[contro la cremazione]:
http://www.kattoliko.it/leggendanera/chiesa/cremazione.htm
Cremazione no!
di Vittorio Messori (il destro curiale, ndr)
Esulta il competente
assessore del Comune di Torino perché, in due soli anni, le cremazioni sono
aumentate del 200 per cento: «Si prevede
che, tra non molto, si potrà arrivare alla situazione dell'Europa
settentrionale, dove ormai il numero dei defunti inceneriti è superiore a
quello degli inumati. Una prospettiva garantita ora in Italia da nuove
disposizioni di legge, secondo le quali per la cremazione non è più necessario
che il defunto abbia lasciato disposizioni in proposito: per lui può decidere
il parente più prossimo».
La soddisfazione
particolare nella città di Torino deriva dal fatto che il boom delle ‘fiamme’
segna il successo di una campagna pubblicitaria del Comune. Si propagandava la
cremazione con alcuni slogan (del tipo "l'anima non è bruciata") che
intendevano rassicurare i cattolici che ancora esitassero. La Curia stessa non
aveva dato parere negativo a quella pubblicità. Né avrebbe potuto farlo, del
resto, visto che il nuovo Codice di Diritto Canonico, al terzo paragrafo del
canone 1176, così recita: «La Chiesa raccomanda vivamente che si conservi la pia consuetudine
di seppellire i corpi dei defunti; tuttavia non proibisce la cremazione, a meno
che questa non sia stata scelta per ragioni contrarie alla dottrina cristiana».
La nuova norma si adegua
all'iniziativa di Paolo VI° che, nel clima di eccitazione - se non, forse,
talvolta, di distruzione - dell'immediato post Concilio, aveva deciso di
infrangere una tradizione gelosamente custodita dalla Chiesa sin dai suoi
inizi. Può essere allora interessante riflettere sulle nuvole che stanno in
quel libro inquietante (e in qualche modo 'terribile'') che è Jota unum dello
svizzero Romano Amerio.
Sentiamo: «Se l'immortalità dell'anima è dogma di tutte le religioni, la
resurrezione dei corpi è invece dogma esclusivo del cristianesimo ed è di tutti
il più ostico alla ragione, oggetto di pura fede, primo e ultimo dei paradossi.
In nessunissima credenza, fuorché nel cristianesimo, si trova chiaramente che i
corpi risorgano un giorno ripigliando il filo dell'identità della persona ridivenuta
‘tutta quanta’. Ora, questa verità osticissima alla ragione è il punctum saliens del sistema
cattolico, ed è per nutrire la fede in essa che la Chiesa rifiutò sempre di
bruciare i cadaveri. In morte l'uomo non è più: ma il corpo, che fu uomo - e che sarà uomo nella resurrezione finale -
è degno di rispetto e di cura».
Continua Ameno: «L'antichissimo e mai intermesso
costume di interrare i morti deriva dall'idea evangelica e paolina del seme interrato
e del corpo seminato corruttibile e risorgente immortale (1Cor
15,42). La
sepoltura cristiana imitava soprattutto la sepoltura di Cristo (certo che un
creatore di balle come Messori è difficile da eguagliare! Ma Messori lo sa come
erano sepolti, ad esempio, gli egiziani ? ndr). La Chiesa non ha mai ignorato che anche quella riduzione in
polvere che risulta dalla cremazione non pregiudica alla ricostituzione dei
corpi risorgenti; ma una religione in cui tutta la realtà è segno, non poteva disconoscere che la
combustione del cadavere è un antisegno
della resurrezione (ed il credente si trasformò in materialista!
ndr). L'incenerazione leva di mezzo tutta la simbolica
dell'inumazione e priva di significato i mirabili vocaboli stessi trovati dai
primi cristiani: cimitero, cioè
dormitorio; camposanto, cioè
luogo di consacrati a Dio; deposizione,
non nel senso fisico di porre già entro la terra, ma nel senso legale,
onde le salme siano date in deposito da restituire il giorno della resurrezione.
Questi valori simbolici parvero così potenti che la Chiesa li fece trapassare
in valori teologici: il far cremare la propria salma fu tenuto per professione
dì incredulità».
La conclusione del laico
studioso è, al suo solito, severa: «La perdita dell'originalità della Chiesa, anche in cose dì
tradizione immemorabile e di alto senso religioso, rientra nel generale
fenomeno dell'accomodazione al mondo, della decolorazione del sacro,
dell'invadente utilitarismo e dell'eclissazione del primario destino ultramondano
dell'uomo». Questo Jota unum ha addirittura per sottotitolo "Studio delle variazioni della
Chiesa cattolica nel XX° secolo". In effetti, quella voluta (o, almeno, accettata) da Paolo VI° costituisce
una delle più vistose ‘variazioni’ cattoliche.
Per rispettare il
simbolismo della resurrezione e per imitare il Cristo, il cui corpo fu deposto
in un sepolcro e non bruciato su una pira funeraria, sin dai suoi inizi la
Chiesa fu tenacissima nell'opporsi alla cremazione praticata dai pagani. Nelle
catacombe non si trova una sola urna cineraria, nei tempi di persecuzione i
fedeli sfidarono la morte per seppellire i corpi delle vittime e sottrarli al
rogo. Tertulliano chiama la cremazione "consuetudine atrocissima" e già nel 627 il terzo Concilio di
Toledo poteva definire la sepoltura come "ininterrotta e sempre praticata prassi della
Chiesa". L'insegnamento fu così costante e
preciso che nemmeno la Rivoluzione francese riuscì a far passare la cremazione
nel suo delirante ‘pacchetto’ di leggi di scristianizzazione: ci fu una
proposta nel 1796, ma il provvedimento fu poi lasciato cadere per l'ostilità
popolare. Ciò che non riuscì ai giacobini, fu ripreso con decisione, a partire
dalla metà dell'Ottocento, dalla massoneria, soprattutto quella duramente anticattolica
dei Paesi latini: dappertutto fu un pullulare di "Società per la
cremazione", molte delle quali ancora esistenti e tutte emanazione diretta
delle Logge. Chi visiti, ad esempio, l'impianto per l'incenerimento del
Monumentale di Milano, si trova di fronte a una esibizione di triangoli,
squadre, compassi, fronde di acacia, stelle a cinque punte.
Così, la Chiesa, pur
ribadendo che "la cremazione in se stessa non contrasta con alcun dogma
cattolico",
ancora nel 1926 la definiva, con un decreto del Sant'Uffizio, "empia e
scandalosa e quindi gravemente illecita". Pertanto, il Codice Canonico
in vigore sino all'inizio del 1983 stabiliva che "chi ha disposto che
il suo corpo sia bruciato, se prima di morire non ha dato qualche segno di pentimento,
sia privato della sepoltura ecclesiastica!".
Ecco,
dunque, che le nuove norme non sono davvero ‘variazione’ da poco e sembrano
inquadrarsi in un mero progetto per rendere in tutto il cattolico ‘uno come gli
altri’. Probabilmente, in un certo clero non vi è più sufficiente
consapevolezza dell'importanza che per tutti gli uomini - ma in modo
particolarissimo per quelli religiosi - assumono i segni, i simboli e la
necessità di questa simbologia per conservare l'identità, il senso di
appartenenza a una comunità con la sua Tradizione, le sue regole, i suoi
doveri, i suoi segni. Non era ritorno al legalismo farisaico, ma preciso
segnale di appartenenza, il tatto che il cattolico fosse anche uno che non
mangiava carne il venerdì, che andava a messa la domenica, che si muoveva in
processione in certi giorni, che in altri digiunava e che infine si faceva
seppellire e non bruciare.
Ora, nessuno ricorda più il precetto del ‘magro’ e del ‘digiuno’;
a messa si può andare anche il sabato, e non mancano teologi che bollano di
‘formalismo anacronistico’ l'antico dovere di santificare le feste; le
processioni (pure quella solennissima del Corpus Domini) non di
rado sono abolite; il forno crematorio è lecito. Come mostrano gli altri due
monoteismi, quello ebraico e quello islamico, così ricchi di ‘regole’
attentamente rispettate, la compattezza di una comunità religiosa passa anche
attraverso il non essere, quando necessario, ‘come gli altri’. Forse, anche
questa dimenticanza non è estranea a quella perdita di identità cattolica che
gli stessi vescovi constatano allarmati.
© Pensare
la storia,
San Paolo,
Milano 1992, p. 608.