Commento
alla Rivelazione
“Scambio
di lettere tra Abgaro Ukkama
re di Edessa e Gesù”
La
relazione di uno scambio epistolare tra Gesù e Abgaro
è conosciuta da diverse fonti storiche che ne riportano elementi certi e tali
da far riconoscere agli studiosi la sua esistente autenticità. Tuttavia prima
del 1844 non era possibile certificarne storicamente il contenuto di un tale
scambio, poiché esso è andato perduto. Solo con l’intervento del vero Autore è
stato possibile conoscerlo e comprendere le motivazioni che spinsero Gesù a legarsi
ad un tale re contemporaneo nel tempo del Suo Insegnamento, il cui re determinò
poi nel suo paese la nascita del primo cristianesimo, e portò poi alla
punizione degli Ebrei in Gerusalemme con la sua distruzione nel 70 dc. Da parte di Tito.
Secondo
i dati storici viene riferito dell’esistenza di un telo (Mandylion)
che si sarebbe formato per volontà divina. Nello scambio epistolare però non
c’è nulla di tutto questo, e potrebbe trattarsi solo di racconti tramandati
eccedenti la realtà che molto presto fecero allontanare i fedeli dalla vera
dottrina, ed anche per via dell’umanità tendente sempre a credere solo a ciò
che vede, nonostante il Signore abbia sempre sostenuto, come in questo scambio,
che le reliquie, come i ritratti, sono ‘peccati’ (cap. 6,8), ed infatti intima
ad Abgaro di tenere segreto il ritratto.
E’
comunque molto interessante conoscere la storia di questo re così come risulta
dalle fonti storiche, perciò riportiamo alcuni commenti storici tratti da diverse
fonti in internet.
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[Citazione:] Da : http://www.culturaelibri.it/sindone/storia.php
II sec: Esiste
ad Edessa (attuale Sanliurfa
- Turchia) una particolare immagine su stoffa del volto di Gesù. Nella sua ‘Storia
Ecclesiastica’, Eusebio narra che Abgar V Ukama (il Nero), re di Edessa all'epoca di Cristo, era malato. Saputo
dell'esistenza di Gesù di Nazareth che operava miracoli, mandò a lui un suo
inviato per chiedergli di recarsi alla corte di Edessa.
Gesù non andò, ma inviò una lettera.
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Citazione da: http://it.paperblog.com/la-sindone-di-torino-non-e-il-mandylion-di-edessa-57614/
Eusebio di Cesarea (263-339) narra nella sua Storia
ecclesiastica (libro I, capitolo 13) che Gesù ricevette una lettera dal re di Edessa Abgar (Abgar
V il Nero, sovrano di Edessa dal 13 al 50), il quale
era ammalato incurabilmente e gli chiedeva di andare ad Edessa
a guarirlo. Gesù scrisse una lettera ad Abgar (che
Eusebio riproduce) in cui spiegava che non poteva andare a guarirlo, ma che gli
avrebbe mandato uno dei suoi discepoli. Dopo la morte e risurrezione di Gesù,
Giuda Tommaso inviò Taddeo dal re Abgar, che fu
guarito dalla malattia che l'affliggeva. Eusebio non narra altro, non fa
menzione di alcuna raffigurazione di Gesù; semplicemente collega Edessa a Gesù attraverso una lettera autografa di Gesù
stesso.
Egeria, una ricca e influente donna spagnola, compì un
viaggio in Oriente nei luoghi sacri della cristianità e dell'ebraismo, e nel
384 visitò Edessa, dove le fece da cicerone proprio
il vescovo cittadino. Le sue memorie di viaggio si sono conservate, e
attraverso di esse scopriamo che la leggenda di Abgar
e Gesù si era già sviluppata cinquant'anni dopo
Eusebio. Egeria riferisce infatti una storia narratale dal vescovo di Edessa (capitolo 19), secondo la quale Abgar
utilizzò la lettera di Gesù per ottenere portenti che impedirono ai Persiani di
conquistare la città, e che anche negli anni successivi la lettera aveva
miracolosamente difeso la città dai nemici. Egeria narra anche che il vescovo
di Edessa le fece avere una copia delle due lettere
(quella di Abgar a Gesù e la risposta): ella nota
come la lettera di Gesù ad Abgar donatale dal vescovo
fosse più lunga della copia che Egeria aveva già in Spagna.
Sebbene neppure questa fonte citi alcuna immagine, si
può vedere come la leggenda si stia evolvendo nel tempo (Egeria, Pellegrinaggio in Terra Santa, a cura di Paolo
Siniscalco, Città Nuova, 2000).
La storia inizia a farsi interessante con la fonte
successiva, un testo in lingua siriaca noto come
Dottrina di Addai, a connotazione anti-semitica.
Nella Dottrina, Gesù non invia una lettera in risposta ad Abgar,
ma lascia un messaggio all'inviato del re; questo inviato è però anche il
pittore del sovrano edesseno, e dipinge un ritratto
di Gesù con colori di alta qualità. Il dipinto è esposto in un luogo d'onore
del palazzo di Abgar e le parole di Gesù messe per
iscritto. La storia va avanti narrando dell'invio di Addai
(Taddeo) ad Edessa, dei suoi miracoli, del racconto
della scoperta della Vera croce di Gesù da parte di Protonice,
mitica moglie dell'imperatore Claudio, della conversione di tutto il paese al Cristianesimo,
dell'opera di persuasione di Abgar che convince
Tiberio a punire gli Ebrei per aver ucciso Gesù e altre storie del genere.
Quello che interessa notare è che nel testo della
Dottrina, chiaramente un'elaborazione della storia contenuta in Eusebio e la
cui redazione intermedia è testimoniata da Egeria, si parla di un dipinto
raffigurante Gesù; non c'è indizio che autorizzi a pensare che l'immagine
raffigurasse Gesù morto o ferito, né che fosse un ritratto
"fronte-retro". Si consideri inoltre che la Dottrina di Addai è comunemente fatta risalire alla fine del IV secolo,
ma che il brano che riporta la storia del Mandylion è
considerato da alcuni studiosi un'interpolazione successiva, risalente al
VI-VII secolo (Wilhelm Baum, Dietmar
W. Winkler, The Church of the East: a concise history, Routledge, 2003, pp.
13-14).
L'evoluzione successiva della storia è quella decisiva
per la nascita del Mandylion. Negli Atti di Taddeo,
composti nel VI o VII secolo, è narrata ancora una volta la leggenda di Abgar e Gesù; anche in questo caso Abgar
sta male e manda il proprio pittore da Gesù con una lettera, ma questa volta il
pittore non riesce a memorizzare l'aspetto di Gesù. Allora Gesù afferma di
volersi lavare e si asciuga con un telo, che il testo degli Atti chiama tetradiplon, sul quale si imprime miracolosamente il suo
volto; dà poi il telo al messaggero e gli ordina di consegnarlo al re assieme
ad un messaggio.
Questa è la prima volta che viene citata un'immagine
miracolosa di Gesù impressa su di un telo: siamo dovuti arrivare al VI o VII
secolo per averne una! E, per di più, si parla chiaramente di un Gesù vivo, non
di un Gesù morto e coperto di sangue.
Evoluzione del Mandylion
Diversi autenticisti parlano
del ritrovamento del Mandylion nel 525, ma le loro
fonti non sono chiare: alcuni sostengono che fu trovata in una torre delle mura
cittadine, restaurata dopo una disastrosa alluvione, altri parlano della
visione avuta dal vescovo Eulalio durante un'assedio
della città.
Evagrio Scolastico (morto dopo il 594) scrive nella sua
Storia ecclesiastica (libro IV, capitolo XXVII) che il sovrano sasanide Cosroe assediò Edessa nel 544, per dimostrare che la pretesa difesa divina
della città, sostenuta dai cristiani, era falsa (Evagrio,
però, sottolinea che questa promessa di protezione non era contenuta nella
lettera scritta da Gesù). Evagrio narra di come i Sasanidi costruirono una struttura sopraelevata in terra e
legno, per poter colpire gli assediati dall'alto; gli Edesseni
tentarono di minare la struttura scavando un cunicolo sotto la struttura
persiana e cercando di dare fuoco ai supporti in legno della galleria, per
farla crollare assieme alla struttura persiana, ma non vi riuscirono. Allora «portarono l'immagine di fattura divina (acheiropoieton), che le mani degli uomini non fabbricarono,
ma Cristo nostro Dio inviò ad Abgar»: inutile
dire che dopo questa dimostrazione di fede fu possibile dare fuoco al legname
(i Romani riuscirono poi con uno stratagemma a coprire il fumo, e dopo tre
giorni la struttura d'assedio persiana crollò, obbligando Cosroe
a levare l'assedio).
Il punto centrale di questa testimonianza è il
riferimento all'immagine acheiropoieton, di fattura
divina. Si tratta di un evidente riferimento alla leggenda di Abgar nella sua versione più tarda, quella contenuta negli
Atti di Taddeo (anche se non è certo quale delle due testimonianze sia
anteriore all'altra) Tra l'altro, esiste un'altra testimonianza dell'assedio di
Cosroe, riportata da Procopio di Cesarea (Guerre II.27.4), che non registra la presenza dell'immagine miracolosa;
al contrario, una storia simile a quella narrata da Evagrio
per l'assedio di Edessa è riportata da Teodoreto di Cirro (Storia ecclesiastica V.21), ma ambientata ad Apamea.
Nel suo Discorsi apologetici contro coloro che
calunniano le sante immagini, Giovanni Damasceno
(morto nel 749) narra nuovamente la leggenda di Abgar
(che lui chiama Angaros) e riferisce che «si narra
che Gesù prese un panno» (himation) «e pressandolo
suo suo volto, lasciò la sua immagine sul telo, che
mantiene fino ad oggi». L'himation era un capo di
abbigliamento greco, e sta ad indicare un telo di dimensioni medie. Questa
parola è normalmente tradotta con "striscia di tela" o
"mantello".
Sermone di
Gregorio Referendario
Nel 944, l'imperatore Costantino VII ordina al proprio
generale Giovanni Curcuas di recuperare l'immagine
rimasta ad Edessa, caduta in mani arabe nel VII; Curcuas accetta di liberare 200 prigionieri musulmani e di
pagare dodicimila denari d'argento in cambio della consegna del Mandylion e della lettera di Gesù ad Abgar,
che sono traslati a Costantinopoli (Georges Gharib, Icone di Cristo: storia e
culto, Città Nuova, 1993, ISBN 8831170112, p. 50).
In questa occasione Gregorio, referendario di Hagia Sophia, pronuncia un
sermone in cui afferma che (Codice vaticano greco 511, folio
145V):
Infatti questi sono gli ornamenti che formano la vera
impronta di Cristo, poiché dopo che le gocce [di sudore] caddero, essa fu
abbellita da gocce [di sangue] dal suo fianco. Per i sindonologi
questo brano testimonia che il Mandylion raffigura
Gesù quantomeno fino al suo fianco. Purtroppo per loro, questa interpretazione
del sermone di Gregorio è incompatibile con quanto è detto altrove nello stesso
testo.
Gregorio infatti afferma (paragrafo 3, da Mark Gushin, "The Sermon of Gregory Referendarius"): «E dunque, cos'è esattamente? Solo
attraverso il tocco del volto di Cristo, un'immagine del suo aspetto fu formata»;
poi riporta una lettera tra Taddeo e Abgar in cui si
dice (paragrafi 9 e 10) «Gesù [...]
prendendo questo telo di lino si asciugò il sudore che cadeva dal suo volto
come gocce di sangue nella sua agonia. [...] Io» (Taddeo) «l'ho messo sul mio volto [...] E, cosa più
importante, onorando la parte superiore del mio corpo – poiché la parte più
bella è il volto, non ciò che sta sotto le ascelle – attribuisco la luce che ne
sgorga non al mio volto ma piuttosto al volto di quello sul telo»; dopo
aver parlato (paragrafo 21) di «immagine impressa da un originale vivo"» (affermazione
incompatibile con l'immagine di Gesù morto sulla Sindone di Torino)
e aver descritto un ritratto prendendo ad esempio solo tratti del volto, passa
a descrivere la formazione dell'immagine (paragrafo 22): «Questa immagine [...]
fu impressa solo dal sudore del volto dell'origine della vita, cadute come
gocce di sangue, e dal dito di Dio. Poiché questi sono gli ornamenti che
formano la vera impronta di Cristo, in quanto dopo che le gocce caddero, essa
fu abbellita da gocce dal suo fianco. Entrambi sono molto istruttivi – sangue e
acqua lì, qui sudore ed immagine».
Come si vede, Gregorio parla di un dipinto divino
(«dito di Dio») fatto col sudore del volto di Gesù.
A confermare queste interpretazioni è il contemporaneo
De immagine Edessena, un trattato scritto da
Costantino VII stesso, in cui l'imperatore descrive l'immagine della reliquia
(XI, 7, citato in Gharib, ibidem, p. 52):
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Mandylion di Edessa, sec. XVIII, The Royal Collection Trust, Hampton
Court, England
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