FRANCISCO CANDIDO XAVIER
PAOLO E STEFANO
Le vicende degli “Atti degli Apostoli” rivelati dallo spirito Emmanuel
L’incredibile ed appassionata conversione di Saul, il discepolo eletto
per la conversione dei gentili, dettato dall’aldilà in un avvincente racconto
della sua vita, giorno per giorno
Testo già tradotto in lingua italiana dalla lingua brasiliana
Revisione a cura del gruppo:
Amici della nuova Luce - www.legamedelcielo.it
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Premessa dall’aldilà |
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PARTE PRIMA – il Sacrificio di Stefano |
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Oppressioni e schiavitù, sentenze e vendetta, e i cuori vanno nel tormento |
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Abusi e lacrime, martirio e accettazione, per amore a Dio |
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Confinato su una nave – A Giaffa la libertà – A Gerusalemme con Pietro, Jeziel diventa Stefano |
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Paolo sulla strada per Giaffa, poi a Gerusalemme da Abigail |
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Saul nella Chiesa del cammino durante la predicazione di Stefano – Il Sinedrio lo denuncia |
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Davanti al Sinedrio la testimonianza di fede di Stefano |
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Le prime persecuzioni per mano di Saul |
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Il commovente epilogo del martirio di Stefano |
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La dolce Abigail testimonia la fede nel Falegname di Nazareth |
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Sulla via di Damasco |
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PARTE SECONDA – Nuova vita a Saul |
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La salvifica cecità guarita da Anania, poi in sinagoga |
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A Palmira dal maestro, poi tessitore nel deserto |
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Lotte e umiliazioni, ma il Cielo e con lui |
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Le prime fatiche apostoliche |
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Le grandi lotte per la conversione dei gentili |
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Peregrinazioni e sacrifici nella lunga via dell’evangelizzazione |
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La predicazione in Asia e le Epistole |
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I giudei conseguono il martirio di Paolo a Gerusalemme |
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Prigioniero per il Cristo |
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Ultime fatiche a Roma, prima insieme a Pietro, poi da Nerone – L’incontro con il Signore |
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I nomi degli apostoli
Gli apostoli che il Signore scelse:
– Tu Simon Pietro sei il primo,
– e tu Andrea, fratello di Simon, il secondo;
– Giacomo, figlio di Zebedeo, tu sei il terzo;
– e tu Giovanni, suo fratello, il quarto;
– Il quinto sei tu, Filippo,
– e tu Bartolomeo, il sesto;
– tu Tommaso, il settimo;
– e tu Matteo, il pubblicano, sei l’ottavo;
– tu Giacomo, figlio di Alfeo, sei il nono;
– e tu Lebbeo, che ti chiami anche Taddeo, sei il decimo,
– tu Simone di Cana (o cananeo) sei l’undicesimo;
– e tu Giuda Iscariota, il dodicesimo» (GVG. vol. 1° cap. 134) – (Mt. 10, 1-4).
Personaggi
Gesù di Nazareth: il Padre Celeste
*
Abdia messaggero da Gerusalemme
Abigail figlia di Jochedeb e sorella del futuro Stefano poi promessa sposa di Saul
Acacio Domizio uomo politico di Roma, guarito da Paolo
Agabo fratello della Chiesa di Antiochia
Afranio Burro generale romano, amico personale dell’imperatore
Alessandro parente di Caifa e compagno di Saul
Alfeo padre di Giacomo
Anania sommo sacerdote al processo contro Paolo
Anania seguace del Signore, ridona la vista a Saul
Anna sommo sacerdote
Andronico amico di Saul
Antioco Epifano principe greco
Apollo un cristiano di Corinto
Apollodoro un cristiano di Roma
Aquila giovane tessitore amico di Saul e marito di Prisca
Aristarco fratello della Chiesa di Corinto
Aristarco fratello della Chiesa di Macedonia
Bar-Jesu mago al servizio del proconsole Sergio Paolo
Barnaba diacono di Cipro e fratello della Chiesa del “Cammino”, poi compagno di Saul
Berenice moglie di Erode Agrippa
Barsabba discepolo amico dei gentili
Burro generale romano amico personale dell’imperatore
Caifa sommo sacerdote
Cainan portavoce dei giudei anziani a Gerusalemme
Caio servitore di Licinio Minucio
Carpo amico di Paolo
Claudia cristiana a Roma, moglie di Lino
Claudio imperatore di Roma, patrigno di Nerone
Claudio Lisia tribuno romano che arresta Paolo a Gerusalemme
Clemente uno dei compagni di Saul che catturano gli apostoli
Crescenzio emissario inviato in Spagna da Paolo
Dalila sorella di Paolo
Damaris giovane donna di Atene
Dema cristiano di Roma
Demetrio amico di Saul lo accompagna a Damasco
Demetrio artigiano orafo in Efeso
Diana dea pagana in Efeso
Dionisio un cittadino di Atene, colto e generoso
Drusilla moglie del governatore Felice
Erode Agrippa re della Palestina
Eutico seguace della città di Troade, restituito alla vita da Paolo
Eliakim rabbino a Gerusalemme
Enoch rabbino a Gerusalemme
Epifano principe greco
Eunice figlia di Loide in Listra, fervente cristiana
Eustachio vasaio in Antiochia dà lavoro a Barnaba
Efraim un benefattore cristiano
Ezechia fratello di Gamaliel
Febe sorelle della Chiesa di Corinto, grande collaboratrice dell’apostolo dei gentili
Felice governatore delle provincia a Cesarea
Filemone cristiano di Roma
Filippo apostolo di Gesù
Filocrio servo di Licinio Minucio
Filodemos zio di Sadoc
Gaio seguace delle Chiesa di Macedonia va in aiuto di Timoteo piangente
Galeb amico di Giosuè e Mosè
Gamaliel vecchio maestro di Saul
Giacobbe amico di Saul, lo accompagna a Damasco
Giacomo apostolo figlio di Zebedeo e fratello di Giovanni
Giacomo figlio di Alfeo, fratello di Levi, apostolo del Signore
Giona anziano amico di Saul, lo accompagna a Damasco
Giona un soldato che cattura Pietro
Giosuè successore di Mosè
Giovanni figlio di Zebedeo e fratello di Giacomo, apostolo del Signore
Giovanni Marco figlio di Maria Marco e nipote di Barnaba
Giuda padrone della locanda a Damasco che ospita Saul cieco
Giuda compagno di viaggio di Saul
Giulio centurione romano che accompagna Paolo a Roma
Giulio un servitore del Sinedrio
Giunio Gallio illustre romano, fratello di Seneca, proconsole dell’Acaia residente a Corinto
Giustino vecchio servo di Licinio Minucio
Hanan padre di Zaccaria
Ibrahim tappezziere di Antiochia dà lavoro a Paolo
Irineu di Crotone un ladro del porto che prima minaccia Stefano di ucciderlo e poi lo aiuta
Isacco padre di Saul
Isacco un servo del Sinedrio
Issacar capostipite di una delle 12 tribù d’Israele
Jared padre di Jochedeb, genitore di Jieziel e Abigail
Jeziel figlio di Jochedeb e fratello di Abigail, poi chiamato Stefano
Jochai un patrio ambizioso
Jochedeb padre di Jieziel e Abigail
Levi apostolo di Gesù detto Matteo
Licinio Minucio un infame questore di Cesare in Cesarea, rovina la famiglia di Stefano
Lidia vedova nella città di Filippi
Lino cristiano a Roma, marito di Claudia
Lisipo sorvegliante della nave
Loide sorella di Onesiforo in Listra
Luca giovane medico, poi evangelista
Lucano carceriere nella città di Filippi
Lucilio soldato che cattura i cristiani
Manahen membro della Chiesa di Antiochia
Maria la madre di Gesù
Maria Marco sorella di Barnaba e madre di Giovanni detto Marco
Mnasone emissario di Giacomo a Paolo in casa di Filippo a Cesarea
Mattatia Johannes ragazzo torturato da Saul
Matteo apostolo conosciuto anche come Levi
Menandro rabbi nella sinagoga di Roma
Neemias membro del Sinedrio assoldato per accusare Stefano al suo processo
Nerone imperatore di Roma
Nicànore fratello della Chiesa del “Cammino”
Nicola proselite di Antiochia
Onesiforo amico di Eustachio nella città di Iconio
Onesimo schiavo convertito al cristianesimo
Osea Marco benefattore della Chiesa del “Cammino”
Paolo nuovo nome di Saul
Parmenàs fratello della Chiesa del “Cammino”
Pescenio un servo di Licinio Minucio
Poppea Sabina moglie di Nerone
Porcio Festo nuovo governatore succeduto a Felice
Publio Apiano funzionario romano dell’isola di Malta
Prisca giovane tessitrice moglie di Aquila e amica di Saul
Pròcoro portinaio della Chiesa del “Cammino”
Rufilio servitore di Licinio Minucio
Ruth moglie di Zaccaria Ben Hanan, accolgono Abigail
Sadoc amico di Saul
Samonio ospite malato della Chiesa del “Cammino”
Samuele Natan benefattore della Chiesa del “Cammino”
Saul Saul di Tarso, dottore della Legge, poi convertito col nome di Paolo
Sergio Paolo giovane romano poi proconsole salvato da Stefano e a sua volta salvato
Servio Carbo comandante della nave
Sesto Flacus un cristiano di Pozzuoli
Sila discepolo amico dei gentili
Simon Pietro apostolo di Gesù
Sinesio un soldato che cattura gli apostoli
Sinesio servo di Isacco, padre di Saul
Sopatro seguace della comunità di Berea
Sostene giudeo della sinagoga di Corinto
Sostenia vedova anziana amica della madre di Saul
Spartacus preposto di Licinio Minucio
Stefanio nipote di Dalila, sorella di Paolo
Stefano protomartire, nuovo nome di Jeziel, fratello di Abigail
Tamiris promesso sposo di Tecla
Tecla giovane che si infatua di Paolo
Teoclia madre di Tecla
Tertullo un eminente collaboratore del Sinedrio
Tichico fratello della Chiesa di Antiochia
Tigellino capo dei pretoriani a Roma, nemico dei cristiani
Timòne fratello della Chiesa del “Cammino”
Timoteo figlio di Eunice e nipote di Loide
Tito giovane fedele compagno di Paolo in Antiochia
Tito giusto un romano di Corinto
Trofimo fedele compagno di Paolo in Antiochia
Urias giovane cristiano
Volumnio centurione romano persecutore dei cristiani
Zaccaria Ben Hanan marito di Ruth, accoglie Abigail
Zebedeo padre di Giovanni l’evangelista
Zelfos tribuno di origine egiziana
Zenas un soldato
Luoghi e città antiche citati
Adramittio – Alba Longa – Alessandria – Amatunte – Antiochia – Antipatride – Anzio – Attalia – Atene – Berea – Cana – Cefalonia – Cencrea – Cesarea – la Cilicia – Cipro – Citium – Colossi – Corinto/Acaia – Dalmanùta – Damasco – Derbe – la Fenicia – Filippi – la Frigia – Golfo di Saron – la Galazia – il Gangas – Genezareth – Gerusalemme – Giaffa – Iconio – la Licaonia – la Licia – Listra – la Macedonia – Malta – Mileto – Mira – la Misia – Nea-Paphos – Neapolis – Nicopolis – Oronte – Ostia – Palmira – la Panfilia – Patara – il Peloponneso – il Pireo – la Pisidia – Pozzuoli – Roma (Trastevere) – Rodi – la Samaria – la Samotracia – Sebaste – Seleucia – Sidone – Siracusa – Suburra – Tauro – Tarso – Tessalonica – Tiro – Tolemaide – Tortosa – Troade
Premessa dall’aldilà
Non sono pochi i lavori diffusi nel mondo sul glorioso compito dell’apostolo dei gentili[1] perciò è giusto chiedersi: perché mai un libro su Paolo di Tarso? È forse un omaggio al grande lavoratore del Vangelo, oppure è per darci delle informazioni dettagliate sulla sua vita?
Per quanto riguarda la prima ipotesi, siamo i primi a riconoscere che il convertito di Damasco non ha bisogno dei nostri piccoli tributi; in quanto alla seconda, rispondiamo affermativamente per i fini che ci proponiamo, trasferendo sul piano umano, con le risorse possibili, alcune cose delle tradizioni del piano spirituale relative ai lavori affidati al grande amico dei gentili.
Il nostro scopo principale, innanzitutto, non è solo quello di ricordare i sublimi passi dei tempi degli apostoli, ma presentare la figura di questo fedele collaboratore nella sua perfetta immagine di uomo trasformato da Gesù Cristo e attento all’esplicazione del Ministero divino affidatogli. Chiariamo, però, che non è nei nostri propositi presentare una biografia romanzata. Il mondo è pieno di queste schede educative con riferimento alle figure più conosciute. Il nostro maggiore e più sincero desiderio è ricordare le aspre battaglie e le amare testimonianze di un cuore straordinario che si elevò al di sopra delle lotte umane, in uno sforzo continuo per seguire le orme del Maestro.
Le Chiese dormienti di oggi e i falsi desideri dei credenti, in molti settori del cristianesimo giustificano le nostre intenzioni.
Ovunque sono presenti delle tendenze all’oziosità dello spirito e manifestazioni di minor sforzo. Molti discepoli si contendono i privilegi di Stato, mentre altri, volontariamente allontanati dal giusto lavoro, supplicano la protezione sovrannaturale del Cielo. Templi e fedeli si concedono, con piacere, a situazioni accomodanti, preferendo dominazioni e regali di ordine materiale.
Osservando questo panorama sentimentale è utile ricordare la figura indimenticabile dell’apostolo generoso. Molti hanno commentato la vita di Paolo, ma non gli hanno attribuito certi titoli di favore gratuiti dal Cielo, e lo hanno presentato come un fanatico dal cuore indurito. Per alcuni fu un santo per predestinazione, a cui Gesù apparve in un’operazione meccanica della grazia; per altri fu uno spirito arbitrario, assorbente e duro, incline a combattere i compagni con vanità quasi crudele. Non ci soffermeremo su questa posizione estremista.
Ricordiamo che Paolo ha ricevuto il santo dono della visione gloriosa del Maestro alle porte di Damasco, ma non possiamo dimenticare la dichiarazione di Gesù relativa alla sofferenza che lo aspettava, per amore del Suo Nome.
Certo è, che l’indimenticabile tessitore ha portato con sé un Ministero divino; ma chi, nel mondo, è senza un Ministero di Dio? Molta gente dirà che non conosce il proprio scopo, che lo ignora, ma noi potremmo rispondere che al di là dell’ignoranza, esiste molta disattenzione e capriccio pernicioso. I più esigenti diranno che Paolo ha ricevuto una chiamata diretta, ma, in verità, tutti gli uomini meno rudi hanno una convocazione personale al servizio del Cristo. Le forme possono variare, ma l’essenza della chiamata è sempre la stessa. L’invito al Ministero arriva, a volte in maniera sottile, inaspettatamente, ma la maggioranza resiste alla chiamata generosa del Signore. Gesù non è un maestro di violenze, e se la figura di Paolo cresce molto ai nostri occhi, è perché lui ascoltò, negò se stesso, si pentì, prese la croce e seguì il Cristo fino alla fine dei suoi lavori terreni. Tra malattie, persecuzioni, angherie, accanimenti, delusioni, diserzioni, lapidazioni, frustate e incarcerazioni, Paolo di Tarso fu un uomo intrepido e sincero, camminando tra le ombre del mondo, incontro al Maestro che udì negli ambiti della sua vita. Fu molto più che un predestinato, fu un esecutore che lavorò quotidianamente per la luce.
Il Maestro lo chiama dalla sua sfera di splendore immortale. Paolo brancola nel buio delle esperienze umane e risponde: «Signore, che vuoi che io faccia?»
Tra lui e Gesù c’era un abisso che l’apostolo ha saputo oltrepassare in decenni di lotta redentrice e costante. Dimostrarlo, per quanto ci compete col nostro personale lavoro al fine di incontrare Gesù, è il nostro obiettivo. L’altro scopo di quest’umile sforzo è riconoscere che l’apostolo non poteva arrivare a tutto ciò agendo da solo nel mondo.
Senza Stefano non ci sarebbe stato Paolo di Tarso. Il grande martire del cristianesimo nascente raggiunse un’influenza molto più vasta con le sue esperienze paoline, di quanto avremmo potuto immaginare desumendolo dai testi conosciuti negli studi terreni. La vita di entrambi è legata da una misteriosa bellezza. Il contributo di Stefano e di altri personaggi di questa storia reale confermerà la necessità e l’universalità della legge di cooperazione. Ed è per confermare l’ampiezza di questi concetti che ricordiamo che Gesù, la cui misericordia e potenza abbracciava tutto, cercò la compagnia di dodici ausiliari, al fine di intraprendere il rinnovamento del mondo.
In merito a ciò, concludiamo che senza cooperazione, non potrebbe esistere l’amore; e l’amore è la forza con cui Dio equilibra l’Universo.
Vedo già dei critici che consultano i testi e combinano i versetti per cercare l’errore nel nostro semplice tentativo. Ringraziamo sinceramente i ben intenzionati nel riconoscere la nostra condizione di creature fallibili, affermando che questo modesto libro è stato dettato da uno spirito per coloro che vivono in spirito; mentre al pedantismo dogmatico, o anche, al letterato di tutti i tempi, ricorriamo proprio al Vangelo, per dire che “…se la lettera uccide, lo spirito vivifica!”
Offriamo così, quest’umile lavoro ai nostri fratelli della Terra, formulando la speranza che l’esempio del grande convertito si faccia più chiaro nei nostri cuori, affinché ogni discepolo possa capire quanto gli compete, e lavorare e soffrire per amore di Gesù Cristo.
Pedro Leopoldo,
8 luglio 1941 tramite Emmanuel
[indice]
PARTE PRIMA
Il sacrificio di Stefano
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Oppressioni e schiavitù, sentenze e vendetta, e i cuori vanno nel tormento
1. La mattina si ornava di allegria e Sole, ma le vie centrali di Corinto[2] erano quasi deserte. Nell‘aria giocavano le stesse brezze profumate che spiravano da lontano, ma nelle sontuose vie pubbliche non si osservavano i sorrisi spensierati dei suoi bambini né gli abituali movimenti delle lettighe.
2. La città, ricostruita da Giulio Cesare, era la più bella gioia della vecchia Acaia[3], fungendo da capitale della deliziosa provincia. Nell’intimità del suo popolo, non si poteva incontrare lo spirito ellenico nella sua antica purezza, anche perché, dopo un secolo di totale abbandono e dopo la distruzione operata da Mummio[4], con la ricostruzione, il grande imperatore aveva trasformato Corinto in un’importante colonia romana, con grande affluenza sia di schiavi liberati, ansiosi di un lavoro retribuito, sia di imprenditori di grandi fortune. A questi si univano un vasto flusso di israeliti e una consistente percentuale di figli di altre razze che lì si agglomeravano, trasformando la città in un centro di aggregazione di tutti gli avventurieri dell’Oriente e dell’Occidente. La sua cultura era molto lontana dalle conquiste intellettuali dal più eminente gusto greco, mescolandosi nelle sue piazze e nei più diversi templi . Ubbidendo, forse, a questa eterogeneità di sentimenti, Corinto era diventata famosa a causa della dissolutezza della grande maggioranza dei suoi abitanti.
3. I romani trovavano lì largo campo per le loro passioni, si abbandonavano ai profumi selvaggi e velenosi di questo giardino di fiori esotici. Oltre agli aspetti nobili e agli scintillanti gioielli, il pantano delle miserie morali emanava nauseanti odori. La tragedia è sempre stata il prezzo doloroso dei piaceri facili. Di tanto in tanto, i grandi scandali reclamavano grandi repressioni. Nell’anno 34, tutta la città fu colpita dalla rivolta violenta degli schiavi oppressi.
4. Tenebrosi crimini furono perpetrati nell’ombra, esigendo severe indagini. Il proconsole non esitava a reagire, data la gravità della situazione. Spedendo messaggeri ufficiali, aveva sollecitato da Roma preziose risorse. E le risorse non tardarono. In breve, una galea dalle aquile dominatrici, aiutata da venti favorevoli, portò con sé le autorità della missione punitiva, la cui azione doveva chiarire gli avvenimenti.
5. Motivo per cui, in questa mattina radiosa e allegra, i palazzi residenziali e le botteghe commerciali si presentarono semichiuse e avvolte in un profondo e triste silenzio. Vi erano rari passanti, ad eccezione di piccoli gruppi di soldati che incrociavano le vie, spensierati e soddisfatti, lasciandosi andare volentieri al sapore delle novità.
6. Già da alcuni giorni uno dei capi romani, il cui nome era preceduto da una cattiva reputazione, era stato ricevuto dalla Corte Provinciale, rappresentando lì l’elevata funzione di emissario di Cesare. Accompagnato da un gran numero di agenti politici e militari, aveva portato terrore a tutte le classi coi suoi processi infamanti. Licinio Minucio era arrivato al potere mobilizzando tutte le risorse della calunnia e dell’intrigo. Tornando a Corinto, dove anni prima era stato senza poteri, adesso, investito di autorità, faceva di tutto per aumentare i suoi beni accumulati nell’avarizia insaziabile e senza scrupoli. Aveva intenzione di vivere in quei luoghi, dove le sue proprietà erano immense, ed aspettare là la notte nella sua vecchiaia immaginata decrepita. Così, per mettere in atto i suoi intenti criminali, iniziò una campagna arbitraria di espropriazioni, con il pretesto di garantire l’ordine pubblico a beneficio del grande impero, che la sua autorità rappresentava.
7. Numerose famiglie di origine giudaica furono scelte come vittime preferenziali delle nefande estorsioni.
8. Dappertutto gli oppressi cominciarono a piangere, ma chi avrebbe osato ricorrere a una pubblica e ufficiale denuncia? La schiavitù avrebbe aspettato sempre colui che si fosse ribellato alla tirannia romana. Non era solo la figura dell’odioso funzionario che costituiva per la città un’angosciosa e permanente minaccia. I suoi seguaci erano sparsi in vari punti delle vie pubbliche, provocando scene insopportabili, tipiche di una perversità incosciente.
9. Era già tarda mattinata, quando un uomo anziano, dando ad intendere dal cesto che aveva in mano che cercava il mercato, , attraversò a passi lenti la grande piazza soleggiata.
10. Un gruppo di tribuni, tra risate ironiche, cominciò a lanciargli insulti e offese.
11. Il vecchietto, che dall’aspetto sembrava appartenere al popolo israelita, dimostrava di aver capito il ridicolo di cui era oggetto, tuttavia, prendendo distanza dai militari patrizi nel desiderio di mettersi in salvo, camminò con ancora più timidezza e umiltà, deviando in silenzio.
12. Fu in quel momento che uno dei tribuni, dallo sguardo autoritario e malizioso, si avvicinò e lo interrogò aspramente: «Ehi, spregevole giudeo! Come osi passare senza salutare i tuoi signori?»
13. L’interpellato si fermò pallido e tremante. I suoi occhi rivelavano una strana angoscia che, nella sua silenziosa eloquenza, riassumeva tutti gli infiniti martiri che flagellavano la sua stirpe. Le mani rugose tremavano leggermente, mentre si piegava in riverenza, premendo sul busto la lunga barba bianca.
14. «Il tuo nome?» – continuò l’ufficiale senza rispetto e ironico.
15. «Jochedeb, figlio di Jared» – rispose timidamente.
16. «Perché non hai salutato i tribuni imperiali?»
17. «Signore, io non ho osato!» – rispose quasi piangendo.
18. «Non hai osato?» – domandò l’ufficiale con profonda asprezza.
19. E prima che l’interpellato avesse l’opportunità di dare spiegazioni più ampie, il mandatario imperiale assestò, impietoso e ripetutamente, dei pugni serrati sul venerabile viso dell’anziano.
20. «Prendi! Prendi!» – esclamò rudemente tra le risate dei compagni che guardavano la scena in toni festosi. – «Prendi ancora questo ricordo! Cane disgustoso, impara ad essere educato e grato! …»
21. Il vecchietto barcollò, ma senza reagire. Si percepiva la sua rivolta interiore dal suo sguardo fiammeggiante e indignato che lanciò all’aggressore con serenità allarmante. In un movimento spontaneo, gettò gli occhi alle sue braccia avvizzite dalla lotta e dalla sofferenza, riconoscendo l’inutilità di qualsiasi reazione.
22. Fu allora che il boia, osservando l’inaspettata calma silenziosa, sembrò misurare l’estensione della sua codardia e, mettendo le mani nella complicata armatura della cintura, tornò a dire con profondo disprezzo: «Adesso che hai ricevuto la lezione, puoi andare al mercato, giudeo insolente!»
23. La vittima allora gli lanciò uno sguardo di angosciata amarezza, in cui trasparivano le dolorose sofferenze di tutta un’esistenza. Incorniciato nella tunica semplice e nella venerabile vecchiaia, coronato dai bianchi capelli che raccontavano le penose esperienze della vita, lo sguardo offeso somigliava a dei dardi invisibili che avrebbero penetrato per sempre la coscienza del cattivo e irrispettoso aggressore. Nonostante ciò, quella dignità ferita, intraducibile in parole, non perse tempo a retrocedere. Proseguendo nell’obiettivo che lo aveva portato lì, continuò a camminare sopportando le beffe generali.
24. Il vecchio Jochedeb sperimentò singolari e amare riflessioni. Due lacrime calde e doloranti gli solcarono le rughe del volto emaciato, perdendosi tra i fili grigiastri della veneranda barba. Cosa aveva fatto per meritare così pesanti castighi? La città era travolta dai movimenti di ribellione di numerosi schiavi, ma il suo piccolo focolare proseguiva con la stessa pace di quelli che lavoravano con dedizione e ubbidienza a Dio.
25. L’umiliazione provata lo riportava, con l’immaginazione, ai periodi più difficili della storia della sua stirpe. Per quale motivo, e fino a quando, gli israeliti avrebbero sofferto la persecuzione dei personaggi più potenti del mondo? Per quale ragione dovevano essere sempre stigmatizzati come indegni e miserabili in tutti gli angoli della Terra? Tuttavia, amavano sinceramente quel Padre di Giustizia e Amore che custodiva dai Cieli i loro eterni destini, attraverso la grandezza della loro fede. Mentre gli altri popoli si lasciavano andare alla dissoluzione della vita spirituale, trasformando le sacre speranze in espressioni di egoismo e idolatria, solo Israele sosteneva la Legge del Dio Unico, sforzandosi, in tutte le circostanze di conservare intatto il suo patrimonio religioso, con sacrificio, a discapito della sua indipendenza politica.
26. Malinconico, il povero vecchio meditava la propria sorte. Marito dedito, era diventato vedovo quando quello stesso Licinio Minucio, anni prima, come questore dell’impero, aveva instaurato nefasti processi a Corinto, con la finalità di punire alcuni elementi scontenti della popolazione che si erano ribellati. La sua grande fortuna personale era stata estremamente ridotta a seguito di una prigionia ingiusta, dovuta a false accuse in cui gli furono confiscati la maggior parte dei suoi beni. Sua moglie, non resistendo ai successivi colpi che le ferirono fatalmente il suo sensibile cuore, morì piena di amare delusioni, lasciandogli due bambini che rappresentavano la corona di speranza di una laboriosa esistenza. Jeziel e Abigail crebbero sotto l’amore delle sue braccia affettuose e, per loro, nell’accumulo dei sacri doveri domestici, sentiva che la nave del percorso umano gli schiariva precocemente i capelli, consacrando a Dio le sue più sante esperienze. In mente gli venne più viva la bella figura dei figli. Era un sollievo conoscere il sapore gradevole delle esperienze del mondo, a loro beneficio. Il tesoro filiale gli compensava le percosse subite in ogni incidente del cammino terreno. L’evocazione del focolare, dove l’amore affettuoso dei figli alimentava le speranze paterne, lo sollevò dalle sue amarezze.
27. Cosa importava la brutalità del romano conquistatore, quando la sua vecchiaia brillava nei più santi affetti del cuore? Sperimentando una rassegnata consolazione, arrivò al mercato, dove si rifornì del necessario. Nella fiera non c’era il solito movimento come nei giorni più comuni; tuttavia, vi era una certa concorrenza tra gli acquirenti, in particolare tra i liberti e i piccoli proprietari che affluivano dalle strade di Cencrea[5].
28. Non aveva ancora finito di comprare pesce e legumi, che una lussuosa lettiga si fermò al centro della piazza e, da lì, ne uscì un ufficiale patrizio, srotolando una larga pergamena. Al segnale di silenzio, che aveva messo a tacere tutte le voci, la parola dello strano personaggio vibrò forte e fiera nella lettura dell’editto che portava:
29. «Licinio Minucio, questore dell’impero e rappresentante di Cesare, è incaricato di aprire in questa provincia l’indagine necessaria per ristabilire l’ordine in tutta l’Acaia. Invita tutti gli abitanti di Corinto che si considerano danneggiati nei loro interessi personali, o che hanno bisogno di sostegno legale, di presentarsi domani a mezzogiorno al Palazzo Provinciale, nei pressi del tempio di Venere Pandemus, per esporre denunce e reclami, che saranno pienamente soddisfatti da parte delle autorità competenti».
30. Dopo aver letto l’avviso, il messaggero ritornò nell’elegante lettiga che, sostenuta da erculee braccia di schiavi, scomparve alla prima curva, avvolta da un vortice di polvere sollevata dal vento del mattino.
31. Subito, tra i presenti, si fecero commenti e opinioni. Non si teneva il conto dei lamentosi. Il legato e i suoi preposti fin dall’inizio si erano impossessati dei piccoli patrimoni terrieri della maggioranza delle famiglie più umili, le cui risorse finanziarie non bastavano per pagare un processo al Forum provinciale. Da ciò partì un’onda di speranza che attraversò il cuore di molti e l’opinione pessimista di altri, i quali vedevano nell’editto una nuova trappola per costringere i lamentosi a pagare molto caro le loro legittime rivendicazioni.
32. Jochedeb ascoltò l’annuncio ufficiale, collocandosi immediatamente tra coloro che si giudicavano in diritto di ricevere un legittimo indennizzo per i danni subiti anni prima. Animato dalle migliori speranze, si diresse a casa, scegliendo il percorso più lungo, in modo da evitare un nuovo incontro con coloro che lo avevano umiliato così brutalmente.
33. Non aveva fatto molta strada in quella chiara mattina, che gli apparvero davanti nuovi gruppi di militari romani immersi in conversazioni rumorose e animate.
34. Di fronte al primo gruppo di tribuni, sentendosi bersaglio di commenti spregevoli dalle loro risate di scherno, il vecchio israelita pensò: “Dovrei salutare o passare muto e riverente come ho fatto prima?” – Preoccupato di evitare di nuovo le percosse che avrebbero aggravato le umiliazioni di quel giorno, s’inchinò profondamente come un misero schiavo e mormorò, timido: «Salve, valorosi tribuni di Cesare!»
35. Non aveva nemmeno finito di parlare, che un ufficiale, con il volto rigido e impassibile, si avvicinò collerico ed esclamò: «Che maniere sono queste? Un giudeo si rivolge impunemente ai patrizi? È arrivata a tanto la condannabile tolleranza dell’autorità provinciale? Facciamoci giustizia con le nostre mani!»
36. E nuovi schiaffi risuonarono sul volto addolorato dell’infelice, che cercava di concentrare tutte le sue forze per non reagire in un’azione disperata. Senza una parola di giustificazione, il figlio di Jared si sottopose alla punizione crudele. Il suo cuore batteva accelerato, sembrava scoppiare di angoscia in quel petto invecchiato; tuttavia, lo sguardo rifletteva l’intensa rabbia racchiusa nella sua anima oppressa. Incapace di coordinare le idee di fronte all’aggressione inaspettata, notò che questa volta il sangue scorreva dalle narici, tingendo la barba bianca e le semplici vesti di lino. Questo tuttavia non sensibilizzò l’aggressore che, alla fine, colpì la sua faccia rugosa con un ultimo pugno, mormorando: «Scappa, insolente!»
37. Sostenendo a malapena il cesto che pendeva dalle braccia tremanti, Jochedeb barcollò in avanti, soffocando l’esplosione della sua estrema disperazione. «Ah! Essere vecchi!» – pensò. Allo stesso tempo, i simboli della fede lo esortavano agli ordinamenti spirituali e, nell’intimo, percepì l’antica parola della Legge: – “Non ucciderai!”, nonostante gli insegnamenti divini, a suo avviso, negli Scritti dei profeti consigliavano però la vendetta – “…occhio per occhio, dente per dente!”. Il suo spirito era portato a ribellarsi come rimedio per riparare al torto subito, ma le forze fisiche non erano più compatibili con la capacità di reagire.
38. Profondamente umiliato e in preda ad angosciosi pensieri, cercò di ritirarsi a casa dove si sarebbe consultato coi suoi amati figli, nel cui affetto avrebbe trovato la necessaria consolazione.
39. La sua modesta dimora non era lontana e, ancora a distanza, intristito, intravide il piccolo e semplice tetto eretto a tabernacolo del suo amore. Presto si diresse verso il sentiero che terminava alla cancellata rustica, quasi immerso nel roseto di Abigail che esalava un delizioso profumo. Le cime verdi degli alberi spargevano freschezza e ombra che mitigavano il rigore del Sole. Una voce chiara e amica gli giunse da lontano ai suoi orecchi. Il cuore paterno indovinò. A quell’ora, Jeziel, in base al programma che si era dato, preparava la terra con l’aratro per le prime semine. La voce del figlio sembrava sposarsi con la gioia del Sole. La vecchia canzone ebraica, che usciva dalle calde labbra della giovinezza, era un inno di lode al lavoro e alla natura. I versi armoniosi citavano l’amore per la terra e per la costante protezione di Dio. Il generoso padre nascose con difficoltà le lacrime del cuore. La melodia popolare gli suggeriva un mondo di riflessioni. Non aveva lavorato un’intera esistenza presumendosi un uomo onesto nei minimi atti della vita, senza mai perdere il titolo di giusto? Tuttavia, il sangue della crudele persecuzione era lì che gocciolava sulla veneranda barba e sulla tunica bianca, ancora indenne da qualsiasi macchia che gli potesse tormentare la coscienza.
40. Non aveva ancora oltrepassato il rustico viale dell’umile casa, quando una voce affettuosa urlò spaventata: «Padre! Padre! cos’è questo sangue?»
41. Una giovane donna di notevole grazia corse ad abbracciarlo con immensa tenerezza, mentre portava via il cesto dalle sue mani tremanti e doloranti.
42. Abigail, nel candore dei suoi diciotto anni, riassumeva tutto il fascino delle donne della sua stirpe. I setosi capelli cadevano in capricciosi anelli sulle spalle, incorniciandole il viso attraente, in un insieme armonioso di simpatia e bellezza. Tuttavia, ciò che più colpiva nella snella figura della giovane fanciulla, erano gli occhi neri e profondi, dove un’intensa vibrazione interiore sembrava esprimere i più elevati misteri dell’amore e della vita.
43. «Figlia, mia piccola cara!» – mormorò, sostenendosi sulle sue affettuose braccia.
44. In breve, le raccontò l’accaduto, e mentre il vecchio genitore si ungeva la ferita del viso nell’infuso balsamico che la figlia gli aveva preparato con cura, Jeziel fu chiamato per essere informato dell’accaduto.
45. Il giovane si precipitò sollecito e premuroso. Abbracciò il padre e ascoltò l’amaro sfogo, parola per parola. Nel vigore della giovinezza, non gli si sarebbe dato più di venticinque anni, ma dalla moderazione dei gesti e dalla serietà con cui si esprimeva, lasciava intravedere un spirito elevato, ponderato e provvisto di una coscienza cristallina.
46. «Coraggio, padre!» – rincuorò dopo aver ascoltato la dolorosa esposizione, e con voce ferma e tenera allo stesso tempo, esclamò: «Dio nostro è giusto e saggio, confidiamo nella Sua protezione!»
47. Jochedeb contemplò il figlio dall’alto in basso, fissandogli lo sguardo calmo e buono, laddove aveva percepito, in quel momento, l’indignazione che gli sembrava naturale e giusta, dominato com’era dal desiderio di vendetta. Vero, era, che aveva educato Jeziel per le gioie pure del dovere, in obbedienza alla fedele esecuzione della Legge, tuttavia, nulla lo avrebbe dissuaso ad abbandonare le sue idee di vendetta, in maniera da alleviare gli oltraggi ricevuti.
48. «Figliolo» – disse dopo aver meditato a lungo – «Jehova è pieno di giustizia, ma i figli di Israele, come popolo scelto, devono anche esercitarla. Potremmo essere giusti se dimentichiamo gli affronti? Non posso far tacere la coscienza senza aver ottenuto giustizia. Ho bisogno di segnalare gli errori di cui sono stato vittima, ora e nel passato, domani andrò dal legato per regolare i miei conti».
49. Il giovane ebreo fece un movimento di sorpresa e aggiunse: «Andrete per caso alla presenza del questore Licinio, sperando in azioni legali, nonostante quello che è capitato in passato, padre mio? Non è stato forse questo patrizio la stessa persona che vi ha spogliato delle terre, gettandovi in prigione? Non vedete che ha in mano le forze dell’iniquità? Non ci sarà da temere di nuove prepotenze per estorcerci il poco che ci resta?»
50. Jochedeb si immerse nello sguardo del figlio, che la nobiltà di cuore faceva brillava di commozione, ma nella sua rigidità di carattere, abituato a eseguire i propri disegni fino alla fine, esclamò quasi seccamente: «Come sai, ho conti vecchi e nuovi da regolare e, domani, secondo l’editto, approfitterò dell’opportunità che il governo provinciale ci ha dato».
51. «Padre mio, vi supplico» – avvertì il giovane, tra il rispettoso e l’affettuoso – «non usate queste possibilità!»
52. «E le persecuzioni?» – esplose il vecchio con forza. – «E questo vortice incessante d’ignominie attorno agli uomini della nostra stirpe? Non ci sarà una fine in questo cammino di infinite angosce? Dobbiamo assistere inermi alla distruzione di tutto ciò che possediamo di più sacro? Ho il cuore in rivolta per via di questi crimini efferati che ci colpiscono impunemente».
53. La voce gli divenne stemperata e malinconica, rivelando estremo scoraggiamento; tuttavia, senza turbarsi delle obiezioni paterne, Jeziel continuò: «Queste torture, nondimeno, non sono nuove. Molti secoli fa i faraoni in Egitto andarono ben oltre la crudeltà con i nostri antenati, quando trucidarono i bambini della nostra stirpe subito dopo la nascita. Antioco Epifanio[6], in Siria, fece decapitare donne e bambini, andando a prenderli fin dentro casa. A Roma, di volta in volta, tutti gli israeliti soffrono umiliazioni, confische, persecuzione e morte. Ma certamente, padre mio, Dio permette che sia così affinché Israele riconosca nella sofferenza più atroce la sua missione divina».
54. Il vecchio israelita sembrò meditare le parole del figlio; nonostante ciò, aggiunse risolutamente: – «Sì, tutto questo è vero, ma la giustizia deve essere compiuta, centesimo su centesimo, e nulla potrà farmi cambiare idea!»
55. «Così, domani andrete a lamentarvi con il legato?»
56. «Sì!»
57. In quel momento lo sguardo del giovane si posò sul vecchio tavolo dove stava la raccolta di Scritti Sacri della famiglia. Incoraggiato da un’ispirazione improvvisa, Jeziel, umilmente, ricordò: «Padre, non ho il diritto di esortarvi, ma vediamo quello che ci suggerisce la Parola di Dio su ciò che pensate in questo momento».
58. E aprendo i testi a caso, secondo l’uso del tempo, per conoscere quello che avrebbero potuto suggerire le Sacre Letture, lesse una parte nel libro dei Proverbi: – “Figlio mio, non disprezzare l’istruzione del Signore e non aver a noia la sua esortazione, perché il Signore corregge chi ama, come un padre il figlio prediletto”[7].
59. Il vecchio israelita aprì gli occhi sorpreso, rivelando lo stupore che il messaggio indiretto gli aveva procurato; e poiché Jeziel lo fissò a lungo cercando di capire il suo intimo atteggiamento di fronte ai suggerimenti degli Scritti sacri, sottolineò: «Prendo atto dell’avvertenza degli Scritti, figlio mio, ma non mi piego all’ingiustizia e, come ho deciso, presenterò la mia denuncia alle autorità competenti».
60. Il ragazzo sospirò e disse rassegnato: «Che Dio ci protegga! ...»
***
61. Il giorno dopo, la folla si radunò compatta vicino al tempio della Venere popolare. Da una vecchia casa, che funzionava da tribunale improvvisato, si vedevano lussuosi e stravaganti carri che attraversavano la grande piazza in tutte le direzioni. Erano i patrizi che andavano alle udienze della Corte Provinciale oppure ricchi proprietari di fortuna di Corinto che si divertivano a spese del sudore dei miserabili prigionieri. Un insolito movimento caratterizzava il luogo, osservandosi, di tanto in tanto, gli ufficiali ubriachi lasciare l’ambiente viziato del tempio della celebre dea, impregnato di lezzi e condannabili piaceri.
62. Jochedeb attraversò la piazza, senza fermarsi a fissare i dettagli della ressa che lo circondava, ed entrò nella stanza dove Licinio Minucio, circondato da molti ausiliari e soldati, emanava numerose disposizioni.
63. Coloro che avevano osato lamentarsi pubblicamente non superavano il centinaio e, dopo aver esposto le loro personali dichiarazioni, sotto lo sguardo vigile del legato, uno per uno venivano giudicati.
64. Arrivato il suo turno, il vecchio israelita espose le sue lamentele personali, relative alle espropriazioni indebite del passato e agli insulti di cui era stato vittima il giorno prima, mentre, dall’alto della sua cattedra, l’orgoglioso patrizio prendeva nota delle minime parole e atteggiamenti, con l’aria di chi già conosceva da lungo tempo il personaggio in questione. Portato nuovamente all’interno, Jochedeb, come gli altri, attese la soluzione alle loro domande di risarcimento e giustizia; e poco a poco, mentre gli altri venivano chiamati per l’accertamento dei conti con il Governo Provinciale, notò che la vecchia casa diventava silenziosa e percepì che il suo turno, eventualmente, era stato rimandato da circostanze non comprensibili.
65. Quando fu convocato per andare dal giudice, ascoltò, molto sorpreso, l’esito negativo letto da un ufficiale che aveva eseguito le funzioni di segretario di quel tribunale.
66. «Il legato imperiale, in nome di Cesare, decide di ordinare la confisca della presunta proprietà di Jochedeb Ben Jared, dandogli tre giorni per liberare la terra che occupa indebitamente, dal momento che appartiene con basi legali al questore Licinio Minucio, in grado di dimostrare in qualsiasi momento i suoi diritti di proprietà».
67. La decisione improvvisa causò un intenso turbamento al vecchio israelita, le cui parole ebbero un effetto micidiale. Nessuno avrebbe saputo definire l’angosciante sorpresa. Non aveva lui confidato nella giustizia e nella sua azione riparatrice? Voleva urlare il suo odio esprimendo la sua struggente delusione, ma la lingua era come pietrificata nella bocca retratta e tremula. Dopo un minuto di profonda ansietà, fissò in alto la figura odiata del vecchio patrizio che gli causava, adesso, la rovina finale e, avvolto nella vibrazione di collera dell’anima ribelle e sofferta, trovò l’energia per dire:
68. «O illustrissimo questore, dove si trova l’equità delle vostre sentenze? Vengo qui implorando l’intervento della giustizia e, in cambio della fiducia, ottengo ancora un’altra estorsione che mi rovinerà l’esistenza? In passato, ho sofferto l’espropriazione di tutte le mie terre, conservando con enormi sacrifici la piccola e umile fattoria, dove ho intenzione di aspettare la morte! ... Sarà mai possibile che voi, proprietario di grandi latifondi, non sentiate rimorso nel sottrarre ad un miserabile vecchio l’ultima crosta di pane?»
69. L’orgoglioso romano, senza un gesto che dimostrasse la più lieve emozione, rispose seccamente: – «Vattene! E che nessuno discuta le decisioni imperiali!»
70. «Non, discutere?» – gridò Jochedeb selvaggiamente. – «Non posso alzare la voce maledicendo la memoria dei criminali romani che mi hanno rovinato? Dove nasconderete le vostre mani, avvelenate dal sangue delle vittime e dalle lacrime delle vedove e degli orfani oppressi, quando suonerà l’ora del giudizio nel tribunale di Dio? ...»
71. Poi, improvvisamente, ricordando il focolare ornato dalla tenerezza dei suoi amati figli, modificò il suo pensiero, toccato nelle più intime fibre del suo essere. Prostrandosi in ginocchio, in un pianto convulsivo esclamò disperato: «Abbiate pietà di me, illustrissimo...! Risparmiate la mia modesta fattoria, dove io sono, soprattutto, un padre... I miei figli mi aspettano con un bacio di affetto sincero! ...» – E aggiunse, annegato nelle lacrime: «Ho due figli che sono la speranza del mio cuore. Risparmiatemi! Per Dio! Prometto che mi farò bastare questo poco, e mai più reclamerò altro! ...»
72. Tuttavia, il legato, impassibile, rispose con freddezza, rivolgendosi a un soldato: «Spartacus, affinché questo giudeo impertinente si allontani dalla stanza coi suoi lamenti, dieci bastonate! …»
73. Il preposto si organizzò immediatamente per eseguire l’ordine, ma il giudice, implacabile, aggiunse: «Fa’ attenzione a non tagliare la faccia in modo che il sangue non scandalizzi i passanti».
74. In ginocchio, il povero Jochedeb sopportò la punizione e, terminata la prova, si alzò, barcollante, raggiungendo la piazza assolata, sotto le risate nascoste di quanti avevano assistito all’ignobile spettacolo. Mai nella sua vita aveva sperimentato una disperazione così intensa come in quel momento.
75. Voleva piangere e aveva gli occhi freddi e asciutti, voleva lamentarsi dell’enorme sfortuna e le labbra erano pietrificate per la rivolta e dal dolore. Sembrava un sonnambulo vagante inconsapevole tra le bighe e i pedoni che affollavano l’enorme piazza. Contemplò con estremo e intimo disgusto il tempio di Venere. Desiderò avere la voce potente e forte per umiliare tutti i presenti con parole di condanna. Notando le cortigiane incoronate che incontrava, le armature dei tribuni romani e l’atteggiamento pigro dei fortunati che lo incrociavano all'oscuro del suo martirio, altri languidamente adagiati sulle vistose lettighe di quell’epoca, si sentì come immerso nelle più atroci paludi del mondo, tra i peccati che i profeti della sua stirpe non si erano mai stancati di punire dal profondo dei loro cuori consacrati all’Onnipotente. Corinto, ai suoi occhi, era una seconda Babilonia, condannata e spregevole.
76. Subito, nonostante i tormenti che gli turbavano l’anima esausta, ricordò ancora una volta i suoi cari figli, percependo, in anticipo, la profonda amarezza che la notizia della sentenza avrebbe causato al loro spirito sensibile e affettuoso. Il ricordo della dolcezza di Jeziel inteneriva il suo petto maturato dalla sofferenza. Ebbe l’impressione di vederlo ancora ai suoi piedi chiedergli di rinunciare a qualsiasi pretesa, negli orecchi risuonava con più intensità l’esortazione degli Scritti: “Figlio mio, non disprezzare l’istruzione del Signore!”. Ma al tempo stesso, idee distruttive gli invadevano il cervello stanco e addolorato. La legge sacra era piena di simboli di giustizia. E, per lui, s’imponeva come dovere sovrano, fornire la riparazione che gli sembrava conveniente. Adesso tornava a casa nella desolazione suprema, privato di tutto quello che aveva di più umile e semplice, e al tramonto della sua vita! Come provvedere al pane di domani? Senza possibilità di lavorare e senza un tetto, si vedeva costretto a peregrinare in una situazione parassitaria, a fianco dei giovani figli. Un’inenarrabile martirio morale gli soffocava il cuore.
77. Dominato da amari pensieri, si avvicinò all’amato focolare dove aveva costruito il suo nido familiare. Il Sole caldo del pomeriggio sembrava più dolce all’ombra degli alberi lussureggianti. Jochedeb avanzò nella terra che era di sua proprietà e, angosciato dalla prospettiva di abbandonarla per sempre, diede spazio a terribili tentazioni che gli oscuravano la mente. Le terre di Licinio non erano confinanti con la sua fattoria? Allontanandosi dal percorso che lo portava a casa, penetrò nella folta vegetazione vicina, e dopo pochi passi restò a guardare la linea di confine tra lui e il suo carnefice. I pascoli dall’altra parte non sembravano ben curati. In mancanza di una buona distribuzione delle acque comuni, l’inaridimento generale si faceva sentire. Solo qualche albero isolato alleggeriva il paesaggio con la sua ombra, rinfrescando la regione trascurata, tra spine e parassiti che soffocavano le erbe utili. Ossessionato da idee di riparazione e vendetta, il vecchio israelita decise di bruciare i pascoli nelle vicinanze. Non poteva consultare i figli, i quali, inclini alla tolleranza e alla gentilezza, probabilmente avrebbero piegato il suo spirito. Jochedeb indietreggiò di qualche passo e, utilizzando del materiale di lavoro conservato da quelle parti, accese il fuoco con un mucchio d’erba secca. In pochi minuti la scintilla si diffuse celermente e, nei pascoli, il fuoco si propagò con la velocità del fulmine.
78. Dopo aver compiuto l’atto, sotto il peso pietoso delle ossa doloranti, tornò barcollante a casa, dove Abigail gli chiese, senza successo, i motivi di quel profondo sconforto. Jochedeb si distese in attesa del figlio, ma dopo poco, un rombo assordante risuonò ai suoi orecchi. Non lontano dalla fattoria, il fuoco aveva distrutto alberi robusti e fronde amiche, riducendo il pascolo verde in una manciata di ceneri. Un’ampia area bruciava irrimediabilmente, e si ascoltavano le grida lamentose degli uccelli fuggenti impauriti. I piccoli miglioramenti apportati dal questore, tra cui alcune delle sue terme predilette costruite tra gli alberi, bruciavano anch’esse, trasformandosi in nere macerie. Si sentiva qua e là il frastuono dei lavoratori rurali in fermento, per salvare dalla distruzione la residenza di campagna del potente patrizio, cercando di isolare il serpente di fuoco che lambiva la terra in tutte le direzioni, avvicinandosi ai frutteti vicini.
79. Passate alcune ore di angosciante aspettativa, il fuoco fu domato nel tardo pomeriggio dopo enormi sforzi. Invano il vecchio giudeo aveva inviato messaggi cercando il figlio all’interno della cerchia di servizio del suo piccolo casolare. Desiderava parlare con Jeziel delle loro necessità e della situazione in cui si trovavano nuovamente, ansioso di riposare la mente tormentata nelle parole dolci e tenere di suo figlio. Tuttavia, solo di notte, con i suoi vestiti bruciati e le mani lievemente ferite, il giovane entrò in casa, lasciando intravedere nell’aspetto stanco, la fatica e il laborioso compito che si era imposto. Abigail non si sorprese del suo aspetto, sapeva che il fratello non avrebbe abbandonato i colleghi del vicinato, in balia dell’incendio, così preparò per i piedi stanchi e le mani doloranti un bagno d’acqua aromatizzata; ma non appena il padre lo vide e notò le sue mani ferite, con spavento esclamò: «Dove sei stato, figlio mio?»
80. Jeziel parlò della collaborazione spontanea nel salvataggio della proprietà vicina e, mentre raccontava i tristi successi della giornata, il padre si lasciò tradire dall’angoscia disegnata sulla sua faccia cupa, dove trapelavano i tratti stereotipi della dura rivolta che gli divorava il cuore. Dopo alcuni minuti, turbato, alzò la voce con profonda emozione:
81. «Figli miei, mi costa dirlo, ma siamo stati spogliati dell’ultima briciola che ci resta. Disapprovando la mia sincera e leale protesta, il legato di Cesare ha ordinato il sequestro della nostra casa. L’iniqua sentenza è il passaporto della nostra rovina totale. Per sua disposizione siamo costretti a lasciare la fattoria entro tre giorni!»
82. E, alzando gli occhi verso l’alto, come nel bisogno della misericordia divina, esclamò con gli occhi velati di lacrime: «Tutto è perduto!... Perché sono stato abbandonato, Dio mio! Dov’è la libertà del tuo popolo fedele, se siamo sterminati ovunque e ci perseguitano senza pietà?»
83. Lacrime spesse scorrevano sulle guance, mentre la sua voce tremante narrava ai figli il pesante tormento di cui era stato vittima. Abigail gli baciava dolcemente le mani, e Jeziel, senza alcuna allusione alla ribellione paterna, lo abbracciò dopo il suo racconto doloroso, consolandolo con amore:
84. «Padre mio, perché vi tormentate? Dio non è mai avaro di misericordia. Le Sacre Scritture ci insegnano che Egli, prima di tutto, è il Padre manifesto di tutti gli sconfitti della Terra! Queste sconfitte vengono e se ne vanno. Avete le mie braccia e le cure affettuose di Abigail. Perché lamentarsi, se domani stesso, con il soccorso divino, possiamo uscire da questa casa per cercarne un’altra in qualche altra parte, al fine di consacrarci al lavoro onesto?! Dio non guidò il nostro popolo scacciato dalla sua casa, attraverso il mare e il deserto? Perché negarci il suo sostegno, noi che tanto lo amiamo in questo mondo? Egli è la nostra bussola e la nostra casa».
85. Gli occhi di Jeziel fissarono il vecchio genitore in un gesto di supplica profondamente affettuosa. Le sue parole rivelavano la più dolce tenerezza nel cuore. Jochedeb non era insensibile a quelle belle dimostrazioni di affetto, ma davanti alla rivelazione di tanta fiducia nel potere divino, si vergognò del gesto estremo che aveva compiuto. Giacendo nella tenerezza che la presenza dei figli offriva al suo spirito desolato, assecondò le dolorose lacrime che fluivano dalla sua anima sofferente e afflitta dalle amare delusioni. Intanto, Jeziel continuò: «Non piangete padre mio, contate su di noi! Domani, io stesso provvederò alla nostra partenza come richiesto».
86. Fu allora che la voce paterna si alzò triste e continuò: «Ma non è tutto, figlio mio! ...»
87. E, lentamente, Jochedeb dipinse il quadro delle angosce represse della sua giusta collera, culminata con la decisione di incendiare la proprietà dell’esecrabile boia. I figli lo ascoltarono stupiti, mostrando un sincero dolore che la condotta paterna causava ora. Dopo uno sguardo di infinito amore e profonda preoccupazione, il giovane lo abbracciò, sussurrando: «Padre mio, padre mio! Perché hai alzato il tuo braccio vendicatore? Perché non hai aspettato l’azione della giustizia divina? ...»
88. Anche se disturbato dall’amorevole ammonimento, l’interpellato disse: «È scritto nei comandamenti: “non ruberai”; e, facendo quel che ho fatto, ho cercato di correggere una violazione della Legge, in quanto sono stato espropriato di tutto quello che costituiva il nostro umile patrimonio».
89. «Al di là di tutte le risoluzioni, però, padre mio…» – accentuò Jeziel senza irritazione – «…Dio ha fatto incidere l’insegnamento dell’amore, raccomandandosi che Lo amassimo sopra ogni cosa, con tutto il nostro cuore e con tutta la nostra comprensione».
90. «Amo l’Altissimo, ma non posso amare il crudele romano!» – sospirò Jochedeb amaramente.
91. «E come possiamo dimostrare dedizione all’Onnipotente in Cielo?» – continuò compassionevole il giovane – «…distruggendo le Sue opere? Nel caso dell’incendio, non dobbiamo considerare solo la nostra diffidenza nella giustizia di Dio, ma pure i campi che ci forniscono rifugio e pane hanno sofferto con il nostro atteggiamento; e i due migliori servitori di Licinio Minucio, Caio e Rufílio, sono stati feriti a morte durante il tentativo di salvare le terme preferite del padrone, in una lotta inutile per liberarle dal fuoco che le ha distrutte; entrambi, anche se schiavi, sono stati i nostri migliori amici. Gli alberi di frutta e l’orto di verdura di nostra proprietà devono quasi tutto a loro, non solo per quanto riguarda i semi provenienti da Roma, ma anche per l’impegno e la collaborazione con il mio lavoro. Non sarebbe giusto onorare la loro amicizia, dedicata e diligente, evitandogli punizioni e sofferenze ingiuste?»
92. Jochedeb sembrò meditare profondamente sulle osservazioni del figlio, mentre Abigail piangeva in silenzio, il giovane disse in tono affettuoso: «Noi che eravamo in pace, nelle sconfitte del mondo perché portavamo la coscienza pura, dobbiamo affrontare adesso quello che verrà in rappresaglie. Quando mi sono sforzato di lottare contro il fuoco, ho notato che molti affezionati a Minucio mi guardavano con sospetto. A quest’ora sarà tornato dalla sede della Corte Provinciale. Abbiamo bisogno di raccomandarci all’amore e alla benevolenza di Dio, non possiamo ignorare i tormenti riservati dai romani a tutti coloro che non rispettano le loro leggi».
93. Penose nubi di tristezza fecero cadere i tre in tenebrose preoccupazioni. Nel vecchio si osservava una terribile ansietà che si mescolava con il dolore del rimorso struggente e, in entrambi i giovani, si notava nello sguardo un’ineccepibile amarezza, angosciosa e intraducibile.
94. Jeziel prese dal tavolo le vecchie pergamene sacre e disse alla sorella con un triste accento: «Abigail, recitiamo il Salmo che ci fu insegnato dalla mamma per le ore difficili».
95. Entrambi s’inginocchiarono e le loro voci, come quelle degli uccelli torturati, dolcemente cantarono sommessi una delle più belle preghiere di Davide che avevano imparato nelle braccia materne:
“Il Signore è il mio pastore,
nulla mi può mancare;
su pascoli erbosi mi fa riposare
ad acque tranquille mi conduce.
Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino,
per amore del Suo Nome.
Se dovessi camminare per la valle dell’oscura morte,
non temerei alcun male, perché Tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza.
Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici;
cospargi di olio il mio capo.
Il mio calice trabocca.
Felicità e grazia mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
e abiterò nella casa del Signore
per lunghissimi anni”[8].
96. Il vecchio Jochedeb accompagnò il canto doloroso, sentendosi oppresso da quelle amare emozioni. Cominciò a capire che tutte le sofferenze inviate da Dio erano utili e giuste, e che tutti i mali procurati dalle mani umane, portavano inevitabilmente alle torture infernali delle coscienze non vigili. Il canto ovattato dei figli riempì il suo cuore di dolori pungenti. Ora si ricordò della cara compagna che Dio aveva chiamato alla vita spirituale. Quante volte lei aveva accarezzato teneramente il suo spirito tormentato, tramite quei versi indimenticabili del profeta? Sarebbe bastato che le sue osservazioni, amiche e fedeli, le avesse ascoltate, che il senso dell’obbedienza e della giustizia gli avrebbe parlato nell’elevatezza del cuore.
97. Al ritmo dell’armonia tenera e triste, che aveva assunto un unico ritmo nella voce degli adorati, Jochedeb pianse a lungo. Dalla piccola finestra aperta nell’umile stanza, gli occhi cercarono angosciati il cielo blu, che ora era pieno di ombre tranquille. La notte abbracciava la natura e, lontano, in alto, cominciò a brillare la prima stella.
98. Identificandosi con le grandiose suggestioni del firmamento, sperimentò un’intensa commozione nell’anima agitata. Una profonda tenerezza lo fece alzare e, desideroso di rivelare ai figli quanto li amasse e quanto si aspettasse da loro in quel momento culminante della sua vita, si rivolse loro con le braccia aperte con una significativa espressione di affetto, e quando le ultime note del canto furono pronunciate dai giovani in ginocchio e stretti tra loro, li abbracciò in lacrime, mormorando: «Figli miei! Figli miei cari…!»
99. Ma in quel momento la porta si aprì e un piccolo servo del vicino annunciò con grande stupore negli occhi: «Signori, il soldato Zenas e alcuni compagni vi chiamano alla porta».
100. Il vecchio posò la mano destra sul petto oppresso, mentre Jeziel sembrò meditare un istante; tuttavia, rivelando la fermezza del suo spirito risoluto, il giovane esclamò: «Dio ci proteggerà!»
101. Dopo alcuni istanti, il messaggero che aveva guidato la piccola scorta, lesse il mandato d’arresto per tutta la famiglia. L’ordine era categorico e irrevocabile. Gli accusati dovevano essere presi immediatamente e portati in prigione per chiarire la situazione il giorno dopo.
102. Abbracciato ai figli, il povero israelita marciò davanti alla scorta, che li guardava senza pietà.
103. Jochedeb contemplò le aiuole fiorite e gli alberi amati, vicini alla semplice dimora dove aveva intessuto tutte le sue speranze e i sogni di una vita. Una singolare emozione gli dominò lo spirito stanco. Un torrente di lacrime scendeva dai suoi occhi e, attraversando la barriera di fiori, parlò a voce alta, guardando il cielo limpido, ora ricamato di astri della notte: «Signore! Abbi pietà del nostro amaro destino…!»
104. Jeziel gli strinse dolcemente la mano rugosa, come a chiedergli rassegnazione e calma, e il gruppo marciò in silenzio sotto la luce delle stelle.
[indice]
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Abusi e lacrime, martirio e accettazione, per amore a Dio
1. La prigione che accolse i nostri personaggi a Corinto era un vecchio palazzo di corridoi umidi e scuri, ma la sala destinata a loro tre, sebbene priva di conforto, offriva il vantaggio di una finestra sbarrata che metteva in contatto l’ambiente desolato con la natura esterna.
2. Jochedeb era stanchissimo, e Jeziel, servendosi del mantello che aveva preso a caso mentre veniva portato via, improvvisò un letto sulle fredde pietre. Il vecchio, tormentato da un mare di pensieri, riposò con il corpo dolorante, immerso in amare meditazioni sui problemi del destino umano. Senza voler mostrare i suoi pungenti dolori, si chiuse in se stesso in un angoscioso mutismo, evitando gli sguardi dei figli. Jeziel e Abigail si avvicinarono alla finestra afferrandosi alle sbarre rigide e nascondendo con difficoltà la giusta inquietudine. Entrambi guardavano istintivamente il firmamento, la cui immensità riassume da sempre la fonte delle più tenere speranze per coloro che piangono e soffrono sulla Terra.
3. Il giovane abbracciò sua sorella con immensa tenerezza e, emozionato, disse: «Abigail, ricordi la nostra lettura di ieri?»
4. «Sì…» – rispose lei con una serena ingenuità che traspariva dai suoi occhi neri e profondi – «…adesso ho l’impressione che le Scritture ci hanno dato un grande messaggio, perché stavamo studiando proprio il passo dove Mosè, da lontano, osservò la terra promessa senza poterla raggiungere».
5. Il ragazzo sorrise compiaciuto di sentirsi identificato negli stessi pensieri, e confermò: «Vedo che siamo in perfetto accordo, il cielo, stanotte, ci offre la prospettiva di una patria luminosa e distante. Là…» – continuò indicando la volta stellata – «…Dio organizza i trionfi della vera giustizia, là dà pace ai tristi e conforto agli scoraggiati. Certamente, nostra madre è con Dio e ci aspetta».
6. Abigail, molto impressionata dalle parole del fratello, sottolineò: «Sei triste? Sei adirato per la condotta di nostro padre?»
7. «No, per niente!» – l’interruppe il giovane accarezzandole i capelli – «Stiamo vivendo esperienze che devono avere un obiettivo migliore per la nostra redenzione, perché altrimenti, Dio non ce le avrebbe mandate».
8. «Non rammarichiamoci per nostro padre…» – disse la giovane – «…stavo pensando che se la mamma fosse stata con noi, lui non avrebbe avuto queste reazioni dalle tristi conseguenze. Non abbiamo il potere della persuasione che aveva lei, sempre amorevole, illuminando la nostra casa. Ti ricordi? Ci ha sempre insegnato che i figli di Dio devono essere pronti ad eseguire le volontà divine. I profeti a loro volta affermano che gli uomini sono rami nel campo della creazione. L’Onnipotente è l’agricoltore, e noi dobbiamo essere i rami fioriti o fruttiferi, nella Sua opera. La Parola di Dio ci insegna ad essere buoni e amabili. Il bene dovrebbe essere il fiore e il frutto che il Cielo ci chiede».
9. In quel momento, la bella giovane fece una pausa significativa. I suoi grandi occhi erano rivestiti da un sottile velo di lacrime che non riuscivano a cadere.
10. «Tuttavia…» – continuò, emozionando l’affettuoso fratello – «…ho sempre voluto fare qualcosa di buono per qualcuno, ma non ci sono mai riuscita. Quando la nostra vicina di casa diventò vedova, volevo aiutarla con dei soldi, ma non li avevo; ogni volta che è sorta l’opportunità di aprire le mani, le ho avute povere e vuote. Così, adesso, credo sia utile la nostra prigione. Non sarà una felicità, in questo mondo, poter soffrire un po’ per amore di Dio? Chi non ha nulla, possiede ancora il cuore da dare. E sono convinta che il Cielo ci benedirà per il nostro desiderio di servirlo con gioia».
11. Il giovane la strinse al petto e disse: «Dio ti benedica per la comprensione delle Sue Leggi, sorellina!»
12. Una lunga pausa si stabilì tra i due, mentre immergevano nell’infinito della notte chiara gli occhi teneri e angosciati.
13. Poco dopo, la giovane tornò a dire: «Perché i figli della nostra stirpe sono perseguitati in tutte le parti, sopportando ingiustizia e sofferenza?»
14. «Suppongo…» – rispose il giovane – «…che Dio lo permetta come esempio di Padre amorevole che, per educare i figli più piccoli e ignoranti, prende a modello i figli più esperti. Mentre gli altri popoli, nella dominazione, disperdono le forze con la spada oppure nei piaceri condannabili, la nostra testimonianza all’Altissimo, con dolori e amarezze, moltiplica nel nostro spirito la capacità di resistenza, allo stesso tempo gli altri uomini imparano a considerare, con i nostri sforzi, le verità religiose».
15. E fissando lo sguardo sereno nel firmamento, aggiunse: «Ma io credo nel Messia Redentore che chiarirà tutte le cose. I profeti ci dicono che gli uomini non lo capiranno; tuttavia, verrà ad insegnare l’amore, la carità, la giustizia e il perdono. Nascerà tra gli umili, darà l’esempio tra i poveri, illuminerà il popolo d’Israele, consolerà i tristi e gli oppressi, accoglierà, con amore, tutti quelli che soffrono l’abbandono nel cuore. Chissà, Abigail, se non è già nel mondo senza che lo sappiamo? Dio opera in silenzio, e non in competizione con la vanità delle creature. Avere fede e confidare nel Cielo è una fonte inesauribile di forza. I figli della nostra stirpe hanno sofferto molto, ma Dio sa il perché, e non ci avrebbe inviato problemi se non ne avessimo avuto bisogno».
16. La giovane sembrò meditare a lungo, e dopo alcuni instanti continuò: «E già che parliamo di sofferenza, come dovremmo aspettarci il giorno di domani? Prevedo grandi avversità negli interrogatori e, infine, cosa faranno i giudici di nostro padre e di noi?»
17. «Non dovremo aspettarci altro che dolori e delusioni, ma non dimentichiamoci l’opportunità di ubbidire a Dio. Quando Giobbe sperimentò l’ironia di sua moglie, nelle sue sventure, si ricordò che se il Creatore ci dà il benessere per la nostra gioia, può ugualmente inviarci dissapori a nostro vantaggio. Se nostro padre sarà accusato, dirò che sono stato io l’autore del misfatto».
18. «E se ti flagellassero per questo?» – chiese lei con gli occhi angosciati.
19. «Sarò flagellato con la coscienza in pace. Se sarai con me in quel momento, canteremo insieme la preghiera degli afflitti».
20. «E se dovessero ucciderti, Jeziel?»
21. «Chiederemo a Dio che ci protegga».
22. Abigail abbracciò più teneramente suo fratello, il quale, a sua volta, mal dissimulava l’emozione che aveva nell’anima. La cara sorella era da sempre il tesoro affettivo della sua vita. Dal momento che la morte gli aveva strappato la madre si era dedicato a lei, sempre dal più profondo del cuore. La sua vita pura era divisa tra il lavoro e l’obbedienza al padre tra lo studio della Legge e la dolce e affettuosa compagna d’infanzia. Abigail lo guardò teneramente, e lui l’abbracciò con il trasporto della pura amicizia che riunisce due anime affini. Dopo aver meditato per lunghi minuti, Jeziel parlò emozionato: «Se muoio, Abigail, devi promettermi di seguire alla lettera i consigli della mamma, di avere una vita senza macchia in questo mondo. Dovrai ricordarti di Dio e della nostra vita di lavoro santificante, e non ascoltare mai la voce delle tentazioni che trascinano le creature nei precipizi del cammino. Ti ricordi quello che ha detto la mamma sul letto di morte?»
23. «Sì che lo ricordo» – disse Abigail con una lacrima. – «Ho l’impressione di sentire ancora le sue ultime parole: “E voi, figli miei, amerete Dio sopra ogni cosa, con tutto il cuore e con tutta la comprensione”». – Jeziel sentì gli occhi bagnati da quei ricordi, e sussurrò:
24. «Beata te che non l’hai dimenticata».
25. E come uno che volesse cambiare il corso della conversazione, aggiunse coinvolto: «Ora hai bisogno di riposare».
26. Nonostante lei avesse rifiutato di riposare, lui prese il suo povero mantello e improvvisò un letto alla fioca luce della Luna che penetrava attraverso le sbarre e, baciandole la fronte con tenerezza indicibile, disse affettuosamente: «Rilassati, non t’impressionare della situazione, il nostro destino appartiene a Dio».
27. Abigail, per gentilezza, si acquietò come meglio poteva, mentre lui si avvicinò alla finestra per ammirare la bellezza della notte cosparsa di luce. Il suo giovane cuore era pieno di angosciose riflessioni. Ora che il padre e la sorella riposavano all’ombra, diede sfogo alle profonde idee che gli si agitavano nello spirito generoso. Cercava, ansiosamente, una risposta alle domande che mandava alle stelle lontane. Sperava con sincerità e fiducia nel suo Dio di sapienza e misericordia, quel Dio che i genitori gli avevano fatto conoscere. Ai suoi occhi, l’Onnipotente era sempre stato infinitamente giusto e buono. Egli, che aveva chiarito con il genitore e confortato la sorellina, ora si chiedeva, a sua volta, il perché delle sue prove dolorose. Come si giustificava, per una causa così misera, la detenzione inaspettata di un onesto anziano, di un giovane lavoratore e una fanciulla innocente? Quale irreparabile delitto avevano fatto per meritare una così doloroso castigo? Il pianto si precipitò copioso nel ricordare l’umiliazione della sorella, ma cercò di asciugare le lacrime che ora già gli inondavano il viso, in modo da nasconderle ad Abigail che, forse, lo osservava nell’ombra. Ricordava, uno per uno, tutti gli insegnamenti delle Sacre Scritture. Le lezioni dei profeti gli consolavano l’anima angosciata, tuttavia nel cuore gli era ancora vagante una dolce e infinita nostalgia. Si ricordò del calore materno che la morte gli aveva strappato. Se la madre fosse stata presente a quella pena, avrebbe saputo confortarli. Quando era bambino, nelle piccole difficoltà lei gli insegnava che, in tutto, Dio era buono e misericordioso, che nelle malattie correggeva il corpo, e nelle angosce dell’anima chiarificava e illuminava il cuore. Nella fascia dei ricordi lei lo aveva sempre esortato al coraggio e alla gioia, facendogli sentire che la creatura convinta della paternità divina procede, nel mondo, forte e felice.
28. Sostenuto dalla fede, prese coraggio e, dopo molte riflessioni, acquietato sulla fredda pietra, cercò di riposare nell’imponente silenzio della notte. Il giorno spuntò pieno di lugubri aspettative.
29. Nel giro di poche ore, Licinio Minucio, circondato da numerose guardie e altri sottomessi, ricevette i prigionieri nella sala assegnata ai criminali comuni, dove c’erano in mostra alcuni strumenti di punizione e supplizio. Jochedeb e i figli tradivano nel pallore del volto l’emozione profonda che li dominava. I costumi del tempo erano troppo disumani perché il giudice implacabile e la maggioranza degli spettatori fossero indotti alla pietà dal loro aspetto miserabile.
30. Alcune guardie furono posizionate lungo lo spietato castigo, da cui pendevano fruste e manette impietose.
31. Non ci fu interrogatorio e nessuna deposizione di testimonianza, come ci si attende prima di un’azione così odiosa e, chiamato bruscamente dalla voce metallica del legato, il vecchio giudeo si avvicinò barcollante e tremante.
32. «Jochedeb!» – esclamò l’aguzzino impassibile e sdegnoso. – «Chi viola le leggi dell’impero, deve morire! Ma io voglio essere magnanimo, considerando la tua vecchiaia impotente».
33. Uno sguardo di angosciata aspettativa trasfigurò il volto dell’imputato, mentre il patrizio abbozzava un sorriso ironico.
34. «Alcuni lavoratori della proprietà…» – continuò Licinio – «…hanno visto le tue mani perverse ieri pomeriggio, quando incendiasti i pascoli. Quest’atto ha procurato seri pregiudizi ai miei interessi, oltre a causare danni forse irreparabili alla salute dei miei due servi più preziosi. Poiché non possiedi nulla di tuo per compensare il danno causato, riceverai l’equivalente in fustigazioni, affinché tu non possa alzare mai più gli artigli di avvoltoio contro gli interessi romani».
35. Sotto lo sguardo disperato e in lacrime dei figli, il vecchio israelita s’inginocchiò e mormorò: «Signore, per pietà!»
36. «Pietà?» – urlò Minucio bruscamente. – «Commetti un crimine e implori pietà? Dicono bene quando affermano che la tua razza è composta da vermi brutti e schifosi» – e indicando il tronco, disse freddamente a uno dei suoi seguaci: «Pescenio, comincia! Frustalo venti volte».
37. Davanti al muto dolore dei giovani, il rispettabile anziano fu saldamente ammanettato. La punizione stava per iniziare quando Jeziel, rompendo l’aspettativa generale, si avvicinò al tavolo e disse umilmente: «Questore illustrissimo, perdonate la mia vigliaccheria nel tacere fino ad ora; vi assicuro, però, che mio padre è stato accusato ingiustamente. Sono stato io che ho bruciato la terra di vostra proprietà, disturbato dalla sentenza di confisca pubblicata contro di noi. Degnatevi dunque di liberarlo, e date a me la giusta punizione. L’accetterò volentieri».
38. Il patrizio ebbe un lampo di sorpresa nei suoi occhi freddi, che si caratterizzavano per l’estrema immobilità, e disse: «Ma non sei stato tu ad aiutare i miei uomini a salvare una parte delle terme? Non sei stato il primo a medicare Rufílio?»
39. «Ho agito per il rimorso, illustrissimo» – rispose il giovane, desideroso di esonerare il padre dalla prova imminente. – «Quando ho visto l’entità del fuoco estendersi agli alberi, ho temuto le conseguenze dell’atto. Ma adesso confesso d’essere stato io l’autore».
40. Nel frattempo, temendo per la sorte di suo figlio, Jochedeb esclamò, intimamente tormentato: «Jeziel, non t’incolpare di un crimine che non hai commesso!»
41. Ma, scandendo le parole con estrema ironia, il questore replicò, rivolgendosi al giovane ebreo: «Va bene. Finora, ti ho risparmiato sulla base delle informazioni false che mi hanno dato su di te; da questo momento avrai anche tu parte della punizione. Tuo padre pagherà per il crimine di cui è stato visto, in modo innegabile, e tu pagherai per quello che hai confessato spontaneamente».
42. Colto di sorpresa dalla decisione che non si aspettava, Jeziel fu condotto al palo della tortura davanti al padre angosciato. Al suo fianco c’era il compagno di Pescenio che lo legò senza pietà alle catene di bronzo, e iniziò la prima fustigazione a lambirgli la schiena, spietata e isocrona[9].
43. Uno... due... tre...
44. Jochedeb rivelava profonda debolezza, si vedeva il suo petto ansimare dolorosamente, mentre il figlio mostrava tollerare la tortura con eroismo e nobile serenità; tutte e due fissavano Abigail che li fissava estremamente pallida, mostrando tra le lacrime cocenti il martirio straziante del suo spirito affettuoso.
45. La terribile punizione era quasi a metà, quando un messaggero entrò nel luogo del supplizio e, ad alta voce, annunciò al questore, in tono solenne: «Illustrissimo, messaggeri della vostra casa informano che il servo Rufílio è appena morto».
46. Il crudele patrizio aggrottò la fronte come faceva spesso nei momenti di sfogo collerico. Sentimenti rancorosi gli affiorarono in volto, che la perversità dell’egoismo esacerbato aveva segnato con tracce indelebili.
47. «Era il migliore dei miei uomini» – urlò. – «Questi giudei maledetti pagheranno molto caro questo affronto».
48. «Filocrio, infliggi altre venti fustigate e poi portalo in carcere, dove seguirà la prigionia nelle galee».
49. Tra le povere vittime e la giovane afflitta ci fu uno scambio di sguardi significativi, intraducibili. Quella prigionia era la rovina e la morte. E non si erano ancora ripresi dalla crudele sorpresa, quando il giudice inesorabile continuò: «Quanto a te, Pescenio, rinnova l’incarico. Questo vecchio, criminoso e senza scrupoli, pagherà la morte del mio servo fedele. Colpisci mani e piedi fino a quando non sarà più in grado di camminare e di fare del male».
50. Di fronte a quella sentenza iniqua, Abigail cadde in ginocchio, in fervente preghiera. Dal petto del fratello fuoriuscivano profondi sospiri, annebbiandogli gli occhi di lacrime dolorose al solo immaginare l’implacabile indigenza della sorellina; in quanto al padre, egli cercava avidamente il loro sguardo, nella paura dell’ora estrema.
51. La fustigazione continuò senza sosta, ma, questa volta, Pescenio non riuscendo a mantenersi in equilibrio, colpì con l’aguzzata punta di bronzo della frusta la gola del povero israelita, facendo schizzare sangue dappertutto. I figli capirono la gravità della situazione e si guardarono angosciati. In forti preghiere, Abigail si rivolse a Dio, a quel Dio tenero e amorevole che sua madre le aveva insegnato ad adorare. Filocrio aveva concluso la sua opera. La fronte di Jeziel si alzava a stento, mostrando il sudore sporco di sangue. Gli occhi erano fissi sulla tanto amata sorella, ma, in tutto il suo aspetto, era tradito dalla profonda debolezza che annullava l’ultima resistenza. Incapace di definire i propri pensieri, Abigail divideva la sua attenzione angosciata tra il padre e il fratello; tuttavia, in brevi instanti, al flusso incessante del sangue che scorreva abbondante, Jochedeb lasciò cadere, per sempre, la testa piena di bianchi capelli. Il sangue aveva impregnato gli indumenti fino ad arrivare ai suoi piedi. Sotto lo sguardo crudele del legato, nessuno osava articolare una parola. Solo la frusta, tagliando l’ambiente tiepido della sala, rompeva il silenzio in un sibilo singolare. Ma si osservò che dal torace della vittima sfuggivano ancora delle parole confuse, dalle quali uscivano espressioni affettuose: «Figli miei, …figli miei cari!»
52. La giovane forse non riusciva a capire che era giunto il momento decisivo, ma Jeziel, nonostante la terribile sofferenza di quell’ora, comprese ogni cosa e, in uno sforzo immenso, gridò alla sorella: «Abigail, nostro padre sta morendo; abbi coraggio, confida... Non posso accompagnarti nella preghiera... ma falla per tutti noi... la preghiera degli afflitti...».
53. Dando esempio di fede invidiabile in circostanze amare, la giovane in ginocchio fissò a lungo il vecchio padre, il cui petto non si sollevava più; poi, alzando lo sguardo in alto, cominciò a cantare con voce tremante, ma armoniosa e cristallina:
“Signore Dio,
Padre di quelli che piangono,
dei tristi, degli oppressi.
Roccaforte dei vinti,
consolazione di tutto il dolore,
anche nella miseria amara
dei pianti, dei nostri errori,
in questo mondo di esilio
imploriamo il Vostro amore!
Nelle afflizioni del cammino,
nella notte più tormentosa,
la Vostra fonte generosa
è il bene che non si seccherà.
Siete, in tutto, la Luce eterna
di gioia e di calma,
la nostra porta di speranza
che mai si chiuderà”.
54. Le sue espressioni vocali riempirono l’ambiente di una sonorità indefinibile. Il canto somigliava più a un cinguettio di dolore di un usignolo che cantava, ferito, in un’alba di primavera. Così grande, così sincera si rivelava la fede nell’Onnipotente, che il suo atteggiamento generale era quello di una figlia amorevole e obbediente, in comunicazione con un Padre silenzioso e invisibile. Il pianto disturbava la voce tremante, ma ripeteva coraggiosamente la preghiera, imparata a casa, come la più bella espressione di fiducia nell’Altissimo.
55. Un’emozione toccante s’impossessò di tutti. Cosa fare di una fanciulla che canta il tormento dei suoi cari e la crudeltà dei suoi aguzzini? I soldati e le guardie presenti mal dissimulavano l’emozione. Lo stesso questore sembrava impedito, come bloccato da una faccenda noiosa. Abigail, estranea alla perversità delle creature, supplicando la protezione dell’Onnipotente, non sapeva ancora che il canto sarebbe stato inutile per salvare i suoi, ma avrebbe risvegliato commiserazione per la sua innocenza, guadagnandosi così la libertà. Recuperando il respiro e rendendosi conto che la scena aveva colpito la sensibilità generale, Licinio lottò per non perdere la durezza di spirito e incaricò uno dei vecchi servitori, in tono imperioso: «Giustino, porta via questa donna e abbandonala, ma che non canti più, nemmeno una nota!»
56. Davanti all’ordine pressante, Abigail terminò la preghiera, ammutolendo all’istante, come se obbedisse ad uno strano comando.
57. Lanciò al cadavere insanguinato del padre uno sguardo indimenticabile e, contemplando il fratello ferito e ammanettato, col quale scambiò intime impressioni nel linguaggio degli occhi, angosciati e addolorati, si sentì toccata dalla mano callosa di un vecchio soldato che le disse con voce quasi brusca: «Seguimi!»
58. Lei rabbrividì; tuttavia, indirizzando a Jeziel l’ultimo e significativo sguardo, seguì l’incaricato da Minucio, senza fare resistenza. Dopo aver attraversato numerosi corridoi bui e umidi, Giustino, modificando sostanzialmente la voce, le fece capire l’estrema simpatia che nutriva per la sua figura quasi infantile, sussurrandole commosso agli orecchi:
59. «Figlia mia, anch’io sono padre e capisco il tuo martirio. Se desideri assecondare un amico, ascolta il mio consiglio. Fuggi da Corinto in tutta fretta. Approfitta di questo istante di sensibilità dei tuoi aguzzini e non tornare più qui».
60. Abigail riprese un po’ di forza e, sentendosi incoraggiata da quella improvvisa simpatia, chiese molto turbata: «E mio padre?»
61. «Tuo padre riposa per sempre» – sussurrò il generoso soldato.
62. Il pianto della giovane si fece più copioso, scorrendo dai suoi occhi tristi. Tuttavia, desiderosa di difendersi contro la prospettiva della solitudine, chiese ulteriormente: «Ma... e mio fratello?»
63. «Nessuno torna indietro dalla prigionia nelle galee» – rispose Giustino con uno sguardo significativo. Abigail portò le piccole mani al petto, desiderando annegare il proprio dolore. Le cerniere della vecchia porta scricchiolarono lentamente e la sua inaspettata guardia esclamò, indicando la strada trafficata: «Va’ in pace e che gli dèi ti proteggano».
64. La povera creatura non tardò a sentire l’isolamento tra le file di pedoni che attraversavano frettolosi la via pubblica. Abituata agli affetti del focolare in cui il linguaggio paterno sostituiva il linguaggio della strada, si sentì estranea tra le tante creature inquiete, sopraffatte dalle preoccupazioni e dagli interessi materiali. Nessuno notò le lacrime, nessuna voce amica cercò di conoscere le sue intime angosce. Era sola! Sua madre era stata chiamata da Dio, anni prima; suo padre era stato appena assassinato codardamente; il fratello, prigioniero e schiavo, senza speranza di remissione. Nonostante il Sole di mezzogiorno, aveva la sensazione di freddo intenso. Ma era il caso di ritornare al nido domestico? A che pro, se erano stati espulsi? A chi confidare la sua grande sfortuna? Si ricordò di una vecchia amica di famiglia. La cercò. La vedova Sostenia, una brava vecchietta molto affezionata a sua madre, l’accolse con un generoso sorriso.
65. Disfatta dalle lacrime, la sventurata le raccontò tutto quello che era successo. La venerabile vecchietta, accarezzandole i capelli ondulati, parlò commossa: «Nelle persecuzioni passate, le nostre sofferenze furono le stesse». – E poiché non voleva rivivere vecchie reminiscenze dolorose, Sostenia continuò: «È indispensabile il massimo coraggio in situazioni penose come questa. Non è facile elevare il cuore in mezzo a tante terribili macerie, ma bisogna aver fiducia in Dio nei momenti amari. Cosa conti di fare ora che hai perso tutte le tue risorse? Da parte mia, non posso offrirti nulla che il cuore amico, perché anch’io sono qui grazie all’elemosina della povera famiglia che mi accolse caritatevolmente nell’ultima tempesta della mia vita».
66. «Sostenia…» – disse Abigail sospirando – «…i miei genitori mi hanno preparato per un’esistenza coraggiosa. Sto pensando di ricorrere al legato e supplicare un angolino della nostra fattoria per vivere lì una vita onesta, nella speranza di rivedere Jeziel e la sua fraterna compagnia. Che ne pensi?»
67. Notando l’indecisione della venerabile amica, continuò: «Chissà se il questore Licinio avrà pietà della mia sorte? Forse lo commuoverà la mia decisione; ritornando a casa ti prenderò con me. Sarai per me come una seconda madre per il resto della vita».
68. Sostenia la strinse al cuore e con gli occhi umidi disse: «Mia cara, sei un angelo, ma il mondo è ancora di proprietà del male. Avrei vissuto con te per sempre, mia buona Abigail; tuttavia, non conosci il legato né la sua banda. Ascoltami, figlia mia! È necessario che tu fugga da Corinto, in modo da non cadere in umiliazioni più dure».
69. La fanciulla ebbe un’esclamazione d’abbattimento e, dopo una lunga pausa, aggiunse: «Accetterò il tuo consiglio, ma prima di qualsiasi azione, necessito di tornare a casa».
70. «Perché?» – chiese l’amica stupita. – «È indispensabile che parti quanto prima. Non tornare al focolare. A quest’ora, è già possibile che sia occupato da uomini senza scrupoli, che non ti rispetterebbero. Ti conviene avere un sincero atteggiamento di forza morale, perché viviamo in un’epoca dove c’è bisogno di fuggire dalla perdizione, come Lot e la sua famiglia, con il rischio di essere trasformati in un’inutile statua, se guardiamo indietro».
71. La sorella di Jeziel assorbiva le sue parole con doloroso imbarazzo di fronte all’imprevista situazione.
72. Dopo un momento, Sostenia portò la mano alla fronte, come a ricordare una provvidenza opportuna e parlò animatamente: «Ti ricordi di Zaccaria, il figlio di Hanan? – Quell’amico lungo la strada di Cencrea? Proprio lui. Sono stata informata che, insieme alla moglie, si prepara a lasciare definitivamente l’Acaia, perché in questi ultimi giorni, il suo unico figlio è stato ucciso da alcuni romani irresponsabili». Confortata dalla fervida speranza, concluse con agitazione: «Corri a casa di Zaccaria! Se ancora lo trovi, parlagli a nome mio. Chiedi ospitalità. Ruth è un cuore generoso e ti stenderà le mani fraterne; …so che ti riceverà con carezze materne!»
73. Abigail ascoltò tutto, apparentemente indifferente al suo destino. Ma Sostenia le fece notare la necessità di utilizzare questa possibilità e, dopo pochi minuti di reciproche consolazioni, la giovane, sotto il calore bruciante del primo pomeriggio, percorse la strada per Cencrea, dando l’impressione di un automa che vagava per strada, dove diversi mezzi e molti pedoni imprimevano un notevole movimento. Il porto di Cencrea era ad una certa distanza dal centro di Corinto. Serviva per le comunicazioni con l’Oriente, i suoi quartieri popolosi erano pieni di famiglie israelite, residenti da lunga data nella regione dell’Acaia, o in transito verso la capitale imperiale e le zone circostanti.
74. La sorella di Jeziel arrivò a casa di Zaccaria terribilmente abbattuta. La penosa stanchezza fisica, unita alla vigilia dell’ultima notte e alle angosce del giorno, aggravava lo scoraggiamento. Con le gambe traballanti nel ricordare il padre morto e il fratello prigioniero, non si rese conto dello stato del suo corpo malato e denutrito. Solo di fronte alla modesta casa dell’amico, constatò che la febbre aveva iniziato a divorarle le viscere, costringendola a riflettere sulle proprie dolorose esigenze.
75. Zaccaria, e Ruth, sua moglie, ascoltando l’invocazione, la ricevettero stupiti e afflitti esclamando: «Abigail!...» Il grido di entrambi rivelava grande sorpresa dinanzi all’aspetto della giovane tutta spettinata, faccia arrossata, occhi infossati e vestiti in disordine.
76. La figlia di Jochedeb, ostacolata dalla debolezza e dalla febbre, si gettò ai piedi della coppia, esclamando in tono disperato: «Amici miei, abbiate pietà della mia sventura! ... La nostra buona Sostenia mi ha ricordato il vostro affetto in questo momento doloroso. Già non avevo una madre, oggi mio padre è stato ucciso, e Jeziel è schiavizzato senza remissione. Se è vero che partite da Corinto, portatemi, per compassione, in vostra compagnia!» – Abigail abbracciò Ruth, angosciosamente, mentre l’amica l’accarezzava in lacrime.
77. Singhiozzando, la fanciulla riferì i fatti del giorno prima e gli episodi tristi di quel giorno. Zaccaria, il cui cuore di padre aveva appena subito un colpo tremendo, l’abbracciò con affetto e, sostenendola commosso, disse:
78. «Entro una settimana torneremo in Palestina. Ancora non so dove ci fermeremo, ma noi, che abbiamo perso un caro figlio, avremo in te una figlia molto amata. Calmati! Verrai con noi, sarai nostra figlia per sempre».
79. Impossibile tradurre il gioioso ringraziamento. Tormentata dalla febbre alta, la fanciulla s’inginocchiò, nel pianto, cercando di esprimere la sua sincera e affettuosa gratitudine; Ruth la prese tra le braccia e, con tenerezza, come un angelo materno, la sistemò in un comodo letto, dove Abigail, assistita dai due generosi amici, delirò per tre giorni tra la vita e la morte.
[indice]
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Confinato su una nave – A Giaffa la libertà
A Gerusalemme con Pietro, Jeziel diventa Stefano
1. Dopo aver contemplato, afflitto, il cadavere paterno, il giovane ebreo accompagnò la sorella, con sguardo angosciato, verso la porta di accesso al largo corridoio della prigione. Mai aveva vissuto una tale emozione. Con la mente tormentata, gli ritornava il consiglio materno, quando affermava che la creatura, prima di tutto, deve amare Dio. Giammai aveva conosciuto lacrime così amare come quelle che gli scorrevano dal suo cuore lacerato. Come ritrovare il coraggio e riorganizzare il cammino? Avrebbe voluto a colpo d’occhio spezzare le catene, avvicinarsi al padre senza vita, accarezzargli i capelli bianchi e, allo stesso tempo, aprire tutte le porte e correre dietro ad Abigail, prenderla tra le braccia e restare insieme per sempre lungo le strade della vita. Invano si contorceva sul tronco del martirio e, in cambio dello sforzo, scorreva solo più sangue dalle ferite aperte. Singhiozzi dolorosi gli scuotevano il petto, dove la tunica a brandelli era rossa di sangue. Sbalordito, alla fine fu portato in una cella umida, dove rimase per trenta giorni immerso in pensieri e profonde riflessioni.
2. Dopo un mese, le ferite si cicatrizzarono e uno degli agenti di Licinio decise che era tempo di consegnare il giovane alle navi usate per il traffico commerciale, dove il questore aveva degli interessi economici.
3. Il giovane ebreo aveva perso il vigore roseo del viso e il tono ingenuo del volto amorevole e allegro. La dura esperienza gli aveva dato un’espressione dolorosa e cupa. Nel viso aleggiava una tristezza indefinibile e sulla fronte spuntavano rughe precoci, annunciando il prematuro invecchiamento; negli occhi, tuttavia, manteneva la stessa dolce serenità proveniente dall’intima fiducia in Dio. Come altri discendenti della sua stirpe, aveva patito sacrifici intensi; tuttavia, conservava la fede come l’aureola divina di coloro che sanno agire e aspettare davvero. L’autore dei Proverbi raccomandava, come imprescindibile, la serenità dell’anima in tutte le fluttuazioni della vita umana, perché è da lì che provengono le sorgenti più pure dell’esistenza e Jeziel salvò il cuore. Orfano di padre e madre, prigioniero di carnefici crudeli, avrebbe saputo conservare il tesoro della speranza e avrebbe cercato la sorella fino ai confini del mondo, se un giorno avesse avuto, ancora una volta, il bacio della libertà sulla fronte schiava.
4. Seguito da vicino da guardie senza scrupoli, come se fosse un volgare vagabondo, attraversò le strade di Corinto fino al porto, dove venne confinato nella cambusa infetta di una nave fregiata con il simbolo delle aquile dominatrici.
5. Ridotto alla misera condizione di condannato ai lavori forzati, affrontò la nuova situazione pieno di fiducia e umiltà. Meravigliato, il sorvegliante Lisipo ne segnalò la buona condotta e lo sforzo nobile e generoso. Abituato a trattare con criminali e con creature senza scrupoli che non di rado richiedevano l’uso della forza, si sorprese nel riconoscere nel giovane ebreo la disposizione sincera al sacrificio, senza ribellioni e senza meschinità.
6. Maneggiando i remi pesanti con assoluta serenità, come se fosse un compito abituale, sentiva il sudore abbondante inondargli il giovane viso, ricordando, con emozione, i giorni di fatica dell’aratro amico. In breve, il sorvegliante riconobbe in lui un servo degno di stima e considerazione, che riusciva ad imporsi sui propri compagni con il prestigio della bontà naturale che gli traboccava dall’anima.
7. «Guai a noi!» – esclamò un collega disperato. – «Sono rari quelli che resistono a questi maledetti remi per più di quattro mesi! ...»
8. «Ma tutti i lavori sono di Dio, amico…» – rispose Jeziel altamente ispirato – «…e dal momento che ci incontriamo qui in un’attività onesta e con la coscienza tranquilla, dobbiamo conservare la convinzione di servi del Creatore, lavorando nelle Sue opere».
9. Aveva una formula conciliatoria, valida per tutte quelle complicazioni derivanti dal suo nuovo modo di vivere che armonizzava anche gli animi più esaltati. Il sorvegliante si sorprendeva della delicatezza dei suoi tratti e della capacità di lavorare, unita ai più alti valori dell’educazione religiosa ricevuta a casa. Nella stiva buia della nave, la sua fermezza di fede non si era modificata. Divideva il tempo tra le rudi fatiche e le sacre meditazioni. Al di sopra di tutti i pensieri, c’era la nostalgia per il nido familiare, con la speranza di rivedere la sorella, un giorno, non importava quanto lunga fosse la sua prigionia.
10. Da Corinto, la grande nave approdò a Cefalonia e Nicopolis[10], da dove salpò per poi tornare ai porti di linea di Cipro, dopo un rapido passaggio lungo la costa della Palestina, seguendo l’itinerario organizzato per sfruttare il tempo asciutto, considerando che l’inverno paralizzava l’intera navigazione. Abituato a lavorare, non gli fu difficile adattarsi al pesante carico e scarico del materiale trasportato, alla manovra dei remi e all’inesorabile aiuto verso quei pochi passeggeri ogni volta che era necessario; questo non passò inosservato agli occhi vigili di Lisipo.
11. Di ritorno da Cefalonia, la nave prese a bordo un illustre passeggero. Era il giovane romano Sergio Paolo[11], che doveva dirigersi alla città di Citium[12] per una commissione di natura politica. Con destinazione al porto di Nea-Paphos[13], dove alcuni amici lo aspettavano, il giovane patrizio divenne, da subito, il centro di grandi attenzioni. Data l’importanza del suo nome e il carattere ufficiale della missione a lui assicurata, il comandante Servio Carbo gli riservò la migliore sistemazione.
12. Sergio Paolo, tuttavia, molto prima che approdassero di nuovo a Corinto, dove la nave doveva rimanere un paio di giorni secondo il programma di viaggio, si ammalò di febbre alta, con pustole su tutto il corpo. Si diceva, furtivamente, che nel sobborgo di Cefalonia infuriava una peste sconosciuta. Il medico di bordo non riuscì a spiegare la malattia e gli amici dell’infermo cominciarono a ritrarsi con false scuse. Dopo tre giorni, il giovane romano fu pressoché abbandonato, il comandante, a sua volta preoccupato per se stesso e impaurito dalla situazione, chiamò Lisipo affinché gli indicasse lo schiavo più istruito ed educato, capace di fornire tutta l’assistenza necessaria al passeggero illustre. Il sorvegliante nominò immediatamente Jeziel e, quella stessa sera, il giovane ebreo entrò nella cabina del malato con lo stesso spirito di serenità di chi è abituato a dare il proprio contributo nelle situazioni più disparate e rischiose.
13. Sergio Paolo aveva il letto in disordine. Non di rado, al culmine della febbre che lo faceva delirare, si alzava all’improvviso, pronunciando parole sconnesse e aggravando, con il movimento delle braccia, le ferite che sanguinavano per tutto il corpo.
14. «Chi sei tu?» – chiese il paziente in delirio, non appena vide la figura silenziosa e umile del giovane di Corinto.
15. «Mi chiamo Jeziel, lo schiavo che è venuto a servirvi».
16. E a partire da quel momento, dedicò al malato tutto l’affetto conservato nel suo cuore. Con il permesso degli amici di Sergio, utilizzò tutte le risorse di cui poteva disporre a bordo, imitando le medicazioni apprese a casa. Per diversi giorni e lunghe notti, vegliò l’illustre romano con devozione e buona volontà. Bagni, essenze e unguenti erano mescolati e applicati con estrema dedizione, come se curasse un parente intimo e caro. Nelle ore più critiche della dolorosa malattia, gli parlava di Dio, recitava alcuni passaggi degli antichi profeti che ricordava a memoria, ricoprendolo di consolazione e affetto fraterno.
17. Sergio Paolo comprese la gravità della malattia che allontanava gli amici più cari e, nel convivio di quei giorni, si affezionò all’infermiere buono e umile. Dopo poco tempo Jeziel aveva conquistato completamente la sua ammirazione per il riconoscimento degli atti di straordinaria bontà, tramite i quali il malato ebbe una rapida convalescenza, con manifestazioni di allegria generale.
18. Eppure, alla vigilia del ritorno all’umida cambusa, il giovane prigioniero mostrò i primi sintomi della malattia sconosciuta che dilagava a Cefalonia.
19. Dopo aver preso accordi con alcuni subordinati della categoria, il comandante avvertì il patrizio, quasi ristabilito, chiedendo l’approvazione di gettare il giovane in mare.
20. «È preferibile avvelenare i pesci, che affrontare il pericolo di contagio e di rischio per tante vite preziose» – disse Servio Carbo con un sorriso maligno.
21. Il patrizio rifletté un istante e chiese la presenza di Lisipo, per trattare tutti e tre la questione.
22. «Qual è la situazione del giovane?» – domandò il romano con interesse. Il sorvegliante disse che il giovane ebreo era venuto con altri uomini catturati da Licinio Minucio dopo le ultime rivolte accadute ad Acaia. Lisipo, che simpatizzava molto con il giovane di Corinto, cercò di dipingere con fedeltà il suo comportamento corretto, il suo atteggiamento distinto e il beneficio che la sua influenza morale aveva sui compagni spesso disperati e indisciplinati. Dopo una lunga riflessione, Sergio considerò con profonda nobiltà:
23. «Non posso permettere che Jeziel sia gettato in mare col mio consenso. Devo a questo schiavo una dedizione che equivale alla mia stessa vita. Conosco Licinio e, se necessario, potrei chiarire più tardi il mio comportamento. Senza dubbio è la piaga di Cefalonia che lavora nel suo corpo e, quindi, chiedo la collaborazione necessaria affinché questo giovane sia liberato per sempre.
24. «Ma questo è impossibile...» – esclamò Servio riluttante.
25. «Perché no?» – ribatté il romano. – «In quale giorno raggiungeremo il porto di Giaffa[14]?»
26. «Domani in serata».
27. «Bene; spero che non vi opporrete ai miei piani, e appena raggiungeremo il porto metterò Jeziel in una barca e scenderò per la costa, fingendo di dover iniziare gli esercizi muscolari. Quindi gli daremo la libertà. È una questione che mi s’impone, in obbedienza ai miei principi».
28. «Ma, signore...» – obiettò il comandante indeciso.
29. «Non accetto alcuna restrizione, anche perché Licinio Minucio è un vecchio compagno di mio padre».
30. E continuò, dopo un attimo di riflessione: «Tu non avevi intenzione di buttare il ragazzo in mare?»
31. «Sì».
32. «Allora fa’ comparire nelle tue note che lo schiavo Jeziel, attaccato da un male conosciuto, contratto a Cefalonia, è stato sepolto in mare prima che la peste contagiasse l’equipaggio e i passeggeri. Affinché il ragazzo non si comprometta, lo istruirò al riguardo, dandogli alcuni ordini determinanti. Inoltre, lo noto abbastanza indebolito per resistere con successo alle crisi culminanti che ci sono all’inizio della malattia. Chi può garantire che resisterà? Chissà se non morirà all’abbandono, nel secondo minuto di libertà?»
33. Il comandante e il sorvegliante si scambiarono uno sguardo intelligente di implicito accordo reciproco.
34. Dopo una lunga pausa, Servio accettò, dandosi per vinto: «Va bene, così sia».
35. Il giovane patrizio porse la mano ai due e sussurrò: «Per questo favore, e per mio dovere di coscienza, potrete sempre contare su di me come amico».
36. Dopo alcuni istanti, Sergio si avvicinò al giovane semi addormentato nella sua cabina e già con la febbre alta, gli parlò con dolcezza e gentilezza: «Jeziel vorresti tornare libero?»
37. «Oh! Signore» – esclamò il giovane rianimando il corpo con un raggio di speranza.
38. «Voglio ricompensare la dedizione che mi ha dispensato nelle lunghe giornate della mia malattia».
39. «Sono vostro schiavo, signore. Non mi dovete niente».
40. Entrambi parlavano greco e, riflettendo sulla situazione futura, il patrizio chiese: «Sai qual è l’idioma comune della Palestina?»
41. «Sono figlio d’israeliti, e mi hanno insegnato la lingua materna nei miei anni di gioventù».
42. «Quindi, non ti sarà difficile ricominciare una nuova vita in questa provincia».
43. E misurando le parole, come se temesse qualche sorpresa contraria ai suoi progetti, continuò: «Jeziel, non dimenticare che ti ritrovi ammalato, così gravemente, come sono stato io qualche giorno fa. Il comandante, attento alla possibilità di un contagio generale, data la presenza di molti uomini a bordo, ti voleva gettare in mare; però, domani pomeriggio arriviamo a Giaffa e voglio avvalermi di questa circostanza per restituirti la libertà. Non dimenticare, tuttavia, che così facendo, sto infrangendo alcune leggi importanti che disciplinano gli interessi dei miei concittadini, ed è giusto chiederti di mantenere il segreto di questo mio gesto».
44. «Sì, signore» – disse il giovane estremamente abbattuto, cercando con difficoltà di coordinare le idee.
45. «So che presto la malattia assumerà proporzioni gravi» – continuò il benefattore. – «Ti darò la libertà, ma solo il tuo Dio può concederti la vita. Tuttavia, se la recuperi, è necessario avere una nuova identità, con un nome diverso. Non voglio essere accusato di tradimento dai miei stessi amici, e conto sulla tua collaborazione».
46. «Vi obbedirò in tutto, signore».
47. «Sergio gli lanciò uno sguardo generoso e concluse: «Prenderò tutti i provvedimenti. Ti darò un po’ di soldi per le prime necessità e vestirai una delle mie vecchie tuniche; ma, il più presto possibile vattene da Giaffa all’interno della provincia. Il porto è sempre pieno di curiosi e malfattori marinai romani».
48. L’infermo fece un gesto di ringraziamento, mentre Sergio si ritirò per rispondere alla chiamata di alcuni amici. Il giorno seguente, all’ora prevista, s’intravidero le case palestinesi. E quando cominciarono a brillare i primi astri della notte, una piccola barca si avvicinò in un posto silenzioso della costa, guidata da due uomini, le cui figure si perdevano nell’ombra. Si scambiarono le ultime parole di saluti e buoni consigli, e il giovane ebreo baciò con emozione la mano destra del benefattore, il quale tornò alla nave con la coscienza tranquilla.
49. Ma non aveva ancora fatto i primi passi che Jeziel si accasciò, a causa dei dolori generali che sentiva in tutto il corpo e per l’abbattimento naturale dovuto alla febbre che lo consumava. Idee confuse gli volteggiarono nel cervello. Cercò di pensare alla felicità della liberazione, desiderava fissare l’immagine della sorella che avrebbe cercato alla prima occasione, ma uno strano torpore indebolì le sue facoltà, causandogli una sonnolenza indomabile. Indifferente, guardò le stelle che popolavano la notte rinfrescata dalle brezze marine. Notò che c’era movimento nelle case vicine, ma si lasciò andare e, inerte, sprofondò nella boscaglia dove si era ritirato lungo la spiaggia. Strani incubi dominavano il riposo fisico, mentre il vento gli accarezzava la fronte febbricitante.
*
50. All’alba fu svegliato da mani sconosciute che rovistavano insolenti nelle tasche della sua tunica. Aprendo gli occhi, sconcertato, osservò che le prime luci dell’alba rigavano l’orizzonte. Un uomo dal volto scaltro si abbassò su di lui, cercando qualcosa con ansietà che il ragazzo ebreo intuì subito, sicuro di essere inciampato in uno di quei malfattori comuni avidi della borsa altrui. Rabbrividì e fece un movimento involontario, notò che l’aggressore sorpreso aveva alzato la mano destra brandendo uno strumento, nell’intenzione di togliergli la vita.
51. «Non mi uccidete, amico» – balbettò con voce tremante.
52. A queste parole, pronunciate in modo commovente, il ladro sospese il colpo omicida.
53. «Vi darò tutto il denaro che possiedo» – disse il ragazzo tristemente.
54. E, cercando la sacca che conteneva i pochi soldi che gli aveva dato il patrizio, consegnò tutto allo sconosciuto, i cui occhi brillarono con avidità e piacere. In un instante, quella faccia contraffatta si trasformò nel volto sorridente di uno che vuole alleviare e soccorrere.
55. «Oh! Siete eccessivamente generoso!» – sussurrò, raccogliendo la borsa piena.
56. «Il denaro è sempre buono…» – disse Jeziel – «…se con questo possiamo conquistare la simpatia o la misericordia degli uomini».
57. L’interlocutore finse di non capire la portata filosofica di quelle parole e disse: «La vostra bontà, tuttavia, concorre affinché voi troviate buoni amici. Io, per esempio, mi stavo recando al mio lavoro al porto, ma ho avvertito tanta simpatia per la vostra situazione che sono qui per aiutarvi».
58. «Il vostro nome?»
59. «Irineu di Crotone, per servirvi» – rispose l’interpellato, visibilmente soddisfatto per i soldi che aveva in tasca.
60. «Amico mio…» – esclamò il giovane estremamente debole – «…sono malato e non conosco questa città per prendere qualsiasi decisione. Potreste indicarmi qualche ostello o qualcuno che possa prestare la carità di un asilo?»
61. «Irineu abbozzò una faccia di finta pietà e rispose: «Mi pesa non poter far nulla per le vostre esigenze, e non so dove potrebbe esserci un riparo adeguato per ricevervi com’è necessario. La verità è che per praticare il male, tutti sono pronti, ma per fare del bene...».
62. Dopo, concentrandosi per un attimo, aggiunse: «Ah! ora ricordo!... Conosco alcune persone che possono aiutarvi. Sono gli uomini del “Cammino”[15]. Qualche parola ancora, e Irineu si offrì di condurlo al conoscente più vicino, sostenendogli il corpo malato e vacillante.
*
63. Il sole amorevole del mattino cominciava a risvegliare la natura coi suoi raggi caldi e confortevoli. Dopo un piccolo tratto, fatto attraverso una scorciatoia di campagna, sostenuto dal cinico cialtrone innalzato a benefattore, Jeziel si fermò alla porta di una casa dall’apparenza umile. Irineu entrò e uscì con un uomo anziano di piacevole aspetto, che porse la mano, cordialmente, al ragazzo ebreo, dicendo: «Da dove venite, fratello?» –
64. Il giovane si meravigliò molto dell’affabilità e gentilezza in un uomo che vedeva per la prima volta. Perché dargli il titolo familiare, riservato al circolo più intimo di coloro che sono nati sotto lo stesso tetto?
65. «Perché mi chiamate fratello, se non mi conoscete?» – disse Jeziel emozionato.
66. Ma l’interpellato rinnovò il sorriso generoso, e aggiunse: «Siamo tutti una grande famiglia in Cristo Gesù».
67. Jeziel non comprese. Chi sarebbe questo Gesù? Un nuovo dio per chi non conosce la Legge? Riconoscendo che la malattia non gli dava possibilità di ragionamenti religiosi o filosofici, rispose semplicemente:
68. «Dio vi ricompensi per la generosità dell’accoglienza. Vengo da Cefalonia, e mi sono seriamente ammalato durante il viaggio, è così che in questo stato mi rivolgo alla vostra carità».
69. «Efraim» – disse Irineu rivolgendosi al padrone di casa – «il nostro amico ha la febbre e la sua condizione generale richiede cura. Tu sei uno dei buoni uomini del “Cammino”, so che lo accoglierai con il cuore dedicato a coloro che soffrono».
70. Efraim si avvicinò al giovane malato e disse: «Non è il primo paziente di Cefalonia che il Cristo manda alla mia porta. L’altro ieri è venuto qui un altro con il corpo crivellato di brutte ferite. Così, conoscendo la gravità del caso, questo pomeriggio lo porterò subito a Gerusalemme».
71. «Ma è necessario andare così lontano?» – chiese Irineu con una certa sorpresa.
72. «Solamente lì abbiamo un maggior numero di collaboratori» – rispose con umiltà.
73. Ascoltando quello che dicevano e considerando la necessità di allontanarsi dal porto in obbedienza alle raccomandazioni del patrizio che si era mostrato così amico, restituendolo alla libertà, Jeziel si rivolse ad Efraim con un appello umile e triste:
74. «Chiunque voi siate, portatemi a Gerusalemme con voi, per pietà! ...»
75. L’interpellato, mostrando la sua bontà naturale, disse di sì senza ulteriore stranezza: «Verrete con me».
76. Abbandonato da Irineu alle cure di Efraim, il malato ricevette affetto come da un vero amico. Se non fosse stato per la febbre, avrebbe preso con questo fratello una conoscenza più intima, cercando di capire a fondo i nobili principi che lo avevano portato a stendergli la sua mano protettiva. Tuttavia, non riusciva a mantenere il pensiero vigile su se stesso, al fine di rispondere alle sue domande affettuose per essere medicato in modo corretto.
77. Al crepuscolo, godendosi il fresco della notte, un carro accuratamente nascosto da un telo di poco conto, partiva da Giaffa con direzione Gerusalemme.
78. Camminando con attenzione per non affaticare i poveri animali, Efraim trasportava i due infermi alla prossima città, cercando le risorse indispensabili. Riposando qua e là, solo la mattina dopo il mezzo si fermò alla porta di un palazzo di grandi dimensioni, ma poverissimo nelle sue fattezze esterne. Un giovane dal volto allegro venne incontro al neo arrivato che l’interpellò con familiarità: – «Urias, mi sapresti dire se c’è Simon Pietro?»
79. «Sì, c’è».
80. «Puoi chiamarlo a nome mio?»
81. «Vado».
82. Accompagnato da Giacomo, fratello di Levi, Simon apparve ed accolse i visitatori con esuberanti manifestazioni di affetto. Efraim spiegò il motivo della loro presenza. Due sfortunati del mondo necessitavano di assistenza urgente.
83. «Ma è quasi impossibile» – disse Giacomo. – «Ne abbiamo quarantanove costretti a letto».
84. Pietro abbozzò un sorriso generoso e disse: «Bene, Giacomo, se stessimo pescando, sarebbe stato giusto esimerci da questo o quel dovere che oltrepassi la sfera degli obblighi improrogabili di ogni giorno, vicini alla famiglia, la cui organizzazione viene da Dio, ma adesso il Maestro ci ha trasmesso il lavoro di assistenza a tutti i suoi figli in difficoltà. Attualmente, il nostro tempo è destinato a questo; allora vediamo ciò che è possibile fare».
85. L’affabile apostolo si fece avanti per accogliere i due infelici. Da quando era venuto a Gerusalemme da Tiberiade , Simon era diventato la cellula centrale del grande movimento umanitario. I filosofi del mondo da sempre avevano sentenziato dalle loro comode cattedre, ma mai erano scesi sul piano dell’azione personale, al fianco dei più sfortunati. Gesù con il suo divino esempio rinnovava tutto il metodo di predicazione delle virtù. Chiamando a sé gli afflitti e gli infermi, si inaugurava nel mondo la formula della vera beneficenza sociale.
86. Le prime organizzazioni di assistenza si edificarono con lo sforzo degli apostoli, sotto l’influsso amorevole degli insegnamenti del Maestro.
87. Era per questo motivo che la residenza di Pietro, donazione di tanti amici del “Cammino”, traboccava di infermi e di miserabili senza speranza. C’erano vecchi provenienti da Cesarea che esibivano sporche ulcere; pazzi venuti da regioni lontane, condotti da parenti ansiosi di sollievo; bambini paralitici, dell’Idumea, tra le braccia materne, tutti attratti dalla popolarità del Profeta nazareno che risuscitava i propri morti e sapeva ristabilire la tranquillità nei cuori dei più sfortunati del mondo.
88. Era naturale che non tutti guarissero, costringendo il vecchio pescatore a tenere con sé i più bisognosi, con l’affetto di un padre. Raccogliendosi lì, con la famiglia, era aiutato soprattutto da Giacomo, figlio di Alfeo, e da Giovanni; ma, a breve, Filippo e le sue figlie sarebbero venuti a Gerusalemme, collaborando anche loro nel grande sforzo fraterno. Tanto grande era il movimento di bisognosi di ogni genere, tanto che da molto tempo, Simon non poteva più fare altro lavoro riguardante la predicazione della Buona Novella del Regno. L’ampliamento di queste opere legò l’ex discepolo ai più importanti centri del giudaismo dominante. Costretto ad avvalersi dell’assistenza degli elementi più notevoli della città, Pietro si sentì, sempre più, schiavo degli amici benefattori e dei poveri beneficiati che affluivano da ogni parte, convocati dalla risorsa suprema del suo spirito di discepolo abnegato e sincero.
89. In risposta alle richieste fiduciose di Efraim, organizzò che entrambi i malati fossero portati nella sua povera casa.
90. Jeziel occupò un letto semplice e pulito e, in uno stato di completa incoscienza a causa del delirio della febbre che lo prostrava. Le sue parole sconnesse, tuttavia, rivelavano una conoscenza così accurata dei testi sacri, che Pietro e Giovanni si interessarono in modo speciale di quel giovane dal volto scheletrico e triste. Soprattutto Simon trascorreva lunghe ore trattenuto ad ascoltarlo, annotando i profondi concetti, anche se nati dall’eccitazione febbrile.
91. Dopo due settimane estenuanti, Jeziel migliorò, riorganizzando le proprie facoltà per capire meglio e valutare la nuova situazione. Si affezionò a Pietro, come un figlio affettuoso al legittimo padre. Notando il suo affetto, di letto in letto, da bisognoso a bisognoso, il ragazzo ebreo sperimentava una deliziosa e intima sorpresa. L’ex pescatore di Cafarnao, ancora relativamente giovane, era l’esempio vivente della rinuncia fraterna.
92. Appena convalescente, Jeziel fu trasferito in un ambiente più calmo, all’ombra piacevole di secolari tamarindi che circondavano la vecchia casa.
93. Tra di loro si stabilì, fin dai primi giorni, la corrente magnetica delle grandi attrazioni affettive.
94. In quella mattina, le cortesi osservazioni si susseguivano e, nonostante la giusta curiosità che gli sorvolava l’anima sull’interessante ospite, Simon non aveva ancora avuto l’occasione di uno scambio reciproco d’idee più intime, per sondare i suoi pensieri, scrutare i suoi sentimenti e la sua origine. La brezza del mattino soffiava generosa sugli alberi frondosi, l’apostolo trovò il coraggio e, a un certo punto, dopo aver distratto il convalescente con alcuni detti affettuosi, cercò di penetrare nel suo mistero, con attenzione:
95. «Amico…» – disse con un sorriso gioviale – «…ora che Dio ti ha restituito la preziosa salute, sono lieto che abbiamo ricevuto la tua visita in casa nostra. La nostra gioia è sincera, dal momento che, in ogni dettaglio del tuo soggiorno in mezzo a noi, hai rivelato la condizione spirituale di un figlio legittimo delle famiglie timorate di Dio, per la conoscenza che hai dei testi sacri. E sono rimasto tanto impressionato per i tuoi riferimenti a Isaia, quando deliravi con la febbre alta, che desidererei sapere da quale tribù discendi».
96. Jeziel capì che quell’amico sincero, anzi, affettuoso fratello delle ore più critiche della malattia, voleva conoscerlo meglio, identificarlo nell’intimità e profondamente, pur con una delicata astuzia psicologica. Ciò lo trovò giusto, e decise che non avrebbe dovuto disprezzare la protezione di un cuore veramente fraterno per concentrarsi sulle proprie energie spirituali.
97. «Mio padre era delle vicinanze di Sebaste e discendeva dalla tribù di Issacar» – disse, attento.
98. «E fu così dedito allo studio di Isaia?»
99. «Studiava sinceramente tutto il Testamento, senza preferenze di ordine particolare. A me, però, Isaia ha sempre impressionato profondamente per la bellezza delle promesse divine di cui era portatore, annunciandoci il Messia, la cui venuta ho meditato fin dall’infanzia».
100. Simon Pietro, con un sorriso di profonda soddisfazione, disse: «Ma non lo sai che il Messia è già venuto?»
101. Jeziel ebbe un brusco sussulto sulla sedia improvvisata.
102. «Che dite?» – domandò con agitazione.
103. «Hai mai sentito parlare di Gesù di Nazareth?»
104. Anche se ricordava vagamente di aver sentito le parole di Efraim, disse: «Mai!»
105. «Il Profeta di Nazareth ci ha già portato il messaggio di Dio per tutti i secoli», e Simon Pietro, con gli occhi accesi dalla fiamma di luce di coloro che si sentono gioiosi nel ricordare un tempo felice, parlò degli esempi del Signore, tracciando una perfetta biografia verbale del sublime Maestro.
106. Ricordò, in modo vivace, i giorni in cui lo aveva ospitato nel suo tugurio ai margini del Genezareth, le escursioni attraverso i villaggi vicini, il viaggio in barca da Cafarnao ai siti marginali del lago. Gli si poteva vedere l’emozione intraducibile nella voce, la gioia interiore con cui ricordava gli atti e le prediche in riva al lago burrascoso, accarezzato dal vento, con la poesia e la soavità del crepuscolo serale. La vivida immaginazione dell’apostolo sapeva comporre commentari giudiziosi e brillanti nell’evocare un lebbroso guarito, un cieco che riacquistava la vista, un bambino malato e ristabilito dopo poco. Jeziel assorbiva le sue parole, molto eccitato, come se avesse incontrato un nuovo mondo. Il messaggio della Buona Novella penetrava nel suo spirito disincantato, come un balsamo soave.
107. Quando Simon sembrò pronto a finire il racconto, non riuscì a contenersi e chiese: «E il Messia? Dov’è il Messia?»
108. «È più di un anno» – esclamò l’apostolo cancellando l’allegria con il ricordo triste – «che è stato crocefisso proprio qui a Gerusalemme, tra due ladri».
109. Di seguito, passò ad elencare gli struggenti martiri, le dolorose ingratitudini di cui il Maestro era stato vittima, gli ultimi insegnamenti e la gloriosa resurrezione il terzo giorno. Dopo parlò dei primi giorni di apostolato, degli eventi della Pentecoste e delle ultime apparizioni del Signore, nello scenario sempre nostalgico della Galilea lontana.
110. Jeziel aveva le pupille umide. Quelle rivelazioni gli sensibilizzavano il cuore, come se avesse conosciuto il Profeta di Nazareth. E, collegando il profilo dei testi che conservava a memoria, enunciò, quasi ad alta voce, come se parlasse a se stesso:
111. “Egli è venuto su, dinanzi a lui come un rampollo, come una radice che esce da un arido suolo... Disprezzato e abbandonato dagli uomini. Era spregiato, e noi non ne facemmo stima alcuna.
112. E, nondimeno, erano le nostre malattie che egli portava, erano i nostri dolori quelli di cui si era caricato; e noi lo reputavamo colpito, battuto da Dio, e umiliato! Ma egli è stato trafitto a motivo delle nostre trasgressioni, fiaccato a motivo delle nostre iniquità; il castigo, per cui abbiano pace, è stato su lui, e per le sue lividure noi abbiamo avuto guarigione. Noi tutti eravamo erranti come pecore, ognuno di noi seguiva la sua propria via; e l’Eterno ha fatto cader su di lui l’iniquità di noi tutti. Maltrattato, umiliò se stesso, e non apri bocca.
113. Come l’agnello menato allo scannatoio, come la pecora muta dinanzi a chi la tosa, egli non aprì la bocca.
114. Dopo aver dato la sua vita in sacrificio per la colpa, egli vedrà una progenie, prolungherà i suoi giorni, e l’opera dell’Eterno prospererà nelle sue mani”[16].
115. Simon, meravigliato di tanta conoscenza dei testi sacri, disse: «Vado a prendere i nuovi testi. Sono le note di Levi[17] sul Messia risorto.
116. E in pochi instanti, l’apostolo gli affidò le pergamene del Vangelo. Jeziel non lesse, divorò. Sottolineando, ad alta voce, uno per uno, tutti i passaggi narrativi, seguito con attenzione da Pietro intimamente soddisfatto.
117. Dopo una rapida analisi, il giovane concluse: «Ho trovato il tesoro della vita, ho la necessità di esaminarlo più attentamente, voglio saturarmi della Sua luce, poiché intuisco che qui si trova la chiave degli umani misteri».
118. Quasi in lacrime, lesse il Sermone del Monte, assecondato dai ricordi struggenti di Pietro. In seguito, entrambi cominciarono a confrontare gli insegnamenti del Cristo con le profezie che lo annunciavano. Il giovane ebreo era emozionato e voleva conoscere i minimi dettagli della vita del Maestro. Simon, realizzato e contento, cercava di soddisfarlo. Il generoso amico di Gesù, così incompreso a Gerusalemme, sperimentava gioia e orgoglio per aver trovato un giovane che si entusiasmava con gli esempi e gli insegnamenti dell’incomparabile Maestro.
119. «Da quando sono arrivato in questa casa e mi sono ristabilito» – disse Jeziel – «ho verificato che v’interessate a dei principi che non conosco. Tanta preoccupazione nel tutelare la sorte degli svantaggiati è una lezione nuova per la mia anima. I pazienti che vi benedicono, come faccio io adesso, sono tutelati da questo Cristo che non ho avuto la fortuna di conoscere».
120. «Il Maestro accoglieva tutti i sofferenti e ci ha raccomandato che facessimo la stessa cosa nel Suo Nome» – disse l’apostolo enfaticamente.
121. «Secondo le istruzioni del Levitico» – disse Jeziel – «tutte le città dovrebbero avere, lontano dalle loro porte, una valle per i lebbrosi e per le persone considerate impure; ma Gesù ha dato una casa nel cuore di coloro che Lo seguono».
122. «Cristo ci ha portato il messaggio dell’amore» – dichiarò Pietro – «completò la Legge di Mosè, inaugurando un nuovo insegnamento. La Legge antica è giustizia; il Vangelo, invece, è amore. Mentre il codice del passato ci ordinava “occhio per occhio, dente per dente”, il Messia ci ha insegnato che dobbiamo “perdonare settanta volte sette” e se qualcuno vuole portarci via la tunica dovremo dargli anche il mantello».
123. Jeziel si commosse e pianse. Quel Cristo, amorevole e buono, sospeso alla croce dell’ignominia umana, era la personificazione di tutte le gesta eroiche del mondo. Si sentiva sollevato nell’analizzarlo! Era contento per non aver reagito contro il dispotismo di cui era stato vittima. Cristo era il Figlio di Dio e non disdegnò la sofferenza. Il Suo calice traboccò, e Pietro gli fece sentire che nei momenti più amari, il Maestro sconosciuto e umile, nel mondo, seppe trasmettere una lezione di coraggio, di rinuncia e di vita. Come esempio del Suo Amore, qui stava quest’uomo semplice e amorevole, che lo chiamava fratello e lo aveva accolto come un padre devoto. Il giovane ricordò i suoi ultimi giorni a Corinto e pianse a lungo. Fu lì che, aprendo il cuore, prese le mani di Pietro e gli raccontò tutta la sua tragedia, senza omettere nulla e supplicandogli consiglio.
124. Finito il racconto, disse emozionato: «Mi avete rivelato la Luce del mondo: perdonatemi se vi rivelo le mie giuste sofferenze. Avete nel cuore gli splendori della parola del Salvatore e ispirerete la mia povera vita».
125. L’apostolo lo abbracciò e sussurrò: «Penso che sia prudente mantenere l’anonimato perché Gerusalemme rigurgita di romani e non sarebbe giusto compromettere l’amico generoso che ti ha restituito la libertà. Il tuo caso non è una novità, amico mio. Sono in questa città da quasi un anno e, in questi umili letti, sono passate le più singolari creature. Io, che ero un poverissimo pescatore, in questi pochi mesi ho acquisito una vasta esperienza del mondo! A queste porte hanno bussato uomini stracciati, che erano stati politici importanti; donne lebbrose, che furono quasi regine! Al contatto con la storia di tanti castelli crollati, nel gioco delle vanità del mondo, ora riconosco che le anime hanno bisogno del Cristo al di là di tutte le cose».
126. Queste spiegazioni singolari costituirono un conforto per Jeziel, il quale, grato, domandò: «E pensate che potrò servire a qualcosa? Io, che ero prigioniero degli uomini, desidero essere schiavo del Salvatore che ha saputo vivere e morire per tutti noi».
127. «D’ora in avanti sarai figlio mio»,– esclamò Simon in un impeto di gioia.
128. «Già che voglio conformarmi alla parola del Cristo, come mi chiamerò?» – chiese Jeziel con gli occhi scintillanti di gioia.
129. «L’apostolo rifletté un po’ poi disse: «Per non dimenticare l’Acaia[18], dove il Signore si è degnato di chiamarti al Suo ministero divino, io ti battezzo nel nuovo credo con il nome greco di Stefano».
130. Si consolidarono ancora di più i legami di simpatia che li avevano avvicinati dal primo momento, il giovane non avrebbe mai più dimenticato quell’appuntamento con il Cristo, all’ombra degli alberi di datteri aureolati di luce.
131. Per un mese, Jeziel, ora noto come Stefano, fu intento a studiare tutti gli insegnamenti e gli esempi del Maestro che non aveva potuto conoscere direttamente.
132. La casa degli apostoli, a Gerusalemme, presentava un grande movimento di soccorso verso i bisognosi, richiedendo un vasto contributo di cura e dedizione. C’erano pazzi che venivano da tutte le provincie, anziani abbandonati, bambini scheletrici e affamati. E non solo. Nell’ora usuale dei pasti, lunghe file di semplici mendicanti elemosinavano la zuppa. Accumulando compiti con enormi sacrifici, Giovanni e Pietro, con l’aiuto dei compagni, avevano costruito un padiglione modesto, destinato ai servizi della Chiesa, la cui fondazione iniziava a diffondere i messaggi della Buona Novella. L’assistenza ai poveri, tuttavia, non dava spazio al lavoro di evangelizzazione, e Giovanni considerò irragionevole che i diretti discepoli del Signore disprezzassero la semina della Parola divina e consumassero tutto il tempo per il servizio di mensa e all’infermeria, dato che, giorno dopo giorno, si moltiplicavano il numero dei malati e degli infelici che facevano ricorso ai seguaci di Gesù come ultima speranza per i loro casi personali.
133. C’erano malati che bussavano alla porta, benefattori della nuova istituzione che reclamavano situazioni particolari per i loro protetti, amici che chiedevano l’aiuto a favore di orfani e vedove.
*
(Atti 6,1-6): [1]In quei giorni, mentre aumentava il numero dei discepoli, sorse un malcontento fra gli ellenisti verso gli Ebrei, perché venivano trascurate le loro vedove nella distribuzione quotidiana. [2]Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: «Non è giusto che noi trascuriamo la parola di Dio per il servizio delle mense. [3]Cercate dunque, fratelli, tra di voi sette uomini di buona reputazione, pieni di spirito e di saggezza, ai quali affideremo quest'incarico. [4]Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola». [5]Piacque questa proposta a tutto il gruppo ed elessero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timòne, Parmenàs e Nicola, un proselito di Antiochia. [6]Li presentarono quindi agli apostoli i quali, dopo aver pregato, imposero loro le mani.
134. Alla prima riunione dell’umile Chiesa, Simon Pietro chiese che si nominassero sette aiutanti per il servizio d’infermeria e delle mense, risoluzione che fu approvata con piacere generale. Tra i sette fratelli scelti, Stefano fu designato con la simpatia di tutti.
135. Per il giovane di Corinto iniziò una nuova vita. Quelle stesse virtù spirituali che illuminavano la sua personalità e che avevano contribuito alla guarigione del patrizio che l’aveva restituito alla libertà, si diffondevano tra i malati e gli indigenti di Gerusalemme come sacre consolazioni. Gran parte dei malati, raccolti nel palazzo dei discepoli, recuperavano la loro salute. Vecchi sconsolati trovavano l’allegria sotto l’influsso della sua parola ispirata alla fonte divina del Vangelo. Madri afflitte cercavano il suo consiglio rassicurante; donne del popolo, sfinite dal lavoro e dalle preoccupazioni della vita, ansiose di pace e consolazione, si contendevano il conforto della sua presenza affettuosa e fraterna.
136. Simon Pietro era fuori di sé dalla gioia, di fronte alle vittorie del figlio spirituale. I bisognosi avevano l’impressione di aver ricevuto un nuovo inviato di Dio per alleviare il loro dolore.
137. Ben presto, Stefano diventò famoso a Gerusalemme, per le sue azioni quasi miracolose. Considerato come scelto del Cristo, la sua azione risoluta e sincera guadagnava, in pochi mesi, le più ampie conquiste per il Vangelo dell’amore e del perdono. Il suo nobile sforzo non si limitò al compito di mitigare la fame degli infelici. Tra gli apostoli galilei, la sua parola splendeva nelle prediche della Chiesa, illuminata dalla fede ardente e pura. Quando quasi tutti i compagni, con il pretesto di non ferire vecchi principi stabiliti, non riuscivano ad estendere i commenti pubblici oltre le considerazioni gradite al giudaismo dominante, Stefano presentava alla folla, con coraggio, il Salvatore del mondo, nella gloria delle nuove rivelazioni divine, indifferente alle lotte che avrebbe potuto causare, commentando la vita del Maestro con il suo verbo infiammato di luce. Proprio i discepoli rimanevano stupiti dalla magia delle sue profonde ispirazioni. Con l’anima temprata nella fucina sublime delle sofferenze, le sue prediche erano piene di lacrime e allegrie, appelli e aspirazioni.
138. In pochi mesi, il suo nome fu avvolto in una sorprendente venerazione. E alla fine del giorno, quando si giungeva alle preghiere della sera, il giovane di Corinto, insieme a Pietro e Giovanni, parlavano dei loro progetti e delle loro speranze, pieni dello spirito di quel Maestro adorato che, attraverso il Suo Vangelo, aveva seminato nel loro cuore le stelle benedette di una gioia infinita.
[indice]
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Paolo sulla strada per Giaffa, poi a Gerusalemme da Abigail
1. Siamo nella vecchia Gerusalemme, in una chiara mattina dell’anno 35.
2. All’interno di un massiccio edificio, dove tutto trasuda il conforto e il lusso di quell’epoca, un uomo (di nome Sadoc) ancora giovane sembra impaziente, in attesa di qualcuno che ritarda. Al minimo rumore sulla via pubblica, corre alla finestra, poi torna indietro a sedersi e ad esaminare papiri e pergamene, come se si divertisse ad ammazzare il tempo.
3. Sadoc aspettava d’incontrare il suo amico Saul, arrivato in città dopo una settimana di viaggio estenuante, per un affettuoso abbraccio di un’amicizia di molti anni.
4. Da lì a poco un piccolo carro, simile alle bighe romane, si fermò davanti alla porta, tirato da due splendidi cavalli bianchi. In pochi minuti, i nostri personaggi si abbracciarono calorosamente, traboccanti di allegria e gioventù.
5. Il giovane Saul aveva tutta la vivacità di un uomo scapolo, quasi trentenne. Nel volto pieno di virilità e maschile bellezza, le tracce israelite si fissavano particolarmente negli occhi profondi e perspicaci, tipici di temperamenti indomiti e appassionati, ricchi di sagacia e risoluzione. Indossando la tunica del patriziato, parlava di preferenza il greco, a cui si era affezionato nella città natale, dov’era cresciuto nel convivio con i ben amati maestri delle scuole di Atene e di Alessandria.
6. «Quando sei arrivato?» – domandò Saul con allegria al visitatore.
7. «Sono a Gerusalemme da ieri mattina. Per precisione, sono stato con tua sorella e tuo cognato, che mi hanno dato tue notizie mentre erano in partenza per la Lidia».
8. «Come va la vita lì a Damasco?»
9. «Sempre bene».
10. Prima di fare una pausa, l’altro osservò: «Ma come sei cambiato! Un carro alla romana, la conversazione in greco e...».
11. Saul, però, non lo lasciò proseguire e disse: «E nel cuore la Legge, sempre disposto a sottomettere Roma e Atene ai nostri principi».
12. «Sempre lo stesso uomo!» – esclamò l’amico con un sorriso sincero. – «In realtà, posso darti io una spiegazione. La biga è indispensabile per le tue visite ad una casetta fiorita sulla strada di Giaffa, e le conversazioni in greco sono necessarie al colloquio con una legittima discendente di Issacar, nata tra i fiori e i marmi di Corinto».
13. «Come fai a saperlo?» – domandò Saul meravigliato.
14. «Non ti ho detto che sono stato ieri pomeriggio con tua sorella?»
15. E i due, seduti in comode poltrone dell’epoca, intercalando la conversazione con alcune piccole tazze dell’inebriante “Cipro”[19], sfioravano a grandi linee i problemi della vita personale, elencando le piccole necessità di ogni giorno.
16. Molto di buon umore, Saul disse all’amico che, di fatto, si era invaghito di una giovane della sua stirpe, che ai talenti di altissima e rara bellezza, univa i tesori del cuore. Il suo culto al focolare era uno dei suoi più sacri attributi femminili. Gli raccontò il loro primo incontro. Circa tre mesi prima, insieme ad Alessandro e a Gamaliel, era andato ad una festa privata offerta ad alcuni amici importanti nella fattoria di Zaccaria Ben Hanan, sulla strada per Giaffa, in onore della circoncisione dei figli piccoli dei loro servitori. Aggiunse che l’anfitrione era stato un ex mercante israelita emigrato da Corinto dopo lunghi anni di lavoro in Acaia, disgustato dalle persecuzioni di cui era stato vittima. Dopo grandi privazioni nel viaggio da Cencrea a Cesarea, Zaccaria era arrivato a quel porto in cattive condizioni finanziarie, ma fu aiutato da un patrizio romano, il quale gli fornì le risorse per affittare una grande proprietà sulla strada per Giaffa ad una giusta distanza da Gerusalemme.
17. Saul, accolto generosamente in casa sua, ora agiata e felice, aveva conosciuto la giovane Abigail, un dolce cuore di fanciulla, titolare dei più bei predicati morali che potessero adornare una figlia della sua stirpe. Era, infatti, il suo ideale di giovane: intelligente, esperta della Legge e, soprattutto, dolce e affettuosa. Adottata dalla coppia come una figlia molto cara, aveva sofferto amaramente a Corinto, lasciando lì il padre morto e il fratello schiavo per sempre. Erano già tre mesi che si conoscevano, scambiandosi le più belle speranze e, chi lo sa? Forse l’Eterno gli riservava l’unione coniugale, come coronamento dei sacri sogni di gioventù. Saul parlava con entusiasmo, tipico del suo temperamento passionale e vibrante. Nello sguardo profondo, si poteva notare la fiamma viva dei sentimenti risoluti, con rispetto per l’affetto che dominava la sua capacità emotiva.
18. «Hai già informato i tuoi genitori di questi tuoi progetti?» – chiese Sadoc.
19. «Mia sorella pensa di andare a Tarso in questi due mesi e sarà l’interprete dei miei intenti riguardanti l’organizzazione del mio futuro. Per inciso, sai com’è, in queste questioni non può e non deve essere un problema di decisioni affrettate. Penso che l’uomo non debba arrendersi così, senza pensarci bene, in una questione decisiva per il suo destino. Ubbidendo al nostro vecchio istinto alla prudenza, ho analizzato a lungo i miei ideali, e ancora non ho portato Abigail a vivere con Dalila per qualche giorno nella nostra casa; intendo farlo solo alla vigilia della visita di mia sorella alla casa paterna».
20. «Giacché hai tanti progetti futuri» – disse l’amico, gentilmente, con interesse – «a che punto è la tua posizione al Sinedrio?»
21. «Non mi posso lamentare, in quanto il Tribunale ora mi dà incarichi molto speciali. Tu sai che Gamaliel da tempo ha sollecitato a mio padre il mio trasferimento a Gerusalemme, dove mi promettono un posto di primo piano nella gestione del nostro popolo. Come sappiamo, il vecchio maestro è anziano e vuole ritirarsi dalla vita pubblica. Non tarderò a sostituirlo nei voti delle più alte risoluzioni e, attualmente, offre un grande compenso economico, indipendentemente dal contributo che viene da Tarso periodicamente. Prima di tutto, ho l’ideale politico di aumentare il mio prestigio tra i rabbini. Non dobbiamo dimenticare che Roma è potente e che Atene è saggia, diventando indispensabile svegliare l’egemonia di Gerusalemme come eterno tabernacolo del Dio unico. Pertanto, dobbiamo piegare le ginocchia dei greci e dei romani alla Legge di Mosè».
22. Sadoc, tuttavia, lasciando intravedere che non prestava molta attenzione al suo idealismo nazionalista, fissò il pensiero sulla situazione privata e, prudentemente, disse:
23. «Per quello che dici, sono contento di sentire che tuo padre stia migliorando, progressivamente, le condizioni finanziarie. E dire che era stato un umile tessitore...»
24. «Proprio per questo, forse…» – disse Saul – «…mi ha insegnato la professione da ragazzo, per non dimenticare mai che il progresso di un uomo dipende dal suoi sforzi personali. Oggi, però, dopo molte fatiche sul telaio, giustamente, riposa nella sua vecchiaia, onorata e senza molti problemi, insieme a mia madre. Le loro carovane e i loro cammelli vagano in tutta la Cilicia e i trasporti gli garantiscono un reddito sempre più crescente».
25. La conversazione continuò animata e, a un certo punto, il giovane di Tarso domandò all’amico le ragioni che lo avevano portato a Gerusalemme.
26. «Sono venuto a chiarirmi della cura di mio zio Filodemos, che è stato guarito da una vecchia cecità attraverso processi misteriosi».
27. E, poiché gli frullavano in mente tutti i tipi di domande per le quali non trovava risposta nelle sue conoscenze, continuò: «Hai sentito parlare degli uomini del “Cammino”?»
28. «Ah! Andronico mi parlò di loro tempo fa. Ti riferisci ad alcuni poveri straccioni e ignoranti galilei che si rifugiano nei quartieri malandati?»
29. «Quelli, appunto».
30. E raccontò che un uomo di nome Stefano, titolare di virtù soprannaturali, a detta del popolo, aveva guarito lo zio, con lo stupore generale di molte persone.
31. «In che senso?» – disse Saul con meraviglia. «Come ha potuto Filodemos sottoporsi a esperienze così tenebrose? Non ha capito che questo fatto può essere una trappola insidiosa dei nemici di Dio? Più volte, da quando Andronico mi ha riferito queste cose, ho sentito vari commenti su questi uomini e sono arrivato a scambiare delle idee con Gamaliel, al fine di sopprimere questa dannosa attività; tuttavia, il mio maestro, con la tolleranza che lo caratterizza, mi ha fatto capire che questa gente aiuta numerose persone senza risorse».
32. «Sì…» – interruppe l’altro – «…ma ho sentito dire che le predicazioni di Stefano sono seguite da molti studiosi dei nuovi princìpi che, in qualche modo, tolgono forza alla Legge di Mosè».
33. «Tuttavia, non è stato un Falegname galileo sconosciuto, senza cultura, a dare origine a tale movimento? Cosa ci si poteva aspettare dalla Galilea? Per caso avrà prodotto altro, se non, legumi e pesce?»
34. «E, intanto, il Falegname martire è diventato un idolo per i seguaci. Cercando di annullare le impressioni di mio zio, l’ho chiamato con vigore alla ragione e sono stato portato a visitare ieri, le opere di carità di un certo Simon Pietro. Si tratta di una strana istituzione a dir poco straordinaria. Bambini abbandonati che trovano affetto, lebbrosi che recuperano la salute, vecchi malati e sfortunati che gioiscono di conforto».
35. «Ma i malati? Dove mettono questi malati?» – domandò Saul turbato.
36. «Tutti protetti da questi uomini incomprensibili».
37. «Sono tutti pazzi!» – disse il giovane di Tarso con la franchezza spontanea propria dei suoi atteggiamenti. Entrambi si scambiarono impressioni profonde sulla nuova dottrina, con ironia commentavano molti fatti pietosi che entusiasmavano la gente semplice di Gerusalemme.
38. Al termine della conversazione, Sadoc disse: «Non mi rassegno a vedere i nostri prìncipi degradati e mi offro di collaborare con te, anche se sono a Damasco, per decidere la repressione necessaria a tali attività. Con le tue prerogative di futuro rabbino, stimato nel Tempio, si potrà condurre un’azione decisiva contro questi ingannatori e falsi taumaturghi».
39. «Senza dubbio» – rispose Saul. – «E sono pronto a eseguire tutti i passi che il caso richiede. Fino ad ora, l’atteggiamento del Sinedrio è stato di massima tolleranza, ma farò in modo che tutti cambino idea e procedano come si deve, per affrontare questi attacchi che chiedono severe punizioni». – E quasi solenne, concluse: «Quali sono i giorni di predicazione di questo tale Stefano?»
40. «Il sabato».
41. «Bene; dopodomani andremo insieme ad apprezzare gli sciocchi. Nel caso in cui si verifichi l’innocuità dei loro insegnamenti, li lasceremo in pace con la loro loquacità eccessiva al fianco delle disgrazie altrui; ma in caso contrario, pagheranno a caro prezzo per aver osato offendere i nostri codici religiosi nella metropoli del giudaismo».
42. Ancora per lungo tempo commentarono i fatti sociali, gli intrighi del fariseismo al quale appartenevano, i successi del presente e le speranze del futuro. Al tramonto dello stesso giorno, la biga elegante di Saul di Tarso attraversava le porte di Gerusalemme, prendendo la direzione del porto di Giaffa. Il Sole ardente, ancora alto all’orizzonte, riempiva la strada con la sua luce molto viva. Il volto del giovane dottore della Legge irradiava una folle gioia, nel trottare degli animali che, di volta in volta, passavano al galoppo. Ricordava, soddisfatto, lo sport che tanto amava nella sua città natale, molto di moda e dal gusto greco così come era stato educato, grazie alle sollecitudini paterne. Con lo sguardo fisso ai veloci e focosi cavalli, gli vennero in mente le vittorie nei giochi, con i compagni della sua incurante adolescenza.
*
43. A pochi chilometri di distanza si trovava una casa confortevole tra gli alberi di tamarindo e di pesco in fiore. Intorno, vaste piantagioni di legumi accanto ad un sottile filo d’acqua abilmente sfruttato in un grande orto. La proprietà faceva parte di uno dei tanti piccoli villaggi che circondavano la città santa. Ovunque ci fossero condizioni favorevoli per una piccola agricoltura, questa diventava di grande interesse nei mercati di Gerusalemme, poiché la città si trovava in mezzo a un deserto. Fu lì che Zaccaria si era stabilito con la sua famiglia, per riprendere la vita onesta. Ruth e Abigail cercavano di aiutarlo nel suo nobile sforzo di uomo laborioso e attivo, coltivando frutta e fiori, utilizzando tutta la terra disponibile.
44. Lasciando Corinto, il generoso israelita incontrò grandi difficoltà, fino a quando sbarcò a Cesarea, dove esaurì le sue ultime risorse. Alcuni suoi concittadini, tuttavia, lo presentarono ad un noto patrizio romano, grande proprietario in Samaria, che gli prestò una grande somma, consigliandogli quella zona di Giaffa dove poteva affittare la proprietà di un amico. Zaccaria accettò l’aiuto e tutto andava a meraviglia. La vendita di legumi e frutta, così come di pollame e di grossi animali, compensavano le sue fatiche. Sebbene distante da Gerusalemme, ebbe occasione di visitare la città più di tre volte, e sotto la protezione di Alessandro, un parente stretto di Caifa, aveva avuto la possibilità di essere incluso tra i mercanti privilegiati che potevano vendere gli animali per i sacrifici nel Tempio.
45. Con l’aiuto di amici influenti del calibro di Gamaliel e di Saul di Tarso che, emancipato dalla condizione di studente, era divenuto un’autorità competente della più alta corte della sua stirpe, poté riscattare gran parte del debito, incamminandosi verso una buona posizione di indipendenza finanziaria nel paese natale. Ruth era gioiosa della vittoria del marito, assecondata da Abigail, nella quale aveva trovato l’affetto dedicato di una vera figlia. La sorella di Jeziel (cioè Stefano) sembrava aver ripreso la delicatezza dei tratti femminili, nella fucina delle sofferenze patite. La grazia del volto e il nero degli occhi, le avevano dato un fine velo di soave tristezza che l’avvolgeva tutta, a partire da quei tragici e cupi giorni a Corinto. Quanto desiderava una notizia, seppur lieve e banale, del fratello che il destino aveva trasformato in schiavo da crudeli carnefici!
46. Per questa ragione, fin dai primi tempi, Zaccaria non aveva risparmiato alcun espediente. Incaricò un fedele amico di Acaia per promuovere tutti gli sforzi in questa direzione, ma riuscì a sapere solo che Jeziel era stato preso, quasi con i ferri, e portato a bordo di una nave mercantile che andava a Nicopolis. Niente di più. Abigail lo esortava ancora una volta a cercarlo. E da Corinto venivano promesse di nuovi amici che frugavano nei giri di amicizia di Licinio Minucio, in modo da scoprire dove si trovava il giovane prigioniero.
47. In questo giorno, la fanciulla ricordò la figura del fratello profondamente amato, i suoi avvertimenti e i consigli sempre affettuosi.
48. Da quando aveva conosciuto il giovane di Tarso e intravisto la possibilità di un’unione coniugale, pregava ansiosamente Dio che le desse la certezza consolatoria dell’esistenza del fratello, in qualunque posto fosse. A suo avviso, a Jeziel sarebbe piaciuto incontrare l’eletto del suo cuore, i cui pensieri erano altrettanto illuminati dallo zelo sincero di servire Dio. Gli avrebbe raccontato che l’affetto della sua anima si interessava, come lui, ai commenti religiosi e filosofici, senza considerare i momenti in cui entrambi rimanevano immersi nella contemplazione della natura, confrontando le loro vive lezioni con i simboli divini degli Scritti sacri.
49. Saul l’aiutò molto nella coltivazione dei fiori della fede, che Jeziel aveva seminato nella sua anima pura. Non era un uomo eccessivamente sentimentale e portato alle effusioni di affetto che passano senza grandi significati, ma lei comprese il suo spirito nobile e leale, e l’esistenza di un profondo senso di auto controllo. Abigail era certa di intendere le sue aspirazioni più intime e i grandi sogni della sua giovinezza. Sublime attrazione, questa, che la spingeva verso questo giovane saggio, ostinato e sincero! A volte, le sembrava troppo duro ed energico. La sua concezione della Legge non ammetteva compromessi. Sapeva comandare e non gli piaceva qualsiasi espressione di disobbedienza ai suoi propositi. In quei mesi di incontri, quasi giornalieri, le fece conoscere il suo temperamento irrequieto e indomito, insieme ad un cuore molto generoso, dove una fonte di ignorata tenerezza si era ritirata nelle profondità abissali.
50. Piena di pensieri e seduta su una panchina di pietra lungo il grazioso albero di pesco in festosa primavera, vide la biga di Saul che arrivava al trotto degli animali.
51. Zaccaria lo salutò a distanza e, insieme, in una conversazione animata, entrarono in casa seguiti dalla giovane. L’incontro si svolgeva sempre in tono cordiale e si ripeteva più volte a settimana e, come al solito, i due giovani, meravigliati del paesaggio crepuscolare, quasi mano nella mano come due promessi sposi, scendevano verso il frutteto dove il prato era formato da ampie aiuole con fiori orientali. Il mare si distendeva a molti chilometri di distanza, ma l’aria fresca del pomeriggio dava l’impressione dei venti miti che soffiano dalla costa.
52. All’inizio, Saul e Abigail parlavano delle banalità di tutti i giorni; eppure, ad un certo punto, riconoscendo il velo di tristezza che si era stampato sulla faccia della compagna, il giovane le chiese teneramente: «Perché oggi sei così triste?»
53. «Non lo so…» – disse lei con gli occhi umidi – «…ma ho pensato molto a mio fratello. Sono angosciata, ma spero di ricevere sue notizie. Conservo la speranza che lui venga a conoscerti, prima o poi. Jeziel avrebbe accolto la tua parola con entusiasmo e soddisfazione. Un amico di Zaccaria ha promesso informazioni e siamo in attesa di notizie da Corinto».
54. Dopo una breve pausa, alzò i grandi occhi e continuò: «Senti, Saul, se Jeziel è ancora incarcerato, mi prometti il tuo aiuto in suo favore? I tuoi prestigiosi amici di Gerusalemme potrebbero intervenire per liberarlo, insieme al proconsole di Acaia! Chi lo sa? Le mie speranze ora si posano esclusivamente su di te».
55. Lui le prese la mano e disse teneramente: «Farò di tutto per lui». E fissando su di lei gli occhi dominatori e appassionati, disse: «Abigail, non amerai tuo fratello più di me?»
56. «Che dici?» – esclamò, rendendosi conto della delicata questione. – «Cerca di comprendere il mio cuore fraterno, e ciò mi esime da più ampie spiegazioni. Come sai, carissimo del mio cuore, Jeziel era il mio sostegno nei giorni dopo la morte di mia madre. Compagno d’infanzia e amico della mia giovinezza senza sogni, è sempre stato il fratello affettuoso che mi ha insegnato a sillabare i Comandamenti, a cantare i Salmi con le mani giunte, liberandomi dai sentieri del male e inclinandomi al bene e alla virtù. Tutto quello che hai trovato in me, è un dono della sua generosa assistenza di fratello premuroso».
57. Saul, osservandole lo sguardo bagnato di lacrime, considerò con bontà: «Non piangere. Capisco le tue sacre ragioni emotive. Se necessario, andrò fino alla fine del mondo per trovare Jeziel se è ancora in vita. Porterò delle lettere da Gerusalemme alla Corte Provinciale di Corinto. Farò qualsiasi cosa. Quindi tranquillizzati. Per quel che mi racconti, lo presumo un santo. Ma parliamo di altre cose. Ci sono problemi immediati da risolvere. … E i nostri progetti, Abigail?»
58. «Dio ci benedirà» – sussurrò la giovane commossa.
59. «Ieri, Dalila e lo sposo sono andati a Lidia per visitare alcuni nostri parenti. Tuttavia, è stato organizzato tutto affinché tu possa essere con noi a Gerusalemme da qui a due mesi. Prima che mia sorella intraprenda il prossimo viaggio per Tarso, voglio che lei ti conosca più intimamente, al fine di esporre con franchezza ai miei genitori il nostro progetto di matrimonio».
60. «Il tuo invito mi coinvolge molto, ma...».
61. «Non ci sono restrizioni o timidezza. Verremo a prenderti. Mi metterò d’accordo con Ruth e Zaccaria per tutti i provvedimenti indispensabili e, per quanto riguarda il necessario affinché tu ti presenti nella grande città, non baderò a spese. Mi sto già organizzando affinché in pochi giorni tu riceva diverse tuniche di modello greco».
62. E terminò l’osservazione con un bel sorriso: «Voglio che tu appaia a Gerusalemme come una perfetta esponente della nostra stirpe, cresciuta tra le antiche bellezze di Corinto».
63. La fanciulla fece un gesto timido, dimostrando intima soddisfazione.
64. Ancora alcuni passi e si sedettero sotto i vecchi alberi di pesco in fiore, respirando a lunghi sorsi, l’aria soave che profumava l’ambiente. La terra coltivata e colorata di rose di tutte le tonalità esalava una deliziosa fragranza. La fine del crepuscolo è sempre piena di suoni che passano in fretta, come se l’anima delle cose fosse ugualmente eccitata dal successivo silenzio, amico del grande riposo. ... Frondosi alberi si nascondevano nelle ombre, uccelli erranti volavano veloci, e brezze amorevoli venivano da lontano, agitando i grandi rami e accentuando i dolci mormorii del vento.
65. Saul, inebriato di indefinibile gioia, contemplò le prime stelle che sorridevano nel cielo ricamato di luce. La natura è sempre lo specchio fedele delle emozioni più intime, e quelle ondate di profumo, trasportate dal vento, incontravano un’eco di misterioso giubilo nel suo cuore.
66. «Abigail…» – disse tenendole le mani tra le sue – «…la natura parla sempre con le anime speranzose e credenti. Da sempre ti ho aspettato nelle strade della vita! ... Mio padre mi parlava del focolare e delle sue dolcezze, ed io attendevo la donna che mi avrebbe pienamente compreso».
67. «Dio è buono…» – rispose lei con incanto – «…e solo adesso riconosco che, dopo tanta sofferenza, Lui mi riservava la Sua misericordia infinita, il più grande tesoro della mia vita, il tuo amore, nella terra dei miei genitori. Il tuo affetto, Saul, concentra tutti i miei ideali. Il Cielo ci renderà felici. Tutte le mattine, quando saremo sposati, chiederò in calorosa preghiera agli angeli di Dio, che mi insegnino a tessere la rete delle tue gioie, e alla sera, quando le benedizioni del riposo avvolgeranno il mondo, ti darò il mio affetto con passione sempre rinnovata. Prenderò la tua testa tormentata dai problemi della vita e ungerò la tua fronte con le carezze delle mie mani. Vivrò con Dio e con te solamente. Ti sarò fedele per tutta la vita e amerò le sofferenze che il mondo potrebbe causarmi, per amore della tua vita e del tuo nome».
68. Saul le strinse le mani con più entusiasmo, replicando affascinato: «Ti darò il mio cuore dedicato e sincero. Abigail, il mio spirito era posseduto solo dalla Legge e dall’amore per i miei genitori. La mia giovinezza è stata molto irrequieta, ma pura. Non ti offrirò un fiore senza profumo. Fin dai primi giorni della giovinezza ho incontrato compagni che mi esortavano a seguire i passi incerti dell’ebbrezza dei sensi, precursori della morte dei nostri pensieri più nobili di questo mondo, ma mai ho tradito l’ideale divino che vibrava nella mia anima sincera. Dopo gli studi, all’inizio della mia carriera, ho incontrato delle donne che si esibivano, guidate da pericolose ed erronee concezioni dell’amore. A Tarso, nei giorni sontuosi dei giochi di gioventù, dopo la conquista degli onori, dalle giovani irrequiete ricevevo dichiarazioni d’amore e proposte di matrimonio, ma la verità è che rimanevo insensibile, per aspettare te, come un’eroina ignota dei miei sogni, nelle assemblee adornate di porpora e fiori. Quando Dio mi ha portato a te, i tuoi occhi mi hanno parlato, in un lampo, di sublimi rivelazioni. Tu sei il cuore del mio cervello, l’essenza del mio pensiero, e sarai la mano che guiderà le mie edificazioni per tutta la vita».
69. Mentre la fanciulla, riconoscente e felice, aveva gli occhi intrisi di pianto, il focoso giovane continuò: «Vivremo l’uno per l’altra e avremo figli fedeli a Dio. Sarò l’assetto della nostra vita, e tu sarai l’obbedienza della nostra pace. La nostra casa sarà un tempio. L’amore di Dio sarà il suo maggior pilastro e, quando il lavoro richiederà la mia assenza dall’altare domestico, vigilerai nel tabernacolo della nostra fortuna».
70. «Sì, caro. Cosa non farei per te? Chiederai ed io obbedirò. Sarai l’ordine nella mia vita, pregherò il Signore di aiutarmi ad essere il tuo balsamo di tenerezza. Quando sarai stanco, nel ricordo di mia madre, addormenterò la tua anima generosa con le più belle preghiere di Davide! ... Interpreterai per me la parola di Dio. Sarai la Legge, io sarò la tua serva».
71. Saul si commosse ascoltando quelle dolci espressioni. Erano le più belle che avesse mai raccolto in un cuore femminile. Nessuna donna, se non Abigail, aveva mai parlato così al suo spirito impetuoso. Abituato a ragionamenti lunghi e difficili, scaldando il cervello nei sillogismi dei dottori della Legge in cerca di un futuro brillante, sentiva l’anima arida e assetata di vero idealismo. Fin da bambino, con una sana educazione familiare, conservava puri i primi impulsi del cuore, senza mai contaminarli sulla scia di piaceri facili o del fuoco delle passioni violente, le quali lasciano nell’anima il carbone del dolore senza speranza.
72. Abituato allo sport, ai giochi dell’epoca e seguito continuamente da molti compagni di follia, ebbe l’eroismo sacro di ignorare le tendenze naturali, per sovrapporre quelle della Legge. La sua concezione di servizio a Dio non ammetteva concessioni a se stesso. A suo avviso, ogni uomo doveva essere conservato indenne da qualsiasi contatto inferiore con il mondo, fino a raggiungere il talamo nuziale. La casa così costituita sarebbe stata un tabernacolo di benedizioni eterne; i figli, le primizie dell’altare dell’Amore superiore, dovevano essere consacrati al Signore supremo. Non che la sua giovinezza fosse stata libera di desideri. Saul di Tarso pur sperimentando tutte le aspirazioni impetuose della gioventù del suo tempo, immaginava situazioni e fantasie soddisfatte, ma, soggetto all’affetto materno, promise a se stesso di non tergiversare mai!
73. La vita del focolare è la vita di Dio, e così Saul si era preservato per le emozioni più sublimi. Di speranza in speranza, vedeva il passare degli anni, nell’attesa dell’ispirazione divina che avrebbe determinato il percorso dei suoi ideali. Sperava e confidava. I suoi genitori pensavano di trovare, qui e là, la donna eletta; però, Saul, energico e risoluto, dissuadeva gli amati cari, d’intervenire per quanto riguardava la scelta che interessava il suo destino. Abigail aveva riempito il suo cuore. Era il fiore mistico del suo ideale, l’anima che comprendeva le sue aspirazioni in perfetta risonanza con i suoi pensieri. Con gli occhi fissi sui suoi lineamenti delicati che la pallida luce della Luna illuminava, ebbe il desiderio di tenerla per sempre tra le forti braccia. Allo stesso tempo, una dolce tenerezza gli vibrava l’anima. Voleva attrarla a sé come si fa con un dolce bambino e accarezzarle i capelli di seta con tutto il suo affetto.
74. Inebriati di piacere spirituale, parlarono per lungo tempo dell’amore che li identificava nella stessa aspirazione di felicità. Tutti i commenti più intimi facevano di Dio il partecipe sacro delle loro speranze nel futuro, che si auspicava santificato di gioie infinite.
75. Tenendosi per mano, s’incantavano con il meraviglioso plenilunio. Gli oleandri sembravano sorridere su di loro. Le rose orientali, aureolate dai raggi della Luna, erano come messaggere di bellezza e profumi.
76. Nel prendere congedo, Saul disse felice: «Tra due giorni tornerò a trovarti. È deciso. Quando partirà Dalila, porterà notizie nostre ai miei genitori e, precisamente da oggi a sei mesi, voglio che tu stia con me per sempre».
77. «Sei mesi?» – disse Abigail arrossata e sorpresa.
78. «Nulla, credo, potrà cambiare questa decisione, in quanto abbiamo già tutto l’indispensabile».
79. «E se, fino a quel momento, non avremo notizie di Jeziel? Per quanto mi riguarda, vorrei sposarmi convinta della sua approvazione».
80. Saul abbozzò un lieve sorriso, dissimulando una certa contrarietà, e disse: «Quanto a questo, stai tranquilla. Ce ne prenderemo cura, prima dell’atteggiamento dei miei, che sono i più immediati; e non appena si risolve il problema, se necessario, andrò personalmente ad Acaia. È impossibile che Zaccaria non riceva notizie da Corinto nelle prossime settimane. Poi procederemo con maggior sicurezza».
81. Abigail fece un gesto di soddisfazione e riconoscimento.
82. Uniti, ora, nella stessa vibrazione di gioia, prima che rientrassero in casa dove i proprietari si intrattenevano con la lettura delle profezie, Saul prese la mano della fanciulla, la portò alle labbra e mormorò il solito saluto: «Fedeli per sempre! ...»
83. Alcuni minuti dopo la superficiale conversazione con gli amici, si sentì il trottare degli animali sulla strada di ritorno a Gerusalemme. Il piccolo carro correva rapidamente al chiaro di Luna, sotto una nuvola di polvere.
[indice]
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Saul nella Chiesa del cammino, durante la predicazione di Stefano
Il Sinedrio lo denuncia
1. Saul e Sadoc entrarono nell’umile chiesa di Gerusalemme, notando la massa compatta di poveri e miserabili che lì si affollavano con un raggio di speranza negli occhi tristi.
2. Il padiglione semplice, costruito al costo di tanti sacrifici, non era altro che un grande capannone rivestito da pareti fragili, privo di qualsiasi conforto.
3. Giacomo, Pietro e Giovanni rimasero sorpresi per la presenza del giovane dottore della Legge, diventato molto popolare in città per la sua oratoria travolgente e per l’accurata conoscenza delle Scritture.
4. I generosi galilei offrirono a Saul la panca più confortevole. Egli accettò le gentilezze di cui era oggetto, sorridendo con dissimulata ironia di tutto ciò che il suo sguardo incontrava. Intimamente, considerava che Sadoc era stato vittima di false valutazioni. Cosa potevano fare quegli uomini ignoranti, uniti ad altri già vecchi, ai malati e ai disperati? Come potrebbero essere pericolosi per la Legge di Israele quei bambini abbandonati, quelle donne mezze morte, nei cui cuori sembravano annientate tutte le speranze? Sperimentava grande malessere di fronte a tanti volti che la lebbra aveva devastato e le ulcere maligne avevano sfigurato senza pietà. Qui, un vecchio con delle ferite purulenti avvolte in stracci puzzolenti; lì, uno storpio a malapena coperto, a fianco ad orfani straccioni che si rannicchiavano con umiltà.
5. Il noto dottore della Legge percepì la presenza di diverse persone che avevano accompagnato la sua parola nella sinagoga dei cilici, nell’interpretazione dei testi di Mosè; altri che lo avevano seguito da vicino nelle attività del Sinedrio, dove la sua intelligenza era considerata un pegno speranzoso della stirpe. Dallo sguardo, si rese conto che questi amici erano ugualmente lì per la prima volta. La sua visita, al tempio ignoto dei galilei senza nome, attirava molti simpatizzanti del fariseismo dominante, ansiosi di fornire eventuali servigi che potessero evidenziarli e raccomandarli alle autorità più importanti. Saul concluse che quella frazione di pubblico gli era solidale e che avrebbe potuto fare al caso suo in una eventuale azione da intraprendere. Gli sembrò naturale e logico quell’atteggiamento, conveniente ai fini che si proponeva. Non si raccontavano fatti impressionanti, operati dagli addetti del “Cammino”? Non sarebbero grossolane e scandalose mistificazioni? Chi poteva dire se tutto non fosse che il prodotto ignobile di stregoneria e magia, da condannare? Nell’ipotesi in cui si fossero percepiti degli scopi impropri, proprio lì, poteva contare su un gran numero di sostenitori, disposti a difendere la stretta osservanza della Legge, nonostante gli costassero pesanti sacrifici.
6. Notando un quadro meno gradito ai suoi occhi abituati agli ambienti di lusso, evitava di fissare gli storpi e i malati che si aggomitolavano nel padiglione, richiamando l’attenzione di Sadoc con osservazioni ironiche e pittoresche. Quando la vasta sala, spoglia di ornamenti e simboli di qualunque tipo, d’improvviso si riempì, un giovane attraversò le lunghe file, affiancato da Pietro e da Giovanni, salendo tutti e tre su un rialzo quasi naturale, formato da pietre sovrapposte.
7. «Stefano!... È Stefano!...» – Voci soffocate indicavano il predicatore, mentre i suoi ammiratori più entusiasti lo ricevevano con un sorriso gioioso.
8. Un inatteso silenzio manteneva tutte le teste in singolari aspettative. Un giovane, magro e pallido, nella cui assistenza i più infelici pensavano di trovare un’estensione dell’amore del Cristo, pregò ad alta voce supplicando per sé e per l’assemblea l’ispirazione dell’Onnipotente. Di seguito aprì un libro in forma di rotolo e lesse un brano delle annotazioni di Matteo:
9. “Rivolgetevi piuttosto alle pecorelle perdute della casa d’Israele; e, strada facendo, predicate che il Regno dei Cieli è venuto”[20].
10. Stefano sollevò in alto gli occhi sereni e luminosi e, senza sentirsi turbato dalla presenza di Saul e dei suoi numerosi amici, iniziò a parlare più o meno in questi termini, con voce chiara e vibrante:
11. «Miei cari, ecco che sono arrivati i tempi in cui il Pastore viene a riunire le pecorelle attorno al suo zelo senza limiti. Eravamo schiavi della ragione, ma oggi siamo liberi attraverso il Vangelo di Cristo Gesù. La nostra stirpe ha conservato, da tempo immemore, la luce del Tabernacolo, e Dio ci ha mandato Suo Figlio senza macchia. Dove sono, in Israele, quelli che ancora non hanno sentito il messaggio della Buona Novella? Dove sono quelli che ancora non si sono rallegrati con le gioie della nuova fede? Dio ci ha mandato la Sua divina risposta alle nostre aspirazioni millenarie, le rivelazioni del Cielo chiariscono le nostre strade. Secondo le promesse della profezia di tutti coloro che hanno sofferto e pianto per amore dell’Eterno, l’Emissario divino è giunto al fossato dei nostri amari e giusti dolori, per illuminare la notte delle nostre anime impenitenti affinché si aprissero gli orizzonti della redenzione.
12. Il Messia si prese cura degli angosciosi problemi della creatura umana, con la soluzione dell’amore che redime tutti gli esseri e purifica tutti i peccati. Maestro del lavoro e della perfetta gioia di vivere, le sue benedizioni rappresentano la nostra eredità. Mosè era la porta, Cristo è la chiave. Con la corona del martirio ottenne, per noi, l’alloro immortale della salvezza. Eravamo prigionieri nell’errore, ma il suo sangue ci ha liberati. Nella vita e nella morte, nelle allegrie di Cana, come nell’angoscia del Calvario, per quello che ha fatto e per tutto quello che non ha fatto durante il Suo glorioso passaggio sulla Terra, Egli è il Figlio di Dio che illumina il cammino. Al di sopra di tutte le cogitazioni umane, lontano da tutti gli attriti delle ambizioni terrene, il Suo regno di pace e di luce risplende nella coscienza delle anime redenti.
13. Oh! Israele, tu che aspettavi da tanti secoli, la tua angoscia e le dolorose esperienze non sono state vane! ... Mentre altri popoli si dibattevano in bassi interessi, cercando falsi idoli di false adorazioni e promuovendo, simultaneamente, guerre di sterminio con raffinata perversità, tu, Israele, aspettasti il Dio giusto. Portasti le catene della crudeltà umana, nella desolazione e nel deserto; tramutasti in canti di speranza l’ignominia della prigionia; soffristi l’obbrobrio dei potenti della Terra. Vedendo i tuoi figli, le tue mogli, i tuoi giovani e i tuoi bambini sterminati sotto il guanto delle persecuzioni, mai perdesti la fede nella giustizia dei Cieli! Come il Salmista, attestasti con il tuo eroismo, che l’amore e la misericordia vibrano in tutti i tuoi giorni! Lungo il cammino dei secoli piangesti le tue angosce e le tue ferite. Come Giobbe, vivesti la tua fede, sopraffatta dalle catene del mondo, ma ora hai ricevuto il sacro deposito di Jehova, il Dio Unico! ... Oh! speranze eterne di Gerusalemme, cantate di gioia, gioite, anche se non siamo stati del tutto fedeli nella comprensione, portando l’Agnello amato tra le braccia della croce. Le sue ferite, tuttavia, ci hanno acquistato l’ingresso in Cielo, con l’alto prezzo del sacrificio supremo! ...
14. Isaia Lo contemplò, curvo sotto il peso delle nostre iniquità, fiorendo nell’aridità dei nostri cuori, come un fiore del Cielo in una terra bruciata, ma rivelò anche che, dal tempo della sua rinuncia estrema, alla morte infame, la sacra causa divina avrebbe prosperato per sempre nelle Sue mani.
15. Amati, dove sono quelle pecorelle che non sapevano o non potevano aspettare? Cerchiamole per Cristo come dracme perse del suo svelato Amore! Proclamate a tutti quelli senza speranza le glorie e le gioie del Suo regno di pace e di amore immortale!
16. La Legge ci ha conservato nello spirito della nazione, ma questa non era più in grado di cancellare dalla nostra anima il desiderio umano di supremazia sulla Terra. Molti della nostra stirpe hanno aspettato un principe dominatore che penetrasse nella città santa in trionfo, con i trofei di una sanguinosa battaglia di rovina e di morte, che ci facesse impugnare uno scettro odioso di potere e tirannia. Invece il Cristo ci ha liberati per sempre. Il Figlio di Dio e l’emissario della Sua gloria, nel suo più grande comandamento ha confermato Mosè, il quale ci ha raccomandato di amare Dio sopra ogni cosa, con tutto il cuore e la mente, aggiungendo nel più importante comandamento divino, che ci amassimo gli uni con gli altri come Lui ha amato noi.
17. Il Suo regno è quello della retta coscienza e del cuore purificato al servizio di Dio. Le Sue porte sono il meraviglioso cammino della redenzione spirituale, aperte a due a due ai figli di tutte le nazioni.
18. I Suoi amati discepoli verranno da tutte le parti. Al di fuori della Sua luce ci sarà sempre la tempesta ad assalire il viaggiatore barcollante della Terra che, senza il Cristo, cadrà vinto nelle battaglie infruttuose che distruggono le migliori energie del cuore. Solo il Suo Vangelo concede la pace e la libertà. È il tesoro del mondo. Nella Sua gloria sublime, i giusti troveranno la corona del trionfo, gli sfortunati la consolazione, i tristi la fortezza del buon animo, i peccatori il cammino redentore del riscatto misericordioso.
19. È vero che non lo avevamo capito, che nella Sua grande testimonianza gli uomini non compresero la Sua divina umiltà, e i più affezionati Lo abbandonarono. Le Sue ferite hanno gridato per la nostra indifferenza criminale. Nessuno potrà sottrarsi a questa colpa, visto che siamo tutti eredi dei Suoi doni celestiali. Dove tutti godono i benefici, nessuno può sfuggire alla responsabilità. Ecco perché rispondiamo al crimine del Calvario. Ma le Sue ferite furono la nostra luce, i Suoi martiri, il più ardente appello d’amore, il Suo esempio la rotta aperta ai beni sublimi e immortali.
20. Venite, poi, a prender parte con noi al tavolo del banchetto divino! Non più le feste del pane che marcisce, ma l’eterno alimento dell’allegria e della vita. … Non più il vino che fermenta, ma il nettare confortante dell’anima, diluito nei profumi dell’amore immortale.
21. Il Cristo è la sostanza della nostra libertà. Verrà un giorno in cui il Suo regno comprenderà i figli dell’Oriente e dell’Occidente, in un’unione di fratellanza e di luce. Allora capiremo che il Vangelo è la risposta di Dio alle nostre richieste, rispetto alla Legge di Mosè. La Legge è umana, il Vangelo è divino. Mosè è il conduttore; il Cristo, il Salvatore. I profeti furono servitori fedeli, ma Gesù è il Signore della Vigna. Con la Legge eravamo servi, col Vangelo siamo figli liberi di un Padre amorevole e giusto! ...»
22. Nel frattempo, Stefano arrestò la parola che gli fluiva armoniosa e vibrante dalle labbra, ispirata ai più puri sentimenti. Gli ascoltatori di tutte le origini non riuscivano a nascondere lo stupore davanti ai suoi concetti di vigorosa rivelazione. La moltitudine era estasiata dai principi esposti. I mendicanti, lì ammucchiati, dirigevano al predicatore un sorriso di approvazione, rivelatore di speranze e gioie. Giovanni lo fissava con gli occhi teneri, identificando, ancora una volta, nella sua ardente parola, il messaggio evangelico interpretato da un discepolo diletto dell’indimenticabile Maestro, mai assente a coloro che si riunivano nel Suo Nome.
23. Saul di Tarso, emotivo per temperamento, si unì all’onda di ammirazione generale; ma molto sorpreso, verificò le differenze tra la Legge e il Vangelo proclamato da questi strani uomini, che la sua mentalità non riusciva a capire. Analizzò di sfuggita il pericolo che i nuovi insegnamenti procuravano al Giudaismo dominante. Dissentì dal sermone ascoltato, nonostante la sua risonanza di misteriosa bellezza. A suo avviso, era necessario eliminare la confusione che si abbozzava a proposito di Mosè. La Legge era una ed unica. Quel Cristo che aveva culminato la vita con la sconfitta, tra due ladri, appariva ai suoi occhi come un mistificatore indegno di qualsiasi considerazione. La vittoria di Stefano nella coscienza popolare, che si verificò in quel momento, gli causò indignazione. Quei galilei potevano essere compassionevoli, ma comunque erano dei criminali per il sovvertimento dei principi inviolabili della stirpe. L’oratore si preparava a riprendere la parola, momentaneamente interrotta e attesa con giubilo generale, quando il giovane dottore si alzò coraggiosamente e disse, quasi collerico, sottolineando i concetti con evidente ironia:
24. «Pietosi galilei, dov’è il senso delle vostre dottrine strane e assurde? Come osate proclamare la supremazia di un falso e oscuro Nazareno su Mosè, proprio a Gerusalemme, dove si decidono i destini delle tribù d’Israele invincibile? Chi era questo Cristo? Non fu un semplice Falegname?»
25. Dopo l’orgoglioso e inaspettato rimprovero, si sentì nell’ambiente un’esplosione di paura, ma dagli indigenti per i quali il messaggio del Cristo era l’alimento supremo, partirono a Stefano sguardi di difesa e di gioioso entusiasmo. Gli apostoli della Galilea non poterono nascondere la loro paura. Giacomo era livido. Gli amici di Saul notarono la sua maschera di disprezzo. Anche il predicatore impallidì, ma rivelò nello sguardo risoluto lo stesso tratto di fermezza e serenità imperturbabile. Fissò il dottore della Legge, primo uomo della città che aveva osato disturbare gli sforzi generosi di evangelizzazione e, senza tradire la linfa d’amore che usciva dal suo cuore, mostrò a Saul la sincerità delle sue parole e la nobiltà dei suoi pensieri. E prima che i compagni si riprendessero dalla sorpresa che li aveva colti, con ammirevole presenza di spirito, indifferente al timore collettivo, disse umilmente:
26. «Meno male che il Messia era un Falegname, perché in questo caso l’umanità non resterà più senza rifugio. Lui, infatti, è stato il Rifugio della pace e della speranza! Mai più cammineremo senza meta tra le tempeste, né nelle passerelle dei ragionamenti chimerici di chi vive di calcolo, senza la chiarezza del sentimento».
27. La risposta concisa, senza paura, sconcertò il futuro rabbino, abituato a trionfare nelle sfere più colte, in tutte le dritte della parola. Energico, arrossì, mostrando profonda collera e mordendo il labbro in un gesto che gli era peculiare, e aggiunse con voce imperiosa:
28. «Dove andremo a finire con simili eccessi di interpretazione intorno ad un mistificatore volgare che il Sinedrio ha punito con la fustigazione e la morte? Che dire di un Salvatore che non ha potuto salvare se stesso? Emissario rivestito di così tanti poteri celesti, non evitò l’umiliazione di una condanna infamante? Il Dio degli eserciti che liberò la nazione privilegiata dalla prigionia e che la guidò attraverso il deserto aprendo la strada verso il mare, che placò la fame con la manna divina e, per amore, trasformò la fredda roccia in sorgente d’acqua viva, non avrebbe avuto altri mezzi per dimostrare al Suo inviato, se non, la croce del martirio tra criminali comuni? In questa casa tenete la gloria del Signore supremo, così barattata? Tutti i dottori del Tempio conoscono la storia dell’impostore che celebrate con la semplicità della vostra ignoranza! Non vi vergognate nel ridurre i nostri valori, presentando un Messia lacerato e sanguinante, sotto i fischi e le ingiurie del popolo?… Gettate la vergogna su Israele, e desiderate fondare un nuovo regno? Sarebbe giusto farci notare, a noi altri, i moventi delle vostre pietose favole».
29. Stabilita una pausa nel suo severo rimprovero, l’oratore tornò a parlare con dignità:
30. «Amico, ben si diceva che il Maestro sarebbe venuto nel mondo per la confusione di molti in Israele. Tutta la storia edificante del nostro popolo è un documento della rivelazione di Dio. Tuttavia, non vedi gli effetti meravigliosi con cui la Provvidenza guidò le tribù ebraiche, in passato, verso manifestazioni dell’affetto estremo di un Padre disposto a costruire il futuro spirituale di bambini cari al Suo cuore? Con il passare del tempo abbiamo osservato che la mentalità infantile comporta principi educativi più ampi, quello che ieri era affetto, oggi è energia proveniente dalle grandi espressioni amorevoli dell’anima. Quello che ieri era verde e calmo per una nutrizione della sublime speranza, oggi può essere tempesta, per dare sicurezza e resistenza. In precedenza siamo stati bambini, anche nel trattare le rivelazioni; ma ora gli uomini e le donne di Israele hanno raggiunto la condizione di adulti nella conoscenza. Il Figlio di Dio ha portato la luce della verità agli uomini, insegnandogli la misteriosa bellezza della vita, accresciuta attraverso la rinuncia. La Sua gloria si riassume nell’amarci come Dio ci ama. Per questa stessa ragione Egli non è stato ancora compreso. Per caso, avremmo dovuto attendere un salvatore sulla base dei nostri bassi desideri? I profeti affermano che le strade di Dio possono non essere i percorsi che desideriamo, e che i Suoi pensieri non sempre si armonizzano con i nostri. Cosa avremmo detto di un Messia che avesse impugnato lo scettro del mondo, disputando con i principi dell’iniquità i premi di trionfi sanguinosi? Per caso, la Terra non sarà già piena di battaglie e cadaveri?
31. Domandiamo a un generale romano quanto gli è costato il dominio del più oscuro dei villaggi; consultiamo la lista nera dei trionfatori secondo le nostre idee erronee della vita. Israele non avrebbe mai potuto aspettarsi un Messia che si ostentasse su di un carro per delle magnifiche glorie materiali, in grado di scivolare nella prima buca sulla strada. Queste espressioni transitorie appartengono a uno scenario effimero, nel quale la porpora più splendente torna alla polvere.
32. Al contrario di tutti coloro che desiderano insegnare la virtù, giacendo nella soddisfazione dei propri sensi, Gesù compì il suo dovere tra i più semplici e i più sventurati, dove spesso si trovano le manifestazioni del Padre che educa, attraverso la speranza insoddisfatta e i dolori che occupano l’esistenza umana dalla culla alla tomba. Il Cristo ha edificato tra di noi il Suo regno dell’amore e della pace sulle fondamenta divine. Il Suo esempio è impresso nell’anima umana con Luce eterna! Chi di noi, quindi, realizzando tutto questo, sarebbe in grado di identificare nell’Emissario di Dio un principe bellicoso? No! Il Vangelo è amore nella sua espressione più sublime!
33. Il Maestro si è lasciato immolare trasmettendo a noi l’esempio della redenzione attraverso l’amore più puro. Pastore dell’immenso gregge, Egli non vuole che si perda nessuna delle sue pecorelle molto amate, né la morte del peccatore. Il Cristo è la vita, e la salvezza che ci ha donato sta nella sacra opportunità della nostra elevazione, come figli di Dio, esercitando i Suoi gloriosi insegnamenti».
34. Dopo una pausa, il dottore della Legge si stava già alzando per replicare, quando Stefano continuò: «E adesso, fratelli, chiedo il permesso di concludere le mie parole: se non vi ho parlato come desideravate, ho parlato come il Vangelo ci consiglia, imputando a me stesso l’intima condanna dei miei grandi difetti. – Che la benedizione del Cristo sia con tutti voi!»
35. Prima che potesse lasciare il pulpito e confondersi con la folla, il futuro rabbino si alzò di scatto e lo fissò con collera: «Esigo la continuazione della predica! Che il predicatore aspetti, perché io non ho finito quello che volevo dire».
36. Stefano rispose serenamente: «Non potrei discutere».
37. «Perché?» – chiese Saul irritato. – «Sei intimato a procedere!».
38. «Amico…» – disse con calma – «…il Cristo ci ha consigliato che dobbiamo dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio. Se disponete di eventuali azioni legali contro di me, presentatele senza timore, ed io vi ubbidirò; ma in ciò che appartiene a Dio, solo a Lui compete giudicarmi».
39. Un così alto spirito di risoluzione e serenità, quasi sconcertò il dottore del Sinedrio; comprendendo, tuttavia, che l’impulsività poteva solo compromettere la chiarezza del suo pensiero, aggiunse con più calma, nonostante il tono imperioso lasciasse trasparire tutta la sua energia: «Però, ho bisogno di chiarire gli errori di questa casa. Necessito di fare delle domande, e voi dovete rispondermi!»
40. «Per quanto riguarda il Vangelo…» – disse Stefano – «…già vi ho offerto gli elementi di cui potevo disporre, spiegando quello che ho a portata di mano. Per il resto, quest’umile tempio è l’edificio della fede, e non di un tribunale. Gesù si prese cura di raccomandare ai Suoi discepoli che fuggissero dalle eccitazioni delle discussioni e delle discordie. Ecco perché non sarà lecito perdere tempo in lotte inutili, quando l’opera di Cristo esige i nostri sforzi».
41. «Ogni volta questo Cristo! Sempre l’impostore!» – tuonò Saul, crucciato. – «La mia autorità è insultata dal vostro fanatismo, in questo padiglione di miseria e ignoranza. Mistificatori! Voi rifiutate la possibilità di chiarimento che vi offro! Galilei incolti, non volete considerare il mio nobile segno di sfida? Saprò vendicare la Legge di Mosè, offesa! Rifiutate la mia intimazione, ma non potrete sfuggire al mio oltraggio! Imparerete ad amare la verità e onorare Gerusalemme, rinunciando al Nazareno insolente, che pagò con la croce i criminali vaneggiamenti! Mi rivolgerò al Sinedrio per giudicarvi e punirvi! Il Sinedrio ha l’autorità per annullare le vostre condannabili allucinazioni!».
42. Così concluse in un eccesso di furia. Tuttavia non riuscì a disturbare il predicatore, il quale rispose con l’animo sereno: «Amico, il Sinedrio possiede migliaia di modi per farmi piangere, ma non gli riconosco il potere di costringermi a rinunciare all’amore di Gesù Cristo».
43. Detto questo, scese dalla tribuna con la stessa umiltà, senza lasciarsi esaltare dal gesto di approvazione che gli lanciavano i figli della sventura, i quali lo ascoltavano come un difensore di sacre speranze. Alcune proteste isolate cominciarono a farsi sentire. I farisei arrabbiati vociferavano insolenze e offese. La massa si muoveva, prevedendo l’attrito imminente; ma prima che Stefano facesse dieci passi verso l’interno vicino ai compagni, e prima che Saul lo raggiungesse con altre obiezioni personali e dirette, una vecchietta coperta di stracci gli presentò una giovane mal vestita esclamando piena di fiducia:
44. «Signore, so che continui la bontà e le gesta del Profeta di Nazareth che un giorno mi ha salvato dalla morte nonostante i miei peccati e le mie debolezze. Aiutami anche tu, per pietà! Mia figlia è diventata muta da oltre un anno. L’ho portata da Dalmanùta fino a qui, superando enormi difficoltà, per affidarmi al vostro aiuto fraterno!»
45. Il predicatore ponderò, soprattutto, del pericolo di qualsiasi capriccio personale da parte sua e, desideroso di rispondere alla supplica, osservò la malata con sincera simpatia e sussurrò: «Non abbiamo nulla di nostro, ma è giusto aspettarsi dal Cristo i doni necessari per noi. Colui che è giusto e generoso non ti dimenticherà nella distribuzione santificata della Sua misericordia». – E come assoggettato da una forza singolare, disse: «Parlerai tu in onore e lode del buon Maestro! …»
46. Allora si presentò un fatto insolito che colpì improvvisamente la numerosa assemblea. Con un raggio di infinita gioia negli occhi, la malata (che era diventata muta) parlò: «Loderò il Cristo con tutta la mia anima, eternamente!»
47. Lei e sua madre, in preda ad una forte emozione, caddero, proprio lì, in ginocchio e baciarono le sue mani. Stefano, tuttavia, aveva gli occhi impregnati di lacrime, profondamente sensibilizzato. Era il primo a meravigliarsi e commuoversi per la protezione ricevuta, e non aveva altri mezzi che le lacrime sincere per tradurre l’intensità del suo riconoscimento.
48. I farisei, che si erano avvicinati al fine di compromettere la pace nell’umile luogo, indietreggiarono stupefatti. I poveri e gli afflitti, come se avessero ricevuto un rafforzamento dal Cielo per l’esito della fede pura, riempirono il salone con esclamazioni di sublime speranza.
49. Saul guardò la scena senza essere in grado di nascondere la sua collera. Se fosse stato possibile, avrebbe distrutto Stefano con le proprie mani. Tuttavia, nonostante il suo temperamento impulsivo, giunse alla conclusione che un atto aggressivo avrebbe condotto gli amici presenti ad un conflitto di gravi proporzioni. Rifletté, inoltre, che non tutti i sostenitori del “Cammino” erano come il predicatore, capaci di limitare la lotta al campo delle lezioni di ordine spirituale e, in un certo senso, non si sarebbero rifiutati alla lotta fisica. A prima vista, notò che alcuni erano armati, e gli anziani portavano per sostegno forti bastoni, e gli zoppi rigide stampelle. La lotta corporale in quel padiglione di costruzione fragile, avrebbe avuto delle spiacevoli conseguenze. Cercò di coordinare meglio il ragionamento. Aveva la Legge in suo favore. Poteva contare sul Sinedrio. I sacerdoti più eminenti erano amici devoti. Avrebbe combattuto contro Stefano fino a piegare la sua resistenza morale. Se non fosse riuscito a sottometterlo, lo avrebbe odiato per sempre. Nella soddisfazione dei suoi capricci, avrebbe saputo come rimuovere tutti gli ostacoli.
50. Intuendo che Sadoc e due compagni iniziavano il tumulto, gridò a loro con voce profonda e imperiosa: «Andiamocene! I seguaci del “Cammino” pagheranno molto cara la loro audacia».
51. In quel momento, mentre tutti i farisei erano disposti a rispondere al suo comando vocale, il giovane di Tarso osservò che Stefano si dirigeva verso l’interno della casa, passandogli vicino alle spalle. Saul si sentì scosso in ogni fibra del suo orgoglio. Lo fissò quasi con odio, ma il predicatore gli rispose con uno sguardo sereno e amichevole. Non appena il giovane dottore della Legge si ritirò con i numerosi compagni che non riuscivano a nascondere il loro disprezzo, gli apostoli galilei passarono a considerare, con grande paura, le conseguenze che potevano derivare da quell’episodio inaspettato.
*
52. Il giorno dopo, come al solito, Saul di Tarso, nel pomeriggio, entrò in casa di Zaccaria, lasciando intravedere nel viso la contrarietà che portava dentro. Dopo aver alleviato alcuni dei pensieri oscuri che lo facevano penare, grazie alle tenerezze dell’amata promessa sposa che gli chiese i motivi di tale preoccupazione, lui le narrò gli avvenimenti del giorno precedente, aggiungendo:
53. «Questo Stefano pagherà molto cara l’umiliazione che intendeva infliggerci pubblicamente. I suoi ragionamenti sottili possono confondere i meno scaltri, ed è necessario imporre la nostra autorità a chi non è competente, per discutere i sacri principi. Oggi stesso ho parlato con alcuni amici sulle misure che dobbiamo adottare. I più tolleranti sostengono l’innocuità dei galilei, pacifici e caritatevoli, ma io sono del parere che una singola pecora cattiva può portare alla perdita del gregge».
54. «Sono d’accordo con te nella difesa delle nostre credenze…» – disse la fanciulla soddisfatta – «…non dobbiamo abbandonare la nostra fede in balia di singole e incompetenti interpretazioni». – Dopo una pausa: «Oh, se Jeziel fosse qui con noi, sarebbe il tuo braccio forte nell’esposizione delle conoscenze sacre. Certamente, sarebbe stato felice di difendere il Testamento contro qualsiasi espressione meno ragionevole e degna».
55. «Combatteremo il nemico che minaccia l’autenticità della rivelazione divina…» – disse Saul – «…e non darò spazio agli innovatori incolti e cavillosi».
56. «Questi uomini sono tanti?» – chiese Abigail con apprensione.
57. «Sì, e questo li rende più pericolosi, giacché mascherano le intenzioni con atti pietosi, esaltando l’immaginazione versatile del popolo con presunti poteri misteriosi, naturalmente alimentati a spese di stregonerie e sortilegi».
58. «In ogni caso…» – disse la giovane dopo qualche momento di riflessione – «…si dovrebbe procedere con serenità e prudenza, per evitare gli abusi di autorità. Chissà se non siano creature più bisognose di educazione, che di castigo».
59. «Sì, ho pensato a tutto questo. Perciò non ho l’intenzione di disturbare i galilei sempliciotti e senza pretese che si circondano a Gerusalemme di invalidi e malati, dandoci l’impressione di pazzi tranquilli. Tuttavia, non posso non reprimere l’oratore, le cui labbra, a mio avviso, distillano potenti veleni nello spirito delle masse volubili senza la perfetta conoscenza dei principi accettati. Ai primi bisogna chiarire, ma il secondo deve essere eliminato, perché non conosciamo gli scopi, forse, criminosi e rivoluzionari».
60. «Non posso ribattere alle tue conclusioni» – disse la giovane accondiscendente.
61. Poi, come al solito, parlarono dei sentimenti sacri del cuore, e si notava come il giovane di Tarso incontrava singolare fascino e benefico balsamo dalle osservazioni dell’amata e affettuosa compagna. Passati alcuni giorni, si presero a Gerusalemme i provvedimenti affinché Stefano fosse portato davanti al Sinedrio e interrogato sullo scopo della predicazione del “Cammino”».
62. Data l’intercessione conciliante di Gamaliel, il tutto sarebbe culminato in una discussione in cui il predicatore delle nuove interpretazioni avrebbe definito davanti al più alto tribunale della stirpe i suoi punti di vista, in modo che i sacerdoti, come giudici e difensori della Legge, esponessero la verità nei dovuti termini. L’invito arrivò all’umile Chiesa, ma Stefano schivò, sostenendo che non sarebbe stato ragionevole disputare, in obbedienza ai precetti del Maestro, nonostante le suppliche del figlio di Alfeo, il quale era intimidito dalla prospettiva di una lotta con le autorità illustri, sembrandogli che la rinuncia avrebbe scioccato l’opinione pubblica. Saul, a sua volta, non poteva costringere l’antagonista a raccogliere la sfida, anche perché solo il Sinedrio poteva impiegare mezzi coercitivi nel caso di una denuncia pubblica dopo l’istituzione di un processo nel caso in cui l’imputato fosse stato riconosciuto come blasfemo o calunniatore.
63. Di fronte alla reiterata scusa di Stefano, il dottore di Tarso s’indignò. E dopo aver inasprito i compagni contro l’avversario, architettò un grande piano per costringerlo alla desiderata polemica, con la quale avrebbe cercato di umiliarlo davanti a tutti i più grandi capi del giudaismo dominante.
64. Dopo una delle sessioni comuni del Tribunale, Saul chiamò uno dei servitori amici e parlò a bassa voce: «Neemias, la nostra causa ha bisogno di un collaboratore deciso, e mi sono ricordato di te per la difesa dei nostri sacri principi ».
65. «Di che si tratta?» – chiese l’altro con un sorriso enigmatico. – «Comandate, ed io sono pronto a obbedire!»
66. «Hai mai sentito parlare di un falso taumaturgo di nome Stefano?»
67. «Uno di quei detestabili uomini del “Cammino”? L’ho visto parlare di persona, ed ho riconosciuto nelle sue idee, quelle di un vero e proprio allucinato».
68. «Sono contento che tu lo conosca da vicino» – disse il giovane dottore, soddisfatto. – «Ho bisogno di qualcuno che lo denunci come blasfemo di fronte alla Legge, e mi sono ricordato di te per collaborare in questo senso».
69. «Tutto qui?» – chiese astutamente. – «È cosa facile e gradevole. Eppoi, non gli ho forse già sentito dire che il Falegname crocifisso è il fondamento della Verità divina? Questo è più che bestemmia! È un rivoluzionario pericoloso, deve essere punito come calunniatore di Mosè».
70. «Molto bene!» – esclamò Saul in un ampio sorriso. – «Conto su di te».
*
71. Il giorno seguente, Neemias comparì al Sinedrio e denunciò il generoso predicatore del Vangelo come blasfemo e calunniatore, aggiungendo osservazioni criminali per proprio conto. Nell’atto d’accusa, Stefano appariva come stregone volgare, maestro di precetti sovversivi, in nome di un falso Messia che Gerusalemme aveva crocifisso anni prima, sotto identiche accuse. Neemias si spacciava come vittima di una pericolosa setta che aveva disturbato la sua famiglia, e affermava di essere stato testimone di bassi sortilegi praticati da lui, a scapito di altri.
72. Saul di Tarso prese nota dei minimi particolari, accentuando i dettagli compromettenti. La notizia esplose nella Chiesa del “Cammino”, producendo effetti singolari e dolorosi.
73. I meno risoluti, con Giacomo in testa, si lasciarono trasportare da considerazioni di ogni sorta, timorosi di ritrovarsi perseguitati; ma Stefano, con Simon Pietro e Giovanni, rimasero assolutamente sereni, rispondendo con buon animo e coraggiosamente all’ordine d’accusa.
74. Pieno di speranza, Stefano pregava Gesù che non lo dimenticasse, in modo da poter testimoniare la ricchezza della sua fede evangelica. E aspettò l’occasione con fede e gioia.
[indice]
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Davanti al Sinedrio, la testimonianza di fede di Stefano
(Atti 6,8-14): [8]Stefano intanto, pieno di grazia e di fortezza, faceva grandi prodigi e miracoli tra il popolo. [9]Sorsero allora alcuni della sinagoga detta dei «liberti» comprendente anche i Cirenei, gli Alessandrini e altri della Cilicia e dell'Asia, a disputare con Stefano, [10]ma non riuscivano a resistere alla sapienza ispirata con cui egli parlava. [11]Perciò sobillarono alcuni che dissero: «Lo abbiamo udito pronunziare espressioni blasfeme contro Mosè e contro Dio». [12]E così sollevarono il popolo, gli anziani e gli scribi, gli piombarono addosso, lo catturarono e lo trascinarono davanti al sinedrio. [13]Presentarono quindi dei falsi testimoni, che dissero: «Costui non cessa di proferire parole contro questo luogo sacro e contro la legge. [14]Lo abbiamo udito dichiarare che Gesù il Nazareno distruggerà questo luogo e sovvertirà i costumi tramandatici da Mosè».
1. Nel giorno stabilito, la grande sala del più alto sodalizio israelita era piena di veri credenti e curiosi, desiderosi di vedere il primo scontro tra i sacerdoti e gli uomini pietosi e originali del “Cammino”. L’assemblea raccoglieva i più aristocratici e colti di Gerusalemme. I mendicanti, invece, non avevano accesso, anche se si trattava di un atto pubblico.
2. Il Sinedrio esibiva i suoi personaggi più illustri. Assieme ai sacerdoti e ai maestri di Israele si notava la presenza di alcune personalità di rilievo del fariseismo. C’erano i rappresentanti di tutte le sinagoghe. Comprendendo l’acutezza intellettuale di Stefano, Saul voleva confrontarsi con l’umile Chiesa dei seguaci del Falegname di Nazareth nello scenario dove dominava il suo talento. In fondo, il suo scopo era una superba dimostrazione di superiorità, accarezzando, allo stesso tempo, l’intima speranza di conquistarlo per la causa del giudaismo. Preparò la riunione con tutti i requisiti, in modo da impressionargli i sentimenti.
3. Stefano compariva come uomo chiamato a difendersi dalle accuse a lui imputate, non come prigioniero comune obbligato a fare i conti con la giustizia. Esaminando, quindi, la situazione, chiese insistentemente agli apostoli galilei di non accompagnarlo, considerando non solo la necessità di restare con i sofferenti, ma anche la possibilità dell’insorgenza di gravi attriti data la presenza degli addetti del “Cammino” e la fermezza d’animo con cui avrebbe cercato di salvaguardare la purezza e la libertà del Vangelo di Cristo. Inoltre, le risorse di cui avrebbero potuto disporre, erano troppo semplici e non sarebbe stato giusto affrontare con lui il potere supremo dei sacerdoti, i quali avevano trovato le risorse per crocifiggere perfino il Messia stesso. A favore del “Cammino” c’erano proprio quei malati sventurati, le convinzioni pure dei più umili, la gratitudine degli infelici, unica forza potente per il suo contenuto di virtù divina, per sostenere la loro causa davanti alle dominanti autorità del mondo. Così, riflettendo, disputò la gioia di assumere, da solo, la responsabilità delle sue azioni, senza compromettere alcun compagno, così come aveva fatto un giorno Gesù nel Suo sublime apostolato.
4. Se necessario, non avrebbe disdegnato la possibilità dell’ultimo sacrificio, nella sacra testimonianza d’amore al Suo cuore eccelso e misericordioso. Soffrire per Lui, sarebbe stato soave e dolce. La sua tesi vinse il desiderio dei suoi compagni più forti. Così, senza il supporto di alcun amico, comparì dinanzi al Sinedrio, impressionandosi nell’osservare la sua grandezza e sontuosità. Avvezzo ai quadri tristi e poveri dei sobborghi dove si rifugiavano gli sfortunati di tutte le specie, rimase abbagliato dalla ricchezza del Tempio, dagli aspetti superbi delle torri dei romani, dagli edifici residenziali in stile greco e dall’aspetto esteriore delle sinagoghe che erano sparse in gran numero ovunque.
5. Comprendendo l’importanza di quella udienza a cui accorrevano gli elementi d’élite, che si identificavano con la tesi di Saul, al momento, l’espressione della gioventù più dinamica del giudaismo, il Sinedrio chiese il concorso dell’autorità romana per mantenere l’assoluto ordine. La Corte Provinciale non badò a spese. I propri patrizi residenti a Gerusalemme comparirono, numerosi, al grande fatto del giorno, considerando che si trattava del primo processo intorno alle idee insegnate dal Profeta nazareno dopo la Sua crocifissione, il che aveva lasciato molta perplessità e tanti dubbi nello spirito del popolo.
6. Quando la grande sala rigurgitò di persone di alto rango sociale, Stefano si sedette al posto a lui designato, guidato da un ministro del Tempio, rimanendo sotto la custodia dei soldati che lo fissavano ironicamente.
7. La seduta cominciò con tutte le cerimonie regolamentari. Nell’iniziare i lavori, il sommo sacerdote annunziò la scelta di Saul, secondo il suo desiderio, di interpellare l’imputato e accertare la portata della sua colpa nello svilimento dei principi sacri della stirpe. Ricevendo l’invito di agire come giudice nel caso, il giovane di Tarso sorrise trionfante. Con un gesto imperioso, ordinò all’umile predicatore del “Cammino” di avvicinarsi al centro della sontuosa sala, dove Stefano si diresse serenamente, accompagnato da due guardie dal volto severo.
8. Il giovane di Corinto osservò l’ambiente che lo circondava, considerando il contrasto con l’una e altra assemblea, ricordò l’ultima riunione della sua povera Chiesa dove era stato costretto a conoscere il capriccioso antagonista. Non sarebbero loro le “pecorelle smarrite” della casa d’Israele, a cui Gesù alludeva nel Suo vigoroso insegnamento? Anche se l’ebraismo non aveva accettato la missione del Vangelo, come conciliare le sacre osservazioni dei profeti e il loro esempio di virtù, con l’avarizia e la dissolutezza? Proprio Mosè fu schiavo e, per la dedizione al suo popolo, subì numerose difficoltà in tutti i giorni della sua esistenza dedicata all’Onnipotente. Giobbe aveva patito miserie inconcepibili e dato testimonianza di fede con le sofferenze più amare. Geremia pianse incompreso. Amos sperimentò il fiele dell’ingratitudine. Come avrebbero potuto gli israeliti armonizzare l’egoismo con la sapienza amorevole dei Salmi di Davide? C’era da stupirsi che dei dottori così zelanti della Legge, si lasciassero andare a interessi meschini, quando Gerusalemme era piena di famiglie, sorelle di stirpe, in completo abbandono? Come collaboratore in una modesta comunità, conosceva da vicino i bisogni e le sofferenze del popolo. Con questi ragionamenti sentiva adesso che il Maestro di Nazareth si elevava molto di più, ai suoi occhi, distribuendo tra gli afflitti le speranze più pure e le più consolanti verità spirituali. Ancora non si era ripreso dallo stupore con cui stava esaminando le splendenti tuniche e gli ornamenti d’oro che splendevano nel Sinedrio, quando la voce di Saul, chiara e vibrante, lo chiamò alla realtà della situazione.
9. Dopo aver letto la parte accusatoria in cui Neemias appariva come principale testimone e che fu ascoltato con la massima attenzione, Saul interrogò Stefano tra il duro e l’altezzoso: «Come vedi, sei accusato di blasfemia, calunnia e stregoneria davanti alle autorità più rappresentative. Tuttavia, prima di qualsiasi decisione, il Tribunale vuol sapere la tua origine per determinare i diritti che ti spettano. Sei forse di famiglia israelita?»
10. L’interrogato divenne pallido, considerando le difficoltà di una piena identificazione, nel caso fosse indispensabile, ma rispose con fermezza: «Appartengo ai figli della tribù di Issacar[21]».
11. Il dottore della Legge fu lievemente sorpreso, senza farsi notare dall’assemblea, e continuò: «Come israelita, hai diritto di replicare liberamente alle mie domande; tuttavia è necessario chiarire che questa condizione non ti servirà ad alleviare la pesante punizione, nel caso perseverai nell’esposizione degli errori grossolani di una dottrina rivoluzionaria, il cui fondatore è stato condannato alla croce infamante dalle autorità di questo Tribunale, dove ci sono i figli più venerabili delle tribù di Dio. Accettando, per ipotesi, la tua origine, se ti ricordi ti ho invitato a discutere lealmente con me nel nostro primo incontro durante l’assemblea degli uomini del “Cammino”.
12. Ho chiuso gli occhi ai quadri di miseria che mi circondavano, per analizzare solo le tue doti di intelligenza; ma mostrando strane esaltazioni di spirito, forse a causa di stregonerie, le cui influenze sono lì visibili, hai mantenuto in modo singolare la tua opinione riservata, nonostante le mie ripetute richieste di chiarimento. Il tuo atteggiamento inspiegabile ha autorizzato il Sinedrio a considerare questa denuncia e associare il tuo nome come nemico delle nostre Leggi. Ora sarai obbligato a rispondere a tutte le interpellanze convenute e necessarie, e spero riconoscerai che il titolo di israelita non ti libererà dalle punizioni riservate ai traditori della nostra causa».
13. Dopo un breve intervallo in cui il giudice e l’accusato poterono verificare l’ansiosa aspettativa dell’assemblea, Saul cominciò l’interrogatorio: «Perché rifiutasti il mio invito alla discussione, dopo la tua predica, quando ho onorato la Chiesa del “Cammino” con la mia presenza?»
14. Stefano, che aveva gli occhi splendenti, come ispirato da una forza divina, rispose con voce ferma, senza rivelare l’emozione che intimamente lo dominava: «Il Cristo che servo, raccomanda ai suoi discepoli di evitare, in qualsiasi momento, la fermentazione delle discordie. Per quanto riguarda il fatto che voi avete onorato la mia umile parola con la vostra presenza, ringrazio la prova di immeritato interesse, ma sono d’accordo con Davide[22], che la nostra anima si glorifica nel Signore, giacché niente possediamo di buono in noi stessi, se Dio non ci protegge con la grandezza della Sua gloria».
15. Data la sottile lezione che gli fu gettata in faccia, Saul di Tarso si morse le labbra, tra il collerico e l’indisponente, evitando d’ora in poi qualsiasi allusione personale, per non cadere in una situazione simile, continuò: «Sei accusato di blasfemia, calunnia e stregoneria».
16. «Posso chiedere in che senso?» – rispose l’interrogato con audacia.
17. «Blasfemo quando considerasti il Falegname di Nazareth come Salvatore; calunniatore quando hai messo in ridicolo la Legge di Mosè, rinnegando i principi sacri che reggono i destini. Confermi tutto questo? Sei d’accordo con queste accuse?»
18. Stefano rispose senza esitazione: «Conservo la mia convinzione che il Cristo è il Salvatore promesso dall’Eterno, attraverso gli insegnamenti dei profeti d’Israele, i quali hanno sofferto e pianto durante lunghi secoli per trasmetterci le gioie dell’amabile Promessa. Per quanto riguarda la seconda parte, suppongo che l’accusa provenga dall’interpretazione erronea attorno alle mie parole. Non ho mai smesso di onorare la Legge e le Sacre Scritture, ma credo che il Vangelo di Gesù sia il Suo divino complemento. Le prime sono il lavoro degli uomini, il secondo il salario di Dio ai lavoratori fedeli».
19. «Così sei del parere…» – continuò Saul senza dissimulare l’irritazione davanti a tanta fermezza – «…che il Falegname sia superiore al grande legislatore?»
20. «Mosè è la giustizia per rivelazione, ma il Cristo è l’amore vivente e permanente!»
21. A questa risposta dell’imputato, ci fu una profusione di emozioni nella grande assemblea. Alcuni farisei infuriati gridavano insulti. Saul, invece, fece un segno imperativo e il silenzio tornò a permettere l’interrogatorio. E dando alla voce un timbro di severità, continuò:
22. «Sei israelita e ancora giovane. Un’intelligenza apprezzabile è al servizio dei tuoi sforzi. Abbiamo quindi il dovere, prima di qualsiasi punizione, di lavorare per il tuo ritorno alla ragione. È essenziale chiamare il fratello disertore con affetto prima dell’estremo ricorso alle armi. La Legge di Mosè potrebbe conferirti una situazione di grande rilievo, ma che vantaggio otterresti dalla parola insignificante e inespressiva dell’Operaio ignorante di Nazareth, il Quale fece sogni di gloria per poi pagare le speranze folli su una croce per ignominia?»
23. «Disprezzo il valore puramente convenzionale che la Legge mi potrebbe offrire in cambio di un sostegno alla politica del mondo, che si trasforma ogni giorno, considerando che la nostra sicurezza risiede nella coscienza illuminata con Dio e per Dio» – rispose Stefano.
24. «Ma cosa ti aspetti dal Mistificatore che lanciò la confusione tra di noi, per poi morire sul Calvario?» – disse Saul esaltato.
25. «Il discepolo del Cristo deve sapere chi serve, ed io ho l’onore di essere un umile strumento nelle Sue mani».
26. «Non abbiamo bisogno di un innovatore per la vita di Israele».
27. «Un giorno capirete che, per Dio, Israele significa l’intera Umanità».
28. Davanti a questa ardita risposta, quasi tutta l’assemblea s’infuriò, mostrando aperta ostilità all’accusato di Neemias. Abituati a un regionalismo intransigente, gli israeliti non tolleravano l’idea di socializzazione con popoli che consideravano barbari e pagani. Mentre i più esaltati davano espansione alle proteste impetuose, i romani guardavano la scena, curiosi e interessati, come partecipassero ad una cerimonia festiva.
29. Dopo una lunga pausa, il futuro rabbino continuò: «Confermi l’accusa di blasfemia, enunciando lo stesso principio contro la situazione del popolo eletto. Questa è la tua prima condanna».
30. «Ciò non mi spaventa» – disse l’imputato, risoluto. – «Alle illusioni orgogliose che ci condurrebbero negli abissi tenebrosi, preferisco credere, con il Cristo, che tutti gli uomini sono figli di Dio, meritando l’affetto del Padre».
31. Saul si morse le labbra con irritazione e, accentuando il suo atteggiamento rigoroso di giudice, proseguì con durezza.
32. «Calunni Mosè proferendo tali parole. Aspetto la tua conferma».
33. L’interpellato, questa volta, gli rivolse uno sguardo significativo e disse: «Perché sei in attesa della mia conferma, se ubbidisci ad un criterio arbitrario? Il Vangelo disconosce le complicazioni della casistica. Non disprezzo Mosè, ma non riesco a non proclamare la superiorità di Gesù Cristo. Potrai approvare sentenze e proferire anatemi contro di me; tuttavia, è necessario che qualcuno collabori con il Salvatore nel ripristino della verità sopra ogni cosa, al costo delle più dolorose conseguenze. Sono qui per farlo e saprò pagare, per il Maestro, il prezzo della più pura fedeltà».
34. Dopo aver fermato il trambusto sordo dell’assemblea, Saul tornò a dire: «Il Tribunale ti riconosce come calunniatore, passibile delle punizioni relative a questo titolo odioso».
35. E non appena furono registrate le nuove dichiarazioni dallo scriba che annotava i termini dell’interrogatorio, disse senza mascherare la rabbia che lo dominava: «È essenziale non dimenticare che sei accusato di stregoneria. Cosa rispondi a questa accusa?»
36. «Di cosa sono accusato in questo caso particolare?» – chiese il predicatore del “Cammino” con garbo.
37. «Io stesso ti ho visto curare una giovane muta, nel giorno di sabato, e ignoro la natura dei sortilegi che usasti per farlo».
38. «Non sono stato io a compiere questo atto d’amore, come, del resto, mi hai sentito affermare; è stato il Cristo, attraverso la mia miseria che niente ha di buono».
39. «Pensi di assolvere te stesso con questa affermazione ingenua?» – obiettò Saul ironicamente. – «La presunta umiltà non ti esime dalla colpa. Ho assistito al fatto, e solo la stregoneria potrebbe spiegare i tuoi precedenti sconosciuti».
40. Lungi dall’essere disturbato, l’imputato rispose ispirato: «Eppure, il giudaismo è pieno di questi fatti che giudichi di non capire. In virtù di quali sortilegi riuscì Mosè a far sorgere da una roccia la fonte d’acqua viva? Con che stregoneria il popolo eletto ha visto aprire le acque agitate del mare per la necessaria fuga dalla prigionia? Con quale talismano Giosuè ritardò il corso del Sole? Non vedi in tutto questo le risorse della divina Provvidenza? Di nostro non abbiamo niente, e tuttavia, nel compimento del nostro dovere, tutto dovremmo aspettarci dalla divina Misericordia».
41. Analizzando la risposta concisa, che rivelava un ragionamento logico e incontestabile, il dottore di Tarso digrignò i denti. Con una rapida occhiata all’assemblea capì che l’antagonista contava sulla simpatia e l’ammirazione di molti. Arrivò a sconcertarsi intimamente. Come recuperare la calma, dato il temperamento impulsivo che lo portava alla collera? Esaminando le ultime parole di Stefano, sentiva difficoltà nel coordinare un’arringa decisiva. Senza essere in grado di rivelare il proprio disappunto, non riuscendo a trovare la risposta giusta, considerò l’urgenza di una via d’uscita, e si presentò al sommo sacerdote in questi termini:
42. «L’imputato, con le sue parole, conferma la denuncia di cui era oggetto. Ha appena confessato pubblicamente che è blasfemo, calunniatore e stregone. Tuttavia, a causa della sua condizione di nascita, ha il diritto all’ultima difesa, indipendentemente dalle mie interpretazioni di giudice. Propongo, quindi, all’autorità competente di concedergli questa risorsa».
43. Un gran numero di sacerdoti e di personalità eminenti si scambiarono occhiate quasi di stupore, come a gustare la prima sconfitta dell’orgoglioso dottore della Legge, la cui parola vibrante aveva sempre trionfato su ogni avversario, fissandogli il viso rosso di rabbia, denunciando la tempesta che gli ruggiva nel cuore.
44. Accettata la proposta fatta dal giudice della causa, Stefano cominciò a utilizzare il diritto dato dalla sua nascita.
45. Alzandosi, osservò con nobiltà le facce irrequiete che lo cercavano da tutte le parti. Intuì che la maggioranza dei presenti vedevano nella sua figura un pericoloso nemico delle tradizioni della stirpe, tali erano le espressioni di ostilità; ma notò anche che alcuni israeliti lo guardavano con simpatia e comprensione. Avvalendosi di questo sostegno, sentì consolidarsi il buon animo, al fine di illustrare con maggiore serenità i sacri insegnamenti del Vangelo. Ricordò, istintivamente, la promessa di Gesù ai suoi seguaci, cioè che sarebbe stato sempre presente nel momento in cui si dovesse dare testimonianza della parola, assicurando di non tremare davanti alle provocazioni incoscienti del mondo. Si sentiva convinto più che mai che il Maestro sarebbe stato lì ad assisterlo nell’esposizione della Dottrina dell’amore.
*
(Atti 7,1-57): [1]Gli disse allora il sommo sacerdote: «Queste cose stanno proprio così?». [2]Ed egli rispose: «Fratelli e padri, ascoltate: il Dio della gloria apparve al nostro padre Abramo quando era ancora in Mesopotamia, prima che egli si stabilisse in Carran, [3]e gli disse: Esci dalla tua terra e dalla tua gente e và nella terra che io ti indicherò. [4]Allora, uscito dalla terra dei Caldei, si stabilì in Carran; di là, dopo la morte del padre, Dio lo fece emigrare in questo paese dove voi ora abitate, [5]ma non gli diede alcuna proprietà in esso, neppure quanto l'orma di un piede, ma gli promise di darlo in possesso a lui e alla sua discendenza dopo di lui, sebbene non avesse ancora figli. [6]Poi Dio parlò così: La discendenza di Abramo sarà pellegrina in terra straniera, tenuta in schiavitù e oppressione per quattrocento anni. [7]Ma del popolo di cui saranno schiavi io farò giustizia, disse Dio: dopo potranno uscire e mi adoreranno in questo luogo. [8]E gli diede l'alleanza della circoncisione. E così Abramo generò Isacco e lo circoncise l'ottavo giorno e Isacco generò Giacobbe e Giacobbe i dodici patriarchi. [9]Ma i patriarchi, gelosi di Giuseppe, lo vendettero schiavo in Egitto. Dio però era con lui [10]e lo liberò da tutte le sue afflizioni e gli diede grazia e saggezza davanti al faraone re d'Egitto, il quale lo nominò amministratore dell'Egitto e di tutta la sua casa. [11]Venne una carestia su tutto l'Egitto e in Canaan e una grande miseria, e i nostri padri non trovavano da mangiare. [12]Avendo udito Giacobbe che in Egitto c'era del grano, vi inviò i nostri padri una prima volta; [13]la seconda volta Giuseppe si fece riconoscere dai suoi fratelli e fu nota al faraone la sua origine. [14]Giuseppe allora mandò a chiamare Giacobbe suo padre e tutta la sua parentela, settantacinque persone in tutto. [15]E Giacobbe si recò in Egitto, e qui egli morì come anche i nostri padri; [16]essi furono poi trasportati in Sichem e posti nel sepolcro che Abramo aveva acquistato e pagato in denaro dai figli di Emor, a Sichem. [17]Mentre si avvicinava il tempo della promessa fatta da Dio ad Abramo, il popolo crebbe e si moltiplicò in Egitto, [18]finché salì al trono d'Egitto un altro re, che non conosceva Giuseppe. [19]Questi, adoperando l'astuzia contro la nostra gente, perseguitò i nostri padri fino a costringerli a esporre i loro figli, perché non sopravvivessero. [20]In quel tempo nacque Mosè e piacque a Dio; egli fu allevato per tre mesi nella casa paterna, poi, [21]essendo stato esposto, lo raccolse la figlia del faraone e lo allevò come figlio. [22]Così Mosè venne istruito in tutta la sapienza degli Egiziani ed era potente nelle parole e nelle opere. [23]Quando stava per compiere i quarant'anni, gli venne l'idea di far visita ai suoi fratelli, i figli di Israele, [24]e vedendone uno trattato ingiustamente, ne prese le difese e vendicò l'oppresso, uccidendo l'Egiziano. [25]Egli pensava che i suoi connazionali avrebbero capito che Dio dava loro salvezza per mezzo suo, ma essi non compresero. [26]Il giorno dopo si presentò in mezzo a loro mentre stavano litigando e si adoperò per metterli d'accordo, dicendo: Siete fratelli; perché vi insultate l'un l'altro? [27]Ma quello che maltrattava il vicino lo respinse, dicendo: Chi ti ha nominato capo e giudice sopra di noi? [28]Vuoi forse uccidermi, come hai ucciso ieri l'Egiziano? [29]Fuggì via Mosè a queste parole, e andò ad abitare nella terra di Madian, dove ebbe due figli. [30]Passati quarant'anni, gli apparve nel deserto del monte Sinai un angelo, in mezzo alla fiamma di un roveto ardente. [31]Mosè rimase stupito di questa visione; e mentre si avvicinava per veder meglio, si udì la voce del Signore: [32]Io sono il Dio dei tuoi padri, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Esterrefatto, Mosè non osava guardare. [33]Allora il Signore gli disse: Togliti dai piedi i calzari, perché il luogo in cui stai è terra santa. [34]Ho visto l'afflizione del mio popolo in Egitto, ho udito il loro gemito e sono sceso a liberarli; ed ora vieni, che ti mando in Egitto. [35]Questo Mosè che avevano rinnegato dicendo: Chi ti ha nominato capo e giudice?, proprio lui Dio aveva mandato per esser capo e liberatore, parlando per mezzo dell'angelo che gli era apparso nel roveto. [36]Egli li fece uscire, compiendo miracoli e prodigi nella terra d'Egitto, nel Mare Rosso, e nel deserto per quarant'anni. [37]Egli è quel Mosè che disse ai figli d'Israele: Dio vi farà sorgere un profeta tra i vostri fratelli, al pari di me. [38]Egli è colui che, mentre erano radunati nel deserto, fu mediatore tra l'angelo che gli parlava sul monte Sinai e i nostri padri; egli ricevette parole di vita da trasmettere a noi. [39]Ma i nostri padri non vollero dargli ascolto, lo respinsero e si volsero in cuor loro verso l'Egitto, [40]dicendo ad Aronne: Fà per noi una divinità che ci vada innanzi, perché a questo Mosè che ci condusse fuori dall'Egitto non sappiamo che cosa sia accaduto. [41]E in quei giorni fabbricarono un vitello e offrirono sacrifici all'idolo e si rallegrarono per l'opera delle loro mani. [42]Ma Dio si ritrasse da loro e li abbandonò al culto dell'esercito del cielo, come è scritto nel libro dei Profeti: [43]Mi avete forse offerto vittime e sacrifici per quarant'anni nel deserto, o casa d'Israele? Avete preso con voi la tenda di Mòloch, e la stella del dio Refàn, simulacri che vi siete fabbricati per adorarli! Perciò vi deporterò al di là di Babilonia. [44]I nostri padri avevano nel deserto la tenda della testimonianza, come aveva ordinato colui che disse a Mosè di costruirla secondo il modello che aveva visto. [45]E dopo averla ricevuta, i nostri padri con Giosuè se la portarono con sé nella conquista dei popoli che Dio scacciò davanti a loro, fino ai tempi di Davide. [46]Questi trovò grazia innanzi a Dio e domandò di poter trovare una dimora per il Dio di Giacobbe; [47]Salomone poi gli edificò una casa. [48]Ma l'Altissimo non abita in costruzioni fatte da mano d'uomo, come dice il Profeta: [49]Il cielo è il mio trono e la terra sgabello per i miei piedi. Quale casa potrete edificarmi, dice il Signore, o quale sarà il luogo del mio riposo? [50]Non forse la mia mano ha creato tutte queste cose? [51]O gente testarda e pagana nel cuore e nelle orecchie, voi sempre opponete resistenza allo Spirito Santo; come i vostri padri, così anche voi. [52]Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete divenuti traditori e uccisori; [53]voi che avete ricevuto la legge per mano degli angeli e non l'avete osservata». [54]All'udire queste cose, fremevano in cuor loro e digrignavano i denti contro di lui. [55]Ma Stefano, pieno di Spirito Santo, fissando gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla sua destra [56]e disse: «Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell'uomo che sta alla destra di Dio». [57]Proruppero allora in grida altissime turandosi gli orecchi; poi si scagliarono tutti insieme contro di lui,
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46. Dopo un minuto di ansiosa attesa, Stefano cominciò a parlare in modo sconvolgente:
47. «Israeliti! Per quanto grandi possano essere le nostre divergenze di opinioni religiose, non potremo alterare i nostri legami di fratellanza in Dio, il Supremo dispensatore di tutte le grazie. È a questo Padre, generoso e giusto, che elevo la mia supplica in favore della nostra comprensione fedele alle verità sante. Una volta i nostri antenati udirono le esortazioni grandi e profonde degli emissari del Cielo. Per organizzare un futuro di pace solida per i loro discendenti, i nostri antenati hanno sofferto miserie e difficoltà nella prigionia. Il loro pane era imbevuto di lacrime di dolore e la loro sete tormentava. Tutte le speranze di indipendenza frustrate, infinite persecuzioni distruggevano le case e aggravavano le sofferenze nelle lotte del cammino. Davanti ai loro martirii, camminavano dignitosi i santi uomini d’Israele, come gloriosa corona del proprio trionfo. Li alimentò la Parola dell’Eterno attraverso tutte le vicissitudini. Le loro esperienze costituiscono potenti e sacri patrimoni. Da queste abbiamo la Legge e gli scritti dei profeti. Tuttavia non possiamo illudere la nostra sete. La nostra concezione della giustizia è il frutto di un lavoro millenario, in cui abbiamo impiegato le più grandi energie, ma sentiamo, per intuizione, che c’è qualcosa di più alto, al di là della stessa Legge. Abbiamo il carcere per i traviati, la valle degli immondi per coloro che si ammalano senza la protezione della famiglia, la lapidazione nella pubblica piazza per la donna che vacilla, la schiavitù per i debitori, le trentanove frustate per i più sfortunati. Basterà tutto questo? Le lezioni del passato non sono piene della parola “misericordia”? Qualcosa alla coscienza ci parla di una vita superiore che ispira sentimenti più elevati e più belli. Enorme fu il lavoro nel corso dei lunghi secoli, ma il Dio giusto rispose alle suppliche angosciose dei nostri cuori inviandoci il suo amato Figlio: – il Cristo Gesù! ...»
48. L’assemblea ascoltava con grande stupore. Tuttavia, quando l’oratore mise in risalto più forte i riferimenti sul Messia di Nazareth, i farisei presenti, facendo causa comune con il giovane di Tarso, proruppero in proteste, gridando selvaggiamente: «Anatema![23] Anatema! ... Punizione per il traditore!»
49. Stefano accolse con calma la condanna tempestosa e, non appena l’ordine fu ristabilito, continuò con fermezza: «Perché mi osteggiate in questo modo? Ogni precipitazione di giudizio è segno di debolezza. Prima ho rinunciato alla discussione considerando che dovevo rimuovere tutti i fermenti di discordia; ma ogni giorno il Cristo ci chiama per un lavoro nuovo e, certamente, il Maestro mi chiama oggi per parlare con voi delle Sue potenti verità. Desiderate espormi al ridicolo e alla derisione? Questo, tuttavia, dovrebbe consolarmi, perché Gesù ha sperimentato questo trattamento in modo egregio. Nonostante la vostra repulsione, mi onoro di proclamare le glorie insuperabili del Profeta nazareno, la Cui grandezza è venuta incontro alle nostre rovine morali, portandoci a Dio con il suo Vangelo di redenzione».
50. Una nuova pioggia di ingiurie gli impedirono la parola. Espressioni provocanti e rimproveri rozzi furono gettati a caso da tutti i lati. Stefano non si perse d’animo. Girandosi, sereno, fissò nobilmente i presenti, intuendo che i più esaltati erano i farisei, colpiti dalle nuove verità.
51. Sperando che tornasse la calma, parlò nuovamente: «Amici farisei, perché insistete a non capire? Per caso, temete la realtà delle mie affermazioni? Se le vostre proteste sono a causa di questa paura, lasciatemi continuare. Ricordate che mi riferisco ai nostri errori del passato, e chiunque si associa nella colpa dà testimonianza dell’amore nel capitolo delle riparazioni. Nonostante le nostre debolezze, Dio ci ama e, riconoscendo me stesso nell’indigenza, non sarei riuscito a parlarvi se non come fratello. Tuttavia, se esprimete delusione e collera, ricordate che non si può sfuggire alla realtà della nostra profonda insignificanza. Per caso, non avete letto le lezioni di Isaia?
52. È importante considerare l’esortazione[24], secondo la quale non ne potremo uscire in fretta, nemmeno ingannando noi stessi, né fuggendo ai nostri doveri, perché il Signore cammina davanti, e il Dio d’Israele sarà la nostra retroguardia. Ascoltatemi! Dio è il Padre, Cristo è il Signore nostro.
53. Parlate molto della Legge di Mosè e dei profeti; sareste in grado di affermare con la mano sulla coscienza la piena osservanza dei suoi gloriosi insegnamenti? E oggi, voi ciechi, non vi negate alla comprensione del messaggio divino? Colui che voi chiamate ironicamente il Falegname di Nazareth, fu amico di tutti gli infelici. La Sua predicazione non era limitata ai soli principi filosofici, anzi, il suo esempio rinnovò le nostre abitudini, migliorò le idee più elevate, con il marchio dell’Amore divino. Le Sue mani nobilitarono il lavoro, medicarono ulcere, guarirono lebbrosi, diedero la vista ai ciechi. Il Suo cuore si divise tra tutti gli uomini in una nuova comprensione dell’amore, portandoci l’esempio più puro.
54. Per caso ignorate che la parola di Dio ha ascoltatori e praticanti? Dovreste consultarvi se non siete stati che solo ascoltatori della Legge, in modo da non falsificare la testimonianza.
55. Gerusalemme non mi sembra il santuario delle tradizioni della fede che, da bambino, ho conosciuto dalle informazioni dei miei genitori. Attualmente dà l’impressione di un grande bazar dove si vendono le cose sacre. Il Tempio è pieno di mercanti. Le sinagoghe rigurgitano di questioni relative agli interessi mondani. Le cellule farisaiche somigliano ad un vespaio di meschini interessi. Il lusso delle vostre tuniche sgomenta. I vostri sprechi spaventano. Non sapete che all’ombra delle vostre mura ci sono infelici che muoiono di fame? Vengo dalla periferia dove si concentra gran parte delle nostre povertà.
56. Lo ripeto: voi parlate di Mosè e dei profeti, ma credete che i nostri venerabili antenati mercanteggiassero con i beni di Dio? Il grande legislatore ha vissuto tra esperienze terribili e dolorose. Geremia ha conosciuto lunghe notti di angosce quando lavorava per l’inviolabilità del nostro patrimonio religioso, tra le depravazioni in Babilonia. Amos era un povero pastore, figlio del lavoro e dell’umiltà. Elia ha subito ogni sorta di persecuzione, costretto a ritirarsi nel deserto, solo con le lacrime come prezzo della sua illuminazione. Esdra fu modello di sacrificio per la pace dei suoi compatrioti. Ezechiele fu condannato a morte per aver proclamato la verità. Daniele soffri le infinite afflizioni della prigionia. Voi parlate dei nostri eroici maestri del passato al solo scopo di giustificare i piaceri egoistici della vita! Dove conservate la fede? Nel conforto ozioso, o nel lavoro produttivo? Nella borsa del mondo, o nel cuore che è il Tempio divino? Voi incentivate la rivolta e volete la pace? Voi usate il prossimo, e parlate di amore verso Dio? Non vi ricordate che l’Eterno non accetta la lode dalle labbra quando il cuore delle creature rimane lontano da lui?»
57. L’assemblea di fronte alla ventata di quella sublime ispirazione, sembrò immobile, incapace di prendere una posizione. Molti israeliti supponevano di vedere in Stefano il risveglio dei primi profeti della stirpe. Invece i farisei, come se avessero rotto la misteriosa forza che li manteneva in un mutismo ipnotico, esplosero in un’assordante pioggia di insulti gesticolando a casaccio, nell’intenzione di affievolire la forte impressione causata dalle eloquenti e calorose parole dell’oratore.
58. «Lapidiamo questo immondo! Uccidiamo il calunniatore! Anatema nel cammino di Satana! ...»
59. In quel momento, Saul si alzò rosso di collera. Non riusciva a mascherare la furia del suo temperamento impulsivo che gli usciva dagli occhi inquieti e sfolgoranti. Si diresse verso l’accusato, dando ad intendere che gli avrebbe tolto la parola, e l’assemblea subito si calmò, anche se continuava il fragore dei commenti a bassa voce. Rendendosi conto che sarebbe stato costretto a zittirsi con la violenza, e di più, dato che i farisei chiedevano la sua morte, Stefano fissò i più ironici ed esaltati esclamando con voce alta e tranquilla:
60. «Il vostro comportamento non mi spaventa. Il Cristo fu sollecito nel raccomandare che non temessimo coloro che possono uccidere solo il corpo».
61. Non poté proseguire. Il giovane di Tarso, con le mani alla cintura, sguardo irato e maniere rudi come se affrontasse un malfattore comune, gli gridò furiosamente all’orecchio: «Basta! Basta! Nemmeno una parola in più! ... Adesso che ti è stata concessa l’ultima risorsa inutilmente, anch’io userò quello che mi permette la mia condizione di nascita, davanti a un fratello traditore».
62. E gli sferrò un pugno in faccia, senza che Stefano tentasse minimamente di reagire. I farisei applaudirono il gesto brutale in deliranti schiamazzi, come se fossero in un giorno di festa. Assecondando la sua furia, Saul lo colpì senza compassione. Senza risorsa di ordine morale e di fronte alla logica del Vangelo, ricorreva alla forza fisica, soddisfacendo l’indole incontenibile.
63. Il predicatore del “Cammino”, sottomesso a tali brutalità, implorò a Gesù la necessaria assistenza per non tradire la testimonianza. Nonostante la riforma radicale che l’influenza del Cristo aveva imposto alle sue concessioni più intime, lui non poteva sfuggire al dolore della dignità ferita. Cercò, in ogni caso, di ricomporre immediatamente le energie interiori, nella comprensione della rinuncia che il Maestro predicò come lezione suprema. Ricordò i sacrifici del padre a Corinto, rivide nell’immaginazione il suo supplizio e morte. Rammentò la prova angosciosa che aveva sofferto e il fatto che, grazie alla conoscenza di Mosè e dei profeti, era riuscito ad affrontare moralmente gli ignoranti della bontà divina, e adesso, con Cristo nel cuore, come non dare testimonianza? Questi pensieri affluivano all’animo tormentato come balsamo di suprema consolazione, ma nonostante la forza d’animo, gli marcava il carattere, si vedeva che lui stava piangendo. Quando Saul di Tarso osservò il pianto mischiato al sangue che usciva dalle ferite che si erano aperte in faccia dai suoi pugni, si contenne saziato nella sua immensa collera. Non poteva comprendere la passività con cui l’aggredito aveva ricevuto i forti pugni dalla sua mano abituata agli esercizi dello sport.
64. La serenità di Stefano lo disorientava ancora di più. Senza dubbio, stava davanti ad un’energia sconosciuta. Abbozzando un sorriso cinico, disse altezzoso: «Non reagisci, codardo? La tua scuola è anche quella degli indegni?»
65. Il predicatore cristiano, anche se aveva gli occhi bagnati, rispose con fermezza: «La pace differisce dalla violenza, tanto quanto la forza del Cristo diverge dalla vostra».
66. Riconoscendo l’immensa superiorità dei concetti e dei pensieri, il dottore della Legge non riusciva a nascondere lo spregio e la furia che gli trasparivano dagli occhi fiammeggianti. Sembrava al limite dell’irritazione, quasi trasbordando nell’imprudenza. Si potrebbe dire che era arrivato al massimo della tolleranza e resistenza.
67. Girandosi per osservare l’approvazione dei suoi sostenitori, che erano la maggioranza, si diresse dal sommo sacerdote ed emise una sentenza crudele. Gli tremava la voce, a causa dello sforzo fisico.
68. «Analizzando il pezzo accusatorio…» – disse ansimando – «…e considerati i gravi insulti qui lanciati, come giudice di questa causa chiedo che il reo sia lapidato!»
69. Frenetici applausi assecondarono la sua parola inflessibile. I farisei, così duramente colpiti dalla parola ardente del discepolo del Vangelo, supponevano di vendicare, in questo modo, quella che consideravano un’offesa criminosa alle loro prerogative.
70. L’autorità superiore accolse la richiesta e cercò di sottoporla alla votazione nel ridotto circolo dei colleghi più eminenti.
71. Fu così che Gamaliel, dopo aver parlato a voce bassa con i colleghi di elevata investitura, commentò il carattere risoluto e l’irrefrenabile impulsività dell’ex discepolo, dando loro ad intendere che la disposizione proposta sarebbe stata la morte immediata del predicatore del “Cammino”.
72. Allora si alzò nell’inquieta assemblea e considerò nobilmente: «Avendo diritto di voto in questo Tribunale e non desiderando precipitare la soluzione in un problema di coscienza, propongo che sia studiata più ponderatamente la sentenza richiesta, tenendo l’accusato in custodia carceraria fino a quando non si chiariranno le sue responsabilità davanti alla giustizia».
73. Saul percepì il punto di vista del vecchio maestro, concludendo che lui metteva in gioco la sua riconosciuta tendenza alla tolleranza. Quella richiesta contrariava di molto i suoi risoluti propositi, ma sapendo che non avrebbe potuto oltrepassare la veneranda autorità, disse:
74. «Accetto l’opinione in qualità di giudice della causa; però, rinviata l’esecuzione della pena, che desidero, e tenendo in considerazione il veleno distillato dal discorso irriverente e ingrato del reo, spero sia ammanettato e portato immediatamente in carcere. E propongo allo stesso tempo un’investigazione più ampia sulle ipotetiche attività pietose dei pericolosi credenti del “Cammino”, affinché venga estirpata alla radice la nozione di indisciplina da loro creata contro la Legge di Mosè, movimento rivoluzionario di conseguenze imprevedibili che, in sostanza, significherebbe disordine e confusione nelle nostre stesse file ed esecrabile oblio delle ordinazioni divine, scongiurando così la propagazione del male, la cui crescita intensificherà i castighi».
75. La nuova proposta fu pienamente approvata. Data la sua profonda conoscenza dell’animo umano, Gamaliel comprese che era indispensabile concedere qualcosa.
76. Lì stesso, Saul di Tarso fu autorizzato dal Sinedrio ad adottare più ampi provvedimenti riguardanti le attività del “Cammino”, con l’ordine di correggere, riprendere e incarcerare tutti i discendenti di Israele dominati dai sentimenti espressi nel Vangelo, considerato, da quel momento in poi, dal regionalismo semita, come un deposito di veleno ideologico, contro il quale il Falegname nazareno osò prendere posizione pretendendo di rivoluzionare la vita israelita, e operando la dissoluzione dei suoi legami più legittimi.
77. Il giovane di Tarso, di fronte a Stefano prigioniero, ricevette la notifica ufficiale con un sorriso trionfante.
78. Si chiuse così la memorabile assemblea. Numerosi compagni accerchiarono il giovane giudeo, felicitandosi con lui per le sue vibranti parole che echeggiavano dell’egemonia di Mosè. L’ex discepolo di Gamaliel ricevette i saluti degli amici, dicendo confortato: «Conto su tutti voi. Lotteremo fino alla fine!»
79. I lavori di quel pomeriggio erano stati estenuanti, ma l’interesse suscitato era stato grande. Stefano si sentiva stanchissimo. Davanti ai gruppi che si ritiravano emettendo i più svariati commenti, lui fu ammanettato prima di essere condotto in prigione. Polarizzando i sentimenti del Maestro, nonostante la fatica, aveva la coscienza confortata. Con sincera felicità interiore, verificava ancora una volta che Dio gli concedeva l’opportunità di dare testimonianza della sua fede.
80. In pochi istanti l’ombra del crepuscolo sembrò volgere rapidamente verso una notte oscura. Dopo aver sopportato le più dolorose umiliazioni di alcuni farisei che si ritiravano con profonda impressione di dispetto, fu scortato dalle rudi e insensibili guardie, ed eccolo rinchiuso nel carcere con delle pesanti manette.
[indice]
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Le prime persecuzioni per mano di Saul
(Atti 9,1-2): [1]Saulo frattanto, sempre fremente minaccia e strage contro i discepoli del Signore, si presentò al sommo sacerdote [2]e gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco al fine di essere autorizzato a condurre in catene a Gerusalemme uomini e donne, seguaci della dottrina di Cristo, che avesse trovati.
1. Saul di Tarso, dato il suo carattere impulsivo, si lasciò entusiasmare dall’idea di vendetta; tuttavia era impressionato dal coraggio di Stefano davanti alla sua autorità e reputazione. A suo parere, il predicatore del Vangelo gli aveva inflitto un’umiliazione pubblica che necessitava di una riparazione equivalente.
2. Tutti i gruppi di Gerusalemme, nonostante il breve tempo della sua permanenza in città, non nascondevano la loro ammirazione. Gli intellettuali del Tempio apprezzavano in lui la sua personalità vigorosa, una guida sicura, lo consideravano un maestro nel razionalismo superiore. I più vecchi sacerdoti e i dottori del Sinedrio gli riconoscevano l’intelligenza acuta e in lui depositavano la speranza del futuro. In quell’epoca, la sua giovinezza dinamica, votata quasi interamente al ministero della Legge, centralizzava, per così dire, tutti gli interessi della casistica[25]. Con l’arguzia psicologica che lo caratterizzava, il giovane di Tarso conosceva il ruolo a cui Gerusalemme lo destinava. Così, le controversie di Stefano dolevano nelle fibre più sensibili del suo cuore. In fondo, il suo risentimento era appannaggio di una gioventù ardente e sincera; però, la vanità ferita, l’orgoglio di stirpe e l’istinto al dominio, gli oscuravano la retina spirituale.
3. Dal profondo delle sue riflessioni, ora egli odiava quel Cristo crocifisso, perciò detestava Stefano considerandolo un pericoloso nemico. Non poteva tollerare qualsiasi espressione di quella dottrina, apparentemente semplice, ma che poteva far traballare le fondamenta dei principi stabiliti. Avrebbe perseguitato inflessibilmente il “Cammino” e coloro che gli si fossero associati. Avrebbe mobilitato intenzionalmente tutte le simpatie di cui disponeva, per moltiplicare l’indagine imprescindibile. Di certo, già contava sui toni conciliatori di un Gamaliel e di altri rari spiriti che, a suo avviso, si sarebbero lasciati illudere dalla filosofia di bontà che i galilei avevano suscitato con le nuove scritture; ma era convinto che la maggioranza farisaica, con funzioni politiche, sarebbe stata dalla sua parte, incentivandolo nell’impresa iniziata.
4. Il giorno dopo l’arresto di Stefano, Saul cercò di arruolare le prime forze con la massima abilità. In cerca di simpatia per l’ampio movimento di persecuzione che pretendeva di realizzare, visitò le personalità più eminenti del giudaismo, astenendosi però dal chiedere la cooperazione delle autorità riconosciute come pacifiste. L’ispirazione dei prudenti non lo interessava. Necessitava di temperamenti simili al suo, in modo da non fallire nell’impresa.
5. Dopo aver strutturato l’ampio progetto con i connazionali, chiese un’udienza alla Corte Provinciale per ottenere l’appoggio dei romani incaricati a risolvere tutte le questioni politiche della Provincia. Il procuratore, nonostante risiedesse ufficialmente a Cesarea, pernottava in città e lì ebbe notizie dei fatti interessanti del giorno prima. Ricevendo la petizione del prestigioso dottore della Legge, assicurò la sua piena solidarietà, lodando i provvedimenti in prospettiva del futuro. Sedotto dalla parola fluente del giovane rabbino, gli fece capire, nonostante l’indifferenza dei politici per gli affari religiosi, che le ragioni del fariseismo erano giuste nel combattere i galilei ignoranti che disturbavano il ritmo delle manifestazioni di fede nei santuari della città santa. Concretizzando le promesse, concesse immediatamente al giovane di Tarso le necessarie autorizzazioni per il concordato evento, tranne ovviamente i diritti di natura politica, che la suprema autorità romana doveva mantenere intangibile.
6. Tuttavia, fu sufficiente al novello rabbino l’adesione delle autorità pubbliche ai progetti proposti. Entusiasta dei suoi programmi per la quasi generale approvazione del suo piano, Saul cominciò a coordinare i primi impegni per scoprire le attività del “Cammino” nei sui minimi dettagli. Ossessionato dall’idea di una vendetta pubblica, idealizzava, nella sua mente sovreccitata, quadri sinistri. Quanto prima possibile avrebbe preso tutti gli implicati. Il Vangelo, ai suoi occhi, dissimulava seduzioni imminenti. Avrebbe presentato i concetti oratori di Stefano come parola d’ordine della bandiera rivoluzionaria, in maniera da provocare repulsione dei compagni meno vigili, abituati a pattuire con il male nel pretesto di comode tolleranze. Avrebbe abbinato i testi della Legge di Mosè e quelli degli Scritti Sacri, per giustificare perché si doveva condurre i disertori dei principi della stirpe, alla morte. Avrebbe dimostrato l’irreprensibilità della sua condotta inflessibile. Tutto avrebbe fatto per condurre Simon Pietro al carcere. Nella sua opinione, era lui l’autore intellettuale della trama sottile che si stava formando intorno alla memoria del semplice Falegname. Nell’estasi delle sue idee precipitose, arrivava a concludere che nessuno sarebbe sfuggito alle sue decisioni irrevocabili.
7. In questo giorno, segnato dalla visita alle autorità competenti, con l’intuito di attrarle alla sua causa, altri fatti sorprendenti aggravarono le preoccupazioni che lo dominavano. Osea Marco e Samuel Natan, due compatrioti ricchissimi di Gerusalemme, dopo aver ascoltato al Sinedrio la difesa personale di Stefano, impressionati dall’eloquenza e giustizia dei concetti dell’oratore, distribuirono tra i figli, parte dell’eredità che competeva ad ognuno, e donarono al “Cammino” il restante dei loro averi. Per questo, cercarono Simon Pietro baciandogli le mani incallite dal lavoro, dopo che avevano ascoltato le parole su Gesù Cristo.
8. La notizia echeggiò nei circoli farisaici con la caratteristica di un vero scandalo.
9. Saul di Tarso prese conoscenza di questo fatto il giorno dopo, confermando lo stupore generale che il comportamento di Stefano aveva provocato. La condotta dei due corregionali, aggregandosi ai galilei, gli causò un profondo sentimento di rivolta. Ancora si parlava del fatto che Osea e Samuel, consegnando al “Cammino” la totalità dei loro beni, avevano dichiarato, tra le lacrime, che accettavano il Cristo come il Messia promesso. I commenti degli amici al riguardo lo istigavano a più forti rappresaglie. Designato dalle capricciose correnti popolari come il più giovane difensore della Legge, si sentiva spinto ancor più a rivelare il suo ascendente in questo incarico che considerava sacro. A difesa del suo mandato, avrebbe rifiutato tutte le considerazioni tendenti a bloccare il suo rigore, che lui sentiva come un dovere divino.
10. Considerando la gravità degli ultimi fatti che minacciavano la stabilità del giudaismo nel senso stesso dei suoi elementi più distaccati, cercò nuovamente le autorità supreme del Sinedrio per velocizzare le repressioni in prospettiva.
11. Attento all’autorizzazione concessa dagli alti poteri politici della provincia, Caifa[26] propose che lo zelante dottore di Tarso fosse nominato capo e promotore di tutti i provvedimenti attinenti e indispensabili alla custodia e difesa della Legge. Gli competeva, così, promuovere tutte le risorse che giudicasse convenienti e utili, salvo riserva al Sinedrio dell’ultima parola, quella di natura più grave.
12. Soddisfatto del risultato della riunione improvvisata, il giovane di Tarso disse prima di salutare gli amici: «Oggi stesso farò richiesta di truppe per operare nel perimetro della città. Domani ordinerò la prigione per Samuel e Osea, fino a che non tornano alla ragione, e nel fine settimana tratterò della cattura della gentaglia del “Cammino”».
13. «Non hai paura, per caso, dei sortilegi?» – disse Alessandro con ironia.
14. «In nessun modo» – rispose solenne e deciso. – «Ho sentito le dicerie e so che i soldati cominciano ad essere superstiziosi sotto l’influsso delle idee stravaganti di questa gente, per cui comanderò di persona la spedizione, tale è il mio desiderio di portare Simon Pietro in prigione».
15. «Simon Pietro?» – domandò uno dei presenti sorpreso.
16. «Perché no?»
17. «Sai il motivo dell’assenza di Gamaliel al nostro incontro di oggi?» – disse l’altro.
18. «No».
19. «È che, su invito di questo stesso Simon, lui stesso è andato a vedere le installazioni e i lavori del “Cammino”. Non pensi sia tutto questo estremamente curioso? Abbiamo l’impressione che il capo degli umili galilei non approvi il comportamento di Stefano davanti al Sinedrio, e forse desidera ricomporre la situazione, cercando di avvicinarsi alle nostre autorità amministrative. Chi lo sa? Forse tutto questo è utile. Al massimo, è possibile che stiamo camminando verso una necessaria riconciliazione».
20. Saul si mostrò più che sorpreso, stupefatto disse: «Ma cosa significa tutto questo? Gamaliel che visita il “Cammino”? Arrivo a dubitare della sua integrità mentale».
21. «Però sappiamo…» – intervenne Alessandro – «…che il maestro ha sempre modellato i suoi atti e i pensieri nel massimo della correttezza. Sarebbe stato giusto che si fosse negato all’invito, considerando noi altri; tuttavia, se non lo ha fatto, è ugualmente necessario rispettare la decisione presa, di certo, con la stessa nobiltà d’animo che lo ha sempre ispirato».
22. «D’accordo…» – disse Saul contrariato – «…tuttavia, anche con l’amicizia e gratitudine che gli devo, neanche Gamaliel potrà modificare le mie risoluzioni. È possibile che Simon Pietro si giustifichi, uscendo illeso dalle prove a cui sarà sottoposto; però, sia come sia, dovrà essere condotto in prigione per le necessarie inquisizioni. Sospetto della sua apparente umiltà. Per quale motivo avrebbe lasciato le sue reti per proclamarsi benefattore dei poveri di Gerusalemme? In tutto questo vedo propositi di sedizione che non devono andare molto lontano. I più umili e ignoranti camminano davanti ai pericoli. I signori della distruzione appaiono dopo».
23. La conversazione si animò ancora per un po’di tempo attorno all’aspettativa generale degli eventi che si avvicinavano, fino a quando Saul li salutò e ritornò a casa, disposto a definire gli ultimi dettagli del suo piano.
24. *
25. Nella modesta Chiesa del “Cammino” la prigionia di Stefano ebbe un’ampia ripercussione, suscitando giustificati timori da parte degli apostoli della Galilea. Pietro ricevette la notizia con grande tristezza. Aveva trovato in quel giovane di Corinto un dedicato aiutante e un fratello. Inoltre, per la nobiltà delle sue qualità affettive, Stefano era diventato una figura centrale che focalizzava tutte le attenzioni. Nei suoi pensieri ispirati convergevano numerosi problemi, per la cui soluzione l’ex pescatore di Cafarnao si appoggiava a lui. Amato dagli afflitti e dai sofferenti, aveva sempre una buona parola, tale da sollevare i più scoraggiati di cuore. Pietro e Giovanni si preoccupavano più per amore, che per qualsiasi altro motivo. Tuttavia, Giacomo, figlio di Alfeo, non poteva nascondere il suo disgusto per il comportamento intrepido del fratello di fede che non aveva esitato a confrontarsi con i poteri del fariseismo dominante. A suo parere, Stefano si era sbagliato nel capitolo delle esortazioni; doveva moderarsi, meritava il carcere per gli argomenti precipitosi nella difesa di se stesso.
26. La discussione fermentò. Pietro fece sentire l’opportunità dell’accaduto affinché si rivelasse la libertà del Vangelo. Rafforzò la logica degli argomenti con i fatti. La determinazione di Osea e Samuel, arrendendosi al Cristo, fu invocata per giustificare il successo spirituale del “Cammino”. Tutta la città commentava l’accaduto; molti si avvicinavano alla Chiesa con un sincero desiderio di conoscere meglio il Cristo, il che avrebbe significato la vittoria della causa. Giacomo, tuttavia, non si lasciava vincere dalle argomentazioni più forti. La discordia prese corpo, ma Simon e il figlio di Zebedeo sovrapposero a tutti gli interessi, il Messaggio di Gesù.
27. Il Maestro si era dichiarato emissario per tutti gli sventurati e i malati, e questi già conoscevano la Chiesa di Gerusalemme, illuminandosi con la parola di vita e di verità. Gli infermi e gli sfortunati, quelli senza la protezione del mondo, gli infelici, gli andavano incontro per chiarimenti consolatori. Era da vedere come, nel dolore, gioivano quando parlava della chiarezza eterna della resurrezione. Vecchietti tremolanti aprivano gli occhi enormemente, come se contemplassero nuovi orizzonti di impreviste speranze. Creature stanche dalle fatiche terrene sorridevano felici quando, ascoltando la Buona Novella, capivano che l’esistenza tormentata non era tutto. Pietro, osservando quei sofferenti che Gesù aveva tanto amato, raccolse nuove forze.
28. Consapevole del nobile atteggiamento di Gamaliel davanti alle accuse del dottore di Tarso, e credendo che solo questo aveva evitato la lapidazione immediata di Stefano, elaborò il progetto di invitarlo a visitare la struttura disadorna della Chiesa del “Cammino”.
29. Espose ai compagni l’idea, che fu approvata all’unanimità. Giovanni fu il messaggero scelto per la nuova missione.
30. Non solo Gamaliel ricevette nobilmente l’emissario, ma mostrò grande interesse per l’invito, accettandolo con la generosità di chi vuole arricchire la propria veneranda vecchiaia.
31. Stabilite le condizioni, il saggio rabbino entrò nella povera casa dei galilei, i quali lo accolsero con infinita gioia. Simon Pietro, profondamente rispettoso, spiegò le finalità dell’istituzione, accennando poco al fatto accaduto, ma parlò più del conforto dispensato a coloro che erano in abbandono. Affettuosamente, gli offrì una copia su pergamena, di tutte le note di Matteo sulla personalità del Cristo e dei suoi celebri insegnamenti. Gamaliel ringraziò l’ex pescatore, trattandolo con riguardo e considerazione, facendo capire di voler esporre alla sua rispettabile valutazione tutti i programmi dell’umile Chiesa.
32. Simon condusse il vecchio dottore della Legge in tutte le dipendenze. Arrivati alla lunga infermeria dove si affollavano i più diversi pazienti, il rabbino capo di Gerusalemme non poté nascondere il massimo stupore, commosso fino alle lacrime di fronte al quadro che si trovava davanti agli occhi attoniti. Nei letti accoglienti vedeva anziani dai capelli innevati dagli inverni della vita, e bambini indigenti i cui sguardi di gratitudine accompagnavano la figura di Pietro, come in presenza di un padre. Non aveva ancora fatto dieci passi intorno ai mobili semplici e puliti, quando si fermò di fronte a un vecchietto con un aspetto miserabile. Immobilizzato dall’infermità che lo indeboliva, il povero infermo sembrò di riconoscerlo. E la conversazione iniziò senza preamboli:
33. «Samonio, tu qui?» – domandò Gamaliel stupito. – «È possibile che tu abbia abbandonato Cesarea?»
34. «Ah! siete voi, signore!» – rispose l’interpellato con una lacrima agli angoli degli occhi. – «Per fortuna, uno dei miei connazionali e amici è riuscito a vedere la mia grande miseria». – Le lacrime soffocarono la sua voce, impedendogli di continuare.
35. «Ma i tuoi figli? E i parenti? In possesso di chi sono le tue proprietà a Samaria?» – chiese il vecchio maestro perplesso – «Non piangere, Dio ha sempre molto da darci».
36. Trascorse una lunga pausa prima che Samonio riuscisse a coordinare le idee per spiegarsi, poi riuscì ad asciugare le lacrime e a continuare:
37. «Ah, signore, come Giobbe, ho visto il mio corpo putrefarsi nelle comodità della mia casa; Jehova nella Sua saggezza mi riservava lunghe privazioni. Denunciato come lebbroso, invano chiesi soccorso ai figli che il Creatore mi concesse in gioventù. Tutti mi abbandonarono. I familiari partirono frettolosamente lasciandomi solo. Gli amici che banchettavano con me a Cesarea, fuggirono senza che li potessi vedere. Ero solo e impotente. Un giorno, per suprema disperazione della mia sfortuna, gli esecutori della giustizia mi cercarono per notificare la crudele condanna. D’accordo tra di loro, sotto impulsi iniqui, i miei figli mi derubarono di tutti i beni, prendendo possesso di tutti i miei possedimenti e titoli in contanti, che rappresentavano la speranza di una vecchiaia onesta. Infine, e per il cumulo delle sofferenze, mi condussero alla valle degli immondi, dove mi abbandonarono come un criminale condannato a morte. Mi sentii molto solo, abbandonato e affamato. Mai avevo sperimentato tali enormi necessità, forse è per la mia vita vissuta nel lavoro e nel conforto, che fuggii dalla valle dei lebbrosi, facendo lunghi tragitti a piedi, speranzoso di trovare a Gerusalemme le preziose amicizie di un tempo».
38. Sentendo quella storia dolorosa, il vecchio maestro ebbe gli occhi umidi. Aveva conosciuto Samonio nei più felici giorni della sua vita. Onorato nella sua residenza, quando passava per Cesarea, ora si stupiva di quell’angosciosa indigenza.
39. Dopo il breve intervallo in cui il malato aveva cercato di asciugare il sudore e le lacrime, con voce calma continuò: «Intrapresi il viaggio, ma tutto cospirò contro di me. Presto i piedi malati non poterono più camminare. Mi trascinai come potevo, pieno di stanchezza e sete, fino a quando un umile carrettiere ebbe compassione di me, mi raccolse e mi portò in questa casa, dove il dolore incontra un conforto fraterno».
40. Gamaliel non sapeva come esprimere la sua sorpresa, tale era l’emozione che gli vibrava dentro. Pietro era ugualmente commosso. Abituato alla pratica del bene senza mai domandare il passato degli infermi, vedeva attraverso il caso una rivelazione confortante della potenza amorevole del Cristo.
41. Il grande rabbino fu stupefatto di ciò che aveva visto e sentito lì. Con la sincerità che gli apparteneva, non riusciva a nascondere la sua amicizia e gratitudine per il povero infermo; ma, senza risorse per portarlo fuori da quel povero ostello, si vide nella circostanza di estendere le sue gratitudini a Simon Pietro e agli altri compagni dell’ex pescatore di Cafarnao. Solo adesso riconobbe che il giudaismo non aveva contemplato questi amorevoli rifugi. Trovando lì l’amico lebbroso, desiderava sinceramente sostenerlo. Ma in che modo? Per la prima volta pensò alla dolorosa eventualità di inviare una persona cara alla valle degli immondi. Egli, che aveva consigliato questa risorsa a tanta gente, stava adesso considerando la situazione di un amico caro.
42. L’episodio lo scosse profondamente. Cercando di evitare profondi ragionamenti filosofici, in modo da non cadere in conclusioni affrettate, parlò con dolcezza: «Sì, hai ragione di ringraziare lo sforzo dei tuoi benefattori».
43. «E anche la misericordia del Cristo» – accentuò il malato con una lacrima. – «Adesso credo che il Profeta generoso di Nazareth, con la testimonianza d’amore che ci ha portato, è il Messia promesso».
44. Il grande dottore capì il successo della nuova dottrina. Quel Gesù sconosciuto, ignorato dalla società più colta di Gerusalemme, trionfava nel cuore degli infelici per il contributo dell’amore disinteressato che aveva portato ai diseredati dalla sorte. Comprese, allo stesso tempo, la discrezione che gli s’imponeva in quell’ambiente umile, attento alle sue responsabilità nella vita pubblica.
45. Necessitando di proseguire la conversazione per testimoniare il suo altruismo e pietà, disse con un sorriso: «Credo che Gesù di Nazareth sia stato un modello di rinuncia a beneficio di idee che, fino ad oggi, non ho potuto indagare o comprendere, ma da questo a considerarLo il Messia...».
46. Queste parole reticenti facevano capire gli scrupoli del suo cuore gentile, tra la Legge antica e le nuove rivelazioni del Vangelo. Simon Pietro intese così e, invano, cercò di deviare la conversazione in un’altra direzione.
47. Samonio stesso, tuttavia, come tutelato dal Maestro, venne in aiuto all’apostolo, redarguendo Gamaliel con osservazioni ponderate e giuste: «Se fossi stato sano, pienamente identificato con la famiglia e nel godimento dei beni che conquistai con fatica e lavoro, forse avrei dubitato anch’io di questa realtà consolatrice. Ma sono qui prostrato e dimenticato da tutti, e so chi mi ha dato una mano amica. Come israeliti, amanti della Legge di Mosè, stiamo aspettando un Salvatore nella persona mortale di un principe del mondo; tuttavia, questa credenza è prevalentemente temporanea. Sono illusori questi pregiudizi che ci portano a pensare a un dominio di forze deperibili. L’infermità, però, è consigliera affettuosa e chiarificatrice.
48. Cosa avremmo da guadagnare da un profeta che salvasse il mondo e poi scomparisse tra le miserie anonime di un corpo putrefatto? Non è scritto che tutta l’iniquità perirà? E dov’è il potente principe della Terra che domina senza la garanzia delle armi? Il letto di dolore è un campo di insegnamenti sublimi e luminosi. In esso, l’anima esausta avrà nel corpo la funzione di una tunica. Tutto ciò che riguarda l’abbigliamento va perdendo d’importanza. Persevera, tuttavia, la nostra realtà spirituale. Gli antichi sostenevano che noi siamo dèi. Nella mia situazione attuale ho la perfetta impressione che siamo dèi, concepiti in un vortice di polvere. Nonostante le ferite purulenti che mi separarono dagli affetti più cari, penso, voglio e amo. Nella camera oscura della sofferenza ho trovato il Signore Gesù, per comprenderLo meglio. Oggi credo che il Suo potere dominerà sulle nazioni, perché è la forza dell’Amore che trionfa sulla morte stessa».
49. La voce di quell’uomo segnato dalle ferite violacee, nella sua grave intonazione sembrava la tromba della verità uscendo da un cumulo di polvere. Pietro verificò soddisfatto il progresso morale di quel mendicante anonimo, per valutare intimamente la potenza rigeneratrice del Vangelo.
50. Gamaliel, a sua volta, si meravigliò sul senso profondo di quei concetti. Il messaggio del Cristo nella bocca di un malato impotente aveva un’impronta di bellezza misteriosa e singolare. Samonio parlava con il tono di chi aveva avuto esperienza diretta di un incontro reale con il Profeta di Nazareth.
51. Cercando di evitare ogni possibilità di controversia religiosa, il generoso rabbino sorrise e aggiunse: «Riconosco che parli con saggezza. Se è indiscutibile che sono in un’età in cui sarebbe inutile cambiare i principi, non posso mostrarmi contrario alle tue convinzioni, perché sono in buona salute, godo dell’affetto dei miei cari ed ho la vita tranquilla. La mia capacità di giudicare deve quindi operare in un’altra direzione».
52. «Sì, è giusto…» – disse Samonio ispirato – «…per ora non hai bisogno di un salvatore. Ecco perché il Cristo affermava di essere venuto per i malati e gli afflitti».
53. Gamaliel comprese la portata di quelle parole sulle quali si poteva meditare per tutta una vita. Sentiva gli occhi umidi. L’osservazione di Samonio aveva penetrato il fondo del suo cuore sensibile di uomo giusto. Realizzando, tuttavia, che bisognava avere maggior prudenza per non confondere i sentimenti del popolo, data la posizione ufficiale che ricopriva, abbozzò un dolce sorriso all’interlocutore, toccandogli leggermente la spalla, e con accenno di sincerità fraterna disse: «Forse hai ragione. Studierò il tuo Cristo».
54. E ricordando il poco tempo a sua disposizione, raccomandò l’amico a Simon, con un abbraccio lo salutò per seguire l’apostolo di Cafarnao nelle ultime stanze.
55. Prima di ritirarsi, il saggio rabbino si congratulò con i compagni di Gesù per le attività svolte in città, e comprendendo la delicatezza della loro missione in un ambiente a volte così ostile, consigliò a Pietro di non dimenticare, nella Chiesa del “Cammino”, tutte le pratiche esteriori del giudaismo. Sarebbe stato giusto, a suo avviso, che si prendessero cura delle circoncisioni di tutti coloro che bussavano alla porta; che evitassero gli alimenti impuri; che non dimenticassero il Tempio e i suoi principi. Gamaliel sapeva che i galilei non sarebbero stati esenti dalle persecuzioni, soprattutto in considerazione del fatto che l’organizzazione era nata da qualcuno che era stato condannato a morte dal Sinedrio. Con questi suggerimenti pensava di schermare i colpi della violenza che prima o poi li avrebbero raggiunti.
56. Pietro, Giovanni e Giacomo ringraziarono sensibilizzati dal consiglio amorevole e il vecchio dottore tornò a casa, profondamente impressionato dalle lezioni di quel giorno, portando con sé le annotazioni di Matteo, che iniziò a leggere immediatamente.
57. Altri due giorni passarono e le persecuzioni ordinate da Saul di Tarso fecero tremare Gerusalemme in tutti i settori delle sue attività religiose.
58. Osea Marco e Samuel Nathan furono arrestati senza preavviso disciplinare, al fine di rispondere alla rigorosa indagine. Quelli che cooperavano con il processo, organizzarono lunghe liste con i nomi degli israeliti più importanti che partecipavano alle riunioni della Chiesa del “Cammino”. Il giovane di Tarso aveva stabilito che fosse aperta un’inquisizione generale. Tuttavia, poiché desiderava dare una dimostrazione della sua audacia agli avversari, dichiarò che si doveva iniziare dalle incarcerazioni più importanti, dopo la prigionia di Osea e Samuel, anche nella roccaforte oscura di quei galilei che avevano osato sfidare la sua autorità.
59. Era la mattina di un giorno molto chiaro. Il futuro rabbino, circondato da alcuni compagni e soldati, bussò alla porta dell’umile casa, facendo largo sfoggio dello scopo della visita insidiosa. Simon Pietro in persona lo ricevette con grande serenità negli occhi.
60. Un terrore non dissimulato si stabilì tra i più timidi. Due giovani che accompagnavano l’apostolo si incaricarono di andare all’interno della casa e diffondere la notizia.
61. «Sei tu Simon Pietro, l’ex pescatore di Cafarnao?» – chiese Saul con una certa arroganza.
62. «Si sono io» – disse con fermezza.
63. «Sei in arresto!» – disse il capo della spedizione trionfante. E chiese a due dei compagni di andare avanti, e ordinò che l’apostolo fosse ammanettato immediatamente. Pietro non oppose la minima resistenza.
64. Colpito dal suo temperamento pacifico, di cui gli addetti del Nazareno davano sempre testimonianza, Saul replicò disprezzante: «Il Maestro del “Cammino” doveva essere un modello di inerzia e viltà. Ancora non ho trovato alcun segno di dignità tra i Suoi discepoli, le cui facoltà di reagire sembrano morte».
65. Ricevendo in pieno così tante ingiurie, l’ex pescatore rispose serenamente: «Vi ingannate nei vostri giudizi. Il discepolo del Vangelo è solo nemico del male, e nel suo dovere mette l’amore sopra tutti i principi. Inoltre, riteniamo che ogni repressione con Gesù, è soave».
66. Il giovane di Tarso, titolare di un così alto potere, non nascose il disagio che la risposta gli causò e, additando il seguace di Gesù, disse a uno degli uomini della scorta: «Giona, lo affido a te!»
67. E, sottolineando ironicamente le parole, si rivolse agli altri con un gesto di disprezzo per l’apostolo ammanettato, che lo guardava sereno, però sorpreso: «Non discutiamo con questo uomo. Queste persone del “Cammino” sono sempre piene di ragionamenti assurdi. Non perdiamo tempo con la cecità dell’ignoranza. Andiamo dentro e prendiamo i capi. I seguaci del Falegname saranno perseguitati fino alla fine».
68. Risoluto, prese il comando, penetrando arditamente in cerca delle camere più interne. Di porta in porta trovava dei mendicanti che lo fissavano con sorpresa e amarezza. Il quadro vivo di tanta miseria lì raccolta lo riempì di stupore; ma si sforzò di non perdere la sua fibra implacabile, al fine di eseguire i suoi progetti nel più piccolo dettaglio. Al lato della grande infermeria trovò il figlio di Zebedeo, che sentì la voce di carcerazione senza alterare la serenità della fisionomia.
69. Sentendo le mani ruvide del soldato che lo ammanettavano, Giovanni alzò lo sguardo verso l’alto e mormorò semplicemente: «Mi raccomando al Cristo».
70. Il capo della carovana lo guardò con disprezzo ed esclamò altezzosamente ai suoi compagni: «Mancano ancora due dei più sospetti. Cerchiamoli!» – riferendosi a Filippo e a Giacomo, come discepoli diretti del Messia nazareno.
71. Ancora pochi passi e il primo fu trovato facilmente. Filippo si lasciò ammanettare senza protestare. Le sue figlie lo attorniarono afflitte e piangenti.
72. «Coraggio, figlie…» – disse senza paura – «…non saremo per caso superiori a Gesù, che è stato perseguitato e crocifisso dagli uomini?»
73. «Li senti, Clemente?» – chiese Saul, irritato, a uno degli amici più cari. – «Non si sente altra cosa che i riferimenti allo strano Nazareno! Il primo ha parlato del dominio del Cristo, il secondo si è raccomandato al Cristo, questo allude alla superiorità del Cristo... Dove andremo a finire?»
74. Dopo aver sfogato la rabbia con espressioni dure, concluse con il ritornello costante: «Andremo fino alla fine!»
75. Presi i tre prigionieri, mancava ancora il figlio di Alfeo. Qualcuno si ricordò di cercarlo nel rozzo capanno che occupava. In effetti lo trovarono inginocchiato là, avendo davanti agli occhi un rotolo di pergamena dove c’era scritta la Legge di Mosè.
76. Si poteva vedere il pallore marmoreo del volto, quando Saul si avvicinò bruscamente: «Cos’è questo? C’è qualcuno qui che si prende cura della Legge?»
77. «Il fratello di Levi[27] alzò gli occhi pieni di sincera paura e disse umilmente: «Signore, non ho mai dimenticato la Legge dei nostri padri. I miei nonni mi hanno insegnato a ricevere in ginocchio le luci del profeta santo».
78. L’atteggiamento di Giacomo non svelava finzione. Dedicando il massimo rispetto al liberatore di Israele, aveva sempre sentito dire che i suoi libri sacri erano impregnati di sante virtù. In previsione del carcere, era intimorito dal pericolo imminente. Non fu in grado di capire, integralmente, come gli altri compagni, il significato divino e occulto delle lezioni del Vangelo. Il suo sacrificio gli incuteva paura. In fin dei conti, pensava lui, nella comprensione parziale di Cristo: chi avrebbe supervisionato i lavori iniziati? Il Maestro era morto sulla croce, e quel giorno gli apostoli di Gerusalemme venivano arrestati. Era necessario difendersi con tutti i mezzi possibili a disposizione. Immaginò di ricorrere alle virtù soprannaturali della Legge di Mosè, secondo le vecchie credenze. Accovacciato, attese che il carnefice si avvicinasse.
79. Di fronte al comportamento imprevisto di Giacomo, Saul di Tarso rimase attonito. Solo gli spiriti profondamente devoti al giudaismo leggevano, in ginocchio, gli insegnamenti di Mosè. In sana coscienza, non poteva ordinare la reclusione di quell’uomo. L’argomento che giustificava il suo compito, davanti alle autorità politiche e religiose di Gerusalemme, era il combattere i nemici delle tradizioni.
80. «Ma tu, non sei amico del Falegname?»
81. Con invidiabile presenza di spirito l’interrogato rispose: «Non mi sembra che la Legge ci impedisca di avere amici».
82. Saul si turbò, ma continuò: «Ma chi scegli? La Legge, o il Vangelo? Quali dei due accetti in primo luogo?»
83. «La Legge è la prima rivelazione divina» – disse Giacomo con intelligenza.
84. Davanti alla risposta che lo sconcertò, il giovane di Tarso rifletté un attimo e aggiunse, rivolgendosi ai presenti: «Va bene. Che quest’uomo rimanga in pace».
85. Il figlio di Alfeo, intimamente soddisfatto del risultato della sua iniziativa, credette ancora di più che la Legge di Mosè era attinta di grazie vive e permanenti. A suo avviso, era stato il codice del giudaismo, il talismano che gli aveva dato la libertà. Da quel giorno, il fratello di Levi avrebbe consolidato, per sempre, le sue tendenze superstiziose. Il fanatismo che gli storici del cristianesimo avevano trovato nella sua personalità enigmatica, ebbe lì la sua origine.
86. Allontanandosi dalla stanza di Giacomo, Saul, mentre si preparava ad uscire, tornando all’ingresso per ordinare la partenza dei prigionieri, si scontrò con la scena che più lo avrebbe impressionato.
87. Tutti i malati che erano in grado di trascinarsi, tutti quelli in grado di spostarsi, circondarono la persona di Pietro, piangendo con sentimento.
88. Alcuni bambini lo chiamavano “padre”; anziani tremanti gli baciavano le mani... – «Chi avrà pietà di noi adesso?» – domandò una vecchietta in lacrime.
89. «Padre mio, dove ti portano?» – disse un orfano affettuoso, abbracciandosi al prigioniero.
90. «Vado al monte, figliolo» – risponde l’apostolo.
91. «E se ti uccidono?» – chiese di nuovo il fanciullo dai grandi occhi azzurri.
92. «Troverò il Maestro e tornerò con Lui» – disse Pietro gentilmente.
93. In quel momento, giunse la figura di Saul che tornava. Contemplando la folla di storpi, ciechi, lebbrosi e bambini che ostruivano la stanza, esclamò irritato: «Indietro, fate largo!»
94. Alcuni si ritirarono, spaventati, vedendo i soldati che si avvicinavano, invece i più risoluti non indietreggiavano di un passo. Un lebbroso, che a malapena si manteneva in piedi, fece un passo avanti. Il vecchio Samonio, ricordandosi del tempo in cui poteva ordinare ed essere obbedito, si avvicinò a Saul arditamente: «Abbiamo bisogno di sapere dove andranno questi prigionieri» – disse con audacia.
95. «Indietro!» – esclamò il giovane di Tarso, abbozzando un gesto di ripugnanza. – «Non è possibile che un uomo della Legge debba dare spiegazioni ad un lurido vecchio!»
96. Le guardie armate cercarono di farsi avanti per punire l’insolente; ma la lebbra difese Samonio dai loro attacchi. Approfittando della situazione, l’ex possidente di Cesarea ribatté con fermezza: «L’uomo della Legge deve rendere conto solo a Dio dell’esatto adempimento dei suoi doveri; ma in questa casa, parlano i codici di umanità. Per voi io sono un immondo, ma per Simon Pietro sono un fratello. Prendete i buoni e liberate i cattivi? Dov’è la vostra giustizia? Credete solo nel Dio degli eserciti? È essenziale sapere che se l’Eterno è il fattore supremo dell’ordine, il Vangelo ci insegna a cercare nella Sua provvidenza l’affetto di un padre».
97. E sentendo quella voce degna che scorreva dalla miseria e della sofferenza come un appello di disperazione, Saul fu stupefatto.
98. Il mendicante, tuttavia, dopo una lunga pausa, continuò risoluto: «Dove sono le vostre case che assistono gli oppressi dalla sfortuna? Quando vi siete ricordati di un rifugio per i più infelici? V’ingannate se presumete inerzia nel nostro atteggiamento. I farisei portarono Gesù al Calvario per la crocifissione, privando i bisognosi della Sua presenza ineffabile. Per aver praticato il bene, Stefano è stato messo in prigione. Ora il Sinedrio chiede il carcere per gli apostoli del “Cammino”, retribuendo la gentilezza e la bontà con il buio delle segrete. Ma vi sbagliate! Noi, i poveri di Gerusalemme, ci batteremo contro di voi. Di Simon Pietro noi disputeremo la propria ombra. Se vi negate di soddisfare la nostra supplica, ricordate che siamo lebbrosi. Avveleneremo i vostri pozzi. Pagherete la perversità con la salute e la vita!»
99. Nel frattempo, non poté continuare.
100. Di fronte all’aspettativa agonizzante di tutti, Saul di Tarso sentenziò duramente: «Zitto, miserabile! Non so nemmeno io perché ti ho ascoltato finora! Non più una parola!»
101. E assegnandolo a uno dei soldati, borbottò sprezzante: «Sinesio, dagli dieci bastonate. È essenziale punire la sua lingua insolente e viperina».
102. Proprio lì, sotto gli occhi di tutti i compagni che si ritiravano spaventati, Samonio prese il castigo senza un solo lamento. Pietro e Giovanni avevano gli occhi umidi. Gli altri infermi rimasero rannicchiati e atterriti.
103. Dopo averlo malmenato, un grande silenzio dominò i cuori agitati e dolenti. Il dottore di Tarso ruppe l’aspettativa con l’ordine di partire in direzione del carcere.
104. Due bambini pallidi si avvicinarono piangendo all’ex-pescatore di Cafarnao dicendo: «Padre, che sarà di noi?»
105. Pietro si voltò sopraffatto, e rispose con tenerezza: «Le figlie di Filippo saranno con voi... Se Gesù permetterà, figli miei, non tarderò».
106. Anche Saul, nel profondo, si commosse; tuttavia non volle tradirsi, lasciandosi sopraffare dalle emozioni che il quadro gli aveva procurato.
107. Pietro capì che le lacrime silenziose di tutti gli umili protetti del “Cammino” si traducevano in dichiarazioni d’amore in quel momento di addii dolorosi.
*
108. Dopo l’episodio, il giovane di Tarso utilizzò grandi energie nella prima persecuzione vissuta singolarmente e collettivamente dal cristianesimo nascente. Gerusalemme rigurgitava di creature interessate all’idee del Messia nazareno più di quanto si poteva supporre. Saul approfittò di questa circostanza per far sentire, ancora una volta, il pericolo ideologico rappresentato dal Vangelo. Furono effettuati numerosi arresti. In città si avviò un esodo di grandi proporzioni. Gli amici del “Cammino” con possibilità finanziarie preferirono impegnarsi nella nuova vita in Idumeia o in Arabia, nella Cilicia o in Siria. Coloro che potevano, scapparono al rigore violento delle indagini, iniziato col frastuono di quello scandalo pubblico. Le personalità più eminenti vennero condotte in isolamento, ma gli anonimi e gli umili, quelli della plebe, subirono vergogne e molestie all’interno del Tribunale dove si svolgevano gli interrogatori. Le guardie impiegate da Saul per l’esecuzione del nefasto lavoro, eccedevano in abusi.
109. «Sei del “Cammino” di Cristo Gesù?» – chiese una di loro ad una sventurata donna, con risatine di ironia.
110. «Io... Io...» – balbettò l’infelice, comprendendo la delicatezza della situazione.
111. «Parla! Datti una mossa!» – disse l’ufficiale irrispettoso.
112. La misera creatura impallidì tremante, riflettendo sulle pesanti pene che le sarebbero state imposte, e disse con timore: «Io... non...».
113. «E cosa sei venuta a fare nelle loro sediziose assemblee?»
114. «Sono andata a prendere la medicina per mio figlio piccolo, malato».
115. La risposta negativa sembrò calmare l’agente del Sinedrio, ma poco dopo esclamò ad uno degli ausiliari: «Molto bene! L’interrogata può andare in pace; prima di ritirarsi, secondo il regolamento, che le si diano alcuni colpi di durindana[28].
116. Era inutile resistere. In quel tribunale singolare, per lunghi giorni di fila, ci furono tutti i tipi di punizioni. Dalle risposte dell’interrogato dipendevano le reclusioni, le percosse, i colpi di durindana, le bastonate, le mortificazioni e gli insulti.
117. Saul divenne la molla centrale del terribile ed esecrato movimento da tutti i sostenitori del “Cammino”. Moltiplicando le energie, visitava ogni giorno i centri di servizio che lui chiamava “spurgo di Gerusalemme”, sviluppando attività sorprendenti, all’interno delle quali manteneva una sorveglianza costante delle autorità amministrative, incoraggiava gli ausiliari e i preposti, istigava gli altri persecutori dei principi di Gesù, senza lasciare affievolire lo zelo religioso del Sinedrio.
118. Dopo una settimana dagli arresti, nella modesta Chiesa, si eseguì la memorabile sessione in cui Pietro, Giovanni e Filippo dovevano essere giudicati. L’assemblea straordinaria suscitò grande curiosità. Lì si riunirono tutte le più eminenti personalità del fariseismo dominante. Gamaliel apparve, mostrando segni di profondo abbattimento.
119. In generale, si era parlato dell’atteggiamento dei mendicanti che, non ottenendo il permesso d’ingresso, si affollavano in lunghe file presso la grande piazza e protestavano in un assordante tumulto. Invano furono date bastonate a destra e a manca, perché la folla dei miserabili assumeva proporzioni senza precedenti. Il quadro era curioso e allarmante. Prendere provvedimenti per allontanare la massa, sembrava un compito impossibile. Pellegrini e malati furono contati a centinaia. Era inutile reprimere nei punti isolati, avrebbe soltanto esacerbato la rabbia e la disperazione di molti. Ad alta voce chiedevano la libertà di Simon Pietro. Esigevano in tumulto la sua liberazione, come se sollecitassero un lascito di loro legittimo diritto.
120. Nella nobile sala principale, non solo gli assistenti commentavano questo fatto, ma anche i giudici non nascondevano una profonda meraviglia. Fu proprio Anna[29] a riferire l’assedio di cui era stato oggetto da parte dei beniamini di Gerusalemme. Alessandro dichiarò che alla sua residenza accorrevano centinaia di afflitti a sollecitare la sua amabile reputazione a favore dei prigionieri.
121. Saul, a volte, rispondeva a uno e all’altro con rapidi monosillabi. Il suo volto feroce traduceva bassi propositi per quanto riguardava la sorte degli apostoli della Buona Novella che erano lì davanti a lui, o in fondo alla sala, umili e sereni, o sulla panchina dei criminali comuni.
122. Vide poi che Gamaliel si tratteneva con il sommo sacerdote in una conversazione intima, durata pochi minuti, e che suscitò grande curiosità tra i colleghi. Allora, il venerabile dottore della Legge chiamò l’ex discepolo per conferire in privato, prima dell’inizio dei lavori. I colleghi si resero conto che il rabbino tollerante e generoso avrebbe difeso la causa dei seguaci del Nazareno.
123. «Qual è la condanna proposta per i prigionieri?» – chiese il vecchietto con gentile interesse, non appena si allontanarono dai gruppi rumorosi.
124. «Essendo loro galilei…» – disse Saul dando enfasi alla sua autorità – «…non sarà concesso il diritto di parola nel tribunale; in modo che ho già deliberato la punizione che meritano. Proporrò la morte dei tre, con quella di Stefano, per lapidazione».
125. «Cosa dici?» – esclamò Gamaliel, sbalordito.
126. «Non vedo altra possibilità» – disse il giovane di Tarso. – «Dobbiamo estirpare il male che inizia, dalla radice. Credo che se guardassimo il movimento con tolleranza, avremmo il prestigio del giudaismo abbattuto dalle nostre proprie mani».
127. «Tuttavia, Saul…» – rispose il vecchio maestro con profonda bontà – «…invoco l’ascendente che ho nella tua formazione spirituale, per difendere questi uomini dalla pena di morte».
128. Il giovane capriccioso divenne livido. Non era abituato ad essere ostacolato nei pensieri e nelle decisioni. La sua volontà era sempre tirannica e inflessibile. Ma Gamaliel era stato in ogni momento il suo migliore amico. Quelle mani ruvide gli avevano insegnato gli esempi più sacri. Da quelle mani aveva ricevuto aiuto e soccorso in tutti i giorni della sua vita. Si rese conto che si trovava di fronte ad un ostacolo potente nel raggiungimento pieno dei suoi desideri.
129. Il venerabile rabbino notò la perplessità e insistette: «Nessuno più di me conosce la generosità del tuo cuore, e sono il primo a riconoscere che i tuoi propositi obbediscono con zelo insuperabile a difesa dei nostri principi millenari; ma il “Cammino”, Saul, sembra avere un grande compito nel rinnovamento dei nostri valori umani e religiosi. Chi di noi si è mai ricordato di sostenere gli sfortunati fornendo una casa amorevole e fraterna? Prima della tua diligenza correttiva, ho visitato questa semplice istituzione e mi sono potuto confrontare nell’osservazione del loro ottimo programma».
130. Il giovane dottore diventò pallido ascoltando tali concetti che, a suo avviso, erano un positivo segno di debolezza.
131. «Ma è possibile…» – disse stupito – «…che anche voi avete letto il Vangelo dei galilei?»
132. «Lo sto leggendo» – confermò Gamaliel senza esitazione. – «Ed ho intenzione di meditare più attentamente e a lungo sui fenomeni che si verificano nel nostro tempo. Prevedo grandi cambiamenti ovunque. Ho intenzione di ritirarmi dalla vita pubblica a breve, al fine di prendere la via del deserto. È chiaro, tuttavia, che queste mie parole devono essere conservate da te come pegno di fiducia reciproca».
133. Estremamente colpito, il giovane di Tarso non sapeva cosa rispondere. Presumeva che il rispettabile maestro era mentalmente compromesso da un eccesso di meditazioni.
134. Il maestro, però, come se avesse indovinato il suo pensiero, aggiunse: «Non considerarmi mentalmente debilitato. La vecchiaia nel corpo non ha spento la mia capacità di pensare e discernere per me stesso. Comprendo lo scandalo che potrebbe insorgere a Gerusalemme se un rabbino del Sinedrio modificasse pubblicamente le sue convinzioni più intime. Ma è necessario convenire che sto parlando ad un figlio spirituale. Ed esponendo onestamente, il mio punto di vista, lo faccio solamente per difendere quegli uomini, generosi e giusti, da una sentenza iniqua e impropria».
135. «La vostra rivelazione…» – esclamò Saul all’improvviso – «…mi delude profondamente!»
136. «Mi conosci da quando eri bambino e sai che l’uomo sincero non può preoccuparsi della lode o del lamento nel compimento di un sacro dovere».
137. E, imprimendo un affettuoso accento alla voce, sottolineò sollecito: «Non costringermi ad andare con te, in assemblea, ai dibattiti pubblici, scandalosi e distruttori del volto amorevole che tutte le verità devono portare con sé. Libera questi uomini in considerazione del nostro passato di mutua comprensione! Questo è tutto quello che ti chiedo. Lasciali stare, per il bene del nostro legame affettivo. Da qui a pochi giorni non sarà più necessario concedere qualcosa al tuo vecchio maestro. Sarai il mio sostituto in questo cenacolo, poiché intendo abbandonare la città in pochi giorni».
138. E poiché Saul esitava, continuò: «Non hai bisogno di molto tempo per riflettere. Il sommo sacerdote è consapevole che ti avrei chiesto la clemenza per i prigionieri».
139. «Ma... e la mia autorità?» – chiese il giovane con orgoglio. – «Come conciliare l’indulgenza con la necessità di reprimere il male?»
140. «Ogni autorità viene da Dio. Noi siamo semplici strumenti, figlio mio. Nessuno ci mancherà di rispetto per essere stati buoni e tolleranti. Quanto al provvedimento più degno, nel caso, è quello di concedere la libertà a tutti».
141. «Tutti?» – chiese Saul con un gesto di stupore.
142. «Perché no?» – disse il venerabile dottore della Legge. – «Pietro è un uomo generoso, Filippo è un padre di famiglia, estremamente dedicato al compimento dei suoi doveri. Giovanni è un giovanotto semplice. Stefano si è dedicato ai poveri».
143. «Sì, sì» – interruppe il giovane di Tarso. – «Sono d’accordo con la liberazione dei primi tre, a una condizione: per essere sposati, Pietro e Filippo possono rimanere a Gerusalemme limitando le loro attività di soccorso ai malati e ai bisognosi; Giovanni sarà esiliato; ma Stefano dovrà soffrire la sentenza già decisa. Ho già proposto la lapidazione pubblica, e non vedo alcun motivo per transigere, anche perché, per punizione ed esempio, almeno uno dei discepoli del Falegname deve morire».
144. Gamaliel comprese la forza di quella risoluzione per l’impetuosità delle parole che traducevano. Saul, così, aveva messo in chiaro che non avrebbe ceduto in relazione al taumaturgo. Il vecchio rabbino non insistette. Per evitare uno scandalo, comprese che Stefano avrebbe pagato con il sacrificio. Inoltre, considerando il carattere capriccioso dell’ex discepolo a cui la città aveva conferito incarichi così ampi, già non era poco ottenere clemenza per i tre uomini giusti, dedicati al bene comune.
145. Comprendendo la situazione, il rispettabile rabbino disse : – «Bene, così sia!» E, con un sorriso di bontà, lasciò il giovane un po’ preoccupato e perplesso.
146. Instanti dopo, con sorpresa generale dell’assemblea, Saul di Tarso, dalla tribuna, propose la liberazione di Pietro e Filippo e l’esilio di Giovanni, riproponendo la richiesta di lapidazione per Stefano, considerato l’elemento più pericoloso del “Cammino”. Le autorità del Sinedrio apprezzarono le proposte con soddisfazione. Sapendo che la misura sarebbe piaciuta alla folla numerosa, affermarono il loro consenso unanime sulla morte di Stefano, prevista una settimana più tardi, e Saul invitò gli amici alla triste cerimonia pubblica che egli stesso avrebbe presieduto.
[indice]
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Il commovente epilogo del martirio di Stefano
1. Nonostante i lavori intensi, il giovane di Tarso non tralasciava di frequentare puntualmente la casa di Zaccaria, dove, nel cuore di Abigail, trovava il necessario riposo. Se le lotte di Gerusalemme consumavano le sue forze, vicino alla donna amata sembrava recuperarle, nel dolce incanto con cui aspettava la realizzazione delle sue più care speranze.
2. Aveva l’impressione che il mondo fosse un campo di battaglia, in cui si doveva combattere per la Legge di Dio; tuttavia, poiché l’Eterno era giusto e generoso, gli concedeva, nella dedizione della sua eletta, un porto di sollievo.
3. Abigail era il suo mondo sentimentale. Le lotte di ogni giorno, i provvedimenti rigorosi che richiedeva il suo incarico, la rigidità con cui doveva trattare le questioni affidate alla sua giurisdizione, erano trasferite nel cuore della promessa sposa, pieno d’amore, di pietà e di giustizia. Lei accoglieva le sue idee con attenzione affettuosa, sembrava condirle nella tenerezza della sua anima fraterna, restituendole all’amato sotto forma di suggerimenti amorevoli e giusti.
4. Saul si era abituato a questo prezioso interscambio quotidiano. Quando gli mancavano al suo cuore le dolci consolazioni sulla strada di Giaffa, si sentiva preda dei propri sentimenti energici e impulsivi. Abigail gli correggeva lo spirito. Limava i bordi del suo carattere rude e violento, cooperava per attenuare il rigore delle sue decisioni autoritarie. Per ore il giovane di Tarso si saturava delle sue parole, come se i suoi sentimenti di bontà fossero dolce cibo per la sua anima, che i ragionamenti rigidi del mondo surriscaldavano. Lui, che non aveva sperimentato le avventure galanti del suo tempo, consapevole di preservare pura la coscienza di fronte alla Legge, scopriva nella creatura eletta, l’incarnazione di tutti i sogni di speranza della sua giovinezza.
5. La notte successiva alla memorabile sessione del Sinedrio, Saul di Tarso, abbandonando tutte le preoccupazioni di ordine immediato, cercò più ansioso la casa di Zaccaria. Le fatiche del giorno avevano scosso le sue forze. Voleva vincere rapidamente la distanza per impregnarsi nel calore dell’amata, dimenticando le preoccupazioni che gli pungevano la mente travagliata dai ragionamenti più incoerenti. La notte dispiegava il suo mantello lunare sulla natura, quando il giovane dottore varcò la soglia, sorprendendo la generosa famiglia con un saluto gentile e affettuoso.
6. La presenza della promessa sposa gli propiziava un balsamo di soave refrigerio al cuore. In breve tempo, sembrò consolarsi. Tornato di buon umore, ora che le energie interiori riposavano in morbide carezze, narrò entusiasticamente gli ultimi successi. Zaccaria, come osservatore fedele della Legge, gli dava ragione in pieno sulle decisioni prese. La personalità di Stefano fu discussa a fondo. L’ex discepolo di Gamaliel, naturalmente, spiegò la questione a modo suo, rappresentando il predicatore del “Cammino” come un uomo intelligente e quindi pericoloso, a causa delle sue idee rivoluzionarie propagate dalla sua eloquenza. Abigail e Ruth ascoltavano in silenzio, mentre i due mantenevano la vivace conversazione. Ad un certo punto, attenta ad un’osservazione diretta di Saul, la giovane mormorò: «Ma non ci sarebbe un modo per modificare, almeno, la sentenza?»
7. «Cosa vorresti che facessimo?» – disse il giovane con enfasi. – «È già tanto che abbiamo rilasciato i tre capi più importanti, tenendo conto della sfrontatezza delle loro strane prediche. Quanto a Stefano, abbiamo fatto di tutto perché tornasse alla ragione, come un diretto discendente delle tribù d’Israele. Tuttavia, la sua disubbidienza è stata la sua condanna. Mi ha insultato pubblicamente nel Sinedrio, calpestato i nostri principi più sacri e criticato le figure più rappresentative del fariseismo, con allusioni bugiarde e ingrate». E concluse:
8. «Personalmente, sono soddisfatto. Considero la lapidazione prevista come uno degli eventi di maggiore importanza per il futuro della mia carriera. Attesterà il mio zelo per la difesa del nostro patrimonio più stimabile. Abbiamo bisogno di ricordare che Israele, nei giorni più bui, ha preferito l’emancipazione religiosa all’indipendenza politica. Potremmo esporre, forse, i nostri valori morali più preziosi, all’influenza deprimente di un avventuriero qualsiasi?»
9. Il giovane cercò di cambiare il corso della conversazione, mentre Ruth serviva un piacevole bicchiere di vino.
10. Prima di partire, il giovane di Tarso chiese alla promessa sposa la solita passeggiata. Quella notte, la natura sembrava sfoggiare di meraviglie. La luce lunare, che evidenziava nei fiori tutti i toni pallidi, era satura di profumi deliziosi. Loro due, con le mani giunte, sulla rustica panchina, contemplavano il quadro inebriante. Saul sperimentava un soave conforto. Era sollevato. Se Gerusalemme gli offuscava la mente in un vortice di preoccupazioni, quella dimora semplice sulla strada di Giaffa, sembrava scaricare tutti i suoi dolori, elargendo al suo spirito un enorme potenziale di consolazione.
11. «Adesso, mia cara, è tutto pronto» – disse sollecito. – «Da oggi a sei giorni, Dalila ti verrà a prendere personalmente. Potrai conoscere la città, e i miei amici onoreranno nella tua anima generosa la mia scelta felice. Sei soddisfatta?»
12. «Molto» – sussurrò teneramente.
13. «Abbiamo organizzato un vasto programma ricreativo. Voglio portarti a Gerico, dove alcuni nostri conoscenti ci aspettano con immensa gioia. A Gerusalemme ti farò conoscere tutti gli edifici più importanti. Sarai abbagliata dal Tempio e dai suoi tesori lì custoditi dalla dedizione religiosa della nostra stirpe. Vedrai la torre dei romani. I miei connazionali che frequentano la sinagoga di Cilicia vogliono offrirti un prezioso regalo».
14. Abigail si estasiava nell’ascoltarlo discorrere. Quel giovane impulsivo e rude agli occhi degli estranei, ma affettuoso e sensibile nell’intimità, era proprio il suo ideale, l’uomo che aveva atteso per la sua anima affettuosa.
15. «Nessuno potrà offrirmi un dono più prezioso di quanto mandato da Dio per la mia vita, come il tuo cuore fedele e generoso» – disse la giovane donna in un sorriso sincero.
16. «Io ho guadagnato molto di più…..» – disse il dottore di Tarso – «…ricevendo la gemma rara del tuo affetto, che arricchirà la mia vita. A volte, Abigail…» – continuò con l’entusiasmo della gioventù sognatrice – «…nel mio idealismo di vittorie per Gerusalemme sulle grandi città del mondo, penso di raggiungere la vecchiaia come un trionfatore pieno di tradizioni, pieno di saggezza e gloria. Da quando ti ho incontrata è aumentata la mia fiducia nel destino; ho consolidato le mie speranze, e conterò sul tuo aiuto per il lavoro immenso che si apre ai miei occhi. I conquistatori romani conferiscono ai trionfatori una corona di allori e rose. Se un giorno Gerusalemme mi concederà la sua corona trionfale, non la indosserei sulla mia fronte, per lasciarla ai tuoi piedi come un tributo d’amore eterno ed unico».
17. «Oggi stesso…» – prosegui Saul fiducioso nel futuro – «…Gamaliel mi ha detto che presto lascerà il Sinedrio, affinché io possa sostituirlo nel prestigioso incarico. Ecco, amore, la nostra prima e grande vittoria. Appena Dalila tornerà da Tarso, possiamo decidere la data del nostro felice matrimonio. Presumo che averti sempre accanto a me, correggerà i miei impulsi, il mio compito sarà più leggero e l’esistenza più facile e fortunata. Il focolare è una benedizione. E noi l’avremo».
18. «Mai mi sono sentita così fortunata» – esclamò la giovane con lacrime di gioia.
19. Lui le accarezzò le mani e, poiché voleva condividere i suoi sentimenti più intimi con lei, aggiunse: «Tu verrai con noi in città, proprio alla vigilia della morte del predicatore rivoluzionario. L’atto, come da prassi, obbedirà al cerimoniale stabilito dalle nostre abitudini, ed ho intenzione che tu partecipi in mia compagnia».
20. «Ma perché?» – chiese, sussultando leggermente.
21. «Dal momento che lì troveremo i nostri amici più eminenti, desidero sfruttare questa opportunità per presentarti, indirettamente, a tutti loro».
22. «Non ci sarebbe un modo di risparmiarmi questo spettacolo?» – insistette timidamente. – «La morte di mio padre, in agonia, di fronte a crudeli soldati, non mi ha mai abbandonato».
23. Saul non nascose la contrarietà, e rispose: «Forse non hai capito bene! Il caso di Stefano è molto diverso. È un uomo senza significato per noi altri, che si è issato a riformatore sedizioso e insolente. La sua personalità rappresenta, di fatto, la continua mancanza di rispetto e un insulto alle Legge di Mosè, dando vita a un movimento di vaste proporzioni creato da un allucinato Falegname di Nazareth. Pensi che non si debba punire il ladro che deruba un’abitazione? Non meriteranno castigo quelli che bestemmiano nel santuario dell’Eterno?»
24. La fanciulla, comprendendo che avrebbe deluso il promesso sposo se avesse mostrato divergenza di opinione, disse: «Vedo che hai perfettamente ragione. Non dovrei discutere i tuoi concetti, saggi e giusti. Invece, ho intenzione di conquistare l’amicizia dei tuoi amici del Sinedrio, poi non ho perso la speranza della loro protezione nel caso di Jeziel non appena si offrirà l’opportunità di ulteriori ricerche in Acaia. Ma ascolta, Saul: se me lo permetti, vorrei arrivare quando la cerimonia starà per finire. Siamo d’accordo?»
25. Prendendo atto della buona volontà conciliatoria, il giovane di Tarso aprì il suo volto in un bel sorriso di soddisfazione.
26. «Sì, siamo d’accordo. Mi auguro, tuttavia, che parteciperai a tutto con serenità, sicura che io solamente avrei potuto prendere incarichi giusti e decisioni apprezzabili nel compimento del dovere. È un peccato che il prigioniero si sia dimostrato recalcitrante al punto di obbligarmi a queste misure estreme. Tuttavia, credimi, ho fatto di tutto per evitare la condanna a morte. Ho usato ogni mezzo conciliatorio per dissuaderlo dalle sue pericolose illusioni, ma il suo comportamento è stato così fastidioso, che transigere è diventato impossibile».
27. Per lungo tempo si scambiarono altre impressioni affettuose che quella notte amica conservava sotto il manto di luminose stelle. Erano giuramenti affettuosi di un eterno amore, davanti alla benedizione di Dio, presa dai loro più alti e santi pensieri, e progetti e speranze per il futuro.
28. Era tardi quando Saul prese congedo, ritornando a Gerusalemme con l’anima felice.
*
29. Pochi giorni dopo, Abigail, in compagnia del promesso sposo e di sua sorella, si diressero in città, il cui profilo interessante presentava nuove cornici ai suoi occhi. La casa di Dalila, la sera stessa del suo arrivo, si riempì degli amici che vennero per porgere omaggio ed ammirazione alla scelta di Saul.
30. La giovane di Corinto sedusse tutti con le sue doti naturali, abbinate ad una solida e ben curata formazione di spirito. La sua parola, piena di tenerezza, sembrava prendere profondamente distanza dalle futilità che caratterizzavano la gioventù di quell’epoca. Sapeva applicare i più delicati concetti nel trattare tutte le questioni dove era convocata, prendendo le belle lezioni della Legge e delle Sacre Scritture, per definire la posizione della donna nei più intimi aspetti dei doveri della vita familiare.
31. Il dottore di Tarso era orgoglioso, notando l’ammirazione generale intorno alla sua personalità vivace e affettuosa. Abigail, riassumeva il suo più alto ideale, colmando il suo cuore di meravigliose promesse. La sorpresa degli amici, che si congratulavano con lo sguardo, riempivano la sua anima ardente di una nuova gioia. Il giorno dopo sorse chiaro e bello. Al Sole splendente di Gerusalemme, Saul salutò l’amata promessa sposa, per andare prima al lavoro nel Sinedrio.
32. «A presto, nel Tempio» – disse affettuosamente.
33. «Nel Tempio?» – domandò Dalila meravigliata, abbracciandosi ad Abigail.
34. «Sì…» – disse sollecito – «…Abigail sarà presente alla parte finale della punizione di Stefano».
35. «Ma come?» – chiese ancora la ragazza. – «Donne nella cerimonia?»
36. «La lapidazione avrà luogo presso l’altare degli olocausti e non nelle sacre sale» – disse. – «A mio avviso, non ci sarà alcun impedimento alle rappresentanze femminili, e anche se questo costituisse una risoluzione dell’ultima ora, a discrezione dei sacerdoti, la misura non potrà ostacolare la mia decisione personale, ed io desidero che Abigail si unisca a me nella mia prima vittoria in difesa dei nostri principi sovrani».
37. Entrambe sorrisero, felici, osservando le eccellenti disposizioni.
38. «Come ultima risorsa, Saul…» – disse Abigail in un gesto di tranquillità e tenerezza – «…non dimenticare di offrire al condannato un’ultima possibilità per salvarsi dalla morte. Dopo due mesi di prigionia è possibile che abbia cambiato i sentimenti più profondi. Domandagli, ancora una volta, se si ostina ad insultare la Legge».
39. Il giovane di Tarso le inviò uno sguardo soddisfatto e riconoscente, era felice di verificare tale grandezza di cuore, e disse:
40. «Così sia!»
*
(Atti 7,59-60): [59]E così lapidavano Stefano mentre pregava e diceva: «Signore Gesù, accogli il mio spirito». [60]Poi piegò le ginocchia e gridò forte: «Signore, non imputar loro questo peccato». Detto questo, morì.
41. In quello stesso giorno, di buon mattino, il più importante Tribunale di Israele presentava un insolito movimento. L’esecuzione del predicatore del “Cammino” costituiva oggetto di ampi commenti. soprattutto tra i farisei che s’informavano su tutti i dettagli. Nessuno voleva perdere il penoso spettacolo. La modesta Chiesa di Simon Pietro, invece, non osò avvicinarsi per qualche domanda. Saul, come persecutore dichiarato e usando tutte le prerogative a disposizione della sua investitura legale, fece annunziare che nessun adepto del “Cammino” avrebbe potuto assistere all’esecuzione, la quale si sarebbe tenuta in uno dei grandi cortili del santuario. Lunghe file di soldati furono disposte nella grande piazza per disperdere qualsiasi gruppo di mendicanti che si fosse formato con intenzioni sconosciute. Dalle prime ore della mattina numerosi accattoni di Gerusalemme, vicini al tribunale, furono allontanati a colpi di durindana. Dopo mezzogiorno, i funzionari e i curiosi si riunirono, avidi di sensazioni, nelle vicinanze del Sinedrio in un tumultuoso vociare. Erano in attesa del condannato, che arrivò, finalmente, circondato da una scorta armata, come se fosse un malfattore comune.
42. Stefano si presentò abbastanza sfigurato, anche se il suo volto non tradiva la sua peculiare serenità. Il passo tardivo, la stanchezza estrema, i lividi delle mani e dei piedi, evidenziavano nel fisico i pesanti tormenti che gli erano stati inflitti all’ombra delle segrete. La barba lunga modificava il suo aspetto nella fisionomia, tuttavia, gli occhi avevano la stessa sfolgorante bontà cristallina.
43. Nel mezzo della curiosità generale, Saul di Tarso lo guardò soddisfatto. Stefano avrebbe pagato, finalmente, le incomprensioni e gli insulti.
44. Al tempo stabilito, il dottore lesse inflessibile l’atto d’accusa. Tuttavia, prima di pronunciare la sentenza finale, fedele a ciò che aveva promesso, ordinò ai soldati che portassero il condannato fino alla sua tribuna. Di fronte al predicatore del Vangelo, senza alcuna espressione di pietà, lo interrogò duramente: «Saresti disposto, adesso, a giurare contro il Falegname di Nazareth? Ricorda che questa è l’ultima possibilità di rimanere in vita».
45. Queste parole, pronunciate meccanicamente, suonarono in modo strano agli orecchi del giovane di Corinto, il quale le accolse nell’animo sensibile e generoso come nuovi dardi di ironia.
46. «Non insultare il Salvatore!» – disse l’araldo di Cristo con audacia. – «Niente al mondo mi farà rinunciare alla Sua tutela divina! Morire per Gesù significa la gloria, quando sappiamo che lui s’immolò sulla croce per l’umanità intera!»
47. A questo punto, un torrente di imprecazioni lo interruppe.
48. «Basta! Lapidiamolo quanto prima! Morte all’immondo! Stregone! Bestemmiatore! ... Calunniatore!»
49. Il clamore prese proporzioni spaventose. Alcuni farisei più furibondi, ingannando le guardie, si avvicinarono a Stefano cercando di trascinarlo fuori senza compassione. Tuttavia, al primo strattone, un pezzo della tunica rimase tra le loro mani. Fu necessario l’intervento della forza armata affinché il ragazzo di Corinto non fosse fatto a pezzi, proprio lì, dalla folla furiosa e delirante. Saul, a gran voce, ordinò l’intervento dei soldati. Voleva l’esecuzione del discepolo del Vangelo, ma con tutto il cerimoniale previsto.
50. Stefano adesso aveva il viso arrossato e imbrattato di sangue. Mezzo nudo, fu aiutato da un legionario romano a recuperare i pezzi della tunica fatta a brandelli, sistemandola sopra i reni, per non essere completamente nudo. Con mano tremante dai maltrattamenti ricevuti, cercò di asciugare la saliva che i più esaltati gli avevano sputato in faccia. Un forte colpo alla spalla gli causò un intenso dolore in tutto il braccio. Capì che era arrivato il suo ultimo istante di vita. L’umiliazione gli doleva profondamente, ma ricordava le descrizioni di Simon su Gesù, negli ultimi momenti. Di fronte ad Erode Antipa, il Cristo subì dagli israeliti identiche ironie. Fu fustigato, ridicolizzato, ferito. Quasi nudo sopportò tutte le atrocità senza lamentarsi, senza nemmeno un’espressione meno degna. Lui che amava gli infelici, che aveva lavorato per fondare una dottrina di armonia e di amore per tutti gli uomini, che aveva benedetto e accolto con calore il più miserabile, ricevette come ricompensa la croce e torture incommensurabili.
51. E così, Stefano pensò: «Chi sono io? E chi era il Cristo?». Questa intima domanda gli propiziò una certa consolazione. Il Principe della pace fu trascinato per le vie di Gerusalemme, sotto disprezzanti offese e ingiurie, e Lui era l’atteso Messia, l’Unto di Dio! Per quale motivo, lui, essendo solo un uomo fallibile, titolare di innumerevole debolezze, avrebbe dovuto esitare al momento della testimonianza? E con le lacrime che rigavano il suo volto lacerato, ascoltò la voce amorevole del Maestro nel cuore: “Tutti coloro che desiderano essere partecipi del Mio regno, si neghino a se stessi, prendano la loro croce, e seguano i Miei passi”. Era necessario negarsi per accettare il sacrificio fruttuoso. Al termine di tutti i martirii doveva incontrare l’Amore glorioso di Gesù, con la magnificenza della Sua tenerezza immortale.
52. Il predicatore umiliato e ferito ricordò il passato di lavoro e di speranze. Gli sembrò di rivedere l’infanzia con nostalgia, in cui lo zelo materno gli aveva infuso i fondamenti della fede consolante; in seguito, le nobili aspirazioni della gioventù, la dedizione paterna, l’amore della sorellina che le circostanze del destino gli avevano portato via. Quando pensò ad Abigail, sperimentò una certa angoscia nel cuore. Ora che doveva affrontare la morte, avrebbe voluto rivederla per le ultime raccomandazioni. Rievocò l’ultima notte in cui si erano scambiati le impressioni di tenerezza e tante promesse fraterne, nel lugubre carcere di Corinto. Nonostante i movimenti rinnovatori della fede, il cui lavoro condivideva attivamente a Gerusalemme, non era mai riuscito a dimenticare il dovere di cercarla, fosse dove fosse.
53. Mentre intorno si moltiplicavano le ingiurie nel vortice di urla e minacce rivoltanti, il condannato pianse con i ricordi. Sostenendosi nelle promesse del Cristo nel Vangelo, sperimentando un lieve sollievo. L’idea che la sorella restava nel mondo, consegnata a Gesù, alleggerirono le angosce del suo cuore.
54. Non era ancora uscito dai suoi ricordi dolorosi, che sentì la voce imperiosa di Saul ordinare alle guardie: «Ammanettatelo di nuovo, tutto è compiuto, proseguiamo per l’atrio».
55. Il discepolo di Simon Pietro, alzando i polsi per ricevere le manette, subì un colpo così forte da un soldato senza scrupoli, che dai polsi feriti iniziò a sgorgare il sangue.
56. Stefano, tuttavia, non fece nessun gesto di resistenza. Di volta in volta alzava gli sguardi, come se implorasse le risorse del Cielo per i suoi attimi supremi. Nonostante le offese e le ferite che lo dilaniavano, sperimentava una pace spirituale sconosciuta. Tutte quelle sofferenze del cerimoniale erano per il Cristo. Quella era la sua opportunità divina.
57. Il Maestro di Nazareth aveva convocato il suo cuore fedele per la testimonianza pubblica dei valori spirituali e della Sua gloriosa dottrina. Fiducioso, ragionò così: «Se il Messia aveva accettato la morte infamante nel famigerato Calvario per salvare tutti gli uomini, non sarebbe stato un onore, dare la propria vita per Lui?» – Il suo cuore, sempre avido di dare testimonianza del Signore da quando aveva conosciuto il Vangelo di redenzione, non avrebbe dovuto gioire per la possibilità di offrire la propria vita? Tuttavia, l’ordine di camminare lo strappò dai pensieri più elevati.
58. Il generoso predicatore del “Cammino” esitava nei passi barcollanti, ma aveva calmo e fermo lo sguardo, rivelando coraggio negli ultimi momenti di testimonianza.
59. In quelle prime ore del pomeriggio, il Sole di Gerusalemme era un braciere cocente. Nonostante il calore insopportabile, la massa si spostò con profondo interesse. Si trattava del primo processo riguardante le attività del “Cammino”, dopo la morte del suo fondatore. Distaccandosi da tutte le correnti giudaiche presenti lì, in segno di prestigio per la Legge di Mosè, i farisei facevano grande tumulto. Accompagnando il condannato, insistevano nel lanciargli in viso le più pesanti ingiurie. Egli, però, anche se evidenziava profonda tristezza, camminava mezzo nudo, sereno e imperturbabile. La sala delle riunioni del Sinedrio non era lontana dall’atrio del Tempio dove si sarebbe realizzata la macabra cerimonia. Solo pochi metri e la camminata si sarebbe conclusa, proprio sul luogo dove sorgeva il grande altare degli olocausti.
60. Tutto fu preparato a dovere. Come Saul aveva fatto capire nei suoi propositi, in fondo all’ampio cortile Stefano fu legato ad un palo, in modo che la lapidazione si realizzasse nell’ora stabilita.
61. Gli esecutori sarebbero stati i rappresentanti delle varie sinagoghe della città, perché era un ruolo d’onore attribuito a quanti fossero stati in grado di operare in difesa di Mosè e dei suoi principi. Ogni sinagoga indicò un suo delegato, e per iniziare la cerimonia, come capo del movimento, Saul li ricevette uno ad uno a fianco alla vittima, tenendo nelle mani, secondo la prassi, le mantelle sfavillanti, adornate di porpora.
62. A un altro ordine del giovane di Tarso l’esecuzione cominciò tra le risate. Ogni boia fissò freddamente il punto preferito, sforzandosi di trarre il maggior vantaggio.
63. Risate generali seguivano ad ogni colpo.
64. «Risparmiamo la testa…» – disse uno dei più esaltati – «…affinché lo spettacolo non manchi di intensità e di interesse».
65. Ogni fazione del giudaismo accompagnava il boia indicato dai capi delle sinagoghe con attenzione ed entusiasmo, al grido di: «Morte al traditore! Morte allo stregone! ...»
66. «Ferisci il cuore, in nome dei cilici!» – esclamò un altro, in mezzo alla folla.
67. «Strappagli la gamba per gli edomiti!» – incalzò un’altra voce, spudoratamente.
68. Più o meno lontano dalla folla, seguendo da vicino i movimenti del condannato, Saul di Tarso si stava godendo il fermento popolare, soddisfatto e confortato. In ogni caso, la morte del predicatore del Cristo rappresentava il suo primo grande trionfo nella conquista delle attenzioni di Gerusalemme e dei suoi prestigiosi gruppi politici. In quel momento, focalizzava tante acclamazioni dal popolo della sua stirpe, esaltandosi della decisione che lo aveva portato a perseguitare il “Cammino”, senza considerazione e senza tregua. Ma quella tranquillità di Stefano, in ogni caso, sbalordiva il suo cuore capriccioso e inflessibile. – Da dove poteva trarre tanta serenità? Sotto le pietre che lo colpivano, quegli occhi fissavano i carnefici senza rivelare paura o turbamento!
69. Di fatto, legato in ginocchio al palo del supplizio, il giovane di Corinto conservava sorprendenti inflessioni di pace negli occhi limpidi, dove lacrime silenziose scorrevano abbondanti. Il petto nudo era una piaga sanguinante. Le vesti dilaniate s’incollavano al corpo, imbrattate di sudore e sangue.
70. Il martire del “Cammino” si sentiva sostenuto da forze potenti e intangibili. Dopo ogni nuovo colpo, sentiva aumentare i patimenti infiniti che gli fustigavano il corpo, ma nell’intimo conservava la sensazione di sublime sollievo. Il suo cuore batteva all’impazzata, il petto era coperto di ferite profonde, le costole erano fratturate.
71. In quest’ora suprema, rammentò il vincolo di fede che lo legava ad una vita superiore. Ricordò tutte le preghiere preferite dell’infanzia. Faceva il possibile per fissare sulla retina l’immagine della morte del padre torturato e incompreso. Intimamente ripeté il Salmo 23 di Davide, che cantava insieme alla sorella nelle situazioni apparentemente insuperabili. “Il Signore è il mio pastore. Nulla mi può mancare...”. Le parole delle Sacre Scritture, come le promesse del Cristo nel Vangelo, si trovavano al centro del suo cuore. Il corpo si era frantumato nel tormento, ma lo spirito era calmo e pieno di speranza.
72. Adesso aveva l’impressione che due mani affettuose passavano leggere sulle ferite dolorose, propiziando una morbida sensazione di sollievo. Senza nessuna paura, si rese conto di aver raggiunto il sudore dell’agonia.
73. Devoti amici, del piano spirituale, circondavano il martire nei suoi attimi supremi. Al culmine del dolore fisico, come se avesse oltrepassato infiniti abissi di percezione, il giovane di Corinto si accorse che qualcosa si era rotto nella sua anima tormentata. I suoi occhi sembravano immergersi nelle immagini gloriose di un’altra vita. La legione degli emissari di Gesù che lo circondava con affetto, gli appariva come una corte celeste. Nel cammino di luce disteso dinanzi a lui, riconobbe qualcuno che si avvicinava spalancando le braccia generose. Dalle descrizioni che aveva sentito da Pietro, si rese conto che contemplava il Maestro stesso in tutto lo splendore delle glorie divine.
74. Saul osservò che gli occhi del condannato erano fissi e sfolgoranti. Fu quando l’eroe cristiano, muovendo le labbra, esclamò ad alta voce: «Ecco che vedo i cieli aperti e il Cristo risorto nella grandezza di Dio! ...»
75. Allora si notarono due giovani donne avvicinarsi all’aguzzino con gesti compassionevoli: Dalila e Abigail andavano verso il fratello, non ancora riconosciuto. La seconda, tenera fanciulla, portava una tunica elegante alla moda greca, il che evidenziava il suo bel viso.
76. Forse per la dolorosa scena in corso, o per la presenza della donna amata, si percepiva che Saul era alquanto perplesso e coinvolto. Si direbbe che il coraggio indomito di Stefano[30] lo portava a considerare la tranquillità sconosciuta che doveva regnare nello spirito del martire.
77. Invece la giovane, dato il clamore che la circondava e percependo la miserabile situazione della vittima, mal poté trattenere un grido di stupore. Chi era quell’uomo legato al palo del supplizio? Quel petto ansante, raggrumato di sangue, quei capelli, quella faccia pallida che la barba lunga sfigurava, non erano di suo fratello? Oh! Come parlare delle angosce supreme nella sorpresa imprevista di un attimo? Abigail tremò. I suoi occhi afflitti seguivano i più piccoli movimenti dell’eroe che sembrava indifferente nell’estasi che lo assorbiva. Invano Saul cercò di richiamare la sua attenzione, discretamente, in modo da risparmiarle dolorose immagini. La fanciulla sembrava non vedere nulla al di là del condannato che moriva nel sangue del martirio. Ricordava ora... che nell’allontanarsi dalla prigione dopo la morte del padre, Jeziel era proprio così, in quella posizione tormentosa come l’aveva lasciato. Il palo esecrabile, le manette spietate, e il poveretto in ginocchio! Ebbe l’impulso di gettarsi davanti ai carnefici e chiarire la situazione, nel voler conoscere l’identità di quell’uomo.
78. In quell’istante, ignorando di essere il bersaglio della singolare attenzione, il predicatore del “Cammino” uscì dalla sua impressionante immobilità. Vedendo che Gesù fissava melanconicamente la figura del dottore di Tarso come se si dispiacesse per le sue riprovevoli deviazioni, il discepolo di Simon Pietro provò per il suo carnefice una sincera amicizia nel cuore. Egli conosceva il Cristo, Saul no. Pieno di vera fraternità e volendo difendere il persecutore, esclamò in modo sconcertante: «Signore, non imputargli questo peccato!...»
79. Detto questo, voltò gli occhi per fissare il persecutore con amore. In quel momento riconobbe insieme a lui la figura della sorella, vestita come nei giorni di festa nella casa paterna. Era lei, la sorellina amata, il cui affetto tante volte gli aveva fatto palpitare il cuore di nostalgia e di speranza. Come spiegare la sua presenza? Chissà se era stata anche lei portata al regno del Maestro e adesso tornava con lui, in spirito, per portargli l’accoglienza di un mondo migliore? Desiderò urlare la sua gioia infinita, attirarla, sentire la sua voce nei cantici di Davide, morire cullato dal suo affetto, ma la gola già non vibrava più. L’emozione lo dominava nell’ora estrema. Sentì che il Maestro di Nazareth gli accarezzava la fronte, dove l’ultima pietra aprì un bocciolo di sangue. Ascoltava, molto lontano, voci argentine che cantavano inni d’amore sulle gloriose beatitudini del Sermone del Monte. Incapace di resistere più a lungo al supplizio, il discepolo del Vangelo si sentì svenire.
80. Vedendo le espressioni del condannato e ricevendo il suo sguardo sfolgorante e limpido, Abigail non riuscì a nascondere la dolorosa sorpresa.
81. «Saul! Saul! ... È mio fratello!!» – esclamò atterrita.
82. «Che dici?» – balbettò sommessamente il dottore di Tarso spalancando gli occhi. – «Non può essere! Sei impazzita?»
83. «No! No! È lui! È lui!» – ripeté presa da estremo pallore. «È Jeziel!» – insistette Abigail disperata. – «Caro, concedimi un minuto, fammi parlare con il moribondo un minuto appena!»
84. «Impossibile!» – rispose il giovane, contrariato.
85. «Saul, per la Legge di Mosè, per l’amore dei nostri genitori, ti prego...» – esclamò la fanciulla torcendosi le mani.
86. L’ex allievo di Gamaliel non credeva nella possibilità di una simile coincidenza. Inoltre, vi era una differenza di nome. Conveniva chiarire questo punto, prima di tutto. Certo, la falsa impressione di Abigail si sarebbe disfatta al primo contatto diretto con il moribondo. La sua indole, sensibile e affettuosa, giustificava ciò che per la sua visione era assurdo, abbinando queste riflessioni di un secondo, parlò alla promessa sposa, con durezza: «Vengo con te per identificare il moribondo, ma fino a quando non lo facciamo, fa’ tacere le tue impressioni... Non una parola, hai capito? È necessario non dimenticare la rispettabilità del luogo in cui ti trovi!»
87. Poco dopo chiamò un ufficiale di alto rango e disse seccamente: «Manda a prendere il cadavere e portalo all’ufficio dei sacerdoti».
88. «Signore…» – disse l’altro rispettoso – «…il condannato non è ancora morto!»
89. «Non importa, conducilo comunque, perché voglio strappargli la confessione di pentimento nell’ora estrema».
90. La determinazione fu compiuta senza ulteriori ritardi, mentre, nel contempo, Saul mandò agli amici e ammiratori molte anfore di vino delizioso per celebrare il suo primo trionfo. Poi, accigliato e apprensivo, quasi furtivamente, si introdusse nella sala riservata ai sacerdoti di Gerusalemme in compagnia della promessa sposa.
91. Attraversando i gruppi che lo salutarono con frenetiche acclamazioni, il giovane di Tarso sembrava ignaro di se stesso. Conduceva Abigail per il braccio, con delicatezza, ma non le rivolgeva una parola. La sorpresa lo aveva zittito. E se Stefano fosse, di fatto, quel Jeziel che aspettavano con tanta ansietà? Assorti nelle riflessioni dolorose, entrarono nella camera solitaria. Il giovane dottore ordinò il ritiro degli ausiliari e chiuse con cura la porta.
92. Abigail si avvicinò al fratello insanguinato, con infinita tenerezza, e lui, come se si sentisse richiamato alla vita da una forza potente e invincibile, osservato da entrambi mentre girava la testa sanguinante, mormorò evidenziando il penoso sforzo dell’estrema agonia: «Abigail! ...»
93. Quella voce era quasi un sospiro, ma lo sguardo era quieto e luminoso. Sentendo la sua espressione incerta e strascicata, il giovane di Tarso indietreggiò sbalordito. Cosa significava tutto questo? Impossibile dubitare! La vittima della sua implacabile persecuzione era il fratello amato della donna prescelta! Quale meccanismo del destino aveva generato una simile situazione che lo avrebbe amareggiato per tutta la vita? Dov’era Dio, che non lo aveva ispirato nel labirinto delle circostanze, avendolo portato fino a quell’esito irrimediabile e crudele? Si sentì pieno di un dolore sconfinato. Lui, che aveva eletto Abigail ad angelo custode della sua esistenza, sarebbe stato costretto a rinunciare a questo amore per sempre. L’orgoglio di uomo non gli avrebbe permesso di sposare la sorella del suo presunto nemico, confessato e giudicato come semplice criminale. Stordito, si lasciò stare lì, come se una forza ingovernabile lo inchiodasse al suolo, trasformandolo in oggetto di insopportabili ironie.
94. «Jeziel!» – esclamò Abigail baciando e lavando con le lacrime la fronte del moribondo. – «Sapessi come ti vedo! ... Sembra che il calvario ti sia durato dal giorno in cui ci siamo lasciati! ...» – e singhiozzava...
95. «Sto bene»... – disse il discepolo di Gesù, facendo il possibile per muovere la mano destra rotta, lasciando percepire il desiderio di accarezzare i suoi capelli, come ai tempi dell’infanzia e della prima giovinezza.
96. «Non piangere...! Io sono con il Cristo! ...»
97. «Chi è il Cristo?» – sussurrò – «Perché ti chiamano Stefano? Come hanno potuto cambiarti in questo modo?»
98. «Gesù... è il nostro Salvatore...» – disse il morente, con lo scopo di non perdere i minuti che scorrevano veloci. – «E adesso mi chiamano Stefano... perché un generoso romano mi liberò... ma mi ha chiesto... assoluto segreto. Perdonami... È stato per gratitudine che ho obbedito al consiglio. Nessuno sarà riconosciuto da Dio se non mostra gratitudine agli uomini...».
99. Vedendo che la sorella singhiozzava, continuò: «So che morirò... ma l’anima è immortale... mi dispiace lasciarti... giusto adesso che torno a vederti, ma ti aiuterò dal posto dove andrò».
100. «Ascolta, Jeziel…» – esclamò la sorella disperata – «…cosa ti ha insegnato questo Gesù da portarti a una fine così dolorosa? Colui che lascia un fedele servitore, non è piuttosto un padrone crudele?»
101. Il morente sembrava ammonirla con lo sguardo: «Non pensare in questo modo» – proseguì con difficoltà. – «Gesù è giusto e misericordioso... ha promesso di essere con noi fino alla fine dei secoli... lo capirai dopo; a me, ha insegnato ad amare i carnefici...».
102. Lei lo abbracciò con affetto, sfinita in lacrime abbondanti. Dopo una pausa in cui si notava che la vittima era arrivata ai momenti finali della vita terrena, notò che Stefano si agitava in sforzi supremi.
103. «Con chi ti lascerò?»
104. «Questo è il mio promesso sposo» – disse la giovane indicando il giovane di Tarso che sembrava pietrificato.
105. Il morente lo guardò senza odio, e dichiarò: «Cristo vi benedica... Nel tuo promesso sposo non ho un nemico, ma un fratello... Saul deve essere buono e generoso; ha difeso Mosè fino alla fine... ma quando conoscerà Gesù, lo servirà con lo stesso ardore... Che tu sia per lui una compagna amorevole e fedele...».
106. Ma la voce del predicatore del “Cammino” era ormai flebile e quasi impercettibile. In preda alla morte, contemplava Abigail fraternamente intenerito.
107. Ascoltando le ultime frasi, il dottore di Tarso divenne livido. Voleva essere odiato, maledetto. La compassione di Stefano, frutto di una pace che lui, Saul, non aveva mai conosciuto nell’apice delle posizioni mondane, lo impressionava profondamente. Tuttavia, senza sapere il perché, la rassegnazione e la dolcezza dell’agonizzante avevano assalito il suo cuore indurito, ma intimamente lavorava per non lasciarsi commuovere dalla scena dolorosa. Non si sarebbe lasciato piegare per una questione di sentimentalismo. Disprezzava quel Cristo, che sembrava requisirlo ovunque, fino al punto di mettere se stesso tra lui e la donna amata.
108. L’animo tormentato del futuro rabbino subiva la pressione di mille fuochi. Aveva disdegnato l’orgoglio di famiglia per eleggere Abigail a compagna di lotte, anche se lui non conosceva gli antenati della sua famiglia. Lui l’amava con i legami dell’anima, scoprendo nel suo cuore delicato e femminile tutto ciò che aveva sognato nelle cogitazioni di ordine temporale. Lei riassumeva la sua speranza di giovane; era il pegno del suo destino, rappresentava la risposta di Dio all’appello della sua giovinezza idealista. Ora si era aperto tra loro un profondo abisso. – Sorella di Stefano! Nessuno aveva avuto il coraggio, nella vita, di sfidare la sua autorità, tranne l’ardente predicatore del “Cammino”, le cui idee mai si sarebbero potute congiungere con le sue. Odiava quel giovane appassionato all’ideale esotico di un Falegname, conclusosi con la vendetta. Se avesse sposato Abigail, non sarebbe mai stato felice. Egli sarebbe stato il carnefice, lei la vittima. Inoltre, la sua famiglia, aggrappandosi al rigore delle antiche tradizioni, non avrebbe potuto tollerare l’unione, dopo aver conosciuto le circostanze. Strinse il petto in lacrime, dominato da una disperazione straziante.
109. Abigail, piangendo, accompagnava l’agonia dolorosa di suo fratello, i cui ultimi minuti scorrevano lentamente. Emozioni penose s’impossessarono di tutte le sue energie. Col dolore che la dilaniava nelle fibre più sensibili, sembrava non vedere il promesso sposo che la seguiva nei più piccoli movimenti, tra il sorpreso e il terrorizzato. Con grande cura, la giovane donna sosteneva la fronte del moribondo, dopo essersi seduta per adagiarla con amore.
110. Notando che il fratello le aveva dato l’ultimo sguardo, esclamò con angoscia: «Jeziel, non andare via... Rimani con noi! Non ci lasceremo mai più! ...»
111. Lui, quasi sospirando, sussurrò: «La morte non separa... coloro che si amano...». – E, come se si fosse ricordato di qualcosa molto caro al suo cuore, aprì gli occhi smisuratamente in un’espressione di grande felicità: «Come nel Salmo... di Davide...» – disse biascicando – «possiamo... dire... che l’amore... e la misericordia... ci hanno seguito... in tutti i giorni... della nostra vita...».
112. La giovane ascoltò le sue ultime parole, emozionata. Asciugò il sudore di sangue dal suo viso che s’illuminava di una serenità superiore.
113. «Abigail...» – mormorò in un sospiro – «…me ne vado in pace... Volevo sentirti nella preghiera... degli afflitti e agonizzanti...».
114. Lei ricordò gli ultimi momenti di supplizio del genitore, nel giorno dell’indimenticabile separazione nelle segrete di Corinto. D’improvviso si rese conto che lì c’erano altre forze in gioco. Niente più Licinio Minucio e i crudeli aguzzini, ma il promesso sposo trasformato in carnefice per un terribile errore.
115. Accarezzò con più cura la sua testa sanguinante. Strinse il moribondo al cuore come un bambino amato. Così, anche se rigido e inflessibile in apparenza, Saul di Tarso osservò, nitidamente, il quadro che mai più avrebbe rimosso dalla mente. Stringendo il moribondo al petto, la giovane fissò in alto, mostrando le lacrime che cadevano struggenti. Non cantava, ma la preghiera ne usciva dalle labbra come una naturale supplica del suo spirito ad un Padre amorevole e invisibile:
“Signore Dio,
Padre di coloro che piangono,
dei tristi e degli oppressi.
Roccaforte dei vinti,
Consolazione di tutto il dolore,
anche nella miseria amara
delle lacrime dei nostri errori,
in questo mondo di esilio
imploriamo il vostro amore!
Nelle afflizioni del cammino,
nella notte più tormentosa,
la Vostra fonte generosa
è il bene che non si seccherà.
Siete, in tutto, la Luce eterna
di gioia e di quiete,
la nostra Porta di speranza
che mai si chiuderà.
Quando tutto ci disprezza
nel mondo di iniquità,
quando arriva la tempesta
sui fiori dell’illusione!
O Padre, siete la Luce divina,
il Cantico della certezza,
vincendo tutte le speranze,
vincendo ogni afflizione.
Nel giorno della nostra morte,
nell’abbandono o nel tormento
portaci l’oblio
dell’ombra, del dolore, del male!...
Che nell’ultimo momento,
sentiamo la luce della vita
rinnovata e redenta
nella pace gioiosa e immortale”
116. Dopo la preghiera, il volto di Abigail era intriso di lacrime. Jeziel si calmò sotto le carezze soavi delle sue morbide mani. Il pallore della neve descriveva il suo viso cadaverico, appaiato con la serenità profonda della sua espressione. Saul comprese che era morto. E mentre la giovane di Corinto si alzava con cura, come se il cadavere di suo fratello aspettasse tutta la tenerezza del suo spirito gentile, il giovane di Tarso si avvicinò scontroso e parlò con severità: «Abigail, tutto è consumato, e tutto è finito anche tra di noi!»
117. La povera creatura si voltò per lo stupore. Quindi, non le bastavano i colpi ricevuti? Era possibile che l’amato promesso sposo non aveva una parola di conciliazione generosa in quel momento difficile della sua vita? Non solo riceveva la più fredda umiliazione con la morte di Jeziel, ma per di più, l’abbandono?
118. Sconvolta da tutto ciò che aveva trovato a Gerusalemme, capì che aveva bisogno di usare tutta la propria forza per non cedere davanti alla dura prova che le era stata riservata. E vide subito che, nell’orgoglio di Saul, non avrebbe trovato consolazione. In un attimo, arrivò alle conclusioni sul ruolo che le competeva in tale circostanza imbarazzante. Senza ricorrere alla sensibilità femminile, prese coraggio e parlò con dignità e nobiltà: «Tutto finito tra noi, perché? La sofferenza non deve bandire l’amore sincero».
119. «Non mi capisci?» – rispose il giovane orgoglioso... – «La nostra unione è diventata impraticabile. Non potrei sposare la sorella di un nemico di maledetta memoria. È stata infelice la scelta di questa occasione per farti visitare Gerusalemme. Mi vergogno non solo davanti alla donna con la quale non potrò mai unirmi in matrimonio, come per i parenti e amici, per la situazione amara che le circostanze hanno portato sulla mia strada...».
120. Abigail era pallida e dolorosamente sorpresa, e disse: «Saul... Saul... non vergognarti davanti al mio cuore. Jeziel è morto stimandoti. Il suo cadavere ci ascolta» – disse con accento doloroso. – «Non posso obbligarti a sposarmi, ma non trasformare il nostro affetto in odio sordo... Resta mio amico!... Ti sarò eternamente grata per i mesi di felicità che mi hai propiziato. Domani torno a casa da Ruth... Non vergognarti di me! A nessuno dirò che Stefano era mio fratello, neanche a Zaccaria! Non voglio che un nostro amico ti consideri un carnefice».
121. Osservando quell’umile generosità, il giovane di Tarso ebbe l’impeto di stringerla al cuore, come se fosse una bambina. Voleva andare avanti, stringerla al petto, coprendola di baci sulla fronte generosa e innocente. D’improvviso, però, gli vennero in mente i suoi titoli e doveri; già vedeva Gerusalemme in rivolta, lui con la reputazione bruciata da amare ironie. Il futuro rabbino non poteva essere vinto; il dottore della Legge rigido e implacabile, avrebbe dovuto soffocare l’uomo per sempre.
122. Mostrandosi impassibile, rispose in tono aspro: «Accetto il tuo silenzio intorno alle tristi vicende di questo giorno; tornerai domani a casa da Ruth, ma non ti aspettare che continuerò a farti visita, neanche per atto di cortesia, ingiustificabile, perché, nella sincerità di quelli della nostra stirpe, chi non è amico, è nemico».
123. La sorella di Jeziel ricevette quelle spiegazioni con profondo stupore. «Allora mi abbandoni completamente, così?» – chiese in lacrime.
124. «Tu non sei abbandonata…» – mormorò inflessibile – «…hai gli amici sulla strada di Giaffa».
125. «Ma, dopo tutto, perché hai odiato così tanto mio fratello? Era sempre stato buono. A Corinto non ha mai offeso nessuno».
126. «Era predicatore del malfamato Falegname di Nazareth» – disse, contrariato e duro. – «Inoltre, mi ha umiliato davanti a tutta la città».
127. Abigail, costretta dalla severità delle risposte, zittì. Che potere avrebbe potuto avere questo Nazareno per attirare così tante dedizioni e causare tanti odi? Finora non si era mai interessata alla figura del famoso Falegname morto sulla croce come un malfattore; eppure, suo fratello le aveva detto di aver trovato in Lui il Messia. Per sedurre un personaggio cristallino come Jeziel, il Cristo non poteva essere un uomo ordinario. Ricordò il passato del fratello e considerò che, nel caso della ribellione paterna, era riuscito a mantenersi al di sopra dei vincoli di sangue per ammonire il genitore con amore. Se aveva avuto la forza di analizzare gli atti paterni con giudizio accurato, voleva dire che questo Gesù era molto grande, perché gli si consacrasse e gli offrisse la propria vita dopo aver riconquistato la libertà. Jeziel, a suo avviso, non sbagliava. Conoscendo il suo carattere dalla culla, non era possibile che si lasciasse ingannare dalle sue convinzioni religiose. Adesso era attratta da quel Gesù sconosciuto e odiato ingiustamente. Aveva insegnato al fratello a voler bene ai propri carnefici. Cos’altro non le avrebbe riservato, quindi, per il suo cuore assetato d’amore e di pace? Le ultime parole di Jeziel avevano esercitato su di lei una profonda influenza.
128. Immersa in profonde meditazioni, osservò che Saul aveva aperto la porta, chiamando alcuni aiutanti che si affrettarono a eseguire i suoi ordini. In pochi minuti le spoglie di Stefano furono rimosse, mentre i numerosi amici circondarono la giovane coppia, espansivamente loquaci e soddisfatti.
129. «Cos’è questo?» – chiese uno di loro ad Abigail, notando la sua tunica macchiata di sangue.
130. «Il condannato era israelita…» – interruppe il giovane di Tarso, desideroso di anticipare spiegazioni – «…e, come tale, lo abbiamo sostenuto nell’ora estrema».
131. Con uno sguardo grave, accennò alla giovane, in quanto doveva contenere le proprie emozioni lontana e al di sopra dei veri avvenimenti.
*
(Atti 8,2): [2]Persone pie seppellirono Stefano e fecero un grande lutto per lui.
132. Dopo alcuni minuti, il vecchio Gamaliel venne a chiedere all’ex discepolo qualche momento di attenzione in privato.
133. «Saul…» – disse gentilmente – «…spero di partire la settimana prossima per andar fuori Damasco. Mi riposerò vicino a mio fratello e approfitterò della notte della vecchiaia per meditare e riposare lo spirito. Ho già fatto le dovute notifiche al Sinedrio e al Tempio, e credo che, nel giro di pochi giorni, verrai effettivamente nominato al mio ufficio».
134. L’interpellato fece un leggero gesto di ringraziamento, la cui freddezza mal nascondeva lo sconforto che c’era nella sua anima.
135. «Tuttavia…» – proseguì premurosamente il generoso rabbino, «…ho un’ultima richiesta da farti: considero Simon Pietro come un amico. Questa confessione può provocarti scandalo, ma mi sento di fartela lo stesso. Ho finito di ricevere la sua visita, ha chiesto il mio intervento affinché il cadavere della vittima di oggi sia consegnato alla Chiesa del “Cammino”, che lo seppellirà con molto amore. Sono l’intermediario della richiesta, e spero non mi rifiuti il favore».
136. «Dite, “vittima”?» – chiese Saul sconcertato. – «L’esistenza di una vittima richiede la presenza di un boia, ed io non sono il carnefice di nessuno. Ho difeso la Legge fino alla fine».
137. Gamaliel capì l’obiezione e rispose: «Non vedere un cenno di rimprovero nelle mie parole. Non è né l’ora né il luogo per le discussioni. Ma per non mancare di sincerità che in me hai sempre trovato, ti devo dire che sto arrivando a delle conclusioni profonde sul Falegname di Nazareth. Ho riflettuto seriamente sulla Sua opera in mezzo a noi; ma sono vecchio e pieno di acciacchi per iniziare qualsiasi movimento di rinnovazione nel seno del giudaismo. Nella nostra vita arriva una fase in cui non è lecito intervenire nei problemi collettivi; ma a qualsiasi età si può e si deve operare per l’illuminazione o il miglioramento di se stessi. È quello che pretendo di fare. Il deserto, nella maestà silenziosa dell’isolamento, è sempre stato fonte di seduzione per i nostri antenati. Uscirò da Gerusalemme, fuggirò allo scandalo che le mie nuove idee e atteggiamenti provocheranno di certo; cercherò la solitudine per trovare la verità».
138. Saul di Tarso restò sbalordito. Anche Gamaliel sembrava soffrire l’influenza di sconosciuti sortilegi! Senza dubbio, gli uomini del “Cammino” lo avevano stregato, distruggendo le sue ultime energie... il vecchio maestro aveva capitolato in un atteggiamento di conseguenze imprevedibili! Voleva contestare, discutere, chiamarlo alla realtà, allorquando il venerabile mentore della gioventù farisaica, facendo capire che percepiva le vibrazioni antagoniste del suo spirito ardente, dichiarò:
139. «Già conosco il contenuto della tua risposta. Mi giudichi debole e vinto. Ma ognuno pensi come vuole; non mi portare al fastidio noioso delle controversie. Adesso sto solo chiedendo un favore e spero che non me lo negherai. Posso provvedere a rimuovere subito le spoglie di Stefano?»
140. Il giovane di Tarso esitò, preso da singolari pensieri.
141. «Concedilo, Saul!... È l’ultimo atto di riverenza ad un vecchio amico!...»
142. «Certo!» – disse alla fine.
143. Gamaliel lo salutò con un gesto di sincero riconoscimento.
144. Ancora una volta, circondato da molti amici che lo cercavano per tirarlo su di morale, il giovane dottore della Legge era estraneo a se stesso. Invano sollevava la coppa dei saluti. Lo sguardo era vuoto, apprensivo, dimostrando la profonda alienazione in cui era caduto. Gli eventi imprevisti gli avevano portato alla mente un turbinio di pensieri angosciosi. Voleva pensare, voleva raccogliersi in se stesso per l’esame necessario alle nuove prospettive del suo destino. Ma fino al tramonto fu costretto a rimanere all’interno delle convenzioni sociali, ricevendo gli amici fino alla fine.
145. Affermando la necessità di cambiare i vestiti insanguinati, Abigail si ritirò subito dopo il colloquio con Gamaliel.
*
146. Nella casa di Dalila, tuttavia, la poverina fu colpita da febbre alta, preoccupando e allarmando tutti quelli che erano lì.
147. Al calar della notte, Saul tornò a casa della sorella, dove lo avevano informato dello stato della malata. Deciso ad imprimere nuove direzioni alla sua vita, cercò di soffocare la propria emozione per affrontare i fatti nel modo più naturale possibile.
148. In lacrime, la giovane di Corinto chiese di essere portata a casa di Zaccaria, temendo l’avanzamento della malattia. Invano, Dalila e i parenti cercarono di intervenire con risorse affettuose. La supplica di Abigail allo spirito energico di Saul fu esposta in maniera commovente e, dentro la severità che ne caratterizzava il comportamento, l’ex discepolo di Gamaliel prese tutti i provvedimenti necessari. In serata, con molta attenzione, il modesto carro uscì da Gerusalemme verso la strada per Giaffa.
149. Ruth ricevette la fanciulla tra le sue braccia, impressionata e afflitta. Lei e suo marito si erano ricordati che solo con la morte di suo padre, Abigail aveva avuto la febbre alta, accompagnata da profondo abbattimento. Corrucciato, Saul li ascoltò, sforzandosi di nascondere l’emozione. E mentre gli amici della giovane cercavano di assisterla con affetto, il futuro rabbino, cedette al vortice dei pensieri contrastanti, dirigendosi verso Gerusalemme, con l’intento di non tornare più a Giaffa.
۞
La dolce Abigail testimonia la fede nel Falegname di Nazareth
(Atti 8,3): [3]Saulo intanto infuriava contro la Chiesa ed entrando nelle case prendeva uomini e donne e li faceva mettere in prigione. [4]Quelli però che erano stati disperhsi andavano per il paese e diffondevano la parola di Dio.
1. Dal giorno del martirio di Stefano a Gerusalemme era aumentato il movimento di persecuzione verso tutti i discepoli o simpatizzanti del “Cammino”. Saul di Tarso, sostituendo Gamaliel nelle più importanti funzioni religiose della Città, sembrava colto da una vera allucinazione, lasciandosi affascinare da crudeli suggerimenti di fanatismo.
2. Impietose persecuzioni furono ordinate a tutte le famiglie che rivelavano inclinazioni o simpatia per le idee del Messia nazareno. La modesta Chiesa dove la gentilezza di Pietro proseguiva aiutando i più disgraziati, era strettamente sorvegliata dai soldati con l’ordine di impedire le prediche, che rappresentavano il conforto degli infelici. Ossessionato dall’idea di proteggere il patrimonio farisaico, il giovane di Tarso si lasciò andare ai peggiori abusi e a tirannie. Gli uomini perbene venivano espulsi dalla città anche se solo sospettati. Lavoratori onesti e persino madri di famiglia venivano interrogati in scandalosi processi pubblici, istigati da Saul. Iniziò un esodo di grandi proporzioni, come Gerusalemme non ne aveva visti da tempo.
3. La città cominciò a spopolarsi di lavoratori. Il “Cammino” aveva sedotto con le sue dolci consolazioni l’anima del popolo, stanca delle incomprensioni e dei sacrifici. Libero dai prestigiosi avvertimenti di Gamaliel, che si era ritirato nel deserto e senza l’amorevole assistenza di Abigail che gli consentiva generose ispirazioni, il futuro rabbino sembrava un folle, nel cui seno, il cuore si era rinsecchito. Invano, donne indifese imploravano misericordia; inutilmente, bambini miserrimi chiedevano clemenza per i genitori abbandonati come prigionieri infelici.
4. Il giovane di Tarso sembrava dominato da un’indifferenza criminosa. Le sollecitazioni più sincere trovavano nel suo spirito una roccia grezza. Incapace di capire le circostanze che avevano cambiato i suoi piani e le speranze di vita, imputava il fallimento dei suoi sogni di gioventù a quel Cristo che non riusciva a capire. Lo avrebbe odiato fino alla fine dei suoi giorni. Non essendo possibile trovarLo per una vendetta diretta, lo avrebbe perseguitato nelle persone dei suoi seguaci, con tutti i mezzi. A suo avviso, era Lui, l’anonimo Falegname, il colpevole del fallimento del suo amore per Abigail, ora avvelenato nel suo cuore impulsivo da sentimenti estranei che, giorno dopo giorno, scavavano profondi abissi tra la sua indimenticabile figura e i ricordi a lui più cari.
5. Non era più tornato a casa di Zaccaria, e anche se gli amici della strada di Giaffa cercavano sue notizie, rimase irremovibile nel cerchio del suo egoismo asfissiante. Ogni tanto, però, si sentiva premere da una singolare nostalgia. Sperimentava l’immensa mancanza della tenerezza di Abigail, la cui memoria non era più riuscito a cancellare dalla sua anima indurita e ansiosa. Nessuna donna avrebbe potuto sostituirla nell’affetto del suo cuore. Tra estreme angosce, ricordava l’agonia di Stefano, la sua invidiabile pace nella coscienza, le parole di amore e di perdono; poi vedeva la promessa sposa in ginocchio, supplicargli, con gli occhi generosi, conforto. Non avrebbe mai dimenticato quella preghiera angosciosa e commovente che lei aveva recitato abbracciata al fratello nei momenti finali della sua vita. Nonostante la crudele persecuzione che lo aveva trasformato nella molla centrale di tutte le attività contro l’umile Chiesa del “Cammino”, Saul sentiva moltiplicare nel suo spirito assetato di consolazione i bisogni spirituali.
*
6. Dalla morte di Stefano passarono otto mesi di lotte incessanti, fino a quando il giovane di Tarso, cedendo alla nostalgia e all’amore che gli dominavano l’anima, decise di rivedere il paesaggio fiorito della strada di Giaffa, dove certamente avrebbe riconquistato l’affetto di Abigail, al fine di riorganizzare tutti i progetti di futuro felice.
7. Prese il piccolo carro con il cuore oppresso. Quante esitazioni aveva vinto per tornare alla vecchia situazione, umiliando la vanità dell’uomo convenzionalista e inflessibile! Il crepuscolo riempiva la natura di riflessi d’oro scintillante. Quel cielo così azzurro, il verde selvaggio, le caritatevoli brezze del pomeriggio, erano le stesse. Si sentì rianimato. Speranze e sogni continuavano intangibili. Rifletteva sul modo migliore per riconquistare la dedizione della donna prescelta senza umiliare la sua vanità.
8. Lì, le avrebbe raccontato della sua disperazione, delle sue insonnie, dell’amore immenso che nessuna circostanza era riuscita a distruggere. Voleva anche mantenere fermo lo scopo di omettere ogni e qualsiasi riferimento al Falegname di Nazareth, le avrebbe parlato del rimorso per non aver steso le sue mani amiche, dal momento che tutte le speranze della sua anima femminile erano state scosse dall’imprevista e dolorosa morte di suo fratello, in circostanze così amare. Voleva chiarire i dettagli dei suoi sentimenti. Avrebbe fatto riferimento alla memoria indelebile della sua angosciosa e ardente preghiera quando Stefano era in punto di morte. L’avrebbe attratta al suo cuore che non l’aveva mai dimenticata, le avrebbe baciato i capelli, avrebbe formulato nuovi progetti d’amore e di felicità. Immerso in tali pensieri, raggiunse il portone d’ingresso, riconoscendo le rose in fiore.
9. Il cuore gli batteva all’impazzata, quando arrivò Zaccaria grandemente sorpreso. Un lungo abbraccio segnalò l’incontro. Abigail fu oggetto della sua prima domanda. Notò che Zaccaria si era stranamente rattristato.
10. «Pensavo che alcuni dei tuoi amici ti avessero portato la spiacevole notizia» – cominciò a dire, mentre il giovane lo ascoltava angosciato. – «Abigail, da oltre quattro mesi, si è ammalata ai polmoni, e parlando francamente, non abbiamo più nessuna speranza».
11. Saul diventò violaceo.
12. «Poco dopo il suo frettoloso ritorno da Gerusalemme è stata per più di un mese tra la vita e la morte. Invano ci sforziamo, Ruth ed io, di restituirle la freschezza e i colori della gioventù. La poverina ha cominciato a diventare sempre più fiacca e, in poco tempo, si è ammalata. Ho richiesto la tua presenza con ansia, al fine di prendere soluzioni per la sua salute, ma non sei venuto. Ci è sembrato che trasferirsi in un nuovo ambiente le avrebbe fatto recuperare la salute, ma non avevo le risorse per poterlo fare come si doveva».
13. «Ma Abigail si è mai lamentata di me?» – chiese Saul afflitto.
14. «Assolutamente. Tra l’altro, il ritorno inaspettato da Gerusalemme, la malattia improvvisa e la tua scomparsa ingiustificata in questa casa sono state tali da indurci a dubbi e paure; ma dopo i positivi miglioramenti della febbre alta, lei ci ha rassicurato, spiegando la necessità della tua assenza, dicendosi consapevole dei tuoi tanti doveri e incarichi politici; ci ha riferito con gratitudine l’accoglienza dei tuoi parenti e, quando Ruth, per confortarla, giudicava ingrato il tuo comportamento, Abigail è sempre stata la prima a difenderti».
15. Saul stava per intervenire, nel mentre Zaccaria faceva una pausa, ma non gli venne in mente nulla. L’emozione che gli causava la nobiltà spirituale della donna amata, gli paralizzava le idee.
16. «Nonostante si sforzi per tranquillizzarci…» – continuò il marito di Ruth – «…abbiamo l’impressione che nostra figlia adottiva sia dominata da profondi dolori che cerca di nasconderci. Quando poteva camminare, visitava gli alberi di pesco alla stessa ora che usava fare con te. In principio mia moglie l’ha sorpresa a piangere nelle ombre della notte, ma invano abbiamo cercato di sondare la causa dei suoi patemi d’animo. L’unico motivo che presentava era proprio qualche malattia che aveva cominciato a minare il suo organismo. Più tardi qui si è fermato per una settimana un povero vecchio di nome Anania. D’allora è accaduto un fatto strano: Abigail lo ha incontrato in casa dei nostri inquilini e, ogni pomeriggio, si è fermata ad ascoltarlo per ore di fila, manifestando da quel momento molta forza spirituale. Quando se ne andò, il povero mendicante le diede come ricordo alcune pergamene con gli insegnamenti del famoso Falegname di Nazareth...».
17. «Falegname?» – disse Saul evidentemente infastidito. – «E dopo?»
18. «È diventata un’assidua lettrice del cosiddetto Vangelo dei galilei. Abbiamo considerato la convenienza di allontanarla da una tale novità spirituale, ma Ruth ha ponderato che, adesso, è la sua unica distrazione. Infatti, da quando ha iniziato a parlare del discusso Gesù di Nazareth, vediamo che Abigail è piena di profondo conforto. E il fatto è che non l’abbiamo più vista piangere, anche se dal suo viso abbattuto non si è cancellato l’espressione dolorosa di amarezza e malinconia. D’ora in poi la sua conversazione sembra abbia acquisito ispirazioni diverse. Il dolore è diventato confortante espressione di gioia interiore. E parla di te con un amore sempre più puro. Dà l’impressione di aver scoperto, nei misteriosi nascondigli dell’anima, l’energia di una vita nuova».
19. Dopo un sospiro, Zaccaria terminò: «Eppure, il cambiamento non ha modificato l’aggravarsi della malattia che la divora lentamente. Giorno dopo giorno, la vediamo piegarsi alla morte, come un fiore che cade dallo stelo quando il vento soffia forte».
20. Saul mal nascose l’angoscia. Emozioni dolorose travolgevano la sua anima generosa e sensibile. Come spiegarselo? Il suo spirito era schiacciato da domande amare. Chi era, dopo tutto, quel Gesù che trovava ovunque? L’interesse di Abigail per il Vangelo perseguitato rivelava la vittoria del Falegname di Nazareth nel contrastare i sogni della sua gioventù.
21. «Ma Zaccaria…» – chiese irritato il dottore di Tarso – «…perché non hai impedito un simile contatto? Questi vecchi maghi vagano per le strade diffondendo confusione. Mi sorprende questa indulgenza, poiché la nostra fedeltà alla Legge non consente, o almeno, non dovrebbe mai ammettere intransigenze».
22. L’interpellato ricevette le recriminazioni con serenità, e disse: «Prima di tutto, considera che ho chiesto invano l’aiuto della tua presenza, per orientarmi. E poi, chi avrebbe il coraggio di negare una medicina a un malato, essendo una persona cara? Dal momento che ho visto in lei la rassegnazione santificata, ho scelto di proposito di non fare riferimento alle nuove opinioni sulla fede religiosa».
23. E poiché Saul si era immerso in profonde divisioni interiori senza sapere cosa rispondere, il buon uomo disse: «Vieni con me, potrai vedere con i tuoi occhi! ...»
24. Il giovane seguì i suoi passi, barcollando. Le idee si mescolavano nel cervello indolenzito. Quelle notizie inaspettate gli avvelenavano il cuore.
25. Adagiata sul letto, assistita dall’affetto materno di Ruth, la giovane di Corinto aveva impresso sul viso una malinconia profonda. Molto dimagrita, la pelle aveva acquisito un colore avorio, ma lo sguardo lucido denotava un’assoluta calma spirituale. Un’amorevole serenità si era impressa sul suo volto triste. Di volta in volta si rinnovava la dispnea[31] con un disagio prolungato, si voltava verso la finestra aperta, come se attraverso le fresche brezze che arrivavano dal seno generoso della natura, si aspettasse da lì un rimedio alla sua stanchezza.
26. Vedendola, Saul non nascose il suo stupore. La giovane, a sua volta, ricevendo la gioiosa sorpresa, si riempì di sincera e traboccante felicità.
27. Saluti affettuosi furono scambiati tra di loro, mentre gli occhi traducevano il desiderio disperato con cui avevano aspettato quel momento. Il futuro rabbino accarezzò le mani delicate, che ora sembravano modellate in cera trasparente. Parlarono delle speranze che mantenevano costanti prima del loro incontro. Notando che volevano essere lasciati soli per le confidenze più intime, Zaccaria e Ruth si ritirarono discretamente.
28. «Abigail...» – esclamò Saul molto commosso non appena furono soli – «…ho lasciato il mio orgoglio e la mia vanità di uomo pubblico per venire qui a chiedere se mi hai perdonato e se non ti sei dimenticata di me!»
29. «Dimenticata di te?» – gli rispose con gli occhi umidi. – «Per quanto arida e prolungata sia la stagione del Sole cocente, la foglia del deserto non può dimenticare la pioggia benefica che le ha dato vita. Altrettanto, non mi parlare di perdono. Per caso, qualcuno potrà perdonare se stesso? E noi, Saul, ci apparteniamo per l’eternità. Non mi hai detto tante volte che io ero il cuore del tuo intelletto?»
30. Sentendo quel timbro affettuoso della voce amata, il giovane di Tarso si commosse nelle profondità del suo essere, eccitato e ardente. Quell’umiltà e quel tono di tenerezza penetrarono nel suo cuore, riconquistandogli il discernimento per la retta via.
31. Tenendo tra le sue mani le pallide mani della promessa sposa, esclamò con un lampo di gioia negli occhi: «Perché dici che “eri il cuore”, se sei ancora e sarai così per sempre? Dio benedirà le nostre speranze. Realizzeremo il nostro ideale. Sono tornato per portarti con me. Avremo una casa, sarai la regina! ...»
32. Dominata da una gioia indefinibile, la fanciulla, contemplandolo in lacrime, mormorò: «Ho il sospetto, Saul, che le case di questa Terra non sono state fatte per noi! ... Dio sa quanto avrei voluto, con ardore, essere la madre amorevole dei tuoi figli; come ho conservato l’ideale sopra ogni circostanza, per abbellire la tua esistenza con il mio amore! Da bambina, a Corinto, ho visto le donne che vendevano a poco prezzo i tesori del Cielo, simboleggiati nell’amore per il marito e per i figli, ed ho pensato che il Signore mi avrebbe concesso lo stesso patrimonio di speranze divine, per attendere poi le benedizioni nel santuario domestico, per glorificarlo di tutto cuore. Per esaltarlo, ho idealizzato la vita dell’uomo amato, che avrebbe contribuito con me nella costruzione dell’altare della prole e, quando sei venuto da me, ho organizzato vasti piani di una vita santa e beata, nella quale avremmo potuto onorare Dio».
33. Saul ascoltava commosso. Non aveva mai osservato tale grandezza di pensiero e lucidità, con quel tono di tranquilla tenerezza.
34. «Ma il Cielo…» – continuò rassegnata – «…mi ha tolto le possibilità di una simile fortuna sulla Terra. Nei miei primi giorni di solitudine ho visitato eremi come a cercarti, procurandomi il sostegno del tuo affetto. I nostri alberi di pesco preferiti sembravano dire che tu non saresti tornato mai più; la notte amica mi consigliava di dimenticare; il chiaro di Luna, che tu mi avevi insegnato ad amare, aggravava i miei ricordi ed allontanava le mie speranze. Dal pellegrinaggio di ogni sera tornavo con le lacrime agli occhi, figlie dei cuori disperati. Inutilmente, ho cercato le tue parole di conforto. Mi sentivo profondamente sola.
35. Per rievocare e seguire le tue raccomandazioni, mi sono ricordata quando l’ultima volta che ci siamo incontrati mi richiamasti all’attenzione l’amicizia di Zaccaria e Ruth. Ed è vero che non ho altri amici più fedeli e generosi di loro; tuttavia, non volevo essere per loro più pesante nella vita al di là di quello che già sono. Evitai, quindi, di confidare la mia angoscia. Nel primo mese della tua assenza ho sofferto senza sollievo la mia grande sventura. Fu quando un vecchietto rispettabile di nome Anania, venne qui e mi fece comprendere le luci sacre della nuova rivelazione. Egli mi ha fatto conoscere la storia del Cristo, il Figlio del Dio vivente; divorai il suo Vangelo della redenzione, mi edificai nei Suoi esempi. Da quel momento ti ho compreso meglio, conoscendo la mia situazione personale».
36. All’improvviso un accesso di tosse interruppe il suo racconto. Le parole della promessa sposa caddero nel suo cuore come gocce di fiele. Mai aveva sperimentato un dolore morale così acuto. Verificando la sincerità naturale, l’affetto dolce di quelle confessioni, si sentì punto da tanti rimorsi. Come aveva potuto abbandonare così, l’amore scelto della sua anima, dimenticando la sua fedeltà e il suo amore? Dove aveva trovato tale durezza d’animo per dimenticare i doveri tanto sacri? Ora la trovava moribonda e disillusa di realizzare sulla Terra i sogni di gioventù. E ancor più, il Falegname odiato sembrava prendere il suo posto nel cuore della donna adorata. In quel momento, non sperimentava solo il desiderio di schiacciare la Sua dottrina e i Suoi seguaci, ma era geloso di Lui dentro la sua anima capricciosa. Di quale potere disponeva quel Nazareno oscuro e martirizzato sulla croce, per conquistare i più puri sentimenti della fanciulla amata?
37. «Abigail…» – disse commosso – «…abbandona queste tristi idee che potrebbero avvelenare i nostri sogni di gioventù. Non cedere alle illusioni. Rinnoviamo le nostre speranze. Sarai presto guarita. So che mi hai perdonato per la morte di tuo fratello, e la mia famiglia ti accoglierà a Tarso con giubilo sincero! Saremo felici, molto felici! ...»
38. I suoi occhi sembravano sospesi in una regione di deliziosi sogni, cercando di far rinascere nel cuore amato i suoi progetti di felicità terrena.
39. Lei, però, mescolando sorrisi e lacrime, aggiunse: «Francamente, mio caro, anch’io desidero vivere! ... Essere tua, tessere i tuoi sogni di gioventù, inventando stelle nel cielo della tua esistenza; tutto questo è come intendo essere donna! ... Ah! se avessi potuto, avrei cercato la tua famiglia, con amore li avrei conquistati nel mio cuore, al prezzo di un grande affetto; ma ho la sensazione che i piani di Dio siano diversi per quanto riguarda il nostro destino. Gesù mi ha chiamato per la Sua famiglia spirituale...».
40. «Ahimè...» – disse Saul interrompendola, – «…trovo ovunque le espressioni del Falegname di Nazareth! Che flagello! Non ripetere queste cose. Dio non sarebbe giusto se ti rapisse al mio affetto. Allora, chi potrebbe , come questo Cristo, interferire con i nostri voti?»
41. Abigail, però, lo guardò con un gesto di supplica e disse: «Saul, a cosa vale la disperazione? Non sarebbe meglio piegarsi con pazienza ai sacri disegni? Non nutrire dubbi dannosi. Questo letto è di meditazione e di morte. Il sangue, più volte, mi ha già annunciato la prossima fine. Ma noi crediamo in Dio e sappiamo che questa fine è solo corporale. La nostra anima non muore, ci ameremo eternamente...».
42. «Non sono d’accordo…» – rispose estremamente afflitto, – «…queste ipotesi sono il risultato degli assurdi insegnamenti del fanatico di Nazareth che è morto sulla croce, tra l’umiliazione e la viltà. Non sei mai stata così malinconica e abbattuta; solamente i sortilegi dei galilei potevano convincerti di queste assurdità funeste. Cerca di ragionare da sola! Cosa ti ha dato il Crocifisso, se non, tristezza e desolazione?»
43. «Ti sbagli, Saul! Non mi sento scoraggiata, anche se convinta dell’impossibilità della mia felicità terrena. Gesù non era un maestro volgare di sortilegi, era il Messia dispensatore di consolazione e vita. La Sua influenza mi ha rinnovato le forze, mi ha impregnata di buonumore e di vera comprensione dei disegni supremi. Il Suo Vangelo del perdono e dell’amore è il divino tesoro dei sofferenti e diseredati del mondo».
44. Il giovane non riusciva a nascondere l’irritazione che gli vagava nell’anima. «Sempre lo stesso invariato ritornello…» – disse confuso – «…l’affermazione di essere venuto per gli infelici, per gli sfortunati e per i malati. Ma le tribù d’Israele non sono composte solo da creature di questa specie. E gli uomini valorosi del popolo eletto? E le famiglie di tradizione rispettabili? Sarebbero fuori dall’influenza del Salvatore?»
45. «Ho letto gli insegnamenti di Gesù…» – rispose la fanciulla con fermezza – «…e suppongo di capire le tue obiezioni. Il Cristo, adempiendo le sacre parole dei profeti, ci rivela che la vita è una serie di nobili preoccupazioni dell’anima, al fine di camminare verso Dio con rettitudine. Noi non possiamo concepire il Creatore come un giudice ozioso e isolato, ma come un Padre premuroso per il bene dei Suoi figli. Gli uomini valorosi a cui ti riferisci, l’involucro di infermità e sofferenze, nel possesso delle benedizioni reali di Dio dovevano essere figli laboriosi, chiamati a compiere la felicità dei loro fratelli. Invece nel mondo abbiamo contro le nostre tendenze superiori, il nemico che si installa nel nostro cuore. L’egoismo attacca la salute, la gelosia influisce sul mandato divino, come la ruggine e le tarme che rendono inutili i nostri indumenti e strumenti quando li trascuriamo. Tanto pochi sono coloro che si ricordano della protezione divina nei giorni gioiosi dell’abbondanza, quanto rarissimi sono quelli che lavorano, indipendentemente dalle avversità. Questo dimostra che il Cristo è una rotta per tutti, costituendo una consolazione per gli afflitti e un orientamento per le anime acute, chiamate da Dio per contribuire alle sante edificazioni del bene».
46. Saul fu colpito da tale chiarezza di pensiero, ma la conversazione richiese maggiore sforzo e conseguente affaticamento per la malata. Il respiro diventò difficile, e ben presto il sangue le salì al petto in prolungata emottisi[32]. Quella sofferenza, ornata di tenerezza e umiltà, toccava ed esasperava profondamente il promesso sposo. Comprese che sarebbe stato crudele di fronte alla promessa sposa fare un attacco a quel Gesù che doveva perseguitare fino alla fine. Ma non poteva credere che la sua Abigail era vicina alla morte. Preferiva affrontare il futuro con ottimismo. Una volta ristabilita, l’avrebbe fatta tornare di nuovo alle antiche vedute. Non tollerava l’intrusione di Cristo nel santuario domestico. Nello sforzo introspettivo, tuttavia, concluse che doveva dare una tregua ai suoi pensieri opposti, per meditare le soluzioni ai problemi essenziali per la sua tranquillità personale. La giovane inferma dopo la crisi che era durata minuti lunghi e tristi, aveva i grandi occhi sereni e lucidi. Contemplandola in questo atteggiamento dolce e di suprema rassegnazione, Saul di Tarso sperimentò dolci e intime commozioni. Il suo temperamento attivo si lasciava andare facilmente a sensazioni estreme. Avvicinandosi di più all’amata fanciulla, aveva gli occhi umidi. Desiderava accarezzarla come se fosse una bambina.
47. «Abigail…» – sussurrò teneramente – «…non parliamo più di idee religiose. Perdonami! Ricordiamo il nostro futuro fiorito, dimentichiamo tutto il resto e consolidiamo le nostre speranze». Le parole uscivano ardenti e calde per l’eccitazione. L’affetto che evidenziavano era sintomo di pentimento e di aspirazioni nobili e sincere che adesso lavoravano nel suo spirito angosciato.
48. Tuttavia, come presa da un forte abbattimento dopo lo sforzo, la giovane di Corinto si sentiva stanca, temeva di continuare la conversazione a causa della tosse che spesso la minacciava. Il promesso sposo, preoccupato, capì la situazione e, stringendo le mani trasparenti, le baciò dolcemente.
49. «Hai bisogno di riposare…» – disse con inflessione affettuosa – «…non preoccuparti per causa mia. Ti darò le mie stesse forze. Presto sarai guarita». E, dopo averla avvolta in uno sguardo pieno di gratitudine e di infinita tenerezza, disse: «Tornerò a trovarti ogni sera che potrò allontanarmi da Gerusalemme, e non appena potrai, torneremo a vedere il chiaro di Luna, lì nel giardino, in modo che la natura possa benedire i nostri sogni, sotto lo sguardo di Dio».
50. «Sì, Saul…» – disse lentamente – «…Gesù ci darà il meglio. In ogni caso, però, sarai nel mio cuore, sempre, sempre...».
51. Il dottore della Legge la stava salutando, quando rifletté che la promessa sposa non aveva detto nulla in riferimento al fratello. La generosità di quel silenzio lo impressionò. Avrebbe preferito essere accusato, discutere il fatto con le sue dolorose circostanze per potersi giustificare, ma invece di rimproveri trovò carezze, invece di richiami, calma generosa, con le quali la dolce giovane sapeva occultare le profonde ferite che le albergavano nell’anima.
52. «Abigail…» – esclamò un po’ titubante – «…prima di partire volevo sapere francamente se mi hai perdonato per la morte di Stefano. Non ho potuto parlarti dei motivi che mi hanno portato a risultati così tristi; tuttavia, sono convinto che la tua amabilità abbia dimenticato la mia mancanza».
53. «Perché ricordare questo?» – rispose lei con fatica nel tenere la voce ferma e chiara. – «La mia anima è ora tranquilla. Jeziel è con Cristo ed è morto lasciandoti in eredità un pensiero amico. Dal canto mio, cosa potevo lamentarmi se Dio è stato così misericordioso con me? Anche adesso sto ringraziando il Padre giusto con tutto il mio cuore del dono della tua presenza in questa casa. Da tempo chiedevo al Cielo di non lasciarmi morire senza rivederti e ascoltarti...».
54. Saul calcolò la grandezza di quella generosità spontanea, aveva gli occhi umidi. La salutò. La notte fresca era piena di suggerimenti per il suo spirito. Mai aveva meditato nei misteriosi disegni dell’Eterno, come in quel momento che aveva ricevuto tali profonde lezioni di umiltà e di amore dalla donna amata. Sperimentava nell’anima oppressa lo scontro di due forze antagoniste, in lotta tra di loro per il possesso del suo cuore generoso e impulsivo.
55. Non comprendeva Dio, se non come un Signore potente e inflessibile. Alla sua volontà sovrana, poteva piegare tutte le preoccupazioni umane. Tuttavia cominciò a domandarsi il perché delle sue dolorose inquietudini. Perché non trovava da nessuna parte la pace che ardentemente desiderava? E, tuttavia, quelle persone miserabili del “Cammino” si consegnavano alle catene del carcere, sorridenti e tranquille. Uomini malati e malandati, privi di ogni speranza nel mondo, sopportavano le persecuzioni con lode nel cuore. Lo stesso Stefano, la cui morte gli è servita da esempio indimenticabile, lo aveva benedetto per le sofferenze ricevute per amore del Falegname di Nazareth. Quelle creature indifese godevano di una tranquillità che lui non conosceva. L’immagine della promessa sposa malata non lasciava i suoi occhi. Abigail era sensibile e affettuosa, ma nonostante le sue ansie femminili e le sue preoccupazioni di donna, ricordava se lui, per caso, non riusciva a comparire con puntualità nel grazioso angolo della strada di Giaffa. Quel Gesù sconosciuto le propiziava forze nel cuore. Se era incontestabile che la malattia l’estingueva gradualmente la vita, era anche evidente un ringiovanimento delle sue energie spirituali. L’amata gli aveva parlato come se fosse stata toccata da nuove ispirazioni; quegli occhi sembravano contemplare interiormente il paesaggio di altri mondi.
56. Queste riflessioni non gli permisero di ammirare la natura. Rientrando a Gerusalemme ebbe l’impressione di svegliarsi da un sogno. Di fronte a lui si delineava la sagoma maestosa del grande Santuario. L’orgoglio della stirpe parlavapiù forte al suo spirito. Era impossibile conferire superiorità agli uomini del “Cammino”. Bastò la visione del Tempio per trovare in se stesso i chiarimenti che cercava. A suo avviso, la serenità dei discepoli di Cristo era dovuta, effettivamente, all’ignoranza che era a loro appannaggio. In generale, quelli che si affezionavano ai galilei erano proprio creature che il mondo aveva squalificato per il decadimento fisico, per la mancata istruzione, per il supremo abbandono. L’uomo di responsabilità, ovviamente, non poteva trovare la sua pace ad un prezzo così vile. Con questi concetti, pensava di aver risolto il problema. Avrebbe continuato la lotta. Contava sul breve ristabilimento della promessa sposa; il più presto possibile avrebbe sposato Abigail e, con facilità, l’avrebbe dissuasa da quei fantasiosi quanto pericolosi e condannabili insegnamenti. Nel felice ambiente del focolare avrebbe proseguito nella persecuzione di tutti coloro che si fossero dimenticati della Legge, scambiandola per altri principi.
57. Questi ragionamenti, in un certo senso, calmarono le sue preoccupazioni tuttavia, il giorno dopo, al mattina presto, un messaggero di Zaccaria colpì la sua anima con gravi notizie: «Abigail peggiorava, stava morendo!»
58. Immediatamente prese la strada per Giaffa, desideroso di strappare l’amata al pericolo imminente. Ruth e suo marito erano desolati. Dall’alba la malata era caduta in una dolorosa prostrazione. Vomiti di sangue si erano susseguiti ininterrotti. Si sarebbe detto che aspettava solo la visita del giovane, per morire. Saul li ascoltò livido come cera. Muto si diresse in camera sua dove penetrava una fresca aria balsamica, portando il messaggio dei fiori del frutteto e del giardino che sembravano inviare addii amorevoli e affettuosi a colei che aveva dato loro vita.
59. Abigail lo accolse con un raggio di gioia infinita negli occhi luminosi. La tonalità avorio del viso si era accentuata in fretta. Il suo petto si sollevava celere, il battito del cuore era senza ritmo. La sua espressione generale mostrava l’agonia finale. Saul si avvicinò con difficoltà. Per la prima volta nella sua vita si sentiva barcollante davanti all’inevitabile. Quello sguardo, quel pallore di marmo, quell’afflizione toccata di angoscia, annunciavano il suo epilogo. Dopo averle domandato la ragione di quell’abbattimento inaspettato, prese le sue mani flaccide, bagnate del sudore freddo dei moribondi.
60. «Cosa succede, Abigail?» – disse sconvolto – «solo ieri ti ho lasciata così pieno di speranza... Ho chiesto sinceramente a Dio di guarirti per me! ...»
61. Estremamente sensibilizzati, Zaccaria e sua moglie si allontanarono.
62. Vedendo che l’amata aveva immensa difficoltà di esporre le ultime idee, Saul s’inginocchiò accanto a lei, le copriva le mani di baci ardenti. L’agonia dolorosa gli sembrava una sofferenza ingiustificabile che il Cielo aveva inviato ad un angelo. Lui che portava lo spirito risecchito dall’ermeneutica[33] delle leggi umane, pianse intensamente e in maniera sentita per la prima volta. Leggendo la sensibilità attraverso le lacrime che scendevano silenziosamente dagli occhi, Abigail abbozzò un gesto di affetto con difficoltà infinita. Conosceva Saul, e aveva messo alla prova la rigidità del suo carattere. Quel pianto rivelava il calvario interiore del suo amato, ma mostrava, ugualmente, l’alba di una nuova vita per il suo spirito.
63. «Non piangere, Saul…» – mormorò con difficoltà – «…la morte non è la fine di tutto ...».
64. «Ti voglio con me per tutta la vita» – rispose il giovane, disfatto dalle lacrime.
65. «Eppure, dobbiamo morire per vivere veramente» – aggiunse la moribonda, interrompendo le parole con la respirazione oppressa. – «Gesù ci ha insegnato che il seme caduto nella terra è solo, ma se muore darà molti frutti!... Non ti ribellare ai disegni supremi che mi allontanano dal tuo convivio materiale! Se ci fossimo uniti in matrimonio, forse avremmo avuto molte gioie; una casa con i nostri bambini; ma distruggendosi le nostre speranze di una felicità fugace sulla Terra, Dio ci moltiplica i sogni generosi... Mentre aspettiamo l’unione indissolubile, ti assisterò ovunque tu sia, e tu ti consacrerai all’Eterno in sforzi sublimi e redentori...». – Era evidente che la moribonda cercava di riunire tutte le risorse estreme per pronunciare le ultime parole.
66. «Chi ti ha inculcato idee simili?» – chiese il giovane, consumato dall’angoscia.
67. «Questa notte, dopo la tua partenza, ho sentito qualcuno avvicinarsi riempiendo la stanza di luce... Era Jeziel che veniva a vedermi... Nel vederlo, mi sono ricordata dell’ineffabile mistero di Gesù nella Sua resurrezione. Mi ha annunciato che Dio ha santificato i nostri propositi di felicità, ma che sarei stata portata via oggi stesso, per la vita spirituale. Mi ha insegnato a spezzare l’egoismo della mia anima, mi ha riempito di buon animo e mi ha portato la grata notizia che Gesù ti ama molto, ed ha speranze su di te! ... Ho riflettuto, quindi, che sarebbe utile consegnarmi gioiosa nelle mani della morte, perché, chissà, se non avessi turbato la missione che il Salvatore ha destinato a te, se fossi rimasta nel mondo... Jeziel ha detto che ti aiuteremo da un piano più alto! Perché, quindi, smettere di essere la tua compagna? ... Seguirò i tuoi passi sulla via, ti porterò dove si trovano i nostri fratelli abbandonati nel mondo, aiuterò i tuoi ragionamenti a scoprire sempre la verità! ... Ancora non hai accettato il Vangelo, ma Gesù è buono e troverà qualche mezzo per unire i nostri pensieri sulla vera comprensione! ...»
68. Lo sforzo della moribonda era stato immenso. La voce si spense in gola. Dai suoi occhi, profondamente lucidi, correvano lacrime abbondanti.
69. «Abigail! Abigail!» – urlò Saul disperatamente.
70. Ma lei, dopo alcuni minuti di straziante angoscia, disse con uno sforzo supremo: «Jeziel è venuto... a prendermi...».
71. Istintivamente, Saul capì che era arrivato il momento fatale. Invano chiamò la moribonda, i cui occhi si appannavano; invano baciava le sue mani fredde, ora coperte di un pallore di neve cristallina. Come un pazzo, gridò a Zaccaria e Ruth, la quale, singhiozzando, disfatta nelle lacrime, abbracciò Abigail, colei che dopo la morte di suo figlio aveva riassunto in lei tutto il suo tesoro materno.
72. L’agonizzante fissò, rispettivamente, ognuno, come per mostrare amorevole ringraziamento. Dopo... una sola lacrima silenziosa fu il suo ultimo saluto.
73. Dal giardino vicino giunse un profumo delicato; il cielo del crepuscolo si riempì di nuvole dai toni dorati, mentre gli uccelli a raccolta attraversavano l’aria felicemente...
74. Una pesante amarezza si abbatté sulla villa della strada di Giaffa. Volava al Cielo la figlia diletta, la fanciulla amata, l’amica affettuosa dei fiori e degli uccellini.
75. Saul di Tarso si arrestò lì, in piedi, senza parole, sbalordito, mentre Ruth, bagnata di lacrime, copriva di rose la morta adorata che sembrava dormire.
[indice]
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Quella Luce sulla via di Damasco
1. Per tre giorni Saul rimase lì in compagnia degli amici generosi, ricordando l’indimenticabile promessa sposa. Profondamente abbattuto, cercava di porre rimedio alle ferite intime, nella contemplazione del paesaggio che Abigail tanto amava. Come magra consolazione per il suo cuore disperato, cercava di conoscere le preoccupazioni della defunta negli ultimi tempi e, con gli occhi umidi, sentiva i riferimenti affettuosi di Ruth in tutto ciò che la riguardava. Accusava se stesso di non essere arrivato prima per strapparla alla dolorosa malattia. Pensieri amari lo turbavano, preso da un angoscioso pentimento. Dopo tutto, con la rigidità delle sue passioni, aveva annientato tutte le possibilità di felicità future. Nel rigore della sua persecuzione instancabile, Stefano aveva trovato quel terribile supplizio: nell’orgoglio inflessibile del suo cuore, aveva portato la promessa sposa alla tomba impenetrabile!
2. Tuttavia, non poteva dimenticare che doveva tutte le coincidenze dolorose a quel Cristo crocifisso che non era stato in grado di comprendere. Perché trovava in ogni cosa, traccia di quell’umile Falegname di Nazareth che il suo spirito capriccioso odiava? Dalla prima polemica nella Chiesa del “Cammino”, non riusciva più a trascorrere un giorno senza incontrarlo nel volto di qualche passante, nelle chiacchiere con gli amici, nella documentazione ufficiale delle sue diligenti punizioni, nella bocca degli sfortunati prigionieri.
3. Stefano spirò parlando con amore e gioia, Abigail negli ultimi istanti si consolava nel ricordarlo e lo esortava a seguirlo. Per tutto questo insieme di considerazioni che gli passavano nella mente esausta, Saul di Tarso immagazzinò un personale odio verso questo Messia deriso. Ora che era solo, completamente libero da particolari preoccupazioni di natura affettiva, avrebbe cercato di concentrare la punizione e la correzione di tutti coloro trovati traviati dalla Legge. Sentendosi pregiudicato dalla diffusione del Vangelo, avrebbe rinnovato i processi di persecuzione infamanti. Senza altre speranze e nessun nuovo ideale, dal momento che gli mancavano le fondamenta per costruire un focolare, avrebbe dato corpo e anima alla difesa della Legge di Mosè, conservando la fede per la tranquillità dei compatrioti.
4. Alla vigilia del suo ritorno a Gerusalemme troviamo il giovane dottore in una conversazione privata con Zaccaria, il quale cercava di ascoltarlo attentamente.
5. «Dopo tutto…» – disse Saul pieno di preoccupazione – «…chi sarà questo vecchio che è riuscito ad affascinare Abigail al punto da farle abbracciare le strane dottrine del Nazareno?»
6. «Ebbene…» – rispose l’altro senza molto interesse – «…è uno di quei poveri eremiti che si abbandonano spesso in lunghe meditazioni nel deserto. Per preservare il patrimonio spirituale della pupilla che Dio mi aveva affidato, ho indagato sulle sue origini e sulle attività della sua vita, venendo a sapere che si tratta di un uomo onesto, anche se estremamente povero».
7. «In ogni caso…» – contestò il giovane con austerità – «…ancora non posso comprendere le ragioni della tua tolleranza. Come mai non insorgesti contro l’innovatore? Ho l’impressione che le idee tristi e assurde dei sostenitori del “Cammino” hanno contribuito in modo decisivo alla malattia che ha ucciso la nostra povera Abigail».
8. «Ho riflettuto su tutto ciò, ma dopo il contatto con questo anacoreta onesto e umile, l’atteggiamento mentale della cara Abigail era pieno di immensa consolazione. Anania l’ha sempre trattata con profondo rispetto, veniva a trovarla sempre allegro, non ha mai richiesto alcun compenso, e così lo ha fatto con i miei dipendenti, rivelando una gentilezza senza limiti. Sarebbe allora lecito impedire e disprezzare i benefici? È vero che, nella sfera della mia comprensione, non posso accettare altre idee oltre quelle che ci furono insegnate dai nostri antenati, rispettabili e generosi; ma io stesso non mi giudico nel diritto di sottrarre all’altro, l’oggetto delle sue più preziose consolazioni.
9. La tua assenza, del resto, mi ha messo in una situazione difficile. Abigail ha fatto della tua persona il centro di tutto il suo interesse affettivo. Senza capire le ragioni che ti hanno portato a scomparire dalla nostra casa, mi sono impietosito della sua intima amarezza, tradotta in tristezza immutabile. La poverina non riusciva a nascondere le sue ferite ai nostri occhi amorevoli. Il ritrovo di un rimedio è stato provvidenziale. Dal giorno dell’incontro con Anania, Abigail era cambiata, sembrava convertire qualsiasi problema nella speranza di una vita migliore.
10. Anche se malata, riceveva i mendicanti che venivano a parlarle di questo Gesù che, anch’io, non riesco a comprendere. Erano amici del quartiere, gente semplice, con le quali sembrava gioire. Prendendo atto del male irrimediabile che la consumava, Ruth ed io accompagnavamo tutto questo con affetto. Come non fare così, se c’era in gioco la pace spirituale di una figlia diletta, negli ultimi giorni della sua vita? È possibile che ancora non riesci a capire le motivazioni della mia condotta in questo caso particolare? In sana coscienza sono giustificato, perché so che ho fatto il mio dovere, non le ho bloccato le risorse ritenute necessarie per la sua consolazione».
11. Saul lo ascoltò meravigliato. La serenità e la ponderazione di Zaccaria imprimevano con severità grandi e forti rimproveri. Le accuse velate al suo allontanamento dalla promessa sposa, senza giustificato motivo, penetravano il suo cuore con lampi di rimorso struggente.
12. «Sì…» – disse meno aspro – «…riconsidererò meglio le ragioni che ti hanno indotto a sopportare tutto questo, ma non voglio, non posso e non devo, esonerarmi dall’impegno assunto nei confronti della Legge».
13. «Ma a che impegno ti riferisci?» – disse Zaccaria sorpreso.
14. «Voglio dire che ho bisogno di trovare Anania, al fine di punirlo come si deve!»
15. «Ma perché tutto questo, Saul?» – obiettò Zaccaria dolorosamente colpito. – «Abigail è appena scesa nella tomba; il suo spirito personificava la sensibilità e l’affetto, ha sofferto profondamente per motivi che ignoriamo e che tu probabilmente conosci; l’unico conforto che ha trovato era proprio l’amicizia paterna di quel vecchio buono e onesto; e tu vuoi punirlo per il bene che ha fatto a una creatura amata e indimenticabile?»
16. «Ma è la difesa della Legge di Mosè che è in gioco!» – rispose il giovane di Tarso con fermezza.
17. «Tuttavia…» – avvertì Zaccaria sensatamente – «…ricercando nei testi sacri, non ho trovato alcun riferimento che autorizzi a punire i benefattori».
18. Il dottore della Legge abbozzò un gesto di irritazione di fronte alla giusta osservazione, ma, avvalendosi della sua ermeneutica, considerò con astuzia: «Ma una cosa è studiare la Legge, e un’altra è difendere la Legge. Nel compito superiore in cui mi trovo, sono costretto a considerare se il bene non nasconde il male, che è da condannare! Qui sta la nostra differenza. Devo punire quelli che escono fuori strada, come tu hai bisogno di potare gli alberi nella tua fattoria».
19. Ci fu un lungo silenzio. Assorti in profonde meditazioni e separati mentalmente e intimamente, fu Saul che continuò a parlare, chiedendo: «Da quando Anania è assente da queste parti?»
20. «Da più di due mesi».
21. «E sai per caso dov’è andato?»
22. «Abigail mi ha detto che era stato chiamato a Gerusalemme per confortare i malati nei quartieri poveri, data la difficile situazione che si era creata a causa delle persecuzioni».
23. «La sua nefasta influenza sarà ugualmente debellata dalle forze della nostra vigilanza. Tornando in città domani, come pretendo, cercherò di capire dove si trova. Anania non plagerà altre teste! Non immagina neanche la reazione che ha provocato nel mio animo, anche se non ci conosciamo personalmente».
24. Zaccaria non poté nascondere il suo disgusto, e disse: «Nella semplicità della mia vita rurale non posso capire le ragioni di queste lotte religiose a Gerusalemme; ma poiché si tratta di problemi inerenti le tue faccende professionali, non devo intromettermi sulle misure che ritieni più adatte».
25. Saul rimase per lungo tempo pensieroso, poi impresse nuove direzioni alla conversazione.
*
(Atti 9,1-2): [1]Saulo, frattanto, sempre fremente, minacciando strage contro i discepoli del Signore, si presentò al sommo sacerdote [2]e gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco al fine di essere autorizzato a condurre in catene a Gerusalemme uomini e donne, seguaci della dottrina di Cristo, che avesse trovati.
26. Il giorno dopo, molto costernato, tornò in città, desideroso di riempire il vuoto del cuore, si perse nel labirinto delle sue ore libere. A nessuno rivelò la grande amarezza nascosta nella sua anima. Si chiuse in un assoluto silenzio, riprendendo le funzioni religiose con espressione severa.
27. Nel Sole alto del mattino lo troviamo al Sinedrio mentre interroga, animosamente, un ausiliare di servizio: «Isacco, hai eseguito i miei ordini per l’informazione che desidero?»
28. «Sì, signore, ho trovato tra i prigionieri un ragazzo che conosce il vecchio Anania».
29. «Bene…» – disse il dottore di Tarso evidentemente soddisfatto – «…e dove abita tale Anania?»
30. «Ah, questo, lui non l’ha voluto dire, anche se ho insistito molto. Sostiene di non saperlo».
31. «Tuttavia, può essere che stia mentendo» – disse Saul con rancore e rabbia. – «Questi uomini sono capaci di tutto. Adesso provvedi affinché questo ragazzo sia portato alla mia presenza. Saprò io come fare a strappargli la verità».
32. Come uno che già conosceva le sue decisioni irrevocabili, Isacco obbedì con umiltà. Dopo un’ora, più o meno, due soldati penetrarono nell’ufficio, accompagnando un ragazzo dall’aspetto miserabile. Senza tradire alcuna emozione, Saul di Tarso ordinò di portarlo nella stanza delle punizioni, dove da lì a poco avrebbe parlato al prigioniero.
33. Terminata la consultazione di alcuni papiri, si diresse, deciso, nella stanza delle punizioni. Si raccoglievano lì tutti gli strumenti odiosi ed esecrabili della persecuzione politica e religiosa, che avvelenavano Gerusalemme nei conflitti di quell’epoca.
34. Dopo essersi seduto impetuosamente, il giovane di Tarso chiese al misero incarcerato con asprezza: «Il tuo nome?»
35. «Mattatia Johanan».
36. «Conosci il vecchio Anania, predicatore itinerante della Chiesa del “Cammino”?»
37. «Sì signore!»
38. «Da quando?»
39. «L’ho incontrato alla vigilia del mio arresto, avvenuto un mese fa».
40. «E dove si trova questo adepto del Falegname?»
41. «Questo non lo so» – disse il prigioniero con voce timida. – «Quando l’ho incontrato, viveva in un quartiere povero di Gerusalemme, dove insegnava il Vangelo. Però, Anania non ha un posto fisso. È venuto da Giaffa, poi si è fermato in diversi villaggi dove ha predicato le verità di Gesù Cristo. Qui ha vissuto di quartiere in quartiere, confortando gli afflitti».
42. Il giovane di Tarso non prese in considerazione l’atteggiamento di profonda umiltà del povero prigioniero e, scontroso, aggiunse minacciosamente: «Pensi di poter mentire a un dottore della Legge?»
43. «Signore, lo giuro...» – disse il giovane con timore.
44. Saul non si degnò di guardare il suo gesto implorante. Indirizzandosi ad una delle guardie, disse impassibile: «Giulio, non abbiamo tempo da perdere. Ho bisogno di tutte le informazioni necessarie. Che si applichi il supplizio delle unghie. Credo che con questo processo non continuerà ad occultarci la verità».
45. L’ordine fu presto soddisfatto. Punte di ferro taglienti furono prese da un grande armadio pieno di polvere. In pochi istanti, Giulio e il suo compagno, dopo aver legato il povero ragazzo ad un rustico palo, applicarono gli strumenti taglienti alle punte delle dita, provocandogli urla lancinanti. Il giovane prigioniero gridò invano, chiedendo pietà. I carnefici udivano con indifferenza. Quando il sangue cominciò a scorrere dall’unghia strappata violentemente, la vittima gridò ad alta voce: «Per pietà!... Confesserò tutto, dirò dove si trova!... Abbiate compassione di me!...»
46. Saul ordinò che fermassero la punizione per un momento, per ascoltare le nuove dichiarazioni.
47. «Signore!» – disse l’infelice tra le lacrime – «Anania non è più a Gerusalemme. Nel nostro ultimo incontro, tre giorni prima che fossimo arrestati, il vecchio discepolo del Vangelo ci ha salutato, dicendo che si sarebbe fermato a Damasco».
48. Quella voce malinconica era l’eco di profonde amarezze chiuse in un cuore così giovane, ma pieno delle delusioni dolorose della vita.
49. Saul, tuttavia, sembrava non avere occhi per vedere le sue toccanti angosce. «Questo è tutto quello che sai?» – chiese seccamente.
50. «Lo giuro!» – disse il ragazzo con umiltà.
51. Data la categorica e trasparente dichiarazione, con lo sguardo onesto e l’inflessione struggente della voce triste, il dottore della Legge si ritenne soddisfatto, inviando il prigioniero di nuovo nelle segrete. Due giorni dopo, il giovane di Tarso convocò una riunione nel Sinedrio, alla quale attribuiva particolare importanza. I colleghi si precipitarono alla chiamata senza eccezione. Aperti i lavori, il dottore di Tarso spiegò il motivo della convocazione.
52. «Amici…» – disse categorico – «…da molto tempo ci riuniamo per esaminare il carattere del conflitto religioso che si è creato a Gerusalemme a causa delle attività dei servi del Falegname di Nazareth. Fortunatamente, il nostro intervento è arrivato in tempo per evitare grandi mali, data la sottigliezza dei falsi taumaturghi esportati dalla Galilea. Al costo di grandi sforzi, l’atmosfera si è chiarita. È vero che le prigioni della città sono piene, ma la misura è giustificata, data la vitale importanza di distruggere l’istinto rivoluzionario delle masse ignoranti. La cosiddetta Chiesa del “Cammino” ha limitato le sue attività all’assistenza agli indigenti e agli ammalati. I nostri più umili quartieri sono in pace. È tornata la serenità ai nostri affari nel Tempio. Tuttavia, non si può dire lo stesso dalle città vicine. Le mie consultazioni con le autorità religiose di Giaffa e di Cesarea ci fanno sapere dei disordini che gli adepti del Cristo stanno provocando, con gravi danni di ordine pubblico. Non solo questi centri hanno bisogno di un lavoro di bonificazione, ma proprio adesso arrivano notizie allarmanti da Damasco che richiedono un intervento immediato. Si trovano da quelle parti pericolosi elementi. Un vecchio chiamato Anania è lì a sconvolgere la vita di coloro che hanno bisogno di pace nelle sinagoghe. Non è giusto che il più alto Tribunale della nostra stirpe si disinteressi della collettività degli israeliti di altri settori. Propongo, quindi, di estendere il beneficio di questa campagna di bonifica alle altre città. A tal fine, offro tutti i miei servigi personali senza onere per la causa che serviamo. Mi basta solo il documento di abilitazione, essenziale al fine di attivare tutti i provvedimenti che mi sembrano necessari, tra cui la pena di morte, nel caso la ritenga indispensabile e opportuna».
53. La proposta di Saul fu accolta con dimostrazioni di simpatia. Con un applauso unanime da parte della ridotta assemblea, ci fu addirittura chi propose un voto speciale di lode per il suo vigile zelo. Mancava al cenacolo la ponderazione di un Gamaliel, e il sommo sacerdote, costretto dall’approvazione generale, non esitò a concedere le lettere necessarie, con ampie autorizzazioni a farlo agire a sua discrezione. I presenti abbracciarono il giovane rabbino con molti encomi per il suo spirito acuto ed energico. Francamente, quella mentalità giovane e vigorosa costituiva, per l’emancipazione politica di Israele, un futuro promettente e un pegno superiore. Protagonista dei riferimenti lusinghieri e stimolanti degli amici, Saul di Tarso aguzzava l’orgoglio della sua stirpe, pieno di speranza nei giorni a venire. La verità è che soffriva amaramente a causa del crollo dei sogni di gioventù, ma avrebbe impiegato la solitudine della sua esistenza nelle lotte che reputava sacre al servizio di Dio.
54. In possesso dei certificati di abilitazione per agire correttamente in cooperazione con le sinagoghe di Damasco, accettò la compagnia di tre giovani rispettabili della società che si offrirono volontariamente di accompagnarlo come amici e servitori.
55. Dopo tre giorni, la piccola comitiva si trasferì da Gerusalemme alla vasta pianura della Siria.
*
(Atti 9,3-9): [3]E avvenne che, mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco, all'improvviso lo avvolse una luce dal cielo [4]e cadendo a terra udì una voce che gli diceva: «Saul, Saul, perché mi perseguiti?». [5]Rispose: «Chi sei, o Signore?». E la voce: «Io sono Gesù, che tu perseguiti! [6]Orsù, alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare». [7]Gli uomini che facevano il cammino con lui si erano fermati ammutoliti, sentendo la voce ma non vedendo nessuno. [8]Saul si alzò da terra ma, aperti gli occhi, non vedeva nulla. Così, guidandolo per mano, lo condussero a Damasco, [9]dove rimase tre giorni senza vedere e senza prendere né cibo né bevanda.
56. Alla vigilia dell’arrivo, quasi alla fine del difficile e penoso viaggio, il giovane di Tarso sentiva il dolore degli amari ricordi che incombevano costantemente nella sua memoria. Forze segrete gli imponevano profonde domande. Gli passavano davanti agli occhi i primi sogni di gioventù. La sua anima si piegava in domande atroci. Era dall’adolescenza che cercava la pace interiore: aveva sete di stabilità per realizzare la sua carriera. Dove trovare quella serenità che fin dal principio era l’oggetto dei suoi pensieri più intimi? I maestri d’Israele sostenevano, per questo fine, l’osservanza integrale della Legge. Al di là di tutto, aveva conservato i suoi principi. Già dagli impulsi iniziali della giovinezza aborriva il peccato.
57. Aveva consacrato il suo ideale di servire Dio con tutte le sue forze. Non esitava nell’esecuzione di tutto quello che considerava dovere, anche se con azioni violente e rude. Se era chiaro che aveva numerosi amici e ammiratori, ma, ugualmente, aveva potenti avversari, a causa suo carattere inflessibile nell’adempiere gli obblighi considerati sacri. Dov’era, allora, la pace spirituale che tanto desiderava negli sforzi comuni? Nonostante consumasse tutte le sue energie, si vedeva come un laboratorio di inquietudini dolorose e profonde. La sua vita era segnata da idee potenti, ma nel suo interiore lottava con antagonismi inconciliabili. Le nozioni della Legge di Mosè non sembravano sufficienti alla sua sete divoratrice. I misteri del fato entusiasmavano la sua mente. Il mistero del dolore e dei diversi destini lo riempivano di enigmi insolubili e di oscure domande. Tuttavia, quegli adepti del Falegname crocifisso sfoggiavano una serenità sconosciuta! L’affermazione di ignoranza dei più gravi problemi della vita non avevano prevalso nel caso di Stefano, poiché aveva dimostrato un’intelligenza poderosa e la mostrò al momento della morte, con una pace impressionante accompagnata da valori spirituali che gli infondevano stupore.
58. Nonostante i compagni lo chiamassero all’attenzione sui primi paesaggi di Damasco che si disegnavano a distanza, Saul non riusciva a sottrarsi all’oscuro soliloquio. Sembrava non vedere i cammelli rassegnati che si trascinavano con pesantezza sotto il Sole ardente di mezzogiorno. Invano lo invitarono a mangiare. Saul sostò per alcuni minuti in una piccola e deliziosa oasi, aspettando che i compagni finissero il frugale pasto, e poi proseguì nella marcia assorbito nell’intensità dei suoi pensieri più intimi.
59. Lui stesso non riusciva a spiegare quello che stava accadendo. I suoi ricordi avevano raggiunto i periodi della prima infanzia. Tutto il suo passato laborioso si rivelò nitidamente, in quell’esame introspettivo. Tra tutte le figure familiari, il ricordo di Stefano e Abigail era quello che più si distingueva, come a suggerirgli grandi domande.
60. Perché i due fratelli di Corinto avevano avuto tale ascendenza in tutti i problemi del suo ego? Perché aveva aspettato Abigail attraverso tutte le strade della gioventù, nell’idealizzazione di una vita pura? Ricordava gli amici più eminenti, e in nessuno di loro aveva trovato le qualità morali simili a quelle del giovane predicatore del “Cammino”, che aveva affrontato la sua autorità politica e religiosa davanti a tutta Gerusalemme, disdegnando l’umiliazione e la morte, per poi morire, benedicendo anche le sue risoluzioni malvagie e spietate. Che forza li univa nei labirinti del mondo, dato che il suo cuore non poteva più dimenticarli?
61. La verità dolorosa era che si trovava senza alcuna pace interiore, nonostante la conquista e il godimento di tutte le prerogative e i privilegi tra le figure più eminenti della sua stirpe. Sfilavano, nel pensiero, le giovani donne che aveva incontrato nel corso della sua vita, le predilette della sua infanzia, ma in nessuna di loro era riuscito a trovare le stesse caratteristiche come in Abigail, colei che aveva indovinato i suoi più segreti desideri. Tormentato dalle profonde domande che continuavano ad accumularsi nella sua mente, sembrò svegliarsi da un grande incubo. Doveva essere mezzogiorno. Ancora lontani, i paesaggi di Damasco si presentavano con i loro contorni: folti frutteti, cupole grigie che si delineavano a distanza. Ben seduto in sella, mostrava l’equilibrio di un uomo abituato ai piaceri dello sport, Saul andava avanti col suo atteggiamento dominatore.
62. In un dato momento, tuttavia, quando a malapena si era risvegliato dalle sue angosciose cogitazioni, si sentì avvolto da luci diverse dalle tonalità solari. Ebbe l’impressione che l’aria si squarciasse come una tenda, sotto una pressione invisibile e potente. Intimamente, si considerò preda di un’improvvisa vertigine, dopo lo sforzo mentale, persistente e doloroso. Voleva girarsi, chiedere aiuto ai compagni, ma non li vide, nonostante la possibilità di supplicare il soccorso.
63. «Giacobbe! ... Demetrio! ... Aiutatemi! ...» – urlò disperato.
64. Ma la confusione dei sensi gli fece perdere l’equilibrio e cadde dall’animale, indifeso, sulla sabbia ardente. La vista, tuttavia, sembrava dilatarsi all’infinito. Un’altra luce gli inondò gli occhi abbagliandoli, e sulla strada, che l’atmosfera frammentava, vide sorgere la figura di un uomo di maestosa bellezza, che dava l’impressione di scendere dal cielo per andargli incontro. La sua tunica era fatta di punti luminosi, i capelli toccavano le spalle, alla nazarena, occhi magnetici, seducenti di simpatia e di amore, illuminavano il suo volto serio e tenero, dove pendeva una divina tristezza.
65. Il dottore di Tarso lo contemplò con profondo stupore, e fu allora che, in un’inflessione di voce indimenticabile, lo sconosciuto disse: “Saul...! Saul...! Perché mi perseguiti?”
66. Il giovane di Tarso non si accorse che istintivamente si era messo in ginocchio. Senza essere in grado di definire ciò che stava accadendo, strinse il petto in un atteggiamento disperato. Un forte senso di venerazione prese possesso di tutta la sua persona. Cosa significava tutto questo? Di chi era il volto divino che intravedeva nel panorama del firmamento e la cui presenza gli inondava il cuore galoppante di emozioni sconosciute?
67. Mentre i suoi compagni circondavano il giovane inginocchiato, senza sentire né vedere niente, nonostante avessero notato in un primo momento una grande luce alta nel cielo, Saul Lo interrogò con voce tremante e impaurito: «Chi siete voi, Signore?»
68. Aureolato in una luce balsamica e in un tono di inconcepibile dolcezza, il Signore rispose: “Io sono Gesù! ...”
69. Allora si vide l’orgoglioso e inflessibile dottore della Legge inchinarsi a terra in un pianto convulsivo. Si direbbe, che l’appassionato rabbino di Gerusalemme era stato ferito a morte, sperimentando in una sola volta il crollo di tutti i principi che gli avevano plasmato e guidato lo spirito fino ad allora nella vita. Davanti agli occhi aveva adesso quel Cristo magnanimo e incompreso! I predicatori del “Cammino” non erano illusi. Le parole di Stefano erano la pura verità! La credenza di Abigail era il cammino reale. Quello era il Messia! La meravigliosa storia della sua resurrezione non era una storia leggendaria al fine di fortificare le energie del popolo. Sì, lui, Saul, lo vedeva lì in tutto il Suo splendore della Sua gloria divina! E che amore gli doveva animare il cuore pieno di nobile misericordia, per venire a trovarlo sulle strade deserte, lui, Saul, che si era innalzato a persecutore implacabile dei Suoi discepoli più fedeli? ... Nell’espressione di sincerità della sua anima ardente, considerò tutto questo nella fugacità di un attimo. Sperimentò un’invincibile vergogna del suo passato crudele. Un torrente di lacrime impetuose lavarono il suo cuore. Voleva parlare, fare penitenza, piangere le sue infinite delusioni, gridare fedeltà e dedizione al Messia di Nazareth, ma il rammarico sincero dello spirito pentito e dilaniato, gli imbrigliava la voce.
70. Fu quando notò che Gesù si era avvicinato e, contemplandoLo affettuosamente, il Maestro gli toccò la spalla con tenerezza, dicendo con inflessione paterna: “Non resistere ai pungiglioni...!”
71. Saul comprese. Dal primo incontro con Stefano, forze profonde lo avevano indotto in ogni momento e ovunque alla meditazione dei nuovi insegnamenti. Cristo lo aveva chiamato con tutti i mezzi e con tutte le modalità.
72. Senza essere in grado di comprendere la divina grandezza di quel momento, i compagni di viaggio lo videro piangere più copiosamente.
73. Il giovane di Tarso singhiozzava. Davanti all’espressione dolce e suadente del Messia nazareno, considerava il tempo perso in cammini scabrosi e ingrati. D’ora in poi necessitava riformare il patrimonio dei suoi pensieri più intimi; la visione di Gesù risorto, ai suoi occhi mortali, gli rinnovava integralmente le concezioni religiose. Di certo, il Salvatore si era impietosito del suo cuore leale e sincero, consacrato al servizio della Legge, ed era sceso dalla Sua gloria porgendogli le Sue mani divine. Lui, Saul, era la pecorella smarrita nel burrone delle teorie infiammanti e distruttrici. Gesù era il Pastore amico che chiudeva gli occhi al roveto ingrato, per salvarlo affettuosamente.
74. In un lampo, il giovane rabbino considerò la grandezza di quel gesto d’amore. Le lacrime spuntarono dal suo cuore amaro come la linfa pura di una fonte sconosciuta. Proprio lì, nell’augusto santuario dello spirito, fece la promessa di consegnarsi a Gesù per sempre. Ricordò, improvvisamente, le rigide e dolorose prove. L’idea di un focolare con Abigail era morta. Si sentì solo e sopraffatto. D’ora in poi, però, si sarebbe consacrato al Cristo, come semplice schiavo del Suo Amore. Si sarebbe impegnato in tutto per provarGli che sapeva comprendere il Suo sacrificio, sostenendoLo nel buio sentiero dell’iniquità umana, in quell’istante decisivo per il suo destino. Bagnato di lacrime, come mai gli era accaduto nella vita, fece proprio lì, sotto gli sguardi atterriti dei compagni e del calore cocente del mezzogiorno, la sua prima professione di fede.
75. «Signore, che vuoi che io faccia?»
76. Quell’anima risoluta, anche in quel momento di resa incondizionata, umiliata e ferita nei suoi principi più stimabili, dava esempio della sua nobiltà e lealtà. Trovando la rivelazione maggiore davanti all’amore che Gesù gli mostrava sollecito, Saul di Tarso non scelse compiti per servirLo nella rinnovazione dei suoi sforzi di uomo. Consegnandosi anima e corpo, come se fosse un servo insignificante, interrogò con umiltà cosa desiderasse il Maestro dalla sua cooperazione.
77. E fu allora che Gesù, contemplandolo più amorevolmente e dandogli a comprendere la necessità degli uomini di armonizzarsi nel lavoro comune dell’edificazione di tutti, nell’amore universale, e in Suo Nome, disse generosamente: “Alzati, Saul! Entra in città, e là ti sarà detto ciò che conviene fare! ...”
78. Così il giovane di Tarso non percepì più il volto amorevole, avendo l’impressione di essere immerso in un mare di ombre. Prosternato, continuò a piangere, provocando pietà nei compagni. Si strofinò gli occhi, come se volesse strappare il velo che gli oscurava la vista, ma riusciva solo a brancolare nel buio fitto. A poco a poco, cominciò a rendersi conto della presenza degli amici che sembravano commentare la situazione:
79. «E adesso, Giacobbe?» – disse uno di loro, mostrando grande preoccupazione – «Cosa facciamo adesso?»
80. «Pensandoci bene…» – rispose l’interrogato – «…è meglio inviare Giona a Damasco per chiedere un intervento immediato».
81. «Ma cos’è successo?» – chiese il vecchio rispettabile chiamato Giona.
82. «Non lo so…» – disse Giacobbe impressionato – «…in un primo momento ho notato un’intensa luce nei cieli, e poco dopo ho sentito che lui stava chiedendo aiuto. Non ho avuto il tempo di rispondere, perché nello stesso istante è caduto dall’animale senza aspettare soccorso».
83. «Ciò che mi preoccupa…» – disse Demetrio – «…è questa conversazione con le ombre. Con chi parlerà? Se si sente solo la sua voce e non vediamo nessuno, cosa starà accadendo qui, in questo momento, che non comprendiamo?»
84. «Non avvertite che il capo è in delirio?» – disse Giacobbe prudentemente. – «I grandi viaggi, con il Sole cocente, di solito abbattono anche gli organismi più resistenti. Inoltre, come abbiamo visto, fin dal mattino sembrava depresso e malato. Non si è alimentato, si è indebolito a causa degli sforzi di questi giorni così lunghi che stiamo attraversando, da Gerusalemme, con grande sacrificio. A mio avviso…» – concluse scuotendo la testa rattristato – «…questo è un caso di quelle febbri che colpiscono improvvisamente nel deserto».
85. Il vecchio Giona, però, con gli occhi sgranati, fissava il rabbino che singhiozzava con grande meraviglia. Dopo aver sentito il parere dei compagni, impaurito, come se temesse di offendere una qualche entità sconosciuta, disse: «Ho grande esperienza di questi spostamenti, con il Sole a picco. Ho speso la mia gioventù conducendo cammelli attraverso i deserti dell’Arabia. Ma non ho mai visto in questi luoghi un malato con queste caratteristiche, la febbre di quelli che cadono esauriti, in nessun modo si manifesta come delirio e lacrime. Il malato cade abbattuto senza reazioni. Qui, invece, vediamo il capo come se stesse parlando con qualcuno invisibile. Rifiuto di accettare quest’ipotesi, ma ho il sospetto che, in tutto questo, ci siano i sortilegi di quelli del “Cammino”.
86. I seguaci del Falegname conoscono i processi magici che siamo lontani dal comprendere. Non ignoriamo che il dottore si è consacrato al compito di perseguitarli, ovunque si trovino. Non hanno forse pianificato contro di lui una qualche crudele vendetta? Mi sono offerto di venire a Damasco per fuggire dai miei parenti che sembrano sedotti da queste nuove dottrine. Chi ha mai sentito parlare della cura della cecità con una semplice imposizione delle mani? Tuttavia, mio fratello è guarito con il famoso Simon Pietro. Solo la stregoneria, a mio avviso, spiega queste cose. Vedendo tanti fatti misteriosi a casa mia, ho avuto paura di Satana e sono fuggito».
87. Raccolto in se stesso, sorpreso in mezzo alle dense tenebre che lo avvolgevano, Saul sentì i commenti da parte degli amici, sperimentando un grande abbattimento come se fosse tornato esausto e cieco da un enorme sconfitta.
88. Asciugandosi le lacrime, chiamò uno di loro con profonda umiltà. Vennero tutti con sollecitudine.
89. «Cosa è successo?» – chiese Giacobbe preoccupato e ansioso. – «Siamo afflitti per voi. State male, signore?... provvederemo a tutto ciò che riterrete necessario...».
90. Saul fece un gesto sconsolato e disse: «Sono cieco!»
91. «Davvero?» – chiese l’altro agitato.
92. «Ho visto Gesù di Nazareth!» – disse contrito, totalmente cambiato.
93. Giona fece un segno significativo come per confermare ai compagni che aveva ragione, si guardarono tutti molto stupiti. Avevano capito, istintivamente, che il giovane rabbino era sconnesso. Giacobbe, che era l’amico più intimo, si mosse per primo e disse:
94. «Signore, ci dispiace per la vostra malattia. Ma bisogna decidere per quanto riguarda il destino del convoglio».
95. Il dottore di Tarso, tuttavia, rivelando un’umiltà che non si conciliava con il suo temperamento dominatore, lasciò cadere una lacrima e rispose con profonda tristezza: «Giacobbe, non preoccuparti per me... Quanto a quello che devo fare, adesso ho bisogno di arrivare a Damasco, senza indugio. Quanto a voi...» – e con la voce reticente che usciva dolorosamente come se fosse pressata da una grande angoscia, concluse in tono amaro – «…fate ciò che volete, perché fino ad ora eravate i miei servi, ma d’ora in poi anch’io sono uno schiavo, non appartengo più che a me stesso».
96. Davanti a quella voce umile e triste, Giacobbe si mise a piangere. Aveva la piena convinzione che Saul era impazzito. Chiamò i due compagni da parte e disse: «Voi ritornate a Gerusalemme con la triste notizia, mentre io vado alla città vicina con il dottore per provvedere alla migliore soluzione. Lo porterò dai suoi amici e cercheremo l’aiuto di un medico... Noto che è estremamente turbato...».
97. Il giovane rabbino prese conoscenza delle deliberazioni quasi senza sorpresa. Accettò passivamente la risoluzione del servo. In quel momento, immerso nelle ombre scure e profonde, aveva l’immaginazione ricca di congetture trascendenti. La cecità improvvisa non lo affliggeva. Nella forza di tale buio che riempiva gli occhi della carne, sembrava emergere la figura dell’irradiante Gesù, negli occhi dello spirito. Era giusto che cessassero le percezioni visive, al fine di conservare per sempre la memoria del glorioso minuto della sua trasformazione per una vita più elevata.
98. Saul ricevette le osservazioni di Giacobbe con l’umiltà di un bambino. Senza lamentarsi e senza fare resistenza, sentì il trotto della compagnia che se ne andava, mentre il vecchio servitore gli offriva il braccio amico, preso da infinite paure.
99. Con le lacrime che scendevano dagli occhi inespressivi, perso in qualche visione impenetrabile nel vuoto, l’orgoglioso dottore di Tarso, guidato da Giacobbe, proseguì a piedi sotto il Sole cocente del primo pomeriggio.
100. Commosso dalle benedizioni ricevute dalle più alte sfere della vita, Saul pianse come mai aveva fatto prima. Era cieco e separato dai suoi. Dolorose angosce si intasavano nel suo cuore oppresso. Ma la visione del Cristo resuscitato, la Sua Parola indimenticabile, la Sua espressione d’Amore, erano adesso presenti nella sua anima trasformata. Gesù è il Signore, inaccessibile alla morte. Lui avrebbe guidato i suoi passi nel cammino, gli avrebbe dato nuovi ordini prosciugando le ferite della vanità e dell’orgoglio che gli rodevano il cuore; soprattutto, gli avrebbe concesso la forza per riparare agli errori dei suoi giorni d’illusione.
101. Impressionato e triste, Giacobbe guidava il suo capo, amico, chiedendosi la ragione di quel pianto incessante e silenzioso.
102. Avvolto dall’ombra della cecità temporanea, Saul non si rese conto che i veli spessi del crepuscolo abbracciavano la natura. Nubi minacciose incombevano annunciando la notte, mentre venti soffocanti soffiavano dall’immensa pianura. Difficilmente riusciva a seguire i passi di Giacobbe, il quale voleva affrettare il passo per paura della pioggia. Il suo cuore, risoluto ed energico, non percepiva gli ostacoli che si frapponevano nel suo doloroso viaggio. Mancava la visione, aveva bisogno di una guida; ma Gesù gli aveva raccomandato di entrare in città dove gli sarebbe stato detto ciò che doveva fare. Era necessario ubbidire al Salvatore che lo aveva onorato con le supreme rivelazioni della vita.
103. Con passi indecisi, facendosi male ai piedi a ogni movimento insicuro, avrebbe camminato in ogni modo possibile per eseguire gli ordini divini. Era indispensabile non considerare le difficoltà; era essenziale non dimenticare lo scopo. Cosa importava la cecità, il ritorno alla compagnia di Gerusalemme, la dolorosa camminata a piedi fino a Damasco, la falsa impressione dei compagni sull’incidente indimenticabile, la perdita dei titoli onorifici, il ripudio dei sacerdoti suoi amici, le incomprensioni di tutto il mondo, dinanzi al fatto culminante del suo destino?
104. Saul di Tarso, con la profonda sincerità con cui compiva le minime azioni, comprese che Dio aveva cambiato disposizione nei suoi confronti. Gli sarebbe stato fedele fino alla fine!
105. Quando le ombre del crepuscolo si fecero più consistenti, due uomini sconosciuti entrarono alla periferia della città. Anche se il vento portava nuvole tempestose verso il deserto, grosse gocce di pioggia caddero qua e là per le calde strade polverose. Le finestre delle case residenziali vennero chiuse rumorosamente.
106. Damasco poteva ricordare il giovane di Tarso, bello e trionfante. Lo conosceva nelle sue feste più brillanti, abituata ad applaudirlo nelle sinagoghe. Ma vedendo passare nella via pubblica quei due uomini stanchi e tristi, mai avrebbe potuto identificarlo in quel giovane che camminava barcollando con gli occhi spenti...
PARTE SECONDA
Nuova vita
۞
La salvifica cecità guarita da Anania, poi in sinagoga
1. «Dove andiamo, signore?» – osò Giacobbe chiedere, timidamente, non appena entrarono nelle vie tortuose di Damasco.
2. Il giovane di Tarso sembrò riflettere per un attimo, poi disse: «È vero che porto con me un po’ di soldi; ma sono in una situazione molto difficile, sento la necessità di assistenza, più morale che di riposo fisico. Ho bisogno di qualcuno che mi aiuti a capire cosa mi è successo. Sai dove abita Sadoc?»
3. «Sì, lo so!» – rispose il servo addolorato.
4. «Portami lì... Penserò ad una locanda dopo essermi incontrato con un amico».
5. Non passò molto tempo ed eccoli davanti alla porta di un edificio di singolare e superbo aspetto. Le mura ben definite circondavano un ampio atrio decorato con fiori e arbusti.
6. Riposando vicino al cancello d’ingresso, Saul raccomandò al compagno: «Non è conveniente che mi avvicini così, senza preavviso. Non ho mai visitato Sadoc in queste condizioni. Entra nell’atrio, chiamalo e raccontagli quello che mi è successo. Aspetterò qui, anche perché non riesco a fare nemmeno un passo».
7. Il servo ubbidì prontamente. La panchina dove sedersi era a qualche passo dal grande portone di accesso, ma rimasto solo era ansioso di sentire un amico che lo capisse. Saul trovò il muro toccando qua e là.
8. Vacillante e tremante, si trascinò con difficoltà, ma raggiunse la panchina all’ingresso, dove rimase.
*
9. Rispondendo alla chiamata, Sadoc cercò di conoscere il motivo della visita inaspettata. Giacobbe spiegò, con umiltà, che era venuto da Gerusalemme, accompagnando il dottore della Legge, e raccontò i più piccoli particolari del viaggio e degli scopi perseguiti; ma quando si riferì all’episodio principale, Sadoc spalancò gli occhi scioccato. Non riusciva a credere ai suoi orecchi, ma non poteva dubitare della sincerità del narratore, il quale, a sua volta, a malapena nascondeva lo stupore. L’uomo riferì lo stato miserabile del capo, la sua cecità, le copiose lacrime che versava.
10. Saul piangere, l’amico di Damasco riceveva quelle strane notizie con immensa sorpresa, sintetizzando le prime impressioni in una risposta che lasciò Giacobbe sconcertato: «Quello che mi racconti è quasi inverosimile; tuttavia, in tali circostanze, diventa impossibile accoglierlo qui. Da ieri ho la casa piena di amici importanti, neo arrivati da Citium[34] per una grande riunione nella sinagoga, sabato prossimo. Credo che Saul si sia turbato, inaspettatamente, e non voglio esporre lui a giudizi e commenti poco degni».
11. «Ma signore, che gli dico?» – chiese Giacobbe esitante.
12. «Digli che non sono in casa».
13. «Tuttavia... mi ritrovo da solo con lui così sconvolto, e malato, e come vedete, la notte è tempestosa...».
14. «Sadoc rifletté un attimo e disse: «Non sarà difficile rimediare. Alla prossima curva si trova la cosiddetta “Via Recta”[35], e dopo aver camminato pochi passi troverai la locanda di Giuda, che ha sempre molte camere disponibili. Più tardi cercherò di arrivare lì per informarmi dell’accaduto.
15. Sentendo queste parole, che sembravano più un ordine che una risposta all’appello di un amico, Giacobbe lo salutò sorpreso e costernato.
*
16. «Signore…» – disse al rabbino, tornando al cancello d’ingresso – «…purtroppo il vostro amico Sadoc non è in casa.
17. «Non c’è?» – esclamò Saul stupito – «Da qui si sentiva la sua voce, anche se non distinguevo ciò che diceva. È possibile che anche i miei orecchi siano disturbati?»
18. Data quell’osservazione così espressiva e sincera, Giacobbe non riuscì a nascondere la verità, riferendo al rabbino l’accoglienza ricevuta e l’atteggiamento riservato e freddo di Sadoc.
19. Seguendo le parole della guida, muto, Saul ascoltò tutto, asciugandosi una lacrima. Non contava su una simile accoglienza da parte di un collega che aveva sempre considerato degno e fedele in ogni circostanza della sua vita. Fu sorpreso e scioccato. Era naturale che Sadoc temesse il rinnovamento delle sue idee, ma non era giusto lasciare un amico malato alle intemperie della notte. Tuttavia, nel vortice delle amarezze che cominciavano a minargli il cuore, ricordò improvvisamente la visione di Gesù e rifletté che, effettivamente, possedeva ora esperienze che l’altro non era in grado di capire, arrivando alla conclusione che forse avrebbe fatto lo stesso se i ruoli si fossero invertiti.
20. Completato il resoconto del compagno, disse rassegnato: «Sadoc ha ragione. Non conveniva turbarlo con la descrizione del fatto, dal momento che aveva alla sua tavola amici di responsabilità pubblica. Inoltre, sono cieco... Sarei stato un inconveniente, e non un ospite».
21. Queste considerazioni commossero il suo compagno che, per inciso, lasciava intravedere al giovane rabbino le sue personali paure. Nelle parole di Giacobbe, Saul avvertì una vaga manifestazione di timori infondati. Il modo di agire di Sadoc, forse, aveva fatto crescere dei sospetti. I suoi avvertimenti erano reticenti e titubanti. Sembrava intimidito, come se prevedesse una minaccia per la sua tranquillità personale. Nei concetti più semplici aveva rivelato la paura di essere accusato come portatore di una qualche espressione del “Cammino”. Nella ampiezza del senso psicologico, il giovane di Tarso capì tutto. Stava di fatto che lui, Saul, rappresentava il capo supremo della campagna persecutoria, ma d’ora in poi avrebbe consacrato la sua vita a Gesù, compromettendo così qualsiasi persona che si fosse avvicinata direttamente a lui.
22. La sua trasformazione avrebbe provocato molte proteste negli ambienti farisaici. Percepì l’indecisione della guida, la paura di essere accusato di incantesimo o stregoneria.
23. Infatti, dopo essersi comodamente sistemati nella modesta locanda di Giuda, il suo compagno gli disse preoccupato:
24. «Signore, mi pesa lamentarmi ma, in accordo con i progetti fatti, ho bisogno di tornare a Gerusalemme, dove mi aspettano due figli, al fine di sistemarci in Cesarea».
25. «Certamente…» – rispose Saul, rispettando i suoi scrupoli – «..potrai partire domani all’alba».
26. Quella voce, prima aggressiva e autoritaria, adesso era diventata compassionevole e dolce, al punto da toccare il cuore del servo nelle sue fibre più sensibili.
27. «Signore, comunque sto esitando…» – disse il vecchio lacerato dal rimorso – «…siete cieco, avete bisogno di aiuto per ritrovare la vista e, onestamente, mi dispiace abbandonarvi».
28. «Non preoccuparti a causa mia…» – esclamò il dottore della Legge rassegnato – «…e chi ti ha detto che sarò abbandonato? Sono convinto che i miei occhi saranno curati molto presto».
29. «Tra l’altro…» – continuò Saul come a confortare se stesso – «…Gesù mi ha mandato in città per sapere cosa mi conviene. Certamente non mi lascerà, ignorando cosa devo fare».
30. Così dicendo, non poté vedere l’espressione di pietà con cui Giacobbe lo fissava, smarrito e oppresso. Tuttavia, nonostante il male che gli causava l’amico in tale stato, ricordando le punizioni inflitte ai seguaci del Cristo a Gerusalemme, pur non riuscendo a sottrarsi alle sue più intime paure, partì alle prime luci dell’alba.
31. Saul, adesso, era rimasto solo. Nel fitto velo delle ombre poteva affidarsi alle sue profonde e tristi meditazioni.
32. La borsa piena e generosa assicurò la sollecitudine del padrone della locanda, il quale, di volta in volta, veniva a chiedere di cosa avesse bisogno, ma invano l’ospite fu invitato ai banchetti e ai divertimenti, poiché nulla poteva trascinarlo via dal suo taciturno isolamento.
33. Quei tre giorni a Damasco furono di rigorosa disciplina spirituale. La sua personalità dinamica aveva stabilito una tregua alle attività mondane, per esaminare gli errori del passato, le difficoltà attuali e le realizzazioni future. Era necessario regolare l’ineluttabile riforma del suo io. Nell’angoscia dello spirito, si sentiva, di fatto, privo di tutti gli amici. Il comportamento di Sadoc era normale e sarebbe valso per tutti i corregionali, i quali mai avrebbero concordato con la sua adesione ai nuovi ideali. Nessuno avrebbe creduto alla sua conversione inaspettata, ed avrebbe dovuto lottare contro tutti gli scettici una volta che Gesù, per parlare al suo cuore, aveva scelto l’ora più chiara e più abbagliante del giorno, nella vasta piana del deserto, e solo in compagnia di tre uomini molto meno colti di lui e, per questo, anche meno in grado di capire qualcosa nella loro povertà intellettiva.
34. Nell’apprezzare i valori umani, sentì l’angoscia insopportabile di quelli che sono completamente abbandonati, ma nel vortice dei ricordi si delineavano le figure di Stefano e Abigail che gli propiziavano emozioni confortanti. Ora capiva quel Cristo che era venuto al mondo, soprattutto per gli sfortunati e i tristi di cuore. Prima si era ribellato al Messia nazareno, le cui gesta presumevano questa o quell’incomprensibile atto di sofferenza e passione; tuttavia, adesso, esaminandosi meglio, attingeva dalla propria esperienza le più proficue conclusioni.
35. Nonostante i titoli del Sinedrio, le responsabilità pubbliche, la rinomata reputazione e l’ammirazione dappertutto, chi era lui, se non un bisognoso della protezione divina? Le convenzioni mondane e i pregiudizi religiosi gli avevano offerto una tranquillità apparente; ma bastò l’intervento del dolore inaspettato per dirigere i suoi immensi bisogni. Infinitamente incentrato sulla cecità che lo coinvolgeva, pregò con fervore, si appellò a Dio di non lasciarlo senza aiuto, chiese a Gesù di chiarire il suo animo tormentato da idee di angoscia e di impotenza.
*
(Atti 9,10-19): [10]Ora c'era a Damasco un discepolo di nome Anania e il Signore in una visione gli disse: «Anania!». Rispose: «Eccomi, Signore!». [11]E il Signore a lui: «Su, và sulla strada chiamata Diritta, e cerca nella casa di Giuda un tale che ha nome Saul, di Tarso; ecco sta pregando, [12]e ha visto in visione un uomo, di nome Anania, venire e imporgli le mani perché ricuperi la vista». [13]Rispose Anania: «Signore, riguardo a quest'uomo ho udito da molti tutto il male che ha fatto ai tuoi fedeli in Gerusalemme. [14]Inoltre ha l'autorizzazione dai sommi sacerdoti di arrestare tutti quelli che invocano il tuo nome». [15]Ma il Signore disse: «Và, perché egli è per me uno strumento eletto per portare il mio nome dinanzi ai popoli, ai re e ai figli di Israele; [16]e io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome». [17]Allora Anania andò, entrò nella casa, gli impose le mani e disse: «Saul, fratello mio, mi ha mandato a te il Signore Gesù, che ti è apparso sulla via per la quale venivi, perché tu riacquisti la vista e sia colmo di Spirito Santo». [18]E improvvisamente gli caddero dagli occhi come delle squame e ricuperò la vista; fu subito battezzato, [19]poi prese cibo e le forze gli ritornarono.
36. Nel terzo giorno di fervente preghiera, ecco che il locandiere annunciò che qualcuno lo cercava. Sarà Sadoc? Saul aveva sete di una voce amica e affettuosa. Lo fece entrare. Un vecchietto con un viso sereno e affettuoso era lì, senza che il convertito potesse vedere i rispettabili capelli grigi e il generoso sorriso. Il silenzio del visitatore indicava che era uno sconosciuto.
37. «Chi sei?» – chiese il cieco sorpreso.
38. «Fratello Saul…» – rispose l’interrogato dolcemente – «…il Signore, che ti è apparso sulla strada mi ha mandato in questa casa affinché tu torni a vedere e a ricevere l’illuminazione dello Spirito Santo».
39. Ascoltandolo, il giovane di Tarso tentennò ardentemente nell’ombra. Chi era quell’uomo che conosceva i fatti accaduti sulla strada di Damasco! Forse qualche conoscente di Giacobbe? Ma... e quella inflessione vocale tenera e amorevole?
40. «Qual è il vostro nome?» – chiese quasi impaurito.
41. «Anania».
42. La risposta fu una rivelazione. La pecorella perseguitata era andata a cercare il lupo vorace. Saul capì la lezione che il Cristo gli forniva. La presenza di Anania rievocava alla mente i ricordi più sacri. Era stato l’iniziatore di Abigail alla Dottrina e la ragione del viaggio a Damasco dove avrebbe trovato Gesù e la verità rinnovatrice. Preso da profonda venerazione, voleva inginocchiarsi davanti al discepolo del Signore, che lo chiamava affettuosamente “fratello”, e baciargli le mani benefiche, ma tastò solamente il vuoto senza ottenere la realizzazione del suo desiderio.
43. «Volevo baciare la vostra tunica…» – disse con umiltà e gratitudine – «…ma come vedete, sono cieco! ...»
44. «Gesù mi ha mandato proprio affinché tu possa avere, ancora una volta, il dono della vista».
45. Molto commosso, il vecchio discepolo del Signore vide che l’inseguitore crudele degli apostoli del “Cammino” era stato totalmente trasformato. Ascoltando la sua parola piena di fede, Saul di Tarso lasciò intravedere, nel viso, i segni di una profonda gioia interiore. Dagli occhi annebbiati scorrevano lacrime cristalline. Il giovane appassionato e capriccioso aveva imparato ad essere umile ed umano.
46. «Gesù è il Messia eterno! Ho depositato la mia anima nelle Sue mani!» ... – disse esaltato e pieno di speranza. – «Mi punisco di quello che ho fatto nel mio cammino! ...»
47. Bagnato dalle lacrime del sincero pentimento, senza sapere come esprimere il riconoscimento di quell’ora a causa del buio che ostacolava i suoi passi, s’inginocchiò con umiltà.
48. Il generoso vecchietto voleva impedire quel gesto di rinuncia suprema, considerando la propria condizione di uomo fallibile e imperfetto; ma, volendo incoraggiare tutte le risorse di quell’anima ardente, a favore della sua completa conversione al Cristo, si avvicinò commosso e, mettendo la sua mano callosa su quella fronte tormentata, esclamò: «Fratello Saul, in nome di Dio Onnipotente io ti battezzo per la nuova fede in Cristo Gesù!...»
49. Tra le calde lacrime che prorompevano dai suoi occhi, il giovane di Tarso disse contrito: «Si degni il Signore di perdonare i miei peccati e illumini i miei propositi per una vita nuova».
50. «Adesso…….» – disse Anania posando le mani sui suoi occhi spenti, e in un gesto d’amore – «…nel Nome del Salvatore, chiedo a Dio che tu possa vedere nuovamente!»
51. «Se è gradito a Gesù che questo accada…» – disse Saul agitato – «…offro i miei occhi ai suoi santi servizi, per tutto e per sempre!»
52. E, come se fossero entrate in gioco forze potenti e invisibili, sentì che dalle palpebre irritate cadevano sostanze pesanti come squame, man mano che la vista gli ritornava, imbevendosi di luce. Attraverso la finestra aperta, vide il cielo chiaro di Damasco, sperimentando un’indefinibile gioia in quell’oceano di luce strabiliante. La brezza del mattino, come profumo del Sole, venne a bagnargli la fronte, traducendola nel suo cuore come una benedizione di Dio.
53. «Vedo! ... Adesso vedo! ... Gloria al Redentore della mia anima! ...» – esclamò stendendo le braccia in un trasporto di gratitudine e di amore.
54. Anche Anania non si trattenne più; davanti a quella prova inaudita della Misericordia di Gesù, il vecchio discepolo del Vangelo abbracciò il giovane di Tarso, piangendo di gratitudine verso Dio per i favori ricevuti. Tremando di felicità, lo sollevò tra le braccia generose, sostenendo la sua anima sorpresa e turbata di gioia.
55. «Fratello Saul…» – disse con entusiasmo – «…questo è il nostro grande giorno; abbracciamoci nella sacra memoria del Maestro che ci ha uniti nel suo grande amore! ...»
56. Il convertito di Damasco non disse una parola. Lacrime di gratitudine lo soffocavano. Abbracciandosi al vecchio predicatore, in un gesto espressivo e muto, lo fece come se avesse trovato un padre devoto e amorevole della sua nuova esistenza. Per un momento rimasero senza parole, meravigliati e in soggezione per l’intervento divino, come due cari fratelli che si erano riconciliati sotto gli occhi di Dio.
57. Saul ora si sentiva forte e agile. In un minuto sembrò riprendersi tutte le energie della sua vita. Tornando in sé dopo l’appagamento divino che lo aveva reso felice, prese la mano del vecchio discepolo e la baciò con venerazione. Anania aveva gli occhi pieni di lacrime. Lui stesso non poteva prevedere le gioie infinite che lo aspettavano nella semplice locanda di “Via Recta”.
58. «Mi avete resuscitato per Gesù…» – esclamò con gioia – «…sarò Suo eternamente. La Sua misericordia sopperirà le mie debolezze, avrà compassione delle mie ferite, invierà aiuto alla miseria della mia anima peccatrice, affinché il fango del mio spirito diventi l’oro del Suo Amore».
59. «Sì, siamo di Cristo!» – disse il generoso vecchietto con gli occhi pieni di gioia traboccante.
60. E, come se improvvisamente si fosse trasformato in un bambino avido di insegnamenti, Saul di Tarso sedette vicino all’amico benefattore, pregandolo di raccontargli tutti i particolari della vita di Cristo, i suoi postulati e gli atti immortalati. Anania gli raccontò tutto quello che sapeva di Gesù attraverso i racconti degli apostoli, dopo la crocifissione di cui anche lui era stato testimone a Gerusalemme in quel tragico pomeriggio del Calvario. Disse che era un calzolaio a Emmaus ed era andato alla città santa per le celebrazioni del Tempio, aveva seguito il dramma inquietante per le strade affollate di gente. Parlò della compassione che gli causò il Messia coronato di spine e schernito dalla folla inferocita e incosciente. Profonda era l’emozione nel descrivere il cammino faticoso con la croce, protetto da soldati spietati, contro il furore popolare che sbraitava l’orribile crimine.
61. Curioso per lo svolgersi degli eventi, seguì il condannato su per la collina. Alla croce del martirio, Gesù gli aveva gettato uno sguardo indimenticabile. Per il suo spirito, quello sguardo traduceva una chiamata sacra che era indispensabile comprendere. Profondamente impressionato, assistette a tutto fino alla fine. Dopo tre giorni, ancora sotto il peso di quelle strazianti impressioni, ecco che gli giunse una nuova e inaspettata notizia: il Cristo era risorto dai morti per la gloria eterna dell’Onnipotente. I Suoi discepoli erano ebbri di gioia. Allora cercò Simon Pietro per capire meglio la personalità del Salvatore. Un tale sublime racconto sugli alti insegnamenti e le profonde rivelazioni, gli chiarirono lo spirito, e accettò il Vangelo senza ulteriori esitazioni.
62. Desideroso di condividere il lavoro che Gesù aveva lasciato in eredità a coloro che gli appartenevano, tornò a Emmaus, prese i beni materiali che possedeva e aspettò gli apostoli galilei a Gerusalemme, dove si unì a Pietro per le prime attività della Chiesa del “Cammino”. L’essenza degli insegnamenti del Cristo vitalizzarono lo spirito. Gli acciacchi della vecchiaia scomparvero. Non appena Giovanni e Filippo arrivarono a Gerusalemme per collaborare con il vecchio pescatore di Cafarnao nella costruzione evangelica, si misero d’accordo per il suo trasferimento a Giaffa, per soddisfare le numerose richieste di fratelli desiderosi di conoscere la dottrina. Lì rimase fino a quando le persecuzioni con la morte di Stefano si erano intensificate, e fu costretto a ritirarsi.
63. Saul assorbiva le sue parole con singolare gioia, come uno che corteggiava un mondo nuovo. Il riferimento alle persecuzioni ravvivava gli acerbi rimorsi; in compenso, la sua anima era piena di auguri sinceri, promettenti una vita nuova.
64. «È vero…» – disse, mentre il narratore faceva una lunga pausa – «…sono venuto a Damasco con il consenso del Tempio per portarti come prigioniero a Gerusalemme, ma sei stato tu che, con il consenso di Gesù, mi hai unito a Lui per sempre. Se ti avessi ammanettato, nella mia ignoranza, ti avrei portato tormento e morte; invece mi hai risparmiato questo peccato, trasformandomi in un schiavo volontario e felice! ...»
65. Anania sorrise molto soddisfatto.
66. Saul, quindi, gli chiese di parlare di Stefano, e fu subito accontentato. Di seguito gli chiese un rapporto del suo viaggio da Giaffa a Gerusalemme. Con grande cautela, desiderava dal benefattore qualche allusione ad Abigail. Formulando la richiesta, con una tale amorevole inflessione, tanto che il vecchio discepolo, indovinando il suo intuito, disse con dolcezza:
67. «Non hai bisogno di confessare i tuoi desideri di giovane. Ho letto nei tuoi occhi quello che realmente desideri. Tra Giaffa e Gerusalemme ho frequentato a lungo in prossimità di un patrizio che, sebbene fariseo, non ha mai privato i suoi dipendenti di ricevere la gioia sacra della Buona Novella. Quest’uomo, Zaccaria, aveva sotto il suo tetto un vero e proprio angelo del Cielo. Era la giovane Abigail, la quale, dopo aver ricevuto il battesimo dalle mie mani, confessò che ti amava molto. Parlò del tuo amore con ardente tenerezza e spesso mi invitava a pregare per la tua conversione a Gesù Cristo! ...»
68. Saul ascoltava emozionato e, dopo una lieve lacuna in cui l’amorevole vecchietto sembrò meditare, disse come se parlasse a se stesso: «Sì, se fosse ancora viva! ...»
69. Anania ricevette la comunicazione senza sorpresa, e disse: «Da quando lei si avvicinò a me, mi accorsi che Abigail non sarebbe rimasta troppo tempo sulla Terra. La sua carnagione sbiadita, quello splendore intenso negli occhi, mi parlavano della sua condizione di angelo esiliato. Ma noi dobbiamo credere che lei vive nel piano immortale. E chi lo sa? Forse le sue insistenze ai piedi di Gesù hanno contribuito a che il Maestro ti convocasse alla luce del Vangelo, alle porte di Damasco! ...» – Il vecchio discepolo del “Cammino” era commosso.
70. Ricevendo quelle affettuose rivelazioni, Saul pianse. Comprese che Abigail non poteva essere morta. La visione di Gesù risorto gli era bastata per dissipare tutti i dubbi. Di certo, la prescelta della sua anima si era impietosita delle sue miserie, aveva pregato il Salvatore con insistenza affinché soccorresse il suo spirito meschino e, per fortunata coincidenza, era stato lo stesso Anania che le aveva preparato il cuore per le benedizioni del Cielo, per stendergli quelle stesse mani amiche, piene di carità e di perdono. Ora apparteneva per sempre a quel Cristo giusto e buono che era il Messia promesso. Nelle emozioni estreme che avevano sempre caratterizzato i suoi sentimenti, cominciò a prendere in considerazione la potenza del Vangelo, esaminando le sue illimitate risorse trasformatrici. Voleva immergersi nello spirito nelle sue lezioni illuminate e sublimi, bagnarsi in quel fiume di vita, nelle cui acque dell’amore di Gesù erano fecondati i cuori più aridi e deserti. Quella meditazione profonda, gli entusiasmava adesso l’anima intera.
71. «Anania, maestro mio…» – disse l’ex rabbino con entusiasmo – «…dove posso ottenere il santo Vangelo?»
72. L’ex discepolo sorrise gentilmente, e disse: «Prima di tutto, non mi chiamare maestro. Questo è, e sarà sempre, il Cristo. Noi altri, per accrescimento della misericordia divina, siamo discepoli, fratelli nel bisogno e nell’opera redentrice. Per quanto riguarda l’acquisizione del Vangelo, solo nella Chiesa del “Cammino”, a Gerusalemme, si potrebbe ottenere una copia integrale delle note di Levi».
73. E perquisendo all’interno della sua vecchia borsa consumata, prese alcune pergamene ingiallite, nelle quali era riuscito a raccogliere alcuni elementi della tradizione apostolica. E, mostrando queste note sparse, Anania disse: «Verbalmente, conosco quasi tutti gli insegnamenti a memoria; ma per quanto riguarda la parte scritta, ecco tutto ciò che possiedo».
74. Il giovane convertito ottenne le note assai meravigliato, si chinò immediatamente sui vecchi scritti e li divorò con grande interesse.
75. Dopo aver riflettuto qualche minuto, disse: «Se fosse possibile, vorrei chiederti di lasciarmi questi preziosi insegnamenti fino a domani. Impiegherò tutto il giorno a copiarli per mio uso privato. Chiederò al locandiere di comprarmi le pergamene necessarie».
76. E come fosse già illuminato da quello spirito missionario che gli aveva evidenziato le sue più piccole azioni per il resto della sua vita, ponderò attento: «Abbiamo bisogno di studiare un mezzo per diffondere la nuova rivelazione nel modo più ampio possibile. Gesù è il soccorso del Cielo. Ritardare il suo messaggio significa prolungare la disperazione umana. A proposito, la parola “Vangelo” significa “buone notizie”. È essenziale diffondere queste notizie del piano più elevato della vita».
77. Mentre il vecchio predicatore del “Cammino” lo osservava interessato, il convertito di Damasco chiamò il locandiere per comprare le pergamene. Giuda fu sorpreso di vedere l’insolita guarigione.
78. Soddisfacendo la sua curiosità, il giovane di Tarso parlò senza dissimulare: «Gesù mi ha mandato un medico. Anania è venuto a guarirmi in Nome Suo ». – E prima che l’uomo si ristabilisse dallo stupore, lo ricoprì di raccomandazioni per quanto riguardava le pergamene che voleva, porgendogli il denaro necessario.
79. Dando agio all’entusiasmo che si annidava nella sua anima, si rivolse ancora una volta ad Anania, esponendo i suoi piani: «Fino ad oggi ho occupato il mio tempo nello studio e nell’esegesi della Legge di Mosè; adesso, invece, riempirò le ore con lo spirito del Cristo. Lavorerò per questa occupazione fino alla fine dei miei giorni. Cercherò di iniziare il mio lavoro qui, proprio a Damasco». – E facendo una pausa, chiese al benefattore che lo ascoltava in silenzio: «Conosci in città un giovane fariseo di nome Sadoc?»
80. «Sì, è lui che guida le persecuzioni in questa città».
81. «Bene…» – disse il giovane di Tarso con interesse – «…domani è sabato e ci sarà lezione presso la sinagoga. Andrò a cercare gli amici e parlar loro pubblicamente della chiamata che il Cristo mi ha fatto pervenire. Studierò le tue note oggi stesso, affinché mi suggeriscano l’argomento alla mia prima predicazione del Vangelo».
82. «Ad essere onesti…» – disse Anania con la sua esperienza sugli uomini – «…penso che dovresti essere molto prudente in questa tua nuova fase religiosa. È possibile che i tuoi amici della sinagoga non siano preparati a ricevere la luce dell’intera verità. La malafede conosce i modi di portare confusione in ciò che è puro».
83. «Ma se ho visto Gesù, non ho il diritto di nascondere una rivelazione inconfutabile!» – esclamò il neofita, facendo notare la buona intenzione che lo animava.
84. «Sì, non dico che si debba fuggire dalla testimonianza…» – disse calmo il vecchio discepolo – «…ma devo chiederti la massima prudenza negli atteggiamenti, non per la dottrina del Cristo, superiore e invulnerabile a qualsiasi attacco degli uomini, ma per te stesso».
85. «Non temo niente per me. Se Gesù mi ha ripristinato la luce negli occhi, non mancherà di illuminare il mio cammino. Voglio comunicare a Sadoc l’avvenimento che ha dato nuove direzioni al mio destino. E l’occasione non poteva essere più opportuna, perché so che soggiornano in casa sua, anche adesso, alcuni importanti leviti appena arrivati da Cipro».
86. «Che il Maestro benedica i tuoi buoni propositi» – disse il vecchietto sorridendo.
87. Saul era felice. La presenza di Anania lo confortava molto. Come vecchi e fedeli amici, pranzarono insieme. Poi, sempre soddisfatto, il generoso inviato del Cristo si ritirò, lasciando l’ex rabbino tutto preso dalla trascrizione meticolosa dei testi.
*
(Atti 9,19-22): Rimase alcuni giorni insieme ai discepoli che erano a Damasco, [20]e subito nelle sinagoghe proclamava Gesù Figlio di Dio. [21]E tutti quelli che lo ascoltavano si meravigliavano e dicevano: «Ma costui non è quel tale che a Gerusalemme infieriva contro quelli che invocano questo nome ed era venuto qui precisamente per condurli in catene dai sommi sacerdoti?». [22]Saul frattanto si rinfrancava sempre più e confondeva i giudei residenti a Damasco, dimostrando che Gesù è il Cristo.
88. Il giorno successivo, Saul di Tarso si alzò agile, brioso e ben disposto. Si sentiva rinvigorito di una nuova vita. Gli amari ricordi disertarono dalla sua memoria. L’influenza di Gesù lo aveva riempito di una gioia, ricca e duratura. Aveva l’impressione di aver aperto una nuova porta nella sua anima, dove alitavano celeri le ispirazioni di un mondo superiore.
89. Dopo il primo pasto, nonostante il dispiacere che l’atteggiamento di Sadoc aveva provocato, cercò di incontrarsi con l’amico, mosso dalla sincerità con cui si basavano i suoi più piccoli atti nella vita. Nella sua residenza privata non lo trovò. Un servo gli riferì che il padrone era uscito da poco con gli ospiti verso la sinagoga.
90. Saul si diresse lì. I lavori della giornata erano già iniziati. Vennero letti gli scritti di Mosè. Uno dei leviti di Citium aveva preso la parola per i rispettivi commenti.
91. L’ingresso dell’ex rabbino causò la curiosità generale. La maggioranza dei presenti era consapevole della sua importanza personale e della sua parola infuocata e sicura. Sadoc, invece, nel vederlo, diventò pallido, e ancora di più quando il giovane di Tarso chiese la parola in privato. Nonostante fosse contrariato, gli andò incontro. Si salutarono senza dissimulare le nuove sensazioni che già avvertivano tra di loro.
92. A fronte delle prime osservazioni del novello evangelista, formulate in toni amabili, l’amico di Damasco, spiegò, evidenziando il suo orgoglio offeso: «In realtà, sapevo che eri in città e ti ho anche cercato nella locanda di Giuda; erano tali, tuttavia, le informazioni del locandiere, che ho evitato di venire in camera tua. Ho chiesto addirittura di mantenere segreta la mia visita. Sembra incredibile che anche tu ti sia arreso passivamente ai sortilegi del “Cammino”! Non riesco a comprendere una simile trasmutazione nella tua vigorosa mente.
93. «Ma Sadoc…» – rispose il giovane di Tarso con molta calma – «…io ho visto Gesù risorto! ...»
94. L’altro fece un grande sforzo per contenere una gran risata.
95. «È possibile…» – obiettò beffardamente –«…che la tua natura sentimentale, così contraria alle espressioni di misticismo, abbia capitolato su questo terreno? Credi veramente in queste visioni? Non può essere che tu sia stato vittima di un qualche esperto adepto del Falegname? I tuoi atteggiamenti ci causano adesso profonda vergogna. Che diranno gli uomini irresponsabili, che nulla sanno della Legge di Mosè? E la nostra posizione nel partito dominante della stirpe? I colleghi del fariseismo spalancheranno gli occhi quando sapranno della tua clamorosa defezione. Quando ho accettato l’incarico di perseguitare i compagni del Falegname di Nazareth, reprimendo le attività pericolose, l’ho fatto per l’amicizia che ti consacravo; non ti fa male il tradimento dei precedenti voti? Considera come questo episodio ostacolerà il nostro lavoro, quando si diffonderà la notizia che sei capitolato davanti a questi uomini senza cultura e senza coscienza».
96. Saul guardò l’amico, rivelando immensa preoccupazione nello sguardo angustiato. Quelle accuse erano le premesse dell’accoglienza che lo aspettava nel Cenacolo dei vecchi compagni di lotta e di edificazioni religiose.
97. «No…» – disse egli sentendo profondamente ogni parola – «…non posso accettare le tue argomentazioni. Ti ripeto che ho visto Gesù di Nazareth e devo annunciare che riconosco in lui il Messia promesso dai nostri profeti più autorevoli».
98. Mentre l’altro era meravigliato nell’osservare quell’inflessione di certezza e sincerità, Saul continuò convinto:
99. «Per il resto, penso che, in qualsiasi tempo dobbiamo, e possiamo, riparare agli errori del passato. Ed è con tale ardore di fede che mi propongo di rigenerare le mie strade personali. D’ora in poi lavorerò per la mia certezza in Cristo Gesù. Non è giusto che mi perda in ponderazioni sentimentaliste, dimenticando la verità; e così procederò a beneficio dei miei amici. Gli amanti delle realtà della vita sono sempre stati i più odiati al tempo in cui hanno vissuto. Cosa fare? Finora le mie prediche sono nate dai testi ricevuti dai nostri venerabili antenati, ma oggi le mie affermazioni si basano non solo nei depositari della tradizione, ma anche nelle prove di testimonianza».
100. Sadoc non riusciva a nascondere la sua sorpresa. «Ma... la tua posizione? E i tuoi parenti? E il tuo nome? E tutto quello che hai ricevuto da quelli che circondano la tua personalità con impegni calorosi?» – glielo chiese ricordando il passato.
101. «Adesso sto con il Cristo, e tutti noi apparteniamo a Lui. La Sua Parola divina mi ha chiamato per gli sforzi più ardenti e operosi. A coloro che mi capiranno, devo, naturalmente, la gratitudine più sacra; tuttavia, per quelli che non possono ancora capire, manterrò i migliori atteggiamenti di serenità, considerando che proprio il Messia fu portato alla croce».
102. «Anche tu, con la mania del martirio?»
103. L’interpellato mantenne una bella espressione di dignità personale e concluse: «Non mi posso perdere in opinioni superficiali. Attenderò che il tuo amico di Cipro finisca la conferenza, per raccontare la mia esperienza di fronte a tutti».
104. «Parlare di questo, qui? …»
105. «Perché no?»
106. «Sarebbe più ragionevole che ti riposassi dal viaggio e dalla malattia, meditando meglio sul tema, anche perché ho speranza che tu riconsideri l’accaduto».
107. «Sappi, in ogni caso, che io non sono un bambino, e devo chiarire la verità in ogni circostanza».
108. «E se ti schernissero? E se fossi considerato un traditore?»
109. «La fedeltà a Dio, ai nostri occhi, deve essere più grande di tutto ciò».
110. «Tuttavia, è possibile che non ti concedano la parola» – disse Sadoc imbattendosi nella forza di quelle profonde convinzioni.
111. «La mia condizione è sufficiente affinché nessuno osi negarmi ciò che è di giustizia».
112. «Così sia! Risponderai delle conseguenze!» – concluse Sadoc imbarazzato.
113. In quel momento compresero entrambi l’immensità dell’abisso che li divideva. Saul si rese conto che l’amicizia di Sadoc era per interessi puramente umani. Abbandonando la falsa carriera che gli aveva dato prestigio e reputazione, vedeva sfumarsi la cordialità dell’altro. Tuttavia, da tale pensiero gli venne subito in mente che anche lui, probabilmente, avrebbe fatto così, se non avesse avuto Gesù nel suo cuore.
114. Sereno e impavido, evitò di avvicinarsi al luogo che ospitava i visitatori illustri, si sistemò nella larga piattaforma che si era improvvisata in una nuova tribuna. Dopo la dissertazione dei leviti di Citium, Saul comparve alla vista di tutti i presenti, i quali lo salutarono con sguardi inquieti. Egli, porgendo affabilmente i saluti ai direttori della riunione, chiese il permesso di esporre le sue idee.
115. Sadoc non aveva avuto il coraggio di creare un ambiente spiacevole, e lasciò che tutto procedesse come da consuetudine. Fu per questo che i sacerdoti strinsero la mano di Saul con la simpatia di sempre, accogliendo con grande gioia la sua richiesta.
116. Prendendo la parola, l’ex rabbino alzò nobilmente il sopracciglio, come usava fare nelle sue giornate trionfali. «Uomini rispettabili d’Israele!» – iniziò solennemente – «In Nome dell’Onnipotente, vi annuncio oggi, per la prima volta, le verità della nuova rivelazione. Abbiamo ignorato, fino ad ora, un fatto culminante nella vita dell’umanità. Il Messia promesso è già venuto, come hanno annunciato i profeti che si esaltarono nella virtù e nella sofferenza. Gesù di Nazareth è il Salvatore dei peccatori!».
117. Se una bomba fosse esplose nella stanza, non avrebbe causato maggior stupore. Tutti fissavano l’oratore, attoniti. L’assemblea era stupefatta. Saul, tuttavia, continuò intrepido dopo una pausa: «Non siate sorpresi di quello che dico. Conoscete bene la mia coscienza in base alla rettitudine con cui ho vissuto e la mia fedeltà alle leggi divine. Bene, è con questo patrimonio del passato che oggi vi parlo, riparando agli sbagli involontari che ho commesso negli impulsi sinceri di una persecuzione crudele e ingiusta. A Gerusalemme sono stato il primo a condannare gli apostoli del “Cammino”, incoraggiando l’unione tra romani e israeliti a favore di una repressione senza sosta, contro tutte le attività degli adepti del Nazareno. Mi sono abbattuto sui sacri focolari, incarcerando donne e bambini, alcuni li ho sottoposti alla pena di morte, ho provocato un vasto esodo della massa operaria che lavorava pacificamente in città per il suo progresso; ho creato a tutti gli spiriti più sinceri un regime di ombra e terrore. Tutto questo, con il falso presupposto di difendere Dio, come se il Padre supremo avesse bisogno di miseri difensori! ... Però, in viaggio verso questa città, autorizzato dal Sinedrio e dalla Corte Provinciale ad irrompere nelle case degli altri e perseguitare creature innocenti e innocue, ecco che Gesù mi è apparso alle vostre porte, e mi ha chiesto, in pieno giorno, nel paesaggio desolato e deserto: “Saul, Saul, perché mi perseguiti?”»
118. A questa rivelazione, la voce eloquente si addolcì e le lacrime caddero copiose. S’interruppe nel ricordare l’avvenimento decisivo del suo destino. Gli ascoltatori lo contemplarono sgomenti.
119. «Che storia è questa?» –dissero alcuni.
120. «Il dottore di Tarso scherza! ...» – dichiarò un altro sorridendo, convinto che il giovane tribuno fosse alla ricerca di un maggiore effetto oratorio.
121. «No, amici!» – esclamò con forza. – «Non ho mai scherzato con voi nella sacra tribuna. Il Dio giusto non ha consentito che la mia violenza criminale andasse oltre, a discapito della verità, ma ha acconsentito, nella Sua misericordia, che questo misero servo non trovasse la morte senza portarvi la luce del nuovo credo! ...»
122. Nonostante l’ardore del suo discorso solenne, che lasciò a tutti gli orecchi risonanze emotive, cominciò nella sinagoga uno strano vociare. Alcuni farisei più esaltati, a bassa voce, interpellarono Sadoc sull’inaspettata sorpresa, ricevendo la conferma che Saul fosse estremamente turbato ed aveva affermato di aver visto il Falegname di Nazareth nelle vicinanze di Damasco. Si stabilì immediatamente un’enorme confusione in tutto il salone, perché c’era chi vedeva nel caso del rabbino una pericolosa defezione, e chi, invece, ipotizzava un’infermità improvvisa che lo aveva reso demente.
123. «Uomini della mia vecchia fede…» – tuonò la voce del giovane di Tarso più incisiva – «…è inutile tentare di offuscare la verità. Non sono un traditore, né sono malato. Siamo di fronte ad una nuova era, in confronto alla quale, tutte le nostre stravaganze religiose sono insignificanti».
124. Una pioggia di insulti gli tolse improvvisamente la parola: «Vigliacco! Bestemmiatore! Cane del “Cammino”! ... Fuori, il traditore di Mosè! ...» – gli insulti partirono da tutti i lati.
125. I più affezionati all’ex rabbino che erano inclini a supporre lui vittima di gravi disturbi mentali, entrarono in contrasto con i farisei più rozzi e intransigenti. Alcuni bastoni furono gettati in tribuna con estrema violenza. I gruppi che combattevano si confusero nella sinagoga, l’oratore si rese conto che si trovava sull’orlo di un disastro irreparabile.
126. Ciò fino a quando, uno dei leviti più anziani, salì sulla grande pedana, sollevando la voce con tutta l’energia che era capace, chiedendo ai presenti di unirsi a lui nel recitare uno dei Salmi di Davide. L’invito fu accolto da tutti. I più esaltati ripeterono la preghiera pieni di vergogna.
127. Saul seguì la scena con profondo interesse.
128. Dopo la preghiera, il sacerdote, con enfasi sgradevole, disse: «Rammarichiamoci per questo episodio ed evitiamo la confusione che nulla porta di vantaggioso. Fino a ieri, Saul di Tarso onorava le nostre file come archetipo di trionfo; oggi la sua parola è per noi un ramo di spine. Con un passato rispettabile, questo atteggiamento merita solo la nostra condanna. Spergiuro? Demenza? Non lo sappiamo con certezza. Se fosse stato un altro tribuno lo avremmo lapidato senza batter ciglio; ma con un vecchio compagno, i processi devono essere altri. Se si è ammalato, merita compassione; se è traditore, può solo meritare il disprezzo. Che Gerusalemme lo giudichi come suo ambasciatore. Quanto a noi, finiamo la predica nella sinagoga e raccogliamoci in pace come fedeli seguaci della Legge».
129. L’ex rabbino sopportò l’accusa con la grande serenità che trapelava dai suoi occhi. Intimamente si sentiva ferito nel suo amor proprio. Quello che rimaneva del “vecchio uomo” esigeva vendetta e riparazione immediata, proprio lì, davanti a tutti. Voleva parlare di nuovo, chiedere la parola, costringendo i compagni ad ascoltarlo, ma si sentiva preda di emozioni incontrollabili che arrestavano i suoi impulsi esplosivi. Immobile, osservò che i vecchi compagni di Damasco abbandonavano la sinagoga in silenzio, senza fare neanche un lieve saluto. Osservò, inoltre, che i leviti di Citium sembravano capirlo, attraverso uno sguardo di simpatia, mentre Sadoc lo fissava con ironia e con delle risatine di trionfo. Era il ripudio che arrivava.
130. Abituato agli applausi ovunque andasse, ora era stato vittima della sua stessa illusione, credeva che per parlare con successo di Gesù sarebbero bastati gli effimeri allori già vinti nel mondo. Si sbagliava! I suoi compagni lo mettevano da parte come un essere inutile. Nulla lo feriva di più, che essere ritenuto inutile. Quanto gli bruciava nell’anima la devozione sacerdotale. Avrebbe preferito che lo schiaffeggiassero, che lo arrestassero, addirittura che lo flagellassero, ma non che gli venisse tolta la possibilità di discutere senza restrizioni, vincendo e convincendo tutti con le sue definizioni logiche. Quell’abbandono lo feriva profondamente, poiché, prima di ogni considerazione, pensava di non lavorare per un guadagno personale, per vanità o egoismo, ma per i propri compagni attaccati alle concezioni rigide e inflessibili della Legge.
131. Gradualmente, sotto il calore ardente del primo pomeriggio, la sinagoga si fece deserta. Saul si sedette su una ruvida panchina e pianse. Era la lotta tra la vanità di altri tempi e la rinuncia di se stesso, che ora cominciava. Per confortare l’anima oppressa ricordò il racconto di Anania, nel capitolo in cui Gesù aveva detto al vecchio discepolo che avrebbe mostrato quanto contava soffrire per amore del Suo Nome.
132. Abbattuto, si ritirò dalla sinagoga alla ricerca del benefattore, al fine di riconfortarsi con la sua parola. Anania non si mostrò sorpreso dall’esposizione dei fatti.
133. «Mi vedo circondato da enormi difficoltà» – disse Saul un po’ turbato. – «Sento il dovere di diffondere la nuova dottrina, portando felicità ai nostri simili; Gesù ha riempito il mio cuore di energie insospettate, ma l’aridità degli uomini è di spaventare il più forte».
134. «Sì…» – disse paziente l’anziano – «…il Signore ti ha dato il compito del seminatore; hai molta buona volontà, ma cosa fa un uomo che riceve un incarico di questa portata? Per prima cosa cerca di raccogliere tutti i semi nello scrigno privato, affinché lo sforzo sia proficuo».
135. Il neofita comprese la portata del paragone e chiese: «Ma cosa vuoi dire con questo?»
136. «Voglio dire che un uomo di vita pura e giusta, anche se in buona fede, è sempre pronto a piantare il bene e la giustizia nel cammino che perlustra, ma un uomo che ha fatto degli errori, o che porta un po’di colpa, ha bisogno di capire la propria sofferenza, prima di insegnare. Coloro che non sono del tutto puri, o nulla hanno sofferto nel cammino, non sono mai ben compresi da coloro che ne ascoltano solo la parola. Contro i suoi insegnamenti ci sono le loro stesse vite. Inoltre, tutto ciò che è di Dio richiede grande pace e comprensione profonda. Nel tuo caso, devi pensare alla lezione di Gesù che è stato tra noi per 30 anni, preparandosi a sopportare la nostra presenza per soli tre anni. Per ricevere il compito del Cielo, Davide convisse con la natura pascolando le greggi; per aprire le strade al Salvatore, Giovanni Battista meditò a lungo nei duri deserti della Giudea».
137. Le riflessioni amorevoli di Anania caddero nella sua anima oppressa come balsamo rivitalizzante. – «Quando avrai sofferto di più…» – continuò il benefattore e amico sincero – «…avrai acquisito la conoscenza degli uomini e delle cose; solo il dolore ci insegna ad essere umani. Quando la creatura entra nel periodo più pericoloso della sua esistenza, dopo l’infanzia mattiniera e prima della notte della vecchiaia, quando la vita abbonda di energie, Dio manda i Suoi figli affinché con il lavoro si addolcisca il loro cuore. Di tutto ciò che mi hai raccontato, è possibile che tu non diventerai mai un padre, ma avrai i figli del Calvario ovunque. Non hai visto Simon Pietro, a Gerusalemme, circondato dagli infelici? Naturalmente, troverai un focolare maggiore sulla Terra, dove sarai chiamato a praticare la fratellanza, l’amore, il perdono... È necessario morire per il mondo, affinché Cristo viva in noi...».
138. Tali osservazioni così sane e così dolci entrarono nello spirito dell’ex rabbino come balsamo di consolazione per orizzonti più ampi. Le sue affettuose parole gli fecero ricordare qualcuno che lo amava molto. Con il cervello stanco per gli scontri della giornata, Saul cercò di fissare meglio le idee.
139. Ah! ... Ora ricordava perfettamente. Quel qualcuno era Gamaliel. Gli venne d’improvviso il desiderio di incontrarsi con il vecchio maestro. Comprese il motivo di tale ricordo. Era perché anche lui, l’ultima volta che gli aveva parlato, gli confessò la necessità di stare lontano, in luoghi solitari per meditare sulle nuove sublimi verità. Sapeva che stava a Palmira[36] in compagnia di un fratello. Come non ricordare il vecchio maestro che gli era stato quasi un padre? Di certo, Gamaliel lo avrebbe accolto a braccia aperte ed avrebbe gioito per i suoi recenti successi, avrebbe saputo dargli consigli generosi sulla direzione da seguire.
140. Sprofondato nei ricordi affettuosi, ringraziò Anania con uno sguardo significativo, aggiungendo sensibilizzato: «Hai ragione... Cercherò il deserto, invece di tornare a Gerusalemme frettolosamente, forse indebolito per affrontare l’incomprensione dei miei fratelli. Ho un vecchio amico a Palmira che mi accoglierà di buon grado. Lì riposerò per un po’, fino a quando mi sarà possibile andare in luoghi solitari per meditare sulle lezioni apprese».
141. Anania approvò l’idea con un sorriso. Continuarono a parlare ancora per lungo tempo, fino a quando la notte non immerse l’anima delle cose nel suo velo di spesse ombre.
142. Poi il vecchio predicatore portò il nuovo adepto ad un’umile riunione, la quale si teneva quello stesso sabato di grandi delusioni per l’ex rabbino.
*
143. Damasco non aveva propriamente una Chiesa, tuttavia, contava su numerosi credenti uniti in fratellanza nell’ideale religioso del “Cammino”. Il cuore delle preghiere era la casa di un’umile lavandaia, compagna di fede, che affittava la stanza per poter curare il figlio paralitico. Profondamente stupito, il giovane di Tarso vide lì le stesse scene viste prima, quando ebbe l’invincibile curiosità di ascoltare i celebri discorsi di Stefano a Gerusalemme. Intorno al tavolo rustico c’erano raccolte misere creature della plebe, che lui aveva sempre tenute lontano dalla sua sfera sociale. Donne analfabete con dei bambini in braccio, vecchi muratori rudi, lavandaie che non riuscivano a combinare due parole giuste. Gli anziani con le mani tremanti che si appoggiavano ai robusti bastoni, malati poverissimi che lasciavano intravedere i segni della loro grave malattia. La cerimonia sembrava ancora più semplice di quella di Simon Pietro e dei suoi compagni galilei. Anania guidava e presiedeva la seduta. Seduto al tavolo, quale patriarca nel seno della famiglia, chiese la benedizione di Gesù per la buona volontà di tutti. Di seguito si prestò a leggere alcuni insegnamenti di Gesù, estraendo alcune frasi del Divin Maestro dalle pergamene sparse. Dopo aver commentato la pagina di lettura, illustrando con l’esposizione dei fatti più importanti, dalle sue conoscenze o per esperienza personale, il vecchio discepolo del Vangelo lasciò il suo posto, e camminò tra le file delle misere panche, imponendo le mani sui malati e sui bisognosi.
144. Di solito, secondo l’abitudine delle prime cellule del cristianesimo del primo secolo, per ricordare le gioie di Gesù, mentre si serviva il pasto ai discepoli, era modestamente distribuito del pane e dell’acqua pura, in Nome del Signore. Saul si servì del pane semplice, intenerito. Per la sua anima, quel povero cibo aveva il sapore divino della fratellanza universale. L’acqua limpida e fresca da una grossolana brocca, sapeva di fluido d’amore che partiva da Gesù, comunicando con tutti gli esseri.
145. Al termine della riunione Anania pregò fervidamente. Dopo aver raccontato la visione di Saul e la sua personale, nei semplici commenti di quella notte, chiese al Salvatore di proteggere il nuovo servo in viaggio per Palmira, per permettergli di meditare più a lungo sull’immensità della sua misericordia. Sentendo il calore della sua supplica rivestita di amicizia e singolare incanto, Saul pianse riconoscente e grato, confrontando le emozioni del rabbino che era stato, con quelle del servo di Gesù che ora voleva essere.
146. Alle riunioni nel sontuoso Sinedrio, mai aveva sentito un compagno esortare il Cielo con quella sincerità superiore. Tra i più affezionati aveva trovato solo lodi vuote, pronte a trasformarsi in vili calunnie, quando non poteva concedere favori materiali. Da tutte le parti, ammirazione superficiale, figlia del gioco di bassi interessi. Qui la situazione era diversa. Nessuna di quelle creature sfortunate era venuta a chiedergli piaceri; tutti sembravano soddisfatti di essere al servizio di Dio, che in quel luogo li riuniva al termine di una faticosa giornata di lavoro. E infine, chiesero a Gesù che gli concedesse la pace dello spirito per il suo compito.
147. Finita la riunione, Saul di Tarso aveva le lacrime agli occhi. Nella Chiesa del “Cammino” a Gerusalemme, gli apostoli galilei lo avevano trattato con particolare rispetto, attenti alla sua posizione sociale e politica, signore dei vantaggi che le convenzioni del mondo gli avevano dato; invece qui, i cristiani di Damasco lo impressionarono più vividamente, strappandogli l’anima, conquistandogli un affetto immortale, con quel gesto di fiducia e di tenerezza, trattandolo come un fratello.
148. Uno per uno gli strinsero la mano con l’augurio di un felice viaggio. Alcuni vecchi più umili gli baciarono le mani. Tale prova di affetto gli infuse nuove forze. Se gli amici del giudaismo gli avevano disprezzato la parola ed erano stati di propositi ostili, ora nel suo cammino cominciava a trovare i figli del Calvario. Avrebbe lavorato per loro, consacrando le sue energie di gioventù alla loro consolazione. Per la prima volta in assoluto mostrò interesse per i sorrisi dei bambini. E come desiderasse restituire l’effusione dell’amore ricevuto, prese in braccio un fanciullo malato e davanti alla povera madre sorridente e riconoscente, scherzò e gli accarezzò i capelli goffamente. Tra gli aculei aggressivi della sua anima appassionata, cominciavano a sbocciare i fiori della tenerezza e della gratitudine.
149. Anania era soddisfatto. Insieme ai fratelli più fidati, accompagnarono il neofita alla locanda di Giuda. Quel gruppo modesto e sconosciuto percorreva le strade inondate dal chiaro di Luna strettamente unito e, confortandosi nella parola di Cristo. Saul si meravigliò di aver trovato così rapidamente quella chiave armoniosa che dava fiducia e sicurezza a tutti. Ebbe l’impressione che nelle genuine comunità del Cristo l’amicizia era diversa da qualsiasi altro gruppo mondano.
150. Nella diversità delle lotte sociali, adesso, ai suoi occhi, il tratto dominante delle relazioni si delineava in vantaggi di interesse individuale; e che invece, nell’unità degli sforzi nel compito del Maestro, c’era un’impronta divina di fiducia, come se gli impegni avessero un ascendente divino originale. Tutti parlavano come fossero nati nella stessa casa. Se esponevano un’idea meritevole di ulteriore considerazione, lo facevano con serenità e comprensione generale del dovere; se conversavano di argomenti semplici e leggeri, i commenti imprimevano una schietta e confortante gioia. In nessuno di loro si notava la preoccupazione di sembrare meno sincero nel difendere i propri punti di vista, bensì, piuttosto, purezza di tratto senza sfumature ipocrite, poiché, di regola, si sentivano sotto la tutela del Cristo, il Quale, per la coscienza di ciascuno, era l’Amico invisibile sempre presente, che nessuno poteva trarre in inganno.
151. Confortato e soddisfatto di aver trovato amici nel vero senso della parola, Saul giunse alla locanda di Giuda dicendo addio a tutti, profondamente commosso. Si sorprese del sapore spirituale con cui le espressioni gli affioravano alle labbra. Ora comprendeva che la parola “fratello”, ampiamente utilizzata tra gli adepti del “Cammino”, non era futile e vana. I compagni di Anania gli conquistarono il cuore. Non avrebbe mai più dimenticato i fratelli di Damasco.
152. Il giorno dopo, concordando con un servo nominato dal locandiere, Saul di Tarso, all’alba, sorprendendo il proprietario con il suo animo risoluto, si trovava già sulla strada per la famosa città, situata in un’oasi in pieno deserto.
153. Nelle prime ore del mattino uscirono dalle porte di Damasco due uomini modestamente vestiti, davanti ad un misero cammello carico delle provviste necessarie.
154. Saul aveva deciso di partire a piedi, in modo da iniziare la vita con rigore, il che gli sarebbe stato estremamente utile più tardi. Non avrebbe viaggiato più in qualità di dottore della Legge, circondato da servi, ma come discepolo di Gesù, soggetto ai Suoi programmi. Per questo motivo considerò preferibile viaggiare come i beduini, per imparare a contare sempre sulle proprie forze. Sotto il calore rovente del giorno, e con la benedizione rinfrescante del crepuscolo, il suo pensiero era fisso su di Lui, che lo aveva chiamato dal mondo per una nuova vita. Le notti del deserto, quando il chiaro di Luna riempie di sogni la desolazione del paesaggio morto, sono toccate da una bellezza misteriosa. Sotto alcune fronde di una palma solitaria, il convertito di Damasco approfittava del silenzio profondo per meditare. Il firmamento stellato portava ora, per il suo spirito, confortanti e permanenti messaggi. Egli era convinto che la sua anima era stata portata verso nuovi orizzonti, perché attraverso tutte le cose della natura, gli sembrò di ricevere il pensiero del Cristo che gli parlava amorevolmente al cuore.
[indice]
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A Palmira dal maestro, poi tessitore nel deserto
1. Sebbene abituati allo spettacolo costante di arrivi di stranieri in città, data la sua posizione privilegiata nel deserto, i transeunti[37] di Palmira notarono con profondo interesse il passaggio di quel beduino seguito da un umile servo che tirava un misero cammello ansimante di stanchezza. Indubbiamente, avevano riconosciuto il suo profilo di giudeo nei tratti caratteristici del volto, e anche da quella serena energia che emanava dallo sguardo. Saul, a sua volta, procedeva con aria indifferente, come se vivesse in quell’ambiente da lungo tempo. Consapevole del fatto che il fratello dell’ex maestro era lì un mercante conosciuto e ricco, non ebbe difficoltà ad ottenere informazioni da un concittadino che gli indicò la residenza.
2. Sistemandosi in una locanda comune per rifarsi dalla fatica del viaggio, esaminò la borsa per regolarsi con il programma. Il denaro era quasi esaurito, a malapena bastava a compensare il compagno dedito che gli era stato fedele amico in tutto il suo faticoso viaggio.
3. Una volta informato del “quantum” da pagare, verificò l’insufficienza di risorse, e gli disse umilmente: «Giuda, al momento non ho abbastanza soldi per compensare meglio i servizi che mi hai prestato. Tuttavia, ti do la metà di quello che possiedo, più il cammello come pagamento della parte restante».
4. Il servo si commosse dal tono umile della proposta: «Non ho bisogno di molto, signore…» – disse confuso – «…il valore dell’animale basta e avanza. Così non sarete impreparato. Mi accontento di alcune monete, il necessario per coprire il viaggio di ritorno».
5. Saul gli diede uno sguardo di riconoscimento e, giustificando la sua impossibilità di trattenerlo per più tempo, lo congedò con espressioni di affetto e di auguri per un felice ritorno a Damasco.
6. Dopo, raccogliendosi nell’umile camera presa in affitto, cominciò a meditare, accuratamente sugli ultimi eventi della sua vita. Era solo, senza parenti, senza amici, senza soldi.
7. Poco prima della decisione di partire alla ricerca di Anania, non avrebbe esitato a ordinare la morte di chi gli avesse predetto il futuro che lo aspettava. La sua esistenza, i suoi piani, erano stati trasformati nei più intimi particolari. Cosa fare adesso? E se non trovava a Palmira il soccorso di Gamaliel così come prospettato nelle sue segrete speranze? Considerò l’entità delle difficoltà che si allargavano ai suoi occhi. Tutto difficile. Era come un uomo che aveva perso la sua famiglia, la sua patria e la sua casa. Una profonda amarezza minacciò di invadere il suo cuore. Improvvisamente, però, ricordandosi del Cristo e della Sua visione gloriosa, il suo spirito desolato si riempì di conforto. Confidando molto di più in Colui che gli aveva steso la mano, che sulle proprie forze, cercò di calmare l’intima ansia, dando riposo al corpo stanco.
8. Il giorno seguente, in tarda mattinata, scese in strada preoccupato e angosciato. Seguendo le indicazioni raccolte si fermò alla porta di un palazzo confortevole, di fronte al quale funzionavano grandi botteghe commerciali.
9. Cercando Ezechia fu presto ricevuto da un uomo anziano con la faccia sorridente e rispettabile che lo accolse con molta simpatia. Era il fratello di Gamaliel che, ben presto, prese familiarità con il nuovo patrizio arrivato da lontano, parlandogli affabilmente. Cercò di informarsi, delicatamente, sul venerabile ex rabbino di Gerusalemme.
10. Saul, preso da un profondo interesse, ottenne da Ezechia i chiarimenti necessari: «Mio fratello…» – disse preoccupato – «…da quando è arrivato a Palmira sembra molto diverso. È possibile che il cambiamento da Gerusalemme abbia influenzato questa profonda trasformazione. La differenza di ambiente sociale, il cambiamento delle abitudini, il clima, l’assenza dei soliti lavori, tutto questo può avergli danneggiato la salute».
11. «In che modo?» – chiese il giovane senza nascondere l’imbarazzo.
12. «Passa i giorni in una casupola deserta che possiedo all’ombra di alcuni alberi di tamarindo, in una delle numerose oasi che ci circondano; e questo, solo per leggere e meditare su un manoscritto di nessuna importanza, che non sono riuscito a capire. Inoltre, mi sembra del tutto disinteressato alle nostre pratiche religiose, vive come estraniato dal mondo. Parla di visioni celestiali, si riferisce costantemente ad un Falegname che si trasformò in Messia del popolo e si alimentava di cose immaginarie, di sogni irreali. A volte, è con profondo rammarico che osservo il suo decadimento mentale. Mia moglie, invece, attribuisce tutto ciò alla vecchiaia, ed io le voglio credere, o perlomeno in gran parte, dovuto all’intensità dello studio e delle prolungate meditazioni».
13. Ezechia fece una pausa mentre Saul lo fissava con sguardo significativo, comprendendo la condizione del vecchio maestro.
14. Ad una nuova osservazione del giovane di Tarso, l’altro continuò loquace: «Nel seno della mia famiglia, Gamaliel viene trattato come se fosse nostro padre. Per inciso, devo l’inizio della mia vita alla sua immensa dedizione fraterna. Perciò mia moglie ed io, insieme ai nostri figli, ci siamo messi d’accordo per creare un’atmosfera di pace per circondare il nostro caro e nobile malato. Quando lui discorre sulle illusioni religiose che eccitano il suo squilibrio mentale, nessuno in questa casa lo contraddice. Sappiamo che non parla più per se stesso. Il suo potente modo di pensare si è sbiadito, la stella si è spenta. Considerando queste penose circostanze, rendiamo ancora grazie a Dio che lo ha portato fin qui, per finire i suoi giorni, scaldato dal nostro affetto familiare e lontano dal disprezzo di cui forse potrebbe essere oggetto a Gerusalemme, dove non tutti sono all’altezza di capire e onorare il suo illustre passato».
15. «Ma la città lo ha sempre venerato come un indimenticabile maestro» – disse il giovane come se volesse difendere i propri sentimenti di amicizia e di ammirazione.
16. «Sì…» – disse il mercante, convinto – «…un uomo del tuo livello intellettuale sarebbe disposto a capire tutto, ma gli altri? Non lo sai, o forse ignori, ovviamente, la persecuzione implacabile, mossa dalle autorità del Sinedrio e del Tempio, contro i sostenitori del celebre Falegname di Nazareth. Palmira ha avuto notizia di questi eventi attraverso numerosi connazionali poveri che hanno lasciato Gerusalemme in fretta, minacciati di prigionia e morte. Però è stata proprio la personalità di questo uomo con cui Gamaliel ha dato le prime dimostrazioni di debolezza mentale. Se stesse ancora lì, che ne sarebbe della sua vecchiaia indifesa? Naturalmente, molti amici come te, sarebbero pronti a difenderlo; ma il caso avrebbe potuto prendere vie più gravi, sarebbero potuti sorgere dei nemici politici chiedendo misure ingrate. E da parte nostra non avremmo potuto fare nulla per ristabilire la situazione, perché, di fatto, la sua follia è pacifica, quasi impercettibile, e in nessuno modo avremmo potuto supportare la sua esaltazione verso lo scellerato che il Sinedrio mandò sulla croce dei malviventi».
17. Saul sentì un enorme disagio ascoltando quelle osservazioni, ora così ingiuste e superficiali, a suo parere. Capì la delicatezza del momento e la natura delle risorse psicologiche da impiegare, per non compromettersi, per non aggravare ulteriormente la posizione del rinomato maestro.
18. Volendo dare una nuova direzione alla conversazione, domandò con serenità: «E i medici? Qual è l’opinione degli esperti?»
19. «Nell’ultimo esame a cui si è sottomesso grazie alla nostra insistenza, si è rilevato che il nostro stimato infermo, al di là della perturbazione mentale, soffre di una singolare fiacchezza organica, che gli consuma le ultime forze vitali».
*
20. Saul, addolorato, fece ancora alcune osservazioni e, dopo aver riflettuto sulle prime impressioni riguardo alla cortese ospitalità di Ezechia, aiutato da un piccolo servo della casa, partì per il luogo in cui si trovava l’ex mentore, che lo ricevette con sorpresa e gioia.
21. L’ex discepolo notò che, in effetti, Gamaliel aveva i sintomi di un profondo abbattimento. Ma fu con infinita gioia che lo strinse affettuosamente tra le braccia, baciando, dolcemente, le mani nodose e tremanti. I suoi capelli sembravano più bianchi; l’epidermide solcata da rughe rispettabili dava l’impressione di un pallido indefinibile alabastro.
22. Parlarono a lungo della nostalgia, dei successi di Gerusalemme, degli amici lontani. Dopo il preambolo affettuoso, il giovane di Tarso raccontò al venerando maestro le grazie ricevute alle porte di Damasco.
23. La voce di Saul aveva l’inflessione vibrante della passione e della sincerità, che riusciva ad imprimere sempre alle proprie emozioni. Il vecchietto ascoltò il suo racconto con indicibile stupore; dagli occhi vivi e sereni uscirono lacrime di commozione che non riuscivano a cadere. Questa prova lo riempiva di profonda consolazione. Non aveva accettato invano quel Cristo saggio e amorevole, incompreso dai colleghi. Al termine dell’esposizione, Saul di Tarso aveva lo sguardo velato di pianto. Il buon vecchietto lo abbracciò commosso, tirandolo al cuore.
24. «Saul, figlio mio…» – disse euforico – «…sapevo di non ingannarmi sul Salvatore, il Quale mi ha parlato nella mia vecchiaia affaticata attraverso la luce spirituale del Suo Vangelo di redenzione. Gesù si è degnato di stendere le Sue mani d’amore al tuo spirito dedicato. La visione di Damasco basterà per consacrare la tua intera esistenza all’amore del Messia. È vero che hai lavorato molto per la Legge di Mosè, senza esitazione nell’adottare misure estreme in sua difesa, tuttavia, è arrivato il tempo che tu debba lavorare per chi è più grande di Mosè».
25. «In ogni caso, sono molto disorientato e confuso» – mormorò il giovane di Tarso pieno di fiducia. – «Da quel momento sento di essere l’oggetto di singolari e radicali trasformazioni. Obbediente al mio interiore modo di fare, perfettamente onesto, ho voluto iniziare i miei sforzi per il Cristo a Damasco, eppure, lì ho ricevuto dai nostri amici la più grande manifestazione di disprezzo e di scherno, il che mi ha fatto molto soffrire. Improvvisamente mi sono visto senza compagni, senza nessuno. Alcuni componenti della riunione del “Cammino” hanno confortato la mia anima abbattuta con le loro espressioni di fraternità, ma non sono state sufficienti a risarcire l’amara delusione sperimentata. Sadoc stesso che, durante l’infanzia, fu pupillo di mio padre, mi ha coperto di rimproveri e insulti. Volevo tornare a Gerusalemme, ma attraverso il quadro della sinagoga di Damasco, ho compreso ciò che mi aspettava su vasta scala con le autorità del Sinedrio e del Tempio. Naturalmente, la professione di rabbino non può più interessare il mio spirito sincero, perché in caso contrario, sarebbe mentire a me stesso. Niente lavoro, niente soldi, mi ritrovo in un labirinto di domande insolubili senza l’aiuto di un cuore più esperto del mio. Quindi ho deciso di cercarti nel deserto per l’aiuto necessario».
26. E completando il racconto, con gli occhi supplicanti, rivelando le ansietà tormentose che gli popolavano l’anima, esclamò: «Amato maestro, avete sempre avuto buone soluzioni dove la mia imperfezione non vedeva che ombre amare! ... Sostenete il mio cuore sommerso da dolorosi incubi. Devo servire Colui che si degnò di strapparmi dalle tenebre del male, non posso fare a meno del vostro aiuto in questo momento difficile della mia vita! ...»
27. Queste parole furono pronunciate con un’inflessione profondamente appassionata. Con gli occhi fermi, anche se illuminati da un’intensa tenerezza, il generoso vecchietto gli accarezzò le mani e cominciò a parlare con partecipazione: «Esaminiamo i tuoi dubbi in modo specifico, per studiare un’adeguata soluzione a tutti i problemi, alla luce degli insegnamenti che oggi ci illuminano».
28. E dopo una pausa che gli servì per classificare i problemi, disse: «Parli del disprezzo provato nella sinagoga di Damasco; ma gli esempi sono chiari e convincenti. Anch’io nell’ambiente familiare sono attualmente considerato come matto pacifico. A Gerusalemme hai visto Simon Pietro diffamato per amare i poveri di Dio e per dar loro un rifugio sicuro; hai visto Stefano morire sotto le pietre, e che altro? Proprio il Cristo, redentore degli uomini, non scappò ai martiri di una croce infame tra i criminali condannati per la giustizia nel mondo. La lezione del Maestro è troppo grande perché i Suoi discepoli stiano in attesa di una dominazione politica o di più alte espressioni economiche, in Suo Nome. Se lui che era puro, inimitabile per eccellenza, camminò in mezzo a sofferenze e incomprensioni in questo mondo, non è giusto che restiamo in attesa di riposo e di una vita facile nella nostra misera condizione di peccatori».
29. Il giovane di Tarso ascoltò quelle docili ed energiche parole con l’anima dolorosa, soprattutto per ciò che si riferiva alle persecuzioni inflitte a Pietro e nel capitolo dei ricordi di Stefano, a cui il suo vecchio amico ebbe la delicatezza di non alludere nominalmente al carnefice.
30. «Per quanto riguarda le difficoltà che dici di aver sperimentato dopo i successi di Damasco…..» – proseguì Gamaliel – «…niente di più giusto e naturale è ai miei occhi che hanno conosciuto i problemi del mondo. I nostri antenati prima di ricevere la manna dal cielo, hanno attraversato momenti bui di miseria, schiavitù e sofferenza. Senza l’angoscia del deserto, Mosè non avrebbe mai trovato la fonte d’acqua viva nella roccia sterile, e forse, non hai ancora meditato meglio sulle rivelazioni della Terra Promessa. Che regione sarebbe questa se, avendo una comprensione più ampia di Dio, scopriamo in tutti i punti del mondo, sorgenti della Sua protezione? Ci sono i tamarindi verdi e amici che prosperano nelle sabbie ardenti. Questi alberi generosi non trasformano il proprio deserto in un cammino benedetto, pieni di pane divino per sfamarci? Nelle mie riflessioni solitarie ho concluso che la Terra Promessa della rivelazione divina è il Vangelo del Cristo Gesù. E la meditazione suggerisce paragoni ancora più profondi.
31. Quando i nostri antenati più coraggiosi lavorarono per conquistare la regione privilegiata, molte persone cercarono di scoraggiare i più tenaci, affermando che la terra era sterile, l’aria era malsana e portatrice di febbri mortali, che gli abitanti erano intrattabili divoratori di carne umana; ma Giosuè e Caleb, in uno sforzo eroico, penetrarono nella terra sconosciuta, vinsero i primi ostacoli e ritornarono dicendo che all’interno della regione scorreva latte e miele. Non abbiamo qui, un simbolo perfetto? La rivelazione divina deve fare riferimento a una regione benedetta il cui clima spirituale è fatto di pace e di luce. Adattarci al Vangelo è scoprire un altro paese, la cui grandezza si perde nell’infinito dell’anima.
32. A fianco a noi rimangono quelli che fanno di tutto per scoraggiarci nell’impresa conquistata. Accusano le lezioni del Cristo come criminose e rivoluzionarie, vedono nel Suo esempio dei motivi di disorganizzazione e morte; qualificano un apostolo, come Simon Pietro, di essere un pescatore presuntuoso e ignorante; ma pensando a quella stupenda serenità con cui Stefano ha dato la sua anima a Dio, ho visto in lui la figura del compagno coraggioso e degno che tornava dalle lezioni del “Cammino” per darci la notizia che nella Terra del Vangelo ci sono fonti del latte della saggezza e miele dell’Amore divino. È necessario, quindi, marciare senza riposo e senza contare gli ostacoli del viaggio. Cerchiamo l’infinita casa che ci seduce il cuore». – Gamaliel fece una pausa nel suo discorso amichevole e confortante.
33. Saul era stupito. Tali paragoni così semplici, tali deduzioni preziose dello studio dell’antica Legge, in relazione a Gesù, lo lasciarono perplesso. La saggezza dell’anziano rinnovò le sue forze.
34. «Ti riferisci a come ti sembra strano…» – proseguì il venerabile amico, mentre il giovane lo fissava con crescente interesse – «…il cambiamento di occupazione e la mancanza di denaro per le necessità più immediate... Tuttavia, Saul, basta meditare un po’ sulla realtà dei fatti per vedere chiaramente. Un vecchio come me, si trova nella situazione di Mosè a contemplare la Terra Promessa, senza essere in grado di raggiungerla. Ma per quanto ti riguarda, devi ammettere che sei ancora molto giovane. È possibile moltiplicare le tue energie con l’addestramento delle tue forze e penetrare nella terra delle aspirazioni del Salvatore, come Lui ci ha chiesto. Pertanto, è indispensabile semplificare la vita, iniziare la lotta. Giosuè non poté superare gli ostacoli del cammino solamente con la lettura dei testi sacri o con i favori di quanti lo stimassero. Certamente manipolò strumenti rudi, spianò le strade dove c’erano abissi, al costo di sforzi sovraumani».
35. «Cosa mi consigli di fare?» – chiese il giovane con profonda attenzione, mentre il vecchio maestro faceva una lunga pausa.
36. «Voglio dire, che conosco tuo padre e la sua situazione di benestante. Naturalmente, nelle sue espressioni di affetto, in questa emergenza, non ti negherà l’aiuto necessario. Ma tuo padre è umano e può essere chiamato domani alla vita spirituale. La sua protezione, pertanto, sarebbe utile, ma comunque precaria, se tu non contribuissi impegnandoti in prima persona a risolvere i tuoi problemi personali. Adesso vivi in una fase in cui tutte le tue energie sono indispensabili.
37. Esaminata la questione della famiglia, cerchiamo di vedere la tua condizione professionale. Fino ad ora eri un rabbino della Legge, occupato con gli errori degli altri, con le discussioni della casistica, con una posizione di evidenza tra i dottori; guadagnavi soldi nel sorvegliare gli altri, ma Dio ti ha chiamato a controllare le tue stesse deviazioni, come ha chiamato me stesso. La Terra Promessa si disegna ai nostri occhi. È necessario superare gli ostacoli e procedere. Come dottore della Legge, questo non sarà più possibile. Quindi è necessario ricominciare il lavoro, come l’uomo che cercava inutilmente oro nel luogo dove non esisteva. Il problema è di lavoro, di sforzo personale».
38. Il giovane di Tarso posò gli occhi umidi di emozioni sul generoso vecchietto ed esclamò: «Sì, adesso capisco...».
39. «Cosa hai imparato durante l’infanzia, prima di raggiungere la tua posizione attuale?» – chiese il previdente anziano.
40. «Secondo le abitudini della nostra stirpe, mio padre mi mandò a imparare il mestiere del tessitore, come sapete».
41. «Non avresti potuto ricevere dalle mani paterne un regalo più generoso…» – disse Gamaliel con un sorriso sereno – «…tuo padre è stato previdente, come tutti i capifamiglia del popolo di Dio, cercando di abituare le tue mani al lavoro, prima che il cervello si popolasse di molte idee. È scritto che dobbiamo mangiare il pane con il sudore della nostra fronte. Il lavoro è il movimento sacro della vita».
42. Facendo una pausa come se cercasse di riflettere più profondamente, il vecchio mentore della gioventù farisaica tornò a dire: «Eri un umile tessitore prima di conquistare i titoli onorifici di Gerusalemme... Ora che ti candidi per servire il Messia nella Gerusalemme dell’Umanità, è meglio tornare ad essere un modesto tessitore. I lavori semplici sono i grandi maestri dello spirito di sottomissione. Non ti sentire umiliato per il ritorno al telaio che, in questo istante, sorge come un generoso amico. Sei senza soldi, senza risorse materiali... A prima vista, considerando la tua situazione di prestigio nel mondo, sarebbe giusto ricorrere ai parenti o agli amici. Ma non sei malato né invecchiato. Hai la salute e la forza. Non sarà più nobile convertirle in elemento di soccorso per te stesso? Tutto il lavoro onesto è contrassegnato con la benedizione di Dio. Essere un tessitore, dopo essere stato rabbino, è più onorevole per me che adagiarsi sui titoli illusori, conquistati in un mondo dove la maggioranza degli uomini ignora il bene e la verità».
43. Saul comprese la grandezza dei concetti e, prendendogli la mano, la baciò con profondo rispetto, mormorando: «Non aspettavo da voi nient’altro che franchezza e sincerità, che illuminano il mio spirito. Imparerò ancora una volta il cammino della vita, troverò nel trambusto del telaio gli stimoli delicati e amici del lavoro santificante. Convivrò con gli sfortunati, cercherò di penetrare nelle loro sofferenze giornaliere; in contatto con il dolore altrui saprò dominare i miei impulsi inferiori, facendomi più paziente e più umano! ...»
44. Preso da una grande gioia, il saggio vecchietto gli accarezzò i capelli ed esclamò emozionato: «Dio benedirà le tue speranze! ...»
45. Per molto tempo rimasero in silenzio, desiderosi di prolungare, indefinitamente, quell’istante glorioso di comprensione e armonia.
46. Fu Saul che, manifestando nello sguardo le tante preoccupazioni più intime, ruppe il silenzio, dicendo con agitazione: «Ho intenzione di riprendere il mestiere della prima età, ma non ho soldi per il viaggio. Se fosse possibile, potrei esercitare la professione proprio qui a Palmira ...».
47. Parlò con esitazione, lasciando percepire al venerabile amico la vergogna che sperimentava nel fare quella confessione.
48. «Perché no?» – disse Gamaliel sollecito.– «Considero che le difficoltà del ritorno non sarebbero modeste. Tuttavia, non includo negli ostacoli il problema dei soldi, perché in ogni caso, possiamo ottenerli per le spese più urgenti. Mi riferisco semplicemente ai pericoli della situazione di adesso. Penso che devi tornare a Gerusalemme o a Tarso completamente integrato nel tuo nuovo lavoro. Ogni pianta è fragile quando comincia a crescere. Gli intrighi del fariseismo, la falsa scienza dei dottori, le vanità familiari, potrebbero soffocare il seme che Gesù ha gloriosamente seminato nel tuo cuore ardente, il bulbo più promettente non si svilupperà se lo copriamo di detriti e fango. Sarebbe bene tornare al luogo di origine, ai nostri compagni e alla famiglia, come albero rigoglioso, onorando la dedizione del divino Coltivatore».
49. «Cosa fare?» – disse Saul preoccupato.
50. Il vecchio maestro pensò per un momento e disse: «Come sai, le zone del deserto sono grandi mercati per gli articoli in cuoio. Il servizio di trasporto dipende interamente dai tessitori più esperti e dedicati. Quando mio fratello comprese questo, istituì numerose tende di lavoro nelle oasi più lontane, per soddisfare le esigenze del suo commercio. Parlerò con Ezechia a tuo riguardo. Non dirò che si tratta di un grande capo di Gerusalemme che vuole andare in esilio per un certo tempo, non per paura di mettere in imbarazzo il tuo nome o la tua origine, ma ritengo che sia utile per te provare l’umiltà e la solitudine nel tuo nuovo cammino. Le considerazioni convenzionali potrebbero turbarti, ora hai bisogno di abbattere “il vecchio uomo” a colpi di sacrificio e disciplina».
51. «Comprendo e ubbidisco per il mio bene» – mormorò Saul con attenzione.
52. «Tra l’altro, Gesù dimostrò tutto ciò rimanendo in mezzo a noi senza che ce ne rendessimo conto».
53. Il giovane di Tarso cominciò a meditare sui consigli ricevuti. Stava per iniziare una nuova esistenza. Avrebbe preso il telaio con umiltà. Esultò al ricordo che il Maestro non aveva disdegnato, a sua volta, il banco del falegname. Il deserto gli avrebbe fornito consolazione, lavoro e silenzio. Non avrebbe più guadagnato soldi facili da ammirazioni indebite, ma risorse necessarie per l’esistenza con l’aggiunta del valore degli ostacoli superati. Gamaliel aveva ragione. Non era lecito mendicare il favore degli uomini, quando Dio gli aveva fatto il più grande di tutti i favori, illuminando la sua coscienza per sempre. È vero che a Gerusalemme era stato un crudele carnefice, ma aveva solo 30 anni. Avrebbe cercato di riconciliarsi con tutti coloro che aveva offeso nel suo rigoroso settarismo. Si sentiva giovane, avrebbe lavorato per Gesù fino a quando ne avesse avuto la forza.
54. La parola affettuosa dell’anziano lo tolse dai profondi pensieri.
55. «Hai il Vangelo?» – chiese gentilmente il vecchietto con interesse.
56. Saul fece vedere il frammento che portava con sé, spiegando il lavoro che aveva fatto a Damasco nel copiare i manoscritti del generoso predicatore che lo aveva guarito dall’improvvisa cecità.
57. Gamaliel lo esaminò attentamente, e dopo essersi concentrato a lungo, aggiunse: «Ho una copia integrale delle note di Levi, il pubblicano di Cafarnao che divenne apostolo del Messia – ricordo generoso di Simon Pietro alla mia povera amicizia; attualmente non ho bisogno più di queste pergamene che considero sacre. Per registrare nella memoria le lezioni del Maestro ho cercato di copiare tutti gli insegnamenti, fissandoli sulla retina per sempre. Ho già tre copie complete del Vangelo, senza la collaborazione di nessuno scriba. Così, considerando il dono di Pietro come sacra reliquia di un nobile affetto, lo affido alle tue mani. Porterai con te le pagine scritte nella Chiesa del “Cammino”, come fedele compagna del tuo nuovo lavoro.
58. L’ex rabbino ascoltò le dichiarazioni affettuose, preso da profonde emozioni. «Ma perché privarti di un ricordo affettuoso per causa mia?» – chiese sensibilizzato. – «Sarei molto felice con una delle copie fatte dalle tue mani...».
59. Il vecchio maestro fissò lo sguardo nel tranquillo paesaggio e disse con voce profetica: «Sono arrivato alla fine della mia carriera, devo aspettare la morte del corpo. Se devo abbandonare il dono di Pietro alle persone che non riconoscono il valore che noi gli attribuiamo, è giusto darlo ad un amico fedele che può valutare la sua sacralità. Inoltre, sono convinto che non potrò tornare più a Gerusalemme; in questo mondo, non mi sarà possibile qualsiasi intendimento diretto con gli apostoli galilei, unito alle luci che il Salvatore accese nel mio spirito. E temo che i sostenitori di Gesù non potranno capirti subito quando tornerai alla città santa. Avrai quindi questo ricordo per presentarti a Pietro a nome mio».
60. Quel tono profetico colpì il giovane di Tarso, che abbassò la testa con gli occhi umidi.
61. Dopo un lungo intervallo, cercando di ripristinare le idee con perfetta saggezza, Gamaliel continuò: «Ti vedo nel futuro, dedicato a Gesù, con lo stesso zelo ardente con cui ti ho conosciuto consacrato a Mosè! Se il Maestro ti ha chiamato al servizio, è perché confida nella tua comprensione di servo fedele. Quando con gli sforzi delle tue mani avrai guadagnato la libertà di scegliere la nuova strada da percorrere, Dio ti benedirà il cuore per la diffusione della luce del Vangelo tra gli uomini fino all’ultimo giorno della tua vita sulla Terra. In questo lavoro, figlio mio, se troverai incomprensione e lotta a Gerusalemme, non scoraggiarti né perderti d’animo. Hai seminato lì una certa confusione negli spiriti, ed è giusto raccogliere lì i risultati. In ogni compito, tuttavia, ricordati di Cristo e va avanti con il tuo sforzo sincero. Non turbarti con i sospetti, le calunnie e la malafede, sii consapevole che Gesù ha vinto galantemente tutto ciò! ...»
62. Saul si sentiva profondamente risollevato da quelle esortazioni amorevoli, tenere e leali. Ascoltando quelle parole si lasciò cullare per molto tempo tra le lacrime ardenti che testimoniavano il pentimento del passato e le speranze per il futuro.
63. Quel pomeriggio, Gamaliel lasciò la rustica casetta, dirigendosi con l’ex discepolo a casa di suo fratello, che da allora accolse il giovane di Tarso sotto il suo il tetto con grande gioia. L’intelligenza folgorante e la gioventù comunicativa dell’ex dottore della Legge conquistarono Ezechia e i suoi, in una bella espressione di amicizia spontanea.
64. Quella stessa notte, completate le cerimonie domestiche dell’ultimo pasto abituale, il vecchio rabbino di Gerusalemme spiegò al mercante la situazione del suo protetto. Disse che Saul era da ragazzo un suo discepolo, esaltando il suo valore personale e concludendo con l’esposizione delle sue esigenze economiche, veramente critiche. E davanti allo stesso interessato, che sottolineava la sua ammirazione per quel vecchio saggio e generoso, chiarì che Saul intendeva lavorare come tessitore nelle tende del deserto, pregando Ezechia che aiutasse, con la sua gentilezza, tali nobili aspirazioni di lavoro e gli sforzi personali. Il mercante di Palmira si meravigliò.
65. «Ma questo giovane…» – disse – «…in nessun modo ha bisogno di isolarsi per guadagnarsi da vivere. Ho i mezzi per posizionarlo proprio qui in città, restando in costante contatto con noi.
66. «Comunque, preferirei il vostro generoso sostegno, lì nel deserto» – accentuò Saul in tono significativo.
67. «Perché?» – chiese Ezechia interessato. – «Non capisco una gioventù come la tua, esiliata nelle distese di sabbia senza fine. Gli emigrati dall’esodo di Gerusalemme, nella condizione di celibi, non tolleravano il lavoro che gli offrivo in un’oasi lontana. Solo poche coppie hanno accettato la proposta e sono partite. Quanto a te, con queste doti intellettuali, non capisco come preferisci essere un umile tessitore, segregato da tutti...».
68. Gamaliel intese che il sospetto di suo fratello poteva arrivare a ipotesi sbagliate sul suo giovane amico e, prima che ogni sospetto ingiusto gli abbozzasse lo spirito indagatore, disse con cautela: «La sua domanda, Ezechia, è naturale, perché le risoluzioni di Saul ispirano stranezze a qualsiasi uomo pratico. Si tratta di un giovane pieno di talento, prestatore di belle promesse e, al di là di tutto, molto istruito. I meno informati possono presumere dal suo atteggiamento il desiderio di fuga come conseguenza di un crimine. Ma non è così. Ad essere sinceri, devo dire che il mio ex discepolo vuole consacrarsi, più tardi, alla diffusione della Parola di Dio. Credi davvero che se Saul volesse seguire la carriera dei giovani trionfanti del nostro tempo, preferirebbe Palmira a Gerusalemme? La situazione non è soltanto pecuniaria, è anche la mancanza di meditazione sui più gravi problemi della vita. Sappiamo bene che i profeti e gli uomini di Dio sono abituati ai luoghi solitari al fine di sentire la vera ispirazione dell’Altissimo, prima di insegnare con successo la santità della parola».
69. «Se è così...» – replicò l’altro vinto.
70. E dopo qualche istante a meditare, il mercante disse di nuovo: «Nella regione che conosciamo come “oasi di Dan”, distante più di 50 miglia, circa un mese fa ho sistemato una giovane coppia di tessitori che sono arrivati con l’ultima ondata di profughi. Si tratta di Aquila, la cui moglie, di nome Prisca, è stata ancella della mia sposa, da quando era bambina, lei è un’orfana indifesa. Sono buoni lavoratori, attualmente, gli unici abitanti di quell’oasi. Saul può tener loro compagnia. Lì hanno le proprie tende, una casa confortevole e telai per il servizio indispensabile».
71. «E qual è il sistema di lavoro?» – chiese il giovane di Tarso interessato al nuovo compito.
72. «La specialità di questo avamposto…» – spiegò Ezechia con un certo orgoglio – «…è la preparazione di tappeti di lana e tessuti resistenti di pelo di capra, destinati a tende da viaggio. Questi articoli sono forniti dalla nostra casa commerciale su larga scala, ma, situando la produzione di questo lavoro così lontano, ho pensato alle necessità urgenti dei gruppi di cammelli di mia proprietà, impiegati nel traffico commerciale in tutta la Siria e in altri punti commerciali più fiorenti, del commercio generale».
73. «Farò tutto per corrispondere alla vostra fiducia» – confermò l’ex rabbino confortato.
74. La conversazione proseguì ancora per lungo tempo nel commento delle prospettive, delle condizioni e dei vantaggi commerciali.
*
75. Dopo tre giorni, Saul si congedò dal maestro con profonda commozione. Sentì che quell’abbraccio affettuoso sarebbe stato l’ultimo e, fino a quando i cammelli della carovana presero il largo verso l’immensa pianura, il giovane avvolse il venerabile anziano nelle vibrazioni affettuose di quel preoccupato addio.
76. Il giorno seguente, i servi di Ezechia, fiancheggiando la lunga fila di cammelli pazienti, lasciarono Saul, con un carico immenso di pellami, in compagnia di Aquila e di sua moglie, nell’oasi che fioriva in pieno deserto.
77. I due operai della piccola fabbrica lo accolsero con grande dimostrazione di fratellanza e simpatia. Saul riconobbe in loro il profilo delle più nobili qualità spirituali. La gioventù della generosa coppia si espandeva in belle espressioni di lavoro e di buon animo. Prisca si prodigava nell’attività per trasmettere in tutto i tesori del suo affetto. Le vecchie canzoni ebraiche risuonavano nel grande silenzio come note di sovrana e armoniosa bellezza.
78. Finito il lavoro domestico, eccola insieme al suo compagno nelle fatiche del telaio, fino alle ore più avanzate del crepuscolo. Il marito, a sua volta, appariva di temperamento benevole e calmo, come quelli che si muovono senza la presenza del pungiglione. Completamente integrato nelle responsabilità che gli competevano, Aquila lavorava instancabilmente all’ombra degli alberi accoglienti e amici.
79. Saul comprese la benedizione che aveva ricevuto. Sembrava di trovare in quelle due anime fraterne, che mai più si sarebbero separate spiritualmente dalla grandezza della sua missione, due abitanti di un mondo diverso che fino ad allora nella vita non aveva mai conosciuto.
80. Aquila e Prisca, più che sposi, sembravano veri fratelli. Nel primo giorno di sforzo comune, l’ex dottore della Legge osservò il rispetto reciproco, la perfetta conformità di idee e l’elevato concetto del dovere che caratterizzava le loro più piccole attitudini e, soprattutto, la sana allegria che irradiava dai loro gesti più semplici. Le loro abitudini pure e generose affascinavano la sua anima disillusa dall’ipocrisia umana. I pasti erano semplici; ogni oggetto aveva il suo uso e il posto giusto, e le parole, quando lasciavano il cerchio della gioia comune, non si concentravano mai sulla maldicenza o frivolezza. Il primo giorno passò con graditissime sorprese per l’ex rabbino, assetato di pace e solitudine per i suoi nuovi studi e meditazioni. Il compagno di lavoro si prodigava in gentilezze per soddisfare le piccole difficoltà del mestiere che da tempo non praticava. Aquila fu sorpreso, naturalmente, dalle mani delicate, dal comportamento diverso, per niente simile ad un tessitore comune; ma con la nobiltà che lo caratterizzava, non chiese nulla in merito alle cause del suo isolamento.
81. Quello stesso pomeriggio, terminato il lavoro, la coppia si accomodò ai piedi di una frondosa palma, non senza lanciare al nuovo compagno, sguardi curiosi e inquieti. Srotolarono in silenzio qualche vecchia pergamena e cominciarono a leggere con molta attenzione.
82. Saul si rese conto dell’atteggiamento diffidente, e si avvicinò.
83. «In realtà…» – disse affettuoso – «…il crepuscolo nel deserto ci invita alla meditazione... il tappeto infinito di sabbia sembra come un oceano fermo... la dolce brezza porta i messaggi dalle città lontane. Ho l’impressione di essere in un tempio di pace indisturbata, fuori dal mondo...».
84. Aquila si meravigliò di quelle immagini suggestive e provò una maggior simpatia per quel giovane anonimo, forse segregato dagli affetti più cari, a contemplare la pianura senza fine, con immensa tristezza.
85. «È vero…» – rispose attento – «…ho sempre creduto che la natura conservi il deserto come un divino altare silenzioso, in modo che i figli di Dio possano avere sulla Terra un luogo di riposo ideale. Approfittiamo del nostro tirocinio in solitudine, per pensare al Padre giusto e santo, considerando la Sua magnanimità e la Sua grandezza».
86. In quel momento, Prisca si chinò sulla prima parte del rotolo di pergamena, assorta nella lettura.
87. Sentendo casualmente, da lontano, il nome di Gesù, Saul si avvicinò ancora di più e, incapace di nascondere il suo grande interesse, chiese: «Aquila, ho tanto amore per il Profeta di Nazareth che mi permetto di chiedere se la lettura della grandezza del Padre Celeste è fatta dagli insegnamenti del Vangelo».
88. La giovane coppia sperimentò una profonda sorpresa di fronte all’imprevista domanda.
89. «Sì...» – disse l’interrogato esitante – «…ma se tu provieni dalla città, non ignori la persecuzione di coloro che seguono il “Cammino” del Cristo Gesù. ...».
90. Saul non nascose la sua gioia verificando che i compagni, amanti della lettura, sarebbero stati in grado di scambiare idee più elevate sul nuovo apprendistato. Eccitato dalla confessione dell’altro, si sedette sulla pietra grezza e, prendendo le pergamene con interesse, chiese: «Appunti di Levi?»
91. «Sì…» – disse Aquila più sicuro di sé e sereno di essere di fronte ad un fratello di ideale – «…li ho copiati nella Chiesa di Gerusalemme, prima di partire».
92. In un istante, Saul cercò la propria copia del Vangelo, la quale costituiva per il suo cuore uno dei ricordi più preziosi della sua vita. Soddisfatti, verificarono i testi e gli insegnamenti.
93. Attratto da un sincero interesse fraterno, l’ex rabbino chiese con sollecitudine: «Quando avete lasciato Gerusalemme? Mi rallegro molto quando incontro fratelli che conoscono da vicino la nostra città santa. Quando ho lasciato Damasco non prevedevo che Gesù mi avrebbe riservato così piacevoli sorprese».
94. «Sono mesi che ne siamo usciti» – disse Aquila, ora pieno di fiducia nella spontaneità delle parole udite. – «Siamo stati costretti ad andarcene a causa del movimento di persecuzione».
95. Tale riferimento improvviso e indiretto del suo passato, perturbò il giovane di Tarso nell’intimità del suo cuore.
96. «Hai avuto modo di incontrare Saul di Tarso?» – chiese il tessitore con una grande ingenuità che traspariva dai suoi occhi. «Tra l’altro…» – continuò, mentre l’interrogato cercava di rispondere – «…il celebre nemico di Gesù ha il nome uguale al tuo».
97. L’ex rabbino ritenne più giusto seguire alla lettera il consiglio di Gamaliel. Era preferibile nascondersi e provare la giusta disapprovazione per il suo passato condannabile, di umiliarsi davanti al giudizio degli altri, per spietato che fosse, fino a quando non avesse dimostrato pienamente ai fratelli del “Cammino” la sua testimonianza di fedeltà.
98. «L’ho conosciuto» – rispose vagamente.
99. «Bene…» – continuò Aquila iniziando il racconto sulle loro vicissitudini – «…è del tutto possibile che, per il tuo passaggio a Damasco e a Palmira, non hai una conoscenza perfetta dei martiri che il celebre dottore della Legge ha imposto su di noi, spesso arbitrariamente. Forse, Saul stesso, credo, non potesse conoscere le atrocità commesse dagli uomini senza scrupoli che erano sotto i suoi ordini, perché le persecuzioni erano di tale intensità che, come fratello del “Cammino”, non posso pensare che un rabbino educato si fosse assunto la responsabilità personale per tanti fatti scellerati».
100. Mentre l’ex rabbino cercava invano una risposta adeguata, Prisca entrò nella conversazione, esclamando con semplicità: «È chiaro che il rabbino di Tarso non poteva conoscere tutti i crimini commessi in suo nome. Lo stesso Simon Pietro, il giorno prima che partissimo, di nascosto, di notte, ci disse che nessuno lo doveva odiare, perché, indipendentemente dal ruolo che aveva rappresentato con la morte di Stefano, era impossibile fosse il mandatario di così tante misure odiose e perverse».
101. Saul capì, ora che ascoltava i più umili, l’estensione della campagna criminale che aveva scatenato, dando opportunità a molti abusi da parte di subalterni e sostenitori.
102. «Ma…» – chiese stupito – «…hai sofferto così tanto? Sei stato condannato a una qualche pena?»
103. «Non sono stati pochi coloro che hanno sofferto umiliazioni simili a quelle che ho sperimentato io…» – mormorò Aquila spiegandosi – «…dati i condannabili comportamenti di alcuni energumeni fanatici, scelti come ausiliari prestigiosi del movimento».
104. «In che modo?» – domandò Saul molto interessato.
105. «Ti darò un esempio. Immagina che un patrizio di nome Jochai, chiese a mio padre diverse volte la possibilità di acquistare un panificio a Gerusalemme. Io mi prendevo cura della mia tenda; il mio vecchio genitore dei suoi affari. Vivevamo felici e, considerando la nostra pace, nonostante gli assalti dell’ambizioso Jochai, mio padre non ha mai pensato di vendersi la fonte delle sue risorse. Jochai, tuttavia, all’inizio della persecuzione, riuscì ad avere una posizione di distacco. In tali occasioni, i personaggi con carattere meschino portano sempre la palma. È bastato solo un po’ di autorità, che l’invidioso ha esteso i suoi criminosi desideri. È vero che io e Prisca siamo stati i primi a frequentare la Chiesa del “Cammino”, non solo per affinità di sentimento, ma come per dovere a Simon Pietro per la guarigione da antichi mali che avevo fin dall’infanzia. Mio padre, tuttavia, nonostante la simpatia per il Salvatore, ha sempre detto di essere molto anziano per cambiare idee religiose.
106. Aggrappato alla Legge di Mosè non poteva comprendere una ristrutturazione generale dei principi in materia di fede. Questo, tuttavia, non invalidò gli istinti perversi dell’ambizioso. Un giorno, Jochai bussò alla nostra porta, accompagnato dalla scorta armata, con un mandato di arresto per noi tre. Era inutile resistere. Il dottore di Tarso aveva emesso un’ordinanza che tutta e qualsiasi resistenza significava la morte. Ci hanno messo in prigione. Invano mio padre giurò fedeltà alla Legge. Dopo l’interrogatorio, Prisca ed io abbiamo ricevuto l’ordine di ritornare a casa, ma il vecchio fu imprigionato senza compassione. I suoi modesti beni furono immediatamente confiscati. Dopo molte richieste da parte nostra siamo riusciti a farlo tornare alla nostra compagnia, ma il valoroso vecchietto, il cui unico sostegno è stata la mia dedizione filiale nella sua senescenza e vedovanza, morì tra le mie braccia il giorno dopo l’immediata liberazione per noi tanto attesa. Quando lo abbiamo rivisto sembrava un fantasma. Alcune guardie caritatevoli ce l’hanno portato quasi morente. Eppure si potevano vedere le ossa rotte, le ferite aperte, il corpo pieno del segno delle frustate. Con parole vacillanti, ci ha descritto le scene vergognose del carcere. Proprio Jochai, circondato dagli aguzzini, è stato l’autore delle ultime punizioni. Impossibilitato a resistere alle sofferenze, consegnò la sua anima a Dio!»
107. Aquila era profondamente commosso. Una furtiva lacrima si unì ai dolorosi ricordi.
108. «E l’autorità del movimento...» – chiese Saul estremamente emozionato – «…ha ignorato questo crimine?»
109. «Credo di sì. La crudeltà era troppo per essere attribuita solamente a motivi religiosi».
110. «Ma non ti avvalesti di una qualsiasi petizione di giustizia?»
111. «E chi avrebbe avuto il coraggio di farlo?» – chiese il dipendente di Ezechia meravigliato.
112. «Ho amici che hanno fatto ricorso, ma lo hanno pagato con la punizione più violenta del desiderio stesso di giustizia».
113. L’ex rabbino capì l’equità dei concetti. Solo ora ebbe ampiezza della vista spirituale per valutare la vecchia cecità che gli oscurava l’anima. Aquila aveva ragione. Spesso era stato sordo alle sollecitazioni più toccanti. Costantemente aveva appoggiato le decisioni più assurde dei suoi agenti incoscienti. Si ricordava proprio di Jochai che sembrava così premuroso in quei giorni di inconsapevolezza.
114. «E che ne pensi di Saul?» – chiese freddamente.
115. Lungi dal sapere con chi stava scambiando le idee più intime, Aquila rispose senza esitazione: «Il Vangelo ci dice di considerarlo un fratello estremamente bisognoso della luce di Gesù Cristo. Non l’ho mai visto, ma temendo le iniquità praticate a Gerusalemme, sono venuto qui velocemente in fuga, e prego Dio per lui, sperando che un fulmine dal cielo lo illumini, non tanto per me che non valgo niente, ma per Pietro, che considero un secondo padre, a me molto caro. Credo che verrebbero viste meraviglie, se la Chiesa del “Cammino” potesse lavorare liberamente. Penso che gli apostoli galilei meritino un campo senza spine per la semina di Gesù».
116. Rivolgendosi alla moglie, mentre il giovane di Tarso taceva, il tessitore esclamò con interesse: «Ti ricordi, Prisca, come sollecitavamo intime preghiere in Chiesa a favore del persecutore? Spesso, per chiarire il nostro debole spirito nel perdono, Pietro ci insegnava a considerare il rabbino implacabile come un fratello a cui la violenza aveva oscurato la mente. Affinché i nostri risentimenti più vivi cedessero, illustrava il suo passato, dicendo che anche lui, per ignoranza, era arrivato a negare il Maestro più di una volta. Evidenziava le nostre debolezze umane, inducendoci a una migliore comprensione. Un giorno dichiarò anche, che tutte le persecuzioni di Saul erano utili, perché ci portavano a riflettere sulle nostre stesse miserie, al fine di essere vigilanti nella nostra responsabilità con Gesù».
117. L’ex allievo di Gamaliel aveva gli occhi umidi. «Senza dubbio, il famoso pescatore di Cafarnao è un grande fratello degli infelici» – mormorò Saul con convinzione.
118. La conversazione si spostò verso altre considerazioni. Dopo l’intervento di Prisca con delle note finali sull’argomento, lei rivelò di conoscere alcune donne a Gerusalemme che, avendo un marito e dei figli in carcere, chiedevano sinceramente a Gesù l’illuminazione del persecutore del “Cammino”.
119. In seguito parlarono del Vangelo. Il manto di stelle rivestì le loro grandi speranze, mentre Saul assorbiva lunghi sorsi dell’acqua pura dell’amicizia sincera, in quel nuovo mondo così piccolo.
120. In questi dialoghi affettuosi e fraterni, i giorni passarono veloci. Di volta in volta arrivavano da Palmira i rinforzi per le forniture e altre risorse. Le tre persone in quella tranquilla oasi intrecciavano le aspirazioni e i pensieri intorno al Vangelo di Gesù, il solo libro delle loro meditazioni in quel luogo così remoto.
121. L’ex rabbino aveva cambiato il proprio aspetto al contatto diretto con le forze aggressive della natura. L’epidermide abbronzata dal Sole dava l’impressione di un uomo abituato all’inclemenza del deserto. La barba lunga aveva trasformato il suo volto. Le mani abituate ai libri divennero callose e ruvide. Tuttavia, la solitudine, la disciplina austera, il telaio laborioso avevano arricchito la sua anima di luce e di serenità. Gli occhi calmi e profondi attestavano i nuovi valori dello spirito. Aveva capito finalmente quella pace sconosciuta che Gesù desiderava per i suoi discepoli; ora sapeva interpretare la dedizione di Pietro, la tranquillità di Stefano nel momento della morte ignominiosa, il fervore di Abigail, e le virtù morali dei frequentatori abituali del “Cammino” che lui aveva perseguitato a Gerusalemme.
122. L’autoeducazione, in assenza delle risorse dell’epoca, aveva insegnato alla sua anima agitata il segreto sublime di consegnarsi al Cristo, di giacere tra le Sue braccia misericordiose e invisibili, e dal momento che si era consacrato al Maestro, anima e cuore, il rimorso, il dolore, il disagio, si erano allontanati dal suo spirito. Riceveva tutti i lavori come un bene, tutte le necessità come elementi di educazione. Senza sforzo si affezionò ad Aquila e a sua moglie, come se fossero nati insieme. Una volta il compagno si ammalò quasi al punto di morire, prostrato dalla febbre violenta. La situazione dolorosa, la moltiplicazione delle tempeste di sabbia, abbatterono l’animo di Prisca che si gettò a letto con poche aspettative di vita. Saul, tuttavia, si mostrò di un coraggio e una devozione senza precedenti. Preso da una sincera fiducia in Dio, aspettò la ripresa della calma e della gioia. Contento, vide il ritorno di Aquila al telaio e anche il ritorno della compagna alle fatiche domestiche, pieni di nuove espressioni di pace e di fiducia.
123. Quando trascorse più di un anno in quella solitudine, una carovana proveniente da Palmira gli portò una breve missiva. Il mercante gli comunicò la morte improvvisa di suo fratello, già da molto aspettata.
124. La partenza di Gamaliel nei regni della morte non lasciò di essere una dolorosa sorpresa. Il vecchio maestro, dopo suo padre, era il più grande amico che mai avesse incontrato nella vita. Sotto il suo influsso era riuscito a trovare la pace desiderata per regolare la situazione spirituale necessaria per riorganizzarsi l’esistenza. In quel giorno, pensieri profondi di nostalgia martirizzarono la sua anima sensibile.
125. Nel pomeriggio, dopo il pasto e nell’ora delle consuete meditazioni, l’ex rabbino guardò la coppia con una grande tenerezza che traspariva dai suoi occhi sinceri.
126. Ognuno era immerso nelle meditazioni del Vangelo divino, quando il giovane di Tarso parlò con una certa timidezza, in contrasto con i suoi gesti risoluti: «Aquila, molte volte nella solitudine del nostro lavoro, ho pensato all’enormità del male che ti ha causato il dottore di Tarso. Cosa faresti se un giorno, improvvisamente, ti trovassi faccia a faccia con il tuo carnefice?»
127. «Avrei provato a considerarlo come un fratello».
128. «E tu, Prisca?» – chiese alla donna che lo fissava curiosa.
129. «Sarebbe un’ottima occasione per testimoniare l’amore che Gesù ha dimostrato nelle Sue lezioni divine».
130. L’ex dottore della Legge riacquistando serenità e, alzando la voce, esclamò con convincimento: «Ho sempre pensato che un uomo, chiamato ad amministrare, risponde per tutti gli errori dei suoi agenti, in relazione al piano generale dei servizi. Quindi, secondo il mio modo di pensare, non colpevolizzo tanto Jochai che si è issato ad un comune criminale, abusando di una prerogativa che gli era stata conferita per realizzare le sue turpe vendette».
131. «Quindi, a chi imputare l’omicidio di mio padre?» – chiese Aquila impressionato, mentre l’amico faceva una breve pausa.
132. «Penso che Saul di Tarso dovrebbe rispondere per il processo. È vero che egli non autorizzò il fatto crudele, ma lui è colpevole di indifferenza personale sui dettagli dei compiti che appartenevano ai suoi obblighi».
133. I coniugi si misero a meditare sul motivo di tali domande, mentre il giovane, timido, rimase in silenzio.
134. Infine, con voce umile e commovente, cominciò a parlare: «Amici miei, sotto l’ispirazione del Signore è giusto che ci confessiamo uno con l’altro. Le mie mani callose dal lavoro, i miei sforzi per imparare le virtù della fede, che voi avete dimostrato ai miei occhi, dovrebbe essere un’attestazione del mio rinnovamento spirituale. Io sono Saul di Tarso, il terribile persecutore trasformato in servo penitente. Se molto ho sbagliato, oggi molto necessito. Nella Sua misericordia, Gesù stracciò la veste miserabile delle mie illusioni. Le sofferenze rigeneratrici arrivarono al mio cuore, lavandolo con lacrime dolorose. Ho perso tutto quello che significava onore e valori nel mondo, per prendere la croce salvatrice e seguire il Maestro nel cammino della redenzione spirituale. È vero che ancora non sono riuscito ad abbracciare l’albero delle lotte costruttive e santificanti, ma persevero nello sforzo di negare me stesso, disprezzando il passato di iniquità, per meritare la croce della mia ascesa a Dio».
135. Aquila e sua moglie lo guardarono con stupore.
136. «Non dubitate della mia parola» – disse con gli occhi umidi. – «Assumo la responsabilità delle mie tristi azioni. Perdonatemi, tuttavia, tenendo in conto la mia ignoranza criminale! ...»
137. Il tessitore e sua moglie si resero conto che le lacrime gli soffocavano la voce. Preso da una emozione singolare, Saul si mise a piangere convulsamente. Aquila si avvicinò e lo abbracciò. Questo atteggiamento affettuoso sembrò aggravare la dolorosa contrizione, perché le lacrime scorsero più abbondantemente. Si ricordò il momento in cui aveva trovato l’affetto sincero di Anania e, sentendosi lì, tra le braccia di un fratello, lasciò che le lacrime gli lavassero tutto il cuore.
138. Sentiva il bisogno di espandere sentimenti affettuosi. La vecchia vita a Gerusalemme era convenzione e aridità. Come dottore ammirato, aveva molti seguaci, ma con nessuno aveva sentito un’affinità fraterna. In quell’angolo del deserto, tuttavia, il quadro era diverso. Aveva di fronte un uomo degno, onesto e devoto compagno di lavoro, che era stato già vittima della sua inflessibile e crudele persecuzione. Quanti, come Aquila e sua moglie, erano dispersi nel mondo, mangiando il pane amaro dell’esilio, per causa sua? I grandi sentimenti non avrebbero mai riempito l’anima in una sola volta, in tutta la sua bellezza. La creatura avvelenata nel male è come un contenitore di aceto: deve essere svuotato lentamente!
139. La visione di Gesù era un evento vivo, immortale, ma per poter comprendere la piena portata dei suoi nuovi compiti era necessario il cammino stretto delle dure e amare prove. Aveva visto il Cristo, ma, per poter arrivare a Lui, era indispensabile tornare indietro e oltrepassare gli abissi. Le delusioni della sinagoga di Damasco, il conforto degli umili fratelli sotto la guida di Anania, la mancanza di risorse finanziarie, i consigli austeri di Gamaliel, l’anonimato, la solitudine, l’abbandono delle persone più care, il pesante telaio sotto il Sole cocente, la mancanza di qualsiasi comodità materiale, la meditazione quotidiana sulle illusioni della vita – tutto questo rappresentò un valido aiuto alla sua decisione vittoriosa: il Vangelo funzionò come un lume sul difficile e buio viaggio alla scoperta di se stesso, al fine di giudicare le necessità più urgenti.
140. Abbracciandosi stretto all’amico che cercava di asciugargli le lacrime, si ricordò che a Damasco, dopo la grande visione del Messia, forse nell’intimo teneva ancora l’orgoglio di essere in grado di insegnare, l’amore per la cattedra di maestro in Israele, la tendenza della forza dispotica di volere che tutti pensassero come lui, mentre adesso poteva esaminare il passato di colpe e sentire la gioia della riconciliazione, rivolgendosi umilmente alla sua vittima.
141. In quel momento ebbe l’impressione che Aquila rappresentasse la comunità di tutti gli offesi dai suoi crudeli misfatti. Una piacevole serenità riempì il suo cuore. Si sentì distanziato dall’orgoglio, dall’amor proprio, dalle idee amare e dai terribili rimorsi. Ogni goccia di lacrime era un po’ di fiele che usciva della sua anima, rinnovando i suoi sentimenti di tranquillità e sollievo.
142. «Fratello Saul…» – disse il tessitore senza nascondere la sua gioia – «…rallegriamoci nel Signore come fratelli che sono stati separati e ora si sono ritrovati di nuovo insieme. Non parliamo del passato, parliamo della potenza di Gesù che ci ha trasformati con il Suo Amore».
143. Anche Prisca, che piangeva, parlò con tenerezza: «Se Gerusalemme conoscesse questa vittoria del Maestro, avrebbe reso grazie a Dio! ...»
144. Seduti tutti e tre sul piccolo prato dell’oasi, ascoltando il mormorio del vento che ammorbidiva i rigori del caldo pomeriggio, uniti nella sublimità della fede comune, il giovane di Tarso raccontò il successo dell’indimenticabile viaggio a Damasco, rivelando i profondi cambiamenti nella sua vita.
145. La coppia piangeva di gioia percependo le emozioni di Saul nella misericordia di Gesù che, per i loro occhi pii, rappresentava non solo un gesto di affetto al servitore deviato, ma anche una benedizione di amore per l’intera Umanità.
146. Da allora in poi, i compiti sembrarono più leggeri, le difficoltà meno penose. Non passò più un crepuscolo senza il commento sul dono del Cristo glorioso alle porte di Damasco.
147. «Ora che il Maestro ci ha riuniti» – esclamò Aquila soddisfatto – «usciamo dal deserto, proclamiamo i favori di Gesù per tutto il mondo. Io e Prisca non abbiamo molti obblighi familiari. Con la morte di mio padre siamo soli per quanto riguarda i doveri più pesanti, ed è ragionevole non perdere l’opportunità di contribuire a diffondere la Buona Novella. Oltre alle lezioni di Levi, ora abbiamo la visione del Gesù risorto per illustrare la nostra parola».
148. Dopo un lungo periodo di tempo, alla vigilia del ritorno alla lotta nei grandi centri popolosi, Saul sentendo loro così entusiasti, li consultò sui progetti che avevano in mente.
149. «Dalla tua rivelazione…» – disse Aquila fiducioso e pieno di speranza – «…nutro un grande ideale. Sembra incredibile a prima vista, ma prima di morire, sogno di andare a Roma ed annunciare il Cristo ai fratelli della vecchia Legge. La tua visione sulla via di Damasco mi riempie di coraggio! Racconterò il fatto ai più distaccati e porterò un po’ di luce ai più insensati. Come servitore umile degli uomini, saprò dedicarmi agli interessi del Salvatore».
150. «Ma quando avete intenzione di partire?»
151. «Quando il Maestro ci schiuderà il cammino, alla prima occasione abbandoneremo Palmira».
152. Dopo una pausa in cui Saul rifletté, l’altro sussurrò: «Perché non vieni con noi a Roma?»
153. «Ah! Se potessi!...» – disse l’ex rabbino facendogli capire il suo desiderio. – «Prima di tutto, credo che Gesù vorrà vedermi del tutto riconciliato con coloro che ho offeso a Gerusalemme. Ed ho anche bisogno di rivedere i miei genitori, strappando la nostalgia dal mio cuore».
*
154. In effetti, dopo il passaggio della grande carovana che portò i loro sostituti, serviti di un cammello, i tre fratelli del “Cammino” lasciarono l’oasi verso Palmira, dove la famiglia di Gamaliel li accolse con svelato affetto.
Aquila e sua moglie sarebbero rimasti per un periodo di tempo al servizio di Ezechia, fino a quando non avessero realizzato il bellissimo ideale di lavorare nella potente Roma dei Cesari, invece Saul di Tarso, ora resistente come un beduino, dopo aver ringraziato la generosità del benefattore e detto addio agli amici con le lacrime agli occhi, ancora una volta prese la direzione di Damasco, radicalmente trasformato dalle meditazioni dei tre anni consecutivi trascorsi nel deserto.
[indice]
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Lotte e umiliazioni, ma il Cielo è con lui
(Atti 9,23-24): [23]Trascorsero così parecchi giorni (anni) e i giudei fecero un complotto per ucciderlo; [24]ma i loro piani vennero a conoscenza di Saul. Essi facevano la guardia anche alle porte della città di giorno e di notte per sopprimerlo;
1. Il viaggio fu senza incidenti. Tuttavia, nella sua nuova solitudine, il giovane di Tarso riconosceva che delle forze invisibili riempivano la sua mente di grandiose e consolatrici ispirazioni. Nella notte piena di stelle aveva l’impressione di sentire una voce amorevole e saggia, tradursi come infinito amore e infinita speranza. Da quando si era allontanato dalla presenza amorevole di Aquila e di sua moglie, sentendosi completamente solo nella realizzazione dei grandi progetti del suo nuovo destino, trovò nuove energie interiori finora impreviste e sconosciute.
2. Impossibile definire quello stato spirituale, ma stava di fatto che da allora in poi, sotto la direzione di Gesù, Stefano sarebbe stato al suo fianco come fedele compagno.
3. Quelle esortazioni, quelle voci dolci e amiche che assistettero all’intero percorso del suo apostolato, e attribuite direttamente al Salvatore, venivano dal generoso martire del “Cammino”, che lo seguì spiritualmente per trent’anni, rinnovandogli costantemente le sue forze per l’esecuzione dei lavori redentori del Vangelo.
4. Gesù voleva che la prima vittima delle persecuzioni a Gerusalemme rimanesse per sempre legato al primo aguzzino dei proseliti della Sua dottrina di vita e di redenzione.
5. Invece dei sentimenti di rimorso e di smarrimento di fronte al passato di colpe, di nostalgia e di disperazione che a volte gli minacciavano il cuore, sentiva ora radianti promesse nello spirito rinnovato, senza essere in grado di spiegare la sacra origine di tali profonde speranze. Nonostante i singolari cambiamenti fisionomici che la vita, il regime e il clima del deserto gli avevano impresso, entrò a Damasco con gioia sincera nell’animo, ora dedicato pienamente al servizio di Gesù. Con indefinibile giubilo abbracciò il vecchio Anania, mettendolo al corrente delle sue edificazioni spirituali. Il rispettabile vecchio gli restituì l’affetto con immensa bontà. Questa volta l’ex rabbino non aveva bisogno d’isolarsi in una locanda tra estranei, perché i fratelli del “Cammino” gli avevano offerto una franca e amorevole ospitalità.
6. Ogni giorno ripeteva l’emozione consolatrice sperimentata alla prima riunione a cui aveva partecipato prima di ritirarsi nel deserto. La piccola assemblea fraterna si riuniva tutte le notti per lo scambio di nuove idee sugli insegnamenti del Cristo, commentando gli eventi mondani alla luce del Vangelo, scambiandosi obiettivi e conclusioni. Saul fu informato su tutte le novità riguardanti la dottrina, sperimentando i primi effetti dello scontro tra gli ebrei e gli amici del Cristo sul tema della circoncisione. Il suo temperamento passionale capì la portata del compito che gli era stato riservato.
7. I farisei formalisti della sinagoga non insorsero più contro le attività del “Cammino”, dal momento che i seguaci di Gesù erano, prima di tutto, fedeli osservanti dei principi di Mosè. Solamente Anania e alcuni pochi adepti compresero la sottigliezza dei casisti[38] che provocavano deliberatamente confusione in tutti i settori, ritardando la marcia vittoriosa della Buona Novella per la redenzione.
8. L’ex dottore della Legge riconobbe che, in sua assenza, il processo di persecuzione era diventato più pericoloso e più impercettibile, in quanto, le crudeli caratteristiche del movimento iniziale avevano dato spazio a manifestazioni d’ipocrisia farisaica, i quali, con il pretesto di prendere tempo, benevolmente, immergeva la personalità di Gesù e la grandezza delle Sue lezioni divine, in un deliberato oblio criminale.
9. Coerente con le nuove disposizioni del suo interiore, non aveva intenzione di tornare alla sinagoga di Damasco, per non sembrare un maestro pretenzioso pronto a lottare per la salvezza di altri, prima di prendersi cura di migliorare se stesso; ma davanti a ciò che vedeva e ipotizzava con un alto senso psicologico, si rese conto che era utile affrontare tutte le conseguenze, solo per dimostrare la disparità del formalismo farisaico in confronto al Vangelo: cos’era la circoncisione, e che cos’era la nuova fede?
10. Espose ad Anania il progetto di promuovere la discussione sull’argomento, e il generoso vecchietto lo incoraggiò al fine di ristabilire la verità nelle sue legittime fondamenta.
11. A tal fine, nel secondo sabato del suo soggiorno in città, il vigoroso predicatore si presentò alla sinagoga. Nessuno riconobbe il rabbino di Tarso dalla sua tunica leggera, dall’epidermide arrostita dal Sole, dal viso scarno e dalla luminosità negli occhi vivi e profondi.
12. Finita la lettura e l’esposizione regolamentare, la parola diventava libera ai sinceri studiosi della religione. Fu allora che lo straniero salendo sulla Tribuna dei maestri d’Israele e, cercando di interessare il grande pubblico, parlò in primo luogo della sacralità della Legge di Mosè, soffermandosi, passionale, nelle promesse sagge e meravigliose di Isaia, fino ad arrivare allo studio dei profeti. I presenti lo ascoltavano rapiti con molta attenzione. Alcuni cercarono di individuare quella voce che sembrava loro familiare. La vibrante predicazione provocava conclusioni di vasta portata e di grande bellezza. Un’immensa luce spirituale straripava dai rapimenti di alta eloquenza.
13. Fu allora che l’ex rabbino, conoscendo la potenza magnetica esercitata sul grande pubblico, cominciò a parlare del Messia nazareno confrontando la Sua vita, le gesta e gli insegnamenti, con i testi che Lo annunciavano nelle Sacre Scritture.
14. Quando affrontò il tema della circoncisione, ecco che l’assemblea irruppe in una furiosa protesta. – «È lui!... È il traditore!...» – gridarono i più audaci dopo aver identificato l’ex dottore di Gerusalemme.
15. «Pietre al blasfemo! ... È il bandito della setta del “Cammino”! ...»
16. I responsabili del servizio religioso, a loro volta, riconobbero il vecchio compagno, a quel tempo considerato disertore della Legge al quale si doveva imporre punizioni rudi e crudeli.
17. Saul osservò il ripetersi della stessa scena della volta precedente, quando era stato ascoltato nella riunione a cui avevano partecipato i Leviti di Cipro. Affrontò impassibile la situazione, fino a quando le autorità religiose furono in grado di calmare gli animi turbolenti.
18. Dopo le fasi acute del tumulto, il capo della sinagoga, prendendo posizione, stabilì che l’oratore scendesse dal podio per rispondere al suo interrogatorio.
19. Il convertito di Damasco capì subito che aveva bisogno di tutta la calma per uscire con successo da quella difficile situazione, e ubbidì prontamente senza protestare.
20. «Sei Saul di Tarso, l’ex rabbino di Gerusalemme?» – chiese l’autorità con enfasi.
21. «Sì, con la grazia di Gesù Cristo!» – rispose con tono fermo e risoluto.
22. «Non è il caso di fare qualsiasi riferimento al Falegname di Nazareth! Ci interessa solamente il tuo arresto immediato, secondo le istruzioni ricevute dal Tempio» – disse il giudeo solennemente.
23. «Il mio arresto?» – chiese Saul sorpreso.
24. «Sì».
25. «Non vi riconosco il diritto di farlo» – disse il predicatore.
26. Davanti a quell’atteggiamento energico, ci fu un movimento di stupore generale.
27. «Perché resisti? Devi solo ubbidire».
28. Saul di Tarso lo fissò con decisione, dicendo: «Mi rifiuto perché, pur avendo cambiato la mia concezione religiosa, sono un dottore della Legge e, per quanto riguarda la mia situazione politica, sono un cittadino romano e non posso rispondere a un ordine verbale di andare in prigione».
29. «Ma sei in arresto nel nome del Sinedrio!»
30. «Dov’è il mandato?»
31. La domanda imprevista sconcertò l’autorità. Erano trascorsi più di due anni da quando era arrivato da Gerusalemme il documento ufficiale, ma nessuno poteva prevedere quell’eventualità. L’ordine era stato archiviato con cura e non poteva essere esibito subito, come richiesto dalle circostanze.
32. «La pergamena sarà presentata tra poche ore» – disse il capo della sinagoga alquanto indeciso e, come se volesse giustificarsi, aggiunse: – «Dall’ultimo scandalo della tua predicazione a Damasco, abbiamo l’ordine da Gerusalemme di arrestarti».
33. Saul lo fissò con energia e, girandosi verso l’assemblea, la quale presa da meraviglia e stupore osservava il suo coraggio morale, disse ad alta voce: «Grandi uomini di Israele, ho portato al vostro cuore quello che avevo di meglio, ma voi rifiutate la verità, scambiandola per delle formalità esteriori. Non vi condanno, ma mi dispiace perché anch’io sono stato come voi. Tuttavia, quando è arrivata la mia ora, non ho rifiutato la generosa assistenza che il Cielo mi ha offerto. Mi lanciate accuse, vituperate le mie attuali convinzioni religiose; ma chi di voi sarebbe disposto a discutere con me? Dov’è un sincero lottatore che desideri sondare nel campo spirituale, in mia compagnia, le Sacre Scritture?»
34. Un profondo silenzio seguì alla sfida.
35. «Nessuno?» – chiese l’ardente artefice della nuova fede, con un sorriso di trionfo. – «Vi conosco, perché percorsi anch’io queste vie. Tuttavia, conveniamo che il fariseismo ci ha fatto perdere, gettando le nostre più sacre speranze in un oceano di ipocrisia. Venerate Mosè nella sinagoga, avete eccessiva cura nelle formule esteriori, ma qual è il volto delle vostre vite a casa vostra? Quanti dolori nascondete sotto le vesti splendenti! Quante ferite dissimulate con parole fallaci! Come me, dovete sentire uno schiacciante tedio per tante maschere ignobili! Se indicassimo i misfatti criminali che si praticano all’ombra della Legge, non avremmo fruste per punire i colpevoli; né il numero esatto di maledizioni indispensabili per dipingere simili abomini! Ho sofferto delle vostre ulcere, mi sono avvelenato nella vostra oscurità e sono venuto a portarvi il rimedio essenziale. Voi rifiutate la mia collaborazione fraterna! Tuttavia, è inutile che recalcitrate davanti ai processi rigeneratori, perché solo Gesù potrà salvarci! Vi ho portato il Suo Vangelo, vi offro la porta della redenzione per i vostri vecchi mali, e voi volete compensare i miei sforzi con il carcere e la maledizione? Mi rifiuto di ricevere questo, in cambio della mia spontanea iniziativa! ... Non potete arrestarmi, perché la Parola di Dio non è incatenata. Se voi vi rifiutate, altri mi capiranno. Non è giusto abbandonarmi ai vostri capricci, quando il servizio da fare mi chiede dedizione e buona volontà!»
36. Gli stessi amministratori della riunione sembrarono dominati da forze magnetiche, potenti e inafferrabili.
37. Il giovane di Tarso passò lo sguardo dominatore su tutti i presenti, rivelando la rigidità del suo animo potente.
38. «Il vostro silenzio parla più delle parole» – concluse quasi con audacia. – «Gesù non vi permette di imprigionare il Suo umile e fedele servitore. … Che la Sua benedizione illumini il vostro spirito nella vera comprensione della realtà della vita!»
39. Così dicendo, si diresse deciso verso la porta di uscita, mentre gli sguardi stupiti dell’assemblea ne accompagnavano il volto, fino a che, con passo fermo e costante, scomparve in una delle stradine che davano sulla grande piazza.
40. Come se risvegliati dopo l’audace sfida, la riunione degenerò in accese discussioni. Il capo della sinagoga, che sembrava estremamente impressionato dalle dichiarazioni dell’ex rabbino, non nascondeva l’indecisione, barcollando tra le verità amare di Saul e l’ordine di arresto immediato. I compagni più energici cercarono di sollevare il suo spirito di autorità. Era necessario prendere il volgare predicatore a qualsiasi prezzo. I più risoluti si misero a cercare la pergamena di Gerusalemme e, poco dopo, quando fu trovata, decisero di chiedere assistenza alle autorità civili, promuovendo il necessario per l’arresto. Dopo tre ore furono prese tutte le misure per imprigionare l’audace predicatore. I primi contingenti furono spostati alle porte della città. In ognuna c’era un piccolo gruppo di farisei, accompagnati da due soldati, per impedire ogni tentativo di fuga.
41. Poi cominciò, in blocco, la retata nelle residenze di tutte le persone sospettate di simpatia e di rapporti con i discepoli del Nazareno.
*
42. Saul, allontanandosi dalla sinagoga, cercò di incontrare Anania, in attesa di una sua parola amorevole e consigliera.
43. Il vecchio saggio ascoltò la storia dell’accaduto, approvando il suo atteggiamento.
44. «So che il Maestro…» – disse il giovane alla fine – «…ha condannato la lotta e le discussioni, ma so pure che non ha mai patteggiato con il male. Sono pronto a riparare al mio passato di colpe. Affronterò le incomprensioni di Gerusalemme, pur di attestare la mia trasformazione radicale. Chiederò perdono agli offesi per l’insensatezza della mia ignoranza, ma in nessun modo potrò fuggire dall’opportunità di affermarmi sincero e veritiero. Cosa servirebbe al Maestro, umiliarmi di fronte a basse speculazioni? Gesù lottò il più possibile, e i Suoi discepoli non possono che procedere allo stesso modo».
45. Il buon vecchietto accompagnava le sue parole con segni affermativi. Dopo averlo confortato con la sua approvazione, raccomandò più prudenza. Sarebbe stato ragionevole allontanarsi quanto prima da lì, dal suo tugurio, poiché i giudei di Damasco sapevano la parte che lui aveva avuto nella sua guarigione. Per questo, aveva già sopportato insulti e offese. Di certo lo avrebbero cercato lì per arrestarlo. Quindi era dell’opinione che si trasferisse a casa della consorella lavandaia, dove usavano pregare e studiare il Vangelo. Lei avrebbe saputo accoglierlo con cordialità. Saul accettò il consiglio senza esitazione.
*
[Atti 9,25]ma i suoi discepoli, di notte, lo presero e lo fecero discendere dalle mura, calandolo in una cesta.
46. Dopo tre ore il vecchio Anania fu perquisito e interrogato. Data la sua condotta discreta, fu portato in carcere per ulteriori indagini, per il motivo che, inquisito dall’autorità religiosa, rispose proprio così: «Saul sta con Gesù!»
47. Nei suoi scrupoli di coscienza, il generoso vecchietto aveva compreso che in questo modo non avrebbe mentito agli uomini, né compromesso un amico fedele. In isolamento in carcere per 24 ore, gli fu data la libertà dopo una punizione dolorosa. L’applicazione di una ventina di frustate lasciarono il viso e le mani gravemente feriti. Tuttavia, una volta che fu liberato, attese la notte e, cautamente, si diresse verso l’umile casetta dove si facevano le predicazioni del “Cammino”. Incontrandosi con Saul, espose il suo piano che poneva rimedio alla situazione.
48. «Quando ero bambino…» – disse Anania amabilmente – «…ho assistito alla fuga di un uomo sulle mura di Gerusalemme».
49. E, come se ricapitolasse i dettagli del fatto nella memoria stanca, chiese: «Saul, avresti paura di fuggire in un cesto di vimini?»
50. «Perché?» – chiese il giovane sorridente. – «Mosè non ha cominciato la vita in un cesto sulle acque? Il vecchio si mise a ridere dell’allusione e spiegò il progetto. Non lontano da lì, c’erano grandi alberi lungo le mura della città. Avrebbero issato il ricercato in un grande cesto e, dopo, con piccoli movimenti, lo avrebbero fatto scendere dall’altro lato delle mura, pronto ad iniziare il viaggio verso Gerusalemme, come da sua intenzione.
51. L’ex rabbino sperimentò una gioia immensa. Allo stesso tempo, la proprietaria della casa andò a cercare l’aiuto di tre fratelli di fiducia. E quando il cielo divenne scuro dopo la prima ora della mezzanotte, un piccolo gruppo si riunì lungo la muraglia nel punto più lontano dal centro della città. Saul baciò le mani di Anania, quasi con lacrime. Salutò dolcemente a bassa voce gli amici, mentre un amico gli consegnava un pacchetto con delle torte di farina di orzo per il viaggio. Nell’incavo di un albero frondoso e buio, un ragazzo aspettava il segnale, il giovane di Tarso entrò nella sua scialuppa improvvisata e si diede inizio all’evasione nel silenzio della notte.
52. Dall’altro lato, uscì agile dal cesto, lasciandosi eccitare da sconosciuti pensieri. Era giusto scappare così? Non aveva commesso alcun crimine. Non era da codardi non presentarsi alle autorità civili per il chiarimento necessario? Allo stesso tempo, riteneva che la sua condotta non nasceva da sentimenti puerili e bassi, perché andava a Gerusalemme senza paura. Là avrebbe cercato di incontrare i vecchi compagni per parlare con loro apertamente; poi concluse che non sarebbe stato ragionevole consegnarsi indifeso al fanatismo tirannico della sinagoga di Damasco.
53. Ai primi raggi del Sole, il fuggitivo era già lontano. Portava con sé le torte d’orzo come unica provvista, e il Vangelo regalato da Gamaliel come ricordo di tanto tempo di lotte e di solitudine.
54. Il viaggio fu piuttosto difficile e penoso. La stanchezza lo costringeva a fermarsi costantemente. Più di una volta, nel tragitto penoso, fece appello alla carità degli altri. Con l’aiuto di cammelli, di cavalli o di dromedari, il viaggio da Damasco a Gerusalemme non richiedeva meno di una settimana di marce estenuanti. Saul però lo fece a piedi. Avrebbe potuto forse fare uso del concorso amico di alcune carovane tramite le quali avrebbe trovato le risorse indispensabili, ma preferì familiarizzare la sua volontà poderosa con gli ostacoli più duri. Quando l’affaticamento suggeriva il desiderio di attendere la solidarietà degli altri, cercò di superare lo scoraggiamento mettendosi di nuovo in piedi ed appoggiandosi a dei bastoni improvvisati.
55. Dopo i dolci ricordi nello stesso luogo dove aveva avuto la visione gloriosa del Messia risorto, entrando in Palestina tornò a sperimentare deliziose emozioni mentre attraversava lentamente le vaste regioni della Galilea. Voleva conoscere il teatro delle prime lotte del Maestro, per identificarsi con i paesaggi più cari, visitare Cafarnao e Nazareth, ascoltare la parola dei figli della regione. Già a quel tempo, l’ardente apostolo dei gentili voleva informarsi su tutti i fatti riguardanti la vita di Gesù, anelando di ordinarli con sicurezza, in modo da lasciare in eredità ai fratelli dell’umanità la migliore registrazione di informazioni sull’Emissario divino.
56. Quando arrivò a Cafarnao, un crepuscolo dorato versava meravigliose luci nel paesaggio bucolico. L’ex rabbino scese religiosamente verso le rive del lago, e immerso nella contemplazione delle burrascose acque, pensando a Gesù, nel potere del suo amore, pianse, dominato da una singolare emozione. Avrebbe voluto essere stato un umile pescatore, per afferrare l’insegnamento sublime nella fonte delle Sue parole generose e immortali.
57. Per due giorni rimase lì in soave estasi. Senza rivelarsi, cercò Levi, che lo ricevette con buona volontà. Egli gli mostrò la sua dedizione e la conoscenza del Vangelo, parlando dell’opportunità delle sue note. Il secondo figlio di Alfeo fu contento del contatto con quelle parole intelligenti e confortanti. Saul visse a Cafarnao ore deliziose per il suo spirito emotivo. Qui fu il luogo delle predicazioni del Maestro; più avanti, la casa di Simon Pietro, là l’ufficio dell’esattore in cui il Maestro chiamò Levi per eseguire un importante ruolo tra gli apostoli.
58. Saul abbracciò gli uomini forti della città che erano stati ciechi o lebbrosi, guariti dalle mani misericordiose del Messia; andò in Dalmanùta, dove conobbe Maddalena. Arricchì il suo mondo di impressioni raccolte nelle sue osservazioni e informazioni inedite.
*
(Atti 9,26-27): [26]Venuto a Gerusalemme, cercava di unirsi con i discepoli, ma tutti avevano paura di lui, non credendo ancora che fosse un discepolo. [27]Allora Barnaba lo prese con sé, lo presentò agli apostoli e raccontò loro come durante il viaggio aveva visto il Signore che gli aveva parlato, e come in Damasco aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù.
59. Dopo alcuni giorni, e dopo essersi riposato a Nazareth, eccolo alle porte della città santa degli israeliti, esausto dalla fatica delle camminate penose, delle notti di veglia, le cui sofferenze gli sembravano interminabili.
60. A Gerusalemme, invece, altre sorprese lo attendevano, non meno dolorose.
61. Era eccitato da ansiosi interrogativi. Da anni non aveva più notizie dei genitori, degli amici, dell’amata sorella, dei familiari, sempre vivi nella sua memoria. Come lo avrebbero ricevuto i compagni più sinceri? Non poteva aspettarsi ricevimenti cortesi dal Sinedrio. L’episodio di Damasco gli aveva fatto capire lo stato d’animo dei membri del Tribunale. Di certo, era stato sommariamente cacciato dal cenacolo più illustre della sua stirpe. In compenso, era stato ammesso dal Cristo al Cenacolo infinito delle verità eterne.
62. Sopraffatto da queste riflessioni, attraversò le porte della città, ricordando il tempo in cui, in una biga veloce, usciva in cerca della casa di Zaccaria in direzione di Giaffa. Le reminiscenze di quelle ore più avventurose della gioventù riempivano i suoi occhi di lacrime. I viandanti di Gerusalemme erano lontani dal sospettare chi fosse quell’uomo magro e pallido, con la grande barba e gli occhi infossati, che passava camminando a fatica.
63. Dopo grandi sforzi arrivò ad un edificio residenziale di sua conoscenza. Il cuore gli batteva precipitoso. Come un semplice mendicante bussò alla porta, in ansiosa aspettativa. Un uomo dall’aspetto severo aprì seccato.
64. «Puoi informarmi per favore…» – disse con umiltà – «…se qui si trova ancora una signora di nome Dalila?»
65. «No!» – rispose l’altro, bruscamente.
66. Quello sguardo duro non dava spazio a nuove domande, ma anche così, si avventurò: «Potrebbe dirmi, per piacere, dove si è trasferita?»
67. «Ora anche questo!» – rispose il padrone di casa irritato. – «Da quando devo dar conto a un mendicante? Da qui a poco, il signore mi domanderà se ho comprato questa casa; dopo mi chiederà il prezzo, esigerà le date, domanderà nuove informazioni sugli ex residenti, prenderà il mio tempo con un migliaio di domande oziose».
68. E fissando su Saul lo sguardo impassibile, disse bruscamente: «Io non so niente! Hai capito? Vattene via! ...»
69. Il fuggitivo di Damasco tornò pacificamente sulla strada, mentre l’omino assecondava i nervi malati, sbattendo la porta con un botto.
70. L’ex discepolo di Gamaliel rifletté l’amara realtà di quel primo accoglimento simbolico. Gerusalemme non l’avrebbe certamente mai potuto riconoscere. Nonostante l’impressione dolorosa, non si lasciò abbattere dallo sconforto. Decise di cercare Alessandro, parente di Caifa e suo compagno nelle attività del Sinedrio e nel Tempio. Molto stanco, bussò alla sua porta, con poche speranze. Un servo della casa, dopo la prima domanda, ritornò e gli annunziò una buona notizia: il padrone non si sarebbe fatto attendere.
71. Infatti, poco dopo, Alessandro ricevette lo straniero con viva sorpresa.
72. Soddisfatto di ottenere l’attenzione di un vecchio amico, Saul si fece avanti, salutandolo con effusione. L’illustre israelita non riuscì a nascondere la delusione, e con poca generosità nelle parole, sentenziò: «Amico, chi sei e che vuoi in questa casa?»
73. «È possibile che tu non mi riconosca?» – disse contento, nonostante l’immensa fatica.
74. «La tua faccia non mi è affatto sconosciuta, anche se...».
75. «Alessandro!» – esclamò infine, felice. – «Non ti ricordi più di Saul?»
76. Un grande abbraccio fu la risposta dell’amico che, premuroso, modificando il comportamento, disse: «Molto bene! Finalmente! Grazie a Dio, vedo che sei guarito! Non mi sbagliavo quando aspettavo che saresti tornato! Grande è la potenza del Dio di Mosè!»
77. Saul capì subito l’ambiguità di quelle espressioni. Sentendo difficoltà nel farsi capire, cercò il modo migliore di spiegarsi con successo, mentre l’amico continuava: «Ma che aspetto hai? Guardati bene, sembri un beduino del deserto... – Dimmi, per quanto è durata l’ostinata malattia?»
78. Saul si fece pieno di coraggio e disse: «Sicuramente ci sarà uno sbaglio, o sei stato male informato, perché non sono mai stato malato».
79. «Impossibile!» – disse Alessandro visibilmente deluso dopo le dimostrazioni affettuose. – «Gerusalemme è piena di racconti fantastici su di te. Sadoc è venuto qui tre anni fa, per chiedere un’azione vigorosa del Sinedrio e chiarire la tua situazione e, dopo lunghi dibattiti, ha emesso un mandato di arresto contro di te. Da quel momento ho combattuto disperatamente per modificare le disposizioni dell’accusa. Ho dimostrato che se hai simpatizzato nei confronti del popolo del “Cammino”, certamente questa decisione ubbidiva a dei propositi che non eravamo in grado di comprendere nell’immediato, come per esempio, di sondare quanto fossero estese le loro attività rivoluzionarie».
80. Saul non riuscì a trattenersi e prima che l’amico continuasse, disse: «Ma in questo caso, sarei stato un falso, ipocrita e indegno della mia posizione e di me stesso!»
81. L’altro, a disagio, aggrottò la fronte. «Tra l’altro, ho ponderato tutte le ipotesi, e poiché non potevo considerarti un ipocrita…» – continuò Alessandro cercando di aggiustare il tiro – «…ho cercato di dimostrare che il tuo atteggiamento a Damasco era stato a causa di una pazzia temporanea. Non era giusto pensare diversamente, altrimenti, saresti stato non sincero anche con noi nella sfera del fariseismo».
82. L’ex rabbino sentì la delicatezza della situazione. Aveva rinnovato le concezioni religiose, ma era di fronte ad un amico. Quando tanti lo avevano abbandonato, lui, invece, lo aveva ricevuto fraternamente. Era necessario non fargli del male. Tuttavia, era impossibile nascondere la verità. Sentiva gli occhi umidi. Doveva testimoniare il Cristo, a qualsiasi prezzo, anche al costo di perdere gli affetti più grandi del mondo.
83. «Alessandro…» – disse umilmente – «…è vero che ho dato inizio al grande movimento di persecuzione al “Cammino”, ma ora è essenziale confessare che mi sbagliavo. Gli apostoli galilei hanno ragione. Siamo alla soglia di grandi trasformazioni. Alle porte di Damasco, Gesù mi è apparso nella Sua gloriosa resurrezione e mi ha esortato a servire il Suo Vangelo dell’Amore.
84. Le parole gli uscirono timide, lavate dal desiderio immenso di non ferire il credo dell’amico che, nonostante tutto ciò, lasciava trasparire una profonda delusione dal suo volto livido.
85. «Non dire sciocchezze!» – esclamò ironico e sorridente – «Purtroppo, vedo che il male continua a minare le tue forze fisiche e mentali. La sinagoga di Damasco aveva ragione. Se non ti conoscessi dall’infanzia, ti avrei dato ora il titolo di ‘blasfemo’ e ‘disertore’».
86. Il giovane di Tarso, nonostante l’energia virile, rimase deluso.
87. «A proposito…» – disse l’altro, assumendo un’aria protettiva – «…dall’inizio del tuo viaggio non ero d’accordo con il misero seguito che portasti. Giona e Demetrio sono quasi insensati, e Giacobbe è quasi un vecchio sclerotico. Con una simile compagnia, qualsiasi turbamento da parte tua avrebbe scatenato grandi disastri morali per la nostra posizione».
88. «Tuttavia, Alessandro…» – disse l’ex rabbino alquanto umiliato – «…devo insistere sulla verità. Ho visto con i miei occhi il Messia di Nazareth; ho ascoltato la Sua Parola in viva voce. Nella mia errata concezione di fede ho cercato il deserto, comprendendo gli errori in cui vivevo. Sono stati tre anni di servizio rudi e con lunghe meditazioni. La mia convinzione non è superficiale. Oggi credo che Gesù è il Salvatore, il Figlio del Dio vivente».
89. «La tua infermità…» – disse Alessandro altezzoso, modificando il tono dell’intimità – «…ha sconvolto la vita di tutta la tua famiglia. Imbarazzati dalla notizia arrivata dalla Siria, Dalila e il marito si sono trasferiti da Gerusalemme alla Cilicia. Quando ha saputo del mandato di cattura dato dal Sinedrio contro la tua persona, tua madre è morta a Tarso. Tuo padre, che ti ha educato con cura puntando sulla tua intelligenza per i più alti riconoscimenti della nostra stirpe, vive abbattuto e infelice. I tuoi amici, stanchi di sostenere le ironie del popolo di Gerusalemme, vivono schivi e umiliati, dopo averti cercato invano. Non ti duole la visione di quest’immagine? Un dolore come questo, non ti basta per rifarti l’equilibrio mentale?»
90. L’ex dottore della Legge aveva il cuore sbriciolato dall’angoscia. Tanti giorni ansiosi, tante amarezze vissute con la speranza di trovare un po’ di comprensione e riposo tra i suoi cari, vedeva, adesso, solo illusione e rovina. La famiglia sparpagliata, la madre morta, il padre infelice; esecrato dagli amici, Gerusalemme gli lanciava ironie.
91. Vedendolo in questo atteggiamento, l’amico si rallegrò interiormente in attesa ansiosa dell’effetto delle sue parole.
92. Dopo essersi concentrato per un minuto, Saul disse: «Mi dispiace per quello che è successo e prendo Dio come testimone del fatto che non ho collaborato intenzionalmente affinché tutto ciò accadesse. Tuttavia, anche quelli che ancora non hanno accettato il Vangelo dovrebbero capire, secondo l’antica Legge, che non dobbiamo essere orgogliosi. Mosè, nonostante la potenza delle raccomandazioni, insegnò la bontà. I profeti che gli succedettero, furono emissari di messaggi profondi per il nostro cuore che si perdeva nell’iniquità. Amos ci incitò a cercare Jehova per riuscire a vivere. Mi dispiace che i miei cari si considerino offesi, ma è necessario capire, che prima di ascoltare qualsiasi giudizio del mondo, dobbiamo cercare i giudizi di Dio».
93. «Vuoi dire che ti ostini con i tuoi errori?» – chiese Alessandro quasi ostile.
94. «Non mi sento ingannato. Data l’incomprensione generale…» – chiarì l’ex rabbino con dignità – «…anch’io mi trovo in una situazione penosa; ma il Maestro non mancherà di aiutarmi. Il Suo ricordo mi dà un grande conforto. L’affetto e la considerazione degli amici e della famiglia erano nel mondo la mia unica ricchezza. Tuttavia, ho trovato nelle note di Levi il caso del giovane ricco, che mi insegna come procedere in questo momento[39]. Fin da bambino ho cercato rigorosamente di rispettare e compiere i miei doveri, ma se c’è bisogno di abbandonare la ricchezza che mi resta, per raggiungere l’illuminazione di Gesù, rinuncerò a tutta la stima di questo mondo! ...»
95. Alessandro sembrò commosso dal tono malinconico delle sue ultime parole. Saul dava l’impressione di qualcuno che era sul punto di piangere.
96. «Sei profondamente sconvolto…» – obiettò Alessandro – «…solo un pazzo potrebbe fare così».
97. «Gamaliel non era pazzo e accettò Gesù come il Messia promesso» – disse l’ex dottore, invocando la venerabile memoria del grande rabbino.
98. «Non ci credo!» – disse l’altro con aria superiore.
99. Saul abbassò la fronte in silenzio. Grande fu l’umiliazione in quell’ora. Dopo essere stato additato come un demente, era considerato anche bugiardo. Tuttavia, al culmine della perplessità, osservò che l’amico non era nella posizione di comprenderlo pienamente.
100. Rifletté sulla situazione imbarazzante, quando Alessandro tornò a dire: «Purtroppo, devo convincermi del precario stato del tuo intelletto. Per ora, potrai restare a Gerusalemme senza problemi ma, semplicemente, non moltiplicare lo scandalo della tua infermità con false esaltazioni sul Falegname di Nazareth. La decisione del Sinedrio, che ho ottenuto con così tanti sacrifici, potrebbe cambiare. Per il resto…» – disse come se volesse salutarlo – «…sai che continuo ad essere a tua disposizione per una rettifica definitiva dei tuoi atteggiamenti in qualsiasi momento».
101. Saul capì l’avvertimento; non fu necessario estendere di più la conversazione. L’amico lo aveva cacciato con buone maniere.
102. In due minuti si ritrovò di nuovo sulla via pubblica. Era quasi mezzogiorno di una giornata calda. Sentiva fame e sete. Guardò nella borsa, si accorse che era quasi vuota. C’era ancora un residuo di quel che aveva ricevuto dalle mani del generoso fratello di Gamaliel quando aveva lasciato Palmira definitivamente. Cercò la locanda più modesta in una delle zone più povere della città. Dopo un frugale pasto e prima che cadessero le dolci ombre del pomeriggio, si diresse pieno di speranza verso un vecchio palazzo ristrutturato dove Simon Pietro e compagni svolgevano le attività per la causa di Gesù.
103. Durante il tragitto si ricordò di quando era venuto a sentire Stefano in compagnia di Sadoc. Come era invertito, adesso, tutto ciò! Il critico di un tempo, tornava per essere criticato. Il giudice, trasformato in imputato. Il suo cuore era immerso in singolare ansietà. Come lo avrebbero ricevuto nella Chiesa del “Cammino”? Si fermò di fronte all’umile dimora. Immerso nel passato, pensava a Stefano con l’anima oppressa. Davanti ai colleghi del Sinedrio, innalzandosi a capo dell’autorità del giudaismo, ben altro era stato il suo atteggiamento. Conosceva le loro particolari debolezze, anche lui era passato per le maschere farisaiche e poteva valutare i propri esecrabili errori.
104. Invece, di fronte agli apostoli galilei, una sacra venerazione gli si impose alla coscienza. Quegli uomini potevano essere rudi e semplici, potevano vivere lontani dai valori intellettuali dell’epoca, ma erano stati i primi collaboratori di Gesù. Inoltre, non era capace di avvicinarsi senza provare un profondo rimorso. Tutti avevano sofferto vessazioni e umiliazioni a causa sua. Se non fosse stato per Gamaliel, forse lo stesso Pietro sarebbe stato lapidato... Era necessario consolidare le nozioni di umiltà, per esprimere i suoi desideri ardenti di sacra collaborazione con il Cristo. A Damasco aveva combattuto nella sinagoga contro l’ipocrisia degli ex compagni; a Gerusalemme aveva affrontato Alessandro senza paura, ora, però, gli sembrava che dovesse avere un’altra predisposizione lì, dov’era necessario rinunciare per riconciliarsi con quelli che aveva ferito. Pieno di queste profonde riflessioni, bussò alla porta quasi tremante.
105. Uno degli ausiliari del servizio interno di nome Pròcoro, venne a rispondere sollecito.
106. «Fratello…» – disse il giovane di Tarso in tono umile – «…potete informarmi se c’è Pietro?»
107. «Vado a vedere» – rispose l’interrogato, amichevolmente.
108. «Nel caso ci sia…» – disse Saul indeciso – «…ditegli che Saul di Tarso vuol parlare con lui in Nome di Gesù».
109. Pròcoro balbettò un “si”, con estremo pallore, fissando nel visitatore gli occhi spaventati, camminava con difficoltà, senza nascondere l’enorme sorpresa: era il persecutore che tornava dopo tre anni? Si ricordò ora della prima discussione con Stefano, quando il grande predicatore del Vangelo aveva subito tanti insulti. In pochi istanti raggiunse la stanza dove Pietro e Giovanni discorrevano dei problemi interni. La notizia cadde come una bomba tra di loro. Nessuno poteva prevedere una cosa simile. Non credevano nella narrazione che a Gerusalemme decoravano con dettagli sconosciuti in ogni commento. Era impossibile che il carnefice implacabile dei discepoli del Signore si fosse convertito alla causa del Suo Vangelo di amore e di redenzione.
110. L’ex pescatore del “Cammino”, prima di rimandare il portatore all’ospite inatteso, mandò a chiamare Giacomo per trovare in tre la decisione da prendere.
111. Il figlio di Alfeo, trasformato in rigido asceta, spalancò gli occhi.
112. Dopo le prime opinioni che traducevano giuste paure emesse precipitosamente, Simon esclamò con grande prudenza:
113. «In realtà, lui ci ha fatto il male che poteva; tuttavia, non è per noi che dobbiamo temere, ma piuttosto, per l’opera del Cristo a noi affidata».
114. «Scommetto che tutta questa storia di conversione è una farsa, per farci cadere in nuove trappole» – disse Giacomo poco gentile.
115. «Per me…» – disse Giovanni – «…chiedo a Gesù di chiarirci, anche se ancora mi ricordo delle frustate che Saul mi fece dare in carcere. Prima di tutto, è essenziale sapere se il Cristo gli è apparso realmente alle porte di Damasco».
116. «Ma sapere come?» – disse Pietro con profonda apprensione. – «Il nostro punto di riferimento è Saul stesso. Lui è il terreno che rivelerà o meno la pianta sacra del Maestro. A mio avviso, dovendo custodire un patrimonio che non ci appartiene, dobbiamo procedere come consiglia la prudenza umana. Non è giusto aprire le porte quando non si conosce la fine. La prima volta che è stato qui, Saul di Tarso è stato trattato con il rispetto che il mondo gli consacrava. Ho cercato il posto migliore affinché lui ascoltasse la parola di Stefano. Purtroppo, il suo atteggiamento irrispettoso e ironico ha causato lo vergogna che culminò con l’arresto e la morte del compagno. È venuto spontaneamente e tornò per arrestarci. All’affetto fraterno che gli abbiamo offerto, ci ha ripagato con manette e corde. Così dicendo, però, non devo dimenticare la lezione del Maestro relativa al perdono, e perciò riaffermo che non penso a noi, ma alle responsabilità che ci furono conferite».
117. Davanti a considerazioni così giuste, gli altri rimasero in silenzio, mentre l’ex pescatore aggiunse: «Pertanto, non mi è permesso riceverlo in questa casa senza ulteriori indagini, anche se non mi manca la volontà sincera di farlo. Risolvendo la questione in questo modo, convocherò una riunione per questa sera. L’argomento è molto grave. Saul di Tarso è stato il primo persecutore del Vangelo. Voglio la cooperazione di tutti nel prendere una decisione, da solo non voglio sembrare ingiusto o sprovveduto».
118. E dopo una lunga pausa, disse al messaggero: «Va’ Pròcoro. Digli di tornare più tardi, non posso lasciare gli affari più urgenti».
119. «E se lui insiste?» – chiese il diacono preoccupato.
120. «Se è venuto qui nel Nome di Gesù, saprà comprendere e aspettare».
121. Saul aspettava con ansia il messaggero. Era necessario trovare qualcuno che lo capisse e sentisse la trasformazione. Era esausto. La Chiesa del “Cammino” era la sua ultima speranza.
122. Pròcoro riportò il messaggio con grande indecisione. Non c’era bisogno di più per capire tutto. Gli apostoli galilei non credevano alla sua parola. Ora esaminò la situazione in modo più chiaro.
123. Percepiva l’indefinibile e grandiosa misericordia del Cristo, visitandolo inaspettatamente, nelle profondità del suo abisso spirituale alle porte di Damasco. Dalle difficoltà di avvicinarsi a Gesù, valutava quanta bontà e compassione erano necessarie affinché il Maestro lo accogliesse, indirizzandogli sacre esortazioni, nell’incontro indimenticabile.
124. Il diacono lo guardò con simpatia. Saul ricevette la risposta altamente deluso.
125. Era pallido e tremante, come se si vergognasse di se stesso. Inoltre, aveva l’aspetto malato, gli occhi infossati ed era pelle e ossa.
126. «Capisco, fratello…» – disse con gli occhi umidi – «…Pietro ha giusti motivi ...»
127. Quelle parole toccarono Pròcoro nel più profondo della sua anima e, evidenziando la sua buona volontà di sostenerlo, esclamò dimostrando una perfetta conoscenza dei fatti: «Non portate da Damasco una presentazione di Anania?»
128. «Ho con me il Maestro».
129. «In che modo?» – chiese il diacono ammirato.
130. «Gesù mi disse a Damasco…» – disse il visitatore con calma – «…che mi avrebbe fatto vedere quanto avrei sofferto per amore del Suo Nome».
131. Intimamente, l’ex dottore della Legge sentiva un’immensa nostalgia dei fratelli di Damasco che lo avevano trattato con tanta semplicità. Tuttavia, allo stesso tempo si rese conto che tale comportamento era giusto, perché aveva dato prova, tanto nella sinagoga quanto con Anania, che il suo atteggiamento non era una simulazione. Riflettendo sul fatto che Gerusalemme lo aveva ricevuto, ovunque, come un ordinario bugiardo, sentì affluire calde lacrime agli occhi.
132. Tuttavia, facendo in modo che l’altro non vedesse la sua sensibilità ferita, esclamò giustificandosi: «I miei occhi sono stanchi dal Sole del deserto! Posso avere un po’ d’acqua fresca?»
133. Il diacono lo servì prontamente.
134. Dopo alcuni instanti, Saul immerse le mani in una grande brocca, lavando gli occhi con acqua pura.
135. «Tornerò dopo» – disse poi, porgendo la mano all’aiutante degli apostoli, il quale si allontanò impressionato.
136. Addolorato dalla debolezza organica, dalla stanchezza, dall’abbandono degli amici, dalle delusioni più amare, il giovane di Tarso si ritirò barcollante.
137. Di notte, secondo quanto aveva stabilito Simon Pietro, evidenziando ammirevole buonsenso, riunì i compagni più responsabili per discutere sull’argomento. Oltre agli apostoli galilei, erano presenti i fratelli Nicànore, Pròcoro, Parmenàs, Timòne, Nicola e Barnaba, quest’ultimo incorporato agli aiutanti più diretti della Chiesa, per le sue elevate qualità di cuore.
138. Con il permesso di Pietro, Giacomo iniziò la conversazione, manifestandosi contrario a qualsiasi tipo di assistenza immediata per il convertito dell’ultima ora. Giovanni ponderò che Gesù aveva il potere di trasformare gli spiriti più perversi e sollevare i più sfortunati della vita. Pròcoro segnalò la sua impressione sul tenace persecutore del Vangelo, sottolineando la compassione che la sua salute suscitava nei cuori più insensibili. Quando parlò Barnaba, spiegò che, anche a Cipro, prima di trasferirsi definitivamente a Gerusalemme, aveva sentito alcuni Leviti descrivere il coraggio con cui il convertito aveva parlato nella sinagoga di Damasco, subito dopo la visione di Gesù.
139. L’ex pescatore di Cafarnao chiese i dettagli dal compagno, colpito dalla sua testimonianza. Barnaba spiegò quanto sapeva, esprimendo il desiderio di risolvere la questione con la massima benevolenza.
140. Nicola, percependo l’atmosfera di buona volontà che si era formata attorno alla figura dell’ex rabbino, contestò con rigidità di principi: «Conveniamo che non è giusto dimenticare gli storpi che sono in questa casa, vittime dell’orribile brutalità dei servitori di Saul. È dalle scritture che si chiede di stare attenti ai lupi che entrano nel recinto sotto la pelle di pecora. Il dottore della Legge, che ci ha fatto molto male, ha sempre dato preferenza alle grandi e spettacolari espressioni contro il Vangelo, nel Sinedrio. Che ne sappiamo se attualmente non stia preparando una nuova trappola di grande effetto?»
141. A questa domanda, il benevolo Barnaba chinò la fronte, in silenzio. Pietro osservò che la riunione si era divisa in due gruppi. Da un lato c’erano lui e Giovanni a capo dei pareri favorevoli; dall’altro, Giacomo e Filippo coordinavano i pareri contrari.
142. Accogliendo l’ammonimento di Nicola, si espresse con dolcezza: «Amici, prima di pronunciare qualsiasi punto di vista personale, sarebbe opportuno riflettere sulla bontà infinita del Maestro. Nel lavoro della mia vita, prima della Pentecoste, confesso che ogni genere di sbagli sono apparsi nel mio cammino di uomo fragile e peccatore. Come sapete, sono stato uno di quelli che negarono il Signore nell’ora estrema. Tuttavia, dopo che abbiamo ottenuto la conoscenza grazie all’ispirazione celeste, non è giusto dimenticare il Cristo in ogni iniziativa. Dobbiamo pensare che, se Saul di Tarso cerca di avvalersi di tali espedienti per conferire nuovi attacchi contro i servi del Vangelo, allora è ancora più disgraziato di prima, quando ci tormentava apertamente. Essendo poi un bisognoso, non vedo quindi, alcun motivo di rifiutare le nostre mani fraterne».
143. Rendendosi conto che Giacomo si stava preparando a difendere l’opinione di Nicola, Simon Pietro, dopo una breve pausa, continuò: «Nostro fratello si è appena riferito al simbolo del lupo che viene nel recinto con la pelle delle pecore generose e umili. Sono d’accordo con questa espressione di zelo. Anch’io non ho potuto accettare Saul, quando oggi ci ha bussato alla porta, attento alle responsabilità affidate a me. Non ho voluto decidere senza il vostro concorso. Il Maestro ci ha insegnato che nessun lavoro utile può essere fatto sulla Terra senza la collaborazione fraterna. Ma approfittando del parere enunciato, esaminiamo con sincerità il problema imprevisto. In verità, Gesù ci ha messo in guardia contro il movimento dei farisei, spiegando che il discepolo deve avere con sé la dolcezza delle colombe e la prudenza dei serpenti. Conveniamo che, di fatto, Saul di Tarso possa essere metaforicamente il lupo. Anche così, dopo questa conoscenza ipotetica, ci sarebbe una profonda questione da affrontare. Se noi siamo in un lavoro di pace e di amore, che fare del lupo, dopo la necessaria identificazione? Ucciderlo? Sappiamo che questo non rientra nel nostro comportamento. Non sarebbe più ragionevole riflettere sulla possibilità di addomesticarlo? Conosciamo uomini rudi che sanno addomesticare cani feroci. Dove sarebbe, quindi, lo spirito che Gesù ci ha lasciato come patrimonio sacro, se per meschine paure cessassimo di fare il bene?»
144. La parola concisa dell’apostolo ebbe un effetto singolare. Lo stesso Giacomo sembrava deluso dai suoi ragionamenti precedenti. Nicola cercò invano in sé nuove argomentazioni per formulare altre obiezioni.
145. Notando il pesante silenzio che si era creato, Pietro disse serenamente: «Quindi, amici, propongo di invitare Barnaba a fare visita di persona al dottore di Tarso, in nome di questa casa. Lui e Saul non si conoscono, e questo sarà una grande opportunità, perché, vedendolo, il giovane di Tarso non dovrà ricordare nulla del suo passato a Gerusalemme. Se fosse visitato da uno di noi, per la prima volta, forse si turberebbe, pensando che le nostre parole avrebbero l’intenzione di chiedere conto delle sue azioni.
146. Giovanni condivise calorosamente l’idea. Di fronte al buon senso che le espressioni di Pietro rivelavano, Giacomo e Filippo si mostrarono soddisfatti e tranquilli. Tutto fu organizzato con diligenza da Barnaba per il giorno successivo. Aspettavano Saul di Tarso con interesse. Se poi la sua conversione era reale, tanto meglio.
*
147. Il diacono di Cipro si era distinto per la sua grande gentilezza. La sua espressione affettuosa e umile, il suo spirito conciliante, contribuiva, nella Chiesa, alla soluzione pacifica di tutte le questioni.
148. Con un sorriso generoso, Barnaba abbracciò in mattinata l’ex rabbino nella locanda dov’era alloggiato. Nessuna traccia nella sua nuova personalità indicava il celebre persecutore a tal punto da far decidere a Simon Pietro la convocazione degli amici per risolvere il suo accoglimento.
149. L’ex dottore della Legge era tutto umiltà, e malato. Non dissimulava la stanchezza che traspariva nei minimi gesti. La sua fisionomia non lasciava dubbi sulla grande sofferenza. Egli corrispose alle affettuose parole del visitatore con un sorriso triste e imbarazzato. Si vedeva, tuttavia, la soddisfazione che la visita gli procurava. Il gesto spontaneo di Barnaba lo aveva sensibilizzato. Su sua richiesta, Saul gli raccontò il viaggio a Damasco e la gloriosa visione del Maestro, che costituiva il marchio indimenticabile della sua vita.
150. Barnaba non nascose la sua simpatia. In così poche ore si era identificato con il suo nuovo amico, come se lo conoscesse da lunghi anni. Dopo la conversazione, Barnaba con il pretesto di sbrigare delle cose con il padrone della locanda, pagò le spese di Saul. Poi lo invitò ad accompagnarlo alla Chiesa del “Cammino”. Saul esitò, mentre l’altro insisteva.
151. «Ho paura…» – disse il giovane di Tarso alquanto indeciso – «…ho già offeso tanto Simon Pietro e gli altri compagni. Solo aggiungendo la misericordia del Cristo ho avuto un barlume di luce, per non perdermi del tutto nei miei giorni».
152. «Ebbene...» – esclamò Barnaba, dandogli una pacca sulla spalla bonariamente –«…chi non ha sbagliato nella vita? Se Gesù è con noi in tutto, non è perché lo meritiamo, ma è per la necessità della nostra condizione di peccatori».
153. In pochi minuti furono sulla strada, l’emissario di Pietro notò il penoso stato di salute del vecchio rabbino. Molto pallido e smunto, sembrava camminare con fatica; gli tremavano le mani, si sentiva febbricitante. Si lasciava trasportare come qualcuno che conoscesse la necessità di protezione. La sua umiltà commosse l’altro che, su di lui, aveva sentito tanti commenti ignominiosi.
154. Arrivando a casa, Pròcoro aprì la porta, ma questa volta Saul non avrebbe aspettato a lungo. Barnaba prese la sua mano e, affettuoso, lo guidò verso la vasta sala dove Pietro e Timòne stavano aspettando. Si salutarono nel Nome di Gesù. L’ex persecutore s’impallidì ancora di più. A sua volta, vedendolo, Simon non nascose un movimento di stupore notandogli la differenza fisica.
155. Quegli occhi infossati, l’estrema debolezza del corpo, parlarono agli apostoli galilei di profonde sofferenze.
156. «Fratello Saul…» – disse Pietro commosso – «…Gesù vuole che tu sia benvenuto in questa casa».
157. «Così sia» – rispose il nuovo arrivato, con gli occhi umidi.
158. Timòne lo abbracciò con parole affettuose al posto di Giovanni che era assente dall’alba, al servizio della confraternita di Giaffa.
159. Dopo brevi momenti, vincendo l’imbarazzo del primo contatto con gli amici personali del Maestro dopo una così lunga assenza, il giovane di Tarso, attendendo alle richieste, raccontò il viaggio a Damasco con tutti i dettagli del grande evento, mostrando una singolare emozione nelle lacrime che gli bagnavano il viso. Si era molto commosso nel ricordare una così grande grazia. Pietro e Timòne non ebbero più dubbi. La visione dell’ex rabbino doveva essere stata reale. Entrambi, in compagnia di Barnaba, seguirono il racconto fino alla fine, con gli occhi pieni di lacrime. Effettivamente, il Maestro era tornato per convertire il grande persecutore della Sua dottrina. Chiamando Saul di Tarso nella rete del Suo Amore, Gesù, ancora una volta, aveva rivelato la lezione immortale del perdono e della misericordia.
160. Dopo il racconto, l’ex dottore della Legge era stanco e abbattuto. Gli fu chiesto di spiegare le sue nuove speranze, i suoi progetti di lavoro spirituale e cosa aveva intenzione di fare a Gerusalemme; confessò subito di essere profondamente grato per l’interesse affettuoso che avevano per lui, e parlò con timidezza: «Ho bisogno di entrare in una fase attiva di lavoro, che aiuti ad annullare il mio passato di colpe. È vero che ho fatto tutto il male alla Chiesa di Gesù a Gerusalemme; ma se la misericordia di Gesù prolunga il mio soggiorno in questo mondo, impiegherò il tempo per estendere questa casa d’amore e di pace ad altri luoghi sulla Terra.
161. «Sì…» – rispose Simon pensieroso – «…è certo che il Messia rinnoverà la tua forza, al fine di soddisfare tale nobile compito al tempo opportuno».
162. Saul sembrò confortarsi a quelle parole di incoraggiamento; lasciando intravedere che voleva consolidare la fiducia degli ascoltatori, sfilò dalle pieghe della veste consumata un rotolo di pergamena, e presentandola all’ex pescatore di Cafarnao, disse sensibilizzato: «Ecco una reliquia dell’amicizia di Gamaliel che porto sempre con me. Poco prima di morire, lui mi ha dato una copia delle note di Levi sulla vita e le gesta del Salvatore. Aveva grande considerazione per queste note, perché le aveva ricevute in questa casa, durante la prima visita che ha fatto».
163. Simon Pietro, evocando bei ricordi, prese la pergamena con vivo interesse. Saul osservò che il dono di Gamaliel aveva avuto lo scopo desiderato dal generoso donatore.
164. Da quel momento, gli occhi del vecchio pescatore si fissarono su di lui con più fiducia. Pietro chiese della bontà del generoso rabbino, chiese notizie della sua vita a Palmira, dei suoi ultimi giorni, del suo trapasso. Il discepolo rispose appagandolo.
165. Tornando al tema delle sue nuove prospettive, spiegò più ampiamente, sempre umile: «Ho molti progetti di lavoro per il futuro, ma mi sento debole e malato. Lo sforzo dell’ultimo viaggio senza risorse di nessun genere, mi ha aggravato la salute. Sento la febbre, il corpo dolorante e l’anima esausta».
166. «Sei a corto di soldi?» – chiese Simon gentilmente.
167. «Sì! …» – rispose esitante.
168. «A queste esigenze…» – disse Pietro – «…sono già state provvedute in parte. Non preoccuparti troppo. Ho raccomandato a Barnaba che pagasse le tue prime spese nella locanda e, per il resto, ti invitiamo a restare con noi tutto il tempo che vuoi. Questa è anche casa tua. Usa le nostre possibilità come meglio ti aggrada».
169. L’ospite si emozionò. Ricordando il passato, si sentì ferito nel suo amor proprio, ma, allo stesso tempo, pregò Gesù che lo aiutasse a non disprezzare le opportunità di apprendistato.
170. «Accetto...» – rispose con voce vacillante rivelando timidezza – «…resterò da voi fin quando la mia salute avrà bisogno di cure. ...» – e, come se avesse estrema difficoltà ad aggiungere una richiesta al favore che accettava, dopo una lunga pausa in cui si notava lo sforzo nel parlare, chiese emozionato: «… Se fosse possibile, mi piacerebbe occupare lo stesso letto in cui Stefano fu accolto, generosamente, in questa casa».
171. Barnaba e Pietro furono molto emozionati. Tutti avevano concordato di non alludere al predicatore massacrato sotto insulti e pietre. Non volevano ricordare il passato davanti al convertito di Damasco, anche se il suo atteggiamento non fosse stato così sincero.
172. Ascoltandolo, il vecchio pescatore di Cafarnao arrivò quasi a piangere. Con estrema dedizione, soddisfò la sua richiesta e, così, lo portò all’interno, dove fu sistemato tra lenzuola molto bianche. Pietro fece di più, comprendendo il significato profondo di quel desiderio, portò al convertito di Damasco le semplici pergamene che il martire usava quotidianamente nello studio e nella meditazione della Legge, dei profeti e del Vangelo. Nonostante la febbre, Saul esultò.
173. Tratto da profonda commozione, nei passaggi preferiti della sacra pergamena, lesse il nome di “Abigail”, scritto più volte. C’erano lì le frasi tipiche della dialettica dell’amata fanciulla, dato che ciò coincideva perfettamente con le sue interiori rivelazioni, quando entrambi, in passato, si erano fermati a parlare nel frutteto di Zaccaria. La parola “Corinto” era ripetuta molte volte. Quei documenti sembravano avere una voce. Parlava al suo cuore il senso di un grande e santo amore fraterno. Lui, leggendo, era come se ascoltasse in silenzio, conservando le conclusioni avidamente. Non avrebbe rivelato a nessuno il suo dolore interiore. Agli altri erano sufficienti i grandi errori della sua vita pubblica, i rimorsi, le rettifiche, cose che, nonostante le avesse mostrate davanti a tutti, pochi amici erano in grado di capire. Osservando il suo atteggiamento costante alla meditazione, Pietro si concentrò nel compito dell’assistenza fraterna. Furono le parole amiche e i commenti sul potere di Gesù, le zuppe succulente, i frutti sostanziosi, per quelle parole dette da quell’animo buono. Per tutto questo il malato si emozionava, senza sapere come tradurre la sua gratitudine eterna.
174. Tuttavia, osservò che Giacomo, figlio di Alfeo, timoroso, forse, dei suoi precedenti, non si degnava di rivolgergli una parola. Innalzatosi in rigido osservatore della Legge di Mosè, nella Chiesa del “Cammino”, era percepito, di tanto in tanto, dal giovane di Tarso come un’ombra che fluiva impassibile, farfugliando preghiere silenziose tra i malati. In un primo momento, sentì il dolore di quel disinteresse, ma presto considerò la necessità di umiliarsi davanti a tutti. Fino ad ora non aveva fatto nulla che dimostrasse le sue nuove convinzioni. Quando dominava nel Sinedrio, anche lui non perdonava le adesioni dell’ultima ora.
175. Subito dopo la convalescenza, pienamente identificato nell’affetto di Pietro, chiese il suo consiglio circa i piani che aveva in mente, apprezzando la massima franchezza nell’affrontare la situazione, per dure che gli fossero le circostanze.
176. «Da parte mia…» – disse l’apostolo ponderatamente – «…non credo ragionevole che tu per adesso rimanga a Gerusalemme in questo periodo di rinnovamento. Ad essere sinceri, si deve considerare il tuo nuovo stato dell’anima come quello di una preziosa pianta che inizia a germogliare. È necessario dare libertà al seme divino della fede. Nel caso tu voglia rimanere qui, dovrai fare i conti quotidianamente, da una parte con i sacerdoti intransigenti e in guerra con il tuo cuore; e dall’altra con le persone che non comprendono, che parlano dell’estrema difficoltà del perdono, anche se conoscono benissimo le lezioni del Maestro in questo senso. Non devi ignorare che la tua persecuzione ai sostenitori del “Cammino” ha lasciato tracce molto profonde nell’anima popolare. Spesso qui arrivano persone mutilate che maledicono il movimento. Questo, per noi, Saul, fa parte di un passato che non tornerà più; però, queste creature non potranno capirlo subito. A Gerusalemme sei fuori luogo. Il germoglio delle tue nuove convinzioni potrebbe trovare mille elementi ostili e, forse, rimarresti in balia dell’esasperazione».
177. Il giovane ascoltò gli avvertimenti tormentato di angoscia, senza protestare. L’apostolo aveva ragione. In tutta la città avrebbe trovato critiche distruttive e vili.
178. «Tornerò a Tarso...» – disse con umiltà – «…è possibile che il mio vecchio padre comprenda la situazione e aiuti i miei passi. So che Gesù benedirà i miei sforzi. Se è necessario ricominciare l’esistenza, riprenderò dal focolare da dove sono venuto. ...».
179. Simon lo guardò con tenerezza, ammirato da quella trasformazione spirituale.
*
180. Ogni giorno proseguivano con conversazioni amichevoli. Il convertito di Damasco, di intelligenza brillante, rivelava una curiosità insaziabile sulla personalità del Cristo, sulle Sue più piccole azioni, sugli insegnamenti più sottili.
181. Altre volte chiedeva all’ex pescatore tutte le notizie possibili su Stefano, rallegrandosi dei ricordi di Abigail, anche se continuava a custodire gelosamente i dettagli della sua storia d’amore di gioventù. Apprese allora i dettagli del pesante lavoro del predicatore del Vangelo, prigioniero sulle galee; la sua dedizione al patrizio di nome Sergio Paolo; la fuga in miserabili condizioni di salute nel porto palestinese; l’ingresso nella Chiesa del “Cammino” come indigente, i primi rudimenti del Vangelo e la conseguente illuminazione in Gesù Cristo. Si incantava ascoltando gli amati e semplici racconti di Pietro, il quale si mostrava discreto nella sua venerazione al martire, evitando di offenderlo nella sua condizione di carnefice.
182. Quando riuscì ad alzarsi dal letto, andò a sentire i sermoni nella stessa stanza in cui aveva insultato il fratello di Abigail per la prima volta. I predicatori evangelici erano spesso Pietro e Giacomo. Il primo parlava con profonda prudenza, anche se si serviva di meravigliose espressioni simboliche. Il secondo, invece, sembrava torturato dall’influenza giudaica. Giacomo dava la sensazione, per la maggioranza degli ascoltatori, di ritornare alle leggi farisaiche. I suoi discorsi sfuggivano dal modello di libertà e amore in Gesù Cristo. Si rivelava incarcerato nelle concezioni strette del giudaismo dominante. La maggior parte dei suoi discorsi erano sulle carni impure, sugli obblighi con la Legge e gli imperativi della circoncisione. Inoltre, l’assemblea sembrava completamente modificata. La Chiesa somigliava molto di più ad una comune sinagoga. Gli israeliti stavano in atteggiamento solenne, consultando le pergamene e i papiri contenenti le prescrizioni di Mosè.
183. Saul cercò, invano, la figura imponente dei sofferenti e degli storpi che aveva visto nella sala quando fu lì per la prima volta. Molto incuriosito, notò che Simon Pietro li riceveva in una stanza attigua, con grande bontà. Avvicinandosi di più, osservò che, mentre il predicatore riproduceva la scena esatta delle sinagoghe, gli afflitti si succedevano ininterrottamente nell’umile stanza dell’ex pescatore di Cafarnao. Alcuni uscivano con dei medicinali, altri con olio e pane.
184. Saul rimase colpito. La Chiesa del “Cammino” sembrava molto cambiata. Le mancava qualcosa. L’atmosfera generale era di soffocamento di tutte le idee del Nazareno. Lì non trovò più la grande atmosfera di fratellanza e di unificazione dei principi per l’indipendenza spirituale. Dopo diligenti riflessioni, attribuì tutto ciò alla mancanza di Stefano. Morto lui, si era estinto lo sforzo del Vangelo libero, poiché lui era stato il fermento divino del rinnovamento. Solo adesso comprese la grandezza del suo elevato compito.
185. Voleva chiedere la parola e parlare come a Damasco, criticare gli errori di interpretazione, scuotere la polvere che si addensava sull’immenso e sacro idealismo del Cristo, ma ricordò i consigli di Pietro, e tacque. Non era giusto rimproverare gli altri, in quanto non aveva, per ora, opere di se stesso che testimoniassero il profondo rinnovamento. Se avesse cercato di parlare, poteva, forse, essere rimproverato giustamente. Inoltre, osservò che alcuni frequentatori dell’attuale Chiesa del “Cammino” erano suoi conoscenti di altri tempi che, senza abbandonare, in qualche modo, i loro errati principi, lo guardavano con sospetto, senza mascherare il disprezzo, considerandolo un disturbato mentale. Tuttavia, fu con enorme sforzo che frenò il desiderio di impugnare le armi, proprio lì, per il ripristino della pura verità.
186. Dopo la prima riunione, cercò un’opportunità di stare da solo con l’ex pescatore di Cafarnao, al fine di conoscere le innovazioni osservate.
187. «La tempesta che si è abbattuta su di noi…» – disse Pietro generosamente senza alcuna allusione ai suoi metodi di un tempo – «…mi ha portato a serie meditazioni. Dalla prima irruzione del Sinedrio in questa casa, ho notato che Giacomo aveva avuto profonde trasformazioni. Consegnandosi a una vita di grande ascetismo e rigoroso rispetto della Legge di Mosè. Ho pensato molto al cambiamento del suo atteggiamento, ma d’altronde, ho ritenuto che lui non è malvagio. È un compagno zelante, dedito e leale. Ho taciuto nel concludere più tardi che tutto ha una sua ragion d’essere. Quando le persecuzioni strinsero il cerchio, l’atteggiamento di Giacomo, anche se poco lodevole per quanto riguarda la libertà del Vangelo, ha avuto il suo lato benefico. I delegati più minacciosi hanno riconosciuto in lui la devozione a Mosè (vedi cap. 7), e le sue amicizie sincere nel giudaismo ci hanno permesso di mantenere il patrimonio del Cristo.
188. Io e Giovanni abbiamo vissuto ore angosciose nel considerare questi problemi. Siamo poco sinceri? Falsiamo la verità? Ardentemente abbiamo pregato per l’ispirazione del Maestro. Grazie all’aiuto della Sua divina Luce, abbiamo raggiunto le nostre conclusioni con criterio. Sarebbe giusto combattere la vite ancora giovane, con l’albero di sicomoro? Se dovessimo lasciarci andare all’impulso personale di combattere i nemici dell’indipendenza del Vangelo, fatalmente, avremmo dimenticato il lavoro collettivo. Non è lecito che il timoniere, per testimoniare l’eccellenza della sua conoscenza nautica, lanci la sua barca contro gli scogli, causando la perdita della vita di molti che si sono fidati dei suoi sforzi.
189. Abbiamo ritenuto opportuno, dato che le difficoltà erano tante ed avevamo bisogno di una minima possibilità di azione, di salvare l’albero del Vangelo ancora giovane, per coloro che verranno dopo di noi. Inoltre, Gesù ci ha insegnato che per raggiungere gli elevati obiettivi in questo mondo, dobbiamo cedere qualcosa di noi stessi. Attraverso Giacomo, il fariseismo accetta di camminare con noi. Ebbene, secondo gli insegnamenti del Maestro percorriamo i chilometri che sono possibili. E penso anche, che se Gesù così ci ha insegnato, è perché durante il cammino avessimo l’opportunità di insegnare qualcosa e di dimostrare chi siamo».
190. Mentre Saul lo contemplava con rinnovata ammirazione per i giudiziosi concetti espressi, l’apostolo concluse: «Questo passa! L’opera è del Cristo. Se fosse nostra, non sarebbe riuscita di sicuro, ma non siamo che dei semplici e imperfetti collaboratori».
191. Saul conservò la lezione e si ritirò pensieroso. Pietro gli sembrava molto più grande adesso, nella sua intima apertura. Quella serenità, quel potere di comprensione dei minimi fatti, gli diede l’idea della sua profonda illuminazione spirituale.
192. Con la salute ristabilita, prima di qualsiasi decisione in merito alla nuova strada da prendere, il giovane di Tarso desiderava rivedere Gerusalemme in un impulso naturale di affetto per i luoghi che gli suggerivano tanti ricordi affettuosi. Visitò il Tempio, sperimentando il contrasto delle emozioni. Non osò penetrare nel Sinedrio, ma cercò con ansia la sinagoga dei Cilici, dove presumeva di ritrovare le amicizie nobili e affabili di altri tempi. Tuttavia, anche lì dove si riunivano i colleghi residenti a Gerusalemme, fu ricevuto freddamente. Nessuno lo invitò ai lavori della parola. Solo alcuni conoscenti della sua famiglia gli strinsero la mano con freddezza, evitando la sua compagnia in maniera visibile. I più ironici, dopo aver terminato le funzioni religiose, gli fecero delle domande con sorrisi di sarcasmo. La sua conversione alle porte di Damasco fu commentata con dicerie mordaci e deprimenti.
193. «Non potrebbe essere un sortilegio degli stregoni del “Cammino”?» – dicevano alcuni.
194. «Non potrebbe essere stato Demetrio che si è vestito da Cristo ad abbagliarli gli occhi malati e stanchi?» – domandavano altri.
195. Percepì le ironie di cui era oggetto. Lo trattarono come un demente. Fu allora che, senza controllare l’impulsività del cuore onesto, salì arditamente sulla tribuna e parlò con orgoglio: «Fratelli della Cilicia, vi sbagliate! Non sono pazzo. Non cercate di discutere con me, perché vi conosco e so misurare l’ipocrisia farisaica».
196. Si stabilì una lotta immediata. Vecchi amici gridavano a gran voce insulti. I più ponderati lo circondarono come se si trattasse di un malato e gli chiesero di stare zitto. Saul dovette fare uno sforzo eroico per contenere l’indignazione. Con difficoltà, riuscì a dominarsi e si ritirò.
197. Nella via pubblica era stato assalito da cocenti idee. Non sarebbe stato meglio combattere apertamente, predicare la verità, senza alcun riguardo per quelle maschere religiose che avevano riempito la città? Ai suoi occhi, era giusta una guerra dichiarata agli errori farisaici.
198. E se invece delle ponderazioni di Pietro, assumesse a Gerusalemme la guida di un movimento più ampio a favore del Nazareno? Non aveva avuto il coraggio di perseguitare i suoi discepoli quando i dottori del Sinedrio erano tutti compiacenti? Perché non assumere oggi l’atteggiamento di riparazione guidando un movimento contrario? Doveva solo trovare alcuni amici che si associassero allo sforzo ardente. Con questo gesto, avrebbe aiutato il proprio fratello nella sua nobile missione a sostegno dei più bisognosi.
199. Affascinato da tali prospettive entrò nel celebre Tempio. Ricordò i giorni superati dell’infanzia e della prima giovinezza. Il movimento popolare in quel luogo già non gli suscitava l’interesse di un tempo. Istintivamente, si avvicinò al punto in cui Stefano era caduto. Rammentò la scena dolorosa, dettaglio per dettaglio. Una penosa angoscia si profilò nel suo cuore. Pregò con fervore Cristo. Entrò nella stanza dove era stato da solo con Abigail ad ascoltare le ultime parole del martire del Vangelo. Capì, finalmente, la grandezza di quell’anima che lo aveva perdonato in extremis. Ogni parola del morente gli risuonava stranamente adesso nei suoi orecchi. L’elevazione di Stefano lo affascinava. Il predicatore del “Cammino” si era immolato per Gesù! Perché non fare lo stesso? ... Era giusto restare a Gerusalemme, seguendo le sue orme eroiche, affinché la lezione del Maestro fosse compresa.
200. Nel ricordare il passato, il giovane di Tarso si immerse in ferventi preghiere. Supplicò il Cristo di ispirargli il suo nuovo cammino.
201. Fu allora che il convertito di Damasco, esternando le facoltà spirituali, frutto delle penose discipline, vide una figura luminosa apparsa d’improvviso al suo fianco, parlargli con ineffabile tenerezza: “Ritirati da Gerusalemme, perché i vecchi compagni, per ora, non accetteranno la tua testimonianza!”
202. Sotto le orme di Gesù, lo spirito di Stefano seguiva i suoi passi sulla via del discepolato, anche se, per la sua posizione metafisica, la sua assistenza era invisibile.
203. Saul, naturalmente, pensò che era Cristo stesso l’autore dell’affettuoso avvertimento, e profondamente impressionato si diresse alla Chiesa del “Cammino”, informando Simon Pietro di quello che aveva vissuto.
*
(Atti 9,30): Venutolo però a sapere i fratelli, lo condussero a Cesarèa e lo fecero partire per Tarso.
204. «Tuttavia…» – disse all’apostolo che lo ascoltava stupito – «…non posso nascondere che avevo intenzione di scuotere le convinzioni religiose della città, per difendere la causa del Maestro e ristabilire la verità nel suo aspetto integrale».
205. Mentre l’ex pescatore ascoltava in silenzio, come per rafforzare la risposta, il nuovo discepolo continuò: «Stefano, non si consegnò al sacrificio? Sento che qui, in questa circostanza, ci manca un coraggio pari a quello del martire, caduto sotto le pietre della mia ignoranza».
206. «No, Saul…» – rispose Pietro con fermezza – «…non sarebbe ragionevole pensare così. Anche se non ho una ricca intelligenza come la tua, ho più esperienza della vita. Sta scritto che il discepolo non può essere superiore al maestro. Qui stesso, a Gerusalemme, abbiamo visto Giuda cadere in una trappola come questa. Negli angosciosi giorni del Calvario, dove il Signore dimostrò l’eccellenza e la divinità del Suo Amore, e noi la testimonianza amara della poca fede, abbiamo condannato lo sfortunato compagno. Alcuni dei nostri fratelli ancora oggi, rimangono dell’opinione del primo giorno; ma a contatto con la realtà del mondo, sono giunto alla conclusione che Giuda fu più infelice che perverso.
207. Lui non credeva nella validità delle opere senza denaro, non accettava altro potere che quello dei principi del mondo. Egli era sempre inquieto per il trionfo immediato delle idee del Cristo. Spesso lo abbiamo visto litigare con impazienza per la costruzione del Regno di Gesù, soggetto ai principi politici del mondo. Il Maestro sorrideva e faceva finta di non capire l’allusione, e si comportava come chi è signore del suo programma divino. Giuda prima dell’apostolato, era un mercante. Era abituato a vendere merce e ricevere il pagamento immediato.
208. Credo, nelle mie attuali meditazioni, che lui non riuscisse a capire il Vangelo in altro modo, ignorando che Dio è un creditore pieno di misericordia, in attesa generosa per tutti noi, che non siamo altro che miseri debitori. Forse amava profondamente il Messia, ma l’inquietudine gli fece perdere l’occasione sacra. Quindi, con il solo desiderio di affrettare la vittoria, generò la tragedia della croce, con la sua mancanza di vigilanza».
209. Saul si sentì stupito da queste giuste considerazioni e il gentile apostolo continuò: «Dio è la provvidenza di tutti. Nessuno è dimenticato. Affinché tu giudichi meglio la situazione, ammettiamo che avessi più successo di Giuda. Immaginiamo la tua vittoria personale in questa impresa. Supponiamo inoltre che tu riuscissi ad attirare al Maestro tutta la città. E dopo? Sarebbe possibile e doveroso rispondere per tutti coloro che aderissero al tuo sforzo? La verità è che potrai solo attirare, ma mai convertire. E poiché non ti sarebbe possibile soddisfare tutti, in privato, finiresti per essere esecrato allo stesso modo. Se Gesù, che tutto può fare in questo mondo, sotto l’egide del Padre, aspetta con pazienza la conversione del mondo, perché non possiamo aspettare anche noi? La migliore posizione nella vita è l’equilibrio. Non è giusto voler meno né di più del nostro dovere, come il Maestro disse, che ad ogni giorno basta il suo lavoro».
210. Il convertito di Damasco era sorpreso all’inverosimile. Simon presentava argomentazioni inconfutabili. La sua ispirazione lo spaventava.
211. «In vista dell’accaduto…» – proseguì serenamente l’ex pescatore – «…è importante che tu esca da Gerusalemme non appena scende la notte. La lotta iniziata nella sinagoga dei Cilici è molto più importante che l’attrito di Damasco. È possibile che domani ti vengano a prendere per incarcerarti. Inoltre, l’avviso ricevuto dal Tempio non ci consente di procrastinare le precauzioni indispensabili.
212. Saul accettò di buon grado il suggerimento. Poche volte nella sua vita aveva sentito commenti così sensati.
213. «Hai intenzione di tornare in Cilicia?» – chiese Pietro con inflessione paterna.
214. «Non ho altro posto dove andare» – rispose con un sorriso rassegnato.
215. «Bene, partirai per Cesarea. Là abbiamo degli amici sinceri che ti potranno aiutare».
216. Il programma di Simon Pietro fu rigorosamente eseguito. Di notte, quando Gerusalemme fu avvolta nel grande silenzio, un umile cavaliere attraversava le porte della città, verso la strada che conduce al grande porto palestinese.
217. Torturato dai continui timori della sua nuova vita, arrivò a Cesarea determinato a non fermarsi a lungo. Consegnò le lettere di Pietro che lo raccomandava agli amici fedeli. Accolto con simpatia da tutti, non ebbe difficoltà a riprendere la strada per la città natale.
218. Camminando adesso tra gli scenari della sua infanzia, si sentì estremamente commosso da ogni minimo ricordo. Qui un incidente nella strada suggeriva dolci memorie, lì un gruppo di alberi invecchiati attirava la sua attenzione. Varie volte passò tra carovane di cammelli che gli fecero ricordare le attività paterne. Così intensa era stata la sua vita spirituale negli ultimi anni, tanti grandi cambiamenti, e la vita nel focolare domestico aveva il sapore di un bel sogno a lungo sbiadito. Attraverso Alessandro aveva ricevuto le prime notizie di casa. Era dispiaciuto per la morte di sua madre, proprio adesso avrebbe avuto più bisogno della sua comprensione amorevole, ma si consegnava a Gesù per le Sue cure. Dal vecchio padre non poteva aspettarsi una comprensione ragionevole. Di spirito convenzionale, radicato al fariseismo in modo integrale, di certo non avrebbe approvato la sua condotta.
219. Raggiunse le prime vie di Tarso con l’anima oppressa. I ricordi si succedevano senza interruzione. Bussò alla porta del focolare paterno e, dall’atteggiamento distaccato dei servi, comprese che ritornava trasformato: i due più vecchi domestici non lo riconobbero! Si mise in silenzio e attese. Dopo una lunga attesa, il genitore venne a riceverlo. Il vecchio Isacco, sostenendosi sul suo bastone, lasciando intravedere le tracce di un reumatismo tenace, non dissimulò un gesto di stupore: riconobbe il figlio!
220. «Figlio Mio...» – disse con voce energica, cercando di dominare l’emozione – «…è possibile che i miei occhi mi stiano ingannando?»
221. Saul lo abbracciò affettuosamente, dirigendosi entrambi all’interno.
222. Isacco si sedette e, cercando di guardare dentro suo figlio con un’occhiata perspicace, chiese in tono di rimprovero: «Sei davvero guarito?»
223. Per il giovane, una simile domanda rappresentava un altro duro colpo alla sua sensibilità affettiva. Era stanco, sconfitto, deluso; aveva bisogno di incoraggiamento per iniziare la sua nuova esistenza con maggiore idealismo, …e anche il padre lo rimproverava con delle domande assurde!
224. Desideroso di comprensione, rispose in modo toccante: «Padre mio, per misericordia, accoglietemi! ... Non sono stato malato, ma adesso sono bisognoso per lo spirito! Sento che non posso ricominciare la mia nuova vita senza un po’ di riposo! ... Stendetemi le vostre mani! ...»
225. Conoscendo l’austerità paterna e le grandi necessità in quel momento difficile del suo cammino, l’ex dottore di Gerusalemme si umiliò completamente, mettendo nella sua voce tutta la stanchezza che gli era nel cuore.
226. L’anziano israelita lo guardò con fermezza e, solenne, sentenziò senza compassione: «Non eri malato? Cosa significa allora la triste commedia a Damasco? I figli possono essere ingrati e sono capaci di dimenticare, ma i genitori non smettono di pensarli, sanno sentire meglio e conoscono la crudeltà del loro procedere... Non ti fa male vederci vinti e umiliati per la vergogna che gettasti sulla nostra casa? Distrutta dal dolore, tua madre ha trovato conforto nella morte; ma io? Mi credi insensibile alla tua diserzione? Se ho resistito, era perché avevo la speranza di cercare Jehova, supponendo che tutto fosse un malinteso, un disturbo mentale che avesse attirato contro di te l’incomprensione e le critiche ingiustificate del mondo! ... Ti ho creato con tutta la premura che un genitore del nostro ceppo, di solito, dedica al suo unico figlio maschio... Eri una gloriosa promessa per la nostra stirpe. Mi sono sacrificato per te, ti riempii di gesti affettuosi, non ho mai risparmiato gli sforzi affinché tu avessi i più saggi maestri, mi sono preso cura della tua giovinezza, ti ho ricoperto di tenerezza il cuore, …ed è così che ripaghi le dediche e gli affetti del focolare?»
227. Saul avrebbe potuto affrontare uomini armati senza rinunciare al coraggio indomito che lo contraddistingueva. Poteva rimproverare l’atteggiamento sbagliato degli altri, occupare la tribuna più pericolosa per l’esame delle ipocrisie umane, ma, davanti a quel vecchietto che non riusciva più a rinnovare la fede, e considerando l’ampiezza dei sacri sentimenti paterni, non reagì, …e cominciò a piangere.
228. «Piangi?» – continuò il vecchio con grande aridità. – «Io, però, non ho mai dato esempi di vigliaccheria! Ho combattuto con eroismo nei giorni più difficili, affinché non ti mancasse nulla. La tua debolezza morale è figlia dello spergiuro e del tradimento. Le tue lacrime vengono dall’inevitabile rimorso! Come sei giunto sulla strada della menzogna esecrabile? Con quale fine ingegnasti la scena di Damasco per ripudiare i principi che ti hanno alimentato dalla culla? Come hai potuto lasciare la situazione brillante di rabbino, che abbiamo tanto desiderato, per accompagnarti con uomini mediocri e inferiori, che non hanno mai avuto la tradizione di una casa amorevole?»
229. Davanti alle ingiuste accuse, il giovane di Tarso singhiozzava, forse per la prima volta nella sua vita.
230. «Quando ho saputo che stavi per sposare una giovane con genitori sconosciuti…» – proseguì il vecchio implacabile – «…mi sono stupito ed ho aspettato che tu ti pronunziassi direttamente. Più tardi, Dalila e il marito furono costretti a lasciare Gerusalemme frettolosamente, tormentati dalla vergogna che l’ordine di incarcerazione della sinagoga di Damasco aveva emanato contro di te. Varie volte ho ipotizzato se non fosse stata questa creatura inferiore che hai scelto, la causa di così grandi disastri morali. Per più di tre anni mi alzo ogni giorno per riflettere sul tuo comportamento criminale a discapito dei doveri più sacri!»
231. Sentendo quei concetti ingiusti su Abigail, il giovane prese coraggio e mormorò con umiltà: «Padre mio, questa creatura era una santa! Dio non l’ha voluta in questo mondo! Forse, se fosse ancora viva, avrei l’intelletto più equilibrato per armonizzare la mia nuova vita».
232. Al padre non piacque la risposta, anche se l’obiezione fu fatta in un tono di obbedienza e affetto.
233. «Nuova vita?» – disse irritato. – «Che vuoi dire con questo?»
234. Saul si asciugò le lacrime e disse rassegnato: «Voglio dire, che l’episodio di Damasco non fu un’illusione. Gesù ha riformato la mia vita!».
235. «Non potresti vedere in tutto questo una follia assoluta?» – continuò il padre con stupore.
236. «È impossibile!»
237. «Come hai fatto ad abbandonare l’amore della famiglia, le venerabili tradizioni del tuo nome, le sacre speranze dei tuoi, per seguire un Falegname sconosciuto?»
238. Saul comprese la sofferenza morale del genitore quando si espresse in quel modo. Ebbe l’impulso di gettarsi tra le sue braccia amorose; raccontargli del Cristo, fargli capire com’era realmente la situazione, ma prevedendo allo stesso tempo la difficoltà di farsi capire, lo osservò rassegnato.
239. Infatti, il padre, con gli occhi umidi, rivelava il dolore e la collera che lo dominavano: «Come può essere tutto questo? Se la disgraziata dottrina del Falegname di Nazareth impone l’indifferenza criminale verso i legami più santi della vita, come negarle pericolosità e degenerazione? È giusto preferire un avventuriero che morì tra i malfattori, ad un padre degno e lavoratore che invecchiò al servizio onesto di Dio? ...»
240. «Ma, padre…» – disse il giovane con voce supplicante – «…il Cristo è il Salvatore promesso! ...»
241. Isacco parve diventare ancora più furioso.
242. «Tu blasfemi?» – gridò. – «Non temi d’insultare la divina Provvidenza? Le speranze d’Israele non possono restare sulla fronte di chi si è spento nel sangue della punizione tra i malfattori! ... Sei pazzo! Esigo che tu riveda il tuo atteggiamento!»
243. Mentre faceva una pausa, il convertito obiettò: «È vero che il mio passato è pieno di colpe quando non esitai a perseguitare le espressioni della verità, ma da tre anni a questa parte, non mi ricordo di nessun atto alcuno che necessiti di essere riconsiderato».
244. Il vecchio sembrò raggiungere l’apice della collera ed esclamò aspro: «Sento che le mie parole generose non arrivano alla tua ragione disturbata. Vedo che ho aspettato invano, per non morire senza odiare nessuno. Purtroppo, devo riconoscere nelle tue decisioni, un pazzo, o un comune criminale. Pertanto, affinché i nostri atteggiamenti si definiscano, ti prego di scegliere, in definitiva, tra me e lo spregevole Falegname! ...»
245. La voce paterna, nel proferire un ordine simile, era ovattata, instabile, mostrando profonda sofferenza. Saul comprese e, invano, cercò un argomento pacificatore. L’incomprensione del padre lo angosciava. Mai aveva riflettuto tanto e così intensamente sull’insegnamento di Gesù sui legami familiari. Si sentiva strettamente collegato al generoso vecchietto, voleva sostenerlo nella sua rigidità intellettuale, addolcire la sua indole tirannica, ma comprese le barriere che si anteponevano ai suoi desideri sinceri. Sapeva con quale severità era stato forgiato il suo carattere.
246. Giudicando in anticipo l’inutilità degli appelli emotivi, mormorò tra l’umile e l’ansioso: «Padre mio, entrambi abbiamo bisogno di Gesù! ...»
247. Il vecchio, irremovibile, gli rivolse uno sguardo inflessibile e rispose con asprezza: «La tua scelta è fatta! … Non hai niente da fare in questa casa!»
248. Il vecchietto tremava. Si vedeva in lui lo sforzo spirituale nel prendere tale decisione. Educato nelle concezioni intransigenti della Legge di Mosè, Isacco soffriva come padre; tuttavia, cacciava il figlio depositario di tante speranze, come per adempiere a un dovere. Il cuore amorevole gli suggeriva pietà, ma il ragionamento dell’uomo, imprigionato nei dogmi implacabili della sua stirpe, annientava il suo impulso naturale.
249. Saul lo guardò in atteggiamento silenzioso e supplicante. Il focolare era l’ultima speranza che gli restava. Non voleva credere all’estrema perdita. Lanciò all’anziano gli occhi quasi pieni di lacrime e, dopo un lungo minuto di attesa, pregò con un gesto commovente che non gli era usuale: «Mi manca tutto, padre mio. Sono malato e stanco! Non ho soldi e necessito della pietà altrui». E mettendo in risalto il lamento doloroso, disse: «Anche voi mi cacciate?! ...»
250. Isacco sentì la supplica vibrare nel più profondo del suo cuore, ma, giudicando forse che l’energia era più efficace della tenerezza, in questo caso, rispose seccamente: «Correggi le tue impressioni, perché nessuno ti ha buttato fuori. Sei stato tu a scegliere di abbandonare gli amici e gli affetti più puri! ... Hai dei bisogni? È giusto che domandi al Falegname le risorse necessarie... Lui che ha fatto cose assurde, avrà abbastanza potere per aiutarti».
251. Un immenso dolore soffocò l’ex rabbino nello spirito. Le allusioni al Cristo dolevano molto di più che i rimproveri diretti ricevuti. Incapace di frenare la propria angoscia, sentì che lacrime ardenti rotolavano sulle guance bruciate dal Sole del deserto. Non aveva mai sperimentato un pianto così amaro. Nemmeno nella cecità angosciante, conseguenza della visione di Gesù, aveva pianto così dolorosamente. Nonostante fosse stato dimenticato in una locanda senza nome, cieco e sopraffatto, lui sentì la protezione del Maestro che lo aveva convocato per il suo divino servizio. Conservava l’impressione di essere più vicino al Cristo. Gioiva nei dolori più amari per il fatto di aver ricevuto, alle porte di Damasco, la sua chiamata gloriosa e diretta, ma, dopo tutto, cercò invano il sostegno degli uomini per iniziare il compito sacro.
252. Gli amici più stretti gli chiedevano di allontanarsi. e l’ultimo, il padre, vecchio e ricco, gli rifiutava la mano nel momento più doloroso della sua vita. Lo aveva cacciato, manifestando avversione per le sue idee rigeneratrici. Non tollerava la sua condizione di amico del Cristo. Nel pianto che sgorgava dagli occhi, si ricordò di Anania. Quando tutti lo avevano abbandonato a Damasco, il messaggero del Maestro apparve ripristinando il suo buon umore. Suo padre ironicamente, gli parlava dei poteri del Signore.
253. Sì, Gesù non gli avrebbe negato le risorse necessarie. Lanciò uno sguardo indimenticabile al genitore e disse umilmente: «Dunque, addio, padre mio! ... Dite bene, perché sono sicuro che il Messia non mi abbandonerà! ...»
254. A passi incerti, si avvicinò alla porta di uscita. Vagò lo sguardo velato di pianto sui vecchi ornamenti della stanza. La sedia di sua madre era nella posizione abituale. Ricordò il periodo in cui gli occhi materni leggevano per lui i rudimenti della Legge. Credette di vedere la sua ombra inviargli un amorevole sorriso. Mai aveva sperimentato un vuoto così grande nel cuore. Era solo. Ebbe paura per se stesso, perché non si era mai visto in una tale situazione.
255. Dopo la dolorosa meditazione, si ritirò in silenzio. Guardò indifferente il movimento della strada trafficata, come qualcuno che aveva perso ogni interesse di vivere. Non aveva fatto ancora molti passi nel suo destino incerto, quando sentì che lo chiamavano insistentemente.
256. Si fermò nell’attesa e scoprì che era il vecchio servo di suo padre, che correva verso di lui. In pochi istanti, il servo gli porse una pesante borsa, esclamando in tono amichevole: «Vostro padre vi manda questi soldi come ricordo».
257. Saul visse nel suo interiore la rivolta del “vecchio”. Immaginò d’invocare la propria dignità per restituire il regalo umiliante. Così procedendo avrebbe insegnato al padre che lui era il figlio, e non un mendicante. Gli avrebbe dato una lezione, mostrando il proprio valore, ma considerò al tempo stesso che le prove rigorose, forse, si verificavano con il consenso di Gesù, in modo che il suo cuore ostinato imparasse ancora la vera umiltà. Sentiva di aver superato molti passi falsi, che si era mostrato superbo a Damasco e a Gerusalemme, che aveva dominato le ostilità del deserto, che aveva sopportato l’ingratitudine del clima e le dolorose fatiche, ma che il Maestro adesso gli suggeriva la lotta con se stesso, affinché “l’uomo del mondo” cessasse di esistere, portando alla rinascita il cuore energico, ma amorevole e tenero, del discepolo. Sarebbe stata, forse, la più grande di tutte le battaglie. Così inteso, in un attimo cercò di vincere se stesso, prese la borsa con un sorriso di rassegnazione, conservandola umilmente tra le pieghe della tunica, salutò il servo con espressioni di ringraziamento e, sforzandosi di mostrare allegria, disse: «Sinesio, dì a mio padre della gioia che la sua premurosa offerta mi ha dato; digli ancora che prego Dio che lo aiuti».
258. Seguendo il corso incerto della sua nuova situazione, vide nell’atteggiamento paterno il riflesso delle vecchie abitudini del giudaismo. Come padre, Isacco non voleva sembrare ingrato e inflessibile, cercando di sostenerlo; ma come fariseo non avrebbe mai accettato il rinnovamento delle sue idee. Con aria disinteressata, prese un pasto in una modesta locanda. Nel frattempo non riusciva a tollerare il movimento nelle strade. Era assetato di meditazione e silenzio. Aveva bisogno di sentire la coscienza e il cuore, prima di disporre i nuovi piani di vita. Cercò di allontanarsi dalla città. Come un eremita anonimo, prese la rustica campagna.
*
259. Dopo tanto camminare senza meta, raggiunse le periferie del Tauro[40] mentre iniziava la processione delle cupe ombre del pomeriggio. Sfinito dalla fatica, si distese vicino ad una delle innumerevoli grotte abbandonate. Lontano, la città di Tarso giaceva tra i boschetti. L’aura vespertina vibrava nell’ambiente senza disturbare la serenità delle cose. Immerso nella quiete della natura, Saul ritornò mentalmente al giorno della sua radicale trasformazione. Ricordò l’abbandono nella locanda di Giuda, l’indifferenza di Sadoc alla sua amicizia. Rammentò la prima riunione a Damasco, in cui ebbe tanti fischi, insulti e ironie. Quando a Palmira cercò angosciato l’assistenza di Gamaliel per inoltrarsi nella causa del Cristo, il nobile maestro gli consigliò l’isolamento nel deserto.
260. Ricordò le difficoltà nel duro telaio e la mancanza di risorse di ogni genere, nell’oasi solitaria. In quei giorni tranquilli e lunghi, non era mai riuscito a dimenticare la promessa sposa morta, lottando per risorgere, spiritualmente, sopra i sogni crollati. Per quanto studiasse il Vangelo, interiormente, aveva sperimentato un singolare rimorso per il sacrificio di Stefano che, a suo avviso, era la pietra sepolcrale del suo fidanzamento promettente e felice. Le sue notti erano state piene di infinite angosce. Ogni tanto aveva avuto incubi dolorosi, si vedeva ancora a Gerusalemme, a firmare condanne inique. Le vittime della grande persecuzione lo accusavano, con sguardi spaventati, come se il suo volto fosse quello di un mostro. La speranza in Cristo rianimava il suo spirito risoluto.
261. Dopo le dure prove, aveva lasciato la solitudine per tornare alla vita sociale. Ancora una volta a Damasco, dove la sinagoga lo ricevette con minacce. Gli amici di altri tempi, con profonda ironia, gli avevano scagliato crudeli epiteti. Fu costretto a fuggire come un criminale comune, saltando le mura nel cuore della notte. Poi aveva cercato Gerusalemme, sperando di farsi capire. Tuttavia, Alessandro, nel cui spirito colto pensava di trovare una migliore comprensione, lo accolse come un visionario e un bugiardo.
262. Estremamente affaticato aveva bussato alla porta della Chiesa del “Cammino”, ma fu costretto a ritirarsi in una misera locanda, sotto il giusto sospetto degli apostoli della Galilea. Malato e stanco, fu portato alla presenza di Simon Pietro, che gli diede elevate lezioni di prudenza e di grande bontà, come Gamaliel che gli consigliò un previo raccoglimento e discrezione, ossia, il praticantato.
263. Invano aveva cercato un mezzo per armonizzare le circostanze allo scopo di cooperare al lavoro del Vangelo, ma tutte le porte sembravano chiuse ai suoi sforzi. Infine, si era diretto a Tarso, ansioso del sostegno familiare per ricominciare la sua vita. L’atteggiamento paterno gli aveva solo aggravato le delusioni. Respingendolo, il genitore lo aveva gettato nell’abisso. Ora cominciava a capire che riprendere l’esistenza non era tornare all’attività del vecchio nido, ma iniziare dal fondo dell’anima, dallo sforzo interiore, sbarazzarsi del passato nei minimi particolari, insomma, essere un altro uomo!
264. Comprese la nuova situazione, ma non poté trattenere le lacrime che affioravano copiose.
265. Quando si rese conto di se stesso, la notte si era chiusa tutta intorno. Il cielo orientale brillava di stelle. Venti soavi soffiavano da lontano, rinfrescando la sua fronte infuocata. Si accomodò come meglio poteva tra le aspre rocce, senza il coraggio di esimersi al silenzio della natura amica. Nonostante proseguisse con il corso delle sue amare riflessioni, si sentì più calmo. Affidò al Maestro le sue dolorose preoccupazioni, chiese la medicina della Sua misericordia cercando di riposare. Dopo la fervente preghiera, smise di piangere, immaginando che una forza superiore e invisibile gli stava procurando un balsamo per le ferite della sua anima oppressa.
266. In breve, una dolce quiete scese nella testa addolorata, sentì che il sonno cominciava a trascinarlo. Una soave sensazione di riposo gli offriva grande sollievo. Dormiva? Gli sembrava di essere entrato in una regione di sogni deliziosi. Si sentiva agile e felice. Aveva l’impressione di essere stato portato in un prato toccato da luci primaverili, libero e lontano da questo mondo. Fiori luminosi, come fatti di nebbia colorata, sbocciavano lungo i bordi di strade meravigliose, spalancate in aree bagnate da un chiarore indefinibile. Tutto gli parlava di un mondo diverso. Ai suoi orecchi risuonavano dolci armonie, dando l’idea di cavatine[41] eseguite in lontananza da arpe e liuti divini. Voleva identificare il paesaggio, definirgli i contorni, arricchire le osservazioni, ma un profondo senso di pace lo abbagliò interamente. Doveva essere entrato in un regno meraviglioso, perché i prodigi spirituali che apparivano ai suoi occhi, superavano la comprensione[42].
267. Male si risvegliò da questa meraviglia, allorquando si senti in preda a dei nuovi fatti imprevedibili: percepì l’avvicinarsi di qualcuno che calpestava la terra con leggerezza, piano, piano. Ancora alcuni istanti, e vide Stefano e Abigail davanti a sé, giovani e belli, indossando abiti così splendenti e così bianchi, da somigliare a peplo[43] di neve cristallina.
268. Incapace di tradurre le sacre emozioni della sua anima, Saul di Tarso si inginocchiò e cominciò a piangere.
269. I due fratelli, che tornavano per incoraggiarlo, si avvicinarono con sorrisi generosi.
270. «Alzati, Saul!» – disse Stefano con profonda bontà.
271. «Perché Piangi?» – domandò Abigail in tono amorevole. – «Ti sei già scoraggiato, quando il lavoro è ancora all’inizio?»
272. Il giovane di Tarso, ora in piedi, scoppiò in un pianto convulso. Quelle lacrime non erano solo uno sfogo di un cuore abbandonato dal mondo. Traducevano un giubilo infinito, una commossa gratitudine a Gesù, sempre prodigo di protezione e benefici. Voleva avvicinarsi, baciare le mani di Stefano, chiedere perdono per il nefasto passato, ma fu il martire del “Cammino” che, alla luce della sua gloriosa resurrezione, si avvicinò all’ex rabbino e lo abbracciò con effusione, come se fosse un amato fratello. Dopo aver baciato la sua fronte, mormorò teneramente:
273. «Saul, non indugiare nel passato! Chi, nel mondo, è libero da errori? Solo Gesù era puro! ...»
274. L’ex allievo di Gamaliel si sentì immerso in un oceano di felicità. Voleva parlare delle sue gioie infinite, ringraziare per un dono così grande, ma un’indomita emozione gli sigillava le labbra e confondeva il cuore. Sostenuto da Stefano che gli sorrideva in silenzio, vide Abigail più bella che mai, ricordandogli i fiori in primavera nell’umile casa della strada di Giaffa. Fu impossibile eludere le riflessioni dell’uomo, dimenticare i sogni infranti, ricordandoli, soprattutto in quei gloriosi minuti della sua vita. Pensò al focolare che avrebbero costruito, alla dedizione con cui la giovane di Corinto avrebbe curato i loro affettuosi figli; all’amore insostituibile che la sua dedizione gli avrebbe dato.
275. Invece, comprendendo i suoi più intimi pensieri, la promessa sposa spirituale si avvicinò, gli prese la mano destra incallita dalle rudi fatiche nel deserto, e disse emozionata: «Mai ci mancherà un focolare... l’avremo nel cuore di coloro che arriveranno alla nostra strada. Quanto ai figli, abbiamo una grande famiglia che Gesù ci ha dato nella sua misericordia... I figli del Calvario sono anch’essi nostri... Essi sono ovunque, aspettando l’eredità del Salvatore».
276. Il giovane di Tarso capì l’avvertimento affettuoso, archiviandolo nell’interiore del suo cuore.
277. «Non cedere alla disperazione…» – continuò Abigail, generosa e sollecita – «…i nostri antenati conoscevano il Dio degli Eserciti che possedeva i trionfi sanguinosi dell’oro e dell’argento del mondo; noi, invece, conosciamo il Padre, che è il Signore dei nostri cuori. La Legge ci mostrava la fede, per la ricchezza dei doni materiali nei sacrifici; ma il Vangelo ci conosce per la fiducia inesauribile e per la fede attiva al servizio dell’Onnipotente. Dobbiamo essere fedeli a Dio, Saul! Anche se il mondo intero si rivolta contro di te, possiederai il tesoro inesauribile del cuore fedele. La pace trionfante del Cristo è quella dell’anima laboriosa che ubbidisce e confida... Non tornare a recalcitrare contro gli aculei. Svuotati dai pensieri del mondo! Quando avrai esaurito l’ultima goccia della posca[44] degli inganni terreni, Gesù riempirà il tuo spirito di luce immortale! ...»
278. Sperimentando un’infinita consolazione, Saul arrivò a turbarsi per l’incapacità di articolare una frase. Le esortazioni di Abigail s’impressero in lui per sempre. Non avrebbe mai più permesso che lo scoraggiamento s’impossessasse di lui. Un’enorme speranza si concentrò, adesso, nel suo interiore. Avrebbe lavorato per il Cristo in tutti i luoghi e in ogni circostanza! Il Maestro si era sacrificato per tutti gli uomini! DedicarGli l’esistenza rappresentava un nobile dovere.
279. Mentre formulava questi pensieri, si ricordò della difficoltà di armonizzarsi con le creature. Avrebbe trovato lotte. Ricordò la promessa di Gesù che sarebbe stato sempre presente dove i fratelli si fossero riuniti nel Suo Nome. Ma tutto sembrava improvvisamente difficile in quella rapida operazione intellettuale. Le sinagoghe combattevano tra di loro. Proprio la Chiesa di Gerusalemme tendeva di nuovo ad idee e influenze giudaiche. Fu allora che Abigail rispose di nuovo ai suoi interiori appelli e, con tenerezza infinita, disse:
280. «Tu reclami dei compagni in accordo con te nell’edificazione evangelica? Dobbiamo però ricordare che Gesù non li ha avuti. Gli apostoli non li hanno condivisi con il Maestro, se non con l’aiuto del Cielo dopo la resurrezione e la Pentecoste. I più amati dormivano, mentre Lui, angosciato, pregava nell’orto degli ulivi. Alcuni negavano, altri sono fuggiti nell’ora decisiva. Concorda con Gesù, e lavora! Il cammino verso Dio è suddiviso in una vera infinità di piani. Lo spirito passerà da solo da una sfera all’altra. Ogni elevazione è difficile, ma solo così si può trovare la vittoria reale. Ricorda la “porta stretta” delle lezioni evangeliche, e cammina! Quando sarà opportuno, Gesù chiamerà al tuo lavoro chi potrebbe essere d’accordo con te, in Suo Nome. Dedicati al Maestro in ogni momento della tua vita. Servilo con energia e tenerezza, come chi sa che l’appagamento spirituale chiede il concorso di tutti i sentimenti che nobilitano l’anima».
281. Saul era estasiato. Impossibile tradurre le dolci sensazioni che si trattenevano nel suo cuore pieno di indicibile gioia. Nuove speranze soffiavano nella sua anima. Nella sua retina spirituale si prospettava un radioso futuro. Voleva muoversi, ringraziare del dono sublime, ma l’emozione lo aveva privato di qualsiasi manifestazione affettiva. Tuttavia, aleggiava nel suo spirito una grande domanda: cosa fare d’ora in poi per trionfare? Come completare i concetti sacri che gli competeva dimostrare praticamente, senza nessun sacrificio? Lasciando vedere che ascoltava le sue più segrete domande, Abigail, sempre affettuosa, anticipò:
282. «Saul, per essere sicuro della vittoria nel percorso accidentato, ricordati che c’è bisogno di dare; Gesù ha dato al mondo quel che possedeva e, soprattutto, ci ha dato la comprensione intuitiva delle nostre debolezze, affinché potessimo tollerare le miserie umane...»
283. Il giovane di Tarso notò che Stefano, nel frattempo, lo salutava, rivolgendogli uno sguardo fraterno. Abigail, a sua volta, gli stringeva le mani con grande tenerezza. L’ex rabbino desiderava prolungare la visione piacevole per il resto della vita, stare con lei per sempre; ma la dolce entità abbozzò un gesto amorevole di addio. Lottò, per elencare in fretta i suoi bisogni spirituali, desiderosi di sentirla sui problemi che doveva affrontare. Ansioso di sfruttare le minime porzioni gloriose di quel fugace attimo, Saul allineò mentalmente un gran numero di domande. Cosa fare per acquisire una conoscenza approfondita dei disegni del Cristo?»
284. «Ama!» – rispose Abigail spontaneamente.
285. «Ma come procedere per arricchirsi nella virtù divina? Gesù consiglia l’amore ai propri nemici. Tuttavia, considerava quanto difficile fosse una simile realizzazione. È penoso testimoniare dedizione, senza una reale comprensione degli altri. Come fa l’anima a raggiungere una così elevata espressione di sforzi con Gesù Cristo?»
286. «Lavora!» – disse l’amata fanciulla, sorridendo gentilmente.
287. Abigail aveva ragione. Era necessario realizzare l’opera di rinnovamento interiore. Desiderava ardentemente farlo. Per questo si era isolato nel deserto per più di mille giorni consecutivi. Tuttavia, ritornando all’ambiente dello sforzo collettivo, in cooperazione con gli ex compagni, le speranze che nutriva erano diventate perplessità dolorose. Quali azioni intraprendere contro lo scoraggiamento distruttore?
288. «Aspetta!» – disse lei nuovamente, in un gesto di tenera sollecitudine, come se volesse chiarire che l’anima deve essere pronta ad attendere il programma divino in ogni circostanza, tipica dei capricci personali.
289. Ascoltandola, Saul considerò che la speranza era sempre stata la compagna dei suoi giorni più duri. Avrebbe saputo attendere il futuro con la benedizione dell’Altissimo. Avrebbe confidato nella sua misericordia. Non avrebbe disprezzato le opportunità del servizio redentore. Ma... gli uomini? Dappertutto cresceva la confusione negli spiriti. Riconosceva che, di fatto, l’accordo generale intorno agli insegnamenti del divin Maestro rappresentava uno degli esiti più difficili nella diffusione del Vangelo; ma sembrava che le creature erano altrettanto disinteressate della luce e della verità.
290. Gli israeliti si aggrappavano alla Legge di Mosè, intensificando il regime dell’ipocrisia farisaica; i seguaci del “Cammino” si riavvicinavano alle sinagoghe, scappando dai gentili, per sottomettersi rigorosamente alle procedure di circoncisione. Dov’era la libertà del Cristo? Dov’era la grande speranza che il Suo Amore aveva portato per l’intera umanità senza esclusione dei figli di altre stirpi? Era d’accordo che fosse indispensabile amare, lavorare e aspettare; però, come agire in mezzo a queste forze eterogenee? Come conciliare i grandi insegnamenti del Vangelo con l’indifferenza degli uomini?
291. Abigail gli strinse le mani con più tenerezza e, indicando gli addii, disse dolcemente: «Perdona!...»
292. In seguito, il suo volto luminoso sembrò sfumare come fosse fatto di frammenti di alba.
293. Eccitato dalla meravigliosa rivelazione, Saul si trovò solo, senza sapere come coordinare le emozioni della propria estasi. Nell’aria che si incoronava di chiarezze infinite, si sentivano vibrazioni di misteriosa bellezza. Ai suoi orecchi continuavano ad arrivare echi lontani e sublimi armonie siderali, che sembravano tradurre messaggi d’amore provenienti da soli distanti... S’inginocchiò e pregò! Ringraziò Dio per la meraviglia delle Sue benedizioni. In pochi instanti, come se energie imponderabili lo riportassero sulla Terra, sentì il rustico e improvvisato letto di pietre. Incapace di spiegare il fenomeno straordinario, Saul di Tarso guardò il cielo, rapito.
294. L’infinito blu del firmamento non era un abisso dove, nelle profondità, brillavano le stelle... Ai suoi occhi, lo spazio acquisiva un nuovo significato: doveva essere pieno di espressioni di vita, che all’uomo comune non era stato dato capire. Ci sarebbero corpi celesti, come sulla Terra ci sono corpi terrestri. La creatura non era abbandonata, in particolare, dai poteri supremi della Creazione. La bontà di Dio superava l’intera intelligenza umana. Coloro che si erano liberati dalla carne, ritornavano per dare conforto spirituale a coloro rimasti distanti.
295. Verso Stefano era stato un crudele carnefice, per Abigail, un promesso sposo ingrato. Tuttavia, il Signore aveva permesso loro di ritornare al paesaggio caliginoso del mondo, facendo rivivere il suo cuore. L’esistenza planetaria raggiungeva un nuovo significato nelle sue profonde ponderazioni. Nessuno sarebbe stato abbandonato! Gli uomini più miserabili avrebbero avuto in Cielo chi li accompagnava con svelata dedizione. Per più dure che fossero le esperienze umane, la vita assumeva ora un nuovo volto di armonia e bellezza eterne.
296. La natura era calma. Il chiaro di Luna emanava dall’alto vibrazioni di un fascino indefinibile. Di tanto in tanto il vento sussurrava dolcemente, diffondendo misteriosi messaggi. Affettuose raffiche calmavano la fronte del pensatore che si saturava nei ricordi di quella meravigliosa visione del mondo invisibile. Sperimentando una pace finora sconosciuta, in quel momento credette di rinascere ad un’esistenza molto diversa. Una singolare serenità toccò il suo spirito. Una diversa comprensione lo appagava per l’inizio del suo viaggio nel mondo.
297. Avrebbe conservato per sempre il motto di Abigail: l’amore, il lavoro, la speranza e il perdono, sarebbero stati i suoi compagni inseparabili! Pieno di dedizione per tutti gli esseri, avrebbe atteso le opportunità che Gesù gli concedeva, astenendosi dal provocare le circostanze e, con questo passo, avrebbe saputo tollerare l’ignoranza o la debolezza degli altri, consapevole del fatto che anche lui aveva trascinato un passato condannabile e, nonostante ciò, aveva meritato comunque la compassione del Cristo.
298. Solo molto più tardi, quando le brezze dell’alba annunciarono il nuovo giorno, l’ex dottore della Legge riuscì a dormire. Quando si svegliò, era mattina tarda. Lontano, Tarso aveva ripreso il suo solito movimento.
299. Si alzò incoraggiato come non mai. La conversazione spirituale con Stefano e Abigail aveva rinnovato le sue energie. Ricordò istintivamente la borsa che il padre gli aveva mandato. Si ritirò per calcolare le possibilità finanziarie di cui disponeva per i suoi nuovi impegni. Il dono paterno era abbondante e generoso. Tuttavia, non riusciva a capire, prontamente, quale decisione scegliere.
*
300. Dopo lunghe riflessioni, decise di acquistare un telaio. Sarebbe stato l’inizio della lotta. Al fine di consolidare le nuove disposizioni interiori, ritenne utile impegnarsi a Tarso nella professione di tessitore, dal momento che lì, nella terra del suo luogo di origine, si era ostentato come intellettuale di valore e applaudito atleta.
301. In poco tempo fu riconosciuto dai compagni come umile tappezziere.
302. La notizia ebbe ripercussioni spiacevoli nella sua vecchia casa, motivando il vecchio Isacco a traslocare, il quale, dopo averlo diseredato, si era trasferito in una delle sue proprietà a margine dell’Eufrate, dove aspettava di morire in compagnia della figlia, incapace di comprendere l’amato primogenito.
303. Quindi, per tre anni, il solitario tessitore nelle vicinanze del Tauro, fu esempio di umiltà e lavoro, sperando devotamente che Gesù lo convocasse a testimoniare.
[indice]
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Le prime fatiche apostoliche
(Atti 11,19-26): [19]Intanto quelli che erano stati dispersi dopo la persecuzione scoppiata al tempo di Stefano, erano arrivati fin nella Fenicia, a Cipro e ad Antiochia e non predicavano la parola a nessuno fuorché ai giudei. [20]Ma alcuni fra loro, cittadini di Cipro e di Cirene, giunti ad Antiochia, cominciarono a parlare anche ai greci, predicando la buona novella del Signore Gesù. [21]E la mano del Signore era con loro e così un gran numero credette e si convertì al Signore. [22]La notizia giunse agli orecchi della Chiesa di Gerusalemme, la quale mandò Barnaba ad Antiochia. [23]Quando questi giunse e vide la grazia del Signore, si rallegrò e, [24]da uomo virtuoso qual era e pieno di Spirito Santo e di fede, esortava tutti a perseverare con cuore risoluto nel Signore. E una folla considerevole fu condotta al Signore. [25]Barnaba poi partì alla volta di Tarso per cercare Saul e trovatolo lo condusse ad Antiochia. [26]Rimasero insieme un anno intero in quella comunità e istruirono molta gente; ad Antiochia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani.
1. Trasformato in semplice operaio, Saul di Tarso ebbe notevoli cambiamenti fisici. Sembrava, nell’aspetto, un asceta. Gli occhi, tuttavia, denunciavano un uomo ponderato e risoluto, e allo stesso tempo mostravano una pace profonda e indefinibile.
2. Rendendosi conto che la situazione non gli permetteva di idealizzare grandi progetti di lavoro, si accontentò di fare ciò che era possibile. Sentiva piacere nel testimoniare il cambiamento di condotta ai vecchi compagni di trionfo, nelle occasioni dei festeggiamenti che si tenevano a Tarso. Quasi si vantava di vivere del modesto rendimento del suo duro lavoro. Più volte, lui stesso, attraversava le piazze più frequentate, trasportando pesanti fardelli di pelo di capra. I suoi connazionali ammiravano il suo atteggiamento umile che adesso era il suo tratto dominante. Le famiglie illustri lo vedevano con commiserazione. Tutti coloro che lo avevano conosciuto nel periodo di massimo splendore della gioventù, non si stancavano mai di parlottare di questa trasformazione. La maggioranza lo trattava come un alienato pacifico. Perciò, non mancavano richieste al tessitore nelle vicinanze del Tauro.
3. La simpatia dei suoi concittadini, che mai avrebbero compreso pienamente le sue idee innovative, ebbero il merito di aumentare i suoi sforzi, accrescendo la sua modesta rendita. Lui, a sua volta, viveva tranquillo e contento. Il programma di Abigail costituiva un messaggio perenne per il suo cuore. Si alzava tutti i giorni cercando di amare tutti e tutto; per proseguire sul retto cammino, lavorava attivamente. Se gli arrivavano desideri ansiosi, inquietudini per intensificare le sue attività fuori dal tempo opportuno, bastava aspettare; se qualcuno lo compativa, o se gli altri lo chiamavano pazzo, traditore o lunatico, cercava di dimenticare l’incomprensione con un sincero perdono, ricordando le tante volte che anche lui aveva offeso qualcuno per ignoranza.
4. Era senza amici, senza affetti, sopportando il disincanto della solitudine che, seppure in assenza di compagni amorevoli, non necessitava temere le sofferenze dovute ad amicizie infedeli. Cercava di trovare un prezioso lavoratore a giornata che non lo sottraesse alle opportunità, che con lui tessesse complicati tappeti, tende e ricoveri, esercitando la pazienza, indispensabile per aiutarlo anche per gli altri lavori che ancora lo aspettavano al bivio della vita. La notte era la benedizione dello spirito. L’esistenza correva senza ulteriori dettagli di minore importanza quando, un giorno, fu sorpreso dalla visita inaspettata di Barnaba.
5. L’ex levita di Cipro si trovava ad Antiochia, alle prese con difficili responsabilità. La Chiesa lì fondata richiedeva la collaborazione di servi intelligenti. Innumerevoli difficoltà spirituali erano da risolvere, e pesanti servizi da fare. L’istituzione era stata fondata dai discepoli di Gerusalemme sotto i suggerimenti generosi di Simon Pietro. L’ex pescatore di Cafarnao ponderò che si doveva approfittare del momento di calma, nel capitolo delle persecuzioni, per estendere le promesse del Cristo. Antiochia era uno dei più grandi centri operai. Non mancavano contribuenti per finanziare le opere, giacché la diffusione aveva avuto grandi ripercussioni negli ambienti di lavoro più umili; eppure, i legittimi lavoratori del pensiero scarseggiavano. Proprio allora, entrò la comprensione di Pietro, affinché non mancasse al tessitore di Tarso l’occasione giusta. Prendendo atto delle difficoltà, dopo aver indicato Barnaba a dirigere il centro del “Cammino”, gli consigliò di cercare il convertito di Damasco, in modo che le sue capacità raggiungessero un campo nuovo di esercizio spirituale.
6. Saul accolse l’amico con grande gioia.
7. Vedendosi ricordato dai fratelli lontani, sembrava di ricevere nuova energia.
8. Il compagno espose l’elevato piano della Chiesa che lo reclamava al concorso fraterno, alla realizzazione di servizi, alla collaborazione costante di cui poteva disporre per la costruzione delle opere di Gesù Cristo. Barnaba elogiò la dedizione degli uomini umili che collaboravano con lui. Tuttavia, l’istituzione aveva bisogno di fratelli devoti che conoscessero profondamente la Legge di Mosè e il Vangelo del Maestro, per non ostacolare il compito dell’illuminazione intellettuale.
9. L’ex rabbino, fortificato dal racconto dell’altro, non esitò a rispondere all’appello non appena se ne fosse presentata l’occasione, come quella di proseguire nel suo mestiere per non pesare sui suoi fratelli di Antiochia. Inutile qualsiasi obiezione di Barnaba in questo senso.
10. Con entusiasmo e disponibilità, Saul di Tarso, in breve, si installò ad Antiochia, dove iniziò a collaborare attivamente con gli amici del Vangelo. Durante molte ore del giorno riparava tappeti o s’intratteneva al lavoro di tessitura. Così guadagnava abbastanza per vivere, il che lo rendeva un modello in seno alla nuova Chiesa, grazie al grande bagaglio di esperienze già acquisite nelle schermaglie e nelle sofferenze del mondo. Non lo avevano mai visto occupare i primi posti. Negli Atti degli Apostoli vediamo il suo nome citato ogni volta alla fine, quando parlano dei collaboratori di Barnaba. Saul aveva imparato ad aspettare. In comunità preferiva i lavori più semplici. Si sentiva bene, attendendo i numerosi infermi. Si ricordava di come Simon Pietro cercava di soddisfare i nuovi doveri nell’ambito della bontà senza pretese, anche se su ogni cosa imprimeva traccia della sua sincerità e franchezza, quasi austera.
11. La Chiesa non era ricca, ma la buona volontà dei componenti sembrava rifornirla di abbondanti grazie. Antiochia, città cosmopolita, era divenuta un grande centro di depravazione. Nel suo paesaggio ornato di marmi preziosi che lasciavano intravedere l’opulenza degli abitanti, proliferava ogni sorta di abuso. I ricchi si consegnavano ai piaceri licenziosi, senza freni. Nei boschi artificiali si riunivano assemblee galanti, dove la tolleranza criminale si distingueva in tutti i propositi. La ricchezza pubblica dava possibilità a grandi stravaganze. La città era piena di mercanti che lottavano tra di loro senza tregua, tra basse ambizioni e drammi passionali.
12. Tuttavia,ogni giorno, e tutte le notti, presso una casa semplice che funzionava da cellula del “Cammino”, si riunivano grandi gruppi di muratori, poveri soldati, poveri contadini, tutti ansiosi di ricevere il messaggio di un mondo migliore. Le donne di condizioni più umili partecipavano anch’esse in gran numero. La maggior parte dei frequentatori erano interessati a consigli e consolazioni, rimedi per le ferite del corpo e dello spirito.
13. Generalmente erano Barnaba e Manahen i predicatori più distaccati, insegnando il Vangelo alle assemblee più eterogenee. Saul di Tarso si limitava a cooperare. Lui stesso aveva capito che Gesù gli consigliava di iniziare da capo le sue esperienze. Una volta cercò di fare il possibile per condurre una predica generale, ma non ci riuscì. La parola, così facile in altri tempi, sembrava ritrarsi in gola. Si rese conto che era giusto subire le torture del ricominciare, a causa delle possibilità che non aveva saputo valorizzare. Nonostante le barriere che si anteponevano alle sue attività, mai si era lasciato sopraffare dallo sconforto. Se occupava la tribuna, aveva estrema difficoltà ad interpretare le idee più semplici. Qualche volta arrivò ad arrossire di vergogna di fronte al pubblico che attendeva le sue conclusioni con ardente interesse, data la fama di predicatore di Mosè nel Tempio di Gerusalemme. Inoltre, l’evento sublime di Damasco lo circondava di nobile e giusta curiosità. Proprio Barnaba, più volte, fu sorpreso dalla sua dialettica confusa nell’interpretazione del Vangelo che lo fece riflettere sul suo passato di rabbino che non aveva conosciuto personalmente, e ora quella timidezza che affiorava quando doveva parlare in pubblico.
14. Per questo motivo, fu lentamente e con discrezione allontanato dalle predicazioni e affidato ad altri incarichi. Saul, comunque, comprendeva e non si scoraggiava. Se per ora non era possibile ritornare alle attività di predica, si sarebbe ancora una volta preparato a questo. A tal fine, tratteneva i fratelli umili nella sua tenda di lavoro e, mentre le sue mani tessevano con sicurezza, confabulava con loro circa la missione del Cristo. Di notte promuoveva dialoghi nella Chiesa con la collaborazione di tutti i presenti. Quando non si organizzava per la direzione superiore del lavoro nelle assemblee, lui si sedeva con gli operai e i soldati che comparivano in gran numero, attirava le attenzioni delle lavandaie, dei giovani malati, delle madri umili, a volte leggeva alcuni stralci della Legge e del Vangelo, stabiliva paragoni, provocando nuovi pareri. Dentro queste costanti attività, la lezione del Maestro sembrava sempre avvolta da luci progressive.
15. In poco tempo, l’ex discepolo di Gamaliel diventò un amico amato da tutti. Saul si sentiva immensamente felice. Aveva enorme soddisfazione ogni volta che vedeva la sua povera tenda piena di fratelli che lo cercavano, attratti dalla sua simpatia. Le ordinazioni non mancavano. Aveva sempre lavoro sufficiente per non diventare un peso per nessuno. Lì conobbe Trofimo, che sarebbe stato suo fedele compagno di tanti momenti difficili; lì abbracciò Tito, per la prima volta, quando questo collaboratore disinteressato era appena diventato maggiorenne.
16. L’esistenza, per l’ex rabbino non poteva essere più tranquilla né più bella. Le sue giornate erano piene di note armoniose nel lavoro dignitoso e costruttivo; la notte si raccoglieva nella Chiesa in compagnia dei fratelli, indugiando piacevolmente nelle sublimi fatiche del Vangelo.
17. L’istituzione di Antiochia era, allora, molto più allettante rispetto alla Chiesa di Gerusalemme. Viveva lì in un clima di pura semplicità, senza tutte le preoccupazioni derivanti dalle rigide disposizioni del giudaismo. C’era ricchezza, perché il lavoro non mancava. Tutti amavano gli obblighi diurni in attesa del riposo della notte per le riunioni nella Chiesa, come una benedizione di Dio. Gli israeliti, lontani dal centro delle richieste farisaiche, collaboravano con i gentili, sentendosi tutti uniti da altissimi legami fraterni. Rarissimi erano quelli che parlavano di circoncisione e, poiché costituivano una debole minoranza, erano contenuti dall’amorevole invito alla fraternità e all’unione.
18. Le assemblee erano dominate dall’ascendente profondo dell’amore spirituale. La solidarietà si era impiantata con fondamenti divini. I dolori e le gioie di uno appartenevano a tutti. L’unione di pensieri intorno ad un solo obiettivo dava vita a belle espressioni di spiritualità. In certe notti c’erano i fenomeni delle “voci dirette”. L’istituzione di Antiochia fu uno dei rari centri apostolici dove manifestazioni simili raggiunsero un culmine indefinibile. La fraternità regnante giustificava questa concessione del Cielo. Nei giorni di riposo, la piccola comunità organizzava studi evangelici in campagna. L’interpretazione degli insegnamenti di Gesù si realizzava in qualche angolo mite e solitario nella natura, quasi sempre sulle rive dell’Oronte.
19. Saul aveva trovato in tutto questo un mondo diverso. Il suo soggiorno in Antiochia fu interpretato come un aiuto di Dio. La reciproca fiducia, gli amici devoti, la buona comprensione, costituivano il cibo sacro dell’anima. Cercava di procurarsi opportunità per arricchire l’interiore fienile.
20. La città era piena di immagini morali non degni, ma il gruppo degli umili discepoli anonimi si arricchiva sempre di più di legittimi valori spirituali. La Chiesa era diventata venerabile per le sue opere di carità e per i fenomeni che costituivano l’organismo centrale.
21. Viaggiatori illustri la visitavano pieni d’interesse. I più generosi facevano questione per sostenere gli oneri di benemerenza sociale. Fu lì che apparve, un giorno, un medico molto giovane di nome Luca. Di passaggio per la città, si avvicinò alla Chiesa animato da un sincero desiderio di imparare qualcosa di nuovo. La sua attenzione si fissò, in modo particolare, su quell’uomo all’apparenza quasi rude che fermentava le opinioni, prima che Barnaba facesse l’apertura dei lavori. Quegli atteggiamenti di Saul, evidenziando la preoccupazione generosa di insegnare e, contemporaneamente, imparare, lo impressionarono al punto di presentarsi all’ex rabbino, desideroso di ascoltarlo più spesso.
22. «Prego» – disse Saul soddisfatto – «la mia tenda è a tua disposizione».
23. E mentre era in città, entrambi s’impegnavano quotidianamente in proficui discorsi riguardanti gli insegnamenti di Gesù. Riacquisendo un po’ alla volta il suo potere di argomentazione, Saul di Tarso non tardò ad instillare nello spirito di Luca le più sane convinzioni. Dal primo colloquio, l’ospite di Antiochia non perse più nessuna di quelle semplici e costruttive riunioni. Il giorno prima di partire, fece un’osservazione che avrebbe modificato per sempre la denominazione dei discepoli del Vangelo.
24. Barnaba aveva finito i commenti della notte, quando il medico prese la parola per i saluti. Parlò emozionato e, alla fine, considerò sensatamente: «Fratelli, allontanandomi da voi porto con me il proposito di lavorare per il Maestro, impiegando in questo tutte le risorse delle mie deboli forze. Non ho alcun dubbio su quanto riguarda la portata di questo movimento spirituale. Per me, trasformerà tutto il mondo. Tuttavia, rifletto sulla necessità di imprimere una migliore espressione di unità alle sue manifestazioni. Mi riferisco agli appellativi che identificano la comunità. Non vedo nella parola “Cammino” una designazione perfetta che rispecchi i nostri sforzi. I discepoli del Cristo sono chiamati “viandanti”, “pellegrini”, “camminatori”. Però esistono viandanti e strade di tutti i tipi. Il male ha, ugualmente, il suo cammino. Non sarebbe più giusto chiamarci “cristiani” gli uni con gli altri? Questo titolo ci ricorderà la presenza del Maestro, ci darà energia in Suo Nome e caratterizzerà, in modo perfetto le nostre attività in conformità con i Suoi insegnamenti».
25. La proposta di Luca fu approvata con gioia generale. Barnaba stesso lo abbracciò teneramente, ringraziando il giusto suggerimento che soddisfaceva determinate aspirazioni di tutta la comunità. Saul consolidò le sue ottime impressioni nei confronti di quella vocazione superiore che cominciava a esternarsi.
26. Il giorno successivo, il nuovo convertito salutò l’ex rabbino con lacrime di riconoscimento. Partiva per la Grecia, ma insistette nel ricordare in ogni dettaglio il programma del nuovo compito. Dalla porta della sua tenda rustica, l’ex dottore della Legge contemplò la figura di Luca fino a quando non scomparve in lontananza, e tornò al telaio con gli occhi umidi. Grato ed emozionato, riconobbe che nel trattare il Vangelo aveva imparato ad essere un amico devoto e fedele. Confrontava i sentimenti attuali con le concezioni più antiche e trovava profonde differenze. Precedentemente, i suoi rapporti si basavano sulle convenienze sociali, i cui più affezionati venivano e se ne andavano senza lasciare alcun segno nella sua anima vibrante; ora il cuore era rinnovato in Gesù Cristo, era diventato più sensibile nel contatto con il divino, in quel cuore dove gli affetti sinceri si sarebbero incisi per sempre.
27. Il suggerimento di Luca si estese rapidamente a tutti i nuclei evangelici, compresa Gerusalemme, dove fu accolto con particolare affetto. In breve tempo, in ogni luogo, la parola “cristianesimo” sostituì la parola “Cammino”.
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(Atti 11,27-28): [27]In questo tempo alcuni profeti scesero ad Antiochia da Gerusalemme. [28]E uno di loro, di nome Agabo, alzatosi in piedi, annunziò per impulso dello Spirito che sarebbe scoppiata una grave carestia su tutta la terra. Ciò che di fatto avvenne sotto l'impero di Claudio
28. La chiesa di Antiochia continuava ad offrire le più belle espressioni evolutive. Da tutte le grandi città affluivano collaboratori sinceri. Le assemblee erano sempre piene di rivelazioni. Numerosi fratelli profetizzavano, animati dallo Spirito Santo[45]. Fu lì che Agabo, molto ispirato dalle forze del piano superiore, ricevette i messaggi delle tristi prove di cui Gerusalemme sarebbe stata vittima. Gli orientatori dell’istituzione rimasero molto impressionati. Su insistenza di Saul, Barnaba inviò un messaggero a Simon Pietro, inviando notizie e invitandolo alla vigilanza. Il messaggero ritornò, portando le espressioni di sorpresa dell’ex pescatore, che ringraziò del generoso avvertimento.
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(Atti 12,1-2): [1]In quel tempo il re Erode cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa [2]e fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni.
29. Infatti, dopo alcuni mesi, un emissario della Chiesa di Gerusalemme arrivò frettolosamente ad Antiochia portando notizie allarmanti e dolorose. In una lunga lettera, Pietro riferì a Barnaba gli ultimi fatti che lo preoccupavano. Scrisse la data in cui Giacomo[46], figlio di Zebedeo, aveva subito la pena di morte davanti ad un grande spettacolo di pubblico. Erode Agrippa non tollerando la sua predicazione piena di sincerità e di giusti appelli del fratello di Giovanni che era venuto dalla Galilea per annunciare con purezza d’animo le notizie del nuovo Regno, lo ritenne inadatto al convenzionalismo farisaico, aggredendolo con il senso profondo delle sue esortazioni. Si verificò il ripetersi degli eventi che segnarono la morte di Stefano. I giudei erano esasperati contro le nozioni di libertà religiosa. Il suo atteggiamento, sincero e semplice, fu considerato come segno di ribellione. Scoppiò una tremenda e implacabile persecuzione. Il messaggio di Pietro riportava anche le dolorose difficoltà della Chiesa. La città subiva carestie ed epidemie, mentre le crudeli persecuzioni stringevano l’assedio, ed infinite file di affamati e malati bussavano alle sue porte. L’ex pescatore chiese da Antiochia i possibili soccorsi.
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(Atti 11,29-30): [29]Allora i discepoli si accordarono, ciascuno secondo quello che possedeva, di mandare un soccorso ai fratelli abitanti nella Giudea; [30]questo fecero, indirizzandolo agli anziani, per mezzo di Barnaba e Saul.
30. Barnaba presentò le notizie con l’anima tormentata. La laboriosa comunità solidarizzò, volenterosa, per acconsentire alle richieste di Gerusalemme.
31. Raccolte le quote degli aiuti, l’ex levita di Cipro si offrì di essere il portatore della risposta; Barnaba, tuttavia, non poteva partire da solo. Sorsero difficoltà nella scelta del compagno necessario. Senza esitazione, Saul di Tarso si offrì di fargli compagnia. Lavorava per conto proprio – spiegò agli amici – e quindi poteva prendere l’iniziativa di seguire Barnaba, senza dimenticare gli obblighi che sarebbero rimasti in attesa del suo ritorno. Il discepolo di Simon Pietro si rallegrò. Accettò con gioia l’offerta.
32. Due giorni più tardi, coraggiosamente, partirono per Gerusalemme. Il viaggio fu piuttosto difficile, ma loro due riuscirono a superare il percorso in breve tempo.
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(Atti 12,3-19): [3]Vedendo che questo era gradito ai giudei, decise di arrestare anche Pietro. Erano quelli i giorni degli Azzimi. [4]Fattolo catturare, lo gettò in prigione, consegnandolo in custodia a quattro picchetti di quattro soldati ciascuno, col proposito di farlo comparire davanti al popolo dopo la Pasqua. [5]Pietro dunque era tenuto in prigione, mentre una preghiera saliva incessantemente a Dio dalla Chiesa per lui. [6]E in quella notte, quando poi Erode stava per farlo comparire davanti al popolo, Pietro piantonato da due soldati e legato con due catene stava dormendo, mentre davanti alla porta le sentinelle custodivano il carcere. [7]Ed ecco gli si presentò un angelo del Signore e una luce sfolgorò nella cella. Egli toccò il fianco di Pietro, lo destò e disse: «Alzati, in fretta!». E le catene gli caddero dalle mani. [8]E l'angelo a lui: «Mettiti la cintura e legati i sandali». E così fece. L'angelo disse: «Avvolgiti il mantello, e seguimi!». [9]Pietro uscì e prese a seguirlo, ma non si era ancora accorto che era realtà ciò che stava succedendo per opera dell'angelo: credeva infatti di avere una visione. [10]Essi oltrepassarono la prima guardia e la seconda e arrivarono alla porta di ferro che conduce in città: la porta si aprì da sé davanti a loro. Uscirono, percorsero una strada e a un tratto l'angelo si dileguò da lui. [11]Pietro allora, rientrato in sé, disse: «Ora sono veramente certo che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che si attendeva il popolo dei giudei». [12]Dopo aver riflettuto, si recò alla casa di Maria, madre di Giovanni detto anche Marco, dove si trovava un buon numero di persone raccolte in preghiera. [13]Appena ebbe bussato alla porta esterna, una fanciulla di nome Rode si avvicinò per sentire chi era. [14]Riconosciuta la voce di Pietro, per la gioia non aprì la porta, ma corse ad annunziare che fuori c'era Pietro. [15]«Tu vaneggi!» le dissero. Ma essa insisteva che la cosa stava così. E quelli dicevano: «E' l'angelo di Pietro». [16]Questi intanto continuava a bussare e quando aprirono la porta e lo videro, rimasero stupefatti. [17]Egli allora, fatto segno con la mano di tacere, narrò come il Signore lo aveva tratto fuori del carcere, e aggiunse: «Riferite questo a Giacomo e ai fratelli». Poi uscì e s'incamminò verso un altro luogo. [18]Fattosi giorno, c'era non poco scompiglio tra i soldati: che cosa mai era accaduto di Pietro? [19]Erode lo fece cercare accuratamente, ma non essendo riuscito a trovarlo, fece processare i soldati e ordinò che fossero messi a morte; poi scese dalla Giudea e soggiornò a Cesarèa.
33. Grandi sorprese attendevano gli emissari di Antiochia, Simon Pietro non era a Gerusalemme. Le autorità avevano effettuato l’arresto dell’ex pescatore di Cafarnao dopo la dolorosa esecuzione del figlio di Zebedeo. Prove amare si erano abbattute sulla Chiesa e sui suoi discepoli. Saul e Barnaba furono accolti in special modo da Pròcoro, che li informò di tutte le notizie. Per aver richiesto personalmente il cadavere di Giacomo e dargli sepoltura, Simon Pietro fu arrestato senza compassione e con totale mancanza di rispetto da parte dei criminali seguaci di Erode. Ma giorni dopo, un angelo visitò l’apostolo in carcere, riportandolo alla libertà. Il narratore riferì il fatto con gli occhi sfolgoranti dalla fede. Riportò la gioia dei fratelli quando Pietro apparve di notte raccontando la sua liberazione.
34. I compagni più ponderati lo indussero, poi, a lasciare Gerusalemme ed aspettare nella Chiesa nascente di Giaffa finché si normalizzasse la situazione. Pròcoro raccontò come l’apostolo fu riluttante ad acconsentire al suggerimento dei più prudenti. Giovanni e Filippo erano partiti. Le autorità a malapena tolleravano la Chiesa in considerazione della personalità di Giacomo che, con il suo atteggiamento di profondo ascetismo, impressionava la mentalità popolare, creando attorno a sé un’atmosfera di rispetto intangibile. La stessa notte della liberazione, a causa della sua insistenza, Pietro fu portato alla Chiesa dagli amici. Voleva essere rassicurato delle conseguenze, ma quando vide la casa piena di malati, di affamati, di mendicanti straccioni, dovette cedere a Giacomo la direzione della comunità e partì per Giaffa, in modo che i poveri non subissero una situazione peggiore a causa sua.
35. Saul si mostrò molto impressionato da tutto ciò. Insieme a Barnaba cercò subito di ascoltare le parole di Giacomo, figlio di Alfeo. L’apostolo li ricevette volentieri, ma si potevano notare subito le sue paure e le preoccupazioni. Ripeté le notizie di Pròcoro a bassa voce, come se temesse la presenza di informatori; sostenne la necessità di transigere con le autorità; invocò il precedente della morte del figlio di Zebedeo; raccontò le modifiche essenziali che aveva introdotto nella Chiesa. In assenza di Pietro, aveva creato nuove discipline. Nessuno poteva parlare del Vangelo senza fare riferimento alla Legge di Mosè. La predicazione poteva essere ascoltata solo dai circoncisi. La Chiesa era equiparata alle sinagoghe. Saul e il suo compagno lo ascoltarono con grande sorpresa e consegnarono in silenzio l’ausilio finanziario di Antiochia.
36. L’assenza di Simon aveva trasformato la struttura delle attività evangeliche. Ai due nuovi arrivati sembrò tutto diverso e più basso. Soprattutto Barnaba notò qualcosa in particolare: il fatto che il figlio di Alfeo, elevato a capo provvisorio, non li invitò a pernottare nella Chiesa. In considerazione di ciò, il discepolo di Pietro andò a casa di sua sorella Maria Marco, madre del futuro evangelista, la quale li accolse con grande gioia. Saul si sentì bene in un ambiente di fraternità pura e semplice. Barnaba, a sua volta, riconobbe che la casa della sorella era diventata il punto preferito dei fratelli dediti al Vangelo. Si riunivano di notte, in segreto, era come se la vera Chiesa di Gerusalemme avesse trasferito la sua sede in un piccolo cerchio familiare. Osservando le assemblee intime nel santuario della famiglia, l’ex rabbino ricordò la prima riunione a Damasco. Tutto era affabilità, cura e accoglienza. La madre di Giovanni Marco era una discepola coraggiosa e generosa. Riconoscendo le difficoltà dei fratelli di Gerusalemme, non tentennò nel mettere i suoi beni a disposizione di tutti i bisognosi o ad esitare di aprire le porte per le riunioni del Vangelo, affinché le sue caratteristiche più pure non subissero interruzioni.
37. L’oratoria di Saul la impressionò vivamente, attratta particolarmente dalle descrizioni dell’ambiente fraterno della Chiesa di Antiochia, le cui virtù Barnaba non smetteva di commentare.
38. Maria espose al fratello il suo grande sogno. Voleva dare suo figlio, ancora molto giovane, a Gesù. Da tempo preparava il ragazzo all’apostolato. Tuttavia, Gerusalemme era immersa nelle lotte religiose, senza sosta. Le persecuzioni andavano e venivano. L’organizzazione cristiana della città sperimentava profonde vicissitudini. Solo la pazienza di Pietro riusciva a mantenere la continuità dell’ideale divino. Non sarebbe stato meglio se Giovanni Marco si fosse trasferito ad Antiochia, con lo zio? Barnaba non si oppose al piano entusiasta della sorella. Il giovane, a sua volta, seguì la conversazione, soddisfatto. Chiamato a opinare, Saul si rese conto che i fratelli decidevano senza consultare l’interessato. Il ragazzo seguiva i progetti, sempre gioviale e sorridente. Fu allora che l’ex dottore della Legge, con una profonda conoscenza dell’animo umano, deviò la parola, cercando di interessarlo più direttamente.
39. «Giovanni Marco…» – disse gentilmente – «…senti, di fatto, la vera vocazione per il ministero?»
40. «Senza dubbio!» – confermò l’adolescente un po’ turbato.
41. «Ma come definisci il tuo compito?» – tornò a domandare l’ex rabbino.
42. «Credo che il ministero di Gesù sia una gloria» – rispose timido sotto l’esame di quello sguardo ardente e inquisitore.
43. Saul rifletté per un momento e disse: «Le tue intenzioni sono lodevoli, ma non dobbiamo dimenticare che la minima espressione della gloria mondana viene solo dopo il servizio. Se così accade nel mondo, come non sarà il lavoro per il regno del Cristo? Anche perché, sulla Terra, tutte le glorie passano, invece quella di Gesù è eterna! ...»
44. Il giovane notò l’osservazione e, anche se sconcertato per la profondità del concetto, aggiunse: «Sono preparato alle fatiche del Vangelo e, inoltre, alla mamma fa molto piacere che io impari le migliori lezioni in questo senso, al fine di diventare un predicatore delle verità di Dio».
45. Maria Marco diresse al figlio uno sguardo pieno di orgoglio materno. Saul si rese conto della situazione, e con un felice discorso, disse: «Sì, le madri desiderano per noi, sempre tutte le glorie di questo e dell’altro mondo. Per loro non ci sarebbero mai uomini perversi, ma per quello che riguarda noi, vale la pena ricordare le tradizioni evangeliche. Proprio ieri ho ricordato l’inquietudine della generosa moglie di Zebedeo, ansiosa della glorificazione dei suoi figlioli !... Gesù accolse i desideri materni, ma ciò non gli impedì di domandare se i candidati al Suo Regno erano stati adeguatamente preparati per bere dal Suo calice... E, proprio adesso, abbiamo visto che il calice destinato a Giacomo conteneva aceto tanto amaro, quanto quello della croce del Messia! ...»
46. Tutti rimasero in silenzio, ma Saul continuò in tono gioioso modificando l’impressione generale:
47. «Questo non significa che dobbiamo scoraggiarci davanti alle difficoltà per ottenere le glorie legittime del Regno di Gesù. Gli ostacoli rinnovano le forze. Lo scopo divino deve rappresentare il nostro obiettivo finale. Se è così che pensi, Giovanni Marco, non metto in dubbio i tuoi trionfi futuri».
48. Madre e figlio sorrisero tranquilli.
49. Proprio lì si accordarono sulla partenza del giovane, in compagnia di Barnaba. Lo zio discusse ancora sulle discipline necessarie e sullo spirito di sacrificio richiesto dalla nobile missione. Naturalmente, se Antiochia rappresentava un ambiente di profonda pace, era anche un centro di lavoro attivo e costante. Giovanni Marco doveva dimenticare qualsiasi espressione di scoraggiamento per consegnarsi anima e corpo al servizio del Maestro, con assoluta comprensione dei doveri più giusti.
50. Il ragazzo non esitò davanti agli impegni, sotto lo sguardo amorevole di sua madre, la quale cercava di appoggiare le sue decisioni con il coraggio sincero dei cuori dedicati a Gesù. Nel giro di pochi giorni loro tre partirono in direzione della formosa città di Oronte.
51. Mentre Giovanni Marco si estasiava nella contemplazione dei paesaggi, Saul e Barnaba si intrattenevano in lunghe conversazioni a proposito degli interessi generali del Vangelo. L’ex rabbino rifletteva molto impressionato sulla situazione della Chiesa di Gerusalemme. Desiderava sinceramente andare a Giaffa per incontrarsi con Simon Pietro. Tuttavia, i fratelli lo dissuasero dal farlo. Le autorità si mantenevano vigili. La morte dell’apostolo era rivendicata da diversi membri del Sinedrio e del Tempio. Qualsiasi movimento importante, per le strade di Giaffa, poteva essere un pretesto alla tirannia dei preposti di Erode.
52. «Francamente…» – disse Saul a Barnaba, mostrandosi preoccupato – «…ritorno con l’animo quasi abbattuto ai nostri servizi ad Antiochia. Gerusalemme dà l’impressione di profondo sfacelo e marcata indifferenza per le lezioni del Cristo. Le elevate qualità di Simon Pietro a capo del movimento non lasciano dubbi; ma c’è bisogno di serrare le fila intorno a lui. Più che mai, sono convinto della sublime realtà che Gesù è venuto verso ciò che era Suo, ma non è stato compreso.
53. «Sì…» – ossequiava l’ex levita di Cipro, desideroso di dissipare l’apprensione del compagno – «…ho fiducia prima di tutto nel Cristo; poi, mi aspetto molto da Pietro...».
54. «Tuttavia…» – accennò l’altro senza esitazione – «…dobbiamo considerare che in ogni cosa ci deve essere un programma di equilibrio perfetto. Niente si può fare senza il Maestro, ma non possiamo dimenticare che Gesù ha istituito nel mondo un’opera eterna e, per iniziarla, scelse dodici compagni. Di certo, questi non sempre hanno corrisposto alle aspettative del Signore e, comunque, sono stati scelti. Quindi, abbiamo bisogno di esaminare anche la situazione di Pietro. Egli è, senza dubbio, il capo legittimo del collegio apostolico, per il suo spirito in sintonia con il pensiero del Cristo in tutte le circostanze, ma in nessun modo può operare da solo. Come sappiamo, dei dodici amici di Gesù, quattro sono rimasti a Gerusalemme con residenza fissa. Giovanni è stato obbligato a ritirarsi, Filippo costretto a lasciare la città con la sua famiglia; Giacomo ritorna lentamente verso la comunità farisaica. Che ne sarà di Pietro se gli manca una corretta cooperazione?»
55. Barnaba sembrò meditare seriamente. «Ho un’idea che sembra provenire dall’alto» – disse l’ex dottore della Legge sinceramente emozionato. E continuò: «Suppongo che il cristianesimo non raggiunga il suo scopo se aspettiamo solo gli israeliti atrofizzati nell’orgoglio della Legge. Gesù affermò che i Suoi discepoli sarebbero venuti dall’Oriente e dall’Occidente. Noi, che prevediamo la tempesta, e soprattutto io che la conosco nei suoi parossismi[47] per aver svolto il ruolo di carnefice, penso che dobbiamo attrarre questi discepoli. Voglio dire, Barnaba, che dobbiamo cercare i gentili dove e ovunque si trovino. Solo allora potremmo ricollegare il movimento in funzione della sua universalità».
56. Il discepolo di Simon Pietro fece un gesto di stupore.
57. L’ex rabbino notò il gesto strano e ponderò conciso: «Con questo, è naturale prevedere molte proteste e grandi lotte; tuttavia, non riesco ad immaginare altre risorse. Non è giusto dimenticare il grande servizio della Chiesa di Gerusalemme verso i poveri e i bisognosi, e credo anche che l’assistenza pietosa dei suoi lavori siano state spesso la sua tavola di salvezza. Tuttavia, ci sono altri settori di attività, altri orizzonti essenziali. Siamo in grado di assistere molti malati, offrire loro un letto per il riposo, e c’è sempre stato e ci saranno sempre dei corpi infermi e stanchi sulla Terra. Nel compito cristiano, queste iniziative non potranno essere trascurate, ma l’illuminazione dello spirito deve essere al primo posto. Se l’uomo portasse il Cristo dentro di sé, il quadro di queste esigenze cambierebbe completamente. La comprensione del Vangelo e degli esempi del Maestro rinnoverebbero la concezione del dolore e della sofferenza. Chi ha delle necessità troverebbe le risorse nei propri sforzi, il malato, nella lunga infermità, percepirebbe le conseguenze delle sue imperfezioni; nessuno sarebbe un mendicante, perché tutti avrebbero la luce cristiana per l’aiuto reciproco, e infine, gli ostacoli della vita sarebbero amati come correzioni benedette di un Padre amorevole verso i suoi figli inquieti».
58. Barnaba sembrò entusiasmarsi all’idea, ma dopo averci riflettuto un attimo, disse: «Tuttavia, non dovrebbe questa impresa provenire da Gerusalemme?»
59. «Non credo!» – sentenziò Saul, prontamente. – «Sarebbe assurdo aggravare le preoccupazioni di Pietro. Al di là di tutto questo movimento di persone bisognose e indifese, convergenti da tutte le province che bussano alla sua porta, Simon è impossibilitato ad eseguire questo compito».
60. «E per quanto riguarda gli altri compagni?» – domandò Barnaba rivelando uno spirito di solidarietà.
61. «Gli altri, di certo, protesteranno. Soprattutto ora che il giudaismo va assorbendo gli sforzi apostolici, è giusto prevedere molte grida. Tuttavia, proprio la natura ci dà delle lezioni al riguardo. Non gridiamo tanto contro il dolore? E chi ci porta i maggiori benefici? Alle volte la nostra redenzione è in ciò che prima sembrava una vera calamità. È essenziale scuotere il ristagno dell’istituzione di Gerusalemme al fine di avvicinarci agli incirconcisi, ai peccatori, a coloro che sono fuori dalla Legge, altrimenti, entro pochi anni Gesù sarà presentato come un volgare avventuriero.
62. Naturalmente, dopo la morte di Simon, gli avversari dei principi insegnati dal Maestro troverebbero una grande facilità nel travisare le annotazioni di Levi. La Buona Novella sarebbe svilita, e se qualcuno chiedesse del Cristo, da ora a 50 anni, risponderebbero che il Maestro fu un criminale comune che espiò sulla croce le deviazioni della Sua vita. Limitare il Vangelo a Gerusalemme sarebbe come condannarLo all’estinzione, proprio nel centro dei molti dissensi religiosi e sotto la meschina politica degli uomini. Noi abbiamo bisogno di portare il messaggio di Gesù ad altre genti, collegare le zone della comprensione cristiana, aprire nuove strade... Sarebbe giusto che anche noi facessimo annotazioni di quel che sappiamo su Gesù e sul Suo esempio divino.
63. Altri discepoli, per esempio, potrebbero scrivere ciò che hanno visto e sentito, perché, con la pratica, comincio a riconoscere che Levi non annotò ampiamente quello che conosceva del Maestro. Ci sono situazioni e fatti che non sono stati registrati da lui. Non converrebbe che Pietro e Giovanni annotassero le loro osservazioni più interiori? Non esito ad affermare che i posteri cercheranno spesso di rovistare nella storia il compito che ci è stato affidato».
64. Barnaba si rallegrò delle seducenti prospettive. Le riflessioni di Saul erano più che giuste. Avrebbe fornito ampie notizie al mondo.
65. «Hai ragione…» – disse entusiasmato – «…abbiamo bisogno di pensare a questi servizi, ma come?»
66. «Ebbene…» – disse Saul cercando di appianare le difficoltà – «…se tu vuoi guidare qualsiasi sforzo in questa direzione, puoi contare sulla mia cooperazione incondizionata. Il nostro piano si svilupperebbe nell’organizzazione di missioni disinteressate, senza altro scopo che quello di servire alla diffusione della Buona Novella del Cristo. Potremmo cominciare, per esempio, nelle regioni sconosciute, creeremo l’abitudine di insegnare le verità evangeliche ai più svariati gruppi; di seguito, finita un’esperienza, ci dirigeremo in altre zone, portando le lezioni del Maestro ad altre genti».
67. Il compagno lo ascoltava, accarezzando sincere speranze. Preso da nuovo spirito, disse al convertito di Damasco, abbozzando i primi dettagli del programma: «Da un po’ di tempo, Saul, sento il bisogno di tornare al mio paese per risolvere alcuni problemi familiari. Chissà, potremmo iniziare il servizio apostolico attraverso i villaggi e le città di Cipro? Conformi al risultato, potremo proseguire per le altre zone. Sono stato informato che la regione Pisidia di Antiochia è abitata da gente semplice e generosa, suppongo che nell’impresa raccoglieremo bei frutti».
68. «Puoi contare su di me» – rispose Saul di Tarso, risoluto. – «La situazione richiede l’assistenza di fratelli coraggiosi, e la Chiesa di Cristo non potrà vincere con la comodità. Paragona il Vangelo a un campo infinito che il Signore ci ha dato da coltivare. Alcuni lavoratori devono stare ai piedi delle sorgenti, conservandone la purezza, altri arano la terra in altre zone, ma non si può fare a meno della collaborazione di quelli che devono maneggiare gli strumenti più duri per disboscare intense foreste di liane e tagliare i rovi per soleggiare il cammino».
69. Barnaba riconobbe l’eccellenza del progetto, tuttavia, considerò: «Nondimeno, dobbiamo ancora esaminare la questione dei soldi. Ho con me alcune risorse, ma non abbastanza per soddisfare tutte le spese. D’altro canto, non sarebbe possibile sovraccaricare le chiese...».
70. «Assolutamente!» – disse l’ex rabbino. – «Là dove ci fermeremo potrò esercitare il mio mestiere. Perché no? Ogni villaggio impoverito ha sempre dei telai in affitto. Creerò una tenda mobile!»
71. Barnaba trovò divertente l’espediente e ponderò: «I tuoi sacrifici non saranno piccoli. Non hai paura degli imprevisti?»
72. «Perché?» – chiese Saul con fermezza. – «Di certo, se Dio non mi ha permesso la vita in famiglia, è per dedicarmi esclusivamente al Suo servizio. Ovunque passeremo, saprò montare una tenda semplice. E se non ci saranno tappeti da fare o da riparare, ci saranno i sandali».
73. Il discepolo di Simon Pietro fu entusiasta. Il resto del viaggio fu dedicato ai progetti della futura missione. C’era, però, una cosa da considerare. Oltre alla necessità di sottoporre il piano all’approvazione della Chiesa di Antiochia, era indispensabile pensare al giovane Giovanni Marco. Barnaba cercò di interessare il nipote alle conversazioni. Ben presto, il ragazzo si convinse che avrebbe fatto parte del progetto, nel caso l’assemblea di Antiochia non disapprovasse. S’interessò ad ogni dettaglio del programma tracciato. Avrebbe seguito l’opera di Gesù, fosse dove fosse.
74. «E se ci saranno molti ostacoli?» – chiese Saul saggiamente.
75. «Saprò vincerli» – rispose Giovanni Marco con convinzione.
76. «Ma è possibile che affronteremo mille difficoltà» – continuò l’ex rabbino preparandogli lo spirito. – «Se Cristo, che era senza peccato, trovò la croce tra insulti e flagelli quando insegnò la verità di Dio, cosa non dobbiamo aspettarci nella nostra condizione di anime fragili e bisognose?»
77. «Riuscirò a trovare le forze necessarie».
78. Saul lo guardò, ammirato dalla ferma determinazione che le sue parole lasciavano trasparire, e osservò: «Se darai testimonianza così grande come il coraggio che mostri, non ho dubbi sulla grandezza della tua missione».
79. Tra confortanti speranze, il progetto si concluse con belle prospettive di lavoro per tutti e tre.
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(Atti 12,24-25): [24]Intanto la parola di Dio cresceva e si diffondeva. [25]Barnaba e Saul poi, compiuta la loro missione, tornarono da Gerusalemme prendendo con loro Giovanni, detto anche Marco.
80. Alla prima riunione, dopo le informazioni riportate dalle osservazioni personali sulla Chiesa di Gerusalemme, Barnaba spiegò il piano all’assemblea, la quale lo ascoltò attentamente. Alcuni anziani parlarono del divario che si sarebbe aperto nella Chiesa, esprimendo il desiderio che non si rompesse l’insieme armonioso e fraterno. Tuttavia, l’oratore spiegò le nuove esigenze del Vangelo. Dipinse il quadro di Gerusalemme con la massima fedeltà possibile, fece la sintesi delle sue conversazioni con Saul di Tarso e sottolineò l’opportunità di chiamare nuovi lavoratori al servizio del Maestro.
81. Quando trattò il problema con tutta la gravità che gli era dovuta, i capi della comunità cambiarono il loro atteggiamento. Si stabilì l’accordo generale, poiché la situazione spiegata da Barnaba era molto grave. Le sue osservazioni dirompenti erano più che giuste. Se perseverava il ristagno nelle chiese, il cristianesimo sarebbe stato destinato a perire. Proprio lì il discepolo di Simon ricevette l’acquiescenza senza restrizioni, e nel momento della preghiera, in un ambiente di pura semplicità, la voce dello Spirito Santo si fece sentire, raccomandando che Barnaba e Saul si distaccassero per l’evangelizzazione dei gentili.
82. Quella raccomandazione superiore, quella voce che veniva dagli arcani celesti, fece eco nel cuore dell’ex rabbino come un canto di vittoria spirituale. Sentiva di aver appena attraversato un vasto deserto per trovare nuovamente il messaggio dolce ed eterno del Cristo. Per conquistare la dignità spirituale aveva sperimentato solo sofferenza, a cominciare dalla cecità dolorosa a Damasco. Ansimava per Gesù. Aveva una sete terribile e ardente. Aveva chiesto invano la comprensione degli amici, cercò a vuoto il calore di una famiglia. Ma ora che la parola più alta lo chiamava al servizio, si lasciò trascinare da una gioia infinita. Era il segno che, dal Cielo, era stato ritenuto degno degli sforzi confidati ai discepoli.
83. Riflettendo su come i dolori passati sembravano piccoli e infantili rispetto all’immensa gioia che inondò la sua anima, Saul di Tarso pianse copiosamente, sperimentando meravigliose sensazioni. Nessuno dei fratelli presenti e neanche Barnaba sarebbero stati in grado di valutare la grandezza dei sentimenti che quelle lacrime rivelavano. Preso da profonde emozioni, l’ex dottore della Legge riconobbe che Gesù si era degnato di accettare le sue oblazioni di buona volontà, le sue lotte e i sacrifici. Il Maestro lo chiamava e, per rispondere alla chiamata, sarebbe andato ai confini del mondo.
84. Numerosi compagni collaborarono nelle fasi iniziali a favore dell’impresa.
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(Atti 13,4-5): [4]Essi dunque, inviati dallo Spirito Santo, discesero a Selèucia e di qui salparono verso Cipro. [5]Giunti a Salamina cominciarono ad annunziare la parola di Dio nelle sinagoghe dei giudei, avendo con loro anche Giovanni come aiutante.
85. In poco tempo, pieni di fiducia in Dio, Saul e Barnaba, seguiti da Giovanni Marco, dissero addio ai fratelli, e partirono alla volta di Seleucia[48]. Il viaggio verso la costa si svolse in un clima di gioia. Ogni tanto riposavano sulle rive dell’Oronte per fare un sano pasto. All’ombra delle querce, nella pace dei boschi adornati di fiori, i missionari commentarono le loro prime speranze.
86. A Seleucia non dovettero aspettare troppo per la barca. La città era sempre piena di pellegrini che andavano in Occidente, essendo frequentata da un gran numero di imbarcazioni di ogni genere. Entusiasti dall’accoglienza dei fratelli nella fede, Barnaba e Saul salparono per Cipro, sotto l’impronta commovente e affettuosa degli adii.
87. Arrivarono sull’isola con il giovane Giovanni Marco senza incidenti degni di nota. Si fermarono a Citium per alcuni giorni, dove Barnaba risolse vari problemi di ordine familiare.
88. Prima di andar via, visitarono la sinagoga il giorno del sabato, con lo scopo di iniziare il movimento. In qualità di capo della missione, Barnaba prese la parola, cercò di combinare il testo della Legge esaminato quel giorno, con le lezioni del Vangelo, per evidenziare la superiorità della missione del Cristo.
89. Saul osservò che il compagno illustrava l’argomento con molto rispetto alle tradizioni giudaiche. Era evidente che voleva guadagnare soprattutto le simpatie del pubblico; su alcuni punti mostrò il timore di iniziare il lavoro, aprendosi a lotte così in contrasto con il suo temperamento. Gli israeliti rimasero sorpresi, ma contenti. Riflettendo sul quadro presentato da Barnaba, Saul non si sentì pienamente confortato. Riprendere Barnaba sarebbe stato ingratitudine e indisciplina; concordare con il sorriso dei connazionali perseveranti nell’errore della finzione farisaica, sarebbe stato negare la fedeltà al Vangelo. Cercò di rassegnarsi e aspettò.
90. La missione ricoprì numerose località, tra le vibrazioni di grande simpatie. In Amatunte[49] i messaggeri della Buona Novella rimasero più di una settimana. La parola di Barnaba fu profondamente conciliatoria. Si caratterizzava, in tutto, dalla grande attenzione a non offendere le sensibilità giudaiche. Dopo grandi sforzi, arrivarono a Nea Paphos dove abitava il proconsole. La sede del Governo provinciale era una prosperosa città piena di fascino naturale e contrassegnata da forti espressioni di cultura. Il discepolo di Pietro, tuttavia, era esausto. Mai aveva avuto fatiche apostoliche così intense. Sapendo della deficienza nella parola di Saul quando era a servizio nella Chiesa di Antiochia, temeva di affidare all’ex rabbino le responsabilità dirette dell’insegnamento. Nel sabato successivo al loro arrivo, nonostante si sentisse molto stanco, fece la predica nella sinagoga. Quel giorno, però, era divinamente ispirato. La presentazione del Vangelo fu fatta con rara briosità. Saul stesso rimase profondamente commosso. Il successo fu insuperabile. Il secondo incontro riunì gli elementi più fini; giudei e romani affollavano l’assemblea ansiosi. L’ex levita fece una nuova apologia del Cristo, arricchendo concetti di meravigliosa bellezza spirituale. L’ex dottore della Legge, con i lavori informativi della missione, rispondeva volentieri a tutte le domande e richieste d’informazioni. Nessuna città aveva espresso tale interesse, come questa; i romani, in gran numero, chiedevano chiarimenti in merito all’obiettivo dei messaggeri, ricevevano le notizie del Cristo, rivelando giubilo e speranze e si scioglievano in atti di spontanea gentilezza.
91. Entusiasti dell’esito, Saul e Barnaba organizzarono riunioni in case private, appositamente cedute a tale scopo dai sostenitori della dottrina di Gesù, dando inizio ad un meraviglioso movimento di guarigione. Con gioia infinita, il tessitore di Tarso vide arrivare l’estesa fila dei “figli del Calvario”. Erano madri tormentate, infermi delusi, anziani senza speranza, orfani malati che cercavano la missione. La notizia delle cure giudicate impossibili riempì Nea-Paphos di grande stupore. I missionari facevano le imposizioni delle mani con fervide preghiere al Messia nazareno, altre volte distribuivano dell’acqua pura in Suo Nome.
92. Molto stanco e constatando che il nuovo auditorio non richiedeva maggiore erudizione, Barnaba incaricò al compagno le predicazioni della Buona Novella; ma, con grande sorpresa, scoprì che Saul era cambiato radicalmente. La sua parola sembrava infiammata di nuova luce; catturava dal Vangelo lezioni così profonde, che l’ex levita ora lo ascoltava senza nascondere il proprio stupore. Notava, in particolare, l’affetto dell’ex dottore nel presentare gli insegnamenti del Cristo a mendicanti e sofferenti. Parlava come qualcuno che aveva vissuto con il Signore per molti anni. Faceva riferimento ad alcune parti delle lezioni del Maestro con abbondanti lacrime agli occhi. Prodigiose consolazioni si riversavano nello spirito della moltitudine. Giorno e notte, c’erano lavoratori e studiosi che copiavano le note di Levi.
*
(Atti 13,6-12): [6]Attraversata tutta l'isola fino a Pafo, vi trovarono un tale, mago e falso profeta giudeo, di nome Bar-Iesus, [7]al seguito del proconsole Sergio Paolo, persona di senno, che aveva fatto chiamare a sé Barnaba e Saul e desiderava ascoltare la parola di Dio. [8]Ma Elimas, il mago, - ciò infatti significa il suo nome - faceva loro opposizione cercando di distogliere il proconsole dalla fede. [9]Allora Saul, detto anche Paolo, pieno di Spirito Santo, fissò gli occhi su di lui e disse: [10]«O uomo pieno di ogni frode e di ogni malizia, figlio del diavolo, nemico di ogni giustizia, quando cesserai di sconvolgere le vie diritte del Signore? [11]Ecco la mano del Signore è sopra di te: sarai cieco e per un certo tempo non vedrai il sole». Di colpo piombò su di lui oscurità e tenebra, e brancolando cercava chi lo guidasse per mano. [12]Quando vide l'accaduto, il proconsole credette, colpito dalla dottrina del Signore.
93. Gli avvenimenti scossero l’opinione della città. I risultati erano i più confortanti. Fu quando una grande sorpresa giunse allo spirito dei missionari. La mattina era in stato avanzato e Saul stava ricevendo i numerosi bisognosi quando un legionario romano si fece annunziare. Barnaba e il suo compagno lasciarono i servizi a Giovanni Marco e andarono ad incontrare il legionario.
94. «Il proconsole Sergio Paolo…» – disse il messaggero, solennemente – «…vi manda un invito a fargli visita al palazzo».
95. Il messaggio era molto più di un invito, era un ordine! Il discepolo di Simon comprese subito e rispose: «Grazie di cuore, verremo oggi stesso».
96. L’ex rabbino era confuso, e non solo per il contenuto politico del fatto che lo sorprendeva notevolmente. Invano cercò di ricordare qualcosa. Sergio Paolo? Non conosceva qualcuno con quel nome? Cercò di rammentare i giovani di origine romana di sua conoscenza. Alla fine gli vennero in mente le conversazioni di Pietro sulla personalità di Stefano, e così concluse che il proconsole non poteva essere altro che il salvatore del fratello di Abigail.
97. Senza comunicare le profonde impressioni a Barnaba, esaminò la situazione in sua compagnia. Quali sarebbero gli obiettivi della delicata intimazione? Secondo il popolo, il capo politico soffriva di una persistente malattia. Forse desiderava guarire, o chissà, cercava un mezzo per scacciarli dall’isola, indotto dai giudei? La situazione, tuttavia, non sarebbe stata risolta con congetture.
98. Istruirono Giovanni Marco a ricevere le persone che erano interessate alla dottrina per dar loro le informazioni necessarie, mentre i due amici si misero in cammino risolutamente.
99. Guidati attraverso ampi corridoi, trovarono un uomo relativamente giovane sdraiato su di un largo divano, lasciando intravedere l’estremo abbattimento. Magro, pallido, rivelando singolare disincanto per la vita, il proconsole, tuttavia, irradiava nello sguardo dolce un’immensa bontà e un umile malinconia. Ricevette i missionari con grande simpatia, presentando a loro un mago ebreo di nome Bar-Jesu[50], che da tempo lo stava curando.
100. Sergio Paolo, prudentemente, ordinò alle guardie e ai servi di ritirarsi. Solo loro quattro rimasero in circolo intimo, e il malato parlò con amara serenità: «Signori, molti amici mi hanno dato notizie dei vostri successi in questa città di Nea-Paphos. Avete curato malattie pericolose, avete fatto ritornare la fede a molti non credenti, avete consolato semplici sofferenti... È da oltre un anno che cerco di curare la mia salute rovinata. Di conseguenza, sono quasi inutile per la vita pubblica».
101. Indicando Bar-Jesu che, a sua volta, fissava lo sguardo malizioso sui visitatori, il capo romano continuò: «Da tempo ho assunto al mio servizio questo vostro connazionale, ansioso e fiducioso nella scienza del nostro tempo, ma i risultati sono stati insignificanti. Vi ho mandato a chiamare, disposto a tentare la vostra conoscenza. Non stupitevi del mio atteggiamento. Se avessi potuto, sarei venuto di persona, perché conosco i limiti delle mie prerogative; come si vede, tuttavia, sono prima di tutto un bisognoso».
102. Saul sentì queste dichiarazioni toccato profondamente dalla gentilezza naturale dell’illustre paziente.
103. Barnaba era stordito, non sapeva cosa dire. L’ex dottore della Legge, tuttavia, padrone della situazione e quasi certo che il personaggio era lo stesso entrato nell’esistenza del martire vittorioso, prese la parola e disse con fermezza: «Nobile proconsole, abbiamo con noi, infatti, il potere di un grande medico. Siamo in grado di guarire i malati, quando essi sono disposti a comprenderLo e a seguirLo».
104. «Ma chi è?» – chiese il malato.
105. «Il suo nome è Gesù Cristo. La sua formula è sacra…» – disse ancora il tessitore, con enfasi – «…ed è destinato a curare, soprattutto le cause di tutti i mali. Come sappiamo, tutti i corpi della Terra dovranno morire. Per forza ineluttabile delle leggi naturali, noi in questo mondo non avremmo mai la salute fisica assoluta. Il nostro corpo subisce l’azione di tutti i processi degli ambienti. Il caldo dà fastidio, il freddo ci fa tremare, l’alimentazione ci modifica, gli atti della vita determinano il cambiamento delle abitudini, ma il Salvatore ci insegna a cercare una salute più reale e preziosa, che è quella dello spirito. Possedendola, avremo trasformato le cause delle preoccupazioni nella nostra vita, abilitandoci a godere della relativa salute fisica che il mondo può offrire nelle sue espressioni transitorie».
106. Mentre Bar-Jesu, ironico e sorridente, ascoltava la premessa, Sergio Paolo accompagnava la parola dell’ex rabbino, attento e commosso: «Ma come trovare questo dottore?» – chiese il proconsole, più interessato alla guarigione, che non al senso metafisico dei commenti ascoltati.
107. «Lui è la perfetta bontà». – disse Saul di Tarso – «e la Sua azione consolatrice è ovunque. Anche prima di capirLo, ci cerca con l’espressione del Suo Amore infinito! ...»
108. Notando l’entusiasmo con cui il missionario di Tarso parlava, il capo politico di Nea-Paphos cercò l’approvazione di Bar-Jesu con uno sguardo indagatore.
109. Il mago giudeo, mostrando disprezzo, disse: «Pensavamo che eravate esperti in qualche nuova scienza... Non voglio credere a quello che ho sentito. Per caso mi considerate un ignorante che non conosce il falso Profeta di Nazareth? Avete il coraggio di entrare nel palazzo di un governatore in nome di un Falegname miserabile?»
110. Saul misurò la gravità di quelle ironie, rispondendo senza intimidirsi: «Amico, quando io usavo la maschera farisaica, pensavo come te; ma ora conosco la luce gloriosa del Maestro, il Figlio del Dio vivente!...»
111. Queste parole furono pronunciate con un tono di convinzione così ardente, che lo stesso ciarlatano israelita diventò livido. Anche Barnaba impallidì, mentre il nobile patrizio osservava l’ardente predicatore con evidente interesse.
112. Dopo angosciose aspettative, Sergio Paolo disse di nuovo: «Non ho il diritto di dubitare di nessuno fino a quando le prove conclusive non mi portano a farlo». – E cercando di fissare il volto di Saul, che lo affrontava con lo sguardo inquisitore, serenamente continuò: –
113. «Mi parlate di questo Cristo Gesù, riempiendomi di stupore. Affermate che la Sua bontà ci assiste ancor prima di conoscerLo. Come ottenere una prova concreta della Sua affermazione? Se non comprendo il Messia di cui siete i messaggeri, come fare a sapere se un giorno sono stato influenzato dalla sua assistenza?»
114. Saul improvvisamente ricordò le conversazioni di Simon Pietro quando raccontava i precedenti del martire del cristianesimo. In un istante allineò i minimi episodi. E avvalendosi di ogni occasione per evidenziare l’Amore infinito di Gesù, com’è avvenuto coi fatti più piccoli della sua carriera apostolica, disse con singolare tono di voce: «Proconsole, ascoltatemi! Per dimostrarvi, o meglio, per ricordare la misericordia di Gesù di Nazareth, nostro Salvatore, voglio richiamare la vostra attenzione su un evento importante».
115. Mentre Barnaba esprimeva profonda sorpresa di fronte all’atteggiamento impavido del compagno, al politico stuzzicò la curiosità.
116. «Non è la prima volta che sperimentate una grave malattia. Quasi dieci anni fa, quando tentavate i primi passi nella vita pubblica, v’imbarcaste nel porto di Cefalonia verso quest’isola. Viaggiavate per Citium, ma prima che la nave approdasse a Corinto, siete stato colpito da una terribile febbre, il corpo aperto da ferite velenose ...».
117. Un biancore di cera si impresse sul viso del capo di Nea-Paphos. Mettendo una mano sul petto, come a contenere il battito accelerato del cuore, si alzò molto disturbato.
118. «Come fate a sapere tutto questo?» – mormorò atterrito.
119. «Non solo…» – disse il missionario, sereno – «…aspettate il resto. Per diversi giorni siete stato tra la vita e la morte. Invano i medici di bordo commentarono la vostra malattia. I vostri amici fuggirono. Quando rimaneste del tutto abbandonato, nonostante il prestigio politico del vostro incarico, il Messia nazareno vi mandò qualcuno nel silenzio della misericordia divina».
120. Il proconsole, nel risvegliare vecchi ricordi, si sentì profondamente toccato.
121. «Chi sarebbe stato il messaggero del Salvatore?» – continuò Saul, mentre Barnaba lo guardava con stupore inaudito. – «Uno dei vostri intimi? Un amico imminente? Uno dei colleghi illustri che assistevano al vostro dolore? No! Solo un umile schiavo, servo anonimo dei remi assassini. Jeziel vegliò su di voi, giorno e notte! E quello che la scienza del mondo non riuscì a fare, lo fece un cuore pieno dell’amore del Cristo! Avete capito adesso? Il vostro amico Bar-Jesu parla di un Falegname senza nome, di un Messia che ha preferito la condizione di umiltà suprema per portarci il torrente prezioso delle Sue grazie! ... Sì, anche Gesù, come quello schiavo che vi ha ripristinato la salute persa, si è fatto servo dell’uomo per condurlo ad una vita migliore! ... Quando tutti ci abbandonano, Egli è con noi; più gli amici fuggono, più la Sua bontà si avvicina. Per proteggerci dalle miserabili contingenze di questa vita mortale, dobbiamo credere in Lui e seguirlo senza indugio! ...»
122. Di fronte alle lacrime convulse del proconsole, Barnaba, stordito, rifletteva: dove aveva raccolto, il compagno, tali profonde rivelazioni? Per il suo modo di vedere, in quel momento Saul di Tarso era illuminato dal dono delle profezie.
123. «Signori, tutto questo è la pura verità! Mi avete portato la santa notizia di un Salvatore! ...» – esclamò Sergio Paolo.
124. Riconoscendo la capitolazione del generoso patrizio che riempiva la sua borsa di innumerevoli risorse, il mago israelita, anche se molto sorpreso, esclamò con energia:
125. «Bugie...! Sono bugiardi! Tutto questo è opera di Satana! Questi uomini sono portatori di sortilegi del “Cammino”! Fuori lo sfruttamento vile! ...»
126. La sua bocca schiumava, i suoi occhi scintillavano di collera. Saul rimase calmo, imperturbabile, quasi sorridente. Poi, vibrando forte, disse: «Calmatevi, amico! La collera non è amica della verità e spesso nasconde inconfessabili interessi. Voi ci accusate di essere bugiardi, ma le nostre parole non si discostano una linea dalla realtà degli eventi. Voi sostenete che il nostro sforzo viene da Satana, ma questa è un’enorme incoerenza. Dove troviamo un avversario che lavora contro se stesso? Voi dite che portiamo sortilegi; se l’amore è questo talismano, lo portiamo nel nostro cuore, desiderosi di comunicare a tutti gli esseri la sua influenza benefica. Infine, ci lanciate l’accusa di esploratori sagaci, quando siamo venuti qui chiamati da qualcuno che ci ha onorato con sincerità e fiducia, in nessuna maniera avremmo potuto offrire le grazie del Salvatore a titolo mercantesco».
127. Ci fu un’infiammata discussione, Bar-Jesu s’impegnava a dimostrare l’inferiorità delle intenzioni di Saul, e questi si sforzava di dimostrare cordialità e nobiltà.
128. Inutilmente il proconsole cercò di dissuadere il giudeo di continuare nel litigio e in quel tono. Barnaba, a sua volta, fidandosi molto di più sui poteri spirituali dell’amico, accompagnò la discussione senza nascondere l’ammirazione per le infinite risorse che il missionario di Tarso stava rivelando.
129. La controversia durò per più di un’ora, fino a quando il mago fece un’allusione feroce sulla personalità e le opere di Gesù Cristo.
130. Con atteggiamento più energico, l’apostolo sentenziò: «Ho fatto di tutto per convincervi senza dimostrazioni più dirette, in modo da non danneggiare la parte rispettabile delle vostre convinzioni; tuttavia siete cieco, ed è da questa condizione che potrete vedere la luce. Come voi, anch’io ho vissuto nell’oscurità e, nell’istante del mio incontro personale con il Messia, fu necessario che penetrassi nella tenebra del mio spirito, in modo che la luce sorgesse più splendente. Avrete ugualmente questo beneficio. La vista del corpo adesso si chiude per voi, affinché possiate discernere in spirito la verità! ...»
131. In quello stesso momento Bar-Jesu emise un grido.
132. «Sono cieco!»
133. Sorse una certa confusione nella sala. Barnaba si fece avanti per sostenere l’israelita che, afflitto, camminava a tentoni. Il tessitore e il proconsole si avvicinarono sorpresi. Furono chiamati alcuni servi, amorevoli e premurosi, che soddisfarono le esigenze del momento. Per quattro lunghe ore, Bar-Jesu pianse, immerso nella fitta ombra che gli aveva invaso gli occhi stanchi. Alla fine di quelle ore, i missionari pregarono in ginocchio... Una blanda serenità si stabilì nella vasta sala. Allora Saul gli pose le mani sulla fronte e, con un sospiro di sollievo, il vecchio israelita riacquistò la vista, ritirandosi confuso e arreso.
134. Il proconsole, tuttavia, profondamente interessato ai fatti di quell’intensa giornata, chiamò i missionari in privato e parlò interessato: «Amici, credo nelle verità divine che annunziate e desidero sinceramente partecipare al Regno atteso. Ciononostante, voglio conoscere i vostri obiettivi di lavoro, e infine, i vostri piani. Sono consapevole che non commerciate i doni spirituali di cui siete portatori, così propongo di assistervi con i miei servizi per quello che mi è possibile. Posso conoscere i progetti che vi animano?»
135. I due missionari si guardarono, sorpresi. Barnaba non si era ancora ripreso dallo stupore che il suo compagno gli aveva causato. Saul, a sua volta, mal dissimulava il proprio turbamento per l’assistenza spirituale che aveva ottenuto nel suo desiderio di confondere le cattive intenzioni di Bar-Jesu.
136. Riconoscendo, tuttavia, l’elevato e sincero interesse del capo politico della provincia, chiarì con gioia i concetti: «Il Salvatore ha fondato la religione dell’amore e della verità, istituzione invisibile e universale dove si accolgono tutti gli uomini di buona volontà. Il nostro scopo è quello di dare una caratteristica visibile all’opera divina, creando templi uniti nello stesso principio e in Suo Nome. Abbiamo valutato la delicatezza di tale sforzo e siamo certi che sorgeranno sul nostro cammino le maggiori difficoltà. È quasi impossibile trovare le risorse umane indispensabili per l’impresa, ma è necessario movimentare il piano. Quando falliranno gli elementi dell’istituzione visibile, aspetteremo nella Chiesa infinita, dove nelle luci dell’universalità, Gesù sarà la Guida suprema di tutte le forze che si consacreranno al bene».
137. «Si tratta di una iniziativa sublime» – disse il proconsole mostrando nobile interesse. – «Dove avete cominciato la costruzione dei santuari?»
138. «La nostra missione sta iniziando precisamente ora. I discepoli del Messia hanno fondato le chiese di Gerusalemme e di Antiochia. Per adesso non abbiamo altri centri educativi che questi. Ci sono molti cristiani da tutte le parti, ma le riunioni sono fatte in case private. Non possiedono propri templi in modo da consentire un’efficiente azione di soccorso e propaganda».
139. «Nea-Paphos avrà, quindi, la prima Chiesa, la figlia del vostro lavoro diretto».
140. Saul non sapeva come mostrare la sua gratitudine per il gesto di spontanea generosità. Profondamente commosso, si fece avanti e, con il cittadino di Cipro, ringraziò il dono che era venuto ad onorare e facilitare l’opera apostolica.
141. I tre parlarono ancora a lungo sulle imprese future. Sergio Paolo gli chiese di indicargli le persone capaci di costruire il nuovo tempio, mentre Barnaba e il compagno esponevano le loro speranze. Solo di notte i missionari poterono tornare all’umile tenda delle predicazioni.
142. «Sono impressionato!» – disse Barnaba ricordando l’avvenimento. – «Cosa hai fatto? Suppongo che oggi è il giorno più bello della tua esistenza. La tua parola aveva un timbro diverso e sacro; adesso hai il dono delle profezie... Inoltre, il Maestro ti ha dotato con il potere di dominare le idee maligne. Hai visto come il ciarlatano sentiva l’influenza delle potenti energie, quando hai fatto il tuo appello?»
143. «Saul ascoltò attento, e con grande semplicità evidenziò: «Anch’io non so come esprimere il mio stupore per le grazie ricevute. È attraverso Cristo che siamo diventati strumenti della conversione col proconsole, la verità poi è che noi stessi non valiamo niente».
144. «Non dimenticherò mai più gli avvenimenti di oggi» – disse l’ex levita stupito. E dopo una pausa: «Saul, quando Anania ti battezzò, non suggerì il cambiamento del tuo nome?»
145. «Non mi ricordo di questo».
146. «Bene, suppongo che d’ora innanzi, dovrai considerare la tua vita come nuova. Sei stato illuminato per grazia del Maestro, hai avuto la tua Pentecoste, sei stato consacrato apostolo per i lavori divini della redenzione».
147. L’ex dottore della Legge non nascose la sua meraviglia e concluse: «Significa molto per me che un capo politico sia attratto da Gesù attraverso di noi, perché il nostro compito è chiamare i gentili al Sole divino del Vangelo di salvezza».
148. Intimamente ricordò i vincoli che lo legavano alla memoria sublime di Stefano, la generosa influenza del patrizio romano che lo aveva liberato dal duro lavoro della schiavitù e, invocando la memoria del martire, in una supplica silenziosa, disse commosso: «Io so, Barnaba, che molti dei nostri compagni hanno cambiato nome una volta convertiti all’amore di Gesù, volendo sottolineare così la separazione dagli errori fatali nel mondo. Non ho voluto, comunque, avvalermi di questa risorsa. Tuttavia, la trasformazione del governatore alla luce della grazia che ci ha seguito nel corso degli eventi di oggi, mi hanno portato a cercare un motivo di perenni ricordi».
149. Dopo una lunga pausa, facendo capire quanto riflettesse per prendere tale decisione, disse: «Ragioni profonde, perfettamente rispettabili, mi obbligano a riconoscere d’ora in poi, un benefattore nel capo politico di quest’isola. Senza cambiare formalmente il mio nome, passerò a firmarmi alla romana».
150. «Bene…» – rispose il compagno – «…tra Saul e Paolo non vi è alcuna differenza, se non l’abitudine di grafia o di pronuncia. La decisione sarà un bellissimo omaggio alla nostra prima vittoria missionaria tra i gentili, allo stesso tempo sarà un ricordo piacevole di uno spirito così generoso».
151. Su questo fatto si basò il cambiamento di una lettera nel nome dell’ex discepolo di Gamaliel. Di carattere integro ed energico, il rabbino di Gerusalemme, anche se trasformato in modesto tessitore e addentrato nel cristianesimo, non volle modificare la sua innata fedeltà. Se aveva servito Mosè come Saul, con lo stesso nome avrebbe servito anche Gesù Cristo. Se aveva sbagliato ed era stato perverso nella prima condizione, avrebbe approfittato dell’opportunità dei Cieli per correggere l’esistenza e sarebbe diventato un uomo buono e giusto nella seconda. Su questo particolare, non si è mai lasciato influenzare da qualsiasi suggerimento degli amici.
152. Fu il primo persecutore dell’istituzione cristiana, carnefice inflessibile del proselitismo nascente, ma fece questione a continuare come Saul, per ricordarsi di tutto il male e sforzarsi di fare tutto il bene alla sua portata, ma in quel momento la memoria di Stefano parlava dolcemente al suo cuore. Lui era il suo più grande esempio nel cammino spirituale. Era il Jeziel amato da Abigail. Per trovare lui, entrambi avevano promesso di cercarlo, senza esitazione, fosse dove fosse. I due fratelli di Corinto erano così vivi nella sua anima sensibile, che non fu possibile cancellare la loro memoria nei minimi fatti della sua vita.
153. La mano di Gesù lo aveva portato dal proconsole, il liberatore delle catene di Jeziel dalla prigionia; l’ex schiavo che arrivò a Gerusalemme per diventare un discepolo di Cristo! L’ex rabbino si sentiva felice per essere stato aiutato dalle forze divine, divenendo a sua volta il liberatore di Sergio Paolo, schiavo della sofferenza e delle illusioni pericolose del mondo. Era giusto imprimere nella memoria un ricordo indelebile di colui che fu la sua vittima a Gerusalemme, e che ora era un benedetto fratello, che mai più avrebbe potuto dimenticare nei più fugaci momenti della sua vita e del suo ministero.
154. Da allora in poi il convertito di Damasco, in memoria dell’indimenticabile predicatore del Vangelo che fu lapidato, cominciò a firmarsi Paolo fino alla fine dei suoi giorni.
155. La notizia della guarigione e della conversione del proconsole riempì Nea-Paphos di stupore. I missionari non avevano più riposo. Anche con la protesta quasi spenta degli israeliti, la comunità crebbe notevolmente. Reintegrato nei beni della salute, il capo provinciale fornì il necessario per la costruzione della Chiesa. Il movimento era straordinario. E i due messaggeri del Vangelo non cessarono di rendere grazie a Dio.
156. Il trionfo li circondava di profonda considerazione. Quando Paolo fu cercato da Bar-Jesu che chiese la parola in privato, l’ex rabbino non esitò. Era una buona occasione per dimostrare al vecchio israelita i suoi scopi generosi e sinceri. Dopodiché lo accolse con tutta affabilità.
157. Bar-Jesu sembrava sopraffatto dalla timidezza. Dopo aver salutato il missionario, sollecito, si espresse con un certo imbarazzo: «In fin dei conti, avevo bisogno di annullare l’equivoco, nel caso del proconsole. Nessuno più di me desiderava tanto la salute dell’infermo e, pertanto, nessuno è più grato di me per il vostro intervento, liberandolo dalla sua dolorosa malattia».
158. «Sono molto grato per la vostra opinione e mi rallegro per la vostra comprensione» – disse Paolo, dolcemente.
159. «Tuttavia...».
160. Il visitatore esitava se doveva o meno esporre i suoi pensieri più intimi.
161. Attento alle reticenze senza presumere la loro causa, l’ex rabbino fece un passo avanti benevolo: «Cosa mi volete dire? Siate franco, niente cerimonie!»
162. «Succede che…» – continuò più eccitato – «…ho accarezzato l’idea di consultarvi per quanto riguarda i vostri doni spirituali. Penso che non ci sia tesoro più grande per avere successo nella vita...».
163. Paolo era confuso, non sapeva che direzione avrebbe preso la conversazione. Ma concentrandosi sul punto più delicato della pretesa, Bar-Jesu continuò: «Quanto guadagnate nel vostro ministero?»
164. «Guadagno la misericordia di Dio…» – disse il missionario, che comprese tutta l’estensione di quella visita inattesa – «…vivo del mio lavoro di tessitore e non sarebbe lecito mercanteggiare con ciò che appartiene al Padre che è nei Cieli».
165. «È quasi incredibile!» – mormorò il mago spalancando gli occhi. – «Ero convinto che portavate con voi alcuni talismani che avrei comprato a qualsiasi prezzo».
166. E mentre l’ex rabbino lo guardava pieno di commiserazione per la sua ignoranza, il visitatore continuò: «Ma è possibile che voi facciate simili opere senza il contributo di alcun sortilegio?»
167. Il missionario lo fissò più attento e sussurrò: «Conosco un solo sortilegio efficiente».
168. «Quale?» – chiese il mago con lo sguardo agitato e avido.
169. «È la fede in Dio attraverso il sacrificio di noi stessi!»
170. Il vecchio israelita mostrò di non capire il pieno significato di quelle parole, e obiettò: «Sì, ma la vita ha delle sue esigenze urgenti. È essenziale prevedere e accumulare risorse».
171. «Paolo ci pensò per un attimo e poi disse: «Di me stesso, non ho nulla con cui chiarirvi. Ma Dio ha sempre una risposta alle nostre preoccupazioni più semplici. Consultiamo le Sue eterne verità. Vediamo quale messaggio è destinato al vostro cuore».
172. Avrebbe aperto il Vangelo secondo il suo solito, quando il visitatore osservò: «Non so nulla di questo libro. Per me, quindi, non può portare ad alcuna riflessione».
173. Il missionario capì la riluttanza e disse: «Cosa conosci allora?»
174. «Mosè e i profeti».
175. Prese il rotolo di pergamena dove si poteva leggere la Legge antica e lo diede al vecchio malizioso, affinché scegliesse una frase a caso, secondo le abitudini del tempo.
176. Tuttavia, Bar-Jesu, con evidente riluttanza, disse: «Leggo i profeti solo in ginocchio».
177. «Potete leggere come volete, perché l’atto di comprendere è ciò che a noi interessa prima di tutto».
178. Mostrando le sue presunzioni farisaiche, il ciarlatano s’inginocchiò e aprì solennemente il testo, sotto lo sguardo sereno e indagatore dell’ex rabbino. Il vecchio israelita si fece pallido. Abbozzò un gesto per estraniarsi alla lettura, ma Paolo percepì il sottile movimento, si avvicinò e disse con una certa impetuosità: «Cerchiamo di leggere il messaggio perenne degli emissari di Dio».
179. Si trattava di un frammento dei Proverbi che Bar-Jesu pronunziò ad alta voce, con grande delusione: “Due cose ti chiedo; non negarmele prima che io muoia. Allontana da me vanità e menzogne. Non darmi né povertà né ricchezza. Concedimi solamente il cibo che necessito, affinché non capiti che una volta sazio, io ti rinneghi e dica: ‘Chi è Jehova?, oppure, ridotto all’indigenza, non rubi e profani il Nome del mio Dio”[51].
180. Il mago rimase sconcertato; anche il missionario rimase sorpreso.
181. «Avete visto, amico?» – disse Paolo. – «La parola della verità è molto eloquente. Nell’esistenza sarà un grande talismano saper vivere con le proprie risorse, senza andare al di là di quanto è necessario per il nostro arricchimento spirituale».
182. «Effettivamente…» – rispose il ciarlatano – «…questo processo di consultazione è molto interessante. Mediterò seriamente sull’esperienza di oggi».
183. Subito dopo lo salutò, dopo aver farfugliato alcuni monosillabi che a malapena mascheravano il fastidio che lo aveva colpito.
184. Impressionato, il tessitore consacrato a Cristo annotò le profonde esortazioni, per consolidare il suo programma di attività spirituali libero da bassi interessi.
185. La missione rimase a Nea-Paphos ancora per qualche giorno, sopraffatta da molto lavoro. Giovanni Marco collaborava con le risorse a sua disposizione; tuttavia, di tanto in tanto, Barnaba lo sorprendeva rattristato e lamentoso, poiché non si aspettava di trovare così tanto lavoro.
186. «È meglio così…» – disse Paolo – «…il servizio del bene è il baluardo difensivo contro le tentazioni».
187. Il giovane si rassegnò, ma il suo disappunto era evidente. Inoltre, fedele osservante del giudaismo, nonostante la passione per il Vangelo, il figlio di Maria Marco avvertiva enormi scrupoli sull’ampiezza di vedute dello zio e del missionario, in relazione ai gentili. Voleva servire Gesù, sì, con tutto il cuore, ma non poteva separare il Maestro dalle tradizioni che conosceva fin dall’infanzia.
188. Mentre i semi sparsi a Cipro iniziavano a germogliare nel terreno dei cuori, i lavoratori del Messia lasciavano Nea-Paphos assorbiti da grandi speranze.
*
(ATTI 13,13): [13]Salpati da Pafo, Paolo e i suoi compagni giunsero a Perge di Panfilia. Giovanni (Marco) si separò da loro e ritornò a Gerusalemme.
189. Dopo molto confabulare, Paolo e Barnaba decisero di estendere la missione al popolo della Panfilia[52], con grande disappunto per Giovanni Marco, che si meravigliava di tale proposta.
190. «Cosa facciamo con queste persone così diverse?» – chiese il giovane contrariato. – «A Gerusalemme sappiamo che questa provincia è popolata da creature molto ignoranti. E anche, che ci sono ladri dappertutto».
191. «Tuttavia…» – disse Paolo, convinto – «…penso che dovremmo andare in questa regione proprio per questo. Per altri, un viaggio ad Alessandria è in grado di offrire maggiore interesse, ma tutti questi grandi centri sono pieni di maestri della parola. Possiedono sinagoghe importanti, un alta conoscenza, grandi esponenti della scienza e della ricchezza. Se non servono Dio, è per cattiva volontà o durezza di cuore. La Panfilia è invece molto povera e primitiva, manca di luce spirituale. Prima di insegnare a Gerusalemme, il Maestro scelse di manifestarsi a Cafarnao e negli altri villaggi quasi anonimi della Galilea».
192. Davanti a queste argomentazioni inoppugnabili, Giovanni Marco si astenne dall’insistere.
193. Nel giro di pochi giorni, la semplice imbarcazione li lasciò ad Attalia, dove Paolo e Barnaba trovavano singolare incanto nei paesaggi che circondavano il Cestro[53].
194. In questa località molto povera, predicarono la Buona Novella all’aria aperta, con immenso successo. Osservando nel compagno un’impronta superiore, Barnaba praticamente consegnò la direzione del movimento all’ex rabbino, la cui parola sapeva destare affascinanti estasi. Il popolo semplice accolse la predicazione di Paolo con profondo interesse. Parlava di Gesù come di un principe celeste che aveva visitato il mondo e adesso aspettava i sudditi amati nella sfera della glorificazione spirituale. Si notava l’attenzione che gli abitanti di Attalia davano all’argomento. Alcuni chiedevano copie delle lezioni del Vangelo, altri cercavano di compiacere i messaggeri del Maestro con quello che avevano di meglio. Molto commossi, ricevevano i doni amorevoli dei nuovi amici che, quasi sempre, erano costituiti da pane, arance o pesce.
195. Il soggiorno nella città portò nuovi problemi. Era essenziale una minima attività culinaria. Barnaba, delicatamente, nominò il nipote per la mansione, ma il giovane non riusciva a nascondere la sua contrarietà.
196. Notando il suo imbarazzo, Paolo si fece avanti, premuroso: «Non ci impressioniamo dai problemi di ordine naturale. D’ora in avanti cercheremo di limitare i nostri bisogni e i gusti alimentari. Mangeremo solo pane, frutta, miele e pesce. Così, il lavoro nella cucina verrà semplificato e ridotto alla preparazione del pesce arrostito, di cui ho grande pratica dal mio ritiro lì nel Tauro. Che Giovanni Marco non si affligga con il problema, è giusto che questa parte sia un mio incarico».
197. Nonostante l’attitudine generosa di Paolo, il giovane continuava imbronciato.
198. In seguito la missione affittò una barca, e prese la direzione di Perge. In questa città di una certa importanza per la regione in cui si localizzava, annunciarono il Vangelo con immensa dedizione. Nella piccola sinagoga, riempirono il sabato di grande movimento. Alcuni giudei e numerosi gentili, nella maggior parte, gente povera e semplice, accolsero i missionari pieni di gioia. Le notizie del Cristo risvegliarono singolare curiosità e incantamento. Il modesto tugurio, affittato da Barnaba, era pieno di creature desiderose di ottenere delle copie delle note di Levi. Paolo si rallegrò. Sperimentava una gioia indefinibile al contatto con quei cuori umili e semplici, i quali davano al suo spirito stanco di casistica la dolce impressione della verginità spirituale. Alcuni domandavano della posizione di Gesù nella gerarchia degli dèi del paganesimo; altri volevano sapere perché avessero crocifisso il Messia, senza riguardo ai suoi alti titoli, come Messaggero dell’Eterno.
199. La regione era piena di superstizioni e credenze. La cultura giudaica si limitava all’ambiente chiuso delle sinagoghe. La missione, nonostante consacrasse il suo maggiore sforzo per gli israeliti, predicando nell’ambito di coloro che seguivano la Legge di Mosè, interessava i più oscuri strati della popolazione in ragione delle guarigioni e dell’invito amorevole al Vangelo, movimento in cui questi operai di Gesù mettevano tutti i loro sforzi.
200. Pienamente soddisfatti, Paolo e Barnaba decisero di proseguire da lì per Antiochia di Pisidia. Informato a questo proposito, Giovanni Marco non riuscì più a lungo a calmare le sue più interiori paure e chiese: «Pensavo che non saremmo andati più lontani della Panfilia. Perché ora raggiungere Antiochia? Non abbiamo risorse per attraversare gli immensi precipizi. Le foreste sono infestate dai banditi, il fiume pieno di rapide non permette il transito delle barche. E le notti? Come dormire? Questo viaggio non si può fare senza animali né servi, che non abbiamo».
201. Paolo meditò per un istante e gli disse: «Ebbene, Giovanni, quando lavoriamo per qualcuno, lo facciamo con amore. Penso che annunciare il Cristo a chi non lo conosce, in vista delle numerose difficoltà naturali, rappresenti una gloria per noi. Lo spirito di servizio non dà mai la parte più difficile agli altri. Il Maestro non trasferì la sua croce ai Suoi compagni. Nel nostro caso, se avessimo avuto molti schiavi e cavalli, non sarebbero loro i portatori delle responsabilità più pesanti, a cui si riferiscono le questioni propriamente materiali? Il lavoro di Gesù, nondimeno, è così grande ai nostri occhi, che dobbiamo disputarlo con gli altri in qualsiasi parte della sua esecuzione, a nostro personale beneficio».
202. Il giovane sembrava ancora più angosciato. L’energia di Paolo era sconcertante.
203. «Ma non sarebbe più prudente…» – disse molto pallido – «…arrivare fino ad Alessandria e organizzare, perlomeno, alcune risorse più facili?»
204. Mentre Barnaba seguiva la conversazione con la serenità che gli era peculiare, l’ex rabbino continuò: «Dai troppa importanza agli ostacoli. Hai mai considerato le difficoltà che il Signore, sicuramente, ha vinto per venire da noi? Anche se poteva attraversare liberamente gli abissi spirituali per raggiungere il nostro cerchio di perversità e di ignoranza, dobbiamo considerare il muro di fango delle nostre viscerali miserie... E tu ti spaventi del breve tratto che ci separa dalla Pisidia?»
205. Il giovane tacque, chiaramente infastidito. L’argomentazione era troppo forte ai suoi occhi, e non riusciva a trovare nessun’altra obiezione.
206. Di notte, Barnaba, visibilmente preoccupato, si avvicinò al compagno, esponendo le intenzioni di suo nipote. Il giovane aveva deciso di tornare a Gerusalemme in qualsiasi modo. Paolo ascoltò tranquillamente le spiegazioni, come qualcuno che non poteva opporsi a qualsiasi decisione di embargo.
207. «Non possiamo accompagnarlo, perlomeno, fino al punto più vicino alla sua destinazione?» – domandò l’ex levita di Cipro, come uno zio premuroso.
208. «Destinazione?» – chiese Paolo sbalordito. – «Ma noi abbiamo già la nostra. Da quando ci siamo messi d’accordo decidemmo di andare ad Antiochia. Non posso impedire che tu faccia compagnia al ragazzo; nonostante ciò, non devo modificare il percorso tracciato. Nel caso decidi di ritornare, proseguo da solo. Giudico che le opere di Gesù abbiano il loro momento giusto per attuarsi. È necessario approfittarne. Se rimandiamo la visita alla Pisidia al prossimo mese, forse sarà tardi».
209. Barnaba ponderò alcuni minuti, poi ribatté con convinzione: «La tua osservazione è incontestabile. Non posso infrangere gli impegni. Inoltre, Giovanni è un uomo e può ritornare da solo. Ha dei soldi indispensabili a questo fine, in virtù delle cure materne».
210. «I soldi quando non ben spesi…» – disse Paolo tranquillamente – «…dissolvono i legami e le responsabilità più sante».
211. La conversazione finì, mentre Barnaba ritornava a consigliare il nipote, molto colpito.
212. Due giorni dopo, prima di prendere il traghetto che lo avrebbe portato alla foce del Cestro, il figlio di Maria Marco salutò l’ex dottore di Gerusalemme con un sorriso discreto.
213. Paolo lo abbracciò senza allegria e gli parlò con un tono di sereno avvertimento: «Dio ti benedica e ti protegga. Non dimenticare che il cammino verso il Cristo è fatto ugualmente di successioni. Tutti dovremmo arrivare bene; tuttavia, coloro che si allontanano, devono arrivare bene per conto proprio.
214. «Sì…» – disse il giovane imbarazzato – «…cercherò di lavorare e servire Dio con tutta la mia anima».
215. «Fai bene, e così facendo farai il tuo dovere» – disse l’ex rabbino convinto. – «Ricorda sempre, che quando Davide era impegnato, rimase fedele all’Onnipotente, ma quando si riposò, cedette all’adulterio; Salomone durante i servizi pesanti nella costruzione del Tempio era puro nella fede, ma quando arrivò il riposo, fu vinto dalla dissolutezza; Giuda iniziò bene ed era discepolo diretto del Signore, ma bastò la vista dell’ingresso trionfale del Maestro a Gerusalemme, per soccombere al tradimento e alla morte. Con così tanti esempi esposti ai nostri occhi, sarà utile per noi non riposare mai».
216. Il nipote di Barnaba partì sinceramente toccato da queste parole che lo avrebbero seguito in futuro come un richiamo costante.
*
217. Dopo l’episodio, i due missionari si avviarono per le strade impervie. Per la prima volta furono costretti a passare la notte all’aperto, nel seno della natura. Vincendo precipizi, trovarono una grotta rocciosa in cui nascondersi e riposare il corpo abbattuto e dolente. La seconda giornata di marcia rivelò il loro coraggio indomito. L’alimentazione era costituita da alcuni pani portati da Perga ed i frutti di bosco raccolti lì. Risoluti e di buonumore, affrontarono e superarono tutti gli ostacoli. Di tanto in tanto, per guadagnare l’altra sponda del fiume, era necessario oltrepassare barriere insormontabili. Ed eccoli, cauti, toccare l’alveo dei torrenti con lunghi bastoni verdi oppure domando percorsi pericolosi e ignoti.
218. La solitudine suggeriva loro dei bei pensieri. Sacro ottimismo fuoriusciva dai minimi concetti. Entrambi accarezzavano cari ricordi del passato affettivo e speranzoso. Come uomini sperimentavano tutte le esigenze umane, ma era profondamente toccante la fedeltà con la quale si arrendevano al Cristo, confidando nel Suo Amore l’esecuzione dei santi desideri di una vita superiore.
219. Nella seconda notte si accomodarono in una piccola grotta, un po’ distante dallo stretto sentiero, poco dopo l’ultima ombra del crepuscolo. Dopo un pasto frugalissimo, chiacchieravano allegramente sugli esiti della Chiesa di Gerusalemme. Era notte fonda e ancora le loro voci rompevano il grande silenzio. Incrementando gli argomenti, cominciarono a parlare dell’eccellenza del Vangelo, esaltando la grandezza della missione di Gesù Cristo.
220. «Se gli uomini sapessero...» – disse Barnaba facendo paragoni.
221. «Tutti si riunirebbero attorno al Signore e si riposerebbero» – affermò Paolo pieno di convinzione.
222. «Lui è il Principe che regnerà su tutti».
223. «Nessuno ha portato in questo mondo una ricchezza più grande».
224. «Ah!» – commentò il discepolo di Simon Pietro. – «Il tesoro di chi fu messaggero, ingrandirà la Terra per sempre».
225. E così continuarono, avvalendosi di preziose immagini della vita comune per simboleggiare i beni eterni, allorquando, un singolare movimento destò la loro attenzione. Due uomini armati si precipitarono su di loro, sotto la debole luce di una fiaccola accesa con le resine.
226. «La borsa!» – gridò uno dei malfattori.
227. Barnaba impallidì lievemente, ma Paolo era calmo e impassibile.
228. «Consegnatemi tutto quello che avete, o morirete!» – esclamò l’altro bandito, sollevando il pugnale.
229. Fissando gli occhi sul suo compagno, l’ex rabbino ordinò: «Da’ loro il denaro che rimane, Dio provvederà alle nostre esigenze in altro modo».
230. Barnaba svuotò la borsa che portava nelle pieghe della sua tunica, mentre i malfattori raccoglievano, con avidità, la piccola somma.
231. Notando i rotoli del Vangelo che i missionari consultavano alla luce delle fiaccole improvvisate, uno dei rapinatori chiese diffidente e ironico: «Che documenti sono questi? Parlavate di un principe opulento... Abbiamo sentito riferimenti a un tesoro... Che significa tutto questo?»
232. Con ammirevole presenza di spirito, Paolo spiegò: «Sì, in effetti, questi rotoli sono la mappa per un immenso tesoro che ci ha dato Cristo Gesù, che regnerà su tutti i principi della Terra».
233. Uno dei banditi, molto interessato, esaminò il rotolo con le note di Levi.
234. «Chi troverà questo tesoro…» – continuò Paolo, risoluto – «…non avrà mai più altre esigenze».
235. I ladri guardarono il Vangelo attentamente.
236. «Rendete grazie a Dio che non vi togliamo la vita» – disse uno di loro.
237. E spegnendo la fiaccola tremolante, scomparvero nella notte.
238. Quando furono soli, Barnaba non riuscì a nascondere lo stupore.
239. «E adesso?» – chiese con voce tremante.
240. «La missione va benissimo…» – commentò Paolo pieno di buonumore – «…non contavo su una così grande occasione per portare la Buona Novella ai ladri».
241. Il discepolo di Pietro, vedendo tale serenità, disse di nuovo: «Ma ci hanno portato via anche gli ultimi pani d’orzo e i mantelli...».
242. «Ci sarà sempre un po’ di frutta per strada…» – disse Paolo, deciso – «…e per quanto riguarda i mantelli, non abbiamo bisogno di maggior cura, perché non ci mancherà il muschio degli alberi». – e, ansioso di rassicurare il compagno, aggiunse: «In realtà, non abbiamo più soldi, ma credo che non sarà difficile ottenere lavoro con i tessitori di Antiochia di Pisidia. Inoltre, la regione è molto distante dai grandi centri, posso portare alcune novità ai colleghi del mestiere. Questa circostanza sarà vantaggiosa per noi».
243. Dopo aver tessuto nuove speranze, dormirono all’aperto, sognando le gioie del regno di Dio.
*
(Atti 13,14-43): [14]Essi invece proseguendo da Perge, arrivarono ad Antiochia di Pisidia ed entrati nella sinagoga nel giorno di sabato, si sedettero. [15]Dopo la lettura della Legge e dei Profeti, i capi della sinagoga mandarono a dir loro: «Fratelli, se avete qualche parola di esortazione per il popolo, parlate!». [16]Si alzò Paolo e fatto cenno con la mano disse: «Uomini di Israele e voi timorati di Dio, ascoltate. [17]Il Dio di questo popolo d'Israele scelse i nostri padri ed esaltò il popolo durante il suo esilio in terra d'Egitto, e con braccio potente li condusse via di là. [18]Quindi, dopo essersi preso cura di loro per circa quarant'anni nel deserto, [19]distrusse sette popoli nel paese di Canaan e concesse loro in eredità quelle terre, [20]per circa quattrocentocinquanta anni. Dopo questo diede loro dei Giudici, fino al profeta Samuele. [21]Allora essi chiesero un re e Dio diede loro Saul, figlio di Cis, della tribù di Beniamino, per quaranta anni. [22]E, dopo averlo rimosso dal regno, suscitò per loro come re Davide, al quale rese questa testimonianza: Ho trovato Davide, figlio di Iesse, uomo secondo il mio cuore; egli adempirà tutti i miei voleri. [23]Dalla discendenza di lui, secondo la promessa, Dio trasse per Israele un salvatore, Gesù. [24]Giovanni aveva preparato la sua venuta predicando un battesimo di penitenza a tutto il popolo d'Israele. [25]Diceva Giovanni sul finire della sua missione: Io non sono ciò che voi pensate che io sia! Ecco, viene dopo di me uno, al quale io non sono degno di sciogliere i sandali. [26]Fratelli, figli della stirpe di Abramo, e quanti fra voi siete timorati di Dio, a noi è stata mandata questa parola di salvezza. [27]Gli abitanti di Gerusalemme infatti e i loro capi non l'hanno riconosciuto e condannandolo hanno adempiuto le parole dei profeti che si leggono ogni sabato; [28]e, pur non avendo trovato in lui nessun motivo di condanna a morte, chiesero a Pilato che fosse ucciso. [29]Dopo aver compiuto tutto quanto era stato scritto di lui, lo deposero dalla croce e lo misero nel sepolcro. [30]Ma Dio lo ha risuscitato dai morti [31]ed egli è apparso per molti giorni a quelli che erano saliti con lui dalla Galilea a Gerusalemme, e questi ora sono i suoi testimoni davanti al popolo. [32]E noi vi annunziamo la buona novella che la promessa fatta ai padri si è compiuta, [33]poiché Dio l'ha attuata per noi, loro figli, risuscitando Gesù, come anche sta scritto nel salmo secondo: Mio figlio sei tu, oggi ti ho generato. [34]E che Dio lo ha risuscitato dai morti, in modo che non abbia mai più a tornare alla corruzione, è quanto ha dichiarato: Darò a voi le cose sante promesse a Davide, quelle sicure. [35]Per questo anche in un altro luogo dice: Non permetterai che il tuo santo subisca la corruzione. [36]Ora Davide, dopo aver eseguito il volere di Dio nella sua generazione, morì e fu unito ai suoi padri e subì la corruzione. [37]Ma colui che Dio ha risuscitato, non ha subìto la corruzione. [38]Vi sia dunque noto, fratelli, che per opera di lui vi viene annunziata la remissione dei peccati [39]e che per lui chiunque crede riceve giustificazione da tutto ciò da cui non vi fu possibile essere giustificati mediante la legge di Mosè. [40]Guardate dunque che non avvenga su di voi ciò che è detto nei Profeti: [41]Mirate, beffardi, stupite e nascondetevi, poiché un'opera io compio ai vostri giorni, un'opera che non credereste, se vi fosse raccontata!». [42]E, mentre uscivano, li pregavano di esporre ancora queste cose nel prossimo sabato. [43]Sciolta poi l'assemblea, molti giudei e proseliti credenti in Dio seguirono Paolo e Barnaba ed essi, intrattenendosi con loro, li esortavano a perseverare nella grazia di Dio.
244. Il giorno dopo, Barnaba continuava ad essere preoccupato. Interrogato dal compagno, confessò mestamente: «Sono rassegnato alla totale mancanza di risorse materiali, ma non posso dimenticare che ci hanno sottratto anche le note evangeliche che possedevamo. Come iniziare il nostro compito? Anche se sappiamo a memoria gli insegnamenti, non siamo in grado di riportare tutte le sue sfumature...».
245. Paolo fece un gesto significativo e, sbottonandosi la tunica, tirò fuori qualcosa che aveva vicino al cuore.
246. «Ti sbagli, Barnaba…» – disse con un sorriso ottimista – «…ho qui il Vangelo che mi ricorda la bontà di Gamaliel. Fu un regalo di Simon Pietro al mio vecchio mentore, che a sua volta me ne fece dono poco prima di morire».
247. Il missionario di Cipro strinse tra le mani il tesoro del Cristo. Il giubilo tornò ad illuminare il suo cuore. Poteva fare a meno di tutte le comodità del mondo, ma la Parola di Gesù era essenziale. Superando ostacoli di tutti i tipi, giunsero ad Antiochia profondamente abbattuti. Paolo, particolarmente, in certi momenti della notte si sentiva stanco e febbricitante. Barnaba aveva frequenti eccessi di tosse. Il primo contatto con la natura ostile aveva comportato ai due messaggeri del Vangelo forti squilibri organici. Nonostante le cattive condizioni di salute, il tessitore di Tarso, la mattina dell’arrivo, cercò di informarsi subito sulle tende di cuoio esistenti in città.
248. Antiochia di Pisidia aveva molti israeliti. Il suo movimento mercantile era più che regolare. Le vie pubbliche ostentavano botteghe ben assortite e varie piccole industrie. Confidando nella Provvidenza Divina, affittarono una stanza molto semplice e, mentre Barnaba riposava per l’estrema stanchezza, Paolo cercò una delle tende indicate da un fruttivendolo.
249. Un giudeo di buono aspetto, circondato da tre assistenti, tra numerose mensole con sandali, tappeti e molte altre cose utili attinenti alla sua professione, dirigeva un banco di servizio. Conoscendo il suo nome fornitogli dal fruttivendolo, l’ex dottore di Gerusalemme, chiamò il signor Ibrahim, che lo ricevette con grande curiosità.
250. «Amico…» – disse Paolo senza mezzi termini – «…sono un tuo collega e, oppresso da urgenti necessità, sono qui a chiederti l’immenso piacere di ammettermi alle attività della tua tenda. Devo fare un lungo viaggio e non possedendo risorsa alcuna, faccio appello alla tua generosità, aspettando una favorevole accoglienza».
251. Il tappezziere lo guardò con simpatia, ma un po’ sospettoso. Stupito e soddisfatto, allo stesso tempo, per la sua sincerità e il coraggio, dopo aver riflettuto un po’, rispose alquanto vago: «Il nostro lavoro è molto scarso e, per essere sincero, non dispongo di un capitale per pagare molti dipendenti. Non tutti comprano sandali; le briglie delle truppe sono in attesa delle carovane che passano solo di tanto in tanto; i tappeti si vendono poco, e se non fosse per i tessuti in cuoio per le tende di fortuna, suppongo che non avremmo nemmeno il necessario per mantenere il commercio. Come vedi, non sarebbe facile trovarti un lavoro».
252. «Tuttavia…» – disse l’ex rabbino, mosso dalla sincerità dell’interlocutore – «…oso insistere nella richiesta. Sarà solo per pochi giorni... e poi, sarò lieto di lavorare in cambio di pane e un riparo per me e per un compagno malato».
253. Il generoso Ibrahim fu toccato da quella confessione. Dopo una lunga pausa, in cui il tessitore di Antiochia esitava ancora tra il “sì” e il “no”, Paolo completò: «Così grande è il mio bisogno, che vi esorto in Nome di Dio».
254. «Entrate» – disse il bottegaio, vinto dall’argomentazione.
255. Anche se malato, l’emissario del Cristo, si gettò con zelo al lavoro. Un vecchio telaio fu installato rapidamente, vicino ad un balcone pieno di coltelli, martelli e pezzi di cuoio.
256. Quel giorno Paolo cominciò a lavorare, avendo sempre uno sguardo amico e una buona parola per ciascun compagno. Lungi dall’imporsi per la conoscenza superiore che possedeva, osservava il sistema di lavoro degli aiutanti di Ibrahim e suggeriva nuove misure favorevoli al servizio, con gentilezza e senza finzione.
257. Commosso dalle sue dichiarazioni sincere, il proprietario della casa inviò a Barnaba il pasto, mentre l’ex rabbino, galantemente, vinceva le prime difficoltà, sperimentando la gioia di un grande trionfo.
258. Quella notte, con il compagno di lotte, elevò a Gesù una profonda preghiera di ringraziamento. I due commentarono la nuova situazione. Tutto stava andando bene, ma era indispensabile pensare al denaro necessario per pagare l’affitto della camera.
259. Edificato nell’esemplificazione dell’amico, ora era Barnaba che cercava di confortarlo: «Non importa, Gesù prenderà in considerazione la nostra buona volontà, non ci abbandonerà».
260. Il giorno dopo, quando Paolo tornò dalla bottega, dovette attendere il compagno con una certa ansia. Il messaggero di Ibrahim, che aveva portato a Barnaba il pasto, non lo aveva trovato. Dopo una certa agitazione, l’ex rabbino gli aprì la porta con insuperabile sorpresa. Il discepolo di Pietro sembrava estremamente abbattuto, ma una profonda gioia traboccava dai suoi occhi. Spiegò che anche lui era riuscito a trovare un lavoro retribuito. Si era impiegato con un vasaio bisognoso di operai per approfittare del bel tempo. Si abbracciarono commossi. Se avessero raggiunto il dominio del mondo, con la fortuna facile, non avrebbero provato una gioia così grande. Una piccola frazione per un servizio onesto, bastava al cuore illuminato da Gesù Cristo.
261. Il primo sabato della permanenza ad Antiochia, gli araldi del Vangelo andarono alla sinagoga locale. Ibrahim, deliziato dalla cooperazione del nuovo dipendente, gli aveva dato due tuniche usate che Paolo e Barnaba indossarono con gioia.
262. Tutta la popolazione “timorata di Dio” si accalcava nella sinagoga. I due si sedettero nel posto riservato ai visitatori o agli sconosciuti. Dopo lo studio e i commenti della Legge e dei profeti, il direttore dei servizi religiosi chiese loro, ad alta voce, se volevano dire qualche parola ai presenti.
263. Paolo, prontamente, si alzò e accettò l’invito. Si diresse alla modesta tribuna e, con nobile attitudine, cominciò a parlare della Legge, mosso da una eloquenza sublime. L’auditorio, non abituato a ragionamenti così elevati, seguiva la sua parola fluente come se avesse trovato un autentico profeta a spargere meraviglie. Gli israeliti non erano in sé dalla gioia. Chi era quell’uomo che poteva essere l’orgoglio del Tempio della stessa Gerusalemme? A un dato momento, tuttavia, le parole dell’oratore passarono ad essere quasi incomprensibili a tutti. Il suo verbo sublime annunciava un Messia che era già venuto al mondo. Alcuni giudei aguzzarono gli orecchi. Si trattava del Cristo Gesù, per mezzo del quale le creature dovevano aspettarsi la grazia e la verità della salvezza. L’ex dottore osservò che numerose facce si mostravano contrariate, ma la maggioranza lo ascoltava con un’indefinibile vibrazione di simpatia. L’elenco delle opere di Gesù, il suo esempio divino, la morte sulla croce, strapparono lacrime nell’auditorio. Il capo della sinagoga restò profondamente sorpreso...
264. Dopo la lunga preghiera, il nuovo missionario fu abbracciato da un gran numero dei presenti. Ibrahim, che adesso lo conosceva sotto una nuova luce, lo salutò raggiante. Eustachio, il vasaio che aveva dato lavoro a Barnaba, si avvicinò per i saluti, altamente sensibilizzato. Gli scontenti, invece, non mancarono.
265. Il successo di Paolo contrariò lo spirito farisaico dell’assemblea.
*
(Atti 13,44-52): [44]Il sabato seguente quasi tutta la città si radunò per ascoltare la parola di Dio. [45]Quando videro quella moltitudine, i giudei furono pieni di gelosia e contraddicevano le affermazioni di Paolo, bestemmiando. [46]Allora Paolo e Barnaba con franchezza dichiararono: «Era necessario che fosse annunziata a voi per primi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco noi ci rivolgiamo ai pagani. [47]Così infatti ci ha ordinato il Signore: Io ti ho posto come luce per le genti, perché tu porti la salvezza sino all'estremità della terra». [48]Nell'udir ciò, i pagani si rallegravano e glorificavano la parola di Dio e abbracciarono la fede tutti quelli che erano destinati alla vita eterna. [49]La parola di Dio si diffondeva per tutta la regione. [50]Ma i giudei sobillarono le donne pie di alto rango e i notabili della città e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba e li scacciarono dal loro territorio. [51]Allora essi, scossa contro di loro la polvere dei piedi, andarono a Icònio, [52]mentre i discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo.
266. Il giorno seguente, Antiochia di Pisidia era eccitata dalla novità. La tenda di Ibrahim e la ceramica di Eustachio furono locali di grandi discussioni e ragionamenti. Paolo parlò, poi, delle cure che si potevano fare nel Nome del Maestro. Una vecchia zia del suo capo fu guarita da una malattia ostinata, con la semplice imposizione delle mani e la preghiera a Cristo. Due bambini del vasaio furono guariti con l’intervento di Barnaba. I due emissari del Vangelo guadagnarono molto prestigio. La gente semplice veniva a chiedere preghiere, copie degli insegnamenti di Gesù, mentre molti malati si ristabilivano. Se il bene cresceva, anche l’animosità contro di loro cresceva da parte dei più altolocati della città. Iniziò un movimento contrario al Cristo.
267. Nonostante la costanza della predicazione di Paolo, aumentavano, tra i potenti israeliti, le persecuzioni, le offese e l’ironia. I messaggeri della Buona Novella, tuttavia, non si scoraggiarono. Confortati dai più sinceri, fondarono la Chiesa nella casa di Ibrahim. Quando tutto andava bene, ecco che l’ex rabbino, a causa delle vicende sperimentate nell’attraversamento delle paludi della Panfilia, cadde gravemente ammalato, preoccupando tutti i fratelli. Per un mese rimase sotto la maligna influenza di una febbre divoratrice. Barnaba e i nuovi amici furono insuperabili nella cura.
268. Esplorando l’incidente, i nemici del Vangelo scesero in campo, ironizzando la situazione. Erano passati più di tre mesi da quando i due avevano annunciato il nuovo Regno, riformato le nozioni religiose del popolo, guarito le malattie più ostinate, …come mai che il potente predicatore non guariva se stesso? Brulicarono così, pungenti dicerie e concetti deprimenti.
269. I compagni, comunque, erano di una dedizione infinita. Paolo veniva trattato con estrema tenerezza, nella casa di Ibrahim si sentiva come se avesse trovato un nuovo focolare. Dopo la convalescenza, l’impavido tessitore tornò più entusiasta alla predicazione delle nuove verità.
270. Guardando il suo coraggio, gli elementi giudaici, infuriati e dispettosi, tramarono la sua espulsione, senza alcuna condiscendenza. Per diversi mesi l’ex dottore di Gerusalemme combatté contro i colpi del fariseismo dominante in città, mantenendosi superiore alle calunnie e agli insulti. Ma quando rivelò il suo potere di risoluzione e fermezza d’animo, ecco che gli israeliti malcontenti minacciarono Eustachio e Ibrahim di soppressione dei vantaggi e l’esilio. I due vecchi abitanti dell’Antiochia di Pisidia furono accusati di essere sostenitori di una rivoluzione e di disordine. Fortemente toccati, ricevettero la notizia che solo il ritiro di Paolo e Barnaba poteva salvarli dal carcere e della fustigazione.
271. I missionari di Gesù considerando la penosa situazione degli amici, decisero di partire. Ibrahim aveva gli occhi pieni di lacrime. Eustachio non nascondeva l’abbattimento. Di fronte alle interrogazioni di Barnaba, l’ex rabbino gli espose il piano delle attività future. Sarebbero andati ad Iconio. Avrebbero predicato lì le verità di Dio. Il discepolo di Simon Pietro approvò senza esitazione. Riunendo i fratelli in una notte memorabile per quelli che vissero quelle profonde emozioni, i messaggeri della Buona Novella dissero addio. Per più di otto mesi avevano insegnato il Vangelo. Superando insulti e ironie, avevano conosciuto amare prove. I loro lavori erano stati premiati dal mondo con l’espulsione, come se fossero stati criminali comuni, ma la Chiesa del Cristo era stata fondata. Paolo ne parlava quasi con orgoglio, nonostante le lacrime che ne uscivano dagli occhi. I nuovi discepoli non dovevano sorprendersi per le incomprensioni del mondo, perché anche il Salvatore non era sfuggito alla croce dell’ignominia, aggiungendo che la parola “cristiano” significava “seguace del Cristo”. Per scoprire e capire le bellezze sublimi del Regno di Dio, si doveva lavorare e soffrire senza riposo.
272. L’assemblea affettuosa accolse le sue esortazioni in lacrime.
273. Nella mattina seguente, provvisti di una lettera di raccomandazione di Eustachio e portando una consistente provvigione e dei piccoli ricordi dei compagni di fede, si misero in cammino, intrepidi e felici. Superati i 100 km il percorso divenne difficile e doloroso, ma i pionieri non si fermarono davanti a nessun ostacolo.
*
(Atti 14,1-7): [1]Anche ad Icònio essi entrarono nella sinagoga dei giudei e vi parlarono in modo tale che un gran numero di giudei e di greci divennero credenti. [2]Ma i giudei rimasti increduli eccitarono e inasprirono gli animi dei pagani contro i fratelli. [3]Rimasero tuttavia colà per un certo tempo e parlavano fiduciosi nel Signore, che rendeva testimonianza alla predicazione della sua grazia e concedeva che per mano loro si operassero segni e prodigi. [4]E la popolazione della città si divise, schierandosi gli uni dalla parte dei giudei, gli altri dalla parte degli apostoli. [5]Ma quando ci fu un tentativo dei pagani e dei giudei con i loro capi per maltrattarli e lapidarli, [6]essi se ne accorsero e fuggirono nelle città della Licaònia, Listra e Derbe e nei dintorni, [7]e là continuavano a predicare il vangelo.
274. Arrivati in città, si presentarono all’amico di Eustachio di nome Onesiforo. Furono ricevuti con generosa ospitalità. Il sabato seguente, anche prima di iniziare a lavorare, Paolo espose il suo obiettivo nel decidere di passare per quella regione. Il suo debutto nella sinagoga provocò animate discussioni. Gli elementi politici della città erano costituiti da giudei benestanti e istruiti nella Legge di Mosè; tuttavia, i gentili rappresentavano la classe media in gran numero. Questi ultimi ricevettero la parola di Paolo con profondo interesse, ma i primi manifestarono grande reazione fin dall’inizio. Ci furono tumulti.
275. Gli orgogliosi figli d’Israele non potevano tollerare un Salvatore che si era arreso alla croce dei malfattori senza opporre resistenza. La parola dell’apostolo, tuttavia, raggiunse un così grande favore del pubblico, che i gentili di Iconio gli offrirono un ampio salone per insegnare il Vangelo, ogni pomeriggio. Volevano notizie del nuovo Messia, si interessavano dei più piccoli dettagli e delle Sue massime più semplici.
276. L’ex rabbino accettò l’incarico, pieno di gratitudine e simpatia. Ogni giorno, finiti i compiti comuni, una compatta folla di abitanti di Iconio gremiva il salone ansiosa di ascoltare il suo verbo vibrante. Gestendo l’amministrazione, i giudei reagirono, ma fu inutile tentare di intimidire il predicatore con le più forti minacce. Egli continuò la sua predicazione imperterrito, senza timore. Onesiforo, a sua volta, gli diede man forte e, ben presto, fondò la Chiesa a casa sua.
277. Gli israeliti mantenevano viva l’idea dell’espulsione dei missionari, allorquando si verificò un incidente che giunse a loro favore.
278. Successe che una giovane promessa sposa, ascoltando occasionalmente le predicazioni dell’apostolo dei gentili, quotidianamente entrava nel salone in cerca di nuovi insegnamenti. S’incantava con le promesse del Cristo e sentendo estrema passione per la trascinante figura dell’oratore, purtroppo, si infatuò, dimenticando i doveri che la legavano all’innamorato e alle tenerezze materne. Tecla, così si chiamava, non s’interessò più dei legami sacri che doveva onorare nell’ambiente domestico. Abbandonò il lavoro quotidiano per aspettare il crepuscolo, con ansietà. Teoclia, sua madre, e Tamiris, il promesso sposo, seguivano il caso con spiacevole sorpresa. Attribuivano a Paolo un simile squilibrio. L’ex dottore, a sua volta, era perplesso per l’atteggiamento della giovane che ogni giorno si insinuava con domande, sguardi e singolari moine.
279. Un giorno, mentre era in procinto di tornare a casa da Onesiforo in compagnia di Barnaba, la ragazza gli chiese una parola in privato.
280. Davanti alle sue domande diligenti, arrossì, balbettando: «Io... Io...».
281. «Dimmi, figliola…» – sussurrò l’apostolo un po’ preoccupato – «…considera come se stessi in presenza di un padre».
282. «Signore…» – riuscì a dire senza fiato – «…non so perché, ma sono molto impressionata dalla vostra parola».
283. «Quello che ho insegnato…» – disse Paolo – «…non è mio; viene da Gesù, che desidera per noi tutto il bene».
284. «In ogni caso, però…» – disse lei con più timidezza – «…io vi amo tanto! ...»
285. Paolo sussultò. Non contava su questa dichiarazione. L’espressione “io vi amo” non fu articolata in un tono di fraternità pura, ma con particolari accenni che quando l’apostolo se ne rese conto rimase molto sconcertato.
286. Dopo aver meditato sulla situazione davvero imprevista, rispose convinto: «Figliola, quelli che si amano in spirito, si uniscono in Cristo per l’eternità nelle emozioni più sacre; ma chi lo sa se stai amando la carne che dovrà morire?»
287. «Ho bisogno del vostro affetto» – esclamò la giovane, con lo sguardo piangente.
288. «Sì…» – disse l’ex rabbino – «…ma noi due abbiamo bisogno dell’affetto del Cristo. Solamente sostenuti da Lui possiamo trovare lo spirito per superare le nostre debolezze».
289. «Non posso dimenticarvi» – singhiozzò la ragazza, destandogli compassione.
290. Paolo era pensieroso. Ricordò la gioventù. Si rammentò dei sogni che aveva intessuto accanto ad Abigail. In un minuto il suo spirito devastò un mondo di ricordi teneri e angosciosi e, come se tornasse da un misterioso paese delle ombre, esclamò come se parlasse a se stesso: «Sì, l’amore è santo, ma la passione è velenosa. Mosè raccomanda di amare Dio sopra ogni cosa; e il Maestro ha aggiunto, di amarsi l’un l’altro in tutte le circostanze della vita...».
291. E fissando il suo sguardo, ora molto luminoso, nella giovane che piangeva, esclamò quasi duro: «Non ti innamorare di un uomo fatto di fango e peccato, e che si destina a morire! ...»
292. Tecla non si era ancora ripresa dalla sorpresa, quando il promesso sposo desolato entrò nella stanza. Tamiris fece le prime contestazioni gridando, mentre il messaggero della Buona Novella ascoltò i rimproveri con grande serenità. La ragazza rispose scontrosa. Ribadì la sua simpatia per Paolo, espose con franchezza le sue intenzioni più intime, scioccando il giovane.
293. L’apostolo aspettò pazientemente che il promesso sposo lo interrogasse, e quando fu chiamato a giustificarsi, disse in tono fraterno: «Amico, non ti mortificare e non ti agitare davanti a fatti che provengono da profonde incomprensioni. La tua promessa sposa è solo malata. Stiamo annunciando il Cristo, ma il Salvatore ha i suoi nemici nascosti ovunque, come la luce è nemica della tenebra eterna. Però, la luce vince l’oscurità di qualsiasi tipo. Abbiamo iniziato il lavoro missionario in questa città senza grandi ostacoli. I giudei ci ridicolizzano e, tuttavia, non hanno trovato nulla nelle nostre azioni che giustifichino una persecuzione dichiarata. I gentili ci abbracciano con amore. Il nostro impegno si sviluppa in modo pacifico e nulla porta allo scoraggiamento. Gli invisibili avversari della verità e del bene, certamente si sono ricordati di influenzare questa povera fanciulla, per renderla strumento di disturbo del nostro compito. È possibile che tu non mi capisca subito,; ma questa è la realtà, e nessun’altra!»
294. Tamiris, tuttavia, lasciando intravedere che anche lui subiva la stessa pericolosa influenza, gridò con collera: «Tu sei uno sporco stregone! Questa è la verità. Mistificatore del popolo semplice e rude, non sei altro che un ordinario seduttore di ragazze impressionabili. Insulti una vedova e un uomo onesto, quale sono io, per insinuarti nello spirito fragile di un’orfana di padre.
295. Schiumava di rabbia. Paolo ascoltò le sue diatribe con grande presenza di spirito.
296. Quando il giovane si stancò di inveire, l’apostolo prese il suo mantello e, facendo un gesto di addio, disse: «Quando siamo sinceri, ci troviamo nel riposo invulnerabile; ma ognuno accetta la verità come può. Pensa, quindi, e intendi come vuoi!» –
297. E lasciò la stanza per andare da Barnaba.
298. I parenti di Tecla, tuttavia, non si riposarono davanti a quello che consideravano un insulto. Nella stessa notte, valendosi del pretesto, le autorità ebraiche di Iconio ordinarono l’arresto dell’emissario della Buona Novella. Una fila di scontenti salì alla porta di Onesiforo, gridando insulti. Anche con l’interferenza degli amici, Paolo fu trascinato in prigione, dove soffrì la punizione delle trentanove frustate. Fu accusato di essere seduttore e nemico delle tradizioni della famiglia e, in più, di essere blasfemo e rivoluzionario. Fu indispensabile molta dedizione dei membri appena convertiti, per concedergli la libertà.
299. Dopo cinque giorni di carcere con pene severe, Barnaba lo accolse esultante di gioia.
300. Il caso di Tecla assunse le proporzioni di un grande scandalo, ma l’apostolo, la prima notte di libertà, riunì la Chiesa domestica, fondata con Onesiforo, e spiegò la situazione all’attenzione di tutti.
301. Barnaba considerò impossibile rimanere lì più a lungo. Un nuovo attrito con l’autorità avrebbe potuto pregiudicare il loro lavoro. Paolo, invece, si presentò abbastanza grintoso. Se necessario, sarebbe tornato a predicare il Vangelo nelle vie pubbliche, rivelando la verità ai gentili, dato che i figli di Israele si deliziavano in clamorose deviazioni.
302. Chiamato a opinare, Onesiforo meditò sulla situazione della povera ragazza, trasformata in oggetto di ironia popolare. Tecla era promessa sposa e orfana di padre. Tamiris aveva creato la favola che Paolo non era che un potente stregone. Se nella qualità di promessa sposa, la ragazza fosse stata trovata ancora una volta con l’apostolo, la tradizione imponeva di condannarla al rogo.
303. Consapevole delle superstizioni regionali, l’ex rabbino non esitò un momento. Avrebbe lasciato Iconio il giorno dopo. Non perché capitolasse di fronte al nemico invisibile, ma perché la Chiesa era stata fondata, e non era giusto collaborare con il martirio morale di una fanciulla.
304. La decisione dell’apostolo ricevette l’approvazione generale. Accertarono le basi per la continuazione dell’apprendimento evangelico. Onesiforo e altri fratelli assunsero l’impegno di curare il seme ricevuto come dono celestiale.
305. Nel corso delle conversazioni, tuttavia, Barnaba era pensieroso. Dove andremo? Non sarebbe giusto pensare al ritorno? Le difficoltà incombevano giorno dopo giorno e la salute di entrambi, dal passaggio sulle rive del Cestro, era molto instabile. Il discepolo di Pietro, tuttavia, conoscendo l’animo e lo spirito di risoluzione del compagno, attese pazientemente che l’argomento affiorasse spontaneo e naturale.
306. In suo aiuto, uno degli amici presenti interrogò Paolo vivacemente: «Quando volete partire?»
307. «Domani» – disse l’apostolo.
308. «Ma non è meglio riposare un paio di giorni? Avete le mani gonfie e il volto contuso dalle frustate».
309. «L’ex dottore sorrise e disse tranquillamente: «Il servizio è di Gesù, e non il nostro. Se ci prendiamo troppa cura di noi stessi in questa fase della sofferenza, non riusciremo nell’impresa, e se fermiamo il cammino nei tratti difficili, rimarremmo con i problemi, e non con Cristo».
310. I suoi argomenti pittoreschi e conclusivi, diffusero un clima di buonumore.
311. «Tornerai ad Antiochia?» – chiese Onesiforo prudentemente.
312. Barnaba tese l’orecchio per conoscere in dettaglio la risposta, mentre il compagno rispose: «Certamente no: Antiochia ha già ricevuto la Buona Novella della redenzione. E la Licaonia?» –
313. Guardando ora verso l’ex levita di Cipro, come a sollecitare la sua approvazione, continuò: «Andremo avanti. Non sei d’accordo, Barnaba? I popoli di quella regione hanno bisogno del Vangelo. Se siamo così soddisfatti con la notizia del Cristo, perché negarlo a coloro che necessitano del battesimo della verità e della nuova fede? ...»
314. Il suo compagno disse di sì col capo e concordò rassegnato: «Senza dubbio. Andremo avanti, Gesù ci aiuterà».
315. I presenti passarono a commentare la posizione di Listra, così come le abitudini interessanti della sua gente semplice. Onesiforo aveva lì una sorella vedova di nome Loide. Avrebbe compilato una lettera di raccomandazione per i due missionari. Sarebbero stati ospiti di sua sorella per tutto il tempo necessario.
316. I due araldi del Vangelo si rallegrarono. Principalmente Barnaba era fuori di sé dalla gioia, allontanando la triste idea di essersi completamente isolati.
317. Il giorno seguente, sotto commossi addii, i missionari presero la strada che li avrebbe condotti a nuovi campi di lotte.
*
(Atti 14,8-18): [8]C'era a Listra un uomo paralizzato alle gambe, storpio sin dalla nascita, che non aveva mai camminato. [9]Egli ascoltava il discorso di Paolo e questi, fissandolo con lo sguardo e notando che aveva fede di esser risanato, [10]disse a gran voce: «Alzati diritto in piedi!». Egli fece un balzo e si mise a camminare. [11]La gente allora, al vedere ciò che Paolo aveva fatto, esclamò in dialetto licaonio e disse: «Gli dèi sono scesi tra di noi in figura umana!». [12]E chiamavano Barnaba Zeus e Paolo Hermes, perché era lui il più eloquente. [13]Intanto il sacerdote di Zeus, il cui tempio era all'ingresso della città, recando alle porte tori e corone, voleva offrire un sacrificio insieme alla folla. [14]Sentendo ciò, gli apostoli Barnaba e Paolo si strapparono le vesti e si precipitarono tra la folla, gridando: [15]«Cittadini, perché fate questo? Anche noi siamo esseri umani, mortali come voi, e vi predichiamo di convertirvi da queste vanità al Dio vivente che ha fatto il cielo, la terra, il mare e tutte le cose che in essi si trovano. [16]Egli, nelle generazioni passate, ha lasciato che ogni popolo seguisse la sua strada; [17]ma non ha cessato di dar prova di sé beneficando, concedendovi dal cielo piogge e stagioni ricche di frutti, fornendovi il cibo e riempiendo di letizia i vostri cuori». [18]E così dicendo, riuscirono a fatica a far desistere la folla dall'offrire loro un sacrificio.
318. Dopo un viaggio penosissimo, arrivarono alla piccola città in un oscuro crepuscolo. Erano esausti. La sorella di Onesiforo, nel frattempo, fu prodiga di gentilezze. Anziana vedova di un ricco greco, Loide viveva in compagnia di sua figlia Eunice, anche lei vedova, e di suo nipote Timoteo, la cui intelligenza e i generosi sentimenti del ragazzo costituivano il più grande prodigio delle due signore. I messaggeri della Buona Novella furono accolti in questo focolare con la più inequivocabile prova di simpatia. Il calore insuperabile di questa famiglia fu un balsamo confortante per entrambi.
319. Come da sua abitudine, Paolo alla prima occasione espresse il desiderio di lavorare durante il periodo del suo soggiorno a Listra, al fine di non diventare oggetto di calunnia o di critica, ma la padrona di casa si oppose categoricamente. Sarebbero stati suoi ospiti. La raccomandazione di Onesiforo fu sufficiente a farli stare tranquilli. Inoltre, spiegò: Listra era una città molto povera, aveva solo due umili tende che non realizzavano mai tappeti.
320. Paolo fu molto toccato dalla calda accoglienza. Nella stessa notte dell’arrivo, osservò la tenerezza con cui Timoteo, potendo avere poco più di tredici anni, prese i rotoli della Legge di Mosè e le Sacre Scritture dei Profeti.
321. L’apostolo lasciò che le due signore e il ragazzo commentassero le rivelazioni, fino a quando non l’avessero chiamato. Quando ciò avvenne, colse l’occasione per fare la prima presentazione del Cristo ai cuori affascinati degli ascoltatori. Non appena iniziò a parlare, osservò la profonda impressione delle due donne, i cui occhi brillavano inteneriti; ma il piccolo Timoteo ascoltava con tali manifestazioni di interesse, che spesso gli accarezzava la fronte pensierosa.
322. I parenti di Onesiforo ricevettero la Buona Novella con gioie infinite. Il giorno dopo non si parlava d’altro. Il ragazzo faceva domande di tutti i tipi. L’apostolo lo assecondava con gioia e interesse fraterno. Per tre giorni i missionari si diedero al tenero riposo e al ripristino delle energie fisiche. Paolo colse l’occasione per parlare a lungo con Timoteo, vicino al grande recinto dove le capre si raccoglievano. Solo nel sabato cercarono di stabilire un contatto più profondo con la popolazione.
323. Listra era piena di strane leggende e superstizioni. Le famiglie giudaiche erano molto rare e la gente sempliciotta accettava come verità tutti i simboli mitologici. La città non possedeva una sinagoga, ma un piccolo tempio dedicato a Giove, che i contadini accettavano come il padre assoluto degli dèi dell’Olimpo. C’era un culto organizzato. Le riunioni si effettuavano periodicamente, e i sacrifici erano numerosi.
324. In una piazza spoglia, al mattino si movimentava un piccolo mercato.
325. Paolo capì che non avrebbe trovato una posizione migliore per il primo contatto diretto con il popolo. Dalla cima di un podio improvvisato con delle pietre sovrapposte, iniziò la predica ad alta voce e con commozione. Il popolo, all’istante, si ammassò. Alcuni uscirono dalle pacifiche case per esaminare il motivo del compatto raggruppamento. Nessuno si ricordava degli acquisti di carne, frutta, verdure. Tutti volevano sentire lo sconosciuto forestiero.
326. L’apostolo parlò, per primo, delle profezie che avevano annunciato la venuta del Nazareno, e poi continuò a raccontare le gesta di Gesù tra gli uomini. Dipinse il paesaggio della Galilea con i colori più brillanti del suo genio descrittivo, parlò dell’umiltà e della abdicazione del Messia. Quando si riferì alle cure prodigiose che il Cristo aveva realizzato, osservò che un piccolo gruppo di ascoltatori lo deridevano. Infiammato di fervore nella sua parenetica[54], Paolo ricordò del giorno in cui vide Stefano curare una giovane muta, nel Nome del Signore.
327. Sicuro che il Maestro non lo avrebbe abbandonato, passò lo sguardo sulla folla numerosa. A pochi metri di distanza vide un mendicante povero che si trascinava dolorosamente. Colpito dal discorso evangelico, lo storpio di Listra si avvicinò e agitando le braccia si sedette a terra con difficoltà, fissando lo sguardo nel predicatore che lo osservava molto commosso.
328. Rinnovando i valori della sua fede, Paolo lo guardò con energia e parlò con autorità: «Amico, nel Nome di Gesù, alzati! Il poveretto, con gli occhi fissi sull’apostolo, si alzò con facilità, mentre la folla gridava sorpresa. Alcuni si allontanarono atterriti. Altri cercarono la figura di Paolo e Barnaba, contemplandoli, abbagliati e soddisfatti. Lo storpio iniziò a fare salti di gioia. Conosciuto in città da lungo tempo, la sua guarigione miracolosa non lasciò il minimo dubbio.
329. Molte persone s’inginocchiarono. Altri corsero ai quattro angoli di Listra per annunciare che il popolo aveva ricevuto la visita degli dèi. La piazza si riempì in pochi minuti. Tutti volevano vedere il mendicante riabilitato nei suoi movimenti. Il successo si diffuse rapidamente. Barnaba e Paolo erano Giove e Mercurio discesi dall’Olimpo. Gli apostoli soddisfatti del dono di Gesù, ma profondamente sorpresi per l’atteggiamento degli abitanti, presto si resero conto del malinteso. In mezzo al rispetto generale, Paolo risalì sul podio improvvisato per spiegare che lui e il suo compagno erano semplici creature mortali, mettendo in evidenza la misericordia del Cristo che si era degnato di ratificare la promessa del Vangelo, in quel momento indimenticabile.
330. Invano, cercò di chiarire. Tutti ascoltavano la sua parola genuflessi e in atteggiamento statico. Fu allora che un vecchio sacerdote, parato secondo le abitudini del tempo, apparve improvvisamente portando con sé due buoi adornati con festoni di fiori, dai gesti affettati e modi solenni. Il ministro di Giove, ad alta voce, invitò il popolo al sacrificio rituale in onore degli dèi viventi.
331. Paolo si rese conto del movimento popolare e, scendendo al centro della piazza, gridò con tutta la forza dei suoi polmoni, aprendo la tunica sul petto: «Non commettete sacrilegio! ... non siamo dèi... Guardate!... Siamo semplici creature di carne!...»
332. Seguito da vicino da Barnaba, strappò dalle mani del vecchio sacerdote la delicata pelle intrecciata che teneva gli animali, rilasciando i due tori pacifici che cominciarono a mangiare le verdi corone di fiori. Il ministro di Giove voleva protestare, ma si tacque molto deluso e, tra i commenti più stravaganti, i missionari si ritirarono, ansiosi di un luogo di preghiera dove potessero innalzare a Gesù il loro voto di gioia e di gratitudine.
333. «Che grande trionfo!» – disse Barnaba quasi con orgoglio. – «I doni del Cristo sono numerosi. Il Signore si ricorda di noi! ...»
334. Paolo, pensieroso, rispose: «Quando riceviamo molti favori, dobbiamo pensare alle molte testimonianze. Penso che sperimenteremo grandi prove. Inoltre, nessuno deve dimenticare che la vittoria dell’entrata del Maestro a Gerusalemme fu seguita dal supplizio della croce».
335. Il compagno, considerando l’alto senso di tali dichiarazioni, andò a meditare in profondo silenzio.
336. «Loide e sua figlia erano raggianti. La guarigione dello storpio aveva conferito ai messaggeri della Buona Novella una singolare situazione di essere stati messi in evidenza. Paolo si avvalse dell’opportunità di stabilire il primo centro del cristianesimo nella piccola città. I provvedimenti iniziali furono presi presso la residenza della generosa vedova, la quale mise a disposizione dei missionari tutte le risorse a portata di mano. Come a Nea-Paphos, qui stabilirono la sede delle attività di informazione ed assistenza in una capanna molto umile. Invece di Giovanni Marco, fu il piccolo Timoteo ad aiutare in tutti i mestieri. Numerose persone copiavano il Vangelo durante il giorno, mentre i malati accorrevano da ogni parte, bisognosi di assistenza immediata.
*
(Atti 14,19-20): [19]Ma giunsero da Antiochia e da Icònio alcuni giudei, i quali trassero dalla loro parte la folla; essi presero Paolo a sassate e quindi lo trascinarono fuori della città, credendolo morto. [20]Allora gli si fecero attorno i discepoli ed egli, alzatosi, entrò in città. Il giorno dopo partì con Barnaba alla volta di Derbe.
337. Nonostante questo successo, cresceva anche l’ostilità di alcuni, contro la nuova dottrina.
338. I pochi ebrei di Listra decisero di consultare le autorità di Iconio sui due sconosciuti, e questo fu sufficiente a consentire che si turbassero gli orizzonti. Gli incaricati ritornarono con una raccolta di notizie ingrate. Il caso Tecla era dipinto di nero. Paolo e Barnaba furono accusati di essere blasfemi, stregoni, ladri e seduttori di donne oneste. Paolo, in particolare, fu dipinto come un rivoluzionario temibile. L’argomento, a Listra, fu denominato “intra muros”. Gli amministratori della città chiesero al sacerdote di Giove di unirsi nella campagna contro i truffatori e, con la stessa facilità con cui avevano creduto nella loro condizione di dèi, gli assegnarono tutte le più grandi perversioni. Si misero d’accordo nel procedere con azioni criminali. Dopo l’arrivo dei due sconosciuti che parlavano in nome di un nuovo profeta, Listra visse assalita da idee diverse. Era necessario frenare gli abusi. La parola di Paolo era audace e necessitava di un correttivo efficace. Alla fine decisero che l’ardente predicatore fosse lapidato alla prima occasione in cui parlasse in pubblico.
339. Ignorando tutto ciò, l’apostolo dei gentili, lasciando Barnaba costretto a letto per il troppo lavoro, fu accompagnato dal piccolo Timoteo; nel sabato successivo, al crepuscolo, si recò nella pubblica piazza dove, ancora una volta, annunciò le verità e le promesse del Vangelo del Regno.
340. La piazza aveva un insolito movimento. Il predicatore osservò la presenza di molti volti sospetti e assolutamente sconosciuti. Tutti lo accompagnavano nei minimi gesti con evidente curiosità.
341. Con la massima serenità, salì al podio e cominciò a parlare delle glorie eterne che il Signore Gesù aveva portato all’umanità sofferente. Tuttavia, aveva appena iniziato il sermone evangelico, quando, alle urla furiose dei più esaltati, cominciarono a piovere pietre in grandi quantità.
342. Paolo ricordò improvvisamente la figura indimenticabile di Stefano. Di sicuro, il Maestro gli aveva riservato lo stesso tipo di morte, affinché riscattasse il male inflitto al martire della Chiesa di Gerusalemme. I piccoli e duri graniti cadevano sui suoi piedi, sul petto, sulla fronte. Sentì il sangue scorrere dalla testa ferita e si inginocchiò, senza un lamento, pregando Gesù che lo rafforzasse nell’angosciosa agonia.
343. Nei primi momenti, Timoteo, atterrito, cominciò ad urlare, supplicando aiuto; ma un uomo dalle atletiche braccia si avvicinò con prudenza e gli sussurrò all’orecchio: «Zitto, se vuoi essere utile!...»
344. «Sei tu, Gaio?» – esclamò il piccolo con gli occhi pieni di lacrime, sperimentando qualche conforto nel riconoscere un volto amico in mezzo al pandemonio in cui si trovava.
345. «Sì…» – rispose l’altro a bassa voce – «…sono qui per aiutare l’apostolo. Non posso dimenticare che lui ha guarito mia madre». – E guardando il movimento della folla criminosa, disse: «Non c’è tempo da perdere. Fra poco lo porteranno al letamaio. Se questo accade, prova a seguirci con un po’d’acqua. Se il missionario non soccombe, tu gli darai i primi soccorsi fino a quando non riuscirò ad avvertire tua madre! ...»
346. Si allontanarono immediatamente. Angosciato e tormentato, il ragazzo vide il predicatore in ginocchio, gli occhi fissi al cielo, in un trasporto indimenticabile. Rivoli di sangue scendevano dalla fronte fratturata. A un certo punto, la testa pendette e il corpo cadde indifeso. La folla sembrò presa dallo sbigottimento.
347. Approfittando della situazione in cui non si osservavano ordini da eseguire, Gaio s’intromise. Avvicinandosi all’apostolo inerme, fece un gesto significativo per il popolo e gridò: «Lo stregone è morto!...»
348. La sua figura gigantesca suscitò le simpatie della folla incosciente. Ripeterono gli applausi. Coloro che avevano promosso l’efferato attacco scomparvero. Gaio comprese che nessuno osava assumersi la responsabilità individuale. Con strane vibrazioni, i più perversi gridavano: «Fuori dalle porte! ... Fuori dalle porte! ... Lo stregone al letamaio! ... Lo stregone al le…ta…ma...io!»
349. L’amico di Paolo, mascherando commiserazione con gesti di ironia, parlò alla folla soddisfatta: «Prendo le spoglie del fattucchiere!»
350. La folla faceva un assordante frastuono e Gaio provò a trascinare il missionario con la maggior cautela possibile. Attraversarono vasti vicoli di gente urlante, fin quando, arrivati in un luogo deserto, lontano dalle mura di Listra, Paolo fu lasciato mezzo morto, in un mucchio di spazzatura.
351. Il marcantonio[55] si chinò, come per verificare la morte del lapidato e, osservando con cura che ancora viveva, gridò: «Lasciamolo ai cani! Che facciano il resto! È necessario celebrare il fatto con un po’ di vino! ...»
352. E seguendo il condottiere di quel pomeriggio, la folla si ritirò, mentre Timoteo si avvicinava al luogo utilizzando le ombre della notte che cominciavano a calare. Correndo ad un pozzo non lontano, che era di utilità pubblica, il piccolo riempì il berretto impermeabile di acqua pura, dando i primi soccorsi al ferito. Bagnato in lacrime, notò che Paolo aveva il fiatone, come se fosse immerso in profondo deliquio, il giovane di Listra si sedette accanto a lui, bagnò la sua fronte ferita con estrema cura. Ancora pochi minuti e l’apostolo ritornò in sé per esaminare la situazione. Timoteo lo informò di tutto. Molto dispiaciuto, Paolo ringraziò Dio, riconoscendo che solo la misericordia dell’Altissimo avrebbe potuto operare questo miracolo, strappandolo agli scopi criminali della folla incosciente.
353. Dopo due ore, tre figure silenziose si avvicinarono. Con molta difficoltà, Barnaba lasciò il letto, nonostante lo stato febbrile, per accompagnare Loide ed Eunice che, avvertite da Gaio, corsero con i primi soccorsi.
354. Tutti resero grazie a Gesù, mentre Paolo prese la piccola dose di un consolante vino. Grazie ad una potente organizzazione spirituale e, nonostante le sevizie fisiche, il tessitore di Tarso si alzò e tornò a casa con gli amici, leggermente sostenuto da Barnaba, il quale gli offrì il braccio amico.
355. Il resto della notte lo trascorsero in affettuose conversazioni. Entrambi i messaggeri della Buona Novella temevano l’aggressione del popolo alle due generose donne che lo avevano ospitato e soccorso. Era necessario partire, per evitare ulteriori disagi e complicazioni.
356. Invano la parola di Loide si fece sentire cercando di persuadere i predicatori del Cristo; inutilmente Timoteo baciò le mani di Paolo e gli chiese di non partire. Timorosi per le più tristi conseguenze, dopo aver dato le istruzioni per la Chiesa nascente, oltrepassarono le porte della città all’alba, in direzione di Derbe che si trovava poco lontana.
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Atti 14,21-28): [21]Dopo aver predicato il vangelo in quella città e fatto un numero considerevole di discepoli, ritornarono a Listra, Icònio e Antiochia, [22]rianimando i discepoli ed esortandoli a restare saldi nella fede poiché, dicevano, è necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio. [23]Costituirono quindi per loro in ogni comunità alcuni anziani e dopo avere pregato e digiunato li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto. [24]Attraversata poi la Pisidia, raggiunsero la Panfilia [25]e dopo avere predicato la parola di Dio a Perge, scesero ad Attalìa; [26]di qui fecero vela per Antiochia là dove erano stati affidati alla grazia del Signore per l'impresa che avevano compiuto. [27]Non appena furono arrivati, riunirono la comunità e riferirono tutto quello che Dio aveva compiuto per mezzo loro e come aveva aperto ai pagani la porta della fede. [28]E si fermarono per non poco tempo insieme ai discepoli.
357. Dopo una penosa camminata raggiunsero il nuovo settore di lavoro dove sarebbero rimasti per più di un anno. Anche se affidati al lavoro manuale che permetteva di guadagnare il pane per la vita, per i due compagni furono necessari sei mesi per ristabilire la salute compromessa. Come tessitore e vasaio anonimi, Paolo e Barnaba rimasero a Derbe per lungo tempo senza suscitare la curiosità del pubblico. Solo dopo essersi ristabiliti in salute ripresero la Buona Novella del Regno di Gesù. Visitando i dintorni, suscitarono un grande interesse della gente semplice per il Vangelo di redenzione. Piccole comunità cristiane furono fondate in un contesto di molta gioia.
358. Dopo un lungo periodo di lavoro decisero di tornare alla base originale dei loro sforzi. Vincendo tappe difficili, visitarono e incoraggiarono tutti i fratelli distribuiti nelle diverse regioni della Licaonia, della Pisidia e della Panfilia.
359. Da Perga scesero ad Attalia, dove s’imbarcarono con direzione Seleucia e da lì arrivarono ad Antiochia. Entrambi avevano sperimentato le difficoltà del servizio più duro. Molte volte si erano trovati sconcertati dagli intricati problemi dei loro compiti, in cambio della devozione fraterna, avevano ricevuto insulti, frustate e accuse perfide. Tuttavia, superato l’abbattimento fisico e le cicatrici, irradiavano un’energia invisibile d’intenso giubilo spirituale. Era successo che tra le spine della strada scabrosa, i due coraggiosi compagni mantennero alta la croce divina e consolante, diffondendo a manciate i semi benedetti del Vangelo di redenzione.
[indice]
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Le grandi lotte per la conversione dei gentili
(Atti 15,1): [1]Ora alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli questa dottrina: «Se non vi fate circoncidere secondo l'uso di Mosè, non potete esser salvi».
1. Il ritorno di Paolo e Barnaba ad Antiochia fu contrassegnato da grande gioia. La comunità fraterna ammirò, profondamente commossa, le gesta dei fratelli che avevano portato a regioni così povere e lontane, i semi divini della verità e dell’amore.
2. Per molte notti consecutive i nuovi arrivati presentarono rapporto verbale delle loro attività, senza omettere un dettaglio. La Chiesa di Antiochia vibrava di allegria e rendeva grazie al Cielo.
3. I due devoti missionari erano tornati durante una fase di grande difficoltà per l’istituzione. Entrambi appresero la notizia rattristati. Le controversie di Gerusalemme si estendevano a tutta la comunità di Antiochia; le lotte per la circoncisione erano accese. Anche i capi più eminenti erano divisi dalle affermazioni dogmatiche. Si era raggiunto un così alto grado di divergenze, che le voci dello Spirito Santo non si manifestarono più. Manahen, i cui sforzi nella Chiesa erano indispensabili, si manteneva a distanza alla vista di discussioni sterili e velenose. I fratelli erano molto confusi. Alcuni appoggiavano la circoncisione obbligatoria, altri combattevano per l’indipendenza del Vangelo senza restrizioni. Evidentemente preoccupato, il predicatore di Tarso osservò le polemiche che imperversavano sul cibo puro e impuro.
4. Tentando di stabilire l’armonia generale intorno agli insegnamenti del divin Maestro, Paolo prese la parola inutilmente, spiegò che il Vangelo era libero e che la circoncisione era soltanto una caratteristica convenzionale dell’intolleranza giudaica. Nonostante la sua autorità indiscussa, aureolato dal prestigio di tutta la comunità, dovuto al grande valore spirituale conquistato in missione, i disaccordi persistevano. Alcuni elementi arrivati da Gerusalemme complicarono ulteriormente la situazione. I meno severi parlavano dell’autorità assoluta degli apostoli galilei. Si diceva, ipocritamente, che la parola di Paolo e Barnaba, seppure fosse molto ispirata dalle lezioni del Vangelo, non era autorizzata abbastanza a parlare in Nome di Gesù.
5. La chiesa di Antiochia vacillava in una posizione di grande perplessità. Aveva perso il senso di unità che la caratterizzava agli inizi. Ognuno indottrinava dal suo personale punto di vista. I gentili erano trattati con scherno; si organizzavano movimenti a favore della circoncisione.
6. Fortemente impressionati dalla situazione, Paolo e Barnaba pensarono ad una soluzione estrema. Deliberarono d’invitare Simon Pietro per una visita personale all’istituzione di Antiochia. Conoscendo la sua mente libera da pregiudizi religiosi, i due compagni gli indirizzarono una lunga lettera, spiegando che il lavoro del Vangelo aveva bisogno dei suoi buoni uffici, insistendo per la sua attuazione prestigiosa.
7. Il portatore consegnò la lettera, con cura, e con grande sorpresa per i cristiani di Antiochia, l’ex pescatore di Cafarnao arrivò in città, mostrando grande gioia per il periodo di riposo fisico che gli procurava questa visita. Paolo e Barnaba non erano in sé dalla gioia. In compagnia di Simon era venuto Giovanni Marco, il quale non aveva abbandonato del tutto le attività evangeliche. Il gruppo visse belle ore di confidenze profonde, sia a proposito dei viaggi missionari riferiti sapientemente dall’ex rabbino, sia gli eventi svolti a Gerusalemme dopo la morte di Giacomo, il figlio di Zebedeo e fratello di Giovanni, raccontati da Simon Pietro in modo molto colorito.
8. Dopo essersi ben informato sulla situazione religiosa in Antiochia, l’ex pescatore aggiunse: «A Gerusalemme, le nostre lotte sono le stesse. Da una parte la Chiesa piena di bisognosi venienti ogni giorno; dall’altro le persecuzioni implacabili. Al centro di tutte le attività è rimasto Giacomo di Alfeo con le necessità più impellenti. A volte sono tentato di lottare per ripristinare la libertà dei principi del Maestro, ma come procedere? Quando la tempesta religiosa minaccia di distruggere il patrimonio che offriamo agli afflitti del mondo, il fariseismo, davanti alla stretta osservanza del compagno, ci blocca e ci obbliga a contrastare l’azione criminosa dei giudei avviata da tempo. Se si lavorasse per sopprimere questa influenza, faremmo precipitare l’istituzione di Gerusalemme nell’abisso della distruzione per le tempeste politiche della grande città. E il programma del Cristo? E i bisognosi? Sarebbe giusto pregiudicare i più svantaggiati a causa di un punto di vista personale?»
9. E davanti alla profonda attenzione di Barnaba e Paolo, il generoso compagno continuò: «Sappiamo che Gesù non ha lasciato una soluzione diretta al problema della circoncisione, ma ci ha insegnato che non sarà attraverso la carne che raggiungeremo il Regno, ma dal proponimento e dal cuore. Tuttavia, conoscendo l’attuazione del Vangelo nell’anima popolare, il fariseismo autoritario non ci perde di vista e s’impegna a sterminare l’albero del Vangelo che sta sbocciando tra la gente semplice e pacifica. È indispensabile, però, tutta l’attenzione da parte nostra, in modo da non causare danni di qualsiasi natura alla pianta divina».
10. I compagni facevano ampi gesti di approvazione. Rivelando la sua immensa capacità di guidare un’idea e armonizzare i numerosi proseliti in contrasto, Simon Pietro aveva una parola adeguata per ogni situazione, un chiarimento giusto al problema più semplice.
11. La comunità di Antiochia si rallegrò. I gentili non nascosero la gioia che avevano nell’anima. Il generoso apostolo visitò tutti personalmente senza distinzioni o preferenze. Anteponeva sempre un buon sorriso alle apprensioni degli amici che temevano l’alimentazione “impura”, e usava chiedere dov’erano le sostanze che non erano state benedette da Dio. Paolo seguiva i suoi passi senza nascondere l’interiore soddisfazione. In uno sforzo lodevole per l’armonizzazione, l’apostolo dei gentili faceva questione di portarlo in tutti i luoghi dove ci fossero stati fratelli disturbati dall’idea della circoncisione obbligatoria. Si stabilì rapidamente un notevole movimento di fiducia e di uniformità di giudizio. Tutti i membri esultavano di soddisfazione.
12. Un giorno, però, arrivarono da Gerusalemme tre emissari di Giacomo. Portavano delle lettere per Simon, il quale li accolse con molte dimostrazioni di stima. Da quel momento l’ambiente si modificò. L’ex pescatore di Cafarnao, da sempre votato alla semplicità e all’indipendenza in Cristo Gesù, si ritrasse immediatamente. Non soddisfava più gli inviti dei non circoncisi. I festeggiamenti interiori e amorevoli, organizzati in suo onore, non poterono più contare sulla sua presenza gioiosa e cordiale. Nella Chiesa modificò le minime attitudini. Sempre in compagnia dei messaggeri di Gerusalemme che non lo lasciavano mai; sembrava austero e triste, non riferendosi più alla libertà che il Vangelo concedeva alla coscienza umana.
13. Paolo , preso da un profondo disgusto, osservò la trasformazione. Per il suo spirito abituato in modo illimitato alla libertà di opinione, il fatto era scioccante e doloroso, peggiorato proprio dalla circostanza che proveniva da un credente come Simon, altamente classificato e rispettabile in tutti gli aspetti. Come interpretare tale procedura in completo disaccordo con quanto ci si aspettava? Ponderando sulla grandezza della sua missione tra i gentili, la minima domanda degli amici su questo particolare, lo rendeva confuso.
14. Nella sua passione per gli atteggiamenti sinceri, non era uno dei lavoratori che riuscivano ad aspettare. Così, dopo due settimane di ansiosa attesa, desideroso di fornire soddisfazione ai numerosi elementi non circoncisi di Antiochia, invitato a parlare sul podio ai compagni, cominciò ad esaltare l’emancipazione religiosa del mondo dopo la venuta di Gesù Cristo. Passò in rivista le generose dimostrazioni che il Maestro aveva dato ai pubblicani e ai peccatori. Pietro lo udì, spaventato da tanta erudizione e dal ricorso all’ermeneutica per insegnare agli ascoltatori i principi più difficili. I messaggeri di Giacomo erano ugualmente sorpresi, l’assemblea ascoltava l’oratore con attenzione.
15. In un dato momento, il tessitore di Tarso fissò a lungo l’apostolo galileo, ed esclamò: «Fratelli, difendendo il nostro senso di unità in Gesù, non posso nascondere il nostro dolore di fronte agli ultimi eventi. Voglio riferirmi all’atteggiamento del nostro amato ospite, Simon Pietro, che noi avremmo dovuto chiamare “maestro”, se quel titolo non fosse di fatto e di diritto del nostro Salvatore[56]».
16. La sorpresa e lo stupore generale fu grande. Anche l’apostolo di Gerusalemme rimase sorpreso, ma sembrava molto tranquillo. Gli emissari di Giacomo rivelarono un profondo malessere. Barnaba era livido. E Paolo proseguì fieramente:
17. «Simon ha personificato per noi un esempio vivente. Il Maestro, in lui, ci ha lasciato la roccia della fede immortale. Nel suo cuore generoso abbiamo depositato le più ampie speranze. Come interpretare il suo comportamento, allontanandosi dai fratelli incirconcisi, dall’arrivo dei messaggeri da Gerusalemme? Prima di allora frequentava le nostre serate spirituali e mangiava il pane alla nostra tavola. Se cerco di chiarire la questione apertamente in questo modo, non è per il desiderio di scandalizzare nessuno, ma perché credo solamente in un Vangelo libero da tutti i pregiudizi errati del mondo, visto che la parola del Cristo non è ammanettata agli interessi inferiori del sacerdozio di qualsiasi natura».
18. L’ambiente diventò carico di nervosismo. I gentili di Antiochia fissarono l’oratore, inteneriti e grati. I sostenitori del fariseismo, invece, non nascosero la loro rabbia di fronte a tale coraggio quasi audace.
19. In quel momento, con gli occhi infiammati da sentimenti indefinibili, Barnaba, mentre l’oratore faceva una pausa, prese la parola e disse: «Paolo, io sono uno di quelli che deplorano il tuo atteggiamento in questo momento. Con quale diritto attacchi la vita pura del successore di Gesù Cristo?» – domandò in tono altamente toccante con la voce soffocata dalle lacrime. Paolo e Pietro erano i suoi migliori e più cari amici.
20. Lungi dall’essere disturbato dalla domanda, l’oratore rispose con la stessa franchezza: «Sì, abbiamo un diritto: quello di vivere con la verità, di aborrire l’ipocrisia e, più sacro di tutti, salvare il nome di Simon dalle investite farisaiche di cui conosco le sinuosità, perché costituiscono il baratro buio da cui sono uscito per gli splendori del Vangelo di redenzione».
21. La spiegazione dell’ex rabbino continuò rude e schietta. Di tanto in tanto, Barnaba si avvicinava con una scusa, rendendo il dibattito più accanito.
22. Nel frattempo, in tutto il corso della discussione, la figura di Pietro era quella che più impressionava per l’augusta serenità del suo volto calmo.
23. In quei veloci momenti, l’apostolo galileo considerò la sublimità della sua missione nel campo delle battaglie spirituali, per le vittorie del Vangelo. Da una parte c’era Giacomo, che compiva un’alta missione vicino al giudaismo, dalle cui attitudini conservatrici sorgevano avvenimenti appaganti per la conservazione della Chiesa di Gerusalemme, eretta come punto di partenza per la cristianizzazione del mondo; dall’altra c’era una figura potente come quella di Paolo, amico coraggioso dei gentili che stava eseguendo un compito sublime, dal cui eroismo derivava un torrente di illuminazione per i popoli pagani.
24. Come compagno del Maestro che aveva ricevuto le più alte lezioni, come giudicare quale dei due era il più grande? In quel momento, l’ex pescatore pregò Gesù di concedergli l’ispirazione per la fedele osservanza dei suoi doveri. Sentì la spina della missione introdursi nel petto, ma non poteva giustificarsi con la sola intenzione dei suoi atti, a meno che non volesse provocare un maggiore scandalo per l’istituzione cristiana che era nata da poco nel mondo. Con gli occhi umidi, mentre Paolo e Barnaba si dibattevano, gli sembrò di vedere di nuovo il Signore nel giorno del Calvario. Nessuno lo capiva. Neanche i suoi discepoli prediletti. Poi gli sembrò di vederlo spirare sulla croce del martirio.
25. Una forza nascosta lo portò a considerare attentamente il legno. La croce del Cristo gli sembrò ora un simbolo di perfetto equilibrio. Una linea orizzontale e una verticale, assolutamente accostate, formavano delle figure dritte. Sì, lo strumento di tortura gli aveva inviato un messaggio in silenzio. Era necessario essere onesti, senza parzialità o false inclinazioni. Il Maestro aveva amato tutti, indistintamente. Aveva diviso i beni eterni con tutte le creature. Al suo sguardo compassionevole e magnanimo, gentili ed Ebrei erano fratelli. Sperimentò ora una singolare acutezza nell’esaminare coscienziosamente le circostanze. Doveva amare Giacomo per la sua generosa cura con gli israeliti, così come Paolo di Tarso per la sua straordinaria dedizione verso tutti coloro che non conoscevano l’idea di un Dio giusto.
26. L’ex pescatore di Cafarnao osservò che la maggior parte dell’assemblea gli dirigeva sguardi curiosi. I compagni di Gerusalemme, dall’estremo pallore dei loro volti, lasciavano percepire la loro intima collera. Tutti sembravano convocarli alla discussione. Barnaba aveva gli occhi rossi dal tanto piangere e Paolo sembrava sempre più franco nel condannare l’ipocrisia con la sua logica fulminante. L’apostolo preferì il silenzio, per non disturbare la fede ardente di coloro che si trovavano in Chiesa per le luci del Vangelo, ma misurò l’estensione della sua responsabilità in quel momento indimenticabile. Arrabbiarsi sarebbe stato negare i valori del Cristo e perdere le Sue opere; pendere per Giacomo sarebbe stato parzialità; dare ragione assoluta alle argomentazioni di Paolo non sarebbe stato giusto. Cercò di raccogliere nella mente gli insegnamenti del Maestro e ricordò la frase indimenticabile: “Colui che vuole essere il più grande, sia il servo di tutti!”. Questo concetto gli diede immenso conforto e grande forza spirituale. La polemica era sempre più accesa. I partiti si stremavano. L’assemblea era piena di mormorii sommessi. Era naturale prevedere una grande esplosione.
27. Simon Pietro si alzò in piedi. Il suo viso era calmo, ma i suoi occhi erano imperlati di lacrime che non riuscivano a cadere.
28. Valendosi di una pausa più lunga, alzò la voce e placò il tumulto: «Fratelli...» – disse con nobiltà – «…ho sbagliato tanto in questo mondo. Non è un segreto che io abbia negato il Maestro nel momento più doloroso del Vangelo. Ho misurato la misericordia del Signore per la profondità dell’abisso delle mie debolezze. Se ho sbagliato con gli amati fratelli di Antiochia, mi scuso per le mie mancanze. Mi sottopongo al vostro giudizio e chiedo a tutti voi di sottoporvi al giudizio dell’Altissimo».
29. Lo stupore fu generale. Comprendendo l’effetto, l’ex pescatore completò la giustificazione, dicendo: «Riconosciuta la portata dei miei bisogni spirituali, raccomando me stesso alle vostre preghiere, passiamo adesso, fratelli, alle osservazioni del Vangelo di oggi».
30. L’assemblea rimase stupita del risultato imprevedibile. Si sperava che Simon Pietro avrebbe fatto un lungo discorso di rappresaglia. Nessuno riusciva a riprendersi dalla sorpresa.
31. Il Vangelo doveva essere esaminato dall’apostolo galileo da previo accordo, ma l’ex pescatore, prima di sedersi di nuovo, esclamò molto sereno: «Chiedo al nostro fratello Paolo di Tarso il favore di consultare e commentare le note di Levi».
32. Nonostante l’imbarazzo naturale, l’ex rabbino considerò l’elevato valore di tale richiesta, rinnovò in un momento tutti i sentimenti estremi del suo cuore ardente e, con una bella improvvisazione, parlò della lettura della Buona Novella dalle pergamene.
33. L’atteggiamento ponderato di Simon Pietro salvò la Chiesa nascente. Considerando gli sforzi di Paolo e di Giacomo nel loro giusto valore, evitò lo scandalo e il tumulto nel santuario. A costo della sua abnegazione fraterna, l’incidente passò quasi inosservato nella storia della cristianità primitiva, e nemmeno un leggero riferimento di Paolo nella Lettera ai Galati, a dispetto della forma rigida, espressione del tempo, poté dare l’idea del pericolo imminente dello scandalo che aleggiò sull’istituzione cristiana, in quel giorno memorabile.
34. L’incontro si concluse senza nuovi attriti. Simon si avvicinò a Paolo e si congratulò con lui per la bellezza e l’eloquenza del discorso. Era ansioso di tornare all’incidente per affrontarlo con riferimenti amichevoli. Il problema dei gentili, diceva lui, meritava davvero molto interesse. Come diseredare le luci del Cristo a chi era nato lontano dalle comunità giudaiche, se lo stesso Maestro aveva affermato che i discepoli sarebbero arrivati dall’Occidente e dall’Oriente? Il dialogo gentile e amichevole riappacificò Paolo e Barnaba, mentre l’ex pescatore discorreva intenzionalmente calmando gli animi.
35. L’ex dottore della Legge continuò a difendere la sua tesi con solidi argomenti. Inizialmente imbarazzato a causa della benevolenza del galileo, si distese naturalmente, riacquistando una profonda serenità. Il problema era complesso.
36. «Portare il Vangelo al giudaismo, non sarebbe come soffocargli le possibilità divine?» – chiese Paolo, rafforzando il suo punto di vista.
37. «Ma, e lo sforzo millenario dei giudei?» – interrogava Pietro, avvertendo che, a suo vedere, se Gesù aveva affermato che la Sua missione era l’esatto adempimento della Legge, non si poteva allontanare la vecchia dalla nuova rivelazione. Procedere in altro modo sarebbe stato strappare dal tronco vigoroso il verde ramoscello, destinato a dare frutti.
38. Esaminando quegli argomenti importanti, Paolo di Tarso ricordò che sarebbe stato ragionevole promuovere a Gerusalemme un’assemblea dei sostenitori più dedicati, per ventilare la questione in modo più ampio. I risultati, a suo parere, sarebbero stati utili per presentare una giusta norma per l’azione, senza eccedere ai sofismi di gusto e di abitudine così farisaica.
39. Mettendosi nei panni di chi si sarebbe sentito molto felice di trovare la chiave di un problema difficile, Simon Pietro acconsentì volentieri alla proposta, assicurando d’interessarsi affinché l’incontro fosse fatto il prima possibile. Interiormente ritenne che sarebbe stata una grande opportunità per i discepoli di Antiochia osservare le difficoltà crescenti a Gerusalemme.
40. Di notte, tutti i fratelli si presentarono alla Chiesa per gli addii a Simon e per le preghiere abituali. Pietro pregò con santificato fervore, e la comunità si sentì avvolta in benefiche vibrazioni di pace.
41. L’incidente aveva lasciato tutti più o meno perplessi, ma gli atteggiamenti prudenti e affabili del pescatore riuscirono a mantenere la coesione complessiva intorno al Vangelo, per la continuazione dei santi compiti.
42. Dopo aver osservato la piena riconciliazione di Paolo e Barnaba, Simon Pietro tornò a Gerusalemme con i messaggeri di Giacomo.
43. Ad Antiochia, la situazione rimase instabile. Le discussioni sterili proseguivano. L’influenza giudaica combatteva i gentili, e i cristiani liberi ponevano una resistenza formale al convenzionalismo pregiudizievole. L’ex rabbino, tuttavia, non si riposava. Convocò riunioni dove chiarì lo scopo dell’assemblea che Simon gli aveva promesso di fare a Gerusalemme alla prima occasione. Combattente attivo, moltiplicò le proprie energie per sostenere l’indipendenza del cristianesimo e promise pubblicamente di portare le lettere della Chiesa degli apostoli galilei, affinché garantissero la posizione dei gentili nella dottrina consolatrice di Gesù, sbarazzandosi delle imposizioni assurde, come nel caso della circoncisione. I suoi provvedimenti e le promesse accesero nuove lotte. Osservatori rigorosi degli antichi precetti dubitavano di ottenere concessioni simili da parte di Gerusalemme.
44. Paolo non si scoraggiò. Interiormente, idealizzava il suo arrivo presso la Chiesa degli apostoli e, nell’immaginazione sovreccitata, passava in rassegna tutti i potenti argomenti da usare. Si vide vincitore nella questione che si delineava ai suoi occhi come di essenziale importanza per il futuro del Vangelo. Avrebbe cercato di dimostrare l’elevata capacità dei gentili per il servizio di Gesù. Avrebbe raccontato i successi ottenuti nella lunga escursione di più di quattro anni attraverso le regioni povere e quasi sconosciute, dove i gentili avevano ricevuto la notizia del Maestro con intensa gioia e una comprensione molto più elevata dei suoi fratelli di stirpe.
45. Ampliando i progetti generosi, decise di portare con sé il giovane Tito che, pur provenendo dalla filiera dei pagani e nonostante non avesse ancora vent’anni, rappresentava nella Chiesa di Antiochia una delle menti più lucide al servizio del Signore. Dall’arrivo da Tarso, Tito si affezionò a lui come un fratello generoso. Notandogli l’indole laboriosa, Paolo gli insegnò il mestiere di tappezziere e lo sostituì nell’umile tenda, tutto il tempo che durò la prima missione. Il ragazzo sarebbe stato un esponente della potenza rinnovatrice del Vangelo. Di certo, quando avesse parlato nella riunione, i più colti si sarebbero sorpresi dai suoi argomenti di alto tenore esegetico. Accarezzando speranze, Paolo di Tarso prese tutte le misure per il successo dei suoi piani.
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(Atti 15,2-21): [2]Poiché Paolo e Barnaba si opponevano risolutamente e discutevano animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Barnaba e alcuni altri di loro andassero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione. [3]Essi dunque, scortati per un tratto dalla comunità, attraversarono la Fenicia e la Samaria raccontando la conversione dei pagani e suscitando grande gioia in tutti i fratelli. [4]Giunti poi a Gerusalemme, furono ricevuti dalla Chiesa, dagli apostoli e dagli anziani e riferirono tutto ciò che Dio aveva compiuto per mezzo loro. [5]Ma si alzarono alcuni della setta dei farisei, che erano diventati credenti, affermando: è necessario circonciderli e ordinar loro di osservare la legge di Mosè. [6]Allora si riunirono gli apostoli e gli anziani per esaminare questo problema. [7]Dopo lunga discussione, Pietro si alzò e disse: «Fratelli, voi sapete che già da molto tempo Dio ha fatto una scelta fra voi, perché i pagani ascoltassero per bocca mia la parola del vangelo e venissero alla fede. [8]E Dio, che conosce i cuori, ha reso testimonianza in loro favore concedendo anche a loro lo Spirito Santo, come a noi; [9]e non ha fatto nessuna discriminazione tra noi e loro, purificandone i cuori con la fede. [10]Or dunque, perché continuate a tentare Dio, imponendo sul collo dei discepoli un giogo che né i nostri padri, né noi siamo stati in grado di portare? [11]Noi crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati e nello stesso modo anche loro». [12]Tutta l'assemblea tacque e stettero ad ascoltare Barnaba e Paolo che riferivano quanti miracoli e prodigi Dio aveva compiuto tra i pagani per mezzo loro. [13]Quand'essi ebbero finito di parlare, Giacomo aggiunse: [14]«Fratelli, ascoltatemi. Simone ha riferito come fin da principio Dio ha voluto scegliere tra i pagani un popolo per consacrarlo al suo nome. [15]Con questo si accordano le parole dei profeti, come sta scritto: [16]Dopo queste cose ritornerò e riedificherò la tenda di Davide che era caduta; ne riparerò le rovine e la rialzerò, [17]perché anche gli altri uomini cerchino il Signore e tutte le genti sulle quali è stato invocato il mio nome, [18]dice il Signore che fa queste cose da lui conosciute dall'eternità. [19]Per questo io ritengo che non si debba importunare quelli che si convertono a Dio tra i pagani, [20]ma solo si ordini loro di astenersi dalle sozzure degli idoli, dalla impudicizia, dagli animali soffocati e dal sangue. [21]Mosè infatti, fin dai tempi antichi, ha chi lo predica in ogni città, poiché viene letto ogni sabato nelle sinagoghe».
46. Dopo quattro mesi un emissario da Gerusalemme gli portò l’attesa notifica di Pietro riferentesi all’assemblea. Assistito dalla laboriosità di Barnaba, l’ex rabbino accelerò i provvedimenti necessari. Alla vigilia della partenza salì in tribuna e rinnovò la promessa di ottenere le concessioni previste per i gentili, insensibile ai sorrisi che alcuni israeliti camuffavano con cautela.
47. La piccola carovana partì la mattina seguente. Era composta da Paolo, Barnaba, Tito e in più due fratelli che li accompagnavano come ausiliari.
48. Fecero un viaggio lento, fermandosi in tutti i villaggi per predicare la Buona Novella, diffondendo guarigioni e consolazioni.
49. Dopo molti giorni giunsero a Gerusalemme, dove furono ricevuti da Simon con gioia insuperabile. In compagnia di Giovanni, il generoso apostolo gli offrì accoglienza fraterna. Erano tutti nel reparto dove si trovavano i bisognosi e i malati. Paolo e Barnaba esaminarono i cambiamenti fatti nella casa. Altri padiglioni, anche se umili, erano stati ampliati, coprendo una grande area.
50. «I servizi sono aumentati…..» – disse Simon gentilmente – «…i malati bussano alle porte moltiplicandosi ogni giorno. È stato necessario costruire nuove strutture».
51. Una fila di lettini sembrava senza fine. Vecchi e storpi si distraevano al Sole nel cortile tra gli alberi amici.
52. Paolo fu sorpreso dalla vastità delle opere. Dopo un po’, Giacomo e altri compagni vennero a salutare i fratelli dell’istituzione di Antiochia. L’ex rabbino fissò l’apostolo che guidava le idee del giudaismo. Il figlio di Alfeo gli apparve, ora, radicalmente trasformato. I suoi lineamenti erano quelli di un “maestro d’Israele”, con tutte le caratteristiche e le abitudini farisaiche. Non sorrideva. Gli occhi lasciavano intravedere una presunzione di superiorità che confinava con l’indifferenza. I suoi gesti erano misurati come di un sacerdote del Tempio negli atti cerimoniali.
53. Il tessitore di Tarso prese le sue conclusioni più interiori ed aspettò la notte quando fossero cominciate le discussioni preparatorie. Sotto la luce di alcune torce erano seduti intorno ad un grande tavolo numerosi personaggi che Paolo non conosceva. «Sono nuovi collaboratori della Chiesa di Gerusalemme» – disse Pietro con gentilezza.
54. L’ex rabbino e Barnaba, a prima vista non ebbero una buona impressione. Gli sconosciuti somigliavano alle figure del Sinedrio nella loro posizione gerarchica e convenzionale. Giunti al luogo della riunione, il convertito di Damasco visse la sua prima delusione.
55. Notando che i rappresentanti di Antiochia erano accompagnati da un giovane, Giacomo si fece avanti e chiese: «Fratelli, è giusto che noi sappiamo chi è il ragazzo che portate a questo discreto cenacolo. La nostra preoccupazione è basata sui precetti della tradizione che comanda di esaminare la provenienza della gioventù, in modo che i servizi di Dio non siano disturbati».
56. «Lui è il nostro prezioso collaboratore di Antiochia…» – spiegò Paolo, tra l’orgoglioso e il soddisfatto – «…si chiama Tito e rappresenta una delle nostre più grandi speranze nella piantagione di Gesù Cristo».
57. L’apostolo lo guardò senza sorpresa e chiese di nuovo: «Egli è figlio del popolo eletto?»
58. «Si tratta di un discendente dei gentili» – disse l’ex rabbino, quasi altezzoso.
59. «Circonciso?» – chiese il figlio di Alfeo, zelante.
60. «No!» – disse Paolo, espresso con molta enfasi, poiché le esigenze di Giacomo lo innervosivano.
61. Ascoltando la negazione, l’apostolo galileo chiarì in tono fermo: «Penso, quindi, che non sarà giusto ammetterlo nell’assemblea, visto che non ha ancora soddisfatto tutti i precetti».
62. «Chiediamolo a Simon Pietro» – disse Paolo, convinto. – «Tito è un rappresentante della nostra comunità».
63. L’ex pescatore di Cafarnao era pallido. Situato tra i due maggiori rappresentanti del Giudaismo e dei gentili, doveva decidere la situazione in maniera cristiana sulla difficoltà inattesa.
64. E poiché il suo intervento diretto ritardò di qualche minuto, il tessitore di Tarso continuò: «Per inciso, la riunione dovrà risolvere queste questioni palpitanti, in modo da stabilire i legittimi diritti dei gentili».
65. Simon, tuttavia, conoscendo entrambi i contendenti, si affrettò a opinare, esclamando in tono conciliante: «Sì, l’argomento sarà sotto il nostro attento esame nell’assemblea». – E dirigendo intenzionalmente lo sguardo verso l’ex rabbino, continuò a spiegare: «Mi hai chiamato in causa, accolgo l’appello, però, dobbiamo considerare l’obiezione di Giacomo più da vicino. Si tratta di un capo dedito di questa casa, e non sarebbe giusto disprezzare i suoi servizi. Infatti, il Consiglio discuterà questi casi, ma significa che la questione non è ancora risolta. Propongo, quindi, che il fratello Tito venga circonciso domani per partecipare ai dibattiti con l’ispirazione superiore che gli riconosco. E così, con questo provvedimento gli orizzonti saranno necessariamente chiariti, per la pace di tutti i discepoli del Vangelo».
66. La sottigliezza del ragionamento rimosse gli ostacoli. Se ciò non fu gradito a Paolo, soddisfò però la maggioranza, e così, ritornando il giovane di Antiochia verso l’interno della casa, l’assemblea iniziò le discussioni preliminari.
67. Invece l’ex rabbino rimase taciturno e sconsolato. L’atteggiamento di Giacomo, i nuovi elementi estranei al Vangelo che avrebbero dovuto votare in assemblea, il gesto conciliante di Simon Pietro, lo disgustavano profondamente. Quell’imposizione nel caso di Tito gli apparve un crimine. Aveva voglia di tornare ad Antiochia, accusare di ipocrisie e di “sepolcri imbiancati” i fratelli giudaizzati, ma le lettere di emancipazione che aveva promesso ai compagni della componente gentile? Non sarebbe stato più conveniente reprimere il proprio orgoglio ferito per amore dei fratelli di ideale? Non sarebbe stato più giusto attendere le decisioni definitive e umiliarsi? Il ricordo degli amici che contavano sulle sue promesse lo calmarono. Profondamente deluso, il convertito di Damasco accompagnò attento i primi dibattiti. Le questioni iniziali davano un’idea dei grandi cambiamenti che si cercava di introdurre nel Vangelo del Maestro.
68. Uno dei fratelli arrivò a considerare che i gentili fossero considerati come il “bestiame” del popolo di Dio: barbari che dovevano sottomettersi a forza, per essere impiegati nel lavoro più pesante degli eletti! Un altro si chiedeva se i pagani erano simili ad altri uomini convertiti a Mosè o a Gesù. Un vecchio dall’aspetto freddo ebbe lo sproposito di affermare che l’uomo si completava solamente dopo la circoncisione. In riferimento ai gentili, altre questioni futili vennero a galla. C’era chi ricordava che l’assemblea aveva il dovere di regolare le norme sugli alimenti impuri, nonché sul processo più adatto per il lavaggio delle mani.
69. Giacomo argomentava e parlava come un profondo conoscitore di tutti i precetti. Pietro ascoltava con grande serenità. Non rispondeva mai quando l’argomento assumeva il carattere di conversazione, e attendeva il tempo opportuno per manifestarsi. Prese solo un atteggiamento più energico quando uno dei componenti del Consiglio chiese di incorporare il Vangelo di Gesù nel libro dei profeti, divenendo così subordinato alla legge di Mosè a tutti gli effetti. Fu la prima volta che Paolo di Tarso notò l’ex pescatore diventare intransigente e quasi scortese, per spiegare l’assurdità di tale suggerimento. Il lavoro fu interrotto a tarda notte, in fase di pura preparazione. Giacomo raccolse i rotoli di pergamena con le annotazioni, s’inginocchio e pregò. La congregazione si disperse per una nuova riunione il giorno dopo.
70. Simon cercò la compagnia di Paolo e Barnaba, per dirigersi al locale di riposo.
71. Il tessitore di Tarso era costernato. La circoncisione di Tito gli apparve come una sconfitta dei suoi principi intransigenti. Non era soddisfatto, facendo sentire all’ex pescatore l’estensione delle sue contrarietà.
72. «Ma cos’è una piccola concessione…» – contestava l’apostolo di Cafarnao, sempre gentile – «…di fronte a ciò che vogliamo realizzare?»
73. «Abbiamo bisogno di un ambiente tranquillo per chiarire la questione dell’obbligatorietà della circoncisione. Non ti sei impegnato con i gentili di Antiochia?»
74. Paolo ricordò la promessa che aveva fatto ai suoi fratelli, e concordò: «Sì, è vero. Riconosciamo, dunque, la necessità di arrivare con calma ad una soluzione precisa. Le difficoltà in questo senso non prevalgano solo nella Chiesa di Antiochia. Le comunità di Cesarea, di Giaffa, così come in altre regioni, sono afflitte da questi casi trascendentali. Sappiamo bene che tutte le cerimonie esterne sono di evidente inutilità per l’anima, ma in considerazione dei principi rispettabili del giudaismo, non possiamo, da un momento all’altro, dichiarare guerra a morte alle loro tradizioni. È giusto combattere, ma con molta prudenza per non ferire rudemente nessuno».
75. L’ex rabbino ascoltò le esortazioni dell’apostolo, e ricordando le lotte a cui egli stesso fu testimone nell’ambiente farisaico, si mise a meditare in silenzio.
76. Ancora pochi passi e raggiunsero la stanza trasformata nel dormitorio di Pietro e di Giovanni. Entrarono. Mentre Barnaba e il figlio di Zebedeo si trattenevano in una vivace conversazione, Paolo si sedette accanto all’ex pescatore, immerso in profondi pensieri.
77. Dopo qualche istante, l’ex dottore della Legge, uscendo dalla sua astrazione, chiamò Pietro, sussurrando: «Odio essere d’accordo con la circoncisione di Tito, ma non vedo altro ricorso».
78. Attratti da quella confessione, Barnaba e Giovanni si misero ad ascoltarlo con attenzione.
79. «Ma, inchinandomi alla provvidenza…» – proseguì con incredibile franchezza – «…non posso non riconoscere il fatto che tutto è finzione. Sarò d’accordo su ciò che non accetto in alcun modo. Ho quasi rimpianto di aver preso impegno con i nostri amici ad Antiochia; non supponevo che l’abominevole politica delle sinagoghe avesse invaso talmente tanto la Chiesa di Gerusalemme!»
80. Il figlio di Zebedeo fissò nel convertito di Damasco gli occhi molto lucidi, mentre Simon rispose serenamente: «La situazione è, infatti, molto delicata. Soprattutto dopo il sacrificio di alcuni dei compagni più amati e disponibili, le difficoltà religiose a Gerusalemme si moltiplicano ogni giorno» – e girovagando i suoi occhi nella stanza, come per tradurre fedelmente il suo pensiero, continuò: «Quando la situazione è peggiorata, ho contemplato la possibilità di trasferirmi in un’altra comunità; poi ho pensato di accettare la lotta e reagire; ma una notte, bella come questa, pregavo in questa stanza quando ho sentito la presenza di qualcuno che si avvicinava lentamente. Ero in ginocchio quando la porta si aprì con grande sorpresa per me. Era il Maestro! Il Suo volto era lo stesso delle belle giornate di Tiberiade. Mi guardò serio e tenero, e disse: “Pietro, protenditi verso i “figli del Calvario”, prima di pensare ai tuoi capricci!”. La meravigliosa visione durò un minuto, ma poco dopo ho cominciato a ricordare i vecchietti, i bisognosi, gli ignoranti e i malati che vengono a bussare alla porta. Il Signore mi ha raccomandato attenzione per i portatori della croce. Da allora non ho desiderato altro che servirli».
81. L’apostolo aveva gli occhi umidi e Paolo si sentiva alquanto impressionato perché ricordò di aver ascoltato l’espressione “figli del Calvario” dalle labbra spirituali di Abigail nella sua visione gloriosa, nel silenzio della notte, in prossimità di Tarso.
82. «In effetti, grande è la lotta» – concordò il convertito di Damasco, sembrando più tranquillo, e mostrandosi convinto della necessità di esaminare il realismo della vita in comune, nonostante la bellezza delle manifestazioni prodigiose del piano invisibile, disse nuovamente: «Tuttavia, dobbiamo trovare un modo per liberare le verità evangeliche dal convenzionalismo umano. Qual è la ragione principale per la preponderanza farisaica nella chiesa di Gerusalemme?»
83. Simon Pietro si espresse senza dissimulare: «Le maggiori difficoltà ruotano intorno alla questione dei soldi. Questa casa sostiene più di un centinaio di persone al giorno, in aggiunta ai servizi di cura dei malati, degli orfani e degli indigenti. Per la manutenzione dei lavori sono indispensabili grande coraggio e grande fede, perché i debiti contratti con i soccorritori della città sono inevitabili.
84. «Ma i malati…» – chiese Paolo, premuroso – «…non lavorano dopo il miglioramento?»
85. «Sì» – spiegò l’apostolo – «…ho organizzato servizi di agricoltura per quelli già ristabiliti ma impossibilitati a lasciare Gerusalemme nell’immediato. Con questo, la casa non ha bisogno di acquistare ortaggi e frutta. Quelli guariti completamente fanno da infermieri e si prendono cura delle persone svantaggiate. Questa misura ha permesso di fare a meno di due uomini remunerati, che ci aiutavano nell’assistenza ai più incurabili o di cure più difficili. Come puoi vedere, questi dettagli non sono stati dimenticati; eppure la Chiesa è aggravata da spese e debiti che solo la cooperazione del giudaismo può mitigare o cancellare».
86. Paolo capì che Pietro aveva ragione. Tuttavia, ansioso di fornire l’indipendenza agli sforzi dei fratelli di ideale, considerò: «Avverto, ciò nonostante, la necessità di installare qui degli elementi di servizio che consentano alla casa di vivere con le proprie risorse. Gli orfani, gli anziani e gli uomini adoperabili possono trovare un’altra attività oltre il lavoro agricolo, e produrre qualcosa per l’indispensabile reddito. Ognuno potrebbe operare in conformità con le proprie forze, sotto la direzione dei fratelli più esperti. La produzione del servizio garantirebbe il mantenimento generale. Come sappiamo, dove c’è lavoro c’è ricchezza, e dove c’è collaborazione c’è pace. È l’unica risorsa per emancipare la Chiesa di Gerusalemme dalle imposizioni del fariseismo, le cui astuzie conosco fin dal principio della mia vita».
87. Pietro e Giovanni rimasero stupiti. L’idea di Paolo era eccellente. Andava incontro alle loro preoccupazioni ansiose per le difficoltà che sembravano non aver fine.
88. «Il progetto è straordinario…» – disse Pietro – «…e risolverebbe i grandi problemi della nostra vita».
89. Il figlio di Zebedeo, che aveva gli occhi raggianti di gioia, prese l’argomento e disse: «Ma i soldi? Dove trovare i fondi necessari per la grande impresa?»
90. L’ex rabbino entrò in profonda meditazione e disse: «Il Maestro ci aiuterà nei buoni propositi. Barnaba ed io, quando abbiamo intrapreso il lungo viaggio al servizio del Vangelo, abbiamo vissuto tutto il tempo a spese del nostro lavoro. Io tessitore, lui vasaio in attività provvisorie nei luoghi dov’eravamo di passaggio. Fatta la prima esperienza, potremmo ora ritornare nelle stesse regioni o visitarne altre, chiedendo fondi per la Chiesa di Gerusalemme. Proveremo il nostro disinteresse personale vivendo a spese del nostro lavoro e raccogliendo donazioni ovunque, coscienti che se lavoriamo per il Cristo, sarà giusto chiedere anche per amore del Cristo. La raccolta di offerte stabilirebbe la libertà del Vangelo a Gerusalemme, perché rappresenterebbe il materiale indispensabile alle edificazioni definitive nel piano del lavoro remunerativo».
91. Così fu abbozzato il programma a cui l’apostolo generoso dei gentili si sarebbe sottomesso per il resto dei suoi giorni. Nel suo impegno avrebbe sofferto le più crudeli accuse; ma nel santuario del suo cuore devoto e sincero, Paolo, a fianco dei grandiosi servizi apostolici, avrebbe portato la raccolta di offerte per Gerusalemme fino alla fine della sua esistenza terrena.
92. Ascoltando i suoi piani, Simon si alzò e lo abbracciò, dicendo commosso: «Sì, amico mio, non fu invano che Gesù ti cercò personalmente alle porte di Damasco».
93. Fatto piuttosto non inconsueto nella sua vita, Paolo aveva gli occhi pieni di lacrime. Fissò l’ex pescatore in modo significativo e, considerando interiormente i debiti di gratitudine con il Salvatore, mormorò: «Non farò altro che il mio dovere. Non potrò mai dimenticare che Stefano è uscito dal letto di questa casa, di cui mi sono servito anch’io».
94. Tutti erano molto commossi. Barnaba commentò l’idea con entusiasmo e arricchì il piano di numerosi dettagli.
95. Quella notte, i discepoli consacrati al Cristo, sognarono l’indipendenza del Vangelo a Gerusalemme; con l’emancipazione della Chiesa, esente dalle assurde imposizioni della sinagoga.
*
96. Nel giorno successivo iniziò solennemente la circoncisione di Tito, sotto l’attenta direzione di Giacomo e la profonda ripugnanza di Paolo di Tarso.
97. Le riunioni notturne continuarono per più di una settimana. Nelle prime notti, ponendo le basi per il sostegno aperto alla causa dei gentili, l’ex pescatore di Cafarnao chiese ai rappresentanti di Antiochia di esporre le loro impressioni delle visite ai pagani di Cipro, di Panfilia, della Pisidia e di Licaonia. Paolo, profondamente seccato dai requisiti imposti a Tito, delegò Barnaba a parlare in suo nome. L’ex levita di Cipro fece ampio resoconto di tutti gli eventi, provocando un’immensa sorpresa a quanti lo ascoltavano sui riferimenti alla straordinaria forza del Vangelo tra coloro che non avevano ancora condiviso una credenza pura. Di seguito, attendendo ancora le osservazioni di Paolo, Tito parlò, profondamente commosso dall’interpretazione degli insegnamenti del Cristo, mostrando di possedere splendidi doni di profezia, facendosi ammirare da Giacomo stesso, che lo abbracciò più di una volta.
98. Al termine dei lavori, si discusse ancora sulla circoncisione obbligatoria ai pagani. L’ex rabbino seguì i dibattiti, silenzioso, ammirando il potere di resistenza e la tolleranza di Simon Pietro.
99. Quando l’ex pescatore riconobbe che i disaccordi sarebbero continuati per lungo tempo, si alzò e chiese di parlare, facendo la generosa e saggia esortazione riportata negli Atti degli Apostoli (capitolo 15, versetti 7 e 11): «Fratelli…» – iniziò Pietro, energico e sereno – «…sapete bene che, già da molto, Dio ci ha scelti affinché i gentili udissero la verità del Vangelo e credessero nel suo Regno. Il Padre, che conosce tutti i cuori, ha dato ai circoncisi e ai non circoncisi la parola dello Spirito Santo. Nel glorioso giorno di Pentecoste (Atti cap.2) le voci hanno parlato nella piazza pubblica di Gerusalemme ai figli d’Israele e dei pagani. L’Onnipotente stabilì che le verità fossero annunziate indistintamente. Gesù disse che i collaboratori del Regno sarebbero venuti da Oriente e dall’Occidente. Non capisco tante polemiche, quando la situazione è così chiara ai nostri occhi.
100. Il Maestro esemplificò la necessità di una costante armonizzazione: discuteva con i dottori del Tempio, frequentava la casa dei pubblicani, aveva una parola buona verso tutti coloro che mancavano di speranza, accettò la punizione finale tra i malfattori. Per quale motivo dovremmo conservare un pregiudizio di isolamento verso coloro che avvertono un bisogno più elevato? Un altro argomento che non dobbiamo dimenticare è l’arrivo del Vangelo nel mondo, quando già possedevamo la Legge. Se il Maestro ce l’ha portato, con amore e sacrifici dei più pesanti, sarebbe giusto intrappolarci nelle tradizioni convenzionali, dimenticando il campo di lavoro? Non ci comandò il Cristo di predicare la Buona Novella a tutte le nazioni? È chiaro che non possiamo trascurare il patrimonio dei figli d’Israele.
101. Dobbiamo amare, nei figli della Legge che siamo noi, le espressioni di profonda sofferenza ed elevate esperienze che sono giunte ai nostri cuori attraverso quelli che hanno preceduto il Cristo, nel compito millenario di preservare la fede nel Dio unico; ma questo riconoscimento deve piegare la nostra anima allo sforzo nella redenzione di tutte le creature.
102. Abbandonare i gentili alla propria sorte, sarebbe come creare una dura prigionia, invece di praticare quell’amore che cancella tutti i peccati. È perché comprendiamo molto gli ebrei e stimiamo molto i precetti divini, che abbiamo bisogno di stabilire la miglior fratellanza con i gentili, convertendoli in elementi di fruttificazione divina. Noi crediamo che Dio purifichi i cuori per la fede, e non per le norme del mondo. Se oggi rendiamo grazie per il glorioso trionfo del Vangelo che istituì la nostra libertà, come imporre ai nuovi discepoli un dominio che, intimamente, non possiamo sopportare? Suppongo, quindi, che la circoncisione[57] non dovrebbe essere atto obbligatorio per tutti coloro che si sono convertiti all’amore di Gesù Cristo, e credo che noi saremo salvati solo per il favore del divin Maestro, generosamente esteso a noi e anche a loro».
103. Le parole dell’apostolo caddero sulle bollenti opinioni come un forte getto d’acqua fredda. Paolo era raggiante, mentre Giacomo non riusciva a nascondere il disappunto.
104. L’esortazione dell’ex pescatore diede luogo a numerose interpretazioni; se si parlava del rispetto amorevole ai giudei, si doveva fare riferimento anche al dominio che non potevano più sopportare. Nessuno, però, osò negare la sua prudenza e l’indubitabile buon senso. Dopo la preghiera, Pietro supplicò che Paolo parlasse delle sue impressioni personali sui gentili.
105. Più speranzoso, l’ex rabbino parlò per la prima volta nel Consiglio, e invitando Barnaba al commento generale, entrambi chiesero all’assemblea di concedere la necessaria indipendenza ai pagani in riferimento alla circoncisione.
106. Adesso c’era in tutto una nota di soddisfazione generale. Le osservazioni di Pietro arrivarono in profondità a tutti i compagni. Fu allora che Giacomo prese la parola, e trovandosi quasi da solo con il suo punto di vista, disse che Simon era molto bene ispirato nel suo richiamo, ma chiese tre emendamenti affinché la situazione diventasse ben chiara. I pagani erano esenti dalla circoncisione, ma dovevano impegnarsi a sfuggire all’idolatria, alla lussuria e astenersi dalle carni di animali soffocati[58].
107. L’apostolo dei gentili rimase soddisfatto. Era stato rimosso l’ostacolo più grande.
108. Il giorno dopo la chiusura dei lavori, furono compilate le risoluzioni in pergamena. Pietro predispose affinché ogni fratello portasse con sé una lettera, come prova delle discussioni, sulla base della richiesta di Paolo, il quale desiderava esibire il documento come un messaggio di emancipazione ai gentili.
109. Interpellato dall’ex pescatore sulle sue impressioni personali dei lavori mentre erano soli, l’ex dottore di Gerusalemme disse con un sorriso: «Insomma, sono soddisfatto. È stato risolto il problema più difficile. L’obbligatorietà della circoncisione per i gentili rappresentava un crimine ai miei occhi. Per quanto riguarda gli emendamenti di Giacomo non mi impressionano, perché l’idolatria e la lussuria sono atti detestabili per la vita privata di ciascuno, e riguardo all’alimentazione, suppongo che ogni cristiano debba mangiare come meglio crede, a condizione di evitare gli eccessi».
110. Pietro sorrise e spiegò all’ex rabbino i suoi nuovi progetti. Commentò speranzoso l’idea della raccolta generale per la Chiesa di Gerusalemme e, mettendo in evidenza la sua peculiare prudenza, parlò preoccupato: «Il tuo progetto di viaggio e propaganda della Buona Novella alla ricerca di ottenere alcune risorse per risolvere i nostri problemi più gravi, mi soddisfa, tuttavia, ho riflettuto sulla situazione della Chiesa di Antiochia. Da quanto ho osservato, ho concluso che l’istituzione ha bisogno di servitori dediti che si sostituiscano nei vari lavori quotidiani. La tua assenza, con Barnaba, porterà agli altri delle difficoltà, nel caso non prendiamo provvedimenti precisi. Per questo motivo offro la collaborazione di due compagni devoti che mi hanno sostituito qui negli incarichi più pesanti. Si tratta di Barsabba e Sila, due discepoli amici dei gentili e dei principi liberali. Di volta in volta entravano in disaccordo con Giacomo, naturalmente, e credo che saranno di grande aiuto al tuo programma».
111. Paolo vide nel suggerimento la realizzazione della provvidenza così come desiderava. Insieme a Barnaba che partecipò alla conversazione, ringraziò l’ex pescatore, profondamente emozionato. La Chiesa di Antiochia avrebbe avuto le necessarie risorse che richiedevano le opere evangeliche. La misura proposta fu molto gradita, perché da subito aveva avuto grande simpatia per Sila, presumendolo fedele, dedito e sollecito. I missionari di Antiochia rimasero ancora tre giorni in città, e dopo la chiusura del concilio, in questo tempo, Barnaba approfittò per riposare in casa di sua sorella. Paolo, tuttavia, declinò l’invito di Maria Marco, e rimase nella Chiesa, studiando la situazione della futura impresa in compagnia di Simon Pietro e dei due nuovi collaboratori.
112. In un clima di grande armonia i lavoratori del Vangelo affrontarono tutti i requisiti del progetto. Fatto degno di nota, l’isolamento di Paolo, assieme agli apostoli galilei, che non uscì mai in strada, per non entrare in contatto con l’ambiente vivo del suo tumultuoso passato.
113. Finalmente, tutto pronto e sistemato, la missione era disposta a tornare. C’erano in tutti i volti un segno di gratitudine e di speranza santificata nei giorni a venire. Si verificò, comunque, un dettaglio curioso che è essenziale evidenziare. Sollecitato dalla sorella, Barnaba decise di accettare il contributo di Giovanni Marco, nel tentativo di adattarsi nuovamente al servizio evangelico. Considerando la buona intenzione con la quale aveva aderito alle richieste della sorella, l’ex levita di Cipro trovò inutile consultare il compagno di sforzi comuni ma Paolo non si offese. Accolse la risoluzione di Barnaba, un po’ sorpreso, abbracciò affettuosamente il giovane e aspettò che il discepolo di Pietro si pronunciasse riguardo al futuro.
*
(Atti 15,22-29): [22]Allora gli apostoli, gli anziani e tutta la Chiesa decisero di eleggere alcuni di loro e di inviarli ad Antiochia insieme a Paolo e Barnaba: Giuda chiamato Barsabba e Sila, uomini tenuti in grande considerazione tra i fratelli. [23]E consegnarono loro la seguente lettera: «Gli apostoli e gli anziani ai fratelli di Antiochia, di Siria e di Cilicia che provengono dai pagani, salute! [24]Abbiamo saputo che alcuni da parte nostra, ai quali non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con i loro discorsi sconvolgendo i vostri animi. [25]Abbiamo perciò deciso tutti d'accordo di eleggere alcune persone e inviarle a voi insieme ai nostri carissimi Barnaba e Paolo, [26]uomini che hanno votato la loro vita al nome del nostro Signore Gesù Cristo. [27]Abbiamo mandato dunque Giuda e Sila, che vi riferiranno anch'essi queste stesse cose a voce. [28]Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi, di non imporvi nessun altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: [29]astenervi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalla impudicizia. Farete cosa buona perciò a guardarvi da queste cose. State bene».
114. Il gruppo ampliato da Sila, da Giovanni Marco e da Barsabba, si mise in cammino per Antiochia, con le migliori disposizioni di armonia.
115. A turno, nel compito di predicare le verità eterne, annunciavano il Regno di Dio e facevano guarigioni ovunque passassero.
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(Atti 15, 30-35): [30]Essi allora, congedatisi, discesero ad Antiochia e riunita la comunità consegnarono la lettera. [31]Quando l'ebbero letta, si rallegrarono per l'incoraggiamento che infondeva. [32]Giuda e Sila, essendo anch'essi profeti, parlarono molto per incoraggiare i fratelli e li fortificarono. [33]Dopo un certo tempo furono congedati con auguri di pace dai fratelli, per tornare da quelli che li avevano inviati. [34]. [35]Paolo invece e Barnaba rimasero ad Antiochia, insegnando e annunziando, insieme a molti altri, la parola del Signore.
116. Arrivati a destinazione, con grande manifestazioni di giubilo da parte dei gentili, organizzarono il piano concordato per eseguirlo immediatamente. Paolo espose il proposito di ritornare alle comunità cristiane già fondate, estendendo l’escursione evangelica in altre regioni dove il cristianesimo non era ancora conosciuto. Il piano ricevette l’approvazione generale. L’istituzione di Antiochia sarebbe stata sotto la collaborazione diretta di Barsabba e Sila, entrambi devoti compagni, che fino ad allora avevano costituito due forti colonne del lavoro a Gerusalemme.
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(Atti 15,36-41): [36]Dopo alcuni giorni Paolo disse a Barnaba: «Ritorniamo a far visita ai fratelli in tutte le città nelle quali abbiamo annunziato la parola del Signore, per vedere come stanno». [37]Barnaba voleva prendere insieme anche Giovanni, detto Marco, [38]ma Paolo riteneva che non si dovesse prendere uno che si era allontanato da loro nella Panfilia e non aveva voluto partecipare alla loro opera. [39]Il dissenso fu tale che si separarono l'uno dall'altro; Barnaba, prendendo con sé Marco, s'imbarcò per Cipro. [40]Paolo invece scelse Sila e partì, raccomandato dai fratelli alla grazia del Signore. [41]E attraversando la Siria e la Cilicia, dava nuova forza alle comunità.
117. Presentato un rapporto verbale degli sforzi in prospettiva, Paolo e Barnaba cominciarono a pensare alle più recenti disposizioni.
118. «Allora…» – disse l’ex levita di Cipro – «…spero che tu sia d’accordo con quanto ho deciso su Giovanni.
119. «Giovanni Marco?» – chiese Paolo stupito.
120. «Sì, desidero portarlo con noi per farlo affezionare alla missione».
121. L’ex rabbino accigliò gli occhi nel suo gesto caratteristico quando era contrariato, ed esclamò: «Non sono d’accordo, tuo nipote è ancora molto giovane per il compito».
122. «Tuttavia, ho promesso a mia sorella di accoglierlo nelle nostre fatiche».
123. «Non può essere».
124. Si stabilì tra i due una contesa verbale, in cui Barnaba lasciava intravedere il suo malcontento. L’ex rabbino cercò di giustificarsi, mentre il discepolo di Pietro sosteneva l’impegno assunto e, con tristezza, contestava l’atteggiamento del compagno; l’ex dottore, tuttavia, non si lasciò convincere. La riammissione di Giovanni Marco disse, non era giusta, poteva fallire di nuovo, fuggire agli impegni assunti, disprezzare l’opportunità del sacrificio. Ricordò la persecuzione di Antiochia e di Pisidia, le inevitabili malattie, i dolori morali vissuti ad Iconio, la crudele lapidazione in piazza a Listra. Per caso il ragazzo si era preparato, in così poco tempo a capire la portata di tutti questi eventi, in cui l’anima era indotta a gioire con la testimonianza?
125. Barnaba rimase ferito, con gli occhi umidi.
126. «Dopo tutto…» – disse in tono toccante – «…nessuno di questi argomenti mi chiarisce e mi convince nella coscienza. In primo luogo non vedo il motivo per rompere i nostri legami di affetto...».
127. «L’ex rabbino non lo lasciò finire e concluse: «Questo mai. La nostra amicizia è al di sopra di queste circostanze. I nostri legami sono sacri».
128. «Bene…» – disse Barnaba – «…come interpretare, allora, il tuo rifiuto? Perché negare al ragazzo una nuova esperienza di lavoro rigenerativo? Non sarà mancanza di carità negare un’opportunità forse provvidenziale?»
129. Paolo fissò a lungo l’amico e aggiunse: «La mia intuizione in questo senso è diversa dalla tua. Quasi sempre, Barnaba, l’amicizia di Dio è incompatibile con l’amicizia del mondo. Sollevandoci per l’esecuzione del fedele dovere, le nozioni del mondo si sollevano contro di noi. Sembriamo ingrati e malvagi. Ma ascoltami: nessuno troverà chiusa la porta delle opportunità, perché è l’Onnipotente che ce l’apre. L’occasione è la stessa per tutti, ma i campi devono essere diversi. Nel lavoro propriamente umano, le esperienze possono essere rinnovate ogni giorno. Questo è giusto. Ma considero che, nel servizio del Padre, se noi interrompiamo un compito iniziato, è un segno che non abbiamo tutte le esperienze indispensabili all’uomo completo. Se la creatura non sa tutte le nozioni più nobili relative alla sua vita e ai doveri terreni, come consacrarsi con successo al servizio divino? Naturalmente, non possiamo giudicare se questo o quello ha già completato il corso delle sue dimostrazioni umane e che, da oggi in poi, sarebbe in grado di servire il Vangelo, perché, in questo caso particolare, ognuno si rivelerà per sé. Penso ancora che tuo nipote raggiungerà questa posizione con ulteriori lotte. Noi, però, siamo costretti a considerare che non andiamo a tentare un esperimento, ma a dare testimonianza. Comprendi la differenza?»
130. Barnaba realizzò l’immensa portata del suo ragionamento conciso e inconfutabile, tacque, per dire dopo pochi istanti: «Hai ragione. Questa volta, allora, non posso venire con te».
131. Paolo percepì tutto il dolore traboccante di quelle parole e, dopo aver meditato a lungo, disse: «Cerchiamo di non addolorarci. Sto riflettendo sulla possibilità della tua partenza con Giovanni Marco, per Cipro. Lui troverà lì un campo adatto ai lavori che gli sono necessari, e allo stesso tempo, potrebbe curare l’organizzazione fondata sull’isola. All’interno di questo piano, saremo in continua e perfetta cooperazione, anche per quanto riguarda la raccolta fondi per la Chiesa di Gerusalemme. Inutile dire l’utilità della tua presenza a Nea-Paphos e a Salamina. Quanto a me, porterei Sila, addentrandomi per il Tauro, e la Chiesa di Antiochia rimarrà grazie alla collaborazione di Barsaba e Tito».
132. Barnaba era felice. Il progetto sembrò ammirevole. Paolo continuava, ai suoi occhi, ad essere il compagno delle soluzioni opportune.
133. Nel giro di alcuni giorni Barnaba fu in cammino per Cipro, dove avrebbe servito Gesù fino alla partenza più tardi per Roma, e con suo nipote si diresse per Seleucia. Dopodiché si abbracciarono, lui e Paolo, come due fratelli, molto amati, che il Maestro chiamava a destinazioni diverse.
[indice]
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Peregrinazioni e sacrifici nella lunga via dell’evangelizzazione
1. In compagnia di Sila che si armonizzava con le sue aspirazioni di lavoro, l’ex rabbino partì da Antiochia, addentrandosi per le montagne e raggiungendo la sua città natale dopo enormi difficoltà. Fin da subito il compagno indicato da Simon Pietro si era abituato al suo metodo di lavoro. Sila aveva un temperamento pacifico che era arricchito di notevoli qualità spirituali, grazie alla sua completa devozione al divin Maestro. Paolo, a sua volta, era pienamente soddisfatto della sua collaborazione. Percorrendo lunghi e impervi cammini, si cibavano quasi soltanto di frutti selvatici trovati lungo la strada. Il discepolo di Gerusalemme, tuttavia, mostrava la stessa allegria in tutte le circostanze.
2. Prima di raggiungere Tarso, predicavano la Buona Novella nel corso del viaggio. Soldati romani, schiavi miserrimi, umili carovanieri ricevevano dalle loro labbra la notizia confortante di Gesù. E non pochi scrivevano, in fretta, l’una o l’altra delle annotazioni di Levi, preferendo quelle che più erano indicate al loro caso in particolare. Attraverso questo processo, il Vangelo cominciò a diffondersi sempre di più, riempiendo i cuori di speranze.
3. Nella sua città natale, più padrone delle proprie convinzioni, il tessitore che si era consacrato a Gesù sparse a manciate le gioie del Vangelo di redenzione. Molti si stupivano nel vedere il conterraneo trasformato in maniera sempre più singolare; altri continuarono nell’ingrato compito dell’ironia e del pietoso oblio di se stessi. Paolo, invece, si sentiva più forte nella sua fede come non mai. Fronteggiò la vecchia casa dov’era nato; si ricordò del mite luogo in cui aveva giocato nei primi giorni d’infanzia; guardò il campo sportivo dove aveva guidato la sua biga romana; riesumò i ricordi, ma senza soffrirne la loro influenza depressiva, perché consegnava tutto al Cristo come patrimonio che avrebbe potuto possedere più tardi, dopo aver adempiuto il suo divino mandato.
4. Dopo un breve soggiorno nella capitale della Cilicia, Paolo e Sila cercarono di raggiungere le vette del Tauro, intraprendendo l’inizio di una nuova fase di duri pellegrinaggi.
5. Notti all’aperto, molteplici sacrifici, minacce di malfattori, innumerevoli pericoli furono affrontati dai missionari che, ogni sera, consegnavano al divin Maestro i risultati della raccolta e, al mattino, pregavano affinché non gli mancassero la Sua Misericordia e la preziosa opportunità di lavorare, per quanto duro fosse il compito quotidiano.
*
(Atti 16,1-5): [1]Paolo si recò a Derbe e a Listra. C'era qui un discepolo chiamato Timòteo, figlio di una donna giudea credente e di padre greco; [2]egli era assai stimato dai fratelli di Listra e di Icònio. [3]Paolo volle che partisse con lui, lo prese e lo fece circoncidere per riguardo ai giudei che si trovavano in quelle regioni; tutti infatti sapevano che suo padre era greco. [4]Percorrendo le città, trasmettevano loro le decisioni prese dagli apostoli e dagli anziani di Gerusalemme, perché le osservassero. [5]Le comunità intanto si andavano fortificando nella fede e crescevano di numero ogni giorno.
6. Pieni di questa fiducia attiva, arrivarono a Derbe, dove l’ex rabbino abbracciò commosso gli amici che lì si era costruito dopo la dolorosa convalescenza, durante il primo viaggio.
7. Il Vangelo continuò a diffondere il suo raggio di azione in tutti gli ambienti. Profondamente toccato, il convertito di Damasco, nello svolgimento naturale del servizio, cominciò a ricevere notizie del comportamento di Timoteo. Il giovane figlio di Eunice, da quanto lo avevano informato, aveva notevolmente arricchito le conoscenze acquisite. La piccola cristianità di Derbe gli doveva già grandi benefici. Per più di una volta il nuovo discepolo era venuto lì per delle missioni operose. Disseminava guarigioni e consolazioni. Il suo nome era benedetto da tutti. Pieno di giubilo, dopo aver completato il suo lavoro in quella piccola città, l’ex rabbino si diresse a Listra con affettuosa ansia.
8. Loide lo ricevette, così come Sila, con la stessa soddisfazione della prima volta. Tutti volevano notizie di Barnaba, e Paolo non mancò di rispondere, sollecito e premuroso. Nel pomeriggio di quello stesso giorno, il convertito di Damasco abbracciò Timoteo con un’immensa gioia fino a traboccargli l’anima. Il ragazzo tornava dal suo lavoro quotidiano con il gregge. In pochi istanti, Paolo conobbe la portata dei suoi progressi e delle conquiste spirituali. La comunità di Listra era ricca di grazie. Il ragazzo cristiano riuscì a rinnovare molte persone: due degli ebrei più influenti della pubblica amministrazione, indicati tra quelli che avevano promosso la lapidazione dell’apostolo, ora erano fedeli seguaci della dottrina del Cristo. Curavano la costruzione di una Chiesa, dove i malati erano sostenuti e i bambini abbandonati trovavano un nido accogliente. Paolo si rallegrò.
9. Quella stessa notte c’era a Listra una grande assemblea. L’apostolo dei gentili trovò un ambiente amorevole che gli procurava grande conforto. Spiegò lo scopo del suo viaggio, rivelando le sue preoccupazioni per la diffusione del Vangelo e aggiunse l’argomento relativo alla Chiesa di Gerusalemme. Come a Derbe, tutti i compagni contribuirono con quello che avevano. Paolo era fuori di sé dalla gioia, osservando il trionfo tangibile dello sforzo di Timoteo nelle classi popolari.
10. Sfruttando il suo passaggio attraverso Listra, la gentile Loide gli confidò la sua particolare esigenza. Lei ed Eunice avevano parenti in Grecia, da parte del padre del nipote, i quali chiedevano la loro presenza di persona, affinché non gli mancassero i loro soccorsi affettuosi, giacché le risorse rimaste, a Listra, stavano per esaurirsi. D’altra parte, desiderava che Timoteo si consacrasse al servizio di Gesù, illuminando il cuore e l’intelligenza.
11. La generosa e veneranda signora insieme alla figlia progettavano il cambiamento definitivo e consultavano l’apostolo sulla possibilità di accettare la compagnia del ragazzo, almeno per qualche tempo, non solo per l’acquisizione di nuovi valori nel campo della pratica, ma anche perché ciò avrebbe facilitato il trasferimento di tutti in un posto così lontano.
12. Paolo accettò di buon grado. Accolse la collaborazione di Timoteo con sincero piacere. Il ragazzo, a sua volta, con trasporti di allegria, conoscendo la decisione non sapeva come tradurre il suo profondo riconoscimento.
13. Alla vigilia della partenza, Sila andando cauto sul tema, domandò all’apostolo se non era prudente operare la circoncisione del giovane, in modo che il giudaismo non disturbasse le fatiche apostoliche. A supporto della sua tesi, invocò gli ostacoli e le aspre lotte a Gerusalemme. Paolo meditò alquanto, ricordando la necessità di diffondere il Vangelo senza scandalo per nessuno, e concordò con la misura ventilata. Timoteo avrebbe predicato pubblicamente. Avrebbe convissuto con i gentili ma, maggiormente, con gli israeliti, maestri delle sinagoghe e di altri centri, dove la religione era amministrata al popolo. Era giusto riflettere sulla sua situazione affinché il ragazzo non fosse a disagio in sua compagnia.
14. Il figlio di Eunice obbedì senza esitazione. Pochi giorni dopo, dicendo addio ai fratelli e alle generose donne che piangevano nella speranza della pace in Dio, i missionari partirono per Iconio, pieni di indomito coraggio e determinazione nel servire Gesù.
15. Nello spirito amorevole della predicazione e della fratellanza, ampliando il potere del Vangelo di redenzione per le anime e non dimenticando mai l’aiuto per la Chiesa di Gerusalemme, i discepoli visitarono tutti i paesini della Galazia, indugiando un po’ ad Antiochia di Pisidia, dove lavorarono per mantenersi.
16. Paolo era soddisfattissimo. I suoi sforzi in compagnia di Barnaba non erano stati inutili. Nei posti più remoti, quando meno se l’aspettavano, ecco che sorgevano notizie di chiese precedentemente fondate. Portando benefici ai bisognosi, miglioramenti o cure ai malati, consolazione a chi era in preda alla disperazione più totale, l’apostolo stava vivendo la soddisfazione del seminatore che vede i primi fiori, come irradiante promessa della semina.
17. Gli emissari della Buona Novella attraversarono la Frigia e la Galazia, senza persecuzioni di grande importanza. Il Nome di Gesù era ormai pronunciato con più rispetto.
18. L’ex rabbino continuò in piena attività a diffondere il Vangelo in Asia, quando una sera, dopo le consuete preghiere, sentì una voce con un amorevole accento:
19. «Paolo, andiamo avanti!... Cerchiamo di portare la luce del Cielo ad altre ombre; altri fratelli ti attendono nel cammino infinito...».
20. Era Stefano, l’amico di tutti i momenti che, rappresentando il divin Maestro con l’apostolo dei gentili, incitava la semina in altre direzioni.
21. Il valoroso emissario delle verità eterne comprese che il Signore lo voleva portare verso nuovi campi da seminare.
22. Il giorno seguente, informando Sila e Timoteo dell’accaduto, ispirato, concluse: «Penso che il Maestro mi chiami a nuovi compiti. È giusto! Riconosco, infatti, che queste regioni hanno già ricevuto il seme divino». E dopo una pausa, mise in risalto: «Questa volta non abbiamo trovato molte difficoltà. Prima, con Barnaba, abbiamo sperimentato espulsioni, carcere, percosse, lapidazione, ... adesso invece niente di tutto questo è successo. Voglio dire che qui già esistono basi sicure per la vittoria del Cristo. È necessario, dunque, camminare dove esistono ostacoli e superarli, in modo che il Maestro sia conosciuto e glorificato, perché siamo in un conflitto dove non possiamo disprezzare le linee di fuoco».
23. I due discepoli ascoltarono e cercarono di meditare sulla grandezza di tali concetti.
*
(Atti 16.6-10): [6]Attraversarono quindi la Frigia e la regione della Galazia, avendo lo Spirito Santo vietato loro di predicare la parola nella provincia di Asia. [7]Raggiunta la Misia, si dirigevano verso la Bitinia, ma lo spirito di Gesù non lo permise loro; [8]così, attraversata la Misia, discesero a Troade. [9]Durante la notte apparve a Paolo una visione: gli stava davanti un macedone e lo supplicava: «Passa in Macedonia e aiutaci!». [10]Dopo che ebbe avuto questa visione, subito cercammo di partire per la Macedonia, ritenendo che Dio ci aveva chiamati ad annunziarvi la parola del Signore.
24. Dopo una settimana partirono a piedi per Misia. Tuttavia, intuitivamente, Paolo si rese conto che non era nemmeno lì il nuovo campo d’azione. Pensò di dirigersi per la Bitinia, ma la voce che il generoso apostolo interpretava come lo “spirito di Gesù”[59], gli suggerì di modificare il percorso, inducendolo fino a Troade. Arrivati al punto di destinazione, si accomodarono, stanchissimi, in una modesta locanda. E Paolo, in una visione significativa dello spirito, vide un uomo dal caratteristico abbigliamento della Macedonia, che gli esclamò ansiosamente: “Vieni e aiutaci!”. L’ex dottore interpretò questo come un ordine di Gesù sulla nuova destinazione da seguire. Lo raccontò ai compagni la mattina seguente, non senza considerare l’estrema difficoltà di un viaggio per mare, dato che erano privi di risorse.
25. «Tuttavia…», – concluse – «…credo che il Maestro ci fornirà il necessario».
26. Sila e Timoteo rimasero in rispettoso silenzio.
27. Lasciando la strada piena del Sole del mattino, ecco che l’apostolo fissò lo sguardo in una bottega e si diresse lì con una gioia impaziente. C’era Luca che sembrava fare degli acquisti.
28. L’ex rabbino si avvicinò con i discepoli e lo colpì con affetto sulle spalle: «Da queste parti?» – disse Paolo con un grande sorriso.
29. Si abbracciarono gioiosamente. Il predicatore del Vangelo presentò al medico i nuovi compagni, raccontando gli obiettivi del suo viaggio da quelle parti. Luca, a sua volta, spiegò che da due anni era responsabile dei servizi medici a bordo di una grande imbarcazione lì ancorata, in transito verso Samotracia.
30. Paolo accolse l’informazione con profondo interesse. Molto impressionato dall’incontro, gli raccontò sia la rivelazione udita, così come la visione avuta alla vigilia, e convinto dell’assistenza del Maestro in quel momento, parlò con sicurezza: «Sono certo che il Signore ci manda le risorse necessarie nella tua persona. Dobbiamo andare in Macedonia, ma siamo senza soldi».
31. «Quanto a questo…» – rispose Luca, schiettamente – «…non preoccuparti. Se non ho fortuna, ho compensi. Saremo compagni di viaggio e pagherò tutto con grande soddisfazione».
32. La conversazione proseguì vivace, l’ex ospite di Antiochia riportò le sue conquiste per Gesù. Nei suoi viaggi, colse ogni opportunità per la causa del Vangelo, trasmettendo a quanti gli si avvicinavano, i tesori della Buona Novella.
33. Quando raccontò che era solo al mondo, con la partenza della genitrice al regno spirituale, Paolo gli fece una nuova proposta, dicendo: «Adesso, Luca, che ti trovi senza impegni immediati, perché non ti dedichi interamente al lavoro del divin Maestro?»
34. La domanda produsse una certa emozione nel medico, come se valesse una rivelazione. Una volta passata la sorpresa, Luca ribadì, un po’ indeciso: «Sì, ma ci sono i doveri della professione...».
35. «Ma chi era Gesù, se non il divin Medico di tutto il mondo? Fino adesso hai guarito i corpi che, in ogni caso, prima o poi periranno. Curare lo spirito, non sarebbe uno sforzo più giusto? Questo non vuol dire che dovremmo ignorare la medicina adeguata al mondo, tuttavia, questo compito sarebbe per coloro che non hanno i valori spirituali che porti con te. Ho sempre creduto che la medicina del corpo è un insieme di esperienze sacre, di cui l’uomo non può fare a meno, fino a quando non decide di fare l’esperienza divina e immutabile della guarigione dello spirito».
36. Luca pensò seriamente e rispose con queste parole: «Hai ragione».
37. «Vuoi collaborare con noi nell’evangelizzazione della Macedonia?» – disse l’ex rabbino sentendosi trionfante.
38. «Vengo con te» – concluse Luca.
39. Tra i quattro discepoli del Cristo ci fu un giubilo enorme.
*
(Atti 16,11-40): [11]Salpati da Troade, facemmo vela verso Samotracia e il giorno dopo verso Neapoli e [12]di qui a Filippi, colonia romana e città del primo distretto della Macedonia. Restammo in questa città alcuni giorni; [13]il sabato uscimmo fuori della porta lungo il fiume, dove ritenevamo che si facesse la preghiera, e sedutici rivolgevamo la parola alle donne colà riunite. [14]C'era ad ascoltare anche una donna di nome Lidia, commerciante di porpora, della città di Tiàtira, una credente in Dio, e il Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo. [15]Dopo esser stata battezzata insieme alla sua famiglia, ci invitò: «Se avete giudicato ch'io sia fedele al Signore, venite ad abitare nella mia casa». E ci costrinse ad accettare. [16]Mentre andavamo alla preghiera, venne verso di noi una giovane schiava, che aveva uno spirito di divinazione e procurava molto guadagno ai suoi padroni facendo l'indovina. [17]Essa seguiva Paolo e noi gridando: «Questi uomini sono servi del Dio Altissimo e vi annunziano la via della salvezza». [18]Questo fece per molti giorni finché Paolo, mal sopportando la cosa, si volse e disse allo spirito: «In nome di Gesù Cristo ti ordino di partire da lei». E lo spirito partì all'istante. [19]Ma vedendo i padroni che era partita anche la speranza del loro guadagno, presero Paolo e Sila e li trascinarono nella piazza principale davanti ai capi della città; [20]presentandoli ai magistrati dissero: «Questi uomini gettano il disordine nella nostra città; sono giudei [21]e predicano usanze che a noi Romani non è lecito accogliere né praticare». [22]La folla allora insorse contro di loro, mentre i magistrati, fatti strappare loro i vestiti, ordinarono di bastonarli [23]e dopo averli caricati di colpi, li gettarono in prigione e ordinarono al carceriere di far buona guardia. [24]Egli, ricevuto quest'ordine, li gettò nella cella più interna della prigione e strinse i loro piedi nei ceppi. [25]Verso mezzanotte Paolo e Sila, in preghiera, cantavano inni a Dio, mentre i carcerati stavano ad ascoltarli. [26]D'improvviso venne un terremoto così forte che furono scosse le fondamenta della prigione; subito tutte le porte si aprirono e si sciolsero le catene di tutti. [27]Il carceriere si svegliò e vedendo aperte le porte della prigione, tirò fuori la spada per uccidersi, pensando che i prigionieri fossero fuggiti. [28]Ma Paolo gli gridò forte: «Non farti del male, siamo tutti qui». [29]Quegli allora chiese un lume, si precipitò dentro e tremando si gettò ai piedi di Paolo e Sila; [30]poi li condusse fuori e disse: «Signori, cosa devo fare per esser salvato?». [31]Risposero: «Credi nel Signore Gesù e sarai salvato tu e la tua famiglia». [32]E annunziarono la parola del Signore a lui e a tutti quelli della sua casa. [33]Egli li prese allora in disparte a quella medesima ora della notte, ne lavò le piaghe e subito si fece battezzare con tutti i suoi; [34]poi li fece salire in casa, apparecchiò la tavola e fu pieno di gioia insieme a tutti i suoi per avere creduto in Dio. [35]Fattosi giorno, i magistrati inviarono le guardie a dire: «Libera quegli uomini!». [36]Il carceriere annunziò a Paolo questo messaggio: «I magistrati hanno ordinato di lasciarvi andare! Potete dunque uscire e andarvene in pace». [37]Ma Paolo disse alle guardie: «Ci hanno percosso in pubblico e senza processo, sebbene siamo cittadini romani, e ci hanno gettati in prigione; e ora ci fanno uscire di nascosto? No davvero! Vengano di persona a condurci fuori!». [38]E le guardie riferirono ai magistrati queste parole. All'udire che erano cittadini romani, si spaventarono; [39]vennero e si scusarono con loro; poi li fecero uscire e li pregarono di partire dalla città. [40]Usciti dalla prigione, si recarono a casa di Lidia dove, incontrati i fratelli, li esortarono e poi partirono.
40. Il giorno dopo, la missione navigava per la Samotracia. Luca si spiegò come meglio poteva, sollecitando al comandante il permesso di allontanarsi per un anno dai servizi a suo carico. E presentando un sostituto, riuscì nel suo intento.
41. A bordo, come faceva dappertutto, Paolo approfittò di ogni occasione per predicare. I più piccoli dettagli davano margini a grandi temi evangelici nel suo ragionamento superiore. Il comandante stesso, un romano di buona tempra, si abbandonava volentieri al piacere di sentirlo.
42. Fu in questi viaggi che Paolo di Tarso fece amicizia con una grande cerchia di sostenitori del Vangelo, guadagnandosi numerosi amici, citati nelle future epistole.
43. Sbarcati i missionari, arricchiti dalla collaborazione di Luca, riposarono due giorni a Neapolis, dirigendosi poi per Filippi. Quasi alle porte della città, Paolo suggerì che Luca e Timoteo si dirigessero per altre vie verso Tessalonica, dove i quattro si sarebbero riuniti successivamente. Con questo programma, nessun villaggio sarebbe stato dimenticato, e i semi del Regno di Dio sarebbero stati dispersi nel modo più semplice. L’idea fu approvata con soddisfazione.
44. Luca non mancò di chiedere se Timoteo era circonciso. Conosceva gli intrighi degli ebrei e non voleva attriti nel loro compito iniziale.
45. «Questo problema…» – disse l’apostolo dei gentili – «…è stato già risolto. Le due umiliazioni inflitte ad un giovane confratello che ho portato a Gerusalemme, non per consiglio della sinagoga, ma in una riunione della Chiesa mi hanno portato a riflettere sulla situazione di Timoteo, che avrà spesso bisogno dei favori degli israeliti nel corso della predicazione. Fino a quando Dio non opererà la circoncisione dei tanti cuori induriti, è essenziale saper agire con prudenza, senza attrito che neutralizzi i nostri sforzi».
46. Chiarita la questione, entrarono nella città in cui il medico e il giovane di Listra avrebbero riposato un po’, prima di prendere la strada per Tessalonica da percorsi diversi, in modo da moltiplicare i frutti della missione.
47. Alloggiarono in una locanda quasi miserabile, che la popolazione della città riservava agli stranieri. Dopo tre notti all’agghiaccio, gli amici di Gesù si diressero alla casa di preghiera che era vicino al fiume Gangas. Filippi non possedeva una sinagoga, e il santuario per le preghiere, anche se prendeva il titolo di “casa”, non era altro che un piacevole angolo della natura circondato da alcune mura in rovina.
48. Consapevole della situazione religiosa della città, Paolo si diresse lì con i compagni. Molto sorpresi, i missionari trovarono solo donne e ragazze in preghiera. L’ex rabbino entrò con decisione nel cerchio femminile e parlò degli obiettivi del Vangelo, come se stesse di fronte ad un immenso pubblico. Le donne furono magnetizzate dalla sua parola ardente e sublime. Con discrezione si asciugavano le lacrime che scorrevano sul viso, nel ricevere la notizia del Maestro, una di loro, chiamata Lidia, vedova dignitosa e generosa, si avvicinò ai missionari e confessando di essersi convertita al Salvatore atteso, offrì la sua casa per fondare una nuova Chiesa.
49. Paolo di Tarso la fissò con gli occhi umidi. Ascoltando la sua voce traboccante di sincerità cristallina, ricordò che in Oriente, nell’indimenticabile giorno del Calvario, solo le donne avevano seguito Gesù nel suo passaggio doloroso, essendo le prime creature che lo avevano visto nella gloriosa risurrezione; ed erano ancora loro che, in dolce riunione spirituale, erano venute a ricevere la parola del Vangelo nell’Occidente per la prima volta. In silenziosa contemplazione, l’apostolo dei gentili, vide un gran numero di ragazze che si inginocchiavano all’ombra amorevole degli alberi. Guardandole, le vesti molto chiare, ebbe l’impressione di vedere davanti a sé un grazioso gruppo di colombe bianche, pronte per volare e consegnare gli insegnamenti gloriosi del Cristo nei meravigliosi cieli d’Europa.
50. Ecco perché, contrariamente alle aspettative dei compagni, l’energico predicatore rispose a Lidia in tono affabile: «Accettiamo la tua ospitalità».
51. Da quel momento, iniziò tra Paolo di Tarso e la sua amorevole Chiesa di Filippi, l’amicizia più bella. Lidia, la cui casa era molto ricca per via del commercio della porpora, accolse i discepoli del Messia con gioia indescrivibile. Mentre Luca e Timoteo continuavano il viaggio, Sila e l’ex dottore di Gerusalemme si consacravano al servizio del Vangelo tra i generosi Filippesi.
52. La città era tipicamente di spirito romano. C’erano per le strade diversi templi dedicati agli antichi dèi. E poiché solo le donne si recavano nelle case di preghiera, Paolo, con l’audacia che lo caratterizzava, decise di predicare il Vangelo nella pubblica piazza.
53. Nella stessa epoca, viveva a Filippi una famosa pitonessa[60] nei dintorni. Come nelle tradizioni di Delfi, le sue parole erano interpretate come oracolo infallibile. Si trattava di una donna i cui padroni cercavano di mercificare i suoi doni psichici. La sua medianità era utilizzata dagli spiriti meno evoluti, i quali si divertivano a indovinare argomenti di ordine temporale. La situazione era molto redditizia per gli sfruttatori senza carità. Successe che questa giovane, presente alla prima predicazione di Paolo, fu ricevuta dal popolo con grande plauso.
54. Finita l’esposizione, i missionari evangelici osservarono che la donna, ad alta voce, impressionando il pubblico, cominciò ad esclamare: «Accogliete gli inviati del Dio Altissimo!... Loro annunziano la salvezza!...»
55. Paolo e Sila rimasero un po’perplessi; tuttavia non risposero nulla, trattenendo l’episodio nel cuore, con discrezione. Ma il giorno successivo il fatto si ripeté e, per una settimana, i discepoli del Vangelo, dopo la predicazione, ascoltavano l’entità che si impossessava della giovane, scaricando su di loro, lode e titoli pomposi. L’ex rabbino, però, dal momento della prima manifestazione cercò di sapere chi era l’anonima donna, arrivando a conoscere i precedenti del caso. Incoraggiati dal denaro facile, i padroni avevano installato una tenda dove la pitonessa rispondeva alle consultazioni. Lei, a sua volta, da vittima, cominciava a far parte della società redditizia. Paolo, che non era mai stato d’accordo con la compravendita dei doni celesti, capì il meccanismo nascosto degli eventi e, signore di tutti i particolari della situazione, aspettò che i visitatori invisibili comparissero di nuovo.
56. Così, dopo la predicazione in piazza, quando la donna cominciò a gridare: «Accogliete i messaggeri della redenzione! Non sono uomini, sono angeli dell’Altissimo!...» – il convertito di Damasco scese dal podio a passi fermi e, avvicinandosi all’oratrice invasata, intimò all’entità manifestante, in tono imperativo: «Spirito maligno, non siamo angeli, siamo lavoratori alle prese con le nostre stesse debolezze, per amore al Vangelo. Nel Nome di Gesù Cristo ti ordino di andartene per sempre! Ti proibisco, nel Nome del Signore, di stabilire confusione tra le creature, favorendo gli interessi meschini del mondo, a scapito degli interessi sacri di Dio!»
57. La povera donna, immediatamente, recuperò le energie e si liberò dall’influenza malvagia. Il fatto provocò un grande stupore popolare.
58. Proprio Sila, che in qualche modo era felice nel sentire le dichiarazioni della pitonessa, interpretandoli come un conforto spirituale, rimase a bocca aperta.
59. Quando furono da soli, chiese a Paolo i motivi che lo avevano portato ad un atteggiamento simile, e domandò: «Non parlava lei in Nome di Dio? La sua propaganda non era per noi un prezioso aiuto?»
60. «L’apostolo sorrise e dichiarò: «Per caso, Sila, chi potrà giudicare qualsiasi lavoro sulla Terra prima che sia completato? Quello spirito poteva parlare di Dio, ma non proveniva da Dio. Cosa abbiamo fatto per meritare i complimenti? Giorno e notte stiamo combattendo contro le imperfezioni della nostra anima. Gesù ci ha mandato ad insegnare affinché imparassimo duramente. Non ignori come vivo in battaglia con le spine dei miei desideri inferiori. Quindi? Sarebbe giusto accettare titoli non meritati, quando il Maestro respinse l’aggettivo di “buono"? È chiaro che se questo spirito fosse venuto da Gesù, altre sarebbero le sue parole. Avrebbe stimolato i nostri sforzi, comprendendo le nostre debolezze. Inoltre, ho cercato di informarmi sulla donna e so che lei è oggi la chiave di un grande commercio».
61. Sila si impressionò da quei chiarimenti più che giusti. Ma, dando a capire le sue difficoltà nel comprenderli appieno, aggiunse: «Tuttavia, l’incidente, non è una lezione affinché noi non intratteniamo rapporti con il piano invisibile? Come sei arrivato a una tale conclusione?
62. Rispose l’ex rabbino molto sorpreso: «Il cristianesimo senza le profezie sarebbe un corpo senza anima. Se chiudiamo la porta delle comunicazioni con la sfera del Maestro, come ricevere i Suoi insegnamenti? I sacerdoti sono uomini, i templi sono di pietra. Cosa sarebbe del nostro compito senza le luci del piano più elevato? Dal suolo germoglia molto cibo, ma solo per il corpo; per il nutrimento dello spirito è necessario aprire le possibilità della nostra anima verso l’alto e contare sulla protezione divina. In questa circostanza, tutta la nostra attività si basa sui doni ricevuti. Hai mai pensato al Cristo senza la resurrezione e senza interscambio con i discepoli? Nessuno potrà chiudere le porte che ci mettono in comunicazione con il Cielo. Cristo è vivo e non morirà mai. Ha vissuto con gli amici, dopo il Calvario a Gerusalemme e nella Galilea; ha portato una pioggia di luce e di sapienza per i collaboratori galilei nella Pentecoste; mi ha chiamato alle porte di Damasco; inviò un emissario per la liberazione di Pietro, quando il generoso pescatore piangeva in carcere...».
63. La voce di Paolo aveva accenti meravigliosi in quelle profonde evocazioni. Sila acconsentì e rimase in silenzio, con gli occhi pieni di lacrime.
64. L’incidente, in ogni caso, avrebbe avuto ripercussioni più ampie rispetto a quelle che gli apostoli del Maestro potevano aspettarsi. La pitonessa non ricevette più la visita dell’entità che distribuiva previsioni di tutti i tipi. Invano i consulenti viziati bussavano alla sua porta. Vedendosi privati del reddito facile, i malfattori promossero un’insurrezione contro i missionari. Si diffuse la voce a Filippi che a causa dell’audacia del predicatore rivoluzionario, erano rimasti privi dell’assistenza degli spiriti di Dio. I fanatici si esaltarono. Tre giorni dopo, Paolo e Sila furono sorpresi in piena piazza, con un attacco del popolo che gli lanciava addosso bastoni pesantissimi e, senza compassione, li flagellavano. Sotto gli insulti delle masse ignoranti, subirono, con umiltà, le torture.
65. Quando cominciarono a sanguinare sotto i bastoni spietati, ci fu l’intervento delle autorità e furono condotti in carcere, abbattuti e barcollanti. Nella notte buia e dolorosa, incapaci di dormire per i fortissimi dolori, i discepoli di Gesù vigilarono in preghiere cosparse di luminoso fervore. Là fuori, mugghiava una tempesta di terribili tuoni e venti sibilanti. Filippi intera sembrava scossa nelle sue fondamenta dalla tempesta fragorosa. Passata la mezzanotte i due apostoli pregavano ancora ad alta voce. I prigionieri vicini, nel vederli in preghiera, per l’espressione del loro volto, sembravano accompagnarli.
66. Paolo li guardò, attraverso le sbarre e, avvicinandosi con difficoltà, iniziò a predicare il regno di Dio. Narrò la tempesta improvvisa che si era abbattuta sugli animi dei discepoli mentre Gesù dormiva nella barca (Mc. 4,38), poi, un fatto meraviglioso colpì gli occhi dei prigionieri. Le pesanti porte delle numerose celle si aprirono senza far rumore. Sila era livido. Paolo capì e uscì per incontrare i compagni. Continuò a predicare loro le verità eterne del Signore con impressionante intonazione, e vedendo tra loro una dozzina di uomini dal petto villoso, lunghe barbe, visi imbronciati, come se fossero completamente dimenticati dal mondo, l’apostolo dei gentili parlò con più entusiasmo della missione del Cristo, e chiese che nessuno cercasse di fuggire. Coloro che si riconoscevano colpevoli, che ringraziassero il Padre dei benefici della correzione; quelli che si credevano innocenti, dessero espansione alla gioia, perché solo il martirio dei giusti poteva salvare il mondo. Con questi argomenti, Paolo contenne tutta quella strana e ridotta assemblea. Nessuno cercò di raggiungere la porta d’uscita, ma, raccolti attorno a quello sconosciuto, che così bene sapeva parlare ai disgraziati, molti s’inginocchiarono in lacrime, convertendosi al Salvatore, che lui annunciava con bontà ed energia.
67. All’alba, quando arrivò il carceriere, infastidito dal singolare tumulto, la tempesta si era calmata. Vedendo le porte aperte e temendo la sua responsabilità, cercò di uccidersi, istintivamente. Ma Paolo avanzò e gli impedì il gesto estremo, spiegandogli l’accaduto. Tutti i prigionieri tornarono umili al proprio cubicolo. Lucano, il carceriere, si convertì alla nuova dottrina. Prima che la luce del giorno invadesse il paesaggio, ecco che egli portò agli apostoli il soccorso di emergenza, pensando alle loro ferite, molto commosso.
68. Risiedendo proprio lì, condusse i discepoli dentro casa, comandando di servire loro del cibo e vino confortante. Nella prima ora, i giudici filippesi furono informati dei fatti. Pieni di paura, mandarono a liberare i predicatori; ma Paolo, desideroso di offrire garanzie al servizio cristiano che aveva avuto inizio nella Chiesa fondata a casa di Lidia, rivendicò il suo status di cittadino romano, per infondere più rispetto ai magistrati di Filippi alle idee del Profeta nazareno. Rifiutò l’ordine di rilascio, al fine di richiedere la presenza dei giudici, i quali comparirono pieni di paura.
69. L’apostolo parlò loro del Regno di Dio e, mostrando i suoi titoli, li costrinse ad ascoltare le sue esortazioni su Gesù. Parlò loro delle opere evangeliche che nascevano in città con la cooperazione di Lidia, e commentò il diritto dei cristiani di ogni luogo. I magistrati gli chiesero scusa, assicurarono il mantenimento della pace per la Chiesa nascente e, presentando la loro grande responsabilità davanti al popolo, pregarono Paolo e Sila di lasciare la città per evitare nuovi disordini.
70. L’ex rabbino si sentì soddisfatto, e ritornando alla residenza della generosa lavoratrice di porpora, in compagnia di Sila che gli riconobbe la forza e non nascose il grande stupore, rimasero un paio di giorni per tracciare il programma di lavoro per la nuova semina di Gesù.
*
(Atti 17,1-9): [1]Seguendo la via di Anfipoli e Apollonia, giunsero a Tessalonica, dove c'era una sinagoga dei giudei. [2]Come era sua consuetudine Paolo vi andò e per tre sabati discusse con loro sulla base delle Scritture, [3]spiegandole e dimostrando che il Cristo doveva morire e risuscitare dai morti; il Cristo, diceva, è quel Gesù che io vi annunzio. [4]Alcuni di loro furono convinti e aderirono a Paolo e a Sila, come anche un buon numero di greci credenti in Dio e non poche donne della nobiltà. [5]Ma i giudei, ingelositi, trassero dalla loro parte alcuni pessimi individui di piazza e, radunata gente, mettevano in subbuglio la città. Presentatisi alla casa di Giasone, cercavano Paolo e Sila per condurli davanti al popolo. [6]Ma non avendoli trovati, trascinarono Giasone e alcuni fratelli dai capi della città gridando: «Quei tali che mettono il mondo in agitazione sono anche qui e Giasone li ha ospitati. [7]Tutti costoro vanno contro i decreti dell'imperatore, affermando che c'è un altro re, Gesù». [8]Così misero in agitazione la popolazione e i capi della città che udivano queste cose; [9]tuttavia, dopo avere ottenuto una cauzione da Giasone e dagli altri, li rilasciarono.
71. Poi navigarono per Tessalonica facendo scalo in ogni angolo, siti o villaggi, portando la notizia del Salvatore.
72. In questo nuovo centro di lotte si rincontrarono con Luca e Timoteo che li attendevano ansiosi. Il lavoro proseguiva molto attivo. Ovunque, gli stessi turbamenti. Giudei pieni di pregiudizi, uomini di malafede, ingrati e indifferenti, complottavano contro l’ex dottore di Gerusalemme e contro i suoi devoti compagni. Paolo rimaneva forte e al di sopra delle minime schermaglie. Sopraggiunsero problemi, angosce nelle piazze pubbliche, accuse ingiuste e crudeli calunnie; alle volte giunsero loro potenti minacce, inaspettatamente, sul disinteresse divino delle sue opere, ma il valoroso discepolo del Signore proseguì sempre, sereno e fermo attraverso le tormente, vivendo strettamente del suo lavoro e suggerendo agli amici di fare lo stesso. Era essenziale che Gesù trionfasse nei cuori, questo era il programma principale. Non faceva caso a nessun capriccio, sovrapponeva questa realtà a ogni comodità, e la missione continuò tra dolori e ostacoli, ma sicura e vittoriosa nel suo scopo divino.
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(Atti 17,10-15): [10]Ma i fratelli subito, durante la notte, fecero partire Paolo e Sila verso Berèa. Giunti colà entrarono nella sinagoga dei giudei. [11]Questi erano di sentimenti più nobili di quelli di Tessalonica ed accolsero la parola con grande entusiasmo, esaminando ogni giorno le Scritture per vedere se le cose stavano davvero così. [12]Molti di loro credettero e anche alcune donne greche della nobiltà e non pochi uomini. [13]Ma quando i giudei di Tessalonica vennero a sapere che anche a Berèa era stata annunziata da Paolo la parola di Dio, andarono anche colà ad agitare e sobillare il popolo. [14]Allora i fratelli fecero partire subito Paolo per la strada verso il mare, mentre Sila e Timòteo rimasero in città. [15]Quelli che scortavano Paolo lo accompagnarono fino ad Atene e se ne ripartirono con l'ordine per Sila e Timòteo di raggiungerlo al più presto.
73. Dopo innumerevoli scontri con i giudei di Tessalonica, l’ex rabbino decise di trasferirsi a Berea. Nuovi lavori, nuove consacrazioni e nuovi martiri. Il lavoro missionario, iniziato sempre in pace, proseguiva sotto lotte estreme.
74. I rigorosi giudei di Tessalonica non mancavano a Berea. La città si mosse contro i discepoli del Vangelo, gli animi si esaltarono. Luca, Timoteo e Sila furono costretti ad allontanarsi, girovagando per i villaggi circostanti. Paolo fu arrestato e frustato. Solo a costo di grandi sacrifici da parte dei sostenitori di Gesù gli diedero la libertà, a condizione che se ne andasse nel più breve tempo possibile.
75. L’ex rabbino accettò subito. Sapeva che dietro di lui e attraverso sforzi sconsiderati, rimaneva sempre una Chiesa domestica, che si sarebbe allargata all’infinito, graziata dalla misericordia del Maestro, al fine di proclamare l’eccellenza della Buona Novella.
76. Era notte quando i fratelli dagli stessi ideali furono in grado di portarlo via dalla prigione alla via pubblica. L’apostolo dei gentili cercò di informarsi sui compagni e seppe le vicissitudini che li opprimevano. Ricordò che Sila e Luca erano malati, che Timoteo aveva bisogno di incontrare sua madre al porto di Corinto. Era meglio dare una tregua agli amici nel vortice delle attività rinnovatrici. Non sarebbe stato giusto obbligarli a cooperare, quando egli stesso sentiva necessità di riposo.
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(Atti 17,16-34): [16]Mentre Paolo li attendeva ad Atene, fremeva nel suo spirito al vedere la città piena di idoli. [17]Discuteva frattanto nella sinagoga con i giudei e i pagani credenti in Dio e ogni giorno sulla piazza principale con quelli che incontrava. [18]Anche certi filosofi epicurei e stoici discutevano con lui e alcuni dicevano: «Che cosa vorrà mai insegnare questo ciarlatano?». E altri: «Sembra essere un annunziatore di divinità straniere»; poiché annunziava Gesù e la risurrezione. [19]Presolo con sé, lo condussero sull'Areòpago e dissero: «Possiamo dunque sapere qual è questa nuova dottrina predicata da te? [20]Cose strane per vero ci metti negli orecchi; desideriamo dunque conoscere di cosa si tratta». [21]Tutti gli Ateniesi infatti e gli stranieri colà residenti non avevano passatempo più gradito che parlare e sentir parlare. [22]Allora Paolo, alzatosi in mezzo all'Areòpago, disse: «Cittadini ateniesi, vedo che in tutto siete molto timorati degli dei. [23]Passando infatti e osservando i monumenti del vostro culto, ho trovato anche un'ara con l'iscrizione: Al Dio sconosciuto. Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio. [24]Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è signore del cielo e della terra, non dimora in templi costruiti dalle mani dell'uomo [25]né dalle mani dell'uomo si lascia servire come se avesse bisogno di qualcosa, essendo lui che dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa. [26]Egli creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi ha stabilito l'ordine dei tempi e i confini del loro spazio, [27]perché cercassero Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni, benché non sia lontano da ciascuno di noi. [28]In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, come anche alcuni dei vostri poeti hanno detto: “Poiché di lui stirpe noi siamo.” [29]Essendo noi dunque stirpe di Dio, non dobbiamo pensare che la divinità sia simile all'oro, all'argento e alla pietra, che porti l'impronta dell'arte e dell'immaginazione umana. [30]Dopo esser passato sopra ai tempi dell'ignoranza, ora Dio ordina a tutti gli uomini di tutti i luoghi di ravvedersi, [31]poiché egli ha stabilito un giorno nel quale dovrà giudicare la terra con giustizia per mezzo di un uomo che egli ha designato, dandone a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti». [32]Quando sentirono parlare di risurrezione di morti, alcuni lo deridevano, altri dissero: «Ti sentiremo su questo un'altra volta». [33]Così Paolo uscì da quella riunione. [34]Ma alcuni aderirono a lui e divennero credenti, fra questi anche Dionigi membro dell'Areòpago, una donna di nome Dàmaris e altri con loro.
77. I fratelli di Berea insistettero per la loro partenza. Era imprudente causare nuovi attriti. Fu allora che Paolo decise di attuare un vecchio piano. Visitare Atene, soddisfare un vecchio ideale. Spesso, impressionato dalla cultura ellenica ricevuta a Tarso, alimentava il desiderio di conoscere i monumenti gloriosi, i templi superbi, lo spirito saggio e libero. Quando era ancora molto giovane, meditava una visita a questa magnifica città dei vecchi dèi, disposto a portarle i tesori della fede conservati a Gerusalemme: avrebbe cercato le assemblee colte e indipendenti e parlato di Mosè e della sua Legge!
78. Adesso, pensando alla realizzazione di un tale progetto, considerava di portare luci molto più ricche allo spirito ateniese, annunciando il Vangelo di Gesù nella famosa città. Sicuro di poter discutere nella pubblica piazza senza trovare le rivolte piacenti agli israeliti, assaporava il piacere di parlare ad una folla affezionata e abituata alle cose spirituali. Indubbiamente, i filosofi avrebbero sperato nella notizia del Cristo con impazienza, trovando nelle sue predicazioni evangeliche il vero significato della vita.
79. Cullato da queste speranze, l’apostolo dei gentili decise il viaggio accompagnato da alcuni amici più fedeli. Questi, tuttavia, indietreggiarono davanti alle porte ateniesi, lasciandolo completamente solo.
80. Paolo entrò in città preso da una grande emozione. Atene vantava ancora numerose bellezze esteriori. I monumenti delle sue venerabili tradizioni erano quasi tutti in piedi; blande armonie vibravano nel cielo molto blu; sorridenti vallate erano tappezzate di fiori e profumi. La grande anima dell’apostolo fu rapita nella contemplazione della natura. Ricordò i nobili filosofi che avevano respirato quella stessa aria, rimembrò gli anni gloriosi del passato ateniese, sentendosi trasportato nei meravigliosi santuari.
81. Tuttavia, i transeunti[61] delle vie non potevano vedergli l’anima, e di Paolo vedevano solo il corpo squallido che le privazioni avevano fatto diventare esotico. Molta gente lo prese per un mendicante, un relitto umano della grande massa che arrivava a flussi continui dall’Oriente desolato. L’emissario del Vangelo, nell’entusiasmo delle sue intenzioni generose, non poteva percepire le opinioni divergenti che lo riguardavano. Pieno di buonumore, decise di predicare in piazza nel pomeriggio di quello stesso giorno. Era ansioso di verificare lo spirito ateniese, così come aveva verificato le grandezze materiali della città.
82. I suoi sforzi, tuttavia, furono seguiti da un penoso insuccesso. In un primo momento, numerose persone si erano avvicinate, ma quando sentivano i riferimenti a Gesù e alla resurrezione, irrompevano in risate e irritanti ironie.
83. «Questo filosofo sarà un nuovo dio?» – chiese un passante con aria beffarda.
84. «È troppo goffo per questo» – rispose l’interrogato.
85. «Dove avete mai visto un dio così?» – diceva un altro. – «Guarda come gli tremano le mani! Sembra malato e debole. La barba è incolta ed è pieno di cicatrici!...»
86. «È pazzo!» – esclamò un vecchio con grandi presunzioni di saggezza. – «Non perdiamo tempo».
87. Paolo, sentendo tutto ciò, vide la fila che si ritirava indifferente e indurita, e sperimentò un grande freddo nel cuore. Atene era molto distante dalle sue speranze. L’assemblea popolare gli diede l’impressione di un’enorme raccolta di creature avvelenate da una falsa cultura. Per più di una settimana perseverò nella predicazione pubblica senza risultati apprezzabili. Nessuno era interessato a Gesù e, tanto meno, ad offrirgli ospitalità per una semplice questione di simpatia. Fu la prima volta da che era iniziata l’attività missionaria, che si ritirava da una città senza fondare una Chiesa. Nei villaggi più rustici c’era sempre qualcuno che copiava le annotazioni di Levi per cominciare l’opera evangelica nell’ambiente umile di un focolare domestico. Ad Atene, nessuno sembrava interessato a leggere i testi evangelici. Tuttavia, fu così grande l’insistenza di Paolo tra alcuni personaggi in evidenza, che lo portarono all’Areopago, per entrare in contatto con gli uomini più saggi e intelligenti dell’epoca.
88. I componenti del nobile conclave ricevettero la sua visita più per curiosità che per interesse.
89. L’apostolo era riuscito ad addentrarsi lì, grazie alla misericordia di Dionisio, un uomo colto e generoso che aveva risposto alle sue richieste, al fine di osservare fino a che punto fosse il suo coraggio nella presentazione della dottrina sconosciuta.
90. Paolo iniziò impressionando il pubblico aristocratico, facendo riferimento al “Dio sconosciuto”, onorato negli altari ateniesi. La sua parola vibrante aveva un colorito singolare; le immagini furono molto più ricche e più belle di quelle registrate dall’autore degli Atti (At. 17,22-31). Lo stesso Dionisio restò ammirato. L’apostolo si rivelò molto diverso da quello visto nella pubblica piazza. Parlò con nobiltà e con enfasi; le immagini erano rivestite di straordinario colore, ma quando cominciò a discutere la resurrezione, ci fu un mormorio forte e prolungato. I presenti risero a bandiere spiegate, e fecero piovere taglienti derisioni.
91. L’aristocrazia intellettuale ateniese non poteva cedere nei suoi pregiudizi scientifici.
92. I più ironici lasciarono la stanza con risate sarcastiche, mentre i più contenuti, in considerazione di Dionisio, si avvicinarono all’apostolo con sorrisi intraducibili, dichiarando che lo avrebbero ascoltato volentieri un’altra volta, se non si desse più al lusso di commentare questioni di fantascienza. Paolo rimase naturalmente sconfortato. Al momento non poté concludere che la falsa cultura troverà sempre, nella vera sapienza, un’espressione di cose immaginarie e senza senso.
93. L’atteggiamento dell’Areopago non gli permise di arrivare alla fine. Ben presto la sontuosa stanza divenne quasi silenziosa. L’apostolo concluse che era quasi preferibile affrontare le turbolenze dei giudei, poiché, dove c’è lotta, ci sono sempre dei frutti da raccogliere. Le discussioni e l’attrito rappresentavano in molti casi il dissodare la terra spirituale per trovare il seme divino. Lì, invece, trovò la freddezza della pietra. Il marmo delle superbe colonne gli diede immediatamente l’immagine della situazione. La cultura ateniese era bella e ben curata, colpiva dall’esterno magnificamente, ma era fredda, pregna del rigore della morte intellettuale. Solo Dionisio e una giovane donna di nome Damaris e alcuni servi del palazzo rimasero accanto a lui, molto imbarazzati, anche se propensi alla causa.
94. Nonostante la delusione, Paolo di Tarso fece tutto il possibile per evitare la nuvola di tristezza che incombeva su tutti, a partire da se stesso. Abbozzò un sorriso e tentò di alzare l’umore. Dionisio consolidò ancora di più la sua ammirazione per le potenti qualità spirituali di quel fragile uomo di aspetto quasi rachitico, ma così energico e consapevole delle sue convinzioni.
95. Prima di ritirarsi, Paolo parlò della possibilità di fondare una Chiesa, anche fosse un umile santuario domestico, dove studiare e commentare il Vangelo. Ma i presenti presentarono scuse e pretesti. Dionisio si rammaricò per non essere in grado di sostenere l’impegno, dato il poco tempo; Damaris rivendicò impedimenti familiari; i servi dell’Areopago, uno per uno, espressero varie difficoltà. Uno era molto povero, l’altro molto incompreso, Paolo ricevette tutti i rifiuti mantenendo la sua naturale espressione del viso, come un seminatore che si vede circondato solo da pietre e spine.
96. L’apostolo dei gentili li salutò con serenità, ma non appena si vide da solo, pianse copiosamente. A cosa attribuire il doloroso insuccesso? Non riuscì a capire subito che Atene soffriva del secolare avvelenamento intellettuale, e supponendosi abbandonato dalle energie superiori, l’ex rabbino diede sfogo al suo terribile sconforto. Non accettava la freddezza generale, anche perché la nuova dottrina non era sua, ma del Cristo. Quando non piangeva riflettendo sul proprio dolore, piangeva per il Maestro, giudicando che lui, Paolo, non aveva corrisposto alle aspettative del Salvatore.
97. Per molti giorni, non riuscì ad annullare le nubi di preoccupazioni che gli oscuravano l’anima. Tuttavia, si raccomandò a Gesù e pregò protezione per i grandi compiti della sua vita.
98. In questa grande nube scura di incertezza e amarezza, all’apostolo prediletto giunse il soccorso del Maestro: arrivò Timoteo da Corinto, pieno di buone notizie.
[indice]
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La predicazione in Asia e le Epistole
(Atti 18, 1-4): [1]Dopo questi fatti Paolo lasciò Atene e si recò a Corinto. [2]Qui trovò un Giudeo chiamato Aquila, oriundo del Ponto, arrivato poco prima dall'Italia con la moglie Priscilla, in seguito all'ordine di Claudio che allontanava da Roma tutti i giudei. Paolo si recò da loro [3]e poiché erano del medesimo mestiere, si stabilì nella loro casa e lavorava. Erano infatti di mestiere fabbricatori di tende. [4]Ogni sabato poi discuteva nella sinagoga e cercava di persuadere giudei e greci.
1. Il nipote di Loide presentò all’ex rabbino molte novità confortanti. Aveva già sistemato le due signore in città, era portatore di alcune risorse e gli parlò dello sviluppo della dottrina cristiana nella vecchia capitale della Acaia. Una notizia gli fu particolarmente gradita: Timoteo menzionò l’incontro con Aquila e Prisca. Quelle due creature che gli erano state così solidali nelle difficoltà estreme del deserto, lavoravano ancora a Corinto per la gloria del Signore. Gioì intimamente e profondamente. Al di là delle tante ragioni personali che lo chiamavano ad Acaia, ossia i ricordi indelebili di Jeziel e Abigail, il desiderio di abbracciare la coppia amica fu una delle circostanze decisive della sua partenza immediata.
2. Il valoroso predicatore uscì da Atene molto abbattuto. L’insuccesso, nel confronto con la cultura greca, spingeva il suo spirito indagatore ai ragionamenti più strazianti. Cominciò a capire la ragione del perché il Maestro aveva preferito la Galilea con i suoi collaboratori umili e semplici di cuore; intese meglio il motivo della parola schietta del Cristo sulla salvezza, e comprese la Sua predilezione naturale per i dimenticati della fortuna.
3. Timoteo percepì la singolare tristezza nel suo sguardo, e inutilmente cercò di convincerlo della convenienza di proseguire per mare, avendo visto le difficoltà nel Pireo. Lui però insistette di andare a piedi, visitando i siti isolati nel percorso.
4. «Ma vi sento malato» – obiettò il discepolo, tentando di dissuaderlo. – «Non sarebbe più ragionevole che vi riposaste?»
5. Ricordando le delusioni sperimentate, l’apostolo disse: «Finché siamo in grado di lavorare, dobbiamo lavorare, giacché attribuiamo al lavoro un elisir per tutti i mali. Inoltre, è giusto approfittare del tempo e delle opportunità».
6. «Penso, tuttavia…» – giustificò il giovane amico – «…che potreste ritardare un po’...»
7. «Perché ritardare?» – ammonì l’ex rabbino facendo il possibile per cancellare le delusioni di Atene. – «Ho sempre avuto la convinzione che Dio ha fretta del servizio ben fatto. Se questo costituisce una caratteristica delle nostre meschine attività nelle cose di questo mondo, come ritardare o mancare, con i doveri sacri della nostra anima, per conto dell’Onnipotente?»
8. Il giovane ponderò sulla correttezza di quelle argomentazioni, e tacque. Fecero, così, più di sessanta chilometri in alcuni giorni di marce e intervalli per le prediche. In questo compito tra la gente semplice, Paolo di Tarso si sentiva più felice. Gli uomini dei campi ricevevano la Buona Novella con grande allegria e comprensione. Piccole Chiese domestiche furono fondate non lontano dal Golfo di Saron. Sostenuto dai ricordi amorevoli di Abigail, attraversarono l’istmo e penetrarono nella città, movimentata e rumorosa. Abbracciò Loide ed Eunice in una casetta nel porto di Cencrea e cercò subito di incontrarsi con i vecchi amici “dell’oasi di Dan”.
9. I tre si abbracciarono, presi da infinito giubilo. Aquila e la compagna parlarono a lungo dei servizi evangelici ai quali erano stati chiamati per la misericordia di Gesù. Con gli occhi sfavillanti, come se avessero vinto una grande battaglia, raccontarono all’apostolo di essere riusciti a realizzare l’ideale di rimanere a Roma per un po’ di tempo. Come tessitori umili, avevano abitato in uno vecchio palazzo in rovina, a Trastevere, facendo le prime predicazioni del Vangelo nello stesso ambiente dei fasti cesarini. I giudei avevano dichiarato guerra aperta ai nuovi principi. Dal primo dibattito della Buona Novella, erano cominciati grandi tormenti nel “ghetto” del povero e abbandonato rione. Prisca raccontò come un gruppo di israeliti esaltati le avevano assaltato la camera di notte, con strumenti di flagellazione e castigo. Il marito si era trattenuto nella bottega, e così lei non poté evitare le impietose frustate. Solo più tardi fu soccorsa da Aquila, che la trovò inondata di sangue.
10. L’apostolo di Tarso esultava. Raccontò agli amici, a sua volta, i dolori sperimentati dappertutto in Nome di Gesù Cristo. Quei martirii comuni erano presentati come favori di Gesù, come titoli eterni della Sua gloria. Chi ama, si inquieta per poter offrire qualcosa, e quelli che amano il Maestro si sentono felici di soffrire per Lui.
11. Desideroso di reintegrarsi nella serenità delle sue relazioni attive, dimenticando la freddezza ateniese, Paolo commentò il progetto della fondazione della Chiesa a Corinto, cosa che Aquila e sua moglie accettarono prontamente mettendosi a disposizione per tutti i servizi. Accettando la generosa offerta, l’ex rabbino passò ad abitare con loro, occupandosi giornalmente del suo mestiere.
12. Corinto era un suggerimento di ricordi perenni molto cari al suo cuore. Senza comunicare agli amici le reminiscenze che gli ribollivano nell’anima sensibile, cercò di rivedere i luoghi verso cui Abigail si riferiva sempre con incanto, localizzò il posto dove ci sarebbe stata la fattoria del vecchio Jochedeb, adesso incorporata all’immenso patrimonio di proprietà degli eredi di Licinio Minucio; contemplò la vecchia prigione dove la promessa sposa era evasa per salvarsi dagli scellerati che le avevano assassinato il padre e schiavizzato il fratello; meditò nel porto di Cencrea da dove Abigail era partita, un giorno, per conquistare il suo cuore, sotto i disegni superiori e immutabili dell’Eterno.
13. Paolo si consegnò anima e corpo al servizio rude. Il lavoro attivo sotto le sue mani gli procurava un leggero oblio di Atene. Comprendendo le necessità di un periodo di calma, indusse Luca a riposare a Troade, giacché Timoteo e Sila avevano trovato lavoro come carovanieri.
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(Atti 18,5-8): [5]Quando giunsero dalla Macedonia Sila e Timòteo, Paolo si dedicò tutto alla predicazione, affermando davanti ai giudei che Gesù era il Cristo. [6]Ma poiché essi gli si opponevano e bestemmiavano, scuotendosi le vesti, disse: «Il vostro sangue ricada sul vostro capo: io sono innocente; d’ora in poi andrò dai pagani». [7]E andatosene di là, entrò nella casa di un tale chiamato Tizio Giusto, che onorava Dio, la cui abitazione era accanto alla sinagoga. [8]Crispo, capo della sinagoga, credette nel Signore insieme a tutta la sua famiglia; e anche molti dei Corinzi, udendo Paolo, credevano e si facevano battezzare.
14. Prima di ritornare alle predicazioni, cominciarono ad arrivare a Corinto gli emissari da Tessalonica, da Berea e da altri punti della Macedonia, dove aveva fondato le sue ben amate Chiese. Le comunità avevano argomenti urgenti che richiedevano delicati interventi da parte sua. Sentendosi in difficoltà nel rispondere a tutti con la dovuta cura, chiamò nuovamente Sila e Timoteo per il loro aiuto indispensabile. I due, valendosi delle opportunità della professione, potevano contribuire in maniera efficace alla soluzione dei problemi imprevisti.
15. Confortato dall’aiuto degli amici, Paolo parlò, per la prima volta, nella sinagoga. La sua parola vibrante ebbe un esito straordinario. Giudei e greci parlavano di Gesù con entusiasmo. Il tessitore fu invitato a proseguire nei commenti religiosi ogni settimana. Ma quando cominciò a toccare le relazioni esistenti tra la Legge e il Vangelo, spuntarono gli attriti. Gli israeliti non ammettevano la superiorità di Gesù su Mosè e consideravano il Cristo come un Profeta della stirpe, ma non lo sopportavano come Salvatore. Paolo accettò la sfida, ma non riuscì a convincere i cuori così induriti.
16. Le discussioni si prolungarono per vari sabati di seguito, fino a quando, un giorno, il verbo infiammato e sincero dell’apostolo non criticò gli errori del fariseismo con impetuosità, e uno dei capi principali della sinagoga lo intimò con asprezza: «Zitto, oratore imprudente! La sinagoga fino ad ora ha tollerato le tue bugie con molta pazienza, ma in nome della maggioranza, ti ordino che tu te ne vada per sempre! Non vogliamo sapere del tuo Salvatore, eliminato sulla croce come un cane! ...»
17. Ascoltando quelle espressioni così irrispettose sul Cristo, l’apostolo sentì gli occhi umidi. Rifletté con maturità sulla situazione e replicò: «Fino adesso, a Corinto, ho cercato di dire la verità al popolo eletto da Dio come grato depositario dell’unità divina, ma giacché non l’accettate, da oggi cercherò i gentili! ... Che cadano su voi stessi le ingiuste maledizioni lanciate sul Nome di Gesù Cristo! ...»
18. Alcuni israeliti più esaltati volevano aggredirlo, provocando tumulto. Ma un romano di nome Tito Giusto, presente all’assemblea, e che dalla prima predicazione si sentì fortemente attratto dalla poderosa personalità dell’apostolo, si avvicinò e gli porse il braccio amico. Paolo poté così uscire dalla sinagoga incolume, dirigendosi all’abitazione del benefattore, che mise a sua disposizione tutti gli elementi imprescindibili per l’organizzazione di una Chiesa attiva.
19. Il tessitore era pieno di giubilo. Fu la prima conquista per una fondazione definitiva.
20. Tito Giusto, con l’ausilio di tutti i simpatizzanti del Vangelo, acquistò una casa per l’inizio dei servizi religiosi. Aquila e Prisca furono i principali collaboratori, insieme a Loide e a Eunice, per eseguire i programmi tracciati da Paolo, in accordo con l’organizzazione della Chiesa di Antiochia.
21. In tal modo la Chiesa di Corinto cominciò a produrre i frutti più ricchi della spiritualità. La città era famosa per la depravazione, ma l’apostolo aveva l’abitudine di dire che, molte volte, dai pantani nascevano i gigli più belli; e là dove c’erano molti peccati, c’erano molti rimorsi e sofferenze. Con queste unità d’intenti, la comunità crebbe, giorno dopo giorno, riunendo i credenti più diversi che arrivavano ansiosi per abbandonare quella Babilonia infiammata dai vizi.
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(Atti 18, 9-11): [9]E una notte in visione il Signore disse a Paolo: «Non aver paura, ma continua a parlare e non tacere, [10]perché io sono con te e nessuno cercherà di farti del male, perché io ho un popolo numeroso in questa città». [11]Così Paolo si fermò un anno e mezzo, insegnando fra loro la parola di Dio.
22. Con la presenza di Paolo, la Chiesa di Corinto acquisiva singolare importanza e quasi ogni giorno arrivavano emissari dalle regioni più remote. Portavano notizie della Galazia e chiedevano provvedimenti per le chiese di Pisidia, per i compagni di Iconio, Listra, Tessalonica, Cipro e Gerusalemme. Intorno all’apostolo si era formato un piccolo collegio di seguaci, di compagni stabili che collaboravano nei minimi lavori. Paolo, invece, era molto preoccupato. I provvedimenti erano urgenti e vari. Non poteva dimenticare il lavoro di manutenzione; aveva assunto impegni pesanti con i fratelli di Corinto; doveva stare attento alla raccolta di offerte per Gerusalemme, non poteva disprezzare le comunità precedentemente fondate. A poco a poco si rese conto che non era sufficiente mandare gli emissari. Le richieste affluivano da tutti i luoghi dove aveva vagato, portando la lieta Buona Novella. I fratelli, affettuosi e fiduciosi, contavano sulla sua sincerità e dedizione, incitandolo a combattere costantemente.
23. Sentendosi incapace di soddisfare tutte le esigenze allo stesso tempo, il discepolo abnegato del Vangelo, valendosi un giorno del silenzio della notte, quando la chiesa si trovava deserta, supplicò Gesù con lacrime agli occhi, affinché non gli mancassero gli aiuti necessari per rispettare pienamente il suo compito.
24. Dopo la preghiera, si sentì avvolto in una dolce luce. Ebbe la netta impressione di aver ricevuto una visita da parte del Signore. Genuflesso, sperimentando un’indescrivibile commozione, udì un avvertimento sereno e amorevole:
25. «Non temere…» – disse la voce – «…prosegui insegnando la verità, e non tacere, perché sono con te».
26. L’apostolo lasciò che le lacrime sgorgassero dal cuore. Quel riguardo amorevole di Gesù, quella esortazione, in risposta alla sua richiesta, gli penetrarono l’anima come onde affettuose. La gioia del momento compensava tutti i dolori e le sofferenze del cammino. Desideroso di approfittare della sacra ispirazione del momento che poteva sfuggirgli, pensò alle difficoltà di soddisfare le varie Chiese fraterne.
27. Tanto bastò perché la voce dolcissima continuasse: «Non ti affliggere dalle esigenze del servizio. È naturale che tu non possa assistere personalmente, tutti allo stesso tempo. Ma è possibile soddisfare tutti, simultaneamente, per i poteri dello spirito».
28. Cercò di capire il giusto significato della frase, ma ebbe una certa difficoltà a capire. Tuttavia, la voce continuò dolcemente: «Si potrà risolvere il problema scrivendo a tutti i fratelli in Mio Nome; quelli di buona volontà sapranno comprendere, perché il valore del compito non è nella presenza personale del missionario, ma nel contenuto spirituale del suo verbo, della esemplificazione e della sua vita. D’ora in poi, Stefano rimarrà più vicino a te, trasmettendoti i Miei pensieri, così il lavoro di evangelizzazione potrà ingrandirsi a beneficio dei sofferenti e dei bisognosi del mondo».
29. L’amico devoto dei gentili vide che la luce si spense; il silenzio tornò a regnare tra le mura semplici della Chiesa di Corinto; ma come se avesse assorbito l’acqua divina delle chiarezze eterne, conservò lo spirito immerso in un giubilo intraducibile. Avrebbe ripreso i lavori con più perseveranza, avrebbe inviato alle comunità più lontane le notizie del Cristo.
30. Infatti, il giorno dopo arrivarono da Tessalonica dei fratelli con delle notizie sgradevolissime. I giudei erano riusciti a suscitare, nella Chiesa, nuovi e strani dubbi e controversie. Timoteo confermava con delle osservazioni personali. Richiedevano con urgenza la presenza dell’apostolo, ma deciso di attuare il suggerimento del Maestro, e ricordando che Gesù gli aveva promesso di associare Stefano al compito divino, giudicò che non doveva agire da solo, chiamò Timoteo e Sila per scrivere la prima delle sue famose epistole.
31. Iniziò così il movimento di queste lettere immortali, la cui essenza spirituale proveniva dalla sfera del Cristo, attraverso il contributo amorevole di Stefano, compagno abnegato e fedele di colui che fu, in gioventù, innalzato a primo persecutore del cristianesimo.
32. Comprendendo l’elevato spirito di collaborazione di tutte le opere divine, Paolo di Tarso non cercò mai di scrivere da solo; in quei momenti cercò di circondarsi dei compagni più meritevoli, che gli venivano in soccorso con le loro ispirazioni, consapevole che, quando il messaggero di Gesù non trovava nel suo tono sentimentale le circostanze precise per trasmettere la volontà del Signore, avrebbe trovato negli amici gli strumenti adeguati.
33. Da allora, le lettere amate e famose, tesoro di vibrazioni di un mondo superiore, furono copiate e udite ovunque. Paolo continuò sempre a scrivere, ignorando, però, che tali sublimi documenti, spesso scritti nelle ore di angoscia più estrema, non erano destinati ad una Chiesa in particolare, ma per la cristianità universale. Le epistole ebbero esito veloce. I fratelli se le disputavano negli angoli più umili per l’elevato contenuto di consolazioni, e proprio Simon Pietro, ricevendo le prime copie a Gerusalemme, riunì la comunità e, leggendole commosso, dichiarò che le lettere del convertito di Damasco dovevano essere interpretate come lettere del Cristo ai discepoli e seguaci, affermando, anche, che esse segnavano un nuovo periodo di luce nella storia del Vangelo.
34. Molto confortato, l’ex dottore della Legge cercò di arricchire la Chiesa di Corinto con tutte le esperienze che aveva portato dall’istituzione di Antiochia. I cristiani della città vivevano un mare di gioie indefinibili. La Chiesa aveva un dipartimento per l’assistenza a coloro che avevano bisogno di pane, di vestiti, di medicine. Venerande signore si alternavano nel sacro compito di attendere i più svantaggiati. Ogni giorno, di notte, c’erano riunioni per commentare certi passaggi della vita del Cristo; dopo la predicazione centrale e il movimento delle manifestazioni di ognuno, tutti entravano in silenzio, e ragionavano su quel che ricevevano dal Cielo attraverso il dono del profetismo. Quelli non abituati al dono della profezia, possedevano poteri di guarigione che erano sfruttati in favore degli infermi, in una stanza vicina. La medianità evangelica dei tempi moderni è lo stesso profetismo delle chiese apostoliche.
35. Come era successo talvolta ad Antiochia, anche lì sorsero piccole discussioni intorno ai punti più difficili di interpretazione, che Paolo si affrettava a calmare, mantenendo salva la fraternità edificante. Dopo il lavoro di ogni notte, una preghiera sincera e premurosa segnalava l’istante di riposo.
*
(Atti 18,12-17): [12]Mentre era proconsole dell'Acaia Gallione, i giudei insorsero in massa contro Paolo e lo condussero al tribunale dicendo: [13]«Costui persuade la gente a rendere un culto a Dio in modo contrario alla legge». [14]Paolo stava per rispondere, ma Gallione disse ai giudei: «Se si trattasse di un delitto o di un'azione malvagia, o giudei, io vi ascolterei, come di ragione. [15]Ma se sono questioni di parole o di nomi o della vostra legge, vedetevela voi; io non voglio essere giudice di queste faccende». [16]E li fece cacciare dal tribunale. [17]Allora tutti afferrarono Sòstene, capo della sinagoga, e lo percossero davanti al tribunale ma Gallione non si curava affatto di tutto ciò.
36. L’istituzione progrediva a vista d’occhio. Alleandosi alla generosità di Tito Giusto, altri romani benestanti si avvicinarono al Vangelo, arricchendo l’organizzazione di nuove possibilità. Gli israeliti poveri trovavano nella Chiesa una casa generosa, dove Dio si manifestava in dimostrazioni di bontà, al contrario delle sinagoghe, nel cui ambito, al posto del pane per la fame vorace, di balsamo per le ferite del corpo e dell’anima, trovavano solo la durezza dei precetti tirannici sulle labbra di sacerdoti senza pietà.
37. Irritati dal successo insuperabile dell’impresa di Paolo di Tarso che indugiava in città ormai da un anno e sei mesi, dopo aver fondato un vero e perfetto rifugio per i “figli del Calvario”, gli ebrei di Corinto tramarono un movimento terribile di persecuzione all’apostolo. La sinagoga si svuotò. Era necessario estinguere la causa della loro mancanza di prestigio sociale. L’ex rabbino di Gerusalemme avrebbe pagato a caro prezzo la propaganda audace al Messia nazareno a scapito di Mosè.
38. Era proconsole dell’Acaia, con residenza a Corinto, un generoso e illustre romano che, nella sua vita pubblica, usava agire sempre in conformità con la giustizia. Fratello di Seneca, Giunio Gallio era un uomo di grande bontà e di un educazione fine. Il processo iniziato contro l’ex rabbino giunse nelle sue mani, senza che Paolo avesse la minima notizia che il bagaglio di accuse sollevate dagli israeliti era già talmente grande che l’amministratore si trovò costretto a determinare l’arresto dell’apostolo per l’inchiesta iniziale.
39. La sinagoga chiese, con particolare impegno, che le fosse delegato il compito di condurre l’imputato in tribunale. Lontano dal conoscere il movente di tale richiesta, il proconsole concesse il permesso necessario, determinando la presenza degli interessati all’udienza pubblica il giorno seguente. In possesso dell’ordine, gli israeliti più esaltati decisero di arrestare Paolo il giorno prima, dal momento che il fatto avrebbe potuto scandalizzare l’intera comunità.
40. Giunta la sera, proprio quando l’ex rabbino commentava il Vangelo preso da profonde ispirazioni, un gruppo armato si fermò alla porta, si distaccarono alcuni giudei più eminenti che si diressero verso l’interno. Paolo ascoltò la sentenza di prigionia con estrema serenità. Altrettanto, però, non accadde con l’assemblea. Ci fu grande tumulto nella Chiesa.
41. Alcuni giovani più esaltati spensero le torce, ma l’apostolo valoroso, in un solenne e commovente appello, gridò ad alta voce: «Fratelli, per caso, volete il Cristo senza testimonianza?»
42. La domanda risuonò nell’ambiente, contenendo tutti gli animi. Sempre sereno, l’ex rabbino ordinò di accendere le torce e, stendendo i polsi ai giudei meravigliati, disse con un’indimenticabile accento: «Sono pronto!...»
43. Un componente del gruppo, dispettoso per quella superiorità spirituale, si avvicinò a lui e lo colpì con le fruste in faccia.
44. Alcuni cristiani protestarono, il portatore dell’ordine di Gallio reagì duramente, ma il prigioniero, senza mostrare la minima rivolta, gridò a voce più alta: «Fratelli, gioiamo in Cristo Gesù. Restiamo tranquilli e gioiosi perché il Signore ci ha giudicati degni! ...»
45. Una grande serenità si stabilì nell’assemblea. Diverse donne singhiozzavano a bassa voce. Aquila e sua moglie diressero all’apostolo uno sguardo indimenticabile. La piccola carovana si indirizzò al carcere nell’ombra della notte. Gettato in fondo ad una prigione umida, Paolo fu legato al tronco delle punizioni e sopportò la fustigazione delle trentanove frustate. Lui stesso era sorpreso. Una pace sublime bagnava il suo cuore di morbide consolazioni. Nonostante si sentisse solo, tra crudeli persecutori, sperimentò una nuova fiducia in Cristo. Con queste premesse, non gli dolevano le fustigazioni spietate; invano i carnefici cercarono di rompere il suo spirito ardente, con insulti e ironie.
46. Nella prova rude e dolorosa, comprese, gioiosamente, che aveva raggiunto lo stato di pace divina nel mondo interiore, che Dio concede ai suoi figli dopo aspre e continue lotte nell’incessante conquista di se stessi. Altre volte, l’amore per la giustizia lo aveva portato a situazioni passionali, a desideri mal contenuti, a dure controversie; ma lì, di fronte alle cinghie che cadevano sulle spalle mezze nude, aprendo solchi sanguinanti, conservò il ricordo più vivo del Cristo, ebbe l’impressione di dirigersi verso le Sue braccia misericordiose, dopo le terribili e aspre camminate, da quel momento in cui cadde alle porte di Damasco sotto una tempesta di lacrime e tenebre.
47. Sommerso in pensieri sublimi, Paolo di Tarso percepì la sua prima grande estasi. Non ascoltava più le provocazioni inflessibili dei carnefici, sentiva che la sua anima si dilatava all’infinito, sperimentando sacre emozioni di beatitudine indefinibile. Un dolce sonno gli anestetizzò il cuore, e solo all’alba ritornò in sé dal dolce riposo. Il Sole lo visitò felice attraverso le sbarre. Il valoroso discepolo del Vangelo si alzò ben disposto, ricompose i suoi vestiti e aspettò pazientemente.
48. Solo dopo mezzogiorno tre soldati scesero al carcere delle discipline giudaiche, prendendo il prigioniero per condurlo alla presenza del proconsole.
49. Paolo apparve alle sbarre del tribunale con grande serenità. Il luogo era pieno di esaltati israeliti, ma l’apostolo osservò che l’assemblea consisteva, in maggioranza, di greci dalla fisionomia amichevole, molti di loro conosciuti personalmente per il lavoro di assistenza della Chiesa.
50. Giunio Gallio, molto zelante nel suo incarico, si sedette sotto lo sguardo ansioso degli spettatori pieni di interesse.
51. Il proconsole, in conformità con la pratica, avrebbe dovuto sentire le parti in controversia, prima di pronunciare la sentenza, nonostante le denunce e le accuse scritte sulla pergamena.
52. Per i giudei avrebbe parlato uno dei più grandi della sinagoga, di nome Sostene, ma, poiché non compariva nessun rappresentante della Chiesa di Corinto per difendere l’apostolo, l’autorità chiese il compimento della sentenza, senza perdita di tempo. Paolo di Tarso, molto sorpreso, chiese interiormente a Gesù di essere il patrono della sua causa, allorquando si fece avanti un uomo che era disposto a testimoniare in nome della Chiesa. Era Tito Giusto, il generoso romano che non disprezzava l’opportunità della testimonianza. Si verificò, allora, un fatto inaspettato. I greci presenti nell’assemblea proruppero in frenetici applausi.
53. Giunio Gallio decise che gli accusatori iniziassero le dichiarazioni pubbliche necessarie.
54. Sostene cominciò a parlare con grande approvazione dei giudei presenti. Accusava Paolo di essere blasfemo, disertore della Legge, stregone. Fece riferimento al suo passato criminale. Raccontò che i suoi stessi parenti lo avevano abbandonato. Il proconsole ascoltava attento, ma manteneva un atteggiamento curioso. Con il dito indice destro si premeva un orecchio, senza tener conto dello stupore generale. Il capo della sinagoga, intanto, si sconcertò di quel gesto. Terminate le diffamazioni appassionate e ingiuste, Sostene chiese all’amministratore dell’Acaia, per quanto riguardava il suo atteggiamento, un chiarimento, al fine di non passare per irrispettoso.
55. Gallio, tuttavia, molto calmo, facendo umorismo, rispose: «Non credo di essere qui per dare spiegazioni delle mie azioni personali, bensì per soddisfare gli imperativi della giustizia. Tuttavia, in obbedienza al codice di fratellanza umana, dichiaro che, a mio avviso, qualsiasi amministratore o giudice in causa, dovrebbe riservare un orecchio per l’accusa e l’altro per la difesa».
56. Mentre gli ebrei arricciavano la fronte molto confusi, i corinzi ridevano di gusto. Paolo trovò molto divertente quella confessione del proconsole, incapace di nascondere il sorriso buono che gli illuminò improvvisamente l’espressione.
57. Dopo l’incidente umoristico, Tito Giusto si avvicinò e parlò succintamente della missione dell’apostolo. Le sue parole obbedivano ad un largo soffio di ispirazione e bellezza spirituale. Giunio Gallio, ascoltando la storia del convertito di Damasco dalle labbra di un patrizio, rimase molto colpito e commosso. Di tanto in tanto, i greci irrompevano in esclamazioni di applausi e soddisfazione. Gli israeliti compresero che perdevano terreno di momento in momento.
58. Al termine dei lavori, il capo politico dell’Acaia prese la parola per concludere che non vedeva alcun reato commesso dal discepolo del Vangelo; che i giudei dovevano, prima di ogni accusa ingiusta, esaminare il lavoro generoso della Chiesa di Corinto, perché, a suo parere, non vi era alcun aggravio ai principi israeliti, e inoltre, che solo la controversia di parole non giustificava le violenze, concludendo, così, la frivolezza delle accuse, affermando che non desiderava la funzione di giudice in questioni di tale natura.
59. Ogni decisione adottata fu applaudita dai corinzi a gran voce.
60. Quando Giunio Gallio disse che Paolo doveva considerarsi pienamente libero, gli applausi raggiunsero la frenesia. L’autorità raccomandava che la ritirata fosse fatta nell’ordine, ma i greci attesero che Sostene scendesse, e quando apparve la solenne figura del cosiddetto “maestro”, lo assalirono senza pietà. Formando un gran tumulto nella lunga scala che separava la Corte dalla via pubblica, Tito Giusto si avvicinò al proconsole con difficoltà e gli chiese di intervenire.
61. Gallio, tuttavia, continuando a prepararsi per tornare a casa, diresse a Paolo uno sguardo di simpatia e disse, con calma: «Cerchiamo di non preoccuparci. I giudei sono molto abituati a queste sommosse. Se io, come giudice, ho riservato un orecchio, mi sembra che Sostene dovrebbe riservare tutto il corpo, in qualità di accusatore».
62. E si ritirò all’interno dell’edificio in atteggiamento impassibile. Fu allora che Paolo, spuntando dalla cima delle scale, esclamò: «Fratelli, calmatevi, per amore del Cristo! ... »
63. L’esortazione cadde in pieno sulla massa numerosa e turbolenta. L’effetto fu immediato. Voci e insulti cessarono. Gli ultimi contendenti bloccarono le braccia smaniose. Il convertito di Damasco soccorse premuroso Sostene, il cui volto era sanguinante. L’implacabile accusatore del giorno fu condotto alla sua residenza dai cristiani di Corinto, per attendere alle sollecitazioni di Paolo con estrema cura.
64. Molto risentiti dall’insuccesso, gli israeliti della città prepararono ulteriori attacchi, ma l’apostolo, riunendo la comunità del Vangelo, disse che voleva andare in Asia al fine di soddisfare l’insistente chiamata di Giovanni[62], nella fondazione definitiva della Chiesa di Efeso. I corinzi protestarono garbatamente, cercando di trattenerlo, ma l’ex rabbino dichiarò con fermezza la convenienza del viaggio, contando di ritornare molto presto.
65. Tutti i collaboratori della Chiesa erano desolati, principalmente Febe, notevole collaboratrice del suo sforzo apostolico a Corinto, non poteva nascondere le lacrime del cuore. Il devoto discepolo di Gesù le fece capire che la Chiesa era ormai fondata, ed avrebbe richiesto solo continuità delle cure e l’affetto dei compagni. Non sarebbe stato giusto, a suo vedere, affrontare nuovamente l’ira degli israeliti, sembrandole ragionevole aspettare il concorso del tempo per le realizzazioni necessarie.
*
(Atti 18,18-22): [18]Paolo si trattenne ancora parecchi giorni, poi prese congedo dai fratelli e s'imbarcò diretto in Siria, in compagnia di Priscilla e Aquila. A Cencre si era fatto tagliare i capelli a causa di un voto che aveva fatto. [19]Giunsero a Efeso, dove lasciò i due coniugi, ed entrato nella sinagoga si mise a discutere con i giudei. [20]Questi lo pregavano di fermarsi più a lungo, ma non acconsentì. [21]Tuttavia prese congedo dicendo: «Ritornerò di nuovo da voi, se Dio lo vorrà», quindi partì da Efeso. [22]Giunto a Cesarèa, si recò a salutare la Chiesa di Gerusalemme e poi scese ad Antiochia.
66. Nel giro di un mese partì per Efeso, portando con sé Aquila e la moglie, che accettarono di accompagnarlo.
67. Salutando la città, pensò di nuovo al passato, alle speranze di felicità terrena che gli anni avevano assorbito. Visitò i luoghi dove Abigail e il fratello avevano giocato nell’infanzia, si saturò dei soavi e indimenticabili ricordi e, nel porto di Cencrea, rimembrando la promessa sposa tanto amata, si rasò la testa, rinnovando i voti di fedeltà eterna, come nelle tradizioni popolari dell’epoca.
68. Dopo un viaggio difficile, pieno di episodi dolorosi, Paolo e compagni arrivarono a destinazione. La Chiesa di Efeso affrontava problemi tortuosi. Giovanni combatteva seriamente affinché lo sforzo evangelico non degenerasse in sterili polemiche. Ma i tessitori giunti da Corinto gli diedero man forte nell’imprescindibile cooperazione.
69. Tra le accese discussioni che manteneva con i giudei nella sinagoga, l’ex rabbino si ricordò di certe realizzazioni sentimentali che attendeva da lungo tempo. Con estrema delicatezza visitò la Madre di Gesù nella sua semplice casa, con vista sul mare. Fortemente impressionato dall’umiltà di quella creatura semplice e amorevole, che somigliava più ad un angelo vestito da donna. Paolo di Tarso s’interessò ai suoi affettuosi racconti della notte della nascita del Maestro, registrando nel suo interiore le impressioni divine e promettendo di tornare al più presto per raccogliere i dati necessari per il Vangelo che intendeva scrivere ai cristiani del futuro. Maria si mise a sua disposizione, con grande gioia. L’apostolo, però, dopo la collaborazione per qualche tempo nel consolidamento della Chiesa, visto che Aquila e Prisca erano ben installati e soddisfatti, decise di partire verso nuove direzioni. Invano i fratelli cercarono di dissuaderlo, chiedendo di restare in città più a lungo. Promettendo di tornare non appena le circostanze lo avrebbero consentito, sosteneva che doveva andare a Gerusalemme, per portare a Simon Pietro il frutto della raccolta di anni consecutivi nei luoghi che aveva percorso. Il figlio di Zebedeo [Giovanni], che conosceva il vecchio progetto, gli diede ragione ad intraprendere il viaggio senza ulteriori ritardi.
70. Giacché erano già tornati al suo fianco Sila e Timoteo, questi gli fecero compagnia in questo nuovo viaggio. Attraverso enormi difficoltà, ma sempre predicando la Buona Novella con vera devozione ed entusiasmo, arrivarono al porto di Cesarea, dove rimasero alcuni giorni, istruendo gli interessati alla conoscenza del Vangelo. Da lì si diressero a piedi verso Gerusalemme, distribuendo cure e consolazioni lungo il cammino. Arrivando alla capitale del giudaismo, l’ex pescatore di Cafarnao li accolse con gioia insuperabile. Simon Pietro presentava un grande abbattimento fisico, a causa delle terribili e incessanti lotte affinché la Chiesa sopportasse senza grandi scosse le tempeste primitive; i suoi occhi, però, mantenevano la stessa serenità, caratteristica dei discepoli fedeli.
71. Paolo gli consegnò con gioia la piccola fortuna, la cui destinazione avrebbe garantito una maggiore indipendenza dall’istituzione di Gerusalemme, per il giusto sviluppo dell’opera del Cristo. Pietro ringraziò commosso e lo abbracciò in lacrime. I poveri, gli orfani, gli anziani indifesi e i convalescenti avrebbero avuto d’ora in poi una scuola benedetta di lavoro santificante.
72. Pietro osservò che l’ex rabbino aveva anche lui il corpo molto provato. Magro, molto pallido, brizzolato, tutto in lui tradiva l’intensità delle sue lotte. Le mani e il viso erano piene di cicatrici.
73. L’ex pescatore, davanti a quello che vedeva, gli parlò con entusiasmo delle sue epistole che si erano sparse in tutte le Chiese, lette con avidità; profondamente conoscitore dei problemi di ordine spirituale, sosteneva con convinzione che quelle lettere provenivano da una fonte di ispirazione diretta dal divin Maestro, osservazione che Paolo di Tarso ricevette commosso, data la spontaneità del compagno. Inoltre – aggiunse Simon con piacere – non ci poteva essere elemento educativo così elevato quanto quello. Conosceva alcuni cristiani palestinesi che conservavano numerose copie dei messaggi ai Tessalonicesi. Le chiese di Giaffa e di Antipatride, per esempio, commentavano le epistole, frase per frase.
74. L’ex rabbino sentì un immenso conforto a continuare nella lotta redentrice.
75. Dopo pochi giorni, partì per Antiochia con i discepoli. Riposò un po’ di tempo con gli amati compagni, ma la sua potente capacità di lavoro non permetteva maggiori periodi di riposo.
76. In quel periodo, non passava una settimana in cui lui non riceveva i rappresentanti delle diverse Chiese, dai posti più disparati. Antiochia di Pisidia era in difficoltà; Iconio richiedeva ulteriori visite; Berea supplicava provvedimenti. Corinto aveva bisogno di chiarimenti. Colossi insisteva per la sua presenza al più presto. Paolo di Tarso, per l’occasione, si avvalse dei compagni; inviò nuove lettere a tutti, attendendole con il più grande affetto. In tali circostanze, l’apostolo dei gentili non fu da solo nel compito dell’evangelizzazione. Sempre assistito da numerosi discepoli, le sue epistole, che sarebbero rimaste per i cristiani del futuro, sono, per lo più, piene di riferimenti personali, soavi e dolci. Completata la fase in Antiochia, tornò al paese natale, dove parlò delle verità eterne, ottenendo il risveglio di molti abitanti di Tarso per le realtà del Vangelo. Di seguito, si addentrò di nuovo sulle vette del Tauro, visitando le comunità di tutta la Galazia e Frigia, sollevando l’animo dei compagni di fede, e questo lo impiegò per molto tempo. In tale incessante e instancabile impegno, riuscì ad aggregare nuovi discepoli per Gesù, distribuendo grandi benefici in tutti gli angoli illuminati dalla sua parola edificante, anche perché illustrata dai fatti.
77. Ovunque, combattimenti senza sosta, gioie e dolori, angosce e amarezze del mondo, che non diminuivano le sue speranze nelle promesse di Gesù. Da un lato c’erano gli israeliti rigorosi, acerrimi e dichiarati nemici del Salvatore; dall’altro cristiani indecisi, vacillanti tra le convenienze personali e le false interpretazioni. Il missionario di Tarso, tuttavia, sapendo che il discepolo sincero deve sperimentare le sensazioni della “porta stretta” ogni giorno, non si lasciò mai trascinare dallo scoraggiamento, rinnovando ogni ora il proposito di sopportare tutto, agire, fare ed edificare per il Vangelo, completamente arreso a Gesù Cristo.
78. Vinte le lotte instancabili, decise di tornare ad Efeso, interessato alla realizzazione del Vangelo modellato sui ricordi di Maria.
79. Non incontrò più Aquila e Prisca, tornati a Corinto in compagnia di un tale Apollo, che si era fatto notare per la sua cultura, tra i nuovi convertiti. Sebbene desiderasse avere soltanto alcuni colloqui più lunghi con l’indimenticabile figlia di Nazareth [Maria] fu costretto ad affrontare una seria lotta con i collaboratori di Giovanni. La sinagoga era riuscita ad avere grande ascendente politico nella Chiesa della città, che minacciava di crollare. L’ex rabbino, realizzando il pericolo, accettò la lotta senza riserve. Per tre mesi discusse nella sinagoga, a tutte le riunioni. La città, che si manteneva in atroci dubbi, sembrava raggiungere una comprensione maggiore e più ricca di luci. Moltiplicando le meravigliose guarigioni, Paolo, un giorno, avendo imposto le mani sopra alcuni malati, fu circondato da un chiarore indefinibile del mondo spirituale. Le voci santificate che si manifestavano a Gerusalemme e ad Antiochia, parlavano nella piazza pubblica. Questo fatto ebbe ripercussioni enormi e diede una maggiore autorità per gli argomenti dell’apostolo, in contrapposizione ai giudei.
80. Ad Efeso non si parlava d’altro. L’ex rabbino fu elevato all’apogeo della considerazione, da un giorno all’altro. Gli israeliti stavano perdendo terreno in tutte le linee. Il tessitore colse l’occasione per lanciare nei cuori, radici evangeliche ancor più profonde. Assecondando gli sforzi di Giovanni, cercò di installare nella Chiesa il servizio di assistenza per i più svantaggiati dalla fortuna. L’istituzione si arricchì di valori spirituali. Comprendendo l’importanza dell’organizzazione di Efeso per tutta l’Asia, Paolo di Tarso decise di prolungare lì la sua permanenza.
81. Giunsero dei discepoli dalla Macedonia. Aquila e sua moglie tornarono da Corinto; Timoteo, Tito e Sila collaboravano attivamente visitando le fondamenta cristiane già stabilite. Così, vigorosamente aiutato, il generoso apostolo moltiplicò le cure e i benefici in Nome del Signore. Lavorando per la vittoria dei principi del Maestro, fece sì che molti abbandonassero credenze e superstizioni pericolose, arrendendosi alle amorevoli braccia del Cristo.
*
(Atti 19,23-41): [23]Verso quel tempo scoppiò un gran tumulto riguardo alla nuova dottrina. [24]Un tale, chiamato Demetrio, argentiere, che fabbricava tempietti di Artèmide in argento e procurava in tal modo non poco guadagno agli artigiani, [25]li radunò insieme agli altri che si occupavano di cose del genere e disse: «Cittadini, voi sapete che da questa industria proviene il nostro benessere; [26]ora potete osservare e sentire come questo Paolo ha convinto e sviato una massa di gente, non solo di Efeso, ma si può dire di tutta l'Asia, affermando che non sono dèi quelli fabbricati da mani d'uomo. [27]Non soltanto c'è il pericolo che la nostra categoria cada in discredito, ma anche che il santuario della grande dèa Artèmide non venga stimato più nulla e venga distrutta la grandezza di colei che l'Asia e il mondo intero adorano». [28]All'udire ciò s'infiammarono d'ira e si misero a gridare: «Grande è l'Artèmide degli Efesini!». [29]Tutta la città fu in subbuglio e tutti si precipitarono in massa nel teatro, trascinando con sé Gaio e Aristarco macèdoni, compagni di viaggio di Paolo. [30]Paolo voleva presentarsi alla folla, ma i discepoli non glielo permisero. [31]Anche alcuni dei capi della provincia, che gli erano amici, mandarono a pregarlo di non avventurarsi nel teatro. [32]Intanto, chi gridava una cosa, chi un'altra; l'assemblea era confusa e i più non sapevano il motivo per cui erano accorsi. [33]Alcuni della folla fecero intervenire un certo Alessandro, che i giudei avevano spinto avanti, ed egli, fatto cenno con la mano, voleva tenere un discorso di difesa davanti al popolo. [34]Appena s'accorsero che era Giudeo, si misero tutti a gridare in coro per quasi due ore: «Grande è l'Artèmide degli Efesini!». [35]Alla fine il cancelliere riuscì a calmare la folla e disse: «Cittadini di Efeso, chi fra gli uomini non sa che la città di Efeso è custode del tempio della grande Artèmide e della sua statua caduta dal cielo? [36]Poiché questi fatti sono incontestabili, è necessario che stiate calmi e non compiate gesti inconsulti. [37]Voi avete condotto qui questi uomini che non hanno profanato il tempio, né hanno bestemmiato la nostra dèa. [38]Perciò se Demetrio e gli artigiani che sono con lui hanno delle ragioni da far valere contro qualcuno, ci sono per questo i tribunali e vi sono i proconsoli: si citino in giudizio l'un l'altro. [39]Se poi desiderate qualche altra cosa, si deciderà nell'assemblea ordinaria. [40]C'è il rischio di essere accusati di sedizione per l'accaduto di oggi, non essendoci alcun motivo per cui possiamo giustificare questo assembramento». [41]E con queste parole sciolse l'assemblea.
82. Questo ritmo di proficuo lavoro fu protratto per più di due anni, quando accadde un evento di grande impatto tra gli efesini.
83. La città esprimeva un culto speciale alla dèa Diana. Piccole statuine, immagini frammentarie della divinità mitologica sorgevano in ogni angolo, così come gli ornamenti della popolazione. La predicazione di Paolo, tuttavia, aveva modificato le preferenze del popolo. Quasi nessuno era più interessato alle acquisizioni delle immagini della dèa. Questo culto, tuttavia, era così redditizio, che gli orafi dell’epoca, guidati da un artigiano di nome Demetrio iniziarono una protesta violenta presso le autorità competenti.
84. Quelli danneggiati dalla campagna dell’apostolo, affermavano che lui stava distruggendo le migliori tradizioni popolari della città apprezzabile e fiorente. Il culto di Diana proveniva dagli antenati e meritava più rispetto; inoltre, un’intera classe di validi uomini era senza lavoro.
85. Demetrio decise di agire. Gli orefici si riunirono e pagarono i rivoltosi. Sapevano che Paolo avrebbe parlato all’anfiteatro in quella stessa notte in cui si combinavano le decisioni. Per conto degli orefici si cominciarono a diffondere delle voci maliziose tra i più creduloni. Insinuavano che l’ex rabbino si preparava ad entrare nel tempio di Diana per bruciare gli oggetti di culto. Aggiunsero che la massa iconoclasta[63] sarebbe uscita dall’anfiteatro per compiere il progetto malvagio.
86. Gli animi si esaltarono. Il piano di Demetrio calava a fondo nell’immaginazione dei sempliciotti. Al tramonto, una grande massa di persone si trovò nella vasta piazza in attesa. Si fece notte, la folla era cresciuta ancora di più. Quando si accesero nell’anfiteatro le prime luci, gli orafi credettero che l’apostolo fosse lì. Con imprecazioni e gesti minacciosi, la folla avanzò con grida furiose, ma solo Gaio e Aristarco, fratelli della Macedonia, erano lì a preparare l’ambiente per la predicazione della notte. Entrambi furono arrestati dagli esaltati.
87. Notando l’assenza dell’ex rabbino, la massa incosciente s’incamminò verso la tenda di Aquila e Prisca. Paolo, tuttavia, non era lì. La bottega semplice della coppia cristiana fu completamente distrutta a colpi spietati. Telai rotti, pezzi di pelle gettati furiosamente per la strada. Infine, la coppia fu arrestata sotto i fischi della folla esacerbata.
88. La notizia si diffuse molto rapidamente. La colonna rivoluzionaria radunò altri simpatizzanti in tutte le strade, dato il suo carattere festoso. Invano i soldati si precipitarono cercando di contenere la folla. Tutti gli sforzi erano inutili. Ogni tanto, Demetrio trovava una tribuna improvvisata e gridava alla folla avvelenando gli animi.
89. Raccolto presso la residenza di un amico, Paolo di Tarso venne a conoscenza dei fatti gravi che accadevano a causa sua. Il suo primo impulso fu di uscire subito per incontrare i compagni catturati, e liberarli, ma i fratelli glielo impedirono. Quella notte dolorosa rimarrà indimenticabile nella sua vita. In lontananza si sentivano le potenti urla: “Grande è la Diana di Efeso! Grande è la Diana di Efeso!”. – Ma l’apostolo, costretto a forza dai compagni, dovette desistere nel voler parlare alle masse popolari, nella piazza pubblica.
90. Solo molto più tardi lo scrivano della città riuscì a parlare al popolo, incitandolo a portare il caso in tribunale, e ad abbandonare la pazza idea di farsi giustizia con le proprie mani.
91. L’assemblea si disperse poco prima della mezzanotte, ma solo dopo che le autorità ebbero messo in prigione Gaio, Aristarco e la coppia di tessitori.
92. Il giorno dopo, il generoso apostolo dei gentili, in compagnia di Giovanni, andò a vedere quel che restava della tenda di Aquila. Tutto distrutto e sparso per la via pubblica. Paolo rifletté con immenso dolore per gli amici incarcerati, parlò al figlio di Zebedeo con gli occhi inondati di lacrime.
93. «Tutto questo mi rattrista! Aquila e Prisca sono i miei compagni di lotta fin dalle prime ore della mia conversione a Gesù. Per loro avrei dovuto soffrire tutto, per il tanto amore che gli devo; quindi non giudico giusto che soffrano a causa mia».
94. «La causa è del Cristo!» – rispose giustamente Giovanni.
95. L’ex rabbino sembrò concordare con l’osservazione e disse: «Sì, il Maestro ci consolerà», e dopo che si fu concentrato a lungo, sussurrò: «Siamo in costante lotta in Asia da più di vent’anni... Ora devo ritirami a Ionia, senza indugio. I colpi vengono da tutte le parti. Per il bene che desideriamo, ci fanno tutto il male che possono. Guai a noi se non portiamo i segni del Cristo Gesù!»
96. Il predicatore valoroso, così coraggioso e tenace, pianse!
97. Giovanni comprese, gli osservò i capelli prematuramente sbiancati e cercò di deviare l’argomento: «Non andare così lontano…» – disse premuroso – «…abbiamo ancora bisogno di te qui».
98. «Impossibile…» – rispose con tristezza – «…la rivolta degli artigiani continuerà. Tutti i fratelli pagherebbero cara la mia compagnia».
99. «Ma non avevi l’intenzione di scrivere il Vangelo, secondo i ricordi di Maria?» – domandò dolcemente il figlio di Zebedeo.
100. «È vero…» – confermò l’ex rabbino con amara serenità – «…ciò nonostante, è necessario partire. Caso mai non ritornassi più, invierò un compagno per raccogliere le note necessarie».
101. «Nonostante tutto ciò, potresti rimanere con noi».
102. Il tessitore di Tarso fissò l’amico con calma e disse in umile atteggiamento: «Forse ti sbagli. Sono nato per una lotta senza tregua, che dovrà prevalere fino alla fine dei miei giorni. Prima di trovare le luci del Vangelo ho errato criminosamente, anche se con il desiderio sincero di servire Dio. Ben presto ho fallito nella speranza di un focolare. Mi sono fatto odiare da tutti, fino a quando il Signore non ebbe compassione della mia situazione miserabile, chiamandomi alle porte di Damasco. Così si stabilì un divario tra la mia anima e il passato. Abbandonato dagli amici d’infanzia, ho dovuto cercare il deserto e iniziare una nuova vita. Dalle tribune del Sinedrio sono tornato al telaio pesante e rustico. Quando tornai a Gerusalemme, il giudaismo mi considerò malato e bugiardo. A Tarso ho sperimentato l’abbandono dei parenti più cari. Di seguito ho ricominciato ad Antiochia il compito che mi conduceva al servizio di Dio. Da allora, ho lavorato instancabilmente, perché molti secoli di servizio non sarebbero sufficienti a pagare quanto devo al cristianesimo. Sono uscito a predicare. Ho peregrinato attraverso diverse città, ho visitato centinaia di villaggi, ma da nessuna parte mi sono ritirato senza dure lotte. Sono sempre uscito per la porta del carcere, della lapidazione e della fustigazione. Nei viaggi in mare ho sperimentato il naufragio più di una volta; neanche in mezzo al ventre stretto di una nave sono stato in grado di evitare la lotta. Ma Gesù mi ha insegnato la saggezza della pace interiore, in perfetta comunione con il Suo Amore».
103. Queste parole furono pronunciate con un tono di umiltà così sincera, che il figlio di Zebedeo non poté nascondere la sua ammirazione.
104. «Sei felice, Paolo…» – disse convinto – «…perché hai capito il programma di Gesù per te. Non angosciarti con la memoria dei martirii sofferti, il Maestro fu costretto a ritirarsi dal mondo attraverso i tormenti della croce. Rallegriamoci con le prigionie e le sofferenze. Se il Cristo è partito sanguinante con ferite così dolorose, non abbiamo alcun diritto di accompagnarLo senza cicatrici...».
105. L’apostolo dei gentili, prestando enorme attenzione a quelle confortanti parole, bisbigliò: «È vero!»
106. «Inoltre…» – aggiunse il compagno entusiasta – «…dobbiamo contare su numerosi calvari. Se l’Agnello Immacolato ha sofferto sulla croce dell’ignominia, di quante croci abbiamo bisogno per raggiungere la redenzione? Gesù è venuto al mondo per immensa misericordia. Ci chiamò dolcemente, convocandoci ad una vita migliore... Ora, amico mio, come gli antenati di Israele che sono usciti dalla schiavitù dell’Egitto a spese di sacrifici estremi, abbiamo bisogno di sfuggire alla schiavitù del peccato, sforzandoci di disciplinare lo spirito per seguire il Maestro, corrispondendo alla Sua immensa bontà».
107. Paolo scosse la testa pensieroso, e disse: «Dal momento che il Signore si è degnato di chiamarmi al servizio del suo Vangelo, non medito su altro».
108. In questa cadenza cordiale parlarono a lungo, fino a quando l’apostolo dei gentili, più confortato, disse: «Quello che posso concludere a questo punto, è che il mio lavoro nell’Oriente è finito. Lo spirito di servizio mi obbliga ad andare oltre... Spero di predicare il Vangelo del Regno a Roma, in Spagna e tra i popoli meno conosciuti».
109. Il suo sguardo era pieno di visioni gloriose e Giovanni sussurrò umilmente: «Dio benedirà il tuo cammino».
110. Rimase ancora ad Efeso, usando tutte le risorse a favore dei prigionieri. Dopo che furono liberati, decise di lasciare l’Ionia nel più breve tempo possibile. Ma era profondamente abbattuto. Si sarebbe detto che le ultime lotte avevano collaborato a demolire le sue migliori energie. Accompagnato da alcuni amici andò a Troade dove rimase alcuni giorni, edificando i fratelli nella fede.
111. La fatica si accentuava sempre di più. Le preoccupazioni lo innervosivano. Sperimentava nell’interiore una profonda desolazione che l’insonnia aggravava di giorno in giorno. Paolo, che mai si era dimenticato della tenerezza dei fratelli di Filippi, decise allora di cercare lì un po’ di riposo. L’apostolo fu accolto con inequivocabili prove di affetto e considerazione. I bambini dell’istituzione si dispiegavano in dimostrazioni di affettuosa tenerezza. Un’altra piacevole sorpresa lo attendeva: Luca si trovava casualmente in città e venne ad abbracciarlo.
112. Questo incontro risollevò il suo animo abbattuto. Quando gli amici s’incontrarono, il medico si allarmò. Paolo gli sembrò estremamente debole e triste, nonostante la fede incrollabile che gli nutriva il cuore e straripava dalle labbra. Spiegò che si era ammalato ed aveva sofferto molto nelle ultime predicazioni ad Efeso, e che era da solo a Filippi dopo il ritorno di alcuni amici che lo avevano accompagnato, poiché i compagni più fedeli erano partiti per Corinto, dove lo aspettavano.
113. Molto sorpreso, Luca ascoltò tutto in silenzio e domandò: «Quando pensi di partire?»
114. «Ho intenzione di restare qui due settimane», – e dopo aver girovagato gli occhi nel paesaggio, in tono quasi amaro disse: «A proposito, mio caro Luca, penso che questa sia l’ultima volta che mi riposo a Filippi...».
115. «Ma perché? Non vi è alcuna ragione di tali tristi presentimenti».
116. Paolo, notando la preoccupazione dell’amico, si affrettò ad invalidare la prima impressione: «Suppongo che dovrò partire per l’Occidente» – disse con un sorriso.
117. «Molto bene...» – rispose Luca rianimato – «…devo ultimare le questioni che mi hanno portato qui, e vengo con te a Corinto».
118. L’apostolo si rallegrò. Gioì della presenza di un compagno così dedicato. Anche Luca fu soddisfatto della possibilità di assisterlo durante il viaggio. Con grande sforzo cercò di nascondere l’impressione dolorosa che la salute dell’apostolo gli aveva causato. Viso magro, pallido, gli occhi infossati, l’ex rabbino dava l’impressione di una profonda miseria organica. Il dottore, però, fece del suo meglio per nascondere le sue dolorose previsioni.
119. Come al solito, Paolo di Tarso, durante il viaggio per Corinto, parlò del progetto di andare a Roma per portare alla capitale dell’impero il messaggio d’Amore di Gesù Cristo. La compagnia di Luca, il cambiamento del paesaggio, rinvigorirono le sue forze fisiche. Il medico stesso fu sorpreso dalla reazione naturale di quell’uomo indomito.
120. Durante il cammino, attraverso le predicazioni occasionali di un lungo itinerario, aderirono alcuni compagni più devoti.
121. Ancora una volta a Corinto l’ex rabbino ratificò le sue epistole, riorganizzò amorevolmente il quadro delle funzioni nella Chiesa e, nel cerchio dei più intimi, non parlava d’altro che del piano grandioso per visitare Roma, in modo da assistere i cristiani già esistenti nella città dei Cesari, e stabilire istituzioni simili a quelle di Gerusalemme, di Antiochia, di Corinto e di altri punti più importanti dell’Oriente.
122. Nel frattempo, riacquistò le energie latenti del corpo indebolito. S’impegnò nel progetto, coordinando idee su idee del programma fissato per la metropoli imperiale. Considerò numerosi provvedimenti. Pensò di preparare il suo arrivo, facendosi precedere da alcune lettere in cui riassumeva la dottrina consolante del Vangelo, e con i saluti affettuosi nominò tutti i fratelli di sua conoscenza nell’ambiente romano.
123. Aquila e Prisca da Efeso erano tornati alla capitale dell’impero per iniziare una nuova vita. Sarebbero stati degli ausiliari diletti. A tal fine, Paolo impiegò alcuni giorni nella scrittura del famoso documento, concludendolo con una carica estesa di saluti privati. Fu allora che si verificò un episodio poco conosciuto dai seguaci del cristianesimo. Considerando che tutti, fratelli e predicatori, erano creature troppo occupate nei vari mestieri, e che Paolo avrebbe trovato difficoltà a procurarsi un messaggero per la famosa missiva, una sorella di nome Febe, grande collaboratrice dell’apostolo dei gentili, nel porto di Cencrea, lo informò che sarebbe dovuta andare a Roma in visita a dei parenti, e si offrì volentieri di portare il documento destinato ad illuminare tutta la posterità cristiana.
124. Paolo esultò di gioia, anzi, tutta la comunità esultò. L’epistola era stata terminata con grande entusiasmo e giubilo. Non appena partì l’eroica messaggera, l’ex rabbino riunì la piccola comunità dei discepoli amati, al fine di gettare le basi definitive per il grande viaggio. Iniziò spiegando che cominciava l’inverno, ma che, non appena fosse arrivato il bel tempo per la navigazione, si sarebbe imbarcato per Roma. Dopo aver giustificato l’eccellenza del piano, dal momento che il Vangelo era già impiantato nelle più importanti regioni dell’Oriente, esortò gli amici più intimi a dire come e in che misura potevano assecondarlo.
125. Timoteo sostenne che, al momento, Eunice non poteva rinunciare alla sua compagnia, data la scomparsa della veneranda Loide. Secondo lui era necessario tornare a Tessalonica, e Aristarco era d’accordo con tale parere. Sopatro parlò delle loro difficoltà a Berea. Gaio pretendeva di partire per Derbe il giorno seguente. Tichico e Trofimo sostennero l’urgenza di andare ad Efeso, da dove avevano intenzione di trasferirsi in Antiochia, città natale di entrambi. Quasi tutti gli altri erano impossibilitati a partecipare al viaggio. Solo Sila disse che poteva farlo, fosse come fosse.
126. Arrivato il momento di Luca, che fino ad allora era rimasto in silenzio, disse di essere pronto e deciso a condividere il lavoro e la gioia della missione a Roma. Dell’intera assemblea, solo due poterono unirsi a lui. Paolo, invece, dimostrò di essere rassegnato e felice. Gli bastavano Sila e Luca, abituati ai suoi metodi di propaganda e con i più bei requisiti di lavoro e dedizione alla causa di Gesù.
*
(Atti 20,3): Trascorsi tre mesi, poiché ci fu un complotto dei giudei contro di lui, mentre si apprestava a salpare per la Siria, decise di far ritorno attraverso la Macedonia.
127. Tutto andava a meraviglia, il piano accordato si auspicava di grandi speranze, quando, il giorno dopo, un pellegrino, povero e triste, spuntò a Corinto, sbarcato dalle ultime imbarcazioni provenienti dal Peloponneso per il lungo ancoraggio d’inverno. Veniva da Gerusalemme, bussò alle porte della Chiesa cercando subito di Paolo, per dargli una lettera confidenziale. Di fronte al singolare messaggero, l’apostolo rimase sorpreso. Si trattava del fratello Abdia, a cui Giacomo aveva affidato la lettera da consegnare all’ex rabbino. Questi, la prese e l’aprì un po’ agitato. Mentre leggeva, diventò sempre più pallido.
128. Si trattava di un documento privato della massima importanza. Il figlio di Alfeo comunicava all’ex dottore della Legge gli eventi dolorosi che accadevano a Gerusalemme. Giacomo lo informava che la Chiesa subiva nuove violentissime persecuzioni da parte del Sinedrio. I rabbini avevano deciso di riprendere il filo delle torture inflitte ai cristiani. Simon Pietro era stato bandito dalla città. Un gran numero di confratelli era bersaglio di ulteriori persecuzioni e martirii. La Chiesa era stata assalita dai farisei senza coscienza e non soffrì di depredazioni più grandi solo in virtù del rispetto che il popolo gli consacrava.
129. Con i suoi atteggiamenti concilianti, era riuscito a placare gli spiriti più esaltati, ma il Sinedrio sosteneva la necessità di un accordo con Paolo, per concedere una tregua. L’azione incessante e attiva dell’apostolo dei gentili era riuscita a piantare i semi di Gesù dappertutto. Da tutti i lati il Sinedrio riceveva richieste, denunce, notizie allarmanti. Le sinagoghe diventavano deserte. Questa situazione richiedeva un chiarimento. Sulla base di questi pretesti, il più alto Tribunale degli israeliti sferrava un tremendo attacco contro l’organizzazione cristiana di Gerusalemme.
130. Giacomo riferì gli eventi con grande serenità e pregava Paolo di Tarso di non abbandonare la Chiesa in quel momento di aspre lotte. Lui, Giacomo, era vecchio e stanco. Senza la collaborazione di Pietro temeva di soccombere. Chiedeva così, al convertito di Damasco, di andare a Gerusalemme per affrontare le persecuzioni per amore di Gesù, in modo da dare i chiarimenti necessari ai dottori del Sinedrio e del Tempio. Era convinto che non gli sarebbe successo niente. D’altronde, l’ex rabbino avrebbe saputo affrontare meglio le autorità religiose, affinché la causa avesse successo. Il viaggio a Gerusalemme avrebbe avuto un solo obiettivo: chiarire col Sinedrio, cosa che era indispensabile! Dopo questo, cosa che Giacomo considerava fondamentale per salvare la Chiesa nella capitale del giudaismo, Paolo poteva ritornare felice e tranquillo ovunque desiderasse.
131. Il messaggio era trafitto da esclamazioni amare e appelli dirompenti.
132. Paolo di Tarso, finita la lettura, ricordò il passato. Con quale diritto l’apostolo galileo gli faceva una richiesta simile? Giacomo, da sempre, si era messo in posizione antagonista. Anche se gli pesava la sua indole impetuosa, franca e infrangibile, non lo poteva odiare; con tutto ciò, non era perfettamente affine con il figlio di Alfeo, fino al punto da diventare il compagno ideale per un’offerta così difficile. Cercò un angolo solitario della Chiesa, si sedette e meditò. Sperimentando una certa riluttanza interiore a rinunciare alla partenza per Roma, nonostante il progetto formulato ad Efeso alla vigilia della rivolta degli orefici, di visitare la capitale dell’impero solo dopo essersi recato nuovamente a Gerusalemme, cercò di consultare il Vangelo, per disfarsi dalla grande perplessità. Srotolò le pergamene e, aprendole a caso, lesse l’avvertimento nelle note di Levi:
133. “Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario”[64].
134. A queste parole giudiziose, non nascose il suo stupore, ricevendole come un divino suggerimento a non disprezzare l’opportunità di stabilire con l’apostolo galileo i legami sacrosanti della più pura fratellanza. Non sarebbe stato giusto alimentare capricci personali nell’opera di Cristo. Guardando in prospettiva, non era a Giacomo che interessava la sua presenza a Gerusalemme: ma alla Chiesa, la sacra istituzione era diventata la custode dei poveri e degli sfortunati. Provocare l’ira farisaica su di essa, non sarebbe stato come scatenare una tempesta dalle conseguenze imprevedibili per i bisognosi e gli svantaggiati del mondo?
135. Ricordò la gioventù e la lunga persecuzione che aveva mosso contro i discepoli del Crocefisso. Aveva un chiaro ricordo del giorno in cui effettuò l’arresto di Pietro tra gli zoppi e i malati che lo cercavano singhiozzando. Ricordò che Gesù lo aveva chiamato al servizio divino alle porte di Damasco che, da allora, aveva sofferto e pregato, sacrificando se stesso per insegnare le verità eterne, organizzando chiese amorevoli e accoglienti, dove i “figli del Calvario” potessero avere conforto e riparo, in conformità con l’esortazione di Abigail; e così giunse alla conclusione che doveva ai sofferenti di Gerusalemme qualcosa che era necessario restituire. In altri tempi, aveva fomentato confusione, li aveva privati delle cure amorevoli di Stefano, avviato divieti impietosi. Molti malati erano stati costretti a rinnegare il Cristo in sua presenza, nella città dei rabbini. Non sarebbe stata questa, l’occasione giusta per saldare l’enorme debito? Paolo di Tarso, ora illuminato dalle esperienze più sante della vita con il Maestro amato, si alzò e a passi risoluti si avvicinò al portatore della lettera che lo aspettava in umile atteggiamento: «Amico, vieni a riposare, che ne hai bisogno. Porterai la risposta fra pochi giorni».
136. «Andrete a Gerusalemme?» – chiese Abdia con una certa ansia, come se conoscesse l’importanza dell’argomento.
137. «Sì» – rispose l’apostolo».
138. L’emissario fu trattato con molto amore. Paolo cercò di ascoltare la sua opinione personale sulle persecuzioni condotte ancora una volta contro i discepoli del Cristo; cercò di individuare delle idee su ciò che avrebbe dovuto fare, ma non riusciva a non pensare ad alcune preoccupazioni apparentemente insolubili. Come muoversi a Gerusalemme? Che tipo di chiarimento avrebbe dovuto fare ai rabbini del Sinedrio? Che testimonianza era chiamato a dare?
139. Molto apprensivo, quella notte si addormentò dopo torturanti ed estenuanti pensieri. Sognò, tuttavia, che si trovava su una lunga e luminosa strada piena di meravigliosi suoni e raggi opalini. Non aveva camminato molto, quando fu abbracciato da due entità affettuose e amiche. Erano Jeziel e Abigail che lo circondavano con tenerezza indescrivibile. Estasiato, non riuscì ad emettere una parola.
140. Abigail lo ringraziava della tenerezza appassionata nei ricordi a Corinto, gli parlò delle gioie del suo cuore e disse con gioia: «Non ti preoccupare, Paolo. Devi andare a Gerusalemme per dare una testimonianza imprescindibile».
141. Nel suo interiore, però, l’apostolo pensò al piano di viaggio a Roma, nel suo nobile intento di insegnare le verità cristiane nella sede dell’impero.
142. Bastò solo pensarlo, che la voce amata si fece sentire nuovamente, nell’intonazione familiare: «Tranquillizzati, perché andrai a Roma ad adempiere un altissimo dovere; non come vuoi tu, ma secondo i disegni dell’Altissimo...» – E delineando un sorriso angelico – «…poi ci sarà la nostra unione eterna in Gesù Cristo, per il divino compito nell’amore e nella verità, alla luce del Vangelo».
143. Quelle parole caddero nella sua anima con la forza profonda di una rivelazione. L’apostolo dei gentili non riusciva a spiegare quello che succedeva nel fondo del suo spirito. Sentiva, sia dolore che piacere, sia preoccupazione che speranza. La sorpresa sembrò impedire il proseguire della visione indimenticabile. Jeziel e sua sorella, indirizzando gesti amorevoli, sembravano scomparire in una striscia di nebbia trasparente. Si svegliò di soprassalto e, da allora, concluse che avrebbe dovuto prepararsi per la testimonianza finale.
144. Il giorno successivo convocò una riunione con gli amici e i compagni di Corinto. Chiese ad Abdia di spiegare a vivavoce la situazione a Gerusalemme, ed espose il progetto di passare dalla capitale del giudaismo, prima di proseguire per Roma. Tutti capirono gli imperativi sacri della nuova missione.
145. Luca, tuttavia, si fece avanti e chiese: «In accordo con la modifica del progetto, quando hai intenzione di partire?»
146. «Entro pochi giorni!» – disse con fermezza.
147. «Impossibile…» – rispose il medico – «…non possiamo essere d’accordo con il tuo viaggio a piedi fino a Gerusalemme; al di là di tutto, hai bisogno di alcuni giorni di riposo dopo tante lotte».
148. «L’ex rabbino ci pensò un istante e disse: «Hai ragione. Rimarrò a Corinto per qualche settimana; però, intendo fare il viaggio a tappe, per visitare le comunità cristiane, credo che partirò presto per Roma, e perché non vedrò di nuovo le amate chiese in veste mortale...».
149. Queste parole furono pronunciate in tono malinconico. Luca e gli altri compagni rimasero in silenzio e l’apostolo continuò: «Approfitterò di questo tempo per istruire Apollo sul lavoro indispensabile del Vangelo nelle diverse regioni dell’Acaia».
150. Poi, dissipando l’impressione delle sue amare dichiarazioni, per quanto riguardava il viaggio a Roma, introdusse nuova vita nella sala, emettendo concetti ottimistici e pieni di speranza. Tracciò un vasto programma ai discepoli, distribuendo compiti alla maggioranza tra le comunità di tutta la Macedonia, in modo che tutti i fratelli fossero pronti a salutarlo; gli altri furono spediti in Asia con identiche istruzioni.
151. Dopo tre mesi di soggiorno a Corinto, nuove persecuzioni degli ebrei investirono l’istituzione. La sinagoga principale dell’Acaia aveva ricevuto rapporti segreti da Gerusalemme. Niente di meno che l’eliminazione dell’apostolo, a qualsiasi prezzo. Paolo si rese conto dell’insidia e si allontanò prudentemente da Corinto, accompagnato da Luca e Sila, a piedi, per visitare le chiese della Macedonia.
152. Ovunque predicava la parola del Vangelo, convinto che fosse l’ultima volta che visitava quei paesaggi. Disse addio, commosso, ai vecchi amici di altri tempi. Fece delle raccomandazioni nell’intonazione di colui che stava partendo per sempre. Donne riconoscenti, anziani e bambini accorrevano a baciargli le mani con tenerezza. Arrivati a Filippi, la cui comunità fraterna gli parlava più strettamente al cuore, la sua parola sollevò torrenti di lacrime. La Chiesa amorevole che prosperava per Gesù ai margini del Gangas, consacrava all’apostolo dei gentili un singolare affetto. Lidia e i suoi numerosi aiutanti, in un impulso molto umano, volevano trattenerlo in loro compagnia, insistendo sul non proseguire, timorosi delle persecuzioni del fariseismo.
153. Tuttavia, l’apostolo, sereno e fiducioso, consolò: «Non piangete, fratelli. Sono convinto di quello che devo fare e non mi aspetto fiori e giorni felici. Devo attendere la fine, nella pace del Signore Gesù. L’esistenza umana è per il lavoro costante, e le ultime sofferenze sono la corona della testimonianza».
154. Le esortazioni erano piene di speranze e di gioia, per confortare i timidi e rinnovare la fede nei cuori deboli e sofferenti.
*
(Atti 20,7-12): [7]Il primo giorno della settimana ci eravamo riuniti a spezzare il pane e Paolo conversava con loro; e poiché doveva partire il giorno dopo, prolungò la conversazione fino a mezzanotte. [8]C'era un buon numero di lampade nella stanza al piano superiore, dove eravamo riuniti; [9]un ragazzo chiamato Eutico, che stava seduto sulla finestra, fu preso da un sonno profondo mentre Paolo continuava a conversare e, sopraffatto dal sonno, cadde dal terzo piano e venne raccolto morto. [10]Paolo allora scese giù, si gettò su di lui, lo abbracciò e disse: «Non vi turbate; è ancora in vita!». [11]Poi risalì, spezzò il pane e ne mangiò e dopo aver parlato ancora molto fino all'alba, partì. [12]Intanto avevano ricondotto il ragazzo vivo, e si sentirono molto consolati.
155. Dando per completate le attività nelle aree di Filippi, Paolo e i compagni navigarono in direzione di Troade. In questa città, l’apostolo fece, con ineccepibili esiti, la predicazione finale nella settima notte del suo arrivo, dove si verificò il famoso incidente con il giovane Eutico, il quale cadde da una finestra dal terzo piano del palazzo in cui stava seguendo le pratiche evangeliche, fu immediatamente soccorso dall’ex rabbino che lo raccolse mezzo morto e gli restituì la vita in Nome di Gesù.
156. A Troade, altri confratelli si unirono alla piccola carovana. Attenti alle raccomandazioni di Paolo, partirono con Luca e Sila per Asso, al fine di contrattare, ad un prezzo conveniente, il noleggio di qualche vecchia barca da pesca, perché l’apostolo preferiva viaggiare tra le isole e i numerosi porti, per salutare gli amici e i fratelli instancabili che lavoravano lì. Così fu; e mentre i collaboratori prendevano una confortevole barca, l’ex rabbino percorse più di venti chilometri di strada, solo per il piacere di abbracciare gli umili continuatori delle sue grandi fatiche apostoliche.
*
(Atti 20,13-28): [13]Noi poi, che eravamo partiti per nave, facemmo vela per Asso, dove dovevamo prendere a bordo Paolo; così infatti egli aveva deciso, intendendo di fare il viaggio a piedi. [14]Quando ci ebbe raggiunti ad Asso, lo prendemmo con noi e arrivammo a Mitilène. [15]Salpati da qui il giorno dopo, ci trovammo di fronte a Chio; l'indomani toccammo Samo e il giorno dopo giungemmo a Milèto. [16]Paolo aveva deciso di passare al largo di Efeso per evitare di subire ritardi nella provincia d'Asia: gli premeva di essere a Gerusalemme, se possibile, per il giorno della Pentecoste. [17]Da Milèto mandò a chiamare subito ad Efeso gli anziani della Chiesa. [18]Quando essi giunsero disse loro: «Voi sapete come mi sono comportato con voi fin dal primo giorno in cui arrivai in Asia e per tutto questo tempo: [19]ho servito il Signore con tutta umiltà, tra le lacrime e tra le prove che mi hanno procurato le insidie dei giudei. [20]Sapete come non mi sono mai sottratto a ciò che poteva essere utile, al fine di predicare a voi e di istruirvi in pubblico e nelle vostre case, [21]scongiurando giudei e greci di convertirsi a Dio e di credere nel Signore nostro Gesù. [22]Ed ecco ora, avvinto dallo spirito, io vado a Gerusalemme senza sapere ciò che là mi accadrà. [23]So soltanto che lo Spirito Santo in ogni città mi attesta che mi attendono catene e tribolazioni. [24]Non ritengo tuttavia la mia vita meritevole di nulla, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù, di rendere testimonianza al messaggio della grazia di Dio. [25]Ecco, ora so che non vedrete più il mio volto, voi tutti tra i quali sono passato annunziando il regno di Dio. [26]Per questo dichiaro solennemente oggi davanti a voi che io sono senza colpa riguardo a coloro che si perdessero, [27]perché non mi sono sottratto al compito di annunziarvi tutta la volontà di Dio. [28]Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come vescovi a pascere la Chiesa di Dio, che egli si è acquistata con il suo sangue. [29]Io so che dopo la mia partenza entreranno fra voi lupi rapaci, che non risparmieranno il gregge; [30]perfino di mezzo a voi sorgeranno alcuni a insegnare dottrine perverse per attirare discepoli dietro di sé. [31]Per questo vigilate, ricordando che per tre anni, notte e giorno, io non ho cessato di esortare fra le lacrime ciascuno di voi. [32]Ed ora vi affido al Signore e alla parola della sua grazia che ha il potere di edificare e di concedere l'eredità con tutti i santificati. [33]Non ho desiderato né argento, né oro, né la veste di nessuno. [34]Voi sapete che alle necessità mie e di quelli che erano con me hanno provveduto queste mie mani. [35]In tutte le maniere vi ho dimostrato che lavorando così si devono soccorrere i deboli, ricordandoci delle parole del Signore Gesù, che disse: Vi è più gioia nel dare che nel ricevere!». [36]Detto questo, si inginocchiò con tutti loro e pregò. [37]Tutti scoppiarono in un gran pianto e gettandosi al collo di Paolo lo baciavano, [38]addolorati soprattutto perché aveva detto che non avrebbero più rivisto il suo volto. E lo accompagnarono fino alla nave.
157. Acquistando di seguito una barca molto ordinaria, Paolo e i discepoli continuarono il viaggio verso Gerusalemme, distribuendo consolazioni e soccorsi spirituali alle comunità umili e isolate.
158. In tutte le spiagge ci furono gesti commoventi di dolorosi addii. Ad Efeso, tuttavia, la scena fu molto più triste, perché l’apostolo aveva chiesto la partecipazione degli anziani e degli amici per parlare in modo particolare ai loro cuori. Non voleva sbarcare per evitare nuovi conflitti che potessero ritardare la marcia; ma come testimonianza di amore e di riconoscimento, la comunità in toto gli andò incontro, sensibilizzando la sua anima affettuosa.
159. Maria stessa, avanzata negli anni, accorse da lontano in compagnia di Giovanni e degli altri discepoli, per portare una parola d’amore all’impavido paladino del Vangelo di suo Figlio. Gli anziani lo ricevettero con manifestazioni affettuose di amicizia, i bambini gli offrivano merende e fiori.
160. Estremamente commosso, Paolo di Tarso fece un discorso di addio e, quando disse del presentimento che non sarebbe più ritornato lì col corpo mortale, ci fu una grande esplosione di tristezza tra gli efesini. Come se toccati dalla grandezza spirituale di quel momento, quasi tutti s’inginocchiarono sulla bianca distesa della spiaggia e chiesero a Dio di proteggere il devoto combattente del Cristo. Ricevendo così le più belle espressioni di affetto, l’ex rabbino li abbracciò uno ad uno, con gli occhi umidi. La maggior parte si gettò nelle sue braccia amorevoli, piangendo e baciando le sue mani callose e ruvide. Abbracciando per ultimo la Madre santa, Paolo le prese la mano destra e depose un tenero bacio filiale.
*
(Atti 21,8-14): [8]Ripartiti il giorno seguente, giungemmo a Cesarèa; ed entrati nella casa dell'evangelista Filippo, che era uno dei Sette, sostammo presso di lui. [9]Egli aveva quattro figlie nubili, che avevano il dono della profezia. [10]Eravamo qui da alcuni giorni, quando giunse dalla Giudea un profeta di nome Agabo. [11]Egli venne da noi e, presa la cintura di Paolo, si legò i piedi e le mani e disse: «Questo dice lo Spirito Santo: l'uomo a cui appartiene questa cintura sarà legato così dai giudei a Gerusalemme e verrà quindi consegnato nelle mani dei pagani». [12]All'udir queste cose, noi e quelli del luogo pregammo Paolo di non andare più a Gerusalemme. [13]Ma Paolo rispose: «Perché fate così, continuando a piangere e a spezzarmi il cuore? Io sono pronto non soltanto a esser legato, ma a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù». [14]E poiché non si lasciava persuadere, smettemmo di insistere dicendo: «Sia fatta la volontà del Signore!».
161. Il viaggio proseguì con le stesse caratteristiche. Rodi, Patara, Tiro, Tolemaide, e infine Cesarea. In questa città furono ospiti in casa di Filippo, che aveva stabilito lì la sua residenza da molto tempo. Il vecchio compagno di lotte informò Paolo degli ultimi particolari di Gerusalemme, dove molti aspettavano il suo impegno personale per la continuità della Chiesa. Molto vecchio, il generoso galileo parlò della situazione spirituale della città dei rabbini, senza mascherare il timore che la situazione gli causava. Non soltanto questo perturbava i missionari. Agabo, già noto da Paolo ad Antiochia, era venuto dalla Giudea e, in trance medianico, nella prima riunione intima a casa di Filippo, profetizzò delle previsioni molto dolorose. Le prospettive erano così desolanti, che lo stesso Luca pianse. Gli amici pregavano Paolo di Tarso di non partire. Sarebbe preferibile la libertà e la vita a beneficio della causa.
162. Egli, tuttavia, sempre pronto e risoluto, fece riferimento al Vangelo, commentando la situazione in cui il Maestro profetizzò il martirio che lo attendeva nella croce, e concluse determinato: «Perché piangete amareggiando il cuore? I seguaci del Cristo dovrebbero essere pronti a tutto. Per me, sono disposto a testimoniare, anche se questo significa morire a Gerusalemme in Nome del Signore Gesù! ...»
163. L’emozione delle profezie di Agabo non era ancora scomparsa, quando la casa di Filippo ricevette, il giorno successivo, un’altra sorpresa. I cristiani di Cesarea portarono alla presenza dell’ex rabbino un emissario di Giacomo di nome Mnasone. L’apostolo galileo [Giacomo] aveva sentito dell’arrivo del convertito di Damasco al porto palestinese e si era affrettato a mettersi in contatto con lui, per mezzo di un emissario consacrato alla causa comune. Mnasone spiegò all’ex rabbino il perché della sua presenza; era venuto ad avvertirlo dei pericoli che doveva affrontare a Gerusalemme, dove l’odio settario era così elevato, da raggiungere le persecuzioni più atroci. Date le esaltazioni e la sorveglianza del giudaismo, Paolo non doveva recarsi subito alla Chiesa del “Cammino”, ma alloggiare a casa del messaggero, dove Giacomo avrebbe parlato con lui in privato, per risolvere gli interessi sacri del cristianesimo. Dopo di che, l’apostolo dei gentili sarebbe stato ricevuto nell’istituzione di Gerusalemme, per discutere con gli attuali amministratori i destini della casa.
164. Paolo trovò molto ragionevole l’interessamento e i suggerimenti di Giacomo, ma preferì seguire i suggerimenti verbali del portatore.
165. Ombre agonizzanti aleggiavano nello spirito dei compagni del grande apostolo, quando la carovana, seguita da Mnasone, si era trasferita dalla Cesarea alla capitale del giudaismo. Come sempre, Paolo di Tarso annunziò la Buona Novella nei borghi più umili.
166. Dopo alcuni giorni di lenta marcia, in modo che tutte le attività apostoliche fossero sufficientemente soddisfatte, i discepoli del Vangelo attraversarono le porte della città dei rabbini, presi da serie preoccupazioni.
167. Invecchiato e stanco, l’apostolo dei gentili contemplò gli edifici di Gerusalemme, indugiando lo sguardo sul paesaggio arido e triste che gli ricordava gli anni della gioventù tumultuosa e morta per sempre. Innalzò il pensiero a Gesù e gli chiese di ispirarlo a compiere il sacro ministero.
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I giudei conseguono il martirio di Paolo a Gerusalemme
(Atti 21,15-26): [15]Dopo questi giorni, fatti i preparativi, salimmo verso Gerusalemme. [16]Vennero con noi anche alcuni discepoli da Cesarèa, i quali ci condussero da un certo Mnasone di Cipro, discepolo della prima ora, dal quale ricevemmo ospitalità. [17]Arrivati a Gerusalemme, i fratelli ci accolsero festosamente. [18]L'indomani Paolo fece visita a Giacomo insieme con noi: c'erano anche tutti gli anziani. [19]Dopo aver rivolto loro il saluto, egli cominciò a esporre nei particolari quello che Dio aveva fatto tra i pagani per mezzo suo. [20]Quand'ebbero ascoltato, essi davano gloria a Dio; quindi dissero a Paolo: «Tu vedi, o fratello, quante migliaia di giudei sono venuti alla fede e tutti sono gelosamente attaccati alla legge. [21]Ora hanno sentito dire di te che vai insegnando a tutti i giudei sparsi tra i pagani che abbandonino Mosè, dicendo di non circoncidere più i loro figli e di non seguire più le nostre consuetudini. [22]Che facciamo? Senza dubbio verranno a sapere che sei arrivato. [23]Fà dunque quanto ti diciamo: vi sono fra noi quattro uomini che hanno un voto da sciogliere. [24]Prendili con te, compi la purificazione insieme con loro e paga tu la spesa per loro perché possano radersi il capo. Così tutti verranno a sapere che non c'è nulla di vero in ciò di cui sono stati informati, ma che invece anche tu ti comporti bene osservando la legge. [25]Quanto ai pagani che sono venuti alla fede, noi abbiamo deciso ed abbiamo loro scritto che si astengano dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, da ogni animale soffocato e dalla impudicizia». [26]Allora Paolo prese con sé quegli uomini e il giorno seguente, fatta insieme con loro la purificazione, entrò nel tempio per comunicare il compimento dei giorni della purificazione, quando sarebbe stata presentata l'offerta per ciascuno di loro.
1. Obbedendo alle raccomandazioni di Giacomo, Paolo di Tarso rimase a casa di Mnasone, prima di qualsiasi intesa con la Chiesa. L’apostolo galileo promise di fargli visita quella stessa notte.
2. Prevedendo avvenimenti importanti in quella fase della sua esistenza, l’ex rabbino approfittò del giorno per tracciare i piani di lavoro per i discepoli più diretti.
3. Di notte, quando il denso mantello di ombre avvolse la città, Giacomo apparve, salutando il compagno con espressioni molto umili. Anche lui era invecchiato, esausto e malato. Il convertito di Damasco, contrariamente alle altre volte, sperimentò estrema simpatia per la sua persona, che appariva completamente modificata dalle lotte e dalle tribolazioni della vita.
4. Scambiate le prime impressioni dei viaggi effettuati e delle gesta evangeliche, il compagno di Simon Pietro chiese all’ex rabbino che designasse un luogo e un’ora in cui potessero parlare più in profondità. Paolo acconsentì subito e andarono entrambi in una stanza privata.
5. Il figlio di Alfeo cominciò spiegando il motivo delle sue gravi preoccupazioni. Era trascorso più di un anno da quando i rabbini Eliakim ed Enoch avevano riproposto le persecuzioni iniziate da lui, Paolo, durante la sua movimentata gestione nel Sinedrio. Essi sostenevano che il vecchio dottore si era concentrato sulla magia e stregoneria della massa spuria[65], mettendo a repentaglio la causa del giudaismo. Non era giusto continuare a tollerare la situazione solo perché il dottore di Tarso aveva perso la ragione sulla via di Damasco. L’iniziativa ebbe enorme successo nei circoli religiosi di Gerusalemme e il più grande istituto legislativo della stirpe – il Sinedrio – approvò le misure proposte.
6. Riconoscendo che l’opera di evangelizzazione di Paolo produceva meravigliosi frutti di speranza ovunque, secondo le notizie incessanti giunte da tutte le sinagoghe delle regioni da lui attraversate, il grande Tribunale dichiarò l’arresto dell’apostolo dei gentili. I numerosi processi di cattura individuali, lasciati a metà da Paolo di Tarso dopo la sua conversione inaspettata, furono ripresi e, peggio ancora, nel caso in cui gli imputati fossero già deceduti, la pena era applicata ai discendenti che, così, venivano torturati, umiliati e disonorati!
7. L’ex rabbino ascoltava tutto in silenzio, attonito.
8. Giacomo continuò, spiegando che aveva fatto di tutto per mitigare i rigori della situazione. Aveva mobilitato tutte le influenze politiche in suo potere, riuscendo ad attenuare alcune sentenze più inique. Nonostante Pietro fosse stato bandito, cercò di mantenere le opere di assistenza agli indigenti, così come la colonia di servizio, fondata dall’ispirazione del convertito di Damasco, in cui i convalescenti e gli svantaggiati trovavano un ambiente prezioso di attività remunerata e pacifica. Dopo varie discussioni con il Sinedrio, attraverso amici influenti del giudaismo, ebbe la soddisfazione di ridurre il rigore delle richieste da applicare al caso di Paolo. L’ex dottore di Tarso avrebbe mantenuto la libertà di agire, di continuare a difendere le sue convinzioni interiori; tuttavia, doveva dare comunque una soddisfazione pubblica ai pregiudizi verso la stirpe, eseguendo i dettami che il Sinedrio gli avrebbe presentato attraverso Giacomo, che si dimostrava suo amico. Il compagno di Simon Pietro spiegò che tali obblighi erano stati molto severi in un primo momento, ma adesso, grazie ad enormi sforzi, si erano attenuati.
9. Paolo di Tarso lo ascoltò estremamente interessato. Padrone di un luminoso bagaglio evangelico, capì che era arrivato il momento della sua testimonianza e devozione al Maestro, giustamente, attraverso lo stesso organo di persecuzione che la sua ignoranza aveva generato in altri tempi. In quei rapidi istanti, attivò i ricordi e vide i quadri terribili di un tempo... Vecchi torturati in sua presenza, per il piacere di sentire l’apostasia cristiana, con la ripetizione del voto di eterna fedeltà a Mosè; madri di famiglia strappate dai loro focolari anonimi, costrette a giurare sulla Legge antica, rinnegando il Falegname di Nazareth, abominando la croce del suo martirio e ignominia.
10. I singhiozzi di quelle umili donne che abiurarono la fede perché ferite in quel che avevano di più nobile, nell’istinto materno, arrivavano ora ai suoi orecchi con voce angosciose, gridando riscatti dolorosi. Tutte le vecchie scene si aprirono alla sua retina spirituale, senza omissione del più insignificante dettaglio. Giovani uomini robusti, padri di famiglie numerose che uscivano di prigione mutilati; giovani che chiedevano vendetta, bambini che reclamavano genitori incarcerati. In cima ai ricordi vide il quadro dell’orribile morte di Stefano con pietre e insulti del popolo; rivide Pietro e Giovanni massacrati e umiliati alle sbarre del Tribunale, come se fossero criminosi malfattori. Adesso era lì davanti al figlio di Alfeo, che mai lo comprese del tutto, a parlargli in nome del passato e in Nome del Cristo, invitandolo al riscatto del suo ultimo e angosciante debito.
11. Paolo di Tarso sentì una lacrima spuntare nei suoi occhi, senza cadere. Che tipo di tortura gli sarebbe stata riservata? Quali erano le imposizioni dell’autorità religiosa di cui Giacomo parlava con evidente interesse?
12. Quando il compagno di Simon fece una pausa più lunga, l’ex rabbino chiese molto toccato: «Cosa pretendono loro da me?»
13. Il figlio di Alfeo, posando gli occhi sereni su di lui, disse: «Dopo molta riluttanza, gli israeliti si sono riuniti presso la nostra Chiesa ed hanno deciso di chiederti di pagare le spese di quattro uomini poveri che avevano fatto voto di nazireo[66], frequentando il Tempio con loro per sette giorni consecutivi, in modo che tutto il popolo possa vedere che sei ancora un buono e leale giudeo, figlio di Abramo... A prima vista, la testimonianza può sembrare infantile; tuttavia, servirà, come vedrai, a soddisfare la vanità farisaica»
14. L’ex rabbino fece un gesto molto usuale quando era contrariato, e rispose: «Ho pensato che il Sinedrio avrebbe richiesto la mia morte! ...»
15. Giacomo capì quanta ripugnanza traboccava da una simile osservazione, e disse: «So quanto ti ripugna, ma insisto affinché tu debba accettare, non proprio per noi, ma per la Chiesa e per quelli che in futuro verranno dopo di noi».
16. «Questa cosa…» – disse Paolo con grande delusione – «…non rappresenta nessuna nobiltà. Questo requisito è un’ironia profonda e mira a ridurci a bambini, in quanto futile. Non è persecuzione, è umiliazione, è desiderio di esporre uomini coscienti come ragazzini volubili e ignoranti...».
17. Giacomo, invece, manifestando un atteggiamento affettuoso che l’ex rabbino non aveva mai visto in nessuna circostanza della sua vita, parlò con grande tenerezza fraterna, rivelandosi al compagno stupito da un altro punto di vista: «Sì, Paolo, capisco la tua giusta avversione. Il Sinedrio si propone di mettere in ridicolo le nostre convinzioni. So che la tortura fisica nella pubblica piazza ti farebbe meno male, tuttavia, supponi che questo non rappresenti per me un dolore di tanti anni? ... Credi, per caso, che le mie azioni siano nate da un fanatismo incosciente e criminale? Ho capito molto presto, fin dalle prime persecuzioni, che il compito di armonizzare la Chiesa con i giudei era in particolare nelle mie mani.
18. Come ben sai, il fariseismo ha sempre vissuto in un’esuberante ostentazione di ipocrisia; ma conveniamo anche che è il partito dominante e tradizionale delle nostre autorità religiose. Dal primo giorno sono stato costretto a camminare con i farisei molte miglia per ottenere qualcosa nella conservazione della Chiesa del Cristo. Fingevo? Non lo giudicare così. Molte volte il Maestro insegnò, in Galilea, che la migliore testimonianza è morire, lentamente ogni giorno, per la vittoria della Sua causa; pertanto, assicurava che Dio non desiderava la morte del peccatore, perché è nell’estinzione dei nostri capricci di tutti i giorni che troviamo la scala luminosa per salire ed accedere al suo infinito amore.
19. L’attenzione che dedico ai giudei è gemella dell’affetto che tu consacri ai gentili. A ognuno di noi Gesù affidò un compito, diverso nella forma, ma identico nel fine. Se spesso ho causato false interpretazioni con le mie attitudini, tutto questo è dolore per il mio spirito abituato alla semplicità dell’ambiente galileo. Cosa varrebbe un conflitto distruttore, quando abbiamo superiori doveri da curare? Quel che importa è saper morire, in modo che le nostre idee si trasmettano e fioriscano in altri. Le lotte personali, invece, fanno appassire le migliori speranze. Creare separazioni e proclamare i loro pregiudizi, all’interno della Chiesa del Cristo, non sarebbe come sterminare la pianta sacra del Vangelo con le nostre stesse mani?»
20. La parola di Giacomo risuonò magnetizzata di bontà e saggezza, valeva da confortante rivelazione. I galilei erano molto più saggi di uno qualsiasi dei più dotti rabbini di Gerusalemme. Egli, che era giunto al mondo religioso attraverso le famose scuole che aveva sempre avuto in gioventù come l’ispirazione amorevole di un Gamaliel, ora ammirava quegli uomini apparentemente rustici, provenienti dalle capanne di pescatori che, a Gerusalemme, avevano raggiunto indimenticabili successi intellettuali solo perché sapevano tacere al momento opportuno ed univano l’esperienza di vita ad un’enorme espressione di bontà e rinuncia, ad esempio del divin Maestro.
21. Il convertito di Damasco vide il figlio di Alfeo da una nuova angolazione. I capelli brizzolati, il volto rugoso e sparuto, parlavano di un lavoro faticoso e incessante. Adesso si era reso conto che la vita richiedeva maggiore comprensione, più che conoscenza. Presumeva di conoscere l’apostolo galileo con le sue competenze psicologiche, ma giunse alla conclusione che solo in quel momento era stato in grado di capirlo nel titolo che gli competeva.
22. Quando il compagno di Simon Pietro fece una pausa più lunga, Paolo di Tarso lo guardò con grande simpatia e parlò con sentimento: «Vedo che hai ragione, ma l’esigenza richiede denaro. Quanto dovrò pagare per la sentenza? Segregato e lontano dal giudaismo da molti anni, ignoro se il cerimoniale ha subito dei cambiamenti apprezzabili».
23. «I principi sono gli stessi…» – rispose Giacomo – «…dal momento che ti sarà richiesto di purificarti con loro e, secondo le tradizioni, pagherai per l’acquisto di quindici pecore, oltre alle parti commestibili.
24. «Questo è assurdo!» – contestò l’apostolo dei gentili.
25. «Come ben sai, l’autorità religiosa esige da ogni nazireo tre animali per i servizi di consacrazione».
26. «Che dura richiesta!» – disse Paolo scosso.
27. «Tuttavia…» – rispose Giacomo con un sorriso – «…la nostra pace vale molto più di questo e, per di più, siamo obbligati a non compromettere il futuro del cristianesimo».
28. Il convertito di Damasco appoggiò il mento nella mano destra per lungo tempo, facendo percepire l’estensione delle sue meditazioni, e finì per parlare in un tono che tradiva la sua enorme sensibilità: «Giacomo, come te, sono arrivato ora ad un livello superiore di comprensione della vita. Capisco meglio le tue argomentazioni. L’esistenza umana è piuttosto un’ascensione dalle tenebre alla luce. La gioventù, la presunzione di autorità, la centralizzazione della nostra sfera personale, portano a molte illusioni, tingendo di ombre le cose più sante. È mio dovere inchinarmi alle esigenze del giudaismo, conseguenza delle persecuzioni da me iniziate in altri tempi».
29. Si fermò, evidenziando le difficoltà a confessarsi pienamente. Ma adottando un atteggiamento più umile, come di uno che non trova altra risorsa, continuò quasi timido: «Nelle mie lotte non mi sono mai presunto a vittima, considerandomi sempre, come antagonista del male. Solo Gesù, nella Sua purezza e amore immacolati, poteva testimoniare la Sua condizione di angelo, vittima della nostra malvagità tenebrosa; quanto a me, per tutte le volte che sono stato lapidato e ferito, ho sempre giudicato che fosse molto poco in relazione a quello che dovevo soffrire per dare giusta testimonianza.
30. Ora, però, Giacomo, sono preoccupato per un piccolo ostacolo. Come sai, ho sempre vissuto assolutamente del mio lavoro di tessitore e, attualmente, non dispongo di denaro con cui soddisfare le spese in prospettiva... Sarebbe la prima volta che dovrei ricorrere al denaro altrui, quando la soluzione del problema dipende esclusivamente da me...».
31. Le sue parole dimostravano vergogna, alleata alla tristezza comunemente sperimentata nei giorni d’umiliazione e sventura.
32. Davanti a quell’espressione di rinuncia, Giacomo, in un movimento di grande spontaneità, gli prese la mano e la baciò sussurrando: «Non ti affliggere, a Gerusalemme conosciamo l’estensione dei tuoi sforzi personali e non sarebbe ragionevole che la Chiesa si disinteressasse di questi oneri non giustificati... La nostra istituzione pagherà tutte le spese. Non è poco, concordare con il sacrificio».
33. Conversarono ancora per lungo tempo sui problemi che interessavano la propaganda evangelica e, il giorno dopo, Paolo e i suoi compagni furono ricevuti nella Chiesa di Gerusalemme, accolti da Giacomo, accompagnato da tutti i vecchi giudei, simpatizzanti del Cristo e seguaci di Mosè, riuniti per ascoltarlo.
34. L’incontro iniziò con un rigoroso cerimoniale, l’ex rabbino percepì il grado di influenza farisaica nell’istituto destinato alla semina luminosa del divin Maestro. I suoi compagni, abituati all’indipendenza del Vangelo, non riuscivano a nascondere la sorpresa; ma, con un gesto, il convertito di Damasco fece in modo che tutti rimanessero in silenzio.
35. Invitato a spiegarsi, l’ex rabbino lesse una lunga relazione delle sue attività tra i gentili, parlò con molta ponderazione e insuperabile prudenza.
36. I giudei, che sembravano permanentemente installati nella Chiesa, mantenendo i vecchi atteggiamenti dei maestri d’Israele attraverso il suo portavoce Cainan, formularono all’ex dottore, consigli e censure. Sostenevano di essere cristiani, ma anche severi osservatori della Legge antica e che Paolo non doveva operare contro la circoncisione, perciò era obbligato a dare ampie spiegazioni dei suoi atti.
37. Con profondo stupore dei suoi compagni, l’ex rabbino rimase in silenzio, ricevendo censure e rimproveri con inaspettata serenità.
38. Alla fine, Cainan fece la proposta di cui Giacomo gli aveva parlato il giorno prima. Allo scopo di soddisfare il requisito del Sinedrio, il tessitore di Tarso doveva purificarsi nel Tempio insieme a quattro giudei molto poveri, che avevano fatto voto di nazirei, essendo responsabilità dell’apostolo dei gentili l’obbligo di sostenere tutte le spese.
39. Gli amici di Paolo rimasero ancora più sorpresi quando lo videro alzarsi nell’assemblea piena di pregiudizi e confessarsi pronto ad accettare l’intimazione.
40. Il rappresentante degli anziani parlò ancora, pedante e languidamente, sui precetti della stirpe, e Paolo ascoltò con beatificata pazienza.
41. Tornando a casa di Mnasone, l’ex rabbino cercò di informare i compagni sui motivi del suo comportamento. Abituati ad accettare le sue decisioni con fiducia, evitarono di fargli delle domande superflue, ma chiesero di accompagnare l’apostolo al Tempio di Gerusalemme, per sperimentare e presenziare su qualunque cosa riguardasse la sua sincera rinuncia, in relazione al futuro dell’evangelismo. Paolo sottolineò la convenienza di recarsi da solo, ma Trofimo, che restava ancora un paio di giorni a Gerusalemme prima di tornare ad Antiochia, insistette, e l’apostolo accettò la sua compagnia.
*
(Atti 21,26-36): [26]Allora Paolo prese con sé quegli uomini e il giorno seguente, fatta insieme con loro la purificazione, entrò nel tempio per comunicare il compimento dei giorni della purificazione, quando sarebbe stata presentata l'offerta per ciascuno di loro. [27]Stavano ormai per finire i sette giorni, quando i giudei della provincia d'Asia, vistolo nel tempio, aizzarono tutta la folla e misero le mani su di lui gridando: [28]«Uomini d'Israele, aiuto! Questo è l'uomo che va insegnando a tutti e dovunque contro il popolo, contro la legge e contro questo luogo; ora ha introdotto perfino dei greci nel tempio e ha profanato il luogo santo!». [29]Avevano infatti veduto poco prima Tròfimo di Efeso in sua compagnia per la città, e pensavano che Paolo lo avesse fatto entrare nel tempio. [30]Allora tutta la città fu in subbuglio e il popolo accorse da ogni parte. Impadronitisi di Paolo, lo trascinarono fuori del tempio e subito furono chiuse le porte. [31]Stavano già cercando di ucciderlo, quando fu riferito al tribuno della coorte che tutta Gerusalemme era in rivolta. [32]Immediatamente egli prese con sé dei soldati e dei centurioni e si precipitò verso i rivoltosi. Alla vista del tribuno e dei soldati, cessarono di percuotere Paolo. [33]Allora il tribuno si avvicinò, lo arrestò e ordinò che fosse legato con due catene; intanto s'informava chi fosse e che cosa avesse fatto. [34]Tra la folla però chi diceva una cosa, chi un'altra. Nell'impossibilità di accertare la realtà dei fatti a causa della confusione, ordinò di condurlo nella fortezza. [35]Quando fu alla gradinata, dovette essere portato a spalla dai soldati a causa della violenza della folla. [36]La massa della gente infatti veniva dietro, urlando: «A morte!».
42. La presenza di Paolo di Tarso nel Tempio, accompagnando quattro fratelli di stirpe, in miserabile stato di povertà per purificarsi e pagare le loro spese di voto, causò un’enorme sorpresa a tutti nella cerchia del fariseismo. Le discussioni erano accese, violente e rudi. Appena videro l’ex rabbino umiliato, il Sinedrio pretese d’imporre nuove sentenze. Non gli bastavano più le imposizioni fatte in precedenza. Nel secondo giorno della purificazione, il movimento popolare aveva raggiunto proporzioni impressionanti nel Tempio. Ognuno voleva vedere il famoso dottore che impazzì alle porte di Damasco per sortilegio dei galilei. Paolo guardava l’effervescenza dello scenario attorno alla sua personalità e chiese a Gesù che non gli mancassero le energie sufficienti. Il terzo giorno, data la mancanza di un pretesto per una maggiore condanna, alcuni dottori sostennero che Paolo aveva avuto l’audacia di farsi accompagnare nei luoghi santi da un uomo di origine greca, estraneo alle tradizioni israelite. Trofimo era nato ad Antiochia, da genitori greci, e vissuto molti anni a Efeso; nonostante il sangue che gli scorreva nelle vene, conosceva i precetti del giudaismo e si comportava con un rispetto insuperabile nei luoghi consacrati al culto. Le autorità, tuttavia, non vollero considerare questa peculiarità. Era necessario condannare Paolo di Tarso ancora una volta, a qualsiasi prezzo.
43. L’ex rabbino si rese conto della trama che si delineava e implorò il discepolo di non accompagnarlo più al monte Moriah, dove si eseguivano i servizi religiosi. L’odio dei farisei, tuttavia, continuava a fermentare. Alla vigilia dell’ultimo giorno della purificazione giudaica, il convertito di Damasco partecipava alle cerimonie con la stessa umiltà. Tuttavia, quando si collocò in posizione di preghiera accanto ai colleghi, alcuni esaltati lo circondarono con atteggiamenti ed espressioni minacciose.
44. «Morte al disertore!... Pietre al traditore!» – gridò una voce sgradevole, scuotendo la stanza.
45. Paolo ebbe l’impressione che quelle grida fossero la parola d’ordine alle violenze, perché immediatamente scoppiò un putiferio infernale. Alcuni giudei esaltati lo afferrarono per il collo del mantello, altri lo presero per le braccia, violentemente lo trascinarono nel grande cortile interno riservato ai movimenti del grande pubblico.
46. «Pagherai il tuo crimine!...» – dicevano alcuni.
47. «È necessario che tu muoia! Israele ha vergogna della tua presenza nel mondo!» – gridavano altri più scalmanati.
48. L’apostolo dei gentili si consegnò senza la minima resistenza. In un istante, considerò l’obiettivo più profondo del suo arrivo a Gerusalemme, concluse che non era lì per il cosiddetto obbligo puerile, solo per accompagnare al Tempio i quattro fratelli di stirpe, desolati nella loro povertà. Era essenziale attestare nella città dei rabbini la fermezza delle sue convinzioni. Comprese, ora, la sottigliezza delle circostanze che lo avevano portato a testimoniare.
49. In primo luogo, per la riconciliazione e la migliore comprensione di un compagno come Giacomo, per ubbidire ad una risoluzione che sembrava quasi infantile, e dopo, per la grande opportunità di testare la fede e la consacrazione della sua anima a Gesù Cristo. Con grande sorpresa, preso da profondi e dolorosi ricordi, notò che gli israeliti esaltati lo avevano lasciato in balia della folla inferocita, proprio nel cortile dove Stefano era stato lapidato venti anni prima. Alcuni popolari invasati lo strapparono a forza, bloccandolo al tronco delle torture. Inghiottito nelle sue memorie, il grande apostolo sentiva appena gli schiaffi che gli venivano inferti.
50. Velocemente, radunò le più singolari riflessioni. A Gerusalemme il divin Maestro aveva subito il martirio più doloroso; proprio lì, il generoso Jeziel si immolò per amore del Vangelo sotto i colpi e gli insulti ironici della popolazione. Si vergognò tremendamente del calvario inflitto al fratello di Abigail, generato dalle sue iniziative personali. Solo adesso, legato al palo dei sacrifici, capì la grandezza della sofferenza che il fanatismo e l’ignoranza causavano nel mondo.
51. E rifletté: “Il Maestro è il Salvatore degli uomini e qui ha sofferto per la redenzione delle creature. Stefano era il suo discepolo, dedito e amorevole, e qui sperimentò ugualmente i tormenti della morte. Gesù era il Figlio di Dio, Jeziel era il suo apostolo. E lui? Il passato non era lì a reclamare il riscatto doloroso? Non sarebbe stato giusto soffrire molto, per il molto male che aveva fatto, martirizzando gli altri? Era saggio provare gioia in quei momenti amari, non solo per prendere la croce e seguire il Maestro amato, ma per aver avuto l’opportunità di soffrire quello che Jeziel aveva sperimentato con grande amarezza?”
52. Queste riflessioni gli concessero un po’ di consolazione. Sentì la coscienza più leggera. Avrebbe dato testimonianza di fede a Gerusalemme, dove si era incontrato con il fratello di Abigail; e dopo la morte, avrebbe potuto avvicinarsi al suo cuore generoso, parlando con lui della gioia dei suoi sacrifici. Gli avrebbe chiesto perdono esaltando la bontà di Dio che lo aveva portato nello stesso posto, per il giusto riscatto. Allungando lo sguardo, intravide la piccola porta di accesso alla piccola stanza dove era stato con la promessa sposa amata e suo fratello in procinto di staccarsi dal mondo nell’ estrema agonia. Sembrava ancora di sentire le ultime parole di Stefano, miste a gentilezza e perdono.
53. A malapena era uscito dai suoi ricordi, quando la prima pietra lo risvegliò per ascoltare il clamore del popolo. Il grande cortile interno era pieno di israeliti inferociti. Rimproveri sarcastici tagliavano l’aria. Lo spettacolo fu lo stesso del giorno in cui Stefano si separò dalla Terra. Gli stessi insulti, gli stessi volti beffardi nei boia, la stessa freddezza implacabile dei carnefici fanatici. Paolo stesso non si nascose allo stupore del verificarsi di quelle singolari coincidenze. Le prime pietre lo colpirono al petto e alle braccia, ferendolo con violenza.
54. «Questa è per la sinagoga dei cilici!» – disse un giovane in coro alle risate.
55. La pietra passò sibilando e lacerò, per la prima volta, il volto dell’apostolo. Un rivolo di sangue cominciò a bagnargli i vestiti. In nessun momento, però, lasciò di affrontare i carnefici con la sua sconcertante serenità.
56. Trofimo e Luca, tuttavia, consapevoli della gravità della situazione, dai primi momenti, tramite un amico che aveva assistito alla scena iniziale del supplizio, chiesero immediatamente aiuto alle autorità romane.
57. Temendo ulteriori complicazioni, non dissero le vere condizioni del convertito di Damasco. Sostennero solo che c’era un uomo che non doveva soffrire per mano degli israeliti fanatici e incoscienti. Immediatamente un tribuno militare organizzò una pattuglia di soldati. Lasciando la fortezza, penetrarono nel grande atrio, con gli animi decisi. La massa delirava in un vortice di insulti e grida assordanti. Due centurioni, obbedendo agli ordini del comando, avanzarono, risoluti, liberando il prigioniero, strappandolo alla folla che se lo contendeva ansiosa.
58. «Abbasso il nemico del popolo! ... È un criminale! È un malfattore! Sbudelliamo il ladro! ...»
59. Volteggiavano nell’aria le esclamazioni più strane. Non trovando rabbini responsabili per i chiarimenti essenziali, il tribuno romano ordinò che l’imputato fosse ammanettato. Il soldato era convinto che si trattasse di un pericoloso malfattore che, da tempo, era diventato un terribile incubo degli abitanti della provincia. Di fatto non trovarono altra spiegazione per giustificare tale odio.
60. Con il petto contuso, ferito al volto e alle braccia, l’apostolo fu portato alla Fortezza Antonia, scortato dai preposti di Cesare, mentre la folla accompagnava il piccolo corteo, gridando incessantemente: «Muoia! Muoia!»
*
(Atti 21,37-40): [37]Sul punto di esser condotto nella fortezza, Paolo disse al tribuno: «Posso dirti una parola?». «Conosci il greco?, disse quello, [38]Allora non sei quell'Egiziano che in questi ultimi tempi ha sobillato e condotto nel deserto i quattromila ribelli?». [39]Rispose Paolo: «Io sono un Giudeo di Tarso di Cilicia, cittadino di una città non certo senza importanza. Ma ti prego, lascia che rivolga la parola a questa gente». [40]Avendo egli acconsentito, Paolo, stando in piedi sui gradini, fece cenno con la mano al popolo e, fattosi un grande silenzio, rivolse loro la parola in ebraico dicendo:
(Atti 22,1-21): [1]«Fratelli e padri, ascoltate la mia difesa davanti a voi». [2]Quando sentirono che parlava loro in lingua ebraica, fecero silenzio ancora di più. [3]Ed egli continuò: «Io sono un Giudeo, nato a Tarso di Cilicia, ma cresciuto in questa città, formato alla scuola di Gamaliele nelle più rigide norme della legge paterna, pieno di zelo per Dio, come oggi siete tutti voi. [4]Io perseguitai a morte questa nuova dottrina, arrestando e gettando in prigione uomini e donne, [5]come può darmi testimonianza il sommo sacerdote e tutto il collegio degli anziani. Da loro ricevetti lettere per i nostri fratelli di Damasco e partii per condurre anche quelli di là come prigionieri a Gerusalemme, per essere puniti. [6]Mentre ero in viaggio e mi avvicinavo a Damasco, verso mezzogiorno, all'improvviso una gran luce dal cielo rifulse attorno a me; [7]caddi a terra e sentii una voce che mi diceva: Saul, Saul, perché mi perseguiti? [8]Risposi: Chi sei, o Signore? Mi disse: Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti. [9]Quelli che erano con me videro la luce, ma non udirono colui che mi parlava. [10]Io dissi allora: Che devo fare, Signore? E il Signore mi disse: Alzati e prosegui verso Damasco; là sarai informato di tutto ciò che è stabilito che tu faccia. [11]E poiché non ci vedevo più, a causa del fulgore di quella luce, guidato per mano dai miei compagni, giunsi a Damasco. [12]Un certo Anania, un devoto osservante della legge e in buona reputazione presso tutti i giudei colà residenti, [13]venne da me, mi si accostò e disse: Saul, fratello, torna a vedere! E in quell'istante io guardai verso di lui e riebbi la vista. [14]Egli soggiunse: Il Dio dei nostri padri ti ha predestinato a conoscere la sua volontà, a vedere il Giusto e ad ascoltare una parola dalla sua stessa bocca, [15]perché gli sarai testimone davanti a tutti gli uomini delle cose che hai visto e udito. [16]E ora perché aspetti? Alzati, ricevi il battesimo e lavati dai tuoi peccati, invocando il suo nome. [17]Dopo il mio ritorno a Gerusalemme, mentre pregavo nel tempio, fui rapito in estasi [18]e vidi Lui che mi diceva: Affrettati ed esci presto da Gerusalemme, perché non accetteranno la tua testimonianza su di me. [19]E io dissi: Signore, essi sanno che facevo imprigionare e percuotere nella sinagoga quelli che credevano in te; [20]quando si versava il sangue di Stefano, tuo testimone, anch'io ero presente e approvavo e custodivo i vestiti di quelli che lo uccidevano. [21]Allora mi disse: Và, perché io ti manderò lontano, tra i pagani». [22]Fino a queste parole erano stati ad ascoltarlo, ma allora alzarono la voce gridando: «Toglilo di mezzo; non deve più vivere!». [23]E poiché continuavano a urlare, a gettar via i mantelli e a lanciar polvere in aria, [24]il tribuno ordinò di portarlo nella fortezza, prescrivendo di interrogarlo a colpi di flagello al fine di sapere per quale motivo gli gridavano contro in tal modo.
61. Stavano per entrare nel primo cortile della grande fortezza romana quando Paolo, comprendendo finalmente che non era a Gerusalemme solo al fine di accompagnare i quattro nazirei poveri al monte Moriah, ma per dare una testimonianza più eloquente del Vangelo, interrogò il tribuno con umiltà: «Permettete vi dica qualcosa?»
62. Rendendosi conto dei modi distinti e della nobile inflessione della parola in puro greco, il capo della coorte rispose molto meravigliato: «Non sei tu il bandito egiziano che, da un po’ di tempo, ha organizzato la banda di ladri che devastano da queste parti?»
63. «Non sono un ladro…» disse Paolo, che sembrava una strana figura con il sangue che gli copriva il viso e la tunica pulita – «…sono un cittadino di Tarso e vi prego di darmi il permesso di parlare al popolo».
64. Il soldato romano rimase a bocca aperta davanti a questi gesti distinti, e non ebbe altra risposta, se non, di concederglielo, anche se esitante.
65. Rendendosi conto di trovarsi in uno dei suoi grandi momenti di testimonianza, Paolo di Tarso salì alcuni gradini della grande scalinata e cominciò a parlare in ebraico, impressionando la folla dalla profonda serenità ed eleganza del discorso. Iniziò spiegando le sue prime lotte, il suo rimorso per aver perseguitato i discepoli del divin Maestro; raccontò il viaggio a Damasco, l’infinita bontà di Gesù che gli aveva permesso la visione gloriosa, indirizzandogli parole di avvertimento e perdono. Arricchitosi dai ricordi di Stefano, parlò dell’errore che aveva commesso nell’acconsentire alla sua morte.
66. Sentendo le sue parole scolpite da misteriosa bellezza, Claudio Lisia, il tribuno romano che aveva effettuato l’arresto, provò sensazioni indefinibili. A sua volta aveva ricevuto alcuni benefici da quel Cristo frainteso a cui si riferiva l’oratore in circostanze così amare. Preso da scrupoli, mandò a chiamare il tribuno Zelfos, di origine egiziana, che aveva acquistato alcuni titoli romani, grazie alla sua enorme fortuna, e chiese: «Amico…» – disse con voce appena percettibile – «…desidero prendere qui certe decisioni riguardanti il caso di quest’uomo. La folla è esaltata ed è possibile che si verifichino eventi molto gravi. Desidero la tua cooperazione immediata».
67. «Certamente!» – rispose l’altro, risoluto.
68. E mentre Lisia cercò di esaminare in modo dettagliato la figura dell’apostolo che parlava in maniera impressionante, Zelfos prese misure tempestive. Rafforzò la guarnigione di soldati, iniziò un cordone di isolamento, cercando di salvaguardare l’oratore da un attacco imprevisto.
69. Paolo di Tarso, dopo un rapporto dettagliato della sua conversione, cominciò a parlare della grandezza del Cristo e delle promesse del Vangelo, e quando parlò delle sue relazioni con il mondo spirituale da dove riceveva messaggi confortanti dal Maestro, la massa incosciente, furiosa, si agitò in voglie meschine. Un gran numero di israeliti si spogliarono del loro mantello, gettando la polvere in aria, in un impulso caratteristico di ignoranza e cattiveria. Il momento era gravissimo. I più esaltati cercarono di rompere il cordone delle guardie per trucidare il prigioniero.
70. L’azione di Zelfos fu veloce. Ordinò di portare l’apostolo all’interno della Fortezza Antonia. E mentre Claudio Lisia si ritirava nella sua residenza per meditare sulla sublimità dei concetti ascoltati, il compagno di milizia prese una vigorosa azione per disperdere la folla. Non erano pochi quelli che insistevano nel vociferare nella via pubblica, ma il capo militare ordinò di disperdere i recalcitranti con le zampe dei cavalli.
71. Portato in una cella umida, Paolo sentì che i soldati lo trattavano con maggior disprezzo. Le ferite dolevano penosamente. Aveva le gambe pesanti e traballanti. La tunica era inzuppata di sangue. Le guardie, impietose e ironiche, lo legarono alla spessa colonna, dandogli il trattamento dei criminali comuni.
72. L’apostolo, sentendosi esausto e febbricitante, giunse alla conclusione che non sarebbe stato facile resistere a un nuovo processo di martirio. Rifletté che non era giusto consegnarsi totalmente alle angherie dei soldati malvagi che lo custodivano. Si ricordò che il Maestro si era immolato sulla croce senza resistere alla crudeltà delle creature, ma aveva anche affermato che il Padre non desiderava la morte del peccatore. Quindi non poteva alimentare la presunzione di consegnarsi come Gesù, perché Egli solo possedeva sufficiente amore per essere l’Inviato dell’Onnipotente; e poiché si riconosceva come peccatore convertito al Vangelo, era giusto il desiderio di lavorare fino all’ultimo giorno delle sue possibilità sulla Terra, a beneficio dei fratelli in modo umano e con la propria illuminazione spirituale.
73. Ricordò la prudenza di Pietro e Giacomo che avevano sempre testimoniato affinché i compiti a loro affidati non subissero danni ingiustificati, e quindi, controllando le sue scarse possibilità di resistenza fisica in quell’ora indimenticabile, esclamò ai soldati: «Mi avete legato alla colonna riservata ai criminali, quando non è possibile imputarmi nessun crimine! ... Vedo che vi preparate per la cinghia della flagellazione, mentre io mi trovo già in una pozza di sangue per il supplizio già inflitto dalla turba incosciente...».
74. Una delle guardie, alquanto ironica, cercò di bloccargli la parola e disse: «Adesso dici questo! ... Tu non sei un apostolo del Cristo? Mi risulta che il tuo Maestro è morto sulla croce zitto zitto e, alla fine, chiese anche scusa ai carnefici, sostenendo che non erano a conoscenza di quello che facevano».
75. I compagni della guardia ironica, irruppero in una risata lacerante.
76. Paolo di Tarso, tuttavia, che mostrava tutta la nobiltà del suo cuore, nel bagliore dello sguardo, rispose senza esitazione: «Sì, circondato da persone ignoranti e incoscienti, nel giorno del Calvario, Gesù chiese a Dio di perdonare le tenebre dello spirito in cui era sommersa la moltitudine che Lo aveva innalzato alla croce dell’ignominia; ma gli agenti del governo imperiale non possono essere la turba che disconosce le proprie azioni. I soldati di Cesare devono sapere cosa fanno, perché se ignorano le leggi per la cui attuazione si riceve un salario, sarebbe più giusto abbandonare il posto».
77. Le guardie si bloccarono, prese da grande stupore.
*
(Atti 22,25-29): [25]Ma quando l'ebbero legato con le cinghie, Paolo disse al centurione che gli stava accanto: «Potete voi flagellare un cittadino romano, non ancora giudicato?». [26]Udito ciò, il centurione corse a riferire al tribuno: «Che cosa stai per fare? Quell'uomo è un romano!». [27]Allora il tribuno si recò da Paolo e gli domandò: «Dimmi, tu sei cittadino romano?». Rispose: «Sì». [28]Replicò il tribuno: «Io questa cittadinanza l'ho acquistata a caro prezzo». Paolo disse: «Io, invece, lo sono di nascita!». [29]E subito si allontanarono da lui quelli che dovevano interrogarlo. Anche il tribuno ebbe paura, rendendosi conto che Paolo era cittadino romano e che lui lo aveva messo in catene.
78. Paolo, invece, continuò con voce ferma: «Quanto a me, vi chiedo: sarà lecito fustigare un cittadino romano prima di condannarlo?»
79. Il centurione che presiedeva i servizi della fustigazione sospese i primi dispositivi. Zelfos fu chiamato con stupore.
80. A conoscenza dell’accaduto, il tribuno chiese all’apostolo, molto sorpreso: «Dimmi: sei, di fatto, romano?»
81. «Sì».
82. Davanti alla fermezza della risposta, Zelfos trovò ragionevole modificare il trattamento del prigioniero. Per paura di complicazioni, ordinò che l’ex rabbino fosse rimosso dal tronco, consentendogli di rimanere libero all’interno dell’angusta cella. Solo allora Paolo di Tarso riuscì a riposare su un letto, benché duro, ottenendo una brocca d’acqua portata con più rispetto e considerazione. Placò l’immensa sete e dormì, nonostante le ferite sanguinanti e dolorose.
83. Zelfos, tuttavia, non era tranquillo. Non conosceva del tutto le condizioni dell’accusato. Temendo complicazioni pregiudizievoli per la sua posizione, invidiabile dal punto di vista politico, cercò di incontrare il tribuno Claudio Lisia.
84. Spiegando il motivo della sua preoccupazione, l’altro disse: «Questo mi sorprende, perché a me aveva detto che era un giudeo, originario di Tarso della Cilicia».
85. Allora Zelfos disse che aveva difficoltà a discernere la questione e concluse: «Da quello che dici, mi sembra, piuttosto, un bugiardo comune».
86. «Questo no…» – esclamò Lisia – «…naturalmente possiederà titoli di cittadinanza dell’impero ed ha agito per ragioni che non siamo in grado di capire».
87. Rendendosi conto che l’amico si era infastidito interiormente dalle sue considerazioni, Zelfos si affrettò a correggere: «I tuoi concetti sono giusti».
88. «Devo tenerlo in coscienza…» – aggiunse Lisia ispirato – «…perché quest’uomo, sconosciuto a entrambi, ha parlato di problemi molto gravi».
89. Zelfos rifletté per un istante e ponderò: «Considerando tutto ciò, propongo che sia presentato domani al Sinedrio. Penso che sia l’unico modo con cui possiamo trovare una formula capace di risolvere la questione.
90. Claudio Lisia ricevette il suggerimento con sufficienza. Dentro di sé si sentiva più incline a patrocinare la difesa dell’apostolo. La sua parola infiammata di fede lo aveva impressionato molto. In brevi e rapidi momenti di meditazione analizzò tutte le possibilità, pro e contro un tale atto. Sottrarre l’accusato alla persecuzione dei più esaltati, era un’azione giusta, ma disputare con il Sinedrio era un atteggiamento che chiedeva più prudenza. Conosceva i giudei da vicino e, per più di una volta, aveva sperimentato il loro grado di passioni e capricci.
91. Comprendendo, inoltre, che non doveva destare alcun sospetto al collega, per quanto riguardava le sue credenze religiose, acconsentì e dichiarò: «Sono d’accordo con il suggerimento. Domani lo consegneremo ai giudici competenti in materia di fede. Puoi lasciare questo a carico mio, perché il detenuto deve essere accompagnato da una scorta che lo garantisca contro qualsiasi violenza».
92. E così fu. La mattina successiva, il tribuno Claudio Lisia notificò alla più alta Corte di Israele che il predicatore del Vangelo sarebbe comparso davanti ai giudici alle prime ore del pomeriggio, per le indagini necessarie. Le autorità del Sinedrio si rallegrarono. Avrebbero rivisto finalmente il disertore della Legge, faccia a faccia. La notizia si diffuse con inusuale rapidità.
93. Paolo, a sua volta, nella solitudine del carcere fu felicemente premiato da una grande sorpresa, in quella mattina di fosche prospettive. Successe che, con il permesso del tribuno, una signora anziana e suo figlio, ancora giovane, entrarono nella sua cella per fargli visita.
94. Era la sorella Dalila con suo nipote Stefanio, i quali, dopo molti sforzi, riuscirono ad ottenere il permesso per un colloquio veloce. L’apostolo abbracciò la nobile signora, commosso in lacrime. Era invecchiata e fiacca. Il giovane Stefanio prese le mani dello zio e gliele baciò con venerazione e tenerezza.
95. Dalila parlò della lunga nostalgia e degli episodi familiari con la poesia del cuore femminile, e l’ex dottore di Gerusalemme ricevette tutte le notizie, buone e cattive, con serenità imperturbabile, come se provenissero da un mondo molto diverso dal suo. Cercò, comunque, di confortare la sorella che, ad ogni ricordo più doloroso, si disfaceva in lacrime. Paolo succintamente raccontò la storia dei suoi viaggi, le lotte, gli ostacoli sui sentieri battuti per amore di Gesù.
96. La veneranda signora, anche se non indifferente alle verità del cristianesimo, molto delicatamente non volle parlare degli affari religiosi, soffermandosi sui motivi affettuosi della sua visita fraterna e, congedandosi, pianse copiosamente. Non riusciva a comprendere la rassegnazione dell’apostolo, e non ne apprezzava la sua rinuncia. Lo compativa, interiormente dispiaciuta per la sfortuna e, in fondo, come la maggior parte dei connazionali, disprezzava quel Gesù che aveva offerto ai suoi discepoli solo croci e sofferenze.
97. Paolo di Tarso, tuttavia, sperimentò un grande conforto dalla sua presenza, soprattutto, l’intelligenza e la vivacità di Stefanio, nonostante la breve conversazione avuta, gli infuse grandi speranze per il futuro spirituale del nipote.
98. Stava ancora ripassando alla mente la bella visita, quando numerose scorte si appostarono davanti alla cella per accompagnarlo al Sinedrio al momento opportuno.
*
(Atti 22,30): Il giorno seguente, volendo conoscere la realtà dei fatti, cioè il motivo per cui veniva accusato dai giudei, gli fece togliere le catene e ordinò che si riunissero i sommi sacerdoti e tutto il sinedrio; vi fece condurre Paolo e lo presentò davanti a loro.
(Atti 23,1-5): [1]Con lo sguardo fisso al sinedrio Paolo disse: «Fratelli, io ho agito fino ad oggi davanti a Dio in perfetta rettitudine di coscienza». [2]Ma il sommo sacerdote Anania ordinò ai suoi assistenti di percuoterlo sulla bocca. [3]Paolo allora gli disse: «Dio percuoterà te, muro imbiancato! Tu siedi a giudicarmi secondo la legge e contro la legge comandi di percuotermi?». [4]E i presenti dissero: «Osi insultare il sommo sacerdote di Dio?». [5]Rispose Paolo: «Non sapevo, fratelli, che è il sommo sacerdote; sta scritto infatti: Non insulterai il capo del tuo popolo».
99. Poco dopo mezzogiorno, comparve alle sbarre del Tribunale e realizzò subito che il cenacolo dei grandi dottori di Gerusalemme viveva una delle sue grandi giornate, affollato di gente. La sua presenza causò un’ondata di commenti. Tutti volevano vedere e conoscere il disertore della Legge, il dottore che aveva ripudiato e demonizzato i titoli sacri. Molto commosso, l’apostolo ricordò ancora una volta la figura di Stefano. Adesso era il suo momento di dare testimonianza del Vangelo di verità e redenzione. L’agitazione del Sinedrio gli ricordava gli stessi toni dei tempi vissuti. Proprio lì inferse le più dure umiliazioni al fratello di Abigail e ai proseliti di Gesù. Era giusto, quindi, attendere adesso le dure e redenti sofferenze. Poi, per la tanta tristezza, una singolare coincidenza: il sommo sacerdote che presiedeva la sezione si chiamava Anania! Caso? Ironia del destino?
100. Come si verificò con Jeziel quando fu letto l’atto di accusa, allo stesso modo diedero la parola all’apostolo per difendersi, considerando le prerogative della sua nascita.
101. Paolo cominciò a giustificarsi, estremamente rispettoso. Risate sottovoce, non di rado, rompevano il silenzio dell’ambiente, indicando la misura sarcastica e ostile del pubblico.
102. Quando la sua altissima oratoria cominciò a impressionare per la fedeltà della testimonianza cristiana, il sommo sacerdote lo fece tacere e gridò impetuoso: «Un figlio d’Israele, anche se portatore di titoli romani, quando manca di rispetto alle tradizioni di questa casa con dichiarazioni offensive per la memoria dei profeti, diventa passibile di severe riprensioni. L’imputato sembra ignorare il dovere di spiegarsi convenientemente, non fa che delirare su concetti sibillini, propri della sua ossessione insubordinata e criminale per il rivoluzionario Falegname di Nazareth! La mia autorità non permette abusi nei luoghi santi. Determino, quindi, che Paolo di Tarso sia ferito in bocca, per la sfrontatezza dei suoi insulti».
103. L’apostolo gli rivolse uno sguardo di serenità ineffabile e rispose: «Sacerdote! Vigilate il cuore, per non incidere in repressioni ingiuste. Gli uomini come voi, sono come i muri imbiancati dei sepolcri; ma non dovete ignorare che anche voi sarete ferito dalla giustizia di Dio. Conosco molto bene le leggi di cui siete divenuto esecutore. Se siete qui per giudicare, come e perché mi mandate a ferire?»
104. Ma prima che potesse continuare, un piccolo gruppo di preposti di Anania si fece avanti con piccole fruste, ferendolo sulle labbra.
105. «Osi insultare il sommo sacerdote?» – urlarono adirati e collerici. – «Pagherai per l’insulto!...»
106. Le fruste rigarono il volto rugoso e venerando dell’ex rabbino, sotto l’applauso generale. Voci ironiche e incessanti si alzarono nel seno della turba infame. Alcuni chiedevano più rigore, altri sbraitavano chiedendo la lapidazione. Quanto più l’apostolo dava piena testimonianza di serenità, più gli animi si esaltavano con impulsi criminosi. Spiccavano alcuni gruppi di israeliti più vili che cooperavano con gli aguzzini sputandogli sul viso. Si diffuse il tumulto. Paolo cercò di parlare, per spiegare con più dettagli, ma la confusione era tale che niente si ascoltava e nessuno si capiva.
107. Il sommo sacerdote consentiva il disordine deliberatamente. Gli elementi principali del Sinedrio volevano sterminare l’ex dottore a qualsiasi prezzo. Il Tribunale si era prestato alla farsa, solo perché si era reso conto dell’interesse personale di Claudio Lisia per il prigioniero. Se non era per questi, Paolo di Tarso sarebbe stato assassinato a Gerusalemme, per soddisfare i sentimenti odiosi dei nemici gratuiti del suo benedetto lavoro apostolico.
*
(Atti 23,6-10): [6]Paolo sapeva che nel sinedrio una parte era di sadducei e una parte di farisei; disse a gran voce: «Fratelli, io sono un fariseo, figlio di farisei; io sono chiamato in giudizio a motivo della speranza nella risurrezione dei morti». [7]Appena egli ebbe detto ciò, scoppiò una disputa tra i farisei e i sadducei e l'assemblea si divise. [8]I sadducei infatti affermano che non c'è risurrezione, né angeli, né spiriti; i farisei invece professano tutte queste cose. [9]Ne nacque allora un grande clamore e alcuni scribi del partito dei farisei, alzatisi in piedi, protestavano dicendo: «Non troviamo nulla di male in quest'uomo. E se uno spirito o un angelo gli avesse parlato davvero?». [10]La disputa si accese a tal punto che il tribuno, temendo che Paolo venisse linciato da costoro, ordinò che scendesse la truppa a portarlo via di mezzo a loro e ricondurlo nella fortezza. [11]La notte seguente gli venne accanto il Signore e gli disse: «Coraggio! Come hai testimoniato per me a Gerusalemme, così è necessario che tu mi renda testimonianza anche a Roma».
108. Sollecitato dal tribuno, presente alla memorabile riunione, Anania riuscì a ripristinare la tranquillità nell’ambiente. Dopo suppliche disperate, l’assemblea tacque, in attesa. Il viso di Paolo era insanguinato, la tunica a brandelli, ma per la sorpresa e lo stupore generale, rivelava nello sguardo, a differenza di altri tempi in tali circostanze, una grande tranquillità fraterna, dando a capire che comprendeva e perdonava i gravami dell’ignoranza.
109. Supponendosi in una posizione vantaggiosa, il sommo sacerdote disse in tono arrogante: «Dovevi morire come il tuo Maestro, su una croce spregevole! Disertore delle tradizioni sacre della patria e blasfemo criminoso! Per un giusto castigo, non basta la sofferenza che inizi a sperimentare tra i legittimi figli di Israele! ...»
110. L’apostolo, in ogni caso, lungi dalla codardia, rispose con calma: «Giudizio affrettato il vostro... Non merito la croce del Redentore perché la Sua aureola è troppo gloriosa per me; comunque, tutti i martirii del mondo sarebbero giusti, applicati al peccatore che sono. Voi temete le sofferenze perché non conoscete la vita eterna. Voi considerate le prove come quelli che nulla vedono al di là di questi giorni fugaci dell’esistenza umana. La politica meschina vi ha distanziato dallo spirito delle sacre visioni dei profeti! ... I cristiani, sanno, conoscono l’altra vita spirituale, le loro speranze non restano nei falsi trionfi che marciscono con il corpo nel sepolcro! La vita non è ciò che vediamo nella banalità di tutti i giorni terreni; è l’affermazione gloriosa dell’immortalità con Gesù Cristo!»
111. La parola dell’oratore ora sembrò magnetizzare tutta l’assemblea. Anania stesso, nonostante la sorda collera, era incapace di qualsiasi reazione, come se qualcosa di misterioso lo obbligasse ad ascoltare fino alla fine.
112. Indisturbato nella sua serenità, Paolo di Tarso proseguì: «Continuate pure a farmi del male! Sputatemi in faccia! Frustatemi! Questo martirio giornaliero mi esalta per una speranza superiore, perché ho creato nel mio cuore un santuario intangibile alle vostre mani, e in cui Gesù regnerà per sempre...». – poi continuò con voce ferma – «Cosa desiderate con i vostri tumulti e persecuzioni? Dopo tutto, dov’è la ragione di tante lotte sterili e distruttive? I cristiani lavorano, come fece Mosè, per la fede in Dio e per la nostra gloriosa resurrezione. È inutile dividere, favorire la discordia, cercare di oscurare la verità con le illusioni del mondo. Il Vangelo del Cristo è il Sole che illumina le tradizioni e i fasti della vecchia Legge! ...»
113. Nel frattempo, nonostante lo stupore di molti, si stabilì un nuovo caos. I sadducei si gettarono contro i farisei, con gesti e apostrofi deliranti. Invano, il sommo sacerdote cercò di calmare gli animi. Un gruppo più esaltato tentò di avvicinarsi all’ex rabbino disposto a strangolarlo.
114. Fu allora che Claudio Lisia, facendo appello ai soldati, si fece sentire nell’assemblea, minacciando i contendenti. Sorpresi da questo fatto insolito, per quanto i romani non avessero mai cercato di intervenire negli affari religiosi della popolazione, gli israeliti turbolenti si sottomisero immediatamente. Il tribuno si rivolse poi ad Anania e rivendicò la chiusura dei lavori, affermando che il detenuto tornava in carcere alla Fortezza Antonia fino a quando i giudei non avessero deciso di risolvere il caso con maggiore criterio e serenità.
115. Le autorità del Sinedrio non nascosero il loro grande stupore, ma poiché il governatore della provincia era rimasto ancora a Cesarea, sarebbe stato irragionevole disubbidire al suo preposto di Gerusalemme.
116. Prima che si verificassero nuovi scontri, Anania dichiarò che il giudizio di Paolo di Tarso, secondo l’ordine ricevuto, sarebbe proseguito nella successiva sessione del Tribunale, da lì a tre giorni.
117. Le guardie rimossero il prigioniero, con grande cautela, mentre gli israeliti più eminenti cercavano di contenere le proteste isolate che accusavano Claudio Lisia di essere parziale e simpatizzante del nuovo credo.
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(Atti 23,11): La notte seguente gli venne accanto il Signore e gli disse: «Coraggio! Come hai testimoniato per me a Gerusalemme, così è necessario che tu mi renda testimonianza anche a Roma».
118. Ricondotto alla cella silenziosa, Paolo poté respirare e rifarsi l’animo per affrontare la situazione. Sperimentando una giusta simpatia per quell’uomo coraggioso e sincero, il tribuno prese ulteriori provvedimenti a suo favore.
119. L’ex dottore della Legge si sentì più soddisfatto e sollevato. Aveva una guardia per attenderlo ad ogni necessità, riceveva acqua in abbondanza, medicine, cibo e la visita degli amici più intimi. Queste dimostrazioni di apprezzamento lo commossero molto. Spiritualmente si sentiva più confortato, ma il corpo ferito gli faceva male, era esausto fisicamente...
120. Dopo aver parlato alcuni minuti con Luca e Timoteo, rispettando il permesso ricevuto, avvertì che certe preoccupazioni dolorose gli amareggiavano il cuore. Era giusto pensare ad un viaggio a Roma se le sue condizioni fisiche erano così precarie? Quanto avrebbe resistito a sopportare le tremende persecuzioni iniziate a Gerusalemme? Tuttavia, le voci del mondo superiore gli avevano promesso questo viaggio verso la capitale dell’impero... Non doveva dubitare delle promesse fatte in Nome del Cristo.
121. Una certa fatica, abbinata ad una grande amarezza, cominciò a minare le sue speranze sempre vive, ma, cadendo in una specie di sonno, si rese conto, come le altre volte, che una luce viva inondava il cubicolo nello stesso istante in cui una dolcissima voce gli sussurrava: «Rallegrati per i dolori che riscattano e illuminano la coscienza! Anche se le sofferenze si moltiplicano, rinnova il giubilo divino della speranza!... Conserva il tuo buonumore, come hai reso testimonianza di Me a Gerusalemme, è importante che tu lo faccia anche a Roma! ...»
122. Sentì nuove forze che gli ritempravano il corpo provato.
*
[12]Fattosi giorno, i giudei ordirono una congiura e fecero voto con giuramento esecratorio di non toccare né cibo né bevanda, sino a che non avessero ucciso Paolo. [13]Erano più di quaranta quelli che fecero questa congiura. [14]Si presentarono ai sommi sacerdoti e agli anziani e dissero: «Ci siamo obbligati con giuramento esecratorio di non assaggiare nulla sino a che non avremo ucciso Paolo. [15]Voi dunque ora, insieme al sinedrio, fate dire al tribuno che ve lo riporti, col pretesto di esaminare più attentamente il suo caso; noi intanto ci teniamo pronti a ucciderlo prima che arrivi». [16]Ma il figlio della sorella di Paolo venne a sapere del complotto; si recò alla fortezza, entrò e ne informò Paolo. [17]Questi allora chiamò uno dei centurioni e gli disse: «Conduci questo giovane dal tribuno, perché ha qualche cosa da riferirgli». [18]Il centurione lo prese e lo condusse dal tribuno dicendo: «Il prigioniero Paolo mi ha fatto chiamare e mi ha detto di condurre da te questo giovanetto, perché ha da dirti qualche cosa». [19]Il tribuno lo prese per mano, lo condusse in disparte e gli chiese: «Che cosa è quello che hai da riferirmi?». [20]Rispose: «I giudei si sono messi d'accordo per chiederti di condurre domani Paolo nel sinedrio, col pretesto di informarsi più accuratamente nei suoi riguardi. [21]Tu però non lasciarti convincere da loro, poiché più di quaranta dei loro uomini hanno ordito un complotto, facendo voto con giuramento esecratorio di non prendere cibo né bevanda finché non l'abbiano ucciso; e ora stanno pronti, aspettando che tu dia il tuo consenso». [22]Il tribuno congedò il giovanetto con questa raccomandazione: «Non dire a nessuno che mi hai dato queste informazioni».
123. La luce del mattino lo sorprese quasi ben disposto. Nelle prime ore del giorno, Stefanio lo cercò con una certa agitazione. Ricevuto con affettuoso interesse, il ragazzo informò lo zio dei gravi progetti che si tramavano nell’ombra. I giudei avevano giurato di sterminare il convertito di Damasco, anche se per farlo avrebbero dovuto assassinare proprio Claudio Lisia. L’ambiente del Sinedrio era pregno di attività odiosa. Si progettava di uccidere il predicatore dei gentili nella piena luce del giorno, durante la successiva sessione del Tribunale. Più di quaranta comparse, dei più fanatici, avevano promesso solennemente di eseguire l’obiettivo funesto.
124. Paolo sentì tutto e, tranquillamente, chiamando la guardia, disse: «Vi prego di portare questo giovane alla presenza del capo dei tribuni e di ascoltarlo su una questione urgente».
125. Così, Stefanio fu portato da Claudio Lisia, presentando la sua denuncia. L’accorto e nobile patrizio, con il tatto politico che lo caratterizzava nelle decisioni, promise di esaminare la questione correttamente, senza lasciar presumere l’adozione di misure definitive per beffeggiare la congiura. Ringraziò della notizia e raccomandò al giovane la massima cura nei commenti della situazione, per non esacerbare di più gli animi partitari.
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126. Nella solitudine del suo ufficio, il tribuno romano pensò seriamente a quelle fosche prospettive. Il Sinedrio, nella sua capacità di intrighi, poteva promuovere manifestazioni nel popolo in modo sempre più versatile e aggressivo. I rabbini fanatici potevano mobilitare dei delinquenti e forse assassinare anche lui in condizioni spettacolari. Tuttavia, la denuncia veniva da un giovane, quasi un ragazzo. Inoltre, questo era nipote del prigioniero. Avrebbe detto la verità, o era un mero strumento di mistificazione, possibilmente affettivo, nato dalle giuste preoccupazioni familiari?
127. Ancora non riusciva a districare la questione per elaborare una condotta, allorquando un tale gli chiese il favore di un colloquio. Desideroso di dare una tregua a cogitazioni così gravi, accettò prontamente. Quando si aprì la porta lussuosa, un vecchietto con un volto sorridente e calmo apparve. Claudio Lisia si rallegrò. Lo conosceva da vicino. Gli doveva dei favori. Il visitatore inaspettato era Giacomo, venuto a portare la sua generosa influenza a favore del grande amico nell’edificazione evangelica. Il figlio di Alfeo ripeté il piano descritto da Stefanio, alcuni minuti prima. E andò oltre. Raccontò la commovente storia di Paolo di Tarso, rivelandosi come testimone imparziale della sua vita e chiarendo che l’apostolo era arrivato in città, sotto sua insistenza, per accordarsi sulle azioni da intraprendere per la propaganda evangelica. Concluse l’attenta esposizione chiedendo all’amico illustre di prendere le misure efficaci per prevenire il mostruoso attentato.
128. Adesso maggiormente apprensivo, il tribuno ponderò: «Le vostre considerazioni sono giuste, però mi sento in difficoltà a coordinare i provvedimenti immediati. Non sarebbe meglio aspettare che i fatti si presentassero per poi reagire, la forza con la forza?»
129. Giacomo abbozzò un sorriso di dubbio e disse: «Sono del parere che la vostra autorità dovrebbe trovare le risorse urgentemente. Conosco le passioni giudaiche e la furia delle loro manifestazioni. Non riuscirò mai a dimenticare l’odiosa fermentazione dei farisei nel giorno del Calvario. Se ho paura per il destino di Paolo, temo lo stesso anche per voi. La folla di Gerusalemme, molto spesso, è criminale!»
130. Lisia aggrottò la fronte e meditò a lungo. Poi, tirandolo dalla sua indecisione, il vecchio galileo gli suggerì l’idea di trasferire il prigioniero a Cesarea, mirando ad un processo equo. La misura avrebbe avuto il pregio di sottrarre l’apostolo all’ambiente furioso di Gerusalemme, interrompendo il piano omicida; in aggiunta, il tribuno sarebbe stato al sicuro dai sospetti ingiusti, mantenendo intatte le tradizioni di rispetto intorno al suo nome, da parte di giudei malevoli e ingrati. L’impresa sarebbe stata conosciuta solo dai più intimi, e il patrizio avrebbe designato una scorta di soldati coraggiosi per accompagnare il detenuto, dovendo lasciare Gerusalemme dopo la mezzanotte.
131. Claudio Lisia considerò l’eccellenza dei suggerimenti e promise di metterli in pratica quella notte.
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(Atti 23,23-30): [23]Fece poi chiamare due dei centurioni e disse: «Preparate duecento soldati per andare a Cesarèa insieme con settanta cavalieri e duecento lancieri, tre ore dopo il tramonto. [24]Siano pronte anche delle cavalcature e fatevi montare Paolo, perché sia condotto sano e salvo dal governatore Felice». [25]Scrisse anche una lettera in questi termini: [26]«Claudio Lisia all'eccellentissimo governatore Felice, salute. [27]Quest'uomo è stato assalito dai giudei e stava per essere ucciso da loro; ma sono intervenuto con i soldati e l'ho liberato, perché ho saputo che è cittadino romano. [28]Desideroso di conoscere il motivo per cui lo accusavano, lo condussi nel loro sinedrio. [29]Ho trovato che lo si accusava per questioni relative alla loro legge, ma che in realtà non c'erano a suo carico imputazioni meritevoli di morte o di prigionia. [30]Sono stato però informato di un complotto contro quest'uomo da parte loro, e così l'ho mandato da te, avvertendo gli accusatori di deporre davanti a te quello che hanno contro di lui. Stà bene».
132. Una volta che Giacomo si congedò, il romano chiamò due assistenti di fiducia e diede i primi ordini per la formazione della scorta, forte di centotrenta soldati, settanta cavalieri e duecento arcieri, sotto la cui protezione Paolo di Tarso sarebbe dovuto comparire davanti al governatore Felice nel grande porto palestinese. I preposti, eseguendo le istruzioni ricevute, riservarono al prigioniero il miglior cavallo. Era notte fonda quando Paolo di Tarso fu chiamato con grande sorpresa. Claudio Lisia gli spiegò, in poche parole, l’obiettivo della sua decisione, e l’estesa carovana partì in silenzio, in direzione di Cesarea. Data la segretezza delle azioni intraprese, il viaggio fu senza incidenti degni di nota. Solo dopo alcune ore dopo la partenza dalla Fortezza Antonia, i giudei furono informati, convincendosi, con grande delusione, dell’inutilità di qualsiasi rappresaglia.
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(Atti 23,31-65): [31]Secondo gli ordini ricevuti, i soldati presero Paolo e lo condussero di notte ad Antipàtride. [32]Il mattino dopo, lasciato ai cavalieri il compito di proseguire con lui, se ne tornarono alla fortezza. [33]I cavalieri, giunti a Cesarèa, consegnarono la lettera al governatore e gli presentarono Paolo. [34]Dopo averla letta, domandò a Paolo di quale provincia fosse e, saputo che era della Cilicia, disse: [35]«Ti ascolterò quando saranno qui anche i tuoi accusatori». E diede ordine di custodirlo nel pretorio di Erode.
133. A Cesarea il governatore ricevette la spedizione con grande stupore. Conosceva la fama di Paolo e non era estraneo alle lotte che sosteneva con i fratelli della sua stirpe, ma quella carovana di quattrocento uomini armati per proteggere un detenuto, fu motivo di sorpresa.
134. Dopo il primo interrogatorio, il preposto massimo dell’impero della provincia, dichiarò: «Consapevole dell’origine giudaica dell’imputato, non c’è nulla che io possa giudicare senza sentire l’organo competente di Gerusalemme».
135. E ordinò che il Sinedrio si facesse rappresentare nella sede del governo, con una certa urgenza. Gli israeliti furono estremamente soddisfatti dell’ordine.
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(Atti 24,1-23): [1]Cinque giorni dopo arrivò il sommo sacerdote Anania insieme con alcuni anziani e a un avvocato di nome Tertullo e si presentarono al governatore per accusare Paolo. [2]Quando questi fu fatto venire, Tertullo cominciò l'accusa dicendo: [3]«La lunga pace di cui godiamo grazie a te e le riforme che ci sono state in favore di questo popolo grazie alla tua provvidenza, le accogliamo in tutto e per tutto, eccellentissimo Felice, con profonda gratitudine. [4]Ma per non trattenerti troppo a lungo, ti prego di darci ascolto brevemente nella tua benevolenza. [5]Abbiamo scoperto che quest'uomo è una peste, fomenta continue rivolte tra tutti i giudei che sono nel mondo ed è capo della setta dei Nazorei. [6]Ha perfino tentato di profanare il tempio e noi l'abbiamo arrestato.[7]. [8]Interrogandolo personalmente, potrai renderti conto da lui di tutte queste cose delle quali lo accusiamo». [9]Si associarono nell'accusa anche i giudei, affermando che i fatti stavano così. [10]Quando il governatore fece cenno a Paolo di parlare, egli rispose: «So che da molti anni sei giudice di questo popolo e parlo in mia difesa con fiducia. [11]Tu stesso puoi accertare che non sono più di dodici giorni da quando mi sono recato a Gerusalemme per il culto. [12]Essi non mi hanno mai trovato nel tempio a discutere con qualcuno o a incitare il popolo alla sommossa, né nelle sinagoghe, né per la città [13]e non possono provare nessuna delle cose delle quali ora mi accusano. [14]Ammetto invece che adoro il Dio dei miei padri, secondo quella dottrina che essi chiamano setta, credendo in tutto ciò che è conforme alla Legge e sta scritto nei Profeti, [15]nutrendo in Dio la speranza, condivisa pure da costoro, che ci sarà una risurrezione dei giusti e degli ingiusti. [16]Per questo mi sforzo di conservare in ogni momento una coscienza irreprensibile davanti a Dio e davanti agli uomini. [17]Ora, dopo molti anni, sono venuto a portare elemosine al mio popolo e per offrire sacrifici; [18]in occasione di questi essi mi hanno trovato nel tempio dopo che avevo compiuto le purificazioni. Non c'era folla né tumulto. [19]Furono dei giudei della provincia d'Asia a trovarmi, e loro dovrebbero comparire qui davanti a te ad accusarmi, se hanno qualche cosa contro di me; [20]oppure dicano i presenti stessi quale colpa han trovato in me quando sono comparso davanti al sinedrio, [21]se non questa sola frase che gridai stando in mezzo a loro: A motivo della risurrezione dei morti io vengo giudicato oggi davanti a voi!». [22]Allora Felice, che era assai bene informato circa la nuova dottrina, li rimandò dicendo: «Quando verrà il tribuno Lisia, esaminerò il vostro caso». [23]E ordinò al centurione di tenere Paolo sotto custodia, concedendogli però una certa libertà e senza impedire a nessuno dei suoi amici di dargli assistenza.
136. Di conseguenza, cinque giorni dopo la rimozione dell’apostolo, lo stesso Anania fece questione di comandare il gruppo delle autorità del Sinedrio e del Tempio, arrivando a Cesarea con i progetti più strani relativi alla situazione dell’avversario. I vecchi rabbini, conoscendo la potenza, la logica e la bellezza della parola dell’ex dottore di Tarso, si fecero accompagnare da Tertullo, una delle menti più notevoli collaboranti al sodalizio.
137. Improvvisato il Tribunale per decidere il caso, l’oratore del Sinedrio ebbe la precedenza della parola. Usandola in tremende accuse contro il reo, dipinse di nero tutte le attività del cristianesimo, finendo per chiedere al governatore di consegnare l’imputato ai suoi fratelli di stirpe, per essere da loro dovutamente giudicato.
138. Concesso all’ex rabbino l’opportunità di spiegarsi, Paolo iniziò a parlare con grande serenità. Felice gli osservò subito le elevate doti intellettuali, le bellezze dialettiche, e ascoltava l’argomentazione con insolito interesse. Gli anziani di Gerusalemme non riuscivano a nascondere la propria rabbia. Se possibile, avrebbero squartato l’apostolo lì stesso, tale era l’irritazione che li sovrastava, contrastando con la trasparente tranquillità dell’oratoria e dell’oratore avverso.
139. Il governatore ebbe grande difficoltà nel pronunciare il verdetto. Da un lato, vedeva gli anziani d’Israele in un atteggiamento quasi collerico reclamare i diritti di stirpe; dall’altro, contemplava l’apostolo del Vangelo, calmo, indisturbato, signore spirituale dell’argomento, che, con la sua parola elegante e riflessiva, chiariva tutti i punti oscuri in questo singolare processo.
140. Riconoscendo l’estremo valore di quell’uomo fragile e invecchiato, con i capelli incanutiti a causa delle dolorose e sacre esperienze, il governatore Felice cambiò in fretta le sue prime impressioni e chiuse i lavori in questi termini: «Signori, riconosco che il processo è più grave di quanto pensassi all’inizio. In questo caso, ho deciso di rimandare la decisione finale fino a quando il tribuno Claudio Lisia non sarà correttamente ascoltato».
141. Gli anziani si morsero le labbra. Invano il sommo sacerdote chiese la continuazione dei lavori. Il mandatario di Roma non cambiò punto di vista e la grande assemblea fu sciolta, con grande rammarico degli israeliti costretti a ritornare a Gerusalemme, estremamente delusi. Felice, invece, passò a considerare il prigioniero con maggiore deferenza.
*
(Atti 24,24-27): [24]Dopo alcuni giorni Felice arrivò in compagnia della moglie Drusilla, che era giudea; fatto chiamare Paolo, lo ascoltava intorno alla fede in Cristo Gesù. [25]Ma quando egli si mise a parlare di giustizia, di continenza e del giudizio futuro, Felice si spaventò e disse: «Per il momento puoi andare; ti farò chiamare di nuovo quando ne avrò il tempo». [26]Sperava frattanto che Paolo gli avrebbe dato del denaro; per questo abbastanza spesso lo faceva chiamare e conversava con lui. [27]Trascorsi due anni, Felice ebbe come successore Porcio Festo; ma Felice, volendo dimostrare benevolenza verso i giudei, lasciò Paolo in prigione.
142. Il giorno dopo andò a fargli visita, concedendogli il permesso di ricevere gli amici nella sala dei dispacci. Verificando che Paolo godeva di grande prestigio tra tutti i seguaci della dottrina del Profeta di Nazareth, immaginò, quindi, di poter ottenere un certo vantaggio dalla situazione. Ogni volta che lo visitava, rimaneva sorpreso dalla sua grande acutezza mentale, ad interessarlo erano le sue lezioni vive e palpitanti con osservazioni sagge, nei concetti e nell’esperienze di vita.
143. Un giorno, il governatore affrontò comodamente il prisma degli interessi personali, gli insinuò il vantaggio della sua liberazione, per soddisfare le aspirazioni della comunità cristiana, che gli prestava tanto risalto.
144. Paolo, invece, disse risoluto: «Non sono del vostro stesso parere. Ho sempre considerato che la prima virtù di un cristiano è di essere pronto ad obbedire alla volontà di Dio, ovunque. Di certo, sono detenuto con la vostra assistenza e protezione, ma credo che Gesù giudichi meglio mantenermi come prigioniero in questi giorni. Lo servirò come se fossi nella piena libertà del corpo».
145. «Tuttavia…» – continuò Felice, senza avere il coraggio di andare direttamente al punto – «…la vostra indipendenza non sarebbe cosa molto difficile».
146. «In che modo?»
147. «Non avete amici ricchi e influenti in tutti gli angoli della provincia?» – chiese il preposto del governo, ambiguamente.
148. «Cosa volete dire con questo?» – domandò l’apostolo.
149. «Credo che se conseguiste il denaro sufficiente per soddisfare gli interessi personali di chi opera nel processo, sareste completamente libero dall’azione della giustizia, in pochi giorni».
150. Paolo comprese le insinuazioni dissimulate e, nobilmente, rispose: «Adesso capisco. Parlate di una giustizia condizionata ai capricci criminali degli uomini. Questa giustizia non mi interessa. Sarebbe preferibile conoscere la morte in carcere, che servire da ostacolo alla redenzione spirituale del più umile funzionario di Cesarea. Dar loro denaro in cambio di indipendenza illegale, sarebbe abituarli ad attaccarsi a dei beni che non gli appartengono. La mia attività sarebbe quindi uno sforzo dichiaratamente perverso. Inoltre, quando abbiamo la coscienza a posto, nessuno può ostacolarci la libertà, ed io mi sento così libero qui, come là fuori, nella pubblica piazza».
151. Il governatore ricevette l’osservazione in modo schietto ma amaro, camuffando la sua perplessità, tuttavia, poiché la lezione lo aveva umiliato duramente, da allora perse l’interesse per la causa. Comunque, poiché aveva commentato tra gli amici più cari la privilegiata intelligenza del prigioniero di Cesarea, pochi giorni dopo, la sua giovane moglie Drusilla espresse il desiderio di conoscere ed ascoltare l’apostolo. Suo malgrado, non potendo evitarlo, finì per portarla in presenza dell’ex rabbino.
152. Di origine giudaica, Drusilla non si accontentò, come aveva fatto il marito, di semplici domande superficiali. Desiderosa di sondare le sue idee più a fondo, gli chiese un commento generale della nuova dottrina che aveva abbracciato e cercato di diffondere.
153. Di fronte a figure di spicco della Corte provinciale, l’apostolo valoroso dei gentili fece un brillante panegirico del Vangelo, mettendo in evidenza l’indimenticabile esemplificazione del Cristo e i doveri del proselitismo che spuntavano da tutti gli angoli del mondo. La maggior parte degli ascoltatori mostrava evidente interesse; ma, quando cominciò a parlare della resurrezione e dei doveri dell’uomo di fronte alle responsabilità nel mondo spirituale, il governatore impallidì, fermando la predicazione.
154. «Per oggi basta!» – disse con autorità. – «La mia famiglia potrà ascoltarti un’altra volta, se vogliono, perché per quanto mi riguarda, non credo nell’esistenza di Dio!»
155. Paolo di Tarso ricevette l’osservazione con serenità e rispose con benevolenza: «Apprezzo la delicatezza della vostra dichiarazione, e tuttavia, signor governatore, oso richiamare la vostra attenzione nel considerare la questione, perché quando un uomo dice di non accettare la paternità dell’Onnipotente, significa, di regola, che teme il giudizio di Dio».
156. Felice gli lanciò uno sguardo iracondo e andò via con i suoi parenti, promettendo a se stesso di lasciare il prigioniero consegnato alla sua sorte.
157. In considerazione di ciò, anche se rispettato per l’onestà e la lealtà, Paolo dovette soffrire due anni di prigionia a Cesarea. Approfittò di questo tempo per mantenere rapporti costanti con le sue chiese ben amate. Innumerevoli messaggeri andavano e venivano, chiedendo consigli e portando pareri e istruzioni. In questo periodo, l’ex dottore di Gerusalemme sottopose all’attenzione di Luca il suo vecchio progetto di scrivere una biografia di Gesù, utilizzando le informazioni di Maria; si lamentò di non essere in grado di andare a Efeso, dandogli l’incombenza di questo lavoro che reputava di capitale importanza per i seguaci del cristianesimo.
158. Il medico amico soddisfò pienamente il desiderio, lasciando in eredità ai posteri il prezioso resoconto della vita del Maestro, ricco di luci e di speranze divine. Finite le annotazioni evangeliche, lo spirito dinamico dell’apostolo dei gentili chiamò l’attenzione alla necessità di un lavoro che raccontasse anche le attività apostoliche subito dopo la partenza del Cristo, affinché il mondo potesse conoscere le gloriose rivelazioni della Pentecoste e, così, ebbe origine il meraviglioso rapporto di Luca, ossia “Gli Atti degli Apostoli”.
159. Nonostante la condizione di prigionia, il convertito di Damasco non allentò il lavoro un solo giorno, utilizzando tutte le risorse a portata di mano a favore della diffusione della Buona Novella.
*
(Atti 25,1-5): [1]Festo dunque, raggiunta la provincia, tre giorni dopo salì da Cesarèa a Gerusalemme. [2]I sommi sacerdoti e i capi dei giudei gli si presentarono per accusare Paolo e cercavano di persuaderlo, [3]chiedendo come un favore, in odio a Paolo, che lo facesse venire a Gerusalemme; e intanto disponevano un tranello per ucciderlo lungo il percorso. [4]Festo rispose che Paolo stava sotto custodia a Cesarèa e che egli stesso sarebbe partito fra breve. [5]«Quelli dunque che hanno autorità tra voi, disse, vengano con me e se vi è qualche colpa in quell'uomo, lo denuncino».
160. Il tempo correva veloce. Gli israeliti, però, non abbandonarono mai il primitivo piano di eliminare il valoroso campione delle verità del Cielo. Il governatore fu spinto più volte sull’opportunità di rimandare il prigioniero a Gerusalemme, tuttavia si ricordava di ciò che Paolo aveva detto, e la sua coscienza vacillava. Oltre a quel che da solo era riuscito ad osservare, tenne conto anche di ciò che il tribuno Claudio Lisia gli aveva detto dell’ex rabbino con grande rispetto. Più per paura dei poteri soprannaturali attribuiti all’apostolo, che per la sua dedizione alle mansioni di amministratore, resistette a tutti gli attacchi dei giudei, mantenendo fermo il proposito di custodire l’imputato fino a quando non si fosse presentata l’occasione per un giudizio più ponderato.
161. Due anni di carcere scontò la fedina penale del grande amico dei gentili. Un ordine imperiale trasferì Felice all’amministrazione di un’altra provincia. Senza dimenticare la malinconia che Paolo aveva causato con la sua franchezza, rifletté se era il caso di abbandonarlo al suo destino.
162. Il nuovo governatore, Porcio Festo arrivò a Cesarea in mezzo a rumorose dimostrazioni popolari. Gerusalemme non poteva schivarsi dagli onori politici, e una volta assunto il potere, l’illustre concittadino fece visita alla grande città dei rabbini. Il Sinedrio colse l’occasione per requisire, immediatamente, il vecchio nemico di tanti anni. Un gruppo di dottori della Legge antica cercò cerimoniosamente un colloquio con il generoso romano, chiedendo la restituzione del prigioniero per il giudizio nel Tribunale religioso. Festo ricevette la commissione con molta dignità, e si dimostrò incline a soddisfare le richieste, ma, prudente per natura e per il dovere d’ufficio, disse che preferiva risolvere la questione a Cesarea, dove avrebbe potuto conoscere l’argomento con i dettagli essenziali. A tal fine, invitò i rabbini ad accompagnarlo nel suo ritorno. Gli israeliti gridarono di gioia. Tramavano i disegni più sinistri, per ricevere l’apostolo a Gerusalemme.
163. Il governatore era lì da dieci giorni, ma prima di tornare, qualcuno si dirigeva a Cesarea con il cuore sopraffatto e ansioso. Era Luca che, coraggioso e sollecito, aveva il proposito di informare il prigioniero delle singolari occorrenze. Paolo di Tarso ascoltò attentamente con serenità; ma quando il compagno si riferì ai piani del Sinedrio, l’amico dei gentili si fece pallido. Era stato deciso definitivamente che il disertore sarebbe stato crocifisso, come il divin Maestro, nello stesso luogo del Teschio[67].
164. C’erano i preparativi per inscenare fedelmente il dramma del Calvario. L’imputato avrebbe portato la croce lassù, sfidando gli scherni della plebe, c’erano anche quelli che parlavano di un sacrificio contestuale di due ladri, per ripetere ogni particolare caratteristico del martirio del Falegname.
165. Non poche volte l’apostolo manifestò una forte impressione di stupore. Infine, brusco ed energico, esclamò: «Ho sperimentato percosse, lapidazioni e insulti ovunque, ma, di tutte le persecuzioni e le prove, questa è la più assurda! ...»
166. Il medico stesso non sapeva come interpretare questo concetto, e l’ex rabbino continuò: «Dobbiamo evitarlo con tutti i mezzi a nostra disposizione. Come possiamo interpretare questa deliberazione stravagante di ripetere la scena del Calvario? Quale discepolo avrebbe avuto il coraggio di rappresentare questa falsa parodia, con l’idea meschina di attingere il piano del Maestro, nella Sua testimonianza agli uomini? Il Sinedrio si sbaglia! Nessuno al mondo avrà un Calvario pari a quello del Cristo. Sappiamo che a Roma i cristiani cominciano a morire in sacrificio, presi come poveri schiavi. I poteri perversi del mondo scatenano una tempesta di ignominia sulla fronte dei fedeli del Vangelo. Se devo testimoniare di Gesù, lo farò a Roma. Saprò morire tra i compagni come un uomo comune e un peccatore, ma non mi sottometterò mai al ruolo di falso imitatore del Messia promesso. Allora, poiché il processo sarà discusso nuovamente dal nuovo governatore, farò appello a Cesare».
167. Il dottore fece un gesto di stupore. Come la maggior parte dei cristiani eminenti di tutte le epoche, Luca non riusciva a capire quel gesto, interpretato a prima vista, come negazione della testimonianza.
168. «Ma…» – obiettò con qualche esitazione – «…Gesù non ha fatto ricorso ad alti funzionari nel sacrificio della croce, e temo che i discepoli non sapranno interpretare il tuo atteggiamento come conviene».
169. «Non sono d’accordo con te…» – rispose Paolo risoluto – «…se le comunità cristiane non sono in grado di capire la mia risoluzione in quest’ora singolare della mia vita, preferisco passare ai loro occhi come pedante e disattento. Sono un peccatore e devo disprezzare le lodi degli uomini. Se mi condannano, non è un errore. Sono imperfetto ed ho bisogno di testimoniare questa vera condizione della mia vita. In caso contrario, disturberebbe la mia coscienza, provocando un falso apprezzamento umano».
170. Luca, molto colpito, conservò l’indimenticabile lezione.
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(Atti 25,6-12): [6]Dopo essersi trattenuto fra loro non più di otto o dieci giorni, discese a Cesarèa e il giorno seguente, sedendo in tribunale, ordinò che gli si conducesse Paolo. [7]Appena giunse, lo attorniarono i giudei discesi da Gerusalemme, imputandogli numerose e gravi colpe, senza però riuscire a provarle. [8]Paolo a sua difesa disse: «Non ho commesso alcuna colpa, né contro la legge dei giudei, né contro il tempio, né contro Cesare». [9]Ma Festo volendo fare un favore ai giudei, si volse a Paolo e disse: «Vuoi andare a Gerusalemme per essere là giudicato di queste cose, davanti a me?». [10]Paolo rispose: «Mi trovo davanti al tribunale di Cesare, qui mi si deve giudicare. Ai giudei non ho fatto alcun torto, come anche tu sai perfettamente. [11]Se dunque sono in colpa e ho commesso qualche cosa che meriti la morte, non rifiuto di morire; ma se nelle accuse di costoro non c'è nulla di vero, nessuno ha il potere di consegnarmi a loro. Io mi appello a Cesare». [12]Allora Festo, dopo aver conferito con il consiglio, rispose: «Ti sei appellato a Cesare, e a Cesare andrai».
171. Tre giorni dopo questo colloquio, il governatore tornò alla sede del Governo provinciale, accompagnato da un numeroso seguito di israeliti disposti ad ottenere la consegna del famoso prigioniero.
172. Porcio Festo, con la serenità che gli era caratteristica negli atteggiamenti politici, cercò immediatamente di conoscere la situazione. Rivisitò il processo meticolosamente, confermando i titoli di cittadinanza romana dell’imputato, secondo la legislazione vigente. E notando l’insistenza dei rabbini che manifestavano grande ansia nella risoluzione della questione, convocò un’assemblea per il riesame dei capi d’accusa, al fine di soddisfare la politica regionale di Gerusalemme.
173. Il convertito di Damasco, spezzato nel corpo, ma sempre rinvigorito nello spirito, partecipò all’assemblea sotto gli sguardi spietati dei fratelli della stessa stirpe che cercavano la sua rimozione a tutti i costi. Il Tribunale di Cesarea attirò una grande folla, desiderosa di conoscere il nuovo processo. Gli israeliti discutevano, i cristiani commentavano il dibattito in posizione difensiva. Più di una volta, Porcio Festo fu costretto ad alzare la voce, chiedendo attenzione e silenzio.
174. Aperti i lavori della singolare assemblea, il governatore interrogò l’accusato, pieno di energia e nobiltà. Paolo di Tarso, comunque, rispose a tutte le accuse con la serenità che lo caratterizzava. Nonostante l’ostilità manifesta dei giudei, dichiarò che non si ricordava di averli offesi, e che mai in ogni atto della sua vita aveva attaccato il Tempio di Gerusalemme o le Leggi di Cesare.
175. Festo realizzò che aveva a che fare con una mente colta ed eminente, e che non sarebbe stato così facile consegnarlo al Sinedrio come aveva pensato in un primo momento. Alcuni rabbini insistettero chiaramente sul fatto che si doveva ordinare semplicemente il suo spostamento a Gerusalemme, senza tener conto di alcuna disposizione di legge. Il governatore, dal canto suo, non avrebbe esitato in questa particolare richiesta a far valere la sua influenza politica, ma si rifiutò di compiere un atto arbitrario, prima di conoscere le qualità morali di quell’uomo, fuoco degli intrighi giudaici.
176. Nel suo animo considerava che se si fosse trattato di un personaggio ordinario, avrebbe potuto consegnarlo senza paura all’autorità tirannica del Sinedrio, i quali, certamente, lo avrebbero liquidato, ma, altrettanto, ciò non sarebbe successo se si fosse verificata la nobiltà e l’intelligenza nel prigioniero, perché con il suo accurato senso politico, non voleva acquisire un nemico capace di danneggiarlo in futuro.
177. Pertanto, dopo aver riconosciuto le alte doti intellettuali e morali dell’apostolo, il suo atteggiamento cambiò completamente. Cominciò a considerare con più serietà l’interlocutore, giunse alla conclusione che sarebbe stato un crimine agire con parzialità nell’atto. Oltre alla cultura che l’imputato mostrava, era in possesso del titolo di cittadino romano legittimamente acquisito. Formulando nuove congetture e con immensa sorpresa dei rappresentanti affidati del Sinedrio, Porcio Festo chiese al prigioniero se consentiva di tornare a Gerusalemme per essere processato lì da lui e dal Tribunale religioso della sua stirpe. Paolo di Tarso, che comprese la trappola degli israeliti, rispose tranquillamente, riempiendo l’assemblea di stupore:
178. «Signor governatore, sono davanti al tribunale di Cesare per essere definitivamente giudicato. Per più di due anni aspetto la decisione di un processo che non riesco a comprendere. Come sapete, non ho offeso nessuno. Il mio carcere deriva solo dagli intrighi religiosi di Gerusalemme. Sfido, in questo caso, i concetti dei più esigenti. Se ho praticato qualche atto indegno, chiedo, per me stesso, la condanna a morte. Convocato a un nuovo processo, ritenevo che avevate il coraggio di rompere con le più basse aspirazioni del Sinedrio, facendo giustizia sulla vostra longanimità di amministratore coscienzioso e retto. Continuo confidando nella vostra autorità e nella vostra imparzialità, esente di favori che nessuno potrà esigere dai vostri incarichi onorevoli e delicati. Esaminate attentamente le accuse che mi tengono in carcere a Cesarea! Troverete che nessun potere provinciale può consegnarmi alla tirannia di Gerusalemme! Riconoscendo questa preziosa circostanza e invocando i miei titoli, anche se credo con tutto il cuore nelle vostre deliberazioni sagge e giuste, mi appello, già da adesso, a Cesare! ...»
179. L’atteggiamento inaspettato dell’apostolo dei gentili causò stupore generale. Porcio Festo, molto pallido, si riempì di serie meditazioni. Dalla sua cattedra di giudice aveva insegnato con generosità il modo di vivere a molti imputati e malfattori, però, in quell’ora indimenticabile della sua esistenza, trovò un reo che gli aveva parlato al cuore. La risposta di Paolo valeva un programma di giustizia e d’ordine.
180. Con immensa difficoltà chiese il ripristino della tranquillità nel Tribunale. I rappresentanti del giudaismo discutevano animatamente tra di loro; alcuni cristiani, più frettolosi, commentavano sfavorevolmente l’atteggiamento dell’apostolo, apprezzando con superficialità quella che ritenevano una negazione della sua testimonianza. Il governatore riunì in fretta il piccolo consiglio dei rabbini più influenti. I dottori della Legge antica insistevano che si usassero delle misure più energiche, nel presupposto che Paolo avrebbe cambiato idea con alcune bastonate. Tuttavia, senza trascurare la possibilità di una prestigiosa lezione per la sua vita pubblica, il Governatore chiuse gli orecchi agli intrighi di Gerusalemme, affermando che in nessun modo poteva transigere al compimento del dovere, in quel momento significativo della sua vita. Si scusò, deludendo i vecchi politici del Sinedrio e del Tempio, che lo fissavano con gli occhi dispettosi, e pronunciò le famose parole: «Ti sei appellato a Cesare? E a Cesare andrai!»
181. Con questa vecchia formula furono dichiarati chiusi i lavori del nuovo processo. I rappresentanti del Sinedrio si ritirarono estremamente arrabbiati, uno di loro esclamò ad alta voce un insulto al detenuto, che lo ricevette con serenità: «Solo i disertori maledetti si appellano a Cesare. Vattene dai pagani, indegno traditore! ...»
182. L’apostolo lo fissò con gentilezza, mentre si preparava a tornare in cella.
183. Il governatore, senza perdere tempo, determinò che si annotasse la petizione del reo, per i provvedimenti adeguati. Il giorno dopo intraprese lo studio del caso poiché si sentiva preda di una grande indecisione. Era impossibile inviare l’imputato alla capitale dell’impero senza giustificare le ragioni dell’arresto, per così tanto tempo, nelle carceri di Cesarea. Come procedere?
*
(Atti 25,13-27): [13]Erano trascorsi alcuni giorni, quando arrivarono a Cesarèa il re Agrippa e Berenìce, per salutare Festo. [14]E poiché si trattennero parecchi giorni, Festo espose al re il caso di Paolo: «C'è un uomo, lasciato qui prigioniero da Felice, contro il quale, [15]durante la mia visita a Gerusalemme, si presentarono con accuse i sommi sacerdoti e gli anziani dei giudei per reclamarne la condanna. [16]Risposi che i Romani non usano consegnare una persona, prima che l'accusato sia stato messo a confronto con i suoi accusatori e possa aver modo di difendersi dall'accusa. [17]Allora essi convennero qui e io senza indugi il giorno seguente sedetti in tribunale e ordinai che vi fosse condotto quell'uomo. [18]Gli accusatori gli si misero attorno, ma non addussero nessuna delle imputazioni criminose che io immaginavo; [19]avevano solo con lui alcune questioni relative la loro particolare religione e riguardanti un certo Gesù, morto, che Paolo sosteneva essere ancora in vita. [20]Perplesso di fronte a simili controversie, gli chiesi se voleva andare a Gerusalemme ed esser giudicato là di queste cose. [21]Ma Paolo si appellò perché la sua causa fosse riservata al giudizio dell'imperatore, e così ordinai che fosse tenuto sotto custodia fino a quando potrò inviarlo a Cesare». [22]E Agrippa a Festo: «Vorrei anch'io ascoltare quell'uomo!». «Domani, rispose, lo potrai ascoltare». [23]Il giorno dopo, Agrippa e Berenìce vennero con gran pompa ed entrarono nella sala dell'udienza, accompagnati dai tribuni e dai cittadini più in vista; per ordine di Festo fu fatto entrare anche Paolo. [24]Allora Festo disse: «Re Agrippa e cittadini tutti qui presenti con noi, voi avete davanti agli occhi colui sul conto del quale tutto il popolo dei giudei si è appellato a me, in Gerusalemme e qui, per chiedere a gran voce che non resti più in vita. [25]Io però mi sono convinto che egli non ha commesso alcuna cosa meritevole di morte ed essendosi appellato all'imperatore ho deciso di farlo partire. [26]Ma sul suo conto non ho nulla di preciso da scrivere al sovrano; per questo l'ho condotto davanti a voi e soprattutto davanti a te, o re Agrippa, per avere, dopo questa udienza, qualcosa da scrivere. [27]Mi sembra assurdo infatti mandare un prigioniero, senza indicare le accuse che si muovono contro di lui».
(Atti 26-1-32): [1]Agrippa disse a Paolo: «Ti è concesso di parlare a tua difesa». Allora Paolo, stesa la mano, si difese così: [2]«Mi considero fortunato, o re Agrippa, di potermi discolpare da tutte le accuse di cui sono incriminato dai giudei, oggi qui davanti a te, [3]che conosci a perfezione tutte le usanze e questioni riguardanti i giudei. Perciò ti prego di ascoltarmi con pazienza. [4]La mia vita fin dalla mia giovinezza, vissuta tra il mio popolo e a Gerusalemme, la conoscono tutti i giudei; [5]essi sanno pure da tempo, se vogliono renderne testimonianza, che, come fariseo, sono vissuto nella setta più rigida della nostra religione. [6]Ed ora mi trovo sotto processo a causa della speranza nella promessa fatta da Dio ai nostri padri, [7]e che le nostre dodici tribù sperano di vedere compiuta, servendo Dio notte e giorno con perseveranza. Di questa speranza, o re, sono ora incolpato dai giudei! [8]Perché è considerato inconcepibile fra di voi che Dio risusciti i morti? [9]Anch'io credevo un tempo mio dovere di lavorare attivamente contro il nome di Gesù il Nazareno, [10]come in realtà feci a Gerusalemme; molti dei fedeli li rinchiusi in prigione con l'autorizzazione avuta dai sommi sacerdoti e, quando venivano condannati a morte, anch'io ho votato contro di loro. [11]In tutte le sinagoghe cercavo di costringerli con le torture a bestemmiare e, infuriando all'eccesso contro di loro, davo loro la caccia fin nelle città straniere. [12]In tali circostanze, mentre stavo andando a Damasco con autorizzazione e pieni poteri da parte dei sommi sacerdoti, verso mezzogiorno [13]vidi sulla strada, o re, una luce dal cielo, più splendente del sole, che avvolse me e i miei compagni di viaggio. [14]Tutti cademmo a terra e io udii dal cielo una voce che mi diceva in ebraico: Saul, Saul, perché mi perseguiti? Duro è per te ricalcitrare contro il pungolo. [15]E io dissi: Chi sei, o Signore? E il Signore rispose: Io sono Gesù, che tu perseguiti. [16]Su, alzati e rimettiti in piedi; ti sono apparso infatti per costituirti ministro e testimone di quelle cose che hai visto e di quelle per cui ti apparirò ancora. [17]Per questo ti libererò dal popolo e dai pagani, ai quali ti mando [18]ad aprir loro gli occhi, perché passino dalle tenebre alla luce e dal potere di satana a Dio e ottengano la remissione dei peccati e l'eredità in mezzo a coloro che sono stati santificati per la fede in me. [19]Pertanto, o re Agrippa, io non ho disobbedito alla visione celeste; [20]ma prima a quelli di Damasco, poi a quelli di Gerusalemme e in tutta la regione della Giudea e infine ai pagani, predicavo di convertirsi e di rivolgersi a Dio, comportandosi in maniera degna della conversione. [21]Per queste cose i giudei mi assalirono nel tempio e tentarono di uccidermi. [22]Ma l'aiuto di Dio mi ha assistito fino a questo giorno, e posso ancora rendere testimonianza agli umili e ai grandi. Null'altro io affermo se non quello che i profeti e Mosè dichiararono che doveva accadere, [23]che cioè il Cristo sarebbe morto, e che, primo tra i risorti da morte, avrebbe annunziato la luce al popolo e ai pagani». [24]Mentr'egli parlava così in sua difesa, Festo a gran voce disse: «Sei pazzo, Paolo; la troppa scienza ti ha dato al cervello!». [25]E Paolo: «Non sono pazzo, disse, eccellentissimo Festo, ma sto dicendo parole vere e sagge. [26]Il re è al corrente di queste cose e davanti a lui parlo con franchezza. Penso che niente di questo gli sia sconosciuto, poiché non sono fatti accaduti in segreto. [27]Credi, o re Agrippa, nei profeti? So che ci credi». [28]E Agrippa a Paolo: «Per poco non mi convinci a farmi cristiano!». [29]E Paolo: «Per poco o per molto, io vorrei supplicare Dio che non soltanto tu, ma quanti oggi mi ascoltano diventassero così come sono io, eccetto queste catene!». [30]Si alzò allora il re e con lui il governatore, Berenìce, e quelli che avevano preso parte alla seduta [31]e avviandosi conversavano insieme e dicevano: «Quest'uomo non ha fatto nulla che meriti la morte o le catene». [32]E Agrippa disse a Festo: «Costui poteva essere rimesso in libertà, se non si fosse appellato a Cesare».
184. Invece, dopo pochi giorni Erode Agrippa e Berenice vennero a salutare il nuovo governatore in visita cerimoniosa e imprevista. Il preposto imperiale non poteva dissimulare le preoccupazioni che lo assorbivano, e dopo le solennità protocollari, dovute ad ospiti così illustri, raccontò ad Agrippa la storia di Paolo di Tarso, la cui personalità emozionava il più indifferente. Il re palestinese, che conosceva la fama dell’ex rabbino, espresse il desiderio di vederlo da vicino. Festo acconsentì deliziato non solo dalla possibilità di fornire un piacere all’ospite generoso, ma anche perché aspettava dalle sue impressioni qualcosa di utile per illustrare il processo dell’apostolo che si era attenuto ad essere presentato a Roma.
185. Porcio diede a questo atto un carattere festivo. Invitò le più eminenti personalità di Cesarea, riunendo una brillante assemblea intorno al re, nel migliore e più vasto auditorio della Corte Provinciale. Prima le danze e la musica; poi il convertito di Damasco, debitamente scortato, fu presentato dal proprio governatore, in termini discreti, ma cordiali e sinceri.
186. Erode Agrippa fu subito colpito, con forza, dalla figura debilitata e fragile dell’apostolo, in cui occhi sereni traducevano un’indistruttibile energia della sua stirpe. Curioso di conoscerlo meglio, chiese a lui di difendersi a viva voce.
187. Paolo capì il significato profondo di quel minuto e cominciò a storicizzare le tracce della sua esistenza con grande erudizione e sincerità. Il re lo ascoltava stupito. L’ex rabbino evocò l’infanzia, si fermò nei ricordi della gioventù, spiegò la sua avversione per i seguaci del Cristo Gesù e, esuberante di ispirazione, richiamò l’immagine del suo incontro con il Maestro risorto alle porte di Damasco, alla luce vivida del Sole. Poi passò ad enumerare le gesta dell’opera presso i gentili, le persecuzioni subite durante tutto il tempo e da tutte le parti per amore del Vangelo, concludendo con impetuosità che le sue predicazioni, in nessun modo contraddicevano, anzi, corroboravano le profezie dell’antica Legge dai tempi di Mosè.
188. Dando corso alla genialità ardente e facile, l’oratore aveva gli occhi raggianti e luminosi. L’assemblea aristocratica fu eminentemente impressionata dai fatti presentati, mostrando entusiasmo e gioia. Erode Agrippa, molto pallido, sembrava aver trovato una delle voci più profonde della rivelazione divina. Porcio Festo non nascose la sorpresa che gli assaliva improvvisamente lo spirito. Non presumeva nel prigioniero una così grande conoscenza di fede e di persuasione.
189. Sentendo l’apostolo descrivere le scene più belle del suo apostolato con gli occhi pieni di gioia e di luce, trasmettendo all’auditorio attento e commosso idee impreviste e singolari, il governatore considerò che si trattava di un folle illustre e disse ad alta voce, nell’intervallo di una pausa più lunga: «Paolo, sei un pazzo! Le tante letture ti hanno fatto delirare! ...»
190. L’ex rabbino, lungi dall’essere intimidito, rispose nobilmente: «V’ingannate! Non sono pazzo! Davanti alla vostra autorità di illustre romano, non avrei il coraggio di parlare in questo modo, perché riconosco che non siete adeguatamente preparato a sentirmi. I patrizi di Augusto sono anche di Gesù Cristo, ma ancora non conoscono appieno il Salvatore. A ciascuno dobbiamo parlare in base alla sua capacità spirituale. Tuttavia, signor governatore, se parlo con audacia è perché mi rivolgo a un re che non ignora il senso delle mie parole. Erode Agrippa avrà sentito Mosè fin dall’infanzia. È romano di cultura, ma si è alimentato della rivelazione di Dio dai suoi antenati. Nessuna delle mie dichiarazioni gli sarà sconosciuta. In caso contrario, egli avrebbe tradito la sua origine sacra, in quanto, tutti i figli della nazione che hanno accettato il Dio unico devono conoscere la rivelazione di Mosè e dei profeti. Non è così, re Agrippa?»
191. La questione provocò grande sorpresa. Neanche l’amministratore provinciale possedeva il coraggio di parlare con il re con tanta disinvoltura. L’illustre discendente di Antipa fu molto sorpreso. Estremo pallore gli ricoprì il viso. Mai nessuno gli aveva parlato così in tutta la sua vita.
192. Notando il suo atteggiamento intellettivo, Paolo di Tarso completò la potente frase aggiungendo: «So che credete!...»
193. Confuso dal coraggio dell’oratore, Agrippa scosse la fronte come se desiderasse allontanare qualsiasi idea inopportuna, sorrise vagamente e, facendo capire che era padrone di se stesso, disse in tono di scherzo: «Anche questo! Per poco non mi convinci a fare una professione di fede cristiana...».
194. L’apostolo non si arrese e continuò: «Volesse Dio che, per poco o molto, vi faceste un discepolo di Gesù, non solo per voi, ma per tutti coloro che ci hanno ascoltato oggi».
195. Porcio Festo sapeva che il re era molto più colpito rispetto a come si mostrava e, disposto a modificare l’ambiente, propose che le alte personalità si ritirassero per il pasto serale nel palazzo. L’ex rabbino fu riportato in carcere, lasciando sugli ascoltatori un’impressione duratura. Berenice, sensibilizzata, fu la prima a parlare, reclamando la clemenza per il prigioniero. Gli altri seguirono la stessa corrente di benevola simpatia. Erode Agrippa cercò una formula degna affinché all’apostolo gli fosse restituita la libertà. Il governatore, nondimeno, spiegò che, conoscendo la fibra morale di Paolo, aveva preso sul serio il suo appello a Cesare, essendo state messe su pergamene le prime istruzioni in merito. Sciente delle leggi romane, rifiutò il suggerimento, ma chiese un soccorso intellettuale del re alla lettera di giustificazione che il detenuto doveva presentare all’autorità competente nella capitale imperiale. Ansioso di preservare la sua tranquillità politica, il discendente di Erode non suggerì alcun nuovo consiglio, lamentando solo che il prigioniero aveva già fatto ricorso all’ultima istanza. Poi cercò di collaborare alla stesura del documento, mostrandosi contrario al predicatore del Vangelo solo perché aveva promosso numerose lotte religiose negli strati popolari, in disaccordo con l’unità della fede collimata dal Sinedrio come baluardo difensivo delle tradizioni del giudaismo. Per questo, il re stesso firmò come testimone, dando maggiore importanza agli allegati del preposto imperiale. Porcio Festo registrò l’aiuto, estremamente compiaciuto. Il problema era risolto, e Paolo di Tarso poteva partire con la prima leva di detenuti, in direzione di Roma.
196. Inutile dire che Paolo ricevette la notizia con serenità. Dopo un intendimento con Luca, chiese che la Chiesa di Gerusalemme fosse avvertita, come quella di Sidone, dove la nave, giustamente, avrebbe ricevuto merci e passeggeri. Tutti gli amici di Cesarea furono mobilitati al servizio dei commoventi messaggi che l’ex rabbino diresse alle amate chiese, tranne Timoteo, Luca e Aristarco, che si proposero di accompagnarlo alla capitale dell’impero.
*
(Atti 27,1-5): [1]Quando fu deciso che ci imbarcassimo per l'Italia, consegnarono Paolo, insieme ad alcuni altri prigionieri, a un centurione di nome Giulio della coorte Augusta. [2]Salimmo su una nave di Adramitto, che stava per partire verso i porti della provincia d'Asia e salpammo, avendo con noi Aristarco, un macedone di Tessalonica. [3]Il giorno dopo facemmo scalo a Sidone e Giulio, con gesto cortese verso Paolo, gli permise di recarsi dagli amici e di riceverne le cure. [4]Salpati di là, navigammo al riparo di Cipro a motivo dei venti contrari [5]e, attraversato il mare della Cilicia e della Panfilia, giungemmo a Mira di Licia.
197. I giorni scorsero veloci, fino a quando arrivò il momento in cui il centurione Giulio con la sua scorta andò a prendere i prigionieri per il viaggio burrascoso. Il centurione aveva pieni poteri per determinare tutte le disposizioni e, subito, mostrando simpatia per l’apostolo, ordinò che fosse condotto alla nave senza le manette, in contrasto con gli altri prigionieri.
198. Il Tessitore di Tarso, appoggiato al braccio di Luca, rivide, placidamente, la tela chiara e rumorosa della strada, accarezzando la speranza di una vita più elevata, in cui gli uomini potessero godere della fraternità nel Nome del Signore Gesù.
199. Il suo cuore era immerso in dolci pensieri e in ferventi preghiere, quando fu sorpreso dalla moltitudine compatta che si agitava premuta nella grande piazza del lungomare. File di vecchi, giovani e bambini, si accalcavano per giungere vicino a lui a pochi metri dalla battigia. Dinanzi, c’era Giacomo, vecchietto e distrutto, venuto da Gerusalemme con grandi sacrifici per portargli il bacio fraterno.
200. L’ardente difensore dei gentili non riuscì a dominare l’emozione. Stormi di bambini lo bersagliavano di fiori. Il figlio di Alfeo [Giacomo], riconoscendo la nobiltà di questo spirito eroico, gli prese la mano destra e la baciò con effusione. C’erano lì tutti i cristiani di Gerusalemme in condizione di fare il viaggio. C’erano i fratelli di Giaffa, di Lida, di Antipatride, di tutti i quadri della provincia. I bambini dei gentili si unirono ai piccoli giudei per salutare con affetto l’apostolo prigioniero. Vecchi zoppi si avvicinarono rispettosi ed esclamarono: «Non dovete partire!...»
201. Donne in atteggiamento umile ringraziavano per i benefici ricevuti dalle sue mani. Malati guariti commentavano del lavoro nella colonia che lui aveva suggerito ed aiutato a fondare nella Chiesa di Gerusalemme e proclamavano la loro gratitudine ad alta voce. I gentili, convertiti al Vangelo gli baciavano le mani, bisbigliando: «Chi ci insegnerà d’ora in poi ad essere figli dell’Altissimo?»
202. Bambini affettuosi si aggrappavano alla sua tunica, sotto gli occhi costernati delle madri.
203. Tutti gli chiedevano di restare, di non partire, che tornasse presto per il servizio benedetto di Gesù. Improvvisamente si ricordò la vecchia scena dell’arresto di Pietro, quando lui, Paolo, si era innalzato a carnefice dei discepoli del Vangelo quando, visitando la Chiesa di Gerusalemme, aveva condotto una spedizione punitiva.
204. Quelle dimostrazioni di affetto della gente parlavano dolcemente alla sua anima. Significava che non era più il carnefice spietato che, allora, non era stato in grado di comprendere la misericordia divina; loro traducevano il riscatto del suo debito verso l’anima del popolo. Con la coscienza un po’ sollevata, ricordò Abigail e cominciò a piangere. Lui era lì, nel seno dei “Figli del Calvario” che lo abbracciavano riconoscenti. Quei mendicanti, quegli storpi, quei piccoli bambini erano la sua famiglia.
205. In quell’indimenticabile istante della sua vita, si sentì completamente identificato nell’ordine dell’armonia universale. Brezze provenienti da mondi diversi erano il balsamo per la sua anima, come se avesse attinto ad una regione divina dopo aver vinto una grande battaglia. Per la prima volta, alcuni bambini lo chiamavano “padre”. Si chinò con più tenerezza verso i piccoli intorno a lui. Interpretò tutti gli episodi in quell’ora indimenticabile, come una benedizione di Gesù che lo univa a tutti gli esseri. Di fronte a sé il mare calmo somigliava ad un cammino infinito e sicuro di misteriosa e ineffabile bellezza.
206. Giulio, il centurione della guardia, si avvicinò commosso e parlò con dolcezza: «Purtroppo, è giunto il momento di partire».
207. E, testimone delle manifestazioni tributate all’apostolo, anche lui aveva gli occhi umidi. Molti prigionieri che aveva incontrato in quelle circostanze erano tutti rivoltosi, disperati, o pentiti convertiti. Lui invece era calmo e quasi felice. Una gioia indescrivibile gli traboccava dagli occhi luminosi. Inoltre, sapeva che quest’uomo, dedito al bene di tutte le creature, non aveva commesso alcuna colpa. Perciò rimase accanto a lui, come a voler condividere il trasporto affettuoso del popolo, come a dimostrare la considerazione che gli competeva.
208. L’apostolo dei gentili abbracciò gli amici per l’ultima volta. Tutti piangevano discretamente, alla maniera dei discepoli sinceri di Gesù, che non piangono senza consolazione; le madri si inginocchiavano insieme ai bambini piccoli sulla sabbia bianca, i vecchietti si appoggiavano a dei rudi bastoni, con immensa fatica. Tutti quelli che avevano abbracciato il campione del Vangelo, si misero in ginocchio, chiedendo al Signore di benedire il suo nuovo cammino.
209. Concludendo gli addii, Paolo evidenziò con serenità eroica: «Piangiamo di gioia, fratelli miei! Non c’è maggior gloria in questo mondo, di quella dell’uomo che segue la via di Cristo Gesù! ... Il Maestro andò incontro al Padre attraverso i tormenti della croce! Benediciamo la nostra croce di ogni giorno. Dobbiamo portare i segni del Signore Gesù! Non credo che tornerò qui con questo corpo spezzato dalle mie lotte materiali. Spero che il Signore mi conceda un’ultima testimonianza a Roma; in ogni caso, sarò con voi attraverso il cuore, tornerò alle nostre amate chiese in spirito, coopererò nel vostro sforzo durante i giorni più amari. La morte non ci separerà, allo stesso modo con cui non ha separato il Signore dalle comunità dei discepoli. Non saremo mai lontani gli uni dagli altri e, per questo motivo, Gesù ci ha promesso che sarebbe stato al nostro fianco fino alla fine dei secoli! ...»
210. Giulio ascoltava l’esortazione, commosso. Luca e Aristarco singhiozzavano sottovoce.
211. Poi l’apostolo prese il braccio dell’amico medico e, seguito da vicino dal centurione, camminò risoluto e sereno in direzione dell’imbarcazione.
212. Centinaia di persone accompagnarono le manovre della partenza con un raccoglimento santificato, bagnati di lacrime e pregando. Mentre la nave si allontanava lentamente, Paolo e i suoi compagni contemplarono Cesarea con gli occhi umidi. La folla silenziosa di coloro che erano in lacrime, salutò costeggiando la spiaggia, che la distanza a poco a poco fece scomparire. Gioioso e riconoscente, Paolo di Tarso pose lo sguardo al campo delle sue aspre lotte, meditando sui lunghi anni di ingiurie e riparazioni necessarie. Ricordò l’infanzia, i primi sogni di gioventù, l’inquietudine della giovinezza, il servizio dignitoso del Cristo, ebbe la sensazione che aveva lasciato la Palestina per sempre.
213. Pensieri grandiosi lo entusiasmavano, quando Luca si avvicinò e, indicando a distanza gli amici che ancora erano genuflessi, esclamò dolcemente: «Pochi fatti mi hanno toccato nel mondo come questo! Annoterei nei miei appunti quanto sei stato amato da tutti coloro che hanno ricevuto dalle tue mani fraterne il beneficio di Gesù! ...»
214. Paolo sembrò riflettere profondamente su quelle parole e disse: «No, Luca, non scrivere di virtù che non possiedo. Se mi ami, non è necessario esporre il mio nome a falsi giudizi. Devi scrivere, piuttosto, delle persecuzioni da me mosse ai seguaci del santo Vangelo; del favore che il Maestro mi ha dispensato alle porte di Damasco, in modo che gli uomini più induriti non disperino della salvezza e aspettino la Sua Misericordia al momento giusto; citerai le lotte che abbiamo sostenuto dal primo momento, di fronte alle accuse dei farisei e all’ipocrisia del nostro tempo; commenterai gli ostacoli superati, la dolorosa umiliazione, le innumerevoli difficoltà, in modo che i futuri discepoli non si aspettino la redenzione spirituale con il falso riposo del mondo, fiduciosi nei favori incomprensibili degli dèi, e sì, invece, con il lavoro duro e con i sacrifici benedetti del perfezionamento di se stessi. Devi parlare dei nostri incontri con gli uomini potenti e colti; dei nostri servizi vicino agli sfortunati e agli svantaggiati, affinché i seguaci del Vangelo, in futuro, non abbiano paura delle situazioni difficili e scabrose, consapevoli del fatto che i messaggeri del Maestro li assisteranno ogni volta che diventeranno strumenti legittimi di fraternità e amore, lungo i sentieri che si snodano per l’evoluzione dell’Umanità».
215. E dopo una lunga pausa in cui notava l’attenzione con cui Luca seguiva il suo ragionamento ispirato, proseguì in tono sereno e fermo: «Tuttavia, taci sempre le considerazioni, i favori che abbiamo raccolto nel lavoro, perché questo premio appartiene solo a Gesù. Fu Lui che rimosse le nostre miserie angosciose, riempiendo il nostro vuoto; era Sua la mano che ci prese caritatevolmente e ci condusse al sacro cammino. Non mi raccontasti le tue amare lotte nel passato lontano? Non ti ho raccontato come sono stato perverso e ignorante, in altri tempi? Così come mi ha illuminato le buie strade alle porte di Damasco, Egli mi portò alla Chiesa di Antiochia, affinché ascoltassi le verità eterne.
216. Per quanto abbiamo studiato, c’è un abisso tra noi e la sapienza eterna; per tanto che abbiamo lavorato, non siamo degni di Colui che ci guarda e ci guida dal primo momento della nostra vita. Nulla abbiamo di noi stessi! ... Il Signore riempie il vuoto della nostra anima e opera il bene che non possediamo. Questi vecchietti tremanti che ci hanno abbracciato in lacrime, i bambini che ci hanno baciato con tenerezza, l’hanno fatto al Cristo. Giacomo e i compagni non sono venuti da Gerusalemme solo per manifestarci la loro fraternità amorevole, hanno portato la testimonianza dell’amore verso il Maestro che ci ha riuniti tutti insieme nella stessa vibrazione di solidarietà sacrosanta, anche se non sanno tradurre i meccanismi occulti di queste grandi e sublimi emozioni.
217. In mezzo a tutto questo, Luca, siamo solo miseri servitori che hanno approfittato dei beni del Signore per pagare i propri debiti. Egli ci ha dato la misericordia perché la giustizia fosse compiuta. Queste gioie e le emozioni divine appartengono a Lui... Perciò non dobbiamo avere la minima preoccupazione di riferire episodi che altrimenti lascerebbero una porta aperta alla vanità incomprensibile. Che ci basti la profonda convinzione che abbiamo pagato per i nostri debiti clamorosi...».
218. Luca ascoltò stupefatto queste considerazioni opportune e giuste, senza sapere definire la sorpresa che ciò gli procurava.
219. «Hai ragione…» – disse infine – «…siamo troppo deboli per attribuirci qualsiasi valore».
220. «Inoltre…» – aggiunse Paolo – «…la battaglia del Cristo è avviata. Ogni vittoria apparterrà al Suo Amore, e non ai nostri sforzi di servi indebitati.... Quindi, scrivi le tue note nel modo più semplice, e non commentare nulla che non sia per lodare il Maestro nel suo Vangelo immortale! ...»
221. Mentre Luca cercava Aristarco per trasmettergli questi saggi e affettuosi suggerimenti, l’ex rabbino continuò a fissare le case di Cesarea che oramai scomparivano all’orizzonte. La galea navigò dolcemente lontano dalla costa... Per lunghe ore si lasciò distendere lì, meditando il passato che gli si presentava agli occhi spirituali come un immenso crepuscolo. Immerso nelle reminiscenze intervallate dalle preghiere a Gesù, rimase lì in significativo silenzio, fino a quando non cominciarono a brillare nel firmamento molto azzurro le prime stelle della notte.
[indice]
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Prigioniero per il Cristo
(Atti 27,6-8): [6]Qui il centurione trovò una nave di Alessandria in partenza per l'Italia e ci fece salire a bordo. [7]Navigammo lentamente parecchi giorni, giungendo a fatica all'altezza di Cnido. Poi, siccome il vento non ci permetteva di approdare, prendemmo a navigare al riparo di Creta, dalle parti di Salmona, [8]e costeggiandola a fatica giungemmo in una località chiamata Buoni Porti, vicino alla quale era la città di Lasèa.
1. La nave proveniente da Adramittio della Misia in cui viaggiavano l’apostolo e i compagni, il giorno dopo toccò il porto di Sidone, ripetendosi le scene toccanti del giorno prima. Giulio permise all’ex rabbino di incontrarsi con gli amici sulla spiaggia per i saluti, tra esortazioni di speranze e tante lacrime. Paolo di Tarso guadagnò prestigio morale agli occhi del comandante, dei marinai e delle guardie. La sua vibrante parola conquistava le attenzioni generali. Parlava di Gesù, non come un personaggio intangibile, ma come un Maestro amorevole e amico di tutte le creature, che seguiva da vicino l’evoluzione e la redenzione terrena dell’Umanità fin dai primordi. Tutti desideravano ascoltarlo sui concetti relativi al Vangelo e alla sua previsione in relazione al futuro dei popoli.
2. La nave lasciava intravedere spesso dei graditissimi paesaggi allo sguardo dell’apostolo. Dopo aver costeggiato la Fenicia, spuntarono i contorni dell’isola di Cipro, piena di affettuosi ricordi. Vicino a Panfilia esultò di intima gioia per il dovere compiuto, e così arrivarono al porto di Mira in Licia. Fu allora che Giulio decise di utilizzare per Paolo un passaggio in compagnia dei colleghi su una nave alessandrina, diretta in Italia. In questo modo il viaggio continuò, ma con prospettive sfavorevoli. La nave trasportava un carico in eccesso. Oltre alla grande quantità di grano, aveva a bordo duecentosettantasei persone. Inoltre, si avvicinava il periodo difficile per la navigazione. Il vento soffiava forte, contrastando la rotta. Dopo lunghi giorni, vogavano ancora nella regione del Cnido[68]. Superando difficoltà estreme, riuscirono a toccare alcuni punti di Creta.
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(Atti 27,9-26): [9]Essendo trascorso molto tempo ed essendo ormai pericolosa la navigazione poiché era già passata la festa dell'Espiazione, Paolo li ammoniva dicendo: [10]«Vedo, o uomini, che la navigazione comincia a essere di gran rischio e di molto danno non solo per il carico e per la nave, ma anche per le nostre vite». [11]Il centurione però dava più ascolto al pilota e al capitano della nave che alle parole di Paolo. [12]E poiché quel porto era poco adatto a trascorrervi l'inverno, i più furono del parere di salpare di là nella speranza di andare a svernare a Fenice, un porto di Creta esposto a libeccio e a maestrale. [13]Appena cominciò a soffiare un leggero scirocco, convinti di potere ormai realizzare il progetto, levarono le ancore e costeggiavano da vicino Creta. [14]Ma dopo non molto tempo si scatenò contro l'isola un vento d'uragano, detto allora «Euroaquilone». [15]La nave fu travolta nel turbine e, non potendo più resistere al vento, abbandonati in sua balìa, andavamo alla deriva. [16]Mentre passavamo sotto un isolotto chiamato Càudas, a fatica riuscimmo a padroneggiare la scialuppa; [17]la tirarono a bordo e adoperarono gli attrezzi per fasciare di gòmene la nave. Quindi, per timore di finire incagliati nelle Sirti, calarono il galleggiante e si andava così alla deriva. [18]Sbattuti violentemente dalla tempesta, il giorno seguente cominciarono a gettare a mare il carico; [19]il terzo giorno con le proprie mani buttarono via l'attrezzatura della nave. [20]Da vari giorni non comparivano più né sole, né stelle e la violenta tempesta continuava a infuriare, per cui ogni speranza di salvarci sembrava ormai perduta. [21]Da molto tempo non si mangiava, quando Paolo, alzatosi in mezzo a loro, disse: «Sarebbe stato bene, o uomini, dar retta a me e non salpare da Creta; avreste evitato questo pericolo e questo danno. [22]Tuttavia ora vi esorto a non perdervi di coraggio, perché non ci sarà alcuna perdita di vite in mezzo a voi, ma solo della nave. [23]Mi è apparso infatti questa notte un angelo del Dio al quale appartengo e che servo, [24]dicendomi: Non temere, Paolo; tu devi comparire davanti a Cesare ed ecco, Dio ti ha fatto grazia di tutti i tuoi compagni di navigazione. [25]Perciò non perdetevi di coraggio, uomini; ho fiducia in Dio che avverrà come mi è stato annunziato. [26]Ma è inevitabile che andiamo a finire su qualche isola».
3. Notando gli ostacoli del percorso e ubbidendo alla propria intuizione, l’apostolo, fiducioso nell’amicizia di Giulio, lo chiamò in privato, e suggerì di passare l’inverno a Kaloi-Limenes[69]. Il capo della coorte prese in considerazione il suggerimento e lo presentò al comandante e al pilota, i quali lo scambiarono per un’idiozia.
4. «Che significa questo, centurione?» – chiese il capitano, enfatico, con un sorriso ironico. – «Dar credito a questi prigionieri? Per quel che vedo, si tratta di un piano di fuga, lavorato con delicatezza e prudenza... Ma, sia come sia, la proposta è inaccettabile, non solo per la fiducia che abbiamo nelle nostre risorse professionali, come per il bisogno di raggiungere il porto di Phoenix, per il necessario riposo».
5. Il centurione si scusò come poté, ritirandosi alquanto vergognato. Desiderava protestare, spiegando che Paolo di Tarso non era un semplice imputato comune, che non parlava per sé, ma anche per Luca, che era stato ugualmente un uomo di mare dei più competenti. Tuttavia, non gli conveniva compromettere la sua brillante situazione politica e militare, entrando in antagonismo con le autorità provinciali. Era meglio non insistere, pena di essere frainteso dagli uomini della sua classe. Cercò l’apostolo e gli fece conoscere la risposta.
6. Paolo, lungi dall’amareggiarsi, sussurrò tranquillamente: «Non irritiamoci per questo! Sono sicuro che gli ostacoli saranno molto più grandi di quanto possiamo immaginare. Nondimeno, ne avremo qualche vantaggio, perché nelle ore angosciose ricorderemo la potenza di Gesù che ci ha avvisato in tempo».
7. Il viaggio proseguì tra paure e speranze. Anche il centurione ora si convinse dell’inopportunità di fermarsi a Kaloi-Limenes, perché, nei due giorni che seguirono il consiglio dell’apostolo, le condizioni atmosferiche furono abbastanza migliorate. Ben presto, però, quando entrarono in mare aperto, verso Phoenix[70], un uragano imprevisto si abbatté senza preavviso. A nulla valsero i provvedimenti improvvisati. La nave non poté resistere alla tempesta e, forzatamente, fu lasciata in balia del vento impetuoso che la spazzò molto lontano, avvolta in una fitta nebbia. Cominciò, così, la sofferenza angosciante per quelle creature isolate nell’abisso rivoltoso delle profonde onde furiose. La tempesta sembrava perpetuarsi. Passarono quasi due settimane mentre il vento continuava a ruggire incessante e distruttore. L’intero carico di frumento fu gettato via, tutto ciò che rappresentava un eccesso di peso e senza utilità immediata, fu inghiottito dal mostro insaziabile e ruggente!
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(Atti 27,27-44): [27]Come giunse la quattordicesima notte da quando andavamo alla deriva nell'Adriatico, verso mezzanotte i marinai ebbero l'impressione che una qualche terra si avvicinava. [28]Gettato lo scandaglio, trovarono venti braccia; dopo un breve intervallo, scandagliando di nuovo, trovarono quindici braccia. [29]Nel timore di finire contro gli scogli, gettarono da poppa quattro ancore, aspettando con ansia che spuntasse il giorno. [30]Ma poiché i marinai cercavano di fuggire dalla nave e già stavano calando la scialuppa in mare, col pretesto di gettare le ancore da prora, Paolo disse al centurione e ai soldati: [31]«Se costoro non rimangono sulla nave, voi non potrete mettervi in salvo». [32]Allora i soldati recisero le gòmene della scialuppa e la lasciarono cadere in mare. [33]Finché non spuntò il giorno, Paolo esortava tutti a prendere cibo: «Oggi è il quattordicesimo giorno che passate digiuni nell'attesa, senza prender nulla. [34]Per questo vi esorto a prender cibo; è necessario per la vostra salvezza. Neanche un capello del vostro capo andrà perduto». [35]Ciò detto, prese il pane, rese grazie a Dio davanti a tutti, lo spezzò e cominciò a mangiare. [36]Tutti si sentirono rianimati, e anch'essi presero cibo. [37]Eravamo complessivamente sulla nave duecentosettantasei persone. [38]Quando si furono rifocillati, alleggerirono la nave, gettando il frumento in mare. [39]Fattosi giorno non riuscivano a riconoscere quella terra, ma notarono un'insenatura con spiaggia e decisero, se possibile, di spingere la nave verso di essa. [40]Levarono le ancore e le lasciarono andare in mare; al tempo stesso allentarono i legami dei timoni e spiegata al vento la vela maestra, mossero verso la spiaggia. [41]Ma incapparono in una secca e la nave vi si incagliò; mentre la prua arenata rimaneva immobile, la poppa minacciava di sfasciarsi sotto la violenza delle onde. [42]I soldati pensarono allora di uccidere i prigionieri, perché nessuno sfuggisse gettandosi a nuoto, [43]ma il centurione, volendo salvare Paolo, impedì loro di attuare questo progetto; diede ordine che si gettassero per primi quelli che sapevano nuotare e raggiunsero la terra; [44]poi gli altri, chi su tavole, chi su altri rottami della nave. E così tutti poterono mettersi in salvo a terra.
8. La figura di Paolo fu considerata con venerazione. L’equipaggio della nave non poteva dimenticare il suo suggerimento. Il pilota e il comandante erano confusi e il prigioniero diventò oggetto di rispetto e considerazione unanime. Principalmente il centurione rimase costantemente con lui, credendo che l’ex rabbino avesse poteri soprannaturali e salvifici. L’abbattimento morale e il senso di vomito diffusero sgomento e terrore. L’apostolo generoso, tuttavia, accudiva tutti, uno per uno, spingendoli a prendere cibo e li confortava moralmente. Ogni tanto pronunziava il suo verbo eloquente e con il dovuto permesso di Giulio, parlava ai compagni delle ore amare, cercando di identificare le questioni spirituali con lo spettacolo convulsivo della natura.
9. «Fratelli...» – disse ad alta voce a quella strana congregazione che lo ascoltava passando tra l’angoscia e la paura – «…io credo che presto toccheremo terra ferma! Tuttavia, assumiamo l’impegno di non dimenticare mai la terribile lezione di quest’ora. Cerchiamo di camminare nel mondo come il vigilante marinaio che, ignorando il momento della tempesta, mantiene la certezza del suo arrivo. Il passaggio dell’esistenza umana alla vita spirituale somiglia a questi amari istanti che stiamo vivendo su questa nave da molti giorni. Non ignorate che fummo avvisati di tutti i pericoli nell’ultimo porto che ci ha invitato a sostare, liberi dagli incidenti distruttivi. Abbiamo cercato l’alto mare, per conto proprio.
10. Anche Gesù Cristo ci comunica gli avvertimenti celesti nel suo Vangelo di Luce, ma spesso optiamo per l’abisso delle esperienze dolorose e tragiche. L’illusione, come il vento del sud, sembra smentire le avvertenze del Salvatore, e proseguiamo sulla strada della nostra immaginazione viziata; tuttavia, la tempesta arriva all’improvviso. È necessario passare da una vita all’altra, al fine di raddrizzare la rotta inevitabile. Cominciamo a gettare i carichi pesanti dei nostri crudeli inganni, ad abbandonare i capricci criminali, al fine di accettare pienamente la volontà augusta di Dio.
11. Nel riconoscere la nostra insignificanza e afflizione, ci raggiunge un immenso assillo degli errori che ci hanno alimentato il cuore in modo tale, da farci sentire il nulla che rappresentiamo in questo baratro di legno fragile, fluttuante sull’abisso, in preda a quel singolare malessere che ci provoca nausee estreme! La fine dell’esistenza umana, nelle regioni sconosciute del mondo interiore, è sempre una tormenta come questa, poiché non siamo mai riusciti a guardare lontano e ad ascoltare gli avvertimenti divini, cercando la tempesta angosciante e distruttrice sulla mappa tracciata da noi stessi».
12. L’assemblea impaurita ascoltava quei concetti presa da un inconcepibile terrore.
13. Percependo che tutti erano fraternamente abbracciati nell’angoscia comune, continuò: «Contemplate il quadro delle nostre sofferenze. Vedete come il pericolo ci insegna la fratellanza immediata. Noi siamo qui, patrizi romani, mercanti di Alessandria, plutocrati della Fenicia, autorità militari, soldati, prigionieri, donne e bambini... Anche se diversi tra noi, davanti a Dio il dolore ci unisce come fratelli nei sentimenti, per lo stesso scopo di salvezza e di ristabilimento della pace. Credo che la vita sulla terra ferma sarebbe molto diversa se le creature lì si comprendessero come accade qui, ora, nelle distese marine».
14. Alcuni, sentendo la parola dell’apostolo, acquietarono il risentimento, ma la stragrande maggioranza si avvicinava riconoscendogli l’ispirazione superiore e desiderosa di rifugiarsi all’ombra delle sue eroiche virtù.
15. Dopo quattordici giorni di nebbia e tempesta, l’imbarcazione alessandrina raggiunse l’isola di Malta. Ci fu un’enorme gioia generale; ma il comandante, nel vedere andar via il pericolo e sentendosi umiliato dall’atteggiamento dell’apostolo durante il viaggio, suggerì a due soldati l’assassinio dei prigionieri di Cesarea, prima che potessero scappare. I preposti del centurione presero la paternità di questo suggerimento, ma Giulio si oppose duramente, lasciando percepire la trasformazione spirituale che ora lo rendeva felice, alla luce del Vangelo redentore. I prigionieri che sapevano nuotare si gettarono coraggiosamente in acqua; il resto si aggrappò a zattere di fortuna, in cerca della spiaggia.
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(Atti 28,1-6): [1]Una volta in salvo, venimmo a sapere che l'isola si chiamava Malta. [2]Gli indigeni ci trattarono con rara umanità; ci accolsero tutti attorno a un gran fuoco, che avevano acceso perché era sopraggiunta la pioggia ed era freddo. [3]Mentre Paolo raccoglieva un fascio di sarmenti e lo gettava sul fuoco, una vipera, risvegliata dal calore, lo morse a una mano. [4]Al vedere la serpe pendergli dalla mano, gli indigeni dicevano tra loro: «Certamente costui è un assassino, se, anche scampato dal mare, la Giustizia non lo lascia vivere». [5]Ma egli scosse la serpe nel fuoco e non ne patì alcun male. [6]Quella gente si aspettava di vederlo gonfiare e cadere morto sul colpo, ma, dopo avere molto atteso senza vedere succedergli nulla di straordinario, cambiò parere e diceva che era un dio.
16. I nativi dell’isola così come i pochi romani che lì risiedevano a servizio dell’amministrazione, accolsero i naufraghi con gentilezza; ma poiché erano numerosi, non vi era sistemazione per tutti. Un freddo intenso congelava i più resistenti. Paolo, invece, dando prova del suo valore e dell’esperienza nell’affrontare le intemperie, cercò di dare l’esempio ai più abbattuti, chiedendo che si facesse un fuoco all’istante. Dei grandi falò furono accesi rapidamente per il riscaldamento dei naufraghi, ma quando l’apostolo gettò un fascio di ramoscelli nella fiamma crepitante, una vipera gli inflisse nella mano i denti velenosi. L’ex rabbino la sostenne in aria con un gesto sereno, fino a quando la vipera non cadde tra le fiamme, tra lo stupore generale. Luca e Timoteo si avvicinarono afflitti. Il capo della coorte e alcuni amici erano desolati.
17. I nativi dell’isola, osservando il fatto, diedero l’allarme, affermando che quel rettile era il più velenoso della regione, e che le sue vittime non sopravvivevano per più di qualche ora. Gli indigeni, impressionati, si allontanarono discretamente. Altri, spaventati, affermarono: «Quest’uomo deve essere un grande criminale, poiché, salvandosi dalle onde selvagge, è venuto qui a incontrare il castigo degli dèi».
18. Non erano pochi quelli che attesero la morte dell’apostolo, contando i minuti; Paolo, tuttavia, riscaldandosi come poteva, osservava le espressioni di ognuno e pregava con fervore. Data la prognosi degli indigeni dell’isola, Timoteo si avvicinò cercando di riferirgli quello che dicevano di lui.
19. L’ex rabbino sorrise e sussurrò: «Non ti impressionare. Le opinioni del volgo sono molto incostanti, di questo ne ho fatto esperienza. Stiamo attenti ai nostri doveri, in quanto l’ignoranza è sempre pronta a passare dalla lode alla maledizione, e viceversa. È molto probabile che in poche ore mi considerino un Dio».
20. In effetti, quando videro che lui non accusava la minima impressione di dolore, gli indigeni cominciarono ad osservarlo come un’entità soprannaturale. Per loro, dal momento che era immune al veleno della vipera, non poteva essere un uomo comune, anzi era qualche inviato dall’Olimpo, a cui tutti avrebbero dovuto obbedire.
*
(Atti 28, 7-10): [7]Nelle vicinanze di quel luogo c'era un terreno appartenente al "primo dell'isola, chiamato Publio; questi ci accolse e ci ospitò con benevolenza per tre giorni. [8]Avvenne che il padre di Publio dovette mettersi a letto colpito da febbri e da dissenteria; Paolo l'andò a visitare e dopo aver pregato gli impose le mani e lo guarì. [9]Dopo questo fatto, anche gli altri isolani che avevano malattie accorrevano e venivano sanati; [10]ci colmarono di onori e al momento della partenza ci rifornirono di tutto il necessario.
21. In quel momento, il più alto funzionario di Malta, Publio Apiano, arrivato lì, ordinò i primi provvedimenti per salvare i naufraghi; questi furono condotti ai vasti capannoni disabitati, vicino alla sua residenza; lì ottennero del brodo caldo, medicine e vestiti. Il preposto imperiale riservò la stanza migliore della sua stessa casa per il capitano e il centurione Giulio, attento al prestigio dei loro rispettivi incarichi fino a che non si potessero ottenere nuovi alloggi sull’isola. Il capo della coorte, però, sentendosi ora estremamente legato all’apostolo dei gentili, sollecitò al generoso funzionario romano che accogliesse anche l’ex rabbino con la riverenza di cui aveva diritto, e allo stesso tempo ne lodò le virtù eroiche.
22. Consapevole dell’elevata condizione spirituale del convertito di Damasco e ascoltando i fatti meravigliosi che gli si attribuiva nei racconti delle cure, disse emozionato al centurione: «Molto bene! Ricordo prezioso è il vostro, anche perché ho qui mio padre malato, desidererei sperimentare le virtù di questo santo uomo del popolo di Israele! ...»
23. Invitato da Giulio, Paolo acconsentì senza paura e così arrivò a casa di Publio. Portato alla presenza dell’anziano malato, impose le sue mani callose e ruvide, in un’ardente e commovente preghiera. Il vecchietto che bruciava e si consumava nella febbre mortale, sperimentò sollievo immediato e rese grazie agli dèi della sua fede. Colti di sorpresa, Publio Apiano lo vide in piedi cercare la mano destra del benefattore per un bacio santo. L’ex rabbino, però, approfittò della situazione e, proprio lì, esaltò il divin Maestro, predicando le verità eterne e chiarendo che tutte le grazie provenivano dal Suo cuore misericordioso e giusto, e non dalle creature povere e fragili, come lui.
24. Il preposto dell’impero volle conoscere il Vangelo immediatamente, e Paolo di Tarso, togliendo dalle pieghe della tunica rotta i rotoli della Buona Novella, unico patrimonio rimasto nelle sue mani dopo la tempesta, iniziò a mostrare i pensieri e gli insegnamenti di Gesù, quasi con orgoglio. Publio ordinò che il documento fosse copiato, e promise di interessarsi alla situazione dell’apostolo, utilizzando i suoi rapporti a Roma, in modo da restituirgli la libertà.
25. La notizia della prodezza si diffuse in poche ore. Non si parlava d’altro, se non dell’uomo provvidenziale che gli dèi avevano inviato sull’isola, affinché i malati fossero curati e la gente ricevesse nuove rivelazioni.
26. Con la compiacenza di Giulio, l’ex rabbino e i suoi compagni ottennero dall’amministratore un vecchio salone dove i servizi evangelici poterono funzionare regolarmente durante i rigidi mesi invernali. Moltitudini di malati furono curati. Vecchi poverissimi, nella luminosità dei tesori del Cristo, raggiunsero nuove speranze.
*
(Atti 28,11-15): [11]Dopo tre mesi salpammo su una nave di Alessandria che aveva svernato nell'isola, recante l'insegna dei Diòscuri. [12]Approdammo a Siracusa, dove rimanemmo tre giorni [13]e di qui, costeggiando, giungemmo a Reggio. Il giorno seguente si levò lo scirocco e così l'indomani arrivammo a Pozzuoli. [14]Qui trovammo alcuni fratelli, i quali ci invitarono a restare con loro una settimana. Partimmo quindi alla volta di Roma. [15]I fratelli di là, avendo avuto notizie di noi, ci vennero incontro fino al Foro di Appio e alle Tre Taverne. Paolo, al vederli, rese grazie a Dio e prese coraggio.
27. Quando ritornò la stagione per la navigazione, Paolo aveva creato in tutta l’isola una vasta famiglia cristiana, piena di pace e nobili progetti per il futuro.
28. Consapevole degli imperativi della sua commissione, Giulio decise di partire con i prigionieri sulla nave “Castore e Polluce”, che aveva trascorso l’inverno da quelle parti e aveva come destinazione l’Italia. Il giorno dell’imbarco, l’apostolo ebbe la consolazione di verificare l’interesse affettuoso dei nuovi amici del Vangelo, ricevendo, sensibilizzato, le manifestazioni di affetto fraterno. La bandiera augusta del Cristo era stata spiegata anche lì, per sempre.
29. La nave partì in direzione della costa italiana con i venti favorevoli. Arrivati a Siracusa, in Sicilia, sostenuto dal generoso centurione, ora devoto amico, Paolo di Tarso approfittò dei tre giorni di permanenza in città per predicare il Regno di Dio, attraendo numerose creature al Vangelo.
30. Poi la nave proseguì per lo stretto, toccando Reggio, il giorno seguente approdarono a Pozzuoli (Puteoli), non lontano dal Vesuvio.
31. Prima di sbarcare, il centurione si avvicinò all’apostolo e, rispettosamente, disse: «Amico mio, fino ad ora siete stato sotto la protezione della mia personale amicizia diretta, ma da adesso in poi viaggiamo sotto gli occhi indagatori di coloro che vivono nei pressi della metropoli, perciò, dobbiamo prendere in considerazione la vostra condizione di prigioniero...».
32. Notando il suo naturale imbarazzo, misto di umiltà e rispetto, Paolo disse: «Ebbene, Giulio, non preoccuparti! So che hai bisogno di ammanettarmi i polsi per l’esatta esecuzione dei tuoi doveri. Affrettati a farlo, perché non sarebbe lecito compromettere un affetto così puro, come il nostro».
33. Il capo della coorte aveva gli occhi umidi, ma togliendo le catene da un piccolo sacchetto, disse: «Disputo la gioia di essere con voi. Vorrei essere come voi: un prigioniero del Cristo!...»
34. Paolo, porse la mano, commosso, rimanendo legato al centurione sotto lo sguardo amorevole dei tre compagni.
35. Giulio decise che i detenuti comuni fossero collocati nelle prigioni con le grate e che Paolo, Timoteo, Luca e Aristarco rimanessero in sua compagnia in una modesta pensione. Di fronte all’umiltà dell’apostolo e dei suoi collaboratori, il capo della coorte sembrava più generoso e fraterno. Desideroso di compiacere il vecchio discepolo di Gesù, inviò immediatamente qualcuno a sindacare se ci fossero dei cristiani a Pozzuoli e, in caso affermativo, che li portassero alla sua presenza, per conoscere i lavoratori della semina santa. Il soldato designato al compito, dopo poche ore, portò con sé un generoso vecchietto di nome Sesto Flacus, il cui volto era inondato dalla gioia più viva.
36. All’ingresso, si avvicinò al vecchio apostolo e gli baciò le mani, inondandole con lacrime di trasporto e spontaneo affetto. Si stabilì immediatamente una consolante conversazione a cui Paolo di Tarso partecipava toccato. Flacus riferì che la città aveva avuto da tempo la sua Chiesa, che il Vangelo guadagnava terreno nei cuori, che le lettere dell’ex rabbino erano oggetto di meditazione e di studio in tutte le case dei cristiani, e che essi riconoscevano nelle sue attività la missione di un messaggero del Messia salvatore. Prendendo una vecchia borsa, proprio lì, estrasse la copia della Lettera ai Romani, conservata dai confratelli di Pozzuoli con particolare affetto.
37. Paolo ascoltò tutto gradevolmente toccato, sembrava come se lui avesse raggiunto un mondo nuovo.
38. Giulio, a sua volta, era fuori di sé dalla gioia, mentre Sesto Flacus, indugiando nel suo naturale entusiasmo, inviò dei messaggi ai compagni. Poco a poco, la modesta locanda si riempì di volti nuovi. C’erano panettieri, commercianti e artigiani che venivano, timorosi, per stringere la mano dell’amico dei gentili. Tutti volevano assorbire i concetti dell’apostolo, guardarlo da vicino, baciare le sue mani. Paolo e compagni furono invitati a parlare nella Chiesa quella stessa notte e, consapevoli del fatto che il centurione voleva partire per Roma il giorno dopo, i discepoli sinceri del Vangelo, a Pozzuoli, pregarono Giulio di concedere il permesso a Paolo di rimanere con loro, almeno sette giorni, al che il capo della coorte accettò di buon grado.
39. La comunità visse ore di gioia immensa. Sesto Flacus e compagni inviarono due emissari a Roma, affinché gli amici della città imperiale fossero a conoscenza della venuta dell’apostolo dei gentili. E cantando lodi nel cuore, i credenti trascorsero giorni di illimitata beatitudine.
*
40. Passata la settimana di proficuo lavoro, felicemente, il centurione fece presente la necessità di partire.
41. La distanza da superare era di 200 chilometri, erano sette giorni di marcia consecutiva e faticosa. Il piccolo gruppo partì accompagnato da oltre cinquanta cristiani di Pozzuoli, che seguirono l’ex rabbino fino al Forum Appio, su cavalli resistenti, facendo affettuosa guardia ai carri delle guardie e ai prigionieri. In questo luogo, lontano da Roma poco più di quaranta miglia, l’apostolo dei gentili aspettò la prima rappresentanza dei discepoli del Vangelo nella città imperiale. Erano anziani emozionati, circondati da alcuni compagni generosi che, per poco, non portarono l’ex rabbino in braccio. Giulio non seppe nascondere la sorpresa che aveva nell’anima. Non aveva mai viaggiato con un prigioniero di tale prestigio. Dal Forum Appio la carovana si diresse ad un luogo chiamato “Le tre taverne”, accresciuta ora da un grande carro che portava gli anziani romani, ed era sempre circondata da cavalieri forti e ben disposti. In questa regione, singolarmente nominata, data la grande comodità dei suoi ostelli, altri veicoli e nuovi amici erano in attesa di Paolo di Tarso con sublimi manifestazioni di gioia. L’apostolo, adesso, contemplò le regioni del Lazio, entusiasmato da emozioni soavi e dolci. Ebbe l’impressione di essere in un mondo diverso dalla sua Asia, piena di lotte intestine.
42. Con il permesso di Giulio, la figura più rappresentativa dei romani anziani prese posto accanto a Paolo in quel gioioso fine viaggio. Il vecchio Apollodoro, dopo essersi assicurato della simpatia del capo della coorte per la dottrina di Gesù, si fece più vivo e più minuzioso nel suo notiziario verbale, rispondendo alle domande affettuose dell’apostolo dei gentili.
43. «Venite a Roma al momento giusto…» – disse il vecchietto in tono rassegnato – «…crediamo che la nostra sofferenza per Gesù si moltiplicherà. Siamo nel 61, ma è da tre anni che i discepoli del Vangelo cominciano a morire nell’arena del circo per l’augusto Nome del Salvatore».
44. «Sì» – disse Paolo di Tarso sollecito. – «Io non ero stato ancora incarcerato a Gerusalemme, quando mi riferirono delle persecuzioni, mosse dalle autorità romane ai sostenitori del cristianesimo».
45. «Non sono pochi…» – aggiunse l’anziano – «…quelli che hanno dato il loro sangue in spettacoli omicida. I nostri compagni sono caduti a centinaia, tra i fischi del popolo irrazionale, straziati da bestie feroci o ai pali del martirio...».
46. Il centurione, molto pallido, chiese: «Ma come può essere? Ci sono misure giuridiche che giustificano questi atti criminali?»
47. «E chi può parlare di giustizia nel governo di Nerone?» – rispose Apollodoro, con un sorriso di santa rassegnazione. – «Anche adesso in queste orribili carneficine ho perso un figlio molto amato».
48. «Ma, in che modo?» – domandò il capo della coorte stupefatto.
49. «Molto semplicemente…» – disse il vecchietto – «…i cristiani sono portati al circo del martirio e della morte, come schiavi ribelli e poverissimi. Finora non vi è alcuna base giuridica per giustificare una simile condanna, le vittime sono designate come prigionieri che meritano l’estrema punizione».
50. «Ma non c’è nessun politico capace, per lo meno, di smascherare il turpe sofisma?[71]»
51. «Quasi tutti gli statisti onesti e retti sono esiliati, per non parlare dei tanti indotti al suicidio dai rappresentanti diretti dell’imperatore. Crediamo che la persecuzione dichiarata ai discepoli del Vangelo non tarderà a lungo. La misura è stata ritardata solo per l’intervento di alcune signore convertite a Gesù, che stanno facendo di tutto per difendere i nostri ideali. Se non era per questo, forse, la situazione si sarebbe dimostrata più dolorosa».
52. «Dobbiamo rinnegare noi stessi e prendere la croce» – esclamò Paolo di Tarso, comprendendo l’inclemenza dei tempi.
53. «Tutto questo è molto strano per noi altri…» – ponderò giustamente Giulio – «…perché non vediamo alcuna ragione per tale tirannia. Si tratta di un controsenso la persecuzione dei seguaci del Cristo che lavorano per la formazione di un mondo migliore, quando dappertutto prosperano comunità di malfattori che necessitano dell’applicazione della legge. Su quale pretesto si promuove questo subdolo movimento?»
54. Apollodoro sembrò concentrarsi e rispose: «Ci accusano di essere nemici dello Stato che minano le sue basi politiche con idee sovversive e distruttrici. La concezione della bontà nel cristianesimo dà luogo a molti fraintesi sugli insegnamenti di Gesù. I romani influenti, i rinomati, non tollerano l’idea di fraternità umana. Per loro, il nemico è un nemico, lo schiavo è uno schiavo, il miserabile è un miserabile! Non ci pensano nemmeno ad abbandonare, per un attimo solo, le feste di piaceri facili e criminosi, per cogitare l’innalzamento del livello sociale. Rarissimi sono quelli interessati ai problemi della gente comune. Un patrizio caritatevole è additato con ironia. In un tale contesto, gli svantaggiati della fortuna trovano nel Cristo Gesù un Salvatore ben amato; i meschini, invece, nel Cristo trovano un avversario da eliminare affinché il popolo non alimenti speranze.
55. Esaminando queste circostanze, possiamo immaginare il progresso della dottrina cristiana tra gli afflitti e i poveri, tenendo conto che Roma è da sempre un enorme carro di trionfo mondano, con il suo seguito di carnefici autoritari e tirannici alla guida, circondati da folle affamate che raccolgono le briciole degli scarti. Le prime predicazioni cristiane passarono inosservate, ma quando le masse popolari dimostrarono di comprendere l’elevato grado di attuazione della nuova dottrina, cominciarono le aspre lotte. Da un culto libero nelle sue manifestazioni, il cristianesimo divenne rigorosamente fiscalizzato. Si dicevano che le nostre basi provenivano da stregoneria e sortilegi. Poi, come si verificarono delle piccole ribellioni degli schiavi nei palazzi nobili della città, i nostri incontri di preghiera e i benefici spirituali furono vietati. Le associazioni furono sciolte con la forza.
56. Ora, in vista delle garanzie che godono le cooperative funerarie, ci riuniamo a tarda notte nel cuore delle catacombe. Anche così, trovati dai servitori dell’imperatore, i nostri centri di preghiera stanno sperimentando pesanti torture.
57. «Tutto questo è orribile!» – esclamò il centurione addolorato. – «E quel che più meraviglia, è che ci siano funzionari disposti a eseguire determinazioni così ingiuste! ...»
58. Apollodoro sorrise e disse: «La tirannia di oggi giustifica tutto. Non portate, voi stesso, un apostolo ingiustamente imprigionato? Tuttavia, riconosco che siete un suo grande amico».
59. Il paragone del vecchio e arguto osservatore fece impallidire leggermente il centurione. – «Sì, sì» – mormorò, cercando di spiegarsi.
60. Paolo di Tarso, tuttavia, riconoscendo la posizione e l’imbarazzo dell’amico, si fece avanti chiarendo: «La verità è che non sono stato incarcerato per malizia, o per mancanza, dai romani che ignorano Gesù Cristo, ma dai fratelli della mia stirpe. Invece, tanto a Gerusalemme quanto a Cesarea, ho trovato la buona volontà più sincera da parte dei preposti dell’impero. In tutto questo, amici, ci sono le disposizioni al servizio del Maestro. Per l’esito indispensabile al successo dei Suoi sforzi redentori, i discepoli non potranno camminare nel mondo senza i segni della croce.
61. Gli interlocutori si scambiarono sguardi di soddisfazione. La spiegazione dell’apostolo aveva chiarito completamente il problema.
62. Il gruppo numeroso raggiunse Alba Longa, dove un nuovo contingente di cavalieri aspettavano il valoroso missionario. Da lì a Roma la carovana andò più lenta, sperimentando sublimi sensazioni di gioia. Paolo di Tarso, molto toccato, ammirava la bellezza dei paesaggi naturali dispiegati lungo la Via Appia. Ancora pochi minuti e i viaggiatori raggiunsero Porta Capena, dove centinaia di donne e bambini aspettavano l’apostolo. Era uno spettacolo commovente!
63. Il corteo si fermò per consentire agli amici di abbracciarlo. Il centurione, molto commosso, accompagnò l’indimenticabile scena contemplando delle donne anziane dai capelli innevati che baciavano le mani di Paolo, con infinita tenerezza.
64. L’apostolo, estasiato da quelle manifestazioni di affetto, non sapeva se contemplare i meravigliosi panorami della città dei sette colli o paralizzare il corso delle emozioni e prostrarsi in spirito, come giusto omaggio di riconoscimento a Gesù.
65. Ubbidendo alle riflessioni amiche di Apollodoro, il gruppo si sciolse. Tutta Roma era dolcemente inoltrata in un crepuscolo opalino. Brezze deliziose soffiavano da lontano riempiendo di balsamo soave il caldo pomeriggio. Considerando che Paolo aveva bisogno di riposo, il centurione decise di passare la notte in una locanda e presentarsi con i prigionieri nella caserma dei pretoriani il giorno dopo, dopo essersi rifatti dal lungo ed estenuante viaggio.
*
(Atti 28,16): [16]Arrivati a Roma, fu concesso a Paolo di abitare per suo conto con un soldato di guardia.
66. Solo la mattina seguente comparve davanti alle autorità competenti, presentando gli accusati. Ottima trovata quella, poiché l’ex rabbino si sentiva perfettamente ristorato. Alla vigilia, Luca, Timoteo ed Aristarco si separarono da lui per sistemarsi in compagnia dei fratelli d’ideale, fino a quando non si sarebbe chiarita la sua posizione.
67. Il centurione di Cesarea incontrò nella sede della Caserma di Via Nomentana alti funzionari che potevano fare a caso suo, in riferimento al motivo che lo aveva portato alla capitale dell’impero; tuttavia fece in modo di aspettare il generale Burro, amico personale dell’imperatore e noto per le sue tradizioni di onestà, con l’intenzione di chiarire il caso dell’apostolo.
68. Il generale lo ricevette con prontezza e cura ed era già stato sufficientemente informato del processo dell’ex rabbino, così come i suoi antecedenti personali nelle lotte e sacrifici che stava affrontando. Promise di studiare il caso con grande interesse, dopo uno sguardo attento alle pergamene inviate dalla Giustizia di Cesarea. In presenza dell’apostolo, affermò al centurione che, se i documenti comprovavano la cittadinanza romana dell’accusato, avrebbe goduto dei vantaggi della “libertà vigilata”, potendo vivere fuori dal carcere, accompagnato solo da una guardia, fino a quando la magnanimità di Cesare non avesse deciso sul suo ricorso.
69. Paolo fu messo in prigione con gli altri compagni, come misura preventiva fino all’esame della documentazione portata. Giulio lo salutò commosso, le guardie abbracciarono l’ex rabbino, addolorate e rispettose. Gli alti funzionari della caserma accompagnarono la scena con evidente sorpresa. Nessun prigioniero, fino ad allora, era entrato lì con tali manifestazioni di affetto e apprezzamento.
70. Dopo una settimana gli fu permesso il contatto permanente con Luca, con Aristarco e con Timoteo; l’apostolo ricevette l’ordine di prendere alloggio vicino alla prigione, privilegio conferito dai suoi titoli, anche se gli fu richiesto di rimanere sotto la vigilanza di una guardia, fino a quando il ricorso fosse definitivamente giudicato.
71. Aiutato dai confratelli della città, Luca affittò un’umile stanza in Via Nomentana, lì si trasferì il predicatore valoroso del Vangelo, pieno di coraggio e di fiducia in Dio.
72. Lontano dall’abbattersi di fronte agli ostacoli, continuò scrivendo le epistole consolanti e sagge per le comunità lontane. Il secondo giorno della sua nuova sistemazione, consigliò ai tre compagni di cercare lavoro, per non pesare sui fratelli, spiegando che lui, Paolo, avrebbe vissuto con il pane dei carcerati, come era giusto, fino a quando Cesare non avesse disposto il suo appello. Così fece.
73. Ogni giorno, di fatto, si recava lì verso le sbarre della prigione, dove prendeva la sua razione di cibo. Approfittava poi di quelle ore di convivenza con gli scellerati o vittime della malvagità umana per predicare la confortante verità del Regno, anche se ammanettati. Tutti lo ascoltavano con ammirazione spirituale, raggianti della notizia che non erano stati abbandonati dal Salvatore. Erano criminali dell’Esquilino[72], banditi delle regioni provinciali, malfattori di Suburra[73], servi, ladri, consegnati alla giustizia dai padroni per la rigenerazione necessaria, e poveri perseguitati dal despotismo dell’epoca, che soffrivano la terribile influenza dei vizi dell’amministrazione.
74. La parola di Paolo di Tarso fungeva da balsamo di sante consolazioni. I prigionieri guadagnavano una nuova speranza e molti si convertirono al Vangelo, come Onesimo, lo schiavo recuperato, che passò alla storia del cristianesimo nell’affettuosa epistola a Filemone.
*
(Atti 28,17-22): [17]Dopo tre giorni, egli convocò a sé i più in vista tra i Giudei e venuti che furono, disse loro: «Fratelli, senza aver fatto nulla contro il mio popolo e contro le usanze dei padri, sono stato arrestato a Gerusalemme e consegnato in mano dei Romani. [18]Questi, dopo avermi interrogato, volevano rilasciarmi, non avendo trovato in me alcuna colpa degna di morte. [19]Ma continuando i Giudei ad opporsi, sono stato costretto ad appellarmi a Cesare, senza intendere con questo muovere accuse contro il mio popolo. [20]Ecco perché vi ho chiamati, per vedervi e parlarvi, poiché è a causa della speranza d'Israele che io sono legato da questa catena». [21]Essi gli risposero: «Noi non abbiamo ricevuto nessuna lettera sul tuo conto dalla Giudea né alcuno dei fratelli è venuto a riferire o a parlar male di te. [22]Ci sembra bene tuttavia ascoltare da te quello che pensi; di questa setta infatti sappiamo che trova dovunque opposizione».
75. Il terzo giorno della nuova situazione, Paolo di Tarso chiamò gli amici per risolvere alcuni progetti che riteneva indispensabile. Chiarì la necessità di un accordo con gli israeliti. Intendeva trasmettergli gli splendori della Buona Novella. Tuttavia, era impossibile, al momento, una visita alla sinagoga. Senza paralizzare, però, l’impulso dinamico della sua mente vigorosa, chiese a Luca di convocare i capi del giudaismo nella capitale dell’impero, al fine di presentare un’esposizione dei principi, che presumeva conveniente.
76. Quello stesso pomeriggio, un gran numero di anziani di Israele comparirono nella sua stanza.
77. Paolo di Tarso espose le generose notizie del Regno di Dio e chiarì la sua posizione, comunicando le preziosità del Vangelo. Gli ascoltatori si mostrarono alquanto interessati, ma, presuntuosi delle loro tradizioni, finirono per assumere un atteggiamento riservato e dubbioso.
78. Quando finì la preghiera con entusiasmo, il rabbi Menandro esclamò a nome degli altri: «La vostra parola merita la nostra migliore considerazione, però, amico, non abbiamo ricevuto alcuna notizia dalla Giudea su di voi. Abbiamo, tuttavia, una certa conoscenza di questo Gesù a cui fate riferimento con tenerezza e venerazione. Si parla di lui a Roma come di un criminale rivoluzionario che meritò il castigo a Gerusalemme riservato ai ladri e ai delinquenti. La Sua dottrina è considerata contraria all’essenza della Legge di Mosè. Sinceramente, vogliamo sentirvi parlare di nuovo di questo Profeta, con la calma necessaria. D’altra parte, non è giusto che siamo solo noi ad ascoltare queste singolari notizie. Conviene che i vostri concetti siano diretti alla maggioranza dei nostri fratelli, in modo che i diversi giudizi isolati non pregiudichino gli interessi di tutti».
79. Paolo di Tarso percepì la finezza dell’osservazione e chiese di incontrarsi un altro giorno per la predicazione a un gruppo più grande, suggerimento che fu ricevuto dagli ebrei più anziani con giusto interesse.
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(Atti 28,23-28): [23]E fissatogli un giorno, vennero in molti da lui nel suo alloggio; egli dal mattino alla sera espose loro accuratamente, rendendo la sua testimonianza, il regno di Dio, cercando di convincerli riguardo a Gesù, in base alla Legge di Mosè e ai Profeti. [24]Alcuni aderirono alle cose da lui dette, ma altri non vollero credere [25]e se ne andavano discordi tra loro, mentre Paolo diceva questa sola frase: «Ha detto bene lo Spirito Santo, per bocca del profeta Isaia, ai nostri padri: [26]Và da questo popolo e dì loro: Udrete con i vostri orecchi, ma non comprenderete; guarderete con i vostri occhi, ma non vedrete. [27]Perché il cuore di questo popolo si è indurito: e hanno ascoltato di mala voglia con gli orecchi; hanno chiuso i loro occhi per non vedere con gli occhi non ascoltare con gli orecchi, non comprendere nel loro cuore e non convertirsi, perché io li risani. [28]Sia dunque noto a voi che questa salvezza di Dio viene ora rivolta ai pagani ed essi l'ascolteranno!». [29].
80. Il giorno stabilito, un vasto agglomerato di israeliti si ammassava nell’umile stanza dove l’ex rabbino aveva montato la sua nuova tenda dei lavori evangelici. Predicò la lezione della Buona Novella e spiegò pazientemente la gloriosa missione di Gesù, dalla mattina fino al pomeriggio. Alcuni sporadici fratelli della sua stirpe sembravano comprendere i nuovi insegnamenti, mentre la maggioranza si lasciava andare in interpolazioni polemiche, rumorose e sterili. L’apostolo ricordò il tempo dei suoi viaggi, vedendo lì l’esatta ripetizione delle fastidiose scene delle sinagoghe asiatiche, dove i giudei erano impegnati in aspri combattimenti.
81. La notte incombeva e le accalorate discussioni continuavano. Il Sole salutava il paesaggio, ricoprendo d’oro le cime delle colline lontane.
82. Osservando che l’ex rabbino si era fermato per guadagnare respiro, Luca si avvicinò e gli confidò: «Mi duole vedere quanto sforzo spendi per vincere lo spirito del giudaismo!...»
83. Paolo di Tarso rifletté un attimo e rispose: «Sì, è vero, constatare la rivolta volontaria dà fastidio al cuore, tuttavia, l’esperienza del mondo mi ha insegnato a discernere, in qualche modo, la posizione degli spiriti. Ci sono due categorie di uomini per le quali è più difficile il contatto rinnovatore con Gesù. Le prime sono quelli degli uomini che ho visto ad Atene, avvelenati dalla fallace scienza della Terra; uomini cristallizzati in una superiorità immaginaria presumendo molto di se stessi. Questi sono, a mio avviso, i più infelici. Le seconde sono quelle degli uomini che conosciamo, i giudei recalcitranti, che pur avendo una preziosa eredità del passato, non capiscono la fede senza le lotte religiose, si sono pietrificati nell’orgoglio della stirpe e perseverano in una falsa interpretazione di Dio. In tal modo intendiamo meglio la parola del Cristo che classificò i semplici e i pacifici della Terra come creature beate. Pochi gentili colti e rari giudei credenti nella Legge antica sono pronti per la scuola benedetta della perfezione con il divin Maestro».
84. Luca meditò sul giusto concetto dell’apostolo, ma nel frattempo le discussioni rumorose e fastidiose degli israeliti sembravano il fermento giusto per uno scontro inevitabile. L’ex rabbino, tuttavia, desideroso di pace, salì su di una tribuna improvvisata ed esclamò: «Fratelli, evitiamo dispute sterili e ascoltiamo la voce della nostra coscienza! Esaminate la Legge dei profeti, troverete da sempre la promessa del Messia, …che è già venuto! Da Mosè, tutti i mentori d’Israele si riferirono al Maestro, …con caratteri di fuoco. Cerchiamo di non essere colpevoli della nostra stessa sordità spirituale. Invocando le discussioni offensive di poco fa, ricordo la lezione di Isaia quando dichiara che molti guarderanno senza vedere, e ascolteranno senza capire. Sono gli spiriti induriti che, aggravando le proprie infermità, culminano in lotte disperate affinché Gesù possa, più tardi, convertirli e curarli con il balsamo del Suo infinito Amore. Tuttavia, potete essere certi che questo messaggio sarà ricevuto sotto i migliori auspici dai gentili più semplici e infelici che, in realtà, sono i beati di Dio».
85. Le dichiarazioni franche e impetuose dell’apostolo caddero nell’assemblea come un fulmine, imponendo un silenzio assoluto.
86. Tuttavia, contrastando con i sentimenti della maggioranza, un vecchietto giudeo si avvicinò al convertito di Damasco e disse: «Riconosco l’esatto significato delle vostre parole, ma desidero chiedervi di farmi continuare ad insegnare il Vangelo alla nostra gente. Ci sono seguaci di Mosè ben intenzionati che possono approfittare degli insegnamenti di Gesù, arricchendosi con i Suoi valori eterni».
87. L’appello affettuoso e sincero fu proferito in tono toccante. Paolo abbracciò il simpatizzante della nuova dottrina, profondamente sensibilizzato, e disse: «Quest’umile stanza è anche vostra. Venite a conoscere il pensiero del Cristo, sempre che vi faccia piacere. Potete copiare tutte le note che possiedo».
88. «E non insegnate nella sinagoga?»
89. «Per ora, poiché sono in arresto, non posso farlo, ma scriverò una lettera ai nostri fratelli di buona volontà».
90. In pochi minuti la riunione si sciolse con le prime ombre della notte.
91. Da allora, approfittando delle ultime ore di ogni giorno, i compagni di Paolo videro che lui scriveva un documento a cui dedicava profonda attenzione. A volte lo si vedeva scrivere in lacrime, come se desiderasse fare del messaggio un deposito di sante ispirazioni.
92. In due mesi consegnò il lavoro ad Aristarco per copiarlo, dicendo: «Questa è l’Epistola agli Ebrei. Ho fatto questione di graffarla, avvalendomi delle mie stesse risorse, poiché la dedico ai miei fratelli di stirpe e mi sono premunito di scriverla con il cuore».
93. L’amico capì il suo scopo e, prima di iniziare le copie, gli fece notare lo stile unico e le idee grandiose e non comuni.
94. Paolo continuò a lavorare instancabilmente per il bene di tutti. La sua situazione, come prigioniero, era la più confortevole possibile. Si costituì benefattore svelato di tutte le guardie che furono testimoni del suo sforzo apostolico. Ad alcuni portava sollievo al cuore con le gioie della Buona Novella, ad altri guariva una malattia cronica e dolorosa. Spesso, il beneficio non era limitato agli interessati, perché i legionari romani gli portavano parenti, amici e simpatizzanti, per beneficiarsi del contatto con quell’uomo dedito agli interessi di Dio. Fin dal terzo giorno non fu più ammanettato, perché i soldati, dispensandosi dalle formalità, facevano guardia alla sua porta più semplicemente come amici. Non di rado, questi benevoli militari lo invitavano a passeggiare per la città, in particolare, lungo la via Appia, diventata il suo luogo prediletto.
95. Sensibilizzato, l’apostolo ringraziava queste prove di condiscendenza. I benefici della sua vicinanza divennero ogni giorno più evidenti. Impressionati dal suo discorso educativo e dalle sue maniere riflessive, molti legionari, prima negligenti e lassisti, si trasformarono in elementi utili all’amministrazione e alla società. Le guardie cominciarono a disputarsi la sentinella della sua camera, e questo gli valeva come migliore attestato del suo valore spirituale.
96. Visitato incessantemente dai fratelli e dagli emissari delle sue amate Chiese, dalla Macedonia e dall’Asia, proseguì dispiegando energie nel lavoro di amorevole assistenza agli amici e collaboratori lontani, attraverso le sue ispiratissime lettere.
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(Atti 28, 30-31): [30]Paolo trascorse due anni interi nella casa che aveva preso a pigione e accoglieva tutti quelli che venivano a lui, [31]annunziando il regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza e senza impedimento.
97. Passarono quasi due anni, e il suo appello a Cesare giaceva dimenticato nei cassetti dei magistrati negligenti, quando accadde un evento di grande importanza. Un giorno, un legionario amico portò al convertito di Damasco un uomo dalle caratteristiche virili e forti, più o meno di 40 anni. Era Acacio Domizio, personalità di grande influenza politica che, da qualche tempo, era diventato cieco in circostanze misteriose.
98. Paolo di Tarso lo accolse con cordialità e, dopo avergli imposto le mani, chiarì cosa Gesù desiderava da quelli che si avvalevano della Sua generosità, ed esclamò emozionato: «Fratello, adesso, ti invito a vedere, nel Nome del Signore Gesù Cristo!»
99. «Vedo! Vedo!» – gridò il romano preso da gioia infinita; e di seguito, in un movimento istintivo, s’inginocchiò in lacrime mormorando: «Il vostro Dio è autentico!...»
100. Profondamente grato a Gesù, l’apostolo gli porse il braccio affinché lui si alzasse e, proprio lì, Domizio cercò di conoscere il contenuto spirituale della nuova dottrina, al fine di trasformarsi e cambiare vita.
101. Sollecito, annotò tutte le informazioni relative al processo dell’ex rabbino, sottolineando mentre salutava: «Dio mi aiuterà affinché possa restituirvi il bene che mi avete fatto! Per quanto riguarda la vostra situazione, non dubitate sul giusto esito, perché, nella prossima settimana, avremo risolto il caso con l’assoluzione di Cesare!»
*
102. Infatti, dopo quattro giorni, il vecchio servitore del Vangelo fu chiamato a testimoniare. Come da ordinanza, comparve da solo davanti ai giudici, rispondendo con ammirevole presenza di spirito sul più piccolo argomento che gli fu chiesto. I magistrati patrizi constatarono l’incongruenza dell’accusa, la puerilità delle argomentazioni presentate dal Sinedrio, non solo a causa del contesto politico di Acacio Domizio, il quale aveva coinvolto nell’azione le amicizie su cui poteva contare, come la profonda simpatia che la figura dell’apostolo suscitava; i giudici istruirono il processo con i più nobili pareri, rimandandolo, per mezzo di Domizio, al giudizio dell’imperatore.
103. Il generoso amico di Paolo gioì della vittoria iniziale, convinto della prossima libertà del suo benefattore. Senza perdita di tempo, mobilitò le migliori amicizie, tra le quali contava Poppea Sabina[74], per riuscire, nel proposito dell’assoluzione imperiale.
104. Paolo di Tarso ricevette la notizia con lodi di riconoscimento a Gesù. Più che lui stesso, ne gioirono gli amici, i quali celebrarono l’evento con espansioni memorabili.
105. Il convertito di Damasco, però, non vide in tutto ciò soltanto una ragione di gioia personale, ma l’obbligazione per intensificare la diffusione del Vangelo di Gesù.
106. Per un mese, al principio dell’anno 63, visitò le comunità cristiane di tutti i quartieri della capitale dell’impero. La sua presenza era contesa da tutte le cerchie, le quali lo accoglievano tra manifestazioni affettuose di rispetto e amore per la sua autorità morale. Organizzando piani di servizio per tutte le chiese domestiche che funzionavano in città. Dopo le innumerevoli prediche alla collettività nelle catacombe silenziose, il lavoratore instancabile decise di partire per la Spagna. Invano intervennero i collaboratori, implorandolo di desistere. Niente lo dissuase. Da molto tempo alimentava il desiderio di visitare l’Estremo Occidente e, se possibile, desiderava morire, convinto di aver portato il Vangelo fino ai confini del mondo.
[indice]
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Ultime fatiche a Roma, prima insieme a Pietro, poi da Nerone
L’incontro con il Maestro
1. Alla vigilia della partenza alla ricerca dei gentili spagnoli, ecco che l’apostolo ricevette una lettera toccante di Simon Pietro. L’ex pescatore di Cafarnao gli scriveva da Corinto, avvertendolo del suo prossimo arrivo alla città imperiale. La missiva era affettuosa e affascinante, piena di confidenze amare e tristi. Pietro confidava all’amico le sue ultime delusioni nell’Asia e si mostrava fortemente interessato a ciò che gli era accaduto a Roma. Ignorando che all’ex rabbino era stata restituita la libertà, cercava di confortarlo fraternamente. Anche lui, Simon, aveva deciso di esiliarsi tra i fratelli della metropoli imperiale, sperando di essere utile all’amico, in qualsiasi circostanza. Sempre nello stesso documento supplicò ardentemente che approfittasse del portatore della missiva per comunicare ai fratelli romani l’intenzione di stare un po’ di tempo tra di loro.
2. Il convertito di Damasco lesse e rilesse il messaggio amico, molto commosso.
3. Attraverso l’emissario, fratello della Chiesa di Corinto, fu avvertito che il venerabile apostolo di Gerusalemme sarebbe arrivato al porto di Ostia, all’incirca, dopo dieci giorni.
4. Non esitò un attimo. Fece ricorso a tutti i mezzi in suo potere, avvertì gli amici più intimi e preparò una casa modesta, dove Pietro poteva alloggiare con la famiglia. Creò il migliore ambiente per un’accoglienza rispettabile dell’amico. Avvalendosi dell’argomento del suo prossimo viaggio in Spagna, distribuiva i doni degli amici, indicando loro le esigenze di Simon, in modo che nulla gli venisse a mancare. Trasportò quanto possedeva in oggetti di uso domestico, dalla semplice stanza che aveva preso in affitto vicino a Porta Lavernale, alla casetta destinata a Simon, vicino ai cimiteri israeliti della via Appia. Questo esempio di cooperazione fu molto apprezzato da tutti. I fratelli più umili offrirono piccole utilità all’apostolo, ventilando l’ipotesi che ne sarebbe arrivato senza.
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5. Informato che la nave era entrata nel porto, l’ex rabbino si affrettò ad andare ad Ostia. Luca e Timoteo, sempre in sua compagnia, assieme ad altri collaboratori dedicati, lo sostenevano nei piccoli incidenti durante il cammino, dandogli il braccio, qui e là.
6. Non era possibile organizzare un ricevimento più estensivo. Le persecuzioni indiscriminate ai seguaci del Nazareno li assediavano su tutti i fronti. Gli ultimi consiglieri onesti dell’imperatore stavano scomparendo. Roma era spaventata dall’enormità di reati che accadevano ogni giorno. Figure nobili del patriziato e del popolo erano vittime di attentati crudeli. L’atmosfera di terrore dominava tutte le attività politiche e, all’apice di queste calamità, i cristiani erano i più duramente colpiti, in vista dell’atteggiamento ostile di quelli che si adagiavano sui vecchi dèi e banchettavano nei piaceri di una vita dissoluta e facile.
7. I seguaci di Gesù erano accusati di essere i responsabili di ogni difficoltà che si presentava. Se si abbatteva un temporale più forte, il fenomeno era dovuto agli adepti della nuova dottrina. Se l’inverno era stato più rigido, gli oneri pesavano su di loro, dal momento che nessuno, come i discepoli del Crocifisso, disprezzavano tanto i santuari del credo antico, aborrendo favori e sacrifici ai numi tutelari. A partire dal regno di Claudio[75], si erano sparse turpe leggende sulle pratiche cristiane. La fantasia popolare, avida della distribuzione del grano durante le grandi festività del circo, immaginava situazioni inesistenti, generando concetti stravaganti e assurdi verso i credenti del Vangelo. Pertanto, già dall’anno 58, i pacifici cristiani erano portati al circo come schiavi rivoluzionari o ribelli, che dovevano scomparire.
8. L’oppressione si aggravava di giorno in giorno. I romani più o meno distinti, per nome o per la loro situazione economica che simpatizzavano con la dottrina del Cristo, restavano indenni dalle pubbliche vessazioni, ma i poveri, i lavoratori, i figli della plebe, venivano condotti al martirio, a centinaia. Così, gli amici del Vangelo non prepararono nessun omaggio pubblico per l’arrivo di Simon Pietro. Cercarono, invece, di dare davvero un aspetto del tutto interiore, in modo da non suscitare sospetti o rappresaglie dai soldati dell’imperatore.
9. Paolo di Tarso, preso dalla gioia, stese le braccia al suo vecchio amico di Gerusalemme. Simon aveva portato la moglie, i figli, e Giovanni. La sua parola generosa era ricca di novità per l’apostolo dei gentili. In pochi istanti seppe della morte di Giacomo e delle nuove torture inflitte dal Sinedrio alla Chiesa di Gerusalemme. Il vecchio pescatore raccontò, con buonumore, le ultime peripezie della sua sorte. Commentò le testimonianze più pesanti con un amaro sorriso sulle labbra e intervallò tutta la narrazione con lodi a Dio.
10. Dopo aver fatto riferimento alle tante lotte che lo avevano impegnato nei suoi ripetuti pellegrinaggi, raccontò all’ex rabbino che si era rifugiato alcuni giorni a Efeso, insieme a Giovanni, ed essendo stato accompagnato dal figlio di Zebedeo fino a Corinto, decisero di recarsi alla capitale dell’impero. Paolo, a sua volta, gli riferì i lavori ricevuti da Gesù, in questi ultimi anni. Era da vedere l’ottimismo e il coraggio di questi uomini, infiammati dallo spirito messianico e amorevole del Maestro, che commentavano le delusioni e i dolori del mondo come lauree ed onori della vita. Dopo le amabili gioie dell’incontro, il gruppo si diresse discretamente alla casetta riservata a Simon Pietro e alla sua famiglia.
11. L’ex pescatore, sentendo l’eccellenza dell’accoglienza amorevole, non trovò le parole per tradurre la gioia della sua anima. Come Paolo, quando raggiunse Pozzuoli, ebbe l’impressione di trovarsi in un mondo diverso da quello in cui aveva vissuto fino ad allora.
12. Con il suo arrivo il servizio apostolico aumentò, ma il predicatore dei gentili non aveva abbandonato l’idea di andare in Spagna. Contando sul fatto che Pietro lo avrebbe sostituito vantaggiosamente, decise di imbarcarsi nel giorno prefissato, su una piccola nave diretta alla costa gallica. A niente valsero le amichevoli proteste, neanche l’insistenza di Simon a rinviare il viaggio. Accompagnato da Luca, Timoteo e Dema, il vecchio dottore della Legge partì all’alba di una bella giornata, pieno di magnifici progetti.
13. La missione visitò parte della Gallia dirigendosi verso il territorio spagnolo, indugiando nella regione di Tortosa. Ovunque la parola e le gesta dell’apostolo guadagnavano nuovi cuori per il Cristo, moltiplicando i servizi del Vangelo e rinnovando le speranze popolari, alla luce del Regno di Dio.
14. A Roma, invece, la situazione proseguiva sempre più grave. Con la malvagità di Tigellino[76] a capo della Prefettura dei pretoriani, si era accentuato il terrore tra i discepoli di Gesù. Mancava solo un editto in cui i cittadini romani, simpatizzanti del Vangelo, fossero condannati pubblicamente, poiché i liberti[77], i discendenti di altri popoli e i figli della plebe, già riempivano le prigioni.
15. Simon Pietro, come figura di rilevo del movimento, non aveva riposo. Nonostante la fatica naturale della senescenza, cercava di attendere a tutte le emergenti esigenze. Il suo spirito potente sovrapponeva tutte le vicissitudini e svolgeva i minimi doveri con la massima devozione per la causa della verità. Assisteva i malati, predicava nelle catacombe, percorreva lunghe distanze, sempre allegro e soddisfatto. I cristiani di tutto il mondo non potranno mai dimenticare questa falange abnegata che ha preceduto le prime testimonianze della fede, affrontando situazioni dolorose e ingiuste, bagnando con sangue e lacrime la semina del Cristo, abbracciandosi a vicenda, confortati nelle ore più buie della storia del Vangelo negli spettacoli orrendi del circo e nelle preghiere di angoscia che si alzavano nei cimiteri abbandonati. Tigellino, grande nemico dei proseliti del Nazareno, cercò di aggravare la situazione con tutti i mezzi a disposizione della sua autorità odiosa e perversa.
16. Il figlio di Zebedeo (Giovanni) si preparava a tornare in Asia, quando un gruppo di scagnozzi dei persecutori lo raggiunse mentre era in predicazione affettuosa e ispirata, durante la quale si congedava dai fratelli di Roma con toccanti esortazioni di riconoscimento a Gesù. Nonostante attente spiegazioni, Giovanni fu arrestato e percosso senza pietà. E con lui, decine di fratelli furono rinchiusi nelle prigioni immonde dell’Esquilino.
17. Pietro ricevette la notizia dolorosamente sorpreso. Conosceva la vastità dei lavori che aspettavano in Asia il generoso compagno, e pregò il Signore che non lo abbandonasse, fino ad ottenere la giusta assoluzione.
18. Come procedere in circostanze così difficili? Fece ricorso alle prestigiose relazioni che possedeva in città. Tuttavia, i suoi amici avevano scarsa influenza politica negli uffici amministrativi dell’epoca. I cristiani con buone situazioni finanziarie non osavano affrontare la schiacciante ondata di persecuzione e tirannia. Il vecchio capo della Chiesa di Gerusalemme non si scoraggiò. Era necessario liberare l’amico, utilizzando per questo, tutto il potenziale e l’energia esistente nella sfera delle sue possibilità. Comprendendo la naturale timidezza dei romani simpatizzanti del Cristo, cercò frettolosamente di raccogliere un insieme di amici intimi per esaminare il caso.
19. Nel bel mezzo dei dibattiti, qualcuno si ricordò di Paolo. L’apostolo dei gentili aveva nella capitale dell’impero un gran numero di affezionati eminenti. Nel caso della sua assoluzione, il provvedimento era partito dal cerchio prediletto di Poppea Sabina. Molti militari collaboratori di Afranio Burro erano suoi ammiratori. Acacio Domizio che disponeva di preziose rivendicazioni con i pretoriani, era un suo devoto e incondizionato amico.
20. Chi, meglio dell’ex tessitore di Tarso, poteva trattare la delicata missione per salvare il prigioniero? Non sarebbe stato ragionevole chiedere il suo aiuto? Si commentò l’urgenza del provvedimento, se non altro perché numerosi cristiani morivano ogni giorno nel carcere dell’Esquilino, vittime di ustioni da olio bollente. Tigellino e alcuni compari dell’amministrazione criminale si divertivano a tormentare le vittime. L’olio era scagliato agli infelici al palo del martirio. Altre volte, i prigionieri incatenati erano immersi in grandi botti di acqua bollente. Il Prefetto dei pretoriani esigeva dai corregionali che assistessero alle punizioni per il divertimento generale. I prigionieri accompagnavano le tristi punizioni bagnati di lacrime silenziose. Accertata la morte della vittima, un soldato era incaricato di lanciare le viscere ai pesci affamati nelle enormi vasche dell’odiosa prigione. Data la spaventosa situazione generale, non si sarebbe potuto contare sull’intervento di Paolo? La Spagna era troppo lontana. Era possibile che la sua presenza potesse essere sfruttata per il caso personale di Giovanni. Pietro, tuttavia, considerò l’opportunità della risorsa ed avvertì che avrebbe proseguito con il lavoro a favore del figlio di Zebedeo. Nulla impediva, tuttavia, di ricorrere immediatamente al prestigio di Paolo, anche perché la situazione peggiorava di momento in momento.
21. L’anno 64 era iniziato con prospettive disastrose. Non si poteva fare a meno di un uomo energico e risoluto davanti agli interessi della causa.
22. Su questo parere del venerabile apostolo di Gerusalemme, l’assemblea concordò con il provvedimento proposto. Un fratello che era diventato devoto collaboratore di Paolo a Roma, fu inviato in Spagna, con urgenza. Quest’emissario era Crescenzio, che lasciò Ostia con grande agitazione, portando la missiva di Simon. L’apostolo dei gentili, dopo tanto girovagare, indugiava a Tortosa, dove era riuscito a riunire un gran numero di collaboratori dedicati a Gesù. La sua attività apostolica era rimasta attiva, anche se attenuata, a causa della stanchezza fisica. Il movimento delle epistole era diminuito, ma non interrotto del tutto.
23. Tenendo in vista le necessità delle chiese d’Oriente, Timoteo era partito dalla Spagna per l’Asia, portando con sé lettere e raccomandazioni amiche. Intorno all’apostolo si era formato un nuovo gruppo di collaboratori diligenti e sinceri. In ogni angolo, Paolo di Tarso insegnava il lavoro e la rinuncia, la pace della coscienza e il culto del bene.
24. Mentre progettava nuovi viaggi in compagnia di Luca, ecco arrivare a Tortosa il messaggero di Simon. L’ex rabbino lesse la lettera e decise di ritornare immediatamente alla città imperiale. Tra le righe affettuose del vecchio amico, intravide la gravità della situazione. Inoltre, Giovanni necessitava di tornare in Asia. Non ignorava la benefica influenza che esercitava a Gerusalemme. Ad Efeso, dove la Chiesa era composta da elementi giudaici e gentili, il figlio di Zebedeo era sempre stato una figura nobile ed esemplare, indenne dallo spirito settario. Paolo di Tarso esaminò le esigenze del servizio evangelico tra le comunità orientali, e concluse l’urgenza del ritorno di Giovanni, deliberando d’intervenire in materia, senza indugio.
25. Come per le altre volte, a niente valsero le preoccupazioni degli amici per ciò che riguardava la questione della sua salute. Uomo energico e deciso, nonostante i capelli bianchi, aveva lo stesso spirito risoluto, elevato e fermo, che lo caratterizzò nella lontana giovinezza. Favorito dal grande movimento delle imbarcazioni all’inizio di maggio del 64, non gli fu difficile tornare al porto di Ostia insieme ai compagni.
*
26. Simon Pietro lo accolse affettuosamente. Poche ore dopo, il convertito di Damasco conosceva la situazione intollerabile creatasi a Roma dalle azioni criminose di Tigellino. Giovanni era ancora imprigionato, nonostante i ricorsi portati in tribunale. L’ex pescatore di Cafarnao, in significative confidenze, rivelò ai compagni che il suo cuore presagiva nuovi dolori e strazianti testimonianze. Un sogno profetico gli annunziò persecuzioni e dure prove. In una delle ultime notti, ebbe una singolare visione, in cui una croce di proporzioni gigantesche sembrava avvolgere con la sua ombra tutta la famiglia dei discepoli del Signore. Paolo di Tarso ascoltava con interesse, e si disse d’accordo con i suoi presentimenti.
27. Nonostante gli orizzonti così bui, deliberarono un’azione congiunta per liberare il figlio di Zebedeo. Correva il mese di giugno.
28. L’ex rabbino si dispiegò in intense attività, cercò Acacio Domizio, sollecitando il suo intervento e la sua influenza. Per giunta, considerando che i provvedimenti ritardatari potevano risultare un fallimento, aiutato dagli amici eminenti cercò di incontrarsi con i numerosi aulici[78] della Corte imperiale, arrivando alla presenza di Poppea Sabina, pur di invocare buoni provvedimenti nel caso del figlio di Zebedeo. La celebre favorita ascoltò le sue rivelazioni con grande sorpresa. Quegli annunci di vita eterna, quella concezione della Divinità la spaventavano. Anche se nemica dichiarata dei cristiani, data la simpatia che aveva per il giudaismo, Poppea Sabina fu colpita dalla figura ascetica dell’apostolo e dagli argomenti a supporto della sua richiesta di scarcerare Giovanni. Senza nascondere il suo stupore, promise di interessarsi, prendendo da subito misure immediate.
29. Paolo se ne andò speranzoso dell’assoluzione del compagno, perché Poppea Sabina aveva promesso di liberarlo entro tre giorni.
30. Tornando alla comunità, raccontò ai fratelli il colloquio che aveva avuto con la favorita di Nerone; ma alla fine del resoconto, notò sorpreso che alcuni compagni lo rimproveravano per la sua iniziativa. Stupito, chiese che gli fosse chiarito e giustificato ogni dubbio. Apparvero deboli considerazioni che lui accolse con la sua inesauribile serenità. Si sosteneva che non era lodevole cercare una dissoluta cortigiana per ottenere un favore. Tale condotta doveva essere proibita ai seguaci del Cristo. Poppea era una donna estremamente dissoluta, banchettava nelle orge del Palatino, si caratterizzava per la sua lussuria scandalosa. Sarebbe stato ragionevole chiedere la sua protezione per i discepoli di Gesù?
31. Paolo di Tarso accettò i fragili rimproveri con beatifica pazienza e, saggiamente, obiettò: «Rispetto e accetto la vostra opinione, ma, prima di tutto, considero essenziale liberare Giovanni. Se fossi io il prigioniero, non avrei giudicato il caso così urgente e così grave. Sono vecchio, debilitato, e pertanto, sarebbe stato meglio e più utile per me, chissà, meditare sulla misericordia di Gesù attraverso le sbarre del carcere. Ma Giovanni è relativamente giovane, è forte e dedicato; il cristianesimo in Asia non può rinunciare alla sua attività costruttiva, fino a quando altri lavoratori non saranno chiamati alla semina divina.
32. Riguardo ai vostri dubbi, devo tuttavia addurre un argomento che richiede ponderazione. Perché considerate impropria una richiesta a Poppea Sabina? Avreste la stessa idea se fossi andato da Tigellino, oppure, proprio dall’imperatore? Non saranno questi, vittime della stessa prostituzione che stigmatizza le favorite della sua Corte? Se mi mettessi d’accordo con un soldato ubriaco del Palatino sui provvedimenti necessari al rilascio del compagno, forse applaudireste il mio gesto, senza restrizioni. Fratelli, è essenziale comprendere che la caduta morale delle donne, viene quasi sempre dalla prostituzione dell’uomo.
33. Sono d’accordo che Poppea non è la figura più conveniente per questa operazione a causa delle inquietudini nella sua vita, tuttavia, è la provvidenza che indica le circostanze, e noi abbiamo bisogno di liberare il devoto discepolo del Signore. In questo caso, ho cercato di avvalermi di una simile risorsa, ricordando l’esortazione del Maestro che raccomanda all’uomo di procurarsi gli amici con le ricchezze dell’iniquità[79]. Considero che ogni rapporto con il Palatino costituisca espressioni di ricchezza iniqua, ma presumo utile mobilitare quelli che si conservano “morti” nel peccato, in qualche atto di carità e fede, con il quale si spengano i legami con il passato delittuoso, aiutati dall’intercessione di amici fedeli».
34. La chiarificazione dell’apostolo diffuse grande quiete in tutta la comunità. In poche parole, Paolo di Tarso mostrò ai suoi compagni le trascendentali conclusioni di ordine spirituale.
*
35. La promessa non fallì. In tre giorni il figlio di Zebedeo fu riportato in libertà. Giovanni era assai abbattuto. I maltrattamenti e la contemplazione dei quadri terribili della prigione, più l’attesa angosciosa, avevano gettato il suo spirito in dolorose perplessità.
36. Pietro si rallegrò, ma l’ex rabbino, consapevole della tensione nell’ambiente, suggerì il ritorno dell’apostolo galileo in Asia, senza perdita di tempo. La Chiesa di Efeso lo aspettava. Gerusalemme contava sulla sua collaborazione disinteressata e amica. Giovanni non ebbe tempo per molte considerazioni, perché Paolo, in possesso di quegli amari presentimenti, si recò al porto di Ostia per predisporre la propria partenza, utilizzando una nave napoletana in procinto di salpare per Mileto. Preso dai provvedimenti e incapace di resistere all’ex rabbino risoluto, il figlio di Zebedeo s’imbarcò alla fine di giugno del 64, mentre gli altri amici rimasero a Roma per la buona lotta a favore del Vangelo.
37. Quanto più tenebrosi erano gli orizzonti, tanto più unito diventava il gruppo dei fratelli nella fede in Cristo Gesù. Si moltiplicavano le riunioni in cimiteri lontani e abbandonati. In quei giorni di sofferenza, le predicazioni sembravano più belle.
38. Paolo di Tarso e i collaboratori stavano dispiegandosi in edificazioni spirituali, quando la città fu improvvisamente scossa da uno spaventoso evento. La mattina del 16 luglio del 64, un violento incendio scoppiò nelle vicinanze del Circo Massimo, coprendo l’intero quartiere situato tra il Celio e il Palatino. Il fuoco si era sviluppato nei vasti magazzini pieni di materiale infiammabile e si propagò con stupefacente rapidità. Invano furono chiamati dei lavoratori e uomini del popolo per mitigare la sua violenza; inutilmente la folla numerosa e compatta mobilitò le risorse per alleviare la situazione.
39. Lingue di fuoco salivano sempre più in alto, propagandosi con furia, lasciando cumuli di macerie e rovine. Tutta Roma accorreva a vedere lo spettacolo sinistro, già eccitata dalle sue passioni minacciose e terribili. Il fuoco, con prodigiosa rapidità, svoltò il Palatino ed invase il Velabro. Il primo giorno terminò con prospettive angoscianti. Il cielo era coperto da una spessa coltre di fumo, illuminando in gran parte le colline con il bagliore spaventoso del terribile incendio. Gli eleganti edifici dell’Aventino e del Celio sembravano alberi secchi di foreste in fiamme.
40. La disperazione si accentuò per le vittime dell’enorme catastrofe. Tutto ciò che era adiacente al Foro bruciava. Cominciò l’esodo con infinita difficoltà. Le porte della città erano congestionate dalla gente in preda ad un profondo terrore. Animali spaventati correvano lungo le strade pubbliche, come tormentati da persecutori invisibili. Palazzi antichi, di solida costruzione, si sbriciolavano con un fragore inquietante. Tutti gli abitanti di Roma volevano prendere distanza dalla zona comburente[80]. Nessuno osava attaccare il fuoco indomabile.
41. Il secondo giorno si presentò con lo stesso spettacolo indimenticabile. I popolani desistettero dal salvare qualcosa; accontentandosi di poter seppellire gli innumerevoli morti, trovati nei luoghi di possibile accesso. Decine di persone vagavano per le strade con risate di orribile accento; la follia si generalizzava tra le creature più impressionabili. Barelle improvvisate portavano senza meta i feriti. Lunghe processioni invasero i santuari per salvare le sontuose immagini degli dèi. Migliaia di donne accompagnavano le figure, impassibili, dei numi tutelari in dolorose suppliche, facendo voto di penosi sacrifici a voci stentoree. Uomini pietosi prendevano, nel vortice delle moltitudini deliranti, i bambini calpestati o solo feriti. L’intera area di accesso alla via Appia, in direzione di Alba Longa, era ingorgata da fuggiaschi precipitosi e delusi.
42. Centinaia di madri gridavano per i bambini scomparsi e, non di rado, si prendevano frettolosi provvedimenti per alleviare coloro che impazzivano. Allo stesso tempo, l’intera popolazione desiderava lasciare la città. La situazione era diventata pericolosa. La moltitudine ribelle attaccava le lettighe dei patrizi. Solo i cavalieri coraggiosi riuscivano a farsi largo tra l’enorme massa umana, causando nuove blasfemie e lamenti.
43. Il fuoco aveva divorato, quasi interamente, i palazzi nobili e preziosi delle Carine (Carinae) e continuava sbriciolando i quartieri romani, tra la pianura e le colline, dove la popolazione era molto consistente. Per una settimana, giorno e notte, dominò il fuoco distruttore, diffondendo desolazione e rovina. Dei quattordici distretti in cui si divideva la metropoli imperiale, solo quattro rimasero illesi. Tre erano una manciata di macerie fumanti e gli altri sette conservavano solo poche tracce degli edifici più preziosi.
44. L’imperatore era ad Anzio (Antium) quando irruppe l’incendio da lui stesso idealizzato, poiché la verità è che, volendo costruire una nuova città con le ingenti risorse finanziarie che provenivano dalle province, progettò il famoso incendio per superare in questo modo l’opposizione del popolo, che non voleva il trasferimento dei santuari.
45. Oltre a questa misura di ordine urbanistico, il figlio di Agrippina si caratterizzava, in tutto, per la sua originalità satanica. Si presumeva un geniale artista, ma non era che un mostruoso istrione che segnò il suo passaggio nella vita pubblica con crimini indelebili e odiosi. Non sarebbe interessante presentare al mondo una Roma in fiamme? Nessuno spettacolo, ai suoi occhi, sarebbe stato indimenticabile come questo. Dopo le ceneri morte, avrebbe riedificato i quartieri distrutti. Sarebbe stato generoso con le vittime dell’immensa catastrofe. Sarebbe passato alla storia dell’impero come un amministratore magnanimo e amico dei sudditi sofferenti.
46. Alimentando tali propositi, combinò l’orribile attacco con i suoi cortigiani di maggior fiducia e intimità, assentandosi dalla città per non destare sospetti negli spiriti dei politici più onesti.
47. Tuttavia, non fu in grado di prevedere, egli stesso, l’estensione della spaventosa calamità. Il fuoco aveva preso proporzioni indesiderabili. I suoi consiglieri meno degni non potevano presumere l’entità del disastro. Sottratto in fretta dai suoi piaceri criminali, l’imperatore arrivò in tempo per vedere l’ultimo giorno di fuoco, verificando le conseguenze dell’odiosa impresa. Si diresse ad uno dei punti più alti della città, guardò il mucchio di rovine e capì la gravità della situazione. Lo sterminio della proprietà privata aveva attinto proporzioni quasi infinite. Non era stato in grado di prevedere tali dolorose conseguenze.
48. Riconoscendo la giusta irritazione del popolo, Nerone cercò di parlare al pubblico, abbozzando alcune lacrime nella sua profonda capacità di simulare. Promise di aiutare la ricostituzione delle case private, dichiarò che condivideva la sofferenza generale e che Roma sarebbe rinata nuovamente, più imponente e più bella, dalle macerie fumanti. L’enorme folla ascoltò la sua parola, attenta ai suoi minimi gesti. L’imperatore, nella sua mimica teatrale, assunse atteggiamenti commoventi. Fece riferimenti ai santuari persi, sciolto in lacrime. Richiamò la protezione degli dèi in ogni frase ad effetto.
49. La folla era sensibilizzata. Mai un Cesare si era mostrato così paternamente toccato. Non sarebbe stato ragionevole dubitare delle sue promesse e considerazioni. Poi, in un dato istante, la sua parola vibrò più patetica ed espressiva. S’impegnò, solennemente, con il popolo, a punire inesorabilmente i responsabili. Avrebbe cercato i piromani per vendicare il disonore romano senza pietà. Pregò tutti gli abitanti della città di cooperare con lui, cercando e denunciando i colpevoli. Nel frattempo, quando il verbo imperiale divenne più significativo, fu osservato che la massa popolare si agitava in modo singolare.
50. La maggioranza schiacciante, come magnetizzata, solidarizzò un grido terribile: «I cristiani ai leoni! Alle belve!»
51. Il figlio di Agrippina (Nerone) aveva trovato la soluzione che stava cercando! Egli che cercava invano, nello spirito super eccitato, le nuove vittime delle sue macchinazioni abominevoli a cui potesse assegnare le colpe deplorevoli delle sue azioni, vide nel grido della folla minacciosa la risposta alle sue personali sinistre riflessioni. Nerone conosceva l’odio che il popolo esprimeva negli umili seguaci del Nazareno.
52. I discepoli del Vangelo si tenevano lontani e superiori alle abitudini dissolute e brutali dell’epoca. Non frequentavano il circo, si allontanavano dai templi pagani, non si prostravano davanti agli idoli né applaudivano le tradizioni politiche dell’impero. Inoltre, predicavano insegnamenti strani e sembravano attendere un nuovo regno. Il grande istrione del Palatino provò un impeto di gioia che invase i suoi occhi miopi e congestionati. La scelta del popolo romano non poteva essere migliore. I criminali dovevano essere i cristiani! Su di loro si sarebbe abbattuto il gladio vendicatore.
53. Scambiò uno sguardo penetrante con Tigellino, come ad esprimere che avevano trovato, per caso, la soluzione imprevista, e subito assicurò alla folla inferocita, che avrebbe preso misure immediate per frenare gli abusi e punire i colpevoli della catastrofe; e infine, che l’incendio sarebbe stato considerato un crimine di lesa maestà e sacrilegio, affinché le pene fossero anch’esse eccezionali.
54. Il popolo applaudì spietatamente, pregustando le sensazioni del circo, con smorfie bestiali e canti di tortura.
55. Le accuse nefande pesarono sui discepoli di Gesù come un terrificante fardello.
56. I primi arresti avvennero come un flagello maledetto. Numerose famiglie si rifugiarono nei cimiteri e nei dintorni della città distrutta, timorose dei carnefici implacabili. Furono praticati tutti i tipi di abusi. Giovani donne indifese furono consegnate, nelle carceri, agli istinti feroci di soldati senza cuore. Anziani rispettabili condotti in prigione ammanettati e picchiati. Bambini presi dal seno materno, tra lacrime e appelli toccanti. Una tempesta minacciosa cadde sui seguaci del Crocifisso, sottoponendosi a punizioni ingiuste, con gli occhi rivolti al cielo.
57. A nulla valsero, per Nerone, le considerazioni dei patrizi illustri, che ancora coltivavano tradizioni di prudenza e onestà. Quelli che si avvicinavano all’autorità imperiale con il contributo prezioso di giusti consigli, venivano dichiarati sospetti, aggravando la situazione.
58. Il figlio di Agrippina e i suoi aulici più vicini deliberarono che si offrisse al popolo il primo spettacolo ai primi dell’agosto del 64, come positiva dimostrazione dell’attività ufficiale contro i presunti autori dell’odioso attentato. Le altre vittime, cioè tutti i prigionieri che arrivavano in carcere dopo la festa iniziale, sarebbero serviti come ornamenti per il futuro godimento, nella misura in cui la città potesse, in prospettiva, ricomporsi con le nuove costruzioni. A tal fine, determinò la ricostruzione immediata del Circo Massimo.
59. Prima di accontentare le esigenze della Corte, l’imperatore desiderava le simpatie del popolo ignorante e sofferente, alimentando quello che potesse soddisfare i suoi strani capricci. La prima carneficina, progettata per distrarre l’umore popolare, fu realizzata negli immensi giardini, nella parte che era rimasta immune dalla distruzione, tra orge indecenti, a cui parteciparono la plebe e una grande frazione del patriziato, che si era arreso alla dissolutezza e alla depravazione.
60. La festa continuò per le notti successive, sotto il bagliore della splendida illuminazione e al ritmo armonioso di numerose orchestre che inondavano l’aria di melodie accattivanti. Nei laghi artificiali veleggiavano graziose barche, artisticamente illuminate. Nel seno del paesaggio, favorita dalle ombre della notte, che le potenti torce non riuscivano ad allontanare totalmente, si deliziava la depravazione a gioco libero. Accanto alle espressioni festive, si aggiunse il martirio dei poveri condannati. I cristiani erano dati al popolo per la punizione che ritenevano più giusta. Per questo, ad intervalli regolari, i giardini erano stati riempiti di croci, di bastoni, di fruste, e di altri innumerevoli strumenti di flagellazione. C’erano guardie imperiali per aiutare nelle attività punitive. In falò preparati, si trovavano olio e acqua bollente, così come, punte di ferro arroventate, da suggerimento per coloro che desiderassero utilizzarli.
61. I gemiti e i singhiozzi dei miserabili si coniugavano ironicamente con le note armoniose dei liuti. Alcuni spiravano tra lacrime e preghiere, sotto gli scherni del popolo; altri si consegnavano al martirio stoicamente, contemplando il cielo alto e stellato.
62. Il linguaggio più forte sarebbe povero per riferire l’immenso dolore dei devoti cristiani in quei giorni funesti. Nonostante gli indescrivibili tormenti, i fedeli seguaci di Gesù rivelavano la forza della fede in quella società perversa e decadente, sfidando le torture a loro riservate. Interrogati nei tribunali in quei momenti così tragici, dichiaravano apertamente la loro fiducia in Cristo Gesù, accettando le sofferenze con umiltà, per amore del Suo Nome.
63. Quell’eroismo sembrava inferocire ancora di più l’umore della moltitudine disumana. Essi inventarono nuovi generi di supplizi. La perversità presentava ogni giorno numeri nuovi nella sua velenosa eloquenza, ma i cristiani sembravano posseduti da un’energia diversa da quelle conosciute nei campi delle battaglie sanguinose. La pazienza invincibile, la potente fede, la capacità di resistenza morale, stupiva i più coraggiosi. Non furono pochi quelli che si arresero al sacrificio, cantando. Molte volte davanti ad un tale coraggio, i giustizieri improvvisati temettero il misterioso potere trionfante della morte.
64. Dopo il massacro di agosto, con grande entusiasmo popolare continuò la persecuzione incessante, affinché non mancassero le vittime per gli spettacoli periodici, offerti al popolo, eccitato per la ricostruzione della città.
65. Di fronte alla tortura e alla carneficina, il cuore di Paolo di Tarso sanguinava di dolore. La tormenta operava confusione in tutti i settori. I cristiani d’Oriente, in maggioranza, lavoravano per disertare il campo di lotta, costretti dalle impellenti circostanze della vita privata. Il vecchio apostolo, tuttavia, dello stesso parere di Pietro, biasimava questo atteggiamento. Ad accezione di Luca, tutti i collaboratori diretti, conosciuti in Asia, partirono (in direzione di Ostia per imbarcarsi per Mileto in Asia Minore e continuare lì la diffusione del Vangelo).
66. L’ex tessitore, tuttavia, facendo causa comune con gli indifesi, decise di aiutarli nel passaggio inaudito. Le chiese domestiche tacevano. I grandi saloni di Suburra, affittati per predicare la dottrina, chiusero. Ai seguaci del Maestro rimaneva un solo mezzo per incontrarsi e unirsi nella preghiera e nei pianti comuni: c’erano le riunioni nelle catacombe abbandonate! In verità non risparmiavano sacrifici per raggiungere questi luoghi tristi e isolati. Era in questi cimiteri dimenticati che trovavano conforto fraterno per il momento tragico che li visitava. Lì si pregava, si parlava delle splendide lezioni del Maestro e si chiedevano nuove forze per le testimonianze autorevoli.
67. Appoggiandosi a Luca, Paolo di Tarso affrontava il freddo della notte, le spesse ombre e i sentieri impervi. Mentre Simon Pietro (compresa la famiglia) era già partito per servire altri lontani territori, l’ex rabbino si dirigeva alle catacombe portando ai fratelli afflitti l’ispirazione del divin Maestro che gli brulicava nell’anima ardente. Spesso i sermoni erano svolti all’alba, quando il silenzio dominava la natura sovrana. Centinaia di discepoli ascoltavano la parola sfolgorante del vecchio apostolo dei gentili, sperimentando il potente influsso della sua fede. In questi luoghi sacri, il convertito di Damasco si associava ai canti che si mescolavano con i pianti dolorosi. Lo spirito santificato di Gesù, in quei momenti, sembrava librarsi di fronte a quei martiri anonimi, infondendo loro, la speranza divina.
68. Trascorsero due mesi dalla raccapricciante festa, ma il movimento nelle carceri aumentava di giorno in giorno. Il popolo si aspettava grandi celebrazioni. Alcuni palazzi nobiliari del Palatino, ricostruiti in linee sobrie ed eleganti, reclamavano omaggi dai poteri pubblici. Le opere di ricostruzione del Circo Massimo si trovavano a buon punto. Era imprescindibile programmare degne festività celebrative. A tal fine, le prigioni erano piene. Non sarebbero mancate le comparse per le scene tragiche. Si progettavano delle battaglie navali pittoresche e caccia all’uomo nel circo, nella cui arena sarebbero state riprodotte fedeli e famose rappresentazioni dal sapore mitologico.
69. I cristiani pregavano, soffrivano, speravano.
70. Una notte, Paolo rivolse ai fratelli una parola affettuosa nel commento del Vangelo di Gesù. I suoi concetti sembravano, più che mai, divinamente ispirati. Le brezze dell’alba penetravano nella grotta sepolcrale, illuminata da alcune torce tremolanti. La stanza era piena di donne e bambini, al lato di molti uomini incappucciati.
71. Dopo la commovente predica, ascoltata da tutti con gli occhi umidi di lacrime, l’ex tessitore di Tarso sostenne sollecito: «Sì, fratelli, Dio è più bello nei giorni più tragici. Quando le ombre minacciano il cammino, la luce è più preziosa e più pura. In questi giorni di sofferenza e di morte, quando la bugia ha detronizzato la verità e la virtù è stata sostituita dal crimine, ricordiamo Gesù nel legno infamante. La croce ha per noi un divino messaggio. Non disdegniamola, quale sacro testimonio, se il Maestro, nonostante fosse immacolato, raggiunse in questo mondo solo lotte silenziose e sulla croce sofferenze indicibili. Fortifichiamoci nell’idea che il Suo regno non è di questo mondo. Innalziamo e affidiamo il nostro spirito alla sfera del Suo Amore immortale.
72. La città dei cristiani non è sulla Terra; non potrebbe essere la Gerusalemme che ha crocifisso l’Inviato divino, né la Roma che gode nel versare il sangue dei martiri. In questo mondo siamo di fronte a lotte cruenti, lavorando per il trionfo eterno della pace del Signore. Non aspettiamoci, pertanto, di riposare nel luogo di lavoro né di dare testimonianze vive. Dalla città indistruttibile della nostra fede, Gesù ci contempla e ci allevia il cuore con il balsamo del Suo Amore. Camminiamo verso di Lui attraverso il supplizio e le perplessità dolorose. Egli è asceso al Padre dalla vetta del Calvario; noi seguiremo le Sue orme, accettando umilmente le sofferenze che, per amor Suo, ci sono riservate...».
73. Gli ascoltatori sembravano rapiti, sentendo le parole profetiche dell’apostolo. Tra le lapidi fredde e impassibili, i fratelli nella fede si sentivano più uniti tra di loro. In tutti gli occhi risplendeva la certezza della vittoria spirituale. In quelle espressioni di dolore e di speranza c’era un tacito accordo a seguire il Crocifisso al suo Regno di Luce. L’oratore fece una pausa, sentendosi sopraffatto da strani turbamenti.
74. In quell’istante indimenticabile, un gruppo di guardie irruppe prepotentemente nella grotta sepolcrale. Il centurione Volumnio, a capo di una pattuglia armata, eseguiva gli ordini di comparizione ad alta voce, mentre i credenti pacifici restavano paralizzati dalla sorpresa.
75. «In nome di Cesare!» – sbraitò il preposto imperiale esultando di soddisfazione. E ordinando ai soldati che facessero un cerchio intorno ai cristiani indifesi, continuò gridando in modo incredibile. – «E che nessuno tenti di fuggire! Chi tenterà, morirà come un cane!»
76. Appoggiandosi ad un robusto bastone, perché quella notte non aveva la compagnia di Luca, Paolo, eretto, evidenziando la sua energia morale, esclamò con fermezza: «Chi vi ha detto che scappiamo? Ignorate, per caso, che i cristiani conoscono il Maestro a cui servono? Siete emissario di un principe del mondo, che queste tombe aspettano; ma noi siamo lavoratori del Salvatore magnanimo e immortale! ...»
77. Volumnio lo guardò sorpreso. Chi era quel vecchio pieno di energia e di combattività?
78. Nonostante lo stupore che gli causava, il centurione espresse la sua antipatia con un sorriso ironico. Guardò l’ex rabbino da cima a fondo, con uno sguardo di disprezzo, e ribadì: «Badate bene quello che qui dite o fate...».
79. E dopo una risata, andò verso Paolo con arroganza: «Come osi sfidare l’autorità di Augusto? Ci devono essere, di fatto, differenze uniche, tra l’imperatore e il crocifisso di Gerusalemme. Non so dove potrebbe esserci il Suo potere di salvezza per lasciare le Sue vittime all’abbandono, in fondo alle carceri o ai pali del martirio...».
80. Queste parole furono scandite con pungente ironia, ma l’apostolo rispose con la stessa nobiltà di convinzione: «Vi sbagliate, centurione! Le differenze sono notevoli! ... Il fatto è che voi lavorate per un persecutore miserabile e odioso, e noi lavoriamo per un Salvatore che ama e perdona. Gli amministratori romani, senza principio, potranno inventare crudeltà, ma Gesù non lascerà mai di nutrire la fonte delle Sue benedizioni! ...»
81. La risposta produsse grande scalpore nelle catacombe. I cristiani sembrarono più calmi e fiduciosi; i soldati non nascosero l’enorme impressione che li dominava. Il centurione, pur riconoscendo l’audacia dello spirito coraggioso, non voleva apparire debole agli occhi dei subalterni, ed esclamò irritato: «Vai, Lucilio: tre bastonate a questo vecchio insolente».
82. L’incaricato avanzò verso l’apostolo, impassibile. Davanti all’ammirazione silenziosa dei presenti, le bastonate sibilarono nell’aria, colpirono in pieno il viso dell’apostolo che nemmeno così si alterò. I tre colpi furono veloci, e, un rivolo di sangue corse giù dal viso lacerato.
83. L’ex rabbino, a cui avevano preso il suo bastone di appoggio, si mantenne in piedi con qualche difficoltà, ma senza tradire il buonumore che caratterizzava la sua anima energica, fissò saldamente i carnefici e disse: «Potete danneggiare solo il corpo. Potete legarmi le mani e i piedi; rompermi la testa, ma le mie convinzioni sono intangibili, inaccessibili ai vostri processi di persecuzione».
84. Di fronte a tanta serenità, Volumnio si ritirò quasi atterrito. Non riusciva a capire l’energia morale che si trovava davanti agli occhi pieni di stupore. Cominciò a credere che i cristiani, indifesi e anonimi, avevano un potere che la sua intelligenza non riusciva a raggiungere. Sorpreso da una simile resistenza, organizzò in fretta le file dei poveri perseguitati che, umilmente, ubbidirono senza protestare. Il vecchio apostolo di Tarso prese posto tra i prigionieri senza tradire il minimo gesto di irritazione o di ribellione.
85. Osservando attentamente il comportamento delle guardie quando si mosse l’insieme delle vittime e dei carnefici, al primo contatto con l’aria fresca del mattino esclamò: «Chiediamo il massimo rispetto per le donne e i bambini! ...».
86. Nessuno ebbe il coraggio di rispondere all’osservazione, articolata in un grave tono di avvertimento. Proprio Volumnio sembrava obbedire inconsapevolmente agli ammonimenti di quell’uomo di fede, potente e invincibile. Il gruppo marciò in silenzio, attraversando le strade deserte, arrivando alla prigione di Mamertina quando all’orizzonte rigavano i primi bagliori dell’alba.
87. Gettati, previamente, in un cortile buio, fino ad essere alloggiati singolarmente in celle sbarrate e infette, i discepoli del Signore approfittarono di quei momenti rapidi per confortarsi a vicenda, per lo scambio di edificanti idee e consigli.
88. Paolo di Tarso, tuttavia, non si fermò. Chiese udienza al pubblico amministratore della prigione, prerogativa conferita al suo titolo di cittadinanza romana, che fu subito accolta. Espose la sua dottrina con sincerità e, impressionando l’autorità con il suo verbo fluente e seducente, richiamò i provvedimenti attinenti al suo caso, chiedendo la presenza di diversi amici come Acacio Domizio e altri, per deporre su quanto riguardava la sua condotta e i suoi antecedenti onesti.
89. L’amministratore vacillò nella risoluzione da adottare. Aveva gli ordini precisi di raccogliere in carcere tutti i componenti delle assemblee che fossero affiliati alla setta perseguitata ed esecrata. Tuttavia, le determinazioni di ordine superiore contenevano alcune restrizioni, nel senso di preservare, in qualche modo, gli “humiliores”[81], per i quali la Corte offriva la condizione della libertà nel caso prestassero giuramento a Giove, abiurando il Cristo Gesù. Esaminando i titoli di Paolo e conoscendo, attraverso le sue informazioni verbali, le relazioni prestigiose di cui poteva disporre negli ambienti romani, il capo della prigione di Mamertina decise di consultare Acacio Domizio sull’azione più appropriata al caso.
90. Chiamato allo studio della questione, l’amico dell’apostolo comparve svelto, cercando di parlare con il prigioniero dopo un lungo colloquio con il direttore del carcere.
91. Domizio spiegò al benefattore che la situazione era molto grave, che al Prefetto dei pretoriani era stato dato il potere di dirigere la campagna come meglio volesse; che tutta la prudenza era necessaria e che, in ultima istanza, c’era solo l’appello alla magnanimità dell’imperatore, al quale l’apostolo doveva presentarsi per difendersi di persona, nel caso venisse concessa la petizione a Cesare quello stesso giorno.
92. Sentendo queste considerazioni, l’ex rabbino ricordò che una notte, in mezzo alla tempesta, tra la Grecia e l’isola di Malta, aveva sentito la voce profetica di un messaggero di Gesù che gli annunciava la comparizione davanti a Cesare, senza chiarire i motivi dell’evento. Non sarebbe stato quello il momento preannunciato? Migliaia di fratelli erano stati arrestati o si trovavano in condizioni di estrema desolazione. Accusati di incendio doloso, non avevano trovato una voce ferma e risoluta che evocasse la causa con l’audacia necessaria.
93. Percepiva in Acacio Domizio la preoccupazione per la sua libertà, ma dietro le sue allusioni delicate c’era un invito discreto a nascondere la sua fede davanti all’imperatore, nel caso fosse stato ammesso al colloquio regale. Comprendeva la paura dell’amico, ma intimamente desiderava l’udienza con Nerone, al fine di illuminarlo sui sublimi principi del cristianesimo. Si sarebbe costituito avvocato dei fratelli sfortunati e perseguitati. Avrebbe affrontato in faccia la tirannia trionfante, gridando per la rettifica dei suoi atti illegittimi. Se fosse stato arrestato di nuovo, sarebbe tornato in carcere con la consapevolezza edificante di avere adempiuto ad un sacro dovere.
94. Dopo una rapida meditazione sulla convenienza della risorsa che sembrava provvidenziale, esortò Domizio che lo patrocinasse con tutti gli sforzi a sua disposizione.
95. L’amico dell’apostolo moltiplicò le attività personali per raggiungere lo scopo. Approfittando del prestigio di tutti coloro che vivevano in condizione di subordinati vicini all’imperatore, riuscì ad ottenere la desiderata udienza affinché Paolo di Tarso si difendesse, come conveniva, nell’appello diretto all’autorità di Augusto.
*
96. Nel giorno stabilito fu condotto tra le guardie alla presenza di Nerone, il quale lo ricevette incuriosito in un vasto salone dove era solito incontrare i favoriti oziosi della sua Corte criminosa ed eccentrica. Lo interessava la personalità dell’ex rabbino. Voleva incontrare l’uomo che aveva mobilitato un gran numero di suoi intimi per appoggiargli il ricorso. La presenza dell’apostolo dei gentili gli causò una grande delusione. Che valore poteva avere quel vecchio magro e insignificante?
97. Accanto a Tigellino e ad altri consiglieri malvagi, fissò ironicamente la figura di Paolo. Era incredibile un così grande interesse attorno ad una creatura tanto volgare. Quando stava per rimandarlo in prigione senza ascoltarlo in appello, uno dei cortigiani gli ricordò che sarebbe stato opportuno udirne la parola, affinché ne risultasse l’indigenza mentale. Nerone, che non perdeva mai occasione per ostentare i suoi presupposti artistici, considerò il buon suggerimento e ordinò al prigioniero di parlare quanto voleva.
98. Affiancato da due guardie, l’ispirato predicatore del Vangelo sollevò la fronte piena di nobiltà, fissò Cesare e i compagni del suo seguito frivolo e cominciò, risoluto: «Imperatore dei romani, comprendo la grandezza di questo momento in cui vi parlo, appellandomi ai vostri sentimenti di generosità e di giustizia. Non mi rivolgo qui ad un uomo fallibile, semplicemente a una personalità umana, ma all’amministratore che deve essere coscienzioso e giusto, al più grande dei principi del mondo che, prima di prendere lo scettro e la corona di un immenso impero, si deve considerare un padre magnanimo di milioni di creature!...»
99. Le parole del vecchio apostolo echeggiarono nella sala con il carattere di una profonda rivelazione. L’imperatore lo fissò, meravigliato e intenerito. Il suo temperamento capriccioso era sensibile ai riferimenti personali, dove predominavano immagini brillanti.
100. Rendendosi conto che s’imponeva al ridotto auditorium, il convertito di Damasco proseguì con più coraggio: «Confidando nella vostra longanimità, ho chiesto questo momento indimenticabile per appellarmi al vostro cuore, non solo per me ma per le migliaia di uomini, donne e bambini che soffrono nelle carceri o soccombono nei circhi del martirio. Parlo qui in nome di quella moltitudine innumerevole di sofferenti, perseguitata con meticolosa crudeltà dai favoriti della vostra Corte che dovrebbe essere composta da uomini integri e generosi. Non hanno raggiunto per caso i vostri orecchi le urla angosciate delle vedove, dei vecchi e degli orfani?
101. O Augusto imperatore del trono di Claudio, sappiate che un’ondata di crimini malvagi e odiosi spazzano i quartieri della città imperiale, strappando singhiozzi dolorosi ai vostri miseri tutelati! Accanto alla vostra attività di governo, si insinuano certamente delle vipere velenose che è necessario estirpare, per il bene della pace e dell’onesto lavoro del vostro popolo. Questi collaboratori perversi deviano i vostri sforzi dalla retta via, seminando il terrore tra le classi degli sfortunati e minacciano i più infelici! Sono gli accusatori dei proseliti di una dottrina di amore e di redenzione.
102. Non credete ai loro consigli che distillano crudeltà. Nessuno ha lavorato, forse, quanto i cristiani, per soccorrere le vittime dell’incendio voraginoso. Mentre i patrizi illustri scappavano da una Roma desolata e i più timidi si raccoglievano al riparo del pericolo, i discepoli di Gesù vagavano tra i quartieri in fiamme, alleviando le pene delle sfortunate vittime. Alcuni hanno sacrificato la propria vita nel degno altruismo. E per finire, i lavoratori sinceri del Cristo sono stati premiati con la macchia di autori del crimine efferato da calunniatori senza coraggio.
103. Non vi ha addolorato la coscienza quando avete addossato tali accuse oltraggiose, senza un’indagine rigorosa e imparziale? Nelle enormità delle calunnie, non si è vista nessuna voce che vi chiarisse l’accaduto? Ammetto che avete partecipato, certamente, a queste tragiche illusioni, perché non credo nella distorsione della vostra autorità riservata alle migliori risoluzioni a favore dell’impero. È per questo – o imperatore dei romani – che riconoscendo il grande potere custodito nelle vostre mani, oso alzare la voce per mettervi al corrente e attento alla gloriosa vastità dei vostri doveri.
104. Non consegnatevi all’odio dei politici impulsivi e crudeli. Ricordate che in una vita superiore a questa vi sarà richiesto il conto della vostra condotta negli atti pubblici. Non alimentate la presunzione che il vostro scettro sia eterno. Siete il mandatario di un potente Signore che risiede nei Cieli. E affinché vi convinciate della singolarità di tale situazione, volgete appena un solo sguardo al passato nebbioso. – Dove sono i vostri predecessori? Nei vostri palazzi fastosi vagavano guerrieri trionfanti, re improvvisati, eredi vanitosi delle loro tradizioni. Dove sono?
105. La storia ci dice che salirono al trono con applausi deliranti della folla. Erano venuti orgogliosi, ostentando magnificenza nei carri del trionfo, decretando la morte dei nemici, adornandosi con le spoglie delle vittime insanguinate. Tuttavia, bastò un soffio affinché scivolassero dallo splendore del trono al buio del sepolcro. Alcuni partirono a causa dei loro fatali eccessi distruttivi, altri uccisi dai figli della rivolta e dalla disperazione. Ricordando simili esempi, non desidero trasformare il culto della vita in culto della morte, ma dimostrare che la fortuna suprema dell’uomo è la pace della coscienza del dovere compiuto. Per tutte queste ragioni, mi appello alla vostra magnanimità, non solo per me, ma per tutti i corregionali che piangono all’ombra delle prigioni, in attesa del gladio della morte».
106. Alla lunga pausa nel verbo eloquente dell’oratore, si poté vedere la strana sensazione che la sua parola aveva causato. Nerone era livido. Tigellino, profondamente irritato, cercava un ricorso per insinuarsi con qualche osservazione meno degna, per quanto riguardava il richiedente. Le rare cortigiane presenti non mascheravano l’emozione indescrivibile che aveva scosso loro il sistema nervoso. Gli amici del Prefetto dei pretoriani mostrarono indignazione, rossi di collera. Dopo aver ascoltato un aulico, l’imperatore ordinò che il richiedente si mantenesse in silenzio, fino a quando non avesse preso le prime deliberazioni.
107. Erano tutti sorpresi. Non ci si poteva aspettare da un vecchio fragile e malato una così grande forza di persuasione e un coraggio che sfiorava la follia, secondo le nozioni del patriziato. Per molto meno, vecchi e probi consiglieri della Corte avevano raggiunto l’esilio o la condanna a morte.
108. Il figlio di Agrippina sembrava scosso. Non sistemava più sugli occhi l’impertinente smeraldo, a titolo di monocolo. Aveva l’impressione di aver ascoltato sinistri vaticini. Si lasciò andare, meccanicamente, ai suoi gesti caratteristici di quando era impressionato o nervoso. Gli avvertimenti dell’apostolo penetrarono il suo cuore, le sue parole parevano echeggiare negli orecchi per sempre.
109. Tigellino, realizzando la delicatezza della situazione, si avvicinò: «Divino…» – disse il Prefetto dei pretoriani in atteggiamento servile, con la voce quasi impercettibile – «…se volete, l’insolente può morire proprio qui, oggi stesso!»
110. «No, no…» – rispose Nerone impressionato – «…quest’uomo è uno dei più pericolosi che abbia mai incontrato. Nessuno, come lui, ha avuto il coraggio di commentare la situazione attuale in questi termini. Vedo, dietro le sue parole, molti personaggi illustri che, unendo le virtù, potrebbero farmi un gran male».
111. «Sono d’accordo» – disse l’altro esitante, a bassa voce.
112. «Allora…» – continuò l’imperatore prudentemente – «…dobbiamo sembrare magnanimi e astuti. Gli darò il perdono, per adesso, raccomandando che non lasci la città fino al chiarimento della situazione di tutti i seguaci del cristianesimo...».
113. Tigellino ascoltò con un sorriso preoccupato, mentre il figlio di Agrippina disse con voce flebile:
114. «…ma vigilerai i suoi passi più piccoli, lo farai pedinare, e quando arriverà la festa della ricostruzione del Circo Massimo, approfitteremo dell’opportunità per mandarlo in un luogo lontano, dove lo faremo scomparire per sempre».
115. L’odioso Prefetto sorrise e disse: «Nessuno avrebbe risolto meglio l’intricato problema».
116. Terminata la breve conversazione, impercettibile agli altri, Nerone pronunciò, con grande sorpresa dei palatini, di concedere al ricorrente la libertà richiesta dalla sua prima difesa, ma riservava l’atto di assoluzione per quando si potesse verificare definitivamente la responsabilità dei cristiani. Così, il difensore del cristianesimo poteva rimanere a Roma, in libertà, assumendosi, tuttavia, l’impegno a non assentarsi dalla sede dell’impero fino a quando il suo caso personale non fosse stato del tutto chiarito.
117. Il Prefetto dei pretoriani depositò la sentenza sulla pergamena. Paolo di Tarso, a sua volta, era confortato e radioso. Il cavilloso monarca gli sembrava meno malvagio, degno di amicizia e di riconoscimento. Si sentiva preso da una grande gioia, poiché i risultati della sua prima difesa erano propensi a fornire nuove speranze per i compagni di fede.
118. Paolo tornò in carcere fino a quando all’amministratore furono notificate le ultime disposizioni a suo carico, solo allora gli venne data la libertà.
119. Piuttosto speranzoso, cercò gli amici, ma, ovunque, trovava solo notizie angoscianti. La maggior parte dei collaboratori più intimi e dediti erano scomparsi, imprigionati o uccisi. Molti erano scappati preoccupati dell’estremo sacrificio. Infine, ebbe la soddisfazione di ritrovarsi con Luca. Il pietoso medico lo informò degli eventi dolorosi e tragici che si ripetevano ogni giorno. Ignorando che una guardia lo seguiva da lontano per scoprire la sua nuova residenza, Paolo, accompagnato dall’amico, arrivò ad una povera casa nei pressi di Porta Capena. Avendo bisogno di riposo e di rinvigorire il corpo indebolito, il vecchio predicatore cercò i due fratelli generosi che lo accolsero con grande gioia. Erano Lino e Claudia, dediti servitori di Gesù.
120. L’apostolo dei gentili si stabilì nel povero focolare con l’obbligo di comparire alla prigione Mamertina ogni tre giorni, fino a quando non si fosse chiarita la situazione in modo definitivo. Nonostante la consolazione che lo possedeva, il venerabile amico dei gentili sperimentava singolari presagi. Si sorprendeva a riflettere sul coronamento della carriera apostolica, come se niente più gli restasse, che morire per Gesù. Cercò di combattere tali pensieri, nel proposito di continuare a sostenere la diffusione degli insegnamenti del Vangelo, ma non poté più andare alla predicazione nelle catacombe, data la prostrazione fisica, tuttavia si avvalse della collaborazione affettuosa e dedicata di Luca, per le epistole che riteneva necessarie.
121. Tra queste, incluse l’ultima lettera che scrisse a Timoteo, approfittando di due amici che viaggiavano verso l’Asia. Paolo scrisse quest’ultimo documento al discepolo molto amato, preso da speciali emozioni che riempivano i suoi occhi di abbondanti lacrime. La sua anima generosa desiderava confidare al figlio di Eunice le sue ultime disposizioni, ma lottò con se stesso, in modo da non darsi per vinto. L’ex rabbino, nel tracciare i concetti affettuosi, si sentiva come un discepolo chiamato alle sfere più alte, senza potersi eludere dalla condizione di uomo che non vuole arrendersi nella lotta. Allo stesso tempo confidò a Timoteo la convinzione di aver finito la carriera, chiedendogli di inviare il largo mantello di cuoio lasciato a Troade[82], a casa di Carpo, visto il necessitare di una coperta per il suo corpo abbattuto. Mentre gli inviava le ultime impressioni pieno di prudenza e attenzione, implorò i suoi buoni uffici per Giovanni Marco, affinché venisse alla capitale dell’impero per aiutarli nel servizio apostolico. Quando la sua mano tremante e raggrinzita scrisse con malinconia: “Solo Luca è con me”[83], il convertito di Damasco si interruppe e pianse sulle pergamene. In quel momento, però, si sentì accarezzato in fronte da un batter d’ali che si adagiavano leggere. Un debole conforto gli invase il cuore amorevole e intrepido. A questo punto della lettera, preso da un nuovo animo ritornò a mostrare coraggio e decisione di combattere, terminando la lettera con le raccomandazioni relative alle necessità della vita materiale e delle sue fatiche evangeliche.
122. Paolo di Tarso, tuttavia, consegnò la lettera a Luca per spedirla, senza riuscire a mascherare i suoi lugubri presagi. Invano l’affettuoso medico e devoto amico cercò di sopprimere quelle apprensioni. Invano Lino e Claudia tentarono di distrarlo.
123. Pur non abbandonando il lavoro coerente con la nuova situazione, il vecchio apostolo si immerse in profonde meditazioni, dalle quali usciva solo per soddisfare le esigenze triviali.
124. Infatti, poche settimane più tardi, dopo la lettera a Timoteo, un gruppo armato visitò la residenza di Lino dopo la mezzanotte, alla vigilia dei grandi festeggiamenti che il governo voleva celebrare per la ricostruzione del Circo Massimo. Il proprietario di casa, la moglie e Paolo di Tarso furono arrestati, tranne Luca che aveva pernottato altrove. Le tre vittime furono condotte al carcere del colle Esquilino, dando prova di una forte fede di fronte al martirio che sarebbe cominciato.
125. L’apostolo fu gettato in una cella buia e in isolamento. Gli stessi soldati erano intimiditi dal suo coraggio.
126. Nel salutare Lino e sua moglie, mentre lei si disfaceva in lacrime, il valoroso predicatore li abbracciò dicendo: «Abbiate coraggio. Questa dovrebbe essere l’ultima volta che ci salutiamo con gli occhi materiali; ma ci vedremo nel regno del Cristo. Il potere tirannico di Cesare riguarda solo il corpo miserabile...».
127. In virtù dell’ordine espresso da Tigellino, il prigioniero fu isolato da tutti i compagni.
128. Nel buio della prigione, che somigliava più a una tomba umida, fece un bilancio retrospettivo di tutte le attività della sua vita, consegnandosi a Gesù, pienamente fiducioso della Sua divina misericordia. Desiderava sinceramente rimanere con i fratelli che, di certo, sarebbero stati destinati ai nefasti spettacoli il giorno dopo, sperando di entrare in comunione con loro per l’ostia del martirio, quando fosse arrivata l’ora estrema.
129. Non riusciva a dormire e, valutando il tempo trascorso dall’ingresso in prigione, concluse che il giorno del sacrificio era imminente. Neanche uno straccio di luce penetrava il cubicolo infetto e stretto. Percepiva solo vaghi rumori lontani che gli davano un’idea del caos popolare nella via pubblica. Le ore passavano in un attesa che sembra infinita. Dopo una stanchezza angosciosa, riuscì a fare alcune ore di sonno. Si svegliò tardi, ma non era in grado di calcolare le ore trascorse. Aveva fame e sete, ma pregando con fervore, sentì il flusso di una lieve consolazione per la sua anima dalle fonti della provvidenza invisibile. In fondo, era solo preoccupato per la situazione dei compagni.
130. Una guardia lo informò che un enorme contingente di cristiani sarebbe stato portato al circo, e lui soffriva per non essere stato chiamato a perire con i fratelli, nell’arena del martirio, per amore di Gesù. Immerso in queste riflessioni, ben presto sentì che qualcuno apriva la porta della cella con cautela.
131. Condotto all’esterno, l’ex rabbino notò che sei uomini armati lo attendevano vicino ad un carro di normali proporzioni. Da lontano, all’orizzonte punteggiato di stelle, si delineavano i toni meravigliosi dell’alba imminente. L’apostolo, silenzioso, seguì la scorta. Gli furono legate brutalmente le mani callose con delle corde grossolane. Un guardiano notturno, visibilmente ubriaco, si avvicinò e gli sputò in faccia. L’ex rabbino ricordò le sofferenze di Gesù e ricevette l’insulto senza rivelare il minimo gesto di amor proprio offeso.
132. Ancora un altro ordine, e prese posto sul carro vicino ai sei uomini armati che osservavano, meravigliati, tanta serenità e coraggio.
133. I cavalli trottavano agili come per mitigare il freddo umido del mattino.
134. Arrivarono ai cimiteri che costeggiavano la via Appia, le ombre della notte erano crollate quasi completamente, auspicando una giornata di Sole splendente.
135. L’ufficiale che guidava la scorta chiese di fermare il carro e, facendo scendere il prigioniero, gli disse esitante: «Il Prefetto dei pretoriani, per sentenza di Cesare, ha ordinato che tu fossi sacrificato il giorno dopo la morte dei cristiani consacrati alle celebrazioni nel circo, svoltasi ieri. Devi sapere, allora, che stai vivendo i tuoi ultimi istanti».
136. Calmo, con gli occhi splendenti e le mani legate, Paolo di Tarso, muto fino allora, esclamò, sorprendendo i carnefici con la sua enorme serenità: «Sono consapevole del compito criminale che vi incombe eseguire... I discepoli di Gesù non temono i carnefici che possono annientare solo il corpo. Non pensate che la vostra spada possa togliermi la vita, dal momento che, vivendo questi fugaci istanti nel corpo fisico, significa che penetrerò senza indugio nei tabernacoli della vita eterna, con il mio Signore Gesù Cristo, Lo stesso che si prenderà cura di voi, tanto quanto di Nerone e di Tigellino! ...»
137. La funesta pattuglia restò atterrita dallo stupore. Quell’energia morale, nel momento supremo, era tale da indebolire il più forte. Rendendosi conto della sorpresa generale e memore del suo mandato, il capo della scorta prese l’iniziativa del sacrificio. Gli altri compagni sembravano disorientati, nervosi, tremanti. L’inflessibile preposto di Tigellino, tuttavia, ordinò al prigioniero che facesse venti passi avanti. Paolo di Tarso camminò serenamente, ma nell’intimo, si raccomandava a Gesù, comprendendo la necessità del sostegno spirituale per la testimonianza suprema.
138. Arrivati al luogo indicato, il sottoposto di Tigellino estrasse la spada, ma in quell’istante gli tremò la mano guardando la vittima, e gli parlò con un tono quasi impercettibile: «Mi dispiace essere stato chiamato a fare questo, e interiormente non posso che addolorarmi per voi...».
139. Paolo di Tarso, alzando la fronte come poteva, rispose senza esitazione: «Non sono degno di pietà. Abbiate piuttosto compassione di voi stesso, poiché muoio realizzando sacri doveri, in funzione della vita eterna; mentre voi, non potete ancora sfuggire agli obblighi grossolani della vita transitoria. Piangete per voi, perché io partirò per cercare il Signore della pace e della verità, che dà la vita al mondo; mentre voi, finito il vostro compito sanguinoso, dovete tornare all’agghiacciante convivenza con i mandatari degli atroci crimini della vostra epoca! ...»
140. Il boia continuava a fissarlo con stupore, e Paolo, notando il tremore con cui brandiva la spada, lo richiamò risoluto: «Non tremate! ... Fate il vostro dovere fino in fondo!»
141. Un colpo violento gli tagliò la gola, recidendo quasi interamente la vecchia testa che si era innevata per le sofferenze del mondo.
142. Paolo di Tarso cadde di sana pianta, senza articolare una parola. Il corpo sfracellato, arrotolato a terra, come una spoglia orrenda e inutile. Il sangue sgorgava negli ultimi spasmi di contrazioni di una rapida agonia, mentre la scorta, muta, ritornava penosamente nella trionfante luce mattutina.
*
143. Il valoroso discepolo del Vangelo sentì l’angoscia delle ultime ripercussioni fisiche, ma a poco a poco sperimentò una sensazione di dolce sollievo riparatore. Mani affettuose e zelanti sembrarono toccarlo leggermente, come se lo strappassero, al solo contatto divino, dalle terribili impressioni dei suoi amari dolori. Colto di sorpresa, verificò che lo trasportavano in un luogo lontano, pensando che amici generosi lo avevano voluto assistere in un posto più conveniente, in modo che non gli mancasse la dolce consolazione della morte tranquilla.
144. Dopo alcuni istanti, il dolore era completamente scomparso. Avendo l’impressione di stare all’ombra di qualche frondoso albero amico, sentì la carezza della brezza mattutina che passava a folate fresche. Cercò di alzarsi, di aprire gli occhi per identificare il paesaggio. Impossibile! Si sentiva debole, come un convalescente grave di una prolungata malattia. Raccolse le energie intellettive, come era possibile, e pregò, chiedendo a Gesù di consentire il chiarimento della sua anima in quella nuova situazione. Soprattutto, la mancanza della vista lo lasciava sommerso in angosciose aspettative.
145. Ricordò i giorni di Damasco quando la cecità gli aveva invaso gli occhi di peccatore, offuscati dalla luce gloriosa del Maestro. Rammentò l’affetto fraterno di Anania e pianse per l’influsso di quelle singolari reminiscenze. Dopo un grande sforzo, riuscì ad alzarsi e rifletté che l’uomo aveva bisogno di servire Dio, anche se andasse a tentoni nelle dense tenebre.
146. Fu allora che sentì dei passi di qualcuno che si avvicinavano leggeri. Gli venne in mente improvvisamente il giorno indimenticabile in cui era stato visitato da un emissario del Cristo alla locanda di Giuda in Damasco.
147. «Chi sei?» – chiese come aveva fatto in precedenza in quel momento indimenticabile.
148. «Fratello Paolo...» – cominciò a dire il nuovo arrivato.
149. Ma l’apostolo dei gentili, riconoscendo quella voce amata, lo interruppe, gridando di gioia indescrivibile: «Anania! ... Anania! ...» – e cadde in ginocchio in un pianto convulsivo.
150. «Sì, sono io» – disse la veneranda entità, posando la mano luminosa sulla sua fronte. – «Un giorno Gesù mi disse di ripristinarti la vista in modo che tu potessi conoscere il cammino aspro dei Suoi discepoli, e oggi, Paolo, mi ha concesso la gioia di aprire i tuoi occhi alla contemplazione della vita eterna. Alzati! Hai vinto gli ultimi nemici, hai conquistato la corona della vita, hai raggiunto nuovi piani della redenzione! ...»
151. L’apostolo si alzò travolto da lacrime di gioiosa gratitudine, mentre Anania posava la mano destra sui suoi occhi spenti, ed esclamò con affetto: «Sii vedente ancora una volta, nel Nome di Gesù! ... Dalla rivelazione di Damasco dedicasti gli occhi al servizio del Cristo! Ora contempla le bellezze della vita eterna, in modo che possiamo andare all’incontro dell’amato Maestro! ...»
152. Intanto, il lavoratore del Vangelo riconobbe le meraviglie che Dio riserva ai suoi collaboratori che lavorano nel mondo pieno di ombre. Preso dallo stupore, identificò il paesaggio che lo circondava. Non lontano c’erano le catacombe della via Appia. Forze misteriose lo allontanavano dalla triste visione delle sue spoglie insanguinate che si decomponevano. Si sentiva giovane e felice. Capiva, ora, la grandezza del corpo spirituale nell’ambiente estraneo agli organismi della Terra. Le sue mani erano senza rughe, l’epidermide senza cicatrici. Sembrava di aver bevuto a gran sorsi un misterioso elisir di giovinezza. Una tunica di un bianco splendente lo avvolgeva in graziose ondulazioni. Si era appena risvegliato dal suo incantesimo, quando qualcuno lo colpì leggermente sulla spalla: era Gamaliel che gli portava un bacio fraterno. Paolo di Tarso si sentì il più beato degli esseri.
153. Abbracciando il vecchio maestro e Anania, in un solo gesto di tenerezza, esclamò con le lacrime: «Solo Gesù poteva concedermi una gioia uguale a questa».
154. Non aveva terminato di parlare che cominciarono ad arrivare i vecchi compagni delle lotte terrene, amici di altri tempi, fratelli dedicati che venivano a portargli il benvenuto, nell’oltrepassare la soglia dell’eternità. L’incantesimo dell’apostolo seguì ininterrotto, come se fossero rimasti a Roma, in attesa di lui, tutti i martiri delle festività della sera prima. Questi arrivavano cantando, vicino alle catacombe. Tutti volevano abbracciare il generoso discepolo e baciargli le mani. Nel frattempo, dando l’impressione di nascere nelle meravigliose fonti dell’aldilà, si ascoltavano carezzevoli melodie accompagnate da voci argentine che sembravano angeliche.
155. Stupito dalla bellezza della composizione, intraducibile nel linguaggio umano, Paolo udì il venerabile amico di Damasco [Anania] che spiegava sollecito: «Questo è l’inno dei prigionieri liberati! ...»
156. Osservandogli l’intensa commozione, Anania chiese quale fosse il suo primo desiderio nella sfera dei redenti.
157. Interiormente, Paolo di Tarso ricordò Abigail e gli aneliti sacri del cuore, come accadrebbe a qualsiasi essere umano. Tuttavia, integrato nel servizio divino che invita a dimenticare i capricci più semplici, e senza tradire la gratitudine per la misericordia del Cristo, rispose con sentimento: «Il mio primo desiderio sarebbe quello di rivedere Gerusalemme dove ho praticato tanto male e lì pregare Gesù per offrire a Lui la mia gratitudine».
158. Appena lo espresse, la splendente adunanza si mise in movimento. Stupito dalla potenza della volitazione[84], Paolo osservò che le distanze adesso non rappresentavano niente per le sue possibilità spirituali.
159. Dall’alto continuavano a fluire armonie di sublime bellezza. Erano inni che esaltavano la felicità dei lavoratori trionfanti e la misericordia delle benedizioni dell’Onnipotente.
160. Paolo voleva imprimere al divino viaggio il sapore delle sue reminiscenze. A tal fine, il gruppo seguì lungo la via Appia fino ad Ariccia, dove si spostò verso Pozzuoli nella cui Chiesa si fermò in preghiera per alcuni minuti di beatitudine senza pari. Da lì la carovana spirituale andò verso l’Isola di Malta. Trasportandosi poi fino al Peloponneso, dove Paolo estasiato contemplò Corinto, dando corso a ricordi dolci e affettuosi. Infiammati di entusiasmo fraterno, i componenti della carovana accompagnavano il discepolo valoroso sul sentiero delle memorie sacre che gli vibravano nel cuore.
161. Atene, Tessalonica, Filippi, Neapolis, Troade ed Efeso furono punti in cui l’apostolo rimase più a lungo, pregando l’Altissimo con lacrime di gratitudine. Attraversate le aree della Panfilia e della Cilicia, entrarono in Palestina, pieni di santa gioia e rispetto. In tutti i percorsi si univano emissari e lavoratori del Cristo. Paolo non riusciva a valutare la gioia dell’arrivo a Gerusalemme, sotto lo straordinario azzurro del crepuscolo.
162. Ubbidendo al suggerimento di Anania, si riunirono in cima al Calvario e cantarono inni di speranza e di luce. Ricordando gli errori dell’amaro passato, Paolo di Tarso s’inginocchiò e innalzò una fervente supplica a Gesù. I compagni redenti erano raccolti in estasi, e lui, trasfigurato in lacrime, cercava di esprimere un messaggio di gratitudine al divin Maestro. Si tratteggiò poi, nella tela dell’Infinito, un quadro di singolare bellezza. Come se si fosse squarciata un’incommensurabile fluorescenza azzurra, apparve nell’immensa amplitudine dello spazio un sentiero luminoso, dove tre figure si avvicinavano radiose. Il Maestro era al centro, tenendo conversazione con Stefano a destra e Abigail dal lato del cuore.
163. Abbagliato e affascinato, l’apostolo poté appena stender loro le braccia, perché la sua voce gli sfuggiva al culmine della commozione. Abbondanti lacrime sgorgavano sul suo viso trasfigurato. Abigail e Stefano fecero un passo avanti. Lei gli prese delicatamente le mani in un impeto di tenerezza, mentre Stefano lo abbracciava con espansione.
164. Paolo voleva gettarsi tra le braccia dei due fratelli di Corinto, baciar loro le mani nella sua esplosione di felicità, ma come un docile fanciullo che tutto dovesse al Maestro dedicato e buono, cercò lo sguardo di Gesù, per rendersi conto della sua approvazione.
165. Il Maestro sorrise, indulgente e affettuoso, e disse: «Sì, Paolo, sii felice! Adesso vieni tra le Mie braccia, perché è volontà del Padre Mio che i carnefici e i martiri si riuniscano insieme, per sempre, nel Regno Mio!...»
166. E così, insieme e beati, i fedeli lavoratori del Vangelo della redenzione seguirono le orme del Cristo, nel cammino per le sfere della Verità e della Luce...
167. Laggiù, Gerusalemme contemplava il crepuscolo, rapita, aspettando la luce della Luna che non sarebbe tardata con i primi chiarori...
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[1] Gentili è il termine italiano col quale si traduce la parola ebraica goym ogojim e indica chi non è ebreo Il significato è quello di popolo, etnia. (enciclopedia Treccani. – N. d.T.)
[2] Corinto/Acaia: distrutta nel 146 a.C. dai romani e riedificata da Giulio Cesare.
[3] Acaia è un toponimo con cui ai tempi di Omero veniva indicata la città dell'antica Grecia poi rinominata Corinto, da cui i termini achei o achiri usati nell'Iliade per indicare i greci antichi della regione di quella città. [N.d.T.]
[4] Il conflitto contro la Lega achea fu brevissimo e la sua principale città, Corinto (Acaia), fu saccheggiata e rasa al suolo dalle truppe di Lucio Mummio. (enciclopedia Treccani. - N.d.T.)
[5] Cencrea: porto di Corinto che distava circa 12 km dalla grande metropoli. – (enciclopedia Treccani. – N.d.T.)
[6] Antioco Epifanio, principe Greco nato nel 215 a.C. (enciclopedia Treccani. – N. d.T.)
[7] Proverbi 3,11-13
[8] Salmo 23
[9] Isocrona: che è di uguale durata; che avviene in tempi uguali.
[10] Nicopolis:- è una città della Bulgaria settentrionale, nella Provincia di Pleven. (enciclopedia Treccani. – N.d.T.)
[11] Sergio Paolo: “Atti degli apostoli” cap. 13,7
[12] Citium, città dell'isola di Cipro, sulla costa meridionale. (enciclopedia Treccani. – N.d.T.)
[13] Nea-Paphos, antica città portuale all‘estremità occidentale di Cipro. (enciclopedia Treccani. – N.d.T.)
[14] Giaffa: porto naturale dista circa de 55 km de Gerusalemme. (enciclopedia Treccani. – N.d.T.)
[15] Primitiva designazione del cristianesimo. (nota di Emmanuel.)
[16] Isaia capitolo 53
[17] Levi è il nome originale dell’apostolo Matteo.
[18] Acaia (Grecia) provincia del Peloponneso con capoluogo Patrasso.
[19] Cipro: vino tra i più antichi del mondo, lo confermano i molti ritrovamenti antichi in particolare i Mosaici della Casa di Dionysus a Pafos. (enciclopedia Treccani. – N.d.T.)
[20] Matteo 10,6-7 (nota di Emmanuel)
[21] Ruben, il primogenito, il cui nome significa guarda, un figlio (maschio) – Simeone, secondogenito, figlio di Lia – Levi, terzo figlio di Lia. Giuda, quarto figlio di Lia, chiamato "giovane leone" – Dan, figlio di Bilhah, un'ancella di Rachele – Neftali, altro figlio di Bilhah: rivalità tra sorelle – Gad, figlio di Zilpah, ancella di Lia che gridò per fortuna! – Aser, secondo figlio di Zilpah: così mi diranno felice! – Issachar, concepito da Lia in un giorno in cui Giacobbe avrebbe dovuto appartarsi con Rachele. “Dio mi ha dato il mio salario, per aver io dato la schiava a mio marito” – Zabulon, ancora Lia:”Dio mi ha fatto un bel regalo: questa volta mio marito mi ha preferito, perché gli ho partorito sei figli”. Dopo Zabulon Lia ebbe anche una figlia:Dina. – Giuseppe, Dio ha tolto il mio disonore, disse Rachele, al primo figlio. – Beniamino, secondo e ultimo figlio di Rachele.
[22] Salmi di Davide, capitolo 34, versetto 2 - (nota di Emmanuel)
[23] Anatema: maledizione, imprecazione. Nel linguaggio cristiano significa la scomunica lanciata dalla Chiesa.
[24] Isaia 52-12 – (nota di Emmanuel). «Non dovrete uscire in fretta né andarvene come uno che fugge, perché davanti a voi cammina il Signore e vi radunerà il Dio d’Israele».
[25] Casistica: indirizzo della teologia che si propone di enumerare, studiare, risolvere i possibili casi di coscienza.
[26] Nei Vangeli Caifa viene nominato all'inizio della vita pubblica di Gesù e soprattutto durante la passione di Gesù. Sono dunque menzionati i sommi sacerdoti Anna e Caifa, come se avessero detenuto contemporaneamente questa carica, mentre in effetti Caifa era succeduto al suocero Anna nella carica di sommo sacerdote. (Wikipedia – N.d.T.)
[27] Il fratello di Levi è ancora Giacomo figlio di Alfeo
[28] Durindana, spada non affilata. (enciclopedia Treccani. – N.d.T.)
[29] Anna o Anania, (in ebraico: Anano ben Seth) fu un sommo sacerdote dell'ebraismo. Ricoprì tale carica dal 6 al 15 d.C. Rimase comunque influente all'interno del sinedrio per molti altri anni e mantenne il titolo di sommo sacerdote. Gli succedettero, come sommi sacerdoti, diverse persone della sua famiglia, tra cui il genero Caifa. È noto soprattutto per aver partecipato, secondo il racconto dei Vangeli, al processo che condannò a morte Gesù. (Wikipedia – N.d.T.)
[30] Il primo martire del cristianesimo è considerato Stefano, detto appunto il Protomartire. È anche l'unico martire la cui passione sia stata narrata dettagliatamente in un libro canonico, gli “Atti degli Apostoli”. (N.d.T.)
[31] Dispnea: alterazione del ritmo respiratorio; ansietà, affanno, difficoltà di respiro.
[32] Emottisi: sbocco di sangue causato da lesioni dei bronchi o degli alveoli polmonari; è sintomatico della tubercolosi polmonare.
[33] Ermeneutica: l’arte di interpretare documenti e testi antichi.
[34] Citium: principale città fenicia a Cipro, situata sulla costa sud-est. (enciclopedia Treccani. – N.d.T.)
[35] La via recta, via che esiste tuttora a Damasco è il decumano massimo dei romani, fu realizzata ampliando una vecchia via preesistente. “Atti degli Apostoli 9-11” – [enciclopedia Treccani. – N.d.T.]
[36] Palmira fu in tempi antichi un'importante città della Siria, posta in una oasi 240 km a nord-est di Damasco. [enciclopedia Treccani. – N.d.T.]
[37] Transeunti: coloro che passano.
[38] casisti: appartenenti alla frangia di coloro che – come Saul – ragionavano sulle tematiche teologiche della casistica.
[39] Matteo, capitolo 19, versetti 16-23. “Ed ecco un tale gli si avvicinò e gli disse: «Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?». Egli rispose: «Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti». Ed egli chiese: «Quali?». Gesù rispose: «Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso». Il giovane gli disse: «Ho sempre osservato tutte queste cose; che mi manca ancora?». Gli disse Gesù: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel Cielo; poi vieni e seguimi». Udito questo, il giovane se ne andò triste; poiché aveva molte ricchezze. Gesù allora disse ai Suoi discepoli: «In verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei Cieli»”.
[40] Tauro: a nord della Cilicia si ergono le Montagne del Tauro che la separano dall'altopiano, il Tauro, collegava Tarso a Cesarea di Cappadocia. (enciclopedia Treccani. – N.d.T.)
[41] Cavatina: musica, breve, aria di nitida melodia, senza ripetizione di strofe. (enciclopedia Treccani. – N.d.T.)
[42] Più tardi, nella seconda lettera ai Corinzi (capitolo 12, versetti da 2 a 4), Saul scrisse: "Conosco un uomo in Cristo che, quattordici anni fa (se con il corpo, o fuori del corpo non lo so, Dio lo sa) fu rapito fino al terzo cielo. E sapevo che un tale uomo fu rapito in paradiso, e udì parole impronunciabili, che all’uomo non è permesso esprimere". Da questa gloriosa esperienza l‘apostolo delle genti apprese nuove conclusioni circa le idee notevoli, referenti al corpo spirituale. (nota di Emmanuel)
[43] Peplo : Abito nazionale delle donne dell'antica Grecia fino alla seconda metà del sec. 6°, quando fu generalmente sostituito (eccetto che a Sparta) dal chitone: consisteva in un rettangolo di stoffa di lana, di colori varî, talvolta ricamato, che, ripiegato e fermato sopra le spalle da fibule, era tenuto aderente alla persona da una cintura, e restava aperto lungo il fianco destro; dopo l’introduzione del chitone, fu usato non più come unico vestito, ma sopra il chitone come mantello. Un abito femminile di foggia simile fu di moda, con lo stesso nome, nel sec. 19°.
[44] Posca: mistura d’acqua e aceto, usata come dissetante o come medicamento.
[45] Nessuno dovrebbe ignorare il fatto che lo Spirito Santo indica la legione di spiriti santificati nella luce e nell’amore che cooperano con Cristo fin dai primi tempi dell‘Umanità. - (nota di Emmanuel.)
[46] Giacomo di Zebedeo, fratello di Giovanni, detto anche Giacomo il Maggiore. Fu il primo martire dei dodici apostoli. Dopo la decapitazione, secondo la Leggenda Aurea i suoi discepoli trafugarono il suo corpo e riuscirono a portarlo sulle coste della Galizia. Il sepolcro contenente le sue spoglie sarebbe stato scoperto nell'anno 830 dall'anacoreta Pelagio in seguito ad una visione luminosa. Il vescovo Teodomiro, avvisato di tale prodigio, giunse sul posto e scoprì i resti dell'apostolo. Dopo questo evento miracoloso il luogo venne denominato campus stellae ("campo della stella") dal quale deriva l‘attuale nome di Santiago di Compostela, capoluogo della Galizia. (enciclopedia Treccani. – N.d.T.)
[47] Parossismi: il culmine di uno stato di tensione psichica; esasperazione.
[48] Seleucia di Pieria fu una città fondata intorno all'anno 300 a.C. da Seleuco Nicatore, generale di Alessandro Magno alla foce del fiume Oronte. (enciclopedia Treccani. – N.d.T.)
[49] Amatunte. (greco Amathûs), antica città sulla costa meridionale dell‘isola di Cipro. Centro miceneo e poi fenicio, fu sede di un celebre tempio di Afrodite e della più antica officina metallurgica, per l‘estrazione e la lavorazione del rame. (enciclopedia Treccani.– N.d.T.)
[50] Bar-Jesu – Ebreo di Pafo, città dell’isola di Cipro, vissuto nel I secolo d.C., era un mago, falso profeta (At- 13-6). Aveva lo pseudonimo o il titolo di Elimas, che significa – mago. Sembra che Bar-Jesu godesse di una posizione di prestigio come mago di corte e consigliere di Sergio Paolo, Proconsole romano a Pafo. Essendo sacerdote di un culto divinatorio, Bar-Jesu era naturalmente contrario al cristianesimo e, per proteggere la propria posizione lucrativa, fu inflessibile nell’opporsi alla predicazione di Paolo e Barnaba. Perciò, quando Sergio Paolo cercò premurosamente di udire la parola di Dio, il mago si oppose, cercando di allontanare il proconsole dalla fede. – At. 13:7,8. (N.d.T.)
[51] Proverbi, capitolo 30, versetti 7-9
[52] Panfilia era una piccola regione costiera dell‘Asia Minore, confinante a ovest con la Licia e a nord-nord est con la Galazia, comprendeva i territori dell‘attuale Turchia. (enciclopedia Treccani. – N.d.T.)
[53] Cestro, fiume che circondava la città di Perga. (enciclopedia Treccani. – N.d.T.)
[54] Parenetica: che vuole esortare.
[55] Marcantonio: modo di dire per definire una persona grande e grossa.
[56] Le osservazioni di Paolo nella Lettera ai Galati (capitolo 2, versetti 11 e 14) si riferiscono ad un fatto precedente all‘incontro dei discepoli. – (nota di Emmanuel) [11] “Ma quando Cefa venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto. [14]Ora quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità del vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: «Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei giudei?»”
[57] In riferimento alla circoncisione vedi le spiegazioni rivelate a Franz Schumi nel libro “Cristo e la Chiesa” vol.3 cap.19.
[58] La gente di quelle nazioni erano familiarizzate con pratiche socialmente ben considerate, come la prostituzione sacra, la partecipazione nella carne e il sangue dei sacrifici offerti ai loro dei. Giacomo si riferisce a questa complicità nell’idolatria, impropria per chi si convertiva al Cristo. L’espressione ‘animali soffocati’, oggi si riconosce come un’interpolazione a posteriori. Inoltre, la preposizione greca kai quando si ripete due o più volte in una stessa frase, la prima non si traduce i, ma ossia. Il testo greco dice: “… dio egô krinô mê parenochlein tois apo tôn ethnôn epistrefousin epi ton theon, alla episteilai autois tou apechesthai tôn alisgêmatôn tôn eidôlôn kai tês porneias kai tou haimatos”. Quindi, questa è la traduzione corretta: “...perciò io ritengo che non si debba turbare quelli delle nazioni che si convertono a Dio; ma che si scriva loro di astenersi dalle cose contaminate per gli idoli, ossia, dalla fornicazione e dal sangue”. (Atti 15-13, 19-20) (Associazione Biblica Internazionale).
[59] Atti, capitolo 16, versetto 7. – (nota di Emmanuel) – “Raggiunta la Misia, si dirigevano verso la Bitinia, ma lo spirito di Gesù non lo permise loro”
[60] Pitonéssa s. f. [dal lat. tardo pythonissa]. – 1° Propr., nella Bibbia (I Samuele, 28, 7), nome della maga che Saul andò a consultare e che prediceva il futuro invasata da un demone chiamato Python. – 2° estens. a. Donna che, ritenendosi ispirata da un dio o da forze soprannaturali, presume di predire il futuro. Anche, scherz., chiromante, cartomante: consultare una pitonessa. b. Altro nome con cui è indicata la pizia, sacerdotessa di Apollo. (enciclopedia Treccani. – N.d.T.)
[61] Transeunte : latinismo filosofico indicante ciò che è destinato a perire, transitorio. (n.d.t.) – Nella frase in oggetto: “chi transitava per le vie”.
[62] Giovanni iniziò la sua attività nella Chiesa mista di Efeso, molto presto, senza allontanarsi, però, da Gerusalemme. - (nota di Emmanuel.) / Per ulteriore approfondimento, vedi la rivelazione a Max Seltmann “Giovanni l’apostolo come nuova guida” libro XXIII.
[63] Iconoclasta: distruttore di immagini sacre; seguace o fautore dell'iconoclastia. Critico, spregiudicato e irriverente, di principi e credenze comuni; come aggettivo, spinto o motivato da un'indiscriminata polemica distruttiva.
[64] Matteo, capitolo 5, versetto 25. – (nota di Emmanuel).
[65] Spuria: non autentica.
[66] Nażireato s. m. [der. di nazireo]. – Istituzione religiosa degli antichi Ebrei, equivalente a una speciale consacrazione a Dio, con determinate astinenze e obblighi rituali. (Dizionario Treccani.– N.d.T.)
[67] Luogo del Teschio o Cranio. Il monte Golgota in ebraico. (Biblioteca Treccani.– N.d.T.)
[68] Cnido oppure Knidos: antica città greca della Laconia.
[69] Kaloi limenes: piccolo porto sulla costa nord dell’isola di Creta.
[70] Phoenix : antico porto a sud del Peloponneso.
[71] Sofisma: argomentazione cavillosa apparentemente vera e logica, ma sostanzialmente falsa.
[72] Esquilino, uno dei sette colli di Roma, ove furono costruite la Domus aurea di Nerone e le terme di Tito e Traiano e dove sorge la basilica di S. Maria Maggiore.
[73] Suburra: quartiere popolare della Roma antica, popolato da piccoli commercianti e gente di malaffare.
[74] Poppea Sabina: moglie di Rufrio Crispino, poi di Marco Salvio Otone e infine di Nerone che, indotto da lei, aveva ucciso la madre Agrippina e la moglie Ottavia; uccisa da Nerone stesso con un calcio, fu poi divinizzata.
[75] Claudio Tiberio (10-54). Imperatore romano, figlio di Druso, successe a Caligola (41); ridiede al Senato autorità; concesse la cittadinanza a molte colonie, condusse a termine l’acquedotto Claudio; costruì il porto di Anzio; annesse la Mauritania; la Giudea e la Tracia, compì una spedizione in Britannia. Dopo aver fatto uccidere la dissoluta moglie Messalina, sposò Agrippina, che riuscì a fargli adottare il proprio figlio Nerone, anteposto al legittimo erede, Britannico.
[76] Tigellino: prefetto del pretorio (n. Agrigento - m. Sinuessa 69 d. C.) dell'imperatore Nerone; nato da oscuri genitori, fu esiliato (39) sotto l'accusa di adulterio con Agrippina, la sorella di Caligola. Tornato a Roma per il favore di Claudio e divenuto amico di Nerone, fu nominato prefetto dei vigili e (62) successe a Burro nella prefettura del pretorio. Specialmente dopo la congiura dei Pisoni divenne potentissimo, ma quando la fortuna di Nerone cominciò a tramontare abbandonò l'imperatore. Condannato a morte da Otone, si uccise. Una fama di lussuria, avarizia e crudeltà lo accompagna nella tradizione storica antineroniana.
[77] Liberti: nell’antica Roma, gli schiavi affrancati secondo le formule e i modi previsti dal diritto.
[78] Aulico: personaggio di corte.
[79] Luca: cap. 16, versetto 9. (nota di Emmanuel.) “Fatevi degli amici con le ricchezze, frutto dell’iniquità, affinché quand’essa verrà a mancare, vi accolgano nei tabernacoli eterni”.
[80] Comburente: che favorisce la combustione.
[81] Humiliores erano persone umili senza titolo di dignità sociale nell’antica Roma. – (nota di Emmanuel)
[82] 2° Timoteo 4,13: “Venendo, portami il mantello che ho lasciato a Troade in casa di Carpo, e anche i libri, soprattutto le pergamene. “
[83] Seconda lettera a Timoteo. Cap. 4, versetto 11. – (nota di Emmanuel) – “Solo Luca è con me. Prendi Marco e portalo con te perché mi sarà utile per il ministero”.
[84] dal latino volitare, "volare” (lett.) eseguire un volo leggero, con il potere della volontà. (Dizionario Treccani. – N.d.T.)