per procurarci la colazione. Questo è brevemente tutto quello che ci è accaduto e che abbiamo osservato durante la scorsa notte».

 

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Cap. 161

Il barcaiolo e Raffaele.

 

1. Quando il mastro barcaiolo ebbe terminato questo racconto, l’altro rozzo barcaiolo, che aveva prima questionato con Raffaele, volendo recarsi alla navicella, per prendervi alcune conchiglie raccolte la notte sul fondo asciutto del mare e che anch’egli era riuscito a salvare nella fretta della fuga, pose camminando un piede in fallo e cadde lungo e disteso a terra. I suoi compagni allora cominciarono a canzonarlo e dissero: «Ecco l’eterno uomo maldestro!». E l’uomo che era ancora a terra si infuriò.

2. Ma Raffaele in un attimo gli fu vicino e lo aiutò sollecitamente a rimettersi in piedi e disse: «Vedi che a qualcosa è servito il mio rimanere in piedi, perché al mio spirito si era presentata la convinzione che tu oggi saresti caduto, ed infatti sei caduto ed io, il debole sbarbatello, ho potuto – si spera con sufficiente rapidità – sollevarti da terra e ridonarti così il libero uso dei tuoi piedi un po’ maldestri!»

3. Il barbuto barcaiolo rispose borbottando: «Va bene, per questa volta va bene, ma i giovanotti della tua specie sono spesso portati a giocare di nascosto qualche tiro alla gente come noi e dispongono le cose in modo che poi un qualche malanno succede davvero! Oh, io le conosco già bene queste burle! Del resto tu mi sembri un buonissimo ragazzo, ma non sei un uomo ancora e questo basta! Un giovanotto ha sempre qualche diavoletto della burla in corpo, perciò è meglio che tu ti tenga un po’ alla larga, per lo meno di tre passi dal corpo!».

4. Dice Raffaele: «Amico, ti sbagli di grosso sul conto mio, ma io ti perdono, perché non sai chi hai dinanzi, nella mia persona!»

5. Dice il barcaiolo: «Suvvia, cosa si può essere in qualche modo a quindici anni? Tutt’al più un qualche principe di Roma o di qualche altro luogo! O saresti, forse, così un’appendice un po’ onnipotente del nostro buon Signore Dio?»

6. Risponde Raffaele: «Sì, appunto, sono qualcosa di simile! Ma adesso va’ sulla navicella e portaci le tue conchiglie!».

7. Il barcaiolo, sempre brontolando, se ne va e dopo pochi istanti è di ritorno portando con sé un paio di conchiglie ed un nautilo che mostra a tutti.

8. I tre pezzi erano belli realmente, però naturalmente non avevano un particolare valore e Raffaele gli disse: «Come ricordo sono abbastanza buoni, ma un certo valore non l’hanno. Cosa ne farai?»

9. Dice il barcaiolo: «Oh, oh, giovanotto, i passeri si possono pigliare a questo modo, ma non già un vecchio navigato come sono io! Tu vorresti prenderti per niente le tre conchiglie, ma il vecchio Disma non è tanto stolto quanto forse pare! I tre pezzi costano tre denari d’argento, non un centesimo di meno, se hai i tre denari dalli qua ed i tre bei pezzi sono tuoi!».

10. Dice Raffaele: «Il prezzo di tre denari sarebbe per me il meno, ma non mi suona bene che tu voglia vendere una cosa che, a stretto rigore, non è neppure tua piena proprietà! Vedi, in questo golfo il diritto di pesca spetta da tempo immemorabile ai cittadini di Genezaret, oppure a colui cui essi l’hanno ceduto in appalto. Queste tre conchiglie tu le hai raccolte nella zona che dipende da Ebal, che ha appunto in appalto queste acque, quindi, a stretto rigore, esse appartengono a lui; soltanto quando egli te le avrà donate, saranno del tutto tue ed allora potrai anche disporne come di una tua proprietà» 

11. Esclama Disma: «Ma guarda qui di nuovo questo sbarbatello! Egli parla come fosse un giudice di Roma! Saresti per me davvero un bell’avvocato! State a vedere che finirà con il contestarmi il possesso anche degli stracci che ho addosso! Caro mio, il mare costituisce dappertutto il mondo dove vive e si muove un marinaio, ora tutto quello che gli fruisce l’acqua, sia in un golfo, sia in mare aperto, non appartiene ad altri che a lui soltanto e con ciò sono messe da parte tutte le massime del diritto che tu sembri aver imparato a memoria, perché una certa infarinatura di diritto l’ha anche uno di noi! Dunque dà qui i tre denari d’argento ed io ti consegnerò le tre conchiglie!»

12. Dice Raffaele: «Non ne faremo niente! Fino a tanto che il nostro Ebal non dichiara che sono tue, io non posso comperarle da te».

13. Allora Disma si rivolge ad Ebal e gli domanda cosa egli pensi dell’asserzione del giovane.

14. Ed Ebal risponde: «A stretto rigore, il nostro Raffaele è dalla parte della ragione ed io certamente potrei reclamare questi tre pezzi in mio possesso, ma se c’è uno che non ha fatto mai uso di questo diritto, né mai lo farà sono precisamente io e di conseguenza le conchiglie appartengono ora materialmente a te, spiritualmente, però, tutto il mondo appartiene comunque a Dio, il Signore, e quindi anche queste tre conchiglie»

15. Di questa decisione anche il nostro Disma fu del tutto soddisfatto ed egli, rivoltosi a Raffaele, gli chiese: «Ebbene, come stiamo con i tre denari d’argento?»

16. Risponde Raffaele: «Eccoteli, ma ora consegna i tre pezzi ad Ebal, che li conserverà quale ricordo di questi tempi!»

17. Disma prese i tre denari e mise le conchiglie davanti ad Ebal, ma questi le diede a Giara dicendole: «Prendile e custodiscile assieme ai tuoi altri ricordi! Esse saranno per noi di grande valore»

18. Giara accetta con grande gioia le tre conchiglie ed esclama: «Oh, queste cose sono meravigliosamente belle! Quanta varietà e splendore di colori! In verità, guardando queste magnificenze si può e si deve esclamare con Giobbe: “Come sono belle, o Signore, le Tue opere! Chi le osserva con occhio d’amore non ne ha una gioia vana!”. Chi ha insegnato alla chiocciola l’arte di costruirsi una così bella casa? Eppure, senza travi e senza mattoni, essa supera in magnificenza tutti gli splendori reali della maestà di Salomone!».

19. Dopodiché Giara, volgendosi a Raffaele, lo ringrazia per il bel dono, però gli domanda pure, siccome tanto la chiocciola che le due conchiglie erano vuote del loro contenuto vivente, che fine avessero fatto gli animali che una volta avevano abitato in quelle belle dimore!

20. E Raffaele rispose: «Mia carissima Giara! I rispettivi animali sono morti già da parecchie migliaia d’anni e quindi i loro corpi sono già da lungo tempo andati in decomposizione, ma queste conchiglie, come sono ora, possono esistere altre migliaia d’anni ancora, senza perdere quasi niente né della loro forma né della loro bellezza. La loro materia è costituita da calce purissima e questa in stato libero non si decompone mai, particolarmente se immersa nell’acqua! Questo è quanto ti è concesso per ora di sapere, quello che va oltre a questa nozione lo apprenderai un giorno nell’aldilà in tutti i suoi reconditi significati».

Allora Giara rimase molto stupita, udendo parlare di simili età attribuite a quelle conchiglie.

 

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Cap. 162

Accoglienza dei farisei a Genezaret.

 

1. Ma in quello stesso momento giunge dalla città la notizia che la preavvisata comitiva di farisei e scribi di fresca nomina è arrivata da Betlemme e che ha presentato un ordine scritto firmato dal Tempio, diretto ai cittadini di Genezaret, con il quale si intima, a scanso di severe sanzioni, di trasportare con tutta sollecitudine gratuitamente la comitiva stessa a Nazaret per terra o per mare!

2. Ed Ebal, indignato per tale esigenza da parte del Tempio, esclama: «Signore! È da tempo che questa storia dura così, anno per anno, senza interruzioni! Tu sei qui da cinque giorni ed è già la quarta carovana di questi fannulloni che hai visto qui attraversare il paese, per andare di qua o di là in ogni luogo, lasciando, dove capitano per disgrazia, le tracce della devastazione, non di rado peggio di un nugolo di cavallette! Se il fatto si verificasse una decina di volte all’anno, ci sarebbe ancora da chiudere un occhio, ma tollerare due, tre e fino a quattro di simili scorrerie in una settimana e, per di più, stare a loro disposizione e soddisfare ogni loro pretesa, è una cosa da far perdere la pazienza anche ad un angelo, oltre a ridurre il prossimo all’elemosina! Cosa devo fare adesso? In verità io rendo a tutti i poveri ogni bene possibile, secondo le mie forze, tutti i giorni e molto volentieri, ma a questi birbanti, a questi genuini maestri di tormento della misera umanità, io vorrei augurare ogni morte e tutti i diavoli addosso a loro!»

3. Dico Io: «Amico, non ti scaldare, con la pazienza ad ogni modo arriverai sempre meglio e più lontano che non altrimenti! Del resto il disbrigo di questa faccenda lascialo pure al nostro amico Giulio; egli sicuramente si incaricherà di inoltrarli con molta sollecitudine a destinazione ed essi serberanno poi con tutta precisione il ricordo delle sue prestazioni, cosicché in seguito le loro visite alla città di Genezaret si faranno sempre più rare»

4. Dice il comandante al suo ufficiale: «Raduna presto venti uomini ed affrettati in città! Dichiara a quelle birbe spudorate che questa località, a causa del forte presidio militare che vi è stabilito, si trova in stato di assedio permanente e che non può né essere visitata né attraversata impunemente senza l’espresso ordine di qualche comandante superiore romano. E se qualcuno vi è penetrato, è prescritto che dopo aver scontato la pena gli vengano bendati gli occhi e turate le orecchie con l’argilla e poi legate le mani e i piedi, così conciato deve venire portato poi su di una barca, là disteso su della paglia ed immediatamente inoltrato al luogo che avrà prima indicato. Giunto a destinazione, gli verranno sciolte mani e piedi e liberati occhi e orecchie e sarà sbarcato con uno spintone, non senza prima averlo severamente ammonito, pena un maggiore castigo, a non ripetere il tentativo di mettere il piede in una località di presidio senza la legale autorizzazione di un qualche comandante superiore romano. Se i betlemiti non sono in possesso di un tale documento, trattateli così come vi ho detto, senza eccezione. Se hanno del denaro con sé, pagando duecento libbre d’argento possono ottenere il condono della punizione, altrimenti la quadruplice legatura o chiusura non può in nessun caso essere evitata, ma se non hanno denaro o se non vogliono pagare, siano inflitti a ciascuno, prima di venir legato, quindici colpi di verga sulla schiena, denudata fino ai lombi. Dixi fiat!». (Come ho parlato, così accada!)

5. Udito l’ordine del comandante, l’ufficiale con i venti uomini si diresse rapidamente verso la città, dove in casa di Ebal trovò quattordici farisei e scribi scalmanati che coprivano di ingiurie e maledizioni i servitori di Ebal, perché non volevano servirli pienamente secondo i loro sfrontatissimi intendimenti!

6. E quando l’ufficiale chiese loro che esibissero il permesso di passaggio, loro sfacciati risposero: «Noi siamo sacerdoti di Dio, qui sono le firme del Tempio ed altro non ci occorre in nessuna parte del mondo!».

7. Osserva l’ufficiale: «Questa località si trova in permanente stato d’assedio; e qui ha vigore una severissima legge imperiale, in forza della quale a nessun forestiero, senza eccezioni, è lecito mettere piede, a meno che non abbia con sé quel certo documento legalizzato! L’ignoranza della legge non scusa nessuno! Siccome voi, a quanto vedo, questa carta non l’avete, o pagate immediatamente duecento libbre d’argento a titolo d’ammenda o, se vi piace di più, ciascuno di voi riceverà quindici colpi di verga sulla schiena nuda! Dopo ciò, vi verrà applicato il ben noto quadruplice vincolo, secondo la prescrizione di Roma, e sarete poi trasportati nel luogo che vorrete indicare. Tutto ciò deve avere corso senza la minima discussione, perché ogni indugio ed ogni tracotante obiezione porta con sé il raddoppio della pena!».

8. I farisei e gli scribi, nell’udire un simile discorso, fanno subito chiamare il maestro di casa di Ebal e gli ordinano di prestare loro immediatamente duecento libbre d’argento! Ma costui risponde: «Che io sappia, il mio padrone non vi ha fatti mai chiamare qui, come potete pretendere che egli paghi per voi? Infatti prestare a voi qualcosa sarebbe come gettare i propri denari in mare! Voi avete pur fuori quattordici asini ben carichi! Basta che alleggeriate il carico di quelle bestie di duecento libbre e garantirete così le vostre schiene dalle carezze pesanti della verga. Dunque, per parte mia non vi do uno statere!». 

9. A questa risposta del buono e fedele maestro di casa Ebal, i farisei e gli scribi fanno un viso molto arrabbiato, escono sotto la scorta, per loro molto sgradita, dell’ufficiale e liberano subito i loro animali da soma dal peso eccessivo di duecento libbre d’argento.

10. Preso in consegna il denaro, l’ufficiale applica loro i noti vincoli e li fa trasportare su di una grande barca assieme ai loro animali da soma, qui vengono messi a giacere sulla paglia come tanti vitelli e poi, sempre accompagnati dalla scorta militare che fa buona guardia, vengono inoltrati per via mare là dove avevano detto di essere diretti. I giovani farisei e scribi gemono certamente e fanno grandi lamenti, ma una volta tanto tutte le loro querele non servono a nulla. L’ufficiale, invece, dopo un’ora è di ritorno da noi e ci racconta come egli abbia eseguito con assoluta esattezza tutti gli ordini che il comandante gli aveva impartito.

11. Il comandante allora gli esprime la sua lode e poi gli chiede dove ha messo il denaro incassato.

12. E il sottufficiale risponde: «Signore, io nel frattempo l’ho consegnato al maestro di casa di Ebal, che è un perfetto galantuomo, perché lo custodisca. Tu poi farai quello che vorrai delle duecento libbre d’argento».

13. Dice il comandante: «Benissimo! Così credo che quei figuri non si dimenticheranno tanto presto della nostra Genezaret! Che strada faranno? Faranno direttamente la traversata per di qua o passeranno per il piccolo braccio di mare a settentrione, oppure addirittura prenderanno la via ancora più a settentrione, separata dal piccolo braccio soltanto da una strettissima lingua di terra fino al mare e che tuttavia è larga e profonda abbastanza da concedere il passo ad una barca con una trentina di persone senza toccare la melma del fondo?»

14. Dice l’ufficiale: «Considerato che oggi è il sabato degli ebrei, per evitare che la cosa suscitasse inopportunamente rumore, ho disposto appunto che venissero avviati per il passo menzionato da te per ultimo»

15. Dice il comandante: «Hai agito molto bene e saggiamente! Presto otterrai la tua promozione, il comandante Giulio te lo assicura. Per adesso è opportuno che questi si ricordino bene di Genezaret e che passi loro la voglia di ritornare così presto da queste parti».

 

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Cap. 163

Il comandante Giulio racconta alcuni episodi con i templari.

 

1. Dice il comandante: «Credete a me, con questa gente bisogna procedere senza pietà, altrimenti non si ha un momento di pace. Io non sono di certo l’uomo che ha provato piacere quando, costretto dalle circostanze, ho dovuto far punire qualche peccatore indurito e maligno; ho sempre cercato di vagliare tutte le circostanze che possono indurre un uomo a commettere un crimine, ma a questi ebrei, servitori del Tempio, sarei capace io stesso e con gioia di separare la testa dal tronco, perché essi sono veramente i peggiori ed i più ostinati delinquenti contro la povera umanità. In verità, se li si osserva rigorosamente, ci si persuade ben presto che, sotto quella veste assai malamente colorita da una specie di moralità religiosa, si nasconde un essere più che diabolicamente mostruoso!

2. Io stesso ho potuto convincermi con i miei occhi e con le mie orecchie, quando ero di guarnigione a Gerusalemme, con che insistenza e con quali argomenti sono riusciti ad infinocchiare un povero diavolo che aveva due denari in tasca, così da indurlo a gettarli tutti e due nella cassetta delle elemosine! Il poveraccio, buon uomo ma debolissimo, depose realmente un denaro nella cassetta e si scusò di non potervi mettere anche il secondo, perché doveva fare ancora un lungo cammino prima di arrivare a casa sua e la moneta che gli restava gli era necessaria per sostentarsi durante il viaggio! Ma questo non servì a nulla: i farisei gli fecero comprendere che sarebbe stato salutare per la sua anima, anche se durante il viaggio fosse morto di fame, per amore e per la gloria di Dio e del Tempio! Se invece egli avesse tenuto per sé quel denaro che Dio per bocca loro gli chiedeva, la sua anima non sarebbe in eterno mai più potuta giungere alla mai abbastanza vantata contemplazione di Dio, ma invece gli sarebbe toccato in sorte di dover bruciare per l’eternità entro le fiamme dell’Ira di Dio! Il poveretto a questo discorso divenne tutto pallido, cominciò a tremare, prese con mano incerta la sua ultima moneta e depose anche questa nella cassetta delle elemosine. Quei figuri poi si misero a borbottare qualcosa che somigliava ad una preghiera a vantaggio di quel povero diavolo e così lo congedarono.

3. Io però seguii quel disgraziato che se ne andava tutto melanconico e, quando fummo totalmente fuori del Tempio, lo avvicinai e gli dissi, in tono amichevole ma serio: “Mio buon amico, come mai potete voialtri essere così deboli da lasciarvi spremere a suon di chiacchiere fino all’ultimo statere da questi ladroni? Quanto quei loschi figuri del Tempio vi vanno raccontando, essi stessi non lo hanno mai creduto, ma sanno che gli uomini deboli, nella loro cecità, li considerano onniscienti semidei, perciò, incutendo spavento per mezzo delle parole, estorcono loro quanto possiedono e poi se la spassano in bagordi a spese del prossimo, lasciando che coloro che hanno spogliato muoiano di fame per la strada. Eccovi qui altri due denari, prendeteli ed andate a casa vostra, ma badate di non venire qui un’altra volta, perché state pur certi che questa presunta casa di Dio non è ormai che una spelonca di assassini e un covo di ladri, di cui un vero Dio non potrà assolutamente mai compiacersi!”.

4. Quell’uomo mi guardò allora alcuni istanti con la faccia stralunata, prese le monete dalla mia mano e disse infine: «O nobile signore! Tu devi saperne molto più di me ed avrai certamente ragione!». Dopo di che egli si congedò e fece ritorno al suo paese.

5. Nel Tempio io ho assistito personalmente mille volte ad episodi di questo genere, anzi, una volta mi accadde di essere presente al seguente fatto, di cui il personaggio principale era, come al solito, uno di questi curatori di anime. 

Quel tale era intento a sfoggiare tutta la sua eloquenza allo scopo di persuadere una giovane la cui madre era bensì ricca, ma, da donna ragionevole e più intelligente di altre, non aveva ancora mai arricchito di un solo denaro la famosa cassetta delle elemosine del Tempio. Il sacerdote dimostrava chiaro come il Sole alla figlia che essa sarebbe stata perduta per l’eternità, qualora non si fosse impegnata per derubare la madre di nascosto, gettando poi il denaro nella cassetta delle elemosine! Per fortuna la figlia, come la madre, era di sentimenti rigidamente samaritani, cosicché quell’ipocrita ed imbroglione non riuscì a indurre la giovane al furto, ed io ne fui assai contento.

6. In simili occasioni io più di una volta ho pensato: “Se io fossi prefetto di Gerusalemme, il Tempio sarebbe già da lungo tempo ripulito di tutta questa ciurmaglia!”. Ma nella mia posizione di uomo assolutamente subordinato ad un prefetto di Roma, altro non posso fare che eseguire gli ordini.

7. Ora con Ponzio Pilato non c’è e non ci sarà mai niente da fare ad un simile riguardo; egli è uno che scruta la natura, un amico per la pelle degli scienziati di Pompei e di Ercolano, e si cura assai poco degli affari del governo; egli lascia che Erode ed i signori del Tempio facciano quello che a loro piace, purché il tributo dovuto a Roma venga puntualmente pagato. Per mia buona sorte io qui non sono sotto il comando di Ponzio Pilato, bensì sotto quello di Cornelio e questi a sua volta è agli ordini del vecchio padre Cirenio, savio e giusto quanto mai, il quale, al pari di me, è un nemico giurato del Tempio. Per tale ragione, nella mia posizione libera e del tutto indipendente da Gerusalemme, posso trattare come si meritano i farisei e quei rinnegatori di Dio che sono gli scribi quando mi capitano sotto le mani ed io penso che Tu, mio vero Dio e Signore, non imputerai certo tale cosa a peccato!».

 

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Cap. 164

Sulla successione di Gesù

 

1. Gli dico Io: «Per Me tu sei puro; soltanto vedi di fare sempre attenzione, in ogni tua azione diretta a guidare e governare l’umanità, a non scordare mai che anche il peccatore è tuo fratello!

2. Quando senti che nel tuo cuore cova l’ira contro il peccatore che ha meritato un giusto castigo, deponi subito la sferza punitrice, perché, a causa della tua ira, essa non sarà una benefica correttrice, ma una serpe, che nel ferire il viandante con il suo morso velenoso non gli versa un balsamo salutare, bensì un veleno che spegne nel ferito la vita.

3. E non credere di esserti sbarazzato di un nemico quando lo hai mandato a morte, poiché, se durante la vita terrena non ti fu che un semplice nemico, dopo la morte del corpo, quale spirito libero, egli ti diverrà nemico cento volte di più e ti tormenterà in cento modi per tutta la tua vita e non ti sarà possibile trovare alcun mezzo per poterti liberare del tuo invisibile nemico. 

4. Dunque, quando punisci qualcuno, fallo con amore e mai con l’ira! Perciò anche avendo a che fare con i farisei, non eccedere mai dai limiti. Non devi in fondo dimenticare che essi sono delle cieche guide di ciechi! Però è il mondo che li rende ciechi, ma il mondo è di Satana, che tu hai imparato a conoscere.

5. Vedi, in Me risiedono ogni forza e potenza sopra il Cielo e sulla Terra. Io solo con un pensiero potrei annientarli tutti, eppure li tollero pazientemente e li sopporterò fino al tempo giusto in cui la loro misura sarà diventata colma.

6. Gli uomini muovono anche Me a sdegno e la loro incorreggibilità rende triste il Mio cuore, ma tuttavia li sopporto e li punisco sempre con amore, affinché abbiano a migliorarsi e possano entrare nel regno della vita eterna, per il quale soltanto sono stati creati. Dunque, se tu vuoi essere un giudice giusto, Mi devi seguire in ogni cosa!

7. Certamente è più facile pronunciare una sentenza contro qualcuno che emanarla a carico proprio, ma chi prende su di sé la sentenza di un uomo che è stato condannato ed ha cura di lui e lo aiuta a risollevarsi, costui sarà un giorno chiamato grande nel Regno di Dio. Prendete nota voi tutti di questo che ho ora detto, poiché, se sono Io che così ordino e così voglio che sia, voi non potete fare che sia altrimenti. Io sono il Signore della Vita e della morte! Ed Io solo so cosa sia veramente la vita e cosa ci voglia per mantenerla nell’eternità e per goderla in perfetta beatitudine.

8. Se voi vivrete secondo la Mia dottrina, manterrete la vita e ne goderete in beatitudine perfetta, ma se opererete contrariamente ad essa, voi perderete la vita ed entrerete nel regno della morte, che è lo stato più infelice di ogni vita ed è un fuoco che mai si estingue ed un verme roditore che non muore mai!».

9. Dice il comandante: «Signore! Io vedo fin troppo bene la necessità di tutto ciò che hai detto, ma in pari tempo anche l’immensa difficoltà di vivere rigorosamente secondo le Tue parole. Il livellare delle piccole colline non è certo una grande arte, ma quando ci stanno contro montagne intere di impedimento e di difficoltà, allora è già del tutto impossibile procedere per una via diritta. E in ciò, o Signore, ci è necessario il Tuo aiuto!».

10. Dico Io: «Ma Io sono venuto a questo mondo appunto per portare a tutti voi un aiuto, laddove da voi stessi non avreste trovato in eterno mai una via d’uscita! Dunque, confidate sempre nel Nome Mio e su di Esso sempre edificate ed in tal modo vi si renderà possibile anche quello che vi sembra impossibile! Ora però faremo ritorno a casa, perché il Sole è già vicino al tramonto».

11. Allora il mastro barcaiolo domanda fino a quando avrebbero dovuto tenere pronta la barca per una eventuale partenza.

12. Ed Io gli dico: «È necessario che ad ogni ora voi siate pronti alla partenza, affinché, se il padrone della navicella viene innanzi tempo, egli non vi trovi pigri ed inattivi e non vi dia la ricompensa e vi licenzi! Eppure servire Dio è facile, mentre molto difficile è servire gli uomini!» 

13. Chiede ancora il mastro barcaiolo: «Signore, se i farisei che sono partiti ieri per Gesaira, probabilmente in funzione di missionari, per tentare di riguadagnare al Tempio la maggior parte degli ebrei che si sono convertiti alla fede greca, ritornassero qui e volessero ingaggiare con noi una disputa riguardo all’interpretazione del salmo 47, come anche ci hanno promesso, cosa dobbiamo dire loro?»

14. Ed Io rispondo: «Promettete loro sette buoni denari se sono capaci di spiegarvi bene il salmo. Se ve lo spiegano male non date loro nulla, ma se non possono spiegarvelo affatto vi sia riservato il diritto di richiedere da loro sette buoni denari e di prenderli per voi, sotto minaccia di far ricorso all’assistenza militare qualora si rifiutassero al pagamento!»

15. Dice il comandante: «In questo caso basta che vi rivolgiate a me ed essi dovranno pagare sette volte sette denari senza pietà e senza riguardi!»

16. Con ciò i barcaioli furono perfettamente rassicurati e noi facemmo ritorno alla città e rientrammo in casa di Ebal dove, essendosi fatta già sera, tutta la servitù era affaccendata al completo nei preparativi di una buona cena. Il comandante, da parte sua, per prima cosa si fece dare le duecento libbre d’argento e le consegnò poi ad Ebal con le parole: «Prendi questo denaro in tuo possesso, quale un piccolo risarcimento per le molte centinaia di poveri ed ammalati che hai assistito e dai quali non hai mai preteso neanche uno statere! Tu però sei in questa città veramente l’unico uomo degno di questo nome! Tutta l’altra gente di questo luogo non merita affatto l’onorifico nome di uomo, perché sono tutti completamente morti e non si curano di niente e non fanno né pensano a niente. Pensate forse che tutti i miracoli che sono stati fatti qui in questi pochi giorni abbiano lasciato una qualche impressione su questa gente? Oh, proprio nessuna! Questi fifoni vanno in giro come prima l’uno intorno all’altro come se niente fosse accaduto. Certo, quelli che erano ammalati si sono lasciati guarire ma a mala pena hanno ringraziato per questo e oggi non ci pensano quasi più al fatto che erano malati e che sono stati completamente guariti dalla loro malattia in modo estremamente meraviglioso! Per queste ragioni il nostro buon Ebal è anche l’unico uomo che vi sia in questa città; tutto il resto è senza esagerazione più bestia che uomo!».

17. Ebal allora prende in consegna il denaro, assicurando che sarà da lui impiegato nel modo migliore e più utile per il prossimo.

 

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Cap. 165

Scena fra Raffaele e Giara.

 

1. Definita anche tale questione, i servitori portano subito vino e pane e dei pesci ben preparati in buon numero e tutti prendono posto alla mensa. Giara porta con sé Raffaele a tavola e gli mette davanti un pesce ben grande, perché lo mangi, ma Raffaele osserva: «Mia diletta sorella, questo sarebbe in verità un po’ troppo per una cena; offrimi dunque un pesce più piccolo!» 

2. Dice Giara: «Oh, se ti ho visto oggi come hai mangiato a pranzo diversi pesci! Perciò potrai ben arrivare a finire questo anche stasera! Mangia, dunque! Guarda qui il mio Signore Gesù: è certamente uno Spirito infinitamente più grande e sublime di te, eppure è il secondo pesce che mangia con manifesta compiacenza, poi beve del vino e prende anche sempre un pezzo di pane; dunque, fa’ così anche tu, dato che per il momento sei anche tu un uomo fra noi, non devi tenere in poco conto la nostra umanità per la ragione che di solito sei uno fra i primi angeli di Dio»

3. Risponde Raffaele: «Ebbene, se proprio lo vuoi, bisogna che mi adegui alla tua volontà. Tu sei una fanciulla troppo gentile e buona e per l’amore che ispiri non è possibile negarti niente». Detto ciò, Raffaele prese in mano l’intero pesce che pesava cinque libbre, lo accostò alla bocca ed in un attimo appena percettibile lo mangiò tutto.

4. E Giara, vista la cosa, esclamò sbalordita: «Ma come hai potuto inghiottire, per l’amor di Dio, così presto quel pesce così grande! Oh, amico mio! Con un simile appetito e con una simile capienza tu potresti mangiare molto facilmente anche un mostro marino arrosto! E, infine, anche l’enorme pesce, nel cui ventre Giona dovette languire per tre giorni, dovrebbe essere per te uno scherzo mandarlo nello stomaco in un solo boccone!»

5. Dice Raffaele: «Per me sarebbe, per così dire, uno scherzo anche il trovare posto a molte migliaia di tali pesci, però quello che oggi mi hai offerto è più che sufficiente! Io l’ho davvero molto gustato. Avrei potuto anche mangiarlo lentamente come te, ma allora ti saresti fatta l’idea che io sia già completamente un uomo di questa Terra e ciò non sarebbe bene per te, perché così la mia persona, precisamente la mia forma, potrebbe farti innamorare di me! Ma siccome io, all’occasione, ti dimostro che non sono completamente un uomo terreno, questa constatazione fa sì che tu sia trattenuta da un lieve timore e in tal modo ti è facile restare nel tuo piano, come io resto nel mio. Ti accadrà più di una volta ancora di dovermi vedere ideatore di qualche piccola azione maliziosa di questo genere! Se voglio, posso anch’io diventare proprio cattivo, ma in tali casi il mio essere cattivo ha sempre la sua savia ragione».

6. Dice Giara: «Questo veramente non mi piace di te, cioè che tu debba ricorrere a qualche cattiva azione anche per raggiungere uno scopo buono. Guarda qui il Signore, che è tutto l’amor mio, Egli raggiunge soltanto nobili o buoni scopi anche senza cattive azioni, allora perché non dovresti raggiungerle pure tu? Io sono dell’opinione, e questa non me la lascio togliere, che il male stesso suscita sempre dell’altro male e che soltanto il bene genera nuovamente il bene. Secondo me dico il vero affermando che, se qualcuno vuole raggiungere qualcosa di buono usando mezzi cattivi, costui si sbaglia di grosso, sia pure egli mille volte un angelo. Dunque io ti chiedo di non venir fuori con niente di cattivo, altrimenti puoi startene anche lontano da me. Io non sono che una debole fanciulla, anzi un piccolo verme in confronto a te e tuttavia nel mio cuore alberga l’amore di Dio e questo non può sopportare niente che sia anche soltanto apparentemente cattivo. Mi hai compresa, mio caro Raffaele?»

7. Risponde Raffaele: «Oh, sì, questa è una cosa che si può ancora comprendere e perciò anch’io la comprendo molto bene, però tu invece, per quanto concerne la mia temporanea cattiveria, non mi hai compreso, e ciò risulta chiaro dal fatto che tu me l’hai rimproverato! Ma solo quando mi avrai compreso non sarai più indignata contro di me! Ma affinché tu ti convinca che la cattiveria celeste è essa pure una mirabile virtù, io voglio renderti la cosa chiarissima e palpabile mediante un breve esempio.

8. Vedi, noi spiriti del Cielo abbiamo un potere visivo molto vasto; il tuo pensiero non giunge tanto lontano quanto a noi è dato di vedere con un solo sguardo nella massima chiarezza. Ora accade molto spesso che qui e là, particolarmente su questa Terra, gli uomini divengano proprio davvero spavaldamente cattivi. Noi facciamo allora ogni sforzo possibile e tratteniamo l’uomo cento volte dallo sfidare qualche grave pericolo, ma l’uomo sente sempre di nuovo il prurito e la spinta ad esporsi al medesimo pericolo. E quando vediamo che tutti i nostri sforzi non approdano a nulla, lasciamo che finalmente l’uomo, nella sua spavalderia, cada pure nel pericolo che sembra attrarlo e permettiamo che si riduca così male che per lungo tempo ha un bel da fare a leccarsi le ferite. Poi avviene che, poiché ha imparato a proprie spese ed è divenuto prudente grazie all’esperienza, egli abbandona la sua spavalderia e la sua follia molto spesso maligna ed appare infine come un uomo che si è migliorato da sé.

9. «Succede ad esempio molto spesso che dei genitori non arrivino mai abbastanza in tempo e con sufficiente efficacia ad ammonire i figli e a distoglierli da questo o quel gioco che è spesso congiunto a gravi pericoli, allora interveniamo noi con la nostra celeste malizia e facciamo in modo che i fanciulli si facciano male, ma proprio per bene, con i giochi che furono loro proibiti, anzi qualche volta lasciamo che le cose giungano fino al punto che un fanciullo o l’altro debba pagare la sua disobbedienza anche con la morte, per intimorire e fare rinsavire gli altri. I fanciulli, poi, presi dallo spavento, sentono allora un salutare orrore per i giochi pericolosi e proibiti e vi rinunciano per sempre! In questi casi trova effettiva conferma il detto: “Un fanciullo scottato ha paura del fuoco”.

10. Anche per te alcuni piccoli anni terrestri fa ho messo in pratica un paio di volte una simile malizia celeste e questa ti ha reso dagli ottimi servizi, tanto che poco dopo sei diventata una fanciulla veramente brava e buona. Ebbene, dimmi ora: cosa ne pensi della mia cattiveria?».

 

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Cap. 166

Dell’amore, mitezza e pazienza.

 

1. Giara, colpita dalle parole dell’angelo, dice a mezza voce: «Oh, se le cose stanno a questo modo, certo che deve essere giusto così, se tu me lo avessi detto prima, allora non ti avrei fatto nessuna obiezione! Ammettendo come principio inviolabile la ben nota intangibilità del volere umano, laddove tutti i possibili mezzi pacifici e miti non possono ottenere alcun risultato, è evidente che altro non resta se non il ricorrere ai mezzi cattivi. Questo è vero, sicuramente vero; noi finiremo bene con l’intenderci, soltanto non devi diventare così presto troppo veemente. Tu mi piaci immensamente, quando parli in maniera piana e dolce, ma quando il tuo discorso comincia a fluire con irruenza davvero precipitosa, perfino la verità più pura non è buona da sentire dalla tua bocca.

2. Io penso che, anche in avvenire, tutti gli spiriti celesti, per quanto perfetti, debbano darsi la cura di parlare così come parla il Signore e il Creatore di tutti gli spiriti e di tutti i soli, mondi ed uomini! La parola del Signore, anche quando si tratta di argomenti serissimi, sgorga costantemente morbida, come è morbida la lana di un agnello, e le Sue parole scorrono come latte e miele. Dunque, è bene che anche ogni maestro ed ogni guida imitino il Suo esempio, perché, secondo il mio giudizio, nelle parole dette in tono dolce risiede sempre la massima forza! Chi grida e parla con violenza molto spesso offende, laddove intendeva guarire! Considera l’espressione sempre ugualmente amorevole del Signore nella Sua faccia, di fronte a tutti, amico e nemico che sia! Chi può meravigliarsi se gli ammalati riacquistano la salute solo perché Egli li ha guardati? Dunque, mio carissimo Raffaele, così devi essere anche tu nella parola e nell’azione verso di me e verso qualsiasi altro, allora sì che ogni tuo passo su questa Terra traboccherà di benedizione!»

3. Dopo che Giara ebbe finito il suo discorso, Io la strinsi al Mio petto e dissi a tutti coloro che erano presenti: «Ecco qui il più perfetto discepolo che Io abbia avuto finora e che in verità può far lezione ai Miei angeli, perché questa fanciulla Mi ha afferrato nel più profondo e così Mi ha compreso più vivamente di ogni altro! Ma essa perciò, in compenso, possiede anche in piena misura il Mio Amore.

4. In verità Io vi dico: quando voi ve ne andrete per il mondo ad insegnare ai popoli nel Nome Mio, ricordatevi bene delle parole che questa carissima e soave fanciulla ha ora detto al Mio angelo, e ogni vostro passo ed ogni vostro atto saranno accompagnati da ogni benedizione. Siate pazienti ed in ogni occasione pieni di mansuetudine e così spargerete in abbondanza le benedizioni nei cuori degli uomini. Il Mio angelo Raffaele, però, ha dovuto parlare così per attirare questa Mia dilettissima Giara all’enunciazione di tale dottrina; per il resto è egli pure dolce e soave come un tiepido venticello della sera e tenero come la morbidissima lana di un agnello». 

5. Tutti s’impressero bene in mente queste Mie parole e convennero che erano giuste e buone; soltanto il comandante trovò qualcosa da osservare e disse: «Tutto ciò è divino, puro e vero, ma se io parlassi ai miei soldati in un tono troppo dolce, farei una pessima figura ed essi a mala pena mi starebbero a sentire; quando invece nel mio discorso energico fa capolino qualche fulmine e qualche tuono, allora tutto procede sicuramente bene!»

6. Dico Io: «Ma qui non va tanto intesa una mansuetudine esteriore quanto piuttosto la vera mansuetudine interiore; laddove è necessario fare savio uso della cattiveria celeste, lo si faccia senz’altro, poiché la norma propria di ogni sapienza è questa: “Essere accorti come i serpenti, ma nello stesso tempo anche mansueti come sono le colombe”.

7. Dice il comandante, con la faccia rasserenata e con lieta voce: «Signore, ormai io ho quello che veramente mi occorre; così l’azione di un giusto è giustificata attraverso tutti i Cieli! Però è bene fare molta attenzione nel calcolo, in modo da non sbagliare nella misurazione della pretesa accortezza e qui, per dirla nel linguaggio scientifico di Euclide, vorrei asserire che ad una data misura di accortezza bisognerà sommare un’altra misura uguale d’amore, pazienza e mansuetudine, e si otterrà così un risultato privo di errori!»

8. Dico Io: «Sì, certamente, così il problema sarà impostato nel migliore dei modi, e il risultato pieno di benedizione sarà perfettamente garantito, e ogni giustizia ed ogni giudizio troveranno la loro piena giustificazione in ciò! Questo è il fondamento sul quale si può edificare, ma dove invece non ci sono fondamenta, non si può costruire alcun edificio. Perciò, prima di iniziare una costruzione, preparate dappertutto delle fondamenta di questo genere, così le vostre fatiche non saranno mai vane.

9. Voi provenite da Dio e dunque dovete anche essere in tutto simili a Dio. Ma Dio si prende tempo nel creare. Prima c’è il seme e fuori da esso il germoglio, dal germoglio poi cresce l’albero; questo a sua volta mette prima le gemme, poi le foglie e i fiori e per ultimo il frutto saporito, nel quale si trova di nuovo il seme originale che viene maturato nel frutto e reso atto all’ulteriore riproduzione.

10. Ma come in piccole proporzioni avviene della pianta, così è avvenuto anche del mondo intero. Il Sole non sorge sopra l’orizzonte senza essere annunciato e l’uragano è sempre preceduto da segni ammonitori che possono benissimo essere riconosciuti da ognuno!

11. Dunque, se Dio stesso osserva in tutte le cose, con assoluto rigore e con la più grande pazienza e costanza, un tale ordine nel succedersi delle formazioni, potrete bene anche voi, quali Miei veri discepoli, seguire Me in ogni cosa che vi ho mostrato e per la quale vi ho spianato la via, affinché non abbiate a smarrirvi su quella via che avete costruito da voi stessi! Avete tutti bene compreso quello che ho detto?»

12. Risponde il comandante: «Signore, per parte mia ho ben compreso tutto e credo che fra di noi non ci sia proprio nessuno che non abbia compreso queste verità celesti più chiare del Sole! A Te solo siano rese grazie e ogni gloria e onore per questo!»

13. Dico Io: «Tu credi benissimo che queste Mie parole siano state comprese da tutti i presenti qui. Certo, essi le hanno veramente comprese, anche quello le ha comprese con il proprio cervello, ma non con il proprio cuore!».

14. Questa Mia asserzione portò turbamento ed imbarazzo nell’animo di tutti, ed i discepoli Mi chiesero chi fosse colui al quale Io avevo voluto alludere.

15. Io però dissi: «Ancora non è il tempo di annunciare tale cosa giù dai tetti, ma quando il tempo sarà venuto, voi vi ricorderete bene di queste Mie parole. Chi di voi, però, nutre un qualche sospetto prima del tempo, lo conservi in cuor suo, perché conviene che nessun albero venga abbattuto!»

16. Da tali parole i discepoli arguirono che Io avevo voluto parlare di Giuda Iscariota, ma essi tacquero e non tradirono minimamente la supposizione fondata, sorta nel loro animo.

17. Dopo ciò, Matteo e Giovanni Mi domandarono se non sarebbe stato opportuno prendere nota per iscritto di un tale sublime insegnamento per il bene dell’umanità.

18. Ed Io dissi: «Voi intanto potete mettere per iscritto la dottrina dell’amore, della mansuetudine e della pazienza, però su un foglio separato, senza aggiungerlo al fascicolo principale già in corso di lavoro, perché, riguardo a questo argomento, Io avrò occasione di parlare ancora parecchie volte ed Io ben vi dirò quando sarà necessario scrivere. Ed ora noi riposeremo e ci dedicheremo nuovamente alla contemplazione interiore di noi stessi, che è una vera celebrazione del sabato in Dio!»

19. A queste Mie parole si fece silenzio in casa e rimanemmo in tal modo quieti e seduti per tre ore.

20. Trascorso questo tempo, Io dissi: «Ecco che ormai il sabato è compiuto e noi possiamo offrire alle nostre membra il necessario riposo!». Allora tutti si ritirarono per il riposo della carne. Il mattino era già abbastanza inoltrato quando ci alzammo dai nostri giacigli.

 

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Cap. 167

Congedo del Signore e partenza per Sidone e Tiro

(Matteo 15,21)

 

1. Dopo la colazione ci occupammo di svariatissime cose e, fra l’altro, Io diedi ad Ebal diversi suggerimenti in materia di agricoltura, su come doveva coltivare i campi e trattare i suoi frutteti e le sue vigne, affinché gli dessero sempre un abbondante raccolto che egli di certo avrebbe impiegato nel miglior modo possibile. Gli mostrai pure come si poteva nobilitare la frutta e renderne più abbondante il raccolto e gli insegnai la coltivazione e l’uso di molte erbe che da allora furono utilizzate in cucina. Io gli indicai anche diverse radici e tuberi che ugualmente potevano sempre essere usati come buon nutrimento e gli mostrai come si dovevano preparare tanto le erbe che le radici. A dirla breve, nei due giorni seguenti da Me trascorsi a Genezaret Io insegnai ad Ebal tante altre cose riguardanti la coltivazione del suolo che, fino ad allora, non erano a conoscenza di nessun ebreo. Io gli dissi poi ancora che le carni di lepre, di coniglio, di capriolo e di cervo, se preparate in un determinato modo, potevano anche queste fornire un arrosto puro e gustoso, senza che chi ne avesse mangiato diventasse perciò immondo, e gli indicai contemporaneamente anche l’epoca in cui questi animali dovevano venire presi ed uccisi. E così lo istruii riguardo a moltissime altre questioni e l’onesto Ebal ne fu oltremodo contento.

2. Coadiuvato poi dai Miei discepoli, piantai un orticello per Giara, vi seminai ogni tipo di piante utili, erbe e radici e le raccomandai di curarlo con ogni attenzione. Essa fra molte lacrime di gioia Me lo promise e disse che quando sarei ritornato avrei trovato l’orticello nel suo massimo sviluppo. E così, dunque, in casa di Ebal tutto si trovò ben presto in perfettissimo ordine.

3. In questo modo, fra queste utili e svariatissime occupazioni, trascorsero la domenica, il lunedì e il martedì, poi Io volli dare disposizioni per la continuazione del Mio viaggio, ma il comandante, Ebal con le mogli, le figlie, i figli e particolarmente Giara Mi pregarono con tanta insistenza e fervore di passare in casa loro ancora quella notte, ed Io accondiscesi e rimasi là fino alla mattina del mercoledì.

4. L’indomani, di buon mattino, vennero però alcuni dei barcaioli e raccontarono che i farisei erano bensì tornati il giorno prima da Gesaira ed avevano parlato con loro, ma non avevano fatto neppure menzione del salmo 47; ma in compenso, con tanta maggior diligenza, si erano informati di Me, perché intendevano chiamarMi a rispondere per aver allontanato da Gerusalemme tutta Gesaira! Ma i barcaioli a simili domande non avevano dato risposta, invece avevano preso da loro i denari d’argento che i farisei avevano pagato con grave indignazione ed accompagnamento di ingiurie; dopodiché erano risaliti sulla loro barca ed avevano ripreso il viaggio in direzione di Cafarnao, probabilmente per ottenere là informazioni più esatte sul Mio conto, sempre a detta dei barcaioli, al quale scopo veramente pare che essi fossero stati delegati tanto dal Tempio quanto da Erode.

5. E come Io ebbi appreso dai barcaioli questo fedele racconto, ordinai loro di mettere in partenza entro un’ora la nave per riprendere il mare; essi se ne andarono e fecero quanto da Me fu ordinato.

6. Ma quando Giara, che già di buon mattino era intenta a curare il suo orticello, entrò nella stanza dove Io Mi trovavo e sentì che Io ero in procinto di partire, cominciò a piangere amaramente e Mi supplicò di potermi fermare ancora almeno un’ora! Si sentiva il cuore addirittura oppresso al solo pensiero che essa – Dio sa per quanto tempo ancora – non Mi avrebbe più riveduto.

7. Io però la consolai e le diedi l’assicurazione che ben presto Mi avrebbe riveduto anche corporalmente, mentre spiritualmente avrebbe potuto parlare con Me quando le fosse piaciuto ed Io le avrei posto nel cuore sempre una risposta perfetta e chiara; oltre a ciò l’angelo Raffaele restava visibilmente presso di lei al posto Mio ed egli l’avrebbe guidata per la giusta via. Con ciò la fanciulla in lacrime si calmò.

8. Allora Io benedii tutta la casa di Ebal e Mi misi in cammino verso il mare dove la navicella ci attendeva. Va da sé che in questa occasione la casa di Ebal al completo, il comandante ed una grande quantità di popolo Mi accompagnarono fino alla riva.

9. I due esseni ed i pochi farisei e scribi convertiti Mi pregarono di permettere loro di accompagnarMi in qualunque luogo dove Mi sarebbe piaciuto andare.

10. Ma Io risposi: «È meglio che voi restiate qui, affinché il mondo non ne sia anzitempo indignato! Infatti gli uccelli hanno i loro nidi e le volpi le loro tane, ma il Figlio dell’uomo non ha qui una pietra da poter prendere come Sua assoluta proprietà e posarvi sopra il Suo capo. Siccome Io non possiedo beni su questa Terra e tuttavia conduco con Me una grande schiera di uomini, si comincerebbe a dire: “In quale modo Egli li nutre? È certo che Egli non ha né campi, né prati né greggi, dunque, o Egli è un ladro o è un imbroglione!”. Perciò, per evitare una simile cosa, restatevene qui e voi esseni andate dai vostri fratelli e raccontate loro tutto quello che avete udito e visto ed essi tutti si convertiranno e diverranno di sentimenti migliori.

11. E se voi, farisei e scribi, doveste eventualmente venire richiamati dal Tempio per dare informazioni o pareri sul Mio conto a coloro che insidiano la Mia Vita, non parlate delle Mie opere, ma invece tanto più ed apertamente della Mia dottrina! Non temete coloro che in caso estremo possono bensì uccidere il vostro corpo, ma non possono recare ulteriormente danno all’anima che sopravvive in eterno! Però essi non vi aggrediranno. E se vi respingono dal loro seno, andate dagli esseni che vi accoglieranno a braccia aperte»

12. Dice il comandante: «Oh, voi potete anche rimanere con me, io vi conferisco la cittadinanza di Roma e vi do delle vesti alla foggia romana ed una spada ed allora sicuramente sarete in pace e pienamente garantiti contro le trame del Tempio e dei suoi malvagi servitori»

13. Ed Io aggiungo: «Sì, certo, anche questo potete fare! Però siate sempre accorti come i serpenti e così potrete, nel modo migliore, trarvi d’impiccio di fronte al mondo».

14. Dopo ciò salii sulla navicella con i Miei circa venti discepoli in tutto e, essendosi levato un vento favorevole, ci dirigemmo con grande velocità verso la riva opposta, in direzione di Sidone e Tiro, città che si trovavano sul mare Mediterraneo e perciò certamente ancora ad una bella distanza dal mare di Galilea.

 

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Cap. 168

Scena con la donna cananea a Tiro

(Matteo 15,22-29)

 

1. Quando noi abbandonammo la navicella all’altra riva, ci restava da fare ancora una buona marcia sul territorio greco prima di raggiungere la regione delle due città. (Matt.15, 22). Arrivati che fummo ai confini della regione di Tiro, dopo averli oltrepassati mentre avanzava la sera, vedemmo venirci dietro di corsa una donna che era nativa di Cana di Galilea, ma già da quindici anni era sposata ad un greco, stabilitosi nei dintorni. Essa Mi aveva riconosciuto mentre la comitiva passava e cominciò a gridare: «Abbi pietà di me, o Signore, figlio di Davide! Mia figlia è malamente tormentata dal demonio!». (Matt.15, 23). Io però lasciai che gridasse, non le risposi nulla e proseguii il cammino.

2. Ma, poiché la donna gridava tanto forte da riuscire molesta ai discepoli, questi si avvicinarono a Me, trattenendoMi e dissero: «Allontanala da Te, dunque, perché essa va gridando già da mezz’ora, tanto che ne abbiamo gli orecchi tutti intronati! Se Tu non vuoi o non puoi aiutarla, ordinale almeno di lasciarci in pace, altrimenti la gente che passa qui per la strada comincerà a credere che noi abbiamo fatto del male a questa donna e se saremo fermati ci molesterà con domande di ogni specie!»

3. Ed Io in risposta dico ai discepoli: «Io non sono mandato, se non per le pecore perdute della casa d’Israele». (Matt.15, 24).

4. A queste Mie parole i discepoli si guardarono l’un l’altro meravigliati, non sapendo come avrebbero dovuto interpretarle e Giuda Iscariota Mi tacciò di incongruenza grave dicendo a Tommaso: «Qualche volta c’è proprio da dare la testa nel muro a certe Sue palesi contraddizioni tanto nel parlare che nell’agire! Nel caso di questa donna che Gli chiede soccorso, Egli dice di essere andato soltanto per le pecore della casa d’Israele, ma quando ha concesso ogni aiuto possibile ai romani, che sono più pagani di questa disgraziata mezza greca e mezza ebrea, Egli non ha pensato che era stato mandato solo per le pecore della casa d’Israele!»

5. Tommaso gli risponde: «Questa volta certamente non posso darti del tutto torto, però tuttavia io resto fermo nell’idea che in questo caso Egli avrà qualche ragione particolare per cui non vuole affatto aiutare questa donna!»

6. E mentre i discepoli così confabulavano tra di loro, la donna Mi venne vicino, si gettò ai Miei piedi e ripeté: «Signore, aiutami!». (Matt.15, 25)

7. Ma Io guardai la donna e risposi: «Non è cosa onesta prendere il pane dei figli e gettarlo ai cani!». (Matt.15, 26)

8. E la donna osservò umilmente: «Dici bene, o Signore, ma pure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla mensa dei loro padroni!»

9. Questa risposta riempì tutti i discepoli di meraviglia e Pietro osservò tra sé: «In verità è quasi incredibile! Assai di rado ho riscontrato tanta sapienza in una ebrea; la donna però è greca di nascita, quantunque abbia visto la luce a Cana di Galilea ed io la conosco per averle più volte venduto del pesce; da allora però sono certo trascorsi già quindici o sedici anni»

10. Ma Io guardai la donna e le dissi: «O donna, grande è la tua fede; ti sia fatto come tu vuoi!». (Matt.15, 28).

11. Allora la donna si alzò, Mi ringraziò e ritornò in fretta a casa sua, dove trovò sua figlia guarita. La gente, però, che era a casa presso la fanciulla, raccontò alla madre appena arrivata come il demonio fosse uscito visibilmente da lei con grande violenza e fra terribili maledizioni mezz’ora prima. E la donna riconobbe che ciò era avvenuto nello stesso momento in cui Io, trovandoMi al confine della regione di Tiro, le avevo detto: «O donna, grande è la tua fede; ti sia fatto come tu vuoi!».

12. Frattanto era scesa la sera ed i discepoli Mi domandarono se Io intendevo proseguire immediatamente per Tiro, oppure se avrebbero dovuto andare in cerca di un ricovero lì presso il confine, considerato che la città di Tiro era distante ancora tre ore di cammino.

13. Ma Io dissi ai discepoli: «Sapete una cosa? Invece di andare da qui verso occidente, dove si trova Tiro, noi volgeremo in direzione tra mezzogiorno ed oriente, per portarci di nuovo al mare di Galilea. Lì, proprio alla riva, s’innalza una bella montagna sulla cui cima completamente libera possiamo arrivare da qui comodamente in due ore; là noi pernotteremo».

14. A queste Mie parole procedemmo a piedi nudi; dopo un’ora giungemmo al mare di Galilea e contemporaneamente ai piedi del monte sulla cui cima arrivammo con calma in un’ora.

15. Appena arrivati sulla cima, ci coricammo sulla molle e folta erba alpestre e ci riposammo senza tuttavia prendere subito sonno.

 

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Cap. 169

Della possessione.

 

1. Dopo aver riposato qualche tempo, Pietro disse: «Signore! Molte cose mi sono ormai già chiare, ma la possessione da parte del demonio, particolarmente di fanciulli piccoli ed innocenti ed il fatto che essi di frequente vengono miseramente tormentati da un simile e pessimo abitante del loro corpo, questo non lo capisco!

Io non comprendo come la Tua sapienza e il Tuo ordine possano permettere un tale eccesso! La figlia della donna, che ci è corsa dietro oggi, dovrebbe avere 14-15 anni e, a detta della madre, è già 7 anni che viene tormentata ogni giorno per circa sette ore consecutive in modo indescrivibilmente crudele e doloroso da uno spirito. demoniaco. Io ora mi domando: perché è concesso che avvenga una cosa simile?»

2. Dico Io: «Queste cose il vostro intelletto non è in grado di comprendere ancora dalla radice, ma considerato che siamo qui assieme indisturbati, Io voglio tuttavia darvi qualche chiarimento a proposito; dunque, ascoltateMi!

3. La Terra è la portatrice di due specie o qualità di uomini. Una specie, la migliore, proviene già originariamente dall’Alto, e con questi sono da intendersi i figli di Dio. L’altra, e propriamente la cattiva specie, proviene unicamente da questa Terra; la loro anima è, in certo qual modo, un complesso di singole particelle vitali, le quali, tratte dall’essere di Satana, sono tenute prigioniere sotto forma di materia nella massa del corpo terrestre; da questa massa esse passano attraverso il regno vegetale e poi nel regno animale; e da qui, attraverso i molti gradini del regno animale, giungono finalmente a costituirsi in una potenza consistente di innumerevoli particelle animiche primordiali, che formano l’anima dell’uomo del mondo. Tali anime poi, durante gli atti procreativi specialmente non benedetti, assumono la carne nei corpi delle donne, e vengono poi messe al mondo esattamente come i figli della Luce proveniente dalla sfera spirituale celeste.

4. Ebbene, questi figli del mondo, il cui essere è tratto esclusivamente da quello di Satana, sono sempre più o meno esposti al pericolo di venir posseduti da qualche spirito maligno, cioè dall’anima nera di un qualche uomo-demonio già vissuto prima nella carne su questa Terra. Ora, questa cosa può particolarmente verificarsi, prima che in altre circostanze, là dove una simile giovane anima sorta dall’elemento satanico-terrestre cominci ad indirizzarsi al bene e al celestiale. Siccome con ciò una parte vitale tenta di staccarsi violentemente dalle sfere infernali, a tutto l’inferno ne deriva un dolore insopportabile, e perciò anch’esso corre ai ripari e fa ogni sforzo possibile per prevenire una tale ferita.

5. Tu certo domanderai ora come mai un fatto di questo genere possa causare all’inferno un dolore, poiché una simile anima di fronte all’inferno intero dovrebbe pur trovarsi in un rapporto ancora indicibilmente più piccolo e meschino di un peluzzo qualsiasi del corpo umano di fronte a tutto il corpo umano! Ed Io ti dico che la considerazione come tale è giusta; però afferra in un modo qualunque anche il più piccolo peluzzo fra quelli che crescono sulla tua epidermide e strappalo, e ti accorgerai se al momento dello strappo non sentirai un dolore acuto ed intollerabile non solo nel punto insignificante dove cresceva il peluzzo, ma bensì anche in tutto il tuo corpo; tale dolore ti porterebbe alla disperazione se dovesse durare ininterrotto una sola ora.

6. Da questa spiegazione, che ora ti ho dato, ti sarà già possibile ricavare una nozione un po’ più profonda del perché la possessione si manifesta sulla Terra, e come pure si manifesterà finché la Terra avrà esistenza.

7. Ma la possessione ha anche il suo lato decisamente buono per l’ossesso: infatti una simile anima, il cui corpo è posseduto da un qualche demonio, per virtù dei tormenti della propria carne viene evidentemente purificata e preservata dal maligno congiungimento con il proprio corpo. Al momento opportuno poi viene l’aiuto dall’Alto, e così un’anima del mondo viene completamente conquistata per il Cielo! DimMi ora se hai compreso in qualche modo quello che ho detto!» 

8. Risponde Pietro: «Si, o Signore, tutto mi è chiaro adesso; ma allora sarebbe meglio non aiutare affatto un ossesso, per quanto grave possa essere il suo male!»

9. Dico Io: «Se qualcuno si rivolge a te per avere aiuto, non devi negarglielo, perché la Mia preveggenza già ha cura che l’eventuale soccorso non giunga al richiedente prima che il tempo non sia perfettamente maturo ed utile per lui! Dunque, ad uno che chiede aiuto, non bisogna negarglielo. Comprendi ora questa spiegazione, anch’essa molto importante?»

10. Dice Pietro: «Si, o Signore, Tu solo sia ringraziato, e siano Tuoi ogni amore ed ogni gloria. Chi ha qualche intelletto per le cose divine, in sé deve anche riconoscere il supremo Amore e la suprema Sapienza di Dio!»

11. Dico Io: «Così, per l’appunto, voi non dovete perdervi d’animo dinanzi a nessuna apparizione su questa Terra per quanto brutta e ripugnante sia, poiché il Padre che è nei Cieli non le ignora, e meglio di ogni altro sa per quali ragioni Egli permette che avvengano!

12. E così pure le varie malattie, di cui gli uomini sono afflitti, non sono per lo più altro che impedimenti affinché l’anima non si unifichi con la carne, la quale carne perfino nei figli della Luce è tratta dal prigioniero essere di Satana; soltanto che nei riguardi dei figli della Luce vi è una differenza, e cioè che le loro sofferenze, quando la loro anima inclina ad unirsi alla carne, sono di iniziativa celeste. Anche le sofferenze dei figli del mondo sono in certo modo disposte e permesse da parte dei Cieli, ma sostanzialmente sono tuttavia sofferenze dell’inferno, delle quali il corpo del figlio del mondo, nella sua qualità di parte completa dell’inferno, viene ugualmente reso partecipe quando all’inferno s’infligge un acuto dolore, perché, per la potente influenza dei Cieli, gli viene radicalmente strappata una parte della sua vita complessiva! Hai compreso ora anche questa Mia spiegazione?»

13. Dice Pietro: «Sì, o Signore! Anche questa la comprendo. Ora, come sempre, la mia gratitudine e il mio amore vadano a Te in eterno!»

 

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Cap. 170

La sorgente miracolosa.

 

1. Dico Io: «Avete bene osservato come nessuno ci ha visti salire su questo monte per farvi sosta?»

2. Rispondono i discepoli: «Signore, per tutta la strada, lunga due ore buone di cammino, non abbiamo visto proprio nessuno, ma non per questo oseremmo sostenere che nessuno ci abbia visto!»

3. Dico Io: «Certo, la donna tuttavia ci ha visto ed ha scoperto che noi ci siamo accampati qui; ora questo basterà perché domani migliaia di persone salgano fino a quassù!» 

4. Dicono i discepoli: «Signore, tanto stanchi in realtà non siamo; scendiamo dunque giù dal monte verso mezzanotte e rechiamoci in qualche altro luogo, dove quella gente molesta non possa trovarci; così potremo prenderci alcuni giorni di riposo».

5. Osservo Io: «E tuttavia noi ci fermeremo qui, perché la Volontà del Padre è che Io liberi dalle loro sofferenze corporali tutti gli uomini che qui sono oppressi da svariate malattie! Di conseguenza Io Mi tratterò tre giorni interi su questo monte. Quando farà mattina, potrete scendere in qualche luogo per prendere del pane in quantità moderata ma sufficiente per i tre giorni della nostra sosta!».

6. Dice Giuda Iscariota: «Allora avremo un bel pezzo di strada da fare, perché qui, come si vede, siamo in mezzo ad un deserto e a meno di far dalle tre alle quattro ore di cammino non troveremo affatto una località dove ci sia un fornaio!».

7. Dice Pietro: «Questa incombenza me l’assumo io, perché conosco bene tutte le località situate sulla riva del mare e so dove bisogna rivolgersi per avere del pane. Ci saranno da fare due ore di cammino all’andata ed altrettante al ritorno!».

8. Allora dico Io: «Ebbene, abbi tu, Simon Giuda, cura della cosa! Chi sceglierai, ti accompagnerà!».

9. Dice Pietro: «Signore, noi qui siamo una ventina; ora se ne vengono con me dieci, possiamo portare del pane ed anche del pesce già arrostito in quantità più che sufficiente per tre giorni».

10. Dico Io: «Così va bene. Ma ora dedichiamoci al riposo».

11. Allora ciascuno andò in cerca di un posticino che gli permettesse di riposare con la massima comodità e così ben presto si fece silenzio sul monte. Tutti i discepoli, in breve tempo, presero sonno, mentre soltanto Io rimasi desto e Mi addormentai appena un po’ verso la mattina. Quando all’alba fui sveglio, Pietro era già di ritorno sul posto con le provviste, poiché era sceso dal monte già circa tre ore prima del levar del Sole e giù alla riva aveva trovato una barca carica appunto di pane ed altri alimenti, che veniva da Magdala ed era diretta a Gesaira. Pietro acquistò quasi la quarta parte del pane che c’era nella barca e Matteo, il giovane pubblicano, pagò tutto il conto. A bordo poi c’era una quantità di bel pesce arrostito da poco e il buon Pietro ne prelevò pure una intera cassa piena, mentre Matteo s’incaricò del pagamento, come aveva fatto con il pane. In cima alla montagna, dunque, noi eravamo oramai provveduti di cibo; però una cosa mancava ancora e cioè una buona sorgente. Non si poteva trovare nemmeno una goccia d’acqua su quel monte e la piccola provvista di vino che avevamo con noi sarebbe bastata appena per una mezza giornata.

12. Allora Pietro e il Mio Giovanni Mi vennero vicino e dissero: «Signore! Tu sei ben più di Mosè! Se Tu comandassi a questo bel masso di pietra bianca che c’è qui di dare dell’acqua fuori da sé, certamente ne sgorgherebbe all’istante una sorgente purissima!» 

13. Ed Io dico loro: «Se voi due avete abbastanza fede, posate le vostre mani sul masso e comandategli nel Mio Nome di lasciar scorrere acqua e dal punto in cui la pietra sarà stata toccata dalle vostre mani sgorgherà subito un’acqua abbondante, eccellente e purissima!».

14. Udite da Me queste parole, essi scelsero un punto della pietra che a loro sembrò adatto e vi posero le mani sopra. Ma malgrado ciò dalla pietra non voleva stillare nemmeno una goccia! Però, quando fu trascorsa circa un’ora, mentre tenevano ancora le mani sulla pietra, questa cominciò a muoversi ed in breve tempo si spostò più di dieci passi dalla posizione iniziale, perché quel masso era un meteorite precipitato dall’alto già migliaia d’anni prima sul posto finora occupato e cadendo aveva ostruito l’unica sorgente della montagna, in modo che non poteva sgorgare neppure una sola goccia d’acqua. Ma ora, poiché la pietra era stata rimossa dal suo posto, com’è stato detto, ricomparve alla luce una fra le migliori e più ricche sorgenti e precisamente in mezzo ad un bacino profondo all’incirca cinque piedi, scavato nel terreno dal masso stesso al momento della sua violenta caduta, verificatasi qualche migliaio d’anni prima.

15. E così questa montagna restò anche provveduta per sempre della migliore acqua (e lo è ancora oggi). Ma né Pietro né Giovanni poterono comprendere come la pietra si fosse mossa, per così dire, liberamente mediante la semplice imposizione delle mani. Dopo di loro anche tutti gli altri discepoli provarono a posare le mani sulla pietra per constatare se si sarebbe ulteriormente spostata, ma i loro tentativi risultarono vani.

16. Però, come Pietro e Giovanni vi ebbero nuovamente posato sopra le loro mani, essa ricominciò a muoversi. Allora gli altri discepoli Mi domandarono:

«Signore, per quale motivo non possiamo anche noi ottenere lo stesso risultato?»

17. Rispondo Io: «Perché la vostra fede è qua e là ancora un po’ bacata e manca della forza necessaria. Però Io vi dico che, se voi avrete una ferma fede e non nasconderete in voi nessun dubbio riguardo alla riuscita di quello che intendete compiere, in verità potreste posare le vostre mani su di un monte intero e comandargli, ed esso, come questa pietra discretamente pesante, si muoverà pure dal proprio posto e si sposterà altrove. Ma per giungere ad un simile risultato la vostra fede è ancora troppo debole! Anzi, Io vi dico di più! Se voi aveste veramente una vera fede, potreste comandare, stando qui, a quell’alta montagna sulla quale siamo saliti presso Genezaret e potreste dirle: “Alzati e precipita in mare!” e la montagna immediatamente si solleverebbe e cadrebbe nel mare, secondo la vostra parola e la vostra volontà! Pure quello che voi non potete fare ancora, lo potrete fare tuttavia un giorno! Ora però facciamo colazione, poiché non passerà molto tempo ancora e noi saremo stretti letteralmente dalla massa del popolo che salirà quassù! La provvista di pane e di pesce deponetela frattanto su quella pietra che, per mezzo vostro, è stata spostata da qui».

18. Allora mangiammo del pane ed un po’ di pesce, mentre il considerevole resto fu posto dai discepoli sul masso grande di pietra bianca, dopodiché cominciammo a contemplare il bel panorama delle regioni che si estendevano a perdita d’occhio intorno a noi. Dalla vetta di quel monte, con un tempo sereno, si poteva qua e là benissimo distinguere la costa del grande mare Mediterraneo e le torri di Sidone e di Tiro e un grande numero di altre città e borgate. In poche parole la vista che si godeva era quanto mai incantevole e poteva gareggiare con quella di diversi altri monti molto più alti, per salire i quali si sarebbe dovuto impiegare non di rado un’intera giornata. L’altezza completa sul livello del mare, secondo le misure del tempo attuale, comportava un po’ più di quattromila piedi. La spianata in cima al monte era tanto vasta e spaziosa che vi si sarebbe potuta costruire una città discretamente grande; soltanto gli accessi erano quasi da tutte le parti abbastanza ripidi ed in parecchi punti bisognava sobbarcarsi una fatica non indifferente per poter superare la forte pendenza. In qualche sito il monte era addirittura del tutto inaccessibile, ma, dalla parte dove noi eravamo saliti, vi si poteva accedere con relativa facilità. Ed appunto da questa parte, dopo aver impiegato un’ora circa nella contemplazione del magnifico panorama, noi percepimmo il vocio di una moltitudine, frammisto, ogni tanto a grida di dolore di giovani e di vecchi, di uomini e di donne.

 

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Cap. 171

La grande guarigione miracolosa sul monte.

(Matteo 15,30-31)

 

1. Quando Giuda Iscariota ebbe udito il mormorio indistinto della folla che avanzava, si prese la testa fra le mani e disse: «In verità mi pare che questa volta la faccenda voglia passare ogni limite! Qui ci sono non centinaia, bensì addirittura migliaia di persone e si tratta certamente più di ammalati che di gente sana! Addio, benigna pace di quest’altura! Qui ci sarà nuovamente un tramestio terribile e di riposo non ci sarà nemmeno a parlare!»

2. Gli dico Io: «Cosa importa a te, se la gente viene? Per te certo non viene un’anima sola e non occorrerà che tu sani nessun ammalato; se poi ti pare che presso di Me ci sia troppo rumore o che sia minacciata la tua pace, ritorna al tuo paese e va’ di nuovo per i mercati con le tue pentole. Fino a tanto che vuoi rimanere con Me, devi adattarti ai Miei ordinamenti, perché delle Mie vie sono soltanto Io il Signore! Se un giorno Io dovessi venire da te per percorrere con te le tue vie, allora Mi adatterò ai tuoi ordinamenti e ti riconoscerò come il signore delle tue cose! Qui, però, a Me sembra che sia bene il caso opposto!»

3. Dice Giuda Iscariota, brontolando fra sé e sé: «Eh già, basta che io apra bocca e tutto è sbagliato, altro non resta che restarsene muti come una pietra per tutta l’eternità!»

4. Allora interviene in via eccezionale il poco loquace ma saggio Natanaele e gli dice: «Questo sarebbe una volta tanto da parte tua un tratto sapiente, che io, però, non ho ancora mai constatato in te. È certamente una buona cosa il parlare al momento giusto per chi ha veramente qualcosa da dire e sa come parlare, ma per uno sciocco il perfetto silenzio è ancora molto più bello!».

5. Mentre Natanaele stava così richiamando alla memoria di Giuda Iscariota ancora qualche altro fra i proverbi di Salomone, cominciarono ad apparire da molte parti, sulla grande spianata che coronava il monte, delle grandi masse di gente dai dintorni, i quali conducevano con sé zoppi, ciechi, muti, storpi e un numero grande di uomini e donne travagliati da ogni infermità. Gli ammalati saranno stati cinquecento e più; furono deposti in un ampio cerchio intorno a Me ed ai Miei piedi e le turbe Mi pregarono che Io li guarissi! Ed ecco, Io li guarii tutti con una sola parola e dissi loro: «Ora alzatevi e camminate!». (Matt.15, 30).

6. Allora i ciechi, anzitutto, si accorsero di aver riacquistata bella e limpida la vista, come se fossero nati da poco. Subito dopo anche i muti provarono a parlare e videro che potevano rispondere a ciascuna domanda rivolta loro; infine pure gli zoppi e gli storpi tentarono di muovere le membra contratte ed in parte interamente disseccate e constatarono che funzionavano alla perfezione! E non ci fu tra di loro uno solo che avesse potuto dire di non essere completamente guarito. Così pure anche tutti gli altri ammalati si ritrovarono del tutto risanati.

7. E quando il popolo vide che i muti parlavano, i ciechi vedevano, gli zoppi camminavano diritti e lieti e gli storpi di ogni specie e tutti gli altri infermi erano ridivenuti perfettamente sani, il suo stupore allora non ebbe più limiti e tutti cominciarono a lodare ad alta voce il Dio di Israele e rimasero con Me sul monte fino al terzo giorno, quantunque già al secondo essi avessero già consumato fino all’ultima briciola tutte le provviste che avevano portato con loro. (Matt.15, 31).

8. Ora si potrà ragionevolmente domandare che cosa avesse fatto questa massa di popolo nei due ulteriori giorni trascorsi sul monte. A ciò si può, con brevi parole, rispondere che tutte le diverse migliaia di persone d’ambo i sessi si fecero iniziare nella Mia dottrina da Me e dai Miei discepoli. Però era notevole il fatto che fra le diverse migliaia non ci fu nemmeno uno che avesse preso la parte dei farisei e degli scribi. Al contrario invece si affrettarono a raccontare una quantità di storielle per niente edificanti di avvenimenti nei quali in diverse occasioni erano essi stessi stati coinvolti con la gente del Tempio e delle amare esperienze anche troppo spesso fatte, nonché infine del rammarico non meno amaro di essere venuti in contatto, per loro sciagura, con quei ciechi zeloti.

 

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Cap. 172

Previsione del Signore riguardo all’avvenire della Sua dottrina.

 

1. Fra il popolo vi era anche un gran numero di greci, i quali, apprendendo la Mia dottrina, erano rimasti strabiliati; ed uno fra di loro disse: «Sì, questa è veramente una dottrina che poggia sul fondamento della natura! Qui non vi è un positivismo materiale o qualcosa di arbitrario che possa essere venuto in mente ad un uomo, affinché egli, quale legislatore sopra milioni di uomini che sono tenuti di osservare le sue leggi, abbia a trovarsi ad assoluto proprio agio qualora le sue leggi vengano osservate. Questa dottrina invece contiene leggi che anzitutto determinano e condizionano oggettivamente, fin dalle sue prime origini e nei suoi principali elementi, la vita dell’uomo ed è perciò anche supremamente atta a conservare in eterno la vita stessa nelle condizioni migliori più pure e più gradevoli. Non vi è neppure un’ombra di egoismo, né meno ancora di brama di dominio, ma in essa è provvisto tanto per il singolo individuo in se stesso, quanto per un’innumerevole comunità! Davvero, se questa dottrina fosse riconosciuta da tutti e poi venisse universalmente osservata, la Terra stessa dovrebbe diventare un Cielo!

2. Ma c’è un grande ma: per arrivare a questa meta ci vorrà una generazione del tutto nuova! Bisogna che il putridume dell’umanità incorreggibile sia spazzato via dalla Terra, altrimenti non vi sarà in eterno nessun miglioramento su di essa! Il senso del lusso, della mollezza e degli agi ha raggiunto un grado troppo alto; chi è il più potente sa bene come sfruttare la massa dei poveri e dei deboli e perciò soltanto pochi vivono felici, mentre l’enorme maggioranza degli uomini deve languire nell’indigenza. La conseguenza di tutto ciò è poi che il povero diavolo finisce con il disperare della provvidenza di Dio, il ricco e potente, invece, immerso nel benessere e nelle comodità della vita, si dimentica di Dio, cosicché infine ambedue devono diventare del demonio!

3. Sì, o Signore e Maestro, la Tua dottrina abbraccia in sé la più pura verità divina, anzi io oso dire che è in se stessa sostanzialmente vita; ma purtroppo essa non sarà di certo accolta dal mondo altolocato che non crede a niente, perché questo si è già creato sulla Terra, sul terreno del paganesimo, una posizione tale che esso può sussistere terrenamente molto bene. Adamo, malgrado il suo vantato Eden, farebbe la figura di un povero diavolo, paragonandolo ad un Cesare Augusto, o ad un Lucullo od a cento altri personaggi simili. “A questo si può arrivare per mezzo di Giove, Apollo, Mercurio e così via. A lato di queste deità fantastiche si può vivere magnificamente bene, cosa farne dunque della verità più pura, dell’amore, della mansuetudine, della pazienza e della sapienza?”. Ecco, questa è la filosofia che i grandi ed i potenti della Terra ammanniranno alle genti e la Tua santa dottrina dell’amorevolezza verso ciascuno sarà da loro perseguitata com’è perseguitato l’agnello dai lupi voraci. 

4. Quando mai potrà adattarsi alla Tua dottrina dell’amicizia colui per il quale la schiavitù del proprio simile è la premessa indispensabile al proprio benessere? Sì, o Signore e Maestro ed unico Salvatore della misera umanità sofferente, va’, opera pure miracoli, predica la schiavitù eterna e dimostra al popolo che langue come solamente un Cesare ha il diritto di vivere supremamente bene su questa Terra, mentre a tutto il popolo restante è concesso unicamente quanto è gradito al Cesare! Dimostra poi apertamente che il Cesare ha altresì incontestabilmente il diritto di disporre della vita e della morte di ciascuno, secondo il proprio arbitrio, nonché quello di incamerare tutti i tesori e i beni della Terra, allora sì che Ti offriranno vesti regali e potrai incedere con grande sfarzo e maestà!

5. Ma siccome la Tua dottrina predica invece la fratellanza universale e vuole vedere in ciascun uomo un figlio di Dio, Tu, o caro, ed a mio avviso veramente santo Maestro, sarai perseguitato oltre ogni misura credibile assieme alla Tua santa dottrina».

6. Dico Io: «Amico, quello che ora tu hai detto, è purtroppo vero; dinanzi ai grandi e potenti pagani molte aspre lotte dovranno venire combattute prima che la Mia dottrina possa trovare libero accesso del tutto! Ma verrà pure il giorno in cui essa varcherà anche quelle soglie, però allora proprio i Cesari ed i re diventeranno i Miei apostoli più fattivi e zelanti! Essi stessi raderanno al suolo i templi degli idoli ed al loro posto edificheranno le case di Dio, nelle quali tutti i fratelli si raduneranno per adorare l’uno, il solo vero Dio, ed in quelle case i loro figli verranno istruiti nella dottrina che Io ora vado annunciando per la salvezza degli uomini nel tempo e nell’eternità.

7. Tuttavia questo non accadrà dall’oggi al domani, bensì a seconda dell’opportunità dei tempi e delle circostanze, perché è bene che prima venga sparso il seme e che questo poi germogli e renda infine dei frutti abbondanti.

8. Mi è già noto fin dall’eternità che questa Mia dottrina, però, dovrà contemporaneamente sempre affrontare le ostilità del mondo propriamente detto.

9. Anzi, questa Mia dolcissima dottrina giungerà con il tempo perfino a scatenare le guerre più sanguinose, ma tali fatti purtroppo non possono essere evitati, poiché è da un conflitto potente in Dio che poi sorse la Vita. Però questa è e resta una lotta incessante e continua e non può essere mantenuta se non a patto di uno sforzo combattivo adeguato! Comprendi questo?»

10. Risponde il greco: «Signore e Maestro, questi sono concetti troppo profondi per uno di noi! Tu ed i Tuoi discepoli certamente li comprenderete, ma per me sono concetti che giacciono in profondità troppo inesplorabili!»

11. Dico Io: «Sì, certo, lo credo anch’Io, ma tuttavia la cosa è e resta eternamente così come ora te l’ho rivelata!».

12. Anche il resto del popolo fu preso da grandissima meraviglia intendendo queste Mie parole e molti fecero tra di loro l’osservazione: «Il nostro antico padre, il savio Greco nativo di Patmo, ha detto in verità parole di molta sapienza, ma pure nel suo caso risultava ben chiaro che fuori dall’uomo non era che un uomo che parlava. Ma questo giovane maestro, invece, quando apre la bocca si ha l’impressione che non lui, ma Dio stesso parli per bocca sua ed ogni sua parola va diretta al cuore e lo riscalda e lo rallegra così come un buon vino rasserena l’animo». Queste e molte altre simili considerazioni furono fatte fra il popolo, specialmente il terzo giorno, quando cioè esso andò sempre più penetrando nello spirito della Mia dottrina.

 

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Cap. 173

Il rifocillamento prodigioso di quattromila persone.

(Matteo 15,32-39)

 

1. Qui va ancora menzionato che il popolo, preso tra l’allegria per gli avvenimenti di quelle giornate, il Mio amichevole procedere e la meraviglia per i Miei nuovi insegnamenti, aveva completamente dimenticato che non gli rimaneva più nessuna vettovaglia. Ora, verso sera, la fame si fece tuttavia sentire ed essi cominciarono reciprocamente a chiedersi se qualcuno avesse ancora qualcosa da mangiare. Ma il chiedere fu una fatica vana, perché già il giorno prima essi avevano consumato fino all’ultima briciola di tutto quanto avevano portato con loro.

2. E siccome Io avevo ben notato la cosa, chiamai a Me i discepoli e dissi loro: «Udite! Io ho grande pietà della moltitudine, perché già da tre giorni essa dimora presso di Me ed ora non ha di che mangiare. Io però non voglio congedarli digiuni, affinché non vengano meno per la via, ritornando alle loro case, perché ce ne sono alcuni che sono venuti da molto lontano. Date dunque voi a loro da mangiare!». (Matt.15, 32)

3. Dicono i discepoli: «Signore, Tu già sai come la nostra provvista è anch’essa ormai discretamente ridotta. Dove avremmo noi dunque, in un deserto, tanti pani sufficienti a saziare una tale moltitudine?». (Matt.15, 33).

4. Allora Io domandai ai discepoli e dissi: «Quanti pani avete ancora fra le vostre provviste?»

5. I discepoli risposero: «Sette pani e pochi pesciolini, che sono ancora buoni». (Matt.15, 34)

6. Allora dissi Io ai discepoli: «Portate qui i pani ed i pesci!».

7. Ed i discepoli andarono e portarono i pani ed i pesci, Io benedissi tanto il pane che i pesci. Poi comandai alla moltitudine che si sedessero a terra. (Matt.15,35) Quando ebbero preso posto, presi i pani ed i pesci, resi grazie al Padre, il Quale dimorava in cuor Mio in tutta la Sua pienezza, per la benedizione concessa, spezzai tanto gli uni che gli altri e ne diedi i pezzi ai discepoli e questi li distribuirono fra la moltitudine. (Matt.15,36). Ed ecco, tutti ne mangiarono a loro piacimento e furono sazi. Oltre alla sazietà non poterono più mangiarne e perciò avanzarono tanti pezzi ancora da poter riempire sette grandi panieri. (Matt.15,37) Coloro che avevano mangiato erano quattromila uomini, oltre ad altrettante donne e fanciulli non compresi nel primo numero. (Matt.15,38)

8. E quando la moltitudine fu saziata così, Io li invitai a partire. E tutti allora si alzarono ben presto, poiché era già abbastanza vicina l’ora del tramonto; grandi furono i ringraziamenti che Mi vennero rivolti e poi il popolo prese la via del ritorno.

9. Dopo mezz’ora, quando tutta la moltitudine si fu dileguata, anche noi iniziammo la discesa del monte verso la riva del mare, dove appunto trovammo un battello che aveva inaugurato i suoi viaggi e che era in attesa di qualche cliente. Noi perciò fummo i benvenuti. Ma, quando i barcaioli Mi ebbero riconosciuto, s’inchinarono profondamente dinanzi a Me, poiché Mi avevano già visto a Cana di Galilea. Anche per tale ragione non Mi chiesero alcun prezzo per il passaggio, ma Mi pregarono di concedere la Mia benedizione alla loro nuova impresa!

10. Ed Io dissi ai barcaioli: «Se non vi fa deviare troppo dalla vostra rotta consueta, dirigete la barca verso il confine di Magdala, dove Io ho qualcosa da sbrigare!». Allora i barcaioli sciolsero gli ormeggi e ben presto un vento favorevole si levò e spinse la navicella in breve tempo fino al suddetto confine. (Matt.15,39)

 

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GESÙ NELLA ZONA DI CESAREA DI FILIPPO

 

 

Cap. 174

I farisei e i sadducei tentano il Signore.

(Matteo 16,1-12)

 

1. Ora, presso il confine, c’era un grande albergo, dove sempre s’incontrava una quantità di gente d’ogni ceto e condizione. Vi erano degli ebrei, greci, romani, egiziani, samaritani, inoltre dei sadducei, degli esseni e non mancavano pure i farisei e gli scribi e, quando Io fui arrivato con i Miei discepoli, furono naturalmente i farisei e gli scribi i primi a cercare di informarsi su chi Io fossi e su chi fossero i Miei discepoli! Ma per quella sera nessuno poté avere le informazioni desiderate.

2. Sennonché in quell’ albergo c’era una serva che, come molta gente di quei dintorni, era venuta pure sul monte ed era stata guarita da una maligna eruzione cutanea; questa serva, avendoMi riconosciuto, si gettò ai Miei piedi e Mi ringraziò nuovamente per la guarigione ottenuta. La cosa non sfuggì all’occhio di alcuni farisei, i quali allora cominciarono a sospettare che Io fossi il noto e per loro il tanto famigerato Gesù di Nazaret. 

3. Durante la sera del Mio arrivo essi lasciarono Me ed i discepoli in gran pace, però fra di loro si consigliarono, assieme ai sadducei, tutta la notte, per vedere come avrebbero potuto il giorno seguente, che era precisamente un sabato, tentare di intrappolarMi con le parole o con i fatti.

4. Ora, venuto il giorno seguente, mentre i Miei discepoli ed Io eravamo intenti a far colazione all’aperto e contemporaneamente li avvertivo che in quella località non ci sarebbe stato molto da fare, i farisei ed i sadducei uscirono dall’albergo, si accostarono a Me con aria assai spavalda e cominciarono a tentarMi con ogni tipo di domande, fatte certo sotto la maschera dell’amicizia e lodavano perfino molte delle Mie opere che avevano riempito della loro fama il paese. Essi naturalmente miravano ad eccitare la Mia loquacità, ma a questo riguardo erano destinati a soffrire la più grande delle disillusioni. Uno tra i sadducei giunse perfino a dirMi: «Maestro, vedi, noi saremmo disposti a seguirTi ed a diventare Tuoi discepoli, se Tu, quale figlio di Dio, come già molti Ti chiamano, volessi mostrarci un segno dai Cieli! Opera dunque davanti ai nostri occhi un miracolo e puoi calcolare di averci con te!». (Matt.16, 1).

5. Io però, che leggevo nei loro cuori, vidi che dietro non si celava altro se non una vana perfidia; ogni parola che il loro labbro proferiva era un’insidia e un’astutissima menzogna, e perciò Io dissi a quei scaltri inquisitori: «Quando si fa sera voi dite: “Oh, domani farà tempo sereno, perché il cielo è rosso!”. E la mattina dite: “Oggi sarà tempesta, perché il cielo è rosso e torbido!”. O perfidi ipocriti! Ben sapete discernere l’aspetto del cielo, ma perché non potete discernere anche i grandi segni del tempo attuale nella sfera della vita spirituale dell’uomo? (Matt.16,3) Se voi, secondo la vostra confessione, avete appreso cose tanto straordinarie e se dite di comprendere la Scrittura, non dovreste esservi accorti che per mezzo Mio si compie tutto quello di cui i profeti hanno profetizzato? Voi, senza dubbio, sapete bene rendere la vostra faccia gradevole e dolce come il latte e il miele, ma il vostro cuore è pieno di ira e di odio, di lussuria e di adulterio!».

6. A questa Mia decisiva risposta i tentatori si ritirarono, colpiti aspramente e sconcertati, e non si azzardarono più a rivolgerMi la parola, perché tutto il popolo, che si era radunato intorno a Me, non faceva che rivolgere loro delle occhiate evidentemente interrogative, cosicché essi reputarono consigliabile non entrare in ulteriori discussioni con Me.

7. E come i tentatori ebbero battuto in ritirata, il popolo si diede a lodarMi, poiché Io avevo detto in faccia a quei zeloti con tanta energia la verità nuda e cruda.

8. Io però non Mi rivolsi al popolo, che in fondo non era proprio da annoverare tra i migliori, ma dissi, come di sfuggita, ai discepoli: «Questa gente malvagia e adultera chiede un segno a Me, ma non sarà dato alcun segno se non quello del profeta Giona!» (Matt.16, 4). Poi Io lasciai il popolo e tanto più i templari tentatori alle loro faccende e Mi allontanai di là con i discepoli in tutta fretta, salii quindi sul battello che ancora aspettava ed ordinai di dirigerlo verso lo stesso posto da dove era partito la sera prima.

9. Faceva un tempo molto sereno e durante il tragitto varia fu la conversazione, principalmente intorno alle località e alla gente che ci aveva fatto buona accoglienza. Sbarcati che fummo, ci trovammo ai piedi dello stesso monte sulla cui vetta il giorno prima erano state saziate tante migliaia di persone con soli sette pani ed alcuni pesci e soltanto allora venne in mente ai discepoli di aver dimenticato di comperare del pane ai confini di Magdala, perché il pomeriggio era già inoltrato di parecchio e la sensazione di fame aveva più che altro contribuito a richiamare la cosa alla memoria. Perciò alcuni decisero di andare in cerca di pane in qualche luogo di quei dintorni, oppure di ritornare addirittura per mare a Magdala che, con vento favorevole, si sarebbe potuta raggiungere facilmente in un’ora. (Matt.16, 5)

10. E avendo i discepoli chiesto a Me il necessario consiglio, Io risposi: «Fate come volete! Badate però bene e guardatevi dal lievito dei farisei e dei sadducei!» (Matt.16,6). E come i discepoli ebbero udito da Me queste parole, pensarono in segreto: «Ah, ah, ci siamo! Questo è un lieve rimprovero perché non abbiamo preso con noi del pane!» (Matt.16,7).

11. Ma Io, che avevo immediatamente notato il loro imbarazzo e il loro timore, dissi loro: «O uomini ancora di poca fede, perché vi preoccupate per il fatto che non avete preso del pane? (Matt.16,8) Siete ancora senza intelletto? Non vi ricordate dei cinque pani distribuiti ai cinquemila uomini prima del viaggio a Genezaret e quanti panieri ne avanzarono? (Matt.16,9). Né vi ricordate più dei sette pani di ieri, con i quali furono saziati quattromila uomini senza contare le donne ed i fanciulli, né dei panieri che ne avanzarono? (Matt.16,10). Come non potete comprendere voi che Io non intendo parlare del pane che voi non avete preso, quando vi dico: “Guardatevi dal lievito dei farisei e dei sadducei!”? (Matt.16,11). Per lievito è infatti da intendere la falsa dottrina che questi tali seminano fra il popolo con parole e gesti dolci e amichevoli in apparenza, con lusinghiere assicurazioni e promesse, mentre di nascosto fanno delle grosse risate, quando riesce loro di trarre a sé qualche buona retata di povere anime ottuse.

12. Chi va mai tanto predicando dell’immortalità dell’anima umana se non appunto i sadducei e chi mai più di loro va esaltando le gioie eterne dell’Eden e minacciando l’eterno tormento tra le fiamme dell’inferno? Eppure loro stessi non credono a niente di quanto predicano, e sono dunque i più grandi negatori di Dio! Comprendete ora quello che ho inteso dire, parlando di lievito?». Soltanto dopo questa Mia spiegazione i discepoli capirono che Io avevo loro detto di guardarsi non dal lievito del pane, bensì dalla perfida dottrina dei farisei e dei sadducei (Matt.16,12). Noi però rimanemmo per quella notte sul battello, dove fummo riforniti alla meno peggio di un po’ di pane e di qualche pesce.

13. Il giorno seguente Io inviai alcuni fra i discepoli in esplorazione verso Cesarea di Filippo, che era pure una cittadella un po’ fortificata, situata nella parte greca del territorio di Galilea, alquanto entro terra dal mar di Galilea. Secondo le Mie istruzioni, essi dovevano anticipatamente informarsi su che cosa pensasse di Me la gente di quei luoghi e se, in generale, avesse già appreso qualche cosa sul Mio conto!

14. E così, dopo aver consumato il pane mattutino, parecchi fra i discepoli, che conoscevano bene quei dintorni, si affrettarono a recarsi da quelle parti e si informarono con tutta diligenza riguardo all’opinione che la gente di là aveva di Me e se e quanto eventualmente là si sapesse sul Mio conto. Ma la meraviglia dei discepoli, mandati in esplorazione, non fu poca quando si accorsero che tutta quella regione, dove Io non avevo ancora messo piede, era addirittura piena del Mio Nome e ciascuno sapeva raccontare una quantità di cose sul Mio conto. Infatti i discepoli si comportarono così da far credere che anch’essi sapessero qualcosa soltanto per averne udito parlare, in modo che gli interrogati ebbero tanto maggiormente modo di dilungarsi per bene sui dettagli dei loro racconti.

15. È facile immaginare che in tale occasione non mancarono di venir a galla, fra altro, delle esagerazioni madornali, per esempio, fra i molti episodi fatti oggetto di narrazione, ce ne fu uno che indusse i discepoli a proibire seriamente ai narratori di diffonderlo ulteriormente. E questo consisteva niente di meno nel fatto che si raccontava che Io potessi dilatarMi fino a diventare un essere gigantesco e, viceversa, subito dopo restringerMi e ridurMi alle proporzioni di un nano non più grande di un dito. Si diceva anche che Io apparivo ora molto vecchio, ora invece come un giovinetto. Inoltre si diceva che una volta Io ero stato visto sotto la forma di una perfetta donna, anzi, alcuni ne sapevano ancora di più, perché avevano sentito dire che Io potevo assumere a piacere anche la forma di uno o dell’altro animale.

16. È cosa che ognuno, di sano intelletto, sarà in grado di giudicare da se stesso come assolutamente doverosa, che a causa di simili dicerie i discepoli muovessero rimprovero ai narratori, però come fosse possibile che tali assurdità ed altre ancora venissero divulgate perfino nei luoghi dove Io avevo insegnato ed operato guarigioni, questo è davvero un problema ancora oggigiorno insoluto per più di un angelo del Cielo. Da qui ha origine anche la confusione dei circa cinquanta Vangeli, che, nell’occasione della prima grande assemblea orientale delle chiese, vennero dichiarati apocrifi e come tali bruciati, ciò che è stato molto buono, perché veramente soltanto i due Vangeli di Giovanni e di Matteo sono del tutto autentici, come pure gli Atti degli Apostoli, le Epistole e l’Apocalisse di Giovanni. Gli altri due Vangeli di Marco e di Luca hanno però anch’essi un deciso sacro valore, quantunque in qualche piccola parte differiscano da quello di Matteo. Ed ora che sappiamo anche questo, procederemo innanzi nella nostra peregrinazione evangelica.

 

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Cap. 175

Il Signore in una povera capanna presso Cesarea di Filippo.

(Matteo 16,13)

 

1. Mentre i pochi discepoli mandati in esplorazione erano occupati ad attingere informazioni dalla gente di Cesarea di Filippo e dintorni, Io rimasi, pressoché fino a sera, vicino all’insenatura ai piedi del monte, però circa due ore prima del tramonto lasciai quella località assieme ai rimanenti discepoli; e verso sera giunsi pure Io nelle vicinanze di Cesarea, dove trovai i discepoli inviati in missione presso una capanna di misero aspetto, i cui abitanti, gente semplicissima, erano appunto tutti affaccendati nel preparare la cena ai discepoli già stanchi e affamati. (Matt.16, 13).

2. La gente di casa domandò subito ai discepoli che erano già là chi fossimo ed essi rivelarono senza esitazioni che Io ero per l’appunto quel Gesù del quale avevano parlato prima abbastanza diffusamente.

3. E quando il padrone di casa ebbe notizia di ciò, piantò addirittura ogni lavoro, si gettò ai Miei piedi e disse: «Che cosa ho mai fatto di bene io, povero peccatore, per reputarmi degno di tanta inestimabile grazia? O Tu, grande e santo Uomo mandato dai Cieli a noi, poveri peccatori su questa Terra! Come posso io, quale un uomo povero ed assai semplice, onorarTi e glorificarTi per questo? Cosa posso fare io affinché a Te sia gradito?».

4. Ed Io gli dico: «Mio caro amico, alzati e vedi di procurare anche per noi qualcosa per la cena: del pane, del pesce ed un po’ di vino e poi procuraci un discreto giaciglio e così avrai fatto tutto quello che Io desidero da te!».

5. Allora il povero padrone di casa si alza e con un’espressione alquanto triste dice: «O buon Maestro, quello che ho lo offro volentieri, poiché alla mia capanna sono venuti simili grazie ed onori; infatti io so che Tu sei un figlio di Davide ed oltre a ciò un grande profeta. Di pane e pesce sono ancora provvisto per oggi e domani; ma riguardo al vino la cosa non va tanto bene, non solo qui da me, ma in tutti questi dintorni. Anche nella città di Cesarea di Filippo, che non è lontana da qui, si sta parecchio male in quanto a vino. In casa ho bensì un po’ di sciroppo di lampone e di more, ma è già alquanto vecchio e perciò acido; noi lo beviamo soltanto misto con acqua ed un po’ di miele, per la sete.

6. Però io ho alcuni vasi pieni di latte di capra rappreso, se ciò potesse forse esserTi gradito, ne porterei subito fuori qualcuno. Preso con il pane, è davvero un buon cibo»

7. Io dico: «Ebbene, porta quello che hai! Ma adesso vedo che tu tieni in casa diversi otri, se la tua terra non ti dà vino, a che scopo conservi gli otri?»

8. Risponde il povero padrone della capanna: «Oh, sì, di otri certo ne ho, perché sono io che li fabbrico, ma in nessuno c’è stata dentro neanche una goccia di vino. Ne ho pronti ormai una cinquantina per il prossimo mercato in città, dove vendo ogni pezzo per un buon prezzo»

9. Dico Io: «Allora va’, prendi gli otri e riempili tutti d’acqua!» 

10. Chiede il povero padrone: «Buon Maestro! A che cosa servirà poi questo?».

11. Dico Io: Amico! Non domandare, ma fa’ così come Io ti dico e sarai felice nel tempo e per l’eternità!».

12. A queste Mie parole il poveretto chiamò subito la moglie ed i suoi otto figli già adulti – sei femmine e due maschi – e tutti andarono al pozzo dove i cinquanta otri vennero ben presto colmati d’acqua. E quando gli otri furono pieni, egli Mi domandò cosa avrebbe dovuto fare ora.

13. Ed Io gli dissi: «Portali tutti nella grotta fresca sul cui ingresso poggia la parte posteriore della tua capanna».

14. Il povero padrone della casa, che nella grotta conservava la sua provvista di paglia, distese questa sul suolo e vi collocò sopra in bell’ordine gli otri pieni d’acqua e quando ebbe ultimato il lavoro, uscì di nuovo fuori e Mi chiese:

«Signore e Maestro, tutto è stato eseguito come hai ordinato! C’è forse da fare qualcos’altro ancora?»

15. Dico Io: «Ora è tutto in perfetto ordine. Ma adesso va’, prendi alcune delle tue migliori brocche di pietra e riempile con uno qualunque dei cinquanta otri, a tua scelta. Assaggia però il liquido delle brocche che avrai riempito, portale poi qui e ci dirai infine se ti sarà piaciuta l’acqua così preparata!».

16. Il poveretto se ne va all’istante, prende dodici brocche e le riempie. Già durante il travaso uno squisito profumo di vino solletica gradevolmente le sue narici; quando poi assaggia quel liquido, il suo sbalordimento è tale che non sa cosa più pensare e dice ai suoi figli, che gli sono vicini per aiutarlo: «Sentite, questa è una cosa che una mente umana non potrà mai comprendere! L’acqua, di cui abbiamo riempito gli otri e che ho ora travasato nelle brocche, è diventata il migliore e più squisito dei vini! Assaggiatene e persuadetevene voi stessi!».

17. I figli assaggiarono e il loro stupore per l’avvenuto miracolo non fu minore di quello del padre, ma uno dei figli più anziani disse: «Padre mio, tu sai che io conosco bene le scritture. Io so di tutti i profeti e delle loro opere, però una cosa simile non è stata fatta da alcun profeta! Quest’Uomo straordinario deve evidentemente essere più di un profeta!»

18. E le figlie aggiungono: «Sì, certo, o padre, anche noi siamo di questa opinione! Egli potrebbe essere forse Elia, che deve venire ancora una volta sulla Terra per preparare l’umanità alla venuta del grande Messia, oppure si tratta qui addirittura del grande Messia in Persona?»

19. Dice il padre: «È possibile sia una cosa che l’altra! Ehm, ehm, ma come ci è capitata questa storia così all’improvviso e inaspettatamente?»

20. Mentre il povero padrone della capanna va così rimuginando, ecco precipitarsi verso di lui sua moglie, quasi senza fiato e tutta gioiosa, che esclama: «Venite, venite a vedere quello che è successo in casa! La nostra dispensa è piena zeppa di ogni tipo di cibi squisiti e di pane eccellente! Ciò non ha potuto farlo che quello stesso Maestro che un’ora fa è venuto nella nostra capanna per chiederci un alloggio ed una cena» 

21. Dice il marito: «La cosa non ammette alcun dubbio! Ma che mai avviene? Chi può darci una spiegazione? Cosa o chi è Egli? Se diciamo: “Egli è un profeta!”, diciamo evidentemente troppo poco e se diciamo: “Egli è un angelo!”, non abbiamo detto davvero molto di più, però se diciamo: “Egli è un Dio!” è probabile che si dica troppo, perché un Dio è anzitutto solamente Spirito! Invece costui ha carne, sangue ed ossa ed infine sarebbe proprio da domandarsi se Egli non sia, forse, un Giove greco od un Apollo? Ma, comunque sia, il nostro dovere è adesso di portare fuori il vino, il pane e il pesce e quanto altro mai noi possiamo offrire con tutta umiltà, amore e gratitudine, perché il beneficio che ci è stato reso è immenso!».

22. E facendo seguire l’atto alle parole, il poveretto venne fuori con le brocche piene di vino, mentre la moglie ed i figli portano pane, pesce e altri cibi e, inchinandosi profondamente dinanzi a Me, l’uomo disse in tono umilissimo: «O Signore e Maestro! Chi mai sei Tu, che Ti sono possibili tali cose solo per la potenza della Tua Volontà? Il mio essere trema dal rispetto dinanzi alla Tua Persona. Tu non puoi essere un uomo come uno di noi, ma allora dimmi, di grazia, Chi e Cosa veramente Tu sei, affinché possiamo onorarTi degnamente?»

23. Gli dico Io: «Ascolta, amico Mio, Io ti dirò qualcosa attraverso la quale potrai farti un giudizio da solo! Quando di buon mattino osservi che l’Oriente si rischiara e il cielo va gradatamente tingendosi di rosa, tu dici che presto sorgerà il Sole. Però un chiarore all’orizzonte si osserva anche quando sta per sorgere la Luna, se non che, dopo tale fioco chiarore, il cielo non si ammanta di rosa e per quanto, infine, l’astro della notte del tutto si levi e rischiari la Terra del suo languido e pallido lume, tuttavia non c’è alcun fiorellino che schiuda il suo tenero calice per offrirlo alla carezza del pallido e freddo raggio lunare privo del potere vivificante!

24. Le chiare nuvolette, già circonfuse di un pronunciato splendore, annunciatrici del Sole che sta per nascere, sono già di per sé molto più luminose della Luna anche quando essa si mostra nella pienezza della sua luce, ma se a queste messaggere non seguisse il Sole, tutta la Terra ben presto assumerebbe l’aspetto delle regioni propriamente rigide del profondo Settentrione, dove, per l’intero tempo di nove lune, non giunge alcun raggio di Sole. Ecco, così avviene in modo corrispondente nell’eterno mondo dello Spirito, soltanto per mezzo del quale un giorno si formò e ora sussiste questo mondo materiale.

25. Ogni tipo di maestri e di profeti sorgono ed insegnano agli uomini in questo od in quel modo. Fra le molte cose che dicono c’è, qua e là, anche qualcosa di vero, ma accanto ad una scintilla di verità procedono sempre insieme migliaia di menzogne, le quali, vicino ad una scintilla di verità, sembrano essere esse stesse verità. Ora, vedi, tutti i maestri e profeti simili, nonché le loro dottrine, sono simili allo splendore della Luna che sempre va mutando la sua luce e che spesso non splende affatto, quando, durante la notte più oscura, la sua luce sarebbe necessaria.

26. Ma accanto ai falsi maestri e profeti ve ne sono anche di giusti e veri, dai cui occhi, cuori e bocca si irradia la Luce di Dio. Questi sono simili alle nuvolette circondate di luce che annunciano il prossimo sorgere del Sole, ma se alle nuvolette, per quanto sfolgoranti, cioè ai veri e giusti profeti, non seguisse nient’altro, allora, con il tempo, i cuori degli uomini comincerebbero ad acquistare l’aspetto stesso che hanno le regioni settentrionali della Terra propriamente dette: l’aspetto della rigidità, del gelo e della morte. Alle genuine nuvolette della luce, annunciatrici del Sole, segue poi il Sole stesso ed al primo raggio che esso invia ai monti grigi ancora ed alle pianure della Terra, tutto si desta, gioisce e vive; gli uccelletti cantano inni e salmi purissimi in onore della nascente madre della luce e del calore, i moscerini e i coleotteri si innalzano nell’aria satura di luce e con il loro ronzio fanno comprendere il loro entusiasmo alla splendida madre del giorno, ed i fiori dei prati sollevano le loro corolle regalmente ornate ed aprono le bocche balsamiche per inviare il saluto del loro squisito profumo alla grande dispensatrice del calore del mondo.

27. Da questa esposizione supremamente vera che ti ho fatto, tu puoi ormai già trarre quel tanto che ti basta per formarti di Me un chiaro concetto e perché tu Mi possa collocare nel tuo cuore nel gradino che Mi spetta! Né la luce delle stelle, né quella della Luna, né, meno ancora, di per sé il dorato splendore delle nuvolette mattutine è capace di sciogliere i ceppi dai quali è avvinta la vita nella materia della Terra e di incitare la vita stessa all’attività libera ed indipendente, tali effetti non li può produrre che la luce del Sole.

28. Ma chi può essere tra gli uomini Colui alla cui Voce e Volontà tutti gli spiriti, costretti nella materia, obbediscono e si adeguano a tutto ciò che Egli vuole? E che sarà Colui della cui venuta tutti i veri profeti hanno profetizzato?».

29. A queste parole il povero uomo resta sorpreso e grandemente perplesso e ritorna meditabondo con i suoi nella capanna, per non disturbarci durante la cena.

 

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Cap. 176

La testimonianza dei discepoli su Cristo.

(Matteo 16,13-20)

 

1. Mentre noi siamo intenti a cenare, la famiglia del padrone è tutta affaccendata per prepararci un giaciglio il più possibile accogliente. Ma in casa egli dice a sua moglie ed ai figli: «Udite! Costui deve essere senz’altro il promesso Messia! Dunque, Jehova stesso in carne ed ossa, l’eterno Sole Primordiale del mondo degli spiriti, il Quale, come splendenti nuvolette mattutine, tutti i profeti illuminati dalla luce di Dio hanno preceduto! Sì, certo, ormai so bene cosa pensare, ma che fare ora? Io non trovo quasi più il coraggio di scambiare una parola con Lui, il Santissimo dall’eternità, al Quale sicuramente, in maniera invisibile soltanto per noi, servono innumerevoli schiere di angeli, che ad ogni istante ricevono da Lui ordini nuovi da portare su tutte le stelle fino agli estremi confini del mondo! E Questi, al Quale tutti i Cieli eterni e i loro eden sono sottoposti, resta oggi nella nostra misera capanna!

2. Oh, gioite dunque, ma anche tremate di gioia, perché Egli rimane presso di noi questa notte! Di tale grazia suprema non è degna tutta la Terra, per non parlare poi di questa poverissima capanna e di noi stessi che siamo carichi di ogni peccato!».

3. Ora, mentre il padrone della capanna era così intento a parlare di Me con la sua famiglia, durante la preparazione dei giacigli, Io contemporaneamente domandavo ai Miei discepoli, specialmente a quelli che erano stati inviati per avere informazioni, che cosa la gente di quei dintorni pensava che Io fossi. (Matt.16, 13).

4. Allora quelli a cui la domanda era rivolta, risposero: «Alcuni sostengono seriamente che Tu sia Giovanni Battista risuscitato da morte! Altri dicono che Tu sia Elia, del quale sta scritto che scenderà ancora una volta sulla Terra prima del grande Messia, per chiamare tutta l’umanità a fare penitenza ed al vero ritorno a Dio; altri ancora pensano che Tu sia il profeta Geremia, del quale pare sia diffusa fra il popolo la leggenda che egli debba venire dai Cieli prima del Messia.

Poi si dice anche che Tu potresti essere l’uno o l’altro dei profeti, perché quando verrà il grande Messia, tutti i profeti Lo precederanno! Queste sono su per giù le voci accettabili che circolano rispetto alla Tua Persona, ma dobbiamo aggiungere che di opinioni e voci sul Tuo conto ce ne sono anche altre in quantità, però noi, dopo averle sentite, le abbiamo rimproverate ai loro sostenitori e propagatori e li abbiamo indotti ad avere un’opinione migliore nei Tuoi riguardi. Molti poi sono portati a pensare che Tu sia il Giove dei greci travestito»

5. Dico Io: «Sta bene, voi Mi avete ora riferito quello che avete sentito, ma adesso Io vorrei apprendere dalla vostra bocca quello che voi effettivamente credete che Io sia. La Mia domanda non è vana, anzi è del tutto seria, poiché Io ho osservato in più di una occasione che il Mio comportamento può, qua e là, apparire ai vostri sensi come vicino a quello terreno, e che voi subito Mi giudicate nei vostri cuori in maniera del tutto differente da prima, e che ai vostri occhi non sembro più interamente ciò che sono ritenuto da voi quando compio qualche opera meravigliosa! Perciò, diteMi una buona volta sinceramente quello che, secondo uno spassionato e maturo giudizio del vostro intelletto, voi credete chi veramente Io sia!»

6. Allora tutti i discepoli restarono perplessi e, ad eccezione di Simon Giuda, non seppero che risposta dare alla Mia domanda. E Giuda Iscariota osservò a Tommaso: «Parla tu adesso, che sei sempre avveduto e saggio; per te non dovrebbe essere che uno scherzo dare una risposta valida alla strana domanda del Maestro!»

7. Dice Tommaso: «Parla tu, se ne sai più di me! Io lo ritengo Colui che Egli stesso già da tempo ha detto di essere! Di Sé Egli non ha mai detto altro che: “Io sono Figlio dell’uomo e Dio è Mio Padre come è il Padre di voi tutti!”. Se Egli rende di Se stesso una tale testimonianza, quale altra possiamo noi rendere di Lui, in assoluta verità, fuori da noi stessi? Egli certamente fa ed opera cose che dai tempi di Mosè e degli altri profeti non furono mai fatte da uomo. Ma se noi osserviamo questi fatti nella loro vera luce, troveremo che veramente è sempre lo Spirito di Dio che compie simili cose mediante un uomo puro chiamato a fare ciò! Però allo Spirito di Dio deve essere indifferente trasportare o annientare montagne tramite un uomo eletto, oppure permettere la riuscita di un miracolo tramite la parola di un profeta!» 

8. Dice Giuda Iscariota: «Dunque tu Lo ritieni un profeta?»

9. Risponde Tommaso: «Certamente, anzi il più grande che abbia mai calcato il suolo di questa Terra, ciò che veramente non è merito Suo, bensì di Dio! Infatti Dio soltanto può suscitare nell’uomo il profeta, come ha fatto con Samuele quando era ancora fanciullo, e come Egli, cioè Dio soltanto, ha fatto in modo che perfino l’asino del falso profeta Balaam profetizzasse veramente, e per mezzo dell’asino poi anche Balaam stesso. Se noi afferriamo bene queste cose e se consideriamo la testimonianza che Gesù fa di Se stesso, cioè che Egli non è che un Figlio d’uomo, malgrado Egli, di quando in quando, definisca il divino Io la meravigliosa potenza operatrice divina la quale dimora in Lui con particolare pienezza, noi, secondo il mio modesto parere, non possiamo assolutamente rendere di Lui altra testimonianza da quella che Egli sempre rende di Se stesso; dunque, Egli è un eminentissimo Figlio d’uomo, come lo siamo noi, però non nel grado in cui lo è Lui»

10. Dice Giuda Iscariota: «Ma come mai allora molti lo considerano come il promesso Messia ed i romani migliori ed i greci lo credono addirittura il solo vero Dio onnipotente?»

11. Dice Tommaso: «Hanno anch’essi ragione, perché la Potenza di Dio, che è in Lui, è anche l’unico vero Messia, e senz’altro pure Jehova stesso»

12. Con ciò Giuda è soddisfatto ed Io, anche se avevo sentito questo, tacqui.

13. Ma Pietro, che aveva notato il Mio silenzio, si alzò e disse: «Signore, io scorgo che perfino tra i fratelli ci sono opinioni differenti rispetto a Te! Permettimi dunque che, per amore dei fratelli, renda io pure ad alta voce chiaramente la mia testimonianza su di Te!»

14. Gli dico Io: «Sì, fallo pure; come suonano le tue parole?»

15. Dice Pietro, cioè Simone Giuda: «Dal più profondo del mio cuore io dico e professo a voce alta dinanzi a tutto il mondo: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!”» (Matt.16,16)

16. Ed Io dissi a Pietro: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, poiché la tua carne e il tuo sangue non ti hanno rivelato questo, bensì il Padre Mio che è nel Cielo!» (Matt.16,17). 

17. Ma Io ora ti dico che tu sei Pietro, una pietra e sopra questa pietra io edificherò la Mia chiesa e le porte dell’inferno non la potranno vincere! (Matt.16,18). Ed Io ti darò le chiavi del Regno dei Cieli! Tutto ciò che avrai legato in terra sarà legato anche in Cielo e tutto ciò che avrai sciolto in terra sarà sciolto anche in Cielo! (Matt.16,19).

18. Allora Pietro disse: «Signore, io ti ringrazio per questa grazia altissima di cui mi reputo assolutamente indegno, perché sono sempre stato un grande peccatore e purtroppo lo sono ancora, però, per quanto concerne il legare e lo sciogliere, confesso pure apertamente che non lo comprendo e che non so come sia da intendere la cosa. Se Tu volessi, potresti bene rendere la cosa più chiara!»

19. Dico Io: «Tutte queste cose ti saranno rese del tutto chiare a tempo debito, frattanto però Io proibisco a voi tutti severamente di dire a chiunque prima del tempo che Io, Gesù, sono il vero Cristo!». (Matt.16, 20)

20. Dopo questa discussione importante Matteo, lo scrivano, chiede se egli debba prendere nota degli altissimi avvenimenti.

21. Ed Io gli dico: «Del miracolo verificatosi qui e del dialogo fra Tommaso e Giuda Iscariota non occorre che tu faccia menzione; invece sarà da citare nelle sue linee principali la questione da Me trattata con Pietro. In generale vedi di scrivere sempre così come Io ti metterò le parole nel cuore e in questo modo tutto sarà buono e giusto!». Lo scrivano si trovò soddisfatto della decisione e poco dopo si ritirò a riposare. Noi, invece, restammo seduti a tavola fino quasi a mezzanotte, e la gente di casa venne pur essa fuori e ci fece gradita compagnia.

 

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Cap. 177

Marco, il padrone della capanna, racconta gli orrori del Tempio.

 

1. Il padrone della capanna, il cui nome era Marco, era a conoscenza di molti fatti concernenti i farisei ed i sedicenti scribi. Tra le altre cose egli raccontò delle crudeltà commesse in segreto dai templari e come questi diventassero subito nemici implacabili di chiunque nel quale avessero anche solo intuito una qualche disposizione spirituale e quindi profetica! Molte persone simili, dotate di tali attitudini, pare che venissero soppresse di nascosto! Il procedimento era semplice: li si invitava in maniera del tutto amabile, li si colmava di attenzioni, di stima e di rispetto e le prove d’amicizia fioccavano fino a soffocarli, ma una volta arrivati nelle stanze interne dove dimoravano i capi dei farisei, allora là era finita per loro, perché nessuno riappariva più alla luce del giorno! Marco disse che era incomprensibile come Dio potesse assistere per tanto tempo indifferente a tanti simili orrori. Le condizioni di Sodoma e Gomorra erano certo pessime, ma paragonate alle attuali di Gerusalemme sembravano una goccia di pioggia confrontata con il mare, eppure allora Dio, nonostante le reiterate suppliche di Abramo, fece scendere il fuoco celeste sulle due città e le distrusse assieme a tutte le località vicine! Ma oggi, invece, con tutto questo diluvio di orrori d’ogni specie che a Gerusalemme venivano perpetrati giorno per giorno, Dio, il Signore, sembrava facesse come se non sapesse niente e come se le vicende di tutta l’umanità non Lo riguardassero più! E Marco si chiedeva dove mai potesse trovare la sua spiegazione un procedimento simile.

2. A questa buona e ben fondata domanda gli risposi Io: «Amico, Dio conosce già tutto ciò che avviene. A Lui sono ben noti tutti gli innumerevoli abomini senza nome dei templari e degli scribi, ma Io sono venuto a questo mondo appunto affinché questa razza di serpenti e di vipere abbiano a colmare in Me stesso la misura dei loro orrori, ma quando la misura sarà colmata, allora guai a questa perfida progenie!»

3. Dice Marco: «O Signore, Maestro carissimo e benefattore dell’umanità! Se non Ti è propria anche la facoltà di spazzare via anche con un soffio migliaia di uomini nell’altro mondo, saresti davvero da compiangere molto, se dovesse venirTi un giorno in mente di farTi vedere a Gerusalemme per compiere la Tua attività miracolosa! Io sono una persona certamente quanto mai semplice, ma comprendo tuttavia più di una cosa che nessun fariseo di sicuro si è mai immaginato. La questione è che a questo riguardo non mi manca la furberia ed al cospetto dei farisei, con i quali ho spesso occasione di venire in contatto, assumo un atteggiamento così stupido che in loro svanisce anche la minima traccia di un sospetto che io possa avere qualche conoscenza segreta!

4. Ma poiché già da un certo tempo essi mi conoscono per un povero stolto di prima qualità e credono fermamente che mi si possa mostrare una lucciola ed una lanterna senza che io sia in grado di distinguerle, così avviene che mi lasciano spesso gettare l’occhio senza difficoltà dietro i loro più tenebrosi misteri! Ed è in questo modo che sono già venute a mia conoscenza delle cose che, devo apertamente confessarTelo, mi hanno parecchie volte indotto a dubitare assolutamente dell’esistenza di un Dio, perché in simili occasioni ho fatto questo ragionamento: “Se veramente esiste un Dio onnipotente, onnisciente, giusto e buono il Quale, secondo quanto la Scrittura insegna, si interessa un po’ dell’umanità, è impossibile che stia lì ad assistere a simili misfatti! Se Dio non esiste, allora l’uomo, secondo le teorie di Platone, discende dalla scimmia per quanto riguarda il corpo, ed è poi un discendente delle bestie feroci per quanto riguarda l’anima! E perciò alla testa di una grande comunità deve mettersi una specie di Sansone forte e saggio, affinché possa, con una sferza poderosa, spazzare via dall’animale composto che si chiama uomo la sua doppia animalità e giunga dopo anni ad addomesticarlo tanto da renderlo almeno un mezzo uomo!”.

5. Pensieri simili e spesso peggiori ancora hanno assillato il mio animo quando ho dovuto accorgermi delle malefatte segrete ben spesso troppo spaventosamente orribili di quella razza di serpenti, come Tu li hai del tutto giustamente classificata! E perciò, come detto, o Signore e Maestro, se ci tieni a venire mandato in poco tempo fuori da questo mondo nella maniera più crudele e tormentosa, non hai che da recarTi a Gerusalemme e lì Ti persuaderai che io Ti ho detto la piena e completa verità, pur senza essere uno speciale profeta.

6. Ma per darTi così una piccola idea delle loro manovre segrete, Ti racconterò con poche parole un fatto della cui realtà ho potuto sincerarmi io stesso ora non è molto e che supera in orrore di almeno mille volte la nota santità del letame del Tempio! Chi però abbia potuto ispirare a quella nera genia un tale pensiero ultrasatanico, non mi è noto affatto. E Satana di certo non c’entra, perché a tanto non può arrivare neppure con il suo sentimento più perverso!».

 

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Cap. 178

Una storia del Tempio.

 

1. Parla Marco: «Nella regione citeriore della cosiddetta Asia Minore c’è un territorio abitato, nel quale le donne sono per lo più sterili, quale ne sia la ragione io non saprei dirTelo; del resto è un fatto accertato che, se quelle donne si congiungono con degli ebrei o samaritani, diventano altrettanto feconde come le nostre. Ebbene, i farisei, i quali mandano dappertutto i loro pessimi apostoli, hanno saputo già da molto tempo della condizione di quelle donne sterili e non di rado sono andati là con le carovane allo scopo di renderle feconde! In questi casi si trattava, in certo qual modo, sempre di un servizio fatto in amicizia e ben pagato. Ma troppo a lungo non durò questo bel servizio, essendosi gli uomini del luogo, a poco a poco, accorti che essi venivano malamente turlupinati, poiché le loro donne non diventavano gravide nello stabilimento di fecondazione che i missionari di Gerusalemme hanno già da molti anni edificato al confine di quel territorio, bensì i missionari stessi comperavano in questa regione ed anche nella Giudea dei neonati e li facevano trasportare nello stabilimento già menzionato, nel quale quelle donne, del resto molto belle e formose anche se sterili, dovevano soggiornare per il tempo di dieci mesi. Trascorso tale tempo, durante il quale i libidinosi “apostoli” del Tempio abusavano ignominiosamente di una donna del genere; a costei veniva presentato uno di quei fanciulli che erano stati comperati e precisamente con tanta arte ed astuzia che perfino la donna stessa finiva con il credere che il bambino fosse suo! Ma, come detto, con il tempo i mariti delle donne belle e formose scoprirono tuttavia l’inganno con l’aiuto di un onesto samaritano, che rivelò agli abitanti di quella regione i sotterfugi di cui si avvalevano i pretesi pii “apostoli” di Gerusalemme, la città di Dio.

2. Allora quegli uomini andarono in cerca degli “apostoli” nello stabilimento di fecondazione e rinfacciarono loro aspramente ciò che essi avevano appreso da un cittadino di Sichar e che le loro donne stesse avevano confermato! 

3. Sennonché gli “apostoli” del Tempio, rotti a tutti gli inganni, trovarono ben presto una finissima scappatoia, descrivendo i samaritani, agli ebrei che li rimproveravano, con tali colori che i reclamanti cominciarono proprio seriamente a convincersi che appunto ai samaritani, quali ebrei rinnegati e già da molti anni maledetti da Dio, era esclusivamente da attribuire la causa della sterilità delle loro donne.

4. Ma in conseguenza di ciò i buoni samaritani furono presi fra due giuramenti di vendetta e cioè il primo, da parte dei farisei, a causa della denuncia e del sospetto suscitato contro di loro presso quegli abitanti dell’Asia Minore citeriore e poi il secondo, da parte degli uomini stessi a cui appartenevano le donne sterili, perché dopo le dichiarazioni fatte loro dai farisei, cominciarono a credere fermamente che tutti i samaritani fossero dei maligni stregoni e che già da molti anni avessero fatto venire loro addosso quel malanno, perché una volta nel loro paese un samaritano era stato ammazzato per essere giaciuto con una donna di quei luoghi. Però essi, i farisei beninteso, conoscevano un rimedio che essi, in cambio di buon compenso, avrebbero potuto consigliare ai mariti delle donne sterili e più facilmente ancora procurare essi stessi! E soltanto allora, caro e buon Maestro, viene a galla il vero e genuino elemento ultrasatanico di questa storia!»

5. Gli dico Io: «Procedi pure con il tuo racconto! Per Me non sarebbe necessario, ma è tanto più necessario che questi Miei discepoli vengano a conoscenza di queste cose».

6. E Marco allora riprende la narrazione e dice: «In che cosa effettivamente consiste il mezzo raccomandato, in cambio di abbondante compenso, dagli “apostoli” di Gerusalemme per ottenere la fecondità delle donne dell’Asia Minore citeriore? Secondo il savio consiglio degli “apostoli” di Gerusalemme consiste niente di meno che in questo: gli asiatici devono procurarsi il sangue di fanciulli samaritani e che lo prendano o fresco oppure anche disseccato e ridotto in polvere, quando hanno raggiunto l’epoca della pubertà; e le donne lo devono prendere prima di giacere con un uomo. Questo procedimento renderebbe nullo il potere magico dei samaritani e ridonerebbe completamente fecondità alle donne! Ma come procurarsi il sangue di fanciulli samaritani? Di ciò si incaricheranno ben gli “apostoli” del Tempio in cambio di un adeguato compenso!

7. Detto fatto, il contratto fu accettato dagli interessati. Ma che cosa avvenne poi e che cosa avviene ancora oggi, in proporzioni molto più vaste? Ecco, i farisei organizzarono una vera caccia ai fanciulli samaritani dappertutto, com’era loro possibile, e questa cosa dura ancora oggi.

8. I fanciulli da uno a dodici anni vengono condotti nell’ormai noto stabilimento di fecondazione e là nutriti abbondantemente per qualche tempo, particolarmente con cibi atti ad aumentare la produzione del sangue. Quando si osserva che un fanciullo è diventato ricco di sangue, egli viene denudato e lo si conduce nella camera della macellazione, dove i macellai, appositamente prezzolati, lo prendono in consegna. Costoro stringono all’infelice creatura le mani ed i piedi fortemente entro robusti lacci ed in tale stato la legano ad un palo fissato nel mezzo di una vasca; infine al poveretto vengono bendati gli occhi e recise le vene delle mani e dei piedi, cosa che grida vendetta al Cielo. E mentre quegli sciagurati fanciulli così si dissanguano e, naturalmente dopo pochi istanti, muoiono, gli “apostoli di Dio” di Gerusalemme, la città di Dio, stanno belli e tranquilli come se niente fosse. I cadaveri dei fanciulli così assassinati, vengono poi bruciati entro un grande forno appositamente costruito, e il loro sangue viene venduto ai ben noti scopi, sia fresco oppure disseccato! L’inferno dovrebbe avere benedetto questo specifico ultrainfernale, perché le donne che usano questo sangue pare che ora siano diventate sul serio feconde!

9. A orrori di questo genere il buon Dio, se Egli non è proprio un’antica leggenda ebraica, dovrebbe pur trovare qualche mezzo da opporre, ma fino ad ora, a tale proposito, non se ne è avuto alcun indizio dall’Alto. Dio tollera ancora con tutta pazienza e comodità simili abomini che non hanno nome nella stessa maniera come, circa trent’anni fa, ha potuto tollerare che dietro comando di una potestà tirannica venissero uccisi a Betlemme centinaia di fanciulli maschi da uno a dodici anni in un giorno e nel modo più crudele di questo mondo!

10. Dio è sommamente buono, savio e pieno di misericordia, come ci insegna la Scrittura, ma se io, che non ignoro tutti gli orrori che avvengono, considero le cose come nella realtà si presentano, posso a mala pena allontanare da me il pensiero che non esista affatto un Dio o, se ce n’è uno, è da lungo tempo che non si cura più degli uomini di questo mondo! Ma c’è qualcuno che possa rimproverarmi per questo? Certo nessuno che sia veramente uomo e che come me sia animato da qualche senso di umanità e un Dio neppure! Infatti nel mio petto batte ancora un cuore che è devoto con tutto amore alla povera umanità!

11. Dunque, se in Te, o Signore e Maestro, si cela qualcosa di divino, vedi di operare anche in questo campo un miracolo e distruggi e annienta simili mostri infernali! Io non dubito minimamente che una tale cosa Ti sia possibile, perché quello che oggi ho visto di Te mi è una garanzia più che sufficiente che, se Tu vuoi, niente Ti può essere impossibile, poiché Tu sei evidentemente più di tutti i profeti presi assieme!».

 

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Cap. 179

L’eccitazione dei discepoli sulla storia del Tempio.

 

1. Gli dico Io: «Amico! Quello che ora Mi hai raccontato è appena una pallida immagine di ciò che so e vedo Io; però a te manca completamente la vera e profonda conoscenza dell’Ordine divino e così tu vai incolpando perfino con apparente diritto quello che a te sembra una lentezza di Dio. Ma poiché tu hai un cuore buono, onesto e sincero come ve ne sono pochi, Io intendo rimanere qui presso di te e dei tuoi per sei giorni interi e darti in questo tempo sufficienti spiegazioni su tutto quello che a te non riesce chiaro. Ed ora, visto che siamo vicini alla mezzanotte, vedi di condurci là dove sono preparati i giacigli per noi!»

2. Dicono i discepoli: «Signore! Oggi è ormai indifferente per noi vegliare distesi su un giaciglio oppure qui all’aperto, perché il racconto dell’amico Marco ci ha tolto completamente il sonno e per niente al mondo saremmo capaci di addormentarci! In verità, ogni goccia di sangue nelle nostre vene ribolle d’ira e di furore contro quelle ferocissime belve di uomini che sono generati dal Tempio! Davvero in simili condizioni sarebbe certo mille volte meglio non essere mai nati! Oh, Signore, fa’ che il fuoco celeste si rovesci immediatamente su queste bestie! Infatti quello che abbiamo sentito ora, supera di gran lunga tutto quanto di perfido noi abbiamo mai saputo sul conto di questa umanità bestiale!»

3. Dico Io: «Appunto perciò è meglio che procuriate di smaltire un po’ la doppia ebbrezza con il sonno! Domani, quando la passione del vostro animo e il vostro sangue saranno più calmi, sarete più facilmente in grado di ragionare e giudicare a tale proposito». E seguendo il Mio consiglio tutti si ritirarono senza obiettare altro e andarono a coricarsi.

4. Il mattino del giorno seguente non tardò ad annunciarsi ed Io e i discepoli ci alzammo subito dai giacigli che avevamo trovato, per quanto era possibile, comodi e buoni.

5. Giunti all’aperto, Simon Giuda disse: «Signore! Io ho bensì potuto prendere sonno per qualche tempo, ma nel mio animo è sempre presente il racconto del nostro albergatore Marco. È una cosa inaudita! Non c’è mai stato niente di simile! In verità, qualche volta io stesso non riesco a comprendere la Tua pazienza e la Tua indulgenza, se penso che Tu, con noi, che pur Ti siamo attaccati per la vita, usi ben altri procedimenti e che prima che ce l’aspettiamo Tu punisci uno di noi sia con una parola sia con un’occhiata, cosicché dopo non ci si azzarda così facilmente a domandarTi di nuovo qualche cosa ad alta voce, eppure Tu puoi tranquillamente assistere attraverso i secoli a simili orrori e questi sembrano non darTi fastidio! Laddove uno di noi uscirebbe dai gangheri, Tu stai a guardare con tutta pazienza, mentre quando il nostro occhio e animo vedono e trovano poco o niente, Tu sì che allora sei ben presente lì e procedi come se la salvezza di tutta la Creazione dipendesse da quel piccolo fatto che a noi sfugge!

6. Vedi, o Signore, sono cose che noi non possiamo assolutamente comprendere e Marco poi non ha tutti torti se proprio nei riguardi di Dio pensa così come si è ieri fedelmente espresso. È certo, ed è vero, che Tu, o Signore, puoi ed anche vorrai sicuramente ricompensare con gli interessi per l’eternità tutti i martiri di queste acute sofferenze, imposte loro su questa Terra, ma nonostante tali considerazioni, resta però sempre una cosa disperatamente amara quella di venire martoriati spesso in  maniera spaventosamente atroce da  rappresentanti  ferocissimi dell’umanità di questo mondo, ed alcuni istanti di atroce tormento, o Signore, hanno per il tormentato pur essi il valore di una piccola eternità!»

7. Dico Io: «Io l’ho già detto ieri a te ed a Marco che durante la Mia permanenza tali questioni verranno qui più da vicino esaminate ed approfondite. Aspettate dunque fino a che il tempo sia venuto e poi tutto vi sarà reso chiaro a sufficienza. Ma ora andate piuttosto ed aiutate Marco a portare a riva il prodotto della sua pesca, perché egli oggi si è accinto già di buon mattino al lavoro ed Io gliel’ho benedetto, perciò andate anche voi ed aiutatelo a trasportare a terra ed a mettere nei suoi vivai i molti e bei pesci presi».

 

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Cap. 180

La pesca benedetta. Del letame del Tempio.

 

1. Udito ciò, tutti i discepoli si affrettarono ed aiutarono con tutte le loro forze Marco ed i suoi figli. Di questi, i due maschi erano giovani, ma robustissimi, mentre le quattro figlie più anziane non avevano tutte assieme tanta forza quanto uno dei due giovani.

2. Quando con il valido aiuto dei discepoli il pesce fu tutto messo in serbo, Marco venne da Me, che stavo seduto su di un sedile di zolle erbose molto pulito e comodo e disse, ancora tutto grondate di sudore: «Signore e Maestro! Tu potrai dire tutto quello che vuoi, ma pur io sostengo fermamente che la mia odierna retata, magnifica e ricchissima, quale in vita mia non ne ho viste di uguali, devo attribuirla a Te così come fosti Tu ieri sera a riempire di vino finissimo i miei otri e perciò anche mi sono affrettato a venire prima di tutto qui a dirTi grazie di tutto cuore. Accogli dunque, o Signore e Maestro, dal più profondo del mio cuore grato e commosso i ringraziamenti che Ti sono dovuti per tutti gli immensi e meravigliosi benefici che Ti è piaciuto rendere a me ed ai miei in misura tanto generosa.

3. Oggi ho gettato la mia grande rete a strascico lunga centocinquanta braccia e profonda proporzionalmente sette braccia e non ne è rimasta vuota una sola maglia. La rete era zeppa di pesce bellissimo ed eccellentissimo! Ed ora i miei dieci serbatoi, che sono abbastanza grandi, sono addirittura carichi di tutto questo pesce che oggi abbiamo tirato a riva con la prima ed unica retata. Se Ti è gradito, io ne faccio subito preparare alcuni per la colazione. Mia moglie è una vera artista a questo riguardo»

4. Dico Io: «Fa pure così, perché ne mangerò volentieri. Ma dopo puoi anche far portare dai tuoi figli altrettanti barili di pesce a Cesarea di Filippo, dove ne ricaveranno un buon guadagno».

5. Marco fece un profondo inchino, andò in fretta in cucina, per ordinare a sua moglie la colazione ed essa, unitamente alle figlie, si mise senza indugio al lavoro. I due figli invece riempirono di pesce sceltissimo due grossi barili e, siccome avevano già fatto colazione con del pane ed un po’ di vino, caricarono il pesce su di un carro e partirono alla volta della città distante un’ora circa di cammino.

6. E quando il carro, tirato da due asinelli, giunse sul posto dove c’era il mercato, si presentarono subito i compratori in buon numero ed in pochissimo tempo tutto il pesce fu venduto a buonissimi prezzi, perché il pesce di quella specie si pagava già allora a un buon denaro al pezzo. Ora, avendone i due giovani portato con sé circa duecento pezzi, l’incasso fatto fu circa di duecento denari, ciò che allora rappresentava di più che non oggi duecento talleri (nell’epoca di Jakob Lorber). Dopo un paio d’ore, i due fecero ritorno a casa con il carro ed i barili vuoti, ma con le tasche piene di denaro che essi consegnarono al padre Marco. Costui, fuori di sé dalla gioia, li prese e non fu parco di lodi con i figli.

7. I due giovani però gli domandarono se dovevano forse ripetere il viaggio, considerato che molta gente che avrebbe voluto acquistare del pesce era rimasta a mani vuote. Allora il padre diede il suo assenso ed essi riempirono di nuovo i barili e ritornarono a Cesarea, dove il secondo carico trovò collocamento più rapidamente ed ancora a miglior prezzo del primo.

8. Marco alla fine non trovò più parole sufficienti per ringraziarMi, vedendosi così improvvisamente tratto fuori dalle misere condizioni in cui aveva versato per lunghi anni.

9. Ma mentre i due giovani erano in viaggio con il primo carico, a noi erano stati serviti a colazione una ventina di pesci ben preparati ed anche di pane e di vino non c’era stata penuria. In questa occasione noi ci eravamo intrattenuti su diversi argomenti, ma tuttavia il principale restava sempre quello dei servitori del Tempio, ed a tale proposito la figlia più anziana di Marco, una giovinetta di diciannove anni, ci mostrò un vecchio recipiente, pieno per metà, del famoso letame sacro e domandò se questo avesse proprio l’incredibile potere fecondatore per le campagne ed i giardini che avrebbe dovuto avere secondo gli importuni venditori.

10. Allora un coro di risate si levo fra i discepoli, ai quali questo sistema di estorsione da parte del Tempio non era sconosciuto e Tommaso esclamò: «Oh, vergogna immensa! È già da quasi cinquant’anni che i servitori di Dio perseverano in questo imbroglio! Non si può negare che qualche sommo sacerdote più degno si sia opposto ad un simile abuso, ma non ha potuto ottenere che scarsi risultati, perché il sacro letame rende ora al Tempio almeno duemila buoni denari. Gli uomini, dal canto loro, sono sempre abbastanza ciechi e finiscono con il credere che questa immondizia sia veramente una benedizione per i loro campi e prati e per i loro orti!»

11. La figlia maggiore però dice: «Oh, mio caro amico, non è proprio così! La grande maggioranza non ci crede più di quanto ci creda io, ma cosa si può fare? Se si rifiuta di comprare il letame, c’è da aspettarsi di veder scatenarsi l’inferno; oltre a ciò i venditori di questa merce immonda sono tanto impertinenti, insistenti e rozzi che si finisce con il comperare volentieri un po’ della loro sozzura, pur di toglierseli dai piedi. Se poi si getta via il letame nell’acqua in loro presenza, non ne prendono più affatto nota e se ne vanno tranquillamente, poiché essi ben sanno che, passato un anno, bisogna di nuovo rassegnarsi a comperare da loro il letame del Tempio»

12. Dice Pietro: «Sì, è vero. Inganno, menzogna e frode di ogni specie, queste sono le virtù dei servitori del Tempio che si danno il nome di servi di Dio. Hanno bensì delle sembianze umane, ma nella profondità delle loro anime portano scolpito l’inferno! E perché poi Tu permetti e tolleri una cosa simile, questo, o Signore, non puoi saperlo che Tu solo e nessun altro in tutto il mondo»

13. Dico Io, rivolgendoMi a tutti: «Lasciamo stare ora questo argomento; mezzogiorno è vicino! La giornata è bella e non troppo calda, perciò noi ce ne andremo un po’ qui intorno in questa libera regione per vedere se non si possa trovare in qualche luogo un posticino in cui si possa godere una bella vista in lontananza. Un tale posticino noi poi ce lo adatteremo a nostro piacere, per potervi tenere le nostre svariate conversazioni durante la nostra permanenza qui»

14. Allora Marco interviene e dice: «Signore! Proprio circa duecento passi più in su della mia capanna, ed esattamente della grotta alla quale essa è addossata, c’è un luogo che figura ancora tra le mie scarse proprietà e che dovrebbe corrispondere al Tuo desiderio. La sommità della collina è adorna di un antico castagno ricco d’ombra, intorno al quale io ho disposto delle zolle erbose a mo’ di panche molto comode. Da lì si gode una vista bellissima ed ampia su tutti questi dintorni, Cesarea di Filippo si vede completamente e dalla parte del mare il panorama è a perdita d’occhio. In giornate molto serene si distingue facilmente il paese fino Genezaret ed anche oltre fino a Chis. C’è qualcuno poi che sostiene di aver potuto vedere perfino Sibarah, ma per arrivare fino là i miei occhi sono ormai troppo deboli e non riesco a distinguere questa città, però ci vedo bene ancora fino a Gadarena e altri luoghi ancora in gran numero»

15. Dico Io: «Allora noi sceglieremo questo posto e vi passeremo il nostro tempo, impiegandolo il meglio possibile. Andiamo, dunque, e tu facci da guida».

16. Marco si mise alla testa della comitiva e per un sentiero molto stretto, però non scomodo, ci condusse al posto che ci aveva descritto e che veramente non lasciava niente a desiderare; vi si distingueva bene Cesarea di Filippo e così pure tutto il mare di Galilea, nonché una grande quantità di altri paesi.

 

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Cap. 181

Marco ed i farisei a caccia di decime.

 

1. Però, mentre eravamo intenti ad ammirare il paesaggio, scorgemmo come alcuni farisei, usciti da Cesarea di Filippo, si erano avviati di buon passo proprio in direzione della misera capanna di Marco. E Matteo, il giovane pubblicano, osservò: «Questa genia deve aver avuto sentore che Tu Ti trovi qui.  Ma chi può averlo riferito loro? Sono stati forse i figli di Marco, che fecero due viaggi in città per portarvi il pesce, a rivelare la nostra presenza?»

2. Dice il vecchio Marco: «Questo non è impossibile, perché i miei figli sono in generale buoni e bravi giovanotti, ma hanno questo difetto di chiacchierare volentieri, cosa questa che ha già suscitato più di qualche malanno. Io voglio interrogarli»

3. Dico Io: «Resta pure qui in pace, perché né i tuoi figli, né nessun altro di questi dintorni ha rivelato la Mia presenza. Essi si sono messi in moto unicamente a causa del pesce e intendono farsi regalare un centinaio di pesci, dei quali hanno ammirato gli esemplari in città, ma che non hanno comperato! Tu già sai che essi sono autorizzati a prelevare la decima dovunque ci sia un raccolto, ora una bella retata come l’hai fatta oggi tu è anche un raccolto ricco e perciò essi ritengono di avere anche il diritto di pretendere la decima. Scendi dunque giù e dà loro un centinaio di pesci, tu ne otterrai delle lodi e poi essi prenderanno il pesce e se lo porteranno subito e pacificamente a casa loro»

4. Dice Marco: «Ma come faranno poi a trasportare i cento pesci?»

5. Dico Io: «Non darti pensiero per questo, poiché sarà affar loro. Se tu guardi bene, ora che si sono avvicinati abbastanza, osserverai che in mezzo a loro va trotterellando un animale da soma e questo porta già sulla schiena quanto occorre per trasportare il pesce»

6. Marco allora guardò più attentamente dalla parte dove la piccola carovana andava avvicinandosi alla sua dimora e si persuase facilmente di ciò che Io gli avevo detto, poi esclamò: «Signore! È proprio così come Tu hai asserito, ma adesso vado prontamente giù e bisogna che i cento pesci siano già preparati per loro nella grande vasca, il che non mancherà certo di sorprenderli un po’!»

7. Gli dico Io: «Va’ e fa’ come hai detto! Però se ti fanno delle domande riguardo al come tu hai potuto sapere della loro venuta, vedi dunque di essere prudente nella risposta e non bisogna che tu li congedi con una menzogna!»

8. Marco se ne va, fa subito levare dai serbatoi cento pesci e li fa deporre nella vasca grande. Ma il lavoro era appena finito quando già arrivò la piccola comitiva di farisei, i quali domandarono del pescatore Marco. Questi subito si annunciò e disse, mentre stava ancora presso la vasca del pesce: «Eccomi qui! E così pure nella vasca c’è anche quello per cui probabilmente siete venuti! Si tratta della decima commisurata con tutta coscienza per voi e consiste in un centinaio di pesci sceltissimi, fra i più belli che siano mai stati pescati nel nostro mare!»

9. I farisei rimangono del tutto sconcertati dalle parole di Marco ed uno di loro dice: «Vecchio, sei forse un profeta che già prima di averci udito sai la ragione per la quale siamo venuti qui dalla città?»

10. Risponde Marco: «Oh, per conoscere questo non occorre davvero essere profeta, basta avere a posto i cinque sensi ed un po’ di intelletto in aggiunta, che poi si riesce a comprendere alla perfezione perché siete venuti dalla città!

Ecco qui, prendete il pesce e ritornatevene in città in pace. Io ho molto da fare oggi e mezzogiorno non è lontano, l’odierna giornata ci ha procurato molto lavori e dobbiamo quindi andare a prepararci il pranzo!»

11. Dice uno dei farisei: «Veramente tu dovresti aggiungere ai cento pesci altri trenta ancora a titolo d’ammenda, perché non è stato un bel gesto, da parte tua, non aver mandato in città, subito terminata la pesca e mediante i tuoi figli, la primizia della tua pescagione a noi che siamo i servitori di Dio e che continuamente preghiamo l’Altissimo per la tua salvezza!»

12. Dice Marco: «Eccoveli qui, non trenta ma quaranta ed ora credo che sarete soddisfatti e che ve ne andrete lasciando in pace anche me!»

13. Dicono i farisei: «Noi abbiamo dalla parte di Dio il diritto di venire quando vogliamo e così pure di andarcene quando ci piace! Tuttavia deponi il pesce nei bariletti che abbiamo portato con noi e poi ce ne andremo subito!».

14. Marco ordina subito ai suoi figli di fare secondo la volontà dei farisei ed essi si mettono senza indugio al lavoro e riempiono i bariletti con i centoquaranta pesci.

15. A lavoro compiuto, Marco dice: «Ecco fatto, come avete richiesto, siete contenti ora?»

16. Risponde un giovane fariseo dall’aspetto molto altezzoso e arrogante: «No, cento volte no! Infatti tu parli con noi come se fossimo la gente più importuna di questo mondo e dimentichi che noi siamo dei servitori del Dio onnipotente, che possono rovinarti per l’eternità con un solo cenno! Il tuo comportamento insolente verso di noi non può essere dunque cancellato dalla consegna dei centoquaranta pesci, ma merita di venir punito con la confisca di tutti i tuoi averi!»

17. Allora Marco comincia a perdere la pazienza. Egli corre in casa e ritorna subito fuori dai farisei con un rotolo di pergamena, sul quale stava scritto a grandi caratteri che a lui era riconosciuta la cittadinanza di Roma e che, come tale, poteva far pieno uso di tutti i diritti spettanti ad un libero cittadino, purché lo volesse!

18. Domanda l’arrogante fariseo, ora alquanto sconcertato: «Oh, oh, da quando siamo diventati pagani? Infatti, a quanto ben ci consta, ancora fino a poco fa tu eri ebreo!»

19. Dice Marco: «Marco non fu mai un ebreo, bensì un romano di nascita che ha servito per trent’anni Marte con spada, scudo ed elmo. Ma questo Marco divenne, per un periodo di prova di tre anni, un ebreo non circonciso. Egli però, a prescindere dalla più nobile dottrina religiosa degli ebrei, si convinse fin troppo presto che tipo di sacerdoti fossero quelli di questa più nobile dottrina di Dio: ipocriti malvagissimi e senza alcuna coscienza, senza onore, mettono sotto i piedi in segreto il loro Dio e la loro dottrina, e ad ogni occasione ingannano la povera umanità. Costoro servono apparentemente, di fronte al popolo cieco, il loro Dio, ma tengono i loro cuori seppelliti in ogni profondità dell’inferno, ed è per questo che, con la più assoluta mancanza di coscienza, fanno il più orribile e vergognoso commercio col sangue degli innocentissimi bambini samaritani. Perciò io sono ridiventato totalmente un romano, e come tale anche morirò! Prendete ora il vostro bottino e con esso andatevene a casa! E ve lo do soltanto perché fino a non molto tempo fa fui, per tre anni, un ebreo non circonciso!»

20. Dicono i farisei: «Come è mai possibile che tu, o Marco, sia diventato improvvisamente tanto avveduto? Noi ti abbiamo già da lungo tempo conosciuto per un uomo di limitatissima intelligenza! Davanti a noi pareva spesso che tu non sapessi se eri uomo o donna. Come ti è capitata così d’improvviso questa chiarezza di idee?»

21. Risponde Marco: «Questa era solamente una maschera molto ben applicata alla foggia romana, per poter, con l’apparenza dello stolto, scoprire i vostri perfidi intrighi, i vostri scandalosi inganni e tutti gli altri vostri abomini! Io vi garantisco, ad ogni modo, che conosco Mosè e tutti i profeti meglio di voi e che in cuor mio sono già da lungo tempo un vero ebreo!».

22. Dicono i farisei: «Senza la circoncisione nessuno può essere un ebreo, né può avvicinarsi a Dio»

23. Osserva Marco: «Io non ho mai ambito ad avvicinarmi a Dio secondo la vostra maniera, bensì soltanto nel cuore, come insegna il profeta Isaia e questo mi basta, perché, se anche dovessi venire condannato da Dio per non essermi fatto circoncidere, questo importa assai poco a voi. Io invece penso che, in generale, Dio è più saggio di tutti gli uomini ed in particolare infinitamente più saggio, buono e giusto di voi e che Egli guarda solamente alla circoncisione in purezza di cuore e non a quella del prepuzio, la quale può aver sì uno scopo terreno, ma spiritualmente è, se ben consideriamo, solamente una sciocchezza. Dunque, da ebreo nel cuore io vi do tuttavia la decima, ma ve la do spontaneamente, mentre voi non avete neanche l’ombra del diritto di esigerla da me che sono cittadino di Roma! Ed ora andatevene, altrimenti riprendo il mio pesce e vi lascio andare a mani vuote. Mi avete capito bene?».

24. A questa energica tirata del nostro Marco, i farisei non aprono più bocca e se ne vanno per i fatti loro con il loro pesce.

 

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Cap. 182

La predizione del Signore riguardo alla Sua morte ed alla Sua risurrezione.

 

1. Marco allora ordina che venga sollecitamente preparato il pranzo, poi risale sulla collinetta dove ci trovavamo noi e ci racconta per filo e per segno quello che egli aveva trattato con i farisei.

2. Io gliene do lode e così gli parlo: «Marco, Io te lo dico: già dal principio a questo popolo fu dato, e la grande promessa che gli fu fatta ha raggiunto ora il suo completo adempimento.  Ma siccome questo popolo è tanto indurito e non vuole riconoscere il tempo supremo della sua prova, e invece va cercando la sua salvezza nella palude di questo mondo, che passerà come passano le immagini di un sogno, sarà concesso che esso colmi la misura dei propri abomini uccidendo il suo Dio e Signore!

3. Ma allora gli saranno tolti ogni grazia, ogni luce ed ogni diritto e saranno dati a voi pagani, perché siete di buona volontà e, da ciechi quali siete, avete riconosciuto quello che gli ebrei vedenti hanno rigettato.

4. E perciò avviene che ora la luce scende a voi dall’Alto e fa sì che voi diventiate vedenti nel cuore, ma i figli della luce saranno cacciati fuori nelle più profonde tenebre. Essi dovranno andare a raccogliere le briciole tra i popoli stranieri; perfino il nome popolo sarà loro tolto ed avranno per sempre cessato di essere un popolo!»

5. Disse Marco: «Dovrebbe dunque davvero accadere che essi, nel loro grande furore, si impadroniscano di Te ed uccidano il Tuo corpo, come hanno fatto quasi a tutti i profeti?»

6. Dico Io: «Oh, sì! Essi non esiteranno a fare a Me come hanno fatto agli altri! Ma allora il loro conto sarà giunto alla fine!»

7. Dice Marco: «Sì, certamente è così come ebbi a dire la scorsa notte. Questa razza è capace di ogni delitto! Perciò, per quanto è possibile, guardati dalla cosiddetta città di Dio. Essa Ti ucciderà, a meno che non Ti voglia armare di tutta la Tua preveggenza e di tutta la Tua onnipotenza, perché i servitori del Tempio io li conosco bene dentro e fuori! Chi si azzarda a toccare la loro dottrina, che già da lungo tempo è proprietà dello spirito maligno, costui deve prepararsi a lottare con tutto l’inferno. La loro amicizia è una maledizione e la loro maledizione è la morte. La vita di un uomo per questi tali non vale più della vita di un moscerino a cui nessuno fa attenzione a causa della sua meschinità»

8. Dicono i discepoli: «Ma noi, che conosciamo il nostro Signore e Maestro, possiamo sostenere che tutta la loro perfidia, per quanto astuta e raffinata possa essere, dovrà spuntarsi contro la Sua sapienza, perché Egli, che può comandare alla morte e che può richiamare i morti in vita, sarà difficile che possa venire ucciso!»

9. Dico Io: «Certamente in eterno Egli non potrà essere ucciso e tuttavia Egli sarà ucciso per testimonianza contro di loro e affinché la misura data loro venga resa colma! Infatti, se hanno messo le mani sui santi di Dio, non mancheranno di metterle anche su di Me e di diventare in tal modo autori del loro proprio giudizio! Però a colui che vuole che così sia non viene fatto alcun torto se viene rigettato! Ma se non hanno fatto altro che del male ai molti messaggeri nel tempo passato – ciò che è stato un abominio indicibile – non risparmieranno nemmeno Colui che ha mandato i Suoi messaggeri prima di Lui.

10. Però la circostanza supremamente fatale per loro sarà che l’Ucciso, dopo appena tre giorni, risorgerà dalla tomba illeso, al colmo della propria forza e potenza ed al sommo grado dell’energia vitale, quale un trionfatore possente della morte e di tutti i suoi nemici ed a consolazione eterna dei Suoi amici e fratelli! Allora, sopraffatti dallo spavento e disperatamente sgomenti, essi terranno consiglio per vedere come poter di nuovo uccidere il Resuscitato da morte, ma non saranno più in grado di escogitare alcuna trama per i loro scopi e la loro caduta poi non sarà lontana.

11. Queste sono le cose che accadranno e la Mia predizione troverà in esse il suo vero adempimento.

12. Voi ne avrete certo grande tristezza ed una angoscia grande vi è riservata per causa Mia, ma la vostra tristezza, il timore e l’angoscia si convertiranno ben presto in una gioia immensa, quando rivedrete fra voi, come oggi lo vedete, l’Ucciso, in tutta la pienezza della Sua potenza sopra ogni vita e sopra ogni morte!»

13. Disse Marco: «Se le cose stanno così, non è allora troppo difficile il farsi uccidere, per così dire, pro forma! Date simili circostanze, Tu puoi recarTi a Gerusalemme quando vuoi, perché a Te non può accadere nulla! Se Tu sei un Signore della vita e della morte, chi mai potrà ucciderTi? E se anche Ti uccidono, o si illudono di averTi ucciso e poi risorgi più forte e più potente e vivente di prima e pronto alla lotta contro i nemici, in questo caso io non vorrei certo trovarmi nella pelle dei Tuoi nemici. Essi allora saranno consunti dal fuoco della loro angoscia e del proprio terrore. Tutti i loro consigli e le loro trame non avranno più effetto né ora né in eterno, perché appunto in questo modo tutti i loro spaventosi abomini si mostreranno in piena luce dinanzi agli occhi dell’umanità e la loro effettiva esistenza avrà trovato per l’eternità quella fine che gli uomini migliori stanno auspicando da molto tempo. O Signore e Maestro! Fa’ che ciò si avveri quanto prima con tutta certezza! Io certo sono ormai diventato vecchio ed i miei piedi non calcheranno la Terra molto di più di quanto l’abbiano già calcata finora, ma pure a questi avvenimenti io bramerei assistere e poi mi sarebbe più leggera la morte!»

14. Dico Io: «La cosa non è ancora completamente e precisamente determinata che debba avvenire proprio così, ma ci sono più probabilità per il sì che per il no. Ma ora il mezzogiorno è già passato da molto ed i nostri corpi richiedono essi pure un ristoro, dunque, noi scenderemo e mangeremo qualcosa!»

15. Dice Marco: «Anche in questo Tu hai perfettamente ragione, dunque possiamo anche andare, perché il pranzo sarà ora già pronto. Dopo il pranzo, se fa piacere a Te, o Signore, possiamo sempre ritornare quassù!»

16. Dico Io: «Il pomeriggio di oggi noi lo impiegheremo altrimenti, domani invece questo posticino ci sarà di nuovo ben gradito. Ed ora andiamo».

 

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Cap. 183

Viene annunciata la visita di Cirenio.

 

1. Quando dopo pochi istanti giungemmo in basso, il pranzo era già preparato e noi ci sedemmo alla grande tavola che era stata apparecchiata all’aperto sotto l’ombra di un rigoglioso castagno. Ci vennero serviti del buon pesce, pane, vino e degli eccellenti fichi freschi in quantità abbondante, così che ci fu da saziarsi più che a sufficienza per tutti noi che eravamo circa una trentina. Il pranzo trascorse piacevolmente quanto mai e l’onesto Marco, il vecchio e loquace soldato, ci raccontò molte delle vicende ed avventure da lui vissute con un tono patetico innato, tutto suo particolare. Ed i Miei discepoli ebbero così l’occasione di veder svelato ai loro occhi il mondo e di conoscere più di una cosa per il bene dell’umanità, cui essi erano più tardi destinati a fare da guide.

2. Dopo che furono passate due ore e più da che ci trovavamo seduti a mensa, comparve dalla città un messo, il quale portò a Marco la notizia che il venerando governatore Cirenio era arrivato verso mezzogiorno a Cesarea di Filippo e che egli, Marco, ben conosciuto dal governatore come un vecchio soldato, poteva recarsi da lui per esporgli le sue condizioni notoriamente misere e che il governatore stesso avrebbe procurato di fare per lui qualcosa secondo le possibilità.

3. E Marco così rispose al messo: «Ti piaccia di riferire al mio antico compagno d’armi che io mi prostro ai suoi piedi e che lo ringrazio caldamente del suo interessamento alle mie poverissime condizioni. Io però questa volta non potrei approfittare della sua grazia, qualora a tale scopo dovessi recarmi in città, perché ho degli ospiti, il principale dei quali, loro Signore e Maestro, mi ha miracolosamente tolto dallo stato di indigenza in cui mi trovavo prima. Questo Signore e Maestro mi ha promesso di rimanere presso di me per sei giorni interi ed io perciò dovrei ritenere una grave mancanza abbandonarlo un solo istante. Qualora però al mio vecchio compagno d’armi non dovesse sembrare troppo al di sotto della sua dignità fare una passeggiata fin qui da me, tutta la mia casa farà del suo meglio per accoglierlo nel modo più degno!»

4. Dice il messo: «Sta bene, io riferirò tutto fedelmente all’illustre Governatore così come tu hai detto». Con ciò il messo si congeda, monta sulla sua cavalcatura e si allontana rapidamente.

5. E quando il messo fu sparito, Marco disse: «Io non credo che il Governatore ne avrà a male per questa mia risposta!»

6. Gli dico Io: «Non preoccuparti per ciò! Io posso dirti che quando egli verrà a sapere che è evidente che qui Mi trovo Io, non esiterà neppure dieci istanti a decidersi a venire qui, e solo allora avrai l’occasione di farti un concetto della gloria di Dio, perché sii certo che Cirenio Mi conosce fin dalla nascita!»

7. Dice Marco: «Sarà sicuramente così; ma nei riguardi del mondo egli è persona troppo altolocata e di conseguenza deve anche evitare a causa dell’umanità sciocca molte cose che altrimenti certo non eviterebbe, dunque resta abbastanza forte il mio dubbio se egli potrà concedermi l’alto onore della sua visita»

8. Dico Io: «Prima che tu possa salire e scendere per tre volte sulla tua collinetta, egli sarà qui. Il messo gli avrà appena recato la notizia, e Cirenio, il quale non avrà avuto ancora il tempo di prendere il pranzo, sospenderà tutto e si affretterà a venir qui, con tutto il suo seguito, per vederMi e per parlarMi.

9. Dunque, ordina a tua moglie ed alle tue figlie di preparare sollecitamente ancora un pasto per lui e per la sua gente, perché siccome non vorrà perdere tempo per rifocillarsi in città, il pranzo qui gli sarà sommamente gradito».

10. Allora Marco chiama subito la moglie e le sue sei figlie fuori dalla capanna e dice loro di allestire subito un pranzo per il supremo governatore Cirenio, il cui arrivo è imminente, nonché per la gente del suo seguito, circa una trentina di persone!

11. La donna guarda Marco tutta sbalordita e non comprende se egli dice sul serio oppure se sta scherzando. Marco però la manda subito in cucina e la donna si accinge al lavoro ordinatole.

12. Contemporaneamente Marco ordina ai suoi due figlioli di andare di vedetta dall’altra parte della collina e di avvertirlo immediatamente quando vedessero avvicinarsi una splendente comitiva che proviene dalla città. I due giovanotti andarono solleciti girando intorno alla collina fino al punto da dove si poteva benissimo distinguere Cesarea di Filippo e subito scorsero una schiera splendente di gente che, abbandonata la strada maestra, stava appunto per imboccare lo stretto che in meno di un quarto d’ora li avrebbe rapidamente condotti alla dimora del nostro Marco.

13. Non appena i due giovani si furono persuasi della cosa, ritornarono correndo e, tutti ansimanti, la raccontarono al loro padre.

14. E Marco allora Mi domandò: «Signore e Maestro, bisognerà forse che noi andiamo loro incontro secondo la deferenza cerimoniosa tipicamente romana?»

15. Dico Io: «Non occorre affatto! Chi dalla sua salvezza si sente spinto verso di Me, costui viene ugualmente, anche se non gli si va incontro! Cirenio è forte nello spirito e non ha bisogno che gli si vada incontro. Soltanto laddove un debole nell’anima e nel corpo si è incamminato per la via che conduce a noi, allora sì che dobbiamo andare ad incontrarlo, affinché non si stanchi a mezza via e non resti lì a giacere e vada in perdizione».

 

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Cap. 184

Marco accoglie e saluta Cirenio.

 

1. Noi avevamo appena finito di parlare, quando già udimmo un vocio venire da dietro la collinetta: era appunto Cirenio con tutto il suo seguito ed anche Giosoe, il ragazzo che Io avevo risuscitato da morte a Nazaret, nella tomba nuova di Giairo. Procedeva egli pure accanto a Cirenio, vestito molto bene alla foggia romana e montato su un cavallino da sella.

2. Cirenio, arrivato sullo spiazzo abbastanza vasto che si estendeva davanti alla capanna, domandò ai due giovani se quella fosse la dimora del vecchio soldato Marco.

3. Ed i due giovani, figli di Marco, facendo un profondo inchino, risposero: «Sì, o potente signore e dominatore!».

4. Ma allora anche Marco in persona si presenta a Cirenio e con la deferenza cerimoniosa abituale dei romani dice: «Illustre signore e dominatore, nessuna cosa a questo mondo avrebbe potuto trattenermi dal rispondere al momento della tua preziosissima chiamata, se non che attualmente dimora presso di me un Ospite assieme ad alcuni Suoi discepoli. Egli deve essere certamente un Dio, perché per la sola potenza della Sua Volontà fa cose che nessun mortale su questa Terra ha mai potuto fare. Ora vedi, non mi era possibile lasciare questo Ospite dai Cieli, tanto più che Egli mi ha colmato di benefici ed oramai la mia capanna non è più povera, bensì invece molto ricca, poiché adesso posseggo circa cinquanta otri di vino eccellente, i miei cinque vivai rigurgitano di bellissimo pesce delle qualità più pregiate; le mie dispense sono tutte colme dei migliori cibi ed ho anche in sovrabbondanza sale e legna per tutta la mia vita. Cosa potrei io, che sono ormai vecchio, cercare e desiderare di più? Ma non io solo, bensì anche i miei otto figli sono ben provveduti, perché oggi ho ricavato già quattrocento denari, ciò che per me significa molto e certamente potrò guadagnarne ancora parecchie centinaia a quella stessa fonte alla quale ho attinto i quattrocento di oggi in maniera del tutto onesta»

5. Dice Cirenio: «Allora va tutto bene ed io sono certamente più lieto di te di ritrovare uno dei miei più vecchi compagni d’armi tanto contento. Ma adesso conducimi dal tuo Ospite meraviglioso. La ragione principale per cui ho lasciato la città e sono venuto qui da te va ricercata appunto in Lui, perché, da quanto mi ha riferito il messo, debbo ritenere che il tuo Ospite miracoloso altri non sia che il divino Gesù da Nazaret, il Quale io non potrò in eterno mai ringraziare abbastanza per gli immensi benefici che mi ha elargito tanto spiritualmente che materialmente. Conducimi dunque subito da Lui!».

6. Cirenio non aveva potuto scorgerMi appena arrivato, perché Io Mi trovavo con i discepoli ancora seduto alla mensa allestita all’ombra di un castagno molto grande e folto, i cui rami, carichi di fogliame, pendevano in qualche punto fino a terra. Marco dunque condusse subito Cirenio assieme a Giosoe da Me, sotto il castagno. 

7. E quando Cirenio Mi ebbe scorto, ne fu tanto commosso che la gioia nel vederMi gli fece salire le lacrime agli occhi ed egli esclamò: «Oh, il mio presentimento non mi ha ingannato! Sei Tu, sei Tu! Oh, come sono immensamente felice e beato che il Cielo mi abbia concesso ancora una volta la grazia indicibile di poter, dopo molti giorni trascorsi, vedere Te, che sei il mio Tutto, di parlarTi e di venire ribenedetto e vivificato per l’eternità dall’alito della Tua bocca! O Signore, o mio Gesù, che io amo veramente e fedelmente sopra ogni cosa, o Signore eterno di tutto il mondo e di tutti i Cieli! Quanto grande è il mio debito verso di Te; in primo luogo, per ogni minuto di vita che Tu mi concedi, e poi per l’immenso beneficio che grazie alla Tua imperscrutabile sapienza mi venne largito a Chis facendomi recuperare i denari delle imposte che erano stati rubati! Oh, Signore! Ogni giorno penso da quale tremendo imbarazzo mi tirò fuori allora la Tua sapienza! E quando fra me e me ci penso, sempre gli occhi mi si riempiono di lacrime di gratitudine e devo adorarTi piangendo»

8. Gli dico Io: «Amico e fratello, vieni a prendere posto qui alla Mia destra e che anche il tuo seguito si sieda all’altra mensa che è là sotto quel fico! Tra breve sarà servito il pranzo che già in anticipo Io ho fatto preparare per te ed i tuoi compagni, perché Io so che oggi vi siete ristorati poco. Ma come sta il Mio Giosoe? Ed egli va d’accordo con l’angelo che di quando in quando viene a trovarlo?».

 

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Cap. 185

Il metodo di insegnamento dell’angelo.

 

1. Allora Giosoe, il cui aspetto è già più consistente e robusto, Mi si presenta dinanzi e dice: «Signore, Vita di ogni vita, la mia salute non lascia niente a desiderare ed io gusto cibo e bevande sempre ugualmente bene, però devo dire, relativamente all’angelo il quale ogni tre giorni mi viene a far visita da Sichar per qualche istante, che veramente non sono molto contento, per la ragione che egli, qualunque cosa io gli dica, trova sempre qualcosa da ribattere! Io certo accolgo ben volentieri ogni insegnamento che sia nei limiti del buono, del vero e dell’utile, ma se qualcuno mi dice oggi che una pera e ancora un’altra pera vicino fanno due pere, ma poi alla prossima occasione non ritiene più valido il suo stesso ragionamento, quando sono io a volerlo ritorcere contro di lui, quando cioè un’altra volta vuole darmi ad intendere che una pera più un’altra pera ancora possono fare anche tre, quattro, cinque e addirittura un numero infinito di pere e che, in generale, uno più uno non fanno solamente due, ma possono rappresentare spiritualmente qualsiasi altro numero, ne consegue poi che sempre devo arrabbiarmi un po’ e mi tocca ogni volta bisticciare col mio maestro ed educatore spirituale, perché per lui, alla prossima visita, non ha più valore come unica verità ben stabilita quello che in una precedente visita mi aveva rappresentato come una solida verità. In poche parole egli viene talvolta fuori con cose che fanno rizzare i capelli in testa per essere accettate. E perciò io vorrei pregare Te, o Signore di tutti i Cieli e di tutti i mondi, di suggerire al maestro spirituale di Sichar di procedere con me in maniera più ragionevole, oppure di risparmiarmi le sue visite per l’avvenire!»

2. Dico Io: «Oh, Mio caro Giosoe, vedi di sopportarlo così com’è! Egli ti inizia nella vera sapienza dei Cieli, perché i calcoli degli spiriti hanno tutto un altro aspetto rispetto a quelli di questo mondo! Se Io volessi usare con te il linguaggio dei Cieli, tu non comprenderesti certamente nulla, ma ora Io stesso, come uomo di carne e di sangue, parlo da uomo delle cose dello spirito con gli uomini, secondo i concetti di questa Terra ed ecco che gli uomini si scandalizzano perché non Mi comprendono e ci sono anche molti che non Mi vogliono comprendere! Il tuo maestro spirituale però, tutte le volte che ti insegna lo fa come veramente va fatto, ma i suoi insegnamenti cominceranno a riuscirti più chiari su questa Terra quando sarai molto più avanti con gli anni; in quanto a comprenderli interamente, questo ti sarà possibile un giorno nell’aldilà, quando nessun turbamento salirà più dalla tua carne e dal tuo sangue ad offuscare la purezza della tua anima. Mi hai compreso?»

3. Risponde Giosoe: «Oh sì, o Signore dell’Infinito! Molto più facilmente Io comprendo Te che il mio maestro spirituale! Ma quando mi viene a dire che alla fin fine ira e amore sono la stessa cosa, allora nella mia mente trovo tutto rovesciato e quello che è in alto cade giù e viceversa; ugualmente succede quando sostiene che, tutto ben considerato, anche Cielo ed inferno sono una cosa sola! Tutto ciò lo comprenda chi vuole, perché per il mio intelletto resta sempre una evidentissima contraddizione!»

4. Dico Io: «Eppure anche qui l’angelo ha perfettamente ragione, ed è proprio così! A questo riguardo Io voglio citarti alcuni piccoli esempi, e tu poi vedrai sicuramente la cosa in una luce un po’ più chiara. AscoltaMi dunque!

5. Considera un po’ il Sole d’inverno, quando in una giornata serena risplende, diffondendo un gradevolissimo tepore. Come ti ristora il suo raggio! Ma quando invece nei deserti dell’Africa lo stesso suo raggio infuoca l’aria e scende rovente sulla sabbia così da cominciare a fonderla, ebbene, se tu dovessi percorrere in simili condizioni il deserto, la luce del Sole diverrebbe per te un inferno! Comprendi ciò?»

6. Risponde Giosoe: «Sì, lo comprendo!»

7. Ed Io proseguo: «Bene, odiMi ancora. La notte che segue ad una giornata calda e affannosa è certamente una grande amica e benefattrice della stanca umanità; lasciamo però che questa benefattrice duri una trentina di giorni di seguito e vedrai che gli uomini cominceranno a disperarsi e a maledirla, perché una notte che si protraesse per tanto tempo renderebbe la Terra tanto gelida che, alla fine, qualsiasi manifestazione della vita organica non sarebbe più possibile! Ed ecco la grande benefattrice dell’umanità convertita in un vero e proprio inferno! 

8. E se durante una giornata di grande calore ti trovi a dover camminare e la sete comincia a tormentarti e tu arrivi ad una sorgente pura ed abbondante, ebbene, com’è celestiale e delizioso un sorso di quell’acqua limpida! Ma più sotto, nella valle, la stessa acqua si raccoglie in un bacino vasto e profondo così da formarne un lago. Se tu vi cadessi dentro, troveresti inevitabilmente la morte! Vedi, dunque, la stessa acqua che sulla strada montana ti ha procurato una delizia celestiale, giù nel lago profondo ti ucciderà e diventerà per te un temporaneo inferno.

9. Così pure tu bevi una tazza di buon vino e questo ti darà ristoro; però prova a bere un otre intero in una volta, e il vino ti ucciderà, e di conseguenza diverrà anch’esso un inferno!

10. Tu sali volentieri su un’alta montagna ed allora lo spettacolo magnifico che si offre ai tuoi occhi rallegra il tuo cuore. Ma lascia che il monte ti cada addosso e che tu perda la vita, ed ecco che pure il monte sarà diventato un inferno!

11. Quando d’estate il vento spira dolcemente e ti accarezza dolcemente la faccia, come ti solleva e ristora tutto il tuo animo! Ma lasciamo che aumenti di forza e divenga uragano così da sradicare gli alberi: ne avrai tu ancora ristoro? No certamente, anzi, dovrai darti alla fuga e cercare un riparo dove l’uragano non può penetrare. E così lo stesso vento di prima, se aumenta la sua forza, non è più una delizia per te, bensì un vero inferno!

12. Ne consegue che a ciascun uomo è data in tutte le cose una certa misura, a seconda della sua costituzione naturale, capacità e forza. Se egli resta entro i limiti di questa misura, si trova perfettamente nell’ordine in cui Dio lo ha collocato e di conseguenza tutto quello che lo circonda è per lui un Cielo, ma se invece in qualunque maniera oltrepassa i limiti di quest’ordine e vuole caricare un mondo sulle sue deboli spalle, questo allora finirà con lo schiacciarlo e con l’essere un “inferno”!

13. Dunque, una giusta misura in tutte le cose è un “Cielo” tanto per gli uomini quanto per gli spiriti; l’eccedere invece nelle stesse cose, tanto per gli uomini come per gli spiriti, trasforma il “Cielo” stesso in un “inferno”! Ebbene, ti è chiara ora la cosa?»

14. Risponde Giosoe: «Sì, adesso comprendo benissimo e ne sono lieto davvero! Ma, allora, perché il mio maestro spirituale non segue il Tuo stesso metodo nell’insegnare, in modo che io possa subito comprendere come mi accade ora?»

15. Dico Io: «Anche questo ha di nuovo la sua savia ragione! Se il tuo maestro spirituale ti rendesse tutto evidente e chiarissimo di primo acchito, non giungeresti mai all’indipendenza di pensiero ed infine a quella di decisione; ma, così facendo, egli invece ti costringe a pensare ed a formulare decisioni da te stesso e questa è già la vera celestiale maniera di insegnare. Quando sarà necessario e tu avrai raggiunto la debita maturità, allora il maestro spirituale saprà bene far seguire a ciascun insegnamento anche le più limpide immagini integranti le dottrine stesse, ma conviene che prima tu divenga intensamente attivo nello spirito; altrimenti non arriveresti a concepire le ulteriori ed ancora più profonde verità della sapienza celeste! Ed ora ti è chiara la cosa?»

16. Dice Giosoe: «Sì, o Signore, soltanto ora comprendo interamente cosa devo pensare del mio maestro spirituale di Sichar e sento pure sorgere in me un grande amore per lui!»

17. Dico Io: «E questo amore ti suggerirà anche gli esempi. Ma ecco che ora viene qualcosa che interessa il corpo. La moglie, i figli e le figlie di Marco sono già qui con le braccia cariche di cibi e bevande. Mangiate adesso e bevete secondo il bisogno, affinché non abbiate né fame né sete, perché presso di Me non c’è bisogno che si soffra la fame e la sete, ma ciascuno sia invece corporalmente e spiritualmente saziato del tutto».

18. Cirenio e Giosoe sono ambedue benissimo disposti a tale riguardo e perciò fanno vigorosamente onore alle vivande, mentre anche il seguito di Cirenio non si fa molto pregare e fa a gara per imitarne l’esempio.

 

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Cap. 186

Il dono di Cirenio a Marco.

 

1. A pasto finito Cirenio fa chiamare Marco e sua moglie, ringrazia il primo per il buon pranzo offertogli nonché per la sua cordiale ospitalità che non si smentisce mai, ed è generoso di lodi anche con la donna per la sua abilità nell’arte della cucina, perché cibi così squisiti e ben preparati egli non li aveva ancora mai gustati, specialmente il pesce, il cui sapore prelibatissimo superava ogni altra cosa del genere.

2. E dopo aver dato espressione alla sua lode, Cirenio dice a Marco: «Tu, o vecchio mio compagno d’armi, guarda lì quella mula bianca, sul suo dorso essa porta qualcosa che è destinata a te e alla la tua famiglia; va’ e prendila. Tu hai sofferto abbastanza privazioni finora ed hai avuto la tua parte di tribolazioni e d’angustie, ma a queste condizioni affatto invidiabili è ora che venga posto termine. Tu troverai in due sacchetti tanto oro ed argento quanto ti basta per costruirti una migliore dimora e per comperare, accanto a questa, qualche campo e qualche prato, coltivando i quali potrai vivere benissimo assieme alla tua famiglia. Quello che eventualmente potrebbe avanzarti, tienilo come una buona riserva, perché fino a tanto che, secondo la Volontà del Signore, dobbiamo vivere su questa Terra, è bene che non ci manchino del tutto anche i mezzi per poter vivere.

3. Fino a tanto che non siamo dèi, dobbiamo lavorare e guadagnare il pane con il sudore della fronte. Chi in un modo, chi in un altro, ognuno però ha da lavorare abbastanza, perché non gli è lecito starsene con le mani in mano. Ma chi, com’è il caso tuo, in vita sua ha già faticato abbastanza, è giusto che i suoi ultimi anni li trascorra con un po’ di maggiore comodità. Va’ dunque e prendi in consegna il piccolo dono e che il Signore te lo benedica!». 

4. Con le lacrime agli occhi Marco ringraziò Cirenio, e oltre a Cirenio soprattutto Me, perché egli pensava che, anche se il dono proveniva da Cirenio, tuttavia egli era più che convinto che il movente di tutto fosse da ricercarsi in Me; per questo egli ringraziò Me in primo luogo!

5. Io però gli dissi: «Prendi pure ciò che ti viene offerto e fanne buon uso; ma non darci alcun particolare valore, perché, quanto è misurato ogni dono terreno, altrettanto non misurata è la vita terrena degli uomini! Oggi tu sei ancora padrone dei tuoi tesori e domani invece ti si domanda conto della tua anima! Cosa poi potrai dare tu per salvare la tua anima dalla morte eterna?

6. Però ognuno cerchi anzitutto il Regno di Dio e tutto il resto gli sarà dato in aggiunta, a seconda dei suoi bisogni!

7. Ma quello che egli riceve, non lo riceve per accumularlo, ma per impiegarlo accortamente e con saggezza per il bene proprio ed anche del suo prossimo. Di veri poveri tu ne troverai in gran quantità: sia la loro angustia ragione di allegria per il tuo cuore, poiché ora ti sono dati spiritualmente e materialmente i mezzi per lenire tale miseria e per rendere lieto il cuore dolente del fratello povero!

8. Vedi, da ogni cuore che tu avrai ristorato e rinvigorito nel Mio Nome, verrà il giorno in cui per te germoglierà un nuovo Cielo pieno di beatitudini innumerevoli e immense, ma già su questa Terra avrai un conforto che nessuna felicità terrena potrà mai darti ed in te sorgerà la vera pace, quella pace che il mondo non conosce, né mai ha conosciuto. Dunque va’ ora e prendi in consegna tutto ciò che ti è stato donato!».

9. Il vecchio allora andò con i suoi due figli, prese i sacchetti ben grandi e pieni e li portò in un luogo dove sarebbero stati ben conservati. E quando nuovamente comparve, rinnovò i suoi ringraziamenti e Mi domandò se ci sarebbe stato qualcosa da disporre per il pomeriggio.

10. Ed Io gli dissi: «Fa’ preparare le tue barche e noi faremo una piccola gita sul mare, considerato che la giornata è così bella, tranquilla e senza vento. Oggi potrai gettare ancora una volta in mare la tua grande rete e farai una seconda retata che sarà benedetta come la prima».

11. Marco allora ordina subito ai suoi figli ed alle figlie più anziane di allestire per bene i battelli, come pure la grande rete e raccomanda loro inoltre di esaminare se il vivaio grande, circondato da una grande staccionata, sia ancora ben conservato e, caso mai vi riscontrasse qualche apertura, di chiuderla quanto possibile mediante sterpi e pietre!

12. Dicono i figli: «Padre, quattro giorni fa abbiamo già ispezionato tali cose e dovrebbe trovarsi dunque tutto ancora in perfettissimo ordine, poiché non c’è stato cattivo tempo, ma pure noi andremo a vedere, per avere la certezza assoluta che non vi sia niente di guasto». Poi i figli si allontanarono, esaminarono tutto attentamente e furono presto di ritorno con la notizia che tutto si trovava ancora in buonissimo stato ed era senz’altro adoperabile.

13. Dico Io: «Allora andiamo fuori e saliamo sulle barche, ciascuna delle quali può portare benissimo dodici persone!». Detto questo, tutti si alzarono e Mi seguirono. 

 

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Cap. 187

La compagnia in gita sul mare.

 

1. Giunti che fummo sulla riva, i figli di Marco spinsero subito davanti a noi il battello migliore e più grande e noi vi salimmo su prendendo posto sulle panche già disposte allo scopo. I due giovinetti poi diedero di piglio ai remi, e il nostro battello si allontanò abbastanza rapidamente dalla riva. Sul Mio battello si trovavano vicino a Me Cirenio, il giovinetto Giosoe, il vecchio Marco, Pietro, Giovanni e Giacomo, mentre tutti gli altri discepoli ci seguivano sugli altri battelli e così pure le altre persone del seguito di Cirenio. A bordo della nostra barca era però stata caricata la grande rete, bene piegata secondo tutte le regole.

2. E quando fummo arrivati a circa cinque tratti di campo dalla riva, Marco domandò: «Signore, ci dirai Tu dove dovremo gettare la rete»

3. Ma Io gli dico: «Questo lo farò al momento opportuno, ma qui, non ancora né adesso. Non è passata neppure mezz’ora da quando ci troviamo in mare, perciò non conviene così presto turbare la sua pace, né destare gli spiriti delle acque, che infine potrebbero darci delle noie; quando saremo più verso occidente, più vicini alla riva sicura, allora sarà il momento di gettare la rete. Per ora non faremo che riposare come fa il mare stesso. Ma se qualcuno di voi vuole sapere qualcosa, gli è lecito interpellarMi»

4. Dice Cirenio: «Quello che particolarmente mi colpisce in casa di Marco è il constatare che le sue quattro figlie più anziane sono altrettanto robuste al remo quanto i suoi due, si può ben dirlo, figli erculei! Pure tu, Marco, avevi una volta una tempra un po’ atletica, ma i tuoi figli ti hanno superato di molto».

5. Dice Marco: «Questo è ben vero, però oggi la loro robustezza mi pare che abbia qualcosa di straordinario, perché i loro remi lavorano con tanta assiduità ed energia che la barca sembra scivolare sulla superficie dell’acqua come spinta dal vento. Davvero con una simile velocità si potrebbe arrivare a Chis in mezza giornata o addirittura a Sibarah, mentre di solito si impiegano due giornate buone. In questa forma poi si raggiungerebbe Genezaret in due ore e Gesaira in quattro.

6. Se i miei vecchi occhi non m’ingannano, io scorgo già l’alta montagna che, vista da qui, copre a sinistra la città di Genezaret. Essa appare certo ancora molto bluastra e perciò ancora lontana, ma ciò non conta ed ogni distanza, per quanto bluastra in apparenza, è vinta dalla rapidità di questa marcia. Devo dire, per altro, che non posso fare a meno di ammirare sempre più la resistenza e la forza dei miei due figli! Qui, o Signore, vi hai certo parte anche Tu, con la Tua onnipotente e santa Volontà!»

7. Dico Io: «Caro Marco, amico Mio, con il Mio Volere Io, senza alcun dubbio, devo avere parte, e infinitamente multiforme anche, sempre e dappertutto quando c’è traccia di un qualche divenire, essere e conservare, dall’immensamente grande al minutissimo, altrimenti lo spazio sconfinato ben presto apparirebbe vuoto di ogni esistenza e così è ben possibile che ora la Mia Volontà abbia Essa pure anche parte nell’attività dei tuoi figli»

8. Intanto i tre discepoli, che si trovano con noi sullo stesso battello, osservano confidenzialmente fra di loro: «Talvolta però è stranissimo il contegno del nostro Signore e Maestro! Ci sono dei momenti in cui Egli parla assolutamente come l’unico Signore del Cielo e della Terra e anche agisce come Tale, ma ci sono poi degli altri momenti in cui Egli appare come un semplice uomo e da Lui non traspare più niente di divino! È bensì sempre ispirato ad una sapienza irraggiungibile tutto quello che Egli dice e fa, ma che in tempo assai vicini Egli debba lasciarsi maltrattare a morte dai farisei di Gerusalemme, nonostante tutta la Sua potenza e sapienza divine, questa è una cosa che non si potrebbe affatto chiamare saggia! Quale vantaggio può alla fine trarre l’umanità da un simile maltrattamento? Essa finirà con il venire indotta in errore e dirà: “Ecco il destino riservato al potente: quando trova un altro che è ancora più potente, ne resta vittima anche Lui! Egli, che risuscita i morti e che rimuove le montagne, dovrebbe pur essere in grado di annientare con una parola sola tutta la genia del Tempio!”

9. Ai tempi di Noè tutta l’umanità dovette perire, ad eccezione di Noè e della sua famiglia, eppure l’umanità non era allora di gran lunga tanto cattiva, come in generale lo è adesso. Se gli uomini sono adesso, generalmente parlando, così tanto perfidi e maligni che di più non si potrebbe difficilmente immaginare, perché Egli stesso vuole farsi maltrattare da loro, invece di punirli più aspramente ancora di quanto non sia accaduto ai tempi di Sodoma e di Noè? A dirla breve, l’agire della Divinità in Lui assume, qualche volta, forme tali che si possono comprendere meno ancora di una cosa che non sia mai esistita!».

 

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Cap. 188

L’apostolo Giovanni parla del divario tra concezione naturale e spirituale.

 

1. Dice Giovanni, che si era limitato ad ascoltare con grande attenzione la critica fatta da Simon Giuda: «Considerando le cose dal punto di vista del mondo, io non posso certo obiettarti nulla, ma, osservate con gli occhi del cuore, esse hanno tutte un aspetto del tutto differente, perché la Sapienza divina non prende mai e poi mai norma da quella di un uomo, sia pure egli il più saggio di tutti.

2. Puoi comprendere perché il suolo terrestre produca innumerevoli specie di piante e di arbusti che non danno alcun frutto o, se ne danno, il nostro intelletto non giunge a capire? Una uguale varietà si riscontra nel regno animale. Dal minutissimo insettuccio al gigantesco leviatano che signoreggia sui i mari, dimmi, vedi tu lo scopo, facendo eccezione per i nostri pochi animali domestici? 

A che scopo possono servire le bestie feroci? Di che utilità possono essere per l’uomo gli orsi, i leoni, le tigri, le iene ed una quantità ancora di animali feroci che noi non conosciamo? Chi, o mio buon amico, è in grado di esporti il motivo per cui gli animali hanno una conformazione così varia? Che cosa ci stanno a fare tante stelle in cielo? Perché non splende ogni notte la Luna? Che significa il suo continuo mutare di luce e qual è il vero scopo dell’esistenza della Luna? Ecco, tutto ciò e mille altre svariatissime cose noi non le comprendiamo e, se le consideriamo con un certo senso critico, appaiono al nostro intelletto come una pazzia, ma presso Dio, il Signore, ogni cosa ha sicuramente la sua ragione supremamente buona e di conseguenza ora che ci è offerta la straordinaria occasione di vedere il Signore in Persona operare dinanzi a noi, non ci deve assolutamente meravigliare se non arriviamo a comprendere tutto quello che Egli fa e che ancora farà in avvenire, poiché evidentemente Egli avrà, senza alcun dubbio, per ogni cosa la Sua eccellente ragione più saggia in Sé e per Sé! Non condividi tu la mia opinione?»

3. Risponde Simon Giuda: «Sì, certamente hai ragione e non ti si può ribattere assolutamente nulla di quanto hai detto. Nonostante ciò resta pure eternamente vero che all’uomo pensante più di uno degli ordinamenti divini deve apparire così come se qualcuno volesse convincerlo sul serio che due pesci e poi ancora una volta due pesci assieme fanno sette pesci!»

4. Allora intervengo Io e dico: «È così, o Simone! L’aspetto della cosa è proprio questo, ma ciò che all’intelletto umano appare impossibile, può benissimo ancora essere possibile a Dio. Dunque, prendi la piccola rete che giace ai tuoi piedi e gettala in mare! (Simone esegue.) Adesso tirala fuori e dimMi quanti pesci si trovano dentro»

5. Risponde Simone: «Signore, esattamente quattro»

6. Dico Io: «Guarda bene e contali di nuovo, perché ce ne sono sette»

7. Simone torna a contare di nuovo e trova che nella rete ci sono effettivamente sette pesci. Egli perciò si meraviglia molto ed esclama: «Sì, è vero, a Dio sono possibili tutte le cose!»

8. Ed Io gli osservo: «Dunque in avvenire non chiacchierare di cose inutili, perché è meglio tacere che non consumare il fiato in chiacchiere vane e senza alcun scopo! Vedi di comprendere bene questo Mio avvertimento, altrimenti non sarai per niente migliore di un cieco fariseo!»

9. Dice Simon Giuda: «Signore, Tu sai quanto io Ti amo, eppure quando dico qualcosa da solo, Tu mi rimproveri in maniera piuttosto amara riguardo a quello che ho detto, e poi trovo a mala pena il coraggio di chiederTi apertamente qualcos’altro! Io accolgo bensì tutto da Te con il massimo amore e pazienza, eppure un certo piccolo, intimo e segreto senso di tristezza non posso vincerlo in me, perché vedo che proprio io solo sono preso di mira dalla Tua severità!». E detto ciò si volge verso il mare e lo contempla con uno sguardo alquanto malinconico. 

10. Ma Giovanni gli va vicino e gli dice: «Fratello mio, vedi, certo ti addolora la dolce ammonizione da parte del Signore, ma il Suo amore e la Sua sapienza sanno molto bene il perché ti hanno fatto così e se tu volessi gettare uno sguardo ben profondo nel tuo cuore, potresti da te stesso scrutarne presto e facilmente il motivo!»

11. Dice Simone: «Ebbene, cosa potrebbe essere? Dimmelo tu!»

12. Risponde Giovanni: «Ecco, fratello mio, per quanto riguarda la conoscenza e la fede viva e incrollabile, tu sei fra noi evidentemente il più forte e, secondo la testimonianza del Signore, una vera roccia; ma, d’altro canto, hai dei momenti nei quali in te fa capolino un sentimento che lievemente somiglia alla presunzione. Ora, vedi, una simile presunzione ha una certa affinità abbastanza intima con quello che viene chiamato orgoglio e sarà questo che probabilmente il Signore vorrà eliminare dalla tua anima mediante qualche mortificazione. Io mi sono accorto della cosa già in parecchie altre occasioni ed è già da lungo tempo che, mosso da vero e sincero amore fraterno, avrei voluto parlartene, ma non mi si è mai presentato il momento veramente opportuno. E così, considerato che una tale occasione oggi mi si è offerta, ho riflettuto e mi sono deciso a dirti ciò che già da lungo tempo sentivo in maniera vivissima nel mio cuore. Tu certo vorrai accogliere le mie parole dal lato buono e amorevole, in corrispondenza al sentimento che le ha fatte sorgere in me e che mi ha indotto a dirtele, e spero che perciò non me ne serberai rancore!»

13. Dice Simon Giuda: «Sì, sì, anche in questo avrai del tutto pienamente ragione; solo però non comprendo perché Egli non faccia rilevare una cosa simile, almeno una volta, a quelli come noi, mentre per il resto Egli non è affatto avaro di parole! Allora sì sarebbe molto più facile orientarsi in base a quello che è perfettamente giusto secondo il Suo criterio puramente divino!»

14. Dice Giovanni: «Egli potrebbe sicuramente fare così, ma tuttavia ora non lo fa; anche qui ci deve essere una buona ragione!

15. Io ho l’impressione come se Egli volesse che ciascun uomo debba anzitutto ritrovarsi completamente in se stesso, prima che il Signore intervenga da ultimo presso di lui con la Sua mano perfezionatrice di ogni vita e prenda con la Sua luce dimora nel cuore umano.

16. Per questa ragione, che a me risulta chiara e verissima, il Signore anche non avverte mai direttamente nessuno degli errori che Egli scorge nella vita dell’uomo, bensì soltanto indirettamente mediante certi scuotimenti d’animo con i quali poi costringe l’anima ad esaminarsi attentamente più da vicino e a riconoscere dinanzi alla Sua luce i propri difetti, a liberarsi da questi e in tal modo a rientrare completamente nell’Ordine del Signore. Questa, fratello mio, è all’incirca la mia modesta opinione e quasi quasi garantirei che la cosa stia proprio in questi termini! Che ne pensi tu?»

17. Risponde Simone, un po’ pensoso: «Sì, è probabile che anche qui tu abbia ragione, perché veramente fra tutti noi sei quello che più profondamente ed acutamente discerne l’intenzione del Signore. È bene che per l’avvenire la tua parola mi sia in larga misura di norma».

18. Dopo ciò Simone volge nuovamente verso di Me la sua faccia rasserenata e tacitamente Mi esprime la sua gratitudine per aver rivelato al suo cuore tali cose per mezzo del fratello Giovanni; Io però faccio cenno a Simone, poiché ormai i figli di Marco hanno cominciato a stendere in mare la rete grande, di aiutarli nelle loro necessità mettendo a profitto la propria buona esperienza in materia.

19. E Simone subito vi si accinge con grandissima gioia, perché un Mio sguardo d’amore vale per Simone più di tutti i tesori del mondo; e così dovrebbe essere anche per tutti coloro che veramente intendono seguirMi e che vogliono con ciò giungere alla vera vita eterna.

 

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Cap. 189

Una nave militare si avvicina. La ricca pesca.

 

1. Mentre i figli di Marco, coadiuvati da Simone e da qualcun altro dei discepoli che si trovavano sul nostro battello, erano tutti occupati a gettare fuori la grande rete, una nave di gran mole, proveniente dalle parti di Genezaret, avanzava a forza di remi proprio verso di noi. Essa andò sempre più avvicinandosi e, quando non fu più distante di molte bracciate, uno dei figli di Marco osservò che si trattava di una nave militare romana, sulla quale si trovavano molti soldati.

2. Dice Cirenio: «Data la mia posizione nel mondo, sarebbe piuttosto spiacevole che i miei soldati mi trovassero, nei riguardi mondani, qui su questo battello davvero un po’ troppo meschino per un governatore generale! Se si potesse almeno evitare che mi vedano!».

3. Gli dico Io: «Temi ciò che veramente è da temere; ma qui in verità puoi assolutamente bandire ogni timore, perché, vedi, quando il Sole è alto in cielo, egli appare molto più piccolo di quando si trova vicino all’orizzonte, e così pure quando è alto nessuno lo può guardare, perché la sua luce intensa offende la vista; quando invece è basso sull’orizzonte, ciascuno guarda con animo lieto la madre del giorno che si annuncia o si congeda.

4. Per quanto questa nostra navicella fosse signorilmente adornata, ciò non potrebbe per niente contribuire ad elevare la tua dignità. Tu sei quello che sei; è indifferente se ti trovi sulla cima dell’Ararat oppure dentro la tana di una talpa, ma la vera stima accoppiata all’amore ti sarà dato di goderla, più che in altro luogo, soltanto laddove gli uomini possono avvicinarti con maggiore facilità. Io ti dico ancora in aggiunta che questo incontro appunto ti sarà di grande utilità, come avrai ben presto l’occasione di convincertene».

5. A queste Mie parole Cirenio resta con l’animo sospeso e attende con ansiosa curiosità di vedere quello che la nave militare romana avrebbe portato di interessante, ma, siccome a causa del vento contrario è molto ostacolata nella manovra di disporsi al nostro fianco, Cirenio pensa che forse sarebbe stato consigliabile andarle incontro.

6. Ma Io gli dico: «Oh, niente affatto! Infatti comunque ci incontreremo abbastanza per tempo e non ti mancherà l’occasione di apprendere, secondo le circostanze tutto quello che può interessarti. Per ora badiamo intanto tranquillamente alla pesca!».

7. Cirenio allora si diede pace e si mise ad osservare placidamente il lavoro dei pescatori, la cui grande rete, dopo essere stata distesa in mare, si era già riempita di pesci così grossi che fummo costretti a dirigerci verso terra. Quando, dopo mezz’ora, fummo giunti a riva e precisamente nel luogo dove si trovava il grande stagno, allora si poterono ammirare i pesci, che erano delle qualità più grandi e prelibate e in quantità tale che tutti i Miei discepoli, Marco assieme a tutti i suoi figli e perfino i servitori di Cirenio ebbero un bel da fare per circa un’ora e mezza per togliere tutto il pesce dalla rete e deporlo nello stagno.

8. E quando l’operazione fu condotta a termine, lo stagno brulicava di pesci, perché ce ne saranno stati oltre settemila pezzi, ed il vivaio era così pieno che altri mille non avrebbero potuto trovare posto. Il vecchio Marco poi era tanto contento che non sapeva come fare per dar sfogo alla propria gioia e dovette limitarsi a profondersi in ringraziamenti.

9. Ma Io gli dissi: «Amico, la tua gratitudine è grande per il beneficio che ti ho reso; però oggi ti è riservato un altro dono ancora, in occasione dell’approdo qui della nave romana! Il dono certo non consisterà in pesce, né in oro od argento, bensì unicamente nelle Mie parole, che ti appianeranno la via alla vita eterna. A quello che seguirà vedete di far attenzione tu e tutta la tua casa e poi nella tua anima si sarà fatta luce per ora e per l’eternità. Mi hai bene compreso?».

10. Risponde Marco: «Sì, o Signore! Il mio cuore mi dice: “O Marco, vecchio soldato arrugginito! Oggi la tua vita sarà liberata dalla vecchia ruggine. Il tuo orecchio sentirà una voce dai Cieli di Jehova e la tua anima percepirà la vicinanza sublime della tua salvezza per l’eternità!”. Perciò anche fermamente spero di vivere oggi ancora momenti fra i più meravigliosi».

 

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Cap. 190

I nuovi ospiti.

 

1. I figli di Marco avevano appena finito di mettere ad asciugare la rete, sospingendola ai pali fissati a tale scopo presso la riva, quando la nave romana si trovò anch’essa già vicina a terra, così che si poteva parlare con la ciurma. Questa allora invitò i figli di Marco ad accostarsi con qualche canotto per sbarcare i passeggeri, non potendo la nave avvicinarsi del tutto alla riva a causa del suo pescaggio troppo grande. I due giovanotti fecero subito come era stato loro chiesto e la meraviglia dei Miei discepoli non fu poca quando, tra i molti soldati romani ed altre persone borghesi che scendevano a terra, scorsero anche il comandante Giulio ed infine pure Ebal assieme a Giara.

2. Oltre ai passeggeri però la nave aveva anche trasportato cinque terribili ladroni che erano stati catturati mentre infestavano i pressi tra la Giudea e la Samaria e che avevano già commesso parecchi assassinii. Essi erano camuffati da rabbini ed avevano un aspetto molto pacifico, ma tuttavia nel cuore di ciascuno di essi dimorava un’intera legione di demoni fra i più maligni, che obbligavano quei cinque ladroni a depredare i viandanti nella maniera più spietata di questo mondo e poi ad ammazzarli senza misericordia, per non venire denunciati. Ora, tali atti di brigantaggio trovavano in segreto il consenso dei farisei, perché con ciò in moltissime località veniva quasi reso del tutto impossibile qualsiasi contatto fra i giudei e gli eretici samaritani. Queste circostanze erano note anche ai romani, che tanto più erano accaniti contro simili ladroni e, quando delinquenti di questa specie cadevano nelle loro mani, veniva loro riservata una sorte spaventosa, che si concretava sempre nella morte fra i più atroci tormenti.

3. Poi, accanto ai menzionati cinque briganti, si trovavano pure alcuni delinquenti politici i quali, sempre per iniziativa segreta del Tempio, giravano dappertutto facendo propaganda contro i romani; tutta questa gente doveva essere trasportata a Sidone.

4. Ma per quanto Mi riguarda Mi tenni un po’ nascosto, affinché così Ebal, Giara e Giulio non se ne accorgessero subito, perciò comandai ai familiari di Marco e allo stesso Cirenio di non rivelare subito la Mia presenza, poiché a bordo si trovavano alcuni farisei che erano stati inviati fuori da Gerusalemme a causa Mia, quantunque apertamente dinanzi al mondo giustificassero con altri motivi il loro viaggio.

5. Cirenio accolse Giulio con grandissima cortesia, ciò che riempì il comandante Giulio della più lieta meraviglia, poiché anzitutto non aveva affatto sospettato la presenza in quel luogo della suprema autorità di tutta l’Asia e, in secondo luogo, perché il comportamento di Cirenio verso i suoi subordinati era sempre molto severo, quantunque fosse in pari tempo estremamente giusto.

6. Cirenio intrattenne immediatamente Giulio riguardo ai malfattori e gli domandò se avesse già pronunciato qualche sentenza nei loro confronti. Bisogna qui notare che presso i romani una sentenza, una volta emanata, diventava inesorabilmente esecutiva; non c’era che l’imperatore soltanto che avrebbe potuto revocarla. Ma in questo caso appunto Giulio non aveva pronunciato ancora nessuna sentenza, perché aveva voluto che nei riguardi di quei criminali la procedura si svolgesse a Sidone, per opera dello stesso supremo governatore Cirenio; perciò, dopo aver esposto le malefatte che erano a carico dei cinque briganti e degli altri delinquenti politici, pregò Cirenio di voler pronunciare immediatamente una sentenza secondo giustizia.

7. Cirenio allora dice a Giulio: «Tu hai agito molto bene e saviamente non pronunciando ancora un giudizio contro questi malfattori! Però nemmeno io lo farò per ora, perché ormai qui vicino a noi si trova Uno che è ancora più grande e più potente e noi lasceremo pronunciare a Lui il verdetto di questa causa. Dà quindi ordine che i malfattori vengano rigorosamente sorvegliati fino a che giunga il Potentissimo e Sapientissimo!»

8. Chiede Giulio: «O supremo reggitore di tutta l’Asia! Si trova forse su questo suolo l’imperatore in persona?»

9. Risponde Cirenio: «Oh no, mio caro Giulio, però si trova Uno che ha il dominio su tutti i regni ed imperi della Terra, dunque anche sul figlio in coronato di Augusto, mio fratello. Egli è Giove in tutta la Sua divina potenza scesa dai cieli fra di noi mortali, le Sue parole sono opere e la Sua Volontà è azione compiuta!».

10. Cirenio però andava così parlando di Me a Giulio in lingua romana, perché aveva cura di non renderMi manifesto, dato che non sospettava che Giulio potesse anch’egli conoscerMi.

11. E Giulio disse: «Illustre governatore! Noi ora viviamo in un tempo di miracoli e bisogna arguirne che gli dei debbano avere un compiacimento grande nei mortali, poiché anch’io, pochi giorni fa, ebbi la più strana occasione di questo mondo, cioè quella di conoscere un Uomo, al Quale per essere Giove non sarebbero mancati che qualche migliaio di fulmini stretti in pugno! Un anno sarebbe troppo breve per narrarti tutto ciò che quest’Uomo, evidentemente un Giove, ha compiuto da me a Genezaret e specialmente in casa dell’onesto albergatore Ebal!».

12. Cirenio poté celare a stento la propria meraviglia e si trovò alquanto imbarazzato, non sapendo lì per lì cosa dire a Giulio o cosa domandargli ancora, perché dal racconto fattogli si era accorto immediatamente che si trattava di Me. Ma egli non voleva turbare Giulio nella sua fede, e nella stessa situazione si trovava Giulio perché questi pure aveva avuto il medesimo pensiero quando Cirenio gli ebbe parlato dell’onnipotente Giove.

13. Nessuno dei due, però, riteneva che l’altro fosse un romano convertito e così avvenne che ambedue continuarono ad ingannarsi, finché non comparvi Io stesso in scena, risolvendo così i reciproci dubbi; per fare ciò Io indugiai però una buona ora.

 

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Cap. 191

Sul metodo di insegnamento degli angeli e delle scuole del mondo.

 

1. Anche Ebal e Giara confermarono quanto Giulio aveva narrato e dissero che avevano intrapreso il viaggio verso Sidone appunto per aver possibilmente l’occasione di incontrarsi ancora una volta con quello straordinario Uomo miracoloso, che particolarmente la figlioletta si struggeva dalla brama di rivedere. Cirenio in apparenza si meravigliò molto che la fanciulla, che aveva forse appena tredici o quattordici anni fosse tanto innamorata, tanto più che egli vedeva già starsene sempre al suo fianco un giovinetto meravigliosamente bello e gentile. Gli sembrava, di conseguenza, stranissimo che una fanciulla tanto graziosa, trovandosi vicina ad un giovinetto così idealmente bello, potesse ancora essere tanto perdutamente innamorata di un Uomo già abbastanza adulto come doveva essere quel certo Giove-uomo.

2. Chi dalla narrazione dei fatti accaduti in precedenza a Genezaret conosce bene il carattere di Giara, può facilmente immaginare che appunto Giara non volle restare debitrice di una buona risposta, e così parlò a Cirenio: «Illustre signore e dominatore! Oh, come puoi rinnegare Colui dinanzi a noi e come puoi metterLo nel rango delle divinità morte di Roma a causa di una meschina ragione politica? Eppure da ciascuna parte del Suo essere si irradiano dappertutto e sotto ogni forma veemente la Sua luce divina e la Sua grazia!

3. Ecco, io sento la Sua vicinanza, e tu pure la senti come me e tuttavia in certo modo Lo rinneghi! Oh, questo da parte tua non è molto lodevole, come pure da parte di Giulio non è molto lodevole aver anch’egli rinnegato sotto certi rispetti, dinanzi a te, o illustre signore, il Santissimo e il Giustissimo!

4. Del resto, poi, è ancora meno lodevole da parte tua imputarmi di essere in certo qual modo volgarmente innamorata di Lui, mentre invece io Lo amo soltanto così come ciascuno dovrebbe amarLo, cioè quale mio Creatore, quale mio Dio e Signore ed in cuor mio Lo adoro con tutto il fervore e la purezza possibili ad un cuore di fanciulla mortale. Ma allora, come posso essere presa da volgare amore per Lui? Domanda qui a questo mio maestro che mi accompagna, ed egli sarà in grado di spiegarti la cosa meglio di tutti i savi del mondo e di tutti gli eroi d’ogni regno della Terra, eccezion fatta per Colui che sto cercando qui. Interroga pure questo giovinetto ed egli ti darà una completa e perfetta risposta»

5. Cirenio allora avrebbe voluto rivolgersi al giovinetto, ma Giosoe glielo impedì, dicendogli sottovoce: «Non t’impegnare in discussioni con questo giovane, poiché egli è pure un essere come quello che di quando in quando viene a trovarmi! Le creature di questo genere non possono tollerare niente di impuro, quindi neanche una domanda sconveniente; la vita e il loro essere non sono altro che fiamma e luce di Dio!»

6. Allora Cirenio si volge ad Ebal e gli dice: «Questa è tua figlia e tu sei un ebreo; deve dunque meravigliare che in lei si trovi celata tanta profonda sapienza! Certo non è possibile che essa abbia imparato tutto ciò in pochi giorni dal Maestro dei maestri né, meno ancora, da questo giovinetto, poiché questa specie di insegnanti, quantunque ciò avvenga molto raramente a questo mondo, non fanno, riguardo all’insegnamento proprio, progressi grandi con noi uomini mortali. Questa cosa la so per l’esperienza fatta da mio figlio Giosoe, che in realtà non ho generato io, ma che ho accolto per sempre presso di me quale figlio. Anche lui talvolta riceve le visite di un rabbi di questo genere, ma quando ben hanno discusso per qualche tempo, io non riesco infine mai a comprendere chi veramente abbia ragione, perché, pur restando spesso di opinione molto differente, finiscono poi moltissime volte con l’aver ragione tutti e due! Tutta l’istruzione si riduce in fondo ad una competizione di sapienza, dalla quale, alla resa dei conti, ambedue le parti risultano vincitrici.

7. Il mio Giosoe si accalora molto spesso tanto contro il suo mistico maestro, che quasi pare voglia mandarlo via, ma il maestro fa finta di niente e continua a sostenere quello che a noi risulta, non di rado, come una evidentissima assurdità. Soltanto alla fine del dibattito egli lascia trasparire un po’ di luce e così io penso che un simile metodo lo userà anche il bel rabbi con tua figlia!»

8. Dice Ebal: «Sì, sì, o illustre signore, è perfettamente come tu dici. Io, per mio conto, confesso che non posso mai farmi un’idea ben chiara su chi infine abbia del tutto ragione; il più delle volte la questione resta indecisa. Non si può mai parlare di un insegnamento veramente positivo; il maestro spirituale cerca in tutti i modi di provocare uno scompiglio nelle idee dell’allievo e questi deve poi da se stesso ordinarle il meglio che può. Non c’è nemmeno da pensare ad aiuti o suggerimenti e perciò alla fine la cosa resta sempre in qualche punto indecisa. Se poi l’allievo vuole proprio eliminare tutte le obiezioni del suo rabbi, bisogna che le ribatta con argomentazioni contrarie tanto solide e valide da mettere il rabbi alle strette, così che non possa muoversi né a destra né a sinistra e questa poi è la prova che l’allievo ha completamente ragione, ma, senza le dimostrazioni contrarie ben solide e valide di cui ho detto prima, l’allievo ha sempre torto, anche malgrado le sue più giustificate asserzioni. Oh, la mia Giara ha già messo qualche volta il suo rabbi terribilmente con le spalle al muro ed infine egli stesso si sarebbe a mala pena raccapezzato, se la fanciulla non lo avesse aiutato a rimettersi in carreggiata come egli stesso ebbe a confessare.

9. In verità, il metodo di insegnamento propriamente celeste è talvolta quanto mai strano. Di solito è l’allievo che insegna al maestro, e quest’ultimo è sempre molto soddisfatto quando ha imparato qualcosa dal suo discepolo. Ma la cosa si svolge tutte le volte in un’atmosfera di amorevolezza veramente celestiale e quando c’è scuola io vi assisto molto volentieri, perché lì si può imparare in un’ora più di quanto si possa imparare da un rabbi di questo mondo in un anno.

10. Con un rabbi di questo mondo l’allievo è e resta sempre materialmente e spiritualmente uno schiavo del maestro, perché egli non può imparare altro all’infuori di ciò che può e sa lo stesso maestro, non di rado fisicamente storpio e più ancora spiritualmente. Che ciò sia vero o falso, l’allievo, a scanso di una severa punizione, non deve curarsene. Che cosa importano ad un simile paffuto rabbi di questo mondo le eventuali disposizioni spirituali interiori che il suo allievo può avere? La conclusione è sempre quella: “Uccellino mangia questo, oppure morrai di fame!”. A dirla breve, il modo di insegnare del nostro tempo si può paragonare ad un elmo che sta bene su tutte le teste o ad un letto dove uomini di qualunque statura devono poter riposare comodamente! Resterebbe da vedere che faccia farebbe il gigante Golia quando gli si assegnasse una culla per bambini per dormirvi dentro!

11. Io non di rado ho visto dei ragazzi che già nella loro più tenera età manifestavano colossali capacità dello spirito. Che cosa non si avrebbe potuto fare di loro, se fossero stati educati conformemente alle loro inclinazioni? Invece si insegnò loro, come si fa con i deboli, ad intrecciare panieri e si lasciò che lo spirito intristisse! Ora io ritengo che questo sia un grave torto! Infatti quanti servizi non avrebbe potuto rendere all’umanità uno spirito così, qualora si fosse sviluppato nella sua specie! E cosa fa di utile, invece, nel suo stato di atrofia spirituale? Egli continua ad intrecciare panieri e termina forse con il pescare pesci e raccogliere conchiglie!

12. Ma appunto qui si può rilevare la differenza enorme fra il metodo di insegnamento di un rabbi di questo mondo, vano e per lo più sciocco e quello dei rabbi celesti che per concessione meravigliosa si trovano ora con noi. Questi educano lo spirito liberamente e lo aiutano a muoversi da solo destandolo mediante ogni tipo di domande in quel modo ed in quel campo che è appunto affine allo spirito umano che vogliono destare. I rabbi di questo mondo invece non cercano che di opprimere ed uccidere lo spirito e tutta la loro opera si concreta nell’educare lo sterco nello sterco e intorno allo sterco! Dimmi tu, o illustre governatore di tutta l’Asia, se io ho ragione o torto!»

13. Risponde Cirenio: «Tu hai perfettamente ragione, mio stimatissimo Ebal. Questa è già da lungo tempo anche la mia opinione. Ma che cosa si è fatto finora per ovviare a questo inconveniente? Io lo dico apertamente: “Nulla, nulla affatto!”. Infatti a noi stessi finora è mancata una base sana; da dove dunque avrebbero potuto prenderla i rabbi di questo mondo? Questi poveri diavoli non possono insegnare a tutti i fanciulli altro all’infuori di ciò che, in un certo modo, essi stessi hanno imparato prima da noi e perciò sono necessariamente delle cieche guide di ciechi!

14. Noi però abbiamo imparato ora da quel noto Uno a conoscere la grande e santa verità ed ora possiamo benissimo distinguere la luce dalle tenebre, ma fino a che la luce che noi godiamo verrà resa nota a tutti gli uomini di questa Terra, più di un paniere ancora sarà bene che venga intrecciato da qualche spirito gigante! Dimmi un po’, cosa ne sarà della tua amabilissima figlioletta? Essa pure è in verità uno spirito gigante e per di più viene educata da un rabbi del Cielo. Dove si troverà al suo vero posto? Come donna di casa è appena da crederlo!».

15. Risponde Ebal: «O illustre dominatore! Consideriamo le nostre scuole femminili! Come sono esse rappresentate? In verità, o Signore, in un modo che è un’assoluta vergogna per l’umanità! E perciò io sono dell’opinione che una buona scuola per fanciulle sarebbe quanto mai da desiderare. Infatti una madre, per quel qualcosa che si può sviluppare soltanto in una fanciulla, è pur sempre la prima e migliore maestra dei bambini; se essa ha lo spirito, il cuore e la testa al loro posto, come si suol dire, allora anche i loro figli certamente non edificheranno le case sulla rena del mare e potranno difficilmente venir indotti in errore. Ma se invece le madri, come purtroppo accade adesso molto di frequente, sono spesso più sciocche di un lombrico, c’è davvero assai poco od affatto niente da aspettarsi dall’educazione materna! Dimmi, o illustre Signore, se anche qui ho ragione o no?».

 

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Cap. 192

Sui diritti delle decime e dei tributi del Tempio.

 

1. Dice Cirenio: «Hai perfettamente ragione anche a questo riguardo; ma io ormai riconosco in te una persona molto onesta e saggia e trovo opportuno conferirti una qualche carica con molti poteri!»

2. Dice Ebal: «Sarà una cosa difficile da realizzare, perché io sono ancora sempre un giudeo al quale, da parte del Tempio è severamente proibito accettare uffici o dignità conferite da Roma!»

3. Dice Cirenio: «Ebbene, cosa diresti se io ti facessi cittadino romano? Una volta che tu lo fossi, potresti accettare qualsiasi carica onorifica da Roma e noi sapremmo mettere freni al Tempio in maniera del tutto particolare, qualunque cosa volesse intraprendere in contrario! Dunque, se tu vuoi, diventa immediatamente cittadino romano!»

4. Risponde Ebal: «Oh eccelso dominatore! Io non accetto la tua proposta per la considerazione o l’alta dignità di cittadino romano, ma soltanto per amore della libertà di cui può godere ogni onesto cittadino di Roma. Io nel mio cuore resterò bensì per sempre un ebreo, perché non si può contrastare in sé la convinzione viva che l’antico genuino Giudaismo sia pervenuto agli uomini se non che dai Cieli e che in esso soltanto è da cercare e si può trovare la salvezza, ma per quanto concerne il mondo esteriore, anch’io sarò romano come può esserlo uno che sia nato nel mezzo di Roma da una irreprensibile romana»

5. Dice Cirenio: «Sta bene, tu riceverai subito dalle mie mani, su pergamena, la rispettiva lettera, per sempre valida, con cui ti verranno conferiti tutti i diritti spettanti ad un cittadino di Roma. Quando poi esibirai questo documento alla gente del Tempio, sarai senza alcun dubbio lasciato in completa pace e così sarai messo in grado di giovare all’umanità molto di più di quanto tu lo abbia potuto fare finora. Dunque così voglio, e così sia!».

6. Dopodiché Cirenio fece un cenno al suo segretario privato, il quale subito portò la lettera. Cirenio vi appose la propria firma e consegnò il documento ad Ebal.

7. Questi, molto commosso per l’affabilità del supremo governatore, ringraziò Cirenio di tutto cuore e così concluse il suo discorso di ringraziamento: «In verità, un simile onore io non me lo sarei mai aspettato qui, vicino alla città di Cesarea! Questo documento, per quanto dipende da me, dovrà servire a raggiungere gli scopi migliori a vantaggio dell’umanità e ciò tanto più in quanto con esso mi viene accordata la facoltà e l’autorizzazione imperiale di conferire a mia volta la cittadinanza romana a qualsiasi onesto e leale giudeo come me, con tutti i diritti ed i vantaggi che ne derivano. Certo, bisognerà che il nostro territorio conti ben presto un buon numero di cittadini romani e che i congedi dei farisei da queste regioni si accrescano come fa l’erba a primavera! Oh, sarà una cosa magnifica!»

8. Dice allora il vecchio Marco, che gli sta vicino: «Fratello mio, tu hai bensì ragione di rallegrarti, perché è grande cosa essere cittadino di Roma, ma io sono tale fin dalla mia nascita e nonostante ciò devo, come gli ebrei, pagare annualmente un certo tributo ai loschi sacerdoti del Tempio. Dagli ebrei essi non prendono che la decima; da noi romani, in virtù di un certo diritto carpito alla corte di Roma, essi percepiscono invece il tributo ed è necessario sapersi destreggiare con loro, se si vuole ritornare a pagare la vecchia decima invece del duro tributo. Ora è questo obbligo del tributo da parte di cittadini romani al Tempio che lo Stato dovrebbe abolire senza esitazione, perché in primo luogo il contributo è troppo aspro e secondariamente contribuisce ad aumentare la potenza del Tempio. Ora, tutte e due le cose non sono buone.

9. Tra i malfattori che attualmente vengono condotti a Sidone, si trovano di nuovo appunto anche dei sobillatori, che senza dubbio sono stati assoldati dal Tempio per fare il loro bel mestiere! È bensì vero che l’obbligo al tributo sussiste come un carico straordinario soltanto in alcuni principati di Canaan e che il Tempio deve far valere i suoi diritti solamente laddove appaiono ancora mantenuti in vigore da Roma, ma i Templari non se ne accontentano, commettono abusi mediante documenti falsi che essi esibiscono per genuini e buoni provenienti da Roma e costringono così i cittadini romani a venire con loro a patti almeno sulla decima. Non più tardi di questa mattina io ho dovuto fornire loro la decima della pesca, altrimenti mi avrebbero fatto certamente tutte le difficoltà immaginabili.

10. La mia opinione sarebbe dunque la seguente: si dovrebbe al più presto revocare tutte le concessioni fatte da Roma al Tempio, senza eccezione di sorta; in caso diverso Roma corre il pericolo di dover ben presto fronteggiare in Asia un’insurrezione dietro l’altra e prima che siano trascorse quaranta estati avrà l’onore molto spiacevole di dover conquistare per la seconda volta Canaan e tutto il resto dell’Asia, dal principio alla fine! Così la penso io e tengo molto alla mia opinione, perché conosco esattamente le condizioni del Tempio e perciò le detesto profondamente».

11. Dice Cirenio: «Anche per questa scure si dovrà ben trovare un manico adatto, ma se i Templari dovessero azzardarsi ad esigere anche da queste parti il tributo per tirarne fuori la loro vecchia decima, non mancheremo di intimare senza ritardo l’alto là al Tempio, poiché qui si tratta di nuovo di un atto arbitrario da parte dei Templari, che col tempo potrebbe avere davvero le peggiori conseguenze per Roma. 

12. (Volgendosi poi al comandante Giulio): «E tu già oggi riceverai alcuni pezzi bianchi di rotolo, muniti della mia firma, dove, secondo il tuo buon discernimento, redigerai alcune brevi frasi per il Tempio! Mi comprendi bene?».

13. Risponde Giulio: «Sarebbe tutto bello e giusto se il tetrarcato di Giudea non fosse stato appaltato al vorace Erode quasi con tutti i diritti del reggente, oltre a ciò a Gerusalemme risiede il pigro prefetto Ponzio Pilato, il quale è soddisfatto solamente quando gli uomini gli lasciano la sua quiete e la sua pace. Da lui dunque non c’è da sperare molto. Ma c’è ancora un’altra circostanza fatale che va molto ben considerata. Tu prescrivi al Tempio mille leggi severe ed esso sguscerà tra una e l’altra come un proteo. Ora io domando che cosa si potrà fare poi.

14. Procedere contro il Tempio usando troppo apertamente la forza, sarebbe quanto mai rischioso, perché il popolo ci tiene ancora e specialmente nella Giudea, dove considerano i sacerdoti altrettanti semidei ed intermediari fra il loro Dio e gli uomini. Dunque, qualunque atto di violenza evidente contro il Tempio avrebbe come conseguenza immediata l’insurrezione più feroce in tutta la Giudea, perciò è necessaria la massima prudenza, volendo intraprendere proprio sul serio qualcosa contro il Tempio!

15. Certo, le cose sono diverse qui in Galilea e particolarmente a Genezaret, dove vige continuamente lo stato d’ eccezione e dove il popolo è già molto sveglio; qui certo si può con molta efficacia tenere a freno la nera marmaglia, ma nella Giudea non si può assolutamente fare altrettanto. Dunque bisogna concludere che se si vogliono prendere delle misure contro il Tempio, si deve prima tenere consiglio.

16. Il Tempio ha saputo ottenere da Roma, per vie traverse, ogni specie di privilegi che noi dobbiamo rispettare finché abbiamo la fortuna e l’onore di essere romani! Ma stando le cose in questi termini, poco o niente mi serviranno le CHARTAE ALBAE (documenti bianchi, cioè ancora da scrivere). Ma per quanto riguarda il mio distretto, sono io stesso che fungo a sufficienza da Carta alba! Del resto qualcuna può sempre riuscire utile.

17. A Genezaret e nei suoi dintorni abbastanza estesi ho dunque già calmato nei Templari la smania dei contributi e delle decime, in modo che sicuramente essi hanno per sempre messo un freno alla loro avidità e, se sono bene informato, altrettanto già da lungo tempo ha fatto il nostro onesto centurione Cornelio a Cafarnao, cosicché la Galilea, ad eccezione di qualche angheria erodiana, è discretamente libera dalle vessazioni del Tempio, ma per molto tempo ancora non sarà possibile arrivare a questi risultati nella potente Giudea. Questa è all’incirca la mia idea. Tu, però, o illustre Governatore, puoi comandare secondo i tuoi criteri ed io sarò sempre il tuo servitore obbediente e premuroso!».

 

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Cap. 193

Il trattamento dei malfattori e degli ossessi.

 

1. Cirenio ebbe allora parole di lode per Giulio, però giustamente e saviamente osservò: «Mio carissimo Giulio, tu sai che io faccio molto conto su di te e che mi è sempre piaciuta la tua chiara e retta intelligenza, però quello che hai detto adesso non mi pare che sia proprio farina del tuo sacco e credo che ai concetti che hai espresso ora non debba essere estraneo quel certo Uno del Quale si è fatto menzione prima!»

2. Dice Giulio: «Oh, certo, perché la verità non si trova nel fuoco, bensì solamente nella sua mite luce, infatti, da quando Lo conosco, sono divenuto anche molto più mansueto ed amorevole. Oh, se potessi almeno ancora una volta in vita mia incontrarMi con Lui in qualche luogo!»

3. E Giara, la quale era rimasta lì vicino e faceva attenzione a tutto, esclamò anch’essa: «Oh, questo è anche il mio solo ed unico desiderio!»

4. Mentre il gruppo era così infervorato in questa conversazione, Io giunsi inosservato e Mi posi dietro a Giulio. Soltanto Cirenio Mi scorse e ad un Mio cenno disse rivolto a Giulio: «Oh guarda, dietro a te c’è Qualcuno che pare voglia parlarti!».

5. Giulio si volta sollecito e ritrovandoMi là viene quasi meno dalla gioia, mentre Giara, con un grido di rapimento supremo, si precipita sul Mio petto restandovi quasi esanime, ed Io dovetti lasciarla così riposare per una mezz’ora, fino a che si riebbe dal suo estatico stordimento.

6. Ma siccome il giorno cominciava rapidamente a declinare, Io dissi al vecchio Marco: «Tu avrai nuovamente cura che ci venga preparata una buona cena; fa’ che non manchino pane, pesce e vino!»

7. Dice Marco: «Signore, e cosa ne faremo dei malfattori, che, legati ai pali vicino alla riva e sorvegliati dai soldati, sono probabilmente in attesa della sentenza fra mortali angosce?»

8. Dico Io: «Bisogna che quelli oggi siano lasciati languire sette volte, a causa dei molti spiriti maligni da cui sono posseduti ed è bene che nessuno dia loro né da mangiare né da bere, altrimenti non sarebbe possibile guarirli. Tu Giulio, fratello Mio, pronuncia dinanzi a loro la sentenza secondo la quale, nella giornata di domani, saranno messi a morte tormentosa sul rogo a fuoco lento, mentre domani verrà fatta loro la grazia ed Io vedrò se sarà il caso di ridonare loro la libertà. L’immenso terrore da cui saranno presi ammorbidirà i loro pessimi inquilini e questi, man mano cominceranno ad allontanarsi. Badate però di legarli molto solidamente ai pali, altrimenti vi daranno molto da fare.

9. I sette sobillatori politici, non essendo imputabili di mancanze assai gravi, siano trattati meno aspramente. Annunciate loro la condanna alla fustigazione e poi sia dato loro un po’ di pane ed un po’ d’acqua. Domattina poi si vedrà se sarà il caso di condonare la pena o no!». 

10. Dopo queste Mie parole Cirenio disse a Giulio: «Dunque va’, rompi la verga secondo la prescrizione ed annuncia loro quello che devono attendersi per domani!».

11. Giulio allora si alza subito e se ne va con alcuni sottufficiali verso la spiaggia, che era distante cinquecento passi dalla capanna di Marco. Giunto sul posto dove i malfattori si trovavano saldamente legati ai pali vicino alla riva, egli ordina ai soldati di rinforzare ancora di più i legami da cui erano avvinti. E solo quando i soldati ebbero eseguito l’ordine, utilizzando altre corde e catene, Giulio annunciò ai cinque briganti la condanna cui avrebbero dovuto sottostare il giorno seguente! Così pure notificò la loro sentenza ai sette delinquenti politici.

12. Ma quando i primi cinque briganti e assassini ebbero udito la terribile sentenza a loro carico, cominciarono a tremare, ad urlare disperatamente e gridarono supplicando di ucciderli in quel momento, perché non avrebbero potuto sopportare un tal genere di morte così orribile! Così pure i sette si misero ad urlare, invocando grazia e misericordia. Però Giulio si allontanò rapidamente senza dare ascolto alle spaventose urla né dei cinque briganti né degli altri sette delinquenti.

13. Quando Giulio è nuovamente giunto presso di noi dice: «Questa davvero non è una cosa da poco! Tutte quelle urla, quegli scuotimenti, le facce contratte dalla disperazione davanti alle quali ogni bestia anche feroce dovrebbe inorridire! Mah, sono lieto di non essere più vicino a loro! Sembrerà incredibile, ma la testa di Medusa non può avere un aspetto più terrificante. Sono sul serio molto curioso di vedere che fisionomia avranno domani quei figuri»

14. Dissi Io a Giulio: «Vedi, questa è opera dei maligni spiriti che sono in loro; essi a mala pena potranno reggere alla tremenda angoscia fino a domani e, come ho detto prima, in grandissima parte si congederanno e noi domani avremo un semplice compito nel redimere facilmente quegli uomini»

15. Domanda Cirenio: «Ma che cosa bisognerà fare di loro dopo? Potremo lasciarli del tutto in libertà o dovremo invece tenerli ancora qualche tempo sotto sorveglianza?»

16. Ed Io dico: «Senza alcun dubbio sarà necessario custodirli ancora, perché senza un ammaestramento, assolutamente necessario e adeguato, non possono in nessun caso venir messi in piena libertà, neppure i sette, poiché nessuno si libera dal peccato con quella rapidità con cui vi cade. Per i cinque a mala pena basterà un anno intero e per i sette mezzo anno circa. Ed ora vogliamo attendere in pace ed allegria che ci venga portata la cena».

 

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Cap. 194

Il saggio discorso di Giara.

 

1. Dopo ciò interviene il vecchio Marco e dice: «Signore e Maestro di tutti i maestri del mondo! Tu mi dicesti prima che io avrei appreso oggi molte e straordinarie cose riguardo ai destini dell’uomo, e che avrei imparato anche a conoscere il Regno di Dio. Ora questo è meravigliosamente vero! Durante tutta quanta la giornata io ho già udito, visto e vissuto tante cose come mai in tutta la mia vita e così la Tua predizione risulta a mio riguardo pienamente adempiuta»

2. Gli dico Io: «Ora però va’ pure a vedere se le cuoche hanno terminato di preparare la cena. Dopo cena accadranno ancora parecchie cose che più intimamente ti inizieranno al Regno di Dio»

3. Dice Marco: «Ma Signore, cosa fa questa cara fanciulla che Ti tiene ancora sempre stretto a sé e bagna di lacrime il Tuo petto? Come pare, essa non intende più lasciarTi»

4. Dico Io: «Chiedi alla fanciulla stessa. Non credo che ti lascerà senza risposta!».

5. Marco allora rivolge la parola a Giara, tutta immersa ancora in un languore di Cielo.

6. Ma essa si drizza all’istante e dice: «Ascolta, o mio caro vecchio amico! Colui che ha afferrato Costui una volta, non deve lasciarLo mai più, perché se Lo lascia anche un istante, nello stesso tempo perde anche la propria vita eterna per sempre. Quello che io faccio esteriormente, voi tutti dovete farlo interiormente nei vostri cuori, come anzitutto faccio anch’io.

7. Chi ama la propria vita, ma a causa del mondo abbandona spesso con leggerezza il Signore della Vita, costui perderà la propria vita, perché ha perduto il Signore della Vita. Chi invece non si cura del la propria vita e nel cuore chiama “vita” soltanto il vivere per il Signore di ogni vita, costui manterrà in eterno la vita, anche se dovrà morire mille volte nel corpo!

8. Vedi, quando il Signore venne da noi, io fui la prima a riconoscerLo nel mio cuore. Sì, se Egli ora mi domandasse di morire per Lui, la morte sarebbe un vero ristoro, perché io so e sento in me, nella maniera più evidente e viva, che l’amore per Lui non può mai in eterno morire, perché questo amore è incapace di commettere peccato, il quale solamente è la vera morte dell’anima. Ma quando l’anima dell’uomo è morta, è morto pure tutto l’uomo. Di queste cose prendi ben nota, o vecchio amico, poiché io sono della scuola del Cielo, il quale è amore, verità e vita. Quello che ti ho detto è ammaestramento dai Cieli e tu puoi bene imprimertelo nel cuore!»

9. Ed il vecchio Marco, profondamente commosso, esclama preso dall’entusiasmo: «O figliola dai Cieli, troppo buona e pura per questa Terra! In verità, se il Signore dovesse corporalmente abbandonare questa mia casa, io verrò da te ad imparare la sapienza celeste! Oh, che differenza fra te e le mie figlie. Tu sei già un Sole, mentre le mie figlie sono a mala pena un riflesso del grande astro del cielo in una minima goccia di rugiada! O Ebal, come devi essere felice, quale padre di un angioletto simile!»

10. E mentre così parlava, lacrime di beatitudine gli scorrevano dagli occhi; poi si recò in fretta in cucina, per informarsi a che punto si fosse con la preparazione della cena e raccontò alle sue figlie quali insegnamenti gli aveva dato la fanciulla di Genezaret. Le figlie ne restarono meravigliate e lo pregarono di procurare loro, dopo la cena, l’occasione di intrattenersi un po’ con la celestiale fanciulla.

11. Marco fu assai lieto della richiesta e promise loro di adoperarsi in proposito, soltanto dovevano darsi ogni cura, affinché la cena venisse sollecitamente approntata e le figlie risposero: «Padre, in un quarto d’ora tutto sarà pronto e in buon ordine!».

12. Allora Marco uscì dalla cucina e diede ordine ai suoi figli di provvedere intanto di vino e di pane le mense disposte davanti all’abitazione e anche di fare in modo che non mancasse la luce: sulle mense dovevano venir posti dei lumi e lo spazio tutt’intorno doveva essere tenuto illuminato durante la notte mediante fiaccole da pescatore. Tutto ciò fu eseguito rapidamente e, quando l’oscurità cominciò ad accentuarsi, su tutte le mense ardevano già una quantità di lampade, mentre le fiaccole da pescatore rischiaravano lo spazio abbastanza vasto davanti alla capanna. Subito dopo vennero portati cibi squisitissimi, come ad esempio del pesce preparato a dovere, pane, vino e frutta di varia specie.

13. Prima di porsi a tavola Giara recitò uno dei salmi di Davide; dopo Mi pregò di benedire i cibi e le bevande ed Io li benedii; infine tutti ci sedemmo alle mense, facemmo onore alle pietanze che erano state portate e con maggior moderazione al vino, il quale certo non mancò di rendere lieta e serena la compagnia. Io sedevo fra Cirenio e la soave Giara, il primo alla Mia sinistra e Giara alla Mia destra; vicino a Giara c’era Raffaele e dirimpetto a lui il vecchio Marco. Questi però fu colpito dal modo in cui Raffaele mangiava e beveva, perché, quando Raffaele portava alla bocca sia un pesce, sia un pezzo di pane che un frutto od una tazza di vino, tutto spariva prima che fosse accostato alla bocca e Marco osservò che il giovinetto non masticava affatto né inghiottiva il cibo.

14. A Giosoe, il figlio adottivo di Cirenio, il quale gli sedeva vicino, non sfuggì la tacita meraviglia del vecchio Marco e perciò gli disse: «O Marco, vecchio soldato! Cos’è che ti piace tanto nel rabbi Raffaele che non riesci a distogliere gli occhi da lui?»

15. Risponde il vecchio: «O illustre figlio del mio signore e comandante, è un fenomeno assolutamente straordinario! Questo giovinetto porta il cibo e le bevande alla bocca, ma non la apre mai, non mastica e non inghiottisce niente, ma tutto svanisce davanti alla sua bocca! Cosa vuol dire ciò? Si tratta certamente di un altro miracolo! Che conclusione ne debbo trarre?»

 

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Cap. 195

Materia e spirito.

 

1. Dice Giosoe: «Da ciò puoi dedurre che nel Cielo non può entrare niente di materiale, nello stesso modo come quest’angelo dissolve prima nell’elemento spirituale ogni cibo materiale e di questo assimila poi solamente la parte che è spiritualmente pura. Il giovinetto è un purissimo uomo-spirito dai Cieli e dunque rappresenta anche in piccolissime proporzioni il Cielo. I cibi invece rappresentano noi, uomini del mondo, che siamo ancora sepolti nella nostra materia.

2. Questa nostra materia è certo stata ora, come questi cibi, già ben preparata al focolaio di questo grande Maestro, il Quale ci ha insegnato simili cose e che si trova ancora corporalmente fra di noi; tuttavia con questi nostri corpi noi non possiamo entrare nel Regno dei Cieli. Ma quando un giorno saremo chiamati da Dio a lasciare questo mondo, allora prima di ogni altra cosa un angelo farà di noi così come quest’angelo fa del cibo, cioè egli renderà in un istante libero fuori dalla materia tutto ciò che appartiene allo spirito, lascerà stare la materia destinata al completo dissolvimento, mentre invece l’anima e il suo spirito vitale, come pure tutto ciò che c’è nella materia di appartenente all’anima, tutti questi elementi, riuniti in perfettissima forma umana, saranno da lui guidati nel puro mondo degli spiriti, secondo l’eterna immutabile Volontà di Dio! Ecco, questo è quello che puoi imparare e che è bene che impari dal modo di mangiare di questo potente giovinetto celeste, modo che a te è sembrato straordinario»

3. Dice Marco, quanto mai stupito dalla sapienza di Giosoe: «Io ho già osservato prima che tu sei un giovane molto più saggio di quanto sarebbe legittimo attendersi dalla tua età; eppure una simile sapienza non l’avrei mai sospettata in te! L’insegnamento che mi hai dato ora è importantissimo ed io te ne sarò grato per tutta la mia vita; però tu sai che la sete di sapere nell’uomo, una volta destata, si manifesta poi sempre più forte e così adesso ho una gran voglia di conoscere ancora, oltre a quanto già mi hai detto, come viene effettuato questo dissolvimento della materia»

4. Risponde Giosoe: «Amico, veramente per l’uomo non è bene sapere troppo; tuttavia una cosa posso dirti! Vedi, la materia in effetti non è altro che l’elemento spirituale fissato dalla Volontà onnipotente di Dio. Un simile angelo poi, dal canto suo, non è altro che l’espressione personificata della Volontà onnipotente di Dio; egli non può affatto volere niente all’infuori di quello soltanto che è voluto da Dio.

5. Dunque, quando Dio vuole dissolvere una qualche materia, questa viene afferrata dal Suo onnipotente Volere, personificato in una simile figura umana, viene tolto via il vincolo che la tiene fissa e stretta per la coercizione del Giudizio divino e la materia allora, come tale, sparisce immediatamente dall’esistenza e si riconverte nel proprio elemento spirituale primitivo e resta poi corrispondentemente quello che era originariamente, soltanto che è perfezionata e nobilitata.

6. Un gran numero di energie, che precedentemente erano isolate, vengono riunite in una grande e perfetta individualità, e questa costituirà in eterno uno spirito umano perfetto, secondo la Volontà di Dio! Mi hai compreso?»

7. Dice Marco: «Certamente, ho compreso, ma io non voglio farti più altre domande, perché la tua sapienza sta ad altezze troppo vertiginose al di sopra della mia intelligenza naturale! Ma quello che mi piacerebbe sarebbe udirti ragionare con Giara, che ti è pari in sapienza. Dovrebbe essere veramente un alto godimento spirituale quale nei Cieli a mala pena se ne potrà mai avere di migliore»

8. Dice Giosoe: «Vedi, questo desiderio è già un po’ vano da parte tua. Tu vedi qui due coppe colme di vino! Sarebbe saggio voler versare il contenuto di una coppa colma nell’altra, pure colma, se, facendo ciò, il vino prezioso e molto saporito andrebbe disperso inevitabilmente sul terreno? Ed a che cosa servirebbe? Quello che io so, lo sa certamente anche la fanciulla, dunque, né io potrei imparare qualcosa da lei né essa da me! E perciò sarà meglio che ci risparmiamo una fatica inutile. Parla piuttosto tu con la deliziosa fanciulla di Dio! Tu, le tue figlie, tua moglie ed i tuoi figli potrete imparare molto da lei, poiché fino ad oggi nessuna fanciulla prescelta da Dio per questo ha mai fatto su questa Terra le esperienze che appunto lei ha fatto. Lei conosce molte, moltissime cose che, ad eccezione del Signore, non sono note né immaginabili a nessun uomo di tutta questa Terra. Mi hai compreso ora?».

 

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Cap. 196

Giara scioglie a Giosoe il nodo gordiano.

 

1. Dico Io a Giosoe: «Ma, Mio caro Giosoe, come sai poi tu che l’amore della Mia Giara è in possesso di una sapienza così grande e che conosce cose che non sono note a nessuno all’infuori di Me?»

2. Risponde Giosoe: «O Signore, come potrei non saperlo e perché mi fai tale domanda, quando sei Tu Quello che ha messo nel mio cuore e da questo sulla mia lingua ciò che io dovevo riconoscere ed esprimere?»

3. Dico Io: «Molto bene, Mio caro Giosoe, considerato che sai questo, dacci anche una spiegazione sufficiente del perché Io ti ho fatto tale domanda, benché Io ad ogni modo conosca e debba conoscere, perfino nelle loro più riposte profondità, tutti i pensieri del tuo cuore già lungo tempo prima che tu li abbia pensati!»

4. A questa domanda Giosoe resta interdetto e va cercando in sé una buona risposta, ma di buona non riesce a trovarne nessuna; perciò, dopo qualche istante di meditazione, dice un po’ imbarazzato: «Signore, nella ristrettezza ancora molto grande della mia conoscenza non sono ancora capace di trovare una risposta ragionevole alla Tua domanda o per lo meno io non ci riesco. Tu forse mi hai rivolto la domanda così, pro forma, come un maestro domanda ai suoi discepoli riguardo ad una cosa che egli, quale maestro, deve conoscere già molto prima di loro. Ma pure a questo riguardo c’è un divario infinitamente grande fra Te ed un rabbi che esamini uno dei suoi discepoli! Questi sa bene quello che chiede, ma senza procedere ad un esame non sa se il suo discepolo lo sa. Tu invece conosci altresì tutti i più riposti pensieri di tutti gli uomini ed angeli e malgrado ciò tu fai a me una domanda? Ora ecco, appunto qui sta il nodo gordiano per me inestricabile. Però, siccome mi manca molto ancora per diventare un Alessandro, non sono capace di scioglierlo»

5. Dico Io: «DimMi, perché il giovinetto che veniva da te di quando in quando da Sichar ti interrogava riguardo alle cose in maniera da far credere che egli non ne sapesse niente, mentre è certo che quelle cose egli le conoscesse benissimo, anzi egli si faceva addirittura istruire da te assumendo la parte di tuo discepolo?»

6. Dice Giosoe: «Signore! Appunto questo è il motivo delle mie continue lagnanze a suo riguardo, perché, nonostante la sua sapienza senza dubbio immensa, è egli che vuole sempre imparare da me e quando gli domando qualcosa, dice sempre: “Ecco, questo è quello che io, per l’appunto, ti volevo chiedere!”. Ora io domando e Ti ho già domandato stamani che specie di insegnamento è questo. Il padre di Giara ha ben esposto prima certe sue idee molto sagge, a dire il vero, riguardo a simili metodi di istruzione, idee che io potrei applicare alla soluzione del quesito che Tu mi hai proposto, però io non sono troppo d’accordo con le sue vedute e perciò non posso giovarmene interamente, per dare una chiara e motivata risposta alla Tua domanda gordiana.

7. Trattandosi di discepoli già esperti in ogni tipo di scienze e discipline, questo metodo di insegnamento è di sicuro il migliore di questo mondo, perché in questo modo il discepolo, pur limitato tuttavia nelle sue cognizioni, viene indotto a meditare, a percepire ed a trovare con fervore da solo; ma se si applicasse tale sistema a un discepolo ancora del tutto digiuno di ogni elementare conoscenza scientifica, vorrei proprio vedere quando e come riuscirebbe ad appropriarsi dell’alfabeto ed infine della capacità di lettura di uno scritto per vie e con mezzi naturali e senza il contributo di qualche atto miracoloso!

8. A questo riguardo l’opinione di Ebal, sotto ogni altro aspetto buona, non può venire presa in considerazione e così non me ne posso giovare nel caso mio. Dunque, o Signore, io devo dirTi sinceramente che non sono capace di dare una risposta alla tua domanda fatta in stile gordiano e di conseguenza Ti prego di voler fare a tutti noi la grazia di dare Tu stesso la risposta!»

9. Dico Io: «Cosa diresti se incaricassimo la nostra buona Giara di trovare una soluzione al problema?».

10. Dice Giosoe un po’ confuso: «Se essa ne è in grado, potrà farlo senz’altro. È certo che se Tu, o Signore, le porrai la risposta nel cuore, le sarà facilissimo dare la risposta richiesta!».

11. Dico Io: «Ma appunto questa volta non lo farò e bisogna che essa cerchi in se stessa la risposta»

12. Dice Giosoe: «Oh, allora è ben probabile che non riesca meglio di me»

13. Ed Io, sorridendo, dico: «Ebbene, vedremo! Dicci, dunque, Mia Giara diletta, perché Io ho fatto al nostro caro Giosoe una domanda in questa forma riguardo a una cosa che certamente Mi era nota già molto tempo prima» 

14. Risponde Giara, alquanto imbarazzata: «Signore, se mi è lecito parlare e se in un certo modo ho il dovere di parlare, a me sembra che Tu abbia posto al caro Giosoe questa domanda in stile gordiano, come egli l’ha chiamata, all’unico scopo di mortificare un po’ la sua anima forse eccessivamente esuberante. Infatti egli ha espresso prima l’opinione che non era necessario per lui intrattenersi con me, poiché sa tutto quello che io so, cosicché tra di noi ogni ragionamento sarebbe inutile ed ha aggiunto che l’addentrarsi in una conversazione di questo genere corrisponderebbe al voler versare il contenuto di una coppa colma in un’altra ugualmente colma. Ma il caro Giosoe ha dimenticato di considerare che Tu hai ripartito perfino fra i Tuoi angeli, in differente maniera, i doni dello spirito e che di conseguenza anche uno spirito perfettissimo può sempre imparare molto da un altro spirito altrettanto perfettissimo!

15. Ora io la penso così: se Tu, o Signore, poni una domanda simile, non lo fai per altra ragione se non per quella di ricondurre un qualche animo, forse un po’ troppo esuberante, ad una concezione più umile di se stesso. E giudicando da ciò che con il mio limitato intendimento posso scorgere nel mio cuore, Tu hai fatto appunto al caro Giosoe una simile domanda gordiana.

16. Egli, contraddicendosi un po’ parlando con Marco, osservò bensì prima che io, in grazia Tua, ho fatto esperienze tali, quali nessuno su questa vasta Terra ne ha fatte finora e tuttavia egli si considera una coppa piena fino all’orlo. Ma se egli ammette davvero che io abbia fatto simili straordinarie esperienze, non so capire assolutamente perché non voglia entrare in conversazione con me. Io, da parte mia, credo invece che, nonostante le mie esperienze certamente inaudite, potrei sempre ancora imparare qualcosa da lui e non credo assolutamente che la mia coppa sia proprio tanto piena da non concedere un po’ di spazio al contenuto della sua coppa molto più piena.

17. E, da quanto ho visto adesso, (prosegue Giara con un sorriso di soddisfazione) pare che anche la sua coppa non sia proprio tanto pericolosamente colma da non poter più contenere almeno qualche goccia del mio vino!

18. Del resto con ciò io però non ho voluto affatto fare un’osservazione neanche in qualche modo lontanamente ostile sulla manifestazione un po’ troppo traboccante della concezione che Giosoe ha di se stesso, bensì, avendo detto a me di parlare, ho parlato come sentivo nel mio cuore; perciò non credo di aver commesso un peccato veramente troppo grave! Ma se l’ho commesso, è mia intenzione riparare al male fatto con tutte le mie forze»

19. Le dico Io: «Oh no, assolutamente no. Il tuo fedelissimo cuore è troppo aperto dinanzi ai Miei occhi e tu anzi hai reso al Mio caro Giosoe un servizio molto grande, perché egli era veramente un po’ debole nei punti da te toccati con la tua ingenua sapienza e queste debolezze, con l’andare del tempo, avrebbero davvero potuto attirarlo un po’ su qualche falsa strada, ma ora egli è guarito anche in questa sfera e vedrai che acconsentirà adesso molto volentieri ad iniziare con te una lieta conversazione. Infatti egli ha un’eccellente maniera di esprimersi». 

 

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Cap. 197

Sulla limitatezza del sapere dell’uomo terreno.

 

1. Il Signore prosegue rivolto a Giosoe: «Che cosa ne dici della riuscitissima risposta della carissima Giara?»

2. Risponde Giosoe: «O Signore di ogni vita, questa soave fanciulla non è certo più già da molto tempo una creatura di questa Terra! L’incantevole Giara è una luce celeste di prima grandezza fatto persona, mentre io di fronte a lei non sono che una piccolissima stella. È bensì vero che in grazia Tua ho fatto anch’io esperienze come finora pochi mortali hanno fatto, poiché non è uno scherzo l’aver trascorso, secondo la mia sensazione, quasi due anni nel mondo degli spiriti, mentre il corpo si decomponeva in una fossa e l’essere stato, per Tua grazia e mirabilissima misericordia, restituito su questa Terra con la piena coscienza! Eppure devo apertamente confessare che mi sento appena degno di assumere verso questa fanciulla la parte di scolaro debole e privo di talenti. Se essa dunque vorrà nel suo amore insegnarmi un po’ di una o di un’altra cosa, io tutto accetterò con animo assai grato e con la migliore buona volontà di questo mondo»

3. Dice Giara: «Andrebbe tutto bene, mio carissimo Giosoe, ma tu sei il figlio di un re, mentre io sono la figlia di un ebreo, un semplice albergatore di Genezaret; dunque, dal punto di vista terreno, sarebbe presunzione e audacia eccessiva da parte mia volermi avvicinare a te; ma se vuoi degnarti di scendere fino a me, povera come sono, tu troverai due braccia aperte ed una porta pure essa aperta nella mia modesta casa!». A queste parole molto significative, Giosoe resta imbarazzato e non sa cosa replicare alla fanciulla.

4. Ma Cirenio osserva: «Ebbene, Giosoe mio, questo vuole dire che tu vai vicino a Giara e che cominci a discorrere con lei! Va’ dunque e fa’ così, perché io stesso sono molto desideroso di ascoltare tutte le vostre discussioni».

5. Dice Giosoe: «Oh, che io debba sedermi vicino a lei, la buona e carissima Giara non ne ha fatto cenno nel suo discorso, invece scorgo un invito a parlare qualora io, figlio di re, voglia degnarmi di scendere fino a lei. Certamente sembra che Giara ancora non sappia che io, in primo luogo, non sono affatto un figlio di re ed in secondo luogo che quel certo orgoglio della nascita è estraneo alla mia natura e che un tale pensiero è da me più lontano ancora che non il Cielo da questa Terra. Io tengo soltanto alla verità, disprezzo profondamente quello che le sta al di sotto, ma adoro ciò che sta al di sopra di essa come un mistero di Dio e non domando di avere la chiarezza di ciò che non si addice ai vermi ed alla polvere di questa Terra!

6. In Dio vi è la pienezza assoluta dell’infinita verità, in noi invece ce n’è appena quant’è un atomo di pulviscolo solare! Tutto quello che noi sappiamo è una cosa minima e incompleta e noi non saremo mai capaci di trovare la via che conduce l’Alfa fino al Beta, per non parlare di arrivare all’Omega. Nel cielo scintillano miriadi di astri; chi mai li conosce?  Noi non conosciamo neppure i due maggiori, come dunque potremmo conoscere quelli piccolissimi che sono in un numero sterminato? La Sapienza di Dio invece è dappertutto sempre così presente come il senso della vista nell’occhio.

7. Sappiamo e conosciamo quello che Dio vuole rivelarci; tutto ciò che va oltre, per l’anima umana è avvolto in una notte certo sacra, ma pur sempre infinita, e l’uomo non deve mai azzardarsi a voler rischiarare la sacra oscurità di questa notte senza confini, perché questa notte lo inghiottirebbe come avviene della pietruzza scagliata nel mare da qualche ragazzo spavaldo.

8. Noi uomini siamo come dei vasi cui per ora è concessa una determinata misura: quando essa è colma, non la si può rendere ancora più colma, ma se un giorno avverrà che all’uomo venga data una misura maggiore, allora egli vi potrà collaborare e versare ancora molte cose e tuttavia la misura non traboccherà così facilmente come succede ora.

9. Certo è che agli uomini di questa Terra è stata data la misura in gradi svariatissimi di capacità; la mia evidentemente è delle più piccole. Invece è chiaro che la carissima Giara è stata provvista di una misura maggiore e perciò io non posso presentarmi dinanzi a lei da pari a pari, perché se essa vorrà elargirmi qualcosa di ciò che possiede in sovrabbondanza, io sempre l’accetterò con animo assai grato. Però non mi sento di mettermi a sedere vicino a lei, principalmente perché essa è più saggia di me e secondariamente perché tale cosa non mi si addice!».

 

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Cap. 198

Che cos’è la verità?

 

1. Allora intervengo nuovamente Io nel discorso e dico a Giosoe: «Ascolta, Mio caro Giosoe! Tu ora hai parlato molto saggiamente e c’è molto di vero e di buono in quello che hai detto; però Io devo richiamare la tua attenzione su parecchie cose ancora! Vedi dunque di afferrare bene quanto ti dirò, perché con un sapiente come tu sei, posso già anch’Io esprimerMi in maniera un po’ più profonda!

2. Tu hai detto: “Io tengo soltanto alla verità, quello che le sta di sotto lo disprezzo, ma ciò che sta al di sopra di essa come un mistero di Dio io lo adoro e non domando di avere la chiarezza di ciò che non si addice ai vermi ed alla polvere di questa Terra! In Dio c’è la pienezza di ogni sapienza, in noi uomini invece ce n’è tanta quanta ce n’è in un atomo di pulviscolo solare!”

3. Ora è certamente buono, puro e giusto quanto mai tenere soltanto alla verità, ma ecco che una possente domanda taglia diritta diritta questo principio fondamentale, formando così, con il tuo principio lodevolissimo in sé, una croce perfetta! Se tu o qualcun altro per te è capace di risolvere il problema che Io ti sottoporrò, allora le Mie spalle saranno libere da questa croce.

4. Dimmi ora: “Che cos’è dunque la verità alla quale sola tu tieni? È una verità forse quello che tu vedi?”. Ecco, tutto ciò è una fantasmagoria che dura dall’oggi al domani, e quello che oggi appare una piena verità, può non esserlo già domani! Guarda lì, nelle ultime luci crepuscolari del Sole già da tempo tramontato, si libra una nuvoletta a forma di pesciolino! DimMi, fino a quando la forma attuale di questa nuvoletta resterà una verità? Vedi, il prossimo istante sarà già una smentita della sua attuale conformazione!

5. Io ti presento tre pere, di cui tu dici che sono una verità dinanzi a te, perché veramente sono tre pere, ma Io ti dico che ciascuna delle tre contiene parecchi semi, da ciascuno dei quali, con il susseguirsi dei tempi, possono riprodursi in numero senza fine gli alberi, i quali finiranno tutti poi con il produrre quantità incalcolabili di pere simili alle tre originali! Dunque, stanno dinanzi a te veramente soltanto tre pere che formano già da sé una quantità ben definita ed immutabile, oppure sono semplicemente tre qualità apparenti dietro le quali, come i guerrieri nel ventre di legno del cavallo di Troia, sono nascoste in numero imprecisabile altre quantità ancora di grandezza uguale, oppure anche ben differente?

6. Dove comincia la verità e dove finisce? È l’uomo una verità come egli è? Guarda un bambino e guarda infine un vecchio! Guarda una città costruita dalle mani dell’uomo! È essa una verità assoluta? Essa oggi esiste ancora e domani può essere già distrutta!

7. Vedi, per chi in se stesso è assoluta verità, per questi soltanto è anche tutto verità, ma per chi non lo è, tutto quello che lo circonda è necessariamente soltanto quello che egli stesso è in quel momento.

8. Una verità che è vera solamente per un certo tempo, già per questo motivo non è una verità piena, poiché in essa non vi sono stabilità e durevolezza. La verità assoluta invece deve essere per l’eternità immutabilmente quello che è ad ogni singolo istante. Dunque, che cos’è allora veramente la piena verità?».

 

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Cap. 199

Il mistero della ragione prima di ogni sapienza.

 

1. Giosoe resta perplesso, pensa e ripensa, ma non sa cosa rispondere alla Mia domanda.

2. E Cirenio esclama: «Però, Signore, questa domanda è davvero un tale problema, che per risolverlo tutti i saggi e i filosofi ci avrebbero rimesso il cervello! Permettimi, o mio divino Amico, ma allora, secondo le Tue parole, che ci sono pur sempre quanto mai sacre, tutto quello che noi percepiamo con i nostri sensi non è perfetta verità, ma è invece per una buona metà una menzogna? Dunque, chi mai, poi, può prestare completa fede ad una parola data? Questa Tua domanda, devo io stesso confessarlo, mi ha veramente turbato un po’, ma questa volta bisognerà che Tu stesso abbia la bontà di dare anche la risposta, perché non credo che ci sia sulla Terra un savio capace di sciogliere con le sue Sole forze questo enigma!»

3. Dico Io: «Oh, non darti alcun pensiero! Infatti, vedi, qui a questo tavolo siedono alcuni che sarebbero in grado di darti certamente, senza il Mio particolare ausilio, una risposta del tutto sufficiente, quale soluzione del problema da Me posto a Giosoe, perché essi già sanno approssimativamente da che parte spira il vento. Ma Io voglio invece che nella soluzione del quesito da Me prospettato in termini e proporzioni certamente un po’ superiori, intervenga la Mia Giara ad aiutare Giosoe! Dunque (rivolgendoMi a Giara) prova tu, Mia Giara carissima, se ci riesci, a trovare nel tuo cuore una buona risposta alla Mia domanda!»

4. Risponde la fanciulla, lievemente sorridendo: «In verità, mi stupisce molto che Giosoe, a cui in generale non manca la sapienza, non abbia potuto trovare immediatamente una risposta adatta ed esauriente a questa facilissima domanda! Che cosa può essere la verità perfetta ed eterna, se non Dio stesso, il Quale, comprendendo in Sé dall’eternità ogni perfezione, è in Spirito sempre quell’Uno e stesso, ed è dunque in Sé e per Sé eternamente immutabile, dato che in Lui, quale in Se stesso la perfezione assoluta, non è immaginabile che possa operarsi in eterno nessun cambiamento. Dio è l’unica ed eterna Causa Prima di ogni essere; tutto ciò che ha esistenza non è altro se non la risultante delle Sue Idee da Lui fissate; di conseguenza l’essere e la vita di ogni creatura sono pure Essere e Vita di Dio.

5. Perciò, dunque, solamente in Dio tutto è verità perfettissima ed eterna, perché all’infuori di Lui niente può esistere in nessun luogo; ma in noi uomini può esservi verità soltanto in quanto noi diventiamo Una cosa con il Suo santissimo Spirito, per il potere del puro amore per Lui. Il puro amore a Dio ci congiunge con Dio e fa in modo che noi diventiamo Una cosa sola con Lui; ma quando siamo tali, allora per noi tutto è purissima Luce, da qualsiasi parte ci volgiamo e ci muoviamo. E questa Luce primordiale, nella purezza dello Spirito, è appunto Essa la verità eterna ed immutabile. Questa, secondo il mio parere, è la sola giusta risposta che risolve il quesito proposto dal Signore al caro Giosoe».

6. Dico Io a Cirenio: «Ebbene, che te ne pare di questa risposta data alla Mia domanda a Giosoe? Non credere però che le abbia posto Io miracolosamente tutto ciò nel cuore, bensì è lei che lo ha trovato su un terreno assolutamente proprio. Ed Io lo dico a te ed a voi tutti che siete seduti con Me a questa mensa: in quello che essa ha detto, non c’è né una parola di troppo né una parola di meno e tutto è pienamente vero per l’eternità.

7. Ma come avviene che lei sia giunta a tanto e Giosoe no, pur essendosi egli proposto come unica meta la verità? Vedete, questa è l’opera del suo sconfinato e purissimo amore per Me; questo amore congiunge il suo cuore con il Mio e in tale modo lei è sempre in grado di acquistarsi, per la via più breve, ogni luce e con ciò ogni sapienza, attingendole a quella che ella stessa ha designato come la Sorgente primordiale di ogni luce, di ogni esistenza e di ogni verità, la quale sempre è in Me Una e la stessa, immutabile per l’eternità.

8. E tu, Mio caro Giosoe, fautore soltanto della verità, che cosa ne dici di Giara, la quale in certo modo è devota unicamente e puramente all’amore?»

9. Risponde Giosoe, con un po’ di imbarazzo: «O Signore, certo, scorgo ora in me una macchia oscura, ma non so come fare per cancellarla! Io ho fatto a Giara un grave torto a cui bisogna porre rimedio e se Tu, o Signore, non hai niente in contrario, io vado subito a sedermi vicino a lei!»

10. Dico Io: «Oh, tutt’altro, anzi puoi persuaderti che la compagnia si rallegrerà già in anticipo della conversazione fra voi due! Io te lo dico: “Soltanto al fianco suo troverai quello al quale esclusivamente tieni!”». A queste Mie parole Giosoe si alza sollecito e va a prendere posto fra Giara e il suo angelo Raffaele.

 

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Cap. 200

Giosoe e Giara a colloquio.

 

1. Quando Giosoe si trova seduto presso di lei, le porge la mano dicendole: «Mia carissima Giara, non serbarmi rancore, perché, vedi, io non potevo neanche lontanamente pensare che in te, una fanciulla di forse appena quindici anni, si celasse una sapienza maggiore di quanta ne abbiano avuta tutti i saggi della Terra che sono vissuti prima di noi; ma nello stesso tempo ti prego ora di volermi rivelare quanto più puoi dell’occulta sapienza che dimora in te!»

2. Risponde Giara: «Ed io, a mia volta, devo pregarti di rivelarmi la tua, poiché tu pure saprai molte cose che a me probabilmente sono ancora poco note!»

3. Dice Giosoe: «Le mie rivelazioni avranno un ben magro aspetto, perché il vaso della mia sapienza mi pare che sia in primo luogo alquanto piccolo e poi in aggiunta temo che sia bucherellato come un setaccio! A dirla breve, da me ci sarà poco da spremere, perché appunto non c’è molto dentro e di conseguenza è meglio che cominci tu! Io, del resto, sono talmente imbarazzato che veramente non saprei dove trovare qualcosa di adatto ad essere anche un po’ discusso qui. Al cospetto della divina Sapienza è difficile per l’uomo parlare, ma tanto più facile invece ascoltare e tacere. Tu però, soavissima Giara, hai la libertà di varcare il ponte che conduce alla divina Sapienza, alla Quale puoi attingere quanto e quando vuoi. Dunque piaccia a te cominciare ed io, come ho già detto, ti ascolterò!»

4. Osserva Giara: «Ma, o nobile Giosoe, una cosa simile non sarebbe affatto conveniente, perché una fanciulla non deve essere sfacciata. Tu puoi ben interrogarmi ed io ti risponderò, e se io ti faccio delle domande, mi risponderai a tua volta!»

5. Dice Giosoe: «Eh sì, sarebbe facile domandare, se almeno si sapesse cosa! Fino a tanto che si è bambini, senza alcuna traccia di cultura, il cuore è certamente colmo di domande d’ogni specie, ma quando si è risposto in più maniere da se stessi a quasi a tutte le domande sorte in sé, allora una domanda riesce più difficile di una risposta ad una domanda qualsiasi. Perciò io vorrei pregarti di rivolgermi una domanda, perché tu sei iniziata in molte cose, e di conseguenza riguardo a molte cose puoi anche interrogarmi»

6. Dice Giara: «E sia così, nel Nome del Mio Signore; altrimenti se non vuoi, io ti farò subito una domanda: “Dimmi dunque perché Dio, il Signore, quale il supremo Amore e suprema Sapienza permette che, particolarmente nel tempo in cui noi viviamo, i cosiddetti servitori di Dio e dispensatori privilegiati della parola divina siano in modo del tutto speciale essi stessi fra gli uomini gli esponenti maggiori della perfidia senza coscienza, dell’orgoglio e dell’ambizione e vadano senza alcuno riguardo commettendo, solitamente di nascosto ed impuniti, le azioni più perverse? Perché non hanno alcun timore al pensiero di Dio, la Cui potenza e gloria essi vanno magnificando ad altissima voce dinanzi a tutti gli uomini tra il fasto di pompe e cerimonie?”. Ecco, questa è una domanda importante quanto mai per il nostro tempo!»

7. Dice Giosoe: «Oh, la domanda è importante senza dubbio, ma in quanto alla risposta, non la trovo sul mio terreno e perciò bisognerà che ti prepari a darla tu stessa»

8. Interviene Cirenio e dice: «Ma Giosoe, figlio mio carissimo, qualche cosa potrai ben trovare da dire! In verità, il tuo continuo ricorrere a scuse comincia a venirmi già un po’ a noia! Io so bene, e me ne sono ora più che mai convinto, che per quanto concerne la sapienza, la graziosissima Giara ti supera di molto, tuttavia, a quanto ne so, tanto privo di idee non sei neppure tu, da non poter trovare proprio nessuna risposta ad una simile domanda. Cerca almeno di dire qualcosa! Se anche sbaglierai, ebbene, qui intorno a questa mensa siedono saggi in numero sufficiente da poterti rimettere sulla buona strada!»

9. Risponde Giosoe: «Oh, caro padre e illustre comandante! Comandare è facile, ma obbedire porta invece con sé un’amarezza cocente, specialmente quando, come ora è il caso mio, non si vede neanche a distanza la possibilità di dimostrare obbedienza!

10. Immaginati da un lato la Bontà immensa, l’Amore e l’illimitata Sapienza di Dio e dall’altro tutte le atrocità che i presunti servitori di Dio commettono per lo più impunemente a danno della povera umanità di certo ad ogni ora del giorno e della notte; tieni ben presente dinanzi agli occhi dell’anima questi rapporti contraddittori e, come avviene a me, certamente ti risulterà in maniera fin troppo chiara che dare una risposta ben ponderata ad una simile domanda è molto più difficile dello stabilire qual è la somma di 3 ed ancora una volta 3! Faccia qualcun altro il tentativo ed è probabile che si convinca assai presto che la domanda posta da Giara non è assolutamente un quesito da poco!» 

11. Dice Cirenio: «Suvvia, sta bene. Io non metto in dubbio che ci voglia un alto grado di sapienza per rispondere in maniera anche relativamente soddisfacente alla domanda di Giara, ma ad ogni modo mi piacerebbe molto essere un po’ illuminato a tale riguardo, perché appunto questo problema, più di altri, è stato oggetto di intensa meditazione da parte mia, anche se non ho mai ancora potuto trovare una spiegazione almeno mediocremente ragionevole. Io penso dunque che se davvero nessuno fosse capace di rispondere alla domanda in questione all’infuori del nostro amatissimo Signore e Maestro e della carissima Giara, noi tutti dovremmo rivolgerci a Te, o Signore e Tu certo vorrai allora rivelarci la precisa ragione del fenomeno discusso, come del resto, se la mia memoria non m’inganna, ci avevi anche promesso»

12. Dico Io: «Sicuramente, purché la Mia Giara non riesca a venirne a capo da sola; però Io ritengo che, se lei ci mette tutta la sua attenzione, coglierà direttamente nel segno già di primo acchito! Prova dunque, Mia buona e cara Giara, e rendi testimonianza del fatto che Io non ho piantato invano un orticello per te a Genezaret».

 

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Cap. 201

Osservazioni di Giara nel suo orticello.

 

1. A queste Mie parole Giara si alza e, tutta seria e ritta come un oratore, così si esprime: «Ebbene sia! La benedizione dall’Alto è scesa abbondante sul mio orticello ed io voglio offrire volentieri, per il bene di tutti, il frutto della mia diligenza di fanciulla, nonostante che io abbia avuto certamente modo di applicarla soltanto da pochi giorni. Di vantaggi materiali l’orticello me ne ha certo arrecati ancora pochi, ciò che non si sarebbe potuto affatto pretendere, dato il brevissimo tempo trascorso da quando fu piantato, ma non di meno ne ho tratto tanto più vantaggio spirituale.

2. Sì, l’orticello è per me un vero libro di sapienza profondissima ed io in pochi giorni, osservandolo bene, ho imparato di gran lunga più di quanto avrebbe potuto rivelarmi Salomone in tutta la maestà della sua sapienza. Perciò anche la risposta alla domanda da me ora rivolta a Giosoe è apparsa evidente e brillante appunto nel mio orticello già un paio di giorni fa ed ora essa è mia proprietà assoluta, quale dono del Signore stesso, perché, se la piena risposta non fosse già stata in me, davvero io non avrei mai osato fare una domanda di questo genere, affidandomi alla cieca sorte o forse sperando che qualcun altro potesse trovare una risposta accessibile anche al mio intelletto!

3. Oh, la risposta di certo esauriente ce l’ho già in me ed essa è valida non soltanto per il tempo presente, ma anche per tutti i tempi, finché su questa madre terra ci sarà una qualche traccia della Parola di Dio e ci saranno delle caste sacerdotali che più di altre si occupano della Parola. Ed ecco la piena risposta alla domanda da me formulata al caro Giosoe: 

4. “A casa io misi diversi semi nobili e buoni nel grasso terreno del mio orticello. Alcuni germogliarono già il giorno seguente, il secondo giorno i germogli erano cresciuti di circa quattro dita fuori del terreno.

5. Una fanciulla, e io in modo particolare, è sempre molto curiosa, e così la mia insaziabile curiosità mi spinse ad esaminare bene almeno alcune pianticelle fra quelle che maggiormente si erano sviluppate, per constatare che cosa effettivamente avveniva infine dei granelli di semente quando questi hanno prodotto dei germogli già così vigorosi. A questo scopo tolsi con cura alcune pianticelle fuori dal terreno, osservai tutto con la maggior attenzione possibile, ed ecco, come si suol dire in idioma romano: ‘Sapienti pauca sufficiunt’ (Al saggio basta poco), trovai che il granello di semente era imputridito e la terra che lo circondava era frammista ad una specie di muffa putrida. Poi da questa fossetta germinava la tenera pianticella, e della semente, come ho detto, non esisteva più niente, ad eccezione di qualche rimasuglio del guscio duro e perciò difficilmente soggetto alla putrefazione che circonda e protegge all’esterno il granello di semente.

6. Ma accanto a questo fenomeno molto degno di nota, rilevai pure come diversi grani di semente senza germogli fossero stati completamente consumati dalla putrida muffa e non ci fu assolutamente modo di trovare alcuna traccia che desse adito a sperare in una qualche manifestazione vegetativa. Eppure al mio occhio acuto non sfuggì come appunto al di sopra di queste sementi completamente marcite avessero fatto la loro comparsa, sbucando fuori dal terreno, certe minute pianticelle che non avevano la benché minima analogia con i germogli nobili e buoni. ‘Ah, ah’ – dissi io allora fra me – ‘ ci siamo; questi germogli falsi sono certamente anch’essi un prodotto dei buoni semi affidati al terreno grasso, ma il terreno, essendo avido, ha voluto saziarsene per conto proprio e non ha permesso al germoglio veramente buono di svilupparsi; ma a che gli giova questo, in ultima analisi? Al posto del germoglio nobile ne crescono trenta di cattivi e sottraggono al terreno, forse circa cento volte, tanta valida sostanza nutriente quanta ne occorre per dare sviluppo ad una pianticella buona; infatti tutto ciò che è nobile e buono è moderato sotto ogni aspetto, qualunque cosa esso sia’.

7. L’oro non ha bisogno, come il piombo, di venire continuamente pulito per risplendere; lo si pulisce una volta a dovere e poi conserva la sua lucentezza per sempre. Una vite prospera e fruttifica sul più aspro terreno, i cardi e le spine invece si scelgono il terreno migliore. Le specie buone e nobili di animali domestici sono di rado voraci, mentre il lupo, la iena e simili altre bestie feroci non farebbero altro che divorare continuamente, notte e giorno, così pure l’uomo veramente nobile e buono si accontenta facilmente, laddove l’uomo del mondo, tenebroso e perfido, non ha mai abbastanza di tutto. Gli si diano centomila libbre d’oro e subito dopo la sua più ardente brama sarà quella di averne, quanto prima possibile, ancora una volta tanto, essendo per lui del tutto indifferente che, pur di raggiungere tale scopo, il prossimo si riduca alla miseria o che addirittura muoia di fame; in questo modo un’avarizia genera sempre un’altra avarizia! 

8. Vedete, il terreno del mio orticello era dunque ignobile e avaro in parte e voleva ingrassarsi con le sementi nobili che io gli avevo affidato in seno, ma quale ne fu l’amara conseguenza? Ecco, al posto di una pianticella nobile e moderata è costretto a nutrirne cento di ignobili e voraci!

9. Ora, come succede al terreno sciocco, avaro ed egoista, non altrimenti succede agli uomini sulla Terra, che già qui vogliono crearsi un cielo pieno di godimenti e delizie. Infine viene il momento in cui devono sicuramente abbandonare tutta la loro ricchezza accumulata a suon di aspre fatiche, la quale poi viene da cento altri dilapidata in maniera non di rado vergognosissima”. Questa è intanto un’immagine che ha relazione con la risposta alla domanda da me formulata, risposta che sta ora per seguire. Considerate intensamente quest’immagine nel vostro animo e la risposta vi balzerà quasi di per se stessa alla mente!». Tutti allora si immersero in riflessioni e non sapevano capacitarsi della grande sapienza che si era rivelata in quella fanciulla.

 

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Cap. 202

Uso dell’immagine di corrispondenza di Giara

 

1. La fanciulla però si rivolge frattanto a Giosoe e gli domanda, in tono dolcissimo ed amorevole: «E tu, mio caro e nobile vicino, non puoi scorgere ancora alcuna vera luce nel tuo cuore?»

2. Dice Giosoe: «O soave e saggissima Giara! Io ho come l’impressione di vedere qualcosa attraverso un velo, steso dinanzi alla mia faccia, ma per ora non si può parlare di chiarezza. Prosegui dunque tu e chiarisci la questione; hai in me certamente il tuo più attento ascoltatore. La cosa è troppo importante, perché ci si possa permettere di lasciar passare inosservata anche una sola parola, e questa pare che sia anche l’opinione profondamente sentita di tutti coloro che siedono a questa mensa e di tutti gli altri che ci stanno attorno, perché ciascuno è visibilmente ansioso di ascoltare quello che ancora verrà. Favorisci dunque di proseguire nella tua spiegazione e di svolgere la tua risposta fino alla fine!».

3. Allora Giara riprende la sua dissertazione per dare la risposta promessa e dice: «Se voi avete anche soltanto un po’ considerato le immagini naturali che ho già presentato alla vostra mente, che costituiscono il primo raccolto spirituale da me mietuto nel mio orticello, quello che ora seguirà dovrebbe riuscirvi chiaramente e facilmente comprensibile. Dunque, fate bene attenzione ed ascoltate!

4. Gli uomini di questa Terra sono da considerare, dal punto di vista spirituale, simili al terreno del mio orticello, e la Parola di Dio – la Quale anzitutto è venuta dai Cieli ed è stata sparsa fra gli uomini per mezzo dei primi padri, a cominciare da Adamo e più tardi per mezzo dei patriarchi e dei profeti suscitati da Dio stesso – è a sua volta simile alla buona e nobile semente da me affidata al terreno del mio orticello.  Ma così come avviene della semente, che appena collocata nel terreno non dà subito frutti maturi in abbondanza, altrettanto avviene anche per la Parola di Dio.

5. Quando la Parola di Dio, esteriormente percepita, viene accolta nell’animo dell’uomo, essa deve venire vivificata tramite l’azione, che trova la sua rispondenza nel potere nutritivo del terreno e precisamente, come prescritto dalla stessa Parola di Dio, a vantaggio dei nostri fratelli e sorelle, affinché possa, così nutrita, produrre germogli validi ed atti a promuovere la crescita successiva di veri, sani e saporiti frutti della vita spirituale in Dio e possa, per così dire, convertirsi essa stessa in frutto benedetto e pienamente maturo! Ma se degli uomini – e fra questi sono da intendersi in primo luogo coloro che per primi sono chiamati ad accogliere la Parola, come sarebbero i profeti ed i sacerdoti, allo scopo, quando sia giunta in essi la maturità, di spargerla ulteriormente in tutta la sua integrità e purezza per tutti i tempi dei tempi sul grande campo dell’umanità di questa Terra se tali uomini, dico, in corrispondenza a quanto fa il terreno materiale, il quale divora la nobile semente, impiegano invece la Parola quale mezzo per tentare di ingrassare solo se stessi, non deve apparire poi affatto come una meraviglia troppo innaturale se sul campo dei profeti e dei sacerdoti, in tal modo palesemente falsi, non germoglino infine, per la risemina, sul vasto campo dell’umanità profana, altro che mala zizzania, spine e triboli che maturano nella loro malvagità!

6. Però, nonostante accada così, il fatto tuttavia non è, né in particolare né in generale, contrario all’Ordine divino ed alla divina Sapienza, perché, vedete, quando il buon frutto è giunto a maturazione, tutta la paglia ed i frutti vengono raccolti nei granai e nelle dispense; la zizzania invece rimane sul campo e contribuisce involontariamente a concimare il terreno, che così si irrobustisce per un prossima semina ed avidamente attende che gli venga ormai affidata una semente buona per vivificarla.

7. Non diversamente stanno le cose con noi uomini! A tale riguardo, se noi fossimo già stati saziati della verità purissima da sempre così come essa proviene dalla bocca di Dio, in verità avremmo poco desiderio di un ulteriore verità.

8. Ma Dio il Signore conosce anticipatamente tale condizione e perciò lascia che all’umanità, diventata ottusa, venga per qualche tempo preparato un pessimo cibo e che il suo terreno venga ben concimato dalla zizzania: soltanto dopo l’umanità, immersa nelle tenebre e che desidera la luce, gusta il frutto nobile e puro della pura Parola di Dio, così come ora avviene presso di noi e fra noi evidentemente e beatamente».

 

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Cap. 203

Il materialismo e i suoi rappresentanti.

 

1. Parla Giara: «Questo è vero: si verificano abomini inauditi, certamente sempre originati dai cosiddetti servitori di Dio! Ma gli uomini che ne sono informati con certezza e che non sono essi stessi proprio digiuni di quello che si accenna nella Scrittura di Dio, cominciano a domandarsi tra di loro ogni giorno con sempre maggiore insistenza: “Ma che cosa significa questo?”. Allora cos’è la Parola di Dio? Può veramente essere Volontà di Dio, secondo il senso della Sua Parola, che gli annunciatori della Parola di Dio, della Sua Volontà d’Amore, della Sua Grazia, della Sua Mansuetudine e della Sua Pace debbano diventare dei demoni fra i più avidi, ambiziosi, egoisti, spietati ed arroganti per il loro prossimo?

2. E vedete, tutte queste domande sono buone, perché costituiscono il primo impulso alla vera attività indipendente negli uomini, senza la quale essi non possono trapassare nella vera libertà spirituale neppure in conseguenza di una costrizione, seppure di carattere buono né, meno ancora, di carattere maligno o in certo modo satanico; e senza questa vera libertà spirituale non può esservi vita eterna per l’anima e per il suo spirito.

3. È verissimo: considerando l’agire delle caste sacerdotali, ci si sente molto spesso sconvolgere da giusta ira e quasi lacerare, e molto spesso un impulso prepotente ci spingerebbe a gridare a squarciagola: “Signore! Non hai più fulmini, grandine, zolfo e pece da far piovere su queste tigri dalle sembianze umane, per punirle con il massimo rigore di cui la Tua Ira divina è capace?”. Ma allora dall’intimo del cuore una dolce voce si leva e dice: “Sii accorto e saggio, e guarda dove posi il piede quando cammini! E se vi scorgi sulla via una vipera in agguato, evitala, perché ce ne vuole prima che tutto il suolo sia abitato solo da vipere”.

4. Deve esserci anche la notte accanto al giorno, affinché l’uomo possa riconoscere il valore della luce. Nessuno di giorno sente il bisogno di ricorrere alla luce di una lampada, ma quando cala la notte, ciascuno sente in modo vivo e doloroso la mancanza della luce e se la procura meglio che può; anche il più lieve bagliore gli rende più lieta la propria stanza di quanto non faccia l’assenza, spesso totale, di luce.

5. Vedete, se il Signore provvede a profusione gli uomini di questa Terra di beni terreni di ogni specie, essi diventano ben presto prepotenti, cominciano a pensare troppo al loro corpo e la loro anima, in cui dimora lo spirito divino, viene in breve consumata, come succede alla semente buona e nobile sempre esposta al pericolo di venire divorata dal terreno avido che la circonda, invece che sia l’anima a trarre dal corpo in equa misura gli elementi di forza necessari a promuovere la germinazione dello spirito divino in lei per la vita eterna, e tutto ciò a seconda delle divine prescrizioni, e perciò, per il raggiungimento dello scopo finale, all’anima è stato dato propriamente da Dio il corpo materiale. Ma quando l’anima viene consumata dal proprio corpo, è naturale che allora al posto di nobile frutta debbano fare la loro comparsa unicamente spine e cardi, ed ogni altra specie di mala erba da cui non è certamente possibile raccogliere né grappoli d’uva, né fichi od altra specie di frutta buona!

6. Ma un tale uomo poi è da considerare spiritualmente come morto! Egli non conosce più niente di tutto ciò che anche lontanamente ha relazione con lo spirito. Anzi, egli nega tutto lo spirituale e tende a materializzare tutto. All’infuori della rozza materia non esiste più nulla per un uomo simile, il suo ventre e la sua sensualissima pelle sono le sue due uniche divinità, alle quali egli è giorno e notte sempre pronto ad offrire qualsiasi sacrificio. Per tali individui, poi, Dio non esiste più e quando infine, come disgraziatamente ora avviene anche troppo spesso, essi addirittura diventano sacerdoti e servitori di Dio; allora si spera che ciascuno vedrà che è superfluo domandare più a lungo, dicendo: “Ma perché e come sono diventati sacerdoti e servitori di Dio questi adoratori della carne, per i quali l’anima, lo spirito, Dio e i Suoi Cieli in fondo non sono altro che delle figure retoriche e dei prodotti della fantasia antiquati, anche se poetici?”. Basta guardare i loro ventri enormi e si ha così la più completa e vivente risposta dinanzi a sé!

7. A simili dispensatori della Parola di Dio, è di certo del tutto indifferente saziare le comunità loro affidate con il pane dei Cieli oppure con l’immondizia tolta dalle più schifose cloache; basta che essi vengano pagati profumatamente bene! Dunque, non deve affatto meravigliarci troppo se non di rado apprendiamo cose sul conto del Tempio che ci fanno restare molto spesso quasi muti e irrigiditi dall’orrore.

8. Quando il solo uomo corporale è arrivato al punto in cui la percezione della propria dignità di uomo non è in lui maggiore di quanto possa esserlo in un fungo del bosco, sorto da qualche putridume della terra, che cosa di nobile e che cosa di umano ci si può attendere da un tale agglomerato di feci in sembianze di uomo? Lo si lasci ai suoi agguati ed ai suoi sibili come una lurida vipera sulla strada e si cerchi su questa vasta madre terra un posto che sia sgombro da serpenti, perché il Signore è con ciascuno che veramente Lo cerca e non abbandona mai chi nella propria miseria si rivolge a Lui.

9. Noi tutti, che dimoriamo sulle rive del nostro mare interno, da lungo tempo eravamo un trastullo nelle mani del Tempio. Risparmiavano quant’era possibile la Giudea, ma in compenso noi galilei dovevamo servire al Tempio da veri capri espiatori da un lato, e dall’altro da animali da mungere; e ciò è durato per lunghissimi anni! Però per risarcirci di questi mali ora è avvenuto questo di buono: per noi, molto prima che per altri, è sorta in tutto e su tutto la più radiosa delle luci, mentre la Giudea si trova immersa ancora nelle tenebre più profonde.

10. Noi per primi dovemmo sperimentare la voracità estremamente egoista del terreno del Tempio – con ciò io naturalmente alludo alla casta sacerdotale – e cercammo, per quanto era possibile, di liberarci da questa; e noi, quale un grano buono e nobile di Dio, non disperdemmo la nostra forza vitale germinativa interiore contribuendo a riempire l’enorme ventre del Tempio, ma ci raccogliemmo invece in noi, secondo l’Ordine divino sempre maggiormente riconosciuto in noi stessi,  e perciò  ci troviamo già ora liberi sull’immenso e  rigoglioso campo di Dio come un frutto molte volte benedetto. Ai giudei invece, quelli della Mesopotamia e delle regioni più meridionali, ci vorrà ancora del tempo, e molto, prima che comincino a vederci chiaro ed a convincersi che nei loro rapporti con il Tempio essi sono i pazzi più tremendamente imbrogliati!

11. Da questa mia risposta abbastanza estesa data alla mia domanda, si spera che ciascuno degli ospiti qui presenti riconoscerà che la fanciulla di Genezaret sa già molto bene cosa pensare delle disposizioni che Dio prende e di tutto ciò che Egli permette che avvenga! Ma Tu, o Signore, perdonami, di grazia, se Io ho parlato di Te e per di più al Tuo santissimo fianco tanto a lungo, dicendo forse, fra l’altro, anche delle cose perfettamente inutili. Io, con ciò, non ho voluto assolutamente fare sfoggio della mia capacità d’intendimento, bensì ho parlato perché mi si è presentata l’occasione di esporre tutto fedelmente e chiaramente così come mi sentivo nel cuore».

 

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Cap. 204

Giosoe e Giara su Giuda.

 

1. Dico Io: «O diletta figliola del Mio cuore, Io ti dico che non una parola di più, né una parola di meno di quanto era necessario ti è uscita dalla bocca! Perciò Io dico anche a voi tutti e vi consiglio di ponderare con cura tutto quello che questa fanciulla ha ora detto, di fissarvelo molto bene nella mente e di conformarvi le vostre azioni. Se però qualcuno ha da fare qualche osservazione in contrario, si levi e parli!».

2. A questo Mio invito si annunciò il nostro Giuda Iscariota, che disse: «Io non sono d’accordo proprio in tutto, benché del resto non possa fare a meno di ammirare la saggezza di questa fanciulla, perché essa parla veramente come un libro scritto molto sapientemente». Dopo tacque.

3. Ma il ragazzo Giosoe, a questa sortita, lo apostrofò aspramente, esclamando. «O insensato e stoltissimo individuo! Non hai udito la testimonianza che il Signore in Persona ha dato della soavissima Giara? E tu non vuoi essere d’accordo con tutti i punti del suo discorso di risposta! Ma sputa una buona volta fuori la tua immensa stoltezza e vedremo di che lordura essa è piena! Apri bene i tuoi occhi stupidissimi, o vecchio bue, e guarda: qui vicino a me siede un angelo di Dio dal più alto dei Cieli, il suo essere è tutto pura luce; da quest’altra parte tu puoi vedere la giovane e saggia oratrice dal Cuore di Dio e vicino a lei, se non sbaglio, c’è il Signore in Persona, il Cui Spirito ha creato Cielo, Terra e tutto ciò che esiste, e nonostante tutto questo e al di sopra ed oltre la testimonianza di Dio tu non vorresti essere perfettamente d’accordo con qualche punto della risposta della carissima Giara? Ma dimmi, chi sei tu veramente da voler adesso tanto sfacciatamente disputare perfino con Dio?» 

4. Queste energiche parole di Giosoe fecero su Giuda l’effetto di una doccia gelata ed egli immediatamente si ritirò e si sedette al suo posto senza aprire bocca, dato che era stato colto da grande timore, trovandosi di fronte al figlio adottivo dell’illustre Cirenio e perciò non osò più fiatare né muoversi.

5. Ma Giosoe proseguì: «Non è egli uno fra i discepoli principali? La sua faccia non mi è nuova e certo lo l’ho già visto a Nazaret! Ma sì, è lui, quello che già a Nazaret ha trovato sempre da dire, se non mi sbaglio, con un altro discepolo, un certo Tommaso!»

6. Dice Giara: «Lascia andare, o nobile Giosoe! Vedi, se quel discepolo avesse una capacità di intendere così veloce come l’hai tu e – ne sia data lode solo al Signore – come ce l’ho io, egli se ne starebbe zitto come gli altri suoi fratelli e compagni e si accontenterebbe di meditare seriamente nel proprio cuore, ma dato che egli è certamente di cuore duro, difficilmente riesce ad afferrare una verità quando si presenta alquanto più elevata e profonda e, se anche qualcosa gli è accessibile, non è mai capace di accoglierla nella sua integrità, perché nel suo cuore raggrinzito non può interamente penetrare niente che abbia l’impronta divina del grande e del sublime! Perciò lascia stare quell’uomo e non badare mai a lui»

7. Dice Giosoe: «Anche qui hai perfettamente ragione! Del resto, sai, una piccola correzione non può sicuramente nuocergli affatto, perché io so che quest’uomo è quanto mai spavaldo ed egli vorrebbe sempre assumersi una delle prime parti fra i suoi compagni, i quali secondo lui dovrebbero tutti ricorrere a lui per un consiglio. Questo, naturalmente, in pratica non succede, perché gli altri sono di gran lunga più savi e più intelligenti di lui; per tale motivo egli cova in sé una certa rabbia, fuori dalla quale poi fa capolino talvolta una non ben definita brama di vendetta, cose tutte queste che non gli servono a niente, perché, come gli è accaduto ora, finisce sempre con il buscarsi qualche ramanzina in maniera non propriamente molto dolce, specialmente dal discepolo Tommaso, il quale è persona molto saggia!»

8. Dice Giara: «Sì, hai giudicato bene, perché anch’io mi ricordo di aver assistito a Genezaret ad un piccolo litigio di questa specie! Certo, il Signore sa meglio di noi due perché Egli tollera in Sua compagnia questo discepolo. Per conto mio l’avrei già da lungo tempo invitato ad andarsene! Quell’uomo ha per me qualcosa di particolarmente ripugnante e non mi meraviglierebbe davvero se un giorno tutta intera la compagnia si trovasse in qualche brutto guaio per causa sua!

Infatti io non mi fido mai degli uomini che non possono guardare negli occhi colui che parla con loro: sembra che essi temano continuamente che il loro occhio inquieto tradisca il loro cuore malvagio. Ora appunto quel discepolo ha questa pessima qualità che a me non piace affatto! Ma, nonostante tutto ciò, il Signore lo tollera, segno dunque che ne avrà certamente le Sue buonissime ragioni» 

9. Dico Io a Giara: «Figlia Mia! Tu stessa appunto ne hai esposto prima nel tuo discorso, in modo veramente magistrale, il motivo, ed ormai deve riuscire chiaro ad ognuno perché Io tolleri, accanto al grano, anche la zizzania. Ora vedi, egli è pure una malerba sul Mio buon campo; ma quando il buon grano verrà raccolto nei Miei granai, tale zizzania resterà sul campo e sarà poi bruciata, allo scopo di concimare il terreno duro e renderlo più molle.

10. Il terreno deve bensì essere soffice se si vuole che i buoni frutti vi prosperino bene; però non dimenticare che non deve esserlo troppo, perché in un terreno troppo soffice le radici non possono crearsi una base solida. Quando poi vengono i grandi calori, ai quali poi seguono le grandi tempeste, allora le radici facilmente inaridiscono assieme al gambo e se scoppia poi l ‘uragano, questi gambi vengono con tutta facilità sradicati, si seccano sul campo e non rendono più alcun frutto! Perciò, per l’allevamento dei figli di Dio, si richiede sempre un fondamento ed un terreno più duro che molle e così si deve anche pazientare se talvolta, accanto al grano, appare fuori dal terreno duro anche qualche zizzania, poiché questa non fa parte del raccolto, ma resta dov’è per servire da concime al terreno, affinché una prossima volta la seminagione possa maturare in modo più rigoglioso e possa dare un raccolto più ricco ancora di quanto lo sia stato finora. Mi hai compreso?».

 

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Cap. 205

Popoli diversi hanno bisogno di diverse forme di governo.

 

1. Dice Giara: «Oh sì, Signore, mio unico amore, i figli veri hanno bisogno di un’educazione più solida dei figli degli schiavi, perché i figli di famiglia vengono educati per governare e amministrare tutta la casa, per quando i genitori non ci saranno più ed anche contemporaneamente per loro stessi, mentre ai figli degli schiavi non necessita sapere altro che quello che esige il loro lavoro, sempre uguale ed uniforme! Certo, a questo riguardo possono sorgere molte domande riguardo al perché Dio, il Signore, permette che su questa Terra un uomo debba servire in perpetuo da miserabile schiavo all’altro uomo e perché il padrone dello schiavo abbia, da parte dell’imperatore, perfino il diritto di vita e di morte su di lui»

2. Dico Io: «Mia diletta figlia, lo sviscerare a fondo una tale questione ci condurrebbe tutti troppo lontano, tuttavia Io voglio esporti in proposito un paio di similitudini, per rendere in qualche modo la cosa chiara a te e con ciò anche a tutti gli altri. Chi le comprenderà, potrà spiegarsi, accanto a questo fatto, anche parecchi altri. AscoltateMi dunque e fate bene attenzione a quello che sto per dire.

3. Svariate sono le qualità dei cereali: vi è il frumento liscio e quello barbuto, l’orzo su due righe e quello su quattro righe, il grano alto, l’avena e il granone; ci sono poi le lenticchie, le vecce e i diversi tipi di fagioli; ed ecco, queste diverse qualità richiedono sempre anche un diverso terreno, senza il quale esse, singolarmente, non potrebbero affatto prosperare. Una qualità di cereali richiede un terreno compatto ed argilloso, che però deve venire sempre ben concimato, altrimenti la pianta non cresce; un’altra qualità ha bisogno di una terra più molle e pietrosa, ed una terza, infine, richiede un terreno sabbioso. Qualche cereale prospera bene su un terreno umido, altri invece su un terreno secco; l’esperienza insegna all’uomo tutto ciò.

4. Ma, nella stessa maniera, a differenti uomini devono corrispondere anche differenti sistemi di educazione, a seconda di come i loro cuori e le loro anime sono per il momento costituiti. Come un padre si comporta in modo diverso con ciascuno dei suoi figli, così questo stesso rapporto vale pure per intere comunità e per intere, grandi razze di popoli. Qui, per esempio, c’è una razza di popolo alla quale occorre un trattamento più blando, dunque piuttosto molle, ed esso prospera a grande benedizione degli altri popoli della Terra; un’altra razza di popolo richiede invece un trattamento più duro, altrimenti degenererebbe e intristirebbe a maledizione dei popoli vicini. Un terzo popolo ha una decisa inclinazione a dominare e a tiranneggiare i popoli confinanti. Per le anime di tali uomini, allora, non vi è niente di meglio che farli cadere per molti anni in uno stato di vera e propria schiavitù, affinché rientrino gradualmente nell’ordine dell’umiltà. Quando poi si sono adeguati al loro nuovo umile stato, sopportandolo con pazienza e senza proteste, allora vengono restituiti allo stato iniziale di liberi cittadini della Terra essendovi la premessa per il loro sicuro, rapido e rigogliosissimo prosperare, come vi sono per quello di un seme nobilitato posto in un terreno più grasso e migliore.

5. Ecco, questa è una similitudine che dovrebbe appunto per voi tutti essere molto facilmente comprensibile, dato che avete già compreso tante cose.

6. Ma per rendervi ancora più evidente tale questione importantissima, Io richiamerò la vostra attenzione sulle parti del vostro corpo umano, delle quali pure ciascuna ha una forma particolare e ha bisogno perciò di un differente trattamento e, nel caso di malattia, di un differente metodo di cura per guarire. Se qualcuno sente un dolore all’occhio, deve rimediarvi senza dubbio con un mezzo differente da quello che impiegherebbe per combattere un male al piede, e chi ha male al ventre deve fare un’altra cura da quella che farebbe se gli dolesse una mano, inoltre, trattandosi di malattie del corpo, si deve badare anche se si sono manifestate recentemente, oppure se sono inveterate e ostinate. Una malattia recente la si può combattere con mezzi blandi, mentre una inveterata richiede medicamenti energici, talvolta anche a rischio di morte, per venire allontanata definitivamente dal corpo in quanto è un male antico. Però anche le anime degli uomini corrispondono sempre alle singole membra del loro corpo. A seconda dunque che una qualche anima corrisponda ad una parte nobile o ad una non nobile del proprio corpo, tanto più è bene che venga anche corrispondentemente trattata così come la parte del corpo in cui essa si rispecchia.

7. Come dunque risulta da questa immagine, anche le svariate condizioni degli uomini, in rapporto alla loro sfera animico-morale, vanno appunto trattate così svariatamente come le singole membra degli uomini, alle quali esse corrispondono nella loro sfera animico-morale. Un dente molto malandato in bocca, quando nessun altro mezzo giova, bisogna che venga levato o distrutto, affinché non abbia ad intaccare i denti sani e ugualmente così è necessario procedere in una comunità nei confronti di un uomo del tutto dedito al male ed incorreggibile, in modo che per causa sua non venga rovinata tutta la comunità. Così pure, spesso, un intero popolo, anche se non fisicamente pur tuttavia moralmente, deve essere annientato, affinché infine non vengano corrotte tutte le popolazioni della Terra a causa sua.

8. Leggete le cronache e vedrete quale importanza avevano una volta i babilonesi, i niniviti, i medi, i persiani, gli egiziani, gli antichi greci e prima di loro i fenici ed i troiani; dove sono ora tutti questi popoli? Dove sono quelli di Sodoma e Gomorra e dove i popoli delle dieci città? Fisicamente esistono sì ancora nelle loro discendenze decadute, ma quelle genti non hanno più un nome e mai più riacquisteranno rango di popolo su questa Terra sotto il loro antico nome, perché difficilmente si cercherebbe una cosa peggiore di un nome antico cui si ricollega il ricordo futile e vano di molta gloria. Questa specie di uomini o di popoli, a causa di un tal nome antichissimo e glorioso, finisce poi col ritenersi molto migliore e degna di rispetto di un qualche altro popolo, il quale, tramite la mansuetudine, l’umiltà e l’amore verso i propri fratelli, si trova di fronte a Dio in stato di estrema giustizia e quindi sanissimo moralmente.

9. Se voi ora considerate anche solo con relativa attenzione tutto ciò, potrete ben presto convincervi di quanto sia buono e giusto il Padre in Cielo! Infatti questa Terra ha innanzitutto la ferma destinazione che su di essa, per l’intera Infinità, vengano educati i figli dello Spirito di Dio, e per tale ragione è necessario che il terreno sia sempre mantenuto duro e magro, piuttosto che troppo molle e troppo grasso.

10. La zizzania che germoglia assieme al buon grano, per il fatto che essa gli cresce e si matura accanto, non impedisce affatto il benedetto prosperare del nobile frutto, visto che essa, in ultima analisi, rende utili servizi quale concime per fertilizzare il terreno diventato qua e là troppo duro e magro. Per dirla breve, quello che Dio permette è sempre buono; e per l’uomo perfettamente puro alla fine è puro anche tutto ciò che la Terra porta in sé, su di sé ed al di sopra di sé. DiteMi tutti voi se avete compreso completamente quello che ora vi ho detto!»

11. Risponde Cirenio: «Signore, e chi mai avrebbe potuto non comprenderTi? Tutto ciò è chiaro come il Sole!»

12. Dico Io: «Allora sta bene e adesso sentiremo da Giosoe una precisa opinione a questo riguardo».

 

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Cap. 206

Il discorso di scuse di Giosoe.

 

1. Dice Giosoe: «O Signore, la mia opinione in proposito risulterà sicuramente molto incerta. Io certo comprendo nel suo complesso quello che con ciò si vuole intendere e non posso proprio sostenere di non averne afferrato il senso con sufficiente chiarezza, ma per aggiungervi qualche mia considerazione di particolare evidenza, io mi sento troppo debole. Perciò ritengo che sarebbe molto meglio se la mia graziosissima Giara volesse ancora una volta assumersi tale compito al posto mio. Infatti, per quanto mi possa sembrare di stare parlando saggiamente, tuttavia c’è infine sempre qualcosa che si presta ad una critica giustificata! Per tale motivo mi è quanto mai più gradito ascoltare che parlare. Se poi qualcuno uscisse fuori con qualcosa che fosse anche minimamente falso e sbagliato, allora sì che diverrei più loquace, ma per argomentare su verità che stanno troppo al di là dell’orizzonte della mia conoscenza, io mi sento ancora troppo debole e per questo preferisco modestamente tacere. Lascio che parli per me chi è più saggio e sto ad ascoltare e ad ammirare in silenzio le alte parole che sgorgano luminose da un animo sapiente come i raggi abbaglianti irradiano dal Sole mattutino. Oltre a ciò trovo, almeno per me, del tutto superfluo fare delle ulteriori considerazioni su di un oggetto che è già chiarissimo. Chi mai vorrà accendere ancora una lampada a mezzogiorno, per accrescere il potere della luce solare? Ma se qualcuno può ancora nutrire qualche dubbio dopo le parole chiarissime sgorgate ora dalla Tua santa bocca, ebbene, che si faccia avanti e verrà rimesso sulla buona strada senza difficoltà!

2. Io so bene che Ti si deve obbedire, per così dire, ciecamente, quando chiedi qualcosa a qualcuno, ma in questo caso, seguendo i suggerimenti della vera umiltà del mio cuore, io devo mostrarmi disobbediente! Infatti la Tua richiesta, o Signore, potrebbe molto facilmente essere anche una specie di prova per me, per vedere, forse, se l’innata concezione di me che mi porta spesso a sopravvalutarmi sia tale da indurmi a venir fuori con il mio lume di notte, il quale per di più è abbastanza malconcio, allo scopo di dare maggiore intensità alla luce del Sole! Ma allora per fortuna il mio cuore tranquillo mi dice: “O presuntuoso ragazzo! Bada bene a te! Il Signore ti prova; vedi di restare in grazia al Suo cospetto!”.

E quando sento questo ammonimento, rientro subito nella realtà e resto modestamente al mio posto! Ho ragione o no a comportarmi normalmente così?»

3. Dico Io: «Mio caro Giosoe, da un lato hai ragione, ma dall’altro lato no, perché, se Io ti chiedo una cosa, è certo che so perché te la chiedo! E se tu vuoi che la tua salvezza progredisca effettivamente in ogni campo, è bene che tu sii condiscendente con Me in ogni cosa, qualunque essa sia. Ed anche se ti chiedessi la vita del tuo corpo, dovresti abbandonarla con gioia, perché Io non domanderò mai a nessuno di sacrificarMi la vita del proprio corpo con lo scopo di arrecare danno a chi la perderebbe per Me!

4. Io so cosa è in realtà ciò che ti ha un po’ paralizzato la lingua. Vedi, tu poco fa hai peccato un po’ di presunzione, quando asseristi di tenere unicamente alla verità! Ora, siccome Giara, l’innocente fanciulla di Genezaret, ti ha poi evidentemente un po’ umiliato, avendo lei dato una risposta quanto mai brillante alla Mia domanda a te diretta, tu hai in seguito a ciò perso un po’ del tuo coraggio. Ma ecco, questa tua lieve mancanza di coraggio, se esaminata da vicino, non ha proprio il carattere di vera umiltà, ma è piuttosto il prodotto di una certa vanità del tuo animo, che è rimasta mortificata in segreto! Ora vedi, questa è pure una piccola ragione concomitante che spiega il perché ti riesca tanto difficile deciderti a parlare! Ma Io voglio che tu questa ragione concomitante abbia ora a vincerla completamente in te, poiché per un animo in cui ci sono tracce di vanità è meglio venire deriso un po’ piuttosto che sentirsi lusingato ed ammirato da tutte le parti, in seguito a successi ed a trionfi, perciò parla senz’altro quando sono Io a chiedertelo! Esponici dunque ora una tua opinione, sia pure soltanto relativamente fondata, sull’insegnamento da Me dato, riguardo alla schiavitù!».

 

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Cap. 207

L’opinione di Giosoe sul perché venga permessa la schiavitù.

 

1. Dice Giosoe: «Nel Tuo Nome allora ci proverò con tutta la brevità possibile; se però i miei ragionamenti risulteranno interamente fondati, questa è certo un’altra questione.

2. I piedi degli uomini, nella cerchia delle manifestazioni vitali, sono evidentemente inferiori di rango alle mani, però se i piedi non portassero l’uomo all’acqua, le mani non potrebbero liberarli dalla polvere e dal sudiciume. Perciò ritengo che il lavoro dello schiavo sia in generale altrettanto necessario quanto il lavoro del padrone. Se i piedi scivolano, tutto l’uomo cade; dunque certamente è spesso bene badare ai piedi, che con tutta ragione si possono chiamare gli schiavi del corpo, con attenzione maggiore che non a tutte le altre membra. Ottusi e senza volontà propria, i piedi devono trasportare lontano per intere giornate il corpo greve e di per sé pigro, e la massima ricompensa che infine ricevono consiste in una rinfrescata e ripulita a qualche sorgente, mentre, dopo aver compiuto un viaggio, tutto il corpo, rimasto ozioso durante il percorso, si ristora con cibo e bevande. Ma cosa possono, cosa dovrebbero dire i piedi del trattamento loro riservato? Niente, perché essi sono creati a questo scopo!

3. E così io penso che la schiavitù sia una necessità che non può essere evitata, qualora l’umanità, in quanto al resto, debba rimanere nell’ordine che le è stato prescritto, a meno che con il tempo gli uomini non inventino qualche mezzo per muoversi! Allora certo potrebbero rinunciare al lavoro da schiavi dei piedi, e così, credo io, si potrebbe con il tempo fare a meno anche della schiavitù.

4. Meglio sarebbe, senza dubbio, se l’umanità potesse del tutto fare a meno della schiavitù che la degrada e avvilisce, ma è probabile che molto tempo debba passare ancora prima che una simile epoca felice baci la Terra.

5. Lo schiavo è considerato veramente dall’umanità libera come una mala erba tra gli uomini, ma, per effetto di questa strana zizzania, l’uomo libero viene forse troppo concimato, di conseguenza s’impigrisce e diventa completamente inattivo e credo che questo sia molto male. Da questo lato sarebbe meglio che la schiavitù non ci fosse, però, se da un altro lato la schiavitù è una scuola dell’umiltà, allora certo essa diventa nuovamente una necessità imprescindibile per l’umanità spintasi troppo in alto, perché, infatti, dopo la cattività babilonese, gli israeliti erano di nuovo diventati un popolo eccellente; peccato soltanto che la cattività (prigionia) non sia durata almeno un secolo intero! Infatti, a mio avviso, dopo la liberazione ci furono molti che erano ancora troppo abbagliati dal precedente splendore del regno di Israele, e per questo non trovarono niente di meglio e di più urgente da fare che ristabilire lo splendore antico, e non appena si trovarono riedificate le mura e il Tempio, comparve anche l’antico orgoglio e poco dopo a Gerusalemme le cose andarono nuovamente come prima, anzi peggio che nell’epoca anteriore alla cattività babilonese. È chiaro dunque che quaranta anni sono stati troppo pochi, mentre in cent’anni sarebbe svanita in tutti i nostri padri almeno per diversi secoli ogni smania per quello che sono lo splendore, il fasto e l’orgoglio!

6. Tutto ciò sicuramente non è altro all’incirca che una mia supposizione, forse molto vaga ancora, passibile senza dubbio di confutazione assai solida e ben fondata, ma io parlo così come sento. Infatti se qualcuno ha ricevuto un ceffone per una cattiva azione commessa, egli non eviterà di ritornare al male per un tempo molto più lungo di quanto è durato il dolore della sberla ma, se per una azione cattiva commessa, egli è stato visitato da Dio con una sofferenza di lunga durata e molto acuta, è probabile che si guarderà bene dal ricadere in quel male che gli ha causato una sofferenza di questo tipo!

7. Di conseguenza non posso che considerare come assolutamente opportuna una schiavitù che duri ben a lungo, come vedo anche la ferrea necessità di questo stato di cose e penso: “Uno schiavo abile e docile è, in fondo, un uomo molto più perfetto che non un uomo libero, perché il libero è spiritualmente uno schiavo dei propri sensi, mentre lo schiavo materiale può spiritualmente essere un uomo veramente libero.

8. Infatti è grande il divario fra un uomo che è padrone della propria volontà – ciò che deve essere perfettamente il caso di un vero schiavo – ed un altro uomo che non sa cosa sia l’obbedienza, mentre tutto deve avvenire così come egli vuole. 

9. Dunque, appunto per questa ragione non posso assolutamente non lodare la schiavitù e devo augurarmi che essa non abbia mai più fine, perché il mio pensiero è questo: “Non appena questa scuola principale della vera umiltà avrà cessato di esistere, una grande miseria colpirà gli uomini della Terra!”.

10. Certamente sarebbe auspicabile che tutti gli uomini volessero vivere secondo la Tua dottrina, allora la schiavitù sarebbe un’assurdità pazza ed un crimine contro i diritti dell’umanità, ma fintanto che questo non avviene, com’è anche probabile che non avvenga per un tempo assai lungo, la schiavitù resta per l’umanità orgogliosa un vero Vangelo dai Cieli su questa Terra e tende a promuovere il miglioramento dell’umanità stessa.

11. Queste sarebbero le mie deboli considerazioni riguardo alle parole che hai detto sulla schiavitù, ma adesso, o Signore, Ti prego di indicarmi gli eventuali errori che avrai riscontrato nel mio discorso, affinché io possa anche in questa sfera rendermi conto di quello che è perfetta verità!».

12. Dico Io: «Mio caro Giosoe, hai ragione quasi sotto tutti gli aspetti ed alle tue parole poco o niente si può onestamente obiettare. Soltanto per ciò che concerne la durata della cattività in Babilonia ti sei lasciato trascinare dal tuo zelo un po’ troppo oltre, poiché, vedi, ogni stato di prigionia ed anche di schiavitù non è altro che l’effetto di un giudizio punitivo che Dio permette che si verifichi. Ma un giudizio è e resta purtroppo sempre e soltanto un’estrema costrizione ed un ulteriore mezzo per ottenere il ravvedimento e, come tale esercita rispetto alle anime degli uomini, un’azione di solito più nefasta che buona, perché, colui che evita il male soltanto a causa delle male conseguenze e fa il bene soltanto perché ne attende delle conseguenze buone, è ancora molto lontano dal Regno di Dio, mentre colui che opera il bene appunto per amore del bene stesso, come pure rifugge il male appunto perché è male, allora è un uomo perfetto! Infatti, fino a tanto che l’uomo non si porta alla luce vera per volontà ed impulso propri, costui resta uno schiavo nello spirito ed è quindi morto per il Regno di Dio. La costrizione esteriore conduce gli uomini ancora su altre vie secondarie della vita morale d’amore, ed avremo adesso occasione di esaminarne alcune di queste vie».

 

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Cap. 208

Obbligo di legge e amore.

 

1. (Il Signore:) «Ascolta, era notte, una giovane di bassa condizione se ne andava per la strada; era stata in qualche luogo mandata dai suoi padroni per sbrigare qualche incombenza, ma era tanto in ritardo che la notte l’aveva sorpresa durante il ritorno. A metà del cammino però giunge ad una casupola abitata da uno di quei pii eremiti, come se ne incontrano da tutte le parti in Giudea, i quali conducono una cosiddetta vita austera e ciò per amore del Regno di Dio, come essi asseriscono e come sta anche veramente nel loro piano di vita. La giovane, alquanto affaticata dal cammino nella notte già profonda e minacciante tempesta, bussa alla porta del solitario e prega di avere asilo per la notte!

2. Il solitario esce fuori e vede che la supplicante è una ragazza, la cui presenza avrebbe potuto profanare la sua capanna e perciò, mosso da santo zelo, esclama: “Guardati, o impuro essere, dal varcare la soglia della mia capanna consacrata a Dio, perché essa diverrebbe immonda per causa tua ed io stesso immondo per causa sua! Vattene dunque per il tuo cammino, o ritorna là da dove sei venuta!”. Detto ciò, egli chiude la porta e lascia, senza rimorso, che la giovane in lacrime se ne vada al suo destino, lieto di essersi liberato dal pericolo di venire contaminato. Egli ritorna con il cuore leggero nell’interno della sua capanna, rende lode a Dio che nella Sua Grazia ha stornato dalla sua anima un tale pericolo e non si cura affatto della povera ragazza; se questa, abbandonata nelle tenebre della notte, incorre in qualche sciagura o no, gli è del tutto indifferente!

3. Ma dopo un’altra ora di cammino la stessa giovane, sfinita e malconcia per la tempesta, giunge alla dimora di un malfamato pubblicano, il quale agli occhi dei puri giudei, è un terribile peccatore. Questi aveva già udito i lamenti della poveretta mentre era ancora lontana, dato che era di guardia alla sua barriera e, d’altro canto, non amava ritirarsi a dormire molto per tempo, motivo per cui anche da parte dei giudei puri gli era stato appioppato il nomignolo di “straccione sregolato”.

4. Ma questo straccione peccatore comprese di che si trattava, accese sollecito una fiaccola e corse incontro alla giovane e, come la vide venire avanti zoppicando e piangendo, la confortò, la sollevò tra le sue robuste braccia e la portò in casa sua, le offrì poi da mangiare e da bere e le preparò un comodo e soffice giaciglio. La mattina seguente le fa ancora dei doni, fa poi sellare due muli e l’accompagna egli stesso fino al suo paese ancora molto lontano, dove ella giunge tutta consolata e di lieto umore.

5. Ora, vedi, l’eremita fa una severa penitenza, vive continuamente in uno stato di costrizione punitiva di cui si è sobbarcato da se stesso ed evita con la massima cura tutto quello che anche lontanamente potrebbe contaminarlo nella presunta purezza della sua anima, ritenendo che Dio abbia in lui già un immenso compiacimento, ma nel tempo stesso egli ci tiene anche molto a che il mondo lo consideri un immacolato santo di Dio e ciò tanto più in quanto di lui è generalmente noto che il suolo della sua dimora non è stato mai ancora calcato da un piede di donna! Naturalmente una simile purezza di costumi gli procura una maggior reputazione, che certo diminuirebbe di entità qualora dovesse, infine, risultare in qualche modo che la sua capanna è pure stata una volta contaminata dal piede di una giovane, della quale non si può evidentemente sapere quando si trovi nel periodo della sua impurità.

6. Per il pubblicano, invece, tutto ciò è indifferente, perché sia che il mondo parli male, sia che parli bene di lui, la sua casa è considerata la più impura, tanto che un vero giudeo non ne varcherà mai la soglia, perché potrebbe acquistarci l’impurità per almeno dieci giorni. Perciò il pubblicano non si sente affatto legato da ciò che la gente può dire di lui e della sua casa ed egli opera liberamente, seguendo l’impulso del proprio cuore e così facendo pensa: “Poiché sono un gran peccatore pieno di slealtà, io voglio ad ogni modo usare misericordia nella speranza di trovare anch’io un giorno misericordia al cospetto di Dio!”.

7. DimMi ora tu, Mio caro Giosoe, tutto considerato, a quale dei due daresti la preferenza?»

8. Risponde Giosoe, sorridendo: «Oh, senza alcun dubbio la darei certo al pubblicano, perché, se a questo mondo non ci fossero che eremiti di questa fatta, sarebbe ben presto finita con la vita degli uomini, e il mondo stesso sarebbe una vera desolazione! Il balordo eremita con tutta la sua purezza di costumi potrebbe, per conto mio, andarsene per i fatti suoi dieci volte in un’ora, in verità! Se fossi chiamato a disporre del Cielo dopo la morte, l’eremita sarebbe di sicuro l’ultimo ed io gli assegnerei l’infimo posto nel più basso dei Cieli e non potrebbe più salire finché non diventasse come il pubblicano! Ho ragione o torto?».

 

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Cap. 209

Sulla purezza interiore dei costumi.

 

1. Dico Io: «Hai perfettamente ragione, perché veramente è così! Ed Io ti dico: “Chi non diventa come il pubblicano, in verità non entrerà mai nel Mio Regno, poiché Io posso per tutte le eternità fare a meno di ogni spietata purezza di costumi!”.

2. Certo, che una purezza libera, vera, interiore di costumi, congiunta con il vero amore del prossimo disposto ad ogni sacrificio, è per Me la cosa suprema, ma una purezza come quella che abbiamo vista sfoggiare dall’eremita non vale per Me nemmeno uno statere. Chi è puro, è bene che sia tale soltanto nel suo cuore dinanzi a Dio; il mondo però non deve saperne molto, perché quando è il mondo che gliene dà lode, allora poca lode potrà egli attendersi da Me.

3. Ma meglio di tutto è quando l’uomo dice sempre: “O Signore, usa misericordia a me, povero peccatore!”. E oltre a ciò non giudica nessuno mai male, prega per i suoi nemici e, in ogni occasione, fa perfino ancora del bene a coloro che parlano male di lui e che, se possibile, gli fanno anche del male.

4.In verità chi è così e agisce così non solo è puro al Mio cospetto, anche se si fosse macchiato di qualche peccato che la sua carne di quando in quando lo costringe a commettere, ma egli oltre a ciò nel più ampio senso è un fratello Mio e, assieme a Me, un re dei Cieli e di tutte le loro glorie! Infatti, per quanto la carne di tali uomini venga spesso eccitata anche da demoni malvagi, tuttavia le loro anime camminano continuamente nel Mio Spirito. 

5. Ed anche gli angeli spesso devono scendere nell’inferno, nella palude di tutti i vizi, e quando essi ritornano sono di nuovo così puri come in precedenza nel sommo di tutti i Cieli. E ciò si verifica non di rado con i Miei fratelli su questa Terra: se anche essi scendono, secondo la loro massima esteriorità, qualche volta nell’inferno per mantenere anche là l’ordine e la potenza di volontà divini, tuttavia la loro anima rimane pura in collegamento con il Mio Spirito in lei.

6. Dunque, colui che in seguito al peccato poi si è reso ben umile come il nostro pubblicano, costui tramite il peccato non ha fatto che discendere come un angelo soltanto per qualche istante nell’inferno, per mettervi pace ed ordine, ma come vi sale fuori, egli ne prova disgusto e nausea e la sua anima rimane pura come prima. Ma colui che dai propri peccati è trascinato nell’orgoglio, e quale peccatore persiste nell’orgoglio, costui è già un demonio, per quanto nel suo esteriore possa apparire puro dinanzi agli occhi degli uomini.

7. Ed Io dico a voi tutti: “Qualunque peccatore o peccatrice si presenti in casa vostra per chiedervi soccorso, voi non dovete mai mostrare loro la porta, bensì dovete aiutarli invece come se non avessero mai peccato; e solo dopo aver dato loro aiuto, dovete fare ogni tentativo e sforzo possibile allo scopo di indurli a migliorarsi per l’avvenire attraverso le vie dell’amore e della sapienza, però da quella vera sapienza che germoglia soltanto fuori dall’amore!”.

8. Secondo Mosè una donna adultera è presso gli ebrei davvero una peccatrice che deve venir lapidata al più presto possibile da chiunque la incontri per primo dopo il misfatto. Io però vi dico: “Chi accoglie in casa propria la fuggitiva e cerca di salvarla doppiamente, cioè nello spirito e nel corpo, costui verrà guardato un giorno da Me con occhio amichevole, e i suoi peccati saranno scritti sulla mobile superficie della sabbia, e il solco della scritta sarà disperso dai venti! Ma chi invece getta contro di lei una pietra ed egli stesso non è del tutto esente dal peccato, costui deve attendersi un giorno da parte Mia un aspro giudizio! Infatti colui che Mi riporta quello che era perduto, sarà un giorno trovato degno di un alto premio nel Regno dei Cieli. Ma colui che giudica, sia pure giustamente secondo la legge, costui verrà un giorno pure giudicato con giustizia e con severità secondo la Mia Legge!”»

9. Cirenio allora domanda: «Signore, quello che ora hai detto è tutto vero e chiaro, ad eccezione di una cosa soltanto che a me sembra ancora alquanto oscura, e perciò desidererei avere a questo riguardo una spiegazione un po’ più precisa. Il punto oscuro sarebbe dunque...»

10. Qui Io lo interrompo e dico: «Il punto oscuro è, cioè, come un uomo puro, per un peccato commesso nel proprio corpo, possa scendere nell’inferno, possa ristabilirvi la pace e l’ordine e risalire infine nuovamente del tutto puro.

11. Vedi, questa cosa è molto facile da comprendere, qualora si sappia che cosa siano veramente il peccato e l’inferno, tanto nel senso più stretto della parola, quanto nel senso più ampio! Io cercherò dunque di rendere questi due concetti più accessibili al vostro intelletto; e perciò fate bene attenzione con tutta la vostra anima!».

 

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Cap. 210

L’essenza della materia e dell’anima.

 

1. Parla il Signore: «Vedete, il corpo fisico è materia e consiste di sostanze animiche primordiali fra le più grezze, le quali dalla Potenza e Sapienza dello Spirito divino ed eterno vengono costrette in quella forma organica che corrisponde perfettamente in tutto il necessario all’anima più libera che dimora in una tale forma corporale.

2. Però l’anima che dimora in un corpo all’inizio non è, naturalmente, tanto più pura del proprio corpo, perché essa pure trae origine dall’impura anima primordiale del caduto Satana. Per l’anima ancora impura il corpo veramente non è altro che una macchina di depurazione costruita in modo supremamente sapiente, eccellente ed opportuno.

3. Ma nell’anima vi è già anche la Scintilla pura dello Spirito di Dio, dalla quale a detta anima deriva una giusta consapevolezza di sé stessa e dell’Ordine divino nella voce della coscienza.

4. Oltre a ciò il corpo, per la comunicazione con l’esterno, è provvisto di parecchi sensi e può udire, vedere, sentire, odorare e gustare; con ciò l’anima acquista svariatissime informazioni sul mondo esteriore, buone e vere, cattive e false.

5. Dal giudizio che ne dà lo spirito che dimora in lei, essa percepisce ben presto in sé quello che è buono e quello che è cattivo; d’altro canto essa, anche per mezzo dei sensi esteriori del suo corpo, fa esperienze con le impressioni che ne riceve, buone e cattive, piacevoli e dolorose, ed altre esperienze; oltre a ciò, poi, da parte di Dio viene indicata all’anima la via dell’Ordine divino mediante la Rivelazione straordinaria interiore e, con la Parola, viene educata esteriormente.

6. Provvista in tal modo, l’anima può quindi certo essere in grado di prendere liberamente da se stessa una decisione secondo l’Ordine divino facilmente riconoscibile, ciò che naturalmente non può essere altrimenti, perché in qualsiasi altra maniera sarebbe impossibile per l’anima consolidarsi in un’esistenza durevole per l’eternità, circoscritta in sé, però libera.

7. Infatti ciascuna anima che vuole perpetuare la propria esistenza deve formarsi da se stessa con i mezzi che le sono forniti, e deve, per così dire, costruirsi in modo da divenire atta alla continuità dell’esistenza; in caso diverso essa, alla fine, può condividere la sorte riservata al corpo oppure esce ancora per tre quarti, non formata, fuori dal corpo, il quale, ormai completamente guasto, non serve affatto più all’ulteriore e totale sviluppo dell’anima e sarà poi costretta a proseguire verso il perfezionamento dentro a una macchina molto più scomoda e in un modo solitamente molto più triste e doloroso.

8. Ora il corpo, che è composto esclusivamente di elementi sottoposti ancora a rigidissimo giudizio e che è quindi soggetto alla morte naturale, è per ciascun uomo l’inferno nel senso più stretto della parola, mentre la materia di tutti i mondi, nella quale l’uomo è posto per mezzo del suo corpo, è l’inferno nel suo senso più ampio.

9. Chi ha molta cura del proprio corpo, costui evidentemente si affanna anche per il proprio inferno e nutre ed ingrassa il proprio giudizio e la propria morte per la sua rovina assolutamente personale.

10. È bensì vero che il corpo deve ricevere in certa misura del nutrimento, affinché possa essere costantemente atto a prestare all’anima i servizi corrispondenti agli alti scopi della vita; ma chi cura con troppa sollecitudine il proprio corpo e si arrabatta e lavora ed opera quasi giorno e notte per le esigenze di questo, è chiaro che provvede per il proprio inferno e per la propria morte.

11. Quando il corpo stimola l’anima a svolgere tutta la sua attività per il suo soddisfacimento sensuale, questo fatto deriva sempre dall’azione dei molti spiriti naturali impuri, ovvero spiriti giudicati nella materia, che propriamente costituiscono l’essenza del corpo. Se l’anima dà eccessivamente ascolto alle esigenze del corpo e ne asseconda gli stimoli, essa si congiunge in certo modo con lui e scende così nell’inferno assolutamente proprio e nella morte assolutamente propria; ma così facendo essa commette peccato contro l’Ordine di Dio stabilito in lei.

12. Se l’anima persiste in un tale stato con amore e vi si compiace, allora essa è altrettanto impura quanto gli impurissimi spiriti giudicati del proprio corpo; con ciò persiste nel peccato e per conseguenza nell’inferno e nella morte. Benché essa continui a vivere nel mondo ugualmente come il proprio corpo, essa è tuttavia come morta, sente anche fortemente in sé la morte e ne ha un vero terrore. Infatti l’anima, in tale suo stato peccaminoso e infernale, può fare quello che vuole, ma non può trovarvi traccia di vita, quantunque essa ami la vita sopra ogni cosa.

13. Vedete, in ciò è pure da cercare il motivo per cui ora molte migliaia di migliaia di uomini sanno di una vita dell’anima dopo la morte del proprio corpo tanto poco quanto una pietra giacente sulla via e, se si vuol dire loro qualcosa in proposito, essi, nel migliore dei casi, si mettono a ridere, ma qualche volta addirittura si arrabbiano e cacciano il savio fuori dalla porta con il suggerimento di andare a predicare alle bestie del bosco simili sciocchezze, le quali, secondo loro, sono pure e semplici menzogne!

14. E tuttavia sarebbe opportuno che ciascun uomo, al più tardi entro il trentesimo anno, fosse in sé già tanto progredito nella formazione del proprio “io” da essere così pienamente consapevole e sicuro di una nuova vita liberissima e felicissima dopo la morte del corpo così come l’aquila è consapevole e sicura del volo attraverso le alte regioni della libera atmosfera!

15. Ma quanto ne sono ancora lontani gli uomini che cominciano solo ora a fare delle domande riguardo a questo! E quanto lontani sono coloro, poi, che non vogliono affatto sentirne parlare e che ritengono una simile fede addirittura una sciocchezza degna appena di farci su una risata! Però gli uomini di questa specie si trovano per tutto il tempo della loro vita terrena nel più pieno inferno e già nella morte più piena.

16. Può accadere, ora, che un’anima si sia già del tutto purificata, ma che tuttavia le venga accordato un tempo piuttosto lungo principalmente per procedere anche alla purificazione del proprio corpo e dei suoi spiriti, che sono in sé e di per sé ancora impuri; per questo tutta la parte più nobile del corpo acquisisce infine, pure dall’anima, l’immortalità, e subito dopo la morte della parte più grossolana del corpo viene essa pure ridestata unitamente all’anima per l’irrobustimento della stessa.

17. E se, come non di rado avviene, l’inferno di tali anime già pure, che è quanto dire il loro corpo, fa di quando in quando sentire ancora molto accentuatamente le sue esigenze, allora queste anime scendono per un breve tempo nel loro proprio inferno; con altre parole accondiscendono alla richiesta del corpo e dei suoi spiriti. Ma simili anime non possono oramai più venire rese del tutto impure, e lo sono solamente finché restano nella melma putrida degli spiriti del loro corpo; però esse non possono durare a lungo in tali condizioni e ritornano quindi ben presto nel loro stato anteriore di completa purezza, nel quale poi sono di nuovo altrettanto pure, come se impure non lo fossero mai state. Ma in queste occasioni esse hanno stabilito nel loro inferno la pace e l’ordine per un determinato tempo e possono poi tanto più indisturbate muoversi e rafforzarsi nella luce del loro spirito.

18. Chi di voi ha un retto intendimento, avrà interamente compreso quello che ho detto; e tu, amico Cirenio, dimMi proprio sicuramente se hai compreso anche tu a fondo la cosa!».

 

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Cap. 211

Un discorso sociale di Cirenio.

 

1. Dice Cirenio: «Sì, o Signore e Maestro! Però non posso fare a meno di osservare che questa dottrina è per me assolutamente nuova e che prima di Te nessuno si è certo immaginato mai niente, neppure in sogno, di una cosa simile. Ma da tutto ciò risulta oramai chiaro che devi essere stato Tu e non altri a creare dall’Alfa all’Omega gli uomini ed i mondi tutti, perché senza essere da se stesso il creatore degli uomini, tali cose non si possono conoscere mai più se non nel modo in cui noi le abbiamo apprese da Te ora.

2. Le esperienze fatte in ogni tempo ci dimostrano che deve essere così e che altrimenti non può essere se non come ce l’hai spiegato Tu ora, e tuttavia nessun savio, per quanto bene e spesso si fosse accorto dei mali dell’umanità, poté mai scrutarli alla loro radice, per potersene fare un sicuro giudizio e, d’altronde come avrebbe potuto farlo? Per giungere a tanto si esige una conoscenza perfettissima della natura umana, che abbraccia tutta la sua essenza, dalla sfera primordiale-spirituale a quella materiale. 

3. Ma chi può acquisire in qualche modo queste nozioni? Chi è che conosce il corpo umano da fibra a fibra, da nervo a nervo e così via? Chi ha mai visto una qualche anima aggirarsi liberamente intorno? A mala pena si sa se essa abbia una forma e quale questa sia, se sia grande o piccola e cosa altro mai! In poche parole si brancola completamente nel buio. Ma se è così, come fare per procurarsi le cognizioni riguardo alla strana e particolare natura dell’uomo?

4. Eppure ci devono essere mezzi e vie tali da permettere all’uomo di conoscere se stesso, poiché se l’uomo non è in grado di esplorare e scrutare se stesso per constatare cosa egli sia e per sincerarsi del perché e del cosa debba fare, data la sua natura e destinazione, per raggiungere lo scopo per il quale il Creatore lo ha chiamato in vita, allora tutti gli insegnamenti non gli servono a nulla. La sua anima, come se ne ha la prova anche troppo evidente in innumerevoli individui, si restringerà, ritirandosi sempre più nel suo guscio, come conseguenza delle molteplici necessità del corpo che si fanno sentire purtroppo con sensazioni dolorose. Infatti la fame, la sete brucia ed anche il freddo tormenta, mentre il benessere corporeo concede al corpo, sempre pieno di esigenze, non solo il necessario, ma anche una vita di agi e di sfarzo!

5. La parte animalesca dell’uomo avanza, del resto, le sue esigenze in maniera così precisa e imperiosa che le placide richieste dell’anima devono rimanere inascoltate; ma se si ammette questo, chi può ancora stupirsi se milioni e milioni di esseri umani hanno appena una vaga idea dell’esistenza di un’anima in loro? Infatti già dalla fanciullezza la loro anima si è talmente congiunta al corpo da essere diventata completamente una cosa sola con esso e perciò non conosce né percepisce altri bisogni all’infuori di quelli miserevoli del proprio corpo.

6. Anzi, bisogna dire perfino che proprio dove gli uomini sono più malamente provvisti dal punto di vista del corpo, non si trova mai neanche la minima traccia di una qualche necessità spirituale. Noi abbiamo nelle regioni settentrionali d’Europa delle popolazioni, presso le quali invano si cercherebbe sia pure una lieve ombra di una formazione spirituale.

7. Ma qual è la ragione di un tale fenomeno? Ecco, la totale mancanza di quello di cui ha bisogno il corpo! Perciò un uomo è costretto ad andare errando, non di rado giorno e notte, armato di clava, per fitti boschi alla ricerca di selvaggina, e quando l’ha uccisa ne divora come un vorace animale le carni quasi senza togliere via la pelle! Si domanda: “Come è ammissibile, come è possibile che presso un tale popolo si possa trovare qualcosa che assomigli ad una necessità spirituale?”. Per esempio a Roma, dove la gente è in gran parte molto ben provvista dal punto di vista del corpo, già da molto tempo si è cominciato a dare insegnamenti sull’anima umana e sulla sua immortalità, e si è dedicato, come tuttora si dedica, la maggior attenzione alla vita morale, la quale mira soprattutto alla formazione e allo sviluppo dell’uomo spirituale. 

8. Certo, anche con troppa frequenza succede che i ricchi si immergano troppo, alla fine, nella beatitudine del loro corpo e che non ci tengano che poco o niente all’educazione della loro anima, arrivando al punto di considerare invenzione di qualche sapiente affamato simili dottrine, ma pure essi hanno comunque un linguaggio, per mezzo del quale si può comunicare con loro riguardo a vari argomenti e così, malgrado tutta la loro sensualità, si può riuscire a provocare in loro qualche piccola reazione che, per quanto poco possa valere, è pur sempre utile all’anima.

9. Ma trattandosi di uomini dei quali non si sa ancora precisamente se abbiano o no un linguaggio, non è possibile provocare nemmeno una reazione di questa specie e allora come si dovrebbe fare per suscitare in loro la percezione di una necessità più profonda e spirituale dell’anima?

10. Dunque, secondo la mia opinione, bisognerebbe anzitutto ben provvedere al benessere corporeo dell’umanità e poi sarebbe ancora più facile elevare sempre di più le anime degli uomini alla comprensione delle vere necessità della loro vita. Gli uomini dovrebbero essere provvisti almeno di quello di cui hanno strettamente bisogno, poiché, come prima ho detto, un uomo messo male nel fisico non può sentire affatto nemmeno la più piccola necessità di una qualche cultura spirituale! È difficile predicare ad uno stomaco affamato prima di avergli dato la possibilità di prendere cibo e bevande. Questo è il mio modestissimo parere. Tu, o Signore e Maestro, hai certamente ragione in tutto, perché Tu solo conosci perfettamente le Tue opere, ma anch’io credo di non avere proprio torto, visto che, a favore delle asserzioni, milita l’esperienza di tutti i popoli e di tutti i tempi».

 

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Cap. 212

Il bisogno come maestro.

 

1. Dico Io: «È giustissimo ed Io non posso affatto dire che tu abbia pronunciato anche una sola parola che non sia vera, ma prova a sistemare tu le cose su di un corpo mondiale in modo tale che gli uomini, senza un loro particolare contributo di lavoro od altra attività simile, siano ben discretamente provvisti sotto l’aspetto materiale e riconoscano che in questa maniera possono vivere assolutamente senza preoccupazioni e in poco tempo ti trovi davanti dappertutto i tuoi popoli del Nord Europa.

2. I popoli del Nord Europa, che una volta dimoravano in Asia, la culla della razza umana, erano forniti di tutto come e anche meglio dei tuoi romani e hanno goduto un’educazione diretta dai Cieli; e c’erano sapienti tra di loro, come la Terra non ne aveva mai portati prima di Me: ma quale ne fu la conseguenza? Essi mangiavano e bevevano comodamente, divennero ogni giorno più pigri e decaddero di generazione in generazione nello stato attuale; solo che in tale condizione miserevole si devono procurare il meschino sostentamento per il loro corpo con il sudore della fronte e comunque non sono però del tutto privi di sapienti e maestri.

3. Ma Io ti dico che è appunto questa loro miseria che li farà salire man mano ad un grado di cultura tale che la presente civiltà di Roma ne sarà di gran lunga superata sotto ogni aspetto.

4. Perciò non sarebbe affatto buona cosa fare in modo che gli uomini siano completamente provvisti per quanto concerne il corpo, poiché essi finirebbero col diventare tanto pigri che non si curerebbero più affatto di nulla; e questa tendenza all’inerzia di un riposo senza alcuna preoccupazione è di nuovo una proprietà del corpo che in sé per sé è morto. Allora l’anima, la quale è chiamata a consolidarsi in grandissima parte appunto mediante una giusta attività nel proprio corpo e con la cooperazione di questo, sarebbe indotta a condividere con il corpo lo stato di indolenza spensierata del corpo stesso, anche perché originariamente la propensione all’inattività è in essa preponderante.

5. Però l’anima viene anzitutto destata dal suo letargo a causa delle necessità dolorose del corpo, poiché essa sente che alla fine una completa trascuratezza del corpo le sarebbe causa di morte assieme al corpo stesso. Perciò, spinta dai bisogni di quest’ultimo, essa mette in moto tutte le leve possibili e cerca di provvedere come meglio può anzitutto al corpo. Siccome ormai ha un grande ribrezzo della morte, essa comincia ben presto, accanto all’attività a favore del corpo, ad esplorare la vita vera e propria. In seguito all’amore per la vita che si è destato in lei, si rende conto che, quale anima, sopravviverà ancora un po’ anche se il corpo cadrà preda della morte.

6. In questo modo comincia finalmente a mettere radice una specie di fede nell’immortalità dell’anima umana, e questa fede, con l’andare del tempo, si fa sempre più viva e diventa per l’uomo una necessità.

7. In seguito dei singoli individui, portati più degli altri alla meditazione, come ce ne sono dappertutto, ben presto non si accontentano più della semplice fede e cominciano a scrutarla più profondamente provandone la forza e cercano, quando la forza della fede non basta più, di dimostrarla come definitivamente vera, ricorrendo a mezzi maggiormente convincenti e, per così dire, evidenti.

8. Di solito il popolo considera poi tali ricercatori dei veggenti, degli ascoltatori ispirati e guidati da qualche spirito superiore, i quali, comunicando con quest’ultimo, arrivano ad acquisire nozioni più profonde riguardo alla vita dell’anima dopo la morte del corpo.

9. Avviene spesso, in seguito, che questi ricercatori vengano comunemente innalzati dal popolo alla dignità di sacerdoti ed essi, accorgendosi di essere diventati indispensabili, finiscono molto spesso con l’abusare della fiducia, per lo più incondizionata, del loro popolo; si servono della loro scienza come uno strumento per ricavarne un utile mondano e si riducono infine ad essere semplicemente delle cieche guide di altri ciechi. Però, nonostante tutto ciò, nella cosa rimane sempre qualcosa di buono, perché il legame che unisce il popolo con i Cieli, per quanto debole possa essere, viene pur sempre mantenuto. 

10. Col succedersi dei tempi, quando anche la fede cieca nei sacerdoti va facendosi sempre più debole, sorgono tra il popolo di nuovo altri ricercatori che esaminano le vecchie dottrine senza ripudiarle completamente, ne estraggono ciò che reputano buono, aggiungendo questo al risultato delle loro nuove ricerche e proclamano alla fine una dottrina del tutto nuova, la quale non si accontenta più della cieca fede, ma vuole la convinzione piena fondata su fatti, che, in caso di bisogno, possono venire presentati all’attenzione di chiunque come degni di essere esaminati.

11. Ora, vedi, in tal modo, sia pure per vie faticose, la più giovane generazione trova finalmente la verità ed in questa verità trova anche, grazie alle numerose esperienze, le leggi secondo le quali deve essere guidata la vita degli uomini, affinché la verità trovata, a costo di così gravi fatiche, possa mantenersi pura per sempre fra gli uomini.

12. Quando poi a questo ritrovamento, che si è concretato da sé solo in conseguenza della sempre crescente attività degli uomini, si aggiunge ancora una notizia straordinaria proveniente agli uomini dai Cieli come una Luce potente e prodigiosa, allora un tale popolo – ma potrebbe anche essere un uomo – è in sé già salvato ed è come rinato in spirito; ebbene a questo risultato non potrai mai e poi mai arrivare con una vita comoda e spensierata, ma solo mediante il bisogno e l’affanno!

13. Io ti dico che se già il bisogno rende ingegnoso anche l’animale, quanto più non renderà poi tale l’uomo!

14. Quando l’uomo è spinto dal bisogno a pensare, allora la terra comincia ben presto a verdeggiare sotto ai suoi piedi; ma se egli è già a posto, allora si sdraia come fa l’animale, non pensa più a niente e non fa niente.

15. Vedi, basterebbe che Io concedessi alla Terra, per soli cent’anni consecutivi, dei raccolti abbondanti e particolarmente benedetti, e tutta l’umanità comincerebbe ad imputridire nell’ozio, ma, siccome Io vicendevolmente vado alternando le annate buone alle cattive, così l’umanità è costretta a mantenersi sempre attiva, deve cioè durante l’annata buona essere preveggente per non lasciarsi cogliere di sorpresa da una successiva annata cattiva e quindi per non morire di fame. E così l’umanità è indotta ad esplicare, almeno da un lato, una certa incessante attività; se invece si verificasse il contrario, in brevissimo tempo essa cadrebbe nel più profondo letargo. Comprendi ora anche questo?».

 

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Cap. 213

La conseguenza dell’agiatezza.

 

1. Dice Cirenio: «O Signore, Tu sei davvero il Maestro dell’umanità e la scuola più viva della vera vita! So ormai perfettamente a che punto sono io e in quali condizioni si trova tutta l’umanità. Soltanto una cosa non riesco ad afferrare completamente e cioè perché un popolo, che sia in qualche modo provvisto dal punto di vista corporale un po’ al di sopra dello stato di schiavitù, dovrebbe alla fine cadere in un assoluto letargo! A questo riguardo mi piacerebbe sentire dalla Tua bocca, o Signore e Maestro, una qualche parola di chiarimento!»

2. Rispondo Io: «Oh, amico Mio, consulta la storia dei popoli della Terra, considera l’antico Egitto, paese di ricchezze, considera Babele e Ninive e Sodoma e Gomorra! Pensa al popolo di Israele stesso, al quale Io, per interi quarant’anni, ho provvisto con la manna del Cielo! Considera altrettanto una quantità di altri popoli finiti in rovina e tu rileverai ben presto dove il benessere corporale abbia condotto tutti questi popoli!

3. Vedi ad esempio una donna che sia ben provvista di quanto le occorre nei riguardi del corpo, ebbene, essa tutto il giorno altro non fa che adornarsi e abbellirsi, ma alla fine verrà il giorno in cui si sentirà troppo pigra anche per questo e si farà lavare, pulire e adornare dagli altri. Ma anche così non durerà sempre e neanche a lungo, perché accadrà poi che una donna simile, abbrutita dalla vita comoda, si stancherà perfino di farsi servire e diventerà in questo modo perfettamente come un maiale, se non proprio come un vero bradipo dell’India o del centro dell’Africa che non fa altro che starsene sdraiato. Io ti domando: “Che cosa si può fare di una donna ridotta in un simile stato? A quale educazione spirituale può ancora essere accessibile?”. Io te lo dico: “Non è più buona neanche per fare la prostituta”. Questo è stato appunto il caso di Sodoma e Gomorra ed è per questa ragione che, in effetti, il popolo di quella città ha cominciato a cercare soddisfazioni del senso contro natura! Mi comprendi?»

4. Dice Cirenio: «In verità, che io sappia, tu non fosTi mai tanto generoso di abbagliante sapienza come oggi! Io devo ammettere che Tu, questa volta, mi hai rivelato più cose che non tutte le altre volte in cui ebbi la fortuna di udirTi. Tutto quello che ci hai comunicato ora è evidente e chiarissimo, perché hai approfondito la Tua esposizione fino alle più intime radici riguardo a tutti i rapporti di costituzione e trasformazione dell’umanità. Una cosa soltanto mi sfugge; e se potrò conoscere anche questa, davvero io non avrò bisogno di altro per l’eternità! Devo esporre apertamente la mia domanda, oppure la vuoi leggere come il solito nel mio cuore?»

5. Dico Io: «Questa volta chiedi pure ad alta voce a vantaggio dei presenti, affinché tutti possano già dal principio farsi un’idea precisa sull’argomento!»

6. Dice Cirenio: «Ebbene, Ti piaccia ascoltarmi con clemenza!».

 

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Cap. 214

Le contraddizioni nella storia della Creazione.

 

1. Parla Cirenio: «Durante il tempo della mia vita su questa Terra, tempo che si può ormai chiamare abbastanza lungo, io ho spesse volte, ma sempre invano, meditato su come in effetti i primi rappresentanti del genere umano siano giunti alla conoscenza di un supremo Essere spirituale nonché a quella della loro propria individualità animico-spirituale. A questo proposito ho letto i libri degli egiziani, gli scritti dei greci e le opere del vostro Mosè; una volta mi è capitata sottomano anche un’opera indiana che io mi sono fatto tradurre e leggere a Roma da un tale che era appunto un indiano; però dappertutto non ho trovato altro che un linguaggio mistico e simbolico, il quale non avrebbe potuto rendere un uomo assennato in nessun modo più assennato ancora e di conseguenza tanto meno me, che già dalla mia gioventù mi ero sempre immaginato che il mio prossimo fosse molto più accorto di me. Dappertutto ci si imbatte in insensatezze logiche che, prese letteralmente, sono delle indiscutibili assurdità.

2. Così, per esempio, nel vostro Mosè è detto: “Nel principio Dio creò il Cielo e la Terra e la Terra era deserta e vuota e c’erano le tenebre sopra l’abisso. E lo Spirito di Dio si muoveva sopra le acque. E Dio disse: ‘Sia fatta la luce!’. E la luce fu fatta. E Dio vide che la luce era buona e allora Dio separò la luce dalle tenebre e nominò la luce ‘giorno’ e le tenebre ‘notte’. Così fu sera e poi fu mattina e fu il primo giorno”.

3. In seguito, con frasi molto concise, si fa cenno alla separazione delle acque, al prosciugamento della terra e alla creazione di erbe, arbusti ed alberi: Con queste creazioni trascorrono tre giorni e quindi altrettante notti. Ora, siccome giorni e notti derivano già della creazione della prima luce sugli abissi tenebrosi della Terra, io non so spiegarmi davvero come Dio abbia successivamente ritenuto necessario creare nel quarto giorno nuovamente due grandi luminari e metterli nella distesa del Cielo; il maggiore ha la reggenza del giorno e l’altro, il piccolo, regna sulla notte.

4. Se noi adesso confrontiamo queste asserzioni con la natura della Terra e se consideriamo quello che secondo le Tue dichiarazioni sono il Sole, la Luna e tutte le stelle, bisogna convenire che tutta la storia mosaica della Creazione è una tale assurdità quale di più grande non ce n’è, né è possibile trovarne di uguali in nessun angolo di questa Terra! Chi mai può capirne qualcosa? Noi pochi sappiamo che la Terra non è un circolo infinito, ma soltanto una grande sfera, come Tu stesso hai mostrato in modo molto evidente e vero a me, quando eri ancora un tenero bambino in Egitto e più tardi ancora ad un maggiore numero di noi. In effetti sulla Terra non fa mai notte, perché una parte di essa viene sempre illuminata dal Sole. La Luna, d’altro canto, è un patrono quanto mai incostante e si cura ben poco della reggenza della notte, ciò che avviene tutt’al più alcuni giorni al mese.

5. Così pure è una pazzia dire che dalla sera e dalla mattina viene costituito un giorno, mentre ognuno sa, dall’esperienza di tutta la sua vita, che il giorno viene a stare sempre unicamente tra la mattina e la sera e mai tra la sera e la mattina, perché alla sera segue certo immancabilmente la notte fino alla mattina successiva ed alla mattina fa seguito poi il giorno fino alla sera e per logica conseguenza il giorno sta fra la mattina e la sera e fra la sera e la mattina sta evidentemente la notte. 

6. Però, quantunque tutto ciò sia in sé da considerare una pazzia, la frase dove è asserito che soltanto dopo aver creato la luce, Dio si accorse che la luce era buona, questa è una pazzia senza paragoni, perché la suprema Sapienza di Dio, come Luce essa stessa di tutte le luci, deve ben aver visto ed osservato già dall’eternità che la luce era buona!

7. Nel libro degli Indiani da me visto, alla Creazione materiale viene fatta precedere una Creazione degli spiriti puri, di cui più tardi anche Mosè fa menzione in qualche luogo; questi spiriti erano puramente luce e particolarmente il primo creato sembra si sia chiamato “Portatore di Luce”.

8. Dunque, se Dio già con la creazione dei puri spiriti della luce ha evidentemente potuto constatare il valore della luce, ammesso pure che prima di ciò Si fosse dalle eternità riposato nelle profondità della tenebra, ciò che non pare assolutamente confacente al Suo Essere, è chiaro che deve essere ridicola fino alla pazzia l’idea che Dio, dopo aver creato la luce su questa Terra, si sia accorto in un certo modo di nuovo che la luce era buona!

9. Tu stesso puoi vedere che tutta la storia della Creazione, come viene narrata da Mosè, è un’assurdità colossale, anzi pazzamente urtante quando si consideri la cosa anche per poco dal lato naturale e di conseguenza non deve meravigliare molto del fatto che appunto gli stessi dottori della legge ebrei non prestino nemmeno un granello di fede ad una tale dottrina assurda, ma che tuttavia la mantengano così come è a causa del popolo, facendosela pagare molto bene. Queste cose le vedono anche tutti i personaggi altolocati di Roma e malgrado l’assurdità lasciano le cose come sono, perché il popolo cieco vi da sempre grande importanza ed il paese così si mantiene discretamente tranquillo.

10. Dunque è chiaro, anzi chiarissimo, che tutte le massime e teorie enunciate dai primi maestri e pervenute fino a noi non sono, se considerate dal punto di vista naturale, altro che vuote leggende e favole, perché nei riguardi del naturale non può esservi neppure una sillaba di vero. Ma se innegabilmente è così, sorge allora la grande domanda spontanea, come già accennato quando ho cominciato ad esporre il problema in questione: “Com’è giunto l’uomo su questa Terra? Come giunse egli alla conoscenza di un Dio e a quella di se stesso e chi in origine gli insegnò a distinguere quello che è bene e quello che è male?”. Perciò Ti prego, o Signore, di darci ancora un po’ di luce a tale riguardo e poi siamo perfettamente al sicuro!».

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Cap. 215

L’origine del primo uomo.

 

1. Dico Io: «Carissimo amico, a questo proposito un buon raggio di luce te l’ho veramente già concesso, illustrandoti gli effetti del bisogno negli uomini e nei popoli; in quanto al resto, non si può certamente negare che la genesi di Mosè, applicata letteralmente alla creazione del mondo naturale, sarebbe un’assurdità fra le più grandi, la quale dovrebbe venire riconosciuta come tale da  chiunque non fosse proprio del tutto digiuno di conoscenze riguardo ai procedimenti naturali e che porterebbe alla conclusione di dover classificare il buon Mosè fra gli stolti di prima categoria che sono vissuti finora su questo mondo.

2. Però chiunque si dia la pena di scrutare la storia esposta nei libri di Mosè nel suo ulteriore decorso anche soltanto un po’ più acutamente di quanto farebbe leggendo qualche favola del poeta greco Esopo, costui deve pur accorgersi ben presto che Mosè, nel suo linguaggio figurato, intende occuparsi soltanto di ciò che concerne la formazione primordiale dei primi uomini della Terra e di conseguenza non vuole affatto trattare esclusivamente la storia della creazione della Terra, del cielo e di tutte le altre creature sorte sulla Terra e nella Terra, ma vuole invece trattare anzitutto, e quasi esclusivamente, la prima costituzione e lo sviluppo del cuore e dell’intelletto umano, a cui egli vi ricollega subito il concetto umano-storico.

3. Però la storia non poteva essere che un prodotto della formazione intelligente degli uomini e mai di quella muta Natura creata che si è sempre mantenuta uguale a se stessa fino a questo tempo e sempre tale si manterrà fino alla fine di tutti i tempi!

4. Non altrimenti vanno considerate le cose rispetto ai libri indiani, nei quali è trattata in primo luogo la creazione dei puri spiriti, poi la caduta di una parte di questi sotto il titolo “Le guerre di Jehova”, mentre solo da ultimo si parla della creazione del mondo sensibile, degli animali e finalmente dell’uomo!

5. Tutto ciò è da prendere soltanto nel senso spirituale e da spiegarsi, anzitutto, per quanto concerne la costituzione morale dell’uomo.

6. Chi poi, guidato dallo spirito, è a perfetta conoscenza delle rispondenze fra il mondo dei sensi e quello degli spiriti, a lui certamente può essere possibile rilevare da tutto ciò come dal mondo degli spiriti sia proceduto quello sensibile e come e da dove siano sorti i soli ed infine i pianeti ed i pianeti secondari, nonché come su questi siano apparse ogni specie di creature.

7. Però questa cosa non è così facile come potrebbe sembrare, poiché, per arrivare a questo punto, è bene essere prima destati del tutto nello spirito. Infatti soltanto l’antichissimo Testimone di ogni divenire e di ogni essere può inondare completamente di luce quei labirinti entro i quali finora nessun occhio mortale è penetrato.

8. Ma che, all’infuori di tutto ciò, l’età del genere umano, nello stato di perfezione in cui attualmente si trova, concordi tuttavia anche rispetto alle considerazioni di materia e di tempo con il computo di Mosè, tu puoi esserne completamente certo.

9. Molto tempo prima di Adamo ci furono sulla Terra anche una specie di possenti animali, i quali, non certo nella forma, ma tanto più per un’intelligenza acuta, seppure istintiva, somigliavano al genere umano che sarebbe arrivato successivamente. L’elefante odierno ne è ancora quasi una derivazione secondaria, quantunque fisicamente molto imperfetta. 

10. Questi grandi animali, al loro tempo, lavorarono la terra ed a questo riguardo furono i precursori degli uomini. Già molte migliaia di migliaia di anni prima della comparsa dell’uomo sulla Terra, essa era abitata da questi esseri.

11. Per mezzo di questi grandi animali il suolo pietroso, ancora molto duro, della Terra dovette venire ammorbidito e reso atto al prosperare di nobile frutta e di animali, prima che fosse finalmente idoneo a produrre corporalmente la delicata natura umana, secondo i piani dell’Ordine divino eterno, quale esso era posto in ciascuna anima naturale, allora ancora libera dalla materia, ma tuttavia già vivente nell’aria della Terra.

12. Quando il suolo della Terra, in seguito a tale preparazione, ebbe raggiunto la completa maturità, soltanto allora un’anima robusta nella sua libera natura aerea venne chiamata a costituirsi, dal più fertile humus d’argilla, un corpo secondo l’ordine della Forma originaria di Dio la quale esiste nell’anima. E la prima anima, nel suo pieno vigore e maturità, fece così come si sentiva interiormente incitata a fare dalla Forza divina, ed in questo modo la prima anima si trovò in un corpo sano e robusto, e per opera sua bene organizzato, e poté ormai perfettamente prendere visione di tutto il mondo visibile e delle creature che esistevano prima di lei.

13. Ma le grandi specie di animali, unitamente alle creazioni anteriori, erano per la maggior parte scomparse dalla Terra già da lungo tempo prima che il primo uomo nella sua maestà, simile a quella di Dio, vi facesse la sua apparizione. Malgrado ciò, dei resti di simili animali, quali abitanti pre-umani, si trovano e si troveranno ancora per tutti i tempi sulla Terra ed entro di essa, però gli uomini non sapranno cosa pensarne in proposito.

14. L’esame di questi residui porterà poi gradatamente i saggi alla constatazione che la Terra è più antica di quanto il computo mosaico possa far supporre e per questa ragione Mosè cadrà molto in discredito per un certo tempo. Allora però, da parte Mia, verranno suscitati altri saggi e soltanto allora Mosè sarà posto nella sua vera luce da essi, e non passerà molto tempo prima che il completo Regno di Dio si stabilirà sulla Terra e la morte scomparirà per sempre dal pianeta rinnovato. Ma, prima che questo avvenga, molte sciagure si riverseranno sul suolo della Terra.

15. Sì, il suolo della Terra dovrà essere prima sottoposto ad una concimazione ancora molteplice con il sangue e con la carne degli uomini, e solo da un simile nuovo humus spirituale avrà poi inizio per questa Terra l’epoca anche corporalmente immortale, così come ai tempi di Adamo aveva avuto inizio l’epoca nella quale l’anima poteva forgiarsi, dal fertile humus d’argilla, un corpo perfetto nella sua Forma divina.

16. Però gli uomini, i quali sono già pienamente rinati nello spirito durante la loro vita corporeo-mortale terrena, regneranno poi per sempre, in questa nuova epoca, quali puri spiriti ed angeli, ed essa resterà del tutto affidata alla loro guida.  Invece gli uomini di questo tempo che non hanno raggiunto la perfezione spirituale saranno, in questa nuovissima epoca della Terra, posti su questa con corpi immortali, ma in uno stato di grande povertà e dovranno in gran parte adattarsi a servire spesso molto duramente, ciò che loro riuscirà quanto mai amaro, poiché anche troppo chiaro sarà in loro il ricordo dell’iniziale felicissimo stato nei loro corpi mortali! Questa epoca durerà molto a lungo, in attesa del momento in cui finalmente tutto sarà trapassato allo stato di esistenza puramente spirituale secondo l’eterno Progetto di Dio! Ecco, questo è il decorso dell’Ordine di Dio di tutte le cose, di ogni divenire, di ogni esistenza e di ogni sussistenza!».

 

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Cap. 216

Il processo di sviluppo di una spiga di grano.

Sull’incarnazione di un’anima.

 

1. (Il Signore:) «Considera il frumento allo stato naturale: quando viene posto nel terreno deve prima imputridire e soltanto dopo, dal marciume della putrefazione, sorge il tenero germoglio. Ma quale è il significato di questo fenomeno rispetto alla natura dell’uomo?

2. Ecco, la posa nel terreno della bella semente sana corrisponde al primo divenire dell’uomo ed è simile all’atto dell’incarnazione dell’anima in sé e di per sé già completamente sviluppata, la cui dimora pre-corporea è l’aria, particolarmente nella regione mediana delle montagne, dove di solito cessa la zona arborea, fino a quella delle nevi e dei ghiacci.

3. Quando un’anima, una volta che si è del tutto riunita, si trova ad aver raggiunto la dovuta consistenza nell’aria prevista nel progetto, essa scende allora sempre più giù e giù fino alle dimore degli uomini, ottiene poi un certo nutrimento dalla sfera vitale eterea esteriore che circonda ogni uomo e resta là dove viene attratta per l’affinità del suo essere.

4. Quando poi una qualche coppia di coniugi si sente indotta dall’impulso naturale a compiere un atto generativo, una tale libera anima naturale pienamente matura, che si trova più vicina alla coppia di coniugi, ne viene a conoscenza al momento dall’etere vitale esterno, ovvero tale anima viene attratta per affinità dall’accresciuta forza della sfera vitale esteriore dei coniugi, entra durante l’atto di accoppiamento, sotto una certa coercizione, nel flusso seminale dell’uomo e viene da esso deposta in un piccolo uovo. Questo procedimento viene chiamato “fecondazione”. E vedi, da quel momento l’anima vitale assomiglia già al seme che viene posto in un qualche terreno; essa attraversa nel corpo materno, finché viene partorita nel mondo, tutti gli stadi corrispondenti a quelli che passa il seme nella terra, fino a quando essa spinge fuori il germoglio sopra il terreno.

5. Da qui in avanti hanno poi inizio i vari stadi della formazione prima esteriore e più tardi di quella interiore.

6. Nella pianta le radici restano sepolte nella terra, nell’antica tomba putrida della semente, e da questa succhiano l’alimento materiale. Però questo alimento materiale sarebbe ben presto apportatore di morte alla pianta, qualora non venisse depurato per l’influenza della luce solare.

7. Il primo tratto dello stelo contiene ancora umori molto materiali; quando poi si è consolidato come base della pianta, allora esso viene, in un certo modo, isolato da un anello che è percorso da canaletti già molto più sottili attraverso cui possono passare i succhi già molto più raffinati e fluidi.

8. In questo modo risulta costituito un secondo tratto dello stelo, ma, siccome i succhi di questo secondo tratto sono pur essi di qualità grezza e materiale e con il tempo diventano ancora più grezzi, viene formandosi un secondo anello provvisto di canaletti ancora più sottili, attraverso i quali soltanto dei succhi molto puri possono passare per recare nutrimento allo spirito vitale che si libra sopra gli stessi, similmente a quanto è detto da Mosè: “Lo Spirito di Dio si librava sopra le acque”.

9. Con l’andare del tempo, però, anche questi succhi od acque diventano nuovamente troppo grezzi per la vita della pianta che si libra su di essi e potrebbero arrivare al punto di soffocare la vita e perciò dallo spirito, che si libra sopra le acque, viene provocata la costituzione di un terzo anello, percorso questa volta da canaletti assolutamente sottili. Attraverso un tale terzo anello possono ormai passare a fatica soltanto dei succhi estremamente puri ed eterei e già molto affini allo spirito vitale, che si libra ancora sopra gli stessi. Ma lo spirito della vita si accorge benissimo se i succhi forniti dal terzo anello gli si confanno o meno allo scopo dell’ulteriore formazione della pianta. E se con il tempo li trova ancora troppo grossolani e contenenti in sé ancora troppe tracce del giudizio e della morte, si procede alla costituzione ancora di un quarto, quinto, sesto e fino ad un settimo anello, fino a che, infine, i succhi sono purificati ed eterei, tanto che per ora non rivelano più traccia alcuna di morte.

10. Solo ora inizia un nuovo stadio. Il succo, che sale per i canaletti estremamente sottili, concorre ormai alla formazione della gemma e poi del fiore, che sono provvisti di organi perfettamente atti ad accogliere in sé il potere generativo della vita superiore dai Cieli.

11. Quando il fiore ha prestato questo servizio, viene reciso come uno sfoggio vano di sapienza, utile soltanto ad attrarre con il fascino della sua bellezza l’etere vitale d’amore, che però è in se stesso già tutto e non ha affatto bisogno di alcun altro sfarzo esteriore. Infatti, vedi, ogni fiore è come una sposa deliziosamente adorna, la quale tenta di attirare nelle sue reti lo sposo appunto con ciò che ella prima si abbellisce ben bene, ma una volta che lo sposo ha fatto sua la sposa, gli effimeri ornamenti nuziali vengono quanto prima deposti e comincia poi l’umile serietà della vita.

12. Solo a questo grado di sviluppo, il vero frutto vitale inizia a concentrarsi ed a formarsi, e tutta l’attività è rivolta all’unico scopo della sua piena maturazione; cosicché la vita, sfuggita a tutti pericoli corsi nei periodi precedenti, si rifugia nel frutto come in una solida fortezza e si premunisce contro l’attacco, sempre ancora possibile, di un qualche nemico esterno.

13. Laddove la vita procede troppo rapida nella sua formazione e maturazione, là essa ha anche soltanto poca consistenza, ed ecco che, se un qualche nemico esterno giunge in prossimità di una simile vita diventata troppo presto matura, questa ha per lui troppa attrazione: esso entra con lei in rapporti e depone il suo frutto nella vita del frutto vegetale troppo rapidamente maturatosi. Questa vita di carattere parassitario attira poi a sé la tenera vita del frutto vegetale, la guasta e la conduce in rovina. I frutti bacati ne sono una prova più che evidente».

 

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Cap. 217

Lo sviluppo spirituale dell’uomo.

 

1. (Il Signore:) «Ma come avviene con le piante, così avviene anche con gli animali e particolarmente con gli uomini.

2. Consideriamo, puramente rispetto al fisico, una fanciulla ancora tenera e precoce che non abbia quasi neppure dodici anni ma il cui corpo sia già tanto sviluppato da darle l’aspetto di una ragazza da marito. Una simile fanciulla esercita allora su qualunque uomo, che sia anche poco di natura sensuale, un fascino tale che non sarebbero capaci di esercitarlo cento altre, per quanto più belle, ma più mature d’anni. Ne segue che una fanciulla così precoce è poi esposta nel corpo a cento pericoli, e da parte dei suoi genitori si richiedono le maggiori cure per proteggerla contro tutti i nemici che insidiano le sue notevoli grazie. Se lei viene troppo presto concessa ad un uomo lussurioso, è facile che venga pregiudicata nella sua fecondità; se invece viene tenuta troppo rinchiusa ed al riparo di ogni influenza cattiva, la sua carne si indebolisce. Essa impallidisce, appare tutta consunta e di rado giunge ad un’età piuttosto avanzata. Se le si dà un nutrimento scarso e magro, anche riguardo a qualità, essa intristisce e termina con l’avvizzire anzitempo, ma invece se la si nutre bene diventa opulenta, pesante e perciò pigra; il suo sangue perde ogni vigore ed essa assume un aspetto cadaverico, condizioni queste che devono evidentemente portare alla morte prematura del suo corpo.

3. La stessa cosa vale pure nei casi di precoce ed esagerato sviluppo delle facoltà dell’anima. Le anime dei fanciulli talvolta di poco talento – i quali, per farli diventare sapienti, vengono obbligati con severità allo studio come se da ciò dipendesse l’esistenza di un mondo – poi infiacchiscono, non avendo prima avuto il tempo di sviluppare il loro corpo così da renderlo idoneo ai servizi che è chiamato a prestare per ogni eventualità!

4. Dunque, ad ogni cosa occorre, secondo l’Ordine di Dio, il suo tempo; ed eccezioni in questo riguardo non sono affatto ammesse. 

5. Giunto il momento per il corpo neoformato di venire partorito fuori dal corpo materno, viene immesso nel cuore dell’anima il germe vitale eterno, vale a dire una piccola Scintilla del purissimo Spirito di Dio, così come avviene nel frutto di una pianta quando, caduto il fiore, esso comincia a fortificarsi ed a consolidarsi. Formato il corpo, inizia poi lo sviluppo dello spirito nel cuore dell’anima, e durante questo processo è necessario che l’anima faccia ogni sforzo possibile affinché lo spirito in lei cominci a germogliare, e deve promuoverne lo sviluppo con ogni mezzo adatto.

6. L’anima, in questa sua funzione, rappresenta la radice e lo stelo, mentre il corpo trova la sua rispondenza nel terreno; perciò essa non deve fornire umori grezzi come nutrimento allo spirito.

7. Gli anelli, che lo spirito va formando, sono i gradi di umiltà dell’anima; quando viene costituito l’ultimo anello, allora finalmente lo spirito si sviluppa da sé, accoglie in sé dall’anima tutto ciò che è a lui affine, va sempre più consolidandosi e infine attrae in sé tutta l’anima, nonché quello che nel corpo era affine all’anima; in questo modo, poi, esso è per l’eternità indistruttibile del tutto, procedimento questo che noi possiamo vedere ripetersi, con maggiore o minor chiarezza, quasi in ogni pianta.

8. Quando il frutto ha raggiunto per la via ordinaria quasi la maturità completa, nei grani di semente che si celano in esso vengono immesse delle piccole scintille di germe vitale racchiuse in piccoli e tenerissimi involucri già preparati; dopo ciò la semente si racchiude in sé per un certo tempo, si isola perfettamente da tutto il rimanente del frutto e va’ consolidandosi come in un’assoluta autonomia, benché faccia sempre ricorso per metà all’etere vitale che la circonda.

9. Col tempo il frutto esteriore comincia poi a raggrinzirsi e a dissecarsi; perché questo? Perché la sua anima trapassa interamente nella vita dello spirito del germe nella semente. E quando la forza vitale del frutto è finalmente passata in questo spirito, allora lo stelo, prima vivente in tutte le sue parti, si secca completamente e muore; ma in compenso tutta la vitalità delle piante si è riunita in una stessa vita con la vita del germe, e come tale non può mai venire annientata, sia essa o no vincolata alla materia dalla semente!

10. E così tu puoi osservare sempre lo stesso ordine e le stesse fasi dappertutto ed in ogni cosa».

 

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Cap. 218

Anima e corpo

 

1. Dice Cirenio: «Signore, perdonami se devo interromperTi con una domanda! Cosa succede mai del germe del grano quando questo viene ridotto in farina, poi cotto in forma di pane ed infine mangiato? Il germe vitale, anche attraverso questi stadi, continua a vivere?»

2. Dico Io: «Certamente, perché quando tu mangi del pane, la parte materiale della farina viene ben presto eliminata dal corpo per la via naturale, ma la vita del germe, in quanto spirito, trapassa immediatamente nella vita dell’anima e diventa, secondo la corrispondente costituzione, una cosa sola con lei. La parte invece più materiale del germe vitale, che serviva ad esso da solido fondamento, sempre a somiglianza delle acque menzionate da Mosè in rapporto allo Spirito di Dio, diventa un nutrimento per il corpo e dopo la dovuta depurazione trapassa anch’essa infine nell’anima, a cui serve per la formazione e nutrizione degli organi animici che sarebbero le sue membra, i suoi peli e così via dicendo, ed in generale per la nutrizione e formazione di tutto ciò che dall’Alfa all’Omega tu puoi trovare in un corpo umano.

3. Ma che un’anima consista di tutte quelle parti che si possono riscontrare in un corpo fisico materiale, tu puoi convincertene più che sufficientemente osservando l’angelo Raffaele che siede qui alla nostra mensa e che ora discorre con Giosoe» (RivolgendoMi all’arcangelo:) «Raffaele, vieni qui e lasciati toccare da Cirenio!»

4. L’angelo allora si avvicina a Cirenio, il quale lo tocca qua e là e finisce con il dire: «È proprio vero, tutto è naturale e perciò materia a tutti gli effetti. Egli ha, appunto come tutti noi, le stesse membra e la stessa forma, soltanto ogni cosa è più nobile, più delicata e di gran lunga più bella, perché la grazia della sua faccia è, si può dirlo, qualcosa di incomparabilmente raggiante! Non è affatto un viso di fanciulla, bensì un viso di maschio in tutta la sua determinazione, ma nonostante ciò è più bello del più bel viso di fanciulla! Io prima ho fatto troppo poca attenzione a questo nostro compagno! Quanto più lo guardo, tanto più bello mi appare. Per il Cielo, in verità, è una cosa stranissima!». (E rivolto all’angelo, gli chiede:) «Ascoltami, o incantevole creatura, senti anche tu amore nel tuo bellissimo petto?»

5. Risponde l’angelo: «Oh, senza alcun dubbio, perché il mio corpo spirituale è simile alla Sapienza divina e la mia vita è l’eterno Amore di Dio, il Signore. E poiché la mia vita è puramente amore, io devo certo sentire anche l’amore, non essendo la mia vita stessa altro che amore purissimo.

6. Come hai potuto tu, un uomo del resto così saggio, farmi una simile domanda? Vedi, quello che Dio, il Signore, in Se stesso dall’eternità era, è ed in eterno sarà, lo dobbiamo essere anche noi, perché deriviamo perfettamente da Lui e con ciò siamo assolutamente in tutto il Suo Essere, così come il raggio del Sole è assolutamente quello che è il Sole stesso ed ha lo stesso effetto; ma se è così, perché la tua domanda?»

7. Dice Cirenio: «Sì, sì, è tutto giusto e vero quello che dici ed io l’avrei saputo anche senza la tua spiegazione, ma dovevo pure rivolgerti una domanda, per sentire il tono del tuo discorso! Ora però non abbiamo più nulla da dirci e perciò puoi ritornare al tuo posto!»

8. Osserva l’angelo: «Non spetta a te darmi un ordine simile, ma al Signore soltanto!»

9. Dice Cirenio: «Amico, a quanto mi pare, malgrado la tua bellezza, la sapienza e l’amore, sei tuttavia parecchio irremovibile nell’ostinazione caparbia!»

10. Dice l’angelo: «Oh, affatto! Però nessun ordine può né deve essermi dato dai mortali; infatti in me stesso io sono un signore e non permetto che nessuno mi impartisca comandi. Il mio “io” ora, a prescindere dal fatto che sono assolutamente in tutto una emanazione di Dio, è un “io” perfettamente indipendente! Oltre a ciò non ho niente da temere di ciò che temono gli uomini di questo mondo, perché dispongo di una potenza e di una forza tali quali tu non potresti nemmeno immaginare. Ma se vuoi conoscerle più da vicino, domanda qui al comandante Giulio ed a Giara, la mia allieva, oppure anche ai discepoli del Signore; essi sono già in grado di dirti qualcosa a questo proposito!»

11. Dice Cirenio: «Signore, digli Tu che voglia ritornarsene al suo posto, altrimenti comincerei sul serio ad avere timore di lui, perché vedo che è davvero difficile avere a che fare con un simile essere! Egli diventa sempre più aspro e violento e nonostante la sua bellezza non è assolutamente trattabile!»

12. Dico allora Io all’angelo: «Ebbene, ritorna ora al tuo posto!». E l’angelo obbedisce subito al Mio cenno e va ad occupare nuovamente il suo posto vicino a Giosoe. E Cirenio ne è molto lieto, perché davvero aveva cominciato a provare non poca paura nei confronti dell’angelo.

13. Subito dopo Giovanni e Matteo Mi chiesero se avrebbero dovuto prendere nota di quanto era accaduto ed era stato detto durante la giornata.

14. Ed Io risposi loro: «Certo che potete farlo, ma non occorre che ne prendiate nota per il popolo, poiché esso è ancora di duemila anni troppo giovane per comprendere simili cose. Ora non conviene gettare le perle ai porci, dato che questi non sono affatto in grado di distinguere un tale nobile cibo da quello pessimo animalesco, di cui sono soliti nutrirsi. Ma per voi e per pochi altri potete senz’altro fare le vostre annotazioni».

15. Ed i due discepoli prendono subito nota di tutto ciò mediante adeguati segni e figure, per distinguerlo da quello che per Mio ordine avevano fino ad allora scritto nei comuni caratteri ebraici.

 

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Cap. 219

La creazione del Cielo e della Terra

 

1. Allora Cirenio Mi pregò di continuare la spiegazione della storia mosaica della Creazione nella maniera consueta.

2. Ed Io gli dissi: «Amico, quello che ho cominciato, lo porterò di certo a termine; qui si tratta anzitutto di vedere se voi potrete ben comprendere ciò che vi dirò, perché, per capire a dovere la storia mosaica della Creazione, si deve avere una conoscenza profonda di tutto l’essere umano; ma arrivare a questo è altrettanto difficile quanto giungere alla piena e vera conoscenza di Dio!

3. E così dovrei prima scomporre tutta la struttura materiale, animica e spirituale dell’uomo, da fibra a fibra e dovrei infine mostrarvi come in origine è sorto e si è formato l’elemento animico fuori da quello spirituale e in quali innumerevoli rapporti di rispondenza, nello stesso modo in cui c’è rispondenza tra l’infinito numero dei gradi di luce e il numero altrettanto grande dei gradi di mancanza di luce.

4. Ora voi vedete che una cosa simile non si può ottenere tanto facilmente e sollecitamente come voi forse pensavate; Io tuttavia voglio dirvi a questo riguardo quel tanto che per il momento potete sopportare e per comprendere il quale con una certa convinzione le vostre anime sono già provviste delle necessarie esperienze e conoscenze preliminari. Dunque ascoltate!

5. Quando Mosè dice: “Nel principio Dio creò il Cielo e la Terra”, Mosè non intende affatto parlare del cielo visibile e della Terra visibile e materiale, perché egli, da sapiente genuino com’era, non ci aveva mai pensato, poiché egli aveva nella sua mente illuminata sempre solo la pienissima, interiorissima verità. Ma questa sua profonda sapienza egli la tenne celata sotto a delle immagini corrispondenti così come a testimonianza di ciò dovette, comparendo dinanzi al popolo, celare sotto un triplice velo la sua faccia troppo raggiante.

6. Però per “Cielo”, che Mosè indica come creato per primo, si deve intendere che Dio, avendo collocato in quel tempo la capacità intellettiva al di fuori del Suo Centro eternissimo e spiritualmente purissimo, l’ha messa allora in un certo qual modo come al di fuori di Sé, ma – come ho già detto – soltanto la capacità intellettiva! Questa capacità è simile ad uno specchio, il quale possiede certamente, anche nella notte più buia, la capacità di ricevere in sé, o piuttosto sulla sua superficie molto liscia, in immagine gli oggetti esterni in modo perfettamente fedele e vero, e di rifletterli. Ma nella notte più assoluta, e in essa nell’assenza di oggetti altrettanto assoluta, lo specchio tuttavia è una cosa che, molto evidentemente, non serve a nulla e di nuovo nulla!

7. Mosè perciò, subito dopo la creazione di un Cielo, ovvero della capacità intellettiva fuori dal Centro vitale di Dio, fa menzione di una, per così dire, creazione contemporanea della Terra. Ma chi e che cos’è questa Terra mosaica? Voi certo pensate che sia senz’altro di questa Terra che ci porta! Oh, Miei cari, questo è un errore molto grande!

8. Vedete, con la parola ‘Terra’ Mosè ha voluto solamente indicare la capacità di assimilazione e di attrazione delle intelligenze poste fuori affini tra di loro, ciò che è quasi identico a quello che alcuni sapienti del mondo dell’Egitto e della Grecia denominarono associazione di idee, associazione dalla quale, per l’unione di concetti e di idee affini, deve risultare alla fine un’intera frase ricolmata di verità.

9. Ma se nelle capacità intellettive poste fuori da Dio era già come implicitamente condizionata la reciproca attrazione, in conseguenza dell’affinità tra di loro, va da sé che se ne può trarre anche una terza deduzione e cioè che le capacità intellettive affini tra di loro si sono anche davvero reciprocamente attratte ed afferrate. Per questo atto allora ancora profondamente spirituale, Mosè non poteva evidentemente ideare un’immagine più efficace ed universale di quella appunto della Terra materiale, la quale in sé e di per sé non è precisamente altro che un conglomerato di particelle sostanziali che hanno capacità di attrazione e sono affini tanto fra di loro come in se stesse.

10. Però Mosè prosegue dicendo: “Le tenebre erano ancora sull’abisso!”. Ha voluto con ciò Mosè forse significare sul serio la mancanza di luce sulla Terra appena creata? Io vi dico che una cosa simile non è mai passata per la mente al sapiente Mosè neanche in sogno e neppure nei più ottusi primordi della sua esistenza! Infatti Mosè era un grande conoscitore della natura del mondo e troppo iniziato nella profondissima sapienza e scienza egiziane per non sapere che la Terra, quale una figlia del Sole ed almeno di un miliardo di miliardi di anni terrestri più giovane del padre Sole, avesse potuto al momento del suo apparire essere tenebrosa oppure no. Invece Mosè ha voluto indicare in questo modo, di nuovo attraverso dei simboli, che la capacità intellettiva e l’affinità capace di attrarre delle intelligenze non sono ancora alcun riconoscimento, comprensione né consapevolezza di sé – di qualsiasi tipo possano essere –, tutte [caratteristiche] del tutto identiche al solo concetto di “luce”, bensì devono essere condizione per il contrario, e questo così tanto a lungo finché non si siano afferrate e non abbiano poi cominciato a stringersi tra di loro, a sfregarsi e, in un certo qual modo, ad entrare in lotta l’una contro le altre.

11. Non avete mai fatto attenzione a quello che avviene quando delle pietre o dei pezzi di legno vengono con forza strofinati l’uno con l’altro? Ecco, il fuoco e la luce si manifestano subito! Ebbene, questa è la luce che Mosè disse che fu fatta nel principio!»

 

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Cap. 220

Terra e luce

 

1. (Il Signore:) «Noi ora sappiamo qual è dunque il significato della luce, ma prima è detto ancora che la Terra era vuota e deserta! Questa è certo una cosa che va da sé, perché con la sola capacità di accogliere in sé qualche cosa, come pure con il bisogno già sentito di accoglierla, non si è mai finora potuto riempire alcun vaso. Ora, finché nel vaso non c’è niente, è chiaro che anche il vaso stesso è deserto e vuoto.

2. Non altrimenti è avvenuto al tempo della Creazione primordiale. Dio, mosso dalla potente forza di Volontà del proprio Amore e della propria Sapienza, aveva posto fuori da Sé, e sparso in tutti gli spazi dell’Infinità, una quantità sterminata di Pensieri e Concetti, Pensieri e Concetti che noi abbiamo prima denominati singole capacità intellettive a mo’ di specchio, e precisamente per la ragione che ogni singolo pensiero è in una certa maniera una riflessione nel capo di ciò che il cuore, sempre in attività, produce in sé.

3. Ma come un pensiero o un concetto è di per sé ancora simile ad un vaso vuoto, oppure ad uno specchio in una cantina oscurissima, così anche la complessiva affinità reciproca (delle idee) è sempre ancora deserta e vuota; e poiché non si manifesta ancora alcuna attività delle capacità intellettive fra di loro, bensì esistono soltanto pure capacità di esistere e di operare, allora, così come già prima osservato, tutto rimane ancora freddo, senza fuoco e senza luce.

4. Tutti questi Pensieri e Idee della Sapienza divina, inattive ed immobili, vengono anche paragonate in modo molto calzante all’“acqua”, nella quale pure sono mescolati innumerevoli elementi specifici come a formarne uno semplice, dalla quale però alla fine tuttavia tutto il mondo corporeo trae la propria esistenza estremamente multiforme.

5. Però tutti i grandi Pensieri e le Idee che si sono sviluppati da ciò nella Sapienza di Dio, per quanto veri siano potuti essere, non sarebbero mai potuti assurgere ad una qualche realtà, come realtà non potrebbero divenire i pensieri e le idee di un qualche sapiente della Terra, qualora gli mancassero i mezzi per la realizzazione. Se si vuole immaginare una qualche realtà che debba seguire i pensieri e le idee, bisogna prima premettere l’esistenza dei mezzi corrispondenti e, con il sussidio di questi, il manifestarsi di una vera attività dei pensieri e delle idee, agente tanto interiormente che esteriormente sugli stessi e proveniente da un’alta forza e potenza.

6. Qualora un qualche uomo abbia riunito poi dei pensieri in idee e li voglia avere attuati, allora egli, a prescindere dal fatto che possieda o no i mezzi materiali necessari al suo scopo, deve nutrire un grande e prepotente amore per i suoi pensieri e per le sue idee. A questo punto i suoi pensieri e le sue idee vengono ferventemente curati da un tale amore così come la gallina cura i suoi pulcini. Tramite ciò i pensieri ed i concetti che si sono formati da questi quali idee già più concrete, diventano sempre più vivi e sempre più vanno sviluppandosi. E vedete, appunto tale Amore è lo Spirito di Dio in Dio stesso, il Quale, secondo Mosè, si muoveva sopra l’acqua, che in se stessa non significa altro che l’infinita massa dei Pensieri e delle Idee di Dio ancora prive di forma e di entità.

7. Animati da questo Spirito, i Pensieri di Dio cominciarono a costituirsi in grandi Idee, e un pensiero si strinse all’altro ed un’idea all’altra. E vedete, così si verifica poi nell’Ordine divino come da sé il “Sia fatta la luce!” e “La luce fu!”. E sulla scorta di ciò, secondo Mosè, si spiega poi da sé anche perfino il grande atto della Creazione naturale nei primordi del tempo, ed infine parallelamente, ed anzi principalmente, anche il processo di formazione animica e spirituale dal bambino appena nato fino al vecchio, e dal primo uomo apparso sulla Terra fino all’epoca attuale e così di seguito in tutte le cose, fino alla fine di questo mondo che avverrà un giorno! 

8. Ora, nel testo mosaico certamente appare una frase che potrebbe far credere che Dio avesse cominciato ad accorgersi che la luce era buona soltanto dopo aver constatato l’azione della luce sviluppatasi dal fuoco dell’attività d’amore dello Spirito. Sennonché la questione non sta neanche lontanamente in questi termini, bensì tale espressione è una pura testimonianza della Sapienza di Dio, eterna ed infinita, secondo la quale questa luce è una luce spirituale di vita veramente libera, sviluppatasi da se stessa in conseguenza dell’attività dei Pensieri e delle Idee divine, conformemente all’ordine prescritto dalla Sapienza. Per mezzo di questa luce i Pensieri e le Idee di Dio, da Lui esteriorizzati, possono, come per azione propria, svilupparsi ulteriormente e costituirsi, secondo la propria intelligenza, fino a diventare esseri indipendenti, naturalmente sempre sotto la costante ed inevitabile influenza di Dio. Così dunque va intesa la citata frase di Mosè, e non va assolutamente interpretata come se Dio fosse appena giunto al riconoscimento soggettivo che la luce era qualcosa di buono!».

 

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Cap. 221

La separazione della luce dalle tenebre

 

1. (Il Signore:) «Adesso però si affaccia una questione che, considerata proprio a fondo, riesce più difficile comprendere di tutto quanto ha finora preceduto, perché più oltre è detto: “E Dio separò la luce dalle tenebre e nominò la luce ‘giorno’ e le tenebre ‘notte’”. Però questa cosa si rende più facilmente comprensibile se voi, invece dei due concetti molto generali usati da Mosè, prendete come base di considerazione i concetti corrispondenti più particolari, come sarebbe a dire per il “giorno” la “vita già indipendente” e per la “notte” la “morte”, oppure per il “giorno” la “libertà” e per la “notte” il “giudizio”, oppure per il “giorno” “l’essere indipendente” e per la “notte” “l’essere vincolato”; oppure ancora per il “giorno” la “vita d’amore dello spirito divino che già riconosce se stessa nella nuova creatura” e per la “notte” i “Pensieri e le Idee fuori da Dio non ancora animati”.

2. Ma quest’ordine lo riscontrate altrettanto anche in qualsiasi pianta, nella quale fino alla formazione del frutto non trovate altro che la notte o la morte avida, dove lo Spirito di Dio, a causa della preparazione della materia che porta la vita, si muove ancora sulle acque dell’abisso tenebroso. Una volta però che il sostegno è giunto ad un grado di consistenza tale da comportare nello stelo del grano la formazione dell’ultimo anello sotto la spiga e quando l’effettivo vero spirito vitale comincia ad afferrarsi quale un’entità indipendente, a percepirsi e nella chiara consapevolezza a comprendersi, a riconoscersi ed a capirsi, allora evidentemente succede una divisione, o meglio, una separazione della luce dalle tenebre, una separazione della vita libera dalla vita giudicata, o propriamente della vita indistruttibile dalla distruttibile vita giudicata, che è simile alla morte espressa nel concetto più generale e comprensibile di “notte”. 

3. In seguito poi è detto: “Così fu sera e poi fu mattina; e fu il primo giorno”. Che cosa è la “sera” e che cosa la “mattina”? 

Ecco, la sera rappresenta qui quello stato in cui le condizioni preliminari per l’accoglimento finale della vita d’amore da Dio iniziano, sotto l’influsso dell’onnipotente Volontà di Dio, a constatarsi (manifestarsi) e ad afferrarsi tra di loro, ugualmente ai singoli pensieri e concetti che si congiungono tra di loro fino a formare un’idea. Una volta che questa è constatata (prosperata) fino all’ultimo anello sotto la spiga, allora il compito della sera è terminato ed ha poi inizio l’attività libera ed indipendente per il suo sviluppo autonomo nel frutto. Ma come gli uomini chiamano mattina il passaggio dalla notte al giorno, così in modo corrispondente il passaggio dal precedente stato giudicato e non libero della creatura allo stato libero ed indipendente fu chiamato pure mattina. E vedete, Mosè non ha commesso affatto alcun errore di logica facendo sorgere dalla sera e dalla mattina il primo e poi tutti i giorni seguenti!

4. Ma che Mosè faccia sorgere dalla sera alla mattina sei di tali giorni, ciò si spiega con il fatto che da un esame accurato risulta che ogni cosa, dai suoi primordi fino al completo finire del suo sviluppo per essere quello che è, deve sempre passare, secondo l’immutabile Ordine divino, per sei periodi prima di potersi dire compiuta e poter essere quello che per il momento deve essere, così come la spiga perfettamente matura del grano sullo stelo morto. 

[Ecco le sei fasi].

5. Primo giorno: la posa del seme nel terreno fino al germoglio; secondo giorno: dal germoglio alla formazione dello stelo e delle foglie di aspirazione e di protezione; terzo giorno: dalla formazione dell’ultimo anello immediatamente sotto il primo strato di sostegno della spiga alla formazione della spiga; quarto giorno: da qui alla formazione ed alla sistemazione dei vasi di contenimento simili a stanze nuziali per la generazione della vita libera e indipendente, compresa la fioritura; quinto giorno: quindi la caduta del fiore, lo sviluppo del vero frutto già portatore di una vita libera e la manifestazione dell’attività libera nel frutto, quantunque ancora vincolata agli stadi precedenti non liberi che forniscono ancora una parte del nutrimento per la formazione delle membrane, pur continuando tuttavia a prendere il nutrimento principale dai cieli della luce e dal vero calore vitale, tutto ciò fino alla completa formazione del frutto; sesto ed ultimo giorno: finalmente lo svincolo totale del frutto, diventato maturo nel suo involucro, dove il seme poi, unicamente agli scopi del suo perfetto consolidamento e come ormai entità completamente isolata e del tutto indipendente, richiede il vero cibo dei cieli, lo accoglie e se ne sazia per la vita liberissima e indistruttibile, per l’eternità: questo è il processo di formazione e della piena liberazione della vita.

6. Il settimo giorno poi subentra il riposo e questo è lo stato della vita ormai pronta, completamente matura e che ha sussistenza per l’eternità, consolidatasi attraverso gli stadi antecedenti ed in possesso della perfetta somiglianza a Dio». 

 

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Cap. 222

Lo scopo finale di tutta la Creazione

 

1. (Il Signore:) «Se voi meditate più profondamente e con maggior senso di maturità di quanto sono soliti fare gli uomini del vostro tempo su ciò che vi ho detto ora anche solo per poco, voi troverete e vedrete facilmente, se anche non proprio assolutamente in tutta la sua profondità, che Mosè con tutta la sua storia della Creazione, esposta sotto il velo di eccellenti immagini, ha voluto indicare il sorgere e il progredire di tutte le cose dalle loro prime origini fino alla loro suprema perfezione, dimostrazione questa che è l’unica vera e che concorda perfettamente con l’ordine della Sapienza eterna.

2. Chi non comprende Mosè in questa maniera, è meglio che non lo legga; infatti se lo legge ma lo comprende in maniera contraria e storpiata da quella che è la vera, costui, dopo averci pensato un po’, deve finire con lo smarrirsi completamente e con il non poter trattenere il proprio sdegno contro l’illogica stupidità di Mosè. Però la sua indignazione non può limitarsi a ciò, ma deve infine rivolgersi contro la perfida stupidità di coloro che con il ferro e con il fuoco diffondono tra gli uomini una dottrina priva di logica e di buon senso, spacciandola addirittura per una ispirazione divina, senza badare affatto se a loro stessi essa appaia anche come una assoluta stupidaggine.

3. Ma chi invece legge Mosè e lo interpreta così come veramente va compreso, costui riconoscerà in lui non soltanto il profeta dalla sapienza più vasta che vi sia stata finora, bensì anche il profeta verissimo, intensamente compenetrato dallo Spirito di Dio, il quale aveva la capacità più ampia, oltre alla volontà più ferma, di annunciare a tutta l’umanità delle verità assolutamente genuine riguardo alle profondità delle profondità su Dio e su tutte le cose create, così come egli nel suo spirito gigante le aveva ricevute dallo Spirito di Dio stesso!

4. Così si sono formati i soli per sé, le terre per sé, ed ogni singola cosa sui soli e sulle terre per sé, come pure nella loro connessione universale. E ugualmente così è sorto l’uomo, tanto nel senso più stretto per sé, quanto nel senso più lato e generale, poiché l’intera Creazione in tutta la sua universalità corrisponde ed è perfettamente uguale ad un uomo, e poiché anche all’uomo corrisponde e deve corrispondere ogni singola cosa in tutta intera la Creazione spirituale e materiale, dalla più grande alla più piccola, perché la ragione vera e la meta finale della Creazione universale è l’uomo. Egli è il prodotto ultimo, a plasmare il quale hanno sempre mirato tutte le fatiche di Dio.

5. E poiché appunto l’uomo è lo scopo che Dio, per mezzo delle precedenti creazioni, si era proposto di raggiungere ed ha anche raggiunto, come voi ne siete la irrefutabile prova, così nei Cieli e su tutti i corpi mondiali tutto corrisponde sotto ogni aspetto all’uomo. Questo è quello che Mosè ha voluto rappresentare con la sua storia della Creazione, come anche l’hanno voluto rappresentare altri maestri dei popoli, anche se in forma ancora più velata. Ora tutto ciò esaminatelo bene e riscontrerete senz’altro che le cose stanno effettivamente in questi termini e che non stanno altrimenti, né possono assolutamente stare!

Ma tu, Cirenio, dimMi ormai se ti sei soddisfatto di Mosè!».

 

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Cap. 223

Testimonianza di Cirenio sulla storia della Creazione

 

1. Risponde Cirenio: «Signore e Maestro, in verità, la Tua sapienza spazia ad altezze infinite al di sopra di ogni massima sapienza che abbia mai benedetto la Terra! Infatti è già una gran cosa essere per sé un grande sapiente, ma infinitamente più grande è rivelare la più profonda ed occulta Sapienza di Dio con parole intelligibili così da renderla con facilità e chiarezza accessibile agli uomini privi di una qualche particolare cultura in un simile campo, come ci troviamo noi! Secondo me questo non è possibile che a Dio, perché un uomo, per quanto saggio, non può, come Mosè, in ultima analisi fare altro che rivestire di una forma la sapienza infusagli dallo Spirito di Dio e presentarla per via di simboli corrispondenti, ovvero questi gli vengono già forniti come grani di semente che egli poi come un seminatore va spargendo nel terreno dei cuori umani. Da questi grani di semente in seguito cresce bensì qualche corrispondente frutto, ma gli uomini riconoscono ben spesso i frutti altrettanto poco, quanto poco avevano riconosciuto la semente sparsa nei loro cuori e finisce che una tale seminagione ottiene magrissimi risultati che, se anche gli uomini ne raccolgono dei frutti maturi, essi sanno per lo più a mala pena cosa ne possano fare e come sono veramente da utilizzare.

2. Comunemente già i primi spargitori di semi ne fanno un uso che non è mai del tutto perfetto e tanto meno poi i loro tardi successori, perché, se i primissimi seminatori del germe della sapienza avessero poi creato dei frutti per un uso perfettamente vero e giusto, tutti i loro successori non potrebbero a loro volta non farne anche un uso giusto e buono, ma, siccome certamente a causa di una erronea comprensione già i profeti stessi hanno in qualche modo commesso degli errori rispetto alla loro dottrina mal compresa, ne segue che tali lievi errori furono senza dubbio la causa degli errori maggiori in cui sono incorsi i loro successori!

3. È certo possibile che Mosè ed Aronne siano vissuti in modo interamente conforme alla loro dottrina rivelata dallo Spirito di Dio; però se essi abbiano altrettanto interamente compreso la loro dottrina data da Dio come Tu ora ce l’hai rivelata, questa è una grande domanda, giustificata da più di un legittimo dubbio, perché una lingua straniera ed i rispettivi caratteri si possono benissimo riportare su di un foglio con tutta esattezza, anche senza comprendere niente della sostanza! 

4. Ma data la maniera in cui Tu, o Signore, ci hai ora spiegato la Genesi di Mosè, non può sussistere nel cuore umano più alcun ulteriore dubbio e l’osservanza di una tale dottrina tanto riguardo alla giusta comprensione, quanto all’attività conforme da svolgere, non può evidentemente essere a sua volta altro che cosa giusta e vera!

5. Ma poiché Tu, o Signore, sei già disposto a fare rivelazioni con tanta generosità nel campo delle verità più profonde ed occulte, dacci, in grazia, ancora qualche piccolo chiarimento riguardo alla cosiddetta “Caduta degli angeli”, cioè dei primi esseri creati, poi riguardo alla “Caduta di Adamo” e finalmente riguardo al “Peccato originale”, come viene chiamato, dal quale, come una triste eredità, sono state gravate tutte le generazioni che seguirono. Se reputi che non sia troppo tardi e che sia per noi possibile formarcene un’idea, per quanto vaga, facci intendere dalla Tua santa bocca in proposito, almeno a grandi linee, un qualche cenno, affinché noi possiamo anche a questo riguardo sentirci sollevati almeno di poco al di sopra della comune vita abituale!»

6. Dico Io: «Oh, Mio carissimo amico, questa è una faccenda ancora più difficile della storia mosaica della Creazione, quantunque veramente sia in questa già pienamente compresa e per l’investigatore zelante stia lì come un oro puro visibilmente incastonato nella roccia. Ma se è tuo desiderio avere solo qualche cenno fondamentale e non una spiegazione esauriente e dettagliata, Io lo esaudirò molto volentieri, poiché, per svolgere più ampiamente l’argomento, nessuno di noi avrebbe tempo sufficiente, visto che siamo già vicini alla terza vigilia. Dunque chi ha orecchi per udire, oda!».

 

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Cap. 224

Sulla caduta degli spiriti, sulla caduta di Adamo e il peccato originale

 

1. (Il Signore:) «La caduta dei primi spiriti creati, ovvero delle libere ed animate Idee di Dio nello spazio infinito, è la grande separazione alla quale accenna Mosè quando dice: “E Dio separò la luce dalle tenebre!”. Ora, come tutto ciò sia da intendersi nel suo vero senso, per via di adeguate e giustissime rispondenze, Io l’ho già indicato a sufficienza a voi tutti. La conseguenza fu la necessaria costituzione materiale del mondo nelle sue parti grandi e piccole, cioè i soli, le terre, le lune e tutto ciò che vi è in esse e su di esse, sparso nello spazio infinito.

2. Per quanto poi concerne la “Caduta di Adamo”, questa ha certamente già più oggettività della cosiddetta “Caduta degli angeli”, però nella sua rispondenza è tuttavia simile alla caduta degli angeli; solo che nel suo caso ci si trova già di fronte ad una legge positiva, mentre nel caso della caduta degli angeli sarebbe stato prematuro parlare di una legge positiva, per la ragione che in quei tempi remoti si trattava appena di iniziare la  grande evoluzione e lo sviluppo degli esseri destinati alla libertà e, per conseguenza, all’infuori di Dio non esisteva ancora nessuna tale intelligenza alla quale fosse stato possibile dare una legge positiva.

3. Perciò nel caso della cosiddetta “Caduta degli spiriti” dovette anche verificarsi una separazione necessaria e costretta, mentre quella adamitica, già originata in lui e da lui stesso, fu spontanea e non si trattò dunque in nessun modo di una costrizione, bensì di un atto libero del primo uomo di carne già libero in tutte le sfere animiche. Nel suo complesso, il fatto tuttavia resta anch’esso un atto previsto nell’Ordine segreto di Dio, però non è mai la conseguenza di una costrizione assoluta, bensì con la formula “tu puoi” e “tu non puoi”, poiché è concessa la decisione alla libera volontà dell’uomo ai fini del suo consolidamento tramite la sua propria attività.

4. Vi è qui la stessa differenza che c’è tra il bambino che non può fare ancora uso delle proprie gambe e deve perciò venire portato da un luogo all’altro, ed un uomo sano che già da molto tempo può camminare da solo e bene con tutta sicurezza.

5. Ora, chi può camminare da solo, non occorre più che venga portato come un bambino in un dato luogo che si vuole raggiungere con lui e per causa sua, ma basta invece indicargli la via più breve e sicura che lo porterà al luogo designato. Se l’uomo è sano e vuole incamminarsi, allora egli raggiungerà sicuramente e senza pericoli la meta, ma se invece devia o fa inutili giri, deve poi ascrivere soltanto a se stesso se la meta che si era preposto può raggiungerla spesso soltanto molto più tardi e tra gravi difficoltà. 

6. Qualcosa di simile si è verificato anche in Adamo. Se egli avesse osservato il comando positivo, allora l’umanità, ossia l’anima perfetta dell’uomo, non si sarebbe trovata a dover abitare nel corpo di carne molto compatto, pesante e debole che ora è pieno di tanti acciacchi e difetti.

7. Ma la disobbedienza alla legge positiva ha necessariamente portato il primo uomo a deviare ed a mettersi per una via che non è la diritta, dovendo percorrere la quale, il raggiungimento della meta è molto più difficile e può avvenire soltanto molto più tardi.

8. Tu certamente pensi e fra te e te dici: “Suvvia, come mai è possibile che osservare o non osservare una piccola legge semplicemente d’ordine morale possa avere un influsso tanto essenziale su tutta la natura dell’uomo? Adamo, anche senza lo sciocco gustare del frutto, sarebbe pur sicuramente rimasto quello stesso Adamo di carne che si trovò essere dopo avere mangiato il frutto, ed un giorno avrebbe ugualmente dovuto morire, secondo la carne, precisamente come ancora oggi tutti gli uomini muoiono!”.

9. Da un lato tu hai ben ragione, ma dall’altro lato anche torto. Il mangiare una mela, che è un frutto sano e dolce, non è sicuramente letale, poiché altrimenti ora tutti gli uomini che mangiano mele dovrebbero morire poco dopo. Dunque, la mela in se stessa conta poco o anche nulla. Se però ne viene vietato il consumo per un tempo indeterminato, e questo viene fatto unicamente allo scopo di un maggior consolidamento dell’anima, ma l’anima, consapevole del proprio libero arbitrio, disprezza la legge e la trasgredisce, allora essa in un certo senso opera una rottura nel proprio essere. E questa rottura assomiglia allora ad una ferita aperta, che è quanto mai difficile guarire completamente. Infatti, anche se la ferita cicatrizza, mediante la cicatrice una quantità di vasi subiscono un restringimento, a tal punto che in seguito gli umori vitali dell’anima non possono circolare bene attraverso questi vasi, ed essi esercitano sempre una pressione fastidiosa e dolorosa nel punto dove c’è la cicatrice.

10. Ma, a causa di ciò, l’anima viene distolta dal dedicare la sua attività principalmente al libero prosperare dello spirito in lei ed essa si affatica quasi esclusivamente a far sì che la cicatrice nuovamente svanisca. E vedete, questa cicatrice si chiama “mondo”!

11. L’anima tenta bensì continuamente di liberarsi da questa cicatrice, perché questa le causa dolore, il quale è espresso nelle cure e nelle preoccupazioni mondane, ma tanto più l’anima vi si affatica intorno, tanto più la cicatrice si indurisce e tanto maggiori sono le sue cure e le preoccupazioni che essa causa, cosicché, infine, l’anima non può trovare altro da fare se non occuparsi unicamente della guarigione di questa vecchia cicatrice, vale a dire per liberarsi da ogni cura e non si occupa più che poco o niente del proprio spirito. E vedete, questo è il cosiddetto “peccato originale”!».

 

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Cap. 225

La forza dell’ereditarietà

 

1. (Il Signore:) «E qui si domanderà: “Ma come mai una cosa simile può venire trasmessa per eredità?”. Ed Io vi dico che la cosa avviene molto facilmente, specialmente nella formazione organica dell’anima. Quello che essa ha una volta acquisito, può restarle per migliaia di anni, qualora lo spirito non intervenga a ristabilire il pieno ordine in lei. Considerate la stirpe di un popolo! Se Io vi presentassi qui oggi il primo capostipite primordiale dal quale essa è discesa, voi riconoscereste subito che una somiglianza non piccola si è perpetuata in tutti i suoi discendenti. Se il capostipite fu un uomo buono e mansueto e così pure la sua donna, allora tutto il popolo che è sorto da lui, salvo poche eccezioni, sarà di carattere più buono e mansueto di quanto potrà esserlo un altro popolo che ha avuto per capostipite un uomo collerico, orgoglioso e prepotente.

2. Ma se un lieve, non indelebile tratto [caratteristico] di un capostipite può, nel fisico e nella morale, venire benissimo riconosciuto in tutti i suoi discendenti ancora per un paio di migliaia di anni, quanto più non dovrà essere riconoscibile in tutti i suoi discendenti un tratto [caratteristico] del primo uomo apparso sulla Terra? Bisogna notare che in principio la sua anima era molto più sensibile e conseguentemente molto più suscettibile che non le anime successive, alle quali la caratteristica del padre fu trasmessa nella corrente del seme vitale immediatamente all’atto procreativo e per questa ragione un simile segno caratteristico nel primo uomo non poteva venire più cancellato per via naturale, né meno ancora annullato. Purtroppo una cicatrice di questa specie deturpa molto l’anima, e Dio in ogni tempo ha fatto tutto quanto era possibile perché una qualche anima riuscisse con le proprie forze a farla svanire da sé per sempre, ma, fino ad oggi, la cosa non è affatto riuscita particolarmente bene, e perciò ora sono venuto Io stesso su questa Terra per estirpare l’antica deturpante cicatrice!

3. Ed Io anche la estirperò, ma ciò avverrà a causa delle molte piaghe che saranno inferte alla Mia Carne. Questa cosa voi non potete ancora comprenderla, ma quando sarà venuto il tempo, voi pure la comprenderete e poi il santo Spirito di ogni Verità vi guiderà anche a questo riguardo in ogni sapienza.

4. Ma voi avrete pure letto in Mosè come lui parli della maledizione [scagliata] da Jehova sopra la Terra, là dove è detto: “Tu ti guadagnerai il pane con il sudore della tua fronte!”. E poi è detto pure, subito dopo la maledizione [scagliata] sopra la Terra: “Tu porterai spine e cardi”.

5. Vedete, se voi doveste intendere ciò materialmente, secondo il significato esteriore della parola e se davvero la cosa dovesse essere considerata materialmente, voi avreste il pieno diritto di incolpare Dio di assoluta mancanza di Sapienza! Ma siccome una tale frase è da prendersi e comprendersi solo nel senso animico e propriamente spirituale, allora una simile colpa decade da sé e così l’uomo deve sempre ascrivere a se stesso la colpa di ogni peggioramento che avviene nel suo essere, come pure deve attribuire a se stesso la colpa se talvolta, in qualche paese, il raccolto riesce peggiore di quanto normalmente dovrebbe essere, perché, nel caso del tempo che fa sulla Terra, non proprio tutto dipende da Dio e la sua parte ce l’ha anche l’uomo.

6. Una volta che un’anima è giunta al punto di essere perfettamente conscia di se stessa e di poter far uso della propria ragione quel tanto che basta per scorgere e riconoscere bene in sé l’Ordine di Dio, essa, da quel momento in poi, allo scopo del proprio consolidamento, deve diventare spontaneamente attiva, naturalmente conformemente all’Ordine divino riconosciuto ed in lei esistente, ma se in qualche punto non procede così, anzi evita di farlo, oppure fa addirittura il contrario, essa evidentemente produce da se stessa in quel punto una lesione non facilmente cancellabile, dalla quale, con le sue forze, non può mai più guarire, perché con ciò tutta la sua attività diventa già un’attività più o meno disordinata, la quale è chiaro che col tempo deve dare come risultante un numero sempre maggiore di limitazioni animiche, come sarebbe ogni tipo di cecità, di stoltezza, di incomprensione, di lentezza di concezione, di timore, di scoraggiamento, di tristezza, di angoscia, di fastidio, di ira, di furore e infine perfino di disperazione stessa.

7. Ecco, queste sono appunto le “spine” ed i “cardi” che il “terreno”, vale a dire le atrofizzate capacità intellettive dell’anima, faranno prosperare in lei, come fanno le piante parassite sui rami di per sé sani degli alberi. 

8. La “maledizione di Dio”, poi, altro non è che la chiara percezione infusa nell’anima, che si è guastata da se stessa, che veramente si è rovinata da sola andando contro l’Ordine divino e che per questa ragione dovrà per l’avvenire cercarsi e provvedersi il pane con il sudore della propria fronte per colpa assolutamente sua.

9. E il “sudore della fronte” corrisponde appunto alla già ben nota cicatrice delle preoccupazioni dell’anima, che quest’ultima si è prodotta da sola gustando la mela citata da Mosè, cosa che l’anima avrebbe potuto benissimo evitare».

 

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Cap. 226

Preoccupazioni del mondo e le loro cattive conseguenze per l’anima

 

1. (Il Signore:) «E perciò Io dico ora a voi tutti che è bene bandiate da voi ogni inutile preoccupazione, poiché ogni preoccupazione che sorge a causa del mondo è appunto un vincolo materiale, mediante il quale l’anima si lega alla materia attraverso l’antica cicatrice di Adamo. Ma quanto più l’anima si vincola alla materia della propria carne, tanto più viene trascurato il progredire del vero spirito di Dio in lei, e quanto più poi l’anima, a causa delle preoccupazioni del mondo, si congiunge con il corpo, il quale in sé non rappresenta altro che un giudizio, una triste necessità e di conseguenza la morte stessa, tanto più essa va perdendo il riconoscimento e la nozione della vita eterna ed indistruttibile in lei. Ma invece quanto più essa si scioglie da questi lacci, tanto più libera ridiventa sotto ogni rapporto, e quanto più essa si congiunge con lo spirito divino in lei, tanto più limpido e vivo si fa in lei il riconoscimento e la conoscenza della vita eterna.

2. Dunque, se qualcuno ha ancora un gran timore della morte del corpo, la sua anima si trova congiunta ancora fortemente con la carne e molto debolmente con lo spirito, perché un grande amore per la vita su questo mondo è un segno sicurissimo che l’anima si è ancora molto poco occupata della vita eterna del proprio spirito in essa, e la colpa di ciò va ascritta all’antica cicatrice della ferita inferta da Adamo a se stesso e con lui a tutte le anime generate nella carne.

3. Eppure ogni anima, se fortemente lo vuole, può perfettamente guarire da una tale cattiva cicatrice, perché Dio già allora in presenza di Adamo prese a questo scopo i provvedimenti più sicuri, e lo stesso Adamo nel suo ultimo periodo è stato quasi completamente risanato. Enoch, però, ne è stato completamente risanato; perciò egli è stato trasformato anche nella carne, come pure alcuni tra i primi padri della Terra. Ma siccome i loro successori si mescolarono con i figli di padri non guariti, allora il vecchio male adamitico rimase tuttavia, più o meno potentemente presente, tra gli uomini continuamente a loro tormento. 

4. Da ciò traggono origine anche i parti dolorosi delle donne, come pure il numero piuttosto grande dei modi dolorosissimi di morte fra gli uomini. Infatti un’anima naturale, già ferita dalla corrente seminale dell’uomo, si congiunge subito con grande tenacia anzitutto con la carne della madre e deve poi, all’atto del parto, venire data sempre violentemente alla luce del mondo con ogni tipo di lacerazioni del legame [carnale]. I figli invece, come un Isacco e di simili ce ne sono ancora una quantità a questo mondo, sono stati dati alla luce del mondo senza che la madre sentisse alcun dolore.

5. Altrettanto sia detto del morire. Gli uomini che tengono molto alla vita terrena e ad essa dedicano tutte le loro cure, devono soffrire molto già durante la loro breve vita su questo mondo, si ammalano spesso nell’anima e certamente subito dopo anche nel corpo, devono spesso lottare con sofferenze talvolta insopportabili ed escono infine da questo mondo tra dolori strazianti, che molto spesso si ripercuotono per lungo tempo anche dopo la separazione dal corpo, e questo è particolarmente il caso di quelle anime che, durante la vita terrena, si trovarono molto bene e comodamente nei loro corpi. Le anime, invece, che già a questo mondo sono giunte alla salutare convinzione che tutti i beni della Terra non possono essere di nessun giovamento all’anima, visto che essi devono precipitare nella morte come il corpo, non hanno per prima cosa da temere che assai poco da qualsiasi genere di malattie del corpo, perché si sono, per quanto era possibile, già liberate dall’antica cicatrice di Adamo, ma in compenso hanno ritrovato in sé il loro spirito, l’alito di Dio, e lo hanno coltivato con ogni vera cura.

6. Quando la vita dell’anima si è unita al proprio spirito, allora anche al corpo viene poi gradatamente dato un indirizzo più spirituale e perciò esso si rende più insensibile alle impressioni del mondo materiale esteriore; infatti ogni malattia del corpo è di solito la conseguenza del lacerarsi di un qualche legame con il mondo. In poche parole succede così: il corpo viene costipato con migliaia delle necessità più diverse dall’anima che ha fame di vita; ma se il corpo, in seguito a condizioni climatiche e di migliaia di altro genere, non può venire soddisfatto, allora l’uno o l’altro legame che lo unisce all’anima deve venire lacerato, e il corpo poco dopo si ammala e diviene molto sofferente, e con lui anche l’anima, la quale in fondo è, assieme al corpo, anzi in primissima linea, veramente colei che sopporta il dolore.

7. Ma se l’anima ha abituato il proprio corpo e con ciò se stessa al maggior numero possibile di rinunce nel campo mortifero del mondo, allora alla fine non esisteranno appunto molti legami tra i beni morti della Terra ed il corpo, e ci sarà di conseguenza anche ben poco da lacerare con dolore. Ma se in questo modo viene tolto, per quanto possibile, ogni motivo al manifestarsi di malattie del corpo, allora vorrei sapere Io stesso da dove possono ancora venire queste malattie nel corpo e nell’anima sensibile.

8. Anzi, in tali uomini il corpo stesso difficilmente sente un qualche dolore, anche se viene martoriato e tormentato con infernali mezzi esteriori! 

9. Rammentate la storia dei giovani nella fornace ardente! Essi cantavano nella pienezza della gioia di vivere e lodavano Dio. E benché i loro corpi con il tempo venissero consumati dalla perversa violenza esteriore, tuttavia essi non ne sentirono alcun dolore, perché già da lungo tempo prima si erano liberati da ogni legame con il mondo ed erano una cosa sola con il loro divino spirito. E così una tale anima, perfettamente ricongiunta al suo spirito, nel separarsi dal corpo, con il quale già da molto tempo non stava più connessa in un saldo legame materiale, bensì solo spirituale e sottilissimo, non soltanto non sente affatto alcun dolore, bensì percepisce invece in tutto l’essere una sensazione di deliziosa beatitudine e all’atto della separazione non perde assolutamente né la coscienza, né la luce della vista animico-spirituale e tanto meno l’udito, l’olfatto, il gusto e il nobilissimo e sottilissimo senso del tatto, come ora li possiede il nostro angelo Raffaele.

10. Però, come detto, per giungere a questo punto è necessario che l’uomo si liberi prima di tutto dall’antico peccato adamitico, e questo non si può ottenere in nessun altro modo se non in quello soltanto che Io vi ho appunto ora indicato: bisogna che l’anima liberamente attiva getti via tutte le preoccupazioni mondane, perché un altro mezzo non esiste! Una volta che queste siano state tolte, poi tutto nell’uomo ritorna nell’antico Ordine divino e l’uomo viene poi ad essere di nuovo interamente uomo secondo l’Ordine di Dio. E vedi, questo è quello che di pieno diritto si chiama “peccato originale”!. Considerata in sé, è evidentemente la carne quella cui, a ragione, compete il nome di peccato originale; però, considerata la cosa nella sua rispondenza spirituale, sono appunto le molteplici preoccupazioni a causa della carne quelle che rappresentano il peccato difficilmente sradicabile di Adamo in tutti i suoi successori.

11. Però questa cicatrice dell’anima non può venire cancellata del tutto se non con il mezzo che Io vi ho indicato e attraverso ancora un altro mezzo, il quale però sarà reso noto ed accessibile agli uomini, per la salvezza delle loro anime, solo dopo che sarà stata compiuta la Mia missione in questo mondo. Giovanni il Battista, nel deserto, è già stato un precursore di questo mezzo».

 

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Cap. 227

Sulla caduta degli spiriti

 

1. (Il Signore:) «Ma come in piccolissima proporzione avvenne con l’uomo che cadde nel peccato e per questo si guastò nella propria natura, quasi allo stesso modo avvenne a suo tempo anche con la creazione dei puri spiriti da Dio.

2. Una volta che i Pensieri di Dio e le Sue grandi Idee sorte da questi Pensieri si sono abbastanza trovati e si sono legati in un essere dotato di infinita intelligenza, secondo l’originaria forma di Dio e hanno cominciato a divenire consapevoli della loro libera autonomia, allora la prima cosa per renderli completamente  liberi è stata anche  sicuramente quella  di dare loro l’occasione per la libera attività e di mostrare loro come e in quale maniera potevano diventare ed essere liberamente attivi.

3. Ma come deve accadere questo? Si deve, in un certo qual modo, dire loro semplicemente: “Ecco, ora siete vivi, come sorti da voi stessi, e potete fare quello che volete!?”.

Ma qui sorge la domanda: “Esseri simili, la cui vita non ha ancora nessuna esperienza, sono capaci di disporsi ad una qualche libera attività?”. Sicuramente essi, come un vorace polipo, preferiranno saziare il loro essere con un corrispondente cibo e certamente non faranno nient’altro. Una tale cosa la potete vedere ed apprendere in modo del tutto naturale presso i popoli di gran lunga ancora non desti spiritualmente; infatti tutta la loro preoccupazione è rivolta al ventre, e tutta la loro attività mira a soddisfare quanto meglio possibile questa parte del corpo.

4. Qualcun altro dirà: “Si dica a loro, in base alla loro capacità intellettiva, ciò che devono fare, e così diventeranno certo attivi in base a quello!”.

Bene, dico Io, ma se in questi esseri ancora molto inclini a giacere nell’antica quiete, poiché da questa essi sono fuoriusciti, non è assolutamente desto alcun senso di attività e per il momento neanche può essere desto, [se] in essi l’amore per la completa inattività comincia a prevalere e dunque gli esseri, nonostante ciò, non diventano autonomamente attivi, che fare allora? Si obietterà: “Ebbene, li si costringa usando l’Onnipotenza più che evidente insita nel Creatore!”.

5. Tutto ciò sarebbe giusto; ma che ne sarebbe allora dell’attività assolutamente autonoma, la sola attraverso cui un essere creato può giungere alla piena, indipendente, libera autonomia? Vedi, senza questa enunciata, piena e indipendente autonomia, ogni essere creato resterebbe certo una pura macchina, che diviene attiva solo a seconda della volontà e della libera intelligenza del macchinista!

6. Dunque, da quanto finora esposto voi vedete molto facilmente che la cosa non va e non può andare affatto con un qualsiasi “si deve”; infatti con il “si deve” operano solo le macchine, di cui purtroppo sulla Terra, compresa la Terra stessa, ce n’è una quantità ancora troppo grande e grezza. Anche l’infinito spazio è pieno dappertutto di tali macchine del “si deve”. Infatti tutti gli innumerevoli soli e terre e lune sono pure macchine, e tutti gli esseri corporei su di essi ed in essi lo sono pure, così come anche il corpo di ciascun uomo di per sé non è nient’altro che una ingegnosissima macchina che può essere messa in moto nei modi più svariati mediante la libera volontà dell’anima.

7. Ma se la cosa sta in questi termini, ed è impossibile che sia altrimenti, in quale modo poi avrebbero potuto, i puri esseri spirituali creati per primi, pervenire alla condizionata libera attività spontanea, dalla quale soltanto è possibile giungere alla piena indipendenza? Evidentemente non altrimenti e in nessun altro modo possibile se non con un Comandamento “Tu dovresti”, anche se non così categorico come lo fu nel caso di Adamo. 

8. Ma anche il solo Comandamento sarebbe dato inutilmente se, insieme al Comandamento, contemporaneamente non fosse assegnato all’essere neocreato anche l’impulso o lo stimolo a trasgredirlo. Ma quando viene assegnato all’essere lo stimolo alla trasgressione, deve pure essere assegnata anche una qualche cattiva conseguenza che ne derivi come da sé, in un certo qual modo come una punizione, e all’essere devono essere mostrate le conseguenze, e che queste conseguenze sono reali, e gli si deve mostrare come e perché queste conseguenze sempre seguiranno e devono seguire ad ogni azione contraria al Comandamento dato!

9. Anzi di più: bisogna perfino mostrare all’essere che all’inizio è ben possibile per lui, cioè all’essere che trasgredisce il Comandamento, ottenere un qualche vantaggio di breve durata, ma bisogna mostrargli però che da questo iniziale vantaggio egli in seguito ricaverà sempre uno svantaggio di lunga durata, che poi il porvi rimedio gli costerà sempre molta dura fatica e dolorosi sforzi. Soltanto provvisto di tutto ciò, l’essere neocreato può cominciare a fare un vero uso della propria libera intelligenza e della conseguente capacità di azione, comunque vada, storto o diritto, giusto o non giusto. A farla breve, l’essere neocreato diventa finalmente spontaneamente attivo da sé e così comincia l’atto principale per la piena e vera indipendenza, e alla fine è questo ciò che conta per tutti gli esseri intellettivi creati, poiché con questo mezzo viene raggiunta l’indipendenza, in un modo o nell’altro, per una via più breve oppure più lunga, ed è così prevenuto il pieno annientamento dell’essere intelligente una volta che sia stato creato.

10. Che poi lo stato di indipendenza, al momento, sia beato o non beato, ciò è la stessa cosa, naturalmente rispetto al Creatore; infatti a ciascun essere è lasciata la porta aperta per accedere alla beatitudine per le vie indicate. Se egli lo vuole, tanto meglio per lui; se invece non lo vuole, va bene lo stesso! Infatti allora nessuno ne ha colpa se non l’essere stesso. Egli conserva la sua indipendenza eternamente. Beato o no, allora è proprio la stessa cosa, poiché in fin dei conti egli, come creatura, deve pur tuttavia necessariamente essere conforme all’Ordine totale del Creatore.

11. Ma ora che sappiamo questo, non sarà più troppo difficile dedurre da soli come sia avvenuta la caduta degli spiriti puri creati per primi. Infatti anche a loro dovette essere dato un Comandamento e, assieme a questo, il necessario stimolo alla trasgressione legato a momentanei vantaggi, e dall’altra parte però, benché lo stimolo ad agire secondo il Comandamento non fosse preponderante, era tuttavia chiaramente data la visione degli eterni vantaggi che, anche se un po’ più tardi, sarebbero però sempre sicuramente seguiti, e dovevano necessariamente seguire, all’azione secondo il Comandamento stabilito!

12. Ora, che poi una parte degli esseri osservò il Comandamento e una parte invece lo abbia trasgredito, questo risulta chiaramente dall’esistenza della Creazione materiale visibile, la quale dovette seguire come giudizio, ovvero come la punizione minacciata per la non osservanza del Comandamento dato. Ed essa di per sé, spiritualmente intesa, non è altro che la via più lunga per la beatissima esistenza, completamente libera, degli spiriti creati.

13. D’altra parte, però, il nostro angelo, che ora si trova qui con noi, fornisce la prova altrettanto evidente di come conseguentemente innumerevoli schiere di spiriti liberi allora creati abbiano tuttavia osservato il Comandamento dato, benché esso non fosse rigidamente positivo [categorico] come per Adamo, ed ora tutta la Creazione materiale è sotto ogni riguardo subordinata alla potenza, forza e sapienza di questi spiriti.

14. Però, ovviamente, quest’angelo potrà dare ben poca prova, agli uomini che verranno, del fatto che una stragrande parte degli spiriti puri creati per primi non è caduta per il Comandamento dato, ma tale prova non è neppure affatto necessaria per la beatitudine di ogni singolo uomo, particolarmente fino a quando un qualsiasi uomo non sia ancora pervenuto, per mezzo del proprio spirito, alla piena conoscenza di se stesso.

15. Se però un qualsiasi uomo perviene a questo, allora gli stanno comunque aperti, come si suol dire, tutti i sette Cieli in ogni istante, e là egli può procurarsi prove quante mai ne voglia avere. E con ciò, dunque, si è già provvisto di tutto.

16. Dì tu, Mio caro Cirenio, se ora sei in grado di farti un’idea abbastanza consistente della caduta nel peccato degli spiriti creati per primi!».

 

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Cap. 228

Forza e resistenza

 

1. Risponde Cirenio, ormai tutto contento: «Signore, Tu leggi chiarissimo nel mio cuore ed altrettanto bene vedi nel mio cervello, cosicché certamente meglio di ogni altro puoi giudicare se io ho compreso del tutto la cosa, oppure soltanto a metà. Io almeno credo, per come lo sento, che questa cosa adesso mi sia completamente chiara come il Sole, ma è altrettanto possibile che dietro di essa si tengano celate ancora profondità immense di concetto e di significati, che forse non sono mai ancora balenate per la mente del più perfetto tra gli spiriti angelici perfetti. Ma, comunque sia, sono perfettamente soddisfatto di quello che ora so e ne avrò abbastanza per meditare, per tutto il tempo della mia vita, perché tutto questo è in sé una cosa che sovrasta già ad altezze infinite l’orizzonte massimo della sapienza e della conoscenza umana!

2. Solamente un essere, il quale certamente esiste, resta per me ancora un enigma e questo è Satana e la sua congrega di demoni! Se Tu, o Signore, volessi darmi anche a tale proposito qualche piccolo chiarimento, la mia anima sarà saziata fino alla morte del mio corpo, perché qui vedo ancora assai poco chiaro. Che cosa e chi è veramente Satana, chi e che cosa sono i suoi accoliti che vengono chiamati “demoni”?» 

3. Dico Io: «Anche questo argomento, a volerlo sviscerare a fondo, è per la tua capacità di comprensione alquanto prematuro, però, per illuminare te e tutti voi modestamente anche a questo riguardo, Io voglio tuttavia fornirvi una breve spiegazione adatta al vostro intelletto; dunque ascoltateMi!

4. Vedete, tutto quello che è, che sussiste e che in qualche modo ha esistenza non può essere, sussistere od avere una qualche esistenza se non a causa di un certo continuo conflitto.

5. Ogni esistenza, non eccettuata quella divina[5], ha in sé degli opposti, come negativi e affermativi, che stanno sempre l’uno contro l’altro, come il freddo e il caldo, la tenebra e la luce, il duro e il molle, l’amaro e il dolce, il pesante e il leggero, lo stretto e il largo, l’alto e il basso, l’odio e l’amore, il male e il bene, il falso e il vero, e la menzogna e la verità.

6. Non vi è forza che possa in qualche modo manifestarsi qualora non le si opponga una controforza.

7. Immaginatevi un uomo che ha la forza di mille Golia, tale dunque da poter affrontare un intero esercito di guerrieri. Ma a che cosa gli gioverebbe tutta la sua forza se lo si collocasse come le nuvole nello spazio libero dell’aria? Vedete, la brezza più leggera, capace appena di muovere una foglia qui sul terreno, avrebbe il potere di spingerlo, nonostante tutta la sua forza e robustezza, continuamente nella medesima direzione in cui la stessa brezza spira.

8. Ma affinché il gigante possa fare uso efficace della sua forza, egli deve anzitutto avere un terreno solido che lo sostenga e che gli serva da solido appoggio. Dunque, il terreno rappresenta già un [elemento] opposto al nostro gigante, poiché, per esercitare la propria forza, gli è necessaria la libertà di movimento e, oltre a ciò, anche [uno stato di] solida situazione di stallo dell’[elemento] di appoggio, sul quale poter entrare in rapporto con lo stato di solida quiete dell’appoggio o del terreno e quindi, associando alla propria, la forza di quiete del terreno al quale si appoggia, poter tenere fronte a qualsiasi movimento d’attacco contro di lui. Soltanto in questo modo il gigante può fare veramente uso dalla propria forza. Se il terreno è roccioso, allora non vi sarà alcun movimento d’attacco violento capace di aver ragione di un simile stato di solida quiete, a meno che non sia violenta in un grado pari o superiore al grado di concentrazione del principio di quiete stesso insito nella roccia. Ma se il terreno è molle, e quindi meno in opposizione con la capacità di movimento impetuoso del gigante, allora la forza del gigante troverà nel terreno che gli è contrapposto troppa poca resistenza e perciò potrà far fronte a mala pena ad una forza molto minore che agisce contro. 

9. Per facilitare oltremodo la comprensione di questo fatto, immaginatevi ancora questo gigante che ha, per esempio, la forza sufficiente per sollevare su di un terreno solido il peso di mille uomini, ma mettiamolo invece su un terreno paludoso che abbia appena quel tanto di solidità che occorre per sostenere il peso del gigante e su questo terreno  diamogli da sollevare un peso di dieci, oppure addirittura di cento uomini, ed è certo che non lo alzerà nemmeno di un dito dal suolo, perché, nel momento in cui inizierà ad agire con la sua forza sul peso da sollevare, egli comincerà anche a sprofondare nel terreno molle e tutta la sua forza sarà vana, non avendo sotto di sé alcuna controforza corrispondente alla quale appoggiarsi.

10. Dunque, nessuna forza può avere per sé qualche effetto se prima non entra in un certo qual modo in rapporto di conflitto con una controforza corrispondente. Nel caso del nostro gigante, al suo peso e al suo movimento si oppone evidentemente la rigida quiete del terreno e li vince anche fino ad un certo grado, ed è appunto questa vittoria della quiete passiva del terreno che infine diventa l’ausilio della forza motrice attiva e che ne misura l’energia».

 

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Cap. 229

Dell’essenza di Satana

 

1. (Il Signore:) «Con questo esempio, che speriamo sia stato esposto con sufficiente evidenza, si spiega con chiarezza il perché un essere senza un contro-essere sarebbe come se non esistesse affatto, nello stesso modo in cui anche la forza del nostro gigante sospeso nello spazio libero dell’aria non potrebbe avere nessun effetto corrispondente ad una causa; dunque, affinché ciascun essere possa agire, deve trovarsi di fronte a qualche contro-essere.

2. Di conseguenza questo rapporto deve esistere nella giusta misura in tutto ciò che è, altrimenti sarebbe assolutamente come se tutto ciò che è non fosse!

3. E sempre per questa ragione anche la perfettissima esistenza di Dio in se stessa deve comprendere, sotto ogni aspetto, gli opposti sviluppati in sommo grado, senza i quali non ci sarebbe assolutamente nessun essere. Questi opposti si trovano in permanente stato di lotta fra di loro, ma sempre in modo tale che la continua vittoria di una forza sia sempre d’aiuto all’altra forza, che in un certo qual modo è vinta, così come abbiamo visto quando si parlò della vittoria riportata dal terreno rigido sulla forza agente del nostro gigante.

4. Ora, avendo Dio un giorno voluto creare fuor da Sé degli esseri liberi simili a Lui, allora Egli dovette evidentemente fornire anche ad essi appunto gli opposti in contrasto fra loro, che Egli da ogni eternità possedeva e doveva possedere in Se stesso nelle proporzioni naturalmente migliori e più puramente ponderatissime, altrimenti Egli di certo non sarebbe stato mai operante.

5. Dunque, gli esseri vennero interamente plasmati secondo la Sua immagine e somiglianza[6] e perciò alla fine  dovette venire loro necessariamente conferita  anche la capacità di consolidarsi tramite la lotta degli elementi che si oppongono fra di loro e da Dio riposti negli esseri stessi.

6. Ad ogni essere furono dati, come cosa perfettamente propria, quiete e moto, inerzia e senso di attività, tenebre e luce, amore e ira, violenza e dolcezza e mille altri svariati elementi; ci fu un solo divario e precisamente nella misura.

7. In Dio tutti gli opposti erano già dall’eternità nell’ordine supremamente migliore; negli esseri creati, invece, questi dovevano raggiungere l’ordine dovuto, come per propria iniziativa, mediante la libera lotta, cioè mediante la nota attività spontanea.

8. Ingaggiatasi quindi la lotta, vari furono i risultati. Da una parte la vittoria spettò prevalentemente alla rigida quiete, e conseguentemente il moto si trovò troppo subordinato, per la qual cosa esso continuamente e con tutto ardore si da la massima fatica per rammollire la pietra e ridurla in uno stato più simile e corrispondente ad esso; d’altro lato, invece, il moto riuscì troppo vittorioso in tutte le sue parti e perciò viene continuamente combattuto dalla quiete, più debole di lui, allo scopo di entrare con lui in rapporto corrispondente.

9. Però in molti esseri gli [elementi] opposti hanno raggiunto la giusta misura secondo l’Ordine di Dio, e il loro essere è, in questo modo, un essere completo, poiché essi, tramite le loro capacità intellettive reciproche e affini, si aiutano continuamente nel migliore dei modi fra di loro.

10. Ora vedete, laddove in un essere, durante il proprio libero consolidamento, una qualche forza vuole ridurre, come in gran parte riduce, tutte le altre controforze al silenzio inerte nella loro sfera tramite i suoi sforzi prevalentemente ostinati, avviene che una simile forza si uccide, per così dire, da sola, e si uccide precludendo ogni via che all’occasione potrebbe presentarsi per rendere manifesta la propria forza. Ma una forza senza una corrispondente controforza equivale, come già detto, assolutamente a nessuna forza, cosa questa che abbiamo potuto constatare in modo ben preciso già prima, considerando l’esempio citato del nostro gigante.

11. Una simile forza poi, resasi così in tutto prigioniera di se stessa, deve avere anche naturalmente sempre la tendenza di catturare in sé continuamente ancora più forze, per rendere se stessa più libera nella sua dolorosa esistenza prigioniera. E vedete, questo è appunto quello che viene chiamato “Satana” e “Diavolo”.

12. Satana è una grande personalità ed è corrispondente alla quiete troppo rigida e all’inerzia, poiché questa prima grande personalità creata per prima volle riunire nella propria entità tutte le altre forze ed è però per questo che in se stessa è diventata morta ed incapace d’azione. Però le altre forze vinte in lei, non sono tuttavia immerse nella quiete completa, ma vanno continuamente esplicando un’attività e con ciò si personificano come [entità] indipendenti. Attraverso questa attività però esse animano l’essere fondamentale come di una vita apparente, e questa vita poi è evidentemente solo una vita illusoria in confronto ad una vera libera vita.

13. Tali forze vinte, ma che non vogliono tuttavia riconoscere la vittoria altrui, sono poi quello che di fronte a Satana viene chiamato “diavolo”, oppure “spirito maligno”. 

Ed ora vedi, Mio carissimo Cirenio, con ciò Io ti ho anche dato, riguardo a Satana ed ai suoi accoliti, quel piccolo chiarimento che Mi hai domandato! Ma se tu vuoi saperne di più, parla, ed Io voglio essere ancora più preciso ed ampio nella spiegazione!».

 

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Cap. 230

L’ammaestramento degli spiriti primordiali

 

1. Dice Cirenio: «Una certa idea, per quanto vaga, me la sono certo formata, ed ho come l’impressione di comprendere veramente qualcosa, però siamo ancora molto lontani da una chiarezza anche relativa. La cosa sembra dileguarsi in una spiritualità tanto sottile da assumere, in fatto di chiarezza, un aspetto del tutto differente da quello che può offrire il problema che due pere, messe vicino ad altre due pere, ne formano quattro. Dunque, almeno per conto mio, di una visione chiara a questo riguardo non c’è neppure lontanamente da parlare, perché questo equilibrio delle forze tra loro è un concetto talmente sottile e tenue che non saprei come ammettere che in un essere, come sono io, possa stabilirsi tra dette forze un giusto rapporto conforme al buon ordine e possano, nello stesso essere, bilanciarsi così da rendere possibile la costituzione di un essere perfettamente simile a Dio in ogni sua attività.

2. Io sono dell’opinione che un essere neocreato, come qualcosa di simile siamo tutti noi, non possa per virtù propria assolutamente, in maniera perfetta, venirne a capo e di conseguenza non può in un certo qual modo neppure venirgli addossata proprio tutta la colpa, se egli si è sviluppato del tutto secondo il buon ordine oppure soltanto in parte o addirittura in modo del tutto contrario al buon ordine; infatti chi potrebbe mai attribuire ad un uomo tutta la colpa della sua rozzezza, se costui non avesse fin dalla nascita avuto occasione di esercitarsi nelle maniere civili, come si usa fra la gente educata?

3. Ma come è possibile pensare che gli esseri spirituali primitivi che, prima quali Pensieri originari e Idee originarie di Dio, si sono afferrati in una esistenza, avessero potuto avere già quel discernimento con il cui aiuto essi avrebbero potuto svilupparsi subito secondo l’Ordine del Creatore? Non è possibile che l’essere primordiale, per così dire, personale di Satana abbia avuto il discernimento di un Michele, altrimenti avrebbe dovuto di certo svilupparsi come Michele. In breve, o Signore, io mi trovo ancora molto in sospeso tra la luce e le tenebre e non so proprio come fare per poter veramente penetrare nella luce. Se le vengo troppo vicino, mi fa l’effetto come di essere avvolto da una fiamma, e se invece mi allontano, allora si fa di nuovo tutto oscuro intorno a me e mi trovo ad essere nel punto da cui ero partito.

4. Dunque, almeno per me, occorrerà a questo riguardo versare ancora un po’ più d’olio nel lume del mio intelletto, affinché la questione possa riuscirmi più chiara, sia pure solo lievemente, perché, come sono adesso, mi pare di essere in uno stato mattiniero di dormiveglia. Da un lato mi opprime ancora gli occhi il sonno della notte, mentre dall’altro la luce del giorno li solletica, cosicché non possono più ritornare completamente al sonno. Perciò, o Signore, destami interiormente, altrimenti non è difficile che possa accadermi che, malgrado tanta luce mattutina, debba assumere la parte dell’addormentato rispetto al pieno riconoscimento dell’Ordine divino in ogni sapienza e amore!»

5. Dico Io: «Ma carissimo amico, non per nulla Io ti ho anticipatamente avvertito che simili cose molto difficilmente si possono comprendere a fondo. Però, visto che ci tieni tanto a farti un’idea il più possibile giusta riguardo a questo argomento, allora Io voglio tuttavia provare ad illuminarti maggiormente mediante immagini e similitudini.

6. Anzitutto devo osservare che tu costruisci l’edificio del tuo ragionamento sulla sabbia se credi che Dio abbia affidato agli esseri creati la formazione di se stessi, prima che in loro ci fosse la capacità di riconoscere l’Ordine divino pienamente in sé ed in tutta la sua profondità. In precedenza molti furono gli insegnamenti [impartiti] ed immensi periodi di tempo trascorsero fra il primo divenire dell’ordine creato per primo nei primi esseri e quel periodo di tempo in cui poi a tali spiriti venne affidato il compito della loro formazione derivata dall’attività spontanea.

7. Ricordati del tempo trascorso da Adamo fino a te, e vedi, tutto questo periodo già abbastanza lungo è stato fino ad oggi ed è ancora accompagnato da nient’altro che da insegnamenti provenienti da ogni parte.

8. Ed ora, dopo una così lunga preparazione, sono finalmente venuto Io stesso e mostro chiaramente agli uomini le vie che essi devono percorrere grazie alla loro forza interiore supremamente propria, forza che finora aveva ricevuto la massima formazione possibile per il Pro e per il Contra (il pro e il contro). Soltanto tramite questa Mia presenza viene concessa all’uomo la più piena libera attività per la sua perfezione della vita e con questa una nuova Legge d’Amore la quale abbraccia in sé, nella sua giusta piena misura divina, tutte le altre leggi e tutta la Sapienza di Dio.

9. Se l’uomo d’ora innanzi vivrà secondo questa nuova legge, egli anche immancabilmente costruirà la sua vita del tutto secondo l’Ordine divino e potrà poi subito entrare nella pienezza della vita vera, liberissima ed eterna. 

Ma se egli non accetterà una tale nuova legge della vita e non vi conformerà tutta l’azione per proprio spontaneo impulso, allora certo non raggiungerà lo scopo della vera perfezione della vita!

10. Ma nessuno potrà poi dire: “Io non ho saputo quello che avrei dovuto fare!” e se un uomo, per quanto dimori lontano da qui, nonostante ciò dirà: “Fino al mio orecchio non è giunta la chiamata di Dio”, allora gli sarà ribattuto: “Da quest’ora in poi non c’è nessuno sulla Terra nel cui cuore non sia stata resa chiara la nozione di quello che è perfettamente giusto e buono fra gli uomini”.

11. A ciascuno verrà posta nel suo cuore una voce ammonitrice che gli indicherà ciò che è buono e unicamente vero. Chi darà ascolto a questa voce e farà secondo i suoi suggerimenti, costui giungerà alla luce più grande e questa gli illuminerà tutti i sentieri dell’Ordine divino».

 

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Cap. 231

Le conseguenze della caduta di Lucifero

 

1. (Il Signore:) «Ma quanto è breve il periodo di tempo da Adamo fino ad oggi, se paragonato alla durata quasi infinita per i concetti umani dei periodi dal primo divenire fondamentale degli spiriti primordiali creati fino all’epoca in cui furono posti nel pieno possesso e nel pieno uso della loro libera volontà! E poi di nuovo quale incalcolabile durata del tempo dalla loro caduta fino ai giorni di Adamo ed ai nostri!

2. Vedi, nell’infinitissimo spazio della Creazione vi sono certi soli primordiali, e per conseguenza soli-centrali primordiali, che a causa dell’immensa distanza che li separa dalla Terra, quantunque siano un numero inesprimibile di volte più grandi di questa Terra, appaiono a mala pena come piccoli puntini scintillanti, e questo soltanto a chi possiede una vista acutissima! Questi soli primordiali hanno circa l’età che corrisponde al periodo della caduta degli spiriti primordiali fino ai tempi attuali. E vedi, se si volesse esprimere in cifre l’età di questi soli, secondo la misura degli anni terrestri, non sarebbe possibile, neppure coprendo di cifre tutta la Terra, scrivere un numero sufficiente per esprimere la sterminata moltitudine degli anni terrestri occorrenti! E quand’anche tu prendessi per mille volte mille anni di questa Terra un piccolissimo granello di sabbia e calcolassi il tempo sulla base di questa unità di misura, supponendo che la Terra sia composta in tutto il suo volume, i mari compresi, da altrettanti granellini di sabbia, il periodo di tempo così ottenuto sarebbe ancora di molto troppo piccolo per indicare l’età di un simile Sole!

3. Un tale periodo ebbe, come vedi, una durata già discretamente lunga, e tuttavia esso può appena dirsi qualcosa in confronto a quei periodi primordiali nei quali Dio cominciò, dai Suoi Pensieri e dalle Sue Idee, a formare i primi spiriti e a renderli indipendenti! E che cosa non è stato fatto durante questo periodo infinitamente lungo per la piena formazione della libera volontà degli spiriti primordiali!

4. E tuttavia alla fine di quei periodi di formazione infinitamente lunghi degli spiriti primordiali, si trovò ancora una quantità grandissima di tali spiriti i quali, quantunque ben comprendessero le giuste vie di formazione di Dio, alla fine però non vollero sapere comunque niente di restare liberamente su queste vie, ma invece, abbagliati dal miraggio di vantaggi più rapidi anche se solo di breve durata, deviarono dalla comandata e ben indicata via dell’Ordine di Dio e si misero a percorrere la via della propria rovina.

5. Infatti il principale spirito di luce, in cui erano insiti innumerevoli altri spiriti di luce, ciascuno riccamente provveduto di intelligenze in numero sconfinato, disse fra sé: “Perché attendere ancora? In me giacciono tutte le caratteristiche come in Dio, e Dio ha posto in me tutta la Sua Forza. Ora io sono forte e potente sopra ogni cosa. Tutto quello che Egli aveva, lo ha dato, ponendolo fuori da Sé, ed io ho preso tutto. Ora Dio non ha più nulla, io invece ho tutto; e ora noi vogliamo vedere se il vantaggio che dovrebbe seguire alla trasgressione del comandamento dato, sarà veramente solo di breve durata. Noi riteniamo che con la nostra presente piena forza e potenza, saremo ben in grado di prolungare per delle eternità la durata, che dovrebbe essere breve, dei vantaggi che ne dovrebbero risultare. Chi mai potrà impedircelo? All’infuori di noi, lo spazio infinito che ora è riempito da noi, non porta più alcuna altra potenza e intelligenza che sia superiore alla nostra; chi, dinque, sarà capace di disputarci il vantaggio?”

6. Vedete, in questo modo pensò e parlò lo spirito di luce tra sé e, in tal modo, alla sua schiera di spiriti separati e a lui subordinati! Così disse e così fece, e la conseguenza fu che si incarcerò da se stesso nella propria inerzia, andò condensandosi sempre più e la conseguenza di ciò fu la creazione della materia, altrettanto completamente sulla via dell’Ordine divino; infatti, il risultato certo della non osservanza del comandamento divino era stato, con altrettanta precisione, previsto, quanto la liberissima condizione di quegli spiriti che avevano adempiuto in sé il comandamento di Dio.

7. Ed ecco come, per effetto di tale caduta, lo spirito principale e con lui tutti i suoi imparentati spiriti subordinati, si rese da solo prigioniero in se stesso nella maniera più tenace e amara. Ora, per quanto tempo ancora gli piaccia persistere in un tale stato di prigionia, questo, all’infuori di Dio, non lo sa nessuno nell’intera infinità, nemmeno gli angeli.

8. Però una cosa è certa, e cioè che ora, fuori da questo figlio della Luce perduto, gli spiriti separati vengono di nuovo ridestati dalla Potenza di Dio e posti nella carne come figli del mondo, e a loro, allo stesso modo che ai figli dall’alto, è data l’occasione di elevarsi alla suprema perfezione di figli di Dio.

9. Tutta la materia, dunque, è spirito separato che, come anima in ogni singolo uomo, può rinascere per la vita eterna nel suo spirito. Quando tutti gli spiriti separati sono elevati fuori dalla materia di un mondo, allora, per un tale mondo, è giunta anche la completa fine della sua esistenza.

10. Certamente, trattandosi di un mondo come è questa Terra, il processo diventa discretamente lungo, eppure, un giorno verrà anche la fine».

 

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Cap. 232

Involucro e anima.

 

1. (Il Signore:) «Tuttavia nella materia c’è qualcosa che non si troverà mai completamente in un’anima, e questa consiste nella nota sostanza dell’involucro nella quale viene sempre rinchiusa una qualche potenza animica particolare, fino a quando essa ha raggiunto un certo grado di maturità di indipendenza. Giunta la potenza animica particolare a questo certo grado di maturità, essa lacera il sottile involucro, si unisce poi ad altre potenze particolari resesi già libere, simili od almeno ben corrispondenti a lei, e dagli elementi corrispondenti dell’aria, dell’acqua o della terra si forma subito di nuovo intorno a sé un qualche involucro, come potete constatare nei semi delle piante, degli arbusti ed alberi e più evidentemente anche nelle uova degli insetti, degli uccelli e finalmente negli animali dell’acqua ecc. 

2. L’involucro è sempre soltanto una fissazione di volontà che si emana dall’Ordine divino e non ha dunque in sé e per sé niente di animicamente intelligente, ma è invece semplicemente un mezzo necessario per il quale una intelligenza animica, in questo suo stato di isolamento, può con il tempo evolversi – come anche davvero si evolve – ed essere veramente del tutto indipendente e libera.

3. Il mondo della materia è quindi per due terzi anima e per un terzo è sostanza dell’involucro senz’anima quale portatore della vita animica [la quale è] dapprima separata e in seguito sempre più raccolta e alla fine già del tutto concreta e matura. Perciò la materia dell’involucro, ovvero la Volontà fissata di Dio, è anche un istituto di redenzione per mezzo del quale gli spiriti separati caduti insieme a causa della caduta di Satana, possono giungere, secondo l’ordine esistente, di nuovo ad una libertà del tutto indipendente, anche se seguendo una via più lunga di quanto sarebbe stata quella dei primi periodi.

4. Ma siccome il tempo non è mai d’imbarazzo per Dio, né può renderLo perplesso od esserGli di noia, perché nella realizzazione delle Sue grandi Idee Egli ha sempre presente davanti i Suoi occhi onniveggenti il perfettissimo raggiungimento dei Suoi piani, non importa se il tempo richiesto sia breve o lungo, così, dinanzi a Dio, mille anni sono come un giorno, ovvero come un attimo, e in questa maniera, per la totale liberazione di tutti gli spiriti racchiusi nel suo involucro di materia, un mondo può richiedere più anni di quanti sarebbero espressi dal numero indicibilmente grande dei granelli di finissima sabbia capaci di essere contenuti in esso, e tuttavia anche un simile periodo di tempo finisce con il risultare di fronte a Dio niente più e niente meno di un brevissimo istante soltanto.

5. Ed Io vi dico inoltre che nello spazio sconfinato della Creazione ci sono già alcuni mondi che hanno interamente compiuto il loro servizio. Tuttavia essi esistono ancora e continueranno ad esistere quali portatori di nuovi esseri liberi, soltanto che essi sono molto più puri e solidi e, nella loro struttura, sempre immutabilmente uguali così come la ferma Volontà di Dio, corrispondente alla Sua Sapienza ed al Suo Ordine, eternamente uguale, è e deve essere pure uguale per l’eternità, poiché senza tale solidità una qualche durata non potrebbe esistere per nessun essere.

6. Infatti anche se gli esseri dopo il loro perfezionamento spirituale hanno un essere perfetto che sta lì del tutto indipendente dall’Essere di Dio, eppure una tale indipendenza, per così dire assoluta, non avrebbe né potrebbe avere nessuna durata, qualora questa non fosse stata stabilita da Dio, già anticipatamente dall’eternità, nella cerchia del Suo Ordine e non fosse la stessa cosa con il Suo Ordine. Ora è proprio grazie a questa solidità dall’eternità per tutti gli esseri creati che ad ogni essere creato viene continuamente procacciata e mantenuta la durata eterna.

7. Ma da tutto ciò risulta anche, per così dire, da sé che assolutamente nessuna cosa, una volta che in qualche modo sia stata chiamata all’esistenza da Dio, può mai cessare di esistere ed essere annientata. Può certo cambiare forma e passare da una forma meno nobile a forme superiori sempre più nobili ed anche viceversa, come abbiamo visto nel caso dei primi spiriti creati, ma non può più venire annientato niente, una volta che Dio lo abbia chiamato ad una qualche esistenza! DimMi ora, o Cirenio, se la cosa ti pare più chiara!».

 

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Cap. 233

Del sapere.

 

1. Risponde Cirenio: «Ma, Signore e Maestro! La cosa mi è ormai chiara quel tanto che può esserlo per uno spirito ancora lento, nella sua qualità di essere terreno. Certo è che io potrei fare diverse altre domande riguardo a svariatissimi punti, ma mi accorgo sempre più che proprio un grande sapere non va nemmeno bene per l’uomo, perché con ciò egli diventa certamente sapiente, ma in compenso, quale uomo d’azione, non è per niente speciale.

2. Un uomo che ha troppa sapienza mi pare simile ad un uomo carico di beni e ricchezze terrene. A che scopo lavorare la terra e perché poi aggiogare i buoi all’aratro? I suoi granai sono al completo e le sue cantine rigurgitano dei migliori vini; nelle sue camere non si contano l’oro, l’argento, le grosse perle e le pietre preziose! Egli si rende conto che sobbarcarsi ulteriori fatiche per lavorare la terra sarebbe una grande pazzia; perciò si dedica al riposo e si gode senza pensieri di sorta le sue immense ricchezze.

3. Ora, come già detto, nello stesso modo potrà ed infine dovrà procedere anche l’ultrasapiente; colui che non sa molte cose, cerca, esamina e prova una grande gioia quando riesce a scoprire qualche nuova verità. L’ultrasapiente, invece, non può più trovare molto di nuovo e quindi diventa evidentemente e necessariamente pigro, mentre il discepolo si occupa di qualche ramo dello scibile con impegno e quasi giorno e notte va scrutando, per chiarirsi il più possibile le cose che gli sembrano occulte molto più dell’ordinario. Dunque di questa sfera io ora ne so abbastanza; quello che ancora mi manca varrà a tenermi in una attività continua. Ho ragione di pensarla così, oppure no?»

4. Dico Io: «Il troppo e il troppo poco non hanno qui un grande significato; tuttavia è sempre meglio un po’ troppo che un po’ troppo poco, perché chi ha in abbondanza può poi dare con tutta facilità ciò che ha in eccedenza a coloro che ne soffrono la mancanza, e ad essi il dono tornerà sempre ben utile, ma per chi ha troppo poco, la prospettiva di poter donare sarà piuttosto magra. Per questo, per quanto riguarda la vera sapienza, un po’ troppo è sempre migliore di troppo poco. Del resto sono d’accordo anch’Io che nemmeno per un angelo sarebbe bene essere onnisciente al pari di Dio!

5. Però Dio ha provveduto anche a questo, poiché come uno spirito non potrà mai al pari di Dio riempire tutto l’Infinito, così anche la sapienza dello spirito più perfetto non sarà mai in grado di scrutare ed abbracciare tutte le profondità della Sapienza divina. Comprendi anche questo?»

6. Dice Cirenio: «Oh sì, lo comprendo certo e già dai tempi antichi è in voga tra noi romani un proverbio molto saggio, diffuso ora anche tra i greci e gli egiziani, il quale concisamente suona: “Quod licet Jovi, non licet bovi” (Quello che è permesso a Giove, non è permesso ad un bue, cioè una cosa non è da tutti), ed io credo che questo proverbio, quantunque fiorito tra i pagani, come vengono chiamati quei popoli dagli israeliti, sia perfettamente a posto anche qui.

7. Di fronte a Dio tanto gli uomini quanto gli angeli restano sicuramente per l’eternità i cari “boves” (buoi) ed è anche bene che sia così, perché, almeno per quello che mi riguarda, credo di non essere affatto costituito per accogliere una sapienza troppo vasta. È già nella natura delle cose il fatto che in ogni essere creato tutte le attrattive della vita finirebbero con lo svanire se nella totalità dell’Infinito non vi fosse assolutamente più nulla che allo spirito umano non riuscisse chiaro e conosciuto così bene come sono conosciute ad un padrone di casa le stanze della sua abitazione.

8. E perciò Jehova ha fatto una cosa molto buona e supremamente saggia quando ha disposto che uno spirito, sia pure il più perfetto, ma tuttavia creato, non debba né possa, in tutta la sua sapienza, avvicinarsi mai neanche in modo infinitesimale alla Sapienza di Dio, perché quello che è infinito non può mai in eterno venire raggiunto da ciò che è finito! 

9. Ma ora lasciamo stare questo argomento, perché il dedicarvi altre parole sarebbe davvero quanto mai inutile, mentre vi sono tante altre cose ancora la cui spiegazione ci è sicuramente più necessaria dello stabilire come il debole spirito umano potrebbe misurare la Sapienza divina. È chiaro che l’amore occupa un posto notevolmente più alto di tutta la sapienza degli uomini e degli spiriti, per quanto grande essa sia!

10. Tu hai detto poco fa che l’antica cicatrice dell’anima si potrebbe guarire del tutto e che l’anima stessa potrebbe interamente liberarsi dall’antico male ereditario mediante la nuova legge dell’amore del prossimo e che poi la coscienza pienissima della vera vita eterna potrebbe rientrare nell’uomo in tutta chiarezza e potenza. Questo sarebbe certo per l’uomo sulla Terra il vantaggio più grande, perché soltanto con ciò egli diventerebbe del tutto uomo e potrebbe senza alcun dubbio già in questa vita terrena compiere delle opere veramente grandi ed illustri.

11. Con il sentimento sempre presente della morte sicura e della scomparsa dalla scena della vita, il quale continuamente tormenta l’umanità, l’uomo deve finire con il perdere tutto il coraggio di dedicarsi a qualcosa di superiore, oppure deve buttarsi a capofitto tra i piaceri mondani per sfuggire con ciò al pensiero della certa futura morte e godersi così la vita come se fosse eterna! È dunque della massima importanza che venga dato all’uomo un simile Comandamento, con l’osservanza del quale egli possa ritrovare e conservare per l’eternità in sé quel Paradiso che un giorno Adamo ha perso. Il Comandamento del vero e autentico amore per il prossimo deve restituirci il perduto.

12. Ma qui si affaccia la domanda, e cioè come un Comandamento talmente importante debba venir osservato nell’Ordine di Dio per poter – dico – certamente e non a metà, bensì interamente, raggiungere la grande meta da Te promessa»

13. Dico Io: «Questa è da parte tua una osservazione davvero buona e giusta ed Io ti darò anche in proposito una risposta giusta, ma anzitutto vogliamo sentire ancora dal vostro vecchio e buon Marco quali sono le sue idee rispetto a questo prossimo, al quale si deve dedicare tutto l’amore; soltanto dopo Io vi darò la vera e piena risposta, assieme ai debiti chiarimenti. Dunque, dicci ora tu, Mio caro Marco, chi, secondo la tua opinione, si deve considerare propriamente quale prossimo e a chi si deve dimostrare fattivamente tutto l’amore!».

 

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Cap. 234

Il parere di Marco sul suo prossimo.

 

1. Dice il vecchio Marco: «Signore, tutto quello che ho finora sentito qui insieme alla mia famiglia mi ha talmente commosso che, con tutta la miglior buona volontà del mondo, non mi sentirei capace di esprimere neanche una parola ragionevole, per non parlare poi del decidere chi di fronte a me sia il mio prossimo. 

2. Naturalmente, sarebbe in primo luogo prossimo mio colui che mi fosse corporalmente più vicino e se egli avesse bisogno di qualche aiuto, dovrei accordarglielo. Poi sarebbero prossimi i miei vicini e se venissero ad invocare soccorso, non dovrei loro negarlo. Così pure sono mio prossimo mia moglie ed i miei figli ed è mio dovere provvedere al loro benessere ed al loro progresso spirituale e materiale.

3. Quando io ero soldato, anche i miei commilitoni erano mio prossimo ed era mio obbligo prestare loro aiuto in caso di bisogno. D’altro canto, qualunque essere umano, a qualsiasi religione appartenga, in caso di bisogno è anche lui mio prossimo, ed io non devo passargli dinanzi ignorandolo, qualora egli abbia bisogno del mio aiuto oppure invochi aiuto da me.

4. Anzi, credo che non si debba rifiutare soccorso nemmeno ad un animale domestico, se si vede che questo ne ha bisogno. Per concludere dirò che, secondo il mio limitato intelletto, l’uomo deve cercare di imitare, quanto più possibile, il governo di Dio e deve regolare su di questo tutte le forme della sua attività, facendo anch’egli risplendere il suo Sole su tutte le creature, precisamente così come fa Dio stesso.

5. Certamente, l’uomo, che è un essere limitatissimo al paragone di Dio, può soltanto in misura molto limitata imitare Dio, suo Creatore, però, siccome egli porta già in sé la somiglianza di Dio o propriamente è creato a Sua immagine, egli deve anche tendere a formare e perfezionare in sé quello per cui gli sono state conferite le necessarie capacità. Questa è all’incirca la mia opinione, ma Tu, o Signore, darai a noi tutti una precisa spiegazione, perché io ascolto la Tua parola mille volte più volentieri di quando sono io a parlare! Parla dunque Tu adesso, o Signore, purché Tu voglia ancora dirci qualcosa stanotte!»

6. Dico Io: «Sì, Io parlerò, quantunque sia già mezzanotte. Ora però facciamo una piccola pausa e stiamo in ascolto; forse dal mare giungerà fino a noi qualche invocazione di soccorso!».

7. Subito dopo questa Mia osservazione si udirono dalla parte del mare dei rumori, tra i quali si percepivano molto bene delle voci umane. Allora Marco ed i suoi figli Mi domandarono in fretta se dovevano andare a vedere di che cosa si trattasse, per eventualmente portare aiuto a dei disgraziati che forse lottavano su una barca malconcia contro il forte vento di mezzanotte o che erano alle prese con qualche vortice che non di rado veniva formandosi dinanzi alla grande insenatura.

8. Allora dico Io: «Si tratta veramente di una vecchia nave piena di giovani leviti e farisei, i quali vengono dai dintorni di Cafarnao e di Nazaret e sono diretti a Gerusalemme. Essi hanno preferito la via del mare a quella di terra, perché in primo luogo è più breve ed in secondo luogo non è tanto faticosa, ma a Sibarah non hanno potuto trovare altro che una barca da pesca già piuttosto malridotta ed ora, essendosi levato un vento abbastanza violento, si trovano in grande difficoltà, cosicché, se da qualche parte non giungono loro degli aiuti, è probabile che debbano colare a picco!»

9. E Marco esclama: «Signore! In verità se si tratta di quei figuri, proprio non è un gran danno anche se finiscono in pasto ai pesci! Quasi, quasi, non avrei una grande premura di volare in loro soccorso. Ma se Tu lo vuoi, sarà in ogni modo portato loro aiuto»

10. Dico Io: «Hai pur detto tu stesso molto giustamente che l’uomo, creato ad immagine di Dio, deve, mettendo a profitto le capacità che gli sono state conferite, cercare di diventare in tutto simile a Dio e deve far risplendere anch’egli il suo piccolo sole, che porta nel cuore, su tutte le creature e deve infine considerare prossimo suo chiunque, amico o nemico che sia, qualora si trovi in gravi difficoltà ed abbia bisogno di aiuto!

11. Vedi, le tue parole sono giuste e vere, ma perciò devi anche conformemente agire, altrimenti ci mancherebbe molto ancora perché la verità avesse dimora viva in te! Infatti la verità pura poco o niente giova all’uomo per la vita eterna finché egli non l’abbia fatta viva in sé mediante l’azione, ma quando egli ha fatto ciò, la luce di vita eterna giunge poi a torrenti e rischiara allora tutti i più riposti meandri dell’anima umana, non diversamente da come fa il Sole in pieno mezzogiorno, che penetra con i suoi raggi in tutte le valli e le fosse, per quanto profonde, le riscalda e le riempie così della sua vita. Perciò ora fa ciò che vuoi!»

12. E Marco esclama: «Allora si faccia presto ad andare in loro soccorso, anche se quella nave marcia fosse carica di soli orsi, tigri, leoni o iene!».

13. Immediatamente Marco e i suoi figli corsero alla riva, salirono su una solida barca da pesca abbastanza grande e fecero forza coi remi nella direzione da dove giungevano sempre più acute le grida di aiuto.

 

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Cap. 235

Marco salva i farisei naufraghi.

 

1. Quando Marco, dopo pochi istanti, si fu avvicinato alla navicella che stava quasi per affondare, gridò ai malcapitati di trasferirsi sulla sua barca, prese poi a rimorchio la navicella malridotta di Sibarah e così riguadagnò la riva. I salvati erano circa una trentina.

2. E subito, quando si trovarono sani e salvi sulla terra asciutta, i leviti domandarono immediatamente al nocchiero che compenso gli era dovuto per le sue fatiche, avendo essi riconosciuto che avevano a che fare con un vecchio romano. Se si fosse invece trattato di un ebreo, non gli avrebbero certamente domandato nulla di simile, perché sarebbe stato lui invece a dover reputare una grazia immensa che Jehova lo avesse degnato di permettere che Lui, per sua intermediazione, avesse salvato i Suoi servitori da un pericolo! Infatti Jehova consentiva che fatti simili si avverassero ogni tanto per amore degli uomini, perché fosse data loro occasione di dimostrare la fermezza della loro fede e l’incrollabile attaccamento al Tempio, il quale solo era una vera dimora di Dio sulla Terra, come nessun’altra in eterno!

3. Però Marco disse: «Quantunque io sia un vecchio romano, tuttavia conosco il vero Dio meglio di voi tutti, perché – continuò egli a dire ai salvati – se voi conosceste veramente Dio, non sareste davvero né leviti né farisei, ma semplicemente degli uomini! Ma appunto perché voi non conoscete minimamente Colui il Quale immaginate di servire, io vi dico: “Sia maledetto chi, dopo aver soccorso il fratello bisognoso, gli chiede una ricompensa!”. Infatti Dio non lascia mai senza premio una buona azione che abbiamo compiuto nel Suo Nome, ma se la ricompensa ce la dà Dio, che solo può veramente ricompensare ciascuno, come e per quale ragione dovremmo noi chiederci reciprocamente un compenso? Voi perciò siete, dal primo all’ultimo, dei pessimi servitori di Dio, poiché asserite di servire Dio, ma per fare questo voi pretendete dai poveri una ricompensa molto spesso esorbitante.

4. Imparate ora da me, vecchio guerriero della potente Roma, come è bene servire il vero Dio, vivente in eterno ed onnipotente, qualora si voglia venire guardati e ricompensati da Lui!

5. Perciò non accetto mai un compenso da chi ho aiutato nel momento del bisogno, ma quando ho lavorato per me e per la mia famiglia, allora prendo anche il compenso che mi spetta per le mie fatiche e mi faccio pagare in modo equo i pesci che porto al mercato. Se adesso volete avere qualcosa da mangiare e da bere, quello che potrò darvi me lo farò pagare da voi, secondo equità»

6. Dicono i salvati: «In verità dalle tue parole bisogna arguire che sei un ebreo e non un pagano, perché tanto sinceramente non abbiamo mai udito parlare nessun pagano. Noi non prenderemo assolutamente in malo modo quello che ci hai detto! Né noi siamo affatto tanto radicalmente d’accordo con tutto quello per cui tu a ragione ci fai oggetto di biasimo e di rimprovero, ma ci troviamo ormai trascinati dalla corrente e dobbiamo, almeno al cospetto del Tempio, nuotare seguendo la corrente. Se avessimo una qualche altra prospettiva, nessuno più di noi sarebbe sollecito a voltare le spalle al Tempio, perché siamo persuasi che in nessun luogo Dio si trova meno che nel nostro Tempio! Ma cosa potremmo o cosa dovremmo fare contro a questo? Oh noi, come te, vediamo anche troppo bene che il Tempio di Gerusalemme non è ormai nient’altro che un immenso istituto di inganni, dietro il quale non c’è più nemmeno una sillaba, per non dir poi una parola vera, però questo istituto è sanzionato dalla grande potenza di Roma e allora non si può fare più niente contro ad esso.

7. Se c’è ancora un qualche Dio vero e vivente, Egli saprà comunque mettere gloriosamente fine ad un tale disordine e ad un simile scandalo; ma se un vero Dio non esiste e se di conseguenza tutto quello che conosciamo e sappiamo altro non è che una vecchia finzione o una favola essena, non ci resta che fingere e favoleggiare anche noi e il mondo, che dal canto suo sembra sempre preferire l’inganno alla verità, si trova ad essere perfettamente contento. Di più non possiamo affatto pretendere né da noi né dal mondo cieco!» 

8. Dice Marco: «Voi siete davvero della bella gente e dei begli eroi! Epicuro è il vostro maestro, anche se non di persona – dato che ha scambiato da molto il tempo per l’eternità – ma tanto più di fatto, secondo la sua filosofia del ventre. Ditemi, dunque, se voi volete mangiare e bere qualcosa, ed io vedrò di soddisfare i vostri desideri!»

9. Chiede uno di loro: «Chi sono quegli altri ospiti, lì vicino alla tua abitazione, ancora desti, malgrado l’ora tarda? La cosa ci meraviglia, perché dovrebbe essere già circa mezzanotte. Si tratta forse di altri salvati? Ciò non sarebbe strano, visto lo stato del mare burrascoso, anche senza che ci sia un vento particolarmente forte!»

10. Risponde Marco: «Quegli ospiti poco vi interessano e sono personaggi romani troppo altolocati perché possiate azzardarvi di andare loro vicino. Insomma, il vostro carattere sta troppo al di sotto di quello di simili ospiti. Fra gli altri c’è anche il comandante Giulio di Genezaret; se avete qualcosa da dirgli, posso pregarlo di venire da voi!».

11. Quando i giovani farisei e leviti ebbero udito quel nome, furono colti da grande spavento e pregarono Marco di risparmiare loro almeno quella conoscenza, perché, secondo loro, costui non era un uomo, ma uno spietatissimo diavolo! Va notato che fra gli altri ce n’erano alcuni di quelli ai quali Giulio, pochi giorni prima a Genezaret, aveva fatto otturare occhi ed orecchi con l’argilla, facendoli poi trasportare sotto scorta militare a Cafarnao. Ciò serve a spiegare il loro terrore, poiché pensavano che Giulio non avrebbe mancato di infliggere loro nuovamente un simile trattamento.

12. Però Marco disse: «Qui non avete niente da temere all’infuori di una revisione delle licenze di viaggio che, come è noto, è praticata dai romani in generale con gran severità»

13. Dice uno dei leviti: «Precisamente questa è per noi la pietra dello scandalo. Il Tempio non vuole ancora saperne di adattarsi a questa disposizione delle autorità romane e noi, che siamo servitori del Tempio di grado inferiore, veniamo, a causa di ciò, a trovarci in mille imbarazzi e noie che nessuno più ci risarcisce, né il Tempio né meno ancora qualcun altro; eppure il Tempio ci obbliga ad intraprendere ogni tipo di viaggi da un capo all’altro del mondo e se qualche malanno ci capita, dobbiamo tenercelo e non vi è indennizzo da sperare da nessuna parte.

14. Noi siamo, è vero, figli di genitori ricchi, altrimenti il Tempio sicuramente non ci avrebbe adescati al suo servizio; ormai siamo ben condannati dalle leggi che imperano tra le mura e non possiamo più liberarcene. La conseguenza che ne risulta è che ora dobbiamo sostenere veramente la parte del capro espiatorio per tutto il mondo! Noi ci troviamo definitivamente sotto il giogo della vera dannazione del mondo intero; rendici tu la libertà, se puoi. Da una parte il fanatismo dei nostri genitori e parenti, dall’altra il ferreo dovere imposto dal Tempio: in queste condizioni si muova allora liberamente chi può e vuole, noi purtroppo non lo possiamo fare!» 

15. Dice Marco: «Sapete una cosa? Dalle vostre parole mi pare di comprendere che tuttavia non sarete del tutto fuori posto vicino alla comitiva che c’è là davanti a casa mia. Venite con me, vedrò di mettere una buona parola per voi! Forse riesco a salvarvi dalle fauci del Tempio che, a quanto mi dite, si cura con “tanto senso di umanità” di voi, suoi servitori!»

16. Osservano i salvati: «Sarebbe tutto bello e buono, se non ci fosse quel Giulio, perché non abbiamo con noi nessuna licenza di viaggio!»

17. Dice Marco: «Ebbene, caso mai ve ne procurerà una egli stesso!»

18. Dicono i salvati: «Oh, ne siamo ben persuasi; ma di che specie?»

19. Dice Marco: «Venite e seguitemi! La licenza di viaggio sarà migliore di quello che supponete, perché Giulio è, come me, un amico degli animi sinceri!».

20. I salvati si lasciano finalmente convincere dalle insistenze del vecchio Marco e dei suoi due figli e Marco, tutto allegro, li conduce da noi, quantunque il loro passo tradisca ancora una qualche incertezza.

 

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Cap. 236

Critica dei farisei su Giulio.

 

1. Giunta la compagnia vicino a noi, le viene fatto subito posto, cosicché in breve tutti si trovano accomodati ad una mensa collocata accanto alla nostra.

2. Poi Marco viene da Me e Mi domanda se devo offrire ai salvati sale, pane e vino.

3. Ed Io gli dico: «Interroga loro e il tuo cuore, e senti se essi chiedono qualche cosa e se il tuo cuore è perfettamente disposto a dare. Se essi domandano e il tuo cuore vuole dare, allora dà. Infatti, vedi, questa è anche una norma principale del vero amore del prossimo: il prossimo deve domandare o per mezzo di parole percettibili o con invocazioni d’aiuto, oppure, nel peggior dei casi, con l’atteggiamento muto del bisogno facilmente riconoscibile. Il tuo cuore poi deve subito per amore volere fermamente quell’attività necessaria a tradurre in atti l’impulso che la anima; allora l’amore del prossimo appare veramente esercitato nell’Ordine divino e gli effetti di un tale agire per l’anima e per lo spirito del donatore non tarderanno a farsi sentire! Mi comprendi?»

4. Dice Marco: «Sì, o Signore, ora comprendo perfettamente, ed anche farò immediatamente secondo questo Tuo insegnamento»

5. Dico Io: «Dunque va’ e non fare menzione di Me. È bene non fidarsi molto ancora di loro, poiché una densa notte avvolge ancora i loro cuori e la loro anima è ancora ben lontana dal capire la profondità della verità».

6. Allora Marco ritorna sollecito dai salvati e domanda loro se e che cosa desiderino per ristorare il loro corpo. 

7. Risponde uno fra i molti: «Amico, noi veramente abbiamo fame e sete, ma tutto quello che possediamo si riduce ormai a soli nove denari e con questi certamente ben poco si potrà ottenere qui in questo paese notoriamente scarso di pane; tuttavia, se qualcosa puoi darci, daccela e noi ti pagheremo con i nove denari!»

8. Dice Marco: «Se è così, non c’è bisogno dei nove denari e voi avrete ugualmente da mangiare e da bere a sufficienza».

9. Marco chiama subito sua moglie e i suoi figli ed ordina loro di provvedere alla compagnia arrivata da poco il meglio possibile di pane, sale e vino, perché, data l’ora molto inoltrata, non sarebbe stato facile apparecchiare altro. La mattina poi il trattamento sarebbe stato ad ogni modo migliore. Immediatamente viene servito quanto era stato ordinato ed i salvati non fanno complimenti e danno l’assalto al pane ed al vino profondendosi in lodi per la loro squisitezza.

10. Alcuni dicono che si tratta di un vino reale egiziano, altri lo ritengono di origine persiana, uno infine lo reputa vino di provenienza romana!

11. Marco però osserva: «Niente di tutto ciò. Il vino è proprio originario di qui!». La cosa provoca in tutti grande meraviglia, perché era noto in tutto il paese degli Ebrei che la Galilea aveva il peggior vino di ogni altro di quei paesi.

12. Ma, dopo che un discreto onore fu fatto al vino, tra i nuovi arrivati andò manifestandosi una certa animazione ed essi cominciarono, come si suol dire, a far venire a galla la verità, senza avere soggezione di noi che ci trovavamo vicinissimi a loro.

13. E Giulio, il quale sedeva quasi al loro fianco, domandò, più per scherzo che seriamente, ad un giovane fariseo se egli non avesse forse qualche faccenda da sbrigare a Genezaret.

14. Dice l’interrogato: «Signore, chiunque tu sia, o di Cesarea o di Genezaret, ciò mi è indifferente! Quella non è una città, ma una tana neanche degna di ospitare il demonio, nonché un galantuomo della mia specie! Quel brutto covo non mi vedrà una seconda volta finché vivo! Lì sta di casa un certo comandante romano di nome Giulio e questo basta, perché con questo nome è già detto tutto quello che si potrebbe dire di Satana! Chi mai fra i mortali gli si è avvicinato, costui ha fatto anche la conoscenza di Satana in persona! La sua persona non l’ho veramente ancora vista in nessun luogo, ma ho invece avuto occasione di provare gli effetti dei suoi ordini e devo concludere che la sua persona non può che rispecchiare perfettamente l’inumanità delle sue disposizioni.

15. Pare che quel Giulio sia un nemico dichiarato di tutti gli abitanti di Gerusalemme; altrimenti non sarebbe immaginabile come egli possa fare un trattamento così barbaro, spietato e veramente satanico ad uomini della nostra specie! 

16. È bensì vero che non si può essere propriamente ben disposti, specialmente verso la gente del Tempio, una volta accortisi di tutte le perfidie, i raggiri ed i soprusi che là si commettono, però dappertutto vi sono anche delle eccezioni ed un giudizio bisogna aspettare per emetterlo appena dopo aver vagliato esattamente tutte le circostanze che possono concorrere a fare in modo che un uomo appartenga ad una determinata congrega. Se l’uomo ha voluto liberamente farvi parte, allora certo si può di pieno diritto sentenziare: «Volenti non fiat injuria» (Per chi è consenziente non è un’offesa!); ma quanti ce ne sono, invece, membri di qualche collegio, anche tra i più malfamati, che contro la loro volontà sono stati obbligati a farne parte?

17. Se si è giudici onesti e si ha testa e cuore al loro vero posto, si esamini prima se uno di noi si è aggregato ad un triste collegio di questo tipo spontaneamente o se vi fu costretto! Se la partecipazione è avvenuta per proprio libero volere, ogni incarico perverso compiuto per conto di un tale pessimo collegio può di pieno diritto venir punito, ma quando invece, come è il caso nostro, si è stati quasi forzati a farvi parte e altrettanto forzatamente bisogna assecondare i malvagi propositi della rispettiva congrega, si potrebbe ben pretendere un altro trattamento da quello che merita uno che è volontariamente un birbante.

18. Succede, per esempio, ad un giovane onestissimo e robusto di venir assalito da una banda di ladroni e di assassini, i quali lo conducono nella loro caverna. Là gli viene prospettato uno o l’altro genere tormentosissimo di morte, qualora, da uomo robusto quale è, non voglia aggregarsi alla banda e diventare anch’egli un ladrone ed un assassino! Ogni accenno anche lieve e apparente a tentare la fuga è già punito con una morte atrocissima!

19. Ora avviene che la mano punitrice della giustizia riesce a raggiungere questa banda di ladri e d’assassini, la quale viene chiamata a rispondere dei suoi delitti. Io domando se è giusto che il giovane prigioniero debba condividere la sorte degli altri, che con le minacce lo hanno costretto a diventare un delinquente. Bisognerebbe invece salvare un simile disgraziato in ogni maniera possibile e non alla fine appenderlo alla croce e spezzargli le gambe senza alcuna misericordia, come è giusto venga fatto agli autentici malfattori. Giudicare e condannare è cosa che si fa molto facilmente ed alla svelta, specialmente per chi detiene il potere ed ha tra le mani la spada; ma in che modo? Questa è un’altra questione!

20. Secondo quanto pare a me, sarebbe sempre meglio assolvere magari completamente dieci veri briganti, dei quali non si è potuto definitivamente provare la colpa, piuttosto che correre il rischio di condannare un tale del tipo che io ho citato nel mio esempio, perché una condanna simile non può non apparire una lesione atrocissima dei più sacri diritti dell’umanità! Se è già riprovevole rendere infelice, anche solo di poco, un uomo che è felice, quanto enormemente più riprovevole non deve essere rendere ancora più infelice un tale che, senza sua colpa, è già disgraziatissimo, invece di fare quanto è umanamente possibile per salvarlo dal suo primo stato di sciagura, nel quale è caduto assolutamente non per sua volontà!

21. Ora vedi, amico mio, una sorte quasi per niente migliore è toccata a noi, giovani affiliati al Tempio. Anche noi, figli di genitori benestanti, siamo stati consacrati per forza al servizio del Tempio senza veramente appartenere per nascita alla tribù di Levi, poiché di tali qualifiche se ne può avere adesso per denari, quando lo si voglia.

22. Noi oramai siamo leviti e non possiamo più, con tutta la miglior buona volontà del mondo, liberarci da questo stato assai poco gradevole. Potremmo, per quanto riguarda noi stessi, bensì sottrarci a questa tirannia con la fuga e, da gente robusta e giovane quale siamo, chiedere di essere incorporati fra le legioni di Roma, ma, così facendo, attireremmo la rovina e la morte sul capo dei nostri genitori e dei nostri fratelli e sorelle, perché nessun Dio li salverebbe dal piacevole assaggio dell’acqua maledetta! Che si sappia: chi finora ha dovuto bere quest’acqua velenosa è sempre morto nella maniera più abietta ed atroce di questo mondo!

23. Si racconta, saranno ora trent’anni, che una coppia di Galilea non sia morta dopo aver bevuto l’acqua satanica! Ciò è possibile, ma noi non eravamo presenti allora!

24. Chi dunque, considerata la nostra situazione da questo punto di vista, ci tratta poi come un qualunque volgarissimo branco umano di bestiame, costui può avere ben poche pretese di avere l’onore di essere un uomo! Pare che in certi casi il pomposo: “Fiat justitia, pereat mundus!” (Sia fatta giustizia, perisca pure il mondo!) non porti poi tanto lontano.

25. Ora, io ed alcuni altri di questa nostra attuale disgraziata compagnia appunto a Genezaret, senza alcuna nostra colpa, siamo stati trattati da quel certo comandante Giulio in una maniera tale che peggio non si potrebbe trattare nessuna bestia feroce e sarà dunque spiegabile se noi in avvenire fuggiremo più della peste questo luogo che sta sotto il comando di Giulio!».

 

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Cap. 237

La decisione dei farisei.

 

1. Qui Giulio, interrompendo, esclama: «Hem, è strano da parte di quell’uomo, che del resto in generale gode una meritata fama di essere una persona perfettamente e rigidamente onesta e giustissima! Ma puoi tu dirmi almeno così, in via di supposizione, quali possano essere stati i motivi che hanno indotto Giulio a procedere tanto severamente con voi? Infatti bisogna pure che un’ingiustizia possa essere in qualche modo riparata, altrimenti sarebbe finita del tutto con ogni rapporto sociale a questo mondo!»

2. Dice il giovane fariseo: «Oh, di motivi può averne avuti parecchi, ma alla fine tutti si riducono al fatto che, dinanzi al mondo, per effetto di una cattiva costrizione si può essere molto facilmente un delinquente, od almeno si può essere sospettati di un qualche delitto senza essere tali di propria volontà! Dicono pure le vostre leggi che, per commettere una azione cattiva, e perciò punibile, si esige una malvagia volontà decisamente libera, ciò che deve venire dimostrato, altrimenti si finirebbe con il dover appendere alla croce anche colui che, cadendo accidentalmente dal tetto, schiaccia ed uccide il fanciullo che vi dorme sotto!

3. Noi, giovani farisei e leviti, veniamo da parte dal Tempio sempre inviati fuori con intenzioni che il mondo degli onesti non potrebbe quasi mai reputare rispettabili. Certo, andiamo spesso fuori tra l’ingenua umanità per soddisfare le mire del Tempio tanto miserabili che nell’intimo del nostro cuore dobbiamo evidentemente considerare con il più profondo disprezzo; ma a che cosa giova tutto ciò?

4. Noi possiamo essere paragonati a quei guerrieri che, per ordine del loro condottiero, penetrano da nemici nel paese di un popolo tranquillissimo e distruggono tutto unicamente per un qualche scopo recondito del supremo comando, di cui il soldato comune non saprà forse mai niente in tutta la sua vita. Egli deve agire come una macchina che, nel migliore dei casi, quando non è più capace di agire, viene messa a riposo in qualche cantuccio ignorato.

5. Ma io penso che, se il Tempio, con le sue mire segrete e inique, è senza alcun dubbio una istituzione già ben nota ai romani, dalla quale viene perpetrato crimine su crimine tanto di fronte allo stato, quanto di fronte all’intera umanità, tali Giulii, se hanno il senso della giustizia, dovrebbero piuttosto troncare addirittura alla radice il male e non avventarsi invece sempre contro i ramoscelli che dinanzi a Dio non hanno alcuna colpa se sono cresciuti su un tronco tanto maligno! Questa è all’incirca la mia opinione, nonché quella di tutti gli altri che sono con me! Tu puoi farne quello che vuoi, ma io ho ragione davanti a Dio ed a ciascun uomo che rettamente pensi!»

6. Domanda nuovamente Giulio: «Tutto quello che hai detto è vero e giusto ed è chiaro che a Genezaret vi sono stati fatti dei torti che verranno anche riparati. Ad ogni modo allora non sareste stati trattati così duramente se non foste penetrati in casa di quell’albergatore Ebal con aria tanto dittatoriale! Ma adesso lasciamo stare questo argomento, perché non è escluso che anche un vostro simile contegno vi sia stato suggerito dalle disposizioni avute dal Tempio. Però, da amico quale sono di ogni buona causa, mi interesserebbe ora apprendere da te a quali scopi foste effettivamente inviati dal Tempio in missione dalle parti di Nazaret e di Cafarnao»

7. Risponde l’interrogato: «Considerato che nel mio linguaggio, certamente aperto e franco quanto mai, avrai rilevato che nel nostro cuore non siamo minimamente quello per cui di solito veniamo considerati, specialmente dai romani, non ho nessuna difficoltà ad esporti più dettagliatamente anche i motivi segreti della nostra spedizione, poiché sei amico del buono e del vero. 

Vedi, a Gerusalemme, e particolarmente nel Tempio, si era divulgata la notizia che in Galilea andava girovagando un uomo che diffondeva una dottrina nuova, antigiudaica, anzi ancora meglio, contraria al Tempio e che a conforto della sua dottrina andava operando grandi segni e miracoli, cosicché perfino dei vecchi farisei, e perciò irriducibili, si erano notoriamente dichiarati seguaci della sua dottrina!

8. Puoi bene immaginare che un uomo simile il Tempio non lo può vedere di buon occhio per ragioni più che evidenti! Ebbene, noi siamo stati convocati sotto giuramento e poi inviati in missione unicamente allo scopo di comprendere se e che cosa ci fosse propriamente di vero nei riguardi di quella persona, dato che, se fosse stato possibile di imbatterci in Lui, avremmo dovuto tentare di guadagnarLo a vantaggio del Tempio; in caso diverso la consegna era di mandarLo addirittura da questo all’altro mondo. Ecco, questa in poche parole era la nobile intenzione del Tempio, di cui eravamo gli esecutori pacifici e perfettamente innocenti.

9. In quanto al resto, si comprende da sé che l’uomo in questione, certamente molto rispettabile e buono, non avrebbe avuto mai niente da temere da noi, perché, anche se l’avessimo trovato, da parte nostra non gli sarebbe stato torto un capello.

10. Come abbiamo saputo da diverse parti, pare che veramente egli sia un uomo straordinario, pieno di verità, sincerità, bontà d’animo e di onestà, qualità queste che noi ancora sappiamo apprezzare quanto meritano in ciascun uomo. E da noi, se anche ci fossimo imbattuti in Lui in qualche luogo, il Tempio non avrebbe affatto saputo neanche una parola, perché, in quanto a tacere, ce ne intendiamo benissimo! Né avremmo fatto alcun tentativo per guadagnarlo al Tempio, poiché conosciamo il Tempio e tutte le sue nefandezze così bene come probabilmente nessun altro le conosce. E se, nei nostri cuori, fossimo davvero della pura razza templare, non parleremmo con te così apertamente, pur avendo fatto abbastanza onore al vino.

11. Noi però abbiamo pure la nostra segreta intenzione, a prescindere da tutto quello che i nostri parenti terreni avrebbero da attendersi per causa nostra, e cioè quella di sfuggire alle grinfie del Tempio, perché non è più assolutamente possibile reggervi! Siamo venuti da queste parti attraverso il mare e di notte, principalmente allo scopo di poter da qui raggiungere in qualche modo Tiro o Sidone, per presentarci poi a Cirenio, che si dice sia persona quanto mai savia ed esporgli la nostra penosa e misera situazione. Però la maggioranza è dell’avviso che tuttavia noi dovremmo prima far ritorno a Gerusalemme, scegliendo una via per quanto possibile breve e non disagevole, al fine di ottenere là dai nostri parenti un po’ di denaro con il pretesto di un qualche pio viaggio d’affari nell’interesse, beninteso, del Tempio. Così provveduti non ci sarebbe più troppo difficile intraprendere il viaggio a Tiro o Sidone od eventualmente addirittura a Roma, per arrivare al nostro scopo. Oltre a ciò dobbiamo essere muniti delle licenze di viaggio in piena regola, senza le quali adesso non ci si può muovere facilmente, perché si corre il rischio di incappare in difficoltà di ogni genere. Licenze del genere costano però del denaro!

12. Da un lato sarebbe dunque certo opportuno, anzi necessario, procurarci una sufficiente quantità di denaro da casa nostra, ma io e qualcun altro ancora la pensiamo diversamente e ragioniamo così: se fuggiamo dal Tempio, i nostri genitori, fratelli e sorelle verranno ad ogni modo fatti oggetto di tutte le possibili vessazioni da parte del Tempio, senza calcolare la probabilità che si faccia far loro conoscere l’acqua maledetta. Sarebbe dunque supremamente ingiusto, se prima volessimo privarli oltre a ciò, per così dire, del loro denaro; in questo caso essi non sarebbero più in grado, in caso disperato, di riscattarsi dalla prova di quella certa acqua, perché succede spesso nel Tempio che all’inquisito venga lasciata libera scelta fra l’esborso di una data somma di denaro, naturalmente grossa, e l’acqua maledetta ed oramai quasi generalmente il riscatto segue per denaro.

13. Dunque è difficile decidere cosa si debba fare! Io, per parte mia, resto dell’opinione che sia meglio non ritornare a casa e ciò per le ragioni già esposte, nonché per un’altra ragione che io ritengo sia la principale: poiché, se andiamo prima a Gerusalemme a prendere il denaro sotto il pretesto del pio servizio del Tempio e la storia poi viene sicuramente a galla, tutti noi restiamo immancabilmente colpiti dalla più feroce maledizione del Tempio e con noi anche i nostri parenti e allora la nostra fortuna a questo mondo è bella che andata; che Dio ce ne preservi! Ma se noi, invece, andiamo via direttamente senza farci vedere a casa nostra, il Tempio ed i nostri parenti penseranno che forse noi siamo periti in qualche luogo. Ammesso questo, tanto il Tempio che i parenti si limiteranno poi a far cordoglio e tutti pregheranno per noi e ci benediranno per tutta l’eternità! Cosa ne pensi tu, che sembri pur essere un amico del diritto e della verità? Qual è, a tuo avviso, la soluzione migliore o cosa altro mai sarebbe del tutto conforme alla giustizia?».

 

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Cap. 238

Il consiglio del Signore e l’accenno alla messa in pratica dell’amore del prossimo.

 

1. Dice Giulio: «La vostra decisione mi piace senza dubbio, ma quello che non possono piacermi sono i mezzi da voi escogitati per attuarla, perché non sono fondati sulla verità. Certamente questo è uno di quei casi in cui, tanto riguardo a i mezzi, quanto allo scopo finale, non volendo scostarsi dalla via dell’assoluta verità, è un problema arduo raggiungere la meta prefissata! Ma una via di mezzo non è neppure essa tanto facile da trovare! Lasciate che ci rifletta un po’; forse riesco a trovare qualche modo per rendere infine possibile che voi possiate apparire giustificati dinanzi a Dio ed al mondo! 

2. Il giuramento da voi prestato al Tempio è senza dubbio, a mio modo di vedere, l’ostacolo maggiore. Come si può scansarlo? Se io non lo volessi rispettare per amore del vostro Dio, che è un Dio verissimo, a me non costerebbe che una parola e voi tutti sareste dinanzi a Dio ed al mondo liberi dal giogo del vostro Tempio, ma il giuramento da voi prestato solennemente al Tempio costituisce per me un impedimento assai grave e perciò devo consigliarmi in proposito con i molti saggi che siedono qui al mio tavolo. Vedremo poi cosa sarà possibile far uscir fuori tra queste Scilla e Cariddi»

3. Dice il giovane fariseo: «Oh sì, fa’ pure come dici e farai davvero una buona opera a nostro vantaggio! Ma prima dimmi, di grazia, chi sono in effetti gli ospiti che siedono alla tua mensa, affinché possiamo tributare loro i dovuti onori! Quel vecchio signore deve essere o un romano di molto riguardo, od almeno qualche ricchissimo greco!»

4. Dice Giulio: «Lasciamo stare questa cosa, per oggi; domani ci sarà tempo più che sufficiente ancora per scendere in particolari! Adesso intendo piuttosto occuparmi della questione principale per il vostro bene». 

Il giovane accettò volentieri questa decisione e Giulio si rivolse allora apertamente a Me, usando l’idioma romano che Io certamente comprendevo benissimo e disse: «Signore, che cosa si dovrebbe fare, secondo giustizia? Un atto di autorità da parte mia spazzerebbe via tutti i giuramenti e tutte le leggi del Tempio, ma allora io appaio come il distruttore dell’istituto del giuramento solenne e la colpa dello spergiuro ricade poi su di me. Detto fra noi, ai giuramenti che si esigono per essere osservati dei brutti doveri, e che purtroppo vengono prestati anche troppo spesso, non solo non tengo affatto, ma li disprezzo profondamente, perché in questo modo si chiama Dio a testimone propiziatore della menzogna o della perfidia! Ma, rispetto al Tempio di Gerusalemme, la cosa va considerata in maniera del tutto speciale!

5. Da un lato esso è, come nei tempi antichi, ancora per tutti i giudei, sempre un santo luogo consacrato alla preghiera, ai sacrifici ed alla purificazione ed oggi, come in altri tempi, viene considerato in piena fede come tale da migliaia e migliaia. Dall’altro lato, invece, è più che noto che ormai vi si commettono, senza ombra di coscienza, abomini e nefandezze incredibili, come forse in nessun altro luogo a questo mondo! Se non altro per queste considerazioni io sarei portato a far piazza pulita in modo radicale di tutti i giuramenti.

6. Dimmi Tu, dunque, cosa si dovrebbe fare per rimanere in giustizia dinanzi a Dio ed agli uomini? Infatti, in verità, se le cose stanno così come questi giovani mi hanno ingenuamente esposto, non posso fare a meno di averne compassione e vorrei essere loro di aiuto!»

7. Dico Io: «Ma se già prima è stato chiarito come si deve esercitare il vero amore del prossimo! Se essi chiedono e il tuo cuore vuol dare o fare, tu hai già qui tutti gli elementi risolutivi del problema! Oltre a ciò, tu stesso non hai mai giurato di rispettare i voti perfidi fatti al Tempio, ma se tu non sei vincolato in alcun modo da nessun giuramento per il Tempio, che cosa dunque potrebbe impedirti di fare quello che ritieni buono ed opportuno?

8. Tu pure hai fatto spesso uso della forza nei confronti di comunità di uomini che erano anch’esse vincolate con il giuramento ai loro antichi usi e costumi, e questa è stata, da parte tua, una cosa molto ben fatta, perché dietro quelle usanze e costumi si nascondevano troppo spesso molte e gravi crudeltà! Nella stessa maniera anche in questo caso puoi procedere secondo il tuo onesto sentimento!

9. Un atto di protesta da parte di Roma annulla validamente anche di fronte a Dio per sempre ogni dovere imposto per giuramento; naturalmente questo accade quando colui che ha effettuato il giuramento si è formato del tutto liberamente la convinzione che, in primo luogo, egli è stato costretto al giuramento contro la propria volontà e che, in secondo luogo, il giuramento aveva in generale ed evidentemente uno scopo cattivo, infine che così com’era fatto esso appariva piuttosto sanzionato più dalle leggi del mondo che non da qualche Legge divina.

10. Il redimere da una simile triste prigionia di Satana un uomo, vincolato in questa forma da un pessimo giuramento, è un’opera eccellente di vero amore del prossimo perfino quando un uomo, nella debolezza della propria conoscenza, a causa della sua fede, sia tenuto ancora prigioniero dal giuramento da lui prestato; quanto più non lo sarà in questo caso, nel quale i giovani in questione hanno la percezione chiarissima che il giuramento prestato da loro è tra i più cattivi di questo mondo! Agisci dunque in questo caso pure assolutamente secondo il tuo buon intendimento e il Mio amico Cirenio non ti sarà certo avaro del suo superiore aiuto!»

11. E Cirenio subito aggiunge: «Il mio aiuto non solo non mancherà, ma, affinché Giulio possa d’ora innanzi respirare con maggiore libertà di coscienza, io intendo esercitare il potere legale nei confronti dei trenta individui e che il Tempio venga pure a chiedermene conto!».

12. Queste parole Mie e di Cirenio valsero a rallegrare Giulio oltre ogni misura e tutta la compagnia gioì di una soluzione così buona.

 

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Cap. 239

Giulio comunica il suo migliore consiglio ai farisei.

 

1. Dopo ciò Giulio si rivolse nuovamente al giovane fariseo di prima e disse: «Ebbene, amico mio, noi abbiamo già trovato un buon mezzo che vi permetterà, assieme ai vostri parenti, di risultare perfettamente giustificati di fronte al Tempio ed a tutte le sue esigenze, anzi i vostri parenti si troveranno perfino autorizzati a sporgere, presso la prefettura provinciale romana, una giusta querela a carico del Tempio che, senza dubbio, verrà condannato a risarcirli  della perdita  delle vostre persone  e la motivazione sarà fornita dal fatto che voi, a causa della non osservanza delle leggi di Roma che riguardano le regolamentari licenze di viaggio a cui foste costretti dal Tempio, essendosi questo fino ad ora ostinato a non prendere nota di tali leggi, voi siete stati fatti prigionieri da noi romani e subito aggregati alle forze militari nella legione straniera! Dunque, adesso voi siete prigionieri per il vostro bene. Siete contenti così?»

2. Allora tutti esclamano: «Oh, signore, chiunque tu possa essere, questo consiglio un Dio solo ha potuto dartelo! Benissimo; in questo modo lo scopo è raggiunto tanto per noi quanto per i nostri parenti! Com’è dolce la gioia della liberazione! E quanto più savia della nostra sudicia Gerusalemme ci appare ora la grande Roma! Oh, vecchio padre di questa casa, va’ e portaci ancora del vino per festeggiare questa lietissima notizia; noi vogliamo brindare alla salute ed alla prosperità di tutti quanti si trovano qui, perché noi, che eravamo nell’inferno, siamo stati all’improvviso innalzati al Cielo. I ciechi figli di Israele sono sempre in attesa di un Messia promesso che li liberi dal giogo dei romani; ora ecco, noi invece abbiamo trovato adesso appunto, presso di voi e in voi, o diletti romani, il Messia autentico e unico e vero di tutti gli uomini! La verità pura è il vero Messia di tutti, ma questa si trova ora fra di voi e di conseguenza voi, che avete fra di voi ed in voi la verità più intera e pura, siete anche l’unico e vero Messia di tutti gli ebrei di sentimenti puri e onesti, come anche di tutti gli uomini i cui animi sono tenuti prigionieri tra i lacci di dottrine antiche, vane e del tutto corrotte e di leggi peggiori ancora che ne derivano. O vecchio oste, va’, va’ e portaci ancora del vino, affinché noi possiamo brindare con un evviva ai nostri liberatori, ai nostri messia!».

3. Marco fa subito servire ai forestieri ancora del pane e parecchi boccali di vino, ed il giovane oratore chiede nuovamente a Giulio chi siano in effetti i componenti della sua compagnia e chi infine sia egli stesso.

4. Risponde Giulio: «Io ti ho già detto prima che se quel Giulio di Genezaret da te così malamente descritto ha fatto, certo non con malvagia volontà, un qualche torto a qualcuno, egli si darà anche sicuramente ogni briga possibile per ripararlo a tempo. Ora quel Giulio che voi tanto temete sono io stesso e qui dirimpetto a me siede l’illustre governatore di tutta l’Asia e l’Egitto, Cirenio, dal quale volevate recarvi a Sidone. Ed ora dimmi se sei contento di noi, duri e inesorabili romani!»

5. Udendo queste parole, il giovane fariseo è preso per un istante da grande spavento e con lui tutti i suoi compagni, ma poi si riprende subito e dice: «O nobile signore! Io ti prego di non serbarci rancore per le parole che ho detto prima e che evidentemente non possono esserti apparse troppo lusinghiere! Ma io non ho colpa, come pure anche tu, come adesso vedo, non ne hai, se ci hai fatto trasportare a Cafarnao con gli occhi e le orecchie impiastricciate d’argilla. Se tu quella volta ci avessi conosciuti come ci conosci adesso, non ci avresti fatto una cosa simile.  Tu ci hai preso per i soliti farisei di pessima specie e questo spiega perfettamente il tuo duro trattamento nei nostri confronti. Ma ora perdona tutti noi e me particolarmente, poiché tu sai il cosa, il come e il perché di tutto quanto!»

6. Dice Giulio: «Con gente leale e sincera parlo volentieri e mai potranno offendermi le parole schiette pronunciate da chi, senza reconditi pensieri, dice fuori dal suo animo la verità, liberamente e senza paura, ma guai a chi parla diversamente da quello che pensa, perché non c’è per me niente di più brutto della menzogna, poiché secondo me la menzogna è condannabile anche se detta per necessità sia davanti a Dio che a tutti. È meglio morire da galantuomini che salvarsi dicendo quello che non è vero! Ma, come ho detto, il vostro linguaggio mi piace e siccome le vostre condizioni mi sono anche abbastanza ben note per averle udite a Gerusalemme ed a Betlemme, io so che voi avete anche esposto qui la vostra situazione senza sottacere quasi niente; c’è bensì ancora qualcosa che si nasconde in voi, ma si tratta di una piccola cosa, e voi ci arriverete se dimostrerete a noi romani sempre fedeltà vera e sincera ed attaccamento fraterno!»

7. Dice il giovane oratore: «O nobile signore! Sii anche tu del tutto franco con noi e dicci apertamente che cosa ritieni che si nasconda ancora in noi, relativamente alla nostra richiesta. Infatti, naturalmente ci sono in noi ancora parecchie cose delle quali non abbiamo qui potuto parlare, in primo luogo per la ragione che ne è mancato il tempo ed in secondo luogo perché in presenza di una compagnia così ragguardevole non è lecito ragionare con stupida precipitazione di certi argomenti, specialmente quando ci si trova dinanzi ad una personalità altissima quale il governatore supremo di tutta l’Asia romana, la cui maestà non siamo degni nemmeno apertamente di guardare da quando sappiamo chi è. Oltre a ciò alla vostra mensa siedono pure una ragazzetta ed un giovinetto ed allora vale bene il consiglio che dice: “Tieni un po’ a freno la tua lingua”, ma quando avremo occasione di trovarci soli con te, non ci sarà più per te, o nobile signore, niente di nascosto da parte nostra! Ed ora che hai mostrato tanta grazia e misericordia a noi, poveri peccatori, dicci, per noi soltanto, che cos’è che ti appare spiacevole in noi e poi dicci anche se è un romano d’alto riguardo anche la persona con la quale prima hai parlato in idioma romano, quando hai trattato del nostro affare!»

8. Dice Giulio: «Ebbene, quello che voi, per motivi di decoro, mi avete sottaciuto, non ha ad ogni modo più nessuna importanza né per me né per voi. Invece potrebbe avere importanza grandissima per voi la conoscenza di quell’uomo che vi ha dato nell’occhio! Però anche per questo oggi non c’è più assolutamente tempo e conviene rimandare la cosa a domani!». I salvati accettarono questa decisione con grandi attestazioni di rispetto e ripresero a gustare il pane e il vino in tutta allegria e serenità d’animo.

 

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Cap. 240

Giara dà testimonianza del Signore.

 

1. Alla fine uno tra di loro, cui era rimasto ancora un po’ di vino, fece un brindisi al saggio Nazareno, dicendo: «Anche a Colui che abbiamo cercato, ma che purtroppo non abbiamo potuto trovare, vada un evviva per sempre da parte nostra, qualora Egli si trovi ancora in vita in qualche luogo ed in buona sicurezza; mai fra di noi ci sarà in eterno un nemico della Sua vita, la quale è la salvezza per gli uomini. Oh, se ci fosse stato dato di incontrarlo, lo avremmo illuminato riguardo al Tempio, caso mai ci tenesse ancora in qualche modo, in maniera tale da spegnere in Lui per sempre, come lo è già in noi, ogni brama di ritornarvi! Ma poiché non Lo abbiamo potuto trovare, vada questo nostro evviva con le nostre benedizioni a Lui, il buon Medico di Nazaret, il Guaritore dei corpi e delle anime!»

2. Queste parole, ispirate a caldo e sincero entusiasmo, suscitarono una dolce commozione fra i presenti e Giulio, ma particolarmente Cirenio, sentirono le ciglia inumidirsi. Anche Giara aveva gli occhi bagnati di lacrime e così pare la maggior parte dei Miei discepoli. E Giara Mi disse sottovoce:

«Oh Signore, se potessi parlare adesso! Quante cose ancora vorrei raccontare di Te ai trenta salvati!»

3. Le dico Io: «Ebbene, se ti senti capace di non rivelare la Mia presenza, puoi dire senz’altro qualcosa, poiché questi salvati ti ascolteranno con la massima attenzione!»

4. Dice Giara tutta contenta: «Oh, se Tu lo permetti, comincio subito!»

5. Dico Io: «Sta bene, fallo pure, ma devi badare a dominarti, affinché tu non cominci a piangere!»

6. Risponde Giara: «O Signore, farò tutto il possibile per evitare ciò!». Dopo questa assicurazione, Giara si alzò e disse con voce assai chiara e distinta: «Udite, o miei cari amici, voi che avete fatto un brindisi alla salute del Guaritore di Nazaret da voi cercato e tuttavia non trovato; al vostro evviva ho partecipato io pure nel mio cuore dal più profondo della mia vita, perché ho avuto l’inestimabile fortuna di fare personalmente la Sua conoscenza e precisamente a Genezaret stessa e mi trovo perciò nella situazione felicissima di potervi fare una descrizione molto sincera, per quanto breve, di quel che concerne il Suo carattere e le Sue inaudite capacità, purché voi desideriate sentirla da me!»

7. Dicono tutti ad alta voce: «Certo, certo, incantevole fanciulla da Genezaret! Ma per conto nostro ci farà certamente piacere se la tua descrizione sarà più ampia invece che forse troppo breve, se il tuo petto delicato può reggere allo sforzo!»

8. Risponde Giara: «Oh, non datevi pensiero per ciò! Il mio petto è forte e può sopportare qualche fatica. Ascoltatemi dunque. Come voi, così anch’io avevo già udito raccontare molte cose riguardo al meraviglioso Guaritore di Nazaret sorto di recente. Ora la nostra regione era continuamente una fra le più insalubri di tutta la Galilea perché ciascun forestiero che vi fosse venuto e vi si fosse trattenuto anche un paio di giorni si ammalava con tutta sicurezza tanto da non poter più proseguire il suo viaggio. Ce ne furono di quelli che sono stati obbligati a rimanere là non di rado anche oltre un anno. Sulla gente del luogo il male aveva meno influenza. Pochissimi erano veramente fra gli indigeni coloro che potevano dirsi perfettamente sani, ma pure molto pochi coloro dei quali si sarebbe potuto dire che fossero gravemente ammalati. Per queste ragioni tutti i viaggiatori evitavano con ogni cura quella località e, chi non fosse stato costretto a recarvisi per affari urgentissimi o per assolute necessità, non veniva certamente a Genezaret.

9. Quando per la prima volta ebbi notizia del Guaritore di Nazaret, cominciai a pregare con tutto il fervore possibile il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, affinché volesse mandarLo anche nella malsana Genezaret. Ed ecco, io fui ben presto esaudita, perché infatti il Guaritore da Nazaret venne subito da noi a Genezaret e si vide un Guaritore che non aveva con sé nessuna medicina, così si cominciò a domandare in segreto: “Come farà a guarire i molti ammalati che ci sono qui?”. Ma Egli ci convinse ben presto che a Lui bastava dire: “Io lo voglio, sii o siate sani!”, ed in un istante, con la rapidità del lampo, tutti coloro che erano tormentati dalle malattie più svariate, sia guaribili, oppure notoriamente non guaribili, si trovarono risanati tanto radicalmente che in loro non fu più possibile riscontrare neanche la minima traccia di una qualche malattia e si sentirono come se non fossero mai stati ammalati in vita loro! Che si trattasse di paralitici, ciechi, sordi, ossessi, storpi, gottosi, lebbrosi o di altri afflitti di cento altre malattie, per quel Guaritore fu tutt’uno; Egli li guarì tutti con la Sua parola e con la Sua volontà! Il romano Giulio ne è stato buon testimone assieme a centinaia di altre persone.

10. Ed Egli non guarì soltanto i corpi degli uomini, ma anche le loro anime e l’intendimento di queste; spazzò via dai cuori degli uomini stolti e traviati le cieche superstizioni ed istruì gli ignoranti in maniera tanto chiara e facile che vi fu perciò meraviglia in tutti, maggiore ancora di quella suscitata dalle Sue guarigioni per mezzo della parola.

11. Finalmente Egli si dimostrò pure quale un Signore perfettissimo ed un Maestro della Natura, perché a Lui obbediscono l’acqua, l’aria, il fuoco e la terra ed io oso perfino dire con assoluta certezza che il Sole la Luna e le stelle non gli rifiuterebbero l’obbedienza, qualora Egli desse loro dei comandi; gli stessi angeli del Cielo obbediscono alla Sua volontà.

12. Egli mi ha dato le prove che Gli sono molto cara ed io L’amo sopra ogni cosa, quantunque a giudicare dall’esteriorità non possa dirsi proprio un bell’uomo, perché Egli è piuttosto piccolo di statura e le Sue mani sono ruvide e portano le tracce del lavoro; il Suo capo invece è quello che si può dire di più maestoso e i Suoi occhi sono così belli come di uguali non ne ho mai visti; i tratti della Sua bocca  sono estremamente amichevoli,  benché siano nello stesso tempo improntati a grande serietà; la Sua voce poi la si può veramente chiamare affascinante nella Sua virilità, poiché al mio orecchio essa ha risuonato più gradevole del più puro e del più bel canto.

13. E con ciò vi avrei fatto una descrizione il più possibile breve e conforme a verità del famosissimo Guaritore da Nazaret, la quale, come ho detto, può venire confermata da cento tra i più fidati testimoni! Che ve ne pare dunque del Guaritore che voi avete cercato e non avete trovato?».

 

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Cap. 241

Rivelazione delle intenzioni del Tempio.

 

1. Dicono i farisei, meravigliati nel sentire la descrizione di Giara: «Non ci hai veramente narrato qualcosa di particolarmente nuovo, perché tutte queste cose ed altre ancora sul Suo conto sono giunte al nostro orecchio già quando eravamo a Gerusalemme ed appunto perché voci straordinarie a Suo riguardo sono ormai diffuse e fatte oggetto di considerazioni quasi come il pane quotidiano, si può dire, già in tutto Israele, appunto per questo, da parte del Tempio, furono anche inviati già parecchi emissari per cercare di avvicinare quest’Uomo ed indurlo a seguirli nel Tempio. Se la cosa dovesse riuscire, gli verrebbe in primo luogo certamente fatta la proposta di dedicare le sue conoscenze e capacità meravigliose ad esclusivo vantaggio del Tempio, e se Egli respingesse tale proposta, ciò che si dovrebbe attendere da Lui con tutta sicurezza, considerato che si dice che Egli sia, oltre tutto, anche una persona molto buona, amorevolissima e quanto mai saggia, allora in ogni caso non se la caverebbe a buon mercato e sarebbe difficile che non finisse almeno in fondo a qualche solidissima prigione, a meno che Egli non sia proprio sul serio onnipotente. Infatti il Tempio è diventato ora tanto malvagio che non più gli uomini, bensì Satana stesso potrebbe andarvi come ad una scuola di perfidia per buoni dieci anni ancora, se volesse imparare perfettamente in teoria ed in pratica tutte le nefandezze che vi vengono architettate e perpetrate.

2. Per questa ragione noi diciamo che il Salvatore da Nazaret non consentirebbe mai più i loro abomini, però in caso contrario Egli cadrebbe immancabilmente vittima del Tempio!

3. Si dirà che per la potenza delle Sue parole e delle Sue opere molti farisei sono già stati convertiti; ma che giovamento ne hanno tratto costoro? Essi se la sono vista davvero brutta nel collegio del Tempio ed hanno per di più dovuto cominciare a mentire come non avevano mai fatto prima, per poter vivere senza troppi disagi fra gli altri loro colleghi, perché la vecchia congrega del Tempio è e resta definitivamente una compagnia del demonio e non c’è neanche da pensare di farle cambiare strada!

4. Se il sommo sacerdote dice, per esempio: “Per tutta la giornata di oggi il Sole non splenderà sulla Terra!”, anche se il Sole è nel suo massimo fulgore, qualcuno dei subordinati non deve neanche alla lontana permettersi una qualche osservazione, per quanto lieve, con la quale far comprendere che il Sole tuttavia splende. Per un buon anno egli non avrebbe più pace! In poche parole a nessuno è lecito credere altro se non che il Sole in quel giorno non splende affatto, anche se fosse costretto a rifugiarsi nell’ombra più fitta per difendersi dai raggi del Sole bene spesso troppo cocenti! Se il sommo sacerdote dice: “Oggi per la durata di sette ore nel torrente Cedron non scorrerà che sangue!”, guai a chi, dopo questa sentenza, forse non ammettesse di veder scorrere del sangue! Se un ammalato si presenta al sommo sacerdote e questi gli dice: “Figlio mio tu sei guarito, vattene ora a fare la tua offerta e ritorna poi in pace a casa tua!”. Ebbene, il guarito invece rimane infermo e misero né più né meno di prima, ma se egli osservasse: “Amico mio! Io mi sento male come prima e offerte non posso farne!”, apriti cielo, sarebbe il finimondo! Insomma, la parola del sommo sacerdote deve giovare e perché possa giovare bisogna anche pagare, anche se di un qualche giovamento non ci sia neanche la più piccola traccia e guai a chi volesse anche per poco mettere in cattiva luce un simile aiuto ipotetico! Davvero io non vorrei trovarmi nella sua pelle!

5. Comprenderai benissimo, mia cara fanciulla, che per procedere a simili guarigioni compensate da vistosissime offerte il tuo Salvatore sarebbe un ottimo acquisto per il collegio del Tempio, come pure ti sarà chiaro il perché il Tempio dia con tanto accanimento la caccia al buon Salvatore da Nazaret.

6. Del resto noi dobbiamo ringraziarti per avercelo descritto più particolareggiatamente! Forse un giorno toccherà anche a noi la fortuna di incontrarLo in qualche luogo. Sia resa intanto ogni lode a Jehova, buono e onnipotente, il quale ci ha liberati dalle grinfie del Tempio! Ma se un giorno ci sarà dato forse di capitare da soldati a Gerusalemme, allora quel sacro collegio avrà poco da stare allegro! Sapremo ben noi come spolverarlo a dovere dalla sua santità!

7. Ed ora, se tu, cara e buona fanciulla, puoi raccontare ancora qualcosa di speciale del tuo meravigliosissimo Salvatore, continua pure, e noi ti ascolteremo con la maggior attenzione di questo mondo anche fino all’alba, avendo noi un estremo interesse a conoscere quell’uomo!».

 

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Cap. 242

Il miracolo della pietra dell’arcangelo Raffaele.

 

1. Dice Giara: «Eh, miei carissimi amici, io potrei per mille anni di seguito raccontarvi senza interruzione le cose più straordinarie riguardo al Salvatore da Nazaret, se il tempo fosse, in generale, già venuto per poter raccontare tutto quello che si è visto ed udito, ma Egli, per ragioni dettate da suprema sapienza, me lo ha proibito, e perciò non mi è lecito raccontare di Lui tutto quello che so, bensì soltanto quel po’ che Egli in persona mi ha ragionevolmente permesso di dire. 

2. Allora, prima vi dissi, fra altro, che a Lui, il buon Salvatore da Nazaret, dovrebbero essere soggetti anche il Sole, la Luna e le stelle, visto che Gli obbediscono perfino gli angeli dei Cieli. Ed io mi sono accorta che a questa osservazione qualcuno di voi sorrise e scosse il capo come per dire: “Cara fanciulla, la tua immaginazione infantile ti trascina un po’ troppo lontano! Infatti i puri angeli dei Cieli obbediscono solo a Dio ed a nessun altro in tutto l’infinito!”. Ma io vi dico che in questo caso le cose stanno tuttavia precisamente cosi come ve le ho sinceramente esposte!

3. Ed io già prima ve ne avrei data la prova palpabile, se voi non aveste sorriso e scosso il capo in segno di grande dubbio, però adesso voglio troncare alla radice i vostri dubbi e dopo non potrete più così facilmente ritornare all’idea di vedere in me una giovane innamorata fantasiosa, la quale, riguardo all’oggetto del suo cuore, è sempre volentieri disposta a fare di una mosca un elefante, come di solito succede a questo mondo! Oh, certamente questo modo di giudicare e di esprimersi sarà comune a molte tra le fanciulle del mondo, ma presso di me non se ne può trovare in verità neanche la più piccola traccia ed io ve ne fornirò subito la prova più vivente e più evidente!

4. Guardate là quel giovinetto, il secondo seduto alla mia destra e che adesso sta parlando con il figlio dell’illustre Cirenio, il quale ha il suo posto immediatamente vicino a me, pure a destra! Chi credete che sia quel giovinetto?»

5. Dicono gli interrogati: «Ma, è un uomo in carne ed ossa, come tutti noi!»

6. Dice Giara, un po’ sorridendo e scuotendo il capo: «Sbagliato, miei cari amici, sbagliato di grosso! Vedete, questo è un purissimo arcangelo di Dio scelto a mio assoluto piacimento tra le miriadi di angeli che sono state viste quasi da tutti, il quale appunto il famoso Salvatore da Nazaret ha concesso che rimanga con me per un certo tempo, per essermi da maestro e da guida! Ma se voi non potete credere alle mie parole, venite qui e persuadetevi con tutti i vostri sensi; per alcuni istanti egli sarà a vostra disposizione!»

7. Dice l’oratore di prima: «Oh, oh, questa è una cosa della quale bisogna convincersi, come si dice, con le mani e con i piedi, altrimenti c’è da smarrirsi assolutamente fra le nuvole, limitandosi a considerare le parole stranamente sagge di questa fanciulla!»

8. Detto ciò, il giovane fariseo si alza, si avvicina rispettosamente a Giara e le domanda: «Ebbene, come mi persuaderai della verità della tua asserzione?»

9. Dice Giara: «Rivolgiti direttamente al giovinetto, che si chiama Raffaele; egli stesso ti fornirà le prove che ti occorrono!»

10. Il giovane fariseo allora si presenta subito a Raffaele e questi si alza e gli domanda, fissandolo intensamente negli occhi: «Perché dubiti di ciò che la mia allieva ti ha detto di me? Stringi qui la mia mano, e dimmi cosa senti!»

11. Il fariseo esegue ed osserva poi, tutto meravigliato: «Hem, che strano! Io non sento veramente altro che la mia mano fortemente chiusa, nella quale non tutta la tua mano, ma neppure una mosca potrebbe trovar posto; infatti ti stringo la mano attraversandola e perciò devo ammettere che tu non sei davvero un essere fatto di carne ed ossa come noi»

12. Dice Raffaele: «Leva una pietra fra quelle che giacciono ai tuoi piedi e poi dammela!»

13. Il giovane fariseo solleva una pietra, che avrà pesato le sue buone 30 libbre, ma subito osserva: «O essere spirituale quale tu sei, se la mia mano ha attraversato la tua, questa pietra pesante finirà bene anch’essa con il cadere attraverso le tue mani come attraverso l’aria che non può opporre resistenza, perché si tratta di 30 libbre almeno e se, attraversando le tue mani, essa poi mi cade sui piedi, me li schiaccia sicuramente!»

14. Risponde Raffaele: «Se questa cosa dovesse accaderti, io ho il potere di guarirti in un rapidissimo istante! Dunque, non temere e deponi la pietra nelle mie mani!».

15. Allora il giovane fariseo posa la pietra sulle mani di Raffaele.

16. Ma quando vede, con suo immenso stupore, che a Raffaele il sostenere tra le mani quella pietra pesante non costa sforzo maggiore di quanto ne occorrerebbe per sostenere una piuma e che va gettandosela come per gioco da una mano all’altra con una facilità da far sbalordire, quasi si trattasse di un piccolo groviglio di piume, allora il giovane fariseo esclama: «Ascolta, o carissimo ospite, o cosa mai altro tu possa essere! Impegnarsi in una lotta con te dovrebbe essere un affare molto serio e sarebbe certamente una partita persa in brevissimo tempo! Ma da dove ti viene questa forza immensa?»

17. Dice Raffaele: «Oh, questo non è niente ancora. Adesso ridurrò, davanti ai tuoi occhi, questa selce molto dura in polvere minutissima!». E detto ciò, Raffaele stritola la pietra fra le mani ed in un momento la riduce visibilmente in minutissime particelle, cosicché sulla tavola davanti a Raffaele venne a trovarsi, al posto della pietra, un mucchio di polvere bianca finissima.

18. Visto questo secondo esperimento, il giovane fariseo si curvò tutto attonito per guardare meglio ed i suoi colleghi pure si affrettarono a venirgli vicino per osservare quella meraviglia.

19. Poi l’angelo disse: «Per uno che ha in sé la forza necessaria, non è proprio tanto difficile ridurre in polvere una pietra come questa, almeno non tanto quanto lo è il comprimere nuovamente la polvere e ridonarle l’iniziale solidità e forma originaria. Infatti ogni uomo può frantumare così una pietra, anche se proprio non con le mani come ho fatto io, bensì adoperando dei martelli di ferro molto duri, ma la ricostituzione della pietra, mediante la compressione della polvere, è una cosa che molto difficilmente potrà mai riuscire ad un uomo, particolarmente nella forma originaria. Ora, affinché tu ti convinca che posso fare anche questo, fa attenzione e vedi se sei capace di imitarmi!».

20. Detto ciò, Raffaele raccolse meglio la polvere che era sulla tavola, la compresse con le mani ed in un attimo la pietra si trovò ricostituita dinanzi all’angelo, identica a come era prima, nel peso e nella forma. 

21. Visto questo nuovo esperimento, il giovane fariseo assieme a tutti i suoi colleghi, resta con gli occhi sbarrati per lo stupore, cosicché non è più in grado di tirare fuori dalla bocca neanche una parola ragionevole.

22. Ma l’angelo prosegue e gli dice: «Ecco, ma anche questo è ancora niente! Sta attento, io annienterò del tutto perfino questa pietra in un attimo soltanto con la forza della mia volontà». E, rivolto alla pietra, l’angelo dice: «Dissolviti nel tuo corrispondente etere e diventa volatile come il più sottile etere!». A queste parole di comando la pietra svanì completamente in un istante e nessuno poté mai più vedere alcuna traccia di essa in nessun luogo! Poi l’angelo domandò al giovane fariseo: «Ora, amico mio, ti è piaciuta la cosa? Saresti capace di fare altrettanto?»

23. Risponde il giovane fariseo: «Ascolta, o caro spirito angelico od altro che tu possa essere! Questa è una cosa inaudita! Io, da parte mia, credo ormai definitivamente che tu sia un angelo di Dio; soltanto un punto non mi riesce chiaro e cioè come tu, con la tua forza che ben si può chiamare onnipotente, possa restare soggetto ad un uomo di questa Terra! Infatti una simile asserzione è stata pure fatta da questa fanciulla sul conto del famoso Salvatore da Nazaret ed io oramai devo crederci, che voglia o non voglia!

24. Esiste sul serio un mezzo su questa Terra con il quale rendervi soggetti? Come è arrivato quell’Uomo a un tale punto? Noi conosciamo dalla Scrittura bensì dei casi in cui degli angeli hanno servito gli uomini per comandamento di Dio, ma nella maniera in cui ora ti trovi fra gli uomini mortali, non è possibile trovare citato nella Scrittura davvero alcun esempio! No, no, amici miei, in ogni caso la questione non è affatto immune da sospetti! Tu puoi ben essere un angelo di Dio, ma altrettanto potresti anche facilmente essere qualcosa di perfettamente opposto! Il che ci induce ad invocare: “Jehova, aiutaci!”. Adesso è mezzanotte piena, per giunta! Ed in quest’ora gli “Jehova aiutaci” non so se si associano volentieri agli uomini! Tu veramente, per un simile “Jehova aiutaci!” mi sembri troppo bello, dolce e sapiente, ma pare che anche ciò non offra una assoluta garanzia! Ma se tu, nonostante ciò, avessi pure il dannato onore di vantare una qualche attinenza con quel che si chiama “Jehova aiutaci”, allora non avremmo in verità grandi vantaggi da riprometterci dalla conoscenza del meraviglioso Salvatore da Nazaret! Questo esperimento con la pietra comincia a suggerirmi pensieri assai strani, aiutaci Jehova! Non per niente si dice forse che Satana può, quando vuole, assumere anche la forma radiosa degli esseri celesti! E se tu fossi così, qualcosa di simile da dover chiedere aiuto a Jehova, allora noi preferiremmo volare piuttosto che camminare via da qui, poiché per noi non ci sarebbe da stare troppo a nostro agio!»

25. A queste parole del giovane fariseo, tutti accennano a voler prendere la fuga, ma Cirenio lo impedisce e ordina loro di ritornare ai loro posti.

Essi vanno a riprendere i posti da loro occupati prima, però, a giudicare dalle loro facce, si sarebbe detto che si fossero messi a sedere sulle spine.

 

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Cap. 243

Il discorso di scusa del giovane fariseo.

 

1. Giulio però dice al giovane fariseo, il quale, in quanto al resto, appariva molto sveglio di intelletto: «In verità, all’inizio ti ho creduto più saggio e ragionevole di quanto mi appari adesso, che hai l’aria di prendere per un possibile Satana chi invece è evidentemente un angelo purissimo! Ah, questa è grossa! Per poco che tu sia ragionevole, dalle nostre parole e dalle nostre azioni dovresti ben arguire che noi non siamo seguaci del demonio! Secondo la vostra dottrina non vuole, forse, il demonio continuamente nient’altro che il male? Ora noi aborriamo il male e lo puniamo sempre. Come dunque possiamo essere seguaci del demonio? O pazzi e ciechi che non siete altro! Non avete mai visto ancora un uomo posseduto dal demonio? Io ne ho visti parecchi, ma nessuno che fosse stato trattato bene dal suo inquilino! Ma poiché nella vostra rozza stoltezza pensate che noi possiamo essere dei seguaci del demonio, che opinione avrete poi dei farisei del Tempio e di voi stessi, considerato che a tutto il mondo un po’ ben pensante è ormai ultra noto che il Tempio non è niente altro che un covo della menzogna, dell’inganno e di ogni altra più astuta perfidia e voi stessi siete i servitori appunto di questo Tempio! Voi stessi avete ammesso che il Tempio, com’è oggi, potrebbe servire benissimo da scuola per Satana! E noi, che con fedeltà e bontà di cuore cerchiamo di fare a tutti il maggior bene possibile, voi adesso ci volete considerare dei seguaci del demonio e tutto questo perché uno spirito dai Cieli vi ha offerto un piccolo saggio della sua immensa forza e potenza! Ma io sarei pur curioso di sentire da voi come dovrebbe essere fatto qualcosa, per non venire sospettato di essere del diavolo!»

2. Dice il fariseo, che si era già alquanto calmato: «Suvvia, o nobile e benigno Giulio! Tu non devi imputarci troppo a peccato questa faccenda! Vedi, quello di cui viene nutrito un uomo è ciò che il suo corpo riceve come nutrimento; se il cibo è buono, anche il corpo si nutre bene, ma se il cibo è cattivo, il nutrimento del corpo procederà male. Un uomo, che sia abbandonato e ridotto a mangiare assieme ai porci, non potrà espellere dal proprio corpo altra immondizia se non quella dei porci stessi! E così pure stanno le cose ora spiritualmente, nei nostri riguardi; per lunghi anni lo stomaco della nostra anima è stato riempito di cibo per maiali ed i pessimi rimasugli non si possono eliminare dallo stomaco dell’anima con quella facilità e rapidità che si potrebbe supporre!

3. Le nostre opinioni e le nostre coscienze migliori, che sono tuttavia ancora molto frammiste ad impurità, le dobbiamo unicamente ai frequenti contatti con romani e greci, ma quando noi facevamo ritorno a Gerusalemme e precisamente nel Tempio, bastavano quattordici giorni per ridurci di nuovo ad uno stato di maggior balordaggine possibile, mediante ogni tipo di discorsi che volevano suonare mistici e savi! Come ci si può meravigliare, dunque, se in una occasione tanto fuori dall’ordinario, da una o l’altra di queste massime, ancora sonnecchianti nella nostra anima,  salgono da sole delle  nuvole oscure nel nostro cielo, che velano il giovane sole della nostra conoscenza dallo splendore comunque debole ed a momenti l’ottenebrano in modo che, trovandoci di fronte ad apparizioni straordinarie, finiamo con l’essere paragonabili ad un viandante nella notte profondissima, al quale il lampo scoccante dalle nubi rischiara bensì per un istante il sentiero seminato di scogli, ma il giovamento che ne trae il viandante è ben piccolo, perché ad un simile momentaneo bagliore segue immediatamente una tenebra ancora più profonda!

4. Perciò, abbi pazienza, che con il tempo matureremo anche noi, ma, come detto, un cambiamento non si può verificare così all’improvviso ed io, come pure gli altri miei compagni, siamo ora contenti quanto mai di avere cominciato a comprendere perché le cose stiano propriamente così come altrimenti non possono neanche stare. Si sa già che con pochi colpi di scalpello lo scultore non riesce a trarre una perfetta figura umana fuori da un blocco di pietra dura e grezza!

5. Riguardo agli angeli del Cielo, noi ne abbiamo già più volte udito parlare ed abbiamo letto parecchie cose. I tre stranieri che visitarono Abramo erano degli angeli; con Lot c’erano pure degli angeli; la storia della scala con gli angeli vista da Giacobbe in sogno è ben nota; l’asino di Balaam annunciò la presenza di un angelo al profeta che lo maltrattava; il compagno e guida del giovane Tobia era un angelo; gli israeliti videro l’angelo sterminatore passare da una casa all’altra degli egiziani; presso i tre giovani nella fornace ardente furono visti degli angeli, ed ancora in molti altri punti della Scrittura è fatta menzione di angeli di Dio che, come materialmente visibili, hanno avuto rapporti con gli uomini di questa Terra. Allora, perché non dovrebbe essere possibile anche adesso una cosa simile?

6. Ma qui la sicura presenza di un angelo è un fatto tanto straordinario che certamente non lo si può concepire nella pienezza della verità così rapidamente come si acquista la fede in un fatto simile avvenuto in un tempo molto remoto. Credere è facile, perché l’uomo tende sempre a rappresentarsi il passato come migliore del presente e, per un certo sentimento di reverenza verso il passato stesso, è portato a considerare il presente sempre troppo indegno di simili manifestazioni divine, senza pensare che per esempio Sodoma e Gomorra non devono essere state oggetto di eccessivo compiacimento per il Signore, considerato che Egli ha fatto piovere il fuoco dal Cielo sopra queste due città.

7. Insomma, devi tu stesso convenire che questo avvenimento è talmente straordinario che di simili, a quanto ne sappiamo noi, non se ne sono mai visti ancora su questa Terra. Dunque, se si considerano e si valutano bene le condizioni nelle quali siamo vissuti finora, non sarà molto difficile da comprendere se noi siamo rimasti sconcertati, assistendo al meraviglioso esperimento con il quale l’angelo ha voluto fornirci una prova della sua origine divina. Perciò, o nobile Giulio, ti preghiamo di non considerare in noi, forse, come un perfido peccato quella che è stata una manifestazione momentanea della nostra stoltezza!». 

 

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Cap. 244

Ammaestramento dei farisei da parte di Giulio.

 

1. Dice Giulio: «Questo non è affatto il caso. Io stesso vi ho già detto che tutto ciò era da attribuire ad una grande stoltezza rimasta latente nelle vostre anime ancora dal tempo della vostra educazione, ma quello che non è ancora del tutto uscito fuori, verrà bene portato fuori da voi interamente con l’andare del tempo. Certo è che un simile risultato non lo si può ottenere in una volta, perché una stoltezza inveterata è più difficile da estirpare dall’anima che non cronico male fisico del corpo, ma infine un giusto rimedio può sanare tutti e due i malanni.

2. Noi non facciamo carico a nessuno della sua stoltezza innata ed inculcata, perché nessuno stolto ha colpa se la sua educazione non è stata migliore, ma, quando più tardi gli viene offerta l’occasione di fare esperienze grandiose e di trattare con persone che sono molto esperte nella vera sapienza ed hanno una giusta cognizione di qualsiasi cosa o fenomeno che mai possa verificarsi a questo vecchio mondo, allora egli deve gettare la sua antica stupidità e deve accettare per vero e per buono soltanto quello che ha visto ed udito da quelle persone prive di egoismo, le quali conoscono la verità e continuamente cercano il bene che deriva da questa verità. Se egli si mostra ostinato e ricalcitrante, si rende meritevole della verga e se neanche questo giova, allora è meglio che venga allontanato dalla società degli uomini migliori e che venga rinchiuso in un ricovero di pazzi, perché la sua stoltezza, troppo tenace e dalle radici troppo profonde, finirebbe con il diventare per gli altri uomini oggetto di grave scandalo e ciò non sarebbe affatto buono.

3. Questo, però, non è sicuramente il vostro caso, per la ragione che la vostra intelligenza si è già troppo destata tramite i frequenti rapporti con noi romani e greci, che su questa Terra dovremmo essere ormai senza dubbio il popolo più esperto e colto, nonostante tutti i rimproveri che ci vengono fatti di non credere nell’unico vero Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe da voi predicato. Ma se noi vi ponessimo la domanda se voi stessi credete con tanta incrollabile fermezza come sarebbe da aspettarsi stando alle vostre parole ed alle vostre cerimonie, allora le vostre perverse e male azioni, se non proprio la vostra bocca che è sempre stata ricettacolo di menzogne, risponderebbero chiaramente e direbbero: “Noi non crediamo in niente affatto, ma fingiamo in presenza del popolo ignorante di avere una fede e per questo genere di ipocrisia, della quale conosciamo a fondo l’arte, ci facciamo pagare quanto è più possibile!”. Se dopo ciò confronto la nostra fede nel vostro Dio con la vostra fede, io devo convenire che noi crediamo mille volte di più di voi!

4. Sì, noi riconosciamo che il vostro Dio è l’unico e vero Dio, del quale le nostre divinità propriamente altro non rappresentano che singoli attributi sublimi e degni di Lui, attributi che la fantasia umana ha rivestito di svariatissime forme personali, mentre voi invece non riconoscete né il vostro unico vero Dio, né, meno ancora, i Suoi altissimi attributi che rappresentiamo ed onoriamo sotto immagini allegoriche. E perciò voi dovete ancora imparare molto e dovete esaminare tutto con cura e convincervi finalmente di come sono costituite le cose a questo mondo e quanto di vero eventualmente si cela dietro di esse.

5. Ma, una volta trovata la verità, accoglietela e restatele fedele e conformatevi il vostro pensiero e l’azione; così facendo sarete veramente figli di Dio, mentre voi, come tutti gli ebrei, dite ora di essere figli di Dio, ma nei vostri cuori neppure credete che un Dio ci sia veramente!».

 

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FINE DEL SECONDO VOLUME

 

 

 

INDICE

 

 

 

SOGGIORNO DI GESÙ E DEI SUOI A CHIS E A NAZARET

(Matt.13)

 

Cap. 1

Sulla punizione dei criminali

Cap. 2

Giuda Iscariota, ladro dell’oro

Cap. 3

Il corretto uso della capacità di operare miracoli e di guarire

Cap. 4

Visita e descrizione di una caverna stalattitica

Cap. 5

Storia dei tesori trovati

Cap. 6

Origine e crollo della caverna stalattitica

Cap. 7

Fausto trova i tesori, nel deposito, ben ordinati e custoditi

Cap. 8

Del Regno dei Cieli

Cap. 9

Il Signore illustra con esempi quale sia l’essenza del Cielo e dell’inferno

Cap. 10

La legge dell’Ordine

Cap. 11

Partenza del Signore e dei Suoi discepoli verso Nazaret. (Matt.13,53)

Cap. 12

Il secondo risveglio di Sara dalla morte

Cap. 13

Scena fra Giairo e sua moglie

Cap. 14

Della differenza tra potere umano e divino

Cap. 15

Filopoldo testimonia della Divinità di Gesù

Cap. 16

Il Signore va alla sinagoga (Matt.13,54)

Cap. 17

Il Signore spiega un testo di Isaia

Cap. 18

Dell’Essenza di Dio e della Sua vera adorazione

Cap. 19

L’arroganza e la confusione dei farisei spiritualmente ciechi

Cap. 20

La paura dei templari del tribunale romano

Cap. 21

Cirenio e i templari

Cap. 22

Guarigione di un infermo - Testimonianza dei nazareni su Gesù. (Matt.13,55-56)

Cap. 23

Rimprovero dei nazareni. (Matt.13,57)

Cap. 24

Discorso di Cirenio sui nazareni

Cap. 25

Sull’indegnità del popolo (Matt.13,58)

Cap. 26

Cenni per il legislatore

Cap. 27

Cattivo uso della natura animica da parte delle leggi umane

Cap. 28

Della libertà dello spirito

Cap. 29

Della benedizione della libera evoluzione

Cap. 30

Evoluzione e legge

Cap. 31

Discorso di Giairo sugli effetti dei miracoli

Cap. 32

Tratti fondamentali dell’Essenza di Dio

Cap. 33

Guarigione dei parenti ammalati di un vecchio ebreo

Cap. 34

Scena tra i farisei avidi di eredità e il genero del vecchio

Cap. 35

I farisei leggono il salmo 37 - Il saggio consiglio di Roban

Cap. 36

Roban, l’anziano dei farisei, da Gesù

Cap. 37

Giosa, l’anziano, ringrazia il Signore

Cap. 38

Dell’umano e del divino nel Signore

Cap. 39

Dell’influsso degli angeli sugli uomini

Cap. 40

L’amore per il Signore

Cap. 41

Dell’essenza del vero amore

Cap. 42

Del nuovo Giorno

Cap. 43

Il Signore Gesù e i Suoi durante la pesca

Cap. 44

Note personali sul conto di Boro

Cap. 45

L’essenza interiore degli angeli

Cap. 46

Del fattivo amore dei medici per il prossimo

Cap. 47

Proposta a Giairo - Sulle cerimonie esteriori

Cap. 48

Le questioni ereditarie di Giairo

Cap. 49

Il congedo di Giairo - Il Signore nella sinagoga

Cap. 50

Discorso degli anziani sulle condizioni dell’ebraismo

Cap. 51

Testimonianza di un oratore riguardo all’Arca dell’Alleanza

Cap. 52

Il discorso di difesa degli anziani

Cap. 53

Chivar rende testimonianza delle opere e della vita di Gesù

Cap. 54

Il consiglio degli angeli ai templari convertiti

Cap. 55

Il rapporto dei popoli con i loro governanti

Cap. 56

Roban e Kisjonah narrano le loro avventure

Cap. 57

Il servizio reso ai mondi dagli angeli - Un Globo-involucro

Cap. 58

Il rapporto degli uomini della Terra con il Padre Celeste

Cap. 59

Sulla grande lotta nell’uomo

Cap. 60

Della utilità delle passioni

Cap. 61

Del valore della libera volontà

Cap. 62

Del pensare col cuore

Cap. 63

Sul ritorno del Perduto

Cap. 64

Sull’essenza, vita e lavoro degli spiriti naturali

Cap. 65

Leggende sugli spiriti della montagna - Sulla magia

Cap. 66

Dei maghi e indovini

Cap. 67

Il Signore guarisce un idrofobo

Cap. 68

Un Vangelo per i benestanti

Cap. 69

Nel sepolcro di Giairo

Cap. 70

Risurrezione di Giosoe

Cap. 71

Lo stupore di Bab e della moglie per tale miracolo – Promessa a Giosoe di immortalità

Cap. 72

Il vero servizio divino

Cap. 73

La cena da Maria

Cap. 74

Litigio tra Giuda e Tommaso

Cap. 75

L’ammonizione del Signore a Giuda

Cap. 76

Sull’umiltà e sull’abnegazione di se stessi

Cap. 77

Una misura delle tre specie di amore

Cap. 78

L’astuto piano di Giosoe

Cap. 79

I due angeli offrono a Giosoe i loro servizi

Cap. 80

Cirenio accoglie Giosoe

 

 

LA MORTE DI GIOVANNI IL BATTISTA – GESÙ NEL DESERTO

E SUL LAGO GENEZARET

(Matt. cap.14)

 

Cap. 81

Il racconto di Roban sul nuovo sommo capo

Cap. 82

Storia e fine di Giovanni il Battista. (Matteo 14, 1-12)

Cap. 83

Scena con il nuovo preside del Tempio a Nazaret

Cap. 84

Testimonianza di Chivar su Giovanni e Gesù

Cap. 85

Il Signore loda Roban e Chivar

Cap. 86

Il nuovo preside Core e Chivar nella sinagoga

Cap. 87

Chivar e Core sul risveglio di Sara dalla morte

Cap. 88

L’opinione di Chivar sul Tempio

Cap. 89

Conversazione di Core e Chivar sul Messia - Satana sfida Chivar alla lotta

Cap. 90

Core si ricorda del Signore dal tempo della purificazione del Tempio

Cap. 91

Gli amici di Gesù in casa di Boro

Cap. 92

La Grazia del Signore verso l’umanità

Cap. 93

Boro parla dell’essenza dell’uomo

Cap. 94

La convivenza degli amici del Signore a Nazaret

Cap. 95

Miracolo della guarigione e del cibo ai 5.000 uomini nel deserto. (Matteo 14,13-24)

Cap. 96

I discepoli sul mare tempestoso

Cap. 97

Giuda loda i miracoli degli esseni

Cap. 98

Giovanni e Bartolomeo spiegano a Giuda i miracoli truffaldini degli esseni

Cap. 99

La filosofia degli esseni

Cap. 100

I discepoli in difficoltà sul mare

Cap. 101

La prova di fede di Pietro. (Matteo 14,25-33)

Cap. 102

Arrivo nella città libera di Genezaret. (Matteo 14,34)

Cap. 103

Il Signore con i Suoi presso l’albergatore Ebal

Cap. 104

Il Signore benedice la famiglia di Ebal e rimprovera gli esseni

Cap. 105

Il Signore dà al comandante romano suggerimenti vitali

Cap. 106

L’esperienza del mondo del comandante romano

Cap. 107

Cenni del Signore al comandante riguardo al Suo Essere ed alla Sua missione

Cap. 108

I rapporti di un profeta con Dio e con gli uomini

Cap. 109

I profeti quali inviati di Dio e il divario tra la loro essenza e quella del Signore

Cap. 110

Il prato benedetto – La passeggiata sul mare

Cap. 111

Della vera preghiera

Cap. 112

Ordinamenti domestici e amore

Cap. 113

La giusta lode e i pericoli della lode stessa

Cap. 114

Giara sulle sue esperienze nella preghiera

Cap. 115

Giara contempla il Cielo aperto

Cap. 116

Gli insegnamenti di Gesù devono essere un bene comune

Cap. 117

Arrivo di ammalati in casa di Ebal - Gli ospiti di Gerusalemme e la loro missione. (Matt.14,35)

Cap. 118

Scena fra il comandante ed i templari

Cap. 119

La potenza dell’amore

Cap. 120

I sogni di Giara in rapporto alla crocifissione e risurrezione del Signore

Cap. 121

Conversazione tra il comandante Giulio e il Signore sulla malvagità dei templari

Cap. 122

Grande guarigione di malati con il semplice tocco del mantello del Signore. (Matt.14,36)

Cap. 123

Il Signore e il capo dei farisei. (Matt.15,1-9)

Cap. 124

Severo discorso di Giulio sulla benedizione del Signore

Cap. 125

Tre documenti. (Matteo 15,10-14)

Cap. 126

L’ammonizione del Signore a guardarsi dalla perfida astuzia dei templari

Cap. 127

Il Signore parla dello spirito d’amore

Cap. 128

Conversazione tra i templari e gli esseni

Cap. 129

Il Signore e i due esseni

Cap. 130

La meravigliosa ascesa del monte

Cap. 131

Sulla sommità della Vetta del Mattino

Cap. 132

Dell’essenza del timore

Cap. 133

Cristo, il tramite fra Cielo e Terra

Cap. 134

Il sollevamento del mare di Galilea

Cap. 135

Una prova d’amore di Giara

Cap. 136

La potenza degli angeli - Visita di una stella

Cap. 137

La maniera interiore di contemplare la Creazione

Cap. 138

Un mondo in funzione di scuola dell’abnegazione di se stessi nell’aldilà

Cap. 139

Uno sguardo nell’ordinamento stellare universo

Cap. 140

Periodi di sviluppo nell’aldil

Cap. 141

Della grandezza dello spirito dell’uomo - Sulla velocità degli angeli o spiriti puri

Cap. 142

Sulla vera grandezza spirituale

Cap. 143

I discepoli vengono destati dal sonno

Cap. 144

Un discorso di lode di Giara

Cap. 145

La realtà del sogno comune

Cap. 146

Giara mostra i suoi ricordi

Cap. 147

La comunicazione dei fedeli con il Signore nel cuore

Cap. 148

Osservazioni naturali e la loro rispondenza spirituale

Cap. 149

Osservazione dell’alba e dei fenomeni mattutin

Cap. 150

Gli esseni vengono incaricati dal Signore di costruire delle scuole

Cap. 151

La colazione benedetta sul monte

Cap. 152

Satana appare sul monte

Cap. 153

La discesa dal monte

Cap. 154

Una guarigione miracolosa nell’albergo di Ebal a Genezaret

Cap. 155

Zelo dell’amore

Cap. 156

Sul rapporto sessuale degli angeli della Creazione primordiale

Cap. 157

Sul dare l’elemosina e sulle solennità commemorative

Cap. 158

Il 47° Salmo di Davide

Cap. 159

Dell’amore per i nemici

Cap. 160

Racconto dei barcaioli riguardo agli avvenimenti della notte precedente

Cap. 161

Il barcaiolo e Raffaele

Cap. 162

Accoglienza dei farisei a Genezaret

Cap. 163

Il comandante Giulio racconta alcuni episodi con i templari

Cap. 164

Sulla successione di Gesù

Cap. 165

Scena fra Raffaele e Giara

Cap. 166

Dell’amore, mitezza e pazienza

Cap. 167

Congedo del Signore e partenza per Sidone e Tiro. (Matteo 15,21)

Cap. 168

Scena con la donna cananea a Tiro. (Matteo 15,22-29)

Cap. 169

Della possessione

Cap. 170

La sorgente miracolosa

Cap. 171

La grande guarigione miracolosa sul monte. (Matteo 15,30-31)

Cap. 172

Previsione del Signore riguardo all’avvenire della Sua dottrina

Cap. 173

Il rifocillamento prodigioso di quattromila persone. (Matteo 15,32-39)

 

 

GESÙ NELLA ZONA DI CESAREA DI FILIPPO

 

Cap. 174

I farisei e i sadducei tentano il Signore. (Matteo 16,1-12)

Cap. 175

Il Signore in una povera capanna presso Cesarea di Filippo. (Matteo 16,13)

Cap. 176

La testimonianza dei discepoli su Cristo. (Matteo 16,13-20)

Cap. 177

Marco, il padrone della capanna, racconta gli orrori del Tempio

Cap. 178

Una storia del Tempio

Cap. 179

L’eccitazione dei discepoli sulla storia del Tempio

Cap. 180

La pesca benedetta - Del letame del Tempio

Cap. 181

Marco ed i farisei a caccia di decime

Cap. 182

La predizione del Signore riguardo alla Sua morte ed alla Sua risurrezione

Cap. 183

Viene annunciata la visita di Cirenio

Cap. 184

Marco accoglie e saluta Cirenio

Cap. 185

Il metodo di insegnamento dell’angelo

Cap. 186

Il dono di Cirenio a Marco

Cap. 187

La compagnia in gita sul mare

Cap. 188

L’apostolo Giovanni parla del divario tra concezione naturale e spirituale

Cap. 189

Una nave militare si avvicina - La ricca pesca

Cap. 190

I nuovi ospiti

Cap. 191

Sul metodo di insegnamento degli angeli e delle scuole del mondo

Cap. 192

Sui diritti delle decime e dei tributi del Tempio

Cap. 193

Il trattamento dei malfattori e degli ossessi

Cap. 194

Il saggio discorso di Giara

Cap. 195

Materia e spirito

Cap. 196

Giara scioglie a Giosoe il nodo gordiano

Cap. 197

Sulla limitatezza del sapere dell’uomo terreno

Cap. 198

Che cos’è la verità

Cap. 199

Il mistero della ragione prima di ogni sapienza

Cap. 200

Giosoe e Giara a colloquio

Cap. 201

Osservazioni di Giara nel suo orticello

Cap. 202

Uso dell’immagine di corrispondenza di Giara

Cap. 203

Il materialismo e i suoi rappresentanti

Cap. 204

Giosoe e Giara su Giuda

Cap. 205

Popoli diversi hanno bisogno di diverse forme di governo

Cap. 206

Il discorso di scuse di Giosoe

Cap. 207

L’opinione di Giosoe sul perché venga permessa la schiavitù

Cap. 208

Obbligo di legge e amore

Cap. 209

Sulla purezza interiore dei costumi

Cap. 210

L’essenza della materia e dell’anima

Cap. 211

Un discorso sociale di Cirenio

Cap. 212

Il bisogno come maestro

Cap. 213

La conseguenza dell’agiatezza

Cap. 214

Le contraddizioni nella storia della Creazione

Cap. 215

L’origine del primo uomo

Cap. 216

Il processo di sviluppo di una spiga di grano - Sull’incarnazione di un’anima

Cap. 217

Lo sviluppo spirituale dell’uomo

Cap. 218

Anima e corpo

Cap. 219

La creazione del Cielo e della Terra

Cap. 220

Terra e luce

Cap. 221

La separazione della luce dalle tenebre

Cap. 222

Lo scopo finale di tutta la Creazione

Cap. 223

Testimonianza di Cirenio sulla storia della Creazione

Cap. 224

Sulla caduta degli spiriti, sulla caduta di Adamo e il peccato originale

Cap. 225

La forza dell’ereditarietà

Cap. 226

Preoccupazioni del mondo e le loro cattive conseguenze per l’anima

Cap. 227

Sulla caduta degli spiriti

Cap. 228

Forza e resistenza

Cap. 229

Dell’essenza di Satana

Cap. 230

L’ammaestramento degli spiriti primordiali

Cap. 231

Le conseguenze della caduta di Lucifero

Cap. 232

Involucro e anima

Cap. 233

Del sapere

Cap. 234

Il parere di Marco sul suo prossimo

Cap. 235

Marco salva i farisei naufraghi

Cap. 236

Critica dei farisei su Giulio

Cap. 237

La decisione dei farisei

Cap. 238

Il consiglio del Signore e l’accenno alla messa in pratica dell’amore del prossimo

Cap. 239

Giulio comunica il suo migliore consiglio ai farisei

Cap. 240

Giara dà testimonianza del Signore

Cap. 241

Rivelazione delle intenzioni del Tempio

Cap. 242

Il miracolo della pietra dell’arcangelo Raffaele

Cap. 243

Il discorso di scusa del giovane fariseo

Cap. 244

Ammaestramento dei farisei da parte di Giulio

 

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[1] Scilla e Cariddi: antiche figure mitologiche. L'espressione equivale a “essere tra due fuochi”. [N.d.R.]

[2] Nota di Jakob Lorber: “Globo-involucro” è la denominazione dell’insieme di decilioni di volte decilioni di soli, che, quali Soli-centrali di 1a, 2a, 3a e 4a classe assieme agli innumerevoli Soli-planetari, come per esempio quello della nostra Terra, si muovono tutti in grandi ed estesissime orbite attorno ad un comune incommensurabile punto-centrale, che è pure un grande e quasi infinito Sole-centrale-primordiale. Ma innumerevoli simili Globi-involucro che stanno fra di essi a distanze per noi uomini inimmaginabili e che riempiono lo spazio eternamente infinito, tutti assieme portano il nome di “Il grande Uomo-cosmico”. Questo per una più facile comprensione del rapporto mattutino dei due angeli a Gesù, il Signore dell’infinito.  (vedi  spiegazione del Globo-involucro)

[3] Elisio: nell’antica religione greca era la dimora dei beati. [N.d.R.]

[4] Muta sodomitica: viene inteso il rapporto innaturale “anale”, poiché la radice della parola “stumm” (Stummel) significa “moncone e mozzo”. Infatti un rapporto sessuale anale non può avere come conseguenza naturale la procreazione. (GVG3/66/2: “Chi si accoppia senza produrre un frutto vivente commette un muto peccato sodomitico.”) [Nota di due Revisori italiani: M.C. e G.V.]

[5] La scritturazione di questa frase non fu congrua, ed è da eliminare nel testo, perché queste quattro parole, come fu spiegato dopo cento anni dalla dettatura a Lorber, tramite la mistica Bertha Dudde nel dettato n.8882, furono aggiunte dallo scrivano perché il giorno prima aveva discusso il tema del male se era in Dio, e perciò nella dettatura fu spinto a questa aggiunta dall’avversario, pur rimanendo nella sua libera volontà. Né altre spiegazioni sullo stesso tema, lo portarono , insieme ai suoi amici, a chiedere specifiche spiegazioni per riconoscere ed avere chiarimenti su questo errore rimasto nei testi manoscritti dalla sua penna. (confrontare le corrette spiegazioni sullo stesso tema date successivamente a Lorber: Vol. 4, cap. 158, 5-7 /  vol. 4 cap. 104, 2-8 / vol. 6, cap.  165, 6-9 / vol. 5, cap. 228 / 229 / 230 / 231 / 232 / 233),e tramite Leopol Engel:  Vol. 11, cap.17, 13-16 .

[6] In tutti i testi la parola “Ebenmaße” è stata tradotta con “immagine e somiglianza”, ma la giusta traduzione sarebbe “simmetria”, che significa: “In un oggetto, in un corpo, in un insieme, in una struttura e sim., è la disposizione dei vari elementi che lo compongono, tali, che rispetto a un dato punto, asse o piano cui si fa riferimento, vi sia tra esse piena corrispondenza di forma, dimensione, posizione e sim.”. [N.d.R.]